Capitolo
2
---
A Paperinik
era capitato di sventare rapine, di affrontare rapinatori, persino di doversi
difendere dall’accusa di essere lui il rapinatore… ma mai gli era capitato di
essere l’oggetto rapinato.
Perché era propri così: lui si
trovava in una cassa con un respiratore che riciclava l’anidride carbonica del
suo respiro per ricavarne ossigeno, e la sua cassa, con impresso sopra un grade
simbolo a forma di “D” iscritta in un diamante, era in mezzo ad altre casse
simili a bordo di un’astronave da carico del governo che viaggiava con i motori
al minimo per fare da esca; era in attesa di essere rapinata dal pirata dello
spazio, l’androide primo ed unico della serie SSX.
Paperinik era entrato nella cassa destinata
a lui non appena il capitano della nave su cui viaggiava aveva avvistato sul
monitor un’altra astronave che batteva bandiera pirata.
Per un attimo, quando aveva visto
la bandiera con il teschio e le ossa incrociate che sventolava mossa dalla
forza del movimento dell’astronave, qualcosa si era smosso in fondo alla sua
memoria ma lui non aveva avuto nemmeno il tempo di rendesi conto di cosa fosse.
Tempo per pensarci ne avrebbe avuto
a volontà finché fosse rimasto là dentro.
L’ordine era di non muoversi
assolutamente a meno di non essere certo di essere stato portato a bordo
dell’astronave nemica.
I suoi contatti con la Terra
erano stati azzerati fino alla riuscita della missione.
Paperinik ancora si chiedeva se avesse
fatto bene ad accettare.
La soluzione di salire a bordo
con l’inganno come un novello Ulisse, arrivare alle spalle di un essere vivente
(perché lui lo considerava tale nonostante fosse un androide) ed immobilizzarlo
per riportarlo dove gli avrebbero fatto un lavaggio del cervello, gli sembrava
ancora un’idea meschina, ma d’altra parte, se si fosse trattato di un criminale
umano che avrebbe fatto? Non avrebbe dovuto usare ugualmente ogni mezzo per
fermarlo?
Si aggrappava alla parola di Odin Eidolon che non avrebbe
resettato completamente la personalità dell’androide pirata e che sarebbe stato
davvero come curare una persona che ha strane idee in testa.
Aveva un orologio con data che
gli indicava lo scorrere del tempo, ma nella sua sistemazione a forma di
scatola di scarpe lo scorrere del tempo aveva un significato molto relativo.
Gli serviva solo per non perdere
completamente l’orientamento.
Quando sentì che la cassa veniva
spostata seppe che l’arrembaggio era andato a buon fine e che lui era appena
stato ufficialmente rapinato, e per un attimo l’idea di andare alla polizia a
denunciare il furto di sé stesso lo fece sorridere.
Rimase immobile nella sua
posizione con una mano pronta sulla tasca nella cintura dove si trovava il
telecomando.
Il suo piano era semplice: non
appena l’androide avesse appena sollevato il coperchio, lui avrebbe premuto il
bottone che generava le interferenze ed avrebbe subito richiamato l’astronave
di appoggio terrestre perché finissero quello scomodo lavoro.
Sarebbe anche stato un buon piano
se non fosse stato per il fattore tempo, infatti Paperinik
non aveva calcolato che avrebbe dovuto dormire prima o poi.
La mano pronta sul telecomando si
stava anchilosando e tutto il suo corpo non avrebbe retto a lungo quello stato
di allerta continuo.
E poi l’aria. Gli avevano garantito
che il respiratore funzionava con un sistema simile a quello della fotosintesi
delle piante per cui da una molecola di anidride carbonica ricavava l’ossigeno
molecolare ed un atomo di carbonio che era una scoria, e questo sistema gli
garantiva un’autonomia teoricamente illimitata; il limite concreto era
rappresentato dalla sua resistenza mentale.
