L'elefante e la farfalla

di _Shadow_96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le sorelle sanno come farti impazzire ***
Capitolo 2: *** Vorrei ***
Capitolo 3: *** Qualcosa di positivo ***
Capitolo 4: *** Ottimo lavoro ***
Capitolo 5: *** Di accenti spagnoli, prese di coraggio e mancati lieto fine. ***
Capitolo 6: *** Quando il destino ci mette lo zampino ***
Capitolo 7: *** Per ogni desiderio ci si deve porre questa domanda... ***
Capitolo 8: *** Come se non mi avessero mai visto ridere di gusto. ***



Capitolo 1
*** Le sorelle sanno come farti impazzire ***


Salve *coff coff*

Non sono una grande scrittrice, purtroppo per me e per voi, ma avevo una gran voglia di scrivere qualcosa sui Malec (sono in astinenza e novembre 2017 è veramente assurdamente lontano). Ora che l’università mi ha lasciato un po’ di tempo libero ho pensato: perché no? Perciò eccomi qui. Come ho detto non sono molto brava e sicuramente ci saranno degli errori nel testo motivo per cui mi farebbe molto piacere ricevere qualche commento che mi aiuti a crescere e migliorare. Ci sono molte bellissime storie su questo sito in tutte le sezioni e mi sento veramente piccola piccola rispetto a queste però farò del mio meglio per scrivere qualcosa di quantomeno sensato.
Potrebbero esserci delle somiglianze con altre storie ma è assolutamente involontario: è la mia fantasia che si fonde con l’esperienza di ciò che ho letto fino ad ora. Se qualcuno dovesse risentirsi per qualcosa vi prego di farmelo sapere.
La smetto di tediarvi e vi lascio al capitolo che è introduttivo e se dovesse piacervi mi impegnerò per scrivere e aggiornare il prima possibile.
Un bacio grande a chiunque spenderà un po’ di tempo per me :) e grazie!

L’elefante e la farfalla

Capitolo 1: Le sorelle sanno come farti impazzire

Sono in ritardo. Sono in ritardo. Sono. In. Ritardo.

Mi vedete? Ma come no? Sono quel ragazzo che corre come un ossesso per raggiungere la fermata dell’autobus. Sono quello con lo zaino in spalla, il viso in fiamme e il cuore che ha deciso di andarsi a mettere da qualche parte su nella testa perché è lì che lo sento pulsare.
Lo sapevo che non avrei dovuto passare tutta la notte sui libri e che tre ore di sonno non mi sarebbero bastate eppure, come al solito, l’ansia di non aver preparato tutto al meglio mi ha portato a ripetere lo stesso errore. Dicono che errare è umano ma perseverare nell’errore è diabolico e con il senno di poi non posso che essere d’accordo. Sento i muscoli bruciare ma ci sono abituato e continuo a correre, nonostante la fatica, non solo perché devo ma anche perché in questo provo una immensa sensazione di libertà. Corro così velocemente che quasi volo ma se non fosse per l’allenamento continuo a cui mi sottopongo in vista delle prove per l’esercito adesso sarei già collassato sul marciapiede. Rallento solo quando riesco a scorgere la fermata e voltandomi indietro mi accorgo che dell’autobus non c’è ancora l’ombra e che quindi, anche per questa volta, ho scampato il pericolo di un ritardo. Non potrei sopportare una delle ramanzine che mia madre rifila sempre a mia sorella che, al contrario di me, pur di essere perfettamente truccata e vestita arriva sempre in ritardo. Non è un caso, infatti, se mentre io mi scapicollavo per raggiungere la fermata lei era ancora indifferentemente seduta al tavolo a fare colazione. Quando l’autobus arriva salgo a testa bassa e occupo il primo sedile libero che trovo appoggiando il viso bollente al finestrino. Mi ostino a tenere gli occhi chiusi per non osservare nel vetro il disastro della mia faccia rosso pomodoro e dei mie capelli- che hanno sicuramente visto tempi migliori- sparati in ogni direzione. Non mi piace osservare il mio riflesso allo specchio se non per lo stretto necessario e non dedico troppo tempo nella scelta del vestiario o nell’acconciare i capelli come molti miei coetanei: con me altro che restyling…ci vorrebbe un miracolo. Vorrei tanto essere come mia sorella Isabelle che- si lo so sono di parte- è veramente uno spettacolo della natura. È femminile come poche, sinuosa, seducente e ammaliante come una sirena. Ha capelli neri e folti come i miei ma lunghi e sempre perfettamente acconciati, morbidi e luminosi anche quando li ricopre di lacca; occhi neri come pozzi di petrolio che se solo hai la (s)fortuna di incrociarli sei finito; delle labbra e un fisico perfetto modellato da anni di danza prima e da ore e ore di palestra poi senza la morbosa volontà di aderire a uno stereotipo ma solo per rispettare il proprio corpo e trattarlo al meglio. Per avere la sua attenzione anche solo per qualche secondo molti sarebbero disposti a dannarsi l’anima. Quello che nessuna sa, ma che io ho la fortuna di vivere ogni giorno, è che oltre allo splendido ed etereo aspetto esteriore mia sorella ha un cuore enorme: è un angelo guerriero sempre pronto a difendere e a sacrificare tutto per le persone che più ama- e io ho la fortuna di essere il primo della lista.
La mia dolce sorellina sa, però, come farmi uscire dai gangheri quando mi costringe a delle serate in discoteca con lei e il nostro miglior amico Jace oppure quando cerca di cambiare ciò che sono a partire dall’abbigliamento. È una cosa che non sopporto anche se, con il senno di poi, mi rendo conto che migliorare un po’ il mio aspetto esteriore non sminuirebbe la mia convinzione che ciò che conta è ciò che si porta nel cuore. E Isabelle ne è l’esempio più lampante. Da qualche tempo a questa parte qualcosa in lei è cambiato. Ha iniziato a diventare cinica e a fare letteralmente strage di cuori passando da un ragazzo all’altro con la stessa frequenza con cui cambia il colore allo smalto che porta sulle unghie: minimo ogni due giorni. Chiuso in me stesso, incapace di accettare alcune parti di me di cui non vado esattamente fiero, non ho individuato questo suo cambiamento se non quando si è manifestato al suo massimo. Ho scelto di non pressarla perché so quanto sia odioso quando si porta dentro qualcosa di cui non si può o non si vuole parlare e gli altri insistono per cavarcela fuori. Isabelle ha sempre rispettato i miei tempi e io rispetterò i suoi perché so che lei sa di poter contare su di me come confidente e come complice in tutto, come io posso contare su di lei. Tranne che sulla puntualità, ovvio.

Arrivo a scuola giusto in tempo per il suono della campanelle così mi affretto a recuperare i libri dall’armadietto e raggiungere la mia classe. Il banco al mio fianco è vuoto ma non è una novità perché presto sarà occupato da una delle persone più importanti della mia vita: il mio migliore amico. Il professore si è appena seduto alla cattedra quando la testa bionda di Jace fa capolino dalla porta.

“Quale scusa inventerete per il vostro ritardo signor Wayland?” lo apostrofa il prof mentre lui, senza alcuna fretta nonostante tutto, si accomoda al proprio banco.

“Non ho bisogno di scuse. È che sono così favoloso che persino il letto ha difficoltà a lasciarmi andare al mattino” commenta il mio migliore amico mentre si sfila la giacca con una serie di sospiri e risatine che fanno da sottofondo. D’altra parte a me viene solo voglia di nascondere la faccia sottoterra quando se ne esce con affermazioni di questo tipo.

“Non capisco perché si comporti in questo modo, signor Wayland, quando ha un esempio di disciplina, etica ed educazione come il signor Lightwood come amico e vicino di banco” Jace prova a ribattere con una delle sue risposte più sagaci e pungenti ma il professore lo interrompe sollevando una mano “Silenzio! Non lascerò che lei rubi altro prezioso tempo alla mia lezione. Andate tutti a pagina 237, oggi spiegheremo il ciclo di Krebs fase per fase”

Apro il libro alla pagina indicata dal professore e sistemo evidenziatori, matita, penna e tutto ciò che mi occorre per prendere appunti. Non capisco come facciano alcuni ragazzi- leggi Jace- a non prestare la minima attenzione in classe per smanettare al cellulare quando, invece, ascoltando in classe e organizzando per bene le informazioni si ha già metà del lavoro svolto e di conseguenza più tempo libero e migliori risultati.
Anche adesso, ad esempio, mentre io sono impegnato a segnare fase per fase le reazioni chimiche che il professor Pitt sta spiegando Jace al mio fianco è tutto preso dal cellulare: dalla velocità con cui muove le dita sullo schermo penso stia avendo una conversazione con la fiamma del momento. Questo pensiero mi fa contorcere lo stomaco e il vuoto che sento al centro del petto è qualcosa di reale e tremendamente doloroso che non mi posso permettere.


 

Mia sorella si siede al tavolo con me e Jace, sul suo vassoio un insalata con pollo e uno yogurt light oltre a una bottiglietta d’acqua. La osservo scettico e con un po’ di senso di colpa mentre addento il mio panino ripieno di grassi saturi e sale. Non ritengo di avere un grande fisico ma non sono grasso e tutto grazie all’allenamento a cui mi sottopongo giornalmente perché, senza, penso proprio che finirei per rotolare al posto di camminare.

“Ragazzi non ho idea di come farò a sopportare quella papera della Robinson oggi pomeriggio. Ho già il cervello in fiamme!”

“Isabelle abbassa la voce!” l’ammonisco e i suoi occhi si alzano al cielo come accade ogni volta in cui la richiamo per qualcosa. Non ribatte nulla e sposta lo sguardo su Jace che mentre mangia è completamente assorbito dal suo cellulare.

“Ha qualcosa che non va?” mi domanda scostandosi i lunghi capelli neri dagli occhi osservando il nostro miglior amico che ci ignora completamente “Ehilà! Terra chiama Jace?”

“Ah, ciao Izzy! Da quando sei qui?” le domanda riponendo per la prima volta da quando è entrato in classe il cellulare in tasca. Mi accorgo del momento in cui si rende conto di essersi completamente estraniato quando osserva i piatti vuoti sul nostro vassoio inarcando un sopracciglio “Oh” commenta e questa volta gli occhi che si alzano al cielo sono i miei.

“Spero che non fossi preso a rimirare i tuoi selfie e ti perdono solo se mi dici chi è che ha catalizzato la tua attenzione fino a dimenticarti dei tuoi amici” lo apostrofa lei sorridendo maliziosa. Mia sorella è una gran pettegola e le piace soprattutto impicciarsi degli affari miei e di Jace- non che nella mia vita accada mai qualcosa di significativo.

“D’accordo Izzy! Ho conosciuto una tipa” borbotta mentre si tuffa sulla torta al cioccolato che avevo ardentemente sperato mi cedesse. Sono goloso, che ci posso fare?

“Uuh deve essere una cosa seria se sei così coinvolto. Durerà più di due giorni questa volta? Ti stai già rammollendo fratellone?” Jace non è veramente nostro fratello ma per noi è come se lo fosse. Quando aveva cinque anni, alla morte del padre che lo aveva cresciuto da solo essendo la madre morta durante il parto, Jace si era trasferito nella casa a fianco alla nostra per andare a vivere con la nonna Imogen. Ricordo come se fosse ieri il giorno in cui nostra madre, Maryse, andò a bussare alla porta della nostra vicina: mia sorella di 4 anni tra le braccia mentre io arrancavo dietro di lei reggendo un vassoio carico di biscotti fatti in casa il cui profumo mi solleticava le narici e che desideravo mangiare fin da quando l’avevo vista preparare gli ingredienti.  Quando la porta si era aperta Imogen, una donna che ancora oggi mi inquieta per l’aura di forza e la risolutezza che emana, mi aveva tolto il vassoio dalle mani e ci aveva fatti accomodare in casa chiamando a voce alta Jace che era in salotto infagottato nel divano. Quando i miei occhi incontrarono l’oro dei suoi scattò qualcosa: era come se lo avessi riconosciuto. Ancora oggi, quando ci basta guardarci per comunicare i nostri pensieri, ho l’impressione che le nostre anime fossero destinate a incontrarsi forse per una forza ancestrale, un patto stipulato in una vita precedente. I sentimenti che provo quando sono con lui mi hanno sempre spaventato ma non ho mai capito il perché fino a quando non sono diventato adolescente e gli ormoni hanno iniziato a fare il loro lavoro risvegliando parti di me che non pensavo esistessero. Nessuno sa di questo, nemmeno Izzy. E mai nessuno lo saprà.

“Non so. Per ora mi intriga proprio tanto. È una rossa anzi più una carota, mi mancava una rossa” ridacchia ma la dolcezza che gli sento nella voce mi spezza il cuore “Poi è un tale tappo e se vicino a me scompare non oso immaginare come sareste bizzarri vicini, Alec: un metro e novanta contro un metro e una mentina. Il fatto è che mi ha rifiutato. Ma vi rendete conto? Come si fa a rifiutare questo splendore?” borbotta lisciandosi la camicia per evidenziare i muscoli al di sotto. Giuro, vorrei avere la forza per distogliere lo sguardo. Isabelle ride osservandolo mentre si pavoneggia: lei fortunatamente è immune al suo fascino.

“Povero piccolo” lo sbeffeggia “Quanto male sta il tuo ego in questo momento?”

“Nulla può scalfire il mio ego. La conquisterò, statene certi. Infatti stasera si esce bellezza. C’è una festa a cui è stata invitata di un tizio che dicono sia un mago in queste cose. Un certo Magnus...”

“Bane?! Sei invitato a una festa di Magnus Bane?” esclama Izzy spalancando gli occhi neri “Sono stata a una sua festa una volta a cui era stato invitato Meliorn. Le voci sono più che fondate!”

“Ah boh, non lo avevo mai sentito nominare ed è strano. Comunque è ovvio che verrete con me. Tutti e due!” sottolinea guardandomi dritto negli occhi. Se già a prescindere odio le feste, la musica, l’alcool e il casino immaginate quanto mi faccia piacere sapendo che ci sarà la nuova fiamma di Jace e dovrò passare la serata inchiodato sul divano o in un angolo a commiserarmi.

“No grazie” borbotto recuperando la cartella per tornare in classe essendo suonata la campanella già da qualche minuto.

“E invece verrai!” mi blocca Izzy afferrando la manica della mia giacca “è ora che smetti di sopravvivere e incominci a vivere fratellone. Prometto, che se dovessi sentirti troppo a disagio tornerò a casa con te e poi…non puoi lasciarmi sola con Jace a reggere il moccolo!” Oh no, lo sguardo da Bambi no!

“E va bene!” sospiro affranto mentre il viso di lei si illumina.

“Perfetto! Ci vediamo all’uscita per una intensa seduta di shopping. Per un party di Magnus Bane ci vuole un abbigliamento corretto e tu, fratellone, non hai il minimo gusto nel vestire. Ciao ciao!” mi stampa un bacio sulla guancia e scappa via prima che possa anche solo ribattere alla sua affermazione che, per altro, so quanto sia fondata.  Jace ridacchia sentendo il profondo sospiro affranto che rilascio mentre la guardo andare via ondeggiando sui tacchi alti. Le sorelle sanno come farti impazzire.

 

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Capitolo 2
*** Vorrei ***


Buonasera! Qualcuno è sveglio in attesa dell’inizio delle olimpiadi? Io lo sono ma non per questo motivo. Scusate se aggiorno a quest’ora tarda ma tornata a casa da tirocinio ho fatto da babysitter a mia nipote e solo ora ho avuto la possibilità di mettermi al pc. Pur avendo riletto il capitolo la stanchezza non mi ha permesso di essere lucida e correggere gli errori per cui vi prego di perdonarmi domani a mente lucida correggerò gli strafalcioni e le virgole! Altro capitolo introduttivo comunque ma Magnus arriverà presto. Sono un po’ in paranoia perché non voglio deludere tutti voi che mi avete dato fiducia e mi farebbe davvero tanto bene sapere cosa ne pensate. Se non mi dite dove sbaglio non so su cosa lavorare o cosa migliorare.
Sono già felicissima per le 4 recensioni per cui ringrazio ancora una volta LaVampy, Mrs_Cobain951 , miky9160 e shamarr79 (di cui, se non lo avete ancora fatto, vi consiglio di leggere “L’anello che non tiene”) e ringrazio anche chi ha inserito la storia tra le seguite. Vi lascio al capitolo! Grazie a tutti :) a presto!

L'elefante e la farfalla
CAPITOLO 2: Vorrei

La giornata di shopping con Izzy è stata proprio come mi aspettavo: massacrante. Mi ha trascinato in giro per negozi piazzandomi sul divanetto davanti al camerino per commentare ogni abito che ha provato. Inutile dire che, con un corpo e un viso come i suoi, tutto ciò che indossa la fa sembrare pronta per una sfilata e io, sperando di chiudere quella faccenda il prima possibile, le ho detto esattamente questo.

“Alec dai!  Sii serio. Ho bisogno di essere favolosa, di qualcosa che lasci tutti a bocca aperta” ha sbottato rinchiudendosi nel camerino e quando ne è uscita aveva i jeans e il maglioncino che aveva indossato al mattino. Il tour de force era appena iniziato e quando finalmente ha trovato il vestito perfetto- un abito molto femminile tutto in pizzo bianco con una sottoveste color carne che la faceva sembrare nuda e che era così aderente da evidenziare il fisico a clessidra-i miei piedi stavano già implorando pietà.  Quello era l’unico che non avevo approvato e, dopo averlo comprato, ridacchiando mi ha detto che proprio per questo motivo l’aveva scelto. Col senno di poi sarebbe stato meglio se avesse perso più tempo a cercare l’abito per lei perché, subito dopo averlo trovato, ha focalizzato tutta la sua attenzione su di me. Mi ha spedito in camerino con le braccia cariche di camicie, jeans e magliette e ha iniziato ad elencare gli abbinamenti a cui aveva pensato.

“Izzy ma come diavolo fai a ricordare ogni singola camicetta delle centinaia che mi hai passato?  Se ti applicassi così anche a scuola saresti la prima della classe” le ho detto realmente sorpreso mentre indossavo l’ennesimo outfit che sicuramente non avrei scelto. Borchie e pelle. Ma stiamo scherzando? Non può pensare che mi stia bene una cosa del genere.

“Non è un voto che dice chi sei” ha borbottato lei col naso infilato tra le grucce e mi è sembrata proprio un cagnolino alla ricerca di un tartufo. Non che non ottenga buoni voti ma proprio perché conosco le sue potenzialità so che potrebbe fare molto di più. È mio compito da fratello maggiore spingerla a desiderare sempre il massimo e non solo quando sta decidendo come vestire il suo bambolotto in carne ed ossa. 
Ho raggiunto i massimi livelli di imbarazzo quando ha chiamato la commessa, una ragazza minuta e carina, una delle poche che mi è piaciuta perché non ci ha assalito come un pittbull, per avere un commento esterno. Sentivo di essere diventato più rosso della camicia che stavo indossando mentre gli occhi di quelle due mi scorrevano addosso e Izzy blaterava di cinture e gilet e mi trattava come un cane ammaestrato: “girati”, “mettiti di profilo”, “su quelle spalle”. Quando la mia pazienza era ormai giunta al limite finalmente i suoi occhi si sono illuminati e mi ha regalato un bel pollice in su. La scelta finale è ricaduta su una camicia azzurro chiaro che, devo ammetterlo, mi sta proprio a pennello, un paio di jeans neri e aderenti ma non in modo imbarazzante con qualche strappo sul davanti e una giacca, anch’essa nera, elegante ma casual. Mi ha consigliato, poi, di indossare gli stivali e la cintura che mi aveva regalato qualche anno prima e che, ovviamente, non avevo mai indossato.

“Stasera farai una strage, fratellone” ha commentato alla fine abbracciandomi forte e nonostante la stanchezza ero felice di aver passato del tempo con lei.


Perciò eccomi qui, dopo essermi fatto una doccia calda che mi ha sinceramente rigenerato, seduto sul divano con le buste dei miei acquisti al fianco. Non ho la minima voglia di vestirmi e di uscire dalla mia camera. Qui, tra queste pareti, sono al sicuro. Non devo controllare ogni pensiero, azione o emozione. Posso semplicemente essere me stesso. Non sono agorafobico o misantropo ma per me ogni volta che sono tra la gente è una battaglia con me stesso. Una battaglia per evitare che questi miei occhi così trasparenti rivelino quello che realmente ho nel mio cuore, quello che realmente desidero e bramo, quello che potrebbe rendermi felice ma che non potrò mai avere. Perché ho un segreto che nessuno capirebbe, di cui mi vergogno.  Ciò ha innescato in me un meccanismo di compenso: un desiderio folle di non deludere le aspettative, di essere all’altezza, di rendere felici e orgogliosi gli altri anche quando ciò fa del male a me. Perché non mi accetto. Perché vorrei tanto diventare piccolo quanto un granello di sabbia e lasciarmi trasportare dal vento o dal mare e occupare poco spazio, essere silenzioso, non dare fastidio con la mia presenza che è ingombrante persino per me stesso. Perché c’è qualcosa di sbagliato in me a cui non posso dare un nome altrimenti diventerebbe reale e non ho il coraggio e la forza per affrontarlo. Provo a minimizzare i danni collaterali della mia esistenza e questo, lo giuro, mi prosciuga. Non posso parlarne con nessuno, però, perché è un peso che devo sopportare solo io: mio è il peccato e mia la condanna. Faccio uno sforzo enorme per trattenere le lacrime e inizio a tirare fuori i vestiti dalla borsa e sistemarli sul letto. Quando tiro fuori la camicia un bigliettino cade e atterra sotto il mio letto. Convinto sia lo scontrino mi piego per raccoglierlo e gettarlo nel cestino. Il foglietto che raccolgo, invece, è un piccolo quadratino rosa con un numero di telefono e una frase “Questo è il mio numero, sono Lydia. Chiamami”. Cerco di fare mente locale e mi ricordo che Lydia è la commessa bionda che Izzy ha obbligato ad assistere alla mia ridicola “sfilata”. Sono consapevole che dovrei essere lusingato da tutto ciò visto che Lydia è veramente una bella ragazza, invece, guardando il bigliettino, tutto ciò che sento è l’ansia che inizia a stringermi il petto mentre un prurito si espande dalle mani alle braccia. L’aria nella stanza inizia a sembrarmi sempre di meno e mi irrigidisco perché so che non è normale provare un tale disinteresse e perché riconoscere il motivo di questo vorrebbe dire riconoscere qualcosa che da tempo so ma che rifiuto.

