Fantasy.exe

di superpoltix
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non pensavo fosse un virus ***
Capitolo 2: *** Il caldo ci ha forse dato alla testa? ***
Capitolo 3: *** Ho... uno gnomo nei capelli?! ***
Capitolo 4: *** Perché diavolo c'è un Autogrill nella foresta?! ***
Capitolo 5: *** Come sconfiggere un Autogrill a colpi di pulcino Pio ***
Capitolo 6: *** Simpatico incontro con un simpatico lupo ***
Capitolo 7: *** Basta salti, vi prego. ***
Capitolo 8: *** Il deserto gioca brutti scherzi ***
Capitolo 9: *** Eccomi da sola soletta nella mia solitudine ***
Capitolo 10: *** Si aggiunge un nuovo membro al duo di svitati ***
Capitolo 11: *** Un personaggio perduto ***
Capitolo 12: *** Avventure tra le montagne gelate ***
Capitolo 13: *** Virginia ***
Capitolo 14: *** Come fuggire a un mostro di neve gigante (facendosi travolgere da una valanga) ***
Capitolo 15: *** Cosa devo fare se un T-rex mi guarda male? ***
Capitolo 16: *** Un nuovo obbiettivo ***



Capitolo 1
*** Non pensavo fosse un virus ***


Rodrigo era un ragazzo a posto. Aveva ventisette anni e un sogno nel cassetto. Non fumava, non si drogava, non beveva. Andava in palestra due volte alla settimana, il lunedì e il venerdì, e andava a lavorare in bicicletta. Faceva il dipendente in una ditta per la distribuzione di acqua e gas. Un giorno però, decise di comprare una schedina del gratta e vinci, senza sapere che gli avrebbe cambiato la vita per sempre. Perché quella, era la schedina vincente. Più felice che mai uscì di corsa dal tabacchino per acchiappare al volo la bicicletta e andare subito a dirlo a tutti i suoi amici e parenti. Poi, una macchina lo investì e Rodrigo morì.”

Federico mi guardò in silenzio per un lungo istante. Quel giorno avevo deciso di scrivere qualcosa di mai visto prima, qualcosa di epico, di figo. Poi però, c’era stata la verifica di latino, e i miei pochi neuroni alla vista di tutte quelle frasi da tradurre si erano rapidamente dati all’ippica nei pressi della Latveria.
-Penso…- incominciò, incredibilmente cauto nello scegliere i termini con cui esprimersi –che il criceto che corre nella ruota dentro la testa di Daniele riesca a scrivere meglio.- Ah, ecco. Probabilmente era stato sul punto di dire qualcosa di più carino, ma poi si era ricordato chi era.
Annuii mesta. Era da fin troppo tempo che non riuscivo a scrivere qualcosa di decente. Babu, il mio povero cervellino a forma di rapa, doveva essere davvero sfinito dalla scuola. Ormai anche le mie battute stavano iniziando a essere sempre più spesse. Non che prima non lo fossero. –È che sono in crisi.- dissi, accasciandomi sulla scrivania e fissando lo schermo del pc -È da ere che non mi viene nessuna bella trama in mente.- sospirai sconsolata –Credo di avere il blocco dello scrittore.- Diedi una testata alla scrivania, e le millanta cianfrusaglie sparse lì sopra e in precario stato di equilibrio ebbero i sudori freddi.
-Non me ne parlare- mugolò lui –è da secoli che non scrivo un horror decente.-
Gettai una rapida occhiata alle pile di fogli accanto a noi. La calligrafia zampettante e incerta di Federico si arrampicava lungo tutte le pagine. “Il mistero della Nutella mannara” e “La gallina che soffriva d’insonnia” mi balzarono prepotentemente davanti agli occhi. Povero Fede, anche lui era in piena crisi. Gli appoggia una mano sul braccio, e ci scambiammo un triste sguardo.
-Sarebbe bello riuscire a scrivere una storia insieme.-
Lui mi guardò come se avessi appena vomitato il cadavere ancora perfettamente conservato di Steve Jobs. –Cos’hai detto?-
Oh, l’avevo detto ad alta voce? Beh, a volte capita. Infondo quando si ha il cervello intasato di “is, ea, id” e altre cagate latine è normale che i pensieri cerchino un’altra via per esprimersi. –Stavo pensando…-
-Aspetta, aspetta!- prese a gesticolare animatamente per non farmi proseguire –TU, sai pensare?-
Sorrisi gelidamente. Era una battuta più vecchia della mia professoressa di scienze, e simpatica quanto quella di arte. –DICEVO, stavo pensando, che se riuscissimo a mettere insieme un po’ delle mie idee con un po’ delle tue idee, magari verrebbe fuori qualcosa di guardabile!-
Lo sguardo di Federico si illuminò tutto d’un tratto. Insospettita, mi voltai verso la finestra alle mie spalle e all’improvviso tutto diventò chiaro.
Adesso, prima che vi dica che cosa stavamo guardando, ho l’obbligo di spiegare un paio di cosette. Prima di tutto mi presento, che sennò faccio la figura della maleducata. Sono Andrea Libero, ho quattordici anni e sono una ragazza. Sì, lo so a cosa state pensando “ahahahah questa qui si chiama Andrea Libero ed è una femmina ahahahahah LOL ics di di di”. Beh, come biasimarvi, lo penserei anche io se fossi in voi. Ad ogni modo, a me il mio nome piace e anche il mio cognome, perciò prendetemi in giro come volete, tanto qui non troverete ciccia per gatti. Torniamo alle cose serie però. In quel momento ero a casa mia, in camera mia, piazzata davanti alla scrivania con Federico al seduto sulla sedia accanto a me. Federico Allegri è un mio amico e andiamo nella stessa sfortunatissima classe, la 1^D. Per capire il perché dello “sfortunatissima” basta soltanto vedere l'accostamento del numero con la lettera. Lui è seduto nel banco davanti e a destra rispetto al mio. È simpatico, alto, magro, con una massa di capelli talmente sexy che sembra un carciofo e porta gli occhiali da riposo. Ha il classico aspetto dello studente distratto, mezzo nerd e da quattro d'inglese. Quel giorno era venuto da me per aiutarmi a selezionare la storia che avevo scritto in maniera più... leggibile in mezzo a tutto il ciarpame di documenti di Open Office che avevo nel computer, e dato che siamo masochisti e ci vogliamo molto male, si era portato dietro anche tutte i suoi racconti su carta, in modo da trascrivere i più belli sul pc. Ci tengo molto a sottolineare che noi due siamo ed eravamo solo amici, e che quel pomeriggio non aveva alcun fine secondario, nonostante i miei non fossero a casa. Bene, adesso dovete sapere che la finestra di camera mia dà proprio sulla finestra del bagno della casa di fronte, e, manco farlo apposta, proprio nella casa di fronte abitava una bella ragazza bionda, una di quelle che non ha niente da invidiare a nessun'altra. Perciò potete ben capire il motivo dell'improvvisa illuminazione di Federico, che casualmente, stava guardando proprio in quella direzione.
-Stavi dicendo?- si riscosse di colpo tornando a guardarmi, con un sorriso imbarazzato sulle labbra.
Io però stavo ancora cercando di riprendermi dallo shock subito, e non riuscii a formulare alcuna risposta che non fosse un “gah”.
-Andrea? Tutto bene?-
-Eh? Sì, certo! Bene! Benimissimo!- saltai su spaventata -Non stavo mica guardando una tizia nuda che entrava nella doccia! No, no affatto! Come potrebbe saltarmi in mente?-
-Nooooooo, mica...- scosse la testa e alzò le mani -neanche io, per niente.-
Mi sentivo la faccia andare a fuoco. Mi girai dall'altra parte, ma i miei occhi rividero la finestra malefica e arrossii ancora di più, se possibile. Nascosi la testa tra le braccia. -Aaaaaaaaaaargh! Levatemi quell'immagine dalla testaaaaa!- mi afferrai il capo e iniziai a shakerarmi a destra e a sinistra. Federico lanciò un urlo e dopo aver afferrato due matite e averle messe in modo da formare una croce cominciò a recitare rapidamente la formula di esorcizzazione.
-Non! Sono! Posseduta!- scandii, sbattendogli un pugno in testa ad ogni parola.
-Ahio...- si massaggiò la testa, appoggiando le matite sul tavolo -hai una mente davvero perver--
Gli lanciai il portatile in testa. Lui cadde a terra con l'impronta del mio pc stampata su una guancia.
-Sigh... perché ho accettato il tuo invito...- si toccò il viso e sobbalzò. -Questo ha fatto davvero male...-
Fui assalita dai sensi di colpa. -Scusami scusami! Non volevo... cioè, veramente volevo, ma non così forte!- balbettai, chinandomi su di lui.
-Andrea...- disse sofferente -mi stai schiacciando il fegato...-
Tolsi immediatamente il mio ginocchio da sopra di lui. -Ops.- Mi passai una mano dietro la testa, imbarazzata.
Federico si sedette sul tappeto e mi fissò in silenzio. Io ero inginocchiata davanti a lui, e in quella posizione eravamo alla stessa altezza. Senza sapere bene perché, ci guardammo negli occhi per un lungo istante. Poi scoppiai a ridere, seguita da lui.
-Ogni volta che qualcuno mi guarda si mette a ridere- fece lui, sorridendo -devo proprio avere una faccia buffa.-
Io risi ancora di più. -No, no. In realtà gli altri ti guardano e pensano “ è uno scherzo vero?”-
Federico diventò improvvisamente serio, e io risi ancora di più. Sì, sono una che ride mooooolto facilmente.
-Come se tu fossi una persona normale.-
-Ma io NON sono una persona normale!-
Si passò una mano tra i capelli. -Eh eh, già...- schizzò sulla sedia -comunque, non avevamo un lavoro da fare?-
Mi rimisi a sedere e raccolsi il computer da terra. -Uh, sì, sì!- esclamai -trascriviamo la tua storia “Il gatto randagio”?-
-D'accordo!- annuì lui, sbalzando i suoi poveri capelli da una parte all'altra. -Allora... dove l'ho messo?- si chinò e frugò nella pila di fogli accanto ai suoi piedi.
Lo osservai per qualche secondo con un sopraccigli alzato, indecisa tra il dargli un coppino epocale sul collo o rivelargli che il foglio che stava cercando era appoggiato sulla scrivania, poi alzai le spalle e mi concentrai sullo schermo del portatile, che nel frattempo aveva aperto circa quarantaduemila pagine contemporaneamente. Ho sempre sospettato che il mio pc abbia una volontà proprio e che cerchi sempre di boicottarmi. Dev'essere un complotto degli illuminati! (citazione necessaria) Iniziai a chiudere una ad una tutte le varie pagine che aveva aperto, quando una catturò la mia attenzione.
-Ehi Fede! Guarda qui!- chiamai, tirando il mio amico per un braccio.
Lui scattò su come una molla e guardò il computer. -Uh? Cos'è?- strizzò gli occhi per leggere meglio. Quella testa di carciofo non si era di nuovo messa gli occhiali.
-”Vuoi scrivere un libro ma non hai ispirazione? Clicca qui per scoprire come vincere il blocco dello scrittore!”- lessi. Poi guardai Federico. -Secondo te è un virus?-
Non rispose subito. -Ce l'hai un antivirus?-
-Sì.-
-E allora clicca.- allungò una mano e cliccò al posto mio.
-Ehi! Dovevo farlo io!- mi lamentai, ma poi la mia attenzione venne di nuovo catturata dallo schermo del computer. Una strana musichetta si levò dalle casse del pc, mentre una pagina dal bizzarro sfondo lugubre si apriva.
Una grossa scritta e vari link comparvero uno dopo l'altro. Noi osservavamo il computer come se fosse un alieno verde a pois fucsia.
-Ehm...- Federico sembrava a corto di parole.
-Beh, almeno non è un virus! Credo...- avvicinai la faccia allo schermo, per studiarlo meglio.
-UAAAAAAA!- l'immagine di un mostro orribile comparve all'improvviso, insieme ad un grido innaturale. Lanciai uno strillo acuto e caddi all'indietro dallo spavento.
Federico sobbalzò appena. -”Trollolol”- lesse ad alta voce.
Mi rialzai da terra, ancora traumatizzata. -Che razza di scherzi...- piagnucolai -ucciderò il tipo che ha creato questo sito.-
-Però c'è un bel po' di roba interessante...- il mio amico fece scorrere la pagina verso il basso.
Osservai ciò che aveva attirato la sua attenzione. -Gah!- esclamai -non siamo qui per questo!- mi riappropriai del computer, cambiando immediatamente il link che aveva cliccato. -E poi sarei io quella perversa...- borbottai.
Lui prese a gesticolare in modo divertente. -Eeeeh... non è colpa mia! Era lì davanti... mi tentava... diceva “cliccami Federicooooo.... cliccamiii....”-
Lo guardai male. -Certo.- sorrisi alla vista di una scritta. -Andiamo a dare un'occhiata nel genere fantastico?-
-Secondo me era meglio l'altro... ma andiamoci!- scrollò le spalle con fare indifferente.
Cliccai il link con una mossa decisa del dito. La musichetta s'interruppe per un breve istante, per poi ricominciare dall'inizio.
Il lugubre sfondo della pagina cominciò a ruotare su se stesso.
-Woooh...- lo seguii con gli occhi -mi fa venire il mal di mare...-
-Sì, effettivamente è un po' nauseante.- commentò Federico. -Sta caricando... speriamo che questo stupido coso non imploda.-
Continuai a seguire la rotazione dello sfondo, nonostante mi venisse la nausea. Quella strana musichetta iniziò a penetrarmi sempre più nel cervello.
-Tararan tarataratan tan tan...- canticchiò Federico, facendo ciondolare la testa da una parte all'altra.
Mi sentii la testa sempre più pesante, e gli occhi mi si iniziarono a incrociare a furia di guardare lo schermo. -Tatatan tatatan tan tan.- Senza rendermene conto iniziai a canticchiare anche io. L'immagine divenne sempre più chiara finché lo schermo del computer non divenne totalmente bianco. Chiusi gli occhi per ripararmi dall'improvvisa luce. Mi bruciavano. Li sfregai un poco, cercando di alleviare il fastidio. La strana musichetta si era fermata. Riaprii gli occhi lentamente.
-Ma che cazz..?- l'esclamazione di sorpresa di Federico anticipò il mio sbigottimento.
Non eravamo in camera. O almeno, non me la ricordavo così grande, piena di alberi e umida. Abbassai lo sguardo. I miei piedi erano nel bel mezzo di una schifosa fanghiglia grigiastra. Sfiorai una liana, penzolante dal ramo di un albero.
-Giuro che io la mia cameretta l'avevo riordinata ieri.- restai in silenzio un istante. Poi scoppiai a ridere.
-Ma tu ridi sempre?!- esclamò Federico, esasperato.
-È una risata isterica... eh eh...- lo fissai, con un sorriso da psicopatica. -Ora qualcuno mi spiega cosa sta succedendo.-
-Non lo so...- si guardò intorno sconcertato. Poi mi si avvicinò e mi sfiorò il braccio con la mano. -Dì, sei sicura che non fosse un virus?-

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Capitolo 2
*** Il caldo ci ha forse dato alla testa? ***


Alzai un piede dal disgustoso marciume che mi sommergeva fino alle caviglie e la fanghiglia produsse un vomitevole risucchio. Feci una smorfia disgustata. Sì, lo ammetto, non sono mai stata un'amante della pulizia, ma quello schifo era davvero... bleah. Federico mosse qualche passo davanti a sé, cercando di non lasciarci le scarpe. Era piuttosto buffo vederlo camminare facendo ampi gesti con le braccia come se volesse volare e alzando i le gambe così in alto da rischiare di piantarsi un ginocchio in bocca. I suoi indomabili capelli ondeggiavano sulla sua testa sfidando ogni legge di gravità.
-Ehm- disse, voltandosi a guardarmi -che si fa adesso?-
-Ah, non lo so- risposi, alzando le mani -non sono né Dio né Bear Grills.-
-Perché “Dio”?-
-Boh, così, per sport.- lo raggiunsi strascicando i piedi. Mi sentivo le calze completamente inzuppate, e fidatevi, non è una bella sensazione. -Tu invece?-
-Beh, neanch'io.-
Risi scuotendo la testa e battendogli una pacca sulla spalla. -Questo lo sapevo. Intendevo, tu invece che pensi che dobbiamo fare?- scossi un po' la maglietta che mi si era appiccicata alla pelle.
-Boh. Magari potremo ballare la macarena.- scrollò le spalle. Il suo iniziale sbigottimento aveva lasciato spazio a una tranquilla indifferenza.
-Oh, sì certo. Ovvio che stupida!- mi battei una mano sulla fronte -perché non ci ho pensato subito?-
-Già infatti, lo sanno tutti che la prima cosa che si deve fare dopo che ci si è ritrovati in una giungla-palude-checazzoè dispersa chissà dove è ballare la macarena!- portò le braccia davanti a sé e iniziò a ballare. Io intonai con un mezzo sorriso il ritornello.
-Eeeeee macarena!- gridò Federico, saltando e schizzando fango dappertutto.
Balzai all'indietro nel vano tentativo di schivare l'ondata. -Sei un vero genio, Fede.- borbottai, guardando torvamente i pantaloni chiazzati di lerciume.
Lui fece un inchino, sorridendo soddisfatto. -Grazie, grazie.- si asciugò una finta lacrima da un occhio -Sono commosso.-
-Se se.- gli tirai un'altra pacca sulla spalla -andiamo, va'.- iniziai ad avanzare, incespicando tra la fanghiglia.
-E dove?- domandò lui, incuriosito.
-Non lo so- risposi -ma non voglio restare tutto il giorno con i piedi a mollo in 'sto schifo.-
-Giusto.- si mise velocemente al mio fianco, stando ben attento a non scivolare.
Cavolo se era scivolosa, quella roba. E quel che era peggio, era che ricopriva tutto il terreno intorno a noi, per quanto riuscissi a vedere. Gli alberi crescevano direttamente dal fango, fitti e intricati come non ne avevo mai visti. Avevano le forme, i colori e le posizioni più bizzarre, ad esempio uno era cresciuto direttamente dal tronco di un altro, in orizzontale e perfettamente parallelo al terreno, avvolgendo con le sue possenti radici l'altro albero. L'aria era umida, calda e pesante, come se ci avessero avvolti in un piumone appena lavato dentro una pentola in ebollizione in pieno luglio. Oltre ad avere le scarpe e le calze intasate di quella roba grigiastra, ero completamente ricoperta di sudore. Mi sentivo la maglietta bagnata e incollata alla schiena, ma la cosa peggiore erano le gambe: ho sempre odiato sentirmi i polpacci e le cosce umide. È una sensazione che davvero non sopporto. Per di più quando ti suda la schiena, il sudore tende sempre a colarti giù per la colonna vertebrale fino al... ehm, fondoschiena e ti si inzuppano sempre le mutande. E chi non odia avere le mutande bagnate? Perciò la combo di piedi, mutande e gambe umide, assieme al fatto di essere sperduti in chissà che buco dimenticato da Dio e al caldo da foresta amazzonica, mandò a farsi benedire anche gli ultimi neuroni reduci che erano nel mio cervello.
-Ehi Fede... guarda quell'albero. Non ti ricorda qualcosa?- domandai, indicando una grassa pianta alla nostra sinistra.
-Cosa?- sembrò improvvisamente riscuotersi dai suoi pensieri e ritornare con i piedi per terra. Pardon, nel fango...
-Massì dai... quello là!- lo tirai per la manica della maglia e glielo mostrai nuovamente.
Federico lo osservò attentamente, e io riuscii quasi a vedere gli ingranaggi del suo cervello mettersi in moto. -Veramente... non mi ricorda niente...- sembrò esitare, come se si stesse trattenendo ad aggiungere qualcosa.
-Guardalo bene... è luuungo...- mi fermai a guardare la sua faccia con un sorrisetto deliziato. Lui ricambiava lo sguardo con la sua tipica faccia da “WHAT A FUCK”.
-Ehr...-
Ridacchiai. -Che sexy...-
-Ti senti bene Andrea?-
Risi più forte. -No.-
Si allontanò da me il più in fretta possibile, scoccandomi varie occhiate scioccate e sospettose.
-Sembri traumatizzato. Sei traumatizzato?- inclinai la testa da una parte.
-Tu mi traumatizzi!- esclamò lui -che non sei normale okay, l'avevo già capito, ma non potresti almeno sforzarti di fingere di esserlo?-
-Nu.- saltellai fino a lui schizzando ovunque. Mi sentivo la mente incredibilmente leggera. Gli afferrai un braccio.
-Pa-pi-no!- sillabai sorridendo. Nel nostro gruppetto di amici della nostra classe avevamo stabilito tutta un'intricata parentela, e secondo l'albero genealogico che avevo riportato sul mio diario, Federico era mio padre. Non so come mi fosse venuta in testa in un momento come quello.
-Ehm... sì, sì...- scrollò il braccio tentando di liberarsi della mia presa. -Molla l'osso, figlia!-
Lo lasciai andare sogghignando. Mi era venuta un'inspiegabile voglia di tormentarlo. Iniziai a pungolarlo con un dito nei fianchi. Lui cominciò a contorcersi per evitarmi.
-Uuuhh...!- esclamò dopo una schivata da premio nobel -meglio di matrix!-
Presi lo slancio per dargli una spinta, ma scivolai nella fanghiglia e ruzzolai a terra, con somma gioia della mia maglietta bianca. Cercai di aggrapparmi alla prima cosa che vidi (i pantaloni di Fede), ma quella non resse, e finii per fare un bagno nella melma. Chi non avrebbe desiderato farlo?
-Ehi!- protestò Federico, acchiappandosi al volo i jeans prima che mettessero in bella mostra le sue mutande con le barchette (poi capirete il perché so com'erano le sue mutande). -Attenta a dove metti le mani!-
Fissai raggelata la disgustosa poltiglia che era a meno di due centimetri di distanza dal mio naso. Grazie al cielo ero caduta con le mani in avanti ed ero riuscita ad evitarmi una bella lavata di faccia con quella meravigliosa sostanza da voltastomaco. Mi rialzai e scrollai le mani cercando vanamente di pulirle, con una smorfia disgustata. -Quello che hai detto potrebbe suonare molto perverso.-
-Lo so.- vedendomi avvicinare a lui, indietreggiò.
Lo acchiappai per la maglia e cercai di ripulirmi le mani su di lui, ma mi bloccò al volo afferrandomi saldamente per i polsi.
-Non ci provare nemmeno!-
-Sì invece! Devi pagare per quello che hai fatto!-
-Ma se non ho fatto niente!-
-Appunto!- tirai le braccia verso di me il più forte possibile, e quando mi lasciò andare per poco non finii par cadere di nuovo. Lo guardai in cagnesco pronta a dirgliene quattro, ma mi accorsi che stava osservando qualcosa alle mie spalle. Incuriosita, mi voltai a nella direzione del suo sguardo. Proprio davanti a noi, a qualche metro di distanza, una donna ci fissava. Aveva la pelle dello stesso colore spento e morto della cenere, i capelli sciolti erano lunghi, neri e lisci, e le ricadevano delicatamente sulle spalle. Era molto magra, di statura normale, ed era vestita da un semplice abito bianco che le arrivava poco più in basso delle ginocchia. La cosa che mi colpì di più però, non furono i suoi occhi rossi e iniettati di sangue, ma il fatto che fosse scalza: quale razza di depravato mentale se ne andrebbe a spasso in mezzo a quello schifo grigiastro senza scarpe?!
Federico emise una breve esclamazione di sorpresa. Sembrava sbalordito. -Tu...- balbettò -tu...-
Lo donna lo trafisse con il suo profondo sguardo cremisi. Sbatté le palpebre, poi si voltò. Un'altra figura era emersa dalla foresta. Era più alta della donna e completamente vestita di nero. Un cappuccio le copriva il viso e nella mano sinistra stringeva un'enorme falce. Sembrò esaminarci silenziosamente e nonostante l'afa, un brivido mi percorse la spina dorsale. L'incappucciato rivolse la sua attenzione alla donna, e le tese una mano. Alla vista del suo arto mi venne la pelle d'oca. Quella mano era quella di uno scheletro. La donna diede un ultimo sguardo a Federico, poi strinse la mano dello scheletro e insieme scomparvero nella foresta.
Restammo immobili e in silenzio per qualche minuto, incapaci di elaborare qualsiasi pensiero dotato di senso compiuto. Il caldo ci aveva forse dato alla testa? O questo schifoso coso melmoso era un allucinogeno/stupefacente molto potente?
-Uh...- mi schiarii la voce. -Amici tuoi?- domandai, indicando con il pollice il punto in cui erano scomparsi l'incappucciato e la donna.
Federico sembrò risvegliarsi. Si passò una mano tra i capelli, lasciandoli in una perfetta imitazione della capigliatura di Goku. -Io... beh, diciamo che assomigliavano molto a...- sbatté le palpebre, incapace di terminare la frase.
A quel punto realizzai quello che voleva dire. L'immagine perfettamente nitida di un suo disegno mi comparve davanti agli occhi. Rappresentava un uomo incappucciato che impugnava un'imponente falce e una donna vestita di bianco. Erano i personaggi di un breve racconto horror che aveva scritto durante la lezione di matematica. Fissai Federico interdetta. -Ehm, beh...- mi passai una mano sulla nuca. -Credo di aver capito quello che intendi.- mi lanciai alcune occhiate intorno, sospettosa. E se fossero arrivati altri tizi come loro? Non morivo dalla voglia di passare il resto del mio tempo circondata da shinigami e fantasmi, e a giudicare dalla faccia di Federico, neanche lui ne era particolarmente entusiasta.
-Fede...- mi avvicinai a lui allo stesso modo di un cane che si avvicina al proprio padrone dopo essere stato bastonato -...andiamo via di qui.-
-Credo che questa sia la cosa più intelligente che tu abbia detto da quando siamo arrivati qui.- sorrise nervosamente e riprese a camminare.
Lo seguii scoccandomi intorno diverse occhiate intimorite. Quella strana foresta stava iniziando ad essere fin troppo lugubre... aprii la bocca dalla sorpresa e spalancai gli occhi. Lugubre come l'immagine di sfondo di quello stramaledettissimo sito! Adesso che ci pensavo, era proprio raffigurata una foresta! Ma ricordavo anche non c'era solo quella, c'era ance dell'altro... ma cosa?
-Lo sfondo.- Federico si fermò di colpo e mi guardò dritto negli occhi. -È questo posto vero?-
Doveva averlo pensato anche lui. -Sì.- risposi -e quei tizi di prima erano... i tuoi...loro.-
Abbassò lo sguardo sulle sue scarpe. -Già.- sembrava che la cosa lo turbasse assai. Riprese a camminare.
D'altronde, come biasimarlo? Suppongo che anche io avrei avuto la sua stessa reazione sbigottita e incredula. Come poteva delle persone inesistenti, create solo dalla tua fantasia, esistere veramente? E come potevamo essere... entrati dentro quel sito? Mi lanciai altre occhiate furtive alle spalle. C'era qualcun altro qui oltre a noi? Altre persone nate dalla nostra testa o anche altri poveri cristi come noi? Mi aggrappai inconsciamente alla manica della maglia di Federico. Nonostante non lo dimostrassi, in realtà ero, e sono, una gran fifona. Lui stranamente non ci fece caso, e continuò a camminare imperterrito. Chissà dove stavamo andando. Stavamo uscendo dalla foresta o ci stavamo addentrando sempre di più dentro di essa? Come saremmo tornati a casa?
-Fede...- mormorai.
Lui mi guardò. -Che c'è?- sorrise -il mio braccio non è abbastanza comodo?-
Gli lasciai andare il braccio. -...ho paura.- fu incredibilmente difficile ammetterlo. Non mi era mai piaciuto dire agli altri come mi sentivo.
-E di cosa? Cosa ci potrebbe essere di tanto spaventoso in una foresta piena di fantasmi?- si guardò intorno come se non capisse quello che intendevo.
Sorrisi. -Hai ragione, che stupida. Al massimo potremmo morire ammazzati, niente di che.
-Eh.- Federico fece un cenno con la testa. -Qui ci sta una bella macarena.-
Feci un piccolo saltello per tirargli un coppino. Non fece nemmeno lo sforzo di spostarsi, e lasciò che lo colpissi. Adesso la foresta non mi sembrava più così terribile.
-Guarda che ti aspetto.- si posizionò con le mani dritte davanti a sé.
Lo imitai con un sorriso e le prime note della macarena si levarono allegre risuonando di albero in albero.

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Capitolo 3
*** Ho... uno gnomo nei capelli?! ***


Camminammo per molto tempo. Non so dire esattamente per quanto, né la nostra direzione, ma posso affermare con certezza che non ci fermammo praticamente mai, se non per esaminare qualche strana pianta o per alcuni rumori sospetti. Chiacchierammo per la maggior parte del tragitto, soprattutto della famigerata verifica di quella mattina e di alcuni anime che seguivamo in quel periodo. Mi accorsi di essere stanca e di avere una fame da lupi solo quando la foresta era ormai diventata così buia da non riuscire più a distinguere un albero da Federico. Mi fermai e lo tirai piano per la maglia.
-Sono stanca.- dissi, passandomi un pugno sulla fronte per asciugarmi alcune gocce di sudore -E non ci vedo più dalla fame.-
-Io non ci vedo più e basta- annaspò con le braccia nell'aria davanti a sé. -È troppo buio!-
-Voglio dormire.-
-Prego- Federico indicò con un cenno la melma sotto i nostri piedi -accomodati pure.-
Grugnii malvolentieri. Trovare un posto in cui dormire avrebbe potuto rivelarsi un problema. -Dove possiamo fermarci per la notte?- domandai, più a me stessa che a lui. Mi guardai intorno, ma vidi solo alberi. Ehi, ho detto... alberi?
-Potremmo arrampicarci su un albero!- esclamammo in coro. Ci scambiammo un'occhiata sorpresa e divertita: non capitava molto spesso che avessimo le stesse idee contemporaneamente.
Presi l'iniziativa per prima. Selezionai un grosso albero dal tronco e i rami robusti e mi iniziai ad arrampicare come una scimmia. O un bradipo, fate un po' voi. Ad ogni modo, poco dopo mi ritrovavo a tirare Federico per un braccio nel faticoso tentativo di aiutarlo a salire. Alto com'era avrebbe dovuto essere in cima in un attimo, invece a quanto pare era abbastanza negato ad arrampicarsi.
-Urgh... ti hanno mai detto che dovresti diminuire i carboidrati, Fede?-
Lui si strinse meglio alle mie mani, per evitare di scivolare e cercò di issarsi. -Senti chi parla...-
-Sai, se non ci fossi io a... ugh... tenerti, saresti precipitato in quel bel fanghetto limpido là sotto già da un pezzo... perciò, gnnn, non mi sembri nella posizione adatta per commentare il mio peso!-
Finalmente, con uno strattone degno di Hulk, riuscii a portarlo alla mia altezza. Il problema, fu che nella salita gli si erano impigliati i pantaloni in un ramo, e con l'ultimo strattone Federico era salito, ma le sue braghe erano rimaste giù. Scoppiai a ridere alla vista delle sue mutande blu con le barchette.
-Non guardare!- gridò lui allarmato, cercando di liberare i pantaloni dal ramo malefico.
-Troppo tardi Fede!- risi io, battendomi una pacca sulla coscia. -Belle mutande non c'è che dire.-
-Ti ho detto di non guardare!- liberò i pantaloni e se li tirò su il più in fretta possibile.
-Dove le hai prese? Le voglio anche io!- lo presi in giro, con un sorriso stampato sulla faccia.
-Non c'è niente da ridere! E non le ho scelte io, me le ha comprate mia madre!- si difese lui. Suo malgrado, era leggermente arrossito.
-Ci mancherebbe altro!- esclamai divertita -le madri hanno sempre degli strani gusti nello scegliere vero?-
-Non me lo dire, guarda...- rabbrividì Federico, sedendosi meglio sul ramo su cui eravamo appollaiati. Il rossore era svanito dalle sue guance, ma era ancora visibilmente imbarazzato sebbene tentasse in tutti i modi di nasconderlo.
Improvvisamente, mi domandai come avessi le mutande. Incuriosita, abbassai leggermente i pantaloni da un lato, sotto lo sguardo stranito del mio amico. Argh, avevo quelle bianche a pallini blu. Mi ritirai su i pantaloni e ci misi sopra la maglietta con noncuranza, mentre Fede continuava a guardarmi come se mi fosse caduto un folletto sulla testa.
-Ehm...- il ragazzo sbatté un paio di volte le palpebre, senza saper bene cosa dire. -Come dire... Andrea...- si passò una mano sui capelli, sparandoli ancora più in aria di quanto già non fossero.
-Cosa?- chiesi. Solo perché avevo controllato che mutande avevo non significava che fossi completamente fuori di testa. Anche se un po' effettivamente lo sono.
-Beh... hai uno gnomo nei capelli.- mi fissò intrecciando le dita delle mani e posandole sulle gambe incrociate.
-Ah!- esclamai -ecco. Ho un gnomo nei capelli.- Sorrisi. Era solo per quello? E io che credevo fosse per le mutande! Poi mi irrigidii. -Aspetta, uno gnomo?- mi passai una mano sulla testa e afferrai alla cieca qualcosa di piccolo e vivo. Quello emise uno strillo acuto e cominciò a divincolarsi.
Osservai basita il minuscolo esserino, poco più grande della mia mano, cercare di liberarsi dalla mia presa.
-Lasciami!- strillò agitando convulsamente braccia e gambe nel vuoto -non sono un peluche!-
Lo mollai di scatto, e lo gnomo cadde malamente sul ramo. Si rialzò quasi immediatamente con un'agilità sorprendente e ci guardò contrariato. -Che modi!- borbottò. Poi gettò un'occhiataccia a Federico. -E per tua informazione, non sono uno gnomo!- incrociò le braccia e lo squadrò dal basso verso l'alto. -Ma che te lo dico a fare? Non mi sembri per niente sveglio.- girò la testa dall'altra parte, altezzoso.
Fede ne sembrò offeso. -E me lo dice uno che è poco più alto di un insetto? Non mi sempre nella posizione adatta per parlare.-
Ignorai il fatto che il mio amico aveva ricopiato la frase che di avevo detto poco prima e fissai l'esserino a bocca aperta.
-E se non sei uno gnomo cosa sei? Un elfo?- Fede lo guardò male.
-Un elfo?! Ehi, vacci piano con gli insulti!- con un agile salto spiccò il volo e fu alla sua stessa altezza -Io sono un custode! Possibile che lo debba ripetere sempre a chiunque? Nessuno ha un po' di buonsenso qui?- si guardò in giro come se si aspettasse di veder comparire qualcuno. -Ah... a quanto pare no.-
-Tu... tu...- balbettai.
Il piccoletto si girò a guardarmi. -Beh? Giochi al telefono occupato?-
-Tu sei Fidia!- esclamai, al massimo dello stupore. Anche lui sembrò sorpreso.
-Oh- disse portandosi una mano alla nuca -beh, sì. Sono io. Non pensavo di essere così famoso.- mi sorrise.
-Aspettate un attimo- intervenne Federico -voi due vi conoscete?- non sembrava entusiasta della cosa.
-Più o meno.- mi mordicchiai un labbro -diciamo che... lo conosco come tu conoscevi la tizia di prima.- pregai silenziosamente che capisse quello che intendevo senza dirlo ad alta voce. Non so bene perché, non volevo che Fidia sapesse che io ero la sua creatrice.
-Aaah. Vuoi dire che lui è un tuo personaggio?-
In quel momento, avrei tanto voluto strangolare il mio amico e la sua intelligenza. Ammesso che ne abbia una.
Fidia lo guardò con un sopracciglio alzato. -Eh?-
-Niente!- esclami io. Feci alcuni rapidi segnali subliminali a Fede, per cercare di fargli capire di non toccare quell'argomento, e che se lo avesse fatto sarebbe stato in guai seri.
Il piccolo custode mi osservò in modo strano ed io non resistetti alla tentazione di fissarlo a mia volta. I capelli, di un'improbabile colore aranciato, erano alzati verso l'alto a sfidare la legge di gravità, con alcuni ciuffi che gli ricadevano sull'occhio sinistro. I vispi occhi arancioni brillavano di scaltrezza. Era vestito con una strana tuta azzurra e bianca aderente, che gli dava l'aria di essere appena uscito da un cartone animato.
Poterlo guardare faccia a faccia dal vivo mi fece una strana impressione, che tuttavia non disprezzai affatto. Mi sembrò perfetto in ogni suo difetto, tale e quale io l'avevo sempre immaginato. Credo di essermi sentita come una madre che contempla per la prima volta suo figlio. Orgogliosa. Soddisfatta. Felice.
-Non so.- fece Fidia, scrutandomi corrucciato. Mi volò davanti al naso. -Mi sembra di averti già visto. Bah.- scrollò le spalle.
Federico sembrò sul punto di dire qualcosa, poi però si morse la lingua e stette zitto. Probabilmente fu meglio per lui così.
Il custode mi si posò sulla spalla. -Che sonno.- disse, sbadigliando. -Non ho la più pallida idea di come sia finito qui, ma non m'interessa nemmeno. Voglio solo farmi una bella dormita.- si stiracchiò, rischiando di accecarmi un occhio con un braccio.
Il mio stomaco brontolò sonoramente. -A me piacerebbe anche mangiare qualcosa.-
Fede staccò un rametto dall'albero. -Vuoi? Guarda che è ricco di vitamine, proteine e sali minerali. Ed è anche al cento per cento biologico.-
Feci un sorriso sarcastico. -Lo mangerei volentieri, se solo avessi un po' di Nutella.- mi arrampicai sul ramo più in alto. -Scommetto che con la Nutella è buono.-
Il mio amico mi sorrise. -Qui ci vuole.- si girò a destra e a sinistra come alla ricerca di qualcosa, poi esclamò:- Dov'è la Nutella?!- scoppiammo a ridere entrambi.
-Eh, una citazione al giorno toglie il medico di torno!- spiegò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Mi sdraiai sul ramo e mi girai a pancia in giù, in modo da poter vedere Federico. Fidia mi camminò tranquillamente sulla schiena e ci si accomodò come se fosse un materasso.
-Cerca di non spiaccicarmi mentre dormi- mi raccomandò -ho già avuto modo di provare quell'esperienza, e non è stato particolarmente piacevole.-
Guardai verso il basso. Fede si era sistemato a pancia all'aria con le mani intrecciate dietro la testa, a mo' di cuscino. Stava sorridendo, come sempre. -Schiaccialo da parte mia.- mi disse.
-Ti ho sentito!- gridò di rimando il piccolo custode. -Vedete di non fare troppo rumore, che io voglio dormire.- lo sentii girarsi dall'altra parte.
Mi lasciai sfuggire un sorriso. Quel minuscolo esserino irrispettoso stava scatenando tutta la mia tenerezza verso di lui. Potevo sentire il suo peso sopra le mie vertebre dorsali, e il suo respiro regolare contro la mia pelle. Era bizzarro e piacevole dormire con qualcuno sulla schiena, anche se un po' scomodo dato che non poteva cambiare posizione.
Federico tamburellò con noncuranza le dita sul ramo su cui era sdraiato. Era una vera fortuna che in quella foresta ci fossero degli alberi così grossi.
-Non dormi?- gli domandai a bassa voce, posizionando le mani in un modo più comodo sotto il mento.
-Non ho ancora abbastanza sonno.- diede un paio di colpetti più forti al legno. -Oggi è davvero successo di tutto, eh?-
Ripensai alla donna spettro e allo shinigami. -Di tutto... e di più.- feci una smorfia. -Non mi piace questo posto.-
-Perché no? C'è tutto quello che si possa desiderare: alberi, fango, caldo, umidità...- fece un gesto vago con la mano -è un posto magnifico.-
-Oh, certo- risposi. -L'unica cosa veramente positiva però, è che almeno domani non andremo a scuola.-
-Giusto- sorrise -potremo morire uccisi da chissà quale essere demoniaco in ogni momento, ma almeno non andremo a scuola.-
-Cercavo solo di guardare il lato positivo della nostra situazione.- mi spostai dal bordo del ramo in modo che non mi potesse più vedere, fingendomi offesa.
-Beh,- fece lui dopo un po' -a me non piace Fidia.-
-Perché no?- domandai, incuriosita e divertita, affacciandomi nuovamente dal ramo.
-Ha i capelli più assurdi dei miei.- incrociò le braccia sul petto e mise il broncio, girandosi su un fianco. -Nessuno ha i capelli più assurdi dei miei.-
Ridacchiai piano, ritirandomi di nuovo al centro del ramo. -Solo per i capelli?-
-E a te non piace questo posto solo perché potremmo morire in ogni istante e non tornare mai più a casa?-
Non risposi. Era un buon punto.
Lui non insistette nella converazione e restammo in silenzio per un po', ognuno avvolto nella sua coperta di pensieri. Tornai a pensare a tutto il casino che aveva stravolto la nostra vita alcune ore prima. Se solo in un pomeriggio erano successe tutte quelle cosa, chissà in una giornata intera. Mi rannicchiai contro il tronco e ascoltai il respiro regolare di Fidia sulla mia schiena. Saremmo riusciti a ritornare a casa? E perché Fidia non era restato pochi attimi come la donna spettro di Fede, ma era restato con noi? Sbattei le palpebre e fissai il buio davanti a me. Da qualche parte, un gufo lanciò il suo richiamo. Ci mancavano solo i rumori inquietanti. Mi ritrovai a pensare che quello sarebbe stato il posto perfetto per lo slenderman. Con un brivido, scacciai il pensiero molesto. Se arrivava anche lui eravamo proprio al completo.
Fidia ebbe un piccolo sussulto, e si strinse di più a me.
Beh, se lui, che era grosso come una lattina di birra, non aveva paura e si era già addormentato, perché ne avrei dovuta avere io? Riflettei per qualche secondo su questo interrogativo. Forse perché l'avevo creato completamente incosciente e con complessi di superiorità? Sulle mie labbra aleggiò un sorrisetto. Forse. O forse perché aveva vissuto così tante avventure che una in più non faceva poi questa gran differenza. Sospirai e chiusi gli occhi, decisa a dormire.
-Buonanotte.- dissi a Federico.
A rispondermi, ci fu solo il suo lento e leggero russare. Evidentemente avevo il misterioso potere di far addormentare le persone prima di me. Mi scrocchiai le nocche cercando di far il più silenziosamente possibile, sbadigliai e prima che potessi anche pensare a qualsiasi altra cosa, stavo già dormendo.