Se si fosse trattato di non fare
nulla mentre era stravaccato sul suo divano Paperino ci sarebbe rimasto davvero
per giorni e giorni, ma Paperinik era costretto
all’immobilità dentro una scatola d’acciaio con un rivestimento al piombo, e la
cosa era molto diversa.
Lasciò trascorrere altre due ore
senza che dall’esterno provenisse alcun cambiamento.
In fondo non era neanche certo di
essere stato imbarcato sulla nave pirata.
Forse lo avevano solo spostato e
la nave del governo stava ancora facendo da esca.
“Basta! Non ne posso più di stare
qui dentro!”
Fortuna che gli avevano dato
anche un congegno che apriva la serratura magnetica dall’interno.
Non appena digitò la sequenza
corretta un sottile fruscio di metallo contro metallo lo avvisò che le barre
che chiudevano la cerniera stavano scorrendo per lasciarlo libero.
Già il pensiero di non essere
completamente sotto chiave lo faceva stare molto meglio.
Resistette un’altra ora, poi
davvero non ce la fece più: sollevò il coperchio pianissimo, un millimetro per
volta, e si azzardò a sbirciare fuori.
Non vedeva niente di
particolarmente degno di nota, primo perché c’era poca luce e secondo perché la
sua cronica sfortuna gli aveva fatto aprire la metà di sportello che gli
permetteva di affacciarsi solo su un muro.
Comunque fosse, non era più a
bordo della stessa nave su cui era partito.
Provò a girarsi ed aprì l’altra
metà del coperchio sperando in una visuale migliore, e trovò esattamente quello
che cercava.
Il mantello nero non poteva
ingannarlo: a pochi metri da lui, girato di spalle, stava il ricercato numero S
00 999.
Paperinik non aveva modo di vederlo in
faccia ma ancora una volta ebbe l’impressione che gli ricordasse qualcuno di
terribilmente familiare.
Ora avrebbe dovuto avvicinarsi di
più per essere sicuro che il telecomando funzionasse al meglio, ma se fosse
uscito dalla cassa avrebbe rovinato l’effetto sorpresa.
Decise di richiudersi lì dentro
ed aspettare pazientemente che l’androide passasse vicino al suo nascondiglio.
Non poteva azionare il telecomando
mentre era all’interno perché le pareti erano schermate, ma balzando fuori
all’improvviso come un clown da una scatola delle sorprese aveva buone possibilità
di farcela.
Tanto il pirata non immaginava di
aver caricato a bordo un nemico, giusto?
-Credevo che volessi uscire
finalmente-
No, sbagliato.
“Bè, tanti cari saluti
all’effetto sorpresa!”
Pensò sconsolato PK.
-No… è che si sta così comodi
qui. Sul serio, dovresti proprio provare-
Borbottò mentre tirava via il
coperchio e finalmente poteva stiracchiarsi.
Il suo presunto nemico ancora non
lo guardava, era girato di spalle e Paperinik ne
intravide il viso solo quando si chinò a prendere qualcosa da una cassa simile
a quella che aveva ospitato lui.
Anche la benda era
inconfondibile. E l’espressione accigliata dell’occhio visibile gli fece
correre un brivido lungo la schiena.
Il pirata era in piedi davanti ad
un portellone aperto e il suo mantello ondeggiava leggermente, risucchiato
verso il vuoto dello spazio infinito.
PK non capiva cosa stesse
facendo, per cui decise di uscire dal nascondiglio che ormai non gli serviva
più.
Si avvicinò di lato e vide che
con una mano il pirata aveva raccolto una manciata di diamanti, e dopo averli
gettati fuori dal portello verso lo spazio aperto li intercettava a metà del
volo con un raggio laser della sua spada.
-Ma che fai?! Sono diamanti!-
Non poté fare a meno di
protestare scandalizzato.