“Alec sbrigati!” mi richiama mia sorella dal corridoio e questo mi aiuta ad uscire dal mio stato di panico e d’ansia. Mi concentro per controllare il mio corpo e le mie reazioni e finalmente mi calmo. Per qualche strano motivo, però, anziché gettare il bigliettino lo ripongo all’interno dell’ultimo cassetto della scrivania e ritorno verso il letto per vestirmi. Con i nervi a pezzi ci vorrà tutta la mia forza di volontà per resistere a questa serata. Quando raggiungo l’ingresso Izzy è già lì ed è veramente bellissima: ha indossato l’abito e vi ha abbinato un paio di stivali al ginocchio con un tacco che, solo a guardarlo, mi provoca le vertigini. I capelli sono raccolti in uno chignon ma ha dei riccioli liberi che le incorniciano il viso rendendola sexy e allo stesso tempo elegante e sofisticata. Il trucco è il punto forte: gli occhi messi in evidenza da una linea perfetta, le ciglia lunghissime e un rossetto rosso fuoco. È bellissima e vorrei che non lo fosse perché passerò tutta la serata ad incenerire con lo sguardo chiunque le si avvicini. “Cavolo, ho fatto proprio un bel lavoro con te!” commenta squadrandomi da testa a piedi e non sarà sorpresa quando alzo gli occhi al cielo ed esco senza nemmeno aspettarla. Fuori c’è Jace che ci aspetta appoggiato all’auto e quando lo vedo rischio di inciampare e ruzzolare sul vialetto. Vorrei non avere questi pensieri ma non riesco a controllare me stesso dal lasciar scorrere lo sguardo su di lui, sulla camicia bianca slacciata sul petto per evidenziare i muscoli, sui jeans che nonostante la cintura pendono sui fianchi e su quei capelli biondi che, persino alla semplice illuminazione dei lampioni, lo fanno sembrare un angelo. Vorrei non avere questi pensieri; l’ho già detto?

“Wow Izzy! L’hai conciato proprio per bene, non sembra neanche lui!” ridacchia Jace mentre col braccio mi circonda il collo e io, per restare in tema di vorrei, vorrei riuscire a non tremare quando il suo profumo mi solletica le narici.

“Lo so, lo so. Devo dire che così fa la sua figura il mio fratellino. In fondo, abbiamo lo stesso DNA quindi basta saper valorizzare i suoi punti di forza ed il gioco è fatto. Copilota!” urla improvvisamente aprendo la portiera del passeggero davanti e io e Jace ridacchiamo ricordando alcuni momenti passati insieme risvegliati da quell’unica parola “copilota”.


Durante il tragitto verso il locale in cui si terrà la festa, il Pandemonium- solo il nome mi fa rabbrividire- in compagnia di Jace e Isabelle quasi dimentico il motivo per cui provo tutta quest’ansia e preoccupazione per il destino di questa serata. Tutto ritorna come un pugno dritto allo stomaco quando Jace accosta di fronte a un palazzo annunciando che quella è la casa della sua nuova fiamma. La casa di Clary, così si chiama, come la maggior parte delle abitazioni di Park Slope, un tempo era stata la residenza di una famiglia ricca ma ora c’erano due citofoni segno che il palazzo era stato diviso in due abitazioni di cui quella al piano superiore apparteneva alla famiglia Morgenstern. Mentre sono impegnato ad osservare il lucernario e la facciata del palazzo, la porta si apre e sbucano due ragazzi: lei minuta, con poche forme- mi domando come mai una ragazza così abbia catalizzato l’attenzione di Jace- ma con un bel viso delicato spruzzato di efelidi e lunghi capelli di un rosso molto acceso; lui alto e dinoccolato con corti ricci castani e un paio di occhiali che ne nascondono per buona parte il viso. Volto lo sguardo su Jace e lo sorprendo a osservare la ragazza con un misto di dolcezza che sfuma in confusione quando vede il ragazzo che la accompagna.

“Ciao Jace” lo saluta lei sporgendosi per baciarlo sulla guancia e vorrei proprio cancellarle quel sorrisetto dalla faccia a suon di ceffoni “Lui è Simon, il mio migliore amico. Spero non sia un problema per te che ci sia anche lui visto che hai portato i tuoi amici” dice arricciando il naso e devo ammettere che, per quanto la trovi sciapa e odiosa, è carina. Anche se non abbastanza.

“No, no. Figurati” risponde Jace e io che lo conosco più di quanto conosco me stesso avverto la tensione del suo corpo e della sua voce. Izzy lo guarda stranito per poi spostare lo sguardo su di me e riconosco il momento in cui da quel mare di confusione nasce un luccichio di comprensione. Lo leggo nei suoi occhi e le mie budella si attorcigliano per il panico. Mi schiarisco la gola, quindi, cercando di cancellare dal mio viso qualsiasi espressione frutto dei sentimenti di rabbia, rancore e gelosia che mi stanno attraversando e salgo in macchina ringraziando il cielo che tra i due, al mio fianco, sia finito quel tizio…Samuel o come diamine si chiama. Tra i due è il male minore. O almeno spero. Così come spero che questa serata disastrosa finisca il prima possibile.

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Capitolo 3
*** Qualcosa di positivo ***


Buona domenica di ferragosto! Avrei dovuto aggiornare venerdì e mi scuso immensamente del ritardo! Mia nipote ha catalizzato la mia attenzione- e le mie forze- per due giorni e solo ora ho avuto un po’ di tempo per postare il capitolo. Tra poco dovrò riprendere i libri per l’esame di tirocinio, il più complesso, e non mi sarà possibile aggiornare ogni settimana per cui chiedo immensamente perdono anche per questo. Grazie a LaVampy, miky9160 e Mrs_Cobain951 e shamarr79 per il loro sostegno e a chi ha messo la storia tra le seguite. Ho molti dubbi e sono molto insicura per cui ho bisogno di ricevere le vostre opinioni altrimenti mi lascio prendere dallo sconforto! Vi lascio al capitolo e spero non ci siano grossi strafalcioni! Un abbraccio!  

L'elefante e la farfalla

Capitolo 3: Qualcosa di positivo

Arriviamo al locale e la fila che c’è all’ingresso è qualcosa di assurdo. Ben tre code di persone, di cui il buio nasconde il viso, aspettano impazienti mentre altrettanti bodyguard controllano quelli con e senza invito. Se già prima mi sentivo a disagio per gli abiti che indosso-essendo io un tipo da felpe e jeans sformati-osservando la folla di persone che ci precede mi rendo ancora di più conto che quello non è un posto per me. Il buio cela i volti ma la luce dell’insegna al neon lampeggiante invia fasci luminosi che evidenziano capelli delle più svariate colorazioni, dal verde al fucsia acceso, e corpi avvolti in un mare di pelle nera e borchie. Mi accorgo che tra me e il tizio che ho scoperto chiamarsi Simon c’è molta affinità da questo punto di vista: con la sua camicia a quadri su una maglietta grigia di Star Wars, gli occhiali e la faccia da bravo ragazzo della porta accanto direi che quasi spicca più del sottoscritto. Tipi come lui, come me, sono più bravi a fare da tappezzeria. Izzy al contrario di noi è euforica mentre impaziente continua a muoversi sul posto battendo i piedi al ritmo dei bassi che provengono dall’interno del locale. Osserva affascinata le persone che la circondano mordendosi le labbra per l’eccitazione e l’aspettativa. Lei non è per nulla fuori luogo: bella com’è attira l’attenzione senza il bisogno di conciarsi in maniera così appariscente come la gente che ci circonda.

“Come on, big bro! È un party! Divertiti e rilassati. Per una volta fregatene di Jace, ormai dovrebbe saper badare a se stesso” mi bisbiglia all’orecchio nell’ultimo secondo utile affinché si possa parlare senza doversi sbraitare addosso. Il buttafuori, preso l’invito di Clary, infatti, ci lascia entrare in quello che per me è l’inferno in terra. L’ambiente buio è illuminato dalle luci stroboscopiche e da colonne di luci al neon sparse qua e là che rischiarano la sala donandole sfumature di blu e viola. Mistero ed eleganza. La musica, una canzone ritmata e sensuale, rimbomba dalle casse coprendo qualsiasi altro suono e la pista da ballo è affollatissima. Vedo con non poco imbarazzo che su cubi altissimi alcune ragazze e ragazzi, nudi se non per uno slip e il body painting nei punti strategici, si muovono in maniera seducente ammiccando a destra e a manca. Il tocco di classe, che mi lascia a bocca aperta per la meraviglia, non è in basso ma in alto. È il soffitto. È dipinto completamente di nero e spruzzato di glitter mentre centinaia di minuscoli faretti hanno la funzione, più che di fare luce, di replicare un cielo stellato. Deve essere costato un casino ma l’effetto è pazzesco e mi ricorda il planetario che vidi qualche anno fa in una gita organizzata dalla mia scuola a un museo scientifico. Sono così affascinato che vorrei le persone sparissero per sdraiarmi sul pavimento e osservare quella riproduzione, per scoprire quanto della realtà ci sia nella rappresentazione. Le persone però non spariscono, anzi, mentre io sono perso nella contemplazione della sala decine di corpi mi urtano e altrettante mani mi sfiorano. Ciò che più odio delle discoteche è la violazione del mio spazio personale, infatti, sento già l’irritazione salire. Questa non può che aumentare quando in quel mare di braccia, pelle e capelli multicolore i miei occhi cadono su Jace avvinghiato a quella Clary che ballano o forse dovrei dire che si strusciano l’uno addosso all’altro. Odio le mani di lei che, a differenza delle mie, possono scorrere libere nei capelli di lui, scostandoglieli quando, mentre oscilla ballando, questi cadono a ricoprire quegli occhi di un colore così particolare da sembrare oro fuso. Odio che lei abbia la libertà di stringersi a quel corpo, di sentirselo addosso e che le mani di lui siano su quei fianchi stretti, tra i capelli di lei che stringe tra le dita. Odio che le loro bocche siano così vicine che quasi respirano la stessa aria. Non mi accorgo di essere in uno stato di shock fino a quando Izzy non mi scuote afferrandomi il braccio e la comprensione che leggo nei suoi occhi è solo l’ennesimo insulto al mio cuore già a pezzi. Per fortuna non dice nulla e mi trascina al bancone in fondo alla sala, dalla parte opposta rispetto a quei due. Anche questa zona del locale è stupefacente: il bancone è in un marmo nero talmente lucido che rimanda il mio riflesso e osservando all’interno della placca in vetro che lo ricopre mi accorgo che anche questo è spruzzato di glitter. Otto ragazzi si occupano del servizio e strabuzzo gli occhi quando mi rendo conto di quanto truccati siano i loro occhi e della divisa che indossano e che lascia veramente poco dubbio sul perché siano stati assunti. Izzy ordina qualche cocktail di cui non so assolutamente il nome poi mi trascina su un divanetto bianco addossato alla parete sul quale è seduto Simon palesemente sollevato di vederci o forse solo di vedere Izzy. Non mi piace per nulla il modo in cui i suoi occhietti lascivi si posano sulle gambe di mia sorella.
Arrabbiato con me stesso, con Jace e con quella rossa sbucata da chissà dove, inizio ad accettare ogni drink che mia sorella mi passa e li butto giù con poco interesse per il sapore. Dopo i primi tre sento già la testa più leggera e parte dei brutti pensieri che ho avuto fino a quel momento scompaiono così come la giacca che indosso. Sono certo di avere i capelli un disastro per tutte le volte in cui ci ho passato le mani e che il mio viso è così caldo che potrei friggerci il bacon. Questa cosa mi fa ridacchiare.

“Ehm, Izzy penso sia meglio che tuo fratello non beva più” le suggerisce Samuel, Sheldon…ah già Simon! Ma mia sorella mi passa un altro bicchiere colmo di un bel liquido azzurro pastello e io, dopo aver fatto una linguaccia al ragazzo, butto giù anche questo. Che male potrà mai farmi? Sono così rilassato che mi sembra di essere una pozza di lava fluida e bollente che scivola, scivola.

“Oh mio Dio Alec stai bene?”

“Ma la lava ha le orecchie?” borbotto ridacchiando ma confuso. Perché mi sembra di sentire una voce?

“Cosa cavolo stai dicendo? Dai Simon aiutami a tirarlo su. Diamine fratellone ma quanto pesi?” Solo quando mi rimettono sul divano mi rendo conto che nel mio delirio sono caduto dal divanetto e sono finito a guardare il soffitto come tanto avevo desiderato. Questo mi dà quel minimo di lucidità per capire che se passerò solo un altro secondo qui finirò per scoppiare in lacrime. Tutte le mie emozioni sono amplificate e non ho il pieno controllo di me stesso e della situazione. Sono addirittura spaventato da me stesso, da ciò che potrei dire o fare. Che novità, eh? Trovo la forza di guardare mia sorella negli occhi e chiederle di tornare a casa con me permettendole di leggere cose che solitamente sono celate ma che l’alcool fa brillare come quei faretti sul soffitto. “Certo Alec, ora andiamo” Lei e Simon si dispongono al mio fianco pronti a sorreggermi nel caso dovessi perdere l’equilibrio durante il tragitto. Inutile dire che ora il mio stomaco inizia a farsi sentire e con orrore penso a quanto sia stato immaturo da parte mia accettare ogni cocktail che Izzy mi ha passato. Immaturo quanto il fatto che lei me li abbia passati ma, anche se tra me e lei c’è solo un anno di differenza, sono io il fratello maggiore e dovrei dare il giusto esempio. Evidentemente, sono un fallimento anche in questo. Spintonando la folla siamo quasi riusciti a raggiungere l’uscita quando scoppia il finimondo. Ci ritroviamo ad essere noi quelli spintonati mentre le persone si muovono sulla pista, tirandosi indietro e rivelando ciò che sta succedendo. Il vetro di un tavolino è in frantumi così come le decine di bicchierini caduti da un vassoio che il cameriere si sta affannando a raccogliere per evitare che qualcuno possa ferirsi. In un primo momento non riconosco i due impegnati nella rissa poi, strizzando gli occhi e cercando di far connettere le sinapsi residue, mi rendo conto che lì in mezzo c’è Jace che fa a botte con un ragazzo. Lo riconosco dai capelli biondi che sbucano al di sotto del braccio dell’altro che gli ha afferrato la nuca e lo sta spingendo giù. Clary è a qualche passo da loro e nonostante il braccio insanguinato stretto al petto cerca di frapporsi tra quei due per farli smettere. 
Non completamente lucido scambio uno sguardo con Izzy prima di lanciarmi in soccorso di Jace. Mi sorprende il dolore che avverto alle nocche quando si infrangono sulla mascella del tizio ma, ehi, io faccio a botte solo col sacco da box mica con le persone. Beh fino ad oggi. Il ragazzo per il dolore lascia andare Jace che ne approfitta per metterlo al tappeto tenendolo giù con un ginocchio piantato nella schiena.

“JACE! BASTA!” urlo e solo quando alzo lo sguardo mi accorgo che la voce che mi ha accompagnato è quella di Clary che cerca di allontanare Jace dal corpo dell’altro ragazzo.

“SMETTILA! CHE DIAMINE FAI?! LASCIALO!” continua lei e Jace finalmente la vede davvero. Riconosco l’istante in cui i suoi occhi, prima completamente offuscati dalla rabbia e dall’aggressività, tornano di quel loro color oro che spesso mi tormenta durante la veglia e durante il sonno. Jace si alza dal corpo del ragazzo che si mette seduto permettendomi di osservarlo: ha un viso spigoloso, duro, capelli d’argento, quasi bianchi, contrapposti a due occhi neri come abissi che stanno fissando Jace con odio. Il labbro è spaccato e un rivolo di sangue gli scivola giù per il mento ma quello che è messo peggio è lo zigomo che già inizia a colorarsi di viola. Osservandolo il senso di colpa mi assale perché so che è stato il mio pugno a ridurlo così. Mi vergogno di me stesso perché ho scelto la violenza quando avrei semplicemente potuto allontanarli l’uno dall’altro e pieno di senso di colpa, rosso in viso per l’alcool, l’adrenalina e l’imbarazzo mi inginocchio al fianco di Clary per dare un mano. Sento che il mio viso sta diventando ancora più rosso di quanto non fossi già e ringrazio il buio della sala che mi permette di nasconderlo mentre, sotto lo sguardo attento di quelle due perle d’onice, con due dita sollevo il viso del ragazzo per valutare la profondità del taglio sul labbro. Faccio un respiro profondo e mi dico che questo tremore alle mani è dovuto all’imbarazzo e al senso di colpa e non al fatto che sto sfiorando la pelle calda e liscia di un ragazzo e che la cosa mi sta piacendo e terrorizzando al tempo stesso. Tra le varie conoscenze che bisogna possedere per entrare nell’esercito ci sono anche quelle di primo soccorso che io conosco bene. Mio padre è un chirurgo e vuole fare di me il suo successore; crede che questa mia passione per l’esercito sia un hobby e che alla fine sceglierò di seguire il destino che lui sta tracciando per me. Quello che non sa è che entrare nell’esercito sarebbe per me il modo per scappare proprio da lui e da tutti i miei demoni. Constato, sollevato, che non ci vogliono dei punti e che il sangue ha già smesso di uscire dalla ferita così, quando lui si volta verso Clary e iniziano a urlarsi frasi a vicenda per sovrastare il rumore, io ritorno in piedi e mi volto verso Jace: il suo sguardo affranto è fisso sulla maglia chiazzata di sangue di lei. Jace è una testa di cazzo ma non è una cattiva persona e so che i sensi di colpa in questo momento lo stanno divorando. Simon e Izzy ci raggiungono: il primo si avvicina ai due occupando il posto dove ero inginocchiato io invece Izzy si avvicina a Jace e gli stringe un braccio cercando di calmarlo. E’ in questo momento che la sala si illumina a giorno e cala il silenzio, la musica ridotta a sottofondo. Lo sciame di persone disposte a semicerchio intorno a noi si apre al passaggio di due buttafuori della stazza di armadi e tutti vestiti di nero che camminano uno al fianco dell’altro con le braccia allargate. I due si fermano proprio davanti a Clary ancora inginocchiata al fianco del fratello che, ora che le luci accese non nascondo più nulla di quanto accaduto, tenta goffamente di rimettersi in piedi. Dalla tensione del suo corpo e da come stringe i denti capisco che è veramente furioso per aver fatto la figura del debole ed essere stato battuto. Sto guardando lui, il suo braccio avvolto intorno al busto e la schiena flessa in avanti per ridurre il dolore provocato dal respirare ed è per questo motivo che non mi accorgo di ciò che sta succedendo fino a quando una voce non rompe il silenzio. Una volta ho letto che si può morire di autocombustione: è questo che mi sta succedendo? Perché il calore che sento nel petto è troppo intenso per essere normale: fa male ma è un dolore piacevole. Sarebbe bello se nei libri di medicina spiegassero il motivo per cui il mio cuore perde un battito quando quella voce, seppur alterata dall’irritazione, arriva profonda e melodiosa alle mie orecchie. Sarebbe bello se qualcuno mi spiegasse cosa sta succedendo al mio viso e perché sento che sulle mie labbra si è stampato un sorriso ebete. Inizio a domandarmi se nei cocktail non abbiano versato anche qualche allucinogeno.  

“POSSO SAPERE CHI DIAVOLO OSA DISTURBARE ME, IL SOMMO SIGNORE DI BROOKLYN?!” queste le parole che pronuncia e sento Jace trattenere il fiato al mio fianco. Sono troppo instupidito dall’alcool e sconvolto per quanto sta succedendo ma, anche se non lo fossi stato, niente avrebbe potuto prepararmi a questo. È un qualcosa per cui non sarei mai stato pronto. Accadde, come una magia: qualcosa nel mio petto, un elastico teso fino al punto di rottura, cede e si rompe. Perché quando sposto lo sguardo e incrocio gli occhi del ragazzo che ha parlato so che è per questo momento che ho vissuto fino ad ora. E’ per lui se sono qui, in questa stanza e su questa terra. Ora. Perché ha bisogno di me quanto io ho bisogno di lui ed è una consapevolezza forte quanto la consapevolezza del mio esistere; un dato di fatto che può essere solo accettato senza essere compreso. È il mio perché. E’ la risposta giusta ad ogni domanda sbagliata.

So che ci sono delle regole su quanto puoi fissare una persona dritto negli occhi prima che ciò sia imbarazzante ma sia io che lui abbiamo violato questa regola già qualche secondo fa. E la cosa più assurda è che non me ne frega assolutamente nulla. La mia razionalità è andata a farsi un giro e tutto ciò che in questo momento mi interessa è cercare i segreti che quegli occhi meravigliosi nascondono. Mi sento stregato, ammaliato, completamente rapito e non trattengo in alcun modo le briglie sciolte della mia mente quando penso che potrei osservarli per sempre, quegli occhi, senza essere soddisfatto. Al contrario, vorrei poter essere più da vicino per scorgere ogni dettaglio, conoscere così bene ogni ombra o sfumatura da sapere come è guardare il mondo attraverso essi. Tutto ciò che vedo sono verde e oro che si fondono e brillano più di tutto ciò che di luminoso io abbia mai visto in vita mia e il nero di una pupilla sottile come quella di un gatto. L’eyeliner, l’ombretto scuro e la matita che normalmente troverei strani sul viso di un uomo non fanno altro se non sottolinearne il taglio felino e rendere il tutto magnetico. Gli occhi, però, non sono l’unica cosa di spettacolare e meraviglioso in quell’uomo e lo capisco quando i miei di occhi scivolano via dai suoi per posarsi su un paio di labbra sottili ma carnose rese ancora più invitanti dal lucidalabbra. Il desiderio di assaporarle e valutarne la consistenza è un qualcosa che mi scorre nelle vene in maniera dolorosamente nuova così come la scossa elettrica che parte dal centro del mio essere e si espande su tutta la mia epidermide facendola formicolare- e non è l’unica reazione che provoca. A questo pensiero sento il mio viso prendere letteralmente fuoco e mi odio per questo perché l’uomo non ha ancora distolto la sua attenzione da me. Il mio sguardo ruba dettagli della sua pelle di un color caramello e del suo fisico assolutamente perfetto fasciato in una camicia dal taglio orientale: alto più di me- e questo è raro essendo io un metro e novanta-slanciato, fine, non muscoloso ma tonico e solido. Se Jace sembra un angelo caduto quest’uomo è un demone oscuro e misterioso, tremendamente affascinante. Non riesco a capire perché la sua attenzione sia ancora su di me, che rispetto a lui sono insulso, né la scintilla che gli illumina lo sguardo mentre lo lascia scorrere sul mio corpo come io ho fatto con lui. È come se si stesse lentamente rendendo conto di qualcosa, di qualcosa di positivo.

