I Fiori del Male di RedLolly (/viewuser.php?uid=3654)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Il profumo e le tenebre ***
Capitolo 2: *** II - La fontana di sangue ***
Capitolo 3: *** III - Litanie ***
Capitolo 4: *** IV - Affamato e amorevole ***
Capitolo 1 *** I - Il profumo e le tenebre ***
Salve
a tutti.
Erano
davvero tanti anni che non scrivevo più su questo anime/manga.
Improvvisamente, in questo periodo decisamente buio per me (sono
stata colpita da un grave lutto che non è il caso di specificare)per
tirarmi su di morale ho deciso di riguardarmi qualche “vecchia
gloria”, anime che mi erano piaciuti tantissimo e che era da tempo
che non consideravo più, ed ecco che tra tutti è spiccato
Kuroshitsuji. Non chiedetemi il perché, mi è tornata la voglia di
scriverci qualcosa sopra, come distrazione in queste brutte giornate,
e la scrittura è davvero una panacea.
Ho
deciso quindi di intraprendere quella che è a tutti gli effetti una
raccolta di racconti indipendenti l’uno dall’altro, incentrati
sul rapporto tra Ciel e Sebastian, rapporto che per me ha un fascino
non indifferente, il tutto legato dal filo conduttore delle poesie
prese dalla raccolta Les
Fleurs du Mal di
Charles Baudelaire, il mio scrittore preferito
(https://it.wikipedia.org/wiki/Charles_Baudelaire).
Nello specifico la traduzione che ho utilizzato è quella di Claudio
Rendina con testo a fronte edita da Newton Classici.
A
mio avviso le liriche ottocentesche del poeta maledetto, per il loro
linguaggio aulico e per i temi che trattano (decadenza, misticismo,
morte, sofferenza, piacere fisico, ecc…) si adattano bene ad un
contesto come quello dell’opera di Yana Toboso, e offrono punti di
vista e riflessioni a mio avviso congeniali.
Fatemi
sapere cosa ne pensate, le recensioni ovviamente mi sono sempre molto
gradite, nonostante sia un piccolo lavoro che sto intraprendendo
principalmente per me stessa.
Un
abbraccio!
Lolly
PS:
Ovviamente i personaggi di Kuroshitsuji non mi appartengono, ma sono
di proprietà di Yana Toboso.
I
Fiori del Male
I
– Il profumo e le tenenbre
XXXVIII
Un fantasma
II.
Il
profumo
Lettore
di’, hai respirato mai
con
ebbrezza ed ingordigia lenta
l’incenso
che riempie una chiesa a nembi
o
il muschio invecchiato di un sacchetto?
Che
incanto magico e profondo! Come ci inebria
il
passato restaurato nel presente!
Così
l’amante su un adorato corpo
coglie
il fiore squisito del ricordo.
Che
selvaggio e fulvo odore
saliva
dai capelli elastici e pesanti,
sacchetto
vivo, incensiere dell’alcova!
E
che profumo di pelliccia
sprigionava
la veste di mussola o velluto,
impregnata
di pura giovinezza!
La
candela sul comodino è ormai spenta da ore. La cera, colata giù per
lo stelo del candelabro, è diventata un solido fiume biancastro,
fermo ed immutabile. I raggi del sole che filtrano timidi tra i
drappeggi dei pesanti tendaggi damascati permettono agli occhi ancora
semichiusi ed assonnati del padrone di casa di vedere piuttosto
chiaramente le piccole gocce tondeggianti e traslucide che sporcano
il comodino verso cui è rivolto, un comodino in stile veneziano che
aveva acquistato tempo prima ed era stato portato alla magione
direttamente dall’Italia.
E’
pericoloso tenere le candele accese mentre si dorme.
Sotto
le lenzuola il giovane conte sposta appena un braccio - braccio che
mai ha conosciuto fatica - in un impellente impeto di fastidio nel
vedere quella sostanza imbrattare le
sue proprietà,
eppure poco dopo desiste, lasciando ricadere mollemente la mano
pallida e dalle dita curate sul materasso. Sposta la gamba destra,
muove appena la sinistra, cerca una posizione più comoda nel suo
grande e morbido talamo. Il lobo di un orecchio gli duole in modo
fastidioso, probabilmente si è piegato mentre dormiva con la testa
appoggiata di lato sul cuscino. Le sue labbra sottili sono secche a
causa dei lunghi respiri durante il sonno notturno popolato da sogni
così vividi da sembrare reali e che al momento si rifiuta di
ripercorrere. Nel contempo una stilla di bava ha lasciato una ben
percepibile linea umida all’angolo sinistro della bocca e sul
mento.
Ovviamente
Ciel Phantomhive non avverte alcun bisogno di alzarsi dal letto prima
dell’arrivo del suo maggiordomo con la colazione, nonostante sia
sveglio. Non sa che ore siano, e da una parte poco gli importa, anche
se la situazione in sé gli provoca un profondo senso di irritazione:
dovrà stare dentro il proprio letto aspettando l’arrivo puntuale
del maggiordomo con un carrellino stracolmo di prelibatezze che
assaggerà appena e che irrimediabilmente finiranno nei rifiuti... E
Sebastian sarà lì, con quel suo sorriso strafottente stampato sul
volto, all’apparenza uguale a quello che rivolge ogni mattina,
quando Ciel sa già che ci sarà qualcosa di diverso, ne è sicuro.
Lui
ne sentirà l’odore. Magari lo ha già fiutato dal piano di sotto,
non mi stupirei, ne è sicuramente capace. E farà finta di nulla,
per poi lanciarmi una stoccata. Lo so come agisce, si prenderà gioco
di me... E me lo farà capire.
Ciel
Phantomhive odia sentirsi debole davanti a lui. Non che a livello
pratico questo possa influire direttamente sull’esito
della partita
del gioco che hanno intrapreso insieme, ma da giocatore esperto qual
è Ciel sa che ciò che gli è capitato non farà altro che suscitare
una feroce ilarità nei suoi confronti da parte del suo sottoposto.
Non
ha idea in realtà del perché sia successa una cosa del genere,
tanto imbarazzante, senza senso. Ha avuto paura la sera prima, e
forse è partito tutto da lì, da quel maledetto candelabro che ha
preferito tenere acceso.
Proprio
come un bambino, un moccioso piagnucoloso, quando gli incubi ormai
dovrebbero essere dei fedeli fratelli per me. Sangue vischioso, denti
che stridono, odore dolciastro della carne che sfrigola e brucia le
narici, ossa che si frantumano schioccando. Le ossa quando si
spezzano fanno un suono così caratteristico… Sono trascorsi anni,
eppure i ricordi mi strozzano ancora la gola e mi provocano il
vomito.
I
minuti passano, la camera è avvolta in un silenzio ovattato. Ciel
non osa muovere più un muscolo e poco importa della camicia da notte
che avverte arrotolata fin sopra l’ombelico: è un blando tentativo
di non propagare troppo le molecole odorose del misfatto notturno.
Prova ad ascoltare i rumori oltre la parete, concentrandosi nel
contempo per controllare il proprio diaframma che si alza e si
abbassa al ritmo di una respirazione fin troppo accelerata. Non un
suono, ma il conte decide di chiudere gli occhi e di fingersi
addormentato. Le sue palpebre rimangono serrate anche quando avverte
la porta della camera da letto cigolare nell’aprirsi e le ruote di
un carrellino far scricchiolare il parquet di legno intarsiato. Pochi
interminabili secondi e una lama di luce ferisce il suo viso,
dandogli modo di improvvisare un risveglio con una capacità
recitativa degna di un étoile
del Theatre Royal Drury Lane che avrebbe probabilmente persuaso
chiunque, all’infuori di una creatura come Sebastian Michaelis. La
sua performance è perfetta: finge di essere infastidito, si copre
gli occhi collosi prima di stropicciarseli con vigore, stiracchia le
gambe snelle accompagnando il tutto con dei convincenti mugolii
stizziti, e rimane infine sdraiato tra le lenzuola in sangallo senza
accennare minimamente a sedersi, con le braccia conserte e le labbra
increspate, nel tentativo di mettere in scena un semplice capriccio
dettato dal malumore volubile di un ragazzino arrogante e viziato.
Gli
basta una sola occhiata rivolta al maggiordomo per notare
immediatamente il suo sorriso subdolo lievemente più largo del
solito, prova inconfutabile della vanità dei suoi sforzi.
Lo
sa già. Ha sentito il mio odore da chissà quanto. Non che io abbia
davvero sperato di ingannare l’olfatto del diavolo…
“Ben
svegliato, signorino. Avete passato una buona nottata?”
Sebastian
ha una voce calda, avvolgente, melliflua. A Ciel ricorda quelle
strane piante carnivore che si possono osservare al padiglione
coloniale del Kay Garden, quelle che sembrano dei grossi flauti e che
sono ricoperte da una sostanza oleosa e dolce che attira e nello
stesso tempo invischia mortalmente i malcapitati moscerini. Del resto
anche il demone è un predatore, e la sua voce è un esca per le sue
prede.
“Non
ho dormito per niente bene. – ribatte Ciel seccamente – La luce
non è servita a tranquillizzarmi e ho fatto fatica a prendere
sonno.”
“Almeno
posso essere lieto di constatare che nonostante abbiate insistito per
questo candelabro accesso il palazzo non sia andato a fuoco. Sarebbe
stata una circostanza parecchio problematica.”
“Tanto
mi avresti salvato comunque.”
“Senza
alcun dubbio. Ma poi avrei dovuto nuovamente rimediare in poco tempo
ai danni di un incendio… Suvvia, alla fine l’importante è che il
vostro piccolo capriccio non abbia avuto conseguenze. Ora potreste
gentilmente sedervi così vi servo la colazione? Non è il caso di
far raffreddare questi pancakes
allo sciroppo d’acero, o vi causeranno una gastrite come quella di
qualche mese fa… Vi toccherà di nuovo mangiare per una settimana
solo petto di quaglia bollito e purée di patate, non devo certo
ricordarvi io che siete molto delicato di stomaco…”
“Non
ho fame questa mattina, mangerò più tardi. Adesso va’, e porta
via tutta questa roba.”
Patetico.
“E
perché mai dovrei andarmene? – il sorriso di Sebastian diventa
ancora più ampio – Devo ancora vestirla… Avete per caso qualcosa
da nascondere?”
Si
sta divertendo, è ovvio! Vuole vedere la stizza sul viso del suo
padrone, vuole bearsi delle sue guance eburnee chiazzate di rosso! Il
demone ama sbilanciare in quel modo l’ago della bilancia del loro
delicato equilibrio, ma Ciel non ha intenzione di arrendersi così
facilmente. E’ il suo turno di controbattere.
“Ho
solo bisogno ancora di riposare.” Si difende con voce noncurante.
“Questo
non è possibile. Alle nove arriva il precettore per la lezione di
francese, alle undici e mezza dovete pranzare con lord Stroller
della Stroller Ceylon Tea Company, il quale è tornato due giorni fa
dalle piantagioni di Kandy e non sarebbe cortese farlo aspettare dopo
questo lungo viaggio…”
“Dimmi,
Sebastian… - Ciel scandisce con lentezza le sue parole velenose -
Sei diventato improvvisamente sordo oppure stupido? Non ho detto di
voler rimandare i miei impegni, ho solo bisogno di alzarmi
leggermente più tardi del solito. La tua sgradevole insistenza mi
sta irritando, sparisci dalla...”
“A
meno che… - la voce tremendamente leziosa del demone lo interrompe
bruscamente.
Come
fa a muoversi sempre così velocemente?
Il
suo viso è chinato in avanti tanto che i loro nasi arrivano a
sfiorarsi e Ciel può avvertire l’aroma innaturale della sua pelle
far vacillare i suoi sensi.
“A
meno che questa non sia stata davvero una notte tumultuosa, e che il
pervertito signorino qui davanti a me non abbia concepito qualche
pensiero impuro riversando i propri
vergognosi
cianfrugli su
queste belle lenzuola e sul proprio ventre… Ho indovinato di cosa
si tratta?”
Lo
schiaffo è rapido e sonoro. Dopo essersi seduto di scatto, la mano
vellutata e curata del giovane lord lo colpisce fulminea e senza
preavviso, pur essendo perfettamente conscio che il demone non può
provare dolore per la violenza misera di quel palmo e quelle lunghe
dita cesellate. Se solo avesse voluto lo avrebbe evitato senza
sforzi, avrebbe potuto afferrare al volo e stritolare quella nobile
manina insolente, eppure lui rimane immobile, senza mutare
minimamente l’espressione divertita.
La
rivoltante e falsa ironia di Sebastian a volte lo disgusta. Questa
volta il demone ce l’ha fatta, le sue gote sono bollenti e rubizze,
le sue braccia scarne si trattengono a stento dal fremere di rabbia
schiumante.
“Non
prenderti gioco di me! Sono io il tuo padrone, sono il conte di
Phantomhive! Tu mi devi obbedire, sei un servo per me! Il contratto è
chiaro! Non osare! Non osare!”
Ciel,
si accorge della propria voce così dannatamente stridula, mentre il
servitore non si scompone e continua a sorridere, con
quell’espressione falsamente innocente che il ragazzo vorrebbe
strappare via ad unghiate dalla sua faccia.
Può
fiutare l’odore della mia polluzione, figurarsi della mia paura…
“Povero,
povero me… Oggi vi siete svegliato con la luna storta, vero? Non è
successo nulla di terribile, suvvia, non agitatevi in questo modo…”
“Tu…
Tu…”
Il
conte non riesce nemmeno a terminare la frase patetica che sta
balbettando che una mano guantata si posa sul suo palmo ancora
aperto. E’ gelida come il ghiaccio di dicembre sotto il pregiato
tessuto. Gli occhi cremisi del diavolo percorrono le righe rossastre
che il cuscino ha lasciato sulla pelle delicata delle sue gote
durante il sonno.
“Ma
guardatevi, siete sconvolto! Lo trovate qualcosa di cui vergognarvi?
Eppure scommetto che non ve ne siete neanche accorto. Posso quasi
immaginarlo: è successo nel dormiveglia, la candele del candelabro
erano quasi del tutto consumate… Vi rigiravate nel letto lacerato
dal tormento, e poi avete ceduto, spossato… Siete rimasto immobile,
con gli occhi chiusi. Ad un certo punto vi siete irrigidito e avete
ansimato sottovoce... ”
Mi
ha visto… Lui era lì, veglia sempre su di me…
Le
dita dell’altra mano sono posate sulla sua guancia. Si muovono con
lentezza calcolata fino alla labbra appena schiuse. Accarezza
lentamente il labbro inferiore ancora un poco screpolato,
provocandogli un lieve fastidio, mentre soffia nel suo orecchio
parole languide, ipnotiche e spaventose.