-Sono solo atomi di carbonio
cristallizzati in un sistema cubico che conferisce loro straordinaria durezza e
un colore trasparente. Non sono niente di speciale-
-Niente di speciale, eh?! Mah,
non so… sai quanti gioiellieri non sarebbero d’accordo con te?-
-Le cose hanno il valore che noi
gli attribuiamo-
Finalmente il pirata si girò a
guardarlo direttamente e Paperinik rimase sconcertato
dal trovarlo così incredibilmente simile a sé.
Solo l’espressione era molto più
dura.
Era affascinante a modo suo, e
adesso che si trovava faccia a faccia con lui Paperinik
ne aveva la certezza: accettare la missione di riportarlo sulla Terra era stato
un errore.
A quel punto lui avrebbe dovuto
premere il bottone. Non sarebbe stato difficile, bastava una pressione al di
sopra della tasca, ma per quanto il suo cervello gli dicesse che doveva farlo
il suo istinto si ribellava in un modo troppo forte per essere ignorato.
-Perché distruggi i diamanti?-
Gli chiese tanto per prendere
tempo.
-Per restituire all’universo
quello che l’avidità dell’uomo gli ha tolto-
-Quindi non li rubi per
rivenderli o cose simili?-
-Certo che no! Per chi mi hai preso?-
Sembrava che si fosse offeso
quando gli aveva dato implicitamente del ladro.
-Accidenti quanto sei permaloso!-
-Vogliamo parlare di te invece?
Chi sei? E perché ti sei imbarcato clandestinamente sulla mia nave? Dovrei
trattarti come un topo di cambusa!-
-Hei,
ehi, piano! Io sono Paperinik e non sono un topo di
cambusa! Per tua informazione io sono un eroe: ai miei tempi ho sventato
un’invasione extraterrestre!-
“Ho
sventato un’invasione extraterrestre”
Non appena ebbe pronunciato le
ultime parole successe qualcosa di terribilmente strano: ognuno dei due vedeva
il proprio riflesso negli occhi dell’altro e per un attimo entrambi ebbero la
certezza di “Io so che tu sai che io so” ma nessuno dei due riusciva a
focalizzare cosa fosse questo qualcosa.
-Ora te lo chiedo di nuovo: cosa
ci fai qui?-
Bella domanda.
-Io… ecco, è difficile da
spiegare. Sono qui per convincerti con le buone a smettere-
Il pirata scoppiò a ridere.
-Hai fatto tanta strada ed
attraversato le epoche per dirmi una cosa inutile?-
-Potrei passare alle cattive maniere
e non ti piacerebbe-
-Invece mi piacerebbe molto-
Il pirata non finì neanche di
parlare che sguainò la spada e gli sparò contro un fascio di energia.
Paperinik saltò di lato per scansarlo ma
gli lasciò ugualmente come ricordo un buco nel mantello.
-Uack!
E questo?! Sai che l’abbigliamento da supereroe costa?-
Accecato dalla rabbia sganciò il crasher e colpì in pieno l’androide.
Il pugno l’aveva praticamente
spazzato via e Paperinik stava giusto pensando che
era stato troppo facile.
Questo finché non si accorse che
il pirata era raccolto attorno al pugno metallico e che per quanto lui ci
provasse non riusciva a richiamare il crasher; se
aumentava la trazione sul cavo d’acciaio il suo nemico non si spostava di un
millimetro, anzi era lui ad essere trascinato nonostante puntasse gli stivali
con tutta la sua forza.
Non aveva messo in conto la forza
degli androidi.
-Nghh!
Maledizione…-
Il pirata lo guardava con un
sorriso divertito. Non era esattamente scherno ma ugualmente gli dette sui
nervi.
Paperinik diede uno strattone più forte… e
il pirata fece lo stesso.
Nel momento in cui le forze si
sbilanciarono lui era l’elemento debole, quello che opponeva meno resistenza,
per cui fu letteralmente sollevato da terra e trascinato via.
Non riusciva a frenare la sua
corsa in nessun modo, se non quando la forza centrifuga si esaurì e lui si fermò
proprio con le spalle al portellone ancora aperto.
