Hide-and-Seek di Purple_Rose (/viewuser.php?uid=174314)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First part: Hide ***
Capitolo 2: *** Second part: Seek ***
Capitolo 1 *** First part: Hide ***
Hide-and-Seek
First part:
Hide
Non
servì nemmeno che li vedesse, Kanan l’aveva
percepita non appena erano tornati nella sala di controllo dello
Spettro. Densa, spessa come nebbia mattutina: la delusione. Impregnava
l’aria che respirava, tossica e avvilente mentre si aggirava
in mezzo a tutti loro.
-Non era in camera, nemmeno sotto il letto!-. Affermò Zeb,
stringendo i pugni con frustrazione.
-Le altre stanze sono vuote, non c’è traccia di
lui.-. Gli fece eco Hera, visibilmente tesa.
-Ho controllato anche i condotti d’aria, non è
nemmeno lì!-. Esclamò Sabine ormai rassegnata.
Il jedi annuì gravemente, assorto nei pensieri che solo
qualche ora prima si erano concentrati unicamente
sull’ennesima missione di sabotaggio del Giorno
dell’Impero. Un movimento lo scosse, quando le porte
automatiche si aprirono di scatto lasciando entrare Chopper.
Il piccolo droide ruotò piano la testa, squadrando ogni
occhio presente di fronte a lui che lo fissava con trepidazione. Emise
un sibilo, somigliante ad un sospiro, per poi borbottare che non era
nemmeno nella sala macchine.
Sguardi preoccupati si alzarono dai membri della Ribellione, una
conclusione che tanto era ovvia ma chiunque l’avrebbe
rifiutata al pensiero di quello che sarebbe potuto accadere. Erano
tutti stanchi, provati ma in principio soddisfatti di come era andata
la missione del giorno, di gran lunga più liscia rispetto a
quella dell’anno scorso. Ma la mancanza azzerava ogni
successo, era come se la soddisfazione pura come una sorgente si
macchiasse di sporco.
Kanan si grattò nervosamente il gomito, gli occhi
verde-acqua che non smettevano di scrutare quel piccolo scorcio dal
finestrino tondo che dava verso l’esterno della navetta,
colmo solo di un immenso campo desolatamente vuoto.
“Ezra, dove sei?”
***
-Ezra…
non dobbiamo farlo se non vuoi.-. Proruppe Kanan, che immerso in un
opprimente senso di dejà-vu sentiva ad ogni passo un peso
spingerlo verso il basso.
Il ragazzino accanto a lui aggrottò la fronte, probabilmente
stupito da una simile uscita. A qualche ora prima della missione di
sabotaggio prevista, i due sensitivi si erano presi del tempo per
esercitare qualche trucco jedi. Sabine, Zeb ed Hera si erano messi in
contatto con il vecchio Jho per di quell’anno: sfruttando la
distrazione per la manifestazione, oltre al numero sensibilmente
inferiore di guardie rispetto all’anno precedente, avrebbero
piazzato delle cariche esplosive sui carri. Niente di eccessivo,
così da non rischiare di alzare lo stesso polverone, ma
sufficiente per colorare di rosso rabbia i volti degli Imperiali.
In quel caso nulla sarebbe risultato anomalo rispetto ad una normale
giornata nella vita di due dei ribelli dello Spettro, se non per la
zona erbacea nella quale erano immersi, a pochi passi dalla zona
industriale di Lothal. Una cartolina identica in tutto e per tutto a
quella dell’anno precedente, se non per pochi, insulsi
dettagli.
Come le due cicatrici di Ezra, che si mossero appena
all’aggrottarsi del suo viso.
-Com’è che di colpo avrei scelta?-.
Domandò scettico, convinto che se quello non era un sogno,
allora il suo maestro doveva aver preso una craniata
all’atterraggio.
Kanan esalò un frustrante sospiro, lo stesso che lo colpiva
inevitabilmente ogni qualvolta si scontrava con il carattere di quel
ragazzino. E sì che Hera diceva che erano molto simili,
sebbene lui tutta questa somiglianza non la vedeva mai.
-So quanto questo giorno ti pesi, e l’ultima volta non
è stata proprio una passeggiata di salute…-.
Affermò sinceramente. -Se vuoi possiamo allenarci un altro
giorno.-. Concluse, studiando l’espressione del suo giovane
allievo. Era davvero bravo a nascondere le sue emozioni per essere un
ragazzino, indice della sua lunga vita per strada. Tuttavia gli ultimi
accadimenti avevano schiuso qualcosa nel suo volto, un estremo guscio
che disperatamente per anni aveva cercato di tenere chiuso. Vedere
gente morire, conoscere la sorte dei suoi genitori, erano state una
scosse sufficienti da forzare la crepa e accendere il suo interno.
Difatti fu subito lampante come si sentisse dentro di sé, e
Kanan non fu preparato quando quello sguardo di pura gratitudine lo
colpì.
-Grazie Kanan.-. Disse, sinceramente. -Sto bene. Credo che il peggio
sia passato, mi sento solo un po’ spossato. È
tutto molto lontano.-. Spiegò, portandosi una mano alla
testa. -Forse se non mi concentro troppo sulla cosa, riesco a farcela.
Ma sto bene, davvero.-. Ripeté, riuscendo a convincerlo, in
qualche modo. Diceva la verità, era pallido e un
po’ sciupato, ma almeno non tratteneva una vena di odio e
frustrazione dentro di sé. In quello stato ci era passato
anche lui, quasi non si era reso conto di quando era tornato della sua
normale carnagione bruna.
Era calmo, quindi. Più del normale, secondo il jedi.
Kanan annuì un po’ incerto, decidendo che se lui
se la sentiva, allora non era il caso di discuterne, specie
considerando quanto entrambi fossero testardi. Prese un sasso da terra,
pronto a replicare l’esatta lezione dell’anno
precedente: connessioni. Ce l’aveva fatta più
volte da quel giorno, solo così avrebbe avuto la prova che
era tutto a posto.
-Concentrati, e prendi coscienza che non siamo soli
nell’universo.-. Spiegò piatto.
-Tu lancia e basta.-. Replicò Ezra, con un mezzo sorriso.
Non appena la zona fu smossa, un pelo fulvo e stropicciato ne emerse.
L’ennesimo loth-gatto della zona, tanto piena da sembrare un
ritrovo per palle di pelo; venne allo scoperto sgranchendosi le
zampette scure, emettendo un ringhio schivo che mise entrambi in
soggezione. Avvicinandosi lentamente, come un predatore nei confronti
della propria preda, il loth-gatto continuava a ringhiare
minacciosamente verso lo sguardo lucido di Ezra.
Il quale, inspirando profondamente, protrasse la mano verso la
creatura. Per qualche istante non accadde nulla, il loth-gatto
continuava a muoversi verso di lui come se da un momento
all’altro volesse saltargli al collo ed azzannarlo.
Kanan ebbe un sussulto, pensando che forse era stato prematuro.
-Non imporgli qualcosa, fai in modo che senta ciò che
dici.-. Provò a guidarlo. -Concentrati.-
Un sospirò rassegnato.
-Maestro, sarebbe leggermente più facile concentrarsi se tu
la smettessi di parlare.-. Affermò secco il ragazzo,
stringendo appena le palpebre come a concentrare in esse un grande
sforzo.
Poi, di colpo, un miagolio distrasse entrambi.
Il loth-gatto si era bloccato, per poi sedersi comodamente col volto
sereno. Emettendo versi amichevoli, dolci, si avvicinò ai
due come un animaletto impaziente di giocare, come se poco prima non
avesse cercato di attentare alla vita di uno dei due. Ezra sorrise
soddisfatto, abbassandosi cautamente per grattare il mento al felino,
il quale prese a fare le fusa incontrollatamente.