E tu chi sei?” sussurra e se non gli stessi guardando le labbra in maniera ossessiva non me ne sarei nemmeno accorto. D’improvviso scuote la testa richiamando la mia attenzione su un altro dettaglio: i suoi capelli. Neri come quel soffitto che aveva rubato la mia attenzione appena un’ora prima e come quello ricoperti da glitter. Mi fa sentire molto strano il fatto che quest’uomo mi piaccia visto quanto fuori dagli schemi è la sua personalità- e io del seguire gli schemi ho fatto il mio imperativo categorico. “Allora? Qualcuno di voi mi dà una spiegazione per tutto questo casino?” domanda ancora guardandoci uno ad uno.

“Questo stronzo stava mettendo le mani addosso alla mia ragazza” sbotta il biondino passandosi una mano sul mento nel tentativo di rimuovere il sangue ormai secco.

Jace fulmina Clary e il ragazzo poi, dopo aver urlato un esasperato “FANCULO!”, attraversa a spintoni la folla e esce dal locale sbattendo con violenza la porta dietro di sé. Tutti sobbalziamo al rumore tranne l’uomo che a braccia conserte continua ad osservarci tutti con uno sguardo di sufficienza che conosco molto bene: è come mio padre guarda me ogni volta che porto a casa l’attestato di un corso superato che mi aiuterà a fare punteggio per il concorso. È lo sguardo di chi ti tratta come se non fossi mai abbastanza. Lo odio così tanto, quello sguardo, che vederlo sul volto di quell’uomo così affascinante fa rompere qualcosa dentro di me. Sono deluso.

“Oh no, ancora? Jonathan quante volte devo dirtelo che tra noi è finita?” il tono di Clary è esasperato mentre allontana le mani da lui e fa un passo indietro. Per fortuna Izzy ha la lucidità per fare la cosa giusta. Si accorda con il proprietario del Pandemonium, che scopro essere il Magnus di cui avevano parlato a pranzo mia sorella e Jace, lasciandogli i nostri numeri di cellulare per informarci su quanto avremmo dovuto sborsare per i danni arrecati al locale e pregandolo di non denunciarci. Quando Magnus si convince a lasciarci andare e va via scuotendo la testa, Simon ci dice che a Clary penserà lui e ci invita a seguire Jace. È qualcosa di molto più forte della mia volontà che mi spinge a cercare quel volto tra la folla, nonostante tutto, prima di voltarmi e lasciare il locale e l’unica persona al mondo che mi abbia fatto sentire vivo e nel posto giusto. 

 

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Capitolo 4
*** Ottimo lavoro ***


Buonasera!

Ringrazio tutti quelli che hanno inserito la storia nelle preferite, nelle ricordate e nelle seguite e miky9160 e Mrs_Cobain951 per la loro recensione. Vi sarei grata se qualcuno di voi mi facesse sapere cosa ne pensa della mia storia. Da sola non posso capire dove sbaglio e quindi non posso correggermi.  Vi lascio al capitolo (chiedo perdono per gli errori) e spero proprio di sentire qualche opinione su esso e sulla storia. Ci risentiamo venerdì (ma se mi farete contenta potrei anche aggiornare prima anche perchè questo è un capitolo un po' di passaggio) Un bacio!

L'elefante e la farfalla

Capitolo 4: Ottimo lavoro

Non vi racconto nemmeno quanto sia stato drammatico il risveglio il giorno successivo ma, quanto è vero che mi chiamo Alexander, non mi ubriacherò mai più. Al solo ripensarci mi viene il desiderio di un panno di un spugna con cui strigliarmi la lingua e di una doccia bollente per cancellare l’odore di vomito e alcool. È passata una settimana da quella sera ma il mio cervello paranoico e psicotico continua a farmi rivivere quelli che sono state le ore e i momenti più imbarazzanti della mia vita: mi sono ubriacato, ho dato un pugno ad un ragazzo e ho avuto un’epifania osservando una delle persone più belle che avessi mai visto.  Il fato, che già è stato abbastanza malevolo con me, mi ha sottoposto all’ennesima prova sbattendomi in faccia tutto ciò che ho sempre cercato di nascondere e questo mi fa sentire sconfitto, impotente e pieno di timore. Mi sento completamente smarrito ora che quel percorso che ho delineato per me stesso e che, con non poca fatica sto cercando di trasformare in realtà, è stato spazzato via come un castello di sabbia dopo un uragano. Provo a dare la colpa all’alcool ma negare a me stesso la verità è diventato più difficile dopo che quegli occhi e quelle labbra si sono infilati nei miei sogni più nascosti. Svegliarmi sudato nel cuore della notte e sull’orlo del piacere senza nemmeno essermi sfiorato è stato terrificante e allo stesso tempo emozionante. Mai, nemmeno quando a 13 anni il mio corpo ha iniziato a risvegliarsi grazie alla vista di Jace e del suo corpo che da acerbo iniziava a maturare e diventare più solido, ho provato una sensazione così totalizzante di stordimento e di fame. Mi sento affamato di emozioni, di quell’adrenalina che ha fatto scorrere più velocemente il sangue nelle mie vene e ha acceso tutti i miei sensi. Ed è assurdo che mi senta così visto che con Magnus non ci ho nemmeno parlato. Ho sempre pensato di essere migliore di così, di uno che si fa conquistare solo dall’aspetto fisico ma ho l’impressione che in lui ci sia molto più di quello che mostra. Nessuno ha mai occupato in maniera così prepotente i miei pensieri nemmeno Jace per cui, quando sono sincero con me stesso, ammetto di aver avuto una sorta di ossessione. Mi dico che è solo una fase e che passerà quando tutta questa storia dell’adolescenza sarà finita e io sarò lontano, in missione chissà dove. Proprio stamattina, infatti, ho deciso di prendere il coraggio a due mani e riportarmi in carreggiata e così ho compilato la richiesta di partecipazione al concorso nazionale per entrare nell’esercito. So bene che non sarà facile riuscire a superare tutte le prove senza alcuna raccomandazione. Se da una parte sono frustrato dall’atteggiamento di mio padre, che con le sue conoscenze potrebbe facilitarmi le cose, dall’altro non avere il suo appoggio sarà di fondamentale importanza per capire quanto valgo. Se riuscirò, infatti, sarà solo grazie al mio impegno, alle mie capacità e a quest’orgoglio che tante volte mi ha salvato permettendomi di conservare il rispetto di me stesso anche quando l’odio e la rabbia sembravano prendere il sopravvento su di me.
È una domenica oziosa, oggi. Le temperature hanno iniziato ad abbassarsi, con l’autunno che lascia il passo all’inverno, così mi sono preso un giorno di pausa dalla mia corsa quotidiana e sono rimasto a letto a poltrire desideroso di recuperare le numerose ore di sonno perse. Inutile dire che sono appena le 7 del mattino e i miei occhi sono già spalancati da un paio d’ore. Il senso del dovere mi invita a fare la cosa giusta ovvero approfittare di queste ore per iniziare almeno a studiare ma l’inconscio mi tiene con lo sguardo incollato al soffitto presentandomi a ripetizione fotogrammi di quella fatidica sera, di quella persona, un misterioso uomo scuro dagli occhi di gatto.

“Magnus Bane” sussurro facendomi scivolare le lettere sulla lingua e la dolcezza della mia voce mi sconvolge quasi quanto mi sconvolge il non riuscire a controllare i miei pensieri come invece sono in grado di fare solitamente. Un nome strano e misterioso come il suo proprietario che non sembra minimamente turbato da esso. E io mi sento davvero distrutto perché non posso negare a me stesso-non dopo tutte le ore passate a pensare a lui- l’interesse che ho per il ragazzo. Un ragazzo. Sono interessato a un… “No, ok ora basta!” urlo contro me stesso senza riuscire veramente a fermare il mio cervello.

“Alec, tutto ok?” sento la voce di mia sorella accorsa dalla sua stanza infondo al corridoio.

“Uhmf. Si, Izzy, scusami. Tutto bene” provo a mentire e a farle un sorriso ma deve riuscirmi davvero male perché Izzy aggrotta le sopracciglia e si siede al mio fianco.

Sai che quando avrai bisogno di parlare di quello di cui hai bisogno di parlare io ci sarò?”

Non so di cosa stai parlando” inizio a negare ma so, nel momento stesso in cui pronuncio quelle parole, che lei sa già la verità. Infatti, dopo aver annuito, mi dà un buffetto sulla spalla e si allontana; sulla porta si volta e mi lancia uno sguardo colmo di compassione.

Lo capirai” dice solo e se ne va. Il proprietario del Pandemonium non ha dato sue notizie, pur avendo il numero di cellulare di mia sorella Izzy oltre al mio, e penso proprio che abbia deciso sia meglio non immischiarsi negli affari di una combriccola di adolescenti. Sono abbastanza intelligente e sveglio da capirlo e da rispettare questa sua scelta ma non abbastanza da farmela piacere. Nelle mie fantasie da idiota quale sono ho ingigantito quei brevi secondi di attenzione che lui mi ha dedicato e li ho resi infinitamente più importanti. Non sono il tipo capace di trattenere le persone, troppo poco interessante per essere oggetto di una seconda occhiata. Ho imparato ad accettare di non essere mai una scelta per nessuno o almeno lo credevo. Il desiderio di essere voluto, di essere voluto da lui, mi ha fatto vedere cose che nemmeno esistono ma la cecità dovuta ai miei sentimenti non ha offuscato del tutto la mia lucidità. Chi vorrebbe un ragazzo come me? La mia pelle è troppo pallida e risalta ancora di più a causa dei capelli corvini che neanche provo più a domare. Le sopracciglia sottili che si sollevavano agli angoli, come quelle di Izzy anche se lei le sfoltisce con una pinzetta, circondano ciò che di questo mio viso spigoloso è l’unica nota positiva: i miei occhi blu, che pure sono troppo espressivi e mi portano guai, circondati da lunghe ciglia scure. Sono alto e questo può sembrare un pregio ma il peso del mio stesso corpo e il fardello emotivo che mi porto appresso pesano sulle mie spalle curvandole verso il basso e alterando la mia postura. La luce impietosa dello specchio del bagno non nasconde nulla e riflette quanto insulso sia il mio aspetto esteriore. Questo risulta poi abbinato a una personalità davvero poco interessante: sono introverso, timido, perennemente in imbarazzo, imbranato fino al midollo, pignolo e per nulla affascinante. La solitudine che ho sempre pensato come una coperta in cui avvolgermi ora mi sembra un boa che tenta di stritolarmi con le sue spire eppure, anche se mi va stretta, non faccio nulla per cambiare questa situazione. Se da un lato mi fa soffrire dall’altro mi preserva dall’essere abbandonato, cosa che ritengo di gran lunga peggiore. Non desidero l’avventura, superare i limiti, rompere le regole; sarei semplicemente felice se, durante una giornata fredda e uggiosa, qualcuno si stendesse accanto a me sotto un plaid con una cioccolata calda in una mano e un libro nell’altra dimostrandomi di essere lì con me e per me, regalandomi carezze frutto del bisogno di sentirsi vicini e uniti. Qualsiasi piccolo pregio posso quindi ritrovare nel mio aspetto esteriore viene annullato da un carattere forgiato dalla delusione, dall’insicurezza, dalla rabbia e dalla paura. Mi proteggo dietro una coltre di cinismo ma è solo uno scudo e non so fino a quanto basterà a difendermi da ciò che realmente desiderio più di tutto in assoluto.


Se il buongiorno si vede dal mattino questo lunedì sarà un giorno da dimenticare visto quanto uggioso e grigio si presenta. Come ogni mattino vorrei solo restare rannicchiato sotto le coperte, nel rifugio caldo e accogliente del mio letto ma se da un lato l’istinto mi spinge a mandare al diavolo tutto dall’altro sento già la voce della mia coscienza richiamarmi alla realtà e alle sue responsabilità. Non salto mai un giorno di scuola a meno che, ovviamente, non sia malato o in punto di morte; si è capito ormai che sono uno ligio al dovere. Perciò, come ogni mattina, allungo un braccio, spengo la sveglia e mi stiracchio per attivare i muscoli ancora intorpiditi dal sonno. Sento il familiare rumore dei tacchi sul parquet del corridoio segno che mia madre e mia sorella sono già sveglie e vestite e la voce del mio fratellino, Max, che finge di avere dolori alla pancia per restare a casa. Purtroppo per lui è un pessimo attore e Maryse irremovibile. Sorrido consapevole che con me invece Max avrebbe vita facile: ho il cuore troppo tenero. Certo, le regole per quanto dure sono regole e vanno rispettate ma se il mio fratellino sfodera gli occhi da cucciolo non riesco a resistere e lo accontento. Lo stesso vale per mia sorella.  

Dei colpi alla porta della mia camera mi risvegliano dai miei pensieri così mi faccio coraggio, mi alzo e inizio a vestirmi. Isabelle ha preso l’abitudine di svegliarmi in questo modo qualche anno fa e spesso sono riuscito ad essere puntale solo grazie a lei. Se io faccio fatica ad alzarmi e resto in modalità “narcolessia” per le successive due ore lei trova sempre qualcosa da fare e arriva in ritardo. Vado in bagno per lavarmi poi indosso una camicia nera, una felpa grigia un po’ logora ma larga e calda e i soliti jeans scuri. Mi limito a pettinare e a passare le mani nei capelli, sistemando le ciocche corvine sconvolte dal cuscino, poi afferro lo zaino e scendo al piano di sotto per la colazione.

“Beh, buongiorno raggio di sole” mi saluta Izzy sporgendosi a baciarmi ma senza toccarmi realmente il viso per non rovinarsi il trucco. “La mamma oggi è di corsa quindi sbrigati se vuoi andare con lei. Io aspetto Jace ma lo sai che è un ritardatario quindi…” mi dice prima di salire le scale per tornare in camera a prepararsi lasciando la frase in sospeso. Vado in cucina per recuperare almeno una tazza di caffè e una brioches e lì trovo mio fratello Max nel suo pigiama preferito con le rane: ha le lacrime agli occhi, i capelli arruffati e una tazza di latte e cereali davanti. Mi si stringe il cuore a vederlo così.

“Ehi ometto” lo saluto arruffando ancora di più i capelli del mio fratellino “vuoi dirmi che succede? Perché non vuoi andare a scuola?”

“Io… oh Alec… è che… niente” borbotta alla fine scostando la tazza con la quale sta giocherellando distrattamente per poi scappare via. Sono sicuro che c’è qualcosa che non va ma, come per Izzy, aspetterò che sia lui a volermene parlare. Ah, quanta pazienza mi costano questi due!

Poso la fronte sul banco col cervello in fiamme. Sono un tipo studioso con ottimi voti in tutte le materie e a quanto dicono anche intelligente eppure riuscire in questa è per me davvero uno sforzo immane. Osservo simboli, frecce, valori costanti e grafici disegnati alla lavagna che mi sembrano solo delle linee bianche su uno sfondo nero. La fisica non è per nulla il mio forte. Fortunatamente mancano pochi minuti alla fine della lezione così smetto di fingere di prestare attenzione al prof e lascio vagare il mio sguardo per l’aula. Questo viene attratto inevitabilmente verso lui, Jace Wayland: biondo, alto e con due occhi nocciola dorato pazzeschi e poi- non voglio neanche spiegarmi il perché lo noto così tanto- un fisico pazzesco tutto linee rette e spigoli, magro ma prestante. Con lo scorrere delle due settimane successive, per quanto mi senta ancora attratto da Jace, non riesco a togliermi Magnus dalla testa. Anzi, ho sempre più spesso in testa Magnus. Quando il pomeriggio mi siedo alla scrivania per studiare, tutto quello che riesco a fare è pensare a lui. I miei occhi vedono le parole, sottolineo anche le frasi ma ho iniziato a farlo con la matita perché in realtà non registro nulla e sottolineo a caso. Più di una volta ho dovuto rileggere paragrafi interi perché avevo smesso di porvi attenzione. Mi sento mortalmente patetico fissato come sono su uno che è il prototipo del ragazzo "etero" per eccellenza e un altro che non sa nemmeno il mio nome e di cui so poco e nulla. Patetico. Osservandolo ora, però, mi rendo conto che da quella sera non solo io ma anche Jace è cambiato: si è chiuso in se stesso e mi ha chiuso fuori anche se io non ho alcuna colpa in ciò che è successo. Non posso stare troppo a pensarci perché il professore, chiuso il libro, annuncia di avere il tempo per una interrogazione e la scelta, ovviamente, ricade su di me. Quando finalmente mi congeda e torno a posto ho ormai perso la salivazione e mi sembra di avere un martello pneumatico che mi scava dritto nel cranio. Non mi accorgo, quindi, che qualcuno è andato ad occupare il posto libero al mio fianco fino a quando quest’ultimo non si piega verso il mio orecchio e mi sussurra all’orecchio le parole “Ottimo lavoro”.

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Capitolo 5
*** Di accenti spagnoli, prese di coraggio e mancati lieto fine. ***


Buonasera! (anche se siamo quasi al buonanotte). Finalmente è venerdì e posso condividere con voi un nuovo capitolo! Non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate.
Inizio come al solito con i ringraziamenti perché, quando ho iniziato a scrivere questa storia, davvero non mi sarei mai aspettata sarebbe piaciuta tanto. Sono molto insicura, non mi piace mai ciò che scrivo e il giorno prima di pubblicare mi dico che forse dovrei riscrivere tutto perché non va bene. Purtroppo non ho il tempo per farlo e quindi rileggo, aggiusto ciò che riesco e prego che non faccia schifo come credo. Ringrazio in primis (nessuno me ne voglia):
Shamarr79 che molto probabilmente saprebbe rendere poetica anche la carta igienica. Se non lo avete ancora fatto passate a leggere e se potete a lasciare un commentino alla sua meravigliosa ff “L’anello che non tiene”. Merita, tantissimo.
Mrs_Cobain951 e LaVampy che mi hanno mostrato il loro interesse e mi hanno dato fiducia fin dal primo capitolo. Sapete che spero di non deludere le vostre aspettative.  Anche LaVampy è un’autrice e anche per quanto riguarda lei fate un salto a leggere le sue storie se avete commesso, come me, il grave errore di non farlo. Io rimedierò il prima possibile.
Grazie anche a Darkswan97 che mi ha lasciato la sua opinione e che spero di sentire ancora. Grazie a chi l’ha inserita nelle preferite, ricordate o nelle seguite; anche se non mi lasciate un commento (cosa che mi farebbe molto piacere invece) sono grata per la possibilità che mi avete dato.
Non voglio rubarvi altro tempo; il capitolo mi sembra già abbastanza lungo. Perdonatemi se ci sono strafalcioni, considerando l’ora, per l’OOC dominante e lasciatemi un commento, sarebbe importante per la mia “autostima creativa”. Un bacio a tutti!
Maddalena P.s. se qualcuna di voi è brava con le immagini (io sono negata) e volesse condividerne qualcuna con me potrei metterla come "copertina" alla storia.

L’elefante e la farfalla

Capitolo 5: Di accenti spagnoli, prese di coraggio e mancati lieto fine.

 

Sollevo la testa dal banco per incontrare uno dei pochi ragazzi con cui ho legato in 5 anni di liceo.

Dios mio” la sua voce ha un tono divertito e un liquido accento spagnolo. Il suo nome è Raphael: più di venti centimetri meno di me, un'ossatura esile, grandi occhi scuri e la pelle color miele che sembra uscita da un dipinto di Diego Rivera. Indossa dei pantaloni neri, una camicia bianca con il colletto aperto e una collana d'oro al collo che scintilla un po' mentre si avvicina alla luce. “Tesoro hai veramente un aspetto terribile. Sei così pallido che ti si potrebbe usare come attore in un film di vampiri. Hai mai sentito parlare dell’esistenza di una magica polvere fatata chiamata blush?” borbotta sedendosi con una grazia che gli ho sempre invidiato sul mio banco per poi farsi scorrere una mano tra i folti riccioli neri che gli ricadono sulla fronte. Ammetto che la grazia non è l’unica cosa che invidio di lui, il quale, a differenza di me, non nasconde né a se stesso né agli altri la sua vera natura.

“Oh per l’Angelo, Raphael, oggi non è giornata” lo rimbrotto iniziando a sistemare i quaderni nello zaino dopo aver segnato il voto ottenuto sull’agenda.

“Sono settimane che non è giornata Aleccuccio caro. Dovresti proprio dirmi chi è stato a ficcarti questo palo della luce su per…”

“Raphael” lo fermo prima che possa terminare la frase. Raphael è famoso per non riuscire a trattenere quella sua boccaccia dal tirare fuori le peggiori oscenità. A parer mio parla di sesso più di quanto ne faccia, per quanto lui ne possa dire. “Nessuno ha ficcato nulla in nessun posto”

“Oh chico, relax! È un modo di dire...” inizia seguendomi in corridoio fino al mio armadietto dove prendo il libro di inglese e lo scambio, con mio enorme sollievo, con quello di fisica. Inglese è l’unico corso che abbiamo in comune e al quale ci siamo conosciuti tre anni prima quando si è trasferito in questa scuola. Raphael è un tipo molto particolare che si apre solo quando è entrato in confidenza con le persone celando il carattere solare che invece ha sotto una scorza dura di indifferenza. Forse ha riconosciuto in me la stessa caratteristica ed è per questo che abbiamo legato fin da subito. L’amicizia che c’è tra di noi resta, però, limitata all’ambiente scolastico e solo raramente ci incontriamo anche al di fuori. Si è evoluto tutto in maniera spontanea e nessuno dei due ha mai cercato di forzare il legame. Lo spagnolo mi ha subito confessato di essere omosessuale-io lo avevo già capito- e anche se dice sempre che io accendo il suo “gay radar” ho sempre continuato a negare. Mi accusa di essere la causa delle sue rughe precoci per tutte le volte che aggrotta le sopracciglia quando lo contraddico “E poi posso dirti per esperienza che non è una cosa di cui lamentarsi se viene ficcato qualcosa nel posto giusto e nel modo giusto. Tornando al discorso originale: il mio sesto senso mi dice che c’è qualcosa che mi stai nascondendo, Aleccuccio”.