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Capitolo 4
*** Perché diavolo c'è un Autogrill nella foresta?! ***


Quando mi svegliai, fu per una bizzarra sensazione di bagnato e fresco che mi avvolgeva. Aprii pigramente un occhio, ancora insonnolita, per capire che diavolo stava succedendo. Ma non appena ci riuscii, schizzai in piedi con uno strillo. Durante la notte ero caduta per terra e ora ero completamente ricoperta da uno schifosissimo strato di fango. Da qualche parte sull'albero in cui avevo dormito ci fu un grido e un tonfo.
-Fede?- chiamai preoccupata -tutto bene?-
Non rispose subito. -Andrea?-
-No, l'uomo nero.-
Sentii altri rumori, come di rami e foglie agitati da una parte all'altra. -Andrea, credo... di aver bisogno di un aiutino.-
Lo cercai con lo sguardo tra i rami. Dove cavolo era? Non era dove l'avevo visto la sera prima. Guardai più in basso. -Dove sei?-
-Qui!- altri rumori di foglie mosse. Abbassai ancora lo sgurdo, finché non lo trovai. Era in qualche modo caduto anche lui, ma non era arrivato fino a terra. I suoi pantaloni si erano incastrati di nuovo in un ramo, trattenendolo in una scomoda posizione a testa in giù e mettendogli di nuovo in bella mostra le mutande.
-Andrea...- mi chiamò di nuovo -non ridere.-
Inutile dire che scoppiai a ridere immediatamente. Mi arrampicai sull'albero senza smettere, e fu piuttosto difficile riuscire a salire con mani e piedi impregnati di quella melma vischiosissima e ridendo. Nonostante tutto però, ci riuscii e arrivai a davanti a lui. Federico si stava inutilmente dimenando nel tentativo di liberarsi. Quando mi vide, mi lanciò un'occhiata supplicante. -Un aiutino?-
-Nessun problema.- gli sorrisi sadicamente e allungai una mano verso il ramo in cui i pantaloni si erano incastrati. Un'idea malvagia si era perfidamente intrufolata nella mia testa.
-Andrea? Che stai... oh, no no no no!- un lampo di spavento gli attraversò di occhi una volta che ebbe capito il mio piano malefico. -Non farlo! Ti prego non...-
Abbassai con forza il ramo, che si ruppe con un sonoro “stock”. Federico precipitò a terra con un grido. Ascoltai con immenso piacere lo “sciaciaf” del suo corpo che affondava nel fango.
La testa di Federico riemerse dalla poltiglia, palesemente sconsolata. -...farlo.- terminò.
Con un sorriso di saltai addosso, e lui per poco non ci lasciò la spina dorsale. -Buongiorno!- lo salutai allegramente.
Lui non provò nemmeno a liberarsi. -Anche a te.- brontolò. -A proposito, ricordi il discorsetto di ieri sul non mangiare carboidrati?-
Ritornai in piedi immediatamente. -Non. Parlarmi. Di. Carboidrati.-
Si rialzò a fatica, scrollandosi (o almeno provandoci) quello schifo appiccicoso di dosso. -Sicuro.-
Gli riservai una delle mie occhiatacce migliori. Poi mi guardai intorno, mentre la mia memoria mi sbraitava insulti in più lingue. Avevo dimenticato l'ultimo membro della nostra combriccola! -Dove accidenti è Fidia?-
Anche Federico sembrò risvegliarsi di colpo. Si guardò in giro perplesso. -Non lo so- disse -non era con te?-
Iniziai a sudare freddo. -Sì, ma io durante la notte sono caduta dall'albero...-
-Cosa? Sei volata giù e non te ne sei accorta?-
-Non c'è niente di divertente!-
L'espressione di Fede trapelava un grosso sforzo per non ridere. -Okay. Okay.- fece un altro sforzo colossale per trattenersi.
-Quindi, se lui stava dormendo sopra di me dovrebbe essere qui da qualche parte giusto?- guardai a terra, in preda all'agitazione. Mille tipi di morti diverse mi passarono davanti agli occhi, come in un film. -Fidiaaaaa!- urlai. -Fidiaaaaaa!-
Il silenzio che seguì fu più terribile di quanto mi fossi aspettata.
-Forse sta dormendo- azzardò Federico. Lo sguardo che gli lanciai fu più eloquente di qualsiasi altra risposta.
-Fidiiiaaaaaaaaaa!- restai nuovamente in silenzio nella speranza di udire una risposta. Niente. -aaaaagh!- afferrai il mio amico per la maglia e iniziai a scuoterlo avanti e indietro per sfogarmi -non startene lì impalato! Aiutami, no?- lo lasciai andare e lui ondeggiò ancora qualche secondo prima di recuperare stabilità.
-Fidiaaaaaaa!-
-Gnomooooooo!-
-Non sono uno gnomo!-
Ci voltammo entrambi di scatto nel sentire quella vivace vocetta indispettita. Fidia ci fissava crucciato, le mani sui fianchi e fermo a mezz'aria. Mi afflosciai dal sollievo. Credevo di averlo perso.
-Fidia! Dove ti eri cacciato?- di domandai, aprendo una mano per farlo atterrare.
Lui si posò sul mio palmo con grazia. -Ah, stavo solo inseguendo un paio di spettri da quella parte. Niente di che.- agitò una mano con noncuranza.
Io e Federico ci scambiammo un'occhiata. Spettri? Spettri? Grandioso! Ci mancavano solo quelli.
Fede tracciò ampi gesti circolari con le braccia. -D'aaaaccordo gente. Qui non abbiamo più nulla da fare. Direi che sarebbe il momento perfettto per ripartire, e magari andare...- si guardò in giro -da quella parte!- e indicò una direzione alla sua destra.
-Ehm, è da quella parte che sono andati di spettri.- fece notare Fidia.
-Allora, da quella parte!- indicò la sua sinistra.
-Fede, lì è da dove siamo venuti.-
-Va bene!- esclamò esasperato, alzando di occhi e le mani al cielo -va bene! Decidete voi!-
Mi trattenni dal ridere. Poi guardai Fidia. -Da che parte si va?-
Il piccoletto ci pensò su un attimo, poi si batté un pugno sul palmo della mano. -Di là!- disse, e volò dritto davanti a loro.
-Ah, perfetto.- bofonchiò il mio amico, incrociando le braccia e seguendolo malvolentieri -adesso mettiamo pure le nostre vite in mano a uno gnomo.-
-NON SONO UNO GNOMO!-
Sorrisi sotto i baffi e mi affrettai a raggiungerli. Federico stava agitando mani e braccia verso il piccolo esserino volante per cercare di colpirlo o spiaccicarlo. Fidia invece svolazzava e si destreggiava in numerose contorsioni e acrobazie per sfuggirgli.
-Dai, fate i bravi voi due.- spintonai scherzosamente il mio amico e di indirizzai un'occhiatina ammiccante.
-Na-ah.- il custode scosse l'indice e la testa contemporaneamente. -Non sei né mia madre né la mia ragazza.-
Fede lo fissò sconvolto. -Aspetta, aspetta. Stai dicendo che TU hai una ragazza?!- mi lanciò uno sguardo risentito. Che trovasse ingiusto il fatto che un folletto avesse una ragazza mentre lui no?
-Certo. Tutti i ragazzi degni di tale nome ne hanno una.- sogghignò.
-Mi stai per caso dando della femminuccia?-
-Nient'affatto, ho soltanto detto che non sei un ragazzo.-
Mi frapposi tra i due prima che si uccidessero a occhiatacce. Cosa di cui sarebbero benissimo stati capaci. -Beeeeeenissimo, adesso che vi siete scambiati le vostre opinioni sulla questione maschio-femmina, che ne direste di andare a cercare qualcosa da mangiare? Muoio di fame!- come èper dare più enfasi alle mie parole, i nostri stomaci brontolarono in coro.
-Veramente dovevo ancora finire di esporre la mia opinione sull'argomento- borbottò Federico -ma potrebbe essere una buona idea.-
-Già, ma...- mi guardai in giro con una leggera smorfia. Alberi, alberi, alberi. -Dove lo troviamo un po' di mangiume? Non penso che ci sia un bar o un ristorante nelle vicinanze.-
Federico si sporse oltre la mia testa e osservò la foresta. -Sì invece- squittì allegro -proprio lì.- indicò un punto alla mia destra. Io aguzzai la vista e notai uno strano edificio tra la vegetazione. Una grossa insegna luminosa diceva “Autogrill”. Non seppi se la cosa più strana fosse un autogrill in una foresta o il fatto che io non avessi notato la scritta.
-Uh, bene. Allora andiamo- mi diressi perplessa verso l'Autogrill. L'unica cosa che riuscii a pensare fu “Non farti domande. Non devi farti domande. Per nessuna ragione.”
-Secondo voi è normale che ci sia un Autogrill nel bel mezzo di un posto così?- Cos'è che non dovevo farmi?
Fidia e Federico si scambiarono un'occhiata, poi mi guardarono e scrollando le spalle esclamarono in coro:- Sì, certo.-
Inclinai la testa da una parte e mi grattai una tempia. Ma sì, dai, che cosa ci poteva essere di strano in fondo? Scattai in una corsa impacciata dal risucchio del fango e li sorpassai schizzandoli. -Chi arriva per ultimo è un super eroe!- gridai. Dopo qualche nanosecondo Fede mi sorpassò a tutta velocità. Si girò verso di me e ghignò.
-Chi è il super eroe?-
Ci tuffammo insieme contro la porta dell'Autogrill e prendemmo entrambi una sonora craniata. Mi tirai a sedere e mi massaggiai la fronte con una smorfia di dolore stampata sulla faccia. Aveva fatto parecchio male. Anche il mio amico si stava passando una mano sul punto colpito. La porta dell'Autogrill si aprì di colpo, facendolo ricascare a terra.
-VOI, siete i super eroi!- Fidia ci guardò dall'alto verso il basso, con le mani sui fianchi.
-Dannato insetto!- sbottò Fede -da dove sei passato?-
Lui si lisciò i capelli con superiorità. -Dalla porta sul retro, è ovvio.-
Saltai in piedi e acchiappai il custode prima che potesse farlo Federico. Lui fece un verso di delusione e si cacciò le mani in tasca, risentito. Mi parve di sentirlo borbottare “e quindi quest'affare ha anche una porta sul retro” e di vederlo lanciare malevole occhiate all'edificio, quasi come se fosse colpa sua se aveva appena perso la gara.
-Molto bene, folletto.- dissi, sorridendo e stringendo la presa su Fidia -hai vinto una bambolina di Hello Kitty.- lo lasciai andare e quello si riempì i polmoni d'aria, come se fosse stato in procinto di soffocare.
-Ma davvero?- squittì indispettito -adesso lascia che ti spieghi dove puoi infilartela quella bambolina...-
Entrai nell'Autogrill e gli chiusi la porta in faccia. Federico era davanti a me, e si guardava in giro con fare spaesato. Alla nostra destra c'era un enorme bancone per ordinare da mangiare, e un sacco di panini erano messi in bella vista all'interno di una vetrina. A completare il quadretto, c'erano anche brioches, muffin e dolci di ogni tipo. I nostri stomaci brontolarono reclamando cibo. A sinistra invece vi era un ampio salone stracolmo di vestiti. Lanciai una rapida occhiata al nostro abigliamento. Dopo aver mangiato sarebbe stato decisamente meglio se ci fossimo cambiati. Disseminati per la sala c'erano numerosi carrellini stracolmi di peluches del Pulcino Pio, cuscini di Violetta e poster degli One Direction. Storsi il naso disgustata. Chiunque avesse messo lì quei... cosi aveva un pessimo gusto. In un angolo intravidi l'insegna luminosa del bagno. Diedi una gomitata a Federico.
-Vado un attimo in bagno, okay?-
-Certo- rispose -io andrò a prendere qualcosa da mangiare. Ho una fame che, mio Dio, mi mangerei tutto l'Autogrill!- si diresse verso il bancone a destra come se fosse in un sogno, mentre io schizzai in bagno. Pochi attimi dopo ero già uscita. Avevo fatto più in fretta che potevo per evitare di lasciare Fidia e Federico da soli. Già mi vedevo quel povero esserino rinchiuso in una gabbia e sottoposto a torture terribili...
-AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHH!!!!!!-
Mi girai di scatto spaventata.
-Lasciami! Lasciami! Andrea! Aiuto! Aaaaaaahg!-
Fissai basita un punto sopra di me.
-Andrea? Prontooo? Ti dispiacerebbe darmi una mano? Sai com'è, queste corde stringono un po'...- Federico cercò di divincolarsi dalle corde che lo tenevano legato come un salame a mezz'aria. Io scoppiai a ridere e lui mi lanciò un'occhiataccia.
-Ah, lo trovi divertente? È così, eh?- si contorse nuovamente -allora che ne dici di darci un po' il cambio? Ti va?-
-Stupido- di risposi ridendo. Poi raggiunsi il punto in cui era stata legata la corda e senza pensarci due volte, sciolsi il nodo. Federico precipitò al suolo con un urlo.
-Ooooooops.- di saltellai accanto cercando di sembrare innocente. Lui mi investì di insulti. Ridacchiai ancora mentre lo liberavo dalla matassa di corde e nodi. -È stato Fidia?-
-No, la fata turchina.- mi fulminò con lo sguardo -certo che è stato quello gnomo! Se lo prendo, io...- strinse i pugni dalla rabbia e digrignò i denti.
-Ma che paura. Guardami, sto tremando tutto.- Fidia ci rivolse uno sguardo di superiorità dal bancone dei panini. Teneva un tramezzino in mano e lo mangiava con una voracità inaudita. Poi però si immobilizzò di colpo e impallidì.
-Ah-ah! Vedi che ora hai paura?- Fede si avvicinò minacciosamente.
-Fermo!- di gridò il custode. -Non avvicinarti.-
Federico lo guardo storto. -Perché no?-
-Beh... non sono stato io a farti quello. Anche se mi sarebbe piaciuto.- cercò di muoversi dal punto in cui era, ma non si mosse di un centimetro. -Questo posto è pieno di trappole. Qualcuno non vuole che nessuno si avvicini.-
-Che cosa?- esclamai. -Grandioso! Abbiamo tutto quello che vogliamo da mangiare e non possiamo prenderlo!- tirai una testata contro la spalla sinistra del mio amico, colpendo il bernoccolo che mi ero fatta contro la porta dell'Autogrill. Piagnucolai piano.
-Ma non puoi portarci tu i panini?- Federico incrociò le braccia e osservò Fidia.
Lui fece una smorfia. -Non posso.- ammise -mi si sono incollati i piedi al banco.-
Appoggiai una mano sul braccio di Fede e lo guardai mestamente. Lui annuì piano. -Quando ci vuole, ci vuole.-
Inspirammo profondamente.
-MA PORCA FUFFANA!-

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Capitolo 5
*** Come sconfiggere un Autogrill a colpi di pulcino Pio ***


Osservai attentamente il pavimento bianco piastrellato. Sembrava assolutamente privo di ogni qualsiasi minaccia, ma non impazzivo dalla voglia di verificarlo. Federico, al mio fianco, esaminava con circospezione le pareti e il soffitto, come se si aspettasse di veder sbucare fuori un altro paio di corde ninja pronte a stritolarlo da un momento all'altro. Non spuntò nessuna corda. Dopo qualche attimo di tentennamento feci qualche passo avanti. Federico non mi seguì. Gli lanciai uno sguardo interrogativo.
-Prima le signore- rispose lui con un lieve inchino. Il suo ciuffo spettinato ondeggiò in maniera ridicola.
-Voi uomini- borbottai, avanzando di qualche passo -fate i cavalieri solo quando vi conviene.-
-Ovviamente.- si riavviò quella matassa informe che erano i suoi capelli.
Mi girai verso Fidia e lo fissai intensamente. Il piccolo custode si stava ripulendo la bocca dalle briciole del tramezzino che si era appena divorato, alla faccia nostra. Se lui era riuscito ad arrivare fin lì, perché non ci sarei dovuta riuscire io? Sospirai profondamente e feci un altro passo. Il mondo si capovolse improvvisamente, il suolo mi mancò da sotto i piedi e mi sentii salire lo stomaco fino al cervello. Con un grido stridulo serrai forte di occhi e sbattei una craniata sul pavimento. Rimasi immobile e tramortita per qualche attimo.
-Andrea?-
La vocetta preoccupata di Fidia risuonò più volte nella mia testa, come una nota musicale. Aprii lentamente un occhio, e mi ritrovai davanti a un Federico capovolto più soddifatto che mai. Ero appesa a testa in giù, legata al soffitto dalle caviglie. Lasciai cadere le braccia verso il basso, e le mie dita sfiorarono il suolo. Il mio amico sogghignò.
Mi schiarii la voce. -Non è poi così male.- mi feci oscillare avanti e indietro forzando gli addominali.
-Noo- rispose lui, spostando il peso da una gamba all'altra -ti viene solo un po' di sangue alla testa.-
Mi toccai la faccia con una mano. Era bollente. -Fammi indovinare, sono già rossa?-
Lui mi squadrò meglio. -Diciamo pure fucsia.-
Alzai di occhi al cielo (o meglio, al pavimento). Non appena mi mettevo a testa in giù o facevo anche il minimo sforzo fisico, diventavo rossa come un peperone. Sospirai spazientita. -Dai, aiutami a scendere.-
Lui si piantò le mani sui fianchi. -E venire fin lì rischiando di finire in qualche altra trappola? No, grazie!-
Non ribattei. Aveva ragione, maledizione. Fidia si schiarì la voce.
-Che ne dite se invece Federico non si agrappa a te e poi dopo essersi dondolato un po' non salta fino qui? Magari se non toccate il pavimento non succede niente!-
Io e Fede ci scambiammo un'occhiata. Forse non era una cattiva idea. Il mio amico però non sembrava molto entusiasta della trovata.
-E una volta che mi ritrovo di nuovo coi piedi a terra che faccio? Imparo a volare?- borbottò contrariato.
Il custode non rispose. Potevo quasi riuscire a vedere la sua espressione corrucciata. Cercai di trovare una soluzione al problema del camminare. Guardai in giro per l'Autogrill in cerca di oggetti utili e l'occhio mi cadde su uno di quegli stupidi cestini strapieni di cianfrusaglie. La lampadina nella mia testa si accese di botto.
-Fede!- esclamai indicando uno di quei cesti -passami un pulcino Pio!-
Lui sul momento mi rivolse uno sguardo stralunato, ma poi le rotelle dei suoi ingranaggi mentali riuscirono finalmente a disincastrarsi. -Andrea, SEI UN GENIO!- gridò, tuffandosi sul primo cesto che vide. Afferrò saldamente un peluche e lo sventolò in aria tutto contento.
Andai immediatamente in allarme. -NO! Per carità del cielo, non premergli la panc...!-
Una fastidiosa musichetta si levò dal pupazzo e si diramò per tutto l'edificio. Serrai forte un pugno e guardai Federico in cagnesco. -Giuro che appena mi libero, te lo faccio mangiare, quel peluche.-
-Scusa- mi disse lui -non lo sapevo.- sembrava infastidito quasi più di me. Poi prese bene la mira e me lo lanciò. Allungai le mani per afferrarlo, ma i miei riflessi da bradipo non mi vennero molto in aiuto. Il pulcino Pio rimbalzò contro il mio gomito e cadde a terra con un lieve tonfo. Quasi subito un'altra trappola scattò in aria, trascinando con sé lo sfortunato pupazzo, impiccandolo. La musichetta biascicò un altro paio di parole e poi si fermò definitivamente. Fissammo in silenzio il peluche.
-È un'opera d'arte moderna.- commentò Fede, con sguardo ammirato.
-Potrei quasi farci l'abitudine- sorrisi. Avevo sempre sognato di veder morto quell'odioso volatile e ora che ne avevo l'occasione non me la sarei lasciata sfuggire per niente al mondo. -Passamene un altro.- incalzai.
Il mio amico si era di nuovo immerso nel cesto e gli spuntavano fuori solo le gambe. Riemerse reggendo almeno venti peluches, ognuno tenuto in precario equilibrio nei punti più improabili del corpo. Me ne lanciò uno facendolo rimbalzare sul ginocchio e poi sul piede. Questa volta riuscii ad afferrarlo. Fissai i grossi occhioni del pulcino. Gli sorrisi amabilmente.
-MUORI BASTARDO!-
Il pupazzo schizzò in aria non appena toccò il suolo dopo il mio lancio e fece la stessa triste fine del precedente. Sogghignai malvagiamente. Mi voltai verso Federico e per poco non scoppiai a ridere. Si era legato una fascia intorno alla testa, si era tracciato due linee nere su ogni guancia e aveva due corde a tracolla in modo da formare una “x”, con le quali si era legato addosso numerosi peluches. Nel complesso sembrava una versione malriuscita di un Naruto-militare. Chiuse di occhi e fece un respiro profondo. Alzai un sopracciglio, incuriosita. Lui spalancò di occhi di colpo e al grido di “per Spartaaaa!” cominciò a tirare pulcini ovunque, facendo scattare tutte le trappole presenti. Finita l'opera, si guardò intorno tutto soddisfatto. Poi battè le mani come per pulirsele. -Ecco fatto- esclamò -adesso, a noi due, colazione!- e scattò in avanti dritto verso il bancone degli alimenti. Non accadde niente. Federico si sporse oltre il vetro e arraffò il primo panino che gli capitò sotto tiro. Fece un grido di trionfo alzando in aria il cibo e sventolandolo da una parte all'altra. -Tadaaaaa!-
-Sì!- esclamai io, serrando i pugni e avvicinandoli al petto. -Ora slegami, anche io ho fame.-
Fede mi osservò con un sorrisetto malizioso. -Sai- incominciò, a bocca piena- ti ricordi quando ti ho detto che dovresti diminuire i carboidrati?- mi si avvicinò lentamente.
-Oh, piantala.- cercai di afferrarlo o di dargli un pugno, ma lui schivò facilmente tutte le mie mosse. Si accucciò a terra e continuò a masticare, con molta calma.
-Ehi, scemo! Non hai dimenticato qualcuno per caso?- Fidia lo guardò imbronciato e a braccia conserte. Ah, giusto. C'era da liberare anche lui.
Federico si voltò svogliatamente. -No, non credo proprio.-
Approfittando della sua distrazione, caricai un destro e lo colpii alla nuca, ribaltandolo. Sogghignai malevolmente alla vista del suo dolore. -E adesso fammi scendere.- ordinai.
Lui si rialzò massaggiandosi la testa, contrariato. -Un “per favore” ogni tanto farebbe anche piacere- borbottò, iniziando a sciogliere i nodi che mi legavano le caviglie. Sciolse il primo. Un brivido mi percorse la spina dorsale. -Ehi Fede... nononono!- il secondo nodo si sciolse e io cascai malamente a terra. Restai immobile stesa lungo il pavimento a osservarlo in cagnesco.
Lui si girò e si avviò nuovamente verso il bancone. -Come si dice?-
-Grrrrrrrrrrrrrazie.- righiai, rimettendomi in piedi. Mi sentivo tutto il sangue alla testa. La scossi un po' per riprendermi e saltellai verso Fidia.
-Finalmente qualcuno che si ricorda di me- esclamò. Mi sorrise e cercò nuovamente di muoversi, con l'unico risultato di rischiare di perdere l'equilibrio.
Lo squadrai attentamente. -Ma scusa, non puoi semplicemente toglierti le scarpe?-
Lui sembrò imbarazzato e si portò una mano dietro la testa. -Il fatto è che... da solo non ci riesco.-
Mi venne subito da ridere, ma con uno sforzo mi trattenni. Non volevo offenderlo. -Tranquillo, ora ti aiuto io.- lo tirai su da sotto le ascelle con una mano, mentre con l'altra di sfilavo i piedi dagli stivaletti bianche che indossava. Lui gemette un poco per la troppa forza che adoperai.
-Ehi, ehi, non sono mica uno di quei pupazzi laggiù, io- mugugnò.
Aprii delicatamente la mano e lui ci si accomodò sopra, dondolando nel vuoto i piedi scalzi. -Scusa. Non l'ho fatto apposta.-
Federico comparve prepotentemente nel mio campo visivo. -Ehi, perchè lui lo tratti bene e me no?-
Fidia di ronzò davanti al naso, con le mani puntate sui fianchi. -Perchè io sono molto più figo di te.-
-Coooosa hai detto, razza di moscerino avariato?-
Scivolai via prima che le cose potessero mettersi male e presi un panino a caso del bancone. Finalmente anche io potevo fare colazione. Consumai velocemente il mio pasto osservando Fidia e Federico litigare. Sembrava un battibecco fra bambini di tre anni, che si contendevano tra loro una macchinina giocattolo. Mi parvero entrambi improvvisamente teneri, nonostante si stessero per fare a pezzi l'un l'altro. Decisi che era giunta l'ora di intervenire solo quando mandai giù anche l'ultimo boccone.
-Ragazzi... non litigate dai- dissi, lanciandogli un'occhiata eloquente.
-Ha iniziato lui!- risposero loro in coro, indicandosi a vicenda.
-Non m'interessa chi ha iniziato- risposi con una strana calma mentre mi avvicinavo al frigobar e lo aprivo per tirarne fuori una bottiglietta d'acqua -voglio solo che la smettiate.-
Loro si scambiarono un'occhiata rabbiosa, ma Federico lasciò la presa sul collo di Fidia, e il piccoletto smise di mordergli le dita.
-Bravi- approvai, bevendo un lungo sorso dalla bottiglia -adesso, che ne direste di prendere qualche vestito pulito?-
Fede si osservò i pantaloni e la maglia. Erano completamente inzuppati di melma e io non ero da meno. Per sua fortuna lui aveva i capelli corti e quindi non di si erano infangati più di tanto, mentre i miei... beh, erano una matassa marrone-verdastra aggrovigliata. Il nostro simpatico tuffo mattutino nel fango non era stato esattamente un toccasana al nostro igiene personale.
Mi avvicinai agli appendiabiti e osservai i numerosi vestiti, in cerca di qualcosa che fosse della mia misura e che possibilmente mi piacesse. Federico prese una canottiera smanicata sul verde militare e la mise davanti a sé per controllare che gli stesse. Io scelsi una maglietta bianca a maniche corte e mi spostai verso alcuni tavolini con altri vestiti, impilati ordinatamente uno sopra l'altro.
-Andre', io vado in bagno a cambiarmi, okay?- il mio amico si diresse verso i servizi, con in mano la canottiera, dei pantaloncini arancioni fluo e... dei boxer neri. Probabilmente ne aveva abbastanza di mutande con le barchette. Ridacchiai sottovoce, prendendo dei pantaloni a pinocchietto marroni. Fidia ronzava in giro per la sala, osservando i vestiti. -Ehi, qui ci sono delle cose a misura di folletto!- esclamò ad un tratto, tutto contento.
Mi finii di allacciare i pantaloni e corsi da lui, incuriosita. In effetti su uno dei tanti tavolini presenti, ce n'era uno con abiti piccolissimi, tutti della misura del custode. Fidia si sfilò la tuta e acchiappò una canottiera gialla senza maniche e dei bermuda a macchie verdi mimetiche come quelle delle divise dei militari. Il folletto si girò a guardarmi. -So di essere incredibilmente attraente e che tu non possa fare a meno di fissarmi, ma mi starei cambiando. Ti dispiacerebbe girarti?-
Mi voltai all'istante. Non sapevo bene perché non provavo alcun tipo di imbarazzo a guardarlo. Forse perché avendolo creato io, lo sentivo come una specie di “figlio” (tra molte virgolette) e quindi non sentivo necessario comportarmi secondo tutte le leggi del pudore. Forse.
-Uffa...- lo sentii borbottare -come sono scomode queste cose...- saltellò un po'.
Mi chiesi di cosa parlasse.
-Okay, ho finito!-
Mi girai nuovamente e sorrisi guardandolo. Sembrava un peluche. -Stai benissimo.-
-Ovvio- ribatté lui -ma come fate a indossare le mutande? Sono così scomode- si sistemò meglio i pantaloni.
Federico comparve proprio in quel momento da dietro di me. -Mai sentito parlare di “boxer”?-
Il folletto inclinò la testa da un lato. -Che c'entrano i cani?-

Quando uscimmo dall'Autogrill, eravamo completamente rivoluzionati. Oltre ad esserci comabiati i vestiti, avevamo cambiato le nostre scarpe con degli scarponcini da trekking, più comodi per muoversi nel pantano. Avevamo anche preso due zaini, in cui avevamo messo alcune bottiglie d'acqua, dei panini e un cambio di abiti puliti. Federico aveva aggiunto anche un cappellino e degli occhiali da sole, assolutamente indispensabili in una foresta buia. Io invece avevo anche il cibo e il cambio di Fidia, dato che non avevamo trovato uno zaino della sua misura.
Ci eravamo anche lavati i capelli per togliere il fango, e io me li ero fatti tagliare da Fidia (di Fede non mi fidavo, e poi quel piccoletto aveva un certo gusto estetico) per liberarmi dai troppi nodi. Ora avevo una specie di caschetto con delle ciocche più lunghe sul davanti. Federico, approfittando del gel trovato frugando tra di scaffali, si era fatto una cresta degna di un ananas e la scuoteva in continuazione, giusto per non sembrare troppo normale.
Io e il mio amico facemmo il primo passo verso la foresta insieme. Fidia ci svolazzava attorno facendo mille piroette e giravolte, lanciando di tanto in tanto alcuni gridolini di divertimento.
-Bene- dissi. Guardai Fede negli occhi. -E adesso?-
Lui sorrise, con quella sua espressione tranquillamente pazza. -E adesso, si va avanti.- cominciò a camminare a passo sicuro e io lo seguii. Il custode ci superò canticchiando qualcosa che non capii e fece un giro della morte, sfiorando il fango sul terreno.
Senza saperne il motivo, mi voltai. L'Autogrill era sparito. Diedi una gomitata a Federico e glielo feci notare.
-Oh, beh- fece lui, scrollando le spalle -tanto ormai non ci serviva più, no? Magari quando ci servirà di nuovo riapparirà.-
-Speriamo...- risposi poco convinta, continuandomi a lanciare occhiate alle spalle. Quella foresta mi piaceva sempre di meno. Speravo solo che non spuntassero fuori altri fantasmi vogliosi di attenzioni o con la buffa abitudine di ammazzare gente a caso. Trassi un respiro profondo e cominciai a fischiettare la macarena, mentre Federico accennava a bizzarri passi di danza e Fidia svolazzava e canticchiava a ritmo di musica.

