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Il
cielo era rossastro e i raggi del Sole, che scompariva lentamente dietro l’orizzonte,
colpivano le lamine dorate della cupola della Moschea della Roccia che svettava
al di sopra dei tetti di Gerusalemme.
Era
il trentuno ottobre e il clima era buono: in quelle zone non faceva particolarmente
freddo, neppure in inverno, si poteva tranquillamente passeggiare per le
strade, coperti da una giacca o un giubbotto leggero.
Tranquillamente non era forse
il termine più adatto, dal momento che era trascorsa appena una settimana dalla
fine di una guerra durata circa venti giorni. Si vedevano ancora i segni degli
scontri per le strade: proiettili, muri diroccati, macerie ammassate in attesa
di essere portate chissà dove.
La
guerra del Kippur … uno dei tanti capitoli del conflitto arabo-israeliano, non
era stato il primo e non sarebbe stato l’ultimo.
Dopo
la diaspora e tante persecuzioni durate secoli in ogni angolo del mondo, gli
Ebrei avevano finalmente potuto rientrare nella loro Terra Promessa, avere un
loro Stato … eppure ciò non era sufficiente per farli vivere in pace, anche lì,
nella loro Gerusalemme, non erano al sicuro e venivano attaccati in
continuazione, combattuti, considerati invasori in patria.
A
questo stava pensando Erik, mentre passeggiava tra i vicoli della città, per
godersi la bellezza del panorama. Non sentiva mai il suo animo quieto, ogni ora
del giorno lo assillavano problemi e dubbi, la sua mente era sempre alla
ricerca di risposte e soluzioni e camminare al vespro era una delle poche cose
che lo rilassava.
Dieci
anni trascorsi in prigione gli parevano meno dolorosi e affannosi di quegli
ultimi mesi.
Incarcerato
si sentiva come un martire, sapeva di essere lì ingiustamente, incastrato, perché
aveva degli ideali e dei valori per i quali combatteva ed era disposto a tutto
per essi.
Prima
non aveva potuto agire perché rinchiuso, ora invece aveva la possibilità di
agire, eppure non sapeva cosa fare.
Beh,
non era proprio così. Erano trascorsi nove mesi da quando aveva fallito il suo
tentativo di uccidere Nixon, da quando gli era stato impedito di lanciare un
monito agli umani, da quando Mistyca gli aveva
voltato le spalle per tornare da Charles.
Non
era rimasto in attivo per tutto quel tempo: aveva incontrato altri mutanti che
condividevano il suo pensiero, era riuscito a prendersi alcune rivincite,
tuttavia questo non gli bastava. Sentiva di potere fare di più, di dovere fare
di più. Non sapeva però esattamente come muoversi. A volte pensava ad elaborare
grandi piani, altre si diceva fosse meglio prima trovare fratelli e sorelle
mutanti, formare con loro una società, essere uniti e proteggersi a vicenda;
altre ancora, quando aveva notizia del successo che stava riscuotendo la scuola
ideata da Charles, si sentiva frustrato e aveva voglia di mandare al diavolo
tutto e tutti ma poi si calmava.
Con
i mutanti che si rivolgevano a lui, Magneto si
mostrava calmo, sicuro, calcolatore: era indubbiamente un leader carismatico;
rimasto solo, invece, l’uomo si sentiva decisamente più insicuro e confuso,
soprattutto perché aveva la consapevolezza di essere ormai considerato un punto
di riferimento per la comunità dei mutanti e dunque ne sentiva la
responsabilità.
L’esistenza
dei mutanti era ormai nota al mondo e già si erano manifestati attriti,
discordie, qualche atto di violenza da ambo le parti, ma nulla di grave.
I
mutanti, quelli che avevano avuto il coraggio di uscire allo scoperto, si erano
raggruppati o attorno al Professor X, oppure a Magneto,
a seconda del loro animo.
Eric
era consapevole che molti guardavano a lui come a una guida o un esempio e
quindi sentiva di non doverli deluderli, di dover trovare la strada giusta e
condurre gli altri verso la vittoria, una vita felice. Si era preso un impegno
e gli stava a cuore più di ogni altra cosa: non poteva fallire.
Era
contento di essere importante, il potere e la responsabilità lo appagavano ma,
allo stesso tempo, erano fonte di apprensione: anche solo il minimo errore
avrebbe potuto rovinarlo.
Si
era preso alcuni giorni di isolamento dai suoi nuovi collaboratori: aveva
bisogno di poter essere come si sentiva, senza dover indossare la maschera del
leader; ciò era evidente anche a livello visivo: i suoi abiti non erano in
perfetto ordine e aveva la barba di chi non si rade da alcuni giorni.