“La smetti di chiamarmi così? Lo sai che lo odio” lo rimprovero per l’ennesima volta e lui fa spallucce e un sorriso storto per nulla colpito dal mio richiamo. Perché diamine le persone non mi prendono sul serio?

“Non cercare di cambiare argomento. Sputa il rospo, ti ho concesso fin troppo tempo in attesa di una tua confessione spontanea” dice mimando le virgolette su spontanea “ma ora la Gossip Girl che è in me è assetata di scoop perciò…” Lo guardo e penso a quanto mi sentirei sollevato se potessi confessarmi con lui perché so che capirebbe, come forse nemmeno Izzy potrebbe fare. Per quanto gli sia affezionato so anche che spesso si dimentica di collegare la bocca al cervello e che, quindi, il mio segreto non sarebbe al sicuro. Non lo farebbe con cattiveria, non è quel tipo di persona, ma preso dalla foga potrebbe lasciarsi scappare qualcosa e per questo motivo decido di raccontargli l’ennesima mezza verità.

“Ho conosciuto una ragazza, si chiama Lydia” gli dico e vedo la sua fronte aggrottarsi "Penso proprio che per Natale dovrò regalarti una crema per il viso. E' una ruga quella?" dico sfiorandogli con l'indice l'arcata delle ciglia mentre lui scatta indietro portandosi una mano sul viso per nascondere un'imperfezione che nemmeno esiste.

“Ah-ah-ah divertente. Io ti regalerò pane e capacità di fare battute spiritose; tentativo penoso il tuo. E quando avresti conosciuto questa ragazza, sentiamo?"

“Due settimane fa siamo andati in un locale con Izzy, Jace e la sua nuova fiamma. Mi pare si chiamasse Pandemonium, credo” fingo indifferenza perché ripensare a quella sera mi fa ripensare a Magnus, ai suoi occhi, alle sue labbra, alle sue mani e a quello che potrebbero fare sul mio corpo…

“Dios mio! Come hai potuto non invitarmi?!” si lamenta prendendo posto al mio fianco nell’aula ancora vuota “Il Pandemonium è un locale STRA-TO-SFE-RI-CO e il proprietario, Magnus, è un tale figo!” Al solo sentire quel nome il cuore mi balza in gola e so che il mio viso si sta colorando di un bel rosso acceso. Raphael mi guarda e la luce di malizia che accende il suo sguardo mentre continua a parlare non mi piace per nulla “Potrei venire solo a guardarlo, con quel fisico perfetto e quegli occhi spettacolari ed è un vero peccato che non si faccia vedere spesso. Non ha bisogno di essere sempre lì visto quanti bodyguard ha al suo servizio e conduce una vita molto...piena…capisci che intendo? Comunque non voglio distrarmi, continua.”

“Non l’ho conosciuta al locale…io…non…prima sono andato con Izzy a fare spese” balbetto mentre si avvicina a me e mi appoggia una mano sulla coscia, troppo sù sulla coscia. Per quanto sia un bel ragazzo e io non abbia mai sentito una particolare attrazione per Raphael, il contatto fisico con un altro ragazzo è sempre un problema, a parte quando mi alleno con Hodge. Quando allontano la gamba dalla sua presa lui ha un lieve sussulto ma si riprende subito e può darsi che lo abbia solo immaginato.

“Tesoro avresti bisogno di un guardaroba nuovo. Un mese di shopping ci vorrebbe per rimetterti in sesto altro che un giorno” Non replico alla sua affermazione e balbettando gli racconto della giornata con Izzy fino al bigliettino rosa che ho ancora nel cassetto della scrivania. “Intraprendente, mi piace. L’hai chiamata?”

“Ehm...io…no, non ancora…non so come…ecco…se…” come al solito mi sto rendendo assolutamente ridicolo. Vorrei non dover inventare tutte queste scuse, non sono bravo a mentire.

“Oooh Aleccuccio sei così tenero! Ti piace proprio tanto questa ragazza, eh?” dice con un mezzo sorriso, il luccichio nei suoi occhi offuscato da un’ombra calata improvvisamente su di lui “Non temere, ha già dimostrato che le piaci quindi non avere dubbi. Sei un bravo ragazzo intelligente, serio e molto bello cadrà ai tuoi piedi se sarai semplicemente te stesso e se lascerai che sia Izzy a vestirti, naturalmente” mi dà una pacca sulla spalla poi si volta verso la lavagna dove la professoressa ha già iniziato la lezione. Cerco di seguire ma sento il petto appesantito dal peso delle mie stesse bugie e ho improvvisamente un’immensa voglia di piangere.


È sera e sono in camera mia steso sul letto a guardare il soffitto come ho fatto spesso in questi ultimi giorni. La lite che ho avuto con mio padre mi ha buttato ancora più giù di quanto già non fossi e vorrei tanto non avergli detto di aver inviato la domanda per il concorso. Ha iniziato a lamentarsi dicendo che sono un bambino, un ragazzino viziato, ingrato e maleducato che non ascolta quello che i suoi genitori gli dicono.

Siete tutti così ansiosi di fare quello che preferite. Devi affrontare la verità: nella vita non si fa quello che si vuole fare ma quello che va fatto!” ha continuato mia madre “Tuo padre sa cosa è meglio per te, per voi, e puoi fare molto più bene come medico che non come soldato se è questo ciò che ti motiva!”

Dopo questa perla, mio padre mi ha giurato che farà di tutto per ostacolarmi. A nulla è servito che mia sorella si sia schierata in mia difesa e, mentre io me ne stavo immobile a capo chino a subire tutte le sue invettive contro di me, Izzy, come al solito, ha preso le mie parti urlando a mio padre che non ha alcun diritto di replica quando si tratta di chi e cosa voglio essere poi è scappata in camera e si è chiusa dentro. Ho visto mia madre lasciarle un vassoio con il resto della cena davanti alla porta chiusa e quando si è allontanata e mia sorella ha finalmente aperto sono corso ad abbracciarla forte. Lei ha ricambiato e mi ha sussurrato con le lacrime agli occhi:

“Non dubitare mai di me Alec. Io sarò orgogliosa di te e ti terrò la mano qualsiasi cosa deciderai di fare.”

Mi è scoppiato il cuore per l’amore che provo per lei e, giuro, avrei voluto raccontarle tutto. L’ho guardata negli occhi, stavo per farlo e poi le ho solo sorriso. Non ce l’ho fatta e mi sento un mostro perché so che posso fidarmi di lei eppure non lo faccio. Forse è l’orgoglio ferito, la rabbia o semplicemente la voglia di prendermi ciò che voglio che mi spinge a sgattaiolare dalla finestra. L’aria è fredda ma allo stesso tempo umida e mi pesa addosso nonostante la felpa e la giacca di pelle che indosso. Il locale non è molto vicino a casa mia per cui devo farmi un bel tratto di strada a piedi per arrivarci e, non mi vergogno a dirlo, ho considerato un paio di volte l’idea di voltarmi e tornamene a casa. Visto che questo avrebbe significato continuare a struggermi per i miei sentimenti mi convinco ad affrontare questa serata nella speranza che lui sia lì. Mi si forma un nodo allo stomaco mentre mi avvicino al locale e supero il buttafuori che mi lascia passare visto che oggi il locale è aperto al pubblico, non solo a coloro che possiedono un invito per la festa. Come la volta prima, però, la pista da ballo è piena di corpi che si strusciano e l’ambiente è oscuro e sensuale al tempo stesso. Senza Izzy come spalla e come ancóra per ricordarmi quale è la mia realtà mi sento ancora più fragile e fuori luogo. Mi dico che mi limiterò a vedere cosa succederà ma non supererò il limite. Appena mi siedo al bancone uno dei ragazzi si avvicina e mi chiede cosa desidero. Ordino una Cola e lui mi guarda stranito poi si volta e, presi i soldi dal tavolo, mi passa il bicchiere ghiacciato. Mi affretto a buttarne giù qualche sorso; dopo la lunga camminata ne avevo proprio bisogno. Il posto pullula di gente e, con non poco imbarazzo, noto alcune ragazze, ma anche ragazzi, che mi guardano sorridendo o mi fanno l’occhiolino. Sospirando mi volto di nuovo verso il bar e resto senza fiato. Lui è qui. Sta parlando con uno dei ragazzi dietro al bancone e mi rendo conto che i miei ricordi non gli rendono giustizia. È bellissimo. La luce soffusa non riesce a diminuire l’effetto dei suoi bellissimi occhi verde-dorato e quando lascio scivolare lo sguardo verso il basso questo viene calamitato dalla pelle caramellata che sbuca dalla camicia nera che indossa. La scelta dei pendenti che cadono proprio in quella zona non può essere casuale. Gesticola mentre parla e le decine di anelli che porta alle dita scintillano richiamando l’attenzione su quelle lunghe dita affusolate. Ho i brividi lungo la schiena al solo pensiero di sentirle scivolare nei miei capelli, sulla mia schiena e più in basso… Oh mio Dio, l’effetto che quest’uomo ha sul mio corpo è pazzesco. Ho finito la Cola, la gola riarsa dalla vista di Magnus e quando il cameriere si avvicina per chiedermi cos’altro desidero deve leggere nei miei occhi il bisogno di “coraggio liquido”.

“Questo è un Rum e Cola. È più forte della semplice Cola ma non ho esagerato con l’alcool. Si vede che non hai ancora 21 anni e che non sei abituato bellezza” mi fa un occhiolino e si appoggia al bancone per sorreggersi mentre si sporge verso di me. “Io sono Mark e tu splendore?” Sono completamente immobilizzato mentre mi parla, praticamente a due centimetri dal mio viso. Non so come reagire, non mi sono trovato molto spesso in questa situazione e sono confuso perché non riesco a capire se mi piace oppure no. Sento solo che c’è qualcosa di “non giusto” anche se non saprei dire cosa perché riconosco oggettivamente l’avvenenza del ragazzo; caspita non c’è un dipendente in quel locale che non sia assurdamente bello. Fortunatamente non ho bisogno di recuperare le mie facoltà mentali per tirarmi indietro perché il ragazzo all’improvviso scatta come una molla e si allontana. Quando alzo lo sguardo dal drink, dall’altra parte del bancone non c’è più il tipo ma la persona che speravo di incontrare e che, allo stesso tempo, temevo di incontrare: Magnus. Anche stavolta non riesco a schiodare il mio sguardo dal suo ma a lui non sembra dare fastidio il fatto che io lo stia fissando. Dopotutto anche lui sta guardando dritto verso di me e io sento il bisogno di prendere un altro sorso del drink. Resto deluso quando mi accorgo di averlo finito ma non ho troppo tempo per pensarci perché Magnus si accorcia le maniche e mi rivolge la parola per la prima volta. L’effetto che la sua voce fa alle mie ginocchia è più forte dell’alcool che mi scorre nelle vene.

“Un altro giro?” dice facendo un cenno verso il bicchiere vuoto.

“Uh, si…io…questo è…” mi rendo conto che sto balbettando e facendo la figura dell’idiota ma Magnus mi sta sorridendo quindi mi do un pizzicotto sulla gamba e cerco di riprendermi.

“Un Rum e Cola, lo so. Ho visto Mark versarti il primo e visto come te lo sei scolato in fretta ho dedotto che ti fosse piaciuto”

“Percettivo” gli dico quando posa il drink sul bancone e lo spinge leggermente verso di me. Faccio per infilare la mano in tasca e afferrare i soldi ma lui mi ferma e scuote la testa. Solo l’Angelo sa cosa darei per poter accarezzare quei capelli. Nonostante l’enorme quantità di gel che li tiene su sembrano essere incredibilmente morbidi. Le mie sopracciglia scattano verso l’alto e provo a dirgli qualcosa ma lui allarga ancora di più il suo sorriso e le piccole rughe che si formano intorno ai suoi occhi lo rendono ancora più sexy. Sento che il mio viso ha già passato la scala dei rossi e sta deviando verso i viola. Dannazione.

“Offre la casa. Considerando quanto poco rum c’è dentro mi sentirei un ladro a farti pagare questo drink. Mark dice e fa un sacco di cavolate ma ci ha visto giusto con te e io ho una certa reputazione; non voglio passare dei guai per colpa di un minorenne con un documento finto. Ho licenziato i migliori baristi che ho avuto quando ho scoperto che davano alcolici ai minorenni e mi ricordo il casino che avete combinato tu e i tuoi amici quindi l’alcool è meglio che non si avvicini a voi”

Sento il mio viso accartocciarsi a sentire queste parole e non so se essere felice che si ricordi di me oppure affogare nell’imbarazzo ricordando quanto accaduto la volta prima.

“Mi dispiace tantissimo. Jace è un bravo ragazzo ma a volte sa essere un idiota e forse io lo sono più di lui visto che mi schiero sempre al suo fianco”

“Nah, sciocchezze. Non è la prima volta che qualche bicchiere va in frantumi per colpa di una rissa e posso assicurarti che la tua non è stupidità. Direi più che altro ingenuità, fiducia e lealtà e credimi, ci sono poche persone come te al mondo” la sua voce mentre pronuncia questa frase sembra farsi più profonda e mi domando come faccia a sentirla con la musica che rimbomba dalle casse “Anche se devo concordare su una cosa che hai detto: Jace è un idiota. Lo sa che provi qualcosa per lui?” e il drink che stavo sorseggiando mi finisce nel naso e per poco non soffoco “Diamine! Tutto ok?” sento la sua voce più vicina poi una mano mi dà dei colpi sulla schiena e sapere che è la sua e che mi sta toccando basta a farmi andare di nuovo in apnea.

“Tutto…ok” rantolo e mi faccio forza per sollevare lo sguardo. Magnus è più vicino di quanto credessi e da questa posizione posso osservare i suoi occhi meravigliosi; sembrano proprio gli occhi di un gatto. “Stupendi” sussurro e giuro che in tutto quel casino lui mi ha sentito perché prende un respiro profondo e quegli occhi meravigliosi diventano ancora più grandi e splendidi.

“Grazie” mi fa un occhiolino e torna col busto dietro al bancone risistemandosi i polsini mentre io lentamente mi rendo conto della figura da imbecille che ho fatto e sto continuando a fare “Ti offro un’altra Cola, sembra tu ne abbia bisogno”

“Posso pagarla…” inizio a dire ma lui mi ferma sollevando una mano ingioiellata “Mi ripagherai chiacchierando qualche altro minuto con me, se ti va” Se mi va? Sul serio l’ha detto?

“Ehm, certo. Non sono così interessante ma posso…”

“Posso assicurarti che non ho notato niente di poco interessante, per il momento” dice passandomi il nuovo bicchiere per poi recuperare quello vuoto. Sento le mie guance che si infiammano nuovamente e ringrazio il buio della sala che lo cela “E non hai ancora risposto alla mia domanda”

“Non c’è nulla da dire…non provo…non provo nulla per Jace”

“Aah, capisco. Non sei dichiarato, vero?” la semplicità con cui mi pone quella domanda non è comparabile a quanto sia difficile per me rispondere. Prendo un altro sorso di Cola decidendo se mentire o dire la verità e in quella pausa si intromette di nuovo la sua voce “Se può aiutarti io mi definisco un bisessuale disinvolto” alzo lo sguardo su di lui scuotendo la testa mentre un sorriso si disegna spontaneo sulle mie labbra. Quest’uomo è assurdo, una contraddizione vivente, tremendamente affascinante e disinvolto, un edonista nei cui occhi si legge tutto il disincanto di chi è stato piegato troppo spesso ma non si è mai spezzato del tutto.

“Dio vorrei vedere la faccia di mia madre di fronte a una frase del genere e comunque no, non aiuta per nulla”

“Capisco” dice e per fortuna decide di non insistere e mette in pausa la conversazione per sorseggiare il drink che nel frattempo si è preparato, una sorta di brodaglia aranciata. “Senti se ti va di restare ancora un po’ qui a me sta bene ma penso sarebbe meglio tu tornassi a casa. So che non hai 21 anni e ti ho dato quei drink perché dentro di alcool ce n’era veramente pochissimo” Non ci provo nemmeno a mentire ma il fatto che mi stia gentilmente mandando via mi fa quasi male al cuore. “Sei venuto a piedi, vero?” Annuisco e anche lui fa lo stesso come a dire che se lo aspettava. “Se mi aspetti dieci minuti sistemo delle cose e ti accompagno. Un barista mi ha mollato all’ultimo e non avendo trovato un sostituto ho dovuto farlo io e, diamine, se mi si spezza un unghia faccio una strage”.

“Posso andare a piedi, non abito lontano” provo a mentire perché è evidente che vuole liberarsi di me e mi sento così ridicolo per aver creduto che questa chiacchierata e le attenzioni che mi ha rivolto la volta precedente potessero significare qualcosa di più.

“Insisto. Aspettami qui…ehm…il tuo nome?” glielo dico e lo sguardo che mi rivolge mi fa attorcigliare le budella. Possibile che mi sto inventando tutto? Il mio cervello e il mio cuore sono saturi di pensieri e sentimenti contrastanti: da un lato illusioni e speranze, dall’altro razionalità e delusione. E nonostante il buio questo bancone lucido e ripieno di brillantini rimanda il riflesso dei miei occhi azzurri colmi di lacrime. Cosa diamine mi aspettavo?

Passano la bellezza di venti minuti prima che Magnus mi raggiunga infagottato in un caldo cappotto color sabbia lungo fino alle ginocchia. È un colore così particolare che io non saprei proprio come abbinare ma su di lui invece sta una meraviglia. Non mi dice nemmeno una parola ma agitando due dita inanellate mi fa segno di seguirlo e io, sentendomi un cagnolino, lo faccio. Non sono un esperto di auto ma è evidente che questa è un auto di lusso, potente. Più la guardo più penso sia perfetta per Magnus che si muove con una grazia e una fluidità che mi fa pensare a una pantera. I sedili di pelle su cui mi fa accomodare sono così morbidi che ci vogliono tutte le mie forze per non accoccolarmi e crollare lì seduta stante soprattutto quando accende al massimo i riscaldamenti e l’auto, prima gelida, diventa piacevolmente tiepida.

“Quanti anni hai, Alexander?” mi domanda e giuro che non è lo stordimento da sonno che mi fa percepire una nota roca nella sua voce quando pronuncia il mio nome.

“Ehm…19” rispondo e lui annuisce per poi scuotere la testa e borbottare qualcosa che non riesco a capire. Per fortuna non devo continuare a parlare visto che il navigatore gli dà tutte le indicazioni per portarmi fino a casa e io posso concentrarmi su ciò che mi circonda e su Magnus per catturare quante più cose di questo momento e conservarle in eterno. Parto dal suo profumo che è un qualcosa di pazzesco. L’avevo già notato quando si era avvicinato a me ma ora, nella sua macchina, è così potente che penso mi sia penetrato in ogni poro- fanculo l’orgoglio nasconderò questa felpa e non la laverò mai più. Sa di maschio,di sudore, di incenso e di sandalo e giuro che non ho mai sentito un odore così buono in vita mia- mi appunto di cercare un bagnoschiuma al sandalo. Guida in maniera fluida e sicura, stringendo con una mano il volante e con l’altra il cambio e non si lascia scalfire quando un altro automobilista, anche se nel torto, gli bussa o si prende la precedenza. Cercando di non farmi beccare, ma non c’è il rischio perché è completamente concentrato sulla strada, osservo il suo profilo: le labbra, il naso elegante, le orecchie piccole e anch’esse ingioiellate. Come fa ad essere maschio, ruvido e duro e allo stesso tempo ricordare, con i suoi movimenti, la seta liscia e fluente? Ogni terminazione nervosa si accende come le luci di un albero di natale se solo osservo il profilo della sua mascella, quell’accenno di barba che mi fa desiderare in maniera assurda di morderlo lì e poi di baciarlo per farmi perdonare. È assurdo, se ci penso, il modo in cui del tutto inconsapevolmente, con ogni suo gesto, movenza, o sospiro mi fa desiderare “qualcosa” così intensamente che quasi urlerei per la frustrazione. Perso nei miei pensieri non mi accorgo che siamo arrivati ed è lui, con un lieve tossicchiare, che mi richiama alla realtà.

“Penso sia casa tua” mi dice indicando con un cenno del capo la casa immersa nel buio. Qualsiasi complicità io abbia sentito nella sua voce durante il corso di questa serata è completamente evaporata. Si guarda intorno ma evita il mio sguardo e quando il suo cellulare inizia a vibrare capisco che è il momento per me di uscire di scena. Respiro il suo odore un’ultima volta e rubo quanti più dettagli delle sue bellissime mani, le vene evidenziate dalla stretta con cui tiene il volante, del suo viso e delle sue gambe avvolte nel paio di pantaloni viola di pelle più aderenti che io abbia mai visto- e che, fidategli, gli stanno veramente d’incanto. Per una volta nella mia vita non c’è una voce nella mia testa che come un tarlo mi sputa addosso tutti i miei difetti, che mi rammenta i miei errori, le mie mancanze, il mio non essere abbastanza; per una volta c’è solo silenzio e pace. La mia mente è piena di lui e i miei demoni si sono nascosti, bruciati dalla luce dorata e calda dei suoi occhi. Sono pochi istanti ma so che questo desiderio mi rimarrà addosso per sempre, il desiderio di lui e di questo momento di “leggerezza”.

“Scusa per il disturbo. Ti ringrazio per il passaggio. Buonanotte” non dico null’altro e non gli permetto di dire null’altro perché ci vorrebbe troppa forza per trovare altre parole e mi serve tutta quella che ho per allontanarmi. Raccolgo tutto il mio coraggio, afferro il “cerotto” e mi preparo prendendo un bel respiro profondo. Strappo. Scappo. Apro la portiera dell’auto e mi catapulto fuori dall’auto facendomi violenza per non tornare sui miei passi. Come un’adolescente dei romanzi rosa mi dico che, se quando mi volterò, lui mi starà guardando allora qualsiasi cosa dovrò fare, qualsiasi cosa a cui dovrò rinunciare, qualsiasi dolore dovrò provare varrà la pena. Che il noi vale la pena. Ho paura e tentenno fino all’ultimo secondo poi prima di entrare mi volto. La sua auto è ancora lì ma lui non sta prestando attenzione a me, preso com’è a parlare al cellulare con uno sguardo così luminoso e un sorriso talmente malizioso che, pur non essendo per me, mi fanno sentire tutto caldo anche mentre il mio cuore si frantuma in mille pezzi. Sono quello sguardo e quel sorriso l’ultima cosa che vedo a occhi chiusi prima di cedere al sonno mentre mi sforzo di fingere che le cose siano andate come volevo io.   

