Operazione Hunting - Quarta parte: Sul filo del rasoio (/viewuser.php?uid=262) Lista capitoli: Capitolo 1: *** 1° Capitolo *** Capitolo 2: *** 2° Capitolo *** Capitolo 3: *** 3° Capitolo *** Capitolo 4: *** 4° Capitolo *** Capitolo 5: *** 5° Capitolo *** Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
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Capitolo 4
*** 4° Capitolo ***
4° CAPITOLO Mardukas controllò l’ora sul suo fido orologio. “Ormai il summit sarà cominciato da almeno un quarto d’ora”. “Si, e speriamo che non succede assolutamente nulla” aggiunse Teletha. “In teoria non dovrebbe succedere nulla, abbiamo preso tutte le precauzioni possibili, ma si sa che il destino è imprevedibile, specialmente per noi militari. Basta pensare a cosa è successo poco più di una settimana fa. Eravamo prigionieri in una base nemica, a causa del tradimento di uno dei nostri elementi migliori”. “Melissa Mao non è una persona cattiva, Mardukas, dovrebbe saperlo bene” replicò Teletha. “Certo che lo so, anche se questa storia di lavaggi del cervello mi lascia quantomeno perplesso. Ai miei tempi non c’era niente del genere. Comunque, anche se è stata costretta, l’azione l’ha effettuata lei. Avevamo una serpe in seno, e cosa peggiore, lei stessa non sapeva di essere tale”. “Si, è vero, comunque sono certa che questa situazione si risolverà per il meglio. Melissa Mao è una donna forte”. “E’ quello che sperano tutti. Ma deve rendersi conto, colonnello, che forse la carriera del sergente maggiore Mao è bruciata. Anche se la recuperiamo, il rischio di rimasugli di quel lavaggio del cervello difficilmente le permetteranno di avere nuovi incarichi”. “Per tagliare fuori Melissa, dovranno vedersela con me” rispose Teletha. Il suo cervello sintetico, mentre parlava con Mardukas in una inutile conversazione che serviva solo a salvare le apparenze, stava calcolando quando sarebbe stato il momento esatto per avviare l’operazione. E allo stesso tempo riceveva dati tramite particolari frequenze criptate provenienti dai suoi veri capi. Cosi aveva appena saputo che il possibile intoppo costituito da Sagara e Yu Fan era stato eliminato. Ormai era quasi tutto pronto: il summit era iniziato, il De Danaan era in posizione, gli AS sull’isola pure. Solo una pedina doveva ancora posizionarsi. Il caccia torpediniere Wilson della marina degli Stati Uniti, navigava solitario sulle acque dell’oceano, col compito di vigilare sui confini della zona rossa, ovvero l’aerea al cui interno si trovava l’isola del summit. L’equipaggio non sapeva nulla di preciso sull’incontro che si stava svolgendo ad alcune centinaia di miglia. Solo il capitano era stato avvertito, mediante un messaggio speciale proveniente dal Pentagono, che in quella zona si stava svolgendo un operazione segretissima in cui era implicata la misteriosa Mithril. Un operazione dal cui esito potevano dipendere gli equilibri mondiali. Quindi erano stati incaricati di svolgere con la massima diligenza possibile il loro lavoro. Anche se l’attività di intercettazione in quella zona era molto semplice, in quanto era stata scelta perché poco battuta dalle rotte. E i comandanti possedevano l’elenco di tutte le poche navi che avrebbero transitato lì vicino, quindi era facile capire se c’era qualcuno di troppo Senza contare che sotto di loro si muoveva la misteriosa Toy Box, il sottomarino che ormai era diventato quasi una leggenda tra i marinai, e che godeva della fama di essere invincibile. E sebbene fossero non pochi quelli nella marina statunitense che non si fidavano della Toy Box, il comandante Henry Pakula della Wilson non era tra di loro. Avendo letto personalmente i rapporti sulle imprese di quel sottomarino, si era convinto che il suo equipaggio fosse composto da veri eroi. Perciò si sentiva al sicuro sapendo che discretamente vigilavano sotto di loro. Il capitano Pakula in quel momento si