E stavolta era il suo mantello ad
essere risucchiato dalla corrente verso l’esterno.
Di solito gli eroi non hanno
paura, ma in quel momento Paperinik avvertì un
brivido lungo la schiena quando si accorse che all’androide sarebbe bastato
lasciare la presa sul pugno dell’extrasformer per
farlo precipitare fuori.
Lo guardò in faccia e sì, anche
lui ne era perfettamente consapevole.
Invece quello diede un altro
strattone e lo fece sbattere contro la parete opposta, dove rimase ammaccato ma
fuori pericolo.
-Grazie per la delicatezza, eh!-
Si lamentò mentre si rialzava con
una mano sulla schiena.
Non sapeva bene se attaccarlo di
nuovo o no, perché dopotutto l’androide gli aveva salvato la vita.
-Adesso ti ripeto la domanda,
eroe del passato. Che cosa vuoi da me?-
-Ed io ti ripeto la risposta:
voglio che tu la smetta di fare arrabbiare i terrestri con queste tue scorrerie
da pirata dilettante. Rubi i diamanti e poi li distruggi, che cosa vuoi
dimostrare? Ti sembra di essere chissà quale eroe?-
Lo sguardo del pirata si fece ancora
più duro.
-Sei un insolente. Forse avrei
fatto meglio a sganciarti fuori dalla mia nave-
-Ormai è troppo tardi per
ripensarci-
-E chi ti ha mandato?-
-Un intero consiglio di guerra-
-Solo per me? Ne sono lusingato-
-Ed Odin
Eidolon. Credo che tu lo conosca-
L’accenno di sorriso che c’era
sul suo volto sparì immediatamente.
-Eidolon.
Sì. Sì, io e lui abbiamo una certa familiarità-
-Ho l’impressione che la cosa non
ti piaccia, ho ragione, Capitan Ovvio?-
-Sei più perspicace di quello che
sembri-
-Era un velato insulto alla mia intelligenza?-
-Assolutamente no-
Poi successe un’altra cosa che
nessuno dei due si sarebbe mai aspettato: dissero esattamente la stessa cosa
nello stesso momento e con lo stesso tono.
-Era un insulto chiarissimo-
Paperinik era così sorpreso che dimenticò
di offendersi.
“Com’è possibile che abbiamo
pensato la stessa cosa?”
Forse avevano un modo di pensare
che era molto simile. E se fosse stato così, forse Odin
Eidolon aveva chiamato lui proprio per questo.
Ma come faceva un androide
costruito centinaia di anni dopo di lui a pensare in una maniera così simile?
Il pirata intanto lo studiava con
attenzione, come se cercasse di capire qualcosa che gli sfuggiva.
Alla fine parlò lentamente.
-Perdona le mie maniere. Temo di
non essere abituato a stare in società. Non ci siamo presentati-
-È necessario? Sappiamo quasi
tutto uno dell’altro. Non vorrai dirmi che nel frattempo non hai fatto un giro
su internet e scaricato un mucchio di file su di me?-
Lyla lo faceva.
Paperinik sapeva per certo che la sua
amica androide, quando aveva un’aria particolarmente assorta, probabilmente
stava guardando qualche serie TV direttamente in streaming dietro le palpebre
socchiuse.
E sembrava sapere sempre tutto
perché, tempo che qualcuno le facesse una domanda, lei aveva già scaricato
tutto lo scaricabile sull’argomento da Quackpedia.
Ed era assolutamente certo che il
suo nuovo nemico avesse fatto lo stesso già dalla prima volta che lo aveva
visto.
Il pirata si mise a ridere di una
risata sincera.
-Sei un tipo veramente
interessante, lo sai? Ma l’educazione resta educazione, per cui…- rinfoderò la
spada e gli tese la mano -Io sono Capitan Quacklock,
onorato di fare la tua conoscenza-
Era troppo strano per essere
vero. Un androide del futuro gli si presentava con modi d’altri tempi e con un
nome che, accidenti, se solo si fosse ricordato perché gli era così familiare!