 

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Capitolo 6
*** Quando il destino ci mette lo zampino ***


Buon pomeriggio! Oggi sono contenta perché, dopo un mese estenuante, ho finalmente raggiunto le 400 ore di tirocinio previste dal mio piano di studi. Yuppi! Inoltre, stamattina ho terminato l’ennesima rilettura di Città di Ossa… Ma quanto è tenero l’Alec dell’epilogo? Tornando al capitolo, come al solito, non sono per nulla fiera di quello che ho scritto. Ogni volta che mi metto al pc ho un’idea in testa su ciò che voglio far accadere ma puntualmente le dita vanno da sole e quando rileggo mi accorgo che ciò che è venuto fuori è completamente diverso da ciò che ho in testa. Mi dispiace davvero tanto non riuscire a darvi ciò che vorrei, la buona volontà c’è tutta lo giuro!

Mi prendo il solito spazio per ringraziare le persone meravigliose che dimostrano di apprezzare il mio tentativo ovvero tutti coloro che hanno inserito la mia storia nelle ricordate, nelle preferite e nelle seguite, anche le due che mi hanno lasciato per strada. Un grazie in particolare va però a:

- Mrs_Cobain951 che mi sostiene dal primo capitolo
-Darkswan97 che ha fatto un’eccezione per me
 _black_rose_ e HeySebastian (di cui prometto di leggere le ff al più presto, studio permettendo) che mi hanno scritto parole che hanno lenito "l'autostima" che io maltratto in continuazione. Grazie mille, di nuovo!
 -LaVampy e shamarr79 che sono due autrici fantastiche, da cui vi consiglio di passare se non lo avete fatto, che mi danno il loro supporto dall’inizio.

Grazie ancora a tutti! Vi lascio al capitolo e scusatemi per i soliti errori grammaticali! :) Fatemi sapere cosa ne pensate, ne ho veramente bisogno. Ho pensato che settimana prossima vorrei aggiornare con qualche giorno d'anticipo. Vi va? :P
Un bacio grande!

L’elefante e la farfalla

Capitolo 6: Quando il destino ci mette lo zampino.

 

Quando mi sveglio al mattino mi sforzo di ignorare il magone e, dopo essermi preparato per la scuola, ripesco il bigliettino dal cassetto e salvo il numero sul cellulare. Passo le ore successive a mordicchiarmi le unghie e a combattere la mia mente che mi ripropone immagini alterate della sera precedente, immagini che hanno lo scopo di illudermi con cose che non sono realmente accadute. Quando finalmente la scuola finisce sono sollevato di poter andare in palestra a scaricare la tensione con Hodge. È il mio allenatore e sono contento di averlo al mio fianco. Non mi permette di battere la fiacca ma allo stesso tempo non mi spinge mai oltre il limite di ciò che il mio corpo può fare. Grazie a lui ho messo su molta massa muscolare e mi sono tonificato molto, inoltre, ho migliorato la capacità cardiaca e respiratoria e riesco a correre sempre più a lungo, più velocemente e con minor sforzo.

“Alec, mi rendo conto che oggi c’è qualcosa che non va e lascio passare ma non puoi colpire così, lo sai?” Hodge si accorge sempre quando che c’è qualcosa che non va e oggi è lampante: per quanto più potenti, i miei colpi non sono precisi e questo è segno che non sono concentrato sul fare bene. Ho anche sbagliato la parte di tiro con l’arco, cosa che non mi succede mai. Annuisco e lui, comprensivo come sempre, mi dà una pacca sulla spalla e si allontana lasciandomi dieci minuti per fare ciò che voglio. Decido di scaricare ancora un po’ di tensione sul sacco così da stremarmi e crollare una volta tornato a casa. Ormai solo il sonno riesce a darmi un po’ di sollievo dai mille pensieri che mi ronzano in testa e da questo desiderio liquido e bollente che si è piantato nel mio stomaco e mi fa essere eccitato come un ragazzino in calore-cosa che non sono mai stato, sia chiaro. Prima di uscire dalla palestra mi faccio una doccia calda e sulla strada del ritorno gioco un po’ col cellulare. Apro e chiudo la finestra della rubrica senza trovare il coraggio di farlo e la stanchezza post allenamento è l’unica cosa che preserva i miei nervi. Dopo la fine disastrosa della mia presa di coraggio ho deciso di rinchiudere in fondo a me stesso qualsiasi pensiero su Magnus e su ciò che vogliono dire i sentimenti che provo per lui. La serata tra le tante cose ha chiarito che Magnus è un uomo, di cui non so l’età, ma sicuramente troppo grande per provare interesse per un ragazzino come me e che, visto la sua faccia mentre parlava al cellulare, c’è qualcuno che occupa il suo cuore e i suoi pensieri e non sono io.  Perciò ho deciso di fare un tentativo per capire definitivamente alcune cose e per farlo ho bisogno di Lydia. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare ed è per questo che, da questa mattina, non sono ancora riuscito a premere invio su quel maledetto tasto.
Alla fine, dopo una cena a base di silenzio e sguardi rabbiosi, principalmente di Izzy verso mio padre e di quest’ultimo verso di me, afferro il coraggio a due mani e lo faccio.

“Ciao Lydia. Non so se ti ricordi di me dopo tutto questo tempo. Sono Alec: alto, capelli neri, occhi azzurri. Sono passato in negozio con mia sorella un po’ di tempo fa. Scusa se mi faccio sentire solo adesso.” Passa mezz’ora e ormai non ci spero più quando il cellulare sul comodino vibra segnalando l’arrivo di un sms. Non so se mi sento sollevato o triste che non sia il solito messaggio del credito ma la risposta di Lydia però decido di non soffermarmi a pensarci.

“Ciao Alec! Ce ne hai messo di tempo, ormai non ci speravo più. Mi ricordo di te, come non potrei? Non penserai mica che do il numero a tutti i ragazzi carini che passano in negozio, vero? ;)”

Poco pratico dei messaggi come sono- non ho molte persone con cui scambiare sms a parte i rari scambi con Izzy e Jace quando sono in classe e non posso chiamare- impiego un sacco di tempo per decidere cosa scrivere e per farlo.

“Non sono molto pratico di tecnologia e ho difficoltà con il nuovo cellulare che mi ha regalato mia sorella, perdonami se impiego molto per rispondere. Mi dispiace, non era mia intenzione offenderti, non lo penso assolutamente. Sono contento che ti ricordi di me perché io volevo chiederti se ti va di vederci, una volta.” Ormai ho premuto invio e non posso più tirarmi indietro. Non ci credo che sto per farlo, diamine! Lydia per fortuna risponde subito anche perché sto per crollare dalla stanchezza.

“Mi piacerebbe molto! Fammi sapere tu quando e dove. Ora ti saluto perché il letto mi chiama! A presto, buonanotte” Le auguro la buonanotte e spengo il cellulare. A dispetto del sonno, passo mezz’ora a guardare il soffitto prima di cedere alle braccia di Morfeo.


Il giorno dopo Lydia mi invia il buongiorno e con qualche sms ci accordiamo per vederci il giorno seguente per una passeggia al parco. Penso di inventare una scusa da raccontare a Izzy per giustificare la mia uscita- lei conosce i miei orari- ma alla fine scelgo di non mentirle, non per l’ennesima volta.  Siamo seduti sul divano di casa nostra insieme a Jace per la serata cinema, pop corn e caramelle gommose. È una tradizione che abbiamo iniziato qualche anno fa quando Maryse, mia madre, è diventata dirigente di una filiale bancaria e ha iniziato a stare spesso fuori casa come nostro padre con i vari turni in ospedale. Max è in mezzo a me e Jace, il quale è praticamente il suo idolo, ma è passata l’ora di andare a dormire da un pezzo ed è già una ventina di minuti che sbava sulla spalla del mio migliore amico che si offre, quindi, di portarlo di sopra. Restiamo solo io e Isabelle, con le labbra che bruciano per il sale dei pop corn e il film in pausa e decido di approfittarne per parlare con lei.

“Izzy devo dirti una cosa”

I suoi occhi si spalancano per lo stupore- l’ho già detto che ama il gossip? -e l’aspettativa e mi fa un cenno con la mano incitandomi a parlare mentre butta giù una manciata di noccioline caramellate; solo durante queste serate si lascia andare alle schifezze perché il giorno dopo ha la lezione di spinning in palestra per smaltire.

“Ti ricordi di Lydia, la commessa di quel negozio? Beh, usciamo insieme. Domani.” Man mano che le parole escono dalla mia bocca posso giurare che i suoi occhi diventano sempre più grandi e confusi. Non ho mai avuto un appuntamento ma quasi mi ferisce lo shock che leggo nei suoi occhi.

“Lydia? Quella biondina? Alec, ma sei sicuro?” mi si fa più vicina e mi regala uno sguardo che interpreto come stupore misto a compassione e che mi irrita “Io ho sempre pensato che tu…” non la lascio finire e mi scosto da lei sopprimendo la voglia che ho di urlare forte, di buttare fuori con un’emissione tutta la tensione accumulata. Ho sempre sentito dentro di me che lei sapeva, anche senza che io glielo avessi mai detto esplicitamente. O almeno questo è ciò che mi ha fatto intendere con alcune occhiate e frasi buttate là. Non sono ancora pronto a condividere questa cosa, a renderla reale ammettendola a voce alta e so che, se pronunciasse quelle parole, per me sarebbe la fine. All’inizio leggo nei suoi occhi che il mio gesto l’ha ferita poi la comprensione si fa spazio nella sua mente e allora annuisce allungando una mano per prendere la mia. Stavolta non mi scosto. “Capisco. Va bene Alec non lo dirò ma ti prego, ti supplico, non farti del male in questo modo. Meriti di essere felice, meriti di avere al tuo fianco la persona giusta, la persona che vuoi davvero. Non vivere in una menzogna e non farla vivere a lei, lei non c’entra”

“Ehi ragazzi tutto ok?” Jace sceglie quel momento per entrare nella stanza e ringrazio il suo tempismo. Non ho la forza di guardarlo in viso, però, quindi semplicemente annuisco e lascio la parola a Izzy.

“Abbiamo finito le noccioline caramellate” dice beccandosi un’occhiataccia da parte mia “Ok, Alec, io ho mangiato tutte le noccioline e ora stavamo litigando perché questo mancato gentiluomo non voleva alzarsi per andarne a prendere altre. Abbiamo fatto “pari o dispari” e io ho vinto!” ridacchia ma si sente che è un forzatura e preme play per far ricominciare il film in modo da chiudere l’argomento.

“Pigrona” bisbiglio rintanandomi in cucina. Amo mia sorella perché si prende cura di me anche quando non lo merito e sa ciò di cui ho bisogno anche quando io non lo so. Ad esempio, adesso ha inventato una balla su due piedi solo perché sa che ho bisogno di cinque minuti in cucina per mettere pace nella mia testa e riprendere il controllo. Non sono pronto a condividere tutto questo con Jace. È il mio migliore amico, un fratello al pari di Max, e darei per lui la vita come la darei per Izzy e per il mio fratellino: senza pensarci un attimo. Proprio perché è lui, perché ne ho bisogno e il suo giudizio conta tantissimo per me e perché è un ragazzo e questa cosa potrebbe metterci a disagio, devo mentirgli su ciò che realmente provo anche se mi fa sentire una persona orribile. Prendo un bel respiro profondo- e un sacchetto di noccioline, ovvio- e ritorno in salotto. Il film è di nuovo in pausa e Jace ha la faccia sprofondata nel cuscino mentre Izzy ridacchiando lo punzecchia col l’alluce.

“Che mi sono perso?” dico col mio solito sorriso sulle labbra, quello che viene su spontaneo quando tutti i brutti pensieri vanno via e io ringrazio Dio per avermi mandato questi due testoni che mi fanno dannare ma rendono la mia vita speciale.

“Jace si sta disperando perché sono settimane che non chiama Clary e ha rifiutato le sue telefonate solo perché non voleva starmi a sentire. Gli ho appena detto che Simon mi ha detto che lei e quel tipo, Jonathan, si sono lasciati da un bel pezzo dopo che lui le ha spezzato il cuore tradendola con una sua compagna di classe, Regina. Sempre Simon mi ha detto che ora Clary è furiosa con Jace perché non le ha dato modo di spiegarsi ed è partito in quarta. Simon ha riportato testuali parole: è un testone imbecille e orgoglioso.” conclude mentre Jace rilascia un sospiro e preme più a fondo il viso nel cuscino.

“Punto uno: Jace quel cuscino non è un portale, non ti risucchierà in una dimensione alternativa dove non ti sei comportato da coglione mollandola lì col braccio sanguinante per colpa tua. Per di più non puoi cancellare il fatto che non ti sei fatto sentire per settimane solo perchè eri geloso di un tizio che l’ha tradita” Lo rimprovero bonariamente e mi sorprende non avvertire nessuna fitta al petto nel vedere Jace così preso da quella Clary. Si, ho una paura del diavolo che lei possa portarmelo via ma non sono così egoista da negargli la felicità solo per non turbare la mia.  “Punto due: Izzy hai nominato quel tipo almeno tre volte in una sola frase. Da quando ti senti con Simon?” le chiedo e mia sorella non si imbarazza, impallidisce.

“Io...ehm...ma…non è che ci sentiamo, abbiamo scambiato qualche messaggio, tutto qui” dice ma le trema la voce e io so che mi sta nascondendo qualcosa così non trattengo un’occhiata di sbieco che le fa alzare gli occhi al cielo “Ok, ok e siamo usciti una volta. Non una vera uscita, sia chiaro, sono solo andata a sentire la sua band che suonava in locale, tutto qui. Fanno un po’ schifo ma hanno del potenziale. Credo. Insomma, non è successo nulla: lui ha riaccompagnato Clary a casa alla fine e io ho chiamato Meliorn per un passaggio” Ha lo sguardo acceso dalla solita malizia quando nomina quel tizio con cui esce spesso, il suo…ehm…scopamico. Per il mio quieto vivere fingo di non sapere cosa facciano quei due. È mia sorella per l’amor del cielo! Dovrei rinchiuderla in casa e neanche servirebbe.

“E quando pensavi di dirmelo, Izzy? Diamine, sono passate settimane! E’ quasi un mese che la evito” la rimprovera Jace mentre si passa le mani tra i capelli biondi sparati già in tutte le direzioni.

“Ehi non prendertela con me! Appena nominavo quella sera diventavi muto e mi fulminavi con lo sguardo. Che dovevo fare?” fa spallucce e Jace alterna lo sguardo tra mia sorella e me, rendendosi conto per la prima di quanto si fosse isolato da noi due nell’ultimo periodo.

“Tu lo sapevi?” mi domanda e io nego perché effettivamente non ne ero a conoscenza. Sapevo che Clary si era allontanata da quel tipo ma Izzy non mi aveva raccontato nulla e io non avevo chiesto. Pensandoci mi sento un amico terribile perché, pur essendomi reso conto che in Jace c’era qualcosa che non andava, ho per l’ennesima volta messo i miei problemi al primo posto e non ci sono stato quando ne aveva bisogno. Jace sospira e inizia a balbettare delle scuse, evento raro per uno orgoglioso come lui, ma mia sorella scuote la testa come a dire che non ce n’è bisogno.

“Ti aiuteremo a chiarire con lei, Jace, tranquillo si vede che le piaci. Ti perdonerà” gli dico aprendo il pacchetto di noccioline “Ora lasciamo i problemi fuori da questa casa e godiamoci questa serata insieme, ok? Ne abbiamo bisogno, tutti e tre”.


Sono rimasto piacevolmente sorpreso quando, arrivato alla panchina dell’orologio sotto cui ci eravamo dati appuntamento, ho intravisto Lydia già seduta ad aspettarmi. Basandomi su quanto tempo ci impiega mia sorella a prepararsi pensavo già che sarei stato mezz’ora lì, seduto come uno scemo ma fortunatamente non è così. Guardandola da lontano devo ammettere che, oggettivamente, Lydia è davvero una bellissima ragazza: i suoi capelli dorati sono acconciati in una morbida treccia che le scivola sulla spalla destra e la sua figura minuta e sottile è avvolta in un delicato abito corallo stretto in vita da una cintura rossa e lungo fino a poco sopra il ginocchio. A un altro ragazzo il cuore salterebbe nel petto per l’eccitazione a me invece sembra ruzzolare nelle scarpe per l’angoscia. Dannazione. Quando la raggiungo mi regala uno splendido sorriso e noto che la sua bellezza non ha bisogno di artifici per essere messa in evidenza: nessun trucco se non un filo di matita e un po’ di mascara che rendono più grandi e profondi gli splendidi occhi azzurri.

“Ormai avevo perso la speranza!” mi dice quando mi siedo a fianco a lei sulla panchina ma non percepisco nessun risentimento nella sua voce e questo mi fa piacere.

“Ehm, si, scusami” borbotto spettinandomi i capelli per il nervoso ma lei fa un gesto con la mano a dire che va tutto bene e mi prende sotto braccio tirandomi in piedi per iniziare a passeggiare. Sento una goccia di sudore freddo che scivola lungo la mia schiena anche se ho dovuto indossare un giaccone pesante poiché, dopo la pioggia dei giorni scorsi, la temperatura è scesa notevolmente e l’inverno è definitivamente tornato. Evidentemente sono solo io ad essere freddoloso visto che Lydia indossa un giacchetto leggero e ha le gambe nude ma non sembra minimamente infreddolita. Quando una palla atterra ai miei piedi, con la scusa di recuperarla, mi libero in maniera gentile della sua presa e mi avvicino a un bambino dell’età di Max che mi ringrazia e poi ritorna dai suoi amici. Per evitare di essere nuovamente arpionato da Lydia mi infilo le mani in tasca lamentandomi del freddo. So che se durante un appuntamento si finisce a parlare del tempo non è un buon segno ma non so veramente che cosa dirle e ho paura di iniziare a balbettare. Lei, al contrario, riempie il silenzio raccontandomi aneddoti sulla sua vita: è anche lei all’ultimo anno e sogna di iscriversi alla facoltà di Ingegneria per ripercorrere le orme di un suo antenato che avrebbe inventato non so quale aggeggio elettronico di cui mi sono perso il nome. Lavora solo da qualche mese nel negozio di abbigliamento come commessa per racimolare qualche soldo extra da tenere da parte per non pesare eccessivamente sui genitori che già dovranno pagare la camera nel dormitorio e la retta universitaria. Mi racconta che, essendo figlia unica, tutte le aspettative sono concentrate su di lei. Insomma, da tutto ciò che mi dice di lei ho capito che Lydia è veramente una bella persona e non solo esteticamente: è una ragazza seria, assennata, matura e intelligente anche se un po’ logorroica. Se non fosse per l’ultimo particolare direi che io e lei siamo molto simili. Questo, però, non mi fa sentire meglio perché sento che se continuassi finirei per illuderla e non è corretto nei suoi confronti. Isabelle mi ha anche avvisato, però, non posso fare altrimenti poiché questo è l’unico modo che ho per fare ciò che è giusto che faccia, per essere ciò che è normale che io debba essere. Mi dico che devo almeno provarci. Interrompo gentilmente il suo monologo e le propongo di prendere una cioccolata calda per riscaldarci. Lei ne è entusiasta e mi dice che conosce un posto dove fanno la cioccolata calda più buona del mondo e quando mi ritrovo con il naso immerso in quella delizia liscia, profumata e bollente non posso che concordare con lei.

“Te l’avevo detto!” dice soffiando sulla bevanda bollente mentre fa scivolare una mano sulla mia appoggiata sul tavolo. Lydia è una ragazza intelligente che sa quanto vale e non ha paura di prendere l’iniziativa, come ha già dimostrato, per cui lascio che mi sfiori ogni dito e che poi stringa la sua mano nella mia mentre con il pollice mi accarezza il polso. Non è una brutta sensazione, anzi, è così piacevole che decido di ricambiare il suo gesto e la stretta e in cambio ottengo un sorriso così aperto che riesco a intravedere le gengive oltre ai denti piccoli e bianchi. Non avverto, però, nessuna scarica di adrenalina, nessun brivido lungo la schiena e, quando le guardo la bocca, non ho il desiderio bruciante di avvicinarmi a lei e assaggiare il sapore della cioccolata mischiato al suo. Al contrario, uno tsunami mi investe in pieno quando, richiamato da una risata cristallina, il mio sguardo si posa sull’uomo morbidamente appoggiato alla cassa che chiacchiera con una splendida ragazza dai capelli così biondi da sembrare bianchi, nei quali spiccano ciocche di capelli blu. Anche se ho visto solo due volte quelle spalle larghe qualcosa dentro di me mi dice che sarei in grado di riconoscerle anche in mezzo a una folla immensa. Le dita ingioiellate che stringono una tazza di porcellana finemente disegnata, i glitter che riflettono la luce, i morbidi capelli neri, le cui punte sono state tinte di un delicato color mogano, tenuti su dal gel sono solo delle conferme di ciò che il mio cuore, che ha preso a battere furioso nel mio petto, ha capito già minuti fa. Lydia stringe la mia mano più forte per richiamare la mia attenzione e quando guardo il suo viso leggo solo un enorme confusione.