“Il
profumo dei vostri fluidi è innegabile. Lo sento sul vostro
bassoventre, sulle lenzuola e sul materasso ove è colato, un poco
sulla vostra mano destra, ma credo che sia solo perché avete tentato
di pulirvi: siete così maldestro!”
Sebastian
inspira profondamente, interrompendosi, assaporando quel profumo che
Ciel non può sentire, ma che per lui deve essere inebriante.
“No,
non credo che vi siate dato piacere volontariamente… Qualche
sensuale fantasia si è impossessata di voi e non siete riuscito a
contrastarla, indebolito com’eravate dal sonno. Vi siete lasciato
tentare dall’immagine di qualche pezzo di carne nudo e umido,
traboccante d’estasi oppure supplicante di dolore. Non mi stupirei
se la sofferenza altrui fosse per voi fonte di appagamento carnale,
dopo quello che vi è stato fatto e i traumi che avete subito. Chissà
su chi poteva essere… Sulla vostra promessa sposa? Essendo però
il vostro fidanzamento con lady Elisabeth una questione di accordi
tra famiglie nobili e non un sentimento di affetto sincero, non so se
abbia potuto stuzzicarvi, molto probabilmente no… Magari non era
una donna, ma un uomo… O forse non era su nessuno in particolare,
non avete cercato il piacere, ed è stato lui a venire da voi… La
cosa ha ben poca rilevanza. Comunque lasciate che vi dica una cosa…
Non c’è niente di più naturale ed umano
di quello che vi è capitato. State diventando un adulto ormai, avete
iniziato a lasciarvi la fanciullezza alle spalle. Con me non dovete
vergognarvi e nascondere la dissolutezza, io non faccio parte di
questa bizzarra società che condanna i peccatori morali tacciando la
naturale ricerca del piacere fisico come atto osceno, e che nel
frattempo permette a migliaia di bambini di morire di stenti nelle
fabbriche e nelle miniere di carbone… Non temete, signorino… Io
sarò sempre al vostro fianco per soddisfare le vostre richieste,
rimango sempre sinceramente affascinato dai vostri comportamenti e il
mio interesse per voi non calerà mai, anzi. La mia fame è un
supplizio che un essere umano non riuscirebbe nemmeno a concepire, e
se solo poteste avvertire quanto mi sta dilaniando non avreste dubbi
sulle mie intenzioni. Il contratto è sempre valido, e il momento
della sua conclusione è sempre più vicino ogni giorno che passa. Io
fremo
alla sola idea di nutrirmi con la vostra anima pura e nello stesso
tempo così depravata.
Non dimenticatelo mai.”
Mentre
parla Sebastian non interrompe le sue carezze letali e velenose. Il
suo padrone non accenna a nessun movimento finché il suo discorso
non termina. Un'altra persona sarebbe rimasta ammaliata dalle
suadenti parole del demone, ma non il conte di Phantonhive. Egli
distoglie lo sguardo, puntando le iridi, quella marchiata dal
contratto demoniaco e quella sana, di un blu intenso, prima verso il
basso e poi pigramente verso destra. Non risponde, le sue labbra
rimangono schiuse ma mute, premute appena dalle dita del maggiordomo.
La mano che fino a quel momento è rimasta libera si accosta al petto
di quest’ultimo per spingerlo leggermente, e Sebastian non oppone
nessuna resistenza. Il demone indietreggia di qualche passo
osservandolo, mentre Ciel si sente finalmente privo di qualsiasi
barriera di compostezza morigerata. Ormai sarebbe oltremodo ridicolo
continuare quella farsa, nascondersi dietro al senso del pudore
imposto dalla rigida società in cui muove le sue pedine. Lì, in
quel momento, davanti al suo più fedele alleato e nello stesso tempo
crudele carnefice, non ha senso nascondersi.
Solleva
lentamente le lenzuola, i suoi piedi scorrono sul materasso fino a
ciondolare sul bordo, infine si alza. Si sbottona la camicia da notte
facendo passare i bottoni fuori dalle asole e lascia scivolare
l’indumento a terra. Il conte ha un corpo gracile, di un pallore
nobile ed uniforme. Si intravedono le linee del costato sotto la
pelle sottile e delicata, le creste iliache che sporgono dai suoi
fianchi, le rotule spigolose. Degli umori colati sul suo scarno
bassoventre e sull’inguine in pieno sviluppo adolescenziale non c’è
quasi più traccia alla vista, se non una lieve patina appiccicosa.
Per il fine naso del suo servitore tuttavia, il suo odore deve essere
ancora più forte, quasi di un’irresistibile densità propria. Non
si muove, ma il conte lo conosce abbastanza bene da comprenderne la
brama.
Il
suo viso si acciglia in un’espressione d’intensa fierezza, perché
no, Ciel Phantomhive non ha davvero più intenzione di piegarsi e di
nascondersi sotto l’ala della falsa virtù, non è da lui, anche se
è perfettamente coscio di cosa significhi lo sguardo con cui il
demone lo sta scrutando, divorandolo
con quegli occhi profondi e maliziosi, che paiono cambiare colore.
Eppure non alzerebbe mai un dito contro di lui, Sebastian è troppo
controllato, troppo paziente e leale. Non rovinerebbe mai quella
lunga attesa prima dello scadere del termine del contratto.
Ti
pregusti il banchetto, diavolo? Sfortunatamente dovrai aspettare.
“Preparami
un bagno.- ordina freddamente – Poi farò una colazione leggera
prima dell’arrivo del precettore. Mangerò qualcosa di più
sostanzioso con lord Stroller come è previsto per oggi.”
“Saggia
decisione, signorino.”
“Non
ho chiesto il tuo parere. Forza, scalda dell’acqua, e porta in
lavanderia le lenzuola, lavale personalmente se Meirin non è in
grado di fare un buon lavoro: l’odore che senti su di me deve
sparire. Non voglio correre il rischio che tu sia distratto.”
I.
Le
tenebre
Nelle
cave d’insondabile tristezza
dove
il Destino già m’ha relegato,
dove
mai entra raggio roseo e gaio,
dove
solo con quell’ospite rude che è la Notte
sono
come un pittore condannato
da
un beffardo Dio a dipingere sulle tenebre,
dove,
cuoco di funebri appetiti,
faccio
bollire e mangio questo cuore,
a
tratti brilla, s’allunga e si distende
uno
spettro fatto di grazia e splendore.
Ma
quando assume la sua massima estensione,
con
quell’orientale e sognante andatura,
allora
si che riconosco chi mi viene incontro:
è
Lei, la mia bella, nera ma sempre luminosa!
Sebastian
Michaelis strofina la pelle del suo padrone.
Afferra
un braccio, lo alza, non sente resistenza da parte di quel corpo. E’
una bambola inerte che si gode le attenzioni del proprio fidato
burattinaio. Friziona con la spugna pregiata l’ascella e il torso,
sfrega finché quella pelle di ceramica non si arrossa appena. Il
signorino ha la pelle delicata, c’è una malcelata smorfia di
insofferenza sul suo volto capriccioso.
Le
sue vertebre spigolose sono piccole colline, le costole sporgenti
sono segnate dal marchio del Peccato, così allettanti. Il tempo in
cui potrà strappare via l’anima da quel giovane e fragile virgulto
è sempre più vicino.
Un
anima nera così spietata e incontaminata imprigionata in un corpo
tanto insignificante, le cui ossa si potrebbero spezzare come
fuscelli, che soccomberebbe in poco tempo se fosse colpito da una
polmonite o una dissenteria… Una mano sola basterebbe per
squarciargli il ventre e i suoi visceri immondi galleggerebbero
tingendo di rosso l’acqua della vasca…
Il
profumo squisito del peccato notturno di Ciel Phantomhive è talmente
inebriante da soffocarlo internamente. La fame lo divora, ma deve
aspettare. Il sangue, oltretutto guasterebbe senza dubbio quella
fragranza scandalosa. Meglio cancellarlo pian piano, in modo che
lasci in lui un ricordo indelebile.
Passa
la spugna con vigore tra le sue cosce ossute, sull’inguine,
sull’addome. L’effluvio inizia a svanire nell’oblio.
Pazienza.
E’ una tortura quella che il suo padrone gli sta infliggendo, un
dolce supplizio, e il signorino ne è pienamente consapevole. Si sta
vendicando dell’affronto subito poco prima, perché se c’è una
cosa che Ciel ha dimenticato è il perdono. Egli si vendica con
ferocia di chiunque abbia la malaugurata idea di arrecargli un torto,
ed è sorprendente di quanta brutale inventiva e perversione vengano
nutrite in quel corpicino esile.
Il
diavolo è sicuro che il conte ripeterà il suo crimine, che in
qualche notte buia potrà udire nuovamente i gemiti sommessi dalla
turbamento sfuggire dalla sue labbra cesellate appena schiuse e
sentire nuovamente la sua dolce e infame fragranza.
Sebastian
Michaelis strofina la pelle del suo padrone.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** II - La fontana di sangue ***
II
- La fontana di sangue
XIV
T’adoro
al pari della volta notturna,
o
vaso di tristezza, o grande taciturna!
E
tanto più t’amo quanto più mi fuggi,
o
bella, e sembri, ornamento delle mie notti,
accumulare
ironicamente la distanza
che
separa le mie braccia dalle azzurrità infinite.
Mi
porto all’attacco, mi arrampico all’assalto
come
una schiera di vermi presso un cadavere
e
tutto amo di te, fiera implacabile e crudele
perfino
questa freddezza che ti fa più bella!
Una
grossa luna piena si staglia sopra i tetti di una Londra fumosa.
Dai
comignoli delle case, dalle fabbriche, dense strie grigie si dipanano
verso il cielo, come se cercassero di raggiungere l’ampio disco
pallido, la cui luce, troppo fioca, raggiunge a fatica la città.
I
lampioni nel quartiere di Bethnal Green sono pochi e distanti l’uno
dall’altro. E’ un quartiere operaio dell’East End, ci sono
fabbriche di ogni tipo, soprattutto tessili, negozi di stivali e
cappelli a basso prezzo, locali da cui provengono i cori confusi
degli ubriachi, unico canto di gioia del popolo dei reietti, il vile
scheletro che inaspettatamente regge il brulicante organismo vivente
che è la capitale dell’Impero Britannico.
I
quartieri poveri puzzano tutti nello stesso modo. Sanno di latrina,
di alcool, di vomito biliare, di sudore ormonale e di cavolo bollito.
Quest’odore tanto caratteristico sembra permeare ogni strada ed
ogni muro annerito, tuttavia Sebastian Michaelis non ne è
infastidito. Per lui è semplicemente un esalazione come tante altre,
totalmente incapace anche solo di stimolare la sua curiosità. Sono
ben altri gli effluvi che stuzzicano i suoi sensi ultraterreni
provocandogli le emozioni più forti.
Sulla
carrozza il signorino non ha fatto altro che premersi febbrilmente un
fazzoletto imbevuto di olio di menta sul naso lanciandomi occhiate
stizzite e ripetendomi di agire in fretta. Il fetore e la sporcizia
di questo posto gli dà il voltastomaco.
Il
demone avanza a passo lento ma sicuro, le strade sono quasi vuote. Il
suo sarà un lavoro pulito, rapido, esattamente come il conte ha
ordinato con impellenza mentre si agitava sul sedile come un malato
di còrea – forse a causa delle calzature un po’ troppo strette
per rendere il piede più piccolo e sottile possibile, secondo quella
bizzarra moda importata dall’oriente?-, battendo con insistenza sul
pavimento il tacco dello stivaletto destro al rapido ritmo del
proprio nervosismo, il pezzetto di stoffa profumata sempre ben
attaccato alle narici.
Ciel
comanda, Sebastian esegue. La bruma densa e caliginosa per il carbone
e il mercurio usato per lavorare il feltro nasconde appena i volti
degli sparuti passanti: un claudicante dal viso annebbiato che passa
rasente al muro per non perdere il precario equilibrio e due
ragazzini che gli corrono a fianco senza considerarlo.
Meglio
così, meglio così. La traccia è fresca, il signorino non vuole
attendere. E’
sempre determinato, anche per quanto riguarda una faccenda bizzarra
come questa. La sua forza d’animo è encomiabile, non un
ripensamento, non un dubbio sul proprio operato, quando deve essere
una tortura per lui, rimanere lì in attesa nella carrozza a
respirare il miasma di questa fogna attendendo il mio ritorno. E’
un mastino che non molla mai la presa, il padroncino.
In
passato ha spesso cacciato gli umani in un modo simile, seguendo scie
a loro invisibili, divorando anime di tutti i tipi, anche le più
ripugnanti, quelle che adesso non sfiorerebbe nemmeno, abituato ormai
ai sapori più raffinati. Lo ha fatto diverse volte anche per le
indagini del conte. Il suo talento è al suo servizio, questo è il
patto, fino al compimento della sua sanguinosa vendetta, per poi
godere finalmente del proprio agognato premio.
Sebastian
pensa spesso al momento in cui tutto avrà fine, lo fa anche in quel
momento. Non che quella nei confronti di Ciel Phantomhive possa
essere definita affezione
– un demone non può nutrire un sentimento tanto volubile e
bugiardo – ma cercherà di avere sicuramente del riguardo
per lui, un trattamento speciale. Non una morte ingloriosa e anonima,
come quella che probabilmente di lì a poco colpirà il claudicante
che ha superato poco prima, che i suoi sensi trascendentali gli
permettono di avvertire accasciato sulla strada dopo una rovinosa
caduta, come quella di tutte le anime sporche, inutili e senza alcun
valore che infestano i quartieri come Bethnal Green. La fine del suo
giovane padrone sarà spettacolare, dolcemente efferata, degna di
lui…
Talmente
vicino alla morte da poterla sfiorare mantenendo inalterato lo stato
di coscienza: sono gli attimi del completo abbandono, quando la
sofferenza è talmente insopportabile da divenire estasi. E’ il
modo più degno per strappare dal corpo un’anima come quella di
lord Phantomhive, e fortunatamente sono un esperto… Una rozza
tortura ne guasterebbe il sapore, ma un raffinato martirio la renderà
squisita…
Non
una vendetta, ma il pagamento equo dei servigi di cui ha usufruito
senza alcun ritegno, come in quel momento. Sebastian sta eseguendo il
suo ennesimo frivolo e crudele capriccio.
La
donna che deve essere punita è a pochi passi da lui. E’ ferma,
all’angolo di un’anonima abitazione, e sembra averlo già notato.