-Io sono Paperinik.
I miei nemici mi danno altri nomi, me nessuno di essi è particolarmente
lusinghiero, temo-
-Allora abbiamo un’altra cosa in
comune-
E si strinsero la mano come se in
realtà fossero vecchi amici.
-Sei qui veramente per chiedermi
di smettere?-
Allora Paperinik
sentì che era giusto giocare carte scoperte. Non sapeva perché, ma gli sembrava
giusto essere onesto fino in fondo.
-No, in realtà no. Il piano
originale era completamente diverso, ma a me piace cambiare programma
all’ultimo minuto e improvvisare-
-E posso sapere qual era il piano
originale?-
Paperinik estrasse dalla tasca il
telecomando.
-Questo era il piano originale-
Dallo sguardo dell’androide ebbe
il sospetto che sapesse perfettamente di cosa si trattava, per cui fece in
fretta la sua mossa.
-Mi pare che tu abbia una buona
mira, Capitano, ti consiglio di farne uso adesso-
E lo lanciò in aria più in alto
che poteva. L’astronave aveva un soffitto alto e l’oggetto descrisse un’ampia
parabola… prima di essere disintegrato a mezz’aria mentre cadeva.
-E adesso?-
chiese il pirata.
-Adesso parliamo da persone
civili-
-Io non sono una persona-
-Ed io potrei non essere tanto
civile-
-Di sicuro non sai eseguire gli
ordini. Mr Zone non sarà contento di sapere ce mi hai
permesso di distruggere mesi delle sue ricerche e l’unica cosa in grado di
fermarmi-
-Non devo dare conto a Mr Zone né a nessun altro di come mi comporto-
-Ah, no? Eppure sei qui perché ti
hanno mandato loro. Se non esegui i loro ordini, che senso ha tutto questo?-
-Ha un senso. Lo so che è assurdo
ma lo faccio per Odin Eidolon-
-Cosa vuole ancora da me? Io lo
disprezzo e lui lo sa bene, e se ancora non l’ha capito vuol dire che non è
intelligente come sembra-
-Forse lo stai considerando male.
Lo sai che è stato Odin a battersi perché ti fosse
concessa la possibilità di essere riportato sulla terra per provare a curarti?
Il resto del consiglio sarebbe felice di usare direttamente i cannoni per
polverizzare te e la tua astronave-
Il pirata gli rivolse un’occhiata
colma di scetticismo.
-Questo dovrebbe impressionarmi?
So cosa farebbero di me se tornassi, e credimi, preferisco i cannoni-
Paperinik non poté fare a meno di pensare
che sì, aveva ragione, e probabilmente lui stesso avrebbe preferito finire in
brandelli piuttosto che essere resettato.
Eppure doveva esserci un modo per
fare cambiare idea a quella testaccia dura!
-Non puoi continuare così!-
-E a te che importa? Non ci siamo
mai visti prima e non ci vedremo mai più, anzi mi viene voglia di riaprire quel
portello e di defenestrarti a suon di calci nel portapiume-
-Provaci!-
Ognuno dei due dimenticò le
rispettive armi perché quello era diventato un conto personale da regolare alla
pari, per cui, come se avessero sentito suonare il gong d’inizio di un incontro
di boxe, cominciarono ad azzuffarsi, dimentichi all’improvviso delle buone
maniere e del contegno da super eroe.
L’androide era decisamente molto
più forte ma Paperinik non aveva nessuna intenzione
di mollare.
Era la proverbiale testardaggine
di Paperino a tenerlo in piedi.
Peccato che la testardaggine da
sola non bastasse a fargli anche da scudo, per cui dopo un paio di minuti era
tutto ammaccato mentre il suo avversario stava benissimo e anzi non si era
minimamente scomposto.