“Ehi? Alec, è tutto ok?” mi chiede sussurrando mentre il sorriso che prima dominava il suo viso inizia a smorzarsi. Torno a rivolgere gli occhi verso il bancone per recuperare tempo ed elaborare una risposta ma proprio in quell’istante Magnus si volta verso di noi e mi riconosce. Lo capisco perché si sposta un ciuffo ribelle, spalanca gli occhi e li strizza come se non ci credesse. Ci fissiamo per qualche secondo e vorrei riuscire a distogliere l’attenzione da quei magnetici occhi che mantengono la loro bellezza anche senza il solito trucco. Purtroppo non sono mai stato così debole come invece sono da quando l’ho visto la prima volta. È lui il primo a distogliere lo sguardo quando la ragazza che è con lui gli stringe un braccio richiamando la sua attenzione. Dal sorriso che le rivolge capisco che è lei la persona con cui stava parlando al cellulare qualche giorno fa quando mi ha lasciato davanti a casa mia. Visto quanto sono belli, anche se lei indossa dei semplicissimi jeans e un maglioncino, penso sia nello schema naturale delle cose che quei due stiano insieme. Il modo in cui la tocca, il modo in cui le parla, la confidenza che ha con il corpo di lei mi spezzano il cuore e nemmeno la cioccolata calda che mi era apparsa spettacolare ha più lo stesso sapore. Cerco di fare un sorriso forzato a Lydia che nel frattempo ha abbassato lo sguardo sulla sua tazza con un’espressione pensierosa sul viso, le nostre mani ancora unite. La ragazza che è con Magnus fa un cenno con il capo nella mia direzione, dedicandogli un occhiolino, e lui si volta di nuovo verso di me con una risatina che- passatemi l’aggettivo- trovo deliziosa ma che si smorza quando i suoi occhi si posano sulla mia mano stretta in quella di Lydia. Il biscotto che mi sono ficcato in bocca per non dover parlare mi si incastra in gola mentre Magnus mi dà di nuovo le spalle, paga e si allontana stringendosi la ragazza che è con lui addosso. Mi sento come se un pallone di pallavolo mi sia stato lanciato addosso e mi abbia colpito in pieno nello stomaco. Più cerco di dimenticarlo più lui è lì pronto a ricordarmi perché anziché allontanarlo vorrei che mi stesse addosso, schiacciandomi con quel corpo asciutto, duro e cado, permettendomi di accarezzare quella pelle, di assaggiarla…di mangiarlo. Lydia che per tutto il pomeriggio ha riempito il silenzio tra noi due è diventata silenziosa e l’aria tra di noi è così densa che si potrebbe tagliare. Mentre è in bagno io pago le due cioccolate e la aspetto seduto sulla giostra a gettoni che si trova all’esterno del locale. La temperatura è calata bruscamente, visto che il sole ha iniziato a tramontare e lei trema quando il vento, leggero ma pungente, le accarezza la pelle. Anche se so che rischio l’ipotermia, le cedo la mia giacca e lei mi rivolge nuovamente un sorriso quando mi avvicino a lei e le chiudo la zip fin sotto al mento. Sulla strada verso casa sua mi riempie di domande e l’atmosfera ritorna piacevole al punto che mi lascio andare e le parlo di Max, di Izzy e di Jace.

“Dev’essere bello avere qualcuno di cui prendersi cura e che si prende cura di te. Io sono sola e anche se così ho avuto tutta l’attenzione dei miei genitori su di me mi è mancato un complice” dice con una nota malinconica nella voce e questa volta sono io ad avvicinarmi a lei per passarle un braccio sulle spalle, dandole consolazione e rubando un po’ di calore dal suo corpo. “Lo avevo trovato, il mio migliore amico John, ma un incidente stradale me lo ha portato via” confessa con la voce rotta e anche al buio posso vedere i suoi occhi riempirsi di lacrime.

“Oh, cavolo, mi dispiace tantissimo. Senti Lydia, io…non posso farlo. Pensavo che fosse la cosa giusta ma non lo è. Io non so come funziona tutto questo, non ho mai avuto una ragazza ma penso si sia capito. Se ti va possiamo iniziare a conoscerci, frequentarci come amici e vedere come vanno le cose, che ne dici?” le chiedo balbettando incerto un paio di volte. Lydia merita molto di più di ciò che io posso offrirle ma è una bella persona e sarei onorato di poterla conoscere meglio, anche solo come amici. Lei si ferma, mi guarda dritto negli occhi poi mi abbraccia stringendomi forte. Sono sicuro di essere bordeaux ma ricambio la sua stretta e le do delle patetiche pacche sulla schiena.

Non devi giustificarti. Sono contenta tu sia stato sincero con me, sei un bravo ragazzo Alec. Io ci sto, vediamo come va” dice mentre mi sorride per l’ennesima volta. Quando si alza sulle punte e si avvicina al mio viso guardandomi intensamente inizio a tremare per paura che stia per baciarmi. Sento tutti i miei muscoli tendersi, come se dovessi fuggire da un secondo all’altro, mentre prego che non lo faccia perché, contrariamente a quello che era l’obiettivo di questa uscita, mi trovo a pensare che non è lei quella giusta, che non voglio tutto questo, che non voglio che il mio primo bacio sia con lei. Voglio che sia con Magnus. Oh porca… Fortunatamente lei devia e mi bacia sulla guancia prima di restituirmi la giacca, attraversare il cancelletto ed entrare in casa lasciandomi fermo sul marciapiede con la mano premuta sul viso, come nei peggiori film d’amore per le adolescenti, mentre lascio andare quel respiro che non mi ero reso conto di aver trattenuto. Scuoto la testa e mi volto per tornare a casa mia quando riconosco proprio la sua macchina che si avvicina. Cosa ci fa Magnus qui?

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Capitolo 7
*** Per ogni desiderio ci si deve porre questa domanda... ***


A quest’ora cosa dovrei dire: buongiorno o buonanotte? Avevo detto che avrei aggiornato prima e, detto fatto, eccomi qui. Aggiorno oggi e non venerdì come al solito, perché sabato sono invitata a un matrimonio e devo ancora fare delle cose. Per di più oggi c’è/c’era l’#AlecAppretiationDay *-* e twitter era invasa da foto e gif meravigliose del nostro amato Alec!

Anyway (da quando ho twitter e ho scoperto di essere una schiappa nel parlare inglese lo infilo un po’ dappertutto) volevo ringraziare (direte voi: di nuovo? Ebbene sì) tutte le splendide persone che seguono la mia storia! Grazie (per l’ennesima volta) a:
shamarr79, LaVampy, S h a d o w h u n t e r _, HeySebastian, miky9160, Mrs_Cobain951, Darkswan97 e la nuova arrivata cristal_93 (che ha avuto la pazienza di chiacchierare un intero pomeriggio con la sottoscritta) che hanno recensito questo capitolo. Non smetterò mai di dirvi quanto il vostro supporto sia importante e quanto mi faccia piacere leggere le vostre impressioni: è una cosa stimolante ed emozionante! Per di più alcune di voi sono anche delle autrici bravissime, originali e talentuose e se non sono ancora passata a recensire lo farò appena avrò un minutino libero. Consiglio a tutti di farsi un giro tra le loro fan fiction, sono dei capolavori. Grazie anche ai lettori silenziosi (io vi vedo!) e alle persone che inseriscono questa storia tra le seguite, preferite e ricordate e che sono sempre di più. La smetto di annoiarvi e come al solito mi scuso per eventuali errori nel testo ma se le altre volte qualcuno lo individuo in tempo a quest’ora sono fusa.
Un bacio, Maddalena.

Ps: visto che sabato è anche il mio compleanno (si, la tipa si sposa il giorno del mio BDay *sigh*) che ne dite di farmelo voi un bel regalo e farmi sapere cosa ne pensate di questo capitolo? Ho un po’ d’ansia!

Pps: Se vi va immaginateli così

.

L’elefante e la farfalla

Capitolo 7: Per ogni desiderio ci si deve porre questa domanda…

 

Fingo di non averlo notato e continuo a camminare a testa bassa ma capisco che lui è uscito dalla macchina quando sento prima il rumore dello sportello che si chiude e poi il suono delle portiere che vengono bloccate. La tentazione di voltarmi e guardarlo è fortissima ma cerco di resistere: in fondo l’ho appena visto andar via con la sua fiamma, di sicuro non sta cercando me.

“Ehi, Alexander!

Evidentemente mi sbaglio, penso quando mi chiama a voce alta per farmi fermare e il mio cuore salta non uno ma ben due battiti. Mi volto e lo guardo camminare verso di me, per nulla stupito considerando che lui è Magnus Bane, che non acceleri la sua andatura fluida anche se io sono lì impalato ad aspettarlo. Il cappotto blu lungo fino al ginocchio che indossa, e che persino uno poco ferrato come me riconosce come di ottima fattura, è lasciato aperto e ondeggia mosso dal vento. Un enorme sciarpa arancione a righi gialli e rossi-non sono sicuro che tanti colori possano essere messi insieme ma è anche per questo che io indosso solo nero, blu e raramente abiti grigi- gli avvolge il collo senza nascondere, per fortuna, il sorriso che mi rivolge, che mi fa sentire le ginocchia di gelatina e mi fa venire l’acquolina in bocca per la voglia che ho di baciarlo, ovunque. Ormai quasi mi imbarazzo con me stesso per ciò che penso di fargli. Se fino a qualche secondo fa stavo tentando di recuperare il calore perso nel tragitto fino a casa di Lydia senza la giacca, adesso è come se tutto il sangue fosse salito al mio viso: lo sento bollente rispetto al resto del corpo. Non so dire se i brividi che mi accarezzano la pelle sono dovuti al freddo o alla presenza di Magnus ma qualcosa mi dice che è la seconda opzione quella giusta. “Ciao” ripete sussurrando mentre il suo sguardo e la sua voce mi scivolano addosso ed è una sensazione così potente che mi sento come se avessi le sue mani sul mio corpo. Si è proprio la seconda opzione.

“C…c…iao” balbetto come un idiota mentre mi si ferma davanti, il vento che porta fino a me il suo odore spettacolare “Che…che ci fai qui?”

“Ho accompagnato Cat a casa sua, la ragazza che era con me al bar. Abita da queste parti e passando con l’auto ti ho visto insieme alla tua ragazza e così…”

“Ah, si, ehm Lydia. Abita qui, l’ho riaccompagnata” non so perché non nego quando lui definisce Lydia, la mia ragazza. Mi sento un pazzo a pensarlo ma mi è sembrato che nella sua voce ci fosse una punta di nervosismo quando lo ha detto, quasi di…gelosia. Che illuso, eh?

“E ora torni a casa?” chiede iniziando a camminare nella direzione che stavo seguendo precedentemente e io mi limito a fare un cenno di assenso con il capo mentre lo seguo.  Non riesco a interpretare i suoi gesti, il perché della sua presenza al mio fianco, ma è tutto troppo bello per essere vero e non voglio far nulla che possa far finire tutto questo. Anche se stiamo in silenzio non è spiacevole, anzi. Ogni tanto, mentre cammino, giro lo sguardo verso di lui e lo trovo a fissarmi accigliato, confuso e con una strana luce negli occhi; altre volte, invece, è concentrato sulla strada e sono io che lo fisso cercando di rubare quanti più dettagli possibile. Il suo passo è lento e i suoi movimenti sono aggraziati e composti mentre io sembro inciampare nell’aria e più di una volta non riesco a schivare qualche altro pedone frettoloso. Ho ancora qualche difficoltà a gestire il nuovo corpo che mi ritrovo a causa dell’improvviso sviluppo adolescenziale. Il sole ora è definitivamente calato e l’aria è diventata ancora più pungente. Il freddo mi fa pizzicare la punta del naso che si sta arrossando, così come le guance, e sono sicuro che in questo momento avrò un aspetto ridicolo visto quanto risalta il rossore sulla mia pelle pallida. Manco fossi Biancaneve. Per l’agitazione poi, non faccio che leccarmi e mordermi le labbra e il freddo me le sta sicuramente screpolando. Magnus è troppo perspicace per non accorgersi di ciò e quando lo vedo avvicinarsi ancora di più, la tentazione di rubare un po’ del calore del suo corpo è così forte che devo trattenermi dall’allungare le braccia e abbarbicarmi stile piovra al suo corpo. Dio, solo pensare di poterlo toccare mi fa sentire brividi dappertutto

“Diamine! Hai freddo, vero?” mi domanda e prima che possa fermarlo fa scivolare un braccio intorno alla mia vita e mi attira a sé. Anche se per un secondo mi assale il panico, perché siamo in strada e siamo troppo vicini perché non possa essere considerata una situazione equivoca, mi dico che è troppo buio perché qualcuno possa fare attenzione a noi e cerco di godermi il momento. Adoro la sensazione di protezione che avverto quando mi stringe forte: è come se insieme potessimo sconfiggere un esercito di demoni, persino quelli invisibili che ci riducono a brandelli il cuore e ci fanno credere di non meritare nulla di buono. Essendo imponente, nel senso di alto e grazie all’allenamento anche abbastanza muscoloso, ho sempre l’impressione di essere io “quello che abbraccia”, quello che avvolge e protegge. Inconsciamente, ho sempre desiderato provare la sensazione inversa, quella di essere avvolto, completamente circondato, non satellite ma centro della galassia, parte di due cose che diventano una. E’ una piccola cosa melensa, quasi da diabete, ma con Magnus, che è qualche centimetro più alto di me anche se più magro, riesco finalmente a provarla questa sensazione e mi sconvolge che io stesso non sapessi di averne così tanto bisogno. Non bastasse il calore che emana, quando alzo il viso e mi accorgo di quanto vicino sia il suo, una vera e propria scarica elettrica mi attraversa il corpo e cancella tutto se non il desiderio di azzerare lo spazio che ci separa. Deglutisco rumorosamente.
 

“Hai ancora freddo?” chiede a due centimetri dal mio viso e il panico che si diffonde nel mio corpo mi spinge a fare un passo indietro. Poi un altro. E un altro. Lui mi segue fino a che non mi ritrovo con le spalle al muro e il fiato mi esce dai polmoni neanche mi ci avesse sbattuto contro. Per un attimo restiamo immobili a fissarci l’un l’altro mentre i nostri respiri si fondono nella breve distanza tra noi. Per quanto possa essere inesperto e ingenuo ciò che leggo nei suoi occhi è un desiderio quasi palpabile che mi fa schizzare il cuore in gola. Avevo voluto fortemente, quando Lydia si era avvicinata a me, che non mi baciasse folgorato dalla consapevolezza di sognare che il mio primo bacio fosse con Magnus. Ora che me lo sento premuto addosso, che le mie mani scorrono sui suoi fianchi come dotate di vita propria e i polpastrelli pizzicano dalla voglia di accarezzare la sua pelle nuda, mi riscopro ad essere confuso, a domandarmi se voglio davvero che accada. Ho paura di rendermi ridicolo, che lui possa essere deluso e non voglia più avere a che fare con me; di diventare dipendente da questa sensazione, dal suo profumo di sandalo e incenso, dal calore del suo corpo e da come accende il mio. Ho paura di ciò che le emozioni che suscita in me vogliono dire ma soprattutto sono terrorizzato perché non mi sono mai sentito così vivo, felice e giusto come ora, mentre i suoi occhi saltano dai miei alla mia bocca. Qualsiasi pensiero razionale, qualsiasi timore, sparisce nel momento in cui solleva una mano e mi accarezza il viso, la sensazione dei suoi polpastrelli sulla mia mascella, delle dita che mi accarezzano come un violinista fa col suo strumento: con delicatezza e devozione. Non contano né Lydia, né i miei genitori, le regole e le opinioni altrui e non conta nemmeno il fatto che non so quale ruolo ha quella ragazze nella sua vita o quale ruolo potrei avere io. Conta solo lui. Conta solo questo momento. Per un battito di ciglia la sua bocca è sulla mia: le labbra si toccano, semplicemente sfiorandosi, e poi di nuovo, mentre ci scambiamo il respiro. Non sapendo come comportarmi mi limito ad aspettare una sua mossa, i pugni stretti sulla stoffa morbida della camicia che indossa al di sotto del cappotto. Sono tremendamente consapevole di ogni centimetro del suo corpo a contatto con il mio, del suo ginocchio che preme contro la mia gamba, della sua mano che stringe la mia nuca per tenermi fermo, quasi temesse che sparissi da un secondo all’altro, di ogni respiro che si infrange sulla mia pelle. Sembra che sia passato solo un secondo quando lui si tira indietro improvvisamente e mi guarda spalancando gli occhi, nelle iridi verde-oro un conflitto: allontanarsi o stringermi più forte. Non so quale sarebbe la sua decisione ma non gli lascio la possibilità di scegliere; non sono disposto a lasciare che duri così poco. Lo riacciuffo e gli stampo un frettoloso e disordinato bacio sulle labbra. Si conquista definitivamente un posto d’onore nel mio cuore nel momento in cui le sue labbra si distendono in un dolce sorriso sotto le mie mentre ridacchia e le sue mani scivolano sulla mia schiena spingendomi di più contro di lui. Le nostre labbra si scontrano a piena forza e io sono completamente immobile, senza respirare, senza muovermi, semplicemente assaporando il contatto. La bocca di Magnus è morbida e soffice come l’avevo immaginata e devo ammettere che non mi dispiace, anche se preferirei assaporare a pieno il suo sapore, sentire quello del suo lucidalabbra, pensare che ora anche le mie labbra ne sono ricoperte.  Finalmente sono libero di realizzare il mio desiderio e far scorrere le dita nei suoi capelli così maledettamente perfetti. Deve piacergli molto visto il sospiro che rilascia dritto sul mio viso mentre tremando si stringe a me. Da quel momento tutto si infuoca, tutto diventa disperato: il modo in cui la sua lingua mi sfiora la bocca, chiedendomi il permesso e facendo tremare me, questa volta, di passione e incertezza; la lentezza nonostante la dirompenza del bisogno; le nostre mani che sembrano voler toccare tutto nello stesso istante ma che finiscono per intrecciarsi l’una all’altra come se quel contatto sia l’unica cosa che ci permette di conservare un barlume di lucidità. Stavolta la sento la scossa di adrenalina che accelera il mio respiro già mozzato dal bacio e il battito del mio cuore, che ormai mi galoppa nel petto. Mi lascio scappare un gemito e Magnus interrompere di nuovo il bacio, ansimando anche lui mentre si ritrae.

“È stato…” inizia ma poi, quando incontra i miei occhi, qualsiasi cosa ci legga dentro lo spinge a baciarmi di nuovo. E ancora. Ancora.

“Intenso” sospiro sulla sua bocca e lui rilascia un suono a metà tra uno sbuffo e una risatina che trovo assolutamente adorabile: mi fa pensare alle fusa di un gattone in cerca di coccole e io sono più che disposto a riservargliene molte. “Ti ho messo in disordine i capelli” dico mentre allungo le mani per sistemarli, le sue ora strette intorno ai miei fianchi. Il fatto che non riusciamo a parlare se non sussurrando, rende questo momento così intimo, di un’intimità che non pensavo avrei mai avuto con qualcuno.

“Lascia stare. Mi piace l’idea di andare in giro con l’aspetto così stropicciato. Guardandomi tutti mi invidieranno perché ho reso qualcuno, in questo caso uno splendido esemplare di maschio dai capelli neri e dai profondi occhi blu- la mia combinazione preferita se non lo avessi notato- così voglioso che mi ha messo sottosopra. O in qualsiasi posizione tu abbia voglia di sperimentare, sia chiaro” come se non bastasse la frase in sé sceglie di accompagnarla a un occhiolino che mi fa accendere il viso di ogni tonalità dal rosso al viola mentre sento le sue mani che, dalla base della schiena, iniziano a scivolare più giù. “Ti va di far felice un povero diavolo?”

“Dipende. Cosa vuoi?”

Te” sussurra sfiorandomi il naso con il suo “più precisamente vorrei mi permettessi di verificare una teoria” lo guardo confuso e il sorriso malizioso che mi rivolge mi toglie il respiro “Vorrei mi lasciassi testare se questo sedere è veramente il più perfetto che io abbia mai visto o se mi sto sbagliando, cosa che non credo sia possibile” Il fatto che sia così serio mentre lo dice è la cosa che mi sconvolge più di tutte ma alla fine, con le orecchie in fiamme per la vergogna, acconsento. “Oh per Lilith, sono un genio! Ora posso anche morire felice” borbotta scostandosi da me per avviarsi nella direzione che stavo percorrendo. Camminiamo a passo lento, come se nessuno dei due abbia voglia che questo momento finisca, parlando del più e del meno. Mi racconta del suo barista, collaboratore, socio e migliore amico Ragnor che per motivi di salute è rimasto a casa e per questo ha saltato il turno e dell’imminente party a cui è stato invitato dopo aver partecipato a un servizio fotografico per una casa di alta sartoria Italiana. Anche lui come Lydia è un po’ logorroico ma, in Magnus, mi riscopro a trovare questo “difetto” un qualcosa che adoro profondamente: il suono della sua voce, come accarezza le parole, mi fa impazzire. Starei ad ascoltarlo per ore e poi è un sollievo per me non dovermi sforzare di mettere insieme le parole per poi finire a balbettare come un idiota.  Parliamo di tutto, però, tranne quell’unica cosa che mi prende a pugni il cervello, che lampeggia nella mia mente come un insegna al neon. Ti vedrò ancora?
Lui non accenna nulla su quanto è successo e su quello che potrebbe o vorrebbe succedesse e io sono troppo imbarazzato e timoroso di sembrare già appiccicoso. Per questo resto zitto, anche se sono tentato di chiedergli il numero o di dargli il mio, nel caso l’abbia perso. Camminiamo spalla a spalla fino a pochi isolati di distanza da casa mia poi, a malincuore, sono io ad allontanarmi da questo contatto. Magnus non dice nulla, anche se mi regala uno sguardo desolato e confuso. Fermi a qualche passo dal cancello di casa mia, avvolti nel buio, alza le mani come se volesse sfiorarmi il viso ma poi le ferma a mezz’aria e finisce per sistemarsi i capelli.

“Dovrei andare. Grazie per avermi accompagnato, di nuovo. Grazie…di...tutto” balbetto domandandomi se, un giorno, riuscirò a dirgli qualcosa senza che muscoli e cervello vadano in tilt.