trovava in plancia, e si avvicinò all’addetto al radar. “Guardiamarina, novità?” “Nessuna, signore. Intorno a noi c’è solo un deserto d’acqua”. “Molto bene” commentò il capitano, che si avvicinò al timone e iniziò a scrutare il mare con un binocolo. “Oggi mi sento molto tranquillo. Sono certo che andrà tutto per il meglio”. Purtroppo il destino, e Amalgam, avevano dei progetti per la sua nave. Quando realizzi un piano per incastrare qualcuno, hai bisogno di prove. E non c’è niente di meglio della testimonianza di un intera nave. Cameron si sentiva cosi eccitato, ed era talmente strabiliato per la precisione dell’operazione Hunting, che aveva ormai dimenticato la sua frustrazione per non poter essere sul campo di battaglia. Ora stava osservando sulla mappa olografica il Wilson che si avvicinava sempre di più alla posizione del Tuatha De Danaan. In teoria non sarebbe dovuto succedere, ma una piccola modifica effettuata ai meccanismi di regolazione della rotta, avrebbe permesso al Wilson di trovarsi alla distanza giusta per vedere il De Danaan, unico sottomarino nella zona, lanciare un missile contro l’isola del summit, spazzandola via completamente. Quel colpo mortale, inflitto alla comunità internazionale proprio da chi si era finalmente decisa ad accettare, avrebbe fatto scattare la condanna a morte per la Mithril. D’altronde Hunting significava caccia: la caccia che in tutto il mondo si sarebbe scatenata contro la Mithril in seguito a questo vile attentato a tradimento. E grazie a questa caccia, Amalgam avrebbe anche avuto la strada libera per catturare tutti i Whispered del mondo. Per questo USA e URSS non sarebbero state un problema, perché entrambe le superpotenze sapevano dei Whispered, ma erano ben lontane dal possedere l’elenco di tutti i candidati, come invece lo avevano la Mithril e Amalgam. La Mithril garantiva un ottimo sistema di protezione, per questo Amalgam non aveva mai potuto fare man bassa, ma una volta tolti di mezzo quei paladini della giustizia, tutti i Whispered sarebbero caduti in mano loro. “Generale Cameron, il Wilson sta raggiungendo la posizione del De Danaan”. “Eccellente. Vi siete collegati con i meccanismi di trasmissione del nostro inconsapevole complice?” “Si, signore”. “E allora…” Cameron rimase in silenzio e chiuse gli occhi. L’operatore, perplesso, lo guardò: “Signore?” Cameron gli fece cenno di tacere. Un semplice uomo come lui non avrebbe mai potuto godere della cosiddetta quiete prima della tempesta. In fondo, è tradizione che i grandi eventi siano preceduti da momenti di assoluto silenzio, come se tutto l’universo, il tempo stesso, si bloccassero in un attesa carica di tensione emotiva. Passato almeno un minuto, in cui erano udibili solo i flebili ronzii delle svariate apparecchiature che li circondavano, Cameron si passò la lingua sulle labbra. “Cominciamo!” “TDD, qui Uruz 1! TDD, qui Uruz 1!” “Ti sentiamo, Uruz 1. Cosa succede?” “Dovete subito mandare rinforzi, qui abbiamo un codice 8-1-1! Ripeto, abbiamo un codice 8-1-1!” L’operatore si rivolse allarmato ai suoi due superiori: “Comandante, rilevo un codice 8-1-1 provenire dall’isola S!” Sentendo questo, tutti i presenti nella plancia del De Danaan si irrigidirono. Perché quel codice significava che un attacco nemico si stava svolgendo sull’isola. “Ma come può essere? Non abbiamo ricevuto alcun segnale sull’avvicinarsi di navi nemiche!” sbottò Mardukas. “Sto cercando di capirlo, signore” rispose l’operatore addetto al radar. “Le comunicazioni che arrivano dall’isola sono molto confuse, signore. Ma sembra che dal nulla siano atterrati sull’isola degli AS giganteschi, alti almeno dieci volte il normale. Hanno una corazza molto massiccia, sono di colore rosso…. E…” L’operatore cercò di capire bene le parole che gli arrivavano attraverso una serie di scariche elettriche. “… e sono muniti di mitragliatrici di grosso calibro