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Capitolo 6
*** Simpatico incontro con un simpatico lupo ***


-Che cos'è stato?- mi guardai intorno, iniziando a sudare freddo. -Giuro di aver sentito qualcosa.-
Fidia mi svolazzò attorno. -Oh. Era il mio stomaco.- Si passo una mano sulla pancia, come per scusarsi.
-No, non quello. L'altro.-
Federico si mise di occhiali da sole in testa, per poter finalmente vedere qualcosa di più oltre al nero delle lenti. -Credo fossero passi.- ridacchiò. -i tuoi, probabilmente.-
Lo coppinai dopo circa mezzo nanosecondo. -Non dire baggianate, Fede- lo rimproverai. -So benissimo che l'hai sentito anche tu.-
Fede stava per rispondere con una delle sue frasi ad effetto, quando un rapido rumore di passi lo fece tacere. Ci fissammo negli occhi in silenzio. Fidia si fece più piccolo possibile e mi si avvicinò guardandosi intorno. Pregai che non fosse qualche altra donna-fantasma. Ci fu un veloce spostamento di foglie alla nostra sinistra.
-Ci sta studiando...- sussurrò il mio amico.
Dei respiri affannosi a destra. Qualcosa stava fiutando il terreno. Deglutii a vuoto e cercai di vedere quale fosse la creatura che ci spiava. Quello che riuscii a intravedere non mi piacque per niente.
-Dimmi Fede- iniziai, sottovoce -in una delle tue simpatiche storie horror hai per caso messo un animale?-
Lui impallidì. Si tolse gli occhiali dalla testa e ci iniziò a giocherellare nervosamente. -Un.. animale?- si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore.
Fidia aprì la cerniera del mio zaino e si tuffò al suo interno. Saggia decisione. Se avessi avuto la sua altezza non ci avrei pensato due volte a seguirlo. Nonostante l'ansia che avessi addosso, mi costrinsi a continuare a camminare. Federico mi seguì titubante, lanciandosi svariate occhiate a destra e a sinistra. -Io... sì, ecco... un animale ci sarebbe...-
Un paio di zampe nere sbucarono da dietro un albero. Poi la bestia venne fuori completamente. Quando misi a fuoco il suo aspetto, per poco non caddi dallo spavento. Era il lupo più grosso che avessi mai visto, la sua altezza raggiungeva quasi quella di Federico (ed era quindi ben più alto di me, sigh). Ma il particolare più inquietante era che quella belva non aveva una testa sola bensì due! Così mentre una mi spappolava gli organi interni, l'altra poteva tranquillamente degustare Fede. Un'organizzazione perfetta. Il lupo avanzò ancora di qualche passo, mentre la testa di sinistra fiutava il terreno e quella di destra ci teneva d'occhio e ci ringhiava. L'orrore per quella bestia mi aveva placcato lo stomaco come un giocatore di rugby, perciò per cercare di non abbandonare il pasto che avevo giusto consumato poco prima sul fango ai miei piedi (cosa abbastanza scortese), distolsi lo sguardo dalle teste e fissai la schiena dell'animale. Pessima idea. Dalla folta pelliccia scura sul dorso spuntavano diversi aculei, che avevano tutta l'aria di assere ben più affilati di un machete e più resistenti del diamante. Ringraziai mentalmente Federico per aver creato un così docile e tenero cucciolotto magiauomini. Quel maledetto me l'avrebbe pagata per ogni mostro che avremmo incontrato, ne ero certa.
Il lupo alzò anche la seconda testa e ci fissò. In qualche modo riuscii a non scappare via urlando come un neonato e a non tremare. Okay, diciamo solo a non scappare via urlando. In quel momento accadde la cosa più incredibile e raccapricciante di tutte: le teste del lupo cominciarono a mutare forma, assumendo l'aspetto di volti umani. Le loro facce erano come bloccate tutte in un'unica espressione. Alcune erano sorprese, altre terrorizzate e altre ancora sembravano essere sul punto di scoppiare dalla rabbia. Quest'ultima rivelazione e il silenzio che era calato mi avevano fatto venire la pelle d'oca, nonostante il caldo afoso perennemente presente. Il lupo fece ritornare la testa che mi fissava alla normalità e dopo avermi dato un'ultima occhiata spostò lo sguardo sul mio amico. Il volto riprese a cambiare e l'animale iniziò a ringhiare più minacciosamente. Con la coda dell'occhio intravidi il Federico più pallido e tremante che avessi mai visto indietreggiare. La bestia si acquattò leggermente. Oh-oh. Poi, si scagliò su Fede. Lui, da valoroso uomo che è, girò i tacchi e scappò via strillando come una femminuccia. Osservai pietrificata il mostro mentre inseguiva Federico, portandolo sempre più lontano. Non che mi dispiacesse avere un lupo a due teste inferocito fuori dai piedi s'intende, ma così facendo il mio amico era solo contro di lui, e sebbene molte volte fosse decisamente insopportabile non potevo lasciarlo con quella belva.
-Se n'è andato?- Fidia sbucò dal mio zaino e si guardò intorno, tremando di paura. Era rimasto in silenzio per così tanto tempo che mi ero quasi dimenticata di lui.
-Sì.- risposi, cercando di riprendere il controllo di tutte le mie facoltà fisiche. Il panico che mi aveva raggelata poco prima mi aveva bloccato tutti i muscoli.
-E... sta... sta inseguendo Federico?- la vocetta del folletto era fragile e spaventata. Mi sentii terribilmente in colpa al pensiero di quello che stavo per fare.
-E... tu vuoi... vuoi andare a cercarlo...?- in quella domanda percepii chiaramente la flebile speranza che non lo facessi. Strinsi i pugni e iniziai a correre.
-Già.-
-Che bello...- Fidia si lasciò scivolare di nuovo all'interno del mio zaino.

Vorrei potervi dire che lo trovai in un batter di ciglia e che lo salvai con un gesto eroico da film di Hollywood, ma non andò esattamente in quel modo.
Beh, in effetti trovarlo non fu poi questa grande in presa, ma non di certo grazie alle mie doti da investigatrice: un ragazzo urlante e un lupo a due teste che ringhia e ulula rabbioso non passano certo inosservati. Il problema era che non avevo la più pallida idea di come salvarlo. Avrei dovuto uccidere la creatura? Anche se non era esattamente un morbido batuffolo di pelo non avrei mai voluto farle del male, e non ne avrei avuto nemmeno il coraggio a dirla tutta. E anche se lo avessi avuto, come potevo anche solo sperare di cercare di ucciderla senza finire per farle da spuntino?
Continuai a camminare nella direzione da cui provenivano le mascolinissime grida da ragazzina di Federico, totalmente assorta nei miei pensieri. Purtroppo per me, questo è un fastidioso vizio che ho da sempre e che, soprattuto in questo strano mondo, mi ha sempre portato un sacco di sfortuna e di fortuna allo stesso tempo, anche se non sempre in quest'ordine.
Inciampai in una radice sporgente da terra e ruzzolai malamente in avanti, cercando di ripetermi che di alberi erano importanti per l'ecosistema e la vita e quindi non potevano essere fatti tutti diventare dei sacchetti di segatura. Mi rialzai con uno sbuffo e mi scrollai la terra di dosso. Un momento. Sbattei gli occhi e osservai basita il terreno solido e asciutto sotto i miei piedi. Alzai lo sguardo e mi ritrovai a guardare un enorme canyon a qualche centinaio di metri da me. Il peasaggio da un lato all'altro del burrone cambiava drasticamente: dalla nostra parte era verde, rigoglioso e paludoso, mentre dall'altra era desertico, con solo qualche sparuto arbusto rinsecchito. Feci scorrere lo sguardo sia a destra che a sinistra e intravidi in lontananza un sottile ponticello che congiungeva i due lati. In quel momento fui colta dalla folgorazione divina. Se fossi riuscita ad attraversare il ponte assieme a Federico il lupo sarebbe dovuto restare dall'altro lato del canyon dato che era troppo pesante. Mi sentii un genio.
-Fidia!- esclamai, al massimo della felicità.
-Che c'è?- la vocina tremula del mio piccolo amico era venata di curiosità e timore.
-Gioisci amico! So come tirarci fuori dai guai!-
Fidia sbucò dallo zaino e si arrampicò fino alla mia spalla. I suoi occhioni color arancio mi scrutarono come solo il piccolo custode sapeva fare, guardandomi fino in fondo all'anima. -Dimmi.-
-Vedi quel ponte? Noi ci passeremo sopra con Fede...- imitai con le mani in gesto di camminare sul ponticello -...e appena arriva il mostro... sbam!- tirai un pugno sulla mano che faceva il ponte -Lui cade giù. Dimmi che sono un genio ora.-
Fidia sorrise. -“Che sono un genio ora”.-
Gli diedi un leggero buffetto, fingendomi imbronciata. Contemplai ancora per qualche istante il panorama, poi mi girai verso la foresta. -Bene. Adesso andiamo a vedere se qull'impiastro è ancora vivo!-
Mi slanciai in avanti di corsa, facendo cadere Fidia all'indietro. Per fortuna che quel piccoletto poteva volare.
-AAAAAAAAAAAAAAH!!!!- un stridolo grido terrorizzato ci indicò prontamente la via da seguire. Grazie al cielo Federico aveva dei buoni polmoni.
Fidia mi volava affianco, perpendicolare al suolo, braccia lungo i fianchi e gambe unite, nella posizione di massima aereodinamicità. Nonostante la mia testa fosse affolata di pensieri, riuscii ad accorgermi della sua incredibile maestria nel volo. Riusciva a fare curve strettissime e un sacco di acrobazie pazzesche. Mi chiesi quanto tempo ci avesse messo ad imparare tutte quelle tecniche, ma poi mi diedi immediatamente della stupida: ero io che avevo creato quel piccoletto, chi meglio di me avrebbe potuto conoscerlo?
Un ruggito spaventosamente vicino per poco non mi fece scoppiare i timpani. No, se ve lo stavate chiedendo non era il feroce e virile grido di battaglia di Federico. Anche se non riesco proprio a capire come vi possa essere saltata in mente un'idea tanto balzana. Quello, signore e signori, era il ruggito di una bestia grossa, arrabbiata e cattiva. Insomma, il lupo a due teste che stavamo cercando.
Accellerai la corsa, per quanto mi fosse possibile dato che non sono mai stata una velocista, e finalmente riuscii a vedere il lupo. Era ai piedi dell'albero più grande che avessi mai visto, che continuava a grattare il terreno alla base del fusto e a grugnire irritato. Qualche decina di metri sopra la testa del lupo, dal un buco nel tronco dell'albero spuntò fuori Federico. In qualche modo il mio amico era riuscito ad infilarsi dentro il tronco, che a quanto pareva era cavo, e poi ad arrampicarsi fino a quel punto.
Mi sbracciai nel tentativo di farmi vedere, ma tutta la sua attenzione era (giustamente) rivolta al mostro sotto di lui. Riflettei su come potessi spiegarmi il mio astuttissimo piano che a lui non sarebbe mai venuto in mente (come sono modesta).
-Fidia- sussurrai, per paura che il lupo potesse sentirmi -vai da Federico e digli del piano-
Il tremante folletto deglutì, poi annuì.
-Forza- lo incoraggiai -sii coraggioso.-
Lui chiuse di occhi e spiccò il volo, tuffandosi dalla mia spalla.
Il mio intestino cominciò ad annodarsi dalla tensione mentre osservavo quel minuscolo esserino volare a pochi metri da quel gigantesco bestione inferocito. Mi sentii quasi svenire di sollievo quando lo vidi posarsi sulla testa del mio amico. Grazie al cielo e a tutti i santi che ci vivono, era andato tutto bene. Li vidi scambiarsi alcune rapide parole e vidi Fidia indicare nella mia direzione. Lo sguardo di Federico vagò verso di me per alcuni istanti, poi mi mise a fuoco. Quanto vorrei che quello stupido non l'avesse mai fatto.
-Andreaaaaaaa!!!- gridò, agitando una mano per salutarmi. Si accorse troppo tardi di quanto grosso fosse il suo errore.
Le due teste del lupo si alzarono di scatto e lo individuarono. Righiò e ululò il suo compiacimento nell'aver ritrovato la preda, mentre l'altra si avventò su di lui per azzannarlo. Lo sentii imprecare e lo vidi scomparire in tutta fretta all'interno del tronco. Non riuscii a vedere però dove fosse finito Fidia e ciò mi agitò non poco. Il lupo, che ormai si era infurbito e aveva capito il trucco, riabbassò le teste a riprese a raspare a terra, ringhiando e uggiolando. Sentii Federico inveire su di me, in quel momento non ci diedi troppo peso. Ero leggermente impegnata a trovare un piano B per sarvargli la pelle.
-Al diavolo!- esclamai e corsi nella loro direzione, con il cuore in gola e l'adrenalina a mille. Mentre mi avvicinavo intravidi Fidia ronzare intorno a una delle teste del lupo per cercare di distrarlo. Il mostro distolse per un attimo la concentrazione dalla base dell'albero e sollevò una testa verso il piccolo folletto cercando di azzannarlo. In quell'istante, senza sapere bene il perché, mi fiondai sotto le sue zampe e riuscii ad infilarmi nel buco del tronco in cui si era nascosto Fede, mentre dietro di me sentii schioccare a vuoto le affilatissime zanne del lupo. Tale era la foga con cui mi ero precipitata all'interno dell'albero che non riuscii a frenare la mia corsa e sbattei contro qualcosa, per poi caderci pesantemente sopra.
-Ahi.- Federico strisciò lentamente via da sotto di me, lanciandomi varie occhiate contrariate. -Mi sembrava di essere stato chiaro sui carboidrati...-
Mi rialzai più disorientata che mai, massaggiandomi la fronte dove avevo picchiato una sonora testata per terra. Quando mi fui ripresa abbastanza dalla botta ed ebbi finalmente realizzato che quello era il mio amico e cosa aveva appena detto, non seppi se saltargli al collo per abbracciarlo o prenderlo a schiaffi.
-Dobbiamo andarcene di qui- dissi, lanciando una rapida occhiata alle zampe del che continuavano ad apparire e scomparire dal buco nel tronco, aprendolo sempre di più.
-Ma no dai, pensavo di restare ad abitarci- ribatté ironico lui -grazie del consiglio, non saprei davvero come fare senza di te.-
Stavo per risponderglia tono, quando lui mi afferrò e mi spostò di peso da dove ero. Voltai il capo indietro e capii subito il perché: il lupo era riuscito a far entrare una delle sue teste dentro il buco e per poco non mi avrebbe staccato una gamba.
-Grazie.- dissi, raggelata.
-Non guardarlo negli occhi- rispose lui, iniziando ad arrampicarsi su per il tronco -mi è venuta un'idea.-
Distolsi velocemente lo sguardo dal lupo e lo seguii. -Mi dica.-
-Adesso noi andiamo su. Lì c'è un punto comodo per sedersi. Poi io torno giù e lo faccio arrabbiare per bene, così lui si infilerà completamente nel tronco e noi protremo uscire da lì sopra facendolo restare incastrato qua dentro!- spiegò lui, entusiasta. Con uno scatto delle braccia si tirò su e si appollaiò su una sporgenza del legno.
Lo imitai con decisamente meno agilità. -Va bene- ansimai esausta -basta che non mi ci resti secco.-
Lui iniziò a scendere, fin troppo allegro e sorridente per uno che si sta per gettare tra le fauci di un'enorme lupo a due teste. -Restarci secco io? Ti stupirò vedrai!-
Scossi la testa con un leggero sorriso. Federico era davvero fuori di testa. Mi alzai in piedi e mi affacciai da un altro buco nel tronco, per un'occhiato di ricognizione. Sotto di me c'era l'enorme corpo del lupo che continuava a scavare nel tentativo di entrare, con una testa infilata dentro il tronco e l'altra che cercava di morsicare qualcosa intorno a lei. Aguzzai la vista e... era Fidia! Il piccoletto continuava ancora nella sua coraggiosa impresa! Quando il folletto si allontanò dal lupo per schivare l'ennesimo morso mi sbracciai per farmi notare, pregando silenziosamente che mi vedesse. Fortunatamente il cielo fu clemente con me e il custode volò fino a me ed entrò nel tronco a tutta velocità, per poi abbracciarmi il collo.
-Stai bene!- esclamò felice. Gli posai delicatamente una mano sulla schiena. Stava tremando.
-Certo che sto bene- risposi -e anche Federico- aggiunsi, indicando verso il basso.
Lui guardò sotto di noi e impallidì. -Ma sta cercando di farsi ammazzare per caso?-
-Più o meno.-
-Ci sono quasi!- ci gridò Fede di rimando, ha quasi infilato la seconda testa... preparatevi ad una ritirata strategica!-
In quel momento sentii un ruggito più terribile degli altri e uno stridulo grido subito dopo. Il rumore di artigli sul legno mi fece indovinare che il lupo fosse riuscito ad entrare. La testa di Federico mi comparve improvvisamente davanti. -Via subito!- gridò.
Non me lo feci ripetere due volte. Con un salto mi gettai fuori dal tronco, seguita a ruota da Fidia e dal mio amico. Ruzzolammo rapidamente giù per il fusto dell'albero, procurandoci vari graffi e lividi. In una delle tante capriole che feci durante quella discesa malfatta riuscii a vedere una delle teste del lupo affacciarsi dal buco da cui eravamo usciti e ringhiarci contro. Sperai con tutto il mio cuore che non riuscisse ad uscire.
L'impatto con il terreno fu più doloroso di quanto non mi fossi aspettata. La mia schiena si spiaccicò letteralmente per terra, amplificando ancora di più il colpo e facendomi restare senza fiato. Federico invece atterrò di pancia, qualche mentro più distante da me. Fidia ci svolazzò davanti e ci osservò preoccupato.
-Credo... di essermi rotta... tutto.- riuscii a dire, con voce strozzata. Una decina di metri sopra di noi, il lupo cercava disperatamente di liberare la sua enorme testa dal buco in cui si era incastrata. Mio malgrado scoppiai a ridere, facendomi dolere il corpo ancora di più. Federico si raggomitolò a pallina e mi fissò.
-Che bello- biascicò -non mi sento più la milza.-
Mi misi lentamente in ginocchio. -Sono così felici che mi metterei a ballare la macarena- dissi, cercando di fare un respiro profondo, anche se i miei polmoni sembravano dover collassare da un momento all'altro -ma mi sembrerebbe davvero esagerato.-
Fede si tirò a sedere. -Concordo.-

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Capitolo 7
*** Basta salti, vi prego. ***


Dopo esserci quasi ripresi dalla caduta dall'albero, decidemmo di andarcene il più lontano possibile da quel posto. Sinceramento non morivo dalla voglia di essere ancora nei paraggi del nostro simpatico amico a due teste quando lui si sarebbe liberato. Cosa che, purtroppo, temevo si sarebbe verificata ben presto. Il mio piano era quello di arrivare fino al ponte, attraversarlo e poi tagliarlo o farlo crollare in qualche modo, affinché il lupo non ci potesse raggiungere più. Certo, l'idea di ritrovarmi in mezzo a un deserto era esattamente il mio più grande desiderio, ma sicuramente sarebbe stato meglio di ritrovarsi nel puzzolente stomaco di quel brutto mostro affamato. A proposito, dovevo ancora chiarire alcuni punti sulle origini del lupo. Magari se avessi saputo la sua storia avrei trovato qualcosa di utile da utilizzare contro di lui nello sventurato caso ce lo fossimo ritrovato di nuovo fra i piedi.
-Fede- chiamai, voltando la testa verso di lui, che si trovava poco più indietro di me -ci sono alcune cosette che ti dovrei chiedere.-
Lui alzò lo sguardo da terra e parve riscuotersi da quella specie di catalessi in cui era caduto. -Dimmi- gracchiò. Aveva una voce così roca che mi venne voglia di schiarirmi la gola per lui.
-Riguardano il nostro amichetto peloso laggiù- continuai, indicando con il pollice dietro di me -mi piacerebbe sapere perché cambia faccia. E perché non lo devo guardare negli occhi.-
Lui non rispose subito. Poi fece un sospiro profondo. Fidia gli si arrampicò sulla spalla destra per godersi meglio il racconto, ma Fede lo scacciò con una mano. -Allora...- iniziò -è da un bel po' che non la ricordavo. L'avevo quasi dimentica. Anzi, senza il quasi.- fece una smorfia.
-Aspetta- intervenne Fidia, svolazzandogli davanti al naso -tu conoscevi quella cosa?-
Il mio amico ebbe il buonsenso di lanciarmi un'occhiata interrogativa. Scossi leggermente la testa. Non volevo che il folletto sapesse che lui in realtà non esisteva ed era frutto solo della mia immaginazione.
Federico riprese a parlare. -Beh, sì, diciamo che... un mio amico mi aveva raccontato la sua storia, ecco.-
Il piccolo custode lo fissò a braccia conserte. Ovviamente non ci credeva, ma non sembrava neppure intenzionato a interromperlo ancora.
-Praticamente quel lupo non mangia le persone, ma le loro anime. E come dovreste sapere, gli occhi sono lo specchio dell'anima, quindi se tu lo guardi negli occhi, lui ti tira fuori l'anima e te la mangia. Mangia le anime perché non sa provare emozioni, infatti le sue teste si modificano in diverse facce perché hanno le espressioni di chi ha preso l'anima.-
-Ecco spiegato perché quasi tutte sono così terrorizzate.- riflettei.
-Esatto. Lui vuole le anime per provare un po' le loro emozioni e continua a prenderle perché non le ha ancora provate tutte. Se mangia un'anima che in quel momento sta provando un'emozione che non ha mai provato, allora resterà sazio per più tempo.-
-Quindi... se provasse tutte le emozioni non farebbe più alcun male a nessuno?- domandò Fidia, con una scintilla di speranza.
Federico scosse la testa. -No. Perché il lupo non ha un'anima, e il suo corpo per vivere ne ha bisogno. E poi dopo aver provato tutte le emozioni non vorrebbe mai più farne a meno, non credi?-
Fidia abbassò un poco il capo. -Hai ragione.- mormorò. -So cosa significa provare veramente delle imozioni.- aggiunse, dopo un momento di incertezza -Come tu sai, io sono un custode.-
-Sì- disse Federico -l'hai detto dopo che ti avevo scambiato per uno gnomo, mi pare.-
Fidia fece un mezzo giro della morte e si andò a sedere sulla mia spalla sinistra. Semprava abbastanza in guerra con sé stesso. Decisi di intervenire.
-Sai cos'è un custode?- chiesi a Fede.
-Un tipo di gnomo?- azzardò lui.
Feci per rispondere, ma Fidia mi precedette. -No- si fermò ancora per decidere se continuare a parlare o no. -Non è una specie. È una carica. Devo... proteggere le emozioni.-
Federico lo fissò con un sopracciglio alzato.
-Il mio compito è fare in modo che tutti abbiano la giusta dose di emozioni ciascuno.- spiegò.
Il mio amico sembrò non capire. -In che senso? Mica si possono rubare!- Ma subito dopo aver pronunciato quell'affermazione si rese conto di quanto stupida fosse.
-Quello che abbiamo incontrato è un mostro mangia-emozioni- gli ricordai, dando voce ai suoi pensieri -non penserai mica che sia l'unico, vero?- Il messaggio implicito che stavo cercando di mandargli era “ehi bello, anche io ho avuto l'originalissima idea di creare un'armata di mostri mangia-emozioni!” e lui sembrò riceverlo appieno.
-Oh.- rispose. -Credo di iniziare a capire.-
Ci fu una lunga pausa carica d'imbarazzo.
-Beh, Andrea- esclamò poi Federico -quando si arriva al ponte? È già da un po' che camminiamo a vuoto e sai, mi sta come sorgendo il dubbio, ma è solo un'ipotesi eh, che tu ecco, non ti ricordi da che parte dobbiamo andare. Non che non mi fidi di te, ma sai, beh, il tuo senso dell'orientamento e la tua memoria non...-
-Il mio senso dell'orientamento e la mia memoria non hanno assolutamente niente da invidiare alla tua.- Mi fermai e ripetei la frase nella mia testa, trovandola grammaticalmente strana. -Ai tuoi. Alle tue. Come si dice?-
Federico si passò una mano sulla faccia. -Ecco, questo è esattamente quello che intendevo.- fece, sconsolato.
Stavo per rispondergli a tono, quando un feroce e arrabbiato ruggito mi strozzò il fiato in gola.
Fidia piagnucolò piano e spiccò il volo, iniziando a volarci nervosamente intorno. Non avevo bisogno di essere una custode delle emozioni per sapere quanto fosse terrorizzato.
Fissai Federico negli occhi, come per accusarlo di aver creato un mostro tanto tenace e ostinato. -No.- sbottai -Non ora.-
Fede si lanciò un rapido sguardo alle spalle, poi mi afferrò per un braccio e iniziò a correre. -Scappa.-
Lo seguii annaspando. Lui aveva le gambe quasi il doppio delle mie e sapeva bene come usarle, in più aveva perso lo zaino, perciò era più leggero e poteva correre veloce e agile come un ghepardo. Se io mi paragonassi a una scimmia con delle bottiglie al posto delle zampe invece sarebbe quasi un complimento.
-Non voglio morireee- mugolai tra un respiro affannato e l'altro -ma non ce la farò mai a trovare la strada per il ponteee- continuai ancora più sconsolata di prima.
Fede mi strattonò in braccio. -Te l'avevo detto che il tuo senso dell'orientamento fa schifo.-
Sbuffai e accelerai la mia corsa. Potevo anche avere l'agilità di una lumaca morta, ma non avevo per niente voglia di ritrovare quel bel cucciolone assetato di sangue. Dopo un istante di incertezza mi lanciai lo zaino alle spalle. Subito mi sentii più leggera. Federico mi lasciò il braccio e corse ancora più veloce. Per un attimo il terrore che mi lasciasse da sola prese il sopravvento, ma poi il mio amico rallentò e restò solo a qualche passo da me, come a dire “okay, resto con te, ma ricordati che posso scappare via in qualsiasi momento”. Insieme ai numerosi latrati emessi dal mostro era un ottimo incentivo per correre più svelta.
Fidia volava svelto sopra le nostre teste, con un'espressione così concentrata e seria da sembrare quasi buffa vista addosso a lui. Ad un certo punto sembrò rallentare, ma poi andò ancora più veloce e ci superò. -Riconosco questa strada!- esclamò -dobbiamo andare da quella parte!- così dicendo svoltò a sinistra ma il suo volo fu bruscamente interrotto. Noi ci fermammo a qualche metro, rischiando di inciampare e cadere a terra come due sacchi di patate.
Il lupo era lì, e non appena ci vide sembrò quasi rallegrarsi, scoprendo i denti in un ringhio spaventoso o in un sorriso inquietante. Una testa cominciò a cambiare volto, assumendo la buffa espressione d'incredulità e sorpresa di una ragazza.
Il mio cuore perse un battito e tutto il mio corpo sembrò ancorarsi al terreno. Con un'ultimo guizzo di lucidità distolsi lo sguardo dagli occhi del lupo e li puntai sulle sue zampe.
Restammo fermi in quella posizione per un'istante che mi parve eterno. Poi ripresi il controllo sui miei muscoli e con uno scatto improvviso tutta la tensione e la paura che avevo si convertirono in una forza spaventosa che mi fece correre via come non avevo mai fatto. Tutta la fatica che avevo qualche attimo prima parvero scomparire ed essere rimpiazzate con un'immensa scarica di adrenalina. Con la coda dell'occhio intravidi Federico prepicipitarsi dietro di me insieme a Fidia. Quella corsa fu la corsa più strana di sempre. Oltre a riuscire a stare allo stesso passo di Fede riuscivo anche a vedere tutto ciò che accadeva intorno a me e a pensare con una lucidità disarmante. Finalmente mi ricordai anche qual era la strada per arrivare al ponte e realizzai che non saremmo mai riusciti ad arrivarci ancora vivi. Il lupo era troppo più veloce di noi, e ci avrebbe raggiunti entro pochissimo tempo. Dovevo trovare al più presto un modo per salvarci la pelle. Mi guardai intorno, ma non c'erano altri alberi gigabnormi in cui nascondersi. Poi finalmente vidi la nostra salvezza: in un punto della foresta di alberi si accartocciavano su se stessi e i rami si infittivano sempre di più, creando una specie di ragnatela vegetale.
-Là!- gridai, indicando il groviglio di alberi e rami più avanti. Fidia ci sorpassò di gran carriera e sparì dietro quell'intrico impenetrabile.
Federico lo seguì subito dopo e con una mano mi afferrò trascinandomi dietro di lui e salvandomi (di nuovo) dalle mandibole del lupo.
La mia corsa finì dritta contro alcuni rami spinati. Con un insulto soffocato tra i denti mi tolsi due spine dalle mani. Il lupo dietro di noi si era già iniziato a infilare tra i rami delle piante. Federico si stringeva una spalla con una mano e il suo viso era contratto dal dolore. Fidia, poco più avanti di noi, avanzava a fatica, schivando i vari rami spinati che spuntavano da ogni parte. Fede borbottò un paio di parolacce e si accucciò per passare sotto un ramo irto di spine, facendo attenzione a non inciampare nei numerosi cespugli di rovi e a non farsi risucchiare via le scarpe dal fango. Lo seguii a ruota, incanzandolo con alcuni colpi sulla schiena ad andare più veloce. Il lupo dietro di noi era sì in difficolta, ma non tanto come avevo sperato. Con una testa strappava i rami e i rovi e con l'altra cercava di azzannarmi le caviglie. A quanto pare le spine non sembravano essere un problema per la sua pelliccia. Maledissi più volte lui, il suo creatore, la mia memoria e quei maledettissimi rami spinati. Come per ripicca, un rovo si impigliò nel mio pantalone e mi fece inciampare. Atterrai con le ginocchia su un grosso ramo caduto, che si spezzò, facendo entrare tutte le sue belle spine e schegge nella mia pelle. Che sensazione meravigliosa. Dopo aver ringraziato a dovere il ramo, proseguii zoppicando e insultando qualsiasi cosa a ogni passo. Il mostro staccò una buona parte di un albero e la lanciò lontano, poi ci ruggì contro. Mi voltai per capire a quanto distava da noi e subito avrei voluto non averlo mai fatto. Quella bestiaccia era solo quattro dannatissimi passi da me. Accelerai il passo come potei e fissai in cagnesco il mio amico, che era già ben più avanti. Un vero cavaliere che faceva andare prima le signore, eh? Lo coprii di nuovo di insulti.
-Veloci! Ci siete quasi!- la vocetta acuta di Fidia mi parve quasi un miraggio in mezzo a quella melma con tutti quegli orrendi tronchi spinosi pronti a infilzarmi.
Incespicai ancora un po', mi levai due o tre rametti di dosso e finalmente... sbattei di nuovo contro Federico.
-Qual è il tuo problema?!- urlai. Ero un po' isterica? Nah. Ero completamente fuori di me.
-Guarda tu stessa.- ribattè lui, senza smuoversi di due centimentri.
Alzai lo sguardo dalla sua schiena e per poco non scoppiai a piangere. In quel punto i rami si aggrovigliavano ancora di più, come al centro della tela di un ragno. Fidia era riuscito a passare ed era in salvo perché era poco più grande di un Iphone, ma noi non avevamo lo stesso vantaggio. Mi girai di scatto e con un brivido vidi il lupo avvicinarsi sempre di più. Era una mia impressione o stava sogghignando?
-Andrea!- mi chiamò Federico.
Mi voltai verso di lui, ma non c'era più. Qualche metro sopra di me, aggrappato come un pipistrello ai rami spinati degli alberi, il mio amico mi fissava con un espressione da “ehi ti muovi o no?”. Aveva le mani ferite e braccia e gambe graffiate, ma pareva sicuro di quel che faceva. Lanciai un rapido sguardo al mostro. Ormai c'erano solo due o tre rami a separci da lui. Con un nuovo slancio di follia mi arrampicai dietro Federico. Subito le spine mi si conficcarono nella pelle e per poco non lasciai la presa rischiando di cadere a terra. Strinsi i denti fino a farmi male alle mascelle e continuai ad avanzare. Fede si muoveva poco più velocemente di me, ma non sembrava avanzare a caso, anzi sembrava avere proprio una meta ben precisa.
-Dove diavolo stiamo andando?- riuscii a dire, tra un digrignare di denti e un insulto.
-Ti fidi di me, no? Ci siamo quasi- mi rispose lui, cambiando ramo e salendo ancora un po'.
Il lupo intanto ci fissava dal basso con fare sospetto. Le sue teste continuavano a cambiare come un tic nervoso. Forse era indeciso se provare anche lui ad arrampicarsi, ma memore della sua ultima esperenza con di alberi preferiva restare a terra. Tuttavia ciò non era molto incoraggiante, perché se avessi fatto anche solo un passo falso avrei avuto un biglietto gratisper una gita di sola andata nel suo stomaco. Alzai lo sguardo da lui e lo puntai davanti a me, ritrovandomi a fissare le scarpe infangate di Federico.
-Vedi?- mi disse girandosi a guardarmi e indicando un punto poco più in basso di lui -dobbiamo saltare lì.-
Allungando il collo riuscii finalmente a vedere a cosa puntava il mio amico. A qualche metro da noi, giusto a portata di un buon salto, c'era un buco nel muro di rovi. Intravidi Fidia sbirciare da lì dietro.
Spostai rapidamente lo sguardo tra Fede e il buco. Se avessimo sbagliato nel calcolare le distanze non avremmo avuto una seconda possibilità. -Non ho mai detto di fidarmi di te.-
Lui mi sorrise. -Troppo tardi!- esclamò. Poi si gettò nel vuoto.
Lo ammetto. In quel momento mi immaginai il peggio. Mi vidi passare davanti come in un film varie scene, tra cui un Federico impalato contro un ramo e un Federico trasformato in pappa per lupi. Ma grazie al cielo la fortuna deve avere in simpatia i pazzi, perché riuscì miracolosamente ad attraversare il varco indenne. Il mostro uggiolò di sorpresa e cominciò a fare a pezzi la parete di rami per non lasciarsi sfuggire il suo bocconcino, mentre una testa mi teneva d'occhio per controllare se fossi saltata anche io, cosicché mi avesse potuto acchiappare a mezz'aria.
-Bene- borbottai nervosamente, cercando di non iniziare a tremare. Una goccia di sudore freddo mi scese lungo la spina dorsale, facendomi gelare la schiena. Dovevo trovare qualcosa per distrarre il lupo. Senza pensarci troppo, feci la cosa mi stupida che mi venne in mente e staccai un bastone da un albero accanto a me. -Guarda qui bello! Lo vuoi il bellegnetto?- agitai il ramo a destra e a sinistra sotto lo sguardo stupefatto del mostro -prendi il bellegno!- gridai infine, lanciando il bastone e poi tuffandomi alla cieca verso il varco tra i rovi. Serrai di occhi e mi preparai allo spiaccicamento. Inaspettatamente, l'unica cosa che sentii prima di cadere a terra, fu solo un leggero graffio sul mio braccio destro. Una volta atterrata restai immobile per qualche secondo prima di riaprire di occhi. Non riuscivo a credere di avercela fatta anche quella volta.
Mi rialzai tutta dolorante e mi guardai in giro. Federico borbottava qualcosa tra sé e sé togliendosi delle spine dal braccio, mentre Fidia strillava felice e ci rimproverava di quanto lo avessimo fatto preoccupare. Feci un passo verso di loro, ma una dolorosa fitta al ginocchio mi fece cadere carponi. Subito il folletto mi si avvicinò. -Andrea? Tutto ben... eh!- si interruppe bruscamente a metà della domanda, portandosi le mani alla bocca. -La tua gamba! Le tue gambe!-
Feci una smorfia di dolore. -Che cos'hanne le mie...- quando abbassai lo sguardo le parole mi morirono in gola. Le mie ginocchia avevano assunto un brutta colorazione verde e viola, con bolle biancastre nei punti in cui si erano conficcate le spine e le schegge dei rami. E se può sembrarvi un po' disgustoso, immaginatevi quanto potessero far male. Le sentivo pulsare e scottare terribilmente, ma se provavo a muoverle o a sfiorarle mi salivano le lacrime dal dolore.
Federico non era messo molto meglio. Il rosa pallido delle sue braccia aveva lasciato il posto a un rosso acceso, con varie bolle bianche. La sua spalla sinistra era gonfia il doppio del normale e le sue gambe erano piene di graffi e lividi.
-Grandioso. Piante spinate e velenose.- borbottai allargando la mano con più spine dentro e cercando di toglierle prima che si creassero altre bolle.
Improvvisamente, il lupo sfondò il muro di rami, facendo schioccare fragorosamente tutti di alberi, che poi ondeggiarono avanti e indietro come per ritrovare il loro equilibrio. Il mostro scosse le teste, infastidito da alcuni rovi che di si erano impigliati nel pelo.
-Ma ceeerto- sospirai. Le gambe mi facevano troppo male. Non sarei mai riuscita a scappare. -Qualcos'altro no? Chessò, un'esplosione atomica magari?- Odio ammetterlo, ma mi ero arresa. Aspettavo solo che il nostro amico a due teste mi degnasse di essere il suo spuntino. Poi incrociai lo sguardo di Federico. Non sembrava essere della stessa idea. Mi afferrò per un braccio costringendomi ad alzarmi e mi strattonò alla Conan il Barbaro per farmi correre via da lì.
-Che guastafeste- imprecai, nonostante gli fossi completamente grata del suo gesto. Senza di lui in questo momento non sarei qui a raccontare questa storia (okay, adesso basta con i sentimentalismi però). Le mie ginocchia mi implorarono più volte di fermarmi e mi insultarono altrettante volte, ma anche quando mi cedevano ed ero sul punto di cadere il mio amico mi teneva ben stretta ed evitava che mi spiattellassi a terra.
Per qualche volere divino il lupo aveva avuto qualche problema a una zampa e correva zoppicando da una parte. Mi sentii un po' meglio al pensiero che anche quel bestione non fosse immune a quelle piante.
-Ragazzi! Di qui! Di qui! Il ponte!- strillò Fidia agitando braccia e gambe in preda alla felicità.
Alzai gli occhi dal mostro e li puntai nella direzione indicata. Era vero! Quello stramaledettissimamente dannato ponte era giusto a un centinaio di metri da noi! Non riuscivo a crederci. Come diavolo avevamo fatto ad arrivarci senza accorgercene quando prima avevamo vagato inutilmente per ore?
Anche se le mie ginocchia stavano tentando di assassinarmi cercai di correre più veloce. Non volevo finire mangiata proprio ora che eravamo quasi arrivati. Federico entrò nella modalità “ghepardo” e scattò improvvisamente in avanti rischiando di staccarmi il braccio dalla mia spalla.
Il lupo era a due centimetri da noi. Potevo quasi sentire il suo respiro affannto sul mio collo e i suoi denti chiudersi a vuoto nel tentativo di mordermi i capelli. Sapevo che li avrei dovuti tagliare più corti, dannazione. Ogni volta per non farmi azzannare dovevo abbassarmi di scatto e il mio amico doveva tirarmi in avanti. Se non fossimo stati abbastanza coordinati da fare entrambe le cose a tempo... beh, preferisco non pensarci.
Finalmente arrivammo al ponte. Chiamarlo “ponte” è quasi un complimento in effetti. Erano solo quattro misere corde con degli assi di legno fissati alla bell'e meglio nelle due più in basso. A volte i passi erano troppo distanti di uni dagli altri, altre volte mancavano delle assi e altre erano fissate solo da un lato, rendendo la traversata un pericoloso salto di qualche centinaio di metri dritto verso le rapide di un fiume. Perché ovviamente dovevano esserci le rapide di un fiume, e non un gigante materasso gonfiabile.
Il mostro non appena eravamo saliti sul ponte si era fermato, cercando di valutare la situazione. Inseguirci? Lasciare perdere? Pregai con tutte le mie forze affinché scegliesse la seconda.
Una testa diede una rapida annusata in giro. Poi abbaiò e salì sulle traballanti assi di legno, inclinando il ponte verso di lui. Bene. Dovevo proprio aver finito tutta la mia dose di fortuna dopo l'ultimo salto.
C'è da dire però che il lupo si muoveva quasi più lentamente di noi, sia per la zampa ferita, sia per lo spazio stretto, sia perché quello stramaledetto ponte dondolava più di un'altalena su una nave nel bel mezzo di una tempesta. A ogni passo di quell'ammasso di teste e peli tutto il ponticello si inclinava da un lato o dall'altro, procurandoci vari attentati alla vita e infarti.
-Avanti ragazzi!- ci incalzò Fidia -muovetevi!-
Facile per lui. Non era lui che aveva le gambe distrutte da piante velenose. Non era lui che rischiava di essere ribaltato e cascare dritto verso una morte bagnaticcia al gusto di acqua e fango.
-Avanti- ripeté Federico, un po' per fare il verso a Fidia, un po' per autoconvincersi di essere quasi arrivato. -Sì- ripeté ancora -ci siamo. Ci siamo!-
Finalmente lasciò andare il mio braccio e balzò in avanti, atterrando sulla terra ferma affianco al folletto, che di ronzò tutt'intorno emettendo alcuni piccoli strilli felici.
Sfortunatamente, avendo Federico lasciato il mio braccio così in fretta e senza alcun preavviso, persi l'equilibrio e caddi all'indietro. In quello stesso momento, le due corde di destra del ponte cedettero e si ruppero di colpo. Con un urlo, mi aggrappai alle assi del ponte con tutte le mie forze.
Il lupo, a qualche metro da me, artigliò il legno e mi scivolò addosso. A quel punto fui totalmente presa dal panico. Rischiavo sia di morire cadendo dal ponte, sia di morire mangiata dal lupo. O entrambe. Con un enorme sforzo di volontà accantonai da parte l'ipotesi del venire mangiata: quella povera bestia mangia-anime sembrava già avere fin troppi problemi per conto suo. Cercai allora di tirarmi su con le braccia, ma non avevo abbastanza forza e mi mafevano troppo male.
Fidia e Federico mi guardavano preoccupati. Fede mi tese un braccio.
-Salta Andrea!- gridò.
-Basta salti...- mormorai, stringendo con più forza le assi del ponte. Il lupo guaiva e uggiolava disperatamente al mio fianco. Nonostante tutto, mi fece una gran pena. Una delle sue teste continuava a cambiare spasmodicamente forma, mentre l'altra piangnucolava e mi lanciava certe occhiate da cane bastonato che mi intenerivano fin troppo per essere un malvagio mostro mangia-emozioni. Contro ogni indicazione che il mio amico mi aveva dato, lo guardai negli occhi. Fu come se le sue pupille mi risucchiassero dentro di lui. Fu come se per un istante mi fossi staccata dal mio corpo e fossi stata catapultata nella sua testa. Vidi rapidamente diverse immagini di morte e sangue e infine mi ritrovai a fissarmi attraverso i suoi occhi.
-ANDREA!-
La voce di Fedrico mi riscosse improvvisamente.
-Afferra la mano! Veloce!-
Un'altra corda saltò dalla sua sede.
-Andrea!-
Allungai una mano, ma non arrivavo fino alla sua.
-Salta Andrea! Salta!-
Senza pensarci ulteriormente, mi lanciai verso di lui, proprio nell'istante in cui anche l'ultima corda si spezzava e il ponte crollava, trascinando inesorabilmente verso il fiume l'enorme lupo a due teste.
Allungai la mano verso Federico e lui si sporse più che poté verso di me.
E sapete che cosa successe?
La mancai.
I miei due amici non poterono far altro che guardarmi precipitare nel vuoto, impotenti.