“E’ stato un piacere” mi aspetto aggiunga qualcosa ma non lo fa e io devo ingoiare la delusione che come un macigno si deposita sul mio petto “Ora devo andare al club. Buonanotte, Alexander” mi sfiora la bocca con un bacio a cui non ho tempo e modo di reagire e si allontana. Niente numero di telefono, nessuna promessa di rivederci ancora, nessun commento. Mi avvio anch’io verso casa con il morale un po’ a terra ma stavolta, quando mi volto, lui è lì, fermo a metà del marciapiede che guarda verso di me. Sono sicuro che il mio sorriso è così luminoso che da solo basterebbe a illuminare il quartiere. Tornato a casa più che di una doccia calda per riprendermi dal gelo che è calato sulla città ho dovuto fare una doccia fredda per calmare l’eccitazione provocata da quanto accaduto. Se chiudo gli occhi riesco a sentire ancora il profumo di Magnus che mi avvolge, il suo calore, la presa delle sue braccia sui miei fianchi, la morbidezza delle sue labbra. Solo quando sono nel mio letto tutto il peso di quanto accaduto inizia a scontrarsi con la meraviglia delle sensazioni provate e i dubbi vengono fuori. Sento di non aver fatto un vero passo avanti ma di aver solo ampliato il numero di incertezze e paure che covo nell’anima. Magnus ha una personalità dirompente come dimostra la disinvoltura con cui si muove o si approccia, il suo stile e la ricercatezza del suo abbigliamento, la consapevolezza e il controllo che ha del suo mondo e di ogni centimetro del suo corpo. Il suo carattere è volubile e ha così tante sfaccettature che desidero conoscere una ad una ma che, ad oggi, mi fanno sentire indeciso su tutto, con mille possibili scenari in testa e nessuno che mi appaia plausibile. Lo conosco da così poco e così poco ma questo non sembra essere influente per il mio corpo o per il mio cuore e neanche per la mia testa visto che è piena di lui in ogni momento, da quando l’ho incontrato. Forse c’è sotto un incantesimo, forse quei drink sono stregati con filtri d’amore. Amore? No, cosa?!
Mentre cerco di svuotare il cervello già annebbiato, prima di lasciarmi andare definitivamente alle braccia di Morfeo, una frase di Epicuro letta in classe qualche tempo fa mi balza in testa:

 "Per ogni desiderio ci si deve porre questa domanda: che cosa accadrà se il desiderio sarà esaudito, e che cosa se non lo sarà?"


Il giorno dopo vago con la testa tra le nuvole, incurante dei professori, delle occhiatacce che mio padre ancora mi rifila e degli sguardi curiosi di Izzy che sicuramente attribuisce questo stato di cose alla mia uscita con Lydia. La comparsa di Magnus e quanto è successo dopo, quello spettacolare bacio che se solo ci penso devo appoggiarmi al muro visto come mi fa girare la testa, mi sono sembrati un segno del destino, una conferma di ciò che ho sempre saputo. Non posso fingere di essere chi non sono, non posso prendere in giro un’altra persona, soprattutto non Lydia che merita il meglio in assoluto. Ho finalmente deciso di ammettere almeno con me stesso la verità. Io sono gay. Questo non vuol dire che io sia pronto a rivelarlo al mondo o chissà cosa: continuerò a tenere nascosto ciò che sono e ciò che desidero agli altri. Mi fa sentire più leggero, però, aver smesso di prendermi in giro da solo. Sono così preso da me stesso e dalla nuvoletta di glitter su cui mi sembra di essere steso che non mi accorgo dell’agitazione che invece ha addosso Jace fino a quando, con il continuo agitarsi della sua gamba, quasi non rovescia il bicchiere d’acqua che ho sul vassoio.

“Jace, è tutto ok?” gli domando posando una mano sul suo ginocchio per fermare il convulso tremolio che lo ha colpito. Qualche settimana fa non mi sarei azzardato a toccare Jace in una zona “critica” come il suo ginocchio ma l’incontro con Magnus ha avuto sicuramente una conseguenza positiva da questo punto di vista: mi ha liberato dalle fette di prosciutto che avevo sugli occhi. Ho capito che l’infatuazione che provavo per Jace dipendeva solo ed esclusivamente dal fatto che, a parte Raphael che ho conosciuto solo successivamente, lui è stato l’unico ragazzo con cui sono mai stato in confidenza al punto da poter pensare di provare qualcosa per lui; qualcosa in più dell’affetto fraterno, che invece provo, solo perché era l’unico nel mio raggio d’azione. Non riesco a decifrare lo sguardo che mi rivolge dopo aver osservato confuso la mia mano che ancora lo stringe ma questo mi mette così a disagio che la ritraggo subito. Jace, al contrario, mi fa un sorriso enorme, che non fa altro che confondermi, prima di lasciarsi nuovamente andare allo sconforto.

“Stasera proverò a chiarire con Clary” mi dice dopo aver preso un profondo respiro “Ma ho seri dubbi che possa perdonarmi visto quanto tempo è passato. Alec non mi sono mai sentito così prima, è come se avessi trovato un pezzo di me stesso che non sapevo nemmeno mi mancasse. L’ho baciata, peggio la desideravo. Mi ha fatto provare cose che non pensavo di poter provare. Ho creduto di potermi innamorare di lei” si confessa con me e per la prima volta questo non mi fa soffrire. Al contrario, mi fa sentire in pace col mondo perché posso finalmente fornirgli tutto il mio supporto. Prima dovevo fingere di essere felice per lui mentre mi sentivo morire dentro e forse non sono mai riuscito ad essere pienamente obiettivo e di supporto come si suppone debba essere un migliore amico.

Non c’è nulla che non va in te. Jace non posso dirti come andrà ma di una cosa sono certo: tu le piaci. Ho visto come la guardi ma ho visto anche come ti guarda lei. Fidati di me.” cerco di risollevargli il morale e tutto quello che dico, sorprendentemente, lo penso veramente. La rossa, per quanto cercasse di fare la sostenuta, lanciava degli sguardi a Jace, quando questi era distratto, che dichiaravano quanto fosse in realtà una messa in scena per non mostrarsi presa da lui. Non posso biasimare Clary: Jace ha la fama di uno che si stanca presto, soprattutto se la ragazza si affeziona e diventa appiccicosa. Lui non vuole un’oca pronta a fare quello che vuole solo per tenerselo stretto ma una ragazza che sappia tenergli testa, che abbia rispetto per se stessa e che non lasci che un ragazzo calpesti la sua dignità. Era questo uno dei motivi per cui la odiavo così profondamente: per quanto presa da Jace aveva capito quale era il segreto per conquistarlo e ci era riuscita. Sarà pure scontato ma per uno come Jace, abituato ad essere al centro dell’attenzione, giocare a fare il topo con il gatto è una mossa vincente. “E’ solo che la situazione ti confonde. È come se avessi già pianificato la tua vita, sapessi esattamente cosa fare e quali sono le tue responsabilità” gli dico e quando le parole mi escono di bocca mi rendo conto che forse non sto più parlando della sua situazione ma della mia “Pensi che se seguirai le regole tutto andrà bene, poi arriva qualcuno e ti fa deviare dal tuo cammino e tu…puoi solo fidarti del tuo istinto e scegliere un nuovo percorso sperando che ti porti alla meta” Sospiriamo entrambi e mentre ripenso a come quei due si guardavano mi domando se anche io guardo Magnus allo stesso modo e se lui se ne è accorto. Sto già per iniziare l’ennesimo “rewind” di quei minuti di paradiso ma cerco di ritornare lucido e sulla questione Clace. Evidentemente ho fallito perché quando Izzy ci raggiunge al tavolo, il suo sguardo rimbalza come una pallina da ping pong tra me e Jace prima di esordire con un:

“Ok, voi due siete veramente patetici

Si siede al tavolo con noi, poi afferra il cellulare e dopo aver smanettato per qualche secondo lo solleva verso di noi. “Comunque Jace ho parlato con Simon…” sei parole che hanno il potere di richiamare la sua attenzione “Ha convinto Clary ad andare al Pandemonium…” un nome che ha il potere di richiamare la MIA attenzione “perché uno dei ragazzi che suona nella band di Simon è anche DJ e ha ottenuto la possibilità di suonare lì questo sabato. Magnus gli ha fatto sudare sette camicie prima di concedergli quell’opportunità e loro vogliono andare a sostenerlo e visto che Clary è sempre alle loro prove lo conosce.”

“Ok, va bene ma anche io avrò bisogno di tutto il vostro sostegno dopo che avrò calpestato il mio orgoglio per quella piccola pel di carota: di tutti e due” borbotta guardandomi dritto negli occhi, già pronto a un duello verbale per convincermi ad andare in discoteca. Stavolta non ce ne sarà bisogno, non vedo l’ora di rivedere Magnus.

“Ci sarò” ed entrambi mi guardano sorpresi e sollevati mentre il mio cuore si riempie di una nuova speranza.

Caro Epicuro,
se ci sarà una qualsiasi conseguenza per il mio desiderio esaudito di baciare Magnus, forse sabato scoprirò quale è.

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Capitolo 8
*** Come se non mi avessero mai visto ridere di gusto. ***


Salve a tutti! Oramai sono praticamente obbligata a scrivere e pubblicare a questi orari assurdi causa “preparazione esame”. Vi ringrazio per la sincerità e per avermi detto quello che secondo voi era mancato nel capitolo scorso. Le recensioni che mi avete lasciato, sebbene tutte positive, mi hanno lasciato con un bel po’ di dubbi e insicurezze e oggi pubblico questo capitolo piena di ansia da prestazione e paure. In parte questi mie complessi nascono anche dalla voglia di soddisfare voi, che dedicate il vostro tempo alla lettura del capitolo e a lasciarmi un’opinione. E’ per questo che come al solito mi prendo uno spazio per ringraziare tutte le splendide persone che hanno recensito:

cristal_93, LaVampy, Darkswan97, Mrs_Cobain951, miky9160, danim e HeySebastian.

Un grazie speciale va a una persona che mi sostiene fin dall’inizio e che prova in ogni modo a convincermi che sono “meno peggio” di quello che penso. Grazie Shamarr79 per la splendida persona che sei in primis e poi per l’essere una spettacolare autrice e scrittrice in grado di suscitare in me delle emozioni uniche. Grazie anche per il regalo inaspettato, mi hai scaldato il cuore.

Questo capitolo è per te! Spero non ci siano persone perverse o isteriche ;)

Un grazie a tutti coloro che mettono la storia nelle seguite, ricordate o preferite; crescete ogni giorno di più e questo per me è motivo d’orgoglio e motivazione.

È uno dei capitoli più lunghi, quasi 6000 parole, per cui non mi dilungo ulteriormente. Scusate i soliti errori di punteggiatura e grammaticali; se non li vedo quando sono lucida figuriamoci alle 2:40! Ci si legge nelle recensioni, aspetto le vostre opinioni. Un bacio, Maddalena.

L’elefante e la farfalla

8: Come se non mi avessero mai visto ridere di gusto

 

Inutile dire che sono stato praticamente intrattabile per tutta la giornata, troppo elettrizzato e con le aspettative a mille. Anche ora, in attesa davanti al locale, non riesco a smettere di torcermi le mani e ho il cuore a mille per l’agitazione.

Chico, non so te ma io non vedo l’ora di essere là dentro! Chissà che non sia la mia serata fortunata” Raphael mi ha praticamente costretto a portarlo con noi e io ho accettato anche se questo avrebbe reso il tutto più complicato: più occhi indiscreti su di me, meno possibilità di sgattaiolare via per passare un po’ di tempo con Magnus. Sempre che quest’ultimo abbia voglia di passare del tempo con me, visto che in teoria ha il mio numero eppure non mi ha contattato per giorni interi. Izzy è sempre più confusa dal mio comportamento e anche se mi ha chiesto cento volte come sia andato il mio appuntamento con Lydia non ha mai ottenuto più di un “bene”. Penso di averla sconvolta quando non ho battuto ciglio e non l’ho rimproverata, come faccio di solito, per aver portato quel Meliorn con sé. Non che lei abbia mai seguito i miei consigli o mi abbia mai dato “autorità” come fratello maggiore. Ascolta sempre quello che ho da dire e so che fa tesoro di ogni mia parola, perché sa che derivano dal bisogno di proteggerla, eppure continua a fare di testa sua. La reputazione del ragazzo non è delle migliori: diciamo che non tiene esattamente un basso profilo. Isabelle mi dice sempre di non preoccuparmi ma so che se lui facesse qualcosa di sbagliato ne resterebbe ferita, anche se, parole sue, non sono fidanzati e lui può fare quello che vuole purché non le manchi di rispetto. Sta di fatto che io e Jace aspettiamo solo una sua mossa falsa. Questa sera, però, per la prima volta, ho provato a mettermi nei panni di Izzy: se lei prova almeno la metà di ciò che provo io per Magnus, come potrei chiederle di stargli lontano? Anche Magnus, in fondo, non sembra la persona giusta per me eppure io sento che è così, che siamo fatti per stare insieme. Non so come potrebbero andare le cose tra di noi, se lui è disposto ad avere qualcosa di serio con me o mi considera un capriccio, se è disposto a nascondere al mondo qualsiasi cosa nasca tra di noi solo perché io vorrei così. Sarei così egoista a chiedergli una cosa del genere, che a volte penso sarebbe meglio allontanarmi da lui prima di perderci la testa e il cuore. Poi mi dico che sto solo costruendo dei castelli di sabbia, che magari a lui non frega nulla di me e mi sto angosciando per nulla. Non che questo mi faccia sentire meglio. In qualunque modo andranno le cose so solo che, per una volta, voglio vivermela fino in fondo. Il locale è strapieno come al solito e il ragazzo che suona stasera è davvero in gamba- cosa piuttosto strana detta da me, insolito che io trovi la musica da discoteca piacevole. Per quanto ritmata, come impone la regola, non fracassa i timpani ed ha un nonsoché di sensuale che la rende perfetta per l’ambiente, perfetta per un tipo come Magnus. Ascoltandola la mia mente vola a quella sera, alle sue dita arpionate ai miei fianchi, premute a fondo nei muscoli della schiena, ai suoi capelli e ai glitter che mi sono ritrovato addosso il giorno dopo. E un sorriso idiota mi compare sul viso nel sentire quel calore al centro del petto, allo stomaco. Guardo verso il bancone sperando di beccarlo lì ma lui non c’è, così, anche se a malincuore, mi infilo tra la folla insieme a Izzy e al resto della combriccola. Al di sotto della console riconosco Simon e Clary che si agitano, sollevano il pugno verso l’alto e sorridono al ragazzo completamente immerso nel suo lavoro di Dj. Il sorriso sul volto di Clary si smorza nel momento in cui Jace si avvicina a lei e le afferra con delicatezza il gomito. Li osservo scambiarsi delle frasi, lei sembra agitata e nervosa, lui è teso da morire, poi si allontanano insieme, spintonando la folla per cercare un posto silenzioso in cui parlare. Simon li osserva con l’espressione abbattuta che per molto tempo ha dominato sul mio viso e capisco che, l’occhialuto migliore amico, ha una cotta per Clary. Provo quasi pena per lui quando si volta e trova Izzy che balla con Meliorn, completamente appiccicata a lui. Innamorato della pel di carota o no, anche lui non è indifferente al fascino di mia sorella. Raphael intanto sembra sparito chissà dove e non so se arrabbiarmi o sorridere per il suo comportamento. Lasciato da solo inizio a farmi spazio tra la folla per raggiungere il bancone e chiedere di Magnus a qualcuno dei suoi barman. Quando arrivo, però, proprio lì trovo Raphael, appoggiato al bancone, che sorseggia qualcosa da un bicchiere mentre lancia sguardi di fuoco a uno dei barman, l’unico ad avere indosso una camicia anche se di uno strano color senape. Il ragazzo ha i capelli verdi e se non fosse che lavora proprio in questo locale, dove sembra uno dei più sobri, lo troverei pazzesco. Ammetto che ha il suo fascino nonostante indossi vestiti orrendi e abbia un’aria decisamente tetra. Capisco che quello deve essere Ragnor, visto che Magnus non permetterebbe mai a qualcun altro di lavorare nel suo locale conciato in maniera così trasandata-anche se mi tocca ammettere che il suo aspetto appare comunque più ricercato del mio. Mi siedo al fianco di Raphael posandogli una mano sulla spalla e lui sobbalza prima di dedicarmi un sorriso quando mi riconosce.

“Vedi quel tipo laggiù?” mi domanda facendo un cenno in direzione di Ragnor “Penso di aver trovato la mia anima gemella”

“Raphael, non lo conosci nemmeno e poi sembra molto più grande di noi”

“Tesoro, l’età è solo un numero”

“Un numero che conta” e mentre pronuncio queste parole mi domando quanti anni abbia Magnus; di sicuro è più giovane di Ragnor. “E comunque cosa stai bevendo?”

“Oh, beh, il mio dolce baccello lì ha capito che il mio documento era falso. Mi ha preparato questo analcolico, buono per l’amor del cielo, ma avrei proprio bisogno di essere più brillo per provarci con lui senza temere un rifiuto” borbotta prendendo un altro sorso del liquido di un arancione brillante. Annuisco ma non riesco a trovare nulla da dire così mi volto verso la pista da ballo. Magnus è lì, circondato da due ragazzi a torso nudo e da una splendida ragazza con un paio di ali piene di brillantini con le quali continua a colpire la coppia lì vicina, troppo presa a scambiarsi saliva per arrabbiarsi. I due sono ai lati di Magnus e si strusciano sui suoi fianchi mentre la ragazza oscilla davanti a lui, le braccia allacciate al suo collo. Sento il mio cuore rallentare il battito e quasi mi domando se non si è fermato del tutto, avvizzito insieme alle mie speranze. Balla senza freni, per se stesso, come se ci fosse solo lui. Il ciuffo normalmente tenuto fermo dal gel è attaccato alla fronte per via del sudore; le palpebre truccate sono chiuse a celare quei pazzeschi occhi da gatto; le labbra lucide si muovono seguendo le poche parole della canzone o restano lievemente socchiuse per recuperare aria. È bellissimo e sexy. Con un nodo di nervosismo allo stomaco continuo ad osservarlo, celato dalle ombre e dalle decine di persone che ci separano. Quando apre gli occhi, anche da questa distanza, scorgo uno scintillio diabolico e bollente mentre civetta con uno dei due, quello moro, e gli passa le mani intorno ai fianchi come pochi giorni prima stava facendo con me.

Se volevi una risposta, eccola!

Quando anche l’altro ragazzo cerca di riprendere contatto con lui Magnus lo scaccia via e questo scuotendo la testa rivolge la propria attenzione alla “fatina” al suo fianco. Lo guardo ballare per qualche altro minuto con quella montagna di muscoli dai capelli neri poi qualcosa sembra spezzare l’incantesimo. Magnus lo guarda in faccia e il sorriso scompare, le labbra tirate come se fosse estremamente concentrato, la fronte aggrottata. Se lo scrolla di dosso e, quando questo mi sfila affianco per raggiungere i bagni, leggo la confusione negli occhi azzurri del giovane. Capelli neri e occhi azzurri, la mia combinazione preferita se non lo avessi notato. Oh! Il nodo che ho nello stomaco si stringe ancora di più quando lo vedo avvicinarsi al bancone e sono completamente bloccato sul posto, incapace di decidere la mossa successiva. Non so se preferire che mi chieda che cavolo ci faccio lì o se preferire che mi ignori ma lui quasi non si accorge di me quando si sporge oltre il bancone per richiamare Ragnor.

“Ehi! Preparamene un altro”

“Non ti sembra di aver bevuto abbastanza?” lo rimprovera l’amico ma Magnus scuote la testa e fa un gesto con le dita, come se potesse zittire l’amico con uno schiocco. Raphael, intanto, è impegnato a slacciare qualche bottone della camicia nera, con dettagli rossi che ricordano delle lingue di fuoco, e fissa Ragnor che ogni tanto fa scivolare lo sguardo verso di lui come se ne fosse incuriosito e non volesse. Magnus deve averlo notato perché osserva dubbioso i due ragazzi prima che sul suo viso faccia capolino un sorriso malizioso.

Prendo quello che ha preso lui. Anzi, no, aspetta. Prendo tre di quelli che ha preso lui.”

“Beh, ti va male Mags. Anche se sei troppo ubriaco per notarlo, il ragazzetto ha appena 19 anni e ha bevuto solo un analcolico. Sei ancora sicuro di volerne tre?”

“No! Ho bisogno di alcool! Non sono ancora abbastanza ubriaco da non rendermi conto che chi ho di fronte non è chi vorrei, pisellino mio” borbotta Magnus afferrando il braccio dell’amico.

“Dio, vorrei non aver tinto i capelli di verde! Ho l’impressione che tu non passi il tempo a far altro che prendermi per il culo da allora”

“Oh tesoro, se ti prendessi per il culo, come dici tu, non sarebbe un’impressione, te ne accorgeresti. E poi cos’è questa piccola crisi d’asma?” dice prima di sporgersi oltre il bancone, la sua mano si muove tanto velocemente da essere poco più di un lampo sfocato, e strappa una bottiglia con del liquido trasparente dalle mani dell’altro che ha ancora la bocca spalancata per la battutaccia di Magnus. “Oh, vodka, perfetto”. Contemporaneamente, e prima che possa rendermene conto, mi scappa un suono strozzato. Dopo un istante mi rendo conto che è una risata ma ben presto si trasforma in un rantolo perché in qualche modo lui l’ha sentito e ora i suoi occhi sono puntati su di me “Alexander” pronuncia il mio nome come se fosse stato in apnea e solo ora potesse prendere fiato. Mi fa tremare il cuore.  E mi sembra di essere stato in apnea anch’io.

“M…M..Magnus” balbetto e mi rendo conto che sto facendo la solita figura da idiota e che Raphael in questo momento ha la fronte così aggrottata che le sopracciglia si stanno toccando. Finirà che dovrò davvero comprargli una crema antirughe se non voglio averlo sulla coscienza.

“Che piacere rivederti! Sono felice che tu sia tornato visto che l’altra volta non ti ho chiesto il numero. Perché non ci hai pensato tu?” ignorando completamente la domanda, e la faccia sempre più perplessa del mio amico, mi avvicino a lui e tento, invano, di togliergli la bottiglia dalle mani. “Oh, potresti smettere di girare? Non riesco a seguirti se ti muovi così in fretta…” Ha iniziato a biascicare le parole e questo mi fa pensare che sia più ubriaco di quello che credo.