Ha
un viso da bambina già vecchia, la povera cosetta
sfortunata. Ha
sicuramente meno di vent’anni, ma il suo viso è segnato dalla
privazione. La pelle del padroncino è liscia come il velluto, quella
della ragazza è chiazzata da qualche macchia rossastra sulle gote e
sul mento, i suoi capelli castani sono acconciati malamente nello
scimmiottare le ladies
della buona società. A dispetto dell’aspetto del suo volto, il suo
abito è vecchio e sporco, eppure non così logoro. Quando lo saluta
con un maldestro inchino sollevando l’orlo della gonna si può
notare che indossa addirittura degli scarpini.
A
Sebastian non resta altro da fare che sfoderare un diabolico e
amabile sorriso.
In
secoli e secoli di esperienza, il demone ha imparato che le donne
sono le prede più facili, sono ancora meno scaltre dei bambini. Ci
vuole poco per abbattere la diffidenza della maggior parte di loro,
di qualsiasi ceto sociale o etnia siano. Hanno una naturale
propensione a dare credito di chi si presenta con galanteria. Una
delle cose più importanti è l’aspetto: deve essere piacevole alla
vista, perché se i suoi tratti non fossero delicati e armoniosi
difficilmente susciterebbe quella fiammella di curiosità, quell’esca
genitrice di soave tentazione. L’apparenza plasmata dal suo padrone
ovviamente eccelle per bellezza ed eleganza. Sebastian sa di essere
al momento esteticamente irreprensibile con quel suo bel viso dai
tratti regolari, cesellati tanto da sembrare scolpiti, incorniciato
da capelli corvini, incapace di piegarsi in smorfie grottesche, ma
solo di assumere espressioni compiacenti e ammalianti. I suoi
movimenti sono armoniosi e mai impacciati, i suoi abiti impeccabili:
il soprabito nero che indossa al momento non ha nemmeno una grinza e
le sue scarpe sono lucide. Il comportamento è poi altrettanto
importante: lo sguardo deve essere rispettoso, le parole eleganti e
misurate per esprimere solo ciò che la malcapitata preda vuole
sentir dire, i sorrisi gentili e benevoli, pur mantenendo sempre
un’aria misteriosa che ispira dapprima interesse e in seguito
concupiscenza. E’ così che il demone inizia a manipolarla, a
corromperla trascinandola nell’oscurità per ottenere quello che
desidera. Sebastian non può fallire quando si tratta di tentazione,
poiché questa è l’essenza della sua natura.
“Buonasera,
milady.”
“Buonasera,
mio bel signore. Cerchi qualcosa?”
“Credo
proprio di sì. Magari potete essere così gentile da aiutarmi…”
Il
sorriso del demone si allarga, mostrando una chiostra di denti
bianchi perfettamente allineati.
“E
che cosa può cercare un uomo così educato e ben vestito in un posto
come Bethnal Green, per di più di notte? Io al massimo posso
proporre la mia compagnia…”
“E
si dia il caso che è proprio quello che stavo cercando al momento...
Accidenti, non mi sono nemmeno presentato, devo aver scordato le
buone maniere… Mi chiamo Sebastian.”
Diretto,
senza troppi giri di parole. Del resto Sebastian sa che non si
intavolano grosse conversazioni con le prostitute, si deve andare
dritti al punto. Alla fin fine è una semplice compravendita.
Tutto
è merce per gli umani, anche un corpo, anche un’anima. Da questo
punto di vista il comportamento del signorino non è così diverso da
quello di questa donna… Vendono la cosa più preziosa che hanno
per ricevere qualcosa in cambio. Chi è il peggior peccatore tra i
due? Chi è più osceno, più depravato? La donna che per
sopravvivere vende le proprie grazie o chi, sempre per sopravvivere,
ha accettato un patto col diavolo? Chi dei due meriterebbe di più la
condanna ad essere considerato un turpe reietto? Il signorino ha il
permesso di sedere ai primi banchi nella cattedrale di Saint Paul
ogni domenica, si è intrattenuto diverse volte con l’arcivescovo di
Canterbury e altri religiosi, fingendo di essere pio e pregando con
loro con fervore, riempiendosi la bocca con la parola di Dio e
ricevendo elogi per la propria rettitudine morale e devozione. Lui ha
diritto a tutto questo e lei no… Curioso, davvero curioso e
affascinante…
“Piacere
di conoscerti, Sebastian. Io sono Nancy.”
La
giovane sprovveduta non riesce a reprimere una risatina, prima di
coprirsi la bocca con una mano piccola e dalle nocche arrossate.
Esegue qualche maldestra piroetta su se stessa mettendosi in
equilibrio su un piede solo, una ciocca di capelli ondulati sfugge
dalla sua acconciatura posticcia. Terminata la sua puerile danza, la
prostituta si ferma e con sguardo trionfale solleva gli strati della
misera gonna fino alle anche per mostrare la propria merce di
scambio: un pube infiacchito e un ventre leggermente gonfio – segno
di una gravidanza recente, il diavolo non ha dubbi e la cosa è
senz'altro interessante
- in netto contrasto rispetto alla sua giovane età e alle sue
gambette gracili. Al diavolo non sfuggono le eruzione cutanee tipiche
della lue sulla parte interna delle cosce.
Il
topolino è finito subito tra gli artigli del gatto, a quanto pare.
E’ stato più facile di quanto pensassi… E’ bastata una parola
gentile, un minimo di riguardo per irretire questa baldracca
sifilitica... Sarà la prima volta che una persona raffinata e dai
modi galanti ricerca i suoi sordidi servigi… Vendersi per pochi
spiccioli a tutti i disperati dell’East End deve essere la norma
per lei. Che esistenza inutile e vuota... Lo leggo nella sua anima: è
insipida, di qualità infima, non ha uno scopo nella vita se non
quello di sopravvivere, non ha nulla che la faccia ardere di
passione, né nel bene né nel male. Vive la giornata e basta. Eccola
la differenza tra lei e il mio padrone. E’ davvero repellente.
“Siete
davvero incantevole, Nancy.”
Sebastian
sussurra a fior di labbra le parole, nello stesso modo in cui si
rivolgerebbe ad una dama, infilando una mano nella tasca del
soprabito. Estrae del denaro, lentamente, e si avvicina alla donna
con un passo. Le monete tintinnano, ne estrae una, gliela appoggia
sulle labbra socchiudendo appena gli occhi magnetici, prima di
mostrargliela bene.
“Quanto
vi serve? Perché è per questo che una giovane e bella fanciulla
come voi si vende… Per del vile denaro… Che cosa ingiusta ed
orribile… Siete poco più di una bambina eppure vi sentite vecchia,
vero? La vostra è una vita di stenti, segnata dalle privazioni…
Gli uomini sono crudeli, vi consumano, vi malmenano, vi violentano…
Tutti i giorni sono uguali. Ma non potete fare altrimenti, avete un
figlio da mantenere…”
“Io…
Io…”
Nancy
balbetta, la sua voce si impasta. Le sue guance diventano di un
cremini acceso, le sue pupille castane fremono. Le palpitazioni nel
suo petto sono quasi visibili dall’esterno. Sembra non accorgersi
di come la sua mano venga afferrata, dolcemente accarezzata.
“Ho
un figlio… Come fai a… Sei strano… Chi sei? Cosa vuoi da me?”
“Non
spaventatevi, ve ne prego, ho solo un offerta da farvi. Sto cercando
una giovane ragazza per allietare la serata del mio padrone.”
“Servi
in una famiglia?”
“Esattamente.
Vedete è giovane, vuole conoscere il mondo, mi ha chiesto di
trovargli una donna graziosa e discreta in un quartiere operaio, e io
ho trovato voi… E’ una persona delicata, un ragazzino in preda
alle passioni, non vi preoccupate… Sarà facile farlo contento. E
poi ci sono sempre io se la cosa può interessarvi… Con una
sterlina quanto potete vivere senza prostituirvi? Una settimana?
Dieci giorni? Passate con il mio padrone la notte e di sterline ne
avrete ben cinque... Cosa ne dite, Nancy? Non vi capiterà mai più
un’occasione del genere…”
Le
labbra del diavolo si avvicinano pericolosamente al suo orecchio. Lo
ambiscono appena.
“O
se preferite soddisfare quel branco di luridi porci che grufolano
nella taverna qui all’angolo per qualche misero scellino non avete
che da dirmelo e io tolgo il disturbo… Quando usciranno da lì
potrebbero rivolgervi le loro attenzioni come è già capitato…”
“Va
bene! Va bene, accetto!”
La
voce della ragazza è stridula, ma ormai è troppo tardi. Ha firmato
la sua condanna. Sebastian si lascia andare ad un’espressione
soddisfatta allontanandosi di nuovo da lei, placando la pressione del
proprio potere. Non serve più essere tanto inebriante con un anima
così miserabile.
“Affare
fatto allora. Avete un posto dove andare? Il mio padrone necessita di
riservatezza.”
“Io
ho una camera, vivo lì… E’ proprio qui sopra… Al primo piano…
Mio figlio dorme, ma è piccolo, non si accorge di niente…”
Nancy
punta un dito tremante verso una palazzina disadorna appena di fronte
a loro. Una casa come tutte le altre, anonima, con poche finestre
striminzite, incassata tra altri due edifici della stessa identica
foggia. In lontananza si possono ancora avvertire le canzoni volgari
degli avventori della bettola, le cui parole sono una litania
confusa, e il latrare insistente di un cane.
“E’
un’ottima soluzione. Allora torno tra poco.”
Sebastian
non avverte più nulla provenire dal corpo dello zoppo caduto a terra
prima, riverso a faccia in giù nel sangue che sgorga da una ferita
sulla fronte.
XXV
Ti
porteresti a letto l’universo intero!
O
donna impura! La noia ti rende crudele.
Per
tenere in esercizio i denti al tuo singolare gioco
ti
necessita, ogni giorno, un cuore sulla rastrelliera.
I
tuoi occhi, illuminati come botteghe
o
pali fiammeggiante nelle feste pubbliche
fanno
uso, con insolenza, di un potere preso in prestito
senza
conoscere la legge della bellezza.
O
macchina cieca, sorda, feconda di crudeltà!
Salutare
strumento che ti sazi del sangue del mondo,
com’è
che non hai vergogna, com’è che non vedi impallidire
le
tue bellezze davanti ad uno specchio?
La
grandezza del male in cui ti reputi sapiente
non
t’ha mai fatto indietreggiare di spavento,
quando
la natura, grande nei suoi fini segreti,
si
serve di te, femmina, regina del peccato
-
Di te, vile animale – per plasmare un genio?
O
fangosa grandezza! Suprema ignominia!
La
donna chiamata Nancy Shores è riversa sul pavimento. Muove appena un
braccio, scossa da gemiti incontrollati, prova a puntellarsi al suolo
per tirarsi su invano. E’ a mala pena in grado ad alzare il capo e
strisciare una mano verso lo stivaletto sinistro di Ciel Phantomhive,
sfiorandolo. E’ uno spettacolo stomachevole, degnamente
incorniciato dall’odore di muffa di quel ridicolo tugurio.
Il
conte non è mai stato particolarmente incline alla filantropia, come
altri nobili di sua conoscenza. I poveri non suscitano in lui alcuna
compassione, non ci riescono gli infermi e i derelitti. Il volto di
quella donna, quella maschera sanguinolenta non gli infonde altro che
sdegno e repulsione. E’ stato Sebastian a ridurla così in pochi
secondi, per suo stesso ordine. La sgualdrina non ha voluto parlare:
se ne è stata ferma a piagnucolare, incapace di contrastare la
velocità del demone come se persino il suo istinto di sopravvivenza
si fosse annichilito di fronte all’ineluttabilità della fine.
Sangue
rosso vivo le zampilla dalle narici e dal labbro inferiore colando
giù sul mento, gocciolando a terra. Agli occhi di Ciel è una specie
di fontana traboccante di vita e di morte allo stesso tempo, un
piccolo capolavoro di ripugnanza. Da una parte vorrebbe toccare
quelle calde macchie cremisi, dall’altra il disgusto glielo
impedisce. Non è il caso di sporcarsi gli stivaletti in vernice o la
propria pelle con il sangue infetto di quella donna.
Fa
un passo indietro sui piedi doloranti per evitare che le sue dita
imbrattate sfiorino con quel gesto tanto insolente il suo pregiato
scarpino.
“Non
osare toccarmi.” Le ordina gelido squadrandola dall’alto verso il
basso, conscio della propria autorità, del proprio controllo.
Mi
piace avere in mano il potere. Una volta sono stato io quello chiuso
in una gabbia, il debole, la pedina, il sacrificio, eppure ho vinto.
Mi sono sbilanciato verso il male, ho traviato la mia strada, e alla
fine ho vinto. Ho imparato a prendermi ciò che è mio, e non provo
pietà per nessuno dato che nessuno l’ha avuta per me. Questa è la
vita, è un gioco duro e crudele, e solo i più forti vincono.
“Avrai
capito che non scherzo adesso, quindi te lo ripeto per la seconda
volta. Dove si trova il pendente che hai strappato dal collo di lady
Middleford mentre si trovava a Picadilly? E’ questa volta cerca di
non mentirmi, tanto lo so che sei stata tu, ne sono certo. Non
accetterò un altro non
lo so da parte
tua.”
“Io…
Io non ce l’ho più… Te lo giuro…”
Le
parole di Nancy sono impastate e poco comprensibili. E’ colpa forse
degli incisivi rotti che trasformano la bocca colma di schiuma
rossastra un una mostruosa caverna.
“Se
non mi dici la verità ordinerò a Sebastian di uccidere tuo figlio.”
C’è
una specie di culla traballante addossata ad una parete, da cui però
non proviene alcun suono. Il ragazzo si limita ad un cenno del capo
verso di essa e il suo ligio servitore si avvicina con fare serafico
e la stessa espressione amabile che aveva poco prima di colpire con
ferocia il volto della malcapitata. C’è un che di grottesco e
delicato in quella scena, in quella manina ignara che si palese dal
giaciglio per afferrare l’indice del demone. E’ talmente piccola
che riesce a cingerla a malapena... E Sebastian lo osserva divertito,
falsamente intenerito. Ciel legge la menzogna in quello sguardo
benevolo, sapendo che cosa si cela dietro.
Basta
un ordine, basta una mia parola e il diavolo massacrerebbe un neonato
senza battere ciglio. Lo tirerebbe su da quelle braccine e lo
squarterebbe in due sorridendo come sempre. Non ho paura di
Sebastian, anche se so che prima o poi toccherà a me, che quella
manina fiduciosa presto sarà la mia, e sarà il mio il corpo
seviziato fra le braccia del diavolo. E nemmeno per quel bambino
innocente che sto per condannare a diventare carne da macello provo
un poco di misericordia. Tutto questo dovrebbe farmi orrore, invece
non provo niente del genere.