Kanan si avvicinò a sua volta, scrutando
l’immagine del moccioso schivo e chiuso che aveva conosciuto
coccolare un animale come un qualsiasi altro bambino
Non poté fare a meno di intenerirsi.
-Ben fatto.-. Lo fece sorridere maggiormente. -Non pensavo che avresti
preso a cuore uno di questi animali, l’anno scorso sembravi
sul punto di farne fuori uno.-. Affermò sinceramente,
sperando che nulla di quel periodo oscuro trapelasse con eccessiva
forza in lui.
Fortunatamente sembrava aver sottovalutato la sua forza
d’animo.
-Mi avevi preso sul serio? Non l’avrei mai fatto!-.
Replicò lui divertito, mentre il loth-gatto si sdraiava per
farsi grattare la pancia. -Ne desideravo uno da tenere a casa quando
ero più piccolo, era il mio animale preferito.-.
Spiegò, un’inclinazione tenera nello sguardo, un
ricordo che finalmente sembrava non spegnere i suoi occhi.
-… ora che si fa?-
Kanan fu preso in contropiede. Da una parte non si aspettava che ci
riuscisse al primo colpo, dall’altra avevano ancora da
sistemare gli ultimi ritocchi alla missione che, tanto per cambiare,
prevedeva “miracoli” in quantità. Stava
andando davvero bene, le aspettative erano anche più alte
del previsto e forse, solo forse, non sarebbe stato costretto a
cambiare piano di colpo. Avrebbero anche potuto fare pratica con le
spade laser, ma la zona non era libera e un solo sguardo da parte
dell’Impero avrebbe compromesso l’esito della
giornata.
E in quel caso chi la sentiva più Hera?
Decise che non era il caso, così si alzò in piedi
aspettando l’altro nel fare lo stesso, optando al massimo per
qualche ora di meditazione. Non avendo nessuno accanto si
voltò, vedendo il blu fermo mentre il loth-gatto nuovamente
si bloccava, stravaccato a terra.
-Ezra?-. Lo chiamò, e lui sussultò alzandosi di
colpo in piedi.
-Eh? Ah, scusa, io…-. Esalò il ragazzo,
portandosi nuovamente la mano al capo. -Andiamo dagli altri, ci
staranno aspettando…-. Proseguì tremolante,
muovendo qualche passo per superare il jedi.
Il quale fu rapito invece dai movimenti del loth-gatto.
L’animale barcollava, sembrava incapace di muoversi diritto;
il pelo improvvisamente ispido si era drizzato e ogni parte di lui
tremava ad ogni movimento che tentava di fare. Di colpo emise un verso
stridente che riecheggio nel nulla, scuotendosi del tutto per poi
correre via, come se si fosse liberato da qualcosa. Filò
dalla sua vista, zigzagando tra l’erba alta per non venire
riconosciuto.
Kanan rimase di sasso, percependo di colpo una forte
instabilità tutta attorno a lui. Rimase a fissare il suo
padawan, che si muoveva esattamente come il loth-gatto.
-Ezra?-. Lo raggiunse, mettendogli una mano sulla spalla. -Va tutto
bene?-
-Non mi hai sentito prima?-. Mormorò ironico il ragazzo, ma
con voce bassa e rauca. -Sto be… ne…-. Il sentore
cessò di colpo, lasciando il posto ad un improvviso malore.
Nella mente di entrambi il mondo vorticò, e per uno dei due
si spense del tutto.
-Ezra!!!-
Riuscì a prenderlo al volo, il volto sudato che ricadeva
contro il suo petto, prima che quel corpicino raffreddato potesse
toccare terra.
***
“Come
ha fatto un malato a sparire così??”.
Pensò furioso, chiuso nella meditazione.
Nel silenzio della sua camera, dopo ore di ricerca, Kanan aveva deciso
che la sua mente offuscata dalla rabbia e da una morbosa preoccupazione
non gli avrebbe permesso di trovare nessuno. Ordinando il riposo
generale, nonostante le varie e persistenti proteste, il jedi stava
cercando di calmare i pensieri, che come centinaia e centinaia di
uomini urlanti correvano a destra e a manca per la sua scatola cranica,
facendogli venir voglia di strepitare a sua volta.
L’aveva messo in camera sua. Era lì che
l’aveva visto l’ultima volta.
Lo conosceva per essere il moccioso più sfuggente e
irrefrenabile che esistesse, ma con l’handicap della malattia
anche Zeb si sarebbe ridotto ad un concentrato di starnuti e muco.
Avrebbe mentito se avesse affermato di non aver, almeno in parte,
previsto una possibilità del genere: era quella
consapevolezza che non gli permetteva di mettersi il cuore in pace,
nonostante sapesse che, bene o male, Ezra sarebbe sempre tornato. Se si
fosse trattato dell’ennesima tendenza adolescente a prendersi
del tempo per sé non si sarebbe opposto a quel modo.
Ma non stava bene. Era quello il problema.
Kanan sentì la propria fronte corrugarsi istintivamente.
Inspirò lentamente per ricercare la calma, l’aria
chiusa e tiepida dello Spettro che entrava e usciva in sibili lenti e
sfumati. L’atmosfera apparentemente calma attorno a lui si
crepava non appena i suoi sensi intercettavano le vie della forza,
sempre e comunque capaci di vedere meglio di qualunque occhio sveglio.
Così la sua mente si ampliava, si colmava della presenza dei
membri della sua squadra: il nervoso dipingere di Sabine nella sua
stanza, i vari e numerosi grugniti di Zeb nella zona della cucina, la
stasi innaturale di Chopper nella sala principale. Ed Hera, ferma alla
postazione di volo, le mani strette con forza ai comandi mentre il
volto sperava, sempre.
-… ah, dannazione, Ezra!-. Esclamò infine,
rendendosi conto che più che meditare, stava rimuginando
diventando sempre più irritabile. Si passò una
mano tra i capelli, di nuovo, perché quel giorno sembrava
non finire mai. Sembrava allungarsi finché il piccolo
ribelle non fosse piombato all’improvviso, con un sorriso
furbetto e un discutibile umorismo.
Forse era vero che si assomigliavano.
Sperando che forse dell’aria pulita, e non filtrata dai
meccanismi della navetta, gli avrebbe fatto bene, Kanan si
abbandonò all’ennesimo sospiro rassegnato, facendo
per aprire la porta automatica.
-Papà!
Andiamo!-
Sgranò gli occhi, un brivido da scossa elettrica che lo
pietrificò di colpo.
Uscì dalla sua camera, guardandosi attorno preso da una
frenesia che mise in moto il suo corpo, intorpidito dalle ore passate
immobile. Le orecchie tese, i muscoli pronti a scattare, lo sguardo
puntato ovunque notasse qualcosa di strano, che confermasse quel
sentore.
-Ahah! Dai, muoviti!
Ahah!-
Lo vide. Quello che sembrava uno spiazzo di blu intenso
all’angolo del suo occhio, lo spunto di una meta che mise in
moto le sue gambe prima ancora che riuscisse a formulare un pensiero.
Una voce fresca, limpidissima, colma di un’energia e di una
vitalità che in tempi come quelli raramente aveva avuto modo
di sentire. Era una guida, e in men che non si dica si
ritrovò fuori dalla nave, a vedere una figura azzurrina
correre in mezzo all’erba alta.
Non era lui… giusto?
Non poteva lasciare nulla al caso, comunque.
Kanan assottigliò gli occhi, iniziando a seguire quella luce
blu dalla quale sembrava provenire quella voce vitale. La sera stava
tramutando il color grano del cielo in un tiepido marrone, accostato al
nero notturno che pian piano divorava ogni altro bruno presente. Ma
più le tenebre si manifestavano, più la luce
prendeva forma e si faceva evidente, mentre muoveva passi veloci e un
po’ goffi in direzione della città.