installate sul volto”. Teletha schioccò le dita: “Ho capito! Sono dei Behemoth! Come quello apparso a Tokyo molti mesi fa”. “Se le cose stanno cosi, allora le difese dell’isola non hanno scampo. Possono resistere agli attacchi di soldati, mezzi corazzati, elicotteri e AS, ma non di simili bestioni” commentò Mardukas. “Concordo. Se solo potessimo usare l’Arbalest come l’altra volta” disse con amarezza Teletha. “Purtroppo il sergente Sagara è a Tokyo, e non abbiamo certo il tempo di farlo venire qui. Vorrei sapere però come quei mezzi giganteschi siano arrivati su quell’isola”. “Avranno usato l’ECS, per potersi avvicinare indisturbati. Come poi siano riusciti ad atterrare, lo ignoro. Ma adesso non è importante. Ora dobbiamo salvare tutte le personalità presenti sull’isola”. “Giusto. Cerchiamo di avere un quadro della situazione. Attivate lo schermo satellitare, urge un quadro della situazione” ordinò Mardukas. Subito dopo sullo schermo principale apparve una mappa vista dall’alto dell’isola. Verso il centro c’era un quadrato bianco che indicava la sede del summit. Tutto intorno e sui bordi dell’isola si trovavano dei puntini bianchi che convergevano contro tre punti rossi. Le forze di difesa dell’isola che attaccavano i Behemoth. E più questi ultimi si avvicinavano alla sede del summit, più i puntini bianchi scomparivano. “Uruz 1 comunica che più della metà della forze di difesa è già stata annientata” comunicò accigliato l’addetto alla radio. “Sono in tre. Ma valgono quanto un esercito” commentò duramente Mardukas. “Mandare altri AS o altri mezzi sarebbe solo un suicidio” disse accigliata Teletha “Solo l’Arbalest avrebbe qualche possibilità, e non possiamo usarlo. Ordinate ai nostri di dare la priorità all’evacuazione dell’isola. Poi contattate il quartier generale per avere istruzioni ad evacuazione effettuata”. “Signorsì!” **** Kurz, seduto nella cabina del suo M9, si stava decisamente annoiando. Ma la preoccupazione per la sorte della sua sorellina Mao gli impediva di esibirsi in sbadigli e nel suo solito sbuffare. “Accidenti, sorellina, non pensavo l’avrei mai detto, ma quanto mi mancano i tuoi pugni e le tue reprimende con in bocca la tua immancabile sigaretta”. “Uruz 6, non distrarti e fa il tuo lavoro” La voce via radio di Clouzot, alias Uruz 1, lo fece sobbalzare. Evidentemente Kurz aveva parlato soprapensiero senza accorgersene. Facendosi purtroppo sentire da quel insopportabile di Clouzot, che per quanto in gamba, proprio non andava giù al giovane tedesco. Kurz allora continuò il suo giro di pattuglia, incrociando intanto gli altri AS impegnati nella stessa attività. Nonostante la consapevolezza della posta in gioco, un senso di sicurezza cominciava a diffondersi tra gli uomini della sicurezza, anche se ovviamente nessuno di loro avrebbe abbassato la guardia perché sarebbe stato troppo prematuro. Il summit era cominciato da quasi mezz’ora e non era successo assolutamente nulla. **** La situazione sull’isola si faceva sempre più disperata. Ormai i puntini bianchi che simboleggiavano le forze di difesa erano stati quasi del tutto cancellati, e i Behemoth si avvicinavano lenti ma implacabili al loro obbiettivo. La tensione era palpabile, e le uniche buone notizie provenivano da Uruz 1. “Qui c’è un grande caos, ma siamo riusciti a far uscire dal edificio i responsabili del summit. Li stiamo trasferendo alla spiaggia X-3, in attesa di due elicotteri provenienti da una delle navi” comunicò il soldato della Mithril. L’addetto alla radio riferì le notizie, e allora un certo senso di speranza nacque nella plancia. Bastava che i mezzi per il rientro raggiungesse la spiaggia prima dei Behemoth, che certamente non si sarebbero limitati a distruggere l’edificio principale. Mentre i minuti trascorrevano con una lentezza quasi insopportabile, i Behemoth raggiunsero il quadrato bianco e quest’ultimo dopo pochi secondi