Se
solo Elisabeth sapesse cosa sto facendo per lei… Forse arriverebbe
a rinnegarmi rovinando la mia immagine agli occhi della nobiltà.
Fortunatamente non è né avveduta né furba, e ha un’idea di me
completamente distorta, quella che ho voluto farle credere. Elisabeth
non è per niente una buona giocatrice, e questo ne fa una promessa
sposa ideale.
“No…
No, ti prego… Ti prego, ti supplico… Abbi pietà…”
Nancy
balbetta allungandosi maldestramente verso il proprio figlio,
attirata dal gesto del demone.
“Non
serve a niente pregare lui, rivolgiti a me! – ordina il conte
picchiando il pavimento con la punta del proprio bastone da
passeggio, non tollerando che l’attenzione di quella donna insulsa
sia rivolta a qualcos’altro - Sebastian esegue quello che io gli
ordino. Mi basta una sola parola, una
sola, e lo farà
a pezzi. Pensi che io non ne sia capace? Pensi che io sia uno stupido
moccioso da impietosire e prendere in giro? Restituiscimi il pendente
o ti posso giurare che dovrai pulire le cervella di quel neonato fin
sul soffitto di questo tugurio! Avanti, confessa! Confessa!”
C’è
euforia nella rabbia che lo pervade, nella sua sete di
prevaricazione. L’importante è vincere, vincere sempre e comunque,
anche quando l’avversario è una nullità.
“Io
l’ho dato in pegno… Non potevo pagare la stanza…”
“Cos’hai
detto?”
“Mi
servivano soldi! Dovevo pagare questa stanza, non volevo finire in
strada con mio figlio! L’unica cosa che potevo fare era rubare! Ho
visto quella ragazza con quel pendente in bella vista e gliel’ho
strappato via! L’ho dato subito al signor Finch, è sua questa
stanza! E’ proprietario della fabbrica di cappelli che c’è qui a
fianco! Ti prego non ucciderci! Non ucciderci!”
“Hai
scambiato il pendente per l’affitto di questa sudicia camera?”
“Sì…
Sì, l’ho fatto… E’ la verità! Lo giuro su nostro Signore! E’
la verità!”
La
mano guantata di Ciel è scossa da un lieve tremolio. Egli barcolla,
fa un passo indietro, il rumore sordo dei tacchi rimbomba come un
tuono. Si passa una mano sulla fronte e sulla guancia sinistra con
insistenza, come per spellarsi. E’ tutto così assurdo e senza
senso. Un pendente d’oro e rubini indiani costato più di venti
sterline, che aveva regalato lui stesso alla sua fidanzata per il suo
compleanno, dato in pegno per una misera stanza dell’East End da
una pidocchiosa prostituta…
Il
conte scoppia a ridere. La sua risata è fragorosa, squilibrata,
isterica… Le risate di Ciel Phantomhive gelano
il sangue nelle vene.
CXIII
La fontana di sangue
Il
mio sangue a volte sembra scorrere a fiotti
come
una fontana dai ritmici singhiozzi.
Con
che lungo mormorio la sento colare!
Ma
invano mi tocco per trovare la ferita.
Fluisce
per la città come in un campo recintato,
trasformando
selciati in isolotti,
dissetando
ogni creatura
e
ovunque colorando di rosso la natura.
Ho
chiesto spesso ai vini capziosi
D’addormentare
per un giorno il terrore che mi assilla;
ma
col vino l’occhio è più chiaro e più fine l’orecchio!
Ho
cercato nell’amore un sonno d’oblio;
ma
per me l’amore è solo un materasso d’aghi
fatto
per procurare da bere a crudeli puttane.
Una
grossa luna piena si staglia sopra i tetti di una Londra fumosa.
Una
carrozza scivola silenziosa per le strade nel buio brumoso, lontano
da sguardi indiscreti. La notte è inoltrata, Ciel Phantomhive inizia
a sentirsi insonnolito, ma qualcosa gli impedisce di appoggiarsi allo
schienale e di appisolarsi.
Solitamente
sopporta senza problemi le calzature à
la mode, con la
punta stretta e i lacci serrati per dare ai suoi piedi già minuti
una forma ancora più esile e piacevole alla vista, in quel momento
invece gli formicolano di stanchezza e dolore, compressi in quei
minuscoli stivaletti. Sente un bruciore penetrante in diversi punti
sparsi un po’ dappertutto, dalle caviglie alla pianta - vesciche
aperte senza dubbio - e le dita contratte, rattrappite, strizzate in
una posizione innaturale, umide, forse sanguinanti. Vorrebbe
toglierseli, quegli scarpini maledetti che rendono i suoi piedi tanto
graziosi, eppure qualcosa lo spinge a resistere a quell’impellente
desiderio. Del resto è lui stesso ad ordinare sempre a Sebastian di
allacciare il più possibile le stringhe secondo il gusto estetico
della nobiltà vittoriana, e questa volta il maggiordomo pare sia
stato particolarmente zelante nel proprio lavoro. Ciel non ha nessuna
intenzione di confessargli la propria sofferenza, nonostante sia
palese che il demone se ne sia accorto. Si limita a distendere le
gambe appoggiandosi sui talloni per dare un po’ di sollievo alle
dita martoriate e intorpidite.
Sta
aspettando che io glielo chieda, vuole vedere fino a che punto io
riesca a sopportare questa piccola sevizia. Solo quando sarò
arrivato alla mia camera da letto gli permetterò di togliermi le
scarpe, non prima, questo è sicuro, poco importa se ho le dita in
sangue, vesciche ovunque e la pelle sbucciata. Gli piace mettermi
alla prova, osservare la mia resistenza in ogni situazione, è quasi
più forte di lui. Credo sia uno dei suoi tanti modi di assaggiarmi…
Che sfacciataggine…
“Signorino…
Perché l’avete lasciata vivere?”
Il
demone interrompe bruscamente la sua concentrazione nel resistere al
dolore con una domanda sinceramente curiosa, non accusatoria. Ciel
alza lo sguardo del suo occhio grande e blu, quello non coperto dalla
benda, e squadra il suo volto. Sebastian ha appoggiato il gomito
contro il finestrino coperto da una tenda e si sorregge il viso
avvenente illuminato in modo sinistro da una lampada ad olio sospesa
sul soffitto della vettura.
“E
tu perché mi fai domande di cui sai già la risposta?”
“Forse
perché quella risposta la voglio sentire dalla vostra bocca.”
“Sei
particolarmente insolente questa notte, Sebastian.”
Il
conte punta il bastone da passeggio contro il petto del demone, che
ciononostante non si muove, non si scompone. Un silenzio teso riempie
l’abitacolo della carrozza, finché il giovane non decide di
abbassare lentamente l’oggetto, riportandolo contro il pavimento.
Per la seconda volta stiracchia le gambe anchilosate.
“Quella
Nancy Shores non ha più il pendente di Elisabeth. Minacciavo di
uccidere suo figlio, credo che le sue parole fossero la verità. Sei
sprecato da usare contro una donna inerme ed un neonato, mi basta
sapere che presto sarà la sifilide a portarseli via entrambi. Non ho
provato pena per loro, se è questa la tua preoccupazione. Se la sua
risposta non mi avesse soddisfatto ti avrei ordinato di prendere il
bambino e di fracassargli la testa contro il muro.”
“Siete
crudele, signorino…”
C’è
del compiacimento nelle parole di Sebastian, Ciel lo legge nel suo
sorriso.
Il
dolore è sempre più insopportabile. Alza leggermente la gamba
sinistra e la appoggia sul sedile di fronte accanto alla coscia del
maggiordomo in un gesto poco elegante, una piccola libertà al riparo
degli sguardi accusatori della società.
“Io
non esito mai, lo sai perfettamente. L’indecisione è debolezza, le
minacce a vuoto non sono efficaci. Avrei dovuto avere compassione di
quella disgraziata e del suo lurido figlio? Io non credo. Il più
debole viene schiacciato dal più forte a questo mondo, è
inevitabile. Quindi sì, te lo avrei ordinato. ”
La
mano di Sebastian ha l’ardire di appoggiarsi sulla sua tibia. Ciel
si irrigidisce, ma non si muove. Chiude l’occhio emettendo un
respiro profondo, gonfiando i polmoni di aria, avvertendo la
pressione dei polpastrelli del demone sulla pelle sotto lo stivale
scendere, scendere ancora, arrivare al piede. Il ritmo del respiro
accelera. Quando arriva a premere sulla punta della scarpa le dita
bruciano di dolore e una corona di sudore freddo gli imperla
improvvisamente la fronte, mentre si morde il labbro inferiore,
arrossandolo.
“Adesso
dimmela tu una cosa, Sebastian… Anche se so già la risposta…
Voglio sentirla dalla tua bocca… - sussurra a tratti contrastando
la sofferenza, ripetendo l’arrogante enunciato del demone in segno
di sfida – Se ti avessi intimato di usufruire degli osceni servizi
di quella sgualdrina nauseabonda, lo avresti fatto? Lo avresti fatto
nonostante gli sfoghi della sifilide sul suo corpo? Rispondimi,
Sebastian!”
“Se
fosse stato un vostro ordine… Certamente. – ribatte
immediatamente il servitore senza scomporsi - Non avrebbe potuto
contagiarmi con la lue, esattamente come con il vaiolo, la peste,
il colera o qualsiasi altra malattia umana. Per me non sarebbe
cambiato niente… E lo avrei fatto, da davanti o da dietro, con
dolcezza o con violenza, così come avrei ucciso il neonato
esattamente secondo le vostre volontà, spaccandogli la testa contro
il muro o in qualunque altro modo avrebbe appagato il vostro animo.
La mia risposta compiace a sufficienza il vostro ego, signorino? Era
ciò che volevate sentire?”
Ancora
sorride Sebastian. Sorride amabilmente mentre scandisce le sue
terribili parole, socchiudendo candidamente gli occhi, mentre
continua a premere su quelle dita martoriate.
All’improvviso,
il conte ritira la gamba con uno scatto, e scoppia a ridere. Ancora
una volta la sua risata è nevrotica, incontrollata.
Risate
crudeli, che gelano
il sangue nelle vene.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** III - Litanie ***
III
- Litanie
V
Il ribelle
Dal
cielo precipita come un’aquila un Angelo furioso,
afferra
a pugno pieno il capelli del miscredente
e
gli dice, scuotendolo: “Tu devi conoscere la regola!
(Io
sono il tuo angelo custode, capisci?) Lo esigo!
Sappi
che si deve amare senza tante smorfie,
il
povero, il cattivo, lo storpio, l’ebete,
così
tu potrai fare a Gesù, quando passerà,
un
tappeto trionfale con la tua carità.
Così
è l’Amore! Prima che il tuo cuore divenga indifferente,
riaccendi
la tua estasi alla gloria di Dio;
è
questa la vera Voluttà dai durevoli incanti!”
E
l’Angelo, castigando nella misura che ama,
tortura
con le sue mani di gigante il maledetto.
Ma
il dannato risponde sempre: “No, non voglio!”
Il
nero è il colore che avvolge Ciel Phantomhive. Nero è il suo
cilindro, nero è il nastro di seta che lo abbellisce, nera e la
benda che copre il suo occhio, neri sono il suo elegante cappotto e
la mantellina bordata di pelliccia di volpe, neri i guanti in soffice
pelo di coniglio che tiene in grembo come un penitente, neri gli
stivaletti dalla punta stretta e dal tacco alto e sottile, nera è
l’esigua porzione di calza che appena si intravede sul suo
ginocchio ossuto, nera è la sua espressione severa.
La
sua unica iride cerulea fissa la porta alla sua sinistra, in
quell’elegante stanza quadrata, le cui pareti in elegante boiserie
intarsiata, trasmettono uno strano senso di calore, in contrasto con
i ricami di gelo che ornano gli angoli della finestra proprio lì di
fronte, firma inconfutabile di un dicembre freddo e pungente.
Accavalla
le gambe, seduto su una poltroncina rococò di legno bianco e dorato,
foderata di un rosa pallido. Sebastian Michaelis è in piedi alla sua
sinistra, diritto, impeccabile come sempre. Non c’è bisogno che
Ciel lo osservi per sapere che il suo sguardo magnetico è puntato su
di lui.
Non
lo lascia mai, il suo fedele demone, e soppesa ogni sua mossa,
osserva ogni suo battito di ciglio, ogni respiro, ogni profondo
sospiro d’impazienza. Sebastian non perde mai di vista il suo
padrone e Ciel sa che non è solo a causa del loro faustiano
contratto, dell’impegno che il demone ha assunto nei suoi confronti
proteggendolo e servendolo, assecondando in ogni modo i suoi volubili
malumori. Egli osserva per puro
piacere, come
malsano divertimento, e giudica.
Impietoso, crudele, inesorabile... La sua anima è nuda e debole,
vittima sacrificale di quegli occhi un poco perfidi e un poco
benevoli.
Alza
lo sguardo, il conte, e rimane qualche secondo immobile. Si lascia
scrutare, denudare e sventrare nell’intimo da quelle iridi rosse
che affondano come lame nel suo animo, quando esternamente non si
vede altro che un ragazzino dall’espressione corrucciata e le
guance morbide appena imporporate.
E’
bizzarro sentire più vicino il giudizio di un demone rispetto a
quello del Signore. Quella di Sebastian è tuttavia una valutazione
che non temo. Egli non mi negherà mai i suoi favori e si asterrà da
suggerirmi cosa fare. Lui è mio e io sono suo, il nostro legame è
forte. Mi segue senza controbattere perfino qui, nella dimora
dell’arcivescovo di Canterbury, un luogo carico di sacralità che
pare non temere. E’ perfetto il mio schiavo, la mia unica
consolazione in questo mondo che disprezzo con tutto me stesso, e
nello stesso tempo implacabile boia.
Sebastian…
Sebastian… Sebastian…
Lo
odio e lo adoro nello stesso tempo, mentre Dio mi è solo
indifferente.
“Sebastian.”
La
sua voce è imperiosa, con una leggera nota di noia, mentre alza con
un gesto delicato il braccio destro.
“Hai
per caso preso la mia corona? Credo di averla dimenticata nel
comodino della camera prima di venire qui.”
Fa
appena in tempo a finire la frase che la mano guantata del servitore
si pone nell’immediato di fronte al suo viso reggendo delicatamente
fra le dita il sobrio rosario: trentatré lucide perle d’ebano
chiuse da una croce celtica in argento pendono davanti al volto
lievemente sorpreso del giovane padrone.
“Parlavate
di questa, signorino? – chiede soave Sebastian sorridendo – Ho
visto che la stavate dimenticando prima di uscire e sapendo che
quando vi incontrate con l’arcivescovo la portate sempre con voi mi
sono permesso di prenderla con me.”
“Hai
fatto bene.”