“Mags, sei un fottuto idiota” si lamenta il ragazzo dietro il bancone lanciando un’occhiata di fuoco all’amico che ha appena ripreso un’interessante lezione di solfeggio con la bottiglia di vodka.Ehi tu…senti potresti portarlo di là? Nel corridoio dove ci sono i bagni ci sono delle scale che portano al monolocale al piano di sopra; queste sono le chiavi. Ci sono troppi clienti e c’è bisogno che io tenga sott’occhio gli altri ragazzi” mi lascia le chiavi sul bancone e si allontana per servire due ragazze veramente poco vestite che si stanno sbracciando già da qualche minuto. Guardo Raphael che mi incita gesticolando come un matto e con una luce maliziosa negli occhi che gli fa guadagnare una delle mie solite occhiatacce la quale, come sempre, non sortisce alcun effetto. Gli regalo un’alzata di spalle, come a dire cosa posso farci? Non è colpa mia poi mi carico Magnus addosso, un mio braccio intorno alla sua vita, un suo braccio sulla mia schiena. Lo trascino seguendo le indicazioni di Ragnor, concentrandomi sul fare il prima possibile e non pensare al fatto che sto iniziando a sudare e che il mio viso è rosso per lo sforzo. A vederlo non si direbbe ma diamine se pesa ‘sto ragazzo, specialmente ora che si appoggia a peso morto al mio fianco. Non ho la possibilità di accendere la luce, già aprire la porta con Magnus che blaterava e mi sussurrava parole senza senso all’orecchio è stato complicato, per cui mi muovo a tentoni nella stanza, attento a non far finire il ragazzo in qualche mobilio. I suoi movimenti mi portano a oscillare e per proteggere lui prendo in pieno una sedia e il divano. Alla fine riesco a raggiungere il letto da una piazza e mezza posto nell’angolo, sotto la finestra illuminata dal lampione, ma non a mantenermi dritto quando, senza la solita eleganza che lo contraddistingue, Magnus si lascia cadere sul letto trascinandomi con sé. Finisco direttamente sopra di lui che decide di peggiorare la situazione aprendo le ginocchia per farmi spazio. Ho già avuto il corpo di Magnus spalmato addosso ma ora, in orizzontale, sembra tutto più intenso, come se sentissi più profondamente il contatto.

Ti ho già detto che sono contento che tu sia tornato?” sussurra col viso a due centimetri dal mio, i nostri corpi così a contatto che non riesco a capire se il battito furioso che sento è del mio o del suo cuore.

“Sul serio?”

“Dopo quel bacio? Assolutamente sì. Perché tu no?” domanda ma io sono troppo impegnato a tremare, visto le sue mani che scivolano sulla mia schiena fino alla nuca, per provare anche solo a elaborare una frase di senso compiuto.

“I…io…pensavo di aver...sbagliato tutto. Era…il…mio..primo…”

“Cosa?!” quasi finisco a terra vista la forza con cui mi scosta dal suo corpo per mettersi seduto, una mano nei capelli che solleva una nuvola di glitter “Era il tuo primo bacio?”

Il mio viso raggiunge in pochi istanti una tonalità di rosso particolarmente intensa mentre mi limito ad annuire. Sono terribilmente teso, terribilmente a disagio. Probabilmente Magnus dimenticherà questa conversazione, o almeno lo spero perché altrimenti non so se riuscirò a guardarlo di nuovo in faccia. “Dio, non ci posso credere, non può essere vero!” sussurra sollevandomi il viso per potermi guardare negli occhi.
Quello che leggo nei suoi mi spaventa: non c’è nulla del Magnus che conosco in quel mare di verde e oro. Dimostra, improvvisamente, tutti gli anni che ha vissuto più di me, tutte le esperienze di cui non so nulla e che l’hanno in qualche modo segnato. E’ come se il vento del tempo non abbia eroso i tratti del suo viso, che appare giovane e piacente, ma abbia smussato gli angoli di un’anima che Magnus soffoca nel profondo di se stesso, come una belva tenuta in gabbia. Uno spirito che sento affine al mio, come se questi si fossero riconosciuti prima ancora che io e lui ne fossimo coscienti. E quello che dice poi, parole di cui non posso comprendere in pieno il senso, mi spaccano il cuore e lo rimettono insieme. “Forse Dio vuole punirmi in qualche altro fantasioso modo. Oppure vuole solo ripagarmi di tutto quello che mi ha tolto, di tutta la forza che mi ha chiesto. Io non lo so questo ma tu…tu sei troppo perfetto per essere vero” sento le sue mani scivolare sotto la mia camicia ma io non ho la forza per fare nulla se non cercare di riempire i polmoni d’aria mentre i suoi occhi, così intensi e luminosi, me la portano via “Così puro, così innocente. Non ti merito, eppure…ti voglio così tanto” e mi bacia. L’odore della sua pelle è così intenso, in quell’angolo tra il collo e la spalla su cui mi sono accanito da qualche minuto, guidato dal gemito profondo che ha rilasciato quando l’ho fatto. Mi gira la testa ma non riesco a fare a meno di assaporare la sua pelle, quel lembo lasciato scoperto dalla camicia. Mi tremano le dita quando guida le mie mani sul suo petto e mentre io mi aggrappo alla sua camicia, Magnus mi passa le mani nei capelli e mi riporta vicino al suo viso affinché le nostre labbra possano incontrarsi di nuovo “Non dovrei…” sospira sulle mie labbra, gonfie e umide per i troppi baci ma io non lo lascio finire. Quando sono con lui i sentimenti che provo sono così potenti che dimentico qualsiasi paura: il mio corpo mette il pilota automatico perché la testa è troppo impegnata a memorizzare ogni istante per dirmi cosa fare. Vorrei sapere perché stava ballando con quei tipi, vorrei sapere perché non mi ha chiamato, se mi ha pensato, chi voleva avere davanti al punto da ubriacarsi per poterlo ritrovare. Vorrei sapere chi è Cat ma anche cosa gli piace fare, quali sono i suoi gusti e le sue passioni e se abbiamo qualcosa in comune. Vorrei sapere perché pensa che Dio voglia punirlo e cosa è successo in passato nella sua vita, se è stato ferito, quanto e da chi. Non ho parole per comunicarlo, assuefatto dai suoi baci e dalle sua mani, ma mi accorgo di voler sapere tutto di lui, di volere far mia la sua esistenza.
Qualsiasi residuo di razionalità viene meno quando è la sua bocca a scivolare sul mio collo e tutto ciò che riesco a fare è affondare le dita nella pelle scoperta del suo petto spaventato dal tumulto che si scatena nel mio corpo, dall’intensità delle emozioni che mi travolgono. Sono così tante che non so trovarne una su cui concentrarmi, una boa a cui aggrapparmi, per cui mi scosto leggermente per poterlo guardare e, se il respiro era già mozzato, lo perdo del tutto: capelli arruffati, occhi luminosi, labbra gonfie, la camicia mezza aperta ancora drappeggiata alle spalle toniche e definite.

“Sei la cosa più bella che io abbia mai visto” mi lascio scappare e lui spalanca ancora di più gli occhi, le dita che mi sfiorano lo zigomo.

“Lo dici solo perché non puoi vedere il tuo viso in questo momento. Nemmeno Michelangelo potrebbe replicare quest’immagine.” le sue dita disegnano il confini del mio viso, dalla fronte al naso, dallo zigomo alle labbra, dalla mascella al mento “Penso sia meglio fermarci qui. Sono ubriaco fradicio e non voglio pentirmi quando domattina mi sveglierò” a quella parole penso di essermi ghiacciato perché lui si affretta a continuare. “Non di questo o di te! Pentirmi perché sono ubriaco e dimenticherò metà di questa serata” lo guardo cercando segno di qualcosa di negativo, giusto per non farmi assuefare dal calore e dalla beatitudine che sento in questo momento, ma non riesco a trovarne così mi avvicino e lo bacio di nuovo. Nonostante i buoni propositi finiamo nuovamente in un bacio mozzafiato. È tutto così bello, tutto così giusto che mi gira la testa. Mi sento come sulle montagne russe, sul bordo di un precipizio da cui lanciarmi sarà come spedire il mio cuore in orbita. “Io devo andare: i miei amici si chiederanno dove sono”

“Certo, la tua ragazza ti starà cercando” borbotta distogliendo lo sguardo da me, improvvisamente affascinato dalle pieghe sulle lenzuola.

“No…lei non è…lei non c’è” non so cosa mi spinge a negargli per l’ennesima volta la verità ma lo faccio, anche se questo non gli darà sicuramente una bella impressione di me. Insomma, se fossi fidanzato non dovrei essere qui, su questo letto, stretto a lui come se solo attraverso la sua pelle io riuscissi a respirare. Ci sono così tante cose che non so di lui, così tante spiegazioni che non ho il coraggio di chiedere, che forse sto solo preservandomi dallo scostare la maschera e rivelare tutto me stesso mentre il suo vero volto mi resta celato se non per brevi istanti.

“Oh”

“Ehm...io…Tu…hai bisogno di qualcosa o ecco, posso andare?”

“Sicuro, vai! Mi farò un caffè e un sonnellino e ritornerò come nuovo. Non penso che vomiterò, o almeno lo spero. Comunque è tardi e tra poco Ragnor sarà qui, quindi vai” Annuisco e mi alzo dal letto, non prima di avergli dedicato una carezza sui capelli completamente spettinati. Provo una strana sensazione alla bocca dello stomaco, una sorta di euforia. Mi sento così leggero, come se la mia testa fosse un palloncino, mentre il mio sguardo scorre sul suo corpo morbidamente arreso, prima al mio assalto e poi alla comodità del letto, e mi sento come se l’ubriaco fossi io. Pensare che le mie dita qualche secondo fa erano impegnate a sfiorare quella pelle tanto perfetta mi sembra quasi una fantasia, qualcosa che non è successa a me. Magnus è così sensuale, bello e magnetico che mi domando cosa diamine ci faccio io qui, in questa stanza, con le labbra che bruciano per la troppa intensità dei nostri baci e con il sangue che mi canta nelle vene. Sono quasi arrivato alla porta quando sento la sua voce che mi richiama “Ehi, segnati il mio numero sul cellulare. Fammi uno squillo così avrò il tuo e quando arrivi a casa, anche se starò dormendo, mandami un sms, ok?” annuisco anche se al buio non può vedermi poi afferro il cellulare e obbedisco.  Ho la mano posata sulla maniglia da qualche minuto eppure qualcosa mi trattiene dall’aprire. Quando mi volto ringrazio di essere rimasto impalato a guardare la porta perché vedo una delle immagini più dolci e intime che io abbia mai viso e che penso resterà stampata sulla mia retina per sempre: Magnus si è rannicchiato in posizione fetale, una mano aggrappata al cuscino e l’altra poggiata sul petto all’altezza del cuore. Ha gli occhi chiusi e il respiro lento e profondo come se stesse per addormentarsi. Non resisto quindi dal riavvicinarmi a lui per stampargli un bacio sulla fronte, lieve come il battito d’ali d’una farfalla che si poggia su un fiore. Un giorno lessi che il battito d’una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo e ora mi rendo conto che, effettivamente, questo bacio così leggero ha scatenato una potenza, pari quasi a quella della natura, nel mio petto. Sospira mentre gli accarezzo i capelli, anche se le mie mani si stanno riempiendo di glitter, fino a quando penso si sia definitivamente addormentato. C’è un tale silenzio in questa stanza, anche se siamo direttamente sopra alla discoteca, che sembra penetrare nel mio essere perché anch’io mi sento…in pace. Lo guardo pensando a quanto poco so di lui, praticamente niente, eppure dentro di me sento che l’unica cosa che conta è tenerlo stretto, godere di questo momento, dei suoi capelli sparsi sul cuscino e del suo respiro caldo.

Buonanotte Magnus” sussurro più a me stesso che a lui prima di avvicinarmi alla porta e aprirla definitivamente. Sull’uscio lo guardo un’ultima volta e mi sorprende sentire la sua voce nel silenzio, fioca e delicata come non l’avevo ancora sentita finora.

“Buonanotte, buonanotte fiorellino” canticchia, in quello che penso sia italiano, prima che io chiuda la porta senza riuscire a nascondere un sorriso. E’ normale che trovi adorabile il fatto che da soprannomi a tutto, vero? Anche se…fiorellino?! Ma per chi mi ha preso?


Quando ritorno al piano di sotto è come se nulla fosse cambiato, le persone sono ancora lì che ballano, le coppiette sono sempre negli angoli bui a scambiarsi effusione e i barman agitano gli shaker preparando chissà quale drink dal nome esotico. Eppure sento che qualcosa dentro di me è cambiato. Quello che fino a questo momento è stata solo un’attrazione magnetica per un uomo affascinante ora, dopo aver scorto un frammento di ciò che si nasconde dentro quello stesso uomo, si è trasformata in una sensazione di affetto, di tiepido e dolce calore che si è impossessato del mio cuore, di tenerezza. Avvisto una ciocca di capelli rossi e dall’alto della mia statura riesco finalmente a individuare i miei amici. Simon è in un angolo, seduto su un divanetto, il braccio arpionato da quello di una ragazzina che mi domando come abbia fatto ad entrare visto che le si legge in faccia che è poco più che adolescente. Clary è lì vicino, seduta su una poltroncina dall’aria comoda nella quale praticamente viene inglobata tanto minuscola è lei, con le scarpe dal tacco assurdo abbandonate ai suoi piedi, che parla con Meliorn discutendo animatamente di chissà cosa mentre Izzy, seduta sulle gambe di quest’ultimo, giocherella con le unghie con sguardo annoiato. Di Jace nemmeno l’ombra e sto per chiedere spiegazioni ai presenti quando quest’ultimo arriva alle mie spalle accompagnato da Raphael, tra le braccia due vassoi colmi di bicchierini.

“Alec, dove diamine eri finito?” mi domanda mentre posiziona il tutto sul tavolino, Izzy ha già le braccia tese per afferrare uno shot.  

“Ragazzi, ma non lo sapete? Lo zuccherino qui presente è amico di Magnus Bane!” prorompe Raphael prima che io possa anche solo pensare di inventare una balla.

L’ho detto che ha la bocca troppo larga, vero?

La bellezza di 14 paia d’occhi si posano sulla mia figura e io non so dove guardare, mi sembra di essere circondato. La più sconvolta è sicuramente Izzy, il bicchierino che stava avvicinando alle labbra per bere fermo a metà strada e lì dimenticato.

“E com’è che io non ne so nulla?” domanda, infatti, ma prima che io possa parlare un urletto stridulo ci fa sobbalzare tutti allontanando per un secondo l’attenzione da me. La ragazzina, che fino a quel momento era impegnata a guardare con occhi dolci il mondano amico di Clary, ora sta scappando con le lacrime agli occhi mentre quest’ultimo la guarda ad occhi spalancati.

“Giuro che non ho fatto nulla di male” dice sollevando le mani in segno di resa mentre tutti noi lo guardiamo trattenendo a stento una risata per la sua espressione smarrita “E ora passatemi un bicchiere!” ne prendiamo uno a testa, anche io sotto minaccia di Izzy che mentre me lo porge mi sussurra un mi devi delle spiegazioni che mi gela il sangue nelle vene. Sarà questo il motivo per cui il mio è il primo a svuotarsi? La serata continua a suon di alcool, gentilmente offerto da Meliorn, l’unico ad avere l’età consentita, e tutti sono un po’ alticci e ridanciani. Clary, che inizialmente continuava a tenersi a distanza da Jace, ha finalmente deciso di perdonarlo e si è seduta al suo fianco poggiandogli la testa su una spalla. Quando l’ha fatto il mio migliore amico ha sollevato lo sguardo verso di me e io, con un pizzico di malinconia perché mai potrò avere quello che hanno loro, non ho potuto far a meno di sorridere. Ricordando la bruttissima sensazione e la promessa fatta a me stesso la volta precedente, sono rimasto sobrio e ho bevuto solo due drink per cui essendo l’unico abbastanza lucido, decido che è il momento di raggiungere il bancone e ordinare dell’acqua per tutti. Ho appena pagato e sto cercando un modo per portare tutte al tavolo senza combinare un disastro, quando Ragnor mi raggiunge e mi fa cenno di fermarmi. Per fortuna sbriga una comanda in pochi minuti e mi raggiunge, altrimenti sarei morto per l’ansia.  Quando inizia a parlare, però, mi rendo conto che forse sarebbe stato meglio sparire mentre era distratto.

“Senti, non so cosa tu possa provare per Magnus o cosa pensi di ottenere da lui ma ti consiglio di stare alla larga. Lui è un ape a cui piace volare di fiore in fiore, non importa il colore o la specie e tu sei solo l’ultimo di una lunga lista di cuori spezzati. Chi ha vissuto quello che ha vissuto Magnus ha relegato il cuore nell’ultimo angolo del mondo e ha chiuso a sprangate la porta; non crede più in nulla, nemmeno in se stesso, figuriamoci se crede all’amore o alle sciocche favole a cui si aggrappano i mocciosi come te. Perciò, non ho nulla di personale contro di te, ma non penso tu sia la persona giusta per lui ed è meglio per te se ti allontani adesso. Ora torno a lavoro, è stato un piacere” borbotta quest’ultima frase asciugando le mani sul grembiule che porta legato alla vita per poi scomparire dietro una porta recante la scritta Riservato, prima che io posso anche solo commentare. Mi lascia lì, attonito e con la mente completamente vuota, come se lui fosse Medusa e mi abbia appena pietrificato con il potere di un solo sguardo.


Sulla via del ritorno verso casa mi isolo dagli altri e lascio che camminino davanti a me, canticchiando qualche canzone che non conosco o ridendo per la minima assurdità. Li invidio per essere così spensierati, liberi di essere chi vogliono essere, di stringere al fianco la persona che realmente vogliono senza dover temere i giudizi altrui, senza correre il rischio di deludere o ferire le persone che ami per ciò che non hai potuto scegliere di essere. Mi sono sentito tanto forte in questi giorni, fiero di aver finalmente accettato e riconosciuto questa parte di me che mi illudevo di non conoscere e che invece era sempre lì pronta a spuntare fuori. Mi sono sentito così importante, così meritevole di quegli sprazzi di gioia che ho provato in quei pochi contatti con Magnus, quando mi sono sentito al sicuro al punto da fidarmi di lui e affidargli una fragilità che a nessun’altro ho svelato. Le parole di Ragnor mi scavano come un tarlo nel cervello: non penso tu sia la persona giusta per lui, sei solo l’ultimo di una lunga lista di cuori spezzati, è un ape che vola di fiore in fiore. Sono tutte cose che ho sempre temuto, fin dal primo momento in cui ho incontrato quegli occhi spettacolari, ma sentirle pronunciare da una delle persone a Magnus più care e che da più tempo ha a che fare con lui, è una conferma che non ero pronto ad affrontare, non così presto. I miei pensieri vengono interrotti dalla vibrazione del cellulare e mi tremano le mani al punto che rischio di farlo cadere quando, sbloccato lo schermo, leggo il mittente del messaggio: Magnus Bane.

“Ehi, hai dimenticato di scrivermi o sei ancora in giro? Perché sai ma mi sembra di ricordare che quello ubriaco tra i due fossi io! MB”

Mi sembra di impiegare una vita per scrivere un messaggio di risposta visto quanto sono imbranato con la tecnologia. Per di più devo anche camminare e fare attenzione che nessuno di quei pazzi si lanci in mezzo alla strada, o che Jace si spogli e inizi a ballare nudo- cosa che è successa, purtroppo. Devo metterci così tanto che Magnus, probabilmente annoiato, decide di chiamarmi. Per fortuna nessuno sta facendo attenzione a me per cui rispondo.

“Ciao! A dire la verità sono ancora in giro, ho dovuto praticamente trascinare via i miei amici. Non so cosa tu abbia fatto ma sono praticamente innamorati del tuo locale”

“Beh, che posso dire. Sono davvero un mago quando si tratta di queste cose, sapevo che tutti avrebbero amato il mio locale”

“E se lo sapevi perché non hai evitato che accadesse? Come ti senti?”

“Perché avrei dovuto? L’obiettivo era proprio quello. Sei dolce a preoccuparti per me, Alexander, ma sono più tosto di quello che sembra”

“Preferirei mi chiamassi Alec. Sicuramente sei più pesante di quello che sembri; domani avrò una contrattura enorme per la fatica che ho fatto a trascinarti in casa di Ragnor” lo sento trattenere il fiato come indignato da quanto ho detto e non riesco a trattenere una risatina. Qualsiasi pensiero negativo possa avere mi basta la sua voce e io mi sento…sereno.

“Quanta confidenza! Farò finta di non aver sentito ciò che hai detto, fiorellino, e comunque non vedo perché dovrei chiamarti Alec. Alexander è un nome perfetto per te: forte e rigido in alcuni punti e morbido come l’argilla in altri, esattamente come te”

“Io lo odio, preferisco Alec”

“Mmh…comunque mi sono appena svegliato e ho bevuto un caffè forte quindi sono di nuovo in possesso delle mie facoltà mentali”

“Quindi, vista l’ora, anziché buonanotte dovrei già dire buongiorno?”

“Salta i convenevoli, non ho ancora voglia di chiudere questa conversazione e comunque non ti ho ancora raccontato del sogno assurdo che ho fatto. Praticamente eravamo su una barca e c’era anche quel tuo amico biondino, quel piccolo so tutto io, e c’eri tu ovviamente. A un certo punto quel tuo amico, Trace…”

Jace” lo correggo.

“Jace, Trace poco importa…comunque inizia a domandare se i canguri sono dappertutto anche in Cina o in fondo al mare. Una cosa assurda! Per fortuna mi sono svegliato altrimenti l’avrei gettato in mare per farglielo scoprire” non riesco a trattenere la risata spontanea che parte praticamente dallo stomaco e mi esplode tra le labbra. Così forte che richiama l’attenzione di tutti gli altri che si voltano sopresi e sconvolti, come se non mi avessero mai visto ridere di gusto. E poi, insomma, sono loro quelli che stanno ridendo da venti minuti buoni senza che vi sia un motivo. Colto in flagrante, nel bel mezzo di una conversazione telefonica, io che ho il cellulare praticamente solo per le emergenze, mi affretto a chiudere al più presto anche perché sento la voce di Magnus che continua il suo monologo.

“Ehm…devo andare. Mi dispiace, ci sentiamo un’altra volta!” riattacco e riprendo a camminare cercando di ignorare gli sguardi curiosi. Il sorriso, quello, però, proprio non riesco a levarmelo dal viso. Metto tutti i pensieri e le parole di Ragnor in un cassetto della mente, consapevole che prima o poi dovrò tirarle fuori e che ne avrò bisogno, mentre mi ripeto, come un mantra, che riuscirò a non farmi distruggere da questa storia. Anche se, forse, già troppo tardi.

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