scomparve, distrutto. I Behemoth rimasero fermi. E allora giunse la comunicazione che finalmente gli elicotteri erano giunti alla spiaggia e avevano cominciato rapidamente a raccogliere tutti i delegati. I Behemoth cominciarono a muoversi verso la spiaggia, ma data la loro lentezza non sarebbero mai arrivati in tempo. A quel tempo la speranza divenne sollievo. “Molto bene. Chiamate il quartier generale per sapere cosa fare adesso di quei bestioni” ordinò Teletha. Dopo pochi secondi giunse la comunicazione dal quartier generale di Sydney. “Ordinano di lanciare due missili a lunga gittata contro i nemici” disse l’operatore della radio. “Mi chiedo se sarà sufficiente” commentò Mardukas. “Gli ordini sono ordini. Ordinate ai soldati sopravvissuti di abbandonare l’isola e preparatevi per il lancio”. In quello stesso momento Clouzot comunicò che tutti i delegati avevano lasciato l’isola diretti verso una nave americana. E subito dopo iniziò la smobilitazione delle poche forze di difesa superstiti. “Ah, perfetto! Perfetto!” esclamò tutto contento Cameron, appena ricevuta la risposta affermativa del sottomarino per il lancio dei missili contro l’isola. Quegli stupidi del De Danaan erano caduti in pieno nella trappola, e ora avrebbero lanciato due missili contro la sede del summit, con quest’ultimo in pieno svolgimento, distruggendola e credendo di colpire degli inesistenti Behemoth. Ormai l’operazione Hunting era giunta al suo culmine, e tutta quella lunga preparazione, l’invio di false informazioni satellitari al De Danaan, i sintetizzatori vocali per simulare la voce del loro ufficiale sull’isola, Clouzot, e il totale isolamento radio dai suoi alleati in cui era stato avvolto, avrebbero finalmente dato i suoi frutti. E per la Mithril sarebbe stata la fine. “La traiettoria è stata stabilita. Non è rilevato alcun ostacolo lungo il tragitto. Obbiettivo individuato”. “Grazie all’apporto della marina statunitense, tutti i superstiti delle forze di difesa sono stati evacuati”. “Bene, prepararsi al lancio” disse infine Teletha. Sulla parte superiore del Tuatha De Danaan si aprirono due boccaporti blindati. E due grossi missili di colore bianco cominciarono lentamente ad affiorare. Nella plancia iniziò il conto alla rovescia. L’androide osservava impassibile i numeri che a partire da venti scendevano inesorabilmente. Ogni secondo corrispondeva ad un passo verso la fine della Mithril, cosi come volevano i suoi padroni. E ritenne che la fase principale della sua missione fosse ormai conclusa. Ma neppure gli androidi potevano permettersi di cantare vittoria troppo presto, come dimostrò una piccola e improvvisa esplosione nella sala macchina del Tuatha De Danaan, abbastanza potente da far tremare tutto lo scafo del gigante subacqueo. “Signore, ricevo qualcosa” disse uno degli uomini della Wilson. Pakula, che contemplava l’orizzonte sconfinato dell’oceano, si avvicinò: “Che cosa?” “Non ne sono sicuro, signore. Ho rilevato un leggero rombo, simile a quello di un esplosione”. “E dove?” “A circa otto chilometri ad est. Il punto di emissione è sott’acqua, ad almeno venti metri di profondità”. “Un sottomarino dunque”. “Sembra proprio di si”. Pakula trovò sospetta la cosa, in quella zona doveva esserci solo la Toy Box. Forse aveva avuto un incidente a bordo. Ordinò allora di usare la speciale frequenza criptata fornita dalla Mithril per comunicare col suo sottomarino. Dall’altra parte giunse la risposta, fornita opportunamente da Amalgam, che a bordo del De Danaan c’era stato un incidente.. Pakula rifletté sulle varie possibilità, infine ordinò di passare dallo stato di allerta di secondo grado a quello di primo grado. Si fidava della Toy Box, ma non degli incidenti che avvenivano durante le operazioni delicate. E se c’era una cosa che l’esperienza gli aveva insegnato, era che in qualunque situazione non bisognava mai farsi trovare impreparati.