 

 

Angolo Autrice

Sì! Ce l'ho fatta! Ho finito la prima parte della storia! :'D questo capitolo è quasi di sette facciate, wow.  Un capitolo infinito ouo aspetta... capitolo sette... sette facciate... oddio xD beh, che dire ragazzi, ringrazio tantissimissimo chiunque abbia letto questa storia fono a qui, sia di propria volontà, sia obbligato e in particolare un grazie enorme al mio amico Federico, mia fonte d'ispirazione e di sclero continua! Credo che sia a causa sua se ho iniziato Fantasy.exe... bene, ora sapete con chi prendervela raga. Comunque, passando alle cose serie, mi scuso un sacco per la mia lentezza. Lo so sono decisamente esasperante. Scusate. NOn lo faccio apposta e non è sempre a causa mia se non riesco a scrivere. Vi prego di avere tanta ma tanta pazienza e di perdonarmi. Seconda cosa, questa storia sarà divisa in diverse parti, ognuna di sette capitoli, in cui alla fine di ognuno accadra qualcosa di “omgwtf”. Non so ancora quante parti ci saranno, ma vi posso spoilerare che nei prossimi capitoli i nostri eroi saranno divisi: Federico e Fidia si avventureranno nel deserto, mentre Andrea... eh... no, non ve lo dico. Spero che sia piaciuto il capitolo e la storia. Alla prossima! :D
superpoltix
P.s. “Bellegno” non è un errore di battitura, ma è il modo in cui Andrea chiama i bastoni da lanciare ai cani. Magari un giorno vi spiegherò anche il perché xD
Ah, ehi! Questo è l'ultimo capito che pubblico avendo l'età che ho ora :') domani è il mio compleanno :'3 accetto auguri di buon compleanno anche in ritardo xD

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Capitolo 8
*** Il deserto gioca brutti scherzi ***


Federico affondò le dita nella terra, sconvolto. I suoi occhi erano fissi verso il basso, cercando disperatamente un segno di vita sul fondo del canyon, ma l'unica cosa che videro, furono le ruggenti rapide trascinare via zolle di terreno e alcune assi del ponte crollato. Ma dell'unica cosa, o meglio, persona, di cui gli importasse in quel momento non c'era nessuna traccia.
-Andrea!- chiamò, disperato. Non voleva credere che fosse morta. No, non poteva, non doveva esserlo.
-Andrea!- ripeté, ancora più forte. Una strana sensazione di gelo gli iniziò ad arrotolare lo stomaco.
Fidia gli si posò accanto. Il suo viso era pallido e pietrificato. Socchiuse le labbra come se fosse sul punto di dire qualcosa, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Si limitò ad appoggiare la sua piccola mano sulla coscia destra di Federico.
Lui continuava a gridare al vuoto e al fiume, con lo sguardo perennamente puntato in giù. Continuò a chiamare il nome di Andrea finché non gli fece male la gola, e anche allora continuò. Gli occhi gli pungevano e le sue viscere sembrava avessero deciso di mettersi a giocare a twister. Nonostante il sole splendesse su di lui, l'unica senzazione che gli trasmetteva era quella di un gelo penetrante, che gli arrivava fino alle ossa. Quando non ebbe più voce per gridare, continuò a farlo nella sua mente. E il nome era sempre quello. Andrea. Andrea. Andrea.
Fidia lo tirò piano per l'orlo della maglietta. La sua presa era tremolante e la sua voce quando gli parlò, suonò terribilmente forzata e roca.
-Non possiamo restare troppo tempo qui.- disse, gli occhi bassi per non incrociare il suo sguardo -Verranno altri mostri come quello.-
Federico restò immobile.
Il piccolo custode decise di giocare un'ultima carta per convincerlo, seppur anche lui non volesse lasciare quel posto. -Dev'essere caduta nel fiume. Probabilmente ormai non è più qui sotto. Probabilmente ormai sarà già sdraiata su qualche spiaggia a maledire noi e il nostro ritardo.- sembrò di sembrare ottimista.
-No. Non è caduta nel fiume. Dev'essere qui sotto da qualche parte.- Federico continuò a fissare il vuoto sotto di lui.
-Non c'è niente qui sotto- rispose Fidia, con la voce strozzata. -Ma posso andare a controllare, se è questo che vuoi.-
Federico annuì. Ormai anche solo parlare gli procurava tanto dolore come se qualcuno gli artigliasse la gola.
Fidia volò lentamente verso il basso, tenendosi a qualche metro dalla parete per esaminarla meglio. La ispezionò in lungo e in largo, con una meticolosità quasi paranoica, ma tutto si verificò inutile. Sconsolato e scuro in volto, tornò da Federico. Non ci fu nemmeno bisogno di parole, fu sufficente uno sguardo. Il folletto gli poggiò una mano sulla spalla, anche se non era ben sicuro nemmeno lui se lo facesse per dare coraggio al ragazzo o a sé stesso. Quello restò fermo ancora per un istante, poi lentamente si alzò. Farlo gli costò una fatica immane e non solo per i graffi e i tagli che le piante velenose gli avevano procurato in precedenza. Quel gesto significava perdere le speranze di ritrovarmi (anche se sto narrando dal punto di vista di Federico e Fidia non dimenticatevi di me! Sono sempre io, Andrea, a raccontare), di abbandonarmi al mio destino, di... “tradirmi” in un certo senso (che non è il senso che alcuni furbacchioni tra di voi vogliono intendere).
-Non voglio dire che non...- Fidia s'interruppe a metà, non volendo dire ciò che entrambi pensavano, cioè che non mi avrebbero più rivisto -seguiremo il corso del fiume. E vedrai che quando la ritroveremo avrà pure il coraggio di accoglierci con una sfuriata per averci messo tanto.-
-L'hai già detto.- gracchiò Federico, cupo. Senza aggiungere altro, si voltò dall'altra parte e cominciò a camminare allontanandosi dal dirupo.
-Dove vai? Dobbiamo seguire il...-
-Lo so. Solo che non posso più sopportare la sua vista.-
-Ma così non potremmo vedere dov'è Andrea e...- le parole gli morirono in gola. Con esitazione, Fidia gli si accostò e lo guardò in faccia. -Non pensi che la rivedremo, vero?-
Lui in risposta, lo scacciò via come se fosse un insetto particolarmente fastidioso e continuò imperterrito ad avanzare.
Il piccolo folletto dopo ciò ritenne più saggio restare in silenzio e non irritarlo ulteriormente. Camminarono, o meglio, Federico camminò per un lungo tempo sulla terra secca e arida, alzando una leggera nuvola di polvere ad ogni passo, mentre il custode lo seguiva a qualche metro di distanza da lui, restando in volo. Il sole batteva costantemente sulle loro teste, arroventando i capelli e facendoli grondare di sudore. Il povero cervello dei due, già messo a dura prova dagli ultimi avvenimenti, a causa di quel caldo terribile, cominciò a fare le bizze. Il mio amico iniziò a vedere alcuni cactus con addosso cappelli messicani o da cow-boy, muoversi e bere da delle noci di cocco. Una di quelle piante di si avvicinò e di offrì la sua noce, dandogli con un ramo un'affettuosa pacca sulla spalla. A quel punto sobbalzò e si afferrò il baccio. I solchi lasciati dalle spine dei rovi erano diventati di uno strano colorito sul fucsia e gli pungevano come se qualcuno ci avesse appoggiato sopra tanti piccoli spilli e si stesse divertendo a conficcarglieli sempre più a fondo nella pelle.
Fidia invece si vide passare davanti un'intera parata di gente travestita da tutto ciò che potesse essere anche vagamente relazionato con il ghiaccio, la neve e il freddo. Vide persone travestite da ghiaccioli e da coni gelato, altre vestite da yeti che ballavano con i pattini e persino un Babbo Natale con tanto di slitta e renne che lanciava regali a destra e a sinistra.
-È una mia impressione o vedo cose che non dovrebbero essere qui?- commentò rocamente Federico, osservando i cactus iniziare a ballare il can-can tutti insieme a cerchio intorno a loro. Incredibilmente, aveva deciso di mettere da parte la sua irritazione di prima con lui e di ricominciare a parlare.
-Beh...- Fidia schivò un tricheco con un cappellino a cono da festa di compleanno che di stava scivolando addosso su del ghiaccio inesistente -effettivamente, non so quanto possano essere reali.-
Il mio amico cercò di concentrarsi sul folletto, e i cactus iniziarono a sbiadire dalla sua visuale. Quando ritenne di essere sufficentemente lucido, si osservò intorno. Erano nel bel mezzo di un mare di dune sabbiose, senza nemmeno l'ombra di un canyon. -Oh no.- Federico si portò le mani ai capelli, scompigliandoli. -Non va bene. Non va bene per niente.-
-Sono d'accordo.- rispose Fidia, annuendo convinto -quella sottospecie di pinguino non dovrebbe vestirsi in quel modo. È al limite della decenza.-
-Cosa?- il mio amico sbatté le palpebre, confuso. Bastò solo quell'istante che i cactus ballerini tornassero a danzargli attorno, sfiorandolo pericolosamente con i loro fusti irti di spine. Quella volta però alcuni avevano anche degli strumenti musicali e suonavano allegramente “In fondo al mar” mentre altri bevevano da lattine di fanta o di birra. La gola di Federico cominciò a protestare. A furia di gridare gli si era irritata e con il caldo la sete non aveva fatto che peggiorare le cose. Avrebbe dato di tutto per poter avere un sorso di aranciata.
Fidia invece era completamente assorto nella parata dei pinguini. Ogni branco era vestito in modo diverso ed erano tutti capeggiati da una pulcinella di mare, che era quella conciata alla maniera più strana di tutti. In testa aveva una parrucca riccia sull'arancione acceso, come quella di alcuni clown, poi indossava un tutù rosa da danza classica, delle scarpe da Superpippo che dovevano essere almeno tredici volte la sua taglia e un mantello rosso con la scritta “Chi mi ama mi segua” in giallo evidenziatore. Di fianco ai pinguini, alcune orche nuotavano nell'aria e si passavano l'un l'altra come se fosse una palla un piccolo omino travestito da iceberg, accusandolo di aver fatto affondare il Titanic. Fidia si asciugò con un braccio il sudore che di colava lungo la fronte, desiderando come non mai di poter essere anche lui al fresco e non in quell'afoso e caldo deserto. Sfortunatamente i suoi sogni di frescura vennero bruscamente interrotti da Federico, che, dopo aver inseguito per un buon tratto un cactus con i baffi per rubargli la lattina di Coca-Cola, gli si era schiantato addosso. Il piccoletto venne scaraventato a terra di testa, affondando fino alla cintura nella sabbia. Dopo aver sca lciato inutilmente per un paio di volte, riuscì a liberarsi. Si batté la mano diverse volte su un orecchio, con la testa inclinata da un lato per far uscire la sabbia che di si era infilata nel condotto uditivo. -Ehi! Fai un po' di attenzione a dove vai, bisonte! Con la tua immensa delicatezza mi hai fatto riempire i vestiti di sabbia!- subito dopo aver pronunciato la seconda frase, realizzò che non erano più nelle vicinanze del canyon e che si erano completamente persi. Le sue visioni polari erano scomparse e l'unico brivido che provava ora era quello della certezza di essere sperduti nel nulla.
-Fede!- esclamò -dobbiamo tornare indietro!-
-Giusto!- confermò quello, cercando di agguantare l'aria e poi osservando con profondo disappunto le sue mani vuote -dobbiamo convincerla a tornare indietro nel mare. Non può mica andare da quella brutta...- sembrò esitare sul termine da usare -strega- si arrese alla fine, anche se sembrava più propenso ad usare un'altra parola.
-Ma di che parli?- Fidia spiccò il volo e lo strattonò per la maglia. -Dobbiamo tornare al fiume!-
-Al fiume? Al mare vorrai dire!- lo cercò di scacciare distrattamente mentre parlava -Forza piccoletto, balla con noi! La cucaracha, la cucaracha!- e iniziò ad muoversi imitando qualcose che avrebbe dovuto essere un ballo.
-Fede! Avanti riprenditi! Non devi lasciarti conquistare dalle tue fantasie!- il folletto lo tirò per i capelli, deciso a farlo rinsavire.
L'altro però sembrava non essere d'accordo con lui. Si agitò bruscamente e scompostamente le mani sulla testa e borbotto qualcosa di incomprensibile rivolto al custode. La sua gola di bruciava dall'arsura e i cactus proprio in quel momento si stavano tuffando in una mega piscina con di scivoli e i gonfiabili galleggianti, mentre alcune palme servivano loro delle rinfrescanti bibite ghiacciate da bere. Quella visione era fin troppo allettante perché Federico la volesse abbandonare. -Cameriere!- gridò -una bottiglia di acqua! La prego!-
-Federico!- lo chiamò ancora Fidia -svegliati! Riprenditi!-
-Cameriere! Sono io che ho parlato, non il cactus in bikini!-
Il custode sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Doveva trovare un rimedio a quel pasticcio, e in fretta. Improvvisamente, un'idea gli guizzò nel suo cervellino abrustolito. -Acqua! Acqua fresca a metà prezzo!- esclamò, imitando il tono dei venditori ambulanti in spiaggia. Il trucco funzionò subito.
-Dove? Dov'è l'acqua a metà prezzo?- chiese Federico, come risvegliandosi da un sogno.
Fidia fece per dire che era dal fiume, quando il suo sguardo si posò su una figura che ricordava fin troppo bene. -Laggiù...- disse, senza neanche farlo apposta.
Il mio amico si girò e sgranò gli occhi. Poi, un sorriso a trentadue denti di illuminò il viso. -Un Autogrill!- esclamò, tutto contento. E senza ulteriori indugi, prese a correre nella sua direzione.
Al folletto non restò che seguirlo, senza riuscire a capacitarsi come quell'Autogrill si fosse potuto materializzare nel bel mezzo di un deserto. Un pessimo presentimento iniziò a tormentargli lo stomaco. -No... no...- mormorò, iniziando a sudare freddo -non entrare nell'Autogrill! Mi hai sentito? Non entrare!- gridò, ma Federico non lo ascoltò nemmeno, anzi, accelerò ancora di più la sua corsa sfrenata. Sembrava aver completamente dimenticato la precedente esperienza con l'Autogrill assassino.
In effetti, la sua mente in quel momento era completamente stravolta. Prima lo shock di avermi perduta, poi il sole cocente e le visioni dei cactus... insomma, chiunque avrebbe perso il lume della ragione dopo aver visto dei cactus in abiti succinti o in costume da bagno. In quel momento, l'unica cosa che il suo cervello sfinito voleva, era dell'acqua e un po' di riposo. A circa cento metri dall'Autogrill però, i cactus di si pararono davanti, minacciosi e decisi a non farlo passare. Lui li fissò spaesato. -Andiamo ragazzi!- si giustificò -è a metà prezzo!- Alcuni cactus iniziarono a far oscillare pericolosamente delle mazze da baseball, come se avessero un'improvvisa voglia di adoperarle su qualcosa di diverso da una palla.
Contemporaneamente, Fidia si ritrovò circondato da pinguini, omini-ghiacciolo e orche volanti. Tutti lo fissavano con aria ferita e ostile, come se avesse appena detto che la parrucca del capo della loro parata non si intonava con il tutù. Con uno sforzo di volontà, si impose di non far loro caso e di raggiungere Federico, ma non appena ebbe sfiorato la gigantesca pancia di un tricheco, quello si contorse e si deformò orribilmente, diventando un mostro gelatinoso dal colore bluastro. Il folletto si tirò indietro immediatamente, spaventato. Uno a uno, tutti i simpatici animaletti buffo-vestiti cominciarono a cambiare forma e a diventare degli sgorbi gelatinosi e bavosi dagli occhi bianchi. Sembravano essere composti da una sostanza tra il liquido e il solido, poiché dal loro corpo colava una specie di bava nerastra che li avvolgeva completamente. Per semplificare le cose, immaginatevi un budino. Ora immaginatevi un budino blu. Adesso prendetelo e mettetelo cinque minuti nel microonde. Bene, dopo aggiungete a quello che rimane del budino della saliva di un San Bernardo mista a petrolio e benzene. Più o meno quello che ne uscirebbe fuori sarebbe simile alla consistenza di quei mostriciattoli. Oh, e se al terzo minuto si è fuso il microonde va ancora meglio. Ma ora torniamo a Fidia e a quello squinternato del mio amico, poiché anche Fede aveva avuto modo di fare la conoscenza di quegli sbausciosi esseri (sempre se esista il termine “sbausciosi”. Trovo che sia particolarmente azzeccato). Anche lui, come Fidia, ne era stato circondato e per provare a scappare per raggiungere l'Autogrill aveva tentato di spintonare via un cactus, rivelando poi la vera natura delle sue visioni.
-Aiuto!- gridò, con una voce acuta sette volte più del normale -dei cactus si sono traformati in lumache giganti che vogliono uccidermi!-
Fidia, attirato dai suoi strilli, si voltò nella sua direzione, e finalmente poté vedere anche lui gli esseri che lo avevano tormentato fino a condurlo alla pazzia. Con un impeto di coraggio, il folletto si lanciò tra due mostri gelatinosi e volò più veloce che poté in aiuto di Federico, senza curarsi minimamente della sua taglia in confronto a quella dei nemici o alle sue possibilità di successo. In un attimo fu al suo fianco e gli si posò su una spalla. Le gelatine che aveva lasciato indietro emisero degli strani rumori gorgoglianti, poi strisciarono in un modo inspiegabilmente rapido fino ad aggiungersi a quelle che già li accerchiavano. Quelli più vicini allungarono delle zampe simili a quelle di una mantide verso di loro, emettendo orribili versi schioccanti e di risucchio. Federico iniziò a farfugliare cose sul fatto di dover salvare Ariel e Sebatian dalle grinfie del cuoco e si rannicchiò leggermente su sé stesso. Fidia cercò nuovamente una soluzione a quella scomoda situazione. Come poteva evitare di venire fagocitato da una massa informe di gelatine blu?
-Fede- ripeté, con il tono più severo e serio che riuscisse ad avere in quel momento -l'acqua è in saldo.-
-In... saldo?- lui tirò su col naso, e gli indirizzò uno sguardo pieno di speranza.
I mostri informi nel frattempo si avvicinavano ancora di più, soffiando minacciosamente al modo dei gatti e gorgogliando.
-Sicuro.- continuò il custode, con la voce tremante -devi solo entrare nell'Autogrill.- nonostante non fosse esattamente entusiasta di entrare in un altro Autogrill, in quel momento gli sembrava l'unica cosa sensata da fare. Dopotutto se quei mostri si erano frapposti tra loro ed esso, forse non potevano entrarci. Subito dopo aver formulato quel pensiero di parve ancora più stupido di prima.
Federico guardò l'edificio. -Devo correre. Sono bravo a correre.- si voltò verso Fidia, con uno sguardo più stralunato del solito. -Lo sai perché sono bravo?-
Le gelatine erano fin troppo vicine. Fidia era sul punto di accettare il fatto di stare per diventare lo spuntino di un mostro molliccio blu. -Perché?- domandò, sconsolato.
-Perché ho le gambe.-
Il folletto fece appena in tempo ad attaccarsi al bordo del collo della maglietta di Federico, che lui partì a tutta velocità tra i mostri informi dritto verso l'Autogrill. Quando le sue mani e le sue braccia toccarono quegli esseri gelatinosi per farsi spazio e superarli, le sue mani sprofondarono di alcuni centimentri all'interno del loro corpo, e quando ne uscirono erano copletamente ricoperte da una sostanza trasparente e vischiosa, come se quei mostri ci avessero sbavato sopra. Fidia chiuse gli occhi e si strinse a Federico, pregando silenziosamente che andasse tutto bene. Sentì il mio amico insultare Ursula e tutti i suoi tentacoli e lo sentì correre via veloce come il vento. Sentì anche i mostri gorgogliare ed emettere orribili versi irati e infine, sentì delle porte aprirsi e chiudersi di botto.
La corsa di Federico si fermò.
Fidia aprì piano piano gli occhi, incredulo. Ce l'avevano fatta. Possibile che fosse stato tutto così semplice? Spiccò il volo e si fermò a guardare attraverso la porta di vetro dell'Autogrill, lasciando Federico libero di andare a cercare la sua acqua in saldo. Il mostri avevano circondato l'intero edificio, ma non appena cercavano di toccare un muro, una finestra o di entrare in qualsiasi modo, dal punto toccato partiva una scarica di luce bianca che li fulminava. Il piccoletto non poteva crederci. L'Autogrill li stava aiutando! La sua ipotesi era corretta!
-Mammaaa!- gridò Federico. Un fragoroso rumore di decine di bottiglie che cadevano a terra seguì immediatamente alla chiamata.
Il folletto si voltò verso di lui, per rimproverarlo della sua disattenzione, ma invece di trovarsi un Federico ricoperto da una montagna di bottiglie, si ritrovò davanti un ragazzo sconosciuto che cercava di non inciampare tra le “Uliveto e Rochetta, acque della salute” e delle “Powerade” dai colori più improbabili. Inevitabilmente però, scivolò su un Estathe al limone da un litro e capitombolò a terra. Subito Federico di saltò addosso gridando “yu-huuu!” e gli si sedette sulla sua schiena, immobbilizzandolo.
-No! No! Vi prego, lasciatemi andare!- supplicò quello -non uccidetemi vi prego! Non mangiatemi!-
Fidia di si avvicinò, stupito, incuriosito e impaurito al tempo stesso, mentre Federico si gongolava tutto contento e ripetendo “ho preso il cuoco, mamma!”.
-Chi sei?-
Quello smise di divincolarsi e strabuzzò di occhi dalla sorpresa. -Aspettate... voi... voi  non siete dei personaggi delle mie storie?-

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Capitolo 9
*** Eccomi da sola soletta nella mia solitudine ***