-Allora, finiamo qui o vuoi
prenderne ancora, eroe del passato?-
-Perché, tu sei stanco?-
-La mia ultima offerta: prendi una
scialuppa, tornatene sulla Terra e al tuo tempo e lasciami in pace-
-Se lasciarti in pace vuol dire
che tu continui a giocare a fare il Robin Hood dello spazio no, non me ne vado-
Allora il pirata lo afferrò dal
collo e lo tirò su di peso.
-Non hai ancora capito? Non
voglio la tua pietà, né quella di Eidolon né di
qualunque altro moralista che creda di riportarmi sulla retta via-
A quel punto Paperinik
era nella posizione perfetta per urlargli praticamente sul becco, e fu
esattamente quello che fece perché non apprezzava minimamente essere
acchiappato in quel modo.
-Io non sono un moralista da
strapazzo, razza di pirata della domenica, altrimenti perché ti avrei fatto
distruggere il telecomando? Forse qualche infiltrazione di umidità ti ha
danneggiato i circuiti, ma, in caso non lo avessi notato, io lo faccio anche per
te! Dimmi se strozzarmi ti sembra un buon ringraziamento!-
Il pirata aprì la mano molto
lentamente e finalmente Paperinik poté respirare.
Anche se forse più che la stretta
era stato il suo sbraitare a privarlo dell’ossigeno.
L’androide lo guardava con una
strana espressione.
-Perché dici che lo fai per me?-
Allora Paperinik
perse completamente la pazienza, che già normalmente non era la sua dote
caratteristica.
-Mi chiedi perché? Non ci arrivi
da solo? Lo faccio perché tu sei speciale e non devi sprecare la tua vita a
fare i dispetti a gente che ti considera una macchina difettosa. Tu puoi fare
molto di meglio che questo. Hai un intero universo a disposizione, non puoi
restare ad arrugginirti ronzando in un angolo attorno alla Terra. Lo capisci
oppure no?-
Credette di vederlo sorridere e
per un attimo credette di averlo convinto.
-Apprezzo il tuo interessamento,
ma ti ho già spiegato che non mi rimetterò mai nelle loro mani-
E detto questo gli voltò le
spalle. Il modo in cui il mantello nero con l’interno rosso si era mosso dietro
di lui aveva fatto scattare qualcosa nella memoria di Paperinik,
come se finalmente di fosse mosso l’ingranaggio giusto, ma non aveva il tempo
di capire cos’era.
Gli corse dietro e praticamente
lo placcò alle spalle facendolo rotolare a terra.
Riuscì a bloccarlo sul pavimento
solo perché lui non se lo aspettava e sapeva di non avere molto tempo per
costringerlo ad ascoltare.
-Allora non hai capito proprio
niente! Ti sto dicendo che devi andartene perché loro ti daranno la caccia
anche quando io non ci sarò più. E sarà peggio fidati: ti faranno a pezzi. Ed
io…io non voglio!-
Il pirata se lo scrollò di dosso
e si rialzò senza il minimo sforzo, Paperinik invece
cadde a terra di portapiume.
-Mi suggerisci di scappare? Io
non sono un vigliacco-
-Lo so che non lo sei, anche per
questo ti suggerisco di impiegare meglio la tua vita-
Il suo nemico, che forse ormai
non era più un nemico, rimase a guardarlo per un po', ed il suo era uno sguardo
che racchiudeva un milione di cose.
Erano segreti, ricordi e tutte le
cose straordinarie che doveva avere visto da quando era scappato nello spazio.
-Non credevo che qualcuno potesse
interessarsi tanto a me-
-Finalmente ci sei arrivato. Se
si usano ancora i premi Nobel in questo secolo ricordami di candidarti-
Per un attimo gli sembrò che
avesse sorriso, ma sicuramente era stata solo un’impressione.