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Capitolo 5
*** 5° Capitolo ***
5° CAPITOLO “Cos’è stata quell’esplosione?” chiese perplessa Teletha. “Sembra che ci sia stato un’incidente in sala macchina” riferì uno degli operatori. “Ci sono vittime?” domandò Mardukas. “Sembra di no, signore, ma le informazioni che arrivano dalla sala macchine sono molto confuse. C’è un grande caos lì dentro”. Mardukas si rivolse al suo superiore. “Che facciamo colonnello?” “Signore, sembra ci sia un problema sul De Danaan?” Cameron saltò sulla sedia: “Che cosa?” “Il nostro androide ci riferisce di un esplosione di tipo sconosciuto nella sala macchine. Stanno ancora valutando i danni. Anche il Wilson l’ha captata, ha chiesto informazioni e i nostri si sono fatti passare per il De Danaan e hanno spiegato che è stato un incidente. Ora però il droide ci chiede come deve comportarsi. Deve proseguire col lancio o andare a stimare i danni?” Le scelte erano solo due, ma Cameron sapeva che dovevano essere valutate con attenzione: se proseguivano col lancio dei missili, avrebbero scatenato una reazione a catena che sarebbe culminata con la distruzione della Mithril, coronando cosi col successo l’operazione Hunting. Però tutti sapevano che il colonnello Teletha Testarossa teneva moltissimo al suo equipaggio e alla sua nave, e sarebbe sembrato sospetto un suo totale disinteresse per quella misteriosa esplosione. E il piano prevedeva che dopo il lancio dei missili, il loro androide guidasse il De Danaan con gli strumenti parzialmente accecati, proprio sotto il Wilson, testimone del lancio dei missili, in modo che venisse affondato dal cacciatorpediniere americano, cancellando cosi ogni traccia della manomissione operata da Amalgam. Per questo era necessario che la copertura dell’androide restasse integra fino all’ultimo. Se solo quella misteriosa esplosione fosse avvenuta prima della falsa evacuazione dall’isola, con il colonnello costretto dal falso attacco a restare al suo posto, o dopo il lancio dei missili quando ormai il più era fatto. Invece adesso, con i delegati ritenuti ormai al sicuro, e i Behemoth che non erano certo in grado di defilarsi alla chetichella, sarebbe stato del tutto normale che il colonnello si prendesse qualche minuto per visionare di persona i danni alla sua nave e al suo prezioso equipaggio. Quindi, a malincuore, Cameron prese la sua decisione. “Sospendere il lancio dei missili. Mandare squadre di emergenza sul posto” ordinò Teletha. Che si alzò dalla sua poltrona. “Mardukas, a lei il comando”. L’androide si recò con passo veloce verso la sala macchine. Nella enorme sala contente il cuore energetico del De Danaan, era tutto un muoversi di uomini che gridavano ordini e indicazioni. L’aria era piena di fumo bianco, e due uomini muniti di estintori spegnevano alcune fiamme intorno ad un condotto sventrato completamente. A dirigere con mano sicura quel via vai di uomini, il maggiore Andrei Kalinin. Che vide arrivare insieme alla squadre di soccorso munite di barelle, il colonnello Testarossa. “Colonnello, sono qui” la chiamò il russo. “Maggiore Kalinin, qual è la situazione?” chiese Teletha avvicinandosi. “Stiamo ancora contando i danni, colonnello. Comunque non sembra essere nulla di grave. E’esploso uno dei condotti secondari per lo scarico di vapore delle turbine di riserva”. “Be, buono a sapersi. Quello è un sistema accessorio, serve solo quando ci sono problemi alla turbina principale. Ci sono feriti”. “Nessuno, solo alcuni uomini con qualche graffio”. “Molto bene. E le cause dell’esplosione?” “Le stiamo ancora valutando”. Spente le fiamme, alcuni ingegneri cominciarono ad esaminare il condotto squarciato. Ed esaminando la posizione delle lamiera contorte e la forma della macchia nera lasciata dall’esplosione, notarono