Riaprii gli occhi lentamente, impaurita da ciò che avrei potuto trovarmi davanti. La prima cosa che vidi, furono le acque spumeggianti e selvagge del fiume sotto di me. Con un riflesso involontario mi strinsi ancora di più alle assi di legno del ponte, facendomi scricchiolare tutte le giunture. Mi sentivo i muscoli completamente irrigiditi e doloranti, e avevo la spiacevole senzazione di avere una mucca infilzata nello stomaco. Emisi un sospiro tremante, cercando di mettermi in una posizione in cui l'asse a cui ero appoggiata non tentasse di bucarmi lo sterno, con scarsi risultati. Mi ritrovai di nuovo a fissare le rapide, questa volta però con maggiore disappunto e meno timore. Ero bloccata.
Bene, adesso, dato che probabilmente vi starete tutti chiedendo come cavolo facevo ad essere ancora tutta intera e come fossi finita in quella scomoda situazione, vi riassumerò in breve la mia fantastica disavventura. Sicuramente ricorderete tutti il mio epico salto della portata di un criceto. Dopo aver mancato di brutto la mano che Federico mi aveva porto per aiutarmi, caddi inesorabilmente verso il basso. Fortunatamente, o sfortunatamente, una parte della parete era più sporgente del resto, perciò quando ci passai accanto ci i sbattei una bella zuccata contro. E incredibilmente, fu proprio quella testata a salvarmi la vita: infatti subito dopo aver dato il colpo, avevo istintivamente spintonato la roccia per allontanarmi dal corpo estraneo su cui ero andata a sbattere, e così facendo mi ero riavvicinata al ponte che nel frattempo stava crollando. È bizzarro, ma proprio quel momento in cui tutto è avvenuto così in fretta, è l'attimo che mi sembra più lungo e che riesco a ricordare meglio. Come in una scena al rallentatore, mi ero vista passare di fianco una delle corde del ponte e senza pensarci due volte mi ero aggrappata ad essa con tutte le mie forze e avevo chiuso agli occhi. Siete mai andati su un otto volante? Immaginatevi di andarci senza protezione e niente che possa proteggervi dal precipitare. Quella fu esattamente la stessa sensazione che provai mentre giocavo a fare Tarzan con un ponte striminzito al posto delle liane. Subito dopo, avevo sbattuto un'altra testata dell'accidenti (e sempre nello stesso dannatissimo punto) contro l'altro lato del dirupo. Ancora mezza stordita dalla duplice zuccata, avevo cercato di arrampicarmi verso l'altro e ritornare con i piedi per terra il più in fretta possibile, ma sia per la troppa paura e agitazione, sia perchè avevo i muscoli delle braccia a pezzi, dopo aver scalato due o tre assi, avevo messo un piede in fallo e il legno aveva ceduto, facendomi cadere di pancia sull'asse precedente, senza lasciarmi possibilità di raddrizzarmi. Ed in quella posizione mi trovavo ancora.
Fissai ancora le rapide al di sotto di me, sconfortata. Quanto avrei voluto essere a casa mia, al calduccio, in mezzo alle millanta e passa scartoffie di Federico e compiti di matematica e fisica. Chiusi gli occhi, cercando di immaginarmi mia madre entrare di colpo in camera mia sbattendo la porta e lamentarsi perché non avevo risposto alle sue chiamate al cellulare. Dannazione, nonostante facessi sempre di tutto per non farmela stare appiccicata addosso, mi mancava. Strinsi forte gli occhi, vietando a me stessa di piangere. Con un sospiro, tornai a guardare il ponte e lo scalino mancante che mi aveva messa in quella orrenda situazione. Portai una mano sotto il diaframma, digrignando i denti per il dolore generato dallo sfregamento tra il mio braccio irritato dalle spine velenose e il legno grezzo e scheggiato dell'asse del ponte. Rimasi ferma per un attimo, poi mi sollevai lentamente e penosamente sul braccio, in modo da portare un ginocchio tra la mia pancia e l'asse. Ansimai, con i muscoli ancora tesi e tremanti dallo sforzo. Contai fino a sette e ripetei la stessa operazione con l'altro ginocchio, e infine, mi tirai sù, reggendomi alle due corde ai lati e cercando di non traballare troppo sui miei piedi. Restai di nuovo immobile per un'altra manciata di secondi, per riprendere fiato e attenuare il dolore a... tutto. Allungai una mano e cercai di afferrare il successivo asse, scervellandomi come avrei potuto raggiungerlo. Casualmente, il pensiero corse a mio padre, che adorava arrampicarsi e fare tutte quelle cose pericolose che mettono tanto in pensiero le madri, e da lì nacque la mia idea. Mi girai verso la parete e ne studiai rapidamente la superfice. Non era completamente liscia, ma aveva numerose rientranze e sporgenze, utili per arrampicarsi. Mi aggrappai con entrambe le mani alla corda alla mia destra e dopo aver recitato un rapito Padre nostro che sei nei cieli, sollevai i piedi e li puntellai contro la roccia. Le braccia iniziarono subito a protestare e a minacciare di rivoltarmisi contro, ma strinsi i denti e cominciai a camminare sulla parete, portando avanti una mano alla volta ad ogni passo. Fu come un miraggio toccare l'asse successivo e riuscire ad arrampicarmici sopra. Tirai un sospiro di sollievo. Grazie al Cielo. Alzai lo sguardo. Ora me ne mancavano solo altri trecentoventi.
Numerose imprecazioni e stiramenti muscolari dopo, finalmente toccai la terra con una mano. Sospirai, completamente sfinita e dolorante. Con un ultimo sforzo di volontà riuscii a trascinarmi sul bordo del dirupo. Mi girai sulla schiena e mi lasciai sfuggire un lamento, restando a fissare immobile il cielo azzurro. Mai quella vista mi sembrò tanto rilassante e piacevole. Chiusi gli occhi per assaporare meglio il momento, e senza nemmeno sapere bene perché, scoppiai a ridere. Era troppo bello per restare in silenzio. Accarezzai la terra sotto le mie dita e ci appoggiai una guancia. Era piacevolmente tiepida, solida e rassicurante. L'aria non era umida come nella foresta e il sole mi sembrava quasi volermi riscaldare l'anima. Trassi un respiro profondo. Poi, come un pugno nello stomaco, arrivò lui. Il ricordo di Federico. Di Fidia. Quel dolce torpore che avevo dentro sparì immediatamente, lasciando un vuoto disorientante e un freddo gelido. Ero da sola. Mi alzai sulle ginocchia, stringendo i denti quando la mia pelle irritata strisciò contro la terra, e scrutai l'altra parte del canyon. Niente. Socchiusi di occhi. Provai a schermarmi dal sole con una mano. Feci scorrere lo sguardo a destra e sinistra. Assolutamente nulla. Fui presa dal panico. Non c'è niente che mi faccia più paura del ritrovarmi da sola (e degli aghi, delle farfalle, delle galline, dei conigli, delle... okay, basta.). Restai ancora qualche secondo a guardare fisso davanti a me, come troppo spaventata per ragionare. Lo chiamai diverse volte. Provai anche a chiamare Fidia. Inutilmente. Mi tormentai il labbro inferiore con i denti, tremando appena con le gambe. Cercai di ragionare. Magari non avendomi vista afferrare le corde del ponte, avrebbero potuto ipotizzare che fossi caduta in acqua e quindi si fossero diretti verso la direzione della corrente. E forse non riuscivo a vederli perché erano o troppo lontani o si erano addentrati in quella terra sconosciuta. Cercai di non pensare alla quantità di mostri che Federico si sarebbe portato dietro e che avrebbe potuto ucciderli. Sempre che non l'avessero già fatto. Ops, ci avevo appena pensato.
Cercai di scacciare il pessimismo dalla mia mente e mi ripetei che dovevano aver seguito il fiume. Sì, non c'era altra spiegazione. Raccolsi quel po' di coraggio (se lo si può definire tale) che mi rimaneva e mi misi in cammino, tenendo bene d'occhio sia la foresta alla mia destra, da cui potevano spuntare altri personaggi delle mie storie, sia l'altra parte del canyon, per avvistare eventuali tracce dei miei amici. Ogni tanto mi sporgevo dal bordo del dirupo per guardare il fiume, ripensando a quanto ero stata fortunata a non finirci dentro. Tutti di anni di corsi di nuoto e le estati al mare non mi avrebbero certamente salvata da quelle rapide infernali e massi e detriti che spuntavano pericolosamente qua e là dall'acqua. Mentre camminavo, i miei pensieri corsero in fine anche al lupo a due teste. Era morto o era ancora vivo? E se era morto, come aveva fatto? Se era un personaggio inventato dalla testa di Fede, probabilmente sarebbe morto in una maniera che il mio amico aveva immaginato per lui, ma non mi risultava che avesse mai elaborato una morte per quel mostro. Oppure, dato che ormai non era più solo nella sua testa ma anche reale, seguiva le normali leggi della natura? Nonostante il lupo fosse un animale forte e imponente, avevo i miei dubbi che fosse riuscito a sopravvivere al fiume. Ma tutto sommato non era un lupo normale, e per quanto ne sapessi, i lupi sapevano nuotare. Un lieve disagio si aggiunse alla brutta sensazione di solitudine che avevo addosso. Non avevo nessunissima voglia di ritrovare quel bestione, soprattutto ora che ero sola e con tutti i muscoli a pezzi, ma c'era una piccola vocina lontana, che dal profondo abisso della mia testa vuota mi diceva “C'è ancora. Lo incontrerai. Lo sai. Stai andando da lui.”. Lo so, non era affatto incoraggiante. Ma riflettendo bene aveva un senso: stavo seguendo la corrente, perciò se il lupo era stato trascinato via dall'acqua l'avrei trovato di sicuro prima o poi. Improvvisamente non avevo più molta voglia di camminare. Abbattuta, mi sedetti sul terreno, a fissare l'altro lato del canyon. Come avrei potuto raggiungerlo? Non avevo alcuna certezza che continuando ad andare avanti ci fosse un modo per passare il fiume. E anche se ci fosse stato, chi mi assicurava che sarei riuscita a raggiungerlo? O che anche loro ci sarebbero riusciti? Mi raggomitolai a pallina, abbracciandomi le ginocchia. Ero stanca. Mi facevano male i graffi e le spine che avevo ancora conficcate qua e là nelle braccia, in punti che non riuscivo a raggiungere. E avevo fame e sete. E mi sentivo terribilmente persa e sola. Come avrei voluto avere qualcuno vicino a me, non importava chi, a farmi compagniae a darmi un po' di conforto. Ma invece no. Ero da sola.
-Forza Andrea- borbottai -smettila con questi pensieri. Non sei con Federico da nemmeno un giorno e sei già così abbattuta? Forza, maledizione, alzati in piedi e cammina. Ti fa male stare ferma, perchè ti aiuta a pensare. E pensare ora non ti aiuterà. Devi agire.-
Mi tirai su a fatica, con le gambe che protestavano. -Brava. E ora cammina. Coraggio, cammini da quattordici anni, non sarà qualche passo in più a ucciderti.-
Le gambe si misero in moto da sole, e presto mi accorsi che, per qualche strano motivo a me sconosciuto, più mi muovevo, meno mi facevano male. Per scacciare la solitudine e i pensieri pessimisti, iniziai a canticchiare una canzoncina sui pirati che mi avevano insegnato all'asilo. Era composta da una sola strofa, che si continuava a ripetere ma in cui ogni volta si toglieva una parola, che si doveva quindi mimare. Sì, forse non era la canzone più intelligente del mondo, ma era un buon modo per tenere occupato il cervello.
Presto però, la fame e la sete iniziarono a farsi sentire con maggiore intensità, e seppur di malavoglia, mi addentrai nella foresta alla ricerca di qualcosa da mangiare, o magari di un Autogrill (non che mi mancasse, ma a mali estremi...).
Non appena varcai il confine degli alberi, fui assalita da un caldo umido asfissiante, e le radici contorte degli alberi non persero tempo e iniziarono subito a farmi lo sgambetto. Come mi era mancata la foresta. Per fortuna che in quella zona c'erano solo alberi, senza quell'orribile melma della volta prima.
Presi a canticchiare la famosa filastroccha delle scimmiette che saltavano sul letto, per scacciare il pensiero che addentrandomi sempre di più nel folto della foresta, mi sarei potuta perdere e restare intrappolata in quel posto per svariati giorni.
Ero arrivata a non più di cinquanta scimmiette, che sentii come un frusciare di foglie alla mia destra. Mi fermai e mi voltai in quella direzione ma non vidi niente. Turbata, afrettai il passo per andarmene da lì il più presto possibile, continuando a canticchiare nella mia testa. Da quel momento feci sempre più attenzione ai rumori che sentivo, e mi accorsi che la foresta pullulava di una gran quantità di strani suoni, che andavano ben al di là del fruscio delle foglie. Dei rami schioccarono improvvisamente e mi caddero davanti senza nessun motivo apparente. I rami oscillavano senza che ci fosse vento, e il ruomore prodotto sembrava quello di un bisbiglio di parole a me ignote. Mi sentivo osservata, come se ogni albero mi stesse guardando con occhi ostili e invisibili. Fui tentata di tornare indietro, ma quando mi girai per andarmene, vidi che gli alberi non erano più nella posizione che avevano quando li avevo sorpassati. Stupita e spaventata, mi guardai intorno, e nessun albero era nella posizione che ricordavo. Grande. Mi ero persa in una foresta di alberi che si muovevano. Un leggero venticello s'intrufolò tra le foglie, che emisero un rumore simile a una risata.
-Credete sia divertente? Beh, non lo è affatto invece.- esclamai. Feci un passo avanti, ma una radice in agguato mi fece ruzzolare per terra. Gli alberi ridacchiarono ancora, mentre io mi rialzavo, offesa e indispettita. Insomma, ero appena stata burlata da un albero! -Va bene- borbottai, guardandomi intorno -qualche altra cosa?- Una cascata di foglie secche mi volò inspiegabilmente addosso, infilandosi sotto i vestiti, tra i capelli e in bocca. Come avrei voluto non aver mai detto quella frase. Sputacchiai un paio di aghi di pino e mi passai una mano tra i capelli, scrollandoli, mentre con l'altra mi toglievo le foglie da sotto la maglie. -D'accordo, questo me lo andata a cercare.- Gli alberi frusciarono un assenso divertito. Per quanto mi sentissi stupida a parlare con degli alberi, non riuscii a fare a meno di smettere. In fondo era anche quella una forma di compagnia. -Mi chiamo Andrea Libero- mi presentai, con un leggero inchino della testa e del busto. Gli alberi furono scossi da una lieve brezza, che li piegò in avanti come se stessero ricambiando il saluto con un abbozzo di inchino. -Sto cercando un posto dove mangiare e bere. Sono un sacco stanca. Avete mica visto un Autog...- i rami schioccarono in maniera minacciosa e uno di essi mi sfiorò di poco nella sua caduta. Va bene, forse non amavano di Autogrill. Beh, neanch'io del resto. Non avevo voglia di lottare ancora contro quelle orribili trappole diaboliche, e da sola pergiunta. -Non vi pacciono? Okay, okay, allora non ne parleremo più. Che ne dite invece di portarmi a un bel ruscelletto tranquillo? Ce ne sarà ben uno qua in giro- dissi, con tono ragionevole e conciliante. Le piante parvero apprezzare questa nuova idea, e si scossero in una maniera compiaciuta. -Sapete indicarmi la strada? Intanto potrei raccontarvi cosa mi è successo o canticchiarvi qualcosa se vi va.- Di nuovo di alberi furono contenti della proposta, e, incredibile ma vero, si spostarono in modo da aprirmi un sentiero sgombro di impicci fadstidiosi e indicarmi la direzione che dovevo seguire. Felicemente sorpresa, mi avviai per quel cammino con un buon passo, e iniziano a raccontare tutte le mie avventure sin dal mio arrivo nella foresta melmosa. Ovviamente esageravo molti fatti, rendendoli più divertenti e stravaganti, in modo da attirare meglio l'attenzione e da coinvolgerli nella storia. E non credereste mai a quando un albero possa essere un buon ascoltatore ed espressivo. Nelle parti più comiche ridacchiavano e agitavano le foglie, in quelle più tese restavano tutti muti e immobili, ogni tanto facendo scricchiolare piano qualche ramo per la tensione. Quando arrivai alla parte della separazione tra me e i miei amici, si dimostrarono anche incredibilmente comprensivi e compassionevoli, dandomi affettuose carezze con le loro foglie più tenere e i loro ramoscelli più giovani. Credo che da quel momento in avanti non avrei mai più visto un albero come un sempre essere vegetale utile solo a fare un po' di ombra e fresco d'estate. Quelli intorno a me erano esseri vivi, capaci di pensare, parlare (a loro modo) e provare emozioni, erano dotati di un animo socievole, gentile e scherzoso, e ognuno possedeva una personalità propria e ben distinta dagli altri. C'era chi al descrivere il mio incontro con l'Autogrill aveva sibilato infastidito alla parola, mentre altri si mostravano più tolleranti, sebbeno era chiaro che non la gradissero. Ma quando ero andata avanti dicendo in maniera più divertente possibile come lo avevamo affrontato, si erano messi tutti a ridere, e tutti in modo diverso. Chi frusciava forte le foglie, chi schioccava i rami, chi oscillava pericolosamente avanti e indietro, ridendosela alla grande. Invece nella parte più malinconica c'era chi si cuommoveva di più, facendo oscillare mollemente i rami, carezzandomi le spalle, e chi meno, limitandosi ad ascolatare in silenzio, seppur non restando indifferente. Insomma, in quella foresta che tanto avevo temuto ad entrare, ora avrei dato di tutto per non uscire. Una volta che ebbi finito il mio racconto, loro mi incitarono a cantare qualcosa, punzecchiandomi piano con i rami. Io attaccai una canzoncina in inglese, tratta da “Il Signore degli Anelli”, chiamata The road goes ever ever on. LA trovai molto azzeccata dalla situazione, dal momento che parlava di una strada che si deve seguire, senza sapere né per dove passi, né dove conduca. Il motivetto non era complicato, e sembrava fatto proprio per le camminate, composto da due strofe che si alternavano per circa due volte e mezzo (si iniziava con la prima e si finiva con la prima). Gli alberi sembrarono gradirla, e muovevano le loro folte chiome a ritmo, accompagnandomi in sottofondo con vari fruscii e schiocchi di rami. Piano piano sembrarono anche iniziare a pronunciare alcuni sprazzi di parole, ma non riuscii a capire se lo stavano facendo davvero o era sono la mia immaginazione. Dopo quella cantai “Voglio diventar presto un re” del Re Leone, gasandomi un sacco tra l'altro, e deliziando gli alberi con i miei cambi di intonazione e voce a seconda del personaggio che impersonavo e recitando anche i loro movimenti e le loro espressioni. Le piante non poterono fare a meno di ridere quando impersonai Zazu, e mi accompagnarono di buon grado musicando il mio assolo come solo degli alberi sanno fare. Con qualche difficoltà riuscii ad insegnare loro il ritmo giusto e la musica, creando un'orchestra forestale strana ma ben organizzata e armonizzata, e ormai esaltata dal mio lavoro, dimenticando il male ai piedi e la crescente sete, mi lanciai in un'improbabile danza, divertendo oltremondo i miei nuovi compagni vegetali. Questi risero di buon gusto, e una giovane betulla che mi aveva preso particolarmente in simpatia mi picchiettò la spalla per indicarmi di voler ballare con me. Vinto lo stupore iniziale, accettai volentieri, e afferrati due rami cominciai a scuoterli un po' avanti e un po' indietro, saltellando sul posto, poi li lasciai e trotterellai intorno all'albero, muovendomi in maniera buffa e un po' impacciata. Quello continuò a muovere i suoi rami e a dondolarsi a destra e a sinistra, imitando anche fin troppo bene (per essere una pianta) tutti i miei movimenti sconclusionati, e donandoci anche un tocco di eleganza. Alla fine della canzone, tutta la foresta scoppiò in un applauso e in una fragorosa risata, dandoci una buona dose di pacche amichevoli sulla schiena (o nel caso della betulla, sui rami e sul tronco). Io mi ci appoggiai con una mano, sfinita e col fiatone. -Ragazzi- dissi, asciugandomi il sudore dalla fronte e dal naso -questa è stata senza dubbio la cosa più strana che io abbia mai fatto. E se lo dico io- e sottolineai bene quel “io” -è davvero strana.- Gli alberi ridacchiarono, mentre la betulla mi diede una pacca sulla spalla e mi aiutò a raddrizzarmi, dato tutta la stanchezza e i dolori del giorno mi stavano tornado addosso dopo tutto quel movimento, e la sete era aumentata a dismisura. -Ah, ragazzi- continuai -ditemi che manca poco al ruscello, perché sono stanca morta.- Quelli in risposta aprirono un varco alla mia sinistra, rivelando un piccolo fiumiciattolo che scorreva tutto allegro tra di alberi, circondato da un breve tratto di erbetta verde acceso altra pochi centimetri. Tutta contenta, zampettai fino a lui e mi chiani per bere. L'acqua era freschissima e pura, con un ottimo sapore di acqua (perchè l'acqua può essere buona quanto vuoi, ma tanto sa sempre di acqua). Quando ebbi finito di dissetarmi mi sciacquai la faccia, per togliermi il sudore e lo sporco di quel giorno. Poi, finalmente soddisfatta e esausta, mi sdraiai ai piedi d'un grosso faggio, con la schiena appoggiata al suo tronco. Per quel giorno sarei rimasta senza mangiare, ma pazienza. Almeno avevo una fonte inesauribile d'acqua e un nuovo gruppo di amici. I miei pensieri corsero di nuovo agli altri miei amici. Chissà se anche loro erano stati altrettanto fortunati. La malinconia mi afferrò di nuovo, e mi accoccolai meglio tra le radici dell'albero, che, come accorgendosi del mio stato d'animo, le sistemò in modo tale da crearmi uno spazietto comodo per riposare. Mi lasciai andare a un sospiro e gli sorrisi. -Grazie mille- dissi -a tutti voi. Probabilmente senza il vostro aiuto sarei ancora dispersa chissà dove.- Gli alberi frusciarono un prego. -Sarà tardi ormai- commentai, con un grosso sbadiglio. Ancora una volta, loro frusciarono un assenso. -Beh, non so voi, ma io sono stanchissima. Credo proprio che dormirò un po'...- biascicai, chiudendo gli occhi. Credevo che non sarei mai riuscita ad addormentarmi, invece successe molto prima di quanto mi aspettassi, con mio sommo piacere. Lentamente i miei pensieri diventarono sempre più confusi, e ripercorsero in disordine tutti di avvenimenti della giornata. Poi, si sfocarono, fino a far diventare tutto nero. Da quel profondo nero, sentii come una canzoncina, lenta e tranquilla, cantata con la voce delle foglie e dei rami. I miei nuovi amici stavano cantando una versione ninna nanna di The road goes ever ever on.

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Capitolo 10
*** Si aggiunge un nuovo membro al duo di svitati ***


Il ragazzo sconosciuto continuava a lanciarsi occhiate impaurite a ogni dove, terrorizzato persino dalla propria ombra. Fidia gli ronzava davanti, tenendosi alla stessa altezza della sua testa, e lo esaminava come un critico d'arte esamina il quadro di un pittore alle prime armi. Da quando il folletto aveva convinto Federico a scendergli dalla schiena, il poveretto si era rintanato in un angolo, protetto da un porta-appendini mobile stracolmo di indumenti femminili, che aveva piazzato in modo da non lasciare più di venti centimetri di viso scoperti. Il ragazzo sembrava avere molti più anni di Federico, come minimo quattro, ma si comportava come se ne avesse avuti cinque o sei. Aveva i capelli biondi e lisci tagliati corti e due occhi verde-azzurri insicuri e spaventati, riparati da un paio di occhiali larghi e neri, di quelli che vanno tanto di moda ultimamente. Il volto era sbarbato, sebbene in alcuni punti fosse evidente che non era una sua caratteristica naturale, ma frutto del diligente lavoro di un rasoio, e i lineamenti erano intervallati da punti più dolci e morbidi ad altri più duri e marcati, segno inequivocabile di chi sta passando dall'adolescenza all'età adulta. Nonostante fosse tutto raggomitolato su se stesso, era impossibile non notare la sua corporatura alta e slanciata, tutta pelle e ossa. Fidia azzardò l’ipotesi che potesse essere più alto persino di Federico. A quel pensiero, il piccolo custode si voltò a cercarlo con gli occhi. Non fu difficile trovarlo: stava tranquillamente riposando appoggiato ad una libreria, tra numerose bottiglie d'acqua vuote o mezze piene, e ad un altrettanto buon numero di sacchetti di patatine. Non appena aveva lasciato andare la sua preda umana, si era immediatamente scaraventato sul suo obiettivo primario: le bottiglie d'acqua. Non si era fatto nessun problema a mettere tutto l'Autogrill sottosopra pur di arrivare al suo premio tanto desiderato e dopo averlo raggiunto era passato a smangiucchiare qualcosa per ozio, finché non si era poi addormentato di botto. In quel momento il ragazzo ebbe uno spasmo involontario nel sonno e mugolò qualcosa di sconclusionato. Fidia sospirò e riportò l’attenzione sul nuovo incontro. Quello non si era mosso nemmeno di un millimetro dall’ultima occhiata che gli aveva dato.
-Non avere paura- disse il custode, posandosi sul pavimento e sorridendogli. –Non ti vogliamo fare del male.-
Il biondo si rannicchiò ancora. –Il tuo amico non sembrava della stessa idea poco fa.- gli fece notare, con un sussurro.
Fidia si grattò la nuca, imbarazzato. –Beh, lui… ha avuto una giornata difficile.- lo osservò ancora. –Anche tu, non è così?-
-Io… cosa?- ripeté il ragazzo, incerto sulla domanda che gli era stata fatta.
-Sei molto spaventato. E confuso.- il folletto si fermò un attimo, cercando di analizzare le emozioni ingarbugliate del ragazzo. –Sento della speranza, anche se debole. No, no, non ti voglio fare del male- ripeté, notando che il ragazzo dopo aver sentito la descrizione delle sue sensazioni si era spaventato ancora di più. –Sono un custode delle emozioni- spiegò –sento quello che provi. Non avere paura.-
-Non ho mai creato nessuno del genere…- sussurrò lui. –Da dove vieni? Ti ha fatto lui?-
Fidia rimase come spiazzato dalle sue domande. –Creato? Fatto? Io sono stato generato da mia madre e mio padre, come tutti i custodi.- rispose, corrucciato. –Lui è solo un tipo che ho incontrato quando mi sono ritrovato qui.- Fece una smorfia, al ricordarmi. –C’era anche una ragazza con noi. Si chiama Andrea. L’hai vista per caso?-
Il ragazzo scosse la testa. –Ma tu… tu sei un folletto, giusto?-
Il piccoletto fremette, visibilmente infastidito. –Sono un folletto e sono un custode.- sbottò. –Non capisco cosa ci sia di strano. Va bene, ho capito che non sono imponente come un golem o affascinante come un elfo e sono soltanto un piccolo esserino insignificante, ma non mi sembra il caso di farmelo pesare così tanto!- Eh, già. Fidia era facilmente suscettibile su questo argomento.
-No, no- si affrettò allora a correggersi il ragazzo, come se avesse paura che il piccoletto una volta arrabbiato si potesse convertire in una copia in miniatura di Hulk. –voglio dire, tu non sei umano.-
-Ma davvero? Grazie per avermelo detto, non me n’ero accorto!- ribatté lui, applaudendo, ancora piccato per la precedente domanda. Ma cambiò subito atteggiamento quando vide che il ragazzo si era rintanato ancora di più nel suo angolo. –Scusa. Colpa mia. Dimentico sempre che di solito gli umani non sono abituati a vedere gente come me.-
-Tranquillo- rispose piano il biondo. -È che… volevo solo capire se lui era il tuo creatore. Tutto qui.-
-Creatore?- Fidia sbatté le palpebre, confuso. Quanto avrei voluto che Federico fosse stato sveglio in quel momento, per evitare l’inevitabile conclusione di quella conversazione.
Il ragazzo annuì debolmente. –Sai che non sei reale, no? Che sei il frutto della penna di uno scrittore, intendo.-
Il povero custode lo fissò senza capire. Posso facilmente immaginare quello che gli deve essere passato per la testa in quel momento. Incredulità, confusione, paura, stupore, stordimento. Il piccolo folletto barcollò.
Il biondo si accorse troppo tardi di quello che aveva fatto. –Cosa? Non dirmi che…- lo guardò, e i suoi occhi erano pieni di scuse e dispiacere. –Tu… tu non lo sapevi?- A volte non capisco il senso di alcune domande. Se è sconvolto come una mucca dal macellaio mi sembra ovvio che non lo sappia! (Chiedo scusa per l’intrusione.)
Fidia cadde a sedere e si fissò le scarpe. –Come sarebbe… io… esisto… io sono qui…-
Il ragazzo parve esitare, poi con uno enorme sforzo di volontà si costrinse a strisciare fuori dal suo nascondiglio per consolarlo. Sentiva di doverlo fare. Sarà stato un fifone di prima scelta e un ottimo stordito, ma in quanto a cuore buono non era da meno.
-Ehi- disse, prendendolo delicatamente in mano –mi… mi dispiace. Non volevo… non sapevo. Tu esisti. Beh, magari nella testa di qualcuno, ma esisti.- Gli diede un paio di impacciate pacche leggere sulla testa, per rincuorarlo. –Su, su, non piangere.-
Fidia restò a fissare il vuoto, inespressivo. Poi le labbra iniziarono a contrarsi involontariamente e scoppiò in una grassa risata. Continuando a ridere, e sotto gli occhi più che confusi del biondo, si tuffò all’indietro e prese a ronzargli attorno, allegro come non mai.
-Dovresti vedere la tua faccia!- per poco il custode non si strozzò dal ridere. –Ah, ragazzi! Mi dovrebbero dare un Oscar!- fece una piroetta a pochi centimetri dal viso del ragazzo.
-Che? Che?- balbettò quello, senza sapere più che pesci pigliare.
-Andiamo! Questa storia che io non esisto è la balla più grande che io abbia mai sentito! Potrebbe quasi battere quella che Babbo Natale non esiste!-
Il biondo rise nervosamente. –Eh eh, già… Babbo Natale… non ti sfugge niente, eh?-
Fidia si posò nuovamente di fronte a lui, con le gambe divaricate e le mani a pugno sui fianchi, simulando le pase tipiche dei supereroi. –Niente.- confermò. –Era solo un modo per farti uscire dal tuo buco, il mio. Ed è riuscito a meraviglia!-
Il ragazzo parve realizzare solo in quel momento di essere fuori dal suo nascondiglio. –Oh.-
Il folletto sorrise, tutto orgoglioso. –Mi chiamo Fidia. Piacere di vederti per intero. Tu sei…?-
-Eh, uh, Da-Danilo.-
Fidia allargò il suo sorriso furbesco. -Lui è Federico. È un po’ strano, ma non ci fare caso.- Fidia indicò il mio amico, che nel frattempo era caduto da un lato e stava sbavando sulle piastrelle.
-Oh mamma.- commentò il custode non appena se ne rese conto. –Questo non va bene. Poi mi toccherà pulire tutto se non la smette.- si accigliò e poi si porto le mani ai lati della bocca, per amplificare la sua vocetta acuta. –Ehi! Fede! Svegliati!-
Nessuna risposta.
-Ehi Fede! Sei vivo?- Nessun segno di vita. Il folletto spiccò il volo e in men che non si dica si ritrovò a lato del ragazzo addormentato. –SVEGLIAA!- gli strillò nell’orecchio.
Federico scattò seduto all’istante, scaraventando Fidia sul pavimento (grazie al cielo non nella parte sbausciata). –Cosa? Chi? Ci attaccano! I pirati! Andrea!- si guardò in giro ancora mezzo scombussolato e realizzò che di me non c’era nessuna traccia, mentre un ragazzo biondo gli stava accovacciato davanti, a qualche metro di distanza, con un’espressione inquietata stampata sul volto. –Oh. Buongiorno.- Si asciugò in fretta con una manica la bava che gli colava ancora da un lato della bocca e che si era accorto di avere solo in quel momento. Disgustoso. –Che è successo?- domandò, lanciandosi ancora alcune occhiate confuse attorno e alzandosi in piedi.
Il folletto sospirò, saltando in piedi e poi spiccando nuovamente il volo. –Deserto. Tu che dai i numeri. Budini mannari. Autogrill. Tu che attacchi una persona a caso. Tu che fai l’incivile, che ti addormenti e sbavi sul pavimento.-
Fede si massaggiò la testa. –Uh. Credo di essermi perso dopo “Deserto”.-
-Non mi sorprende.- commentò il custode, sarcastico. Prima che Federico potesse ribattere a dovere continuò:–Ah, lui è Danilo. Sì, la persona che hai assalito senza motivo. Vedi di presentarti civilmente stavolta. Prima l’hai terrorizzato.-
Il mio amico lo fissò mezzo divertito. –Davvero?- si avviò verso l’altro ragazzo e gli porse una mano, per aiutarlo ad alzarsi. –Chiedo scusa. Il sole deve avermi dato alla testa.-
Danilo guardò sospettoso la mano che Federico gli aveva porto, ma poi scelse di accettare l’aiuto, sebbene fosse ancora diffidente. –Non importa.- rispose, alzandosi. Ma dal tono lasciava chiaramente intendere che invece sì che gli importava, e anche parecchio. Una volta in piedi, i due restarono a fissarsi in silenzio. Federico aveva una grossa espressione di disappunto stampata in faccia. Danilo era più alto di lui di almeno una spanna.
-Mh.- fece, offeso, e si allontanò di qualche passo, per smorzare la differenza di statura. –E… diciamo… da dove vieni di preciso? Non credo di ricordarti tra i miei persona… ehm, tra i miei ricordi.-
L’altro sembrò cogliere al volo quello che intendesse dire. –Non vengo da i tuoi…ehm, ricordi.- disse, lanciando un rapido sguardo involontario a Fidia. –Vengo da… me stesso.- cercò calcare bene quell’ultima affermazione.
-Oh. Davvero? Ah. Non credevo che… oh. Beh, meglio così, immagino.- il mio amico si passò una mano sulla testa, scompigliandosi i già scompigliati capelli.
-Voi due siete strani.- commentò Fidia, osservandoli. –Quindi credo proprio che vi troverete bene insieme.- concluse sorridendo e facendo una capriola.
I due lo fissarono con un’espressione stranita e disgustata.
-Non in quel senso.- Che razza di birbanti. Sempre a pensare male.
Fede ebbe uno scatto della testa involontario, che gli fece toccare con l’orecchio la spalla. Gli succedeva spesso in situazioni simili. Ah, vi state chiedendo se succedevano spesso discorsi simili? Non credo che vogliate davvero sapere la risposta. –Beh, allora… che si fa?- Il mio amico guardò il custode. –Ce lo portiamo dietro?-
Lui si strinse nelle spalle. -Non lo so. Dipende se vuole venire.-
-Scusate, se vi interrompo, ma io sarei qui.- s’intromise timidamente Danilo. –Portarmi dietro… dove?-
-Ricordi la ragazza di cui ti ho parlato prima? La stiamo cercando.- spiegò Fidia.
-Ah, lei!- fece lui, ricomponendo finalmente i tasselli del puzzle. –Volete.. che io venga con voi?-
-Beh, non è molto sicuro stare da soli. Potrebbe venire ogni genere di mostro per salutarti e prendere il the.- sembrò ricordarsi qualcosa delle gelatine nere, ma fu solo un vago smuoversi di pensieri nella sua memoria. Sempre che avesse dei pensieri. –In più sei l’unica persona che abbia incontrato da quando sono qui. Gli gnomi non contano.-
-Non sono uno gnomo!- squittì immediatamente Fidia.
Danilo non rispose. Non sembrava fidarsi ancora di loro e non gli piaceva l’idea di abbandonare il sicuro Autogrill. Ammettetelo, che si fiderebbe di un folletto volante e un ragazzo incontrati solo poco prima e di cui il secondo vi ha attaccato senza motivo?
-Va bene.- Oh beh, lui sì, a quanto pare.
Fede e Fidia sorrisero. –Bene! Che aspettiamo?- Fede schizzò ad aprire la porta dell’Autogrill.
-No, Federico aspetta!- gridò il custode, spaventato da quello che sarebbe potuto essere in agguato lì fuori. Ma era troppo tardi. Federico spalancò senza pensare la porta, per poi rimanere allibito a fissare il panorama di fronte a sé.
-Non so quale sia la tua idea di deserto, Fidia- disse –ma sicuramente questa non è la mia.-
Di fronte a loro, si estendeva un’enorme catena montuosa completamente innevata.