-Tu credi di avermi capito? Credi
di sapere tutto quello che faccio e perché? Ebbene, voglio mostrarti una cosa-
Paperinik lo osservò incuriosito mentre si
toglieva la bandana dalla testa e poi slacciava la benda che aveva sopra
l’occhio destro.
Lui, da essere biologico, aveva
supposto che sotto la benda ci fosse qualche cicatrice oppure un’orbita vuota.
Non era così.
Sotto la benda c’era un occhio
artificiale.
La differenza era che il
rivestimento superficiale era strappato e quindi si vedeva perfettamente tutto
il movimento delle parti meccaniche al disotto, ad esempio quando la lente
veniva spostata avanti e indietro per la messa a fuoco.
Era comunque impressionante, ma
non era una menomazione come aveva creduto Paperinik.
-Purtroppo la funzione di
autoriparazione di noi androidi non comprende il rivestimento esterno, quello
che ci rende esteriormente simili alle creature biologiche. Questo è un ricordo
di quando sono fuggito dal laboratorio, e per farlo aggiustare dovrei rimettermi
nelle loro mani. Preferisco portare una benda piuttosto che dipendere da loro,
anche se per una riparazione superficiale, e poi questo mi ricorda sempre
quanto si più pagare cara la libertà e quanto sia preziosa-
Era un discorso molto toccante,
ma il problema di Paperinik era un altro.
-Aspetta… ma tu sei cieco da
quell’occhio oppure no?-
-No, non lo sono. Anche se lo
copro posso usare la termocamera, i raggi infrarossi
e gli ultravioletti, più ovviamente la visione notturna-
-Ah… capisco… dunque…- e stavolta
fu Paperino ad esplodere in tutta la sua proverbiale irascibilità.
-Tu, razza di imbroglione! Ed io
che mi sentivo in colpa perché credevo che tu non ci vedessi! Ma lo sai che hai
una gran faccia tosta?-
E continuò su questo tono per un
bel pezzo, mentre provava inutilmente a colpirlo ed il pirata rideva
sinceramente divertito dal suo sfogo.
-Ah, ti diverte avermi preso per
fesso? Guarda che ti faccio nero anche l’altro occhio-
Ma aveva un bel sbraitare, perché
al capitano bastava un solo braccio per tenerlo a distanza e lui non aveva
neanche lo scudo extrasformer.
Erano incredibilmente simili
eppure opposti.
Il pirata lo lasciò andare solo
quando lui fu completamente esausto.
-Ahahah!
Sei incredibile, Paperinik! Non credevo che mi sarei
mai divertito tanto! Adesso mi sembra giusto ringraziarti. Ce la fai a seguirmi?-
-Mi sai dando del pappamolla?-
-Non ho aperto becco, giuro-
-Seee…
come no!-
Eppure lo seguì lungo il
corridoio dell’astronave. Si fidava di lui, ed il fatto che il pirata lo avesse
fatto arrabbiare per la storia l’occhio non c’entrava nulla con la stima che
aveva di lui.
-Vedi, Paperinik,
io rubo i diamanti e li distruggo perché non mi servono a nulla. Che bisogno ho
di oro, argento o minerali colorati quando possiedo già…- Il corridoio si aprì
all’improvviso in una grande sala in cui la parete era un'unica grande bolla
trasparente ed il pirata indicò lo spazio che si vedeva perfettamente -… già
tutto questo-
Era davvero uno spettacolo
mozzafiato.
Si vedevano stelle, galassie
lontane, nebulose, asteroidi, scie di comete. Ed in un angolo la Terra con la
luna che le orbitava attorno, e più lontano ancora il sole.
Paperinik non fece la domanda stupida
“Come puoi essere il padrone dello spazio?” perché aveva capito a istinto cosa
volesse dire.
Il capitano voleva la libertà di
vagare nell’immensità del cosmo senza dover rendere conto a nessuno.
Sì, Paperinik
lo capiva e forse un po' lo invidiava.
-Tutto questo è bellissimo.
Grazie per avermelo mostrato-
Disse alla fine.