Che, ora che la guardava, al jedi sembrava più vuota del
solito.
Non seppe nemmeno se conveniva seguirlo di nascosto o farsi vedere,
dentro di lui aveva solo l’assoluta necessità di
capire dove stava andando. I suoi passi silenziosi e ampi erano
così diversi dai suoi, e solo quando lo vide bloccarsi per
rivolgere uno sguardo incuriosito verso di lui capì la
ragione, che lo immobilizzò nuovamente.
Era un bambino. Un bambino dagli occhi zaffiro e i capelli color notte.
-Ezra…?-. Mormorò esterrefatto, fissandolo da
capo a piedi. Era lui, non c’era modo di sbagliarsi, ma allo
stesso tempo non aveva nulla del suo apprendista: era piccolo,
ovviamente, e indossava una tunica bianca e arancio che per miracolo
non gli scivolava giù dalle spalle. Aveva la pelle scura,
più di quanto fosse all’età di quindici
anni, e il volto libero da ogni cicatrice era puro più che
mai.
Soprattutto, gli occhi. Quella luce era unica, era speranza, era gioia
di vivere.
Quello era l’Ezra prima di perdere tutto.
-Me l’hai
promesso, dai!-. Affermò giocondo il bambino,
indicando insistentemente l’erba alta. -Se ne prendo uno poi lo teniamo,
vero, papà??-
Kanan emise un verso gutturale. Papà? L’aveva
chiamato…??
No, non era possibile, non aveva senso.
Prima che riuscisse anche solo a ribattere, un’aura color
terriccio lo trapasso facendolo barcollare. Fu come essere travolti da
un’ondata di calore rincuorante, e capì ben presto
il motivo: pelle scura, barba incolta, capelli e occhi identici ai suoi.
Ephraim Bridger.
-Ti ho promesso di
portarti a vederli, i loth-gatti.-. Confermò il
padre di Ezra, ridacchiando al broncio gonfiato del figlio. -Credo che tua madre non
approverebbe l’avere un pelosetto scatenato in giro per
casa… un altro.-. Precisò,
scompigliando la chioma minuta del bambino.
Kanan non poté fare a meno di sorridere a quella scena,
riuscendo infine a riacquistare quel poco di lucidità in
più per ragionare su cosa stava succedendo attorno a lui.
Erano proiezione, questo era evidente: di un momento del passato di
Ezra. Ma generato da chi? Per quanto il suo allievo fosse migliorato,
era certo che un tale controllo di emozioni e forza fosse ben al di
là delle sue capacità attuali. Allora cosa stava
succedendo? Le aveva generate lui stesso inconsciamente? Ancora
improbabile, lui non sapeva quasi nulla di quel ragazzino.
“Che sia per… capire?”. Si chiese,
vedendo padre e figlio camminare alla ricerca di felini, per poi
svanire scolorendosi piano davanti ai suoi occhi spalancati.
“… non è finita…”.
Constatò, sentendo la serenità di quel momento
dissolversi piano.
-Aiuto!!! Vi prego!!!-
Per lasciare entrare una profonda angoscia, e uno stimolo di pura
paura. Kanan ebbe un sussultò, mirando da lontano la
cittadina che poche ore prima era stato il palcoscenico della loro
missione di sabotaggio. Veniva da lì, e se la forza gli
aveva insegnato qualcosa in tutti quegli anni, è che tutti
gli eventi sono collegati tra loro.
Si ritrovò a correre come un disperato, verso una
città vuota e silenziosa.
***
-Perché
non me lo dice mai?-. Esalò Kanan, braccia conserte e volto
corrucciato.
Hera si limito a sorridere teneramente, tirando fuori uno sciroppo
dallo scomparto dei medicinali. Il povero ragazzino si era beccato un
malanno, uno di quelli che mostrano i primi sintomi a distanza di
giorni. Ezra era fin troppo sveglio e avvezzo a questo tipo di cose per
non essersene accorto.
Dannato quel moccioso, troppo bravo a mentire!
-Non chiederti queste cose, caro, sai già la risposta.-.
Affermò lei, posizionando la nuova boccetta su un vassoio
assieme ad altre quattro o cinque di diverso tipo e forma. -Lui
è fatto così, probabilmente non voleva che ci
preoccupassimo.-. Tentò di giustificarlo, per quanto a sua
volta non amasse quel suo atteggiamento chiuso.
Il jedi emise un grugnito frustrato.
-Non ha fatto un gran lavoro.-
-Kanan.-. Lo richiamò la twilek con tono di rimprovero,
facendogli abbassare lo sguardo. -Trattalo bene, è pur
sempre un giorno duro per lui. Forse è un bene che sia
malato, almeno potrà riposarsi per conto suo.-.
Affermò, porgendo un vassoio al jedi col muto ordine di
andare a prendersi cura del suo padawan, almeno prima di andare in
missione.
Il jedi sospirò stancamente, annuendo. Aveva senso quello
che diceva, ma era sempre incredibilmente frustrante avere a che fare
con quel lato di Ezra, specie dopo tanto tempo passato assieme. Avrebbe
voluto che si fidasse di più di loro, di lui.
Si avviò verso la camera che condivideva con Zeb, il quale
affiancato da Sabine sostava appena fuori dalla porta, intento a
lanciare occasionalmente qualche sguardo all’interno.
Sembrava teso, più del solito, pur considerando il suo
compagno di squadra in quelle condizioni.
-… ah, Kanan.-. Parve scuotersi, come se avesse aspettato il
suo arrivo. -Mi sembra che là dentro le cose stiano
peggiorando, non so se mi piego.-
Kanan inarcò il sopracciglio. Chiaramente no.
-Stava delirando.-. Chiarì Sabine, senza casco e intenta a
mordersi il labbro già arrossato. -Non sappiamo che cosa
stava dicendo, ma sembrava che stesse davvero male… forse
è il caso di chiamare un medico vero.-. Affermò
infine con sicurezza, mentre il lasat, pur evitando il contatto
oculare, annuiva impercettibilmente.
Il jedi non riuscì a nascondere il suo stupore, squadrando
intensamente entrambi. Non li conosceva per essere così
facili al nervosismo, era evidente che la situazione non era normale
come in principio aveva pensato. Ma avrebbero dovuto esporsi per
contattare un ospedale, di conseguenza mettere a repentaglio tutto il
lavoro di quelle settimane. Il Giorno dell’Impero non era
esattamente una data che avrebbero potuto rimandare facilmente, e per
cosa?
… per Ezra.
Se era per lui, in fondo ne sarebbe valsa la pena.
-Fatemi controllare, poi decideremo.-. Asserì infine,
facendosi largo per entrare per poi chiudere la porta alle sue spalle.
Era buia, così da non dare fastidio al malato mentre
riposava. Kanan avanzò a tentoni nella stanza, poggiando a
terra i medicinali per poi mettere mano alla scaletta. Sentiva gli
ansimi di Ezra, pesanti, in tutta la camera alla disperata ricerca di
aria fresca. Avevano ragione, non sembrava un raffreddore normale, Non
appena lo ebbe sotto gli occhi capì perché: aveva
il viso completamente arrossato, lucido di una patina di sudore che gli
ricopriva la fronte. Respirava faticosamente, gli occhi chiusi e le
palpebre strette.
Kanan gli rivolse uno sguardo compassionevole. Forse era davvero il
caso di contattare un professionista, dentro di sé si
sentiva male al pensiero di lasciarlo solo sullo Spettro in quello
stato. Scostò dolcemente qualche capello sudato dalla sua
fronte, scoprendola bollente.
“Povero ragazzino.”. Pensò, facendo poi
per scendere a prendere pezza e acqua fresca, oltre che almeno qualcosa
per l’influenza non appena si fosse svegliato.