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Capitolo 11
*** Un personaggio perduto ***


Quando mi svegliai non capii immediatamente dove mi trovavo. Mi sedetti e mi stiracchiai, allungandomi sul tronco di un albero su cui mi ero addormentata. Sbadigliai rumorosamente e osservai un ruscelletto scorrere pigramente di fronte a me, grattandomi la pancia. Che posto meraviglioso e pacifico. L’aria era leggermente e piacevolmente fresca e l’erba e i miei vestiti erano umidi di rugiada, ma dopotutto non mi infastidiva granché. Non avevo sognato nulla quella notte, o se avevo sognato non ricordavo niente e pensai che tutto sommato fosse meglio così. –Ehi Fede, come hai passato la..- bloccai la domanda a metà, mentre i ricordi mi spegnevano la felicità per quel bel mattino. Sospirai e per scacciare via la malinconia e svegliarmi completamente decisi di ficcare tutta la testa dentro l’acqua gelida. Non appena il mio viso toccò il ruscello, tutti i miei sensi scattarono sull’attenti i scatto e mi sentii pronta ad affrontare qualsiasi mostro mi si sarebbe parato davanti. Il magico potere del lavarsi la faccia alla mattina. Mi alzai in piedi e mi stiracchiai ancora, poi mi diedi un’energica scrollata ai vestiti infangati e strappati ai bordi. –Buongiorno!- esclamai a pieni polmoni, diretta al vento. Gli alberi frusciarono rumorosamente diversi saluti, facendomi prendere un mezzo infarto. Giusto. Mi ero dimenticata della foresta parlante. –D’accordo ragazzi, dove si va di bello oggi?- domandai, battendo le mani. Gli alberi aprirono un passaggio al di là del torrentello, facendo scricchiolare le radici e i rami. Trassi un respiro profondo, ad occhi chiusi. Va bene nuovo giorno, vediamo che cosa hai tenuto in serbo per me oggi. Sono pronta. Feci per fare un passo avanti, quando mi sentii tirare per la maglietta. Mi voltai, e rimasi non poco sorpresa nel ritrovarmi davanti la betulla della sera prima. –Ehi- la salutai con un sorriso –ma tu non eri più indietro ieri?- Quella si agitò timidamente, facendo oscillare disordinatamente il suo fogliame. –Certo che sei proprio un bel tipo- ridacchiai, dandole un buffetto amichevole su un ramo e poi sganciando la maglia dalla sua presa. –Sai, ti chiederei volentieri di venire con me, ma non credo che tu riesca a stare al mio passo…- contrariamente a quanto mi ero aspettata, la betulla si mostrò piuttosto offesa dal mio commento e si allontanò da me con la sua folta chioma. –Ehi, scusa- mi difesi, ma quella non accennò a perdonarmi. La fissai ancora per qualche attimo, poi scrollai le spalle e mi diressi verso il sentiero dall’altra parte del ruscello. Non avevo tempo per alberi permalosi, dovevo trovare i miei amici. Ma proprio quando feci un saltello per superare il fiumiciattolo, inciampai in qualcosa e caddi di faccia nel fango. Già, miei riflessi mattutini sono ancora peggio di quelli di un bradipo. Morto. Mi rialzai sputacchiando fogliame mezzo marcio e scrollando i vestiti inzuppati. La foresta rise allegramente, sbatacchiando rami e foglie a destra e manca. –Simpatici…- borbottai, ma in fondo ero divertita anche io dalla situazione. Ecco, imparate: sapete che non avete più una dignità quando anche voi ridete delle vostre stesse disgrazie. Mi voltai per capire chi fosse stato il buontempone dello scherzo, e di nuovo gli alberi non mancarono di sorprendermi. –Tu!- esclamai, guardando basita la betulla. –Ma non eri…- mi voltai indietro a guardare il punto in cui avevo lasciato l’alberello. Al suo posto c’era uno spazio vuoto. –Bah- feci un rapido gesto con la mano, come per scacciare qualcosa –ci rinuncio. Non voglio sapere se sono io che ho bisogno di un buon paio di occhiali o se sei tu che hai i poteri dello Slenderman…- ripresi a camminare, senza voltarmi indietro e alzando il tono di voce -…continuerò ad andare avanti. Mi dispiace, potrai… potrete farmi tutti i dispetti che volete ma niente, non riuscirete a farmi impazzire.- e mentre finivo di dire quella frase, mi resi conto di quanto assurda fosse. Stavo già parlando con dei vegetali, come peggiorare ancora? Ma, come dicevo e dico ancora sempre, dopo che si ha toccato il fondo, si può sempre scavare. La foresta fu percorsa da una strana brezza, e le foglie e i rami di tutti gli alberi oscillarono in modo inquietante. Avevano accettato la sfida.
Continuai a camminare perlopiù in silenzio, e le uniche frasi che rivolgevo ai miei compagni di viaggio erano soprattutto legate al mio crescente bisogno di cibo. Era dal giorno prima che non mettevo niente sotto i denti e se continuavo in quel modo rischiavo di cominciare a vedermi volare magicamente intorno della pizza o dei grandi piatti di lasagne. Il mio povero stomaco continuava a brontolare e protestare e cominciava anche a farmi male. Ero sempre stata una buona forchetta e odiavo saltare anche solo la merenda, figuratevi come mi dovessi sentire in quel momento. Lentamente cominciai ad esternare sempre di più i miei bisogni alle piante, che però non ne volevano sapere di aiutarmi. L’unica cosa che si limitavano a fare era ad incitarmi ad andare avanti e ricordarmi della sfida che avevo lanciata. Mi maledissi innumerevoli volte. Quando diamine avrei imparato a stare zitta?
Intanto il paesaggio cominciava a cambiare davanti ai miei occhi. In quel momento mi trovavo dentro a una fitta e lugubre pineta. Gli alberi erano molto alti e non c’era traccia di sottobosco. L’aria era piuttosto frescolina e le chiome pungenti dei pini non facevano passare neanche un raggio di luce solare. Fu lì che cominciai a sentirmi seguita. Non era la solita sensazione di essere circondata da alberi senzienti che mi tenevano d’occhio perennemente, ormai mi ero abituata a quel tipo di cosa, nonostante all’inizio fosse stato abbastanza snervante. Era qualcosa di diverso, come se ci fosse qualcuno di… di non vegetale a fissarmi. È difficile da spiegare a chi non è mai stato in compagnia di una foresta parlante, ma c’era una netta differenza tra il loro non-sguardo costante e invece quell’orribile sensazione di avere due occhi, due veri occhi, puntati su di me. Non mi piaceva per niente stare lì. Avrei volentieri preferito ritornare tra le spinose e velenose piante del giorno prima piuttosto che restare lì anche solo un minuto di più. Quando mi lanciai uno sguardo alle spalle mi sembrò persino di vedere un’ombra nascondersi dietro un grosso tronco. Deglutii forzatamente dal nervosismo e accelerai il passo. Se mi sarebbe apparso lo Slendy & company di fronte avrei decisamente avuto bisogno di un nuovo paio di mutande. E forse anche di un bravo medico con tanta pazienza ed esperto nel cuicito. Ce ne sarebbe voluto di tempo per riattaccarmi tutti i pezzi del corpo nelle parti giuste. Cercai di scacciare il pensiero di non aver anora fatto testamento e cercai con gli occhi la familiare figura della betulla. Quella pianta era l’unica ad avermi seguita fino a quel punto e non potevo che esserle grata. In quel posto tetro e teso avevo decisamente bisogno di qualcuno che non mi fosse completamente estraneo. La trovai a qualche metro da me, sul bordo del sentiero. –Eccoti qua- la salutai. Lei mi rispose con un leggero cenno delle foglie. Sembrava quasi intimidita come me da quell’ambiente oscuro. –Sai- continuai, cercando di frenare l’impulso di guardarmi alle spalle –ho come la sensazione che qualcuno mi stia seguendo. E che quel qualcuno non sia tu.- quella tremò quasi impercettibilmente e con un ramo mi fece cenno di voltarmi. Se fosse potuta impallidire probabilmente l’avrebbe fatto. Mi girai lentamente, e anche compiere quel piccolo movimento mi costò un’enorme fatica. Un brivido mi percorse la spina dorsale quando vidi una figura in piedi restare immobile ad osservarmi. Le mie gambe si congelarono all’istante e il mio cuore perse un battito dallo spavento. Bene. Avevo uno stalker alle calcagna. Calma Andrea, calma. Ha dei tentacoli neri? No. Ha tutte le parti del corpo al posto giusto? Sì. Okay. Cercai di non lasciarmi congelare il cervello dalla paura e cominciai a ragionare. Dunque, in quel posto si materializzavano i personaggi delle storie di chi si trovava lì, perciò, se in quel momento io ero l’unica persona nel giro di chissà quanti chilometri, quel tizio doveva venire sicuramente dalla mia testa malata. Cercai di tranquillizzarmi, pensando a Fidia. Lui non aveva mai tentato di fare del male a me o a Federico. Ma il lupo gigante sì. Scacciai quell’ultimo pensiero e raccolsi la traslucida ombra di quello che era il mio coraggio per poi avanzare di un passo tremante nella direzione del tipo.
-Ehm…- azzardai, con voce roca –b… bella giornata, vero?-
Quello restò ancora per qualche istante immobile, poi venne avanti. Era abbastanza distante perché io riuscissi a fuggire al primo segno di cattive intenzioni, ma anche abbastanza vicino perché riuscissi a scorgerlo piuttosto chiaramente. Era un ragazzo poco più grande di me, dai capelli corti e neri scompigliati, una felpa blu e dei jeans grigio scuro. Cercai di collocarlo da qualche parte nella mia memoria, ma non avevo alcun ricordo di qualcuno come lui. Continuò a camminare verso di me, facendo frusciare appena i vestiti. Il suo sguardo sembrava vagare nella mia direzione, ma non riusciva a mettermi a fuoco bene, poiché continuava a sbattere le palpebre e a muovere gli occhi come se non fosse esattamente sicuro che quella che stava fissando fosse la mia reale posizione. Quando fu a pochi metri da me, capii anche il perché di quello sguardo vacuo: i suoi occhi erano di un azzurro chiarissimo, quasi bianco e irrimediabilmente ciechi. Per qualche ragione, mi diedero i brividi. Il ragazzo si fermò, e restò a fissarmi con le sue iridi lattiginose, la testa lievemente inclinata verso sinistra.
-Andrea.-
Il cuore mi martellò così forte nel petto che temetti seriamente che potesse sfondare la cassa toracica e scappare via. Il ragazzo sapeva il mio nome. Doveva essere per forza una mia creazione. Solo che… non lo ricordavo.
-Andrea…- il suo tono era triste. La sua espressione da indecifrabile divenne quasi malinconica.
-Sì…?- riuscii a sussurrare, con un filo di voce. Le ginocchia minacciarono di fare giacomo-giacomo, ma le obbligai a rimanere ferme. O quasi.
-Sto soffrendo Andrea.- Continuò il ragazzo, spostando il suo sguardo dalla mia faccia a un punto imprecisato alla mia destra. –Perché l’hai fatto?-
-Io… c…cosa?-
-Perché l’hai fatto?- ripeté quello, ignorandomi. –Mi hai plasmato nella tua mente. Mi hai costruito passo dopo passo. Mi hai dato una storia, un’identità. Sono cresciuto dentro di te, sono diventato esattamente come tu volevi che fossi.-
Potevo quasi vedere mio unico neurone frugare in ogni meandro della mia memoria alla ricerca del personaggio che avevo di fronte. Chi era? Chi era, maledizione? Chi era? Non riuscivo a ricordarlo.
Il ragazzo raddrizzò la testa e puntò nuovamente i suoi occhi dritti nei miei. –Perché l’hai fatto? So che non ti ricordi di me. So che mi hai dimenticato molto tempo fa.- fece una breve pausa –Perché l’hai fatto? Perché hai speso così tanto tempo ed energie per pensarmi e crearmi, se poi mi hai archiviato in un angolo e abbandonato?-
Non riuscivo a credere alle mie orecchie. La foresta intorno a me sembrò sfumarsi nelle tenebre, l’unica cosa che potevo vedere era il volto triste del ragazzo. Continuai a cercare il ricordo della sua storia nella mia mente.
-Fa male, sai? Fa molto male.- sbatté le palpebre, e credetti di vedere persino i suoi occhi farsi più lucidi. –All’inizio, pensavo che fosse solo una cosa temporanea. Lo accettai, come ho accettato tutto quello che avevi fatto prima con me. Ma poi… più tempo passava…- la sua voce si smorzò improvvisamente e lui abbassò il capo verso il terreno. Non sapevo più che cosa fare o pensare. Ero come paralizzata, mentre continuavo a ravanare disperatamente tra i miei ricordi.
-Cominciai a dimenticarmi anche io di me stesso. Iniziò con piccole cose, alcuni dettagli pressoché inutili, ma in breve iniziai a dimenticarmi anche la mia storia. I miei amici. I miei parenti. Il mio carattere. Il mio nome.-
Le suo parole mi penetrarono dentro al petto come se mi avesse colpito con una mazza ferrata. Ero raggelata da quello che stava succedendo. Il mio intestino si stava lentamente aggrovigliando in qualcosa che non volevo neanche provare ad immaginare. Avrei tanto voluto che quello fosse stato solo un’allucinazione.
-Hai idea di come ci si senta a dimenticarsi di se stessi?- ridacchiò piano, scuotendo tristemente la testa. –Ovviamente no.- sospirò e sbatté le palpebre un paio di volte. -Non so più chi sono, Andrea. Ma non t’incolpo per questo.- alzò il capo verso di me e vidi chiaramente scendergli una lacrima su una guancia. –Credo che faccia parte della vita. Si viene creati e poi si svanisce nel nulla. Ma quello che voglio sapere… è perché. Perché l’hai fatto.- si fermò, con la voce rotta e le labbra tremanti. –Cosa ho fatto di sbagliato? Non sono abbastanza per te?- la sua voce si spezzava a ogni domanda. -Perché mi hai dimenticato?-
Quelle ultime parole mi colpirono tanto violentemente, che persi l’equilibrio e caddi all’indietro. Avevo i sensi di colpa a mille. E non riuscivo a trovarlo nella mia mente. Il ragazzo restò immobile, con quell’unica lacrima brillante a solcargli il viso.
Volevo andarmene da lì. Volevo andare via da lui. Volevo trovare il suo ricordo e salvarlo. Volevo scappare via e dimenticarmi anche di quello. Mi rialzai confusamente e corsi via, incespicando. Non riuscivo a vedere dove andavo, ma nemmeno m’importava poi tanto saperlo. Davanti a me, c’era solo lui e la sua lacrima. Perché stavo correndo? Perché non gli avevo detto qualcosa? Perché non lo stavo aiutando?
Inciampai in una radice e caddi pesantemente a terra, sbattendo il mento e sbucciandomi le mani. Intravidi la vaga sagoma della betulla di fronte a me, ma era come appannata, lontana. Mi rimisi ancora in piedi e ripresi a correre. Non m’importava più di seguire il sentiero, volevo solo allontanarmi il più possibile da quel ragazzo e dai miei sensi di colpa, ma ogni passo che facevo, più quelli si facevano pesanti e tentavano di uccidermi dall’interno. Sentii qualcosa di bagnato sulla sbucciatura al mento, che cominciò a bruciarmi. Non mi ero nemmeno accorta di aver iniziato a piangere.
Chi era quel ragazzo? No, non lo volevo sapere. Lui non esisteva, era solo una creazione della mia mente.
Ma… perché l’avevo fatto?
Strinsi i denti e corsi ancora più veloce, finché non mi fece male la milza e non ebbi più fiato. Solo allora, mi accasciai a terra e mi rannicchiai su me stessa, senza più cercare di frenare le lacrime.
Mi mancavano i miei amici. Volevo i miei genitori. Volevo semplicemente risvegliarmi da quell’orribile incubo e tornare a fingere di studiare latino con un Rat-man nascosto dietro al libro. Volevo dimenticare tutto e tutti, ma non potevo. E come se fossi davanti alla proiezione di una pellicola rovinata, continuavo a vedere ancora e ancora la stessa scena, e a sentire le stesse terribili parole di un personaggio perduto.
Perché l’avevo dimenticato?



Angolo dell'infiltrata
Scusate, interruzione fuori programma. Per chi volesse rovinarsi l'esistenza, ecco questo link http://poltix99.deviantart.com/art/Fantasy-exe-Spoiler-cap-12-531215022 in cui potrete trovare un piccolo spoiler del prossimo capitolo! Avrei intenzione di fare un disegno per ogni capitolo successivo, in modo da farvi una piccola anticipazione e di lasciare il link alla fine del testo. Fatemi sapere se vi piace come idea :D


ATTENZIONE A TUTTI! IL MIO COMPUTER È MORTO E CON ESSO TUTTE LE STORIE A CUI STAVO LAVORANDO SONO ANDATE PERSE. Chiedo scusa per averci messo tanto ad annunciarlo, ma continuao a sperare che in un modo o nell'altro si potesse salvare. Non appena tornerò ad avere un pc nuovo sotto mano ricomincerò a lavorare. Chi fosse interessato alla storia è pregato di farmelo sapere, cosicché quando riprenderò a scrivere io glielo possa comunicare. Grazie per l'attenzione e scusate il disturbo.

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Capitolo 12
*** Avventure tra le montagne gelate ***


Federico zampettò allegramente nella neve, sprofondando fino alle ginocchia. Fidia lo seguiva a ruota, svolazzando con la sua solita aria sbarazzina e mettendo alla prova le sue abilità di volo con diverse picchiate e acrobazie. Danilo chiudeva la fila, avanzando con evidente difficoltà e scivolando a ogni due passi. Non faceva altro che guardarsi intorno e mugolare sottovoce da quando erano partiti. Non doveva essere cosa facile viaggiare con un paranoico che ha paura di qualsiasi coso si muova, ma sia il piccoletto sia il carciofo bipede che era Federico sembravano essercisi abituati in batter d’occhio.
Quando avevano scoperto che in qualche strano modo non erano più nel deserto ma tra montagne innevate degne dell’Himalaya per poco non avevano avuto tutti un attacco di panico. O meglio, per poco Fede e Fidia non lo avevano avuto, Danilo invece era uscito di testa. Ci avevano messo una buona mezzora a calmarlo e un altro quarto d’ora a convincerlo che i piccoli esserini bianchi che stavano invadendo l’Autogrill erano dei semplici fiocchi di neve. Federico aveva provato a richiudere la porta dell’edificio per poi riaprirla e vedere se li avrebbe riportati nel deserto, ma era risultato impossibile smuoverla anche solo di un centimetro. Così dopo numerosi ripensamenti ed esaurimenti nervosi di Danilo, finalmente avevano deciso di attrezzarsi di tuta da sci e scarponi pesanti e andare in esplorazione. Non appena avevano varcato tutti la soglia dell’Autogrill, le porte si erano automaticamente sigillate alle loro spalle, impedendo loro di tornare indietro. E quindi da quel momento si erano ritrovati a camminare nella neve alta e tra il freddo polare di quel luogo, tentando inutilmente di orientarsi. Fede non era nemmeno sicuro di che cosa stessero veramente cercando in quel luogo; dopotutto io ero scomparsa cadendo verso il fiume che separava la foresta dal deserto, perché mai avrei dovuto trovarmi tra quelle montagne gelate?
-Sai Danilo- iniziò il mio amico, per cercare di rilassare la sua mente affollata di pensieri e dubbi –è una vera fortuna che tu non abbia paura della neve o della montagna. Altrimenti credo sarei impazzito di sicuro se avessi dovuto trascinarti per tutto il tempo a forza.-
Il ragazzo sobbalzò un poco e ridacchiò nervosamente. –Eheh, già… una vera… fortuna…- deglutì rumorosamente, sistemandosi meglio la sciarpa con un dito –che non abbia paura delle valanghe... della morte per assideramento… dei precipizi… di scivolare sul ghiaccio e rompermi l’osso del collo…-
-Sempre positivo, eh?- commentò Fidia parandoglisi improvvisamente davanti al naso –sai questa cosa tra la mia gente è chiamata “portare sfiga”, ed è un reato punibile con il carcere.-
Danilo si appallottolò su sé stesso e biascicò un “miuugshignak” dieci volte più acuto del suo normale tono di voce.
Il folletto sospirò rumorosamente. –Scherzavo.-
-Vero- s’intromise Fede –in realtà ti mandano subito al patibolo. E senza nemmeno passare dal via.-
Danilo azzardò una risatina forzata. –Ma… ma certo. L’avevo capito.-
-Oh giusto. Volevi vedere se eravamo attenti.- sorrise sarcasticamente Federico da sotto lo scalda-collo. Fidia si voltò immediatamente a scoccargli un’occhiataccia, ma decise di non commentare. –Non vedo l’ora di trovare un altro Autogrill… qui fuori si gela.- borbottò, stringendosi nella giacca –e mi mette anche di cattivo umore.-
-Ma come, puoi controllare le emozioni degli altri e non riesci a tenere a freno le tue? Che razza di gnomo sei?- lo punzecchiò Federico, iniziando a camminare all’indietro per poter guardare in faccia il folletto mentre gli parlava.
-Di solito ci riesco, ma credo che la tua aurea di negatività sia troppa anche per me.- il piccoletto iniziò a surriscaldarsi e senza farlo apposta contagiò con la sua rabbia anche quella di Fede, che su una scala da zero a Cat-mario, raggiunse il livello “Hulk spacca”.
-La mia negatività? Adesso la colpa è mia? Chi è che continuava a dire che Andrea era passata a miglior vita mentre io cercavo di ritrovarla?-
Danilo li osservò con preoccupazione e fece un debole tentativo di intromettersi nella discussione. –Ragazzi…-
-Quello è essere realisti! E non ne ho voglia di adesso di stare a sentire le tue lagne da emo-depresso su Andrea! Lo sai benissimo anche tu quello che è successo, solo che non lo vuoi ammettere! E per colpa della tua mente ottusa ora siamo qui nel bel mezzo del niente a gelare nella neve!- Fidia prese a gesticolare freneticamente, per dare più enfasi alle sue parole.
Federico continuò a camminare all’indietro in silenzio, fissandolo con odio da dietro le lenti della sua maschera da sci e cercando in fretta qualcosa con cui ribattere ciò che l’altro aveva detto.
-Ragazzi…- provò ancora Danilo, affrettando leggermente il passo per tentare di raggiungerli.
-In più dobbiamo portarci dietro questo tizio, che ha paura persino della sua ombra e che mi sta prosciugando tutte le energie e la positività per farlo continuare a camminare e sto anche gelando dal freddo!- sbottò ancora Fidia.
-Senti coso, nessuno ti ha chiesto di aggregarti a noi quando ti abbiamo incontrato, e il puro e semplice motivo per cui non ti ho ancora stritolato è che sei la prova che Andrea è ancora viva! Solo che sei troppo stupido per capirlo!-
-SCUSATE!-
Finalmente i due litiganti degnarono il terzo membro della combriccola di un po’ di attenzione.
-Tre parole. Fattele bastare.- ringhiò Federico malamente.
-Coniglio. Di. Neve.- rispose quello, contando con le dita.
-Non avresti potuto essere più chiaro.- commentò sarcasticamente Fede.
Fidia si voltò verso di lui per gridargli sfilze di insulti in altre lingue, ma immediatamente si irrigidì e il fiato gli si mozzò in gola. –Tre parole. “Girati. Brutto. Idiota”-  mormorò, alzando una mano e indicando qualcosa dietro al ragazzo.
Federico ebbe un brutto presentimento. –Fa che non sia quello che cred… come non detto.-
Proprio a qualche metro da loro si ergeva un enorme pupazzo di neve a forma di coniglio, ringhiante e rabbioso più che mai. In quel momento era dritto sulle zampe posteriori, con le lunghe orecchie buttate all’indietro e una strana cresta di punte ghiacciate proprio in mezzo alla testa. Gli occhi erano due punti più scavati nella neve, ma sembravano brillare di una strana luce azzurrina, la stessa che usciva dalla bocca, zizzagando tra i numerosi denti affilati. (Aspettate, denti affilati? Non si suppone che i conigli siano erbivori?)
Federico cercò di tirare fuori quanto più coraggio riuscì a trovare. –Non fate movimenti bruschi…- iniziò, cominciando a muoversi lentamente all’indietro, sempre tenendo lo sguardo fisso sul mostrone ghiacciato. –Adesso indietreggiate… piano…-
-AAAAAAAAAH!- i nervi di Danilo saltarono improvvisamente e lui balzò letteralmente in braccio a Fede.
Fidia si diede uno schiaffo sulla fronte dall’esasperazione, mentre il coniglio di neve ruggiva loro in faccia. –Ma perché tutti i mostri devono ruggire prima di attaccare?!- esclamò, guizzando via il più lontano e velocemente possibile, seguito subito dai due ragazzi.
-Fa più scena!|- spiegò Fede, tirandosi dietro uno spaventatissimo Danilo –gli scrittori e i registi lo fanno sempre!-
-E questo che c’entra?-
L’altro invece di rispondere lo agguantò per le gambe e lo trascinò verso il basso, appena in tempo per fargli schivare una cascata di aculei di ghiaccio scagliata dal mostro verso di lui.
-Grazie- disse il folletto, sorpreso da quell’atto di preoccupazione nei suoi confronti.
-Non ti ci abituare. Non voglio fare da babysitter anche a te.- borbottò Federico, seppur si stesse crogiolando nella soddisfazione di aver appena salvato le chiappe volanti del piccoletto.
-Non per disturbare, ma io vorrei vivere!- Danilo strattonò il suo vicino e si tuffò in una buca nella neve, scomparendo dalla vista degli altri due. A quelli bastò un’occhiata al gigantesco pupazzone di neve che avevano dietro per convincersi a seguirlo. Non appena furono dentro, il coniglio di ghiaccio si apposto sopra l’ingresso, osservando l’interno con il suo luminoso occhio azzurro e raschiando la neve con una zampa.
-Odio i mostri.- sbottò Fidia.
-Già. Sono tutti uguali: grossi, stupidi e con una voglia matta di ucciderti.- concordò Fede, riflettendo interiormente su come potesse creare un mostro orribile e perfido che fosse originale. Dato che tutti erano enormi avrebbe potuto creare qualcosa di piccolo, infido e capace di…
-Ehi? Ti sei incantato?- il folletto picchiettò con un dito sulle lenti della maschera di Fede.
-Oh, uh, no, stavo solo… niente.- lo scacciò via con una mano e si affrettò a seguire le tracce lasciate da Danilo, lasciando Fidia indietro a scuotere la testa e borbottare.
Il buco in cui erano saltati era come l’ingresso di un lungo tunnel nella neve. Le dimensioni del corridoio erano piuttosto strette, come se fosse una tana di un animale, costringendo il ragazzo a gattonare per proseguire e in alcuni punti anche a strisciare sulla pancia. Dopo alcune svolte, deviazioni e strettoie però, finalmente la galleria cominciò ad allargarsi sempre più, rivelando una specie di grotta nella neve.
-Niente male vero?- face Danilo, rannicchiato in un angolo.
-Per niente- commentò Fede, alzandosi in piedi e stiracchiandosi la schiena indolenzita. –Come facevi a sapere di questo posto?-
-Non lo sapevo- rispose semplicemente lui, seguendo le piccole acrobazie di Fidia con gli occhi –ma mentre stavate litigando ho visto il buco nella neve e quando mentre scappavamo l’ho rivisto, ho pensato fosse una buona idea nasconderci qui dentro.-
-Sì, lo penso anch’io.- Federico gli assestò un’amichevole pacca sulla spalla. –Bella trovata. Non ti facevo così sveglio.-
Quello fece un buffo verso soffocato e si massaggiò il punto colpito. –Grazie… anche tu.-
Fede lo fissò con un sorriso stupito. –Hai usato del sarcasmo? Allora forse non sei un caso così disperato.-
-Grazie. Anche tu.-
-Vabbé, ora non prenderci gusto, però.-
I due si scambiarono delle occhiate divertite. Forse, in qualche modo, quello era l’inizio di una bizzarra amicizia.
-Ragazzi- li chiamò Fidia, con una strana intonazione nella voce –dovete proprio venire a vedere una cosa.-
-Dimmi che sono solo buone notizie.- si lamentò Fede, avviandosi verso il suono della voce del folletto, mentre Danilo si alzava e lo guardava preoccupato.
-Beh… dipende.-
Fede svoltò la curva che faceva la grotta, trovandosi faccia a faccia con Fidia. –Da cosa?-
Lui indicò alcune batuffolose pallette di neve con le orecchie. –Quanto ti piacciono i cuccioli di un coniglio di neve assassino?-
I due ragazzi sgranarono gli occhi. E in effetti quelle pallette erano proprio dei conigli di neve come quello da cui erano scappati, solo che avevano le modeste dimensioni di un San Bernardo e giocavano a rincorrersi e a mordicchiarsi a vicenda, ignorandoli completamente.
-Rettifico- fede Federico, girandosi verso l’altro ragazzo –Danilo, è stata una pessima idea.-
-Beh, almeno saremmo divorati da dei mostri assassini teneri e non da un mostro assassino gigante e brutto.- biascicò, abbassando lo sguardo.
-Sai che consolazione.-
Fidia volò coraggiosamente fino a uno dei cuccioli, che alzo la testa e drizzò le orecchie verso di lui, incuriosito. –O forse non moriremo affatto- commentò fiducioso.
Fede lo fissò stralunato. –Sai, non so se te ne sei accorto, ma siamo nella tana di un mostro gigante che non vede l’ora di invitarci a pranzo. Piatto del giorno: NOI!-
-E poi il pessimista sarei io, eh?- ribatté ridacchiando il folletto –guarda qua.- e allungo una mano verso il muso del coniglio, fino a taccargli il naso. Quello ritrasse la testa spaventato, ma poi si avvicinò di nuovo e si lasciò accarezzare la testa. –Vedete? Non sono cattivi.- disse, passando a fargli i grattini sotto il mento.
-Che fai? Socializzi con il nemico?- lo sgridò Federico, fingendo disapprovazione –torna subito qui, soldato!-
-Non dirmi cosa fare!- strillò con quella sua voce teneramente acuta e agitando un pugno nella sua direzione, in modo molto teatrale.
-Sei sicuro che non siano pericolosi?- domandò Danilo, ancora seminascosto dietro Federico. Non sembrava esageratamente contento di quella scoperta, ma dopotutto non posso dargli torto. Neanche io sono una grande amante dei conigli, in particolare di quelli giganti e assassini.
-Sono al 98,42% sicuro che non vogliano farci del male.- proclamò Fidia, andandosi a sedere comodamente sulla testa del coniglio.
Danilo non sembrò per niente rassicurato. –E il restante 1,58%?-
-Del restante 1,58% sono sicuro che ci vogliono sbranare.- rispose tranquillamente il folletto, mettendosi a gambe incrociate e coccolando il suo nuovo destriero sulle orecchie.
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata. Poi Fede scrollo le spalle e si avvicinò ai cuccioli. –Si vive solo una volta- spiegò, allungando una mano verso uno dei conigli –qui bello, qui!- il mostriciattolo di neve lo fissò facendo scattare lo orecchie verso di lui, poi gli morse un dito.
-AAAAAH!- gridò lui, gettandosi a terra e stringendosi la mano.
-Federico!- esclamò Danilo preoccupato, slanciandosi in avanti per poi bloccarsi a metà per la paura di avvicinarsi troppo ai conigli. –Tutto bene?-
-Sì…- rispose quello, tra i denti –infatti… non mi sono fatto niente!- e mostrò la mano guantata senza alcun segno di morso. –Scherzetto!-
-Sei una persona orribile.- commentò Fidia, mentre Danilo alzava gli occhi al cielo. –Comunque non dovresti dire “bello”, ma “bella”. Quella è una femmina, Fede.-
La coniglietta tentò nuovamente di azzannargli la mano.
-Le piaci.-
-Okay, okay. Non voglio nemmeno sapere come sai che è una femm…-
Tutti i conigli di neve rizzarono improvvisamente le orecchie nella stessa direzione e poi si affrettarono da quella parte. Fidia riuscì appena in tempo a saltare in terra dalla groppa della sua cavalcatura per non essere portato via con loro.
-E ora che succede..?- chiese Danilo, intimidito da tutto quel movimento.
-Ora- rispose il folletto, impallidendo –arriva la mamma.-

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Capitolo 13
*** Virginia ***