subito qualcosa di strano. “Maggiore Kalinin, guardi qui”. Kalinin si avvicinò e guardò il punto indicato dagli ingegneri. Si accorse subito di quello che avevano notato. “L’esplosione è partita dall’esterno” commentò il russo. “Esatto, come se dietro il condotto ci fosse stato un piccolo ordigno. Però è strano, se è stato un atto di sabotaggio, è servito a ben poco. Questo condotto riguarda un sistema non vitale. E poi quell’ordigno non doveva neppure essere molto potente, in fondo ha fatto più rumore che altro”. Kalinin toccò uno dei bordi lacerati con le dita, e le annusò. “Questo è odore di esplosivo infatti. Ordini a tutti di stare lontani da congegni e angoli nascosti, in attesa degli artificieri. Penseranno loro a rovistare la sala macchine in cerca di altri ordigni. Io Informo il colonnello” disse Kalinin. Mentre l’ingegnere comunicava l’ordine del maggiore, quest’ultimo si strofinò le dita sull’altro polsino per pulirsele. E a quel punto, sulla parte superiore del condotto ci fu una seconda esplosione, non molto forte, più fumo e rumore che altro, che diede il colpo di grazia al condotto già provato facendolo cadere. “ATTENTI!” gridò qualcuno. E Kalinin prontamente si gettò su Teletha per spingerla a terra. Il breve momento di caso provocò un nuovo via vai agitato di uomini nella sala macchine, invaso da altro fumo. “Sta bene, colonnello?” domandò Kalinin rialzandosi e aiutando Teletha a rimettersi in piedi. “Si, sto bene. Accidenti, vorrei tanto sapere chi ha provocato tutto questo”. “Anche io. Sarà meglio sospendere qualunque attività, fino a quando tutti i settori chiave del sottomarino non saranno stati controllati. Ah, colonnello, si è ferito”. Kalinin notò che c’era un taglio verticale nella camicia di Teletha, nella zona dell’avambraccio destro. “Oh si. Sarà stata una piccola scheggia, vado subito a cambiarmi” rispose Teletha coprendo lo strappo con l’altra mano. “Un momento, potrebbe anche essere ferita, mi faccia vedere. Con le schegge non si scherza”. “Non è necessario” ribatté il colonnello. “La scheggia potrebbe aver reciso in maniera sottile e impercettibile dei vasi sanguigni”. “Allora andrò in infermeria”. “Certo, ma io ho una certa esperienza per ferite di questo tipo, potrei…” “Per favore, maggiore Kalinin, lei mi sta facendo perdere tempo. Ora andrò subito in infermeria” concluse seccamente Teletha. “Va bene, colonnello, ma…” Kalinin fissò come ipnotizzato la mano di Teletha che copriva il taglio, perché da sotto stava sgorgando con la stessa fluidità del sangue un liquido… bianco! Kalinin e Teletha si guardarono mutamente per un istante. E un attimo dopo Teletha colpì con un calcio allo stomaco Kalinin facendolo volare all’indietro per alcuni metri. Colti di sorpresa, gli uomini lì presenti si girarono e fecero giusto in tempo a vedere il colonnello correre via per il corridoio. Soccorsero subito Kalinin, che si rialzò da solo ed estrasse la pistola. “Non so cosa stia succedendo, ma quello non è il colonnello Testarossa!” “Ma… maggiore…c-che dice?” mormorò uno degli ingegneri. “Ha il sangue bianco! Non so cosa sia, ma credo sia meglio fermarla subito. Ordini l’allarme rosso, isoli tutte le sezioni chiave. Voglio squadre di sorveglianze a presidiarle e comunichi a tutti di armarsi. Se vedono il colonnello Testarossa, devo spararle subito, perché è solo un impostore” ordinò categorico Kalinin andando dietro al nemico. L’ingegnere era riluttante, poi vide sul pavimento una piccola chiazza bianca, proprio dove stava il colonnello. Che era scappato come fa un colpevole smascherato. E poi il colpo che aveva dato al maggiore: da quando in qua il colonnello Testarossa era cosi forte? Allora fece subito come aveva detto Kalinin. Le sirene dell’allarme risuonarono per tutto il De Danaan. “Che