Ero
sicuro che l’avesse con lui, ho fatto solo finta di scordamela a
palazzo. Trovo intrigante il fatto che Sebastian non abbia paura
della sacralità e degli oggetti religiosi, e mi piacerebbe sapere
fino a che punto si possa spingere... Sarà che sono influenzato da
quegli stupidi romanzi che vanno tanto di moda e che ho letto per
passare il tempo… La verità è spesso ben diversa da come
comunemente la si suppone… Quando ero piccolo non avrei mai
immaginato che avrei potuto fare un patto con il diavolo, che gli
avrei venduto la mia anima affinché potesse cibarsene, e che mi
sarei ritrovato qui, ad attendere l’arcivescovo Benson nel suo
studiolo per disquisire sulle mie donazioni alla Chiesa in vista del
Natale, mentre il suddetto demone mi porge il rosario della mia
defunta madre come se nulla fosse. E’ così immorale, blasfemo. La
mia vita è completamente avvolta nelle tenebre ma per la società
che mi circonda devo sembrare un piccolo santo.
Ciel
afferra velocemente l’oggetto, strappandolo da quella mano empia.
Non che il padroncino sia una persona religiosa, anzi. Sebastian è
perfettamente consapevole del suo pensiero al riguardo, della falsa
devozione e rettitudine che manifesta
teatralmente durante
quegli incontri. Sua Maestà ritiene che sia buona cosa che il suo
cane da guardia sia in buoni rapporti con le cariche religiose, in
particolare con l’arcivescovo di Canterbury, in quanto la Chiesa e
la Corona sono estremamente legate tra loro.
Emette
il secondo sospiro, Ciel, chiude l’occhio scoperto, si umetta
lentamente le labbra rese morbide e appena rosse da una pennellata di
succo di barbabietola: un piccolo tocco di frivolezza in
contrasto con il suo vestiario rigoroso e castigato.
Il
vecchio non può tardare ancora di molto e Ciel vuole dare come
sempre la migliore impressione possibile, iniziando in vantaggio la
sua prima mano di gioco della giornata. La Chiesa anglicana è un
alleata che non può perdere scioccamente. Rimane ad occhi chiusi,
sgranando tra le belle dita affusolate le perle della coroncina –
perle profanate
dalla mano impura di Sebastian -, roteandole delicatamente tra i
polpastrelli, il volto lievemente chino, tutto contrito. Il suo petto
si alza e si abbassa con palpiti lenti e regolari. Deve dare
l’impressione di essere assorto in una muta preghiera per occupare
il tempo di quell’attesa per compiacere il religioso già dal suo
arrivo, completamente ignaro della verità: Ciel Phantomhive non
prega. Ha smesso
molto tempo fa, quando la sua vita è stata distrutta, e così pensa
in silenzio, con rabbia, impegnando le dita su quelle sfere fredde
come l’inverno fuori dalla finestra e come il suo cuore.
Dov’eri,
Dio, quando pregavo da bambino? Mi hai forse mai ascoltato? Quando ho
visto i cadaveri dei miei genitori, quando sono stato
imprigionato,venduto, torturato senza saperne in motivo, stuprato e
quasi ucciso, mentre ti chiedevo aiuto… Hai mai rivolto il tuo
orecchio alle mie implorazioni? Ero solo un bambino… La mia anima
si è dannata in quegli istanti, quando mi hanno sporcato e
profanato. Quale grave peccato avrei mai potuto commettere quando
avevo nove anni per meritarmi tali atrocità? Per quello mi sono
convinto che non esisti… E se invece esisti, mi hai visto piangere
e supplicare la tua grazia e non hai fatto niente per me, allora sei
proprio meschino. L’unico che ha ascoltato le mie preghiere e mi ha
offerto la salvezza è stato il diavolo… Tu non hai fatto niente,
ma lui sì! Mi ha liberato dalle illusioni, mi ha proposto un accordo
che ho accettato senza che mi forzasse, mi ha sottratto
temporaneamente alla morte per permettermi di punire i responsabili
dei soprusi che ho subito! Ed ora lui è al mio fianco, è
invincibile ed inarrestabile, asservito alla mia volontà, e nemmeno
lui ha paura di te… Dovresti poterlo guardare, qui accanto a me,
mentre sorride e si pregusta la mia fine…
La
sua lingua lambisce il labbro inferiore, lenta, da destra verso
sinistra. Percepisce il dolce sapore della barbabietola.
E
chi l’avrebbe mai detto che i demoni provassero sensazioni ed
emozioni? Non dei sentimenti, ma la fame lo divora, me lo ha
confessato più volte. Sebastian può essere felice oppure triste, si
rallegra, si indispettisce, sperimenta piacere e dolore. E’ quasi
umano… Quasi. Più vicino a noi uomini di te sicuramente, dato che
se ci sei ci guardi dall’alto in basso senza esporti. Vedi quando
la sua mano sfiora la mia pelle, quando compiace ogni mio desiderio,
e lambisce la mia anima? Immagino che ti godrai lo spettacolo di
quando la divorerà, e il mio sangue scorrerà a fiotti da ogni
orifizio, brandelli di pelle strappata penderanno dai miei muscoli e
i miei fetidi e molli visceri bruceranno, ma non ti pregherò nemmeno
in quel momento. Non invocherò la clemenza di nessuno.
Mi
dispiace, Dio, ma io ho scelto le tenebre e...
“Lord
Phantomhive! Mi scuso di avervi fatto aspettare, ma ho avuto un
contrattempo impellente! Sapete, con l’avvicinarsi del Natale gli
impegni raddoppiano, sono costernato di non avervi potuto ricevere
prima…”
La
voce di Edward White Benson ha un timbro squillante e chiaro, eppure
nello stesso tempo anche caloroso. Ciel la riconosce immediatamente,
ne viene scosso, fulminato, costretto ad interrompere quel flusso di
pensieri rabbiosi. La sua spina dorsale freme come colpita da una
frustata, le sue mani lasciano ricadere sulle cosce le perle
anglicane, e il suo occhio subito si solleva, la bocca semischiusa in
una delicata O
di sorpresa. Un poco è vero, lo ha colto alla sprovvista, ma il
giovane lord è conscio del proprio vantaggio, sapendo di navigare
già da principio nelle placide acque della benevolenza di Benson, a
causa del suo aspetto ingenuo e candido.
“Scusatemi,
arcivescovo! Non mi sono accorto che eravate entrato!”
Che
aria angelica assume il conte quando quel suo grande occhio blu si
socchiude in un’espressione felice e nello stesso tempo
malinconica, mentre si alza in piedi in tutta la sua piccola e
filiforme figura! Il suo tono trasmette una morigerata ed infantile
innocenza… Ne è pienamente consapevole, e la sua remissività
nasconde bene la ferocia, la maschera che porta con arroganza in
quell’ipocrita e putrido mondo.
“Ero
totalmente assorto nella preghiera! Ho pensato che fosse un modo
fruttuoso di ingannare il tempo mentre vi aspettavo!”
“Oh,
Ciel, siete sempre il solito, non cambiate mai!”
“Certamente,
quando non si ha nulla da fare è sempre un ottimo momento per
rivolgersi al Signore, per ringraziarlo e lodarlo. Le preghiere non
sono mai troppe e sono sempre gradite al Padre Celeste, me lo avete
insegnato voi.”
“E’
proprio così, conte. Ma ditemi, come state? Vi vedo sempre alla
messa della domenica, ma è ormai da qualche tempo che non scambiamo
due parole in privato.”
“Bene,
arcivescovo. Sono sempre molto impegnato, così come voi. La Phantom
Company si sta espandendo e le feste natalizie sono il periodo più
redditizio ma anche più gravoso per me.”
I
due interlocutori si scambiano una stretta di mano.
Benson
è un uomo anziano, con una chioma canuta, un figlio d’altri tempi.
Appoggia una mano sulla sua spalla in un gesto paterno ma per Ciel
inaspettato, accompagnandolo nel risedersi sulla poltrona. Le sue
dita della mano sinistra stringono di scatto le perle, il suo sguardo
si perde per una frazione di secondo verso il suo servitore, come un
naufrago che anela ad un appiglio: il demone è ancora sereno in
volto, ciononostante il suo sguardo pare tagliente come una lama
pronta a far sgorgare sangue, e questo lo rassicura. Sebastian è lì
con lui, niente può fargli del male, non deve temere la mano
chiazzata dalla vecchiaia del religioso.
“Non
posso fare altro che rallegrarmi per voi. – afferma sedendosi a sua
volta sulla poltrona lì a fianco – Sapete bene che la vostra
persona mi è molto cara.”
“E
fate bene a rallegrarvi: dato che i miei introiti sono continuati ad
aumentare negli scorsi mesi, sono venuto qui per informarvi della
donazione che vi farò come di consueto. Ho pensato a duemila
sterline, se per voi va bene.”
“Sapete
che non è nel mio carattere contestare le offerte. Potete elargire
la cifra che più vi aggrada, e io farò in modo che il vostro obolo
sia devoluto nel modo migliore all’interno della nostra Chiesa. Il
denaro è lo sterco del diavolo
ha detto San Basilio, e non voglio peccare di avidità. Dobbiamo
sempre ricordarci che le nostra vanità sono superflue, e che la
tentazione dell’idolatria delle cose terrene è una tentazione
subdola. Prendiamo ad esempio la vostra corona…”
Ciel
ingoia un grumo di saliva densa, senza capire perfettamente dove
l’arcivescovo voglia arrivare. Non che quel sermone inaspettato lo
possa evitare, è incastrato in quella sedia, costretto ad ascoltare
parole di cui nulla gli importa.
“Non
è la prima volta che vi vedo pregare febbrilmente sgranando le
perle, così come fate spesso a messa, e sappiatelo, ammiro molto la
vostra fede. Siete molto devoto, mi avete riferito voi stesso che la
preghiera vi aiuta a mitigare il dolore per le perdite che avete
subito… Ricordatevi però che quel rosario è solo un oggetto, non
deve essere venerato, vincolante nel vostro rivolgervi a Dio, così
come non dovete dare troppa importanza al valore del denaro. Vedete
com’è facile cadere in fallo, anche quando si hanno le migliori
intenzioni? Ve lo dico perché ho a cuore la vostra salvezza, la
superbia e la concupiscenza sono i peggiori predatori delle anime
giovani come la vostra.”
“Io…
Io credo…”
“Sono
stato un ragazzo anche io, sapete? Posso capire alcune delle
seduzioni che vi colpiscono. Io ve lo leggo in viso da quando sono
entrato in questa stanza. C’è qualcosa che vi tormenta? Forse
qualche passione che faticate a controllare, una
qualche pulsione con cui il maligno cerca di tentarvi…
Di natura oscena forse, o peccati di superbia, che sono i più comuni
nei giovani uomini. Spero che guardiate lady Middleford, quella
fanciulla così graziosa ma un po’ troppo appariscente, sempre con
sguardo casto e rispettoso, in quanto vostra futura moglie e madre
dei vostri figli, e che non vi lasciate aizzare a commettere atti
impuri prima delle vostre nozze...”
“Non
ho commesso nulla del genere… Io nutro un profondo rispetto per
la mia promessa sposa. Cerco di contenermi in tutto, non amo gli
eccessi.”
“Davvero?
Eppure oggi le vostre labbra sono tinte di rosso. Questa è una
palese frivolezza che non si addice ad un ragazzo devoto, per non
parlare del fatto che vi vedo spesso con le ginocchia scoperte.
L’ostentazione porta sulla strada della lussuria, ad avere pensieri
immorali, a provocarne agli altri nei vostri confronti. Non siate
provocatorio…”
“Cercherò
di avere più rispetto del mio corpo, chiedo perdono se ho offeso Dio
e voi…”
La
frase di lord Phantomhive è un sibilo a denti stretti. Non osa
muoversi, le sue mano si sono strette ai morbidi braccioli della
poltrona senza che se ne sia accorto. La coroncina è scivolata sul
pavimento marmoreo.
Ma
come si permette, come osa? Spero che non gli venga in mente di
formulare ipotesi che mi mettano in cattiva luce davanti alla regina,
questo vecchio bavoso… Le mie ginocchia scoperte, pensieri osceni
su Elisabeth… Se c’è una cosa che nemmeno mi sfiora è
quest’ultima! La sopporto al mio fianco solo perché è innocua e
se mai il contratto con Sebastian dovesse prolungarsi fin dopo le
nostre nozze giacerò con lei solo il minimo indispensabile per
adempiere ai miei doveri coniugali. La sola idea di unirmi
carnalmente a lei mi disgusta! Non voglio nemmeno pensarci! No, non
ha capito proprio nulla di me! Devo comunque assecondarlo, fare buona
figura… Vorrei poter ordinare a Sebastian di strangolarlo con
quello stupido paramento nero che gli pende dal collo da tacchino, ma
per ora non è il momento. Se dovesse iniziare dubitare del mio
timore di Dio ed iniziare ad intralciare il mio rapporto con Sua
Maestà non ci penserò due volte… Che ironia, la più alta carica
religiosa anglicana uccisa dal mio schiavo demoniaco… So di essere
più forte di lui, potrei schiacciarlo. Io, Ciel Phantomhive potrei
annientare il membro più importante della nostra Chiesa!
“I
demoni sussurrano alle orecchie di noi poveri peccatori, non
dimenticatevelo. E’ così che ci portano nell’oscurità,
inducendoci ad allontanarci dal sentiero. Capita anche agli uomini
più pii, anche a quelli che sono stati chiamati santi. Ho avuto
diverse discussioni teologiche in merito, anche con altri vescovi…
Sono altresì convinto che questo è l’unico e vero modo con cui le
forze oscure ci traviano, il più subdolo in assoluto. Altro che
possessioni demoniache, queste stupidaggini lasciamole ai cattolici.
No, loro infestano questo mondo e ci tentano di continuo cercando di
asservirci per farci diventare meretrici
del diavolo. Voi
non volete sporcare la vostra anima, giusto?”
“Assolutamente
no!”
“Se
volete favorire, sarei ben felice di pregare con voi e per voi. Mi
pare di aver capito che lodate spesso il Signore… Ma io vi
inviterei questa volta ad implorare insieme a me il suo perdono
misericordioso e di mantenervi saldo nei principi morali che avete
dimostrato fino ad ora. Mi farebbe molto piacere.”
Ciel
vorrebbe non rispondere, ma non ha scelta. Questa volta non ha
nemmeno bisogno di rivolgere il proprio sguardo a Sebastian, che
continua a rimanere immobile come una statua, come se non avesse
visto o sentito nulla, quando in realtà è proprio il contrario. Il
conte sa che Sebastian ha osservato tutto, che ha ascoltato e che ha
anche intuito molti dei suoi pensieri e forse anche quelli
dell’arcivescovo di Canterbury.