Ora, lasciamo per un momento stare Federico e i conigli di neve per tornare da me. Dopotutto sono io la protagonista di questa storia, insomma.
Vi avevo lasciato che ero rannicchiata ai piedi di un albero a piangere e a venire maltrattata dai miei sensi di colpa (situazione di cui non vado esattamente fiera), perciò direi di riprendere da lì. Dopo alcuni lunghi e pietosi minuti passati a frignare e a lamentarmi come una bambina di cinque anni, qualcosa attirò la mia attenzione. Era una voce lontana, melodiosa e allegra, piuttosto contrastante con il mio triste animo sconsolato, ed era accompagnata al suono dello strumento più infernale che Dio abbia mai creato: la chitarra. Probabilmente ora mi starete guardando storto, o quantomeno sarete perplessi dalla mia affermazione, ma, sì, mi dispiace per i chitarristi presenti, io non sopporto il suono della chitarra, classica o acustica che sia. Solo ed esclusivamente quei due tipi. Non saprei spiegarvi il perché, ma ogni volta che sento pizzicare quelle odiose cinque corde demoniache mi sale l’urticaria. E devo dire che in quell’occasione sentire quell’osceno schitarrare fu una vera salvezza, perché, con la stessa delicatezza di un calcio sui denti, riuscì immediatamente a riportarmi alla realtà.
Tra l’ultimo singhiozzo e tirata su col naso, mi asciugai le lacrime dagli occhi e mi rimisi in piedi. A qualche metro da me, come sempre, la mia fidata betulla mi osservava comprensiva. Mugugnai un saluto veloce e ignorai il suo agitare di foglie preoccupato, che corrispondeva a un “ti senti bene? Prima hai dato di matto, hai problemi psichici e non me l’hai detto?” e mi guardai attorno alla ricerca di chi osasse interrompere il mio momento di depressione quotidiano. Il paesaggio era cambiato ancora. Gli alberi si erano fatti più radi, lasciando entrare la luce del sole tra i rami e facendomi finalmente ricordare quanto azzurro fosse il cielo, e tutto sembrava decisamente più calmo e pacifico… se solo non ci fosse stato quell’orribile strumento a guastare tutto l’effetto. Il suono si era fatto più vicino, perciò mi limitai a darmi una spolverata ai vestiti pieni di terra e foglie e ad aspettare il degno erede di Saw l’enigmista con il suo nuovo giocattolo di tortura.
Quello non ci mise molto ad arrivare, poiché sembrava puntare dritto dritto nella mia direzione e io mi preparai a esordire con una bella frase ad effetto.
-Buongiorno. Bella giornata per rovinare la vita agli al…agli a…agli… ah.- la mia frase ad effetto era decisamente andata a farsi friggere. Motivo? Il chitarrista tanto odiato era una bellissima ragazza sulla ventina, bionda, dai penetranti occhi grigi e un fisico da far invidia a Miss Universo. Di solito non mi fermo dall’insultare praticamente niente e/o nessuno, ma quella era stata davvero un grossa sorpresa.
-Ciao, Andrea.- mi salutò lei, smettendo di suonare e fissandomi negli occhi –hai un aspetto orribile. Che ti è successo?-
Con grande fatica riuscii ad articolare un misero “gah”. Come faceva a sapere il mio nome? Era anche lei un mio personaggio? Con molta difficoltà cercai di avviare il mio povero cervellino confuso.
-Fammi indovinare: hai appena incontrato qualcuno di cui non ti ricordavi, sei fuggita via, ti sei messa qui a piagnucolare, poi sono arrivata io a riscuoterti con la mia infallibile Betty- e qui diede due pacche alla chitarra –e adesso sei completamente confusa dalla mia fantastica entrata in scena.-
-Come fai a saperlo?!- esclamai, stupita da quell’incredibile deduzione.
-Parlo il piantese.- sorrise lei facendo una scrollata di spalle e indicando la betulla dietro di me, che stava ancora agitando i rami intenta nel finire il suo racconto. Quando si accorse di essere stata sgamata, s’immobilizzò immediatamente.
-Ah. Ecco.- altro che incredibile deduzione. La scrutai attentamente dalla testa ai piedi, cercando di collegarla a qualcosa. Sono sempre stata una scarpa a riconoscere le persone, ma c’era qualcosa di terribilmente famigliare in quei jeans scoloriti e in quella maglietta dell’Hard Rock Cafe, che non riusciva a smettere di tormentarmi.
-Sei ancora sotto shock oppure stai cercando di immaginarmi nuda?-
La seconda opzione mi fece avvampare in un attimo le guance. –Cos… no, no, io non… è che io… credo di averti già vista… o comunque, di conoscerti, ecco.-
-Ehi, rilassati. Era solo uno scherzo. E comunque mi già capitato così tante volte che ci sto quasi prendendo l’abitudine… sia dai ragazzi che dalle ragazze.- scrollò ancora le spalle, facendo un mezzo sorriso. –Non ci trovo niente di male se tu sei…-
-MA NON SONO, quindi frena. Mi stai facendo impazzire.- sbottai, iniziando a gesticolare come una scimmia.
-Sì lo so, faccio sempre questo effetto alla gente…- continuò invece lei, attorcigliandosi una ciocca di capelli tra le dita e tirandosela un po’.
Mi portai una mano alla fronte. –Argh, no, no! Non intendevo in quel senso… certo che sei davvero…- l’illuminazione vincente mi bloccò le parole in gola, mentre finalmente il mio cervello trillava un campanellino e il suono di una valanga di monetine che cadono, insieme alla scritta “JACKPOT”.
-…affascinante? Magnifica? Bellissima?- mi suggerì lei, in conclusione della frase che avevo lasciato a metà.
-No! Cioè, anche, ma non è questo il punto!- esclamai, in preda alla gioia –tu sei Virginia! La sorella di Omar Black!-
Lei rispose con una bella schitarrata entusiasta. –Esatto! Congratulazioni, hai vinto una bambolina di Hello Kitty!- e si apprestò a infilare la mano nella borsa che portava a tracolla.
-No, ti prego, NO!- strillai, in preda al panico. Già aveva con se una chitarra, figuriamoci se tirava fuori anche un pupazzetto di quel gatto satanico… non so come sarei riuscita a sopravvivere a contatto con le mie due cose meno preferite, anche se ero ancora su di gire per averla riconosciuta. “Le avventure di Omar Black” era una piccola serie di racconti gialli su un giovane investigatore privato, Omar, e il suo cane bianco, Ombra, a cui ogni tanti affiancavo la sorella maggiore, Virginia appunto, che era una poliziotta. Di tutti i personaggi che avevo creato, lei era uno dei più vecchi, che risaliva addirittura ai tempi della quinta elementare.
Virginia ridacchiò divertita. –Tranquilla, non ho un peluche di quell’adorabile gattino inquietante.- Scosse leggermente la testa, sistemandosi poi i capelli con una mano, in un modo così ricco di fascino che non pensavo nemmeno umanamente possibile. Come avevo fatto a immaginarmi un personaggio così… attraente? Soprattutto a nove anni? Il brontolio del mio stomaco mi fece sussultare improvvisamente.
Virginia mi lanciò una lunga e penetrante occhiata, poi mi assestò un ceffone sulla guancia destra.
-Ahia! Ma che ti prende?- strillai, toccandomi il punto colpito e cercando di trattenere le lacrime di dolore.
-Questo è per aver mangiato il mio panino.- ribatté lei, calmissima.
-Io non ho mangiato il tuo panino!- esclamai, massaggiandomi la povera guancia. –Che stai dicendo?-
Lei ridacchiò, tirando fuori qualcosa dalla borsa. –Non ancora.- mi canzonò, con un sorrisetto furbesco, sventolandomi sotto il naso il panino più grosso che avessi mai visto. La fame ebbe immediatamente la meglio su di me e glielo strappai via in un battito di ciglia. Finalmente cibo! Era da così tanto che non mangiavo che avevo persino dimenticato come si masticasse. Affondai i denti nel soffice pane e il sapore di pollo, maionese e patatine fritte m’inondò la bocca di piacere. Il mio panino preferito.
Virginia restò ad osservarmi con un leggero sorriso. –Di niente, eh.- commentò. Io le risposi con un rapido cenno della testa, troppo intenta a mangiare.
Restò ad aspettare in silenzio finché non ebbi finito il panino, poi mi porse una borraccia in plastica blu piena d’acqua. –Immagino che tu abbia anche sete adesso.- disse, con quel suo solito sorriso sulle labbra.
Inutile dire che finii in un lampo anche quella. –Grazie mille- le risposi, asciugandomi la bocca con un braccio –mi ci voleva proprio.-
-Ho notato- commentò, inarcando un sopracciglio. –Ti senti meglio adesso?-
-Decisamente.- mi diedi un paio di pacchette affettuose sul mio pancino pieno. Che sensazione magnifica essere sazi.
-Allora immagino che tu sia pronta per ripartire.- continuò Virginia, sistemandosi una ciocca di capelli dietro le orecchie e imbracciando meglio la chitarra.
-Suppongo di… sì?- mi lanciai uno sguardo rapido intorno. La mia amica betulla mi salutò facendo oscillare e frusciare i rami. –Sì.- risposi infine, alzando le spalle. Tanto, cos’avevo da perdere? Mi ero persa in una foresta, non avevo idea di dove fossero i miei amici e avevo già fatto la figura della mammoletta piagnona. Peggio di così…
-Bene!- esclamò lei, con il suo solito sorriso sicuro –allora, in marcia! Spero che non ti dispiaccia se suono una canzone.- aggiunse, iniziando a pizzicare le corde di quel suo congegno di tortura russo.
-A dir la verità, sì…-
-Ma sai già che non me ne importerà niente- concluse lei, mettendosi in cammino.
Che bello poter creare qualunque tipo di personaggio con qualunque tipo di carattere e poi dare vita solo a dei grossi pezzi di so-io-cosa a cui non frega niente di nessuno.
Seguii Virginia borbottando vari insulti in diverse lingue, dal rumeno al latino (le uniche cose che io abbia mai imparato a scuola), ma ad ogni modo, non tentai di applicare la legge del taglione su di lei. Dopotutto, trovare una motosega e un trapano-lanciafiamme in una foresta avrebbe potuto richiedere un po’ troppo tempo. Cercai invece di distrarmi cercando con lo sguardo la betulla, che compariva ogni tanto qua e là lungo il tratto di bosco che stavamo percorrendo. Sembrava divertirsi a nascondersi tra le chiome folte degli altri alberi per poi spuntarmi affianco all’improvviso agitando tutte le sue foglie, come a dire “Cucù! Eccomi qui! Non te l’aspettavi vero?”
Quella passeggiata sarebbe anche potuta essere piacevole, se solo non fosse stato per quello strumento orribile in mano a Virginia. Mi consolai pensando che molto probabilmente in altri universi paralleli la chitarra era stata bandita dalla Terra e giudicata eretica dalla chiesa, per poi essere mandata al rogo assieme ai peluche di certi felini bianchi di mia conoscenza. Per fortuna, Virginia decise che dopo una dozzina di canzoni avevo sofferto abbastanza, e smise di suonare. Inutile dire che fui seriamente tentata di gettarmi a terra e ringraziare ogni divinità esistente e non per aver fatto cessare quello strazio.
-Voglio ribadire che non ho smesso perché mi facevi pena, ma perché avevo finito le canzoni.- sottolineò però Virginia.
-Non m’interessa, quel che conta è il risultato- alzai i pugni al cielo –libertà per le mie orecchie!-
La betulla fece oscillare lievemente i rami da destra a sinistra. –No, che non era orecchiabile! E nessuno ha chiesto il tuo parere!- incrociai le braccia indispettita.
-Sai- commentò Virginia –qualcuno potrebbe pensare che tu sia pazza se ti vedesse parlare agli alberi in quel modo.-
-Davvero? E chi?- allargai le braccia, per indicare tutto il luogo intorno a noi –vedi qualcuno per caso? Oltre all’uomo invisibile, intendo.- feci finta di appoggiarmi alla spalla di qualcuno. –Come stai, bello? TI trovo in ottima forma.-
Lei alzò gli occhi al cielo. –Fai la spiritosa. Vedremo se non ho ragione.-
Io sbuffai più forte che potei. –Senti Miss Vedremo-se-non-ho-ragione, sai almeno da che parte stiamo andando?-
Lei mi guardò con sufficienza. –Io so sempre dove stiamo andando.-
-Se fossi stata Fede, a questo punto saresti dovuta andare a sbattere contro un albero.- borbottai sottovoce, rimpiangendo la mancanza del mio amico.
-Come hai detto?-
-Niente.- mi guardai attorno con falsa innocenza. –Quindi dove saremmo diretti, mia cara TomTom?-
-Segreto professionale.-
-Cioè non ne hai idea, non è così?-
-Preferisco la mia versione. Lo rende più elegante.-
Scossi la testa con un sospiro. –E come faresti a sapere che la strada che stiamo facendo è quella giusta se non sai nemmeno dove stiamo andando?-
-Un famoso investigatore direbbe “grazie al mio quinto senso e mezzo”, ma io preferisco il caro e vecchio sesto senso.- mi rispose, con tutta calma. –E poi quando non hai una meta precisa qualunque strada è quella giusta, perché non esiste un posto sbagliato a cui arrivare.-
La fissai sorpresa. Beh, quella era una frase piuttosto complessa. Strano, non ricordavo che Virginia fosse un personaggio così profondo. Evidentemente il mio inconscio si era dato ben più da fare di quanto mi fossi resa conto.
-Comunque, adesso non c’è più bisogno che tu mi faccia domande. Siamo arrivati.-
Mi piegai su un lato per vedere oltre la schiena di Virginia, che era in piedi di fronte a me. Sgranai gli occhi per lo stupore quando vidi la familiare figura di un Autogrill starmi davanti.
-Tu… come… cosa…- balbettai, facendo balzare lo sguardo un po’ sulla bionda e un po’ sull’edificio.
-Dovresti fidarti più spesso del sesto senso, Andrea.- mi sorrise, posandomi una mano sulla spalla e guardandomi dritto negli occhi. –Qui troverai sicuramente acqua, cibo e dei vestiti nuovi.- mi squadrò rapidamente da capo a piedi –E se ci riesci fatti anche una doccia. Sembri essere appena uscita da un campo di concentramento di Auschwitz.-
-E hai tralasciato la parte in cui mi sono rotolata tra le scorie radioattive di Fukushima.- scherzai.
-Giusto.-
Virginia mi guardò dritto negli occhi, e fu come se quelle due tempeste che aveva al posto delle iridi mi scrutassero fino in fondo all’anima, rivoltandola come un calzino. Le sue labbra si dischiusero in un sorriso dolce, quasi materno. Appoggiò la chitarra a terra e mi strinse a sé con un braccio, mentre con la mano dell’altro mi scompigliò affettuosamente i capelli, che mi finirono tutti in faccia.
-Non avere paura, piccoletta. La vita è come un romanzo d’avventura: il bello sta proprio nei colpi di scena.- mi lasciò andare lentamente, mentre io mi soffiavo via i capelli dagli occhi. Il mezzo abbraccio mi aveva colta piuttosto di sorpresa, lo ammetto, ed ero troppo imbarazzata per poter assimilare del tutto quello che lei aveva detto. Il brutto di essere bassa è che ogni volta che abbracci qualcuna più alta di te è che la tua testa finisce sempre tra le sue…
–Andrea. Gli occhi sono qui.- scherzò amichevolmente la bionda, cercando di distrarmi dall’imbarazzo che avevo addosso con altro imbarazzo. Tecnica non esattamente efficace, a mio parere.
-Stavo guardando la betulla.- mi difesi, indicando la mia amica pianta, che, fortunatamente, mi fece la grazia di comparire proprio in quel momento.
Virginia diede un’occhiata veloce dietro di sé. –Ti è andata bene stavolta.-
Mi avvicinai all’albero, che stava facendo oscillare tristemente i suoi rami. Passai le dita tra le sue foglie, come se gli accarezzassi i capelli. -È stato molto gentile da parte tua accompagnarmi fin qui.- gli dissi semplicemente.
Un rametto si spezzò tra le mie mani. Rimasi a fissarlo interdetta. –Oh. Io… scusa.- il vento frusciò tra i miei capelli, portandosi dietro un sottile sussurro. “Regalo”.
Sgranai gli occhi dallo stupore. Quella volta avevo davvero sentito delle parole. Parole vere. Strinsi il ramoscello nella mano e indietreggiai. –Grazie.-
Virginia mi posò una mano sulla spalla e mi sfilò il rametto di mano, per poi legarmelo al polso. –Che tenero.- commentò, mordendosi il labbro inferiore per trattenersi dal fare battute sarcastiche. –Ora vai. Porta i miei saluti a chiunque tu incontri. Credo che anche per me sia ora di tornare a casa.- e fece un passetto indietro, riafferrando la chitarra e restando a guardarmi sorridendo
Feci scivolare lo sguardo prima su di lei, poi sulla betulla. –Grazie di tutto.- mi voltai verso l’Autogrill e le porte automatiche si aprirono. “Speriamo solo che non ci siano di nuovo quei maledetti peluche”, commentai, tra me e me. Poi tassi un profondo respiro ed entrai. Mentre l’ingresso si richiudeva dietro di me, con la coda dell’occhio vidi la betulla svanire lentamente e Virginia sgretolarsi come un castello di sabbia al vento. Qualcosa dentro di me scattò, e mi sentii il cuore improvvisamente più caldo e la mente più sicura e rilassata. Sorrisi. Virginia era ritornata a casa.

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Capitolo 14
*** Come fuggire a un mostro di neve gigante (facendosi travolgere da una valanga) ***


Adesso torniamo a Federico e all’arrivo di mamma coniglio di neve.
I tre compari rimasero ancora qualche attimo immobili, senza sapere che cosa fare. Non che ci sia quella gran scelta di cose da fare, quando un gigantesco coniglio malvagio ti sta per scoprire a giocare con i suoi cuccioli. Poi l’istinto da super fifone di Danilo ebbe la meglio e il ragazzo scappò via in un lampo, rituffandosi nell’intrico di cunicoli da cui erano arrivati. Federico lo seguì a ruota lasciando Fidia indietro.
-Aspettatemi!- squittì lui, terrorizzato, iniziando a correre più veloce che poté e facendo delle brevi planate raso terra. Per qualche motivo la sua prestanza fisica era notevolmente diminuita da quando erano arrivati in quel mondo gelato.
Intanto dalla curva verso cui si erano accalcati tutti i cuccioli sbucò fuori un’enorme testa bianca seguita da due lunghe orecchie di neve. Lo sguardo era stranamente tranquillo per un enorme mostro di ghiaccio, ma non appena vide Fidia, gli occhi s’illuminarono di una luce azzurrina maligna e un ringhio iniziò ad uscire raschiando dalla sua gola.
Il folletto fece l’ennesimo inutile tentativo di spiccare il volo, ma dopo essersi alzato di un paio di spanne, ricadde pesantemente al suolo. Un’altra vittima della forza di gravità. Spaesato e spaventato, restò semidisteso a terra a fissare mamma coniglio, quando Federico lo agguantò e corse via.
-Di niente- commentò sarcastico, fiondandosi nella galleria secondaria in cui lo aspettava Danilo.
Alle loro spalle il mostrone di neve ruggì, facendo tremare la caverna di ghiaccio. I cuccioli gli saltellarono un po’ attorno, senza capire il motivo della tanta ira della loro madre, facendo guizzare le orecchie da una parte dall’altra.
Il trio rimase nascosto in assoluto silenzio, cercando di non far uscire il loro respiro fuori dalla giacca per non essere visti. Improvvisamente un muso bianco e due occhi azzurrissimi sbucarono all’entrata del loro nascondiglio. Loro inizialmente sobbalzarono dallo spavento, ma si tranquillizzarono un poco quando videro che si trattava solo di uno dei cuccioli,
Danilo diede un paio di colpetti sulla spalla di Federico. -Buttalo fuori! Buttalo fuori!- disse con un urlo soffocato, cercando di non farsi sentire da mamma coniglio a pochi metri da loro. L’altro cercò di spingere via il coniglio, ma quello sembrava ben determinato a restare con loro, e iniziò a rosicchiargli la giacca. Mamma coniglio passò loro accanto, ma essendo il tunnel decisamente più piccolo di quanto lei fosse, non li vide e passò oltre, fiutando il terreno gelato e tendendo bene le orecchie. Fidia sgattaiolò fuori dalla presa di Federico e gli si arrampicò su per il braccio, per poi infilarglisi tra lo scaldacollo e il colletto della giacca.
-Indietreggiate adesso… piano…- sussurrò, raggomitolandosi su sé stesso. I due ragazzi ubbidirono, stringendo e digrignando i denti ad ogni fruscio dei loro giacconi. Il piccolo coniglio di neve li seguì, passando a masticare un guanto di Fede. La mamma mostro però proprio in quel momento decise che le andava di tornare indietro e la combriccola dovette immobilizzarsi e trattenere il fiato una seconda volta.
-Ahia! Fuffana!- fu una vera fortuna che io non fossi con loro in quel momento, altrimenti quello stupido di un carciofo avrebbe ricevuto un immediato calcio rotante dritto sui denti.
Federico con uno strattone si liberò dalla morsa del cucciolo e lo scaraventò lontano, facendolo ruzzolare fuori dal tunnel, proprio ai piedi della madre. Un enorme occhio di ghiaccio apparì all’imboccatura della galleria.
-Ti odio- borbottò Fidia.
Il mostro ruggì di nuovo e si accanì sull’ingresso del tunnel con furore, demolendone gran parte solo con la prima zampata. I tre corsero via più veloci che poterono, cosa non esattamente semplice quando per avanzare bisogna stare curvi e quasi a gattoni. Danilo emise un verso simile a un miagolio e iniziò a piagnucolare frasi senza senso, pur continuando a procedere anche più velocemente di quanto gli fosse possibile data la sua altezza. Federico lo seguiva a ruota, un po’ perché era più piccolo e agile, un po’ perché non gli andava affatto di essere divorato da un mostro di neve. Fidia restò aggrappato allo scaldacollo del mio amico, raggomitolato sulla sua clavicola e con solo la testa visibile. C’era qualcosa che non andava in lui. Si sentiva sempre più stanco e svuotato.
-Qui!- esclamò Danilo, scattando verso l’alto. Fede fissò per qualche istante gli scarponi del ragazzo arrampicarsi attraverso una piccola apertura nel soffitto che riportava all’aria aperta. Non riusciva proprio a capacitarsi di come avesse trovato un’uscita da quel labirinto di ghiaccio. Prima di uscire a sua volta però, si voltò a guardare dietro di sé. Il coniglio non li stava seguendo. Il ragazzo rilassò i muscoli che aveva teso per prepararsi al salto. Danilo dall’alto lo guardò storto. –Che stai aspettando?- lo chiamò.
Lui scosse la testa. –C’è qualcosa che non va. Non ci sta più seguendo.- rispose.
-Cosa?- domandò l’altro, assordato da un’improvvisa folata di vento gelido.
-Ho detto- ripeté Fede, alzando il tono di voce –che non è qui!-
Il ragazzo lo fissò senza capire. –E allora dove…- non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che un’enorme zampa ghiacciata lo sollevò da terra e lo scaraventò via.
-DANILO!- urlò spaventato Federico, decidendosi finalmente a saltare per uscire dal cunicolo. Con le braccia si aggrappò all’apertura e cominciò a tirarsi su facendo leva sui gomiti, mentre con gli occhi cercava rapidamente il suo compare. Ma prima che potesse anche solo capire di essere girato dalla parte sbagliata, un fortissimo colpo alla nuca gli fece perdere la presa e scivolare di nuovo verso il basso. Il mostro di neve, nell’impeto della sua caccia al Danilo, lo aveva inavvertitamente colpito da dietro con una zampata. Il ragazzo rotolò da un lato appena in tempo per schivare la piccola valanga creata dal passaggio di mamma coniglio, che andò a bloccare la via d’uscita.
-Grandioso.- grugnì lui. Si rimise a gattoni e si mise in cammino nell’unica direzione rimasta, con la speranza di trovare un’altra uscita in tempo per aiutare l’amico. Ben presto si trovò però difronte a un incrocio. Aveva tre strade tra cui poter scegliere e nemmeno un’idea su cosa fare. –Ehi gnomo- borbottò, scrollando la spalla su cui Fidia era appoggiato –si accettano consigli.-
Il folletto diede una breve occhiata alle vie. –Sinistra.- disse, poi sprofondò completamente all’interno dello scaldacollo. Il ragazzo non stette a ragionare troppo sul motivo della scelta del piccoletto e scattò fulmineo nella direzione indicata, pregando che fosse quella giusta. Si sentì quasi sciogliere quando le sue speranze vennero accontentate. Di nuovo, senza stare a riflettere su come Fidia avesse saputo che quella fosse la via giusta, si limitò a saltare fuori dal tunnel, questa volta con successo. Non appena fu sulla superfice, un vento gelido gli punse le guance e lo fece rabbrividire fino alle ossa. Tirandosi su lo scladacollo per coprirsi meglio il viso, Federico voltò la testa a destra e a sinistra, cercando l’amico e il coniglio di neve. Non fu una ricerca particolarmente lunga.
Il mostro si trovava dietro di lui e si stava divertendo a cercare di acchiappare il povero Danilo, che terrorizzato continuava nel vano tentativo di correre tra la neve che gli arrivava quasi alla vita. Il mio amico cercò di pensare il più rapidamente possibili ad un piano per tirarlo fuori dai guai.
-EHI! BRUTTO CORNETTO GELATO DEFORME!- Beh, Fede non era mai stato il perfetto esempio di coraggio, ma posso assicurare che invece è la perfetta incarnazione dell’incoscienza.
Il pupazzo di neve si fermò di colpo, attirato dal grido.
-SÌ, DICO PROPRIO A TE, SOTTOSPECIE DI GHIACCIOLO ANDATO A MALE!- continuò a gridare, sbracciandosi. Buona notizia: il mostro aveva perso interesse per Danilo. Ottima notizia: ora tutta la sua voglia di squartare qualcuno era tutta diretta verso Federico. Cosa? No ho detto che fosse un’ottima notizia per Fede.
-BRAVO, VIENI QUI! FATTI SOTTO STUPIDA ACQUETTA FREDDA!- lo provocò ancora.
-Acquetta fredda?- commentò Fidia, da sotto la sua giacca.
-Avevo finito le battute- si difese lui, iniziando a indietreggiare nella neve alta, realizzando quello che aveva appena fatto. Continuò ad indietreggiare lentamente, affondando sempre più nella neve, fino ad arrivare ad avere l’ombelico coperto. Danilo nel frattempo stava continuando ad allontanarsi sempre di più da loro, dirigendosi verso le alte colline di ghiaccio e neve che circondavano la valle. Gran bel ringraziamento.
Mamma coniglio si acquattò tra la neve, continuando a fissare il ragazzo con i suoi occhi glaciali (letteralmente). Federico si sforzò di deglutire, ma il groppo di panico che aveva in gola non glielo permise. Se fosse sopravvissuto all’attacco si ripromise di non avere mai più a che fare con roditori in tutta la sua vita. E nemmeno con la neve.
Il mostro spiccò un balzo che coprì tutta la distanza che lo separava dalla sua preda, cadendogli esattamente sopra e inchiodandolo tra la neve ghiacciata con le zampe anteriori, facendolo sprofondare di almeno un metro.
-Ti prego non mangiarmi…- piagnucolò Fede –sono indigesto!-
Mamma coniglio ringhiò minacciosamente e avvicino il suo muso alla faccia del ragazzo. Lui girò la testa dall’altra parte e chiuse gli occhi. Riusciva a sentire il suo fiato gelido sulla sua guancia e il freddo pungente che dalle zampe trapassava la giacca e gli arrivava fino al petto.
Un grido ruppe il silenzio.
Il mostro sollevò la testa e si guardò intorno, confuso. Poi un rombo cominciò a formarsi e a diventare sempre più forte. Federico cercò di liberarsi da sotto le sue zampe e rimase assai sorpreso quando quello balzò via da lui e scappò via il più velocemente possibile.
Il ragazzo si mise seduto, cercando di capire cose stesse succedendo, quando una specie di gigantesca nube bianca gli coprì la visuale e lo colpì come un pugno in faccia, scaraventandolo all’indietro. Tutto si fece bianco, freddo e confuso e si sentì sbatacchiare su e giù così tanto e con così tanta forza da non riuscire nemmeno più a capire da che parte fosse il cielo e da che parte la terra.

Danilo continuò a procedere tra la neve fresca a fatica, emettendo numerose nuvolette bianche di fiato nell’aria immobile e silenziosa. Ad ogni passo che faceva continuava a insultarsi mentalmente per ciò che aveva fatto. Come aveva potuto anche solo pensare che provocare una valanga per far scappare il mostro potesse essere una buona idea? Beh, sicuramente aveva funzionato, ma come piccolo effetto collaterale poteva anche aver ammazzato Federico. Cose che capitano.
Il ragazzo cercò di non perdere di vista il punto in cui aveva visto il suo amico prima che scomparisse del tutto sotto l’onda di neve. Aveva cercato di imprimerselo bene nella mente come punto di partenza per iniziare a cercarlo, ma ora che si trovava nei paraggi vedeva solo bianco ovunque e se non fosse stato per i solchi che aveva lasciato dietro di sé molto probabilmente avrebbe finito per girare su se stesso, senza nemmeno capire da che parte fosse arrivato.
Si fermò qualche attimo per sfregarsi l’occhio sinistro, che gli pulsava ormai da qualche minuto per il troppo freddo e tutto intorno a lui si fece silenzioso. Danilo trattenne il fiato e si immobilizzò. Il rumore del giaccone che strusciava, la neve calpestata e il suo continuo ansimare l’avevano coperto fino a quel momento, ma ora poteva sentirlo chiaramente. In lontananza, qualcuno gridava pesanti insulti soffocati diretti a lui. Sul momento pensò di avere le allucinazioni, ma poi una piccola speranza gli si accese nel petto.
-Federico!- gridò alla neve, dimenticando l’esistenza del gigantesco coniglio di ghiaccio assassino che fino a poco tempo prima gironzolava da quelle parti. Gli insulti si bloccarono, come se chi li stesse pronunciando si fosse appena accorto di avere un microfono acceso in mano e fosse davanti a centinaia di persone. Poi ripresero ancora più forti e coloriti.
Danilo annaspò verso di loro, finché con un piede non urtò qualcosa di duro. Indietreggiò di qualche passo e vide spuntare parte di una mano guantata dalla neve. –Federico!- esultò.
La mano si mosse leggermente, cercando di liberare anche le altre dita, mentre la voce riempiva il ragazzo di insulti sempre più pesanti. Sembravano le cascate del Niagara verbali.
-Stai bene?- gli chiese Danilo, accucciandosi tra la neve e iniziando a scavare intorno alla mano, liberandola. Quella gli rispose facendogli un classico gesto con il dito medio.
-Lo so, scusami, sono stato uno stupido.- ammise il ragazzo, continuando a raschiare la neve congelata e facendo emergere anche il resto del braccio di Federico. –Sì… e anche quello.. e quello…- concordò poi su alcuni degli insulti che l’altro gli stava lanciando.
Con molta fatica finalmente anche la testa fu libera. Il ragazzo scosse il capo vigorosamente, lanciando pezzettini di neve ovunque e facendo diventare i suoi capelli una specie di cespuglio di rovi deformati. Con la mano libera si tolse lo scaldacollo dalla faccia e prese a grattarsi l’orecchio destro.
-Finalmente!- esclamò, chiudendo gli occhi –era da mezz’ora che mi prudeva!-
-Fede!- Danilo sorrise, un sorriso a trentadue denti –sei ancora tutto intero?-
-Credo di sì… ma di certo non grazie a te.- borbottò, lanciandogli un’occhiataccia. L’altro si sentì avvampare le guance dalla vergogna, ma Federico non sembrò farci caso. –Dai, renditi utile. Fammi uscire di qui.- con grande fatica riuscì a far emergere anche l’altro braccio.
Danilo lo afferrò e cominciò a tirare verso l’alto con tutte le sue forze. L’amico sbucò fuori fino al bacino. –Ahi! Mi stai staccando una spalla! Fermo!- strillò.
Il ragazzo lo lasciò andare immediatamente come un bravo soldatino e restò perfettamente immobile, mentre lui finiva di tirarsi fuori da solo. Una volta completamente libero si diede una bella spazzolata ai vestiti con le mani, facendo cadere gran parte dei pezzetti di neve ghiacciata che gli erano rimasti attaccati. Poi fece un bel respiro a pieni polmoni. –Okay Fidia, puoi uscire.-
Qualcosa al di sotto del suo giaccone si mosse e gli risalì lungo il petto, fino a spuntare da sotto il colletto. Una testolina arancione si scrollò come un cane bagnato. –Hish…- mormorò, accasciandosi –mi sa che sto per vomitare.-
-Se devi, fallo fuori dalla mia giacca!- esclamò allarmato Federico, tirando rapidamente giù la cerniera e facendolo cadere.
Danilo ebbe la prontezza di acchiappare il folletto al volo, prima che si spiaccicasse nella neve di faccia. Il custode emise una specie di “gaah” sofferente. Non sembrava stare affatto bene. Aveva perso il berretto da qualche parte nei meandri del giaccone di Fede e i capelli color carota erano tutti spiaccicati verso sinistra. Il viso aveva un malsano colorito verde pallido.
-Ehi, piccoletto- iniziò Danilo, preoccupato –tutto bene?-
-Non chiamarmi piccoletto.- borbottò quello, rannicchiandosi nelle sue mani.
-Sta bene- concluse Federico, senza nemmeno controllare se stesse effettivamente bene. –Adesso… meglio levare le chiappe da qui prima che torni il mostro. Mi si stanno congelando i piedi.-
Danilo posò Fidia tra le pieghe della sua sciarpa, in modo che potesse raggomitolarsi vicino a lui e stare un po’ più al calduccio. Poteva anche essere un fifone di prima categoria, ma non si poteva negare che non tenesse agli altri.
Federico si diede alcune rapide occhiate intorno, cercando di orientarsi. Poi cominciò a camminare verso le montagne, nella stessa direzione da cui era arrivato Danilo. Da quanto si ricordava, il mostro era andato verso valle, perciò sperò che andando nella direzione opposta si sarebbero allontanati sempre di più da lui. Il ragazzo si abbracciò e si sfregò le mani addosso, cercando di scaldarsi un po’. Essere seppelliti da una valanga ha delle conseguenze. I piedi erano gelati e duri, non riusciva più a sentirsi le dita e ogni passo era come camminare su cocci di vetro senza alcuna protezione. Le mani non erano messe meglio, così come le orecchie e il naso. Il suo unico desiderio era di ritrovare un altro Autogrill, entrarci e restare lì per sempre, magari nascondendosi sotto una pila di magliette come aveva fatto Danilo quando l’avevano trovato. Non aveva più voglia né di capire come sconfiggere il pupazzo di neve-coniglio né di continuare a cercarmi, anzi, se mi avesse per caso trovata in quel momento probabilmente mi avrebbe presa a schiaffi e insultata peggio di come aveva fatto con Danilo. Non gli importava nemmeno di come si sentisse Fidia. Non riusciva a volare? Benvenuto nel mondo dei comuni mortali. Stava male? Peggio per lui. Non aveva fatto niente per aiutarlo mentre era sotto la valanga, se non lamentarsi del fatto che aveva perso il suo cappello di lana e che ora aveva freddo alla testa. Perché ovviamente era il folletto, da sotto il giaccone, al riparo e al sicuro ad avere freddo e non lui con la faccia spiaccicata contro la neve ghiacciata, a cercare di non morire soffocato e di non diventare un mega-ghiacciolo. Il ragazzo era così immerso nella sua brodaglia di pensieri che non si accorse nemmeno di essere caduto. L’amico lo aiutò ad alzarsi e lo fissò, preoccupato. Persino più del solito.
-Tutto bene?-
Federico si sentì esplodere. –NO!- urlò, scansandosi da lui e zoppicandogli lontano –Non va bene per niente! Siamo persi in mezzo al nulla, sono stato travolto da una valanga, che TU hai provocato, un mostro orribile creato dalla TUA immaginazione sta probabilmente tornando indietro per ucciderci, ho i piedi congelati, mi fa male tutto e ho un freddo cane!-  il ragazzo strinse i pugni, per quanto gli permettessero i guanti e le dita mezze addormentate dal gelo. –E tu hai anche il coraggio di chiedermi pure se va tutto bene?-
Danilo parve rimpicciolirsi. –Io… Fede…- balbettò –mi… mi…-
-Ti dispiace? Beh, il tuo dispiacere mi è utile quanto un costume da bagno in questo momento- ribatté acidamente lui. Dentro di sé sapeva che l’amico non aveva davvero tutta la colpa per ciò che era successo e che stava solo cercando di aiutarlo, ma in quel momento aveva sol voglia di sfogarsi e urlare tutta la sua frustrazione. –guardati intorno piuttosto e dimmi se vedi qualche cavolo di Autogrill nei paraggi.-
Il ragazzo si guardò timidamente intorno. –Io… non…- la sua frase si concluse con un mormorio incespicante.
-Avanti. Dillo ad alta voce. Dillo che ci siamo persi e moriremo congelati.-
Danilo cercò di drizzarsi meglio che poté e di tirare fuori un po’ di coraggio. –No. Quello che stavo per dire, è che mamma-coniglio è ritornata.- e indicò un punto alla sua sinistra.
Federico si voltò in quella direzione e strizzò gli occhi per riuscire a vedere qualcosa, ma davanti a lui c’era solo bianco. Si maledisse mentalmente per non avere con sé gli occhiali da vista. Li chiuse per qualche attimo e se li sfregò. Quando li riaprì riuscì a scorgere una grossa massa bianco-azzurra muoversi a lunghi balzi verso di loro. Il ragazzo borbottò un paio di maledizioni. –Perché tutti i mostri più orribili devono per forza attaccarci…- sospirò, ormai troppo stanco per cercare di scappare –perché non possono essere bravi e buoni o farsi i cavoli loro…-
Danilo lo tirò per una manica, spronandolo ad andarsene. Federico si lasciò guidare senza reagire, continuando a fissare in cagnesco il pupazzo di neve. –Da quando sono arrivato qui…- iniziò Danilo –tutte le mie paure hanno preso forma. Tutto ciò che mi ero immaginato, tutti i mostri che mi terrorizzavano, tutto quello che pensavo ci fosse nel buio, sotto il letto o dentro l’armadio… mi è apparso davanti e… ha cercato di uccidermi.- il ragazzo scivolò su una parte di neve più ghiacciata e scivolosa delle altre, ma riuscì a non cadere –credo… che se tu.. tu.. pensi che sia cattivo… il mostro è cattivo e ti attacca. E se tu pensi che sia buono… allora diventa buono e non ti attacca.-
-E allora pensa che sia buono!- esclamò Federico.
-Ci sto provando! Ma non riesco a immaginarmelo tranquillo e coccoloso con quei denti enormi e quell’espressione omicida!- piagnucolò l’altro, continuando a camminare verso la cima di una montagna.
-E allora immaginatelo con un’altra faccia! È un tuo personaggio, puoi immaginarlo come cavolo vuoi!- sbraitò Fede.
Il mostro si stava avvicinando rapidamente a loro. Ormai i ragazzi riuscivano a sentire il suo respiro affannato sempre più forte e la temperatura farsi sempre più bassa.
Danilo si era come pietrificato, gli occhi fissi sul mostro. L’unico segno che lo distinguesse da una statua era la nuvoletta bianca di fiato che gli usciva dalle labbra.
Federico gli scosse energicamente un braccio. –Magari entro l’anno prossimo?-
-N…non ci riesco!- squittì lui.
Federico si gettò un’occhiata alle spalle e vide il mostro ingrossarsi e diventare sempre più spaventoso. –Stai facendo l’opposto! Vuoi ucciderci per caso?- gli gridò contro.
-Duecento metri verso destra. Gira di trenta gradi a sinistra. Quindici metri. Scava esattamente sotto i tuoi piedi. C’è una botola.- Fidia spuntò con la testa da dietro la sciarpa di Danilo.
-Cosa?- il grido di fede usci di almeno quattro ottave più alte del normale. –Quanto cavolo sono duecento metri?-
L’altro ragazzo però si era dato subito da fare e aveva cominciato a procedere nella direzione indicata, senza fare domande. Continuava a tormentarsi il labbro inferiore con gli incisivi e aveva le sopracciglia aggrottate dallo sforzo. Probabilmente stava cercando ancora di modificare il mostro-coniglio. Fede si gettò un’altra occhiata all’indietro. Il pupazzone si era inspiegabilmente fermato e stava artigliando la neve sotto alle sue zampe, come se fosse internamente diviso dall’impulso di correre a sbranarli e una forza invisibile che lo teneva incatenato lì dov’era. Danilo stava facendo il suo dovere, finalmente.
-Cosa gli stai facendo?- gli chiese, raggiungendolo velocemente.
-Mi fai perdere il conto- lo avvisò lui, senza fermarsi e sussurrando alcuni numeri a bassa voce, accompagnandosi con le dita.
-Conti ancora con le dita?- commentò ironicamente Fede, sorridendo.
-E mi hai fatto perdere il conto.- Danilo si voltò verso di lui, irritato. –Cosa mi hai chiesto prima?-
Federico indicò il mostrone con il pollice. –Come ci riesci?-
Danilo fissò basito la mamma-coniglio, scuotendo la testa e destra e a sinistra. –Non lo sto facendo io- rispose, con una nota di timore nella voce.
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo preoccupato a vicenda. –E allora chi…?
Fidia sbucò ancora una volta dalla sciarpa. La sua faccia era la stessa di uno zerbino davanti allo stadio dopo una partita di calcio. La sua pelle era bianca come la neve che li circondava e l’arancione dei suoi capelli era triste e smorto, come quello di una felpa lavata troppe volte. –Ancora cento metri- disse, con una voce sottile e sofferente –muovetevi. Non riuscirò a trattenerlo per tutto il pomeriggio.-
-Tu?!- esclamò sorpreso Fede.
-No, tua nonna- ribatté debolmente lui. A domande ovvie si risponde sempre con battute ovvie.
Danilo riprese a camminare deciso tra la neve, mormorando alcune incitazioni al folletto.
Federico li seguì a ruota e si mise al loro fianco, facendo schizzare gli occhi prima sul mostro, poi su Fidia e poi di nuovo sul mostro, come se stesse cercando di guardare entrambi contemporaneamente. Nella sua testa, cercava di immaginarsi cosa stesse facendo il piccolo custode per tenere a bada il pupazzo-coniglio di neve. Probabilmente stava manipolando le sue emozioni per convincerlo a lasciarli perdere, come aveva fatto inizialmente con Danilo per convincerlo a camminare. Non doveva essere una cosa semplice, né estremamente piacevole data la sua espressione. Aveva la stessa faccia di uno a cui era appena passato un rullo compressore sui piedi. Doveva essere davvero strano vederlo ridotto in quel modo. Sembrava così debole e fragile che Federico si ritrovò a temere che potesse sparire nel nulla da un momento all’altro.
Il ragazzo assottigliò lo sguardo e sbatté un paio di volte le palpebre. Per un attimo gli era sembrato che il folletto fosse veramente diventato trasparente.
Proprio in quel momento pupazzone di neve ruggì e si lanciò alla carica. Se Fidia non avesse recuperato il controllo li avrebbe raggiunti benissimo in una ventina di secondi.
-Quanto manca?- strillò Fede, tirando il braccio di Danilo.
Lui contò sottovoce altri tre passi, poi lo strattonò a sua volta. –Trenta gradi a sinistra.- disse, e lo fissò dritto negli occhi.
Federico ricambiò lo sguardo, stranito. –Ti aspetti che io lo sappia?- si voltò a guardare il mostro dietro di loro, che nel frattempo aveva rallentato la corsa a una camminata indecisa.
-Ho sempre avuto quattro in matematica.- piagnucolò l’amico, in sua difesa.
Fede sospirò esasperato, poi cercò di ricordarsi rapidamente qualche formula geometrica che gli potesse essere utile. –Quanti metri erano?-
-Quindici- rispose Danilo, con un leggero tremito nella voce. Il mostro si stava avvicinando sempre di più.
Federico contò dodici passi proseguendo sempre dritto, poi fece un mezzo giro su se stesso e ne fece altri nove. Dopodiché si abbassò e cominciò a scavare.
L’altro ragazzo lo raggiunse velocemente, tenendo gli occhi fissi sul pupazzone, che si era di nuovo fermato a una decina di metri da loro e li fissava con suo penetrante sguardo gelido.
-Più.. in fretta- si lamentò Fidia –troppa… rabbia…-
Danilo chinò gli occhi preoccupati sul piccolo esserino che gli spuntava da fuori la sciarpa e con grande orrore si accorse che i suoi contorni stavano tremolando e sfumando nell’aria.
-Fidia…?- chiese, timoroso –tutto…-
-Sta’ zitto e aiutami Danilo.- lo interruppe Fede –credo di aver trovato qualcosa.-
Il ragazzo gli si accucciò affianco e osservò la botola semicoperta di neve ai suoi piedi. –Non ci posso credere.-
-Neanch’io- rispose l’altro –perciò aiutami ad aprirla.-
I due afferrarono la maniglia e tirarono con tutte le loro forze. La botola rimase immobile. Federico e Danilo si scambiarono un’occhiata. Il freddo cominciò a essere così forte da pungere le ossa.
Il mostro era lì, che li fissava. Il suo sguardo era a metà tra il furibondo, il curioso e l’indeciso. Il muso si era trasformato da quello di un coniglio a quello di una specie di bulldog con le orecchie ridicolosamente lunghe. Sarebbe potuto sembrare anche carino da lontano, dietro a un vetro antiproiettile, con la museruola e completamente incatenato, ma nella loro situazione rappresentava il terrore puro.
Un mugolio di Fidia riportò al presente i due amici. Se non si fossero dati una mossa ad aprire la botola sarebbero diventati il nuovo prodotto di un reparto surgelati al supermercato. Presi da una scarica di adrenalina improvvisa, Federico e Danilo tirarono la maniglia con la forza della paura, tripla a quella usata in precedenza e il coperchio metallico si sollevò e si spostò di lato quasi fosse di polistirolo. In men che non si dica, Danilo saltò dentro al passaggio, lasciando Federico da solo con il mostro per un lungo istante.
Il coniglio-bulldog-mostro di neve sembrò riservagli un largo sorriso maligno mentre il ragazzo si tuffava dentro alla botola e se la richiudeva dietro.
Fede atterrò per terra sulle gambe dritte, dimenticandosi di molleggiare e una scossa di dolore gli partì dai piedi e della ginocchia fino ad arrivargli al collo. Quando si girò per cercare Danilo, lo vide a pochi passi da lui, con una piccola figurina traslucida tra le mani e gli occhi lucidi.
-Fidia…- stava chiamando –Fidia mi senti? Va tutto bene, sei al sicuro adesso… siamo… siamo nella botola…-
Federico gli si avvicinò e fissò il folletto. Avete presente, quando guardando attraverso la vetrina di un negozio vedete il vostro riflesso dall’altra parte, ma contemporaneamente anche ciò che sta dietro? Ecco, quella era la stessa impressione che il mio amico ebbe quardando il custode che svaniva.
-Avanti gnomo- borbottò –non vorrai morire proprio ora che il peggio è passato?-
Fidia girò la sua piccola testolina verso di lui. Gli occhi solitamente vivaci e pieni di gioia ora erano opachi e spenti. I contorni del suo viso sfumarono lentamente mentre parlava.
-Troppo lontano… dall’altra parte…-
E così, il custode delle Emozioni svanì nel nulla, lasciandosi dietro solo il senso di improvviso vuoto nel cuore di Federico e una lacrima ghiacciata sul viso di Danilo.