-Papà… mamma… grazie.-
Un sussurrò, e non riuscì a muoversi. I suoi
occhi puntarono sull’unica altra presenza a parte lui, di
colpo rannicchiata su un lato e in preda ad improvvisi brividi. Era
stato un caldo sentore a distrarlo, confortante e piacevole, ma che si
era estinto all’istante. Ora il suo spirito stringeva i denti
per il freddo, per la paura, che dalla figura di Ezra Kanan sentiva
pulsare con veemenza.
Gli si fece vicino, toccandogli appena la spalla.
-Ezra?-. Sussurrò, scuotendolo piano.
-… no… no! Lasciatemi!-. Esclamò poi,
dimenandosi con forza nel tentativo di proteggersi. -Non ho fatto
niente di male! Lasciatemi andare!!!-. Cercava di nascondere la testa,
i punti vitali, come se sapesse esattamente come proteggersi. Come se
ci fosse abituato. -Non sono un ladro! Vi prego, basta!!!-.
Gridò in preda al panico. Si teneva la spalla sinistra
disperatamente, dimenandosi ad ogni tentativo del suo maestro di
toccarlo.
Non appena l’ombra di un lacrima gli bagnò lo
zigomo, Kanan si sbloccò.
Cercò di smuoverlo con più forza, scuotendolo
più violentemente di quanto avrebbe voluto. Ma non riceveva
nulla, se non continui gemiti e suppliche di dolore e paura. I brividi
aumentavano, i battiti del suo cuore pulsavano da ogni parte del suo
corpo, solo sfiorandolo Kanan riusciva a sentirlo. Vinse il suo
tentativo di allontanarlo, tenendo salda la sua presa.
-Ezra, svegliati! Devi svegliarti!-. Lo incitò,
sollevandogli il busto e facendolo ricadere su di sé. Chiuse
gli occhi, cercando la sua mente spaventata tramite la forze per fargli
intendere la realtà, che non era in pericolo. Che lui era
lì per aiutarlo.
Vi era il caos, un totale accavallamento di emozioni conturbanti, che
per un istante pulsarono tanto nella sua mente da farla esplodere.
Trovò una sola, minuscola luce in esso, seguendola subendo
tutto ciò che gli veniva contro: dolore, terrore, solitudine.
Quando sentì il suo spirito aprirsi, seppe che
l’aveva sentito.
Kanan sollevò le palpebre, frastornato, trovando Ezra
addormentato sulla sua spalla, più pacifico e meno
febbricitante rispetto a poco prima. Passandogli una mano sulla fronte
la percepì calda, ma considerevolmente di men, il fuoco che
l’aveva posseduto si era gradualmente spento. Non si era
svegliato, ma era più sereno; bastò per fargli
tirare un sospiro di sollievo.
-Cosa mi fai passare, ragazzino…-. Affermò
ironico, facendolo nuovamente sdraiare delicatamente, il volto che
ricadeva di lato e le palpebre che si rilassavano.
Notò solo in quel momento che Ezra non aveva smesso di
tenersi la spalla, nemmeno ora che stava incosciente sdraiato nel suo
letto. Con accortezza il jedi si avvicinò, spostando piano
la mano e lasciandola distesa lungo il suo fianco. Lentamente gli prese
il colletto della maglia scura che indossava, al posto della tuta
arancione sudata di febbre, scostandolo per mostrare la pelle.
Un senso di malessere lo travolse, quando rimirò quella
cicatrice.
Cosa aveva passato nella sua vita?
Milla Little
Corner
Hello, babies! Eccomi con una Two-shots su Star Wars Rebels!
Perché fa figo così!... e anche perché
altrimenti veniva fuori un mezzo papiro ^^”
Per cominciare ci tengo a ringraziare Aiko_Miura_36 per
l’idea della piccola sfida riguardante SWR legata al passato,
che invito a seguire a tutti quelli che come me vorrebbero vedere il
fandom popolato da più fanfiction di questa bellissima serie!
Che dire, pubblicherò la seconda parte prossimamente!
Il passato di Ezra è stato il motivo che mi ha spinto a
guardare la serie, “Il Giorno
dell’Impero” è stato effettivamente il
primo episodio che ho visto e mi piangeva il cuore a vedere quel
ragazzino così devastato T-T … non che qui
l’abbia trattato con i guanti, ma comunque
Spero che la fanfiction vi sia piaciuta! Qualcuno è fan di
Rebels? Avete visto il trailer della terza stagione? CHE HANNO FATTO
ALLO STILE ANIME DI EZRA??? Ho perso il mio cucciolo dai capelli al
vento, non so che dire… mi sento scossa :,(
Ora che ho finito di lamentarvi vi saluto! Al prossimo e ultimo
capitolo!
Alla prossima, ciao!
Purple_Rose
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Capitolo 2 *** Second part: Seek ***
Hide-and-Seek
Second part:
Seek
-No! No! Lasciatemi!-
Non
avrebbe voluto seguirlo, ma dentro di sé Kanan non vedeva
altra scelta. Dentro
di lui iniziava a capire, sapeva verso cosa si stava muovendo e quelle
parole
erano solo la prova finale.
La
città, che da lontano gli era parsa incredibilmente spenta,
ora gli appariva
assolutamente desolante: non c’era nessuno attorno,
un’atmosfera surreale che
permeava quel luogo notoriamente abitato dalle più svariate
creature. Corse tra
le vie minacciosamente vuote, permeate di quel costante stimolo di
allerta che
incuteva il timore negli ingenui passanti. Era l’unico tono
udibile, no, a
parte varie e grasse risate che gli faceva ribollire il sangue nelle
vene.
L’origine
era lì, quel vicolo cieco scuro e sporco, unica fonte di
movimento nei
dintorni. Allora rivide la luce blu, il bambino che doveva essere
cresciuto
almeno di quattro anni. Attorniato da ombre brune, verde muschio,
giallo
rancido, l’essenza stessa del malessere.
-Che ti credi, moccioso? Restituisci la roba
e poi te ne vai!-
I
loro toni erano distorti, orrendamente bassi e maligni come solo la
mente di un
bambino avrebbe potuto percepire. Erano dei malviventi, grossi, tozzi,
corpulenti e maleodoranti, che trattenevano un ragazzino in lacrime per
il
colletto, a quattro dita da terra.
Per
quanto Ezra fosse uno dei ragazzini più forti che avesse mai
conosciuto, Kanan
sapeva quanta paura aveva in sé, quanto fosse schivo
all’idea di mostrarlo a
qualcuno. Perché aveva vissuto per strada, e lì
la paura è debolezza, è un
fardello che ti fa andare a fondo. Ma anche se conosceva la
verità, non riuscì
a realizzare a quanto terrore quel giovane sguardo color zaffiro
sfoggiasse, in
bilico su un baratro oscuro verso il quale pregava di non cadere. Il
volto già
rigato da innumerevoli lacrime era sciupato, secco, magro. Era il
riflesso
della sua vita.
-Non ho fatto fatto di male! Vi prego,
lasciatemi!-
-Non ha fatto niente di male! Ma lo sentite?
Questo ratto schifoso crede anche di poterci prendere per i fondelli!-.
Quello che sembrava il capo sputò a terra, ghignando
malignamente. -Adesso imparerai cosa significa
essere un
verme come te!-
Prima
un calcio, che mozzandogli il fiato lo gettò a terra. Poi si
unirono tutti
loro, colpendolo ripetutamente mentre nella forma chiusa che Kanan
conosceva,
quella che lo allontanava dal mondo intero, Ezra tentava di sfuggire
singhiozzando disperatamente. Il suo corpo ancora giovane, ancora
troppo
abituato ai ricordi del passato subiva tutto quel dolore, si impregnava
di
quell’odio e di quella malvagità,
l’ingiustizia stessa dell’essere umano.