Qui
dentro la cosa che assomiglia di più ad un dio è Sebastian…
“Le
sue parole mi fanno pensare, in effetti è bene essere sempre vigili.
Io credo che al momento pregare sia la cosa migliore, come sempre, e
sono ben felice di dividere questo momento insieme a voi. Che
l’Altissimo perdoni le mie mancanze e mi aiuti a restare sul buon
cammino…”
CXX
Le litanie di Satana
Oh
tu che sei il più bello e il più sapiente degli Angeli,
Dio
tradito dalla sorte e spogliato da ogni lode,
Satana,
abbi pietà del mia lunga miseria!
Oh
Principe dell’esilio a cui è stato fatto torto,
e
che ti rialzi, vinto, sempre più forte,
Satana,
abbi pietà del mia lunga miseria!
Tu
che conosci ogni cosa, grande re del sottosuolo,
guaritore
abituale delle angosce umane,
Satana,
abbi pietà del mia lunga miseria!
Tu
che anche ai lebbrosi, ai paria maledetti,
per
mezzo dell’amore insegni il gusto del Paradiso,
Satana,
abbi pietà del mia lunga miseria!
Tu
che dalla Morte, tua vecchia e forte amante,
generasti
quella Speranza folle e seducente,
Satana,
abbi pietà del mia lunga miseria!
Tu
che dai al proscritto lo sguardo calmo e altero,
che
danna un popolo intero attorno ad un patibolo,
Satana,
abbi pietà del mia lunga miseria!
Tu
che sai in quali angoli delle terre invidiose
Dio,
geloso, ha nascosto le gemme preziose,
Satana,
abbi pietà del mia lunga miseria!
Tu,
il cui occhio limpido conosce i profondi arsenali
In
cui dorme sepolto il popolo dei metalli,
Satana,
abbi pietà del mia lunga miseria!
Tu,
la cui lunga mano nasconde i precipizi
Al
sonnambulo errante sul bordo degli edifici
Satana,
abbi pietà del mia lunga miseria!
Tu
che, magicamente, addolcisci le vecchie ossa
Del
nottambulo ubriaco calpestato dai cavalli
Satana,
abbi pietà del mia lunga miseria!
Tu
che, per consolare l’uomo debole che soffre,
ci
insegni a mischiare il salnitro e lo zolfo,
Satana,
abbi pietà del mia lunga miseria!
Tu
che imprimi il tuo marchio, complice sottile,
sulla
fronte dell’impietoso e vile Creso,
Satana,
abbi pietà del mia lunga miseria!
Tu
che poni negli occhi e nel cuore delle ragazze
Il
culto della piaga e l’amore per i cenci,
Satana,
abbi pietà del mia lunga miseria!
Sostegno
degli esuli, luce degli inventori,
confessore
degli impiccati e dei cospiratori,
Satana,
abbi pietà del mia lunga miseria!
Padre
adottivo di coloro che con nera furia
Dio
Padre ha cacciato dal paradiso terrestre,
Satana,
abbi pietà del mia lunga miseria!
Preghiera
Gloria
e lode a te, o Satana, nell’alto
dei
Cieli, dove tu regnasti, e nelle profondità
dell’Inferno,
dove tu, vinto, sogni in silenzio!
Fa’
che un giorno la mia anima, sotto l’Albero della Scienza,
si
riposi presso di te, nell’ora che sulla tua fronte
i
suoi rami s’intrecceranno come un nuovo Tempio!
“Mio
Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati…”
C’è
un ragazzo in ginocchio nella cappella privata di Edward White
Benson. Un genuflesso contrito, la cui figura infantile pare eterea,
appena rischiarata dal raggio freddo che penetra da una finestra
ogivale, unica luce verdastra in quell’angusto luogo sacro
semibuio, la cui aria è fumosa e densa a causa degli incensi che
liberano volute bianche e pigre da un piccolo altare. E’ bello il
penitente lord Phantomhive osservato dai gioiosi cherubini dipinti
sulle pareti. I loro visetti paffuti lo fissano incuriositi.
Tiene
le mani giunte appoggiate sulla fronte, le dita pallide incrociate
strette appena tremanti, ha una voce arrochita e febbrile. Sembra
perso in un fervore mistico, ma il suo maggiordomo lo conosce troppo
bene: è brava a fingere la sua deliziosa piccola ipocrita preda, e
in quel momento la sua estasi apparente è causata solo dal pensiero
dolce della vendetta verso i suoi aguzzini… Unita probabilmente al
dolore pungente che martirizza le sue ginocchia puntellate sul
pavimento di marmo da più di venti minuti.
Sebastian
Michaelis è appoggiato allo stipite della porta d’entrata del
luogo sacro reggendo il cappotto, la mantella in pelo di volpe e il
cilindro del suo padrone. Sogghigna lievemente.
“Perché
peccando ho meritato i tuoi castighi…”
La
voce del conte sembra incrinarsi leggermente mentre pronuncia quella
litania carica di significato. Persino Benson se ne accorge, e al
servitore non sfugge l’angolo rugoso del suo labbro tremare
leggermente per poi piegarsi in un sorriso soddisfatto.
Come
se il signorino ci credesse davvero… Oh no, lui non ha paura delle
punizioni di Dio, sta solo fingendo di umiliarsi e supplicare il
perdono per i suoi peccatucci veniali… Pensieri impuri su lady
Middleford, abbigliamento provocatorio, mi viene da ridere! Queste
sarebbero le sue più grandi colpe? La verità è, mio caro Benson,
che lord Phantomhive è un blasfemo, e lui ci sputa sulle tue
preghierine da quattro soldi.
L’idea
che l’arcivescovo pensi di sapere tutto quando in realtà non sa
niente è divertente.
Se potesse provare qualcosa di vagamente simile ad un sentimento
umano sarebbe sicuramente compassione per lui.
Benson
è inginocchiato a sua volta davanti al conte e gli tiene una mano
sul capo, guardandolo dall’alto in basso, serio in viso, rapito
dalla voce angelica e piena di cordoglio di Ciel, che scandisce
parole che paiono un balsamo per le sue venerande orecchie.
“E
ancor più perché peccando ho offeso te, tu che sei infinitamente
buono e degno di essere amato sopra ogni cosa…”
Ti
piace la voce del signorino? Ha un timbro ingenuo e dolce, piace
tanto anche a me. Tutta via le sue preghiere sono bestemmie, ma tu
questo non puoi nemmeno immaginarlo, e come potresti? Il conte ha
un’anima pura, ma anche colma di odio. La sua apparenza è
ingannevole, la sua immoralità ti sconvolgerebbe. Ti stai beando
dell’Atto di Dolore vomitato dalla bocca del più empio dei
peccatori, quello che si è venduto al Diavolo rinunciando per sempre
a quel Signore che lo guardava soffrire senza soccorrerlo,
completamente sordo al suo martirio… L’ho fatto io però, io gli
ho teso la mano, io me lo porterò via. Niente può redimerlo o
salvarlo dalla mia morsa. Niente.
Ciel
Phantomhive mi appartiene.
Il
ragazzo si ferma emettendo un sospiro. Si agita per cercare di
cambiare posizione, per trovarne una più confortevole muovendosi sui
propri talloni, per cambiare il punto in cui le rotule sporgenti
toccano il pavimento, inutilmente. Addirittura abbassa le mani
distratto, sciogliendo le dita dall’intreccio nell’impellenza di
cercare un poco di sollievo, ansimando come in preda alle febbri,
mentre l’arcivescovo non si scompone. La sua molle mano chiazzata
dalla vecchiaia rimane ferma tra i suoi capelli scuri e fini,
imponendogli quella posa insensata.
“Continuate,
non abbiamo finito con la preghiera, dovete fare penitenza.
Continuate.”
Sebastian
ha fatto solo un passo avanti prima di fermarsi, di fronte alla mano
di Ciel che scatta aperta nella sua direzione per bloccarlo. Il suo
palmo è tremante è coperto da una patina traslucida di sudore, e il
suo sguardo… Lo sguardo dell’occhio blu è tagliente come una
lama e gli ordina di non muoversi. Perché il signorino ci pensa da
solo, il signorino deve finire di compiacere quel vecchio laido con
le sue paroline colme di devozione, e magari tra qualche tempo gli
ordinerà di strappargli il cuore dal petto a mani nude ricordandosi
di questo piccolo teatrino che lo ha costretto ad inscenare. Questo è
l’odio che Sebastian brama, quello che vede ogni maledetta volta
sgorgare da quell’iride spietata. Per questo il demone si ferma e
continua ad osservare… Da dentro. Il
diavolo è dentro la casa di Dio.
“Propongo
con il tuo santo aiuto di non offenderti mai più… E di sfuggire
alle occasioni prossime di peccato. Signore… - il suo lamento torna
straziante, disperato, salendo di un’ottava – Signore,
misericordia… Perdonami! Perdonami! Abbi pietà di me!”
Quando
divorerò il signorino, vorrei sentire quelle grida rivolte a me…
Che soddisfazione, le supplice al proprio demoniaco boia che consuma
lentamente la sua carne e i suoi nervi annegandolo in un dolore
insostenibile senza tuttavia provocarne la morte…
“Abbi
pietà di noi, Signore mio Dio, di me e del qui presente lord
Phantomhive: una folla di spiriti maligni ci insidia e le nostre
carni sono deboli. Strappa il tuo servo Ciel dalle mani dei suoi
nemici, restagli accanto, cercalo se si perde, riportalo a te dopo
averlo trovato e non abbandonarlo, così che egli possa piacerti in
tutto e riconoscere che lo hai redento con mano potente. Per Cristo
nostro Signore. Amen.”
“Amen.”
Povero
illuso… Sei patetico, arcivescovo, le tue parole sono vuote. Lord
Phantomhive non può essermi portato via… Lui ha scelto me…
“Dio
di misericordia e sorgente di ogni bontà, tu hai voluto che il
figlio tuo subisse per noi il supplizio della croce per liberarci dal
potere del nostro mortale nemico. Guarda con benevolenza
l’umiliazione del tuo giovane figlio Ciel e il suo dolore:
conservalo nella purezza, aiutalo a vincere l’assalto del Maligno e
riempilo della grazia della tua benedizione. Per Cristo nostro
Signore. Amen.”
“Amen.”
Sebastian
Michaelis pensa che Ciel Phantomhive sia la preda migliore con cui
abbia mai redatto un contratto.
CIX
- La distruzione
Incessantemente
vicino a me si agita il Demonio;
e
mi vagola attorno come un’aria impalpabile;
io
l’inghiotto e sento che mi brucia i polmoni
e
mi riempie di un desiderio eterno e colpevole.
Conoscendo
il mio grande amore per l’Arte, prende, qualche volta,
le
sembianze della più seducente delle donne,
e
con speciosi pretesti da ipocrita
avvezza
le mie labbra ai filtri più infami.
Mi
porta lontano dallo sguardo di Dio,
ansante,
spezzato dalla stanchezza nel mezzo
delle
profonde e deserte piane della Noia,
e
getta sui miei occhi confusi
vesti
lordate, ferite aperte,
e
tutto il sanguinante apparato della Distruzione!
Le
mani di Sebastian Michaelis sono rapide nello sbottonare il cappotto
del suo padrone. Appena Ciel è entrato nel palazzo togliendosi il
cappello le sue guance si sono infiammate di colpo, ed ora bruciano.
Girandosi verso un grosso specchio incorniciato da vetri di murano di
forme floreali vede le proprie gote rosse come melograni, disseminate
di finissimi capillari esplosi a causa della violenta escursione
termica tra l’esterno gelido e l’interno della magione mantenuta
calda dai caminetti che i suoi servitori hanno alimentato in sua
assenza. Il suo bisogno di spogliarsi per ricevere un poco di
sollievo è impellente, tanto che non riesce ad attendere che le dita
abili del maggiordomo finiscano di far passare i grossi bottoni
laccati di nero nelle asole: stizzito, con un movimento scoordinato
prova a sfilarsi la manica destra arrivando al solo risultato di
incastrarci il gomito in una posizione ridicola. La mano serrata
attorno ad una piccola fiala trasparente fa fatica a passare, e al
giovane conte non resta altro da fare che divincolarsi mugolando
inviperito.
Il
sudore forma fastidiosi rivoli collosi sulla sua nuca, sulla sua
schiena, sotto le ascelle, le scapole, e su tutta la lunghezza della
colonna vertebrale, i quali lasceranno sicuramente degli antiestetici
aloni fradici sulla propria camicia a contatto diretto con la pelle
grondante.
Con
la coda dell’occhio coglie immediatamente il ghigno divertito di
Sebastian che osserva quella sua maldestra e tragicomica danza.
“Aiutami,
idiota! Non stare lì impalato, sto morendo di caldo qui dentro!”
strilla il conte continuando a divincolarsi in preda all’agitazione.
“Se
la smettete di dimenarvi come un ossesso in questo modo sarebbe più
facile… Aspettate, state fermo così.”
Finalmente
Ciel si libera di scatto dalla stretta impertinente del cappotto
lasciandolo nella mani del servitore. Non si volta nemmeno a
guardarlo e si dirige a grandi falcate imperiose verso una dormeuse
addossata ad una parete. Il rumore secco e ritmico dei suoi tacchi
crea una lieve eco che rimbomba nell’ampio ingresso. Si siede sulla
seduta imbottita ricoperta da una stoffa damascata blu e dorata, e
inizia a rigirarsi tra le mani l’oggetto che non ha lasciato
fin’ora. La verità è che non sa ancora bene cosa farsene della
piccola ampolla trasparente colma di acqua santa, lo sgradito regalo
che gli ha lasciato l’arcivescovo di Canterbury per benedire il suo
palazzo.
Sciocchezze!
Sono solo stupidaggini, Sebastian glielo assicura di continuo!
Se
penso a quanto mi ha umiliato tenendomi lì a pregare genuflesso…
Ho le ginocchia tutte tumefatte! Gli piaceva vedermi così, a quel
sadico depravato… Io sono circondato da questi pervertiti che
pensano di potermi sottomettere solo per la mia apparenza… Ma
Benson può star certo che al primo intralcio gliela farò pagare
cara… Lo farò strisciare implorando la pietà del mio diavolo!
“Sebastian!
Avvicinati!”
Non
ha nemmeno il tempo di terminare l’ordine che il demone si accosta
inginocchiandosi di fronte a lui e tenendosi una mano sul petto. I
loro occhi sono alla stessa pericolosa altezza.
“Questa
roba… Non può farti del male, vero?”
Curiosità.