succede?” chiese prontamente Mardukas. “E’ un allarme di tipo I, proveniente dalla sala macchina” gli risposero. “Che cosa? Ma un allarme di quel tipo significa che c’è una minaccia interna. Cosa può essere?” L’operatore chiese delucidazioni. E un attimo dopo impallidì. “S-signore…. Il maggiore Kalinin sta dando la caccia al colonnello Testarossa… sostiene che è un impostore..” Tutti nella plancia si guardarono ammutoliti e increduli. “Che sciocchezze stanno dicendo?” replicò Mardukas perplesso. “Dicono… dicono che una scheggia ha ferito il colonnello al braccio, e da questa ferita è uscito del sangue… bianco! Il maggiore Kalinin se ne è accorto, il colonnello l’ha colpito mostrando una forza per lei spropositata ed è poi scappata! Il maggiore ha ordinato di isolare tutte le sezioni chiave, di farle sorvegliare e di armare l’equipaggio per fermare l’impostore”. Nessuno sapeva cosa dire. Neppure Mardukas. Che alla fine sospirò: “Spero tanto di non dovermene pentire”. Ordinò di eseguire gli ordini di Kalinin, specificando però di sparare solo se veramente necessario, e non alle parti vitali. Tutte le paratie blindate si chiusero in contemporanea sigillando l’accesso a tutte le zone più importanti, come la plancia, l’hangar e la santabarbara. La maggior parte dei corridoi comunque erano ancora agibili, per permettere alle squadre di sorveglianza di muoversi. Kalinin, con passo veloce e sicuro, correva tra questi corridoi, fermandosi ad ogni angolo e controllando con la pistola. Dell’impostore però nessuna traccia. I corridoi erano deserti, giusto ogni tanto incontrava qualcuno, anch’esso armato, che gli chiedeva se veramente era il colonnello Testarossa che dovevano stanare. Kalinin si limitava ad annuire e proseguiva la sua corsa. Alla fine giunse al corridoio che conduceva alla plancia. Il corridoio era chiuso, e sorvegliato da ben otto uomini armati di mitra. “Maggiore Kalinin, ma che sta succedendo?” gli domandò uno dei soldati. “Non c’è tempo per le spiegazioni. Qui tutto a posto?” “Sissignore. Lei è il primo che incontriamo qui da quando è scattato l’allarme”. Kalinin si avvicinò al citofono di un telefono interno. “Qui è il maggiore Kalinin. Tutto a posto nell’hangar?” “Si, signore, tutto a posto”. Kalinin ripeté la chiamata a tutte le zone importanti del sottomarino, ed era tutto in ordine. Da lì l’impostore non sarebbe mai passato. Ma se la sua destinazione fosse stata un’altra? Cameron stava nuovamente esibendo la sua conoscenza del vocabolario esclusivo dei marines. Gli era appena stato comunicato che il loro androide era stato smascherato, e che ora tutto il De Danaan gli stava dando la caccia. Passato il momento peggiore della sfuriata, Cameron, ancora rosso in viso per la rabbia, tornò a sedere. Cercò di calmarsi, pensando al fatto che Mr. Silver aveva elaborato quel piano pensando a qualunque evenienza. Quindi anche a come fare nel caso il falso colonnello venisse scoperto prima del previsto. “Scatta il piano B. E ordinate all’angelo della guerra di tenersi pronta ad intervenire subito dopo”. Due uomini dell’equipaggio, armati di mitra, stavano passando in quel momento davanti all’ufficio del colonnello Testarossa. Anche loro increduli come gli altri, non riuscivano a credere che la ragazza coraggiosa e responsabile che spesso lavorava fino a tardi lì dentro, fosse diventato un nemico. “Ma tu ci credi?” domandò uno dei due all’altro. “Non ci crederei neppure se lo vedessi, ma se gli ordini sono questi…” “Meno male che non dobbiamo sparare per uccidere, perché uccidere il colonnello Testarossa mi sarebbe impossibile.” “Anche per me”. Proseguirono lungo il corridoio fino a svoltare all’angolo. Improvvisamente uno dei due ebbe un sussulto e uno sbocco di sangue. E l’altro con orrore si accorse che una mano da