Il
jedi non riuscì a rimanere immobile, ma dentro di
sé sapeva di non poter
muovere un dito. Come cercò di mettersi in mezzo le immagini
sussultavano,
sfocandosi appena per poi tornare nitide non appena lui si allontanava.
Si
morse il labbro, disperatamente impotente di fronte a tutto
ciò.
-Non sono un ladro! Vi prego…
basta…-
-Ora mi hai rotto, piccolo verme.-
Fu
il sibilo più terrificante che avesse mai sentito, e per il
bambino dovette essere la
morte stessa. Quando poi il coltello scintillò di fronte ai
suoi occhi
arrossati fu il panico totale, uno stato di shock che, da secondo a
secondo,
avrebbe potuto divenire fatale. Solo una spanna di distanza, quel
fortuito
spostamento che fece conficcare l’arma nella sua spalla.
Quell’urlo
fu straziante, per il padawan come per il maestro.
Non
ebbe il tempo di ragionare, di studiare un piano, di pensare anche solo
per un
istante a quanto volesse piangere. Semplicemente urlò di
nuovo, Ezra, scagliandosi
contro quei malviventi solo per confonderli e poi scappare,
più veloce di
quanto avesse mai fatto in vita sua. Solo allora iniziò a
pensare, a
riflettere, a capire come poter sopravvivere a quella situazione, a
sfruttare
tutto ciò che aveva attorno a sé, che nulla era
se non due gambe e un po’ di
intuito.
I
malviventi lo inseguirono, e così fece Kanan, vedendolo
svoltare bruscamente
con i suoi inseguitori alle calcagna. Temendo il peggio gli
andò dietro, ma non
fu più a portata di vista: il trio continuò a
correre imprecando a gran voce,
ma di Ezra non vi era più traccia.
Fu
un pianto a farlo voltare, singhiozzi che si perdevano sulla sua testa.
Lo
sguardo rabbioso, in lacrime, frustrato di lui, arrampicatosi su un
tetto per fuggire, fu l’ultima cosa
che vide prima che svanisse.
-Ecco qui, tesoro.-
-Buon compleanno, Ezra.-
Lo
sconforto del suo cuore si placò. Per Kanan fu scioccante
sentire dei toni
tanto amorevoli dove prima erano stati solo i pianti del suo padawan a
dominare. Non si era quasi reso conto che, a furia di correre, erano
arrivati a
casa di Ezra. Gli fu evidente una volta per tutte che si trattava di
illusioni:
l’abitazione era integra e priva di qualunque marchio
imperiale. Sembrava al
contrario appena ristrutturata, graziosa per quanto non dissimile da
altre
nelle vicinanze.
Nonostante
qualche esitazione, il jedi si convinse a dare una sbirciata, dalle
finestre
che a quel tempo ancora non erano state sbarrate dalle guardie. Gli
cadde
l’occhio su un interno umilmente essenziale, di pochi mobili
e nient’altro, ma
fu la scena a farlo sorridere.
-Che cos’è? Che
cos’è??-
Un
piccolo Ezra, probabilmente di poco meno di quattro anni, scuoteva
eccitato un
piccolo pacchetto marrone, incartato con ritagli vari e confusi.
Brillante dei
suoi soliti occhi luccicanti tentava di capire, la lingua di fuori in
un
adorabile moto di concentrazione. Aveva la stessa tunica che Kanan
già aveva
visto, segno che difficilmente i genitori avrebbero potuto permettersi
altro.
Ma erano le loro espressioni a ripagare ampiamente quel debito, in
particolare
gli occhi accorti della madre, splendente di una luce celeste che
avvolgeva
anche i suoi occhi.
Quelle
persone erano perdutamente innamorate di loro figlio.
-Non scuoterlo troppo, non vorrai rovinarlo!-
Come
preso da una scossa Ezra si bloccò, rischiando di fare
cadere a terra il
regalo. Ridacchiando iniziò a scartarlo con assoluta
attenzione, come se ancora
sperasse di indovinarlo ad ogni piccolo indizio trovato. Emerse una
scatola,
che non appena venne privata del suo coperchio fecero esplodere nel
volto del
bambino un sorriso luminoso come una stella.
-Evviva!!! Sì!!! Evviva!!!-
Prese
a saltellare, stringendo forte a sé quel regalo speciale,
quel piccolo picco di
felicità nel cuore della sua infanzia. Come un prezioso
tesoro lo teneva a sé,
il sorriso più sincero che un bambino avrebbe mai potuto
mostrare ad altri. La
casa così si riempiva di colore, di vita, sensazioni che
arrivavano perfino al
jedi rimasto in pura osservazione.
Ezra
si bloccò di colpo, correndo dalla mamma e abbracciandola di
colpo.
-Grazie mamma!!!-
La
mollò all’istante, precipitandosi come una furia
allo stesso modo.
-Grazie papà!!!-
Rise,
rise con forza ed euforia, portando con sé la gioia che, nel
suo ingenuo cuore
di bambino, era convinto che sarebbe durata per sempre.
***
-Ah,
sei sveglio!-. Esclamò Kanan, alzandosi in piedi non appena
lo vide entrare.
-Stai bene?-
-Bene,
credo… diciamo che sono ancora vivo.-. Scherzò
Ezra, sedendosi al tavolo al
quale il suo maestro si era posizionato in principio.
Il
quale fece un mezzo sorriso, muovendosi verso i fornelli.
-Vuoi
qualcosa di caldo? Mi stavo preparando qualcosa…-
-Un
mistico intruglio prodigioso tramandato tra i jedi?-
Kanan
si voltò a guardarlo stupito.
-No.-
-Allora
va bene.-. Replicò ghignando Ezra, che non smise al vedere
l’alzata di occhi
dell’uomo mentre riempiva la caraffa metallica di acqua.
Rimasero
entrambi in silenzio, mentre il sibilo del fornello acceso restava
l’unico
rumore concreto attorno a loro. Gli altri della truppa stavano
sistemando gli
ultimi dettagli della missione, con ogni probabilità tra le
insistenze di
Sabine nell’aumentare l’effetto scenico, e mentre
il malato aveva riposato per
diverse ore il leader si era ritrovato senza nulla di meglio da fare se
non fingere che volesse prepararsi
qualcosa.
Il
tè, poi. I suoi piani erano sempre miseri e autolesionisti.
-…
cosa ricordi?-. Chiese ad un certo punto. dando la schiena al ragazzino.
Per
quanto suonasse casuale il maestro sapeva che Ezra era abbastanza
sveglio da intuire
cosa celasse la domanda. Difatti si abbandonò ad un sospiro,
i gomiti sul
tavolo e la testa, appesantita dall’emicrania, tra le mani.
-Non
molto. Ci stavamo allenando, poi mi sono sentito stordito, poi tanto stordito, poi stordito al punto
che non sentivo più nulla. Nemmeno se Zeb mi fosse caduto
addosso.-. Scherzò,
senza riuscire a coinvolgere l’altro. -Poi…
c’è molta confusione. Ho sentito
delle voci, forse dei ricordi, sogni strani tutti accavallati gli uni
sugli
altri.-. Le sue parole era titubanti, sembrava rimettesse assieme i
pezzi con
immane fatica, era un disegno vago che nemmeno lui capiva.
Kanan,
in attesa del bollore, si accostò al ragazzo rivolgendogli
un’occhiata
indagatoria. Aveva
le gote
ancora rosso fiamma, ma non sudava più e gli occhi erano
coscienti e non troppo
dilatati. Stava meglio, non serviva un medico. Ma…
-Ricordi
se hai sognato qualcosa di particolare?-. Lo vide annuire. -Ne vuoi
parlare?-.
Stavolta scosse la testa. -… me ne parleresti, se ne avessi
bisogno?-
Ezra
sorrise, annuendo.