Angolo della ritardataria

Buon anno! Primo capitolo dell’anno! Yay!
…Scusatemi. Davvero, mi dispiace un sacco di averci messo così tanto a finire questo capitolo. E non lo dico solo perché voglio che la smettiate di cercare il mio nome sull’elenco telefonico per minacciarmi di morte alle due del mattino. (Beh, anche, ma tralasciamo.)
Mi dispiace, perché così facendo sembra che in realtà non me ne importi nulla della storia, o di chi la legge. Ma non è così. A me interessa moltissimo. Ci tengo a finire di scriverla e ci tengo che, a voi due gatti che la leggete, piaccia.
So che sbaglio a lasciarvi così, per mesi e mesi senza alcun segno di vita, a domandarvi se passare dal “Padre nostro fa che pubblichi qualcosa” al “eterno riposo dona alla storia, oh Signore”, mentre in realtà io sono tranquillamente seduta sul divano a oziare e guardare i cartoni animati.
Però so anche che se vi dicessi che da adesso in poi sarò più svelta a pubblicare nuovi capitoli, vi direi un bugia. Mi dispiace.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
A (spero) presto, s-poltix

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Capitolo 15
*** Cosa devo fare se un T-rex mi guarda male? ***


Dopo la bomba dell’ultimo capitolo, eccoci di nuovo qui. Io, voi e l’Autogrill. So che in questo momento la mia situazione vi potrà sembrare di una calma e noia assoluta in confronto a ciò che era successo a Federico, ma vi assicuro che anche io ebbi le mie sorprese quel giorno.
L’Autogrill era molto più grande di quanto mi aspettassi, sembrava quasi un piccolo centro commerciale.
La prima cosa che feci, fu di andare a cercare qualcosa da mangiare. Rubai un paio di panini al formaggio e una bibita, poi mi diressi verso il reparto di abbigliamento. Con mio grande dispiacere, constatai che tutti i vestiti che mi piacevano non erano della mia taglia. Gli unici disponibili erano delle minigonne o dei pantaloncini così corti da sembrare delle mutande, non esattamente consigliabili per attraversare una giungla o scappare da mostri assassini (tranne per i personaggi dei videogiochi o degli anime. Ci avete mai fatto caso?).
Provai a cercare il reparto maschile nella speranza di trovare qualcosa da mettermi, ma sembrava che quell’Autogrill fosse stato progettato solo per le ragazze. Mugugnando e sbuffando tra me e me, mi diressi verso le toilette per cambiarmi, accontentandomi delle taglie XL.
Ma in bagno non andò molto meglio: dopo la prima piacevole scoperta dell’esistenza delle docce, seguì quella assai meno piacevole che l’acqua usciva solo o bollente o ghiacciata. Innumerevoli scottature e gelate dopo, mi ritrovai anche senza la possibilità di asciugarmi i capelli con un phon. Per fortuna Fidia mi aveva tagliato i capelli corti. Già, Fidia. Mi domandai come se la stessero passando i miei amici. Improvvisamente l’avere i capelli bagnati e l’indossare abiti di due taglie superiori alla mia non mi sembrò poi così spiacevole.
Gironzolai per l’edificio completamente a casaccio per un po’, finché non trovai un’intera stanza dedicata a zaini e borse. Un nuovo mondo mi si aprì davanti: finalmente avrei potuto portarmi in giro con me qualcosa! Mi fiondai immediatamente su uno zaino rosso da trekking pieno di tasche. Non ne portavo uno con me da quando il lupo gigante a due teste aveva cominciato a dare la caccia a me, Fede e Fidia. Con un sorriso a trentadue denti feci per afferrarlo, ma vidi che era agganciato a un pesante catenaccio in metallo.
-Seriamente?- borbottai, lanciando occhiatacce a destra e sinistra, nella speranza di trovare qualcuno da insultare e con cui lamentarmi. Era una mia impressione o tutto ciò che mi piaceva era inspiegabilmente irreperibile in quell’Autogrill?
Mi accontentai di uno zainetto più piccolo in due diverse tonalità di verde, fornito di una sola grande tasca. Sempre meglio di una borsetta minuscola e piena di brillantini (non è che ho qualcosa contro i brillantini, ma diciamoci la verità: fare la disco-ball con una borsa non mi sarebbe servito molto a scappare dai mostri. Credo).
Tornai al bancone del bar e riempii lo zaino di panini, merendine e bottiglie d’acqua in vista della mia partenza. Non avevo molta voglia di rimettermi in marcia, ma non avevo nemmeno voglia di restare ferma troppo a lungo. Dovevo ritrovare Federico e Fidia. Iniziavo a sentirmi un po’ sola in quell’Autogrill, tutto era fermo e immobile, niente trappole omicide, niente strani tipi che sbucavano dal nulla, niente alberi parlanti.
Feci un ultimo sospiro e poi varcai la soglia dell’Autogrill, uscendone fuori.
Mi trovai ancora in una foresta, ma gli alberi erano più distanziati uno con l’altro e lasciavano filtrare i caldi raggi del sole. Alzando lo sguardo, finalmente rividi il cielo. Era di un azzurro brillante, senza nuvole, che irradiava felicità e spensieratezza. L’aria era tiepida e asciutta. Una leggera brezza frizzantina ogni tanto interrompeva la perfetta immobilità dell’ambiente, arruffandomi i capelli e scompigliando le chiome degli alberi. Nel terreno, tra l’erba e alcuni cespugli, sbucava un sentiero che arrivava fino all’ingresso dell’edificio da cui ero appena uscita.
Diedi una veloce occhiata a destra e a sinistra, in cerca di eventuali mostri, poi mi tirai su i pantaloni che mi stavano già cadendo e mi incamminai per la stradina. Quasi senza pensarci, cercai con lo sguardo la betulla, ma non la vidi da nessuna parte. Un po’ rattristata, cercai di canticchiare qualcosa per tirarmi su il morale, ma non potei fare a meno di ricordare di quando avevo cantato assieme alla foresta. Le parole della canzone mi morirono in gola e continuai a camminare in silenzio. In quel momento un pensiero mi saltò in mente: la foresta era davvero silenziosa. Non c’erano uccellini che cantavano, né insetti che ronzavano e ti si infilavano sotto ai vestiti, pungendoti e lasciandoti orribili bubboni gonfi e pruriginosi. Anche nella foresta precedente non avevo visto alcun animale, solo che con gli alberi parlanti non ci avevo fatto caso. Davvero strano.
Dopo quelle che mi parvero un paio d’ore di cammino, iniziai a salire per un ripido pendio. Il sentiero sembrava portare verso la cima di una catena montuosa. Mi vennero in mente le numerose camminate che avevo fatto da piccola con i miei genitori e gli incredibili panorami che avevo visto dall’alto di quelle vette. Mi fermai ad osservare la cima del monte su cui mi stavo incamminando. Se fossi riuscita ad arrivare fino in cima sarei sicuramente riuscita ad avere un’ampia visuale del territorio circostante. Chissà, magari sarei persino riuscita a scorgere Federico, disperso anche lui da qualche parte nei dintorni… No, decisamente poco probabile. Anche perché da quell’altezza, probabilmente solo gli occhi da elfo di Legolas sarebbero riusciti a vederci qualcosa. Ad ogni modo, pensai che non fosse una cattiva idea darsi un’occhiata intorno e capire dove accidenti mi trovassi. Prima di continuare, però, avevo voglia di fare uno spuntino. Dopo tutti i pasti che avevo saltato nessuno avrebbe potuto negarmi una bella merendina ipercalorica. Aprii l’involucro e addentai la barretta di cioccolato, gustandone il sapore forte e amaro. Chiunque lo avesse inventato era un genio.
Ma ovviamente un bel momento non è tale se non viene rovinato da qualcosa. Ad esempio da due tizi che urlano, corrono e ti saltano addosso cercando di ucciderti, mentre un dinosauro arancione e rosa di ruggisce contro. Ogni tanto mi domando se sono io che me le vado a cercare oppure è la malasorte ad avermi preso in simpatia.
Ad ogni modo, ritrovarsi atterrata, con un ginocchio ficcato nello stomaco e le braccia bloccate, non era esattamente ciò che mi aspettavo da una tranquilla passeggiatina nella natura.
-Chi sono io?- domandò il mio assalitore, pigiando con più forza il suo ginocchio nel mio povero pancino. Il suo viso era coperto da un passamontagna nero, così come quello del suo compare a pochi passi da noi.
-Che?- risposi io, confusa e impaurita, cercando di realizzare quello che era appena successo.
-Sai chi sono io?- ripeté quello, più stizzito, e facendomi ancora più male. –Come mi chiamo?-
-Non lo so!- Cercai di divincolarmi, inutilmente. –Lasciami, ti prego!- 
Nonostante fossi molto più concentrata a non farmi spappolare l’intestino, riuscii a notare che la voce del tipo, in realtà, sembrava più femminile che maschile. Cercai di ricordarmi di tutti i personaggi femminili che avevo creato per le mie storie e di trovarne uno che potesse assomigliare alla tipa che mi aveva atterrato. Dunque: agile, forte, irritabile e manesca. Quale personaggio incarnava tutte queste caratteristiche? Fammici pensare un attimo… Ah, sì: tutti.
-Sei Virginia di nuovo?- azzardai. Magari quella maledetta mi aveva seguita e si stava divertendo a farmi uno scherzo. Ma chi poteva essere l’altro tipo? Non era molto alto, sembrava più che altro un bambino…
-Chi è Virginia?- domandò lei, bloccandomi meglio le braccia, che le stavano lentamente scivolando di mano.
-Okay, va bene, va bene. Non sei Virginia.- Mi girai verso il bambino di fianco a noi, sperando mi potesse dare qualche indizio, ma il T-Rex alle sue spalle non sembrò gradire molto la cosa. Distolsi immediatamente lo sguardo. –Giorgia? Sofia?- tentai ancora. –Usi un’arma oppure hai dei poteri magici?-
La ragazza sembrò allentare la presa. –Cosa?-
-Sei una mutaforma? Ne ho creati parecchi di quelli, per favore perdonami, se non ricordo il tuo nome.-
La ragazza non rispose, ma sentii anche il ginocchio fare meno pressione. Presa dalla speranza di aver imboccato la strada giusta, azzardai qualche domanda in più: –Per caso ti trasformi durante il sonno e hai scomodi effetti collaterali quando mangi le arachidi?-
-Che?-
Ecco il momento buono. Con un colpo di reni riuscii a ribaltarla da un lato e ad afferrarle i polsi. Lei dopo l’iniziale sorpresa non tardò ad assestarmi un calcio agli stinchi. Cercando di soffocare varie imprecazioni, cercai di mettermi in ginocchio per rialzarmi, quando mi sentii afferrare dal cappuccio e tirare verso l’alto. Lanciai un urletto per la sorpresa e lasciai andare la ragazza, per portare le mani al collo della felpa ed evitare di finire strangolata.
Lei si rimise in piedi e si diede una spazzata ai pantaloni, per poi fissarmi a braccia incrociate.
Il bambino cercò di imitarla per sembrare un duro. –Ottimo lavoro, Mister Gummybear!- esclamò, soddisfatto.
Aspetta. La ragazza era in piedi davanti a me. Il bambino pure. E io ero sollevata a qualche metro da terra da qualcuno che mi teneva per il cappuccio. Ebbi un orribile presentimento. Per quanto mi era permesso, cercai di girare la testa e vedere chi mi stava tenendo appesa come un accappatoio su un attaccapanni. Nel momento stesso in cui il mio sguardo incrociò il suo, sentii tutta la pelle accapponarsi. Già. Mister Gummybear era il T-Rex. Un nome spaventoso tanto quanto la belva che lo possedeva.
-Okay. Scusate. Colpa mia- balbettai, spaventata. –Avrei dovuto restare a farmi spiaccicare lo stomaco da te. In effetti non si stava poi così male bloccati per terra…- Cercai di aggiustare meglio la presa sulla felpa. Non avevo molta voglia di finire impiccata.
-Sta’ zitta- tagliò corto la tipa.
-Okay.-
Lei sospirò sonoramente. –Come sei arrivata qui?-
Ridacchiai nervosamente. –Oh, questa è una storia davvero divertente. Allora, io e un mio amico…-
-Dov’è il tuo amico?- mi interruppe lei, guardandosi improvvisamente attorno con fare sospetto.
-Non lo so. Sono caduta da un ponte mentre il suo stupido lupo a due teste ci stava inseguendo.-
La ragazza rimase in silenzio a fissarmi, con la testa leggermente inclinata da un lato, mentre il bambino proruppe in un fragoroso “figo!”.
-Comunque… Eravamo io e lui al computer quando entriamo in questo sito e poi bum! Ci ritroviamo qui.- Mi guardai intorno, aspettando il mio destino.
La ragazza sospirò ancora e, passandosi una mano sulla faccia, si tolse il passamontagna. Aveva i capelli neri, con un taglio simile a quello dei Beatles e la pelle color nocciola. Allungò una mano verso il bambino che le passò un paio di occhiali, prima di togliersi anche lui il passamontagna.
-Mi chiamo Michelle- borbottò, mettendosi gli occhiali. –Mentre lui è Diego. Saluta, Diego.-
Il bambino sorrise, sistemandosi i riccioluti capelli biondi in modo che non gli andassero negli occhi. -Ciao!- disse, accompagnando il saluto scuotendo la mano a destra e a sinistra.
-Andrea- mi presentai, senza capire bene cosa stesse succedendo.
Michelle posò una mano sulla spalla del bambino. –Diego, potresti dire a Mr. Gummybear di lasciare andare Andrea, per favore?-
Diego annuì vigorosamente. –Mr. Gummybear! Mettila giù. Pianino però. Non come l’ultima volta.-
Il dinosauro abbassò lentamente la testa e mi posò a terra delicatamente. Ancora intimorita, mi voltai verso di lui e restai a fissarlo negli occhi. Sono assolutamente certa che se non ci fosse stato il bambino, avrei fatto la stessa fine che la mia barretta al cioccolato aveva fatto con me.
-Lui è Mr. Gummybear, come avrai già capito- disse la ragazza.
-È un T-Rex! Mangia le persone!- esclamò Diego, tutto contento.
-Diego.- Michelle gli fece cenno di zittirsi.
-Ma… Ora l’ho addestrato! È già da due mesi che non lo fa più! Se non contiamo Gin… Mpf!- 
Il bambino fu zittito da una mano di Michelle sulla bocca.
-Ad ogni modo, ora è innocuo- cercò di rimediare lei.
-Quasi!- aggiunse il bambino, da sotto la mano.
Deglutii a vuoto e tornai ad osservare i denti affilati del rettile che gli sporgevano dalle gengive. I suoi colori vivaci e allegri non erano per niente d’aiuto nello smorzare la sua ferocia. Quello ricambiò il mio sguardo con un’occhiata affamata e piena di voglia di sbranare.
-Cosa devo fare se mi guarda male?- domandai, con un filo di voce.
-Prega che ci sia Diego nei paraggi. Ubbidisce solo a lui- spiegò la ragazza, con nonchalance.
-L’unico!- sottolineò Diego, ormai libero dalla presa di Michelle.
-Comunque…- continuò la ragazza. –Noi non siamo dei personaggi inventati da te. Siamo arrivati qui dopo essere capitati in un sito internet in cui spiegava come sconfiggere il blocco dello scrittore. Proprio come te.-
Rimasi un attimo in silenzio ad osservarli. –Anche il dinosauro?-
Lei scoppiò a ridere. –No… lui… è una lunga storia.-
Ridacchiai anch’io, senza saper bene perché. –Sono l’unica qui che trova tutto questo assurdo?-
Michelle sorrise e allungò la mano per stringere la mia. –Benvenuta nel club.-

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Capitolo 16
*** Un nuovo obbiettivo ***


Federico fissò l’esorbitante quantità di cibo in scatola ordinatamente impilato di fianco ai muri del bunker. Era come se ci fosse un doppio strato di pareti costituito da lattine che arrivavano fino al soffitto, ciascuna delle quali era così ben impilata e incastrata tra le altre da non riuscire nemmeno a far capire come fosse possibile estrarne una senza far crollare tutto. Il pavimento era in legno vecchio e ammuffito; ovunque alleggiava un pungente odore di chiuso. L’unica luce presente era data da due lampade a neon attaccate al soffitto, inspiegabilmente accese nonostante i due ragazzi non avessero premuto alcun interruttore. Federico superò Danilo, che era fermo a fissare privo di espressione una pila di scatole di sardine. La stanza in cui erano proseguiva in un corridoio intricato e pieno di curve a destra e sinistra, costantemente invaso dalla presenza di barattoli attaccati alle pareti. Mentre continuava nella sua esplorazione, Federico si tolse i guanti inzuppati di neve e se li ficcò in tasca, per poi soffiare sulle sue dita congelate per riscaldarle. La temperatura all’interno del bunker era umida, ma sul tiepido-caldo, una vera manna dopo essere stati al freddo e in mezzo alla neve per tutto quel tempo.
Girò di nuovo all’angolo, guardandosi intorno e vide una porta chiusa. In punto imprecisato alle sue spalle sentì un grido soffocato di Danilo e mille lattine che cadevano per terra. Con un sorriso sulle labbra e  spinto dalla sua solita insana curiosità, aprì la porta ed entrò. Al centro si trovava una scrivania con sopra un computer, precisamente uno di modello Commodore 64, ma nessuna sedia. Accanto alla tastiera c’era lo “scheletro” di una penna, priva di tappo e di cartuccia interna e perciò inutile per scrivere.
-Trovato qualcosa?- domandò Danilo, sbucando all’improvviso sull’ingresso.
Federico impugnò la penna vuota e si voltò. -Soltanto un’inutile scatola… E questa.-
-Una penna?- azzardò a domandare l’altro.
-Sì, ma senza l’affare dentro per scrivere- rispose Federico, avvicinandosi in modo molto sospetto all’amico.
-E… Allora a cosa serve?-
Si avvicinò ancora di più, con un sorriso malvagio. –Vogliamo scoprirlo?- gli chiese in tono che suonava maliziosamente preoccupante.
Le orecchie di Danilo andarono a fuoco.  –Simpatico- borbottò tra sé e sé, dandogli uno spintone imbarazzato e dirigendosi verso in computer, badando bene a non guardarlo negli occhi. Una volta arrivato davanti alla scrivania, restò qualche secondo a fissare lo schermo impolverato e privo di vita. Un po’ timoroso, allungò la mano sulla tastiera, cercando il più possibile di ignorare i movimenti loschi di Federico alle sue spalle. Premette un pulsante sulla destra, che tra tutti, era quello che più gli ispirava fiducia come tasto di accensione. Dopo qualche istante, il computer iniziò a ronzare.
-Oh.- mormorò il ragazzo, tirandosi indietro sorpreso. –Non ci avrei mai sperato.-
Federico si sporse oltre la sua spalla, per sbirciare. –Non ci credo!- esclamò, vedendo comparire alcune scritte verdi sullo schermo. –Quest’affare funziona!- con un repentino movimento contorto, passò sotto il braccio di Danilo e prese possesso del C 64. –Ti immagini se riuscissimo ad entrare dentro anche a questo computer? Saremmo in un computer... dentro un altro computer!- fissò il vuoto, intento a contemplare la sua idea. –Sarebbe tipo Inception, ma tecnologico.-
-Cos’è Inception?-
Fede distolse lo sguardo sul suo sogno ad occhi aperti e lo puntò sull’amico. –Seriamente, in che genere di sgabuzzino sei stato rinchiuso per tutto questo tempo?-
L’altro non rispose, ma assunse una buffa espressione offesa e lo guardò male.
-Vabbeh, vediamo di far funzionare questo baracchino…- Federico scrutò attentamente le scritte, poi la tastiera, cercando di capire cosa dovesse fare.
-Credo sia inserito un disco- rifletté Danilo –anche se di solito non si avvia da solo. Prova a premere “RUN”.-
Federico abbassò gli occhi sulla tastiera, cercando il tasto.
-A sinistra, sotto Control.- lo aiutò l’amico.
Il ragazzo lo premette con nonchalance. –Lo sapevo, era solo per vedere se eri attento.-
L’altro non rispose, ma alzò gli occhi al cielo.
Altre scritte in verde erano comparse, ma essendo in inglese e in un carattere diverso rispetto a quello a cui era abituato, Federico non riuscì a capire cosa dicessero. Al contrario, Danilo sembrava cavarsela abbastanza bene. Dopo qualche momento di riflessione, schiacciò diversi tasti, uno dietro l’altro come una piccola cascata e premette di nuovo “RUN”. Lo schermo divenno nero improvvisamente.
-Ecco.- borbottò Federico –l’hai rotto. Bravo.-
-Aspetta- rispose tranquillo l’altro, senza scomporsi. –Questi affari ci mettono sempre un po’ a caricare... visto?-
Sulla schermata erano comparse diverse linee, a formare un complesso disegno geometrico. In alto a destra, un quadratino verde lampeggiava.
Fede strizzò gli occhi, cercando di aguzzare la vista il più possibile. –Che roba è?-
-Una mappa.- gli occhi del ragazzo brillavano. -È una mappa di questo posto!- indicò il punitno luminoso. –Vedi? Noi siamo qui. Questa  la botola da cui siamo entrati e questo tutto il bunker.- fece un cerchio intorno alla zona descritta.
Federico lo seguiva con estrema attenzione. –Quindi se quelle linee delimitano il bunker... tutte quelle altre... sono altri nascondigli come questo?-
Danilo annuì e  fece scorrere la mappa in varie direzioni, rivelando molte più costruzioni di quanto avessro mai potuto immaginare.
-C’ è un intero mondo qui...- mormorò sbalordito Danilo.
Federico si fece più vicino allo schermo. –Se ci sono delle costruzioni, vuol dire che qualcuno le ha fatte. E quindi, che ci sono altre persone.-
I due ragazzi si scambiarono un lungo sguardo, in silenzio.
-Dobbiamo andare lì. Dobbiamo trovarle.- sentenziò infine Danilo. Il suo tono di voce sembrava stranamente sicuro.
Federico ci rifletté un po’. –Non ne sono sicuro. E se invece queste città fosse frutto della mostra immaginazione? E se fossero piene di mostri o roba simile?-
-Forse... ma se non ci andiamo non lo sapremo mai, giusto?- ribatté gentilmente, con un leggero sorriso.
L’amico corrugò le sopracciglia e fece un mezzo sorriso sarcastico. –Da quando tu sei quello coraggioso e intraprendente e io quello fifone e prudente?-
L’altro abbassò lo sguardo e le guance gli si colorarono appena. –Scusa...-
Fede gli batté una pacca sulla schiena. –Eccolo qui il caro e vecchio Danilo che conosco! Allora, sei davvero sicuro di quello che stai proponendo? Voglio dire... non è che per caso puoi cercare il posto l’Autogrill in cui ci siamo incontrati e capire come tornare nel deserto?-
Danilo lo fissò dritto negli occhi. –Lo so che vuoi cercare la tua amica. Ma... una volta che sei entrato in uno di quei cosi, non c’ è modo di tornare indietro.- La frase gli si incrinò nella gola. –Fidati. Ci ho già provato.-
Federico restò qualche secondo in silenzio, aspettando un chiarimento sull’ultima frase che però non arrivò. L’amico cambiò discorso, premendo di nuovo l’indice contro lo schermo del computer. –Questa sembra essere la città più vicina a noi. Dobbiamo solamente andare verso nord.-
-Bene. Fantastico. Meraviglioso.- commentò Fede –ma come cavolo facciamo a sapere dov’ è il nord? Non so te, ma io non sono messo molto bene come senso dell’orientamento.- borbottò ancora. In effetti era vero. Probabilmente l’unico che lo potrebbe battere in quanto a “non so dove mi trovo anche se ho google maps davanti al naso” è Ryoga, dell’anime Ranma ½. Ma non ne sono neanche fin troppo sicura.
-Nemmeno io sono messo troppo bene- ammise lui. Ma dovremmo farcene una ragione. Magari con il sole riusciamo a capire da che parte è...- azzardò. -È solo a due giorni di cammino. Due giorni...- il suo tono di voce suonava così speranzoso che Fede non ebbe cuorer di scoraggiarlo ancora.
-Massì dai... in qualche modo ci riusciremo, no? Due giorni di cammino... che vuoi che siano!- esclamò, cercando di sembrare il più fiducioso possibile e accidentalmente scontrando con una mano la scrivania e facendo cadere la penna a terra.
-Upsi- ridacchiò, raccogliendola –e magari vediamo di trovare un cestino in cui buttare quest’affare- aggiunse poggiando rumorosamente la penna di fianco alla scrivania.
-Chissà perché l’hanno lasciata lì..- rifletté Danilo ad alta voce.
-E io che ne...- Federico tolse la mano da essa, che con molta nonchalance, ruotò su se stessa. Ci fu un lungo attimo di silenzio. Fede riportò la penna nella posizione in cui l’aveva posata, ma lei ruotò ancora.
-Dimmi che l’hai legata a un filo e la stai spostando di nascosto.-
-Stavo per dirti la stessa cosa.-
I due ragazzi si fissarono, senza capire cosa stesse succedendo. Poi Fede prese la penna e la lanciò in aria per poi vederla cadere sul pavimento e assumere la stessa posizione delle volte precedenti.
-Mh.- commentò Fede.
-“Mh” davvero- ribadì Danilo, interdetto quanto l’altro ragazzo. Alzò lo sguardo sullo schermo, poi lo riportò sulla penna. Qualcosa sembrò illuminarsi nei suoi occhi. Con un piede, diede un leggero calcetto alla biro, in modo da farle cambiare posizione, ma quella si rimise ostinatamente al suo posto.
-Federico- chiamò, con un sorriso sempre più grande sulle labbra.
-È così che mi chiamo.- rispose lui, monotono.
-credo di aver capito a cosa serve la penna.-
-Anch’io ho qualche idea in effetti…- commentò, riprendendo il tono malizioso di poco prima.
-È una bussola! Guarda, punta sempre verso nord!- esclamò indicando la posizione dei punti cardinali presente sullo schermo.
-Oh.- Fede sbatté le palpebre. –La mia idea era un po’ diversa ma… anche questa va bene.- 
Danilo gli diede una gomitata. Poi si alzò dalla sedia, raccolse la penna  e spense il computer.
-Abbiamo finito qui. Andiamo.- e si avviò verso la porta della stanza.
Federico lo fissò senza capire. –Ehi, ehi, frena amico. Come sarebbe a dire “abbiamo finito”?-
Il biondo restò a fissarlo per un paio di secondi, poi con una leggera spinta lo spostò di lato e lo superò, avviandosi verso l’uscita.
-Danilo!- lo chiamò Fede, esterrefatto dal suo comportamento così insolito. L’altro esitò sull’uscio, ma poi continuò ad avanzare. –Ehi, amico! Che ti prende?- Federico accennò una corsa e lo afferrò per una spalla e lo spinse contro una parete ricolma di sottaceti, costringendolo a fermarsi. Gli occhi scuri del mio amico incontrarono quelli chiari e sfuggenti del suo nuovo compare. –Che stai facendo?- gli chiese di nuovo.
Lui abbassò lo sguardo. –Sono stato in questo posto da solo per… un po’.- la sua voce era come un filo di ragnatela che ondeggiava nel vento. –Poi sei arrivato tu. E ora scopriamo di altre persone. Non voglio più essere da solo.- Nonostante fosse più alto di Federico, mentre parlava Danilo si era rannicchiato così tanto da doverlo guardare dal basso verso l’alto. –Lo so che vuoi trovare la tua amica- riprese, ormai sull’orlo di scoppiare in lacrime –ma… non sei… non sei l’unico a… voler trovare… qualcuno.- singhiozzò.
Federico ascoltava attentamente, in silenzio. Un’ipotesi iniziava a formarsi nel suo cervellino mononeuronale. –Hai perso qualcuno?- gli chiese, un po’ troppo più duramente di quanto avesse voluto. L’altro non rispose. Una lacrima gli zampillò da un occhio, creando un solco luccicante sulla sua guancia.
-Chi stai cercando?- domandò ancora Fede, più gentilmente.
Danilo alzò lo sguardo da terra e lo guardò negli occhi. Improvvisamente si accorse di star piangendo e si passò una mano sulla guancia. Con un colpo di spalla di liberò della presa dell’altro ragazzo e di nuovo si avviò verso l’uscita del bunker senza rispondere. Il castano, stranamente, lo lasciò senza insistere. Per lo meno ora aveva un indizio in più sul passato del suo nuovo compagno di avventure: come lui aveva perso qualcuno e dopo chissà quanto tempo di solitudine, paura e disperazione, aveva di nuovo una piccola scintilla di speranza nel poterlo (o poterla) ritrovare. Inoltre, era terribilmente difficile cercare di estorcergli qualcosa se decideva di non voler parlare, perciò il modo migliore di indagare sarebbe stato quello di fare finta di niente e solo ogni tanto fare qualche domandina al momento giusto.
Federico raggiunse Danilo all’ingresso del bunker, e lo trovò mentre armeggiava con le chiusure di uno zaino da trekking grigio e viola nuovo di zecca, stracolmo di roba. Di fianco ad esso, uno zaino simile ma dalle sfumature verdastre sembrava attenderlo.
-E quelli?- fece Fede, accennando agli zaini.
-Li ho trovati prima, mentre tu eri già più avanti. Li ho riempiti con cibo in scatola, alcuni vestiti puliti e acqua. Oh, spero ti piacciano le acciughe.-
Federico detestava le acciughe. –Ehm... certo.- rispose, anche se non molto convinto.
-Ho trovato anche delle barrette energetiche e un po’ di cioccolata. Tieni.-
Federico afferrò al volo una pezzo di cioccolato che l’altro gli aveva appena lanciato. –Ehi, grazie- disse, addentandolo e gustandosi il dolce sapore.
-Figurati.- Danilo si mise sulle spalle lo zaino e l’amico lo imitò. –Adesso,- incominciò –sei pronto ad uscire? Probabilmente non saremo più tra la neve, quindi dobbiamo aspettarci di tutto. Dimmi tu quando.- e tirò giù dal soffitto una scaletta pieghevole che portava fino alla botola.
Federico gli lanciò uno sguardo spavaldo e con un saltello si inerpicò su per la scala e con molta fatica, aprì la botola. Subito una piacevole brezza gli scompigliò i capelli e una luce aranciata gli riempì gli occhi, costringendolo a socchiuderli. Come mise le mani sul terreno per tirarsi su, si accorse di stare toccando qualcosa di molle e bagnato. Sbatté più volte le palpebre e osservò la magnifica spiaggia in cui erano sbucati. Un’onda gli sfiorò le dita, ricordandogli cosa stava facendo. Dopo che fu uscito completamente, si volto verso il bunker, dando una mano a Danilo per salire.
-Spero che tu non abbia anche paura del mare- scherzò.
Il biondo si guardò intorno, meravigliato.
Il sole stava lentamente tramontando al di là del mare, colorando il cielo e l’acqua di mille sfumature sgargianti. Le narici dei ragazzi erano piene dell’odore di sale e di sole e i loro occhi erano abbagliati da quel magnifico spettacolo.
-È bellissimo- mormorò Danilo.
-Spero solo che non spunti un mostro orribile assetato di sangue a rovinare tutto.- commentò sarcastico Federico.
 

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