dietro aveva passato da parte a parte il petto del suo amico, che si accasciò al suolo inerte. L’altro scattò in avanti ed incespicò cadendo a terra. Il suo orrore aumentò quando vide l’assassino: il colonnello Testarossa. La ragazza lo fissava in un modo davvero anomalo per la sua inespressività. Il braccio sinistro era impregnato dal sangue fresco della sua vittima. “Oh mio Dio! Oh mio Dio!” ripeté il soldato. Che prese l’arma e sparò alcuni colpi, mirando alle gambe. Il colonnello incassò quei colpi senza battere ciglio nei polpacci e nelle ginocchia. E dalle ferite sgorgò del sangue bianco. “Ma…. Ma non è umana!!!” esclamò allora l’uomo sparando all’impazzata. Altre ferite si aprirono sul torace di Teletha, altro sangue bianco sprizzò e niente più. A quel punto l’androide balzò sull’uomo e con un calcio al collo glielo spezzò di netto, mandando poi il corpo a sbattere violentemente contro la parete. Lasciando dietro di se una scia bianca, l’androide si recò nel suo ufficio, entrò e si diresse alla cassaforte. Compose la combinazione e tirò fuori il suo computer portatile, posandolo sulla scrivania. Compose un codice e fece per premere il pulsante di invio. Quando alcune raffiche di mitragliatrice si abbatterono sull’androide, che rapidamente fece cadere il computer a terra. Altre raffiche di mitra colpirono l’androide, che cercò di reagire saltando sulla scrivania per balzare addosso al nemico, ma il suo assalitore, dopo averla crivellata al petto, passò alla testa. Un infinità di buchi si aprirono nella testa dell’androide, facendo sprizzare ovunque sangue bianco. I colpi risuonarono incessanti nella stanza, finché il falso colonnello non stramazzò davanti al suo nemico. Il maggiore Kalinin. Il russo aveva capito che, siccome l’impostore non si faceva vedere in nessun punto chiave, allora doveva avere un qualche asso nella manica. E dopo la plancia il luogo più frequentato dal colonnello era il suo ufficio. Kalinin esaminò cosa era rimasto dell’essere: il corpo era ancora grosso modo intatto, ma il viso era un macello: inondato da quel liquido bianco e pieno di buchi. Impossibile pensare che fino a poco prima quel ammasso devastato aveva le delicate fattezze di Teletha Testarossa. Per sicurezza l’ufficiale russo prese la sua pistola e rifilò all’impostore altri tre colpi in testa. Kalinin poi recuperò il portatile, guardandosi bene dal premere qualche tasto. Uscì dall’ufficio raggiungendo un altro citofono interno. “Qui Kalinin al ponte di comando, ho neutralizzato il nemico. Mandate subito un tecnico informatico e due barelle, ci sono due vittime purtroppo”. Improvvisamente un rumore lo fece voltare. E una mano bianca lo spinse violentemente indietro. Un’altra gli sottrasse il portatile. “Maledizione!” imprecò in russo Kalinin. L’androide si era rimesso in piedi! E tra le ciocche di capelli argentei, su quel viso devastato, si vedeva un occhio che si muoveva ancora! L’androide era consapevole della sua incredibile resistenza e che le pallottole non potevano distruggerlo completamente, quindi aveva buttato a terra il portatile per impedire che venisse distrutto, in attesa di un momento adatto. Kalinin prese la sua pistola, mirando però al portatile. Il grilletto e il pulsante di invio vennero premuti contemporaneamente. Pakula stava ancora controllando il mare davanti a se. Dopo quella misteriosa esplosione, non era accaduto più niente. E forse si era trattato davvero di un semplice incidente. Quando improvvisamente qualcosa eruppe dal mare a circa otto chilometri di distanza dal Wilson. Sobbalzando Wilson scrutò col binocolo quel qualcosa che era uscito dal mare e ora puntava verso il cielo. “Oh…. Santo cielo…” mormorò sbiancando. Erano due missili.
Continua…
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