-Saresti
il primo a cui ne parlerei.-. Confessò, visibilmente
impacciato
nell’ammetterlo.
Visibilmente
inconsapevole quanto le sue parole potessero colpire al cuore gli
altri. Kanan
sorrise, un affetto che non credeva possibile dal giorno in cui aveva
perso
ogni cosa, verso una delle poche cose buone che gli erano venute
incontro nella
sua vita. Gli mise una mano sulla una spalla, quella
spalla, e da quel contatto sentì un brivido che lo
fece
sussultare.
-Che
succede?-. Chiese, cercando il suo sguardo.
-…
riguardava… qualcosa che stavo cercando…-.
Mormorò Ezra con occhi sgranati,
come se non ci credesse nemmeno lui. -… qualcosa che mi
manca… credo.-.
Concluse, un mezzo sorriso che non celava l’ombra di
sconforto che si annidava
nei suoi zaffiri lucidi. -… non è il caso di
pensarci, concentriamoci piuttosto
sulla missione, okay?-. Affermò, l’evidente
intento di cambiare argomento. Ma i
suoi occhi tradivano anche un disagio distinto.
Kanan
cadde letteralmente dalle nuvole, quel miscuglio di sensazioni
l’aveva distolto
abbastanza da fargli realizzare solo ora il fischio della caraffa
bollente, al
che si apprestò a toglierla dal fornello. Tirando fuori
dall’armadietto due
tazze si apprestò a versare.
-Ma
tu non ci vieni.-. Disse poi, come si trattasse di
un’ovvietà.
-COSA???-.
Gridò il ragazzo alzandosi bruscamente in piedi.
-Ahi!
Ezra!-. Esclamò Kanan, sfregandosi la mano sulla quale due
gocce di acqua
bollente erano cadute. -Sei convalescente, cosa ti aspettavi?-.
Constatando che
non era nulla di grave riprese il gesto, sbriciolando delle foglie
secche che
sciolsero un aroma delicato nell’aria. Tentò di
ignorare quando alle sue narici
l’effetto fosse opposto, specie considerando quanto in
passato avesse rifiutato
diversi incontri tra jedi proprio per l’odio per quella
bevanda.
Il
ragazzo non seppe come replicare, limitandosi a mettere il broncio
mentre
tornava seduto nonostante il confortante profumo della bevanda posta di
fronte
a lui.
-Non…
non è giusto…-. Borbottò, affiancato
dal maestro.
-Adesso
non fare il bambino, non vorrai attaccarla a qualcuno di noi, vero?-.
Lo
intimò, ma col risultato di vederlo chiudermi maggiormente
in sé. -… Ezra… se
mi svieni nel bel mezzo dell’operazione, poi chi mi fa la
recita da “mio padre
è così
patriottico”?-. Riuscì a farlo
almeno sorridere, il che era una buona iniezione di
razionalità nella sua
testa. -Se avremo bisogno di aiuto ti chiameremo, hai sempre il
comlink, no?-
Ezra
ebbe un singulto, grattandosi il collo. Oh no, Kanan conosceva quel
gesto.
-…
potrei aver chiesto a Sabine di dipingerlo…-
-E…?-
-…
la vernice potrebbe essersi infilata nei circuiti…-
Il
jedi emise un sospiro esasperato, rivolgendo uno sguardo di rimprovero
al
ragazzo.
-E
quando speravi di dirmelo?-
-Appena
è successo… circa dieci minuti fa.-
Non
c’erano limiti a quanto quel ragazzino potesse cacciarsi nei
guai.
-Tu
rimani sullo Spettro in caso di bisogno, riposati e non metterti nei
guai.-.
Sapeva che era un avvertimento inutile. -Noi torneremo presto.-.
Concluse,
posando gli occhi sulla micidiale bevanda calda che stava davanti a
sé.
Rimasero
in silenzio, senza che lui desse cenni di voler bere.
-Kanan.-
-Sì?-
-Hai
tirato fuori la scusa del tè per parlarmi?-. Non rispose.
-Non ti piace in
verità?-. Non disse nulla. -… grazie.-. Infine
sorrise.
Era
davvero affetto quello che sentiva.
***
Lo
rivide lì davanti, non appena l’immagine felice si
era dissolta. Un altro Ezra,
la cui luce che tanto lo aveva fatto assomigliare ad un astro della
galassia
era più fioca, debole, insicura. Il suo volto era rivolto
alla casa che lo
aveva visto nascere, ed era il cesto contenente le memorie
più serene e
spensierate della sua vita. Quella casa, che ora mostrava il marchio
dell’Impero, un simbolo vivido e fresco che pareva una ferita
appena inferta.
Il
ragazzo mosse qualche passo verso l’edificio, le indicazioni
minacciose, le
finestre sigillate come una prigione, come un luogo abbandonato. Come
un angolo
del suo piccolo mondo felice, che improvvisamente diventava sbagliato.
Che
inevitabilmente ti abbandona, lasciandoti da solo.
-… Kanan?-
Rimase
di stucco. In quella proiezione del passato non avrebbe mai pensato di
sentirsi
chiamare. Ma aveva i suoi occhi su di sé, il suo volto
stanco e amareggiato, il
suo spirito che aveva perso la sua speranza in quel preciso momento,
quando
anche casa sua era diventata dell’Impero.
Kanan
si avvicinò piano, non sapendo come approcciarsi a quella
situazione. Vedeva il
suo padawan, più giovane di almeno otto anni, riconoscerlo e
chiamarlo per
nome.
-Ezra?-.
Lo nominò a sua volta, vedendo annuire.
-Non riesco a trovarlo.-
Non
capiva, nonostante ciò annuì con enfasi. Era
pronto per qualsiasi cosa, lo
avrebbe aiutato per qualsiasi cosa. Anche se avesse dovuto approcciarsi
ad un
lui così giovane.
-Cosa
devo fare?-
L’Ezra
gli sorrise, il volto amaro sempre più maturo e scuro ad
ogni battito di
ciglia. Porse qualcosa con la mano, mostrandola nella sua interezza: la
chiave
di casa sua.
-Lo sai. Lo hai visto.-
Così
passò la tessera sulla porta, che scattò
aprendosi in un interno colmo di luce.
Di colpo furono avvolti entrambi, e ogni cosa divenne più
chiara.
“…
che cos’è questo rumore?”
Non
lo stupì più di tanto, il ritrovarsi nella sua
stanza nella stessa identica
posizione meditativa. Fu più che altro
l’insistente martellare contro la sua
porta, degno solo di un possente guerriero Lasat come Zeb, considerando
il
fatto che aveva lasciato la porta aperta. Indolenzito da quella che
doveva
essere stata una seduta quasi infinita, Kanan si rimise in piedi con un
obbiettivo ben preciso in testa. Mugolò allo scrocchiare dei
suoi arti, per poi
aprire l’uscio.
Per
poco Zeb non lo prese in faccia con quel suo bussare a cannone, mentre
Hera
batteva nervosamente a terra il piede e Sabine… era
dinamite, quella?
-Non
ci pensare nemmeno, ragazza.-. La intimò il jedi, facendole
distogliere
l’attenzione dal pannello di sblocco delle porte. -E prima
che tu possa dire
cose come “credevamo stessi male” o “non
metterti tra una mandaloriana e i suoi
esplosivi”, vorrei farvi notare che la porta era aperta.-.
Concluse, con una
pazienza da rimanere stupito a sua volta.
Sabine
arretrò di un passo, ridacchiando nervosamente.
Così fece Zeb, nascondendo il
pugno come un’arma letale dietro la schiena. Al contrario il
pilota avanzò,
visibilmente innervosita.
-Chiudersi
per cinque ore dentro la propria stanza non è meno
preoccupante, tesoro!-. Lo
rimproverò, facendogli sgranare gli occhi. -Che è
successo? Hai trovato Ezra?-.