Ancora quella voglia irrefrenabile di certezza, di sapere di essere
al sicuro. E’ bruciante, soffocante, la sua iride cerulea
s’illumina d’ardore. La voce rassicurante, bassa e vellutata di
Sebastian gli provoca brividi piacevoli in tutto il corpo.
“E’
solo acqua, signorino, niente di più.”
“Voglio
esserne sicuro.”
“Prego,
allora.”
Il
giovane lord svita il tappo della fiala e versa un po’ del
contenuto sul proprio palmo. La sua mano delicata e pallida si alza
mollemente e sfiora impacciata il viso dell’altro, lo accarezza
appena con movimenti lenti, in cui vi si può leggere quasi del
timore. La sua pelle è talmente fredda… Eppure morbida. La sente
scorrere sotto la punta dei polpastrelli che lasciano sottili tracce
umide su quel viso armonioso. Passa dalla guancia sinistra alla
fronte, poi sul naso, la gota destra e le labbra.
“E’
solo acqua, vedete?”
“Solo
acqua… Solo della stupida acqua…”
“E
le preghiere solo parole. Non possono allontanarmi da voi né l’acqua
né le parole. Anche se oggi aveste urlato le vostre suppliche
rivolte al cielo fino a svuotare i polmoni, se la vostra disperata
richiesta di perdono fosse stata entusiasmata da un autentico
pentimento, ormai è troppo tardi. Io la mia ricompensa la
pretendo, e farò
qualsiasi cosa per ottenerla. Urlate a Dio quanto volete… Non
potete scappare da me…”
Che
belle labbra ha Sebastian… Le schiude appena, lasciando penetrare
di poco le dita del conte nella sua bocca.
Io
non fuggirò. Il mio inferno l’ho scelto consapevolmente.
“Io
ti voglio al mio fianco fino alla morte… Non deludermi mai. -
Asserisce Ciel scuro in viso – Tu sei consacrato a me… Mi
appartieni.”
Sono
un sacrilego… Sto forse battezzando il mio demone? Se solo tu
potessi vedermi, Benson… Sono io la meretrice del diavolo… Guarda
cosa fa il mio demone per me, guarda come lo tocco! Io non lo temo…
Io non temo il mio mostruoso splendido carnefice! Perché io sono
peggiore di lui… Noi umani siamo peggiori di loro!
“Sebastian,
promettimelo… Segnami quando sarà il momento… Che sia indelebile
nella mia anima… Io non ho paura di te…”
Il
servitore non risponde subito. Permette alle dita del suo padrone di
fuoriuscire dalle sue labbra e attende socchiudendo gli occhi in
un’espressione languida.
“Yes,
my lord.”
Ciel
continua il percorso invisibile sul suo volto accarezzandogli
nuovamente una guancia, avvertendo una sensazione bizzarra,
sbagliata.
Acqua
benedetta e saliva di demone…
Un
filo tendineo percorre il suo ventre dall’inguine all’ombelico e
gli provoca una sensazione dolorosamente piacevole… Così umana,
accentuata dal soffio maligno di Sebastian.
“Non
avete paura di me adesso. Chissà se ne avrete quando arriverà quel
momento…”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** IV - Affamato e amorevole ***
IV
– Affamato e amorevole
XXXI
Il Vampiro
O
tu, che come un coltello
sei
penetrata nel mio cuore in lacrime;
tu
che forte come un branco
di
demoni, venisti, folle ed abbellita
a
fare del mio spirito umiliato
il
tuo letto e il tuo regno;
-
Infame a cui sono legato
come
il forzato alla catena,
come
il giocatore testardo al gioco,
come
l’ubriaco alla bottiglia,
come
i vermi alla carogna,
-
Maledetta, che tu sia maledetta!
Ho
pregato la veloce lama
di
farmi riconquistare la libertà,
e
ho detto al perfido veleno
di
soccorrere la mia viltà.
Ahimè!
Il veleno e la lama
m’hanno
disdegnato e m’hanno detto:
“Tu
non sei degno di venir sottratto
alla
tua maledetta schiavitù,
imbecille!
Se i nostri sforzi
ti
liberassero da quel dominio,
i
tuoi stessi baci resusciterebbero
il
cadavere del tuo vampiro!”
Il
suo sguardo è chino. Sembra arrabbiato, corrucciato, eppure è
primavera.
Tutto
intorno alla magione sono sbocciati i fiori, la luce dorata di
mezzodì che entra dalle vetrate della sala da pranzo ne illumina i
colori accesi: le dorature del grosso tavolo in tipico stile inglese
accompagnato dalle sedie foderate di lampasso ciclamino, le appliques
metalliche verdastre che formano sostegni fioriti alle candele al
momento spente che si raccordano perfettamente al soffitto
completamente affrescato. Risplendono di vita i trompe
l’œil
architettonici e le scene di caccia! Sono talmente lucidi da sembrare
veri i manti di fagiani, galli forcelli, beccacce, starne, chiurli,
pernici bianche e rosse, galli cedroni e allodole, alcuni razzolanti
in uno sfondo bucolico, ed altri sul muro,cadaveri appesi come se
fossero vera selvaggina pronta per un immaginario banchetto. Sopra la
porta d’entrata una Diana armata di arco e vestita solo con un
drappeggio ocra insegue un flessuoso daino.
E’
primavera ovunque e per tutti evidentemente, tranne che per il
signorino.
Sebastian
Michaelis lo osserva mentre cammina lentamente trasportando un
carrello colmo di pietanze. Non ne è stupito, quella che legge è la
sua solita espressione tutt’altro che gioviale, che non accenna a
rallegrarsi nemmeno davanti al centro tavola che ha composto quella
mattina il maggiordomo stesso, utilizzando una grossa brocca di
cristallo a forma di anfora ellenica a collo distinto e riempiendola
di narcisi e rose borgogna e color corallo, fiori che Finnian ha
inavvertitamente strappato durante le cure al giardino e che il
demone ha deciso di riutilizzare in quel modo per adornare sia la
tavola che la giacca del conte stesso: un grosso bocciolo di rosa
rosso scuro si staglia ben assicurato all’occhiello della giacca di
velluto amaranto, ma quel fiore frivolo urta violentemente con il
malumore cesellato sul suo viso pallido e fine, incorniciato da una
benda nera sull’occhio destro. Sebastian è costretto ad ammettere
che purtroppo il suo piccolo tocco floreale dona un’aria
decisamente grottesca alla sua figura scontrosa. Ma il fragile Ciel
Phantomhive non è quasi mai di buonumore… Ormai ci è abituato,
potrebbe ammettere tranquillamente gli piace vederlo così, con le
sopracciglia aggrottate e il labbro inferiore insolente serrato tra
gli incisivi.
“Vi
ho fatto aspettare troppo per il pranzo? – chiede con tono
rispettoso posizionandosi alla sua sinistra – Sembrate nervoso,
signorino, è per caso successo qualcosa mentre andavo a prendere il
vostro pasto?”
“No,
non ho nemmeno guardato che ora sia.” Afferma Ciel con tono
petulante alzando una mano coperta da un fine guanto in pizzo
Chantilly nero e agitandola indolente davanti al volto.
“Bene,
sarebbe stato da parte mia un comportamento imperdonabile.”
“Il
fatto è che non ho fame. ”
“A
metà mattinata avete preteso che io vi servissi una seconda porzione
di RedVelvet e io vi avevo avvertito che vi avrebbe saziato. Non
avete voluto ascoltarmi.”
“Non
importa, non importa. – continua il giovane sventolando per la
seconda volta una mano molle davanti al viso come per scacciare un
insetto fastidioso ed invisibile – Vediamo cosa mi hai preparato.”
Oh,
ma come siete bugiardo… Ne avete mangiata troppa di quella torta,
vi siete ingozzato propria davanti a me come un’oca all’ingrasso,
lì seduto sulla vostra bella scrivania dondolando i piedi tutto
soddisfatto, leccandovi anche le dita sporche di panna con un’avidità
che pochi sanno esprimere come voi. Credete che io non vi abbia
sentito? Il mio udito è ben più fine del vostro, così come il mio
olfatto. L’odore ripugnante del vostro vomito arrivava fino alla
cucina. E’ strano pensare che una bambolina tanto graziosa quale
siete sia capace di generare una sostanza tanto maleodorante e di
emettere quei bavosi gorgoglii. Non capisco tuttavia perché me lo
teniate nascosto, avete spesso rimesso in mia presenza… A me non
interessa certo la lordura rigurgitata dal vostro corpo delicato, la
mia attrazione per voi trascende la materialità, la mera percezione
sensoriale umana. E quello che provo gli uomini non potranno mai
capirlo davvero, la mia preda può solo affidarsi alle mie parole,
proprio come dite di fare voi...
Sebastian
si limita ad annuire, lasciandosi sfuggire un lieve sorriso pensando
alla verità dei fatti, posando sulla tavola la prima pietanza. Una
cupola metallica la copre alla vista, ne conserva la fragranza e la
protegge. Il maggiordomo la solleva subito dopo mostrandone il
prelibato contenuto ben posizionato sul piatto in ceramica dal bordo
impreziosito da decori in monocromo color seppia, che alternano
articolati arabeschi a piccoli quadranti raffiguranti due cavalli in
corsa in una radura. Fa parte di un servizio Callepton&Sons
che non è di certo il più pregiato all’interno della magione, ma
più che sufficiente per un pasto solitario del padrone di casa. Il
colore si intona perfettamente con il centrotavola, con la rosa che
inizia a pendere intristita per la mancanza di linfa vitale puntata
all’occhiello del signorino, al suo umore corrucciato. Umore
color seppia
è una bella definizione.
“Per
antipasto oggi vi propongo dei canapésdi
foie
gras
in crosta con salsa di limone, sperando che sia di vostro
gradimento.”
L’unica
risposta che riceve è un sospiro d’irritazione e uno sguardo
annoiato interminabile. E’ così evidente che il suo piccolo e
presuntuoso padrone non sia soddisfatto alla vista del suo pranzo…
Lo vede da come abbassa il capo, da come afferra svogliato la
forchetta e il coltello d’argento e inizia a tagliare i canapés
in pezzi minuscoli con lentezza esacerbante.
Certo,
se gli avesse portato un pasto leggero si sarebbe adirato, il
padroncino, gli avrebbe chiesto spiegazioni, si sarebbe infuriato
accusandolo di cercare di affamarlo. No, un lauto pasto non deve mai
mancare sotto il suo nobile naso, e poco importa se ogni volta sono
più gli avanzi che finiscono nei rifiuti rispetto a quello che mette
nello stomaco. Ciel si crogiola nelle consuetudini dilapidatrici
della propria nobiltà sprezzante, assuefatto al gusto dolce della
megalomania, e poco gli importa se con le eccedenze dei suoi tre
pasti principali potrebbe nutrire un’intera famiglia operaia per
qualche giorno. Non sta a Sebastian giudicare una tale condotta,
anzi, la alimenta con il proprio impeccabile servizio, assecondando i
suoi capricci egoisti. Lord Phantomhive manca di qualsiasi residuo di
misericordia e altruismo, gli sono stati strappati via da mani luride
e crudeli. Ma il diavolo non può che compiacersi dei suoi aguzzini,
delle sevizie e dello stupro che gli hanno permesso di incatenare a
sé un’anima tanto speciale, d’intraprendere quell’amabile
patimento che è il contratto con il giovane conte, il martire
dannato, soave nella sua verginità deflorata.
Quando
sono stato evocato ho avvertito il profumo squisito della vostra
sofferenza, la sofferenza di un innocente, di un’anima pura… Vi
prometto vi farò sprigionare un aroma ancora più forte,
torturandovi con lentezza e non mi fermerò fino a che non
raggiungerete un parossismo estatico… Facendovi provare un tale
strazio che nessuna mano umana sarebbe in grado di causarvi.
Le
posate stridono sulla porcellana. Il conte si sta impegnando a
provocare quel suono di proposito, indubbiamente… E quando
finalmente si decide a mettere in bocca una piccola porzione di
pietanza ormai distrutta e ridotta ad un informe poltiglia rosata di
foie
gras
e crosta di pane la mastica lento, ingoiando a fatica.
Mangia
nauseato, riduce l’antipasto ad un pastone per animali da cortile,
lo guarda come se gli avessi servito un bel piatto di merda
fumanteinvece di una pregiata pietanza francese. Forse un giorno
dovrei provare a servirgliela sul serio, la merda,
al mio piccolo despota capriccioso, tanto la sua faccia disgustata
sarebbe la medesima. Sarebbe divertente, ma un insulto del genere si
potrebbe considerare da parte mia una violazione del nostro patto a
tutti gli effetti. E’ quasi un peccato.
“Qualcosa
non va, signorino?”
Sapete
come viene fatto il foie
gras?
La tortura che deve subire una povera oca affinché il suo fegato
diventi la delizia che state mangiando? Credo che sia una pietanza
crudele che ben si adatta alla vostra personalità…
Fame.
La
fame mi divora, e non posso farci niente. Vi ricordate come ci si
sente quando si è affamati, o ve lo siete già dimenticato?
“Ti
ho detto che non ho fame. In che lingua te lo devo dire?”
E’
proprio bella quella vostra boccuccia arrogante mentre sbocconcella
quella roba… Mi viene voglia di morderla, di serrare il vostro
labbro inferiore tra i denti e strapparlo via.
Fame.
Oh
Ciel, siete troppo egoista ed ingenuo per capire… Rivolterei il
vostro apparato digerente come un calzino, e godrei nel vedere i
vostri bei dentini bianchi sporchi di schiuma rossastra che vi cola
giù per il mento…
Fame.
Squarciarvi
il ventre e vedere i vostri viscidi intestini che traboccano sul
pavimento, agnellino da macello, e poi scuoiarvi vivo lembo a lembo,
godendomi la melodia delle vostre urla. Sarete pure l’erede di un
lignaggio prestigioso, ma un altisonante titolo nobiliare non cambia
il fatto che sotto quella sensibile pelle d’alabastro siete solo un
piccolo e puzzolente sacco di organi, e dentro il piccolo e
puzzolente sacco di organi c’è il mio di pasto, la mia ricompensa.
Il resto lo lascerò in regalo ai vermi e alle mosche, saranno loro a
finire di banchettare con i vostri aristocratici visceri.
Fame.
La fame è proprio una sensazione terribile.
“Basta,
non ne voglio più.”
Il
conte lascia cadere le posate sul piatto in mezzo a quella triste
mistura che non assomiglia nemmeno più ad un antipasto.
Diligente,
Sebastian non muta la sua espressione mentre scosta la stoviglia e
subito ne appoggia un’altra al suo posto, e non si scompone nemmeno
quando il suo padrone arriccia violentemente il naso.
“Come
portata principale ho pensato di servirvi un filetto di puledro
rigorosamente al sangue, insaporito con alloro e pepe nero.”