-Credevo fossi la persona giusta
per apprezzarlo. Ormai i terrestri guardano allo spazio solo come una via che
li porta a nuove ricchezze, tu invece sei diverso-
Paperinik lo prese come un complimento.
-Ma se mi lasci andare, non hai
paura che il consiglio che ti ha mandato possa arrabbiarsi con te?- gli chiese ancora il capitano.
-Sarà il nostro piccolo segreto.
Dirò che eri troppo forte per me-
-Ti considereranno un debole-
-Non mi importa di loro.
Figurati, io tornerò in un posto dove loro non sono neanche nati!-
Non riusciva a vedere l’androide
al suo fianco ma era certo che stesse sorridendo.
Lui era ancora immerso nello
spettacolo dell’universo con tutti i suoi corpi celesti che sembravano a
portata di mano quando si sentì afferrare per la spalla e il pirata lo fece
girare per guardarlo negli occhi.
-Perché non resti qui? Anche tu
desideri la libertà e troppo spesso devi scendere a compromessi che non ti
piacciono, non è vero? Resta sulla mia nave-
Per un attimo Paperinik
fu tentato di accettare.
Sicuramente nello spazio non
c’erano creditori che lo inseguivano, o kiwi ottusi che parlavano male di lui
più per sport che per convinzione, oppure zii schiavisti…
-Io… mi dispiace. Io ho delle
responsabilità-
-Verso la Terra?-
-Verso il mio tempo. E verso
questo futuro-
Il pirata lasciò cadere la mano.
Sembrava sinceramente dispiaciuto, e questo rendeva ancora più difficile a Paperinik restare fermo nella sua decisione.
-Capisco. Allora non ti
tratterrò. Quando vorrai andare scegli un’unità singola e lei ti riporterà
sulla Terra-
-Ti ringrazio, capitano-
-Anche io ti ringrazio, eroe del
passato-
*
Passarono ancora del tempo a
parlare del più e del meno.
Capitan Q gli faceva tante
domande sul passato e sembrava che in realtà provasse nostalgia di qualcosa che
aveva vissuto tanto e tanto tempo fa.
A Paperinik
piaceva la sua compagnia.
Si sentiva come se avesse
ritrovato un vecchio amico mentre parlava con lui ed era molto piacevole.
Aveva rinunciato a capire cosa
fosse il ricordo che tentava di riaffiorare, e si limitava ad accettare la
sensazione che eprovava; era un senso di
appartenenza, come se fosse finalmente tornato a casa dopo un lungo viaggio.
Solo quando era già seduto nella
navicella singola e lo stava salutando con un’ultima stretta di mano gli venne
in mente che non gli aveva fatto una domanda importantissima.
-Aspetta! Questa nave! Come si
chiama la tua astronave?-
-Non te l’avevo detto? Questa è
l’Arcadia-
Quel nome mise tutto a posto.
Il mantello nero, un pirata dello
spazio, la benda sull’occhio, il senso di familiarità…
-Capitano!-
Urlò Paperinik
da dietro il vetro. Fu come se lo vedesse per la prima volta.
All’improvviso aveva un’immagine
della memoria da sovrapporre a quella davanti agli occhi ed era lui, non
potevano esserci altre spiegazioni: quell’androide del futuro era Capitan Quacklock, l’eroe del suo passato.
Ora che aveva capito c’erano
tante altre cose che avrebbe voluto dirgli, ma ormai la navicella era partita
ed il capitano diventava una figura sempre più piccola lontano nello spazio.
____________________________________________________________________________________________________
Cantuccio
dell’Autore
Salve a tutti amici pirati o pikapperi.
Questo avrebbe dovuto essere
l’ultimo capitolo ma siccome mi sono dilungata troppo su certe cose adesso sono
costretta a fare un epilogo corto a parte.
Ringrazio tutte le persone che
hanno letto il primo capitolo e spero di non deludere con questo.
Alla prossima!
Makoto