Era una domanda lecita, che altro avrebbe dovuto fare un jedi segregato
nella
sua stanza? Ma era il tempo trascorso ad aver catturato la sua
attenzione.
Erano
tornati allo Spettro circa a mezzanotte, perciò a breve i
due soli sarebbero
sorti. Ezra era rimasto fuori per tutto quel tempo da solo.
Ora
era abbastanza, però.
-Vado
a prenderlo.-. Annunciò, facendosi largo e marciando deciso.
-Torno subito.-
Non
aspettò nulla, né proteste, né
domande, né sguardi incendiari da parte del suo
pilota preferito. Semplicemente si mosse, consapevole di dove doveva
andare, di
cosa doveva fare. Di quanto fosse importante che fosse lui, e nessun
altro, ad
arrivare fino in fondo.
Uscì
dallo Spettro, l’atmosfera radicalmente diversa rispetto a
prima. La notte
quasi onnipresente, che sfumava all’orizzonte in un oro
timido ed un rosa
delicato, ancora miseri per costituire un’intera alba. Kanan
si lasciò alle
spalle l’atmosfera, correndo veloce nel bel mezzo di quel
famigerato prato, nel
cui ricco giallo ora si intravedevano solo pochi riflessi. Si
bloccò nel mezzo,
scrutando i dintorni alla ricerca di un indizio, una traccia, qualcosa
che lo
guidasse.
E
arrivò. Miagolando con insistenza.
-Tutto
ritorna a questo, vedo.-. Affermò Kanan, sorridendo alla
stessa bestiona che ore
prima Ezra si era messo a coccolare tranquillo dopo essersi connesso.
Protrasse
a sua volta la mano verso di essa, chiudendo gli occhi e percependo
l’animale rilassarsi
e avvicinarsi a lui, annusandolo come se avesse un odore
particolarmente
gradevole. Approfittando del momento Kanan lasciò che i suoi
pensieri
raggiungessero la sua mente, facendogli capire lentamente le sue
intenzioni,
pacifiche e incentrate su una sola persona.
Non
appena essa fu chiara il loth-gatto scattò
sull’attenti, iniziando a correre
verso la città. Il jedi lo seguì, sentendosi come
quel bambino dai capelli
color notte che inseguiva i pelosetti nascosti nel prato, con accanto
un padre
premuroso. Senza farsi distrarre si ritrovò in
città, fidandosi completamente
dell’istinto dell’animale che, annusando a destra e
a manca, sembrava sapere
esattamente come muoversi in quei vicoli scuri.
Era
presto, poca gente si muoveva in giro, principalmente contadini e
commercianti
ansiosi di mettere le mani per primi sulla merce migliore. Kanan si
fece largo
tra alcuni di essi, rischiando di rovesciare un carrello di yogan per
poi
giungere alla meta.
“Già,
dovevo aspettarmelo.”. Pensò, rimirando le macerie
della casa di Ezra. Il
loth-gatto aveva preso ad annusare davanti alla porta, così
lo lasciò fare
mettendo piede nell’area.
Le
pareti principali erano per la maggior parte distrutte, resti precari
si
innalzavano maciullati come se l’Impero stesso fosse venuto a
sgranocchiarli. Era
ormai da parecchio che i resti dell’abitazione dei Bridger
sostavano silenti,
senza che nessuno dei lothaliani se ne fosse chiesto il motivo. Un
blocco più
grande, recante il simbolo dell’Impero su di esso,
scatenò nel jedi un’ondata
di odio. Alzando la gamba lo colpì forte col tallone,
rompendolo a metà.
-…
il tetto…-. Sussurrò, guardandosi attorno. Con
abitazioni concepite per un
clima desertico, la copertura non era dissimile dalle pareti e mostrava
una
forma quadratica. Bianca, ora corrosa dall’esplosione che
l’aveva gettata a
terra.
Cercando
di non ripensare alle lacrime, alla solitudine del suo padawan mentre
si
nascondeva in posizione rialzata piangendo lacrime di odio, Kanan prese
a
frugare tra i detriti, imbrattandosi di calce e polvere che il vento
doveva
aver accumulato col passate dei giorni. Si sentiva invadente, fuori
posto in
quel luogo, dentro di sé avrebbe voluto pensare ad un piano
alternativo in
particolare in vista di quanto fosse delicato l’argomento per
lui. Ma sapeva
che Ezra non stava bene, lo sentiva, e sapeva che cosa fare.
Un
blocco particolarmente pesante lo costrinse a qualche sforzo in
più, facendogli
puntare i piedi mentre sollevava il pezzo. Appena lo ebbe scostato,
generando
un tonfo che alzò ulteriore polvere, nella tosse il suo
sguardo color
acquamarina scovò un piccolo involucro nero e arancio.
-Beccato,
pelosetto.-. Affermò ridendo, prendendo tra le mani
l’oggetto morbido, seppure
rovinato e impregnato di una buona dose di polvere. Il dolce ricordo di
quel
regalo, che tra le manine del bambino era stata fonte di tale gioia gli
schiarì
lo sguardo teso.
Battendolo
delicatamente tra le mani per pulirlo, facendo attenzione a non
romperlo, il
jedi si rimise in piedi soddisfatto, pensando che l’unica
cosa che rimaneva da
fare era trovare il proprietario. Uscì da dove un tempo
sorgeva la porta,
continuando a fissare l’oggetto e rendendosi conto che il
loth-gatto di poco
prima ancora non se n’era andato: continuava ad annusare come
il segugio che
apparentemente non era, guardandosi attorno per avere una visione dei
dintorni.
Appena
fece caso all’uomo gli si avvicinò velocemente,
strusciandosi contro la sua
gamba per poi rimettersi a correre. Kanan non poté fare
altro che rimettersi in
moto, immaginando tuttavia dove quel felino avesse intenzione di
condurlo. Se
in un primo momento aveva pensato che Ezra sarebbe senz’altro
tornato a casa,
da un altro punto di vista lui raramente parlava di quel luogo come la
sua
effettiva dimora. “Sono cresciuto per strada, da
solo” diceva sempre.
Proprio
da solo, lui sapeva che l’avrebbe trovato.
Non
si stupì di veder stagliarsi all’orizzonte, poco
dopo aver lasciato la città,
la torre nella quale il ragazzo aveva vissuto prima di incontrarli.
Anzi, se
avesse avuto più tempo per pensarci, o meglio se non avesse
dovuto per forza di
cose fare quella deviazione necessaria a casa sua, probabilmente
sarebbe venuto
lì a cercarlo. Sentiva la sua presenza solo ora, vi erano
solo due motivi: o
non aveva voluto farsi trovare, o non aveva le forze per essere trovato.
In
entrambi i casi, Kanan doveva vederlo subito.
Una
volta raggiunto il luogo, scalato con quel pelosetto accanto,
finalmente furono
davanti alla porta spalancata, che lasciava filtrare a mala pena il
sole tenue
che l’alba faceva nascere. Kanan si fece avanti, un antro
semibuio abitato dalla
ben nota collezione di caschi di Ezra, oltre che di innumerevoli altre
cianfrusaglie
probabile preda del sul passato da borseggiatore.
Infine,
lo vide.
Quando
qualcosa di brutto succedeva, Ezra era inevitabilmente chiuso in se
stesso. Che
fosse a occhi bassi, chino o semplicemente con le braccia attorno al
corpo, lui
tendeva a prendere le distanze, voleva che ogni male andasse via. Se lo
aspettava, perché in tanti anni tutto se n’era
andato via, tutto l’aveva
abbandonato. Perché non ora?
-Ezra.-
Ora
non faceva eccezione, e con le ginocchia al petto e il capo poggiato
sulle
cosce, quella era una piccola fortezza fragile e tremante che si
isolava da
tutto e tutti. Al richiamo il castello si smosse, e due occhi zaffiri
spuntarono dalle sue mura cauti, insicuri.