“Sono
sazio, Sebastian.”
“Con
tutto il rispetto, ho scelto appositamente il taglio migliore che ho
trovato, quello che mi sembrava più tenero e appetibile. Potreste
almeno assaggiarlo, ho sentito dire che la carne equina irrobustisce
i muscoli e fa buon sangue, sarebbe un vero toccasana per la vostra
salute.”
“Smettila
con queste idiozie, mi sembra di sentir parlare la zia Angelina. E se
c’è una cosa che non mi manca di lei sono i suoi consigli non
richiesti.”
“In
realtà lo ha detto Baldroy questa mattina quando sono tornato e ho
preso il controllo della cucina prima che si cimentasse in uno dei
suoi disastri trasformandola in un campo di battaglia… Oggi mi ha
dato l’impressione di essere, come dire, più carburato
del solito, ma credo sia la primavera. Tutta la servitù è
incontenibile a pensarci bene. Non vi dico Finnian quanto fosse di
buon umore, mentre potava i roseti, o almeno, mentre ci provava. E
Meirin… Oh, lasciamo perdere, non voglio imbarazzarvi raccontandovi
i suoi teatrini quando l’ho aiutata mentre stava finendo per terra
tenendo in mano una montagna di biancheria pulita.”
“Per
quanto siano ineccepibili nel difendere le mie proprietà dai
malintenzionati, si dimostrano sempre dei completi incapaci nelle
incombenze quotidiane. Devi tenerli d’occhio, non voglio vedere la
mia magione messa a soqquadro da quei tre incompetenti. Cerca di dare
un freno alla loro eccitazione, o ti considererò responsabile di
ogni loro guaio. In particolare per quanto riguarda Meirin… Per
fortuna che non hai bisogno di dormire, non sarei stupito se prima o
poi te la ritrovassi nascosta tra le lenzuola.”
“Suvvia,
Meirin è una fanciulla maldestra e molto timida, il gesto più
spregiudicato che potrebbe compiere quella sciocchina nei miei
confronti è aggrapparsi a me mentre incespica nei suoi stessi
piedi…”
“Io
ho l’impressione che inciampi un po’ troppe volte quando tu sei
nei paraggi, lo sai anche tu che è più furba di quanto sembri. Ti
proibisco nel modo più assoluto di darle troppa confidenza e di
assecondare la sua stupida infatuazione nei tuoi confronti. E’ già
abbastanza inutile così come domestica, non oso immaginare se
dovesse restare incinta, dato che non sono così sicuro che tu non
sia in grado di ingravidare una donna, e mi irriterebbe parecchio
scoprirlo in questo modo. Oltretutto agli occhi della buona società
sarei io il responsabile, dovrei trattarlo come il figlio illegittimo
di due svergognati membri della mia servitù su cui non ho vigilato
abbastanza, peso che sarei costretto ad accogliere sotto il mio
stesso tetto, a cui dovrei dare da mangiare, da vestire, un minimo di
istruzione ed educazione del tutto a mie spese, nell’attesa che
diventi abbastanza grande perché possa assolvere una qualche
mansione… E che magari ripagherebbe il mio buon cuore creando
scompiglio con qualche strano potere demoniaco, facendomi rimpiangere
di non averti ordinato di buttarlo nel Tamigi appena venuto al mondo.
No, non ho nessuna intenzione di accollarmi il mantenimento di un
vostro eventuale mostriciattolo.”
“Direi
che siete stato più che trasparente su questo argomento, signorino,
ma dovreste sapere che non dovrete preoccuparvi mai di nulla del
genere, le vostre sono supposizioni fantasiose suggerite dal vostro
livore... Adesso non distraetevi più e mangiate quella carne.
Saranno dieci minuti che è lì davanti a voi e non avete fatto altro
che parlare.”
“Sebastian…
Non credo che tu sia nella posizione di potermi dare degli ordini.”
Ciel
si appoggia allo schienale della sedia lasciandosi scivolare in
avanti e incrocia le braccia sul petto, sbuffando sonoramente,
sdegnato. Tuttavia, poco dopo Sebastian vede un lieve sorriso
dipingersi sul suo volto.
“Perché
non te lo mangi tu?”
Il
maggiordomo si trattiene a stento dallo spalancare gli occhi. Il
padroncino riesce di tanto in tanto a spiazzarlo, non lo può negare.
Per questo è così
interessante,
come un piatto dal sapore agrodolce.
“Davvero,
Sebastian, ha un’aria deliziosa, assaggia. Prendi una forchetta.”
“Al
contrario di quanto accade alla servitù, a quanto pare la primavera
non vi rende meno irascibile. Se state però cercando di innervosirmi
di proposito perché volete sfogare su di me le vostre frustrazioni,
vi informo che non ci riuscirete con metodi tanto banali, accusandomi
dapprima di compiacere volontariamente gli appetiti di un’ingenua
cameriera, e infine offrendomi del cibo che sapete perfettamente non
essere in grado di appagare la mia dolorosa fame, mentre la vostra
anima succulenta è così spaventosamente vicina. – risponde il
maggiordomo sorridendo nella maniera più amabile possibile –
Dunque, ditemi… Perché siete tanto arrabbiato? Perché state
trasformando un semplice pranzo solitario in un numero da circo di
dubbio gusto? Posso aiutarvi in qualche modo a sentirvi meglio? Sono
qui per servirvi, chiedetemi qualsiasi cosa e io vi accontenterò.”
Il
viso del giovane si acciglia nuovamente. Tace, abbassa lo sguardo,
emette dalle narici un piccolo soffio risentito e ingoia un nodo di
saliva. Tutto compunto, afferra le posate pulite e incomincia a
tagliare il filetto di puledro. La carne è di un vivace cremisi,
trasudante di sangue, talmente tenera che il coltello vi scivola
attraverso come se fosse burro. Ne mangia un primo boccone, lo
mastica lentamente, per poi passare ad un secondo e ad un terzo,
mentre il silenzio lo avvolge. Un impertinente stilla vermiglia tutto
d’un tratto cola dall’angolo sinistro della sua bocca e costringe
il conte ad asciugarla con un movimento rapido e nervoso.
“Non
mi sento molto bene. Ho la nausea da questa mattina, non mi dà
tregua.” Confessa coprendosi la bocca con il tovagliolo finendo di
masticare.
“Lo
so.”
“Mi
hai sentito, vero?”
“Avevate
dei dubbi?”
“No,
certo che no. – risponde laconico alzando le spalle - E’ stata
tutta colpa di quella torta, mi sono lasciato andare.”
“Posso
rinnovare il mio invito a rivelarmi cosa posso fare per alleviare il
vostro malessere?”
“Ho
bisogno di riposare almeno finché non mi passa questo maledetto
voltastomaco. Avverti quei tre buoni a nulla che oggi sono indisposto
e non voglio sentire rumori molesti né essere importunato, che non
entrino nella mia camera per nessun motivo.”
“Provvederò
a tenerli impegnati in attività poco pericolose il più lontano
possibile da voi.”
“No,
non hai capito un bel niente. Che sia Tanaka a sorvegliarli, tu
starai con me. Questo è un ordine, Sebastian.”
Che
bizzarra richiesta, ma Ciel Phantomhive ci sguazza nella stravaganza.
“Yes,
my lord.”
Fame.
La
fame mi renderà fin troppo crudele con il mio bel signorino.
LXIII
Lo Spettro
Come
gli angeli dall’occhio fulvo,
tornerò
nella tua alcova
e
scivolerò silenzioso verso di te
con
le ombre della notte;
E
ti darò, o mia bruna,
baci
freddi come la luna
e
le carezze di un serpente
che
striscia attorno alla fossa.
Quando
giungerà il livido mattino,
troverai
il mio posto vuoto
e
resterà freddo fino alla sera.
C’è
chi usa la tenerezza,
ma
io regnerò sulla tua vita
e
la tua giovinezza con il terrore!
Il
corpo di Ciel Phantomhive è fiaccamente adagiato contro il busto del
suo maggiordomo. Il suo braccio destro circonda le sue spalle larghe,
le gambette scarne sono abbandonate sul copriletto, le testa è
nascosta contro il suo petto, come se i raggi solari potessero ferire
quel suo intenso occhio blu. Non si è nemmeno fatto togliere le
scarpette ornate da un fiocco nero.
Pesa
come un passerotto, questo Sebastian non può fare a meno di pensarlo
tutte le volte che gli capita di tenerlo tra le braccia per un
qualche motivo. Così piccolo e fragile, eppure nello stesso tempo
sfrontato e risoluto, nell’insieme stuzzicante... Il demone
affamato è cosciente di sottoporsi ad una tortura insana e non può
esimersi dall’elogiarsi intimamente della propria capacità di
controllo.
Cosa
ci vorrebbe a lasciarmi andare? Mi basterebbe sporgermi appena in
avanti e affondare le zanne nella sua nuca, stringere le fauci fino a
fargli schioccare le vertebre cervicali… Solo un assaggio… No…
Un assaggio lo ucciderebbe, non posso spezzargli il collo in questo
modo. Io sono un demone di parola… Un patto è un patto…
La
stanza del conte è silenziosa, la porta è chiusa a chiave.
Il
demone abbassa la testa lentamente socchiudendo gli occhi diventati
tutto d’un tratto ferini, le sue labbra lambiscono la nuca
profumata del giovane, sfiorandolo con quello che potrebbe quasi
essere un bacio. La sua cute è morbida e sottile, tanto sensibile
che basta quel soffio affinché si copra di brividi…
“Sebastian…
Io lo so cosa stai pensando, e allora dimmi… Dimmi com’è la tua
fame.”
“Oh,
la mia fame non potreste nemmeno immaginarla.” Gli sussurra a fior
di pelle, prima di sollevare di nuovo il capo, sorridendo.
“Tu
descrivimela. Provaci.”
“E’
una sensazione che non mi abbandona mai, io non mangio da troppo
tempo. Per spiegarlo in termini umani… Sento i miei visceri
contrarsi, come se avessi i crampi, crampi fisici, crampi spirituali…
Non è un semplice bisogno fisiologico come per voi umani, è
qualcosa di molto più intimo, difficile da controllare... Avete
ancora mal di stomaco?”
Ciel
annuisce. La mano destra di Sebastian si accosta lentamente al suo
ventre iniziando a sbottonare la giacca. La rosa borgogna puntata
all’occhiello è ormai sciupata, i petali malandati si sono tutti
sgualciti.
“Più
siete vicino a me e più è faticoso trattenermi. Per non parlare di
quando siete ferito o piangete… Il sangue e le lacrime sono
particolarmente appetitose per noi demoni, ogni vostro fluido
corporeo è una nettare allettante che mi attrae e mi tenta.”
“Quindi
anche adesso avresti voglia di farmi del male, vero?”
Dopo
la giacca è il turno della camicia. I bottoni fuoriescono
velocemente dalle asole.
“Non
vi posso certo mentire, quindi sì, ho una gran voglia di
assaporarvi…”
“E
come mi divoreresti?”
“Volete
davvero saperlo?”
“Sì.
Voglio che mi racconti le tue fantasie. Sai che non ho paura di te.”
La
stoffa scostata offre finalmente alla vista di Sebastian una porzione
dell’addome del suo padrone: un ventre pallido, glabro, asciutto,
appena incavato, incorniciato da un bacino stretto. Posa il palmo
della mano appena al di sopra dell’ombelico, iniziando a
massaggiare con lievi movimenti circolari, lenti e calcolati,
premendo sulla carne con la punta dei polpastrelli.
“Potrei
affondare la mia mano nella vostra pancia e nemmeno ve ne
accorgereste. E vorrei tanto poterlo fare, non illudetevi. Mi
piacerebbe squartarvi ed eviscerarvi qui sul letto, come si fa con le
bestie nei macelli, in modo graduale per evitare un vostro attacco
d’asma, sarebbe disdicevole vedervi morire così.”
“E
poi?”
La
voce del giovane lord è estatica. Potrebbe fermarlo, eppure non si
oppone, anzi, pare godere appieno di quelle gradevoli carezze e di
quelle parole terribili. Addirittura appoggia una mano sul suo polso,
come per incitarlo a continuare, a premere di più sul suo tenero
corpicino. E come lo guarda… Il suo è lo sguardo di un figlio che
assapora avido le attenzioni di un genitore, di una madre amorevole
di cui sente la mancanza.
Era
questa la cura di lady Phantomhive per il mal di stomaco del suo
adorato figlioletto dalla salute cagionevole? Che donna ingenua… Mi
piacerebbe poterla incontrare solo per mostrarle cos’è diventato
il suo dolce bambino e a quale destino ha scelto di andare incontro
consegnandosi a me…
“E
poi aspetterei che il dolore raggiunga l’acme, e appena prima della
perdita dei sensi inizierei a mangiarvi. Vorrei che ne foste del
tutto cosciente, che avvertiste per bene la consunzione della vostra
anima.”
Fosse
un gatto farebbe le fusa. E poi c’è ancora qualcuno che non si
rende conto di quanto sia straordinario Ciel Phantomhive… Io gli
dico come vorrei ucciderlo al momento ed egli se ne compiace, ma non
certo per follia… Sa perfettamente che io non posso fare nulla
contro di lui per ora… Solo accarezzare questo suo stomaco dolente,
appagarlo fisicamente.
L’occhio
del padroncino inizia a socchiudersi, è sul punto di addormentarsi.
Sebastian sente le spinte regolari del diaframma contro il palmo ad
ogni suo pacato respiro.
Vi
mancano i vostri genitori? Siete troppo orgoglioso per ammettere di
sentire il bisogno di un gesto affettuoso nei vostri confronti… Che
cosa cerca un ragazzino con il mal di stomaco, se non qualche carezza
e un poco di conforto? Mi avete praticamente supplicato con lo
sguardo di coccolarvi il pancino… Sapere che sono legato a voi da
questa mia fame smaniosa vi tranquillizza, ne sono sicuro senza che
me lo confessiate. Del resto avete solo me di cui fidarvi ciecamente,
mi avete dato un aspetto che vi ricorda vostro padre… State
pensando che io sia Vincent Phantomhive, mentre vi assopite? Ma sì,
ma sì, sicuramente è così! Povero, povero piccolo sfortunato Ciel,
cucciolo solo e disperato, che mostra a tutti i suoi dentini da latte
cercando di fare paura…
“Sogni
d’oro, piccolino… Amore di mamma e papà…”
Il
giovane lord non si scompone al sussurro soffiato nel suo orecchio.
Dorme, con le labbra umide di saliva leggermente schiuse, sibilando
piano nell’espirazione.
Sebastian
Michaelis sogghigna pensando a ciò che è appena successo.
Fame.
La
fame mi renderà fin troppo crudele con il mio bel signorino.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3493719
|