Forse
l’aveva riconosciuto appena era entrato, non sarebbe stata la
prima volta.
Parve comunque sorpreso, o frastornato, la sensazione fu quella di
averlo
anticipato mentre lui tentava di arrancare una scusa per
l’essere sparito per
quasi sei ore. Aveva il volto tremendamente pallido, gelo notturno e
l’onnipresente malattia lo avevano consumato fino a ridurlo a
ciò che era prima
di nutrirsi regolarmente assieme a tutti loro. I suoi occhi erano
spessi di
occhiaie, e se si fosse trattato di lacrime infinite o una notte senza
sonno,
Kanan non poteva saperlo.
Sperava
solo una delle due.
-…
sono… sono d-dovuto andare…-. Balbettò
il ragazzino, stringendosi le braccia
attorno al corpo scosso dai brividi. -Sentivo che d-dovevo…
sono andato a casa…
quella dei miei…-. Un singhiozzò
ghiacciò le sue parole, facendo tremare lo
sguardo lucido. -… ma non sapevo cosa… se
dovevo… io… i-io…-. Si tratteneva,
cercava disperatamente di ignorare tutto, i ricordi laceranti, le
memorie
nostalgiche, la gola che bruciava e la vista offuscata e calda.
Kanan
addolcì lo sguardo, muovendosi cauto verso di lui. Il
loth-gatto rimase alla
porta, curioso ad osservare il maestro approssimarsi
all’allievo, per poi
abbassarsi di fronte a lui. Gli mise una mano sulla spalla,
costringendolo a
guardarlo negli occhi. E gli sorrise.
-Lo
so. Cercavi qualcosa.-. Disse dolcemente, porgendogli infine quel
regalo. -Dovevi
solo guardare un po’ più attentamente.-. Lo
sentì. Sentì tutto ciò che quella
vista provocava in lui.
Ezra
sgranò gli occhi, incredulo, esitante mentre metteva mano ad
un oggetto che non
vedeva da otto anni. Quando lo toccò si sentì
pervadere dalla nostalgia, era
tanto ruvido ma soffice e confortante: un peluche a forma di
loth-gatto,
arancio a strisce nere, che con tanto affetto e sacrificio i suoi
genitori gli
avevano regalato invece di tenerne a casa uno. Non aveva più
provato l’ingenua
gioia di quando l’aveva ricevuto, non si era più
sentito così spensierato
davanti ad un futuro che sembrava così naturalmente roseo.
Non aveva più
permesso a se stesso di aver voglia di sentirsi amato, di sentire
affetto e
calore.
-K-Kanan…-
-Ezra.-.
Il maestro lo anticipò, guardandolo dritto negli occhi per
potergli cavare
dallo sguardo solo la verità. -Stai bene?-
Il
blu esitò. Guardò il volto dell’uomo,
guardò la torre della sua solitudine.
Guardò le sue mani tremanti, e quel regalo speciale che gli
graffiava il cuore.
-…-.
Scosse la testa, singhiozzando sempre più forte.
-… no.-
Le
sue guance divennero calme, la gola smise di bruciare.
Lacrime
sorsero, morbide e spedite come se non vedessero l’ora di
venire fuori. Prima
che se ne rendesse conto singhiozzava, col volto premuto sul petto del
suo
maestro, che senza dire una sola parola lo chiudeva in un minuto ma
caldissimo
abbraccio. Tutto ciò di cui aveva bisogno, solo silenzio e
calore, il primo
rubato dai gemiti che le sue labbra abbandonavano man mano i suoi
pianti si
facevano sempre più disperati, necessari.
Il
passato rimaneva, per quanto fosse forte la sua voce.
Poteva
solo muoversi verso la luce, che splendeva in quella nuova alba.
***
-L’hai
trovato!!!-. Esclamò Hera non appena vide il jedi tornare,
con un esausto e
ancora malaticcio padawan svenuto tra le sue braccia.
-Avevi
dei dubbi?-. Chiese ironico, muovendosi verso la sua camera per farlo
riposare.
-Diciamo
che Sabine potrebbe aver perso una scommessa con Zeb…-.
Mormorò ridacchiando,
facendolo imbronciare leggermente. -… ma era più
che altro su quanto tempo ci
avresti messo.-. Precisò con un sorriso, rendendolo un
po’ meno offeso.
Camminarono
l’una di fianco all’altro, con un tenue e leggero
respiro che spezzava la calma
di quella prematura mattina. In uno stato così precario,
così fragile solo
Kanan l’aveva visto, quando gli erano morti i genitori: anche
quella volta lo
aveva tenuto stretto a sé, cercando di calmare le lacrime e
la disperazione.
Aveva sperato di non vederlo mai più in uno stato del
genere. La forza non era
mai stata generosa con quel ragazzino.
-Starà
bene?-. Chiese accorta Hera, passandogli una mano tra le ciocche blu.
-Ezra
starà sempre bene, è il momento in cui non lo
è che mi preoccupa.-. Confessò
Kanan, ringraziando con lo sguardo la twilek che apriva la porta al
posto suo.
-Non mi dice mai niente, lo devo scoprire da solo oppure forzarlo a
parlare.
Ormai è passato un anno da quando è con noi, e
non è cambiato nulla.-. Concluse
amaro, rimirando il volto pallido ma sereno che sosteneva.
Il
pilota sorrise teneramente, sospirando appena.
-Sei
cambiato tu, da quando lo hai conosciuto.-. Affermò,
bloccandolo in mezzo alla
stanza. -Siamo cambiati tutti, lentamente, quindi è solo una
questione di
tempo. E non credo che il borseggiatore menefreghista di un anno fa
avrebbe
pianto abbracciato al suo vecchio maestro.-. Asserì.
L’istinto materno di Hera
era più impressionante di qualunque trucco jedi Kanan avesse
imparato durante
il suo addestramento, ne era consapevole.
Come
sempre aveva ragione.
Sorrise,
scalando piano il letto per adagiare il ragazzino, per la seconda
volta, sul
letto che gli spettava. Lo adagiò piano, e la sua testa si
spostò di lato
facendo ricadere qualche capello notte. Kanan glieli
sistemò, assicurandosi che
fosse coperto e sperando che, almeno per una volta, potesse passare
qualche ora
di tranquillità.
Prima
di raggiungere il pilota poggiò accanto al volto del
ragazzino quel peluche,
quel regalo che aveva fatto esplodere in lui emozioni troppo a lungo
nascoste.
-Buon
compleanno, Ezra.-. Mormorò dolcemente carezzandogli la
fronte, lasciandolo
alla pace del sonno.
All’oscuro
del suo sguardo acquamarina, in un solo atto di lucidità lo
sguardo zaffiro si
mostrò, allungando una mano verso il piccolo loth-gatto.
Nelle tenebre della
stanza, un dolce sorriso si perse nei meandri della sua mente,
catturata
dall’oblio della stanchezza.
“Grazie,
papà.”
Milla Little Corner
E rieccomi con la seconda e
ultima parte! <3
Il finale me lo sono lasciata scappare, per me sono davvero troppo come
padre e figlio! ^^"
Questo è
stato decisamente malinconico. Non sono riuscita a trattenermi, Ezzy
è davvero troppo triste secondo me... e Kanan è
l'unico che può aiutarlo! Mi sembra abbia pure fatto un buon
lavoro, quindi direi che possiamo tutti considerarci soddisfatti!!! ^ ^
Ringrazio nuovamente
Aiko_Miura_36 per aver recensito il primo capitolo, oltre ad aver
iniziato con me questo piccolo contest!
Bene, con questo mi
congedo! Che la forza sia con voi eccetera eccetera!!!
Alla prossima, ciao!
Purple_Rose
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