Eric
approfittava della quiete che riempiva le strade di Gerusalemme alla sera per
calmarsi: cercava di non pensare alle preoccupazioni che, comunque, si facevano
largo nella sua mente, ma in maniera più dolce.
“Mostro!
Mostro!”
Questa
cantilena scosse Magneto dai suoi pensieri. L’insulto
non era rivolto a lui, ma quell’unica parola bastò per catturare la sua
attenzione; si guardò attorno per capire che cosa stesse accadendo e poi notò
che nel vicolo accanto alcuni adolescenti avevano preso di mira un loro
compagno e, oltre ad offenderlo, lo spintonavano da una parte all’altra,
insultandolo. La vittima era palesemente un mutante: occhi a fessura e lingua
biforcuta come quelle di un serpente, canini pronunciati, presumibilmente
velenosi, e pelle che mutava in scaglie, quando veniva percossa.
Scorgendo
un proprio simile in pericolo, Erik decise di soccorrerlo, già stava per
scaraventare i bulli contro alle case, quando si udì una voce dall’altra parte
della via.
“Ehi,
fermi! Fermi!” intimava una ragazza, evidentemente forestiera “Che cosa state
facendo?”
“Sta
zitta e non t’immischiare.” replicò uno degli adolescenti, degnandola appena di
uno sguardo “Non vedi che stiamo dando una lezione a questo dannato mutante?”
“Perché?
Che cos’ha fatto?” insistette la giovane, avanzando di qualche passo con
decisione.
Magneto si era stupito
nel vedere qualcun altro esporsi per un mutante e quindi aveva deciso di
rimanere ad osservare, almeno per il momento.
“Non
hai sentito?” si stizzì uno dei bulli, che continuavano a colpire il coetaneo “È
un mutante!”
“Questo
non risponde alla domanda Che cosa ha
fatto?” ribatté la ragazza che, vedendo il malcapitato ancora picchiato,
ruotò leggermente una delle mani e un cerchio di fuoco, con fiamme alte fino al
ginocchio, si formò attorno alla vittima, in modo che i suoi persecutori non
potessero più avvicinarsi.
“Sei
una schifosa mutante anche tu!” si sorprese e arrabbiò un altro ancora del
gruppetto.
La
donna non si scompose e scandì con fierezza: “Essere mutanti non è una colpa.”
“È
un privilegio.” aggiunse Erik, facendosi avanti.
Si
sentiva un po’ fuori luogo in quella situazione: lui quasi quarantenne a
redarguire dei ragazzini, ma c’era di mezzo la questione mutanti e quindi non
poteva lasciar correre.
“È
una casualità genetica.” ribatté, invece, la straniera.
“È
una mostruosità!” tagliò corto uno dei bulli.
“Siete
degli scherzi della natura!” ringhiò un altro “Il vostro posto è il circo o il cimitero!”
Eric
scoppiò in una risata divertita e sprezzante e poi commentò: “Sono sicuro che
le scimmie abbiano pensato ciò, davanti agli ominidi. Noi siamo il futuro ed è
bene che voi, involuti, non ostacoliate il naturale progresso.”
La
donna lo guardò accigliata per qualche istante, poi scosse il capo e riprese: “Abbiamo
capacità straordinarie, è vero, ed è stupido insultarci e maltrattarci per
esse,visto che potremmo essere molto
utili alla società, se non aveste paura di noi.”
Magneto usò il proprio
potere per sollevare per aria di un metro i ragazzini, dicendo: “Utili, sì, ma
anche pericolosi: un mutante vale minimo cento umani, per cui dovreste ben
temere la sua ira. Alcuni di noi sono accecati dal buonismo e non reagiscono
alle vostre fanfaronate, ma se un giorno si stuferanno di subire … per voi sarà
la fine.” li lasciòricadere violentemente
per terra.
La
giovane, spazientita da quei metodi, rivolse all’uomo, dicendo: “Mi scusi, ma i
tempi dell’oderint dum metuant
sono finiti da un pezzo. Sono almeno quei centocinquant’anni
circa che si cerca di far valere l’universalità dei diritti umani.”
“Che
sono solo una favoletta che viene rispolverata quando
ai potenti di una nazione fa comodo interferire per una qualche ragione negli
affari di un’altra.” ribatté Magneto “A nessuno
importa di far valere i diritti umani, se non come pretesto per condurre guerre
di sopraffazione che hanno ben altro scopo.”
“Tanto
voi non siete umani!” urlò uno dei bulli, piuttosto innervosito.
Eric
annuì e dichiarò: “Siamo di più: siamo homo
superior.”
“Siamo
esseri umani.” affermò, invece, la donna “Le nostre capacità non ci snaturano. Qualcuno
di voi è mancino?”
Ci
fu perplessità tra i bulli, poi uno di loro alzò la mano.
“Bene:
tu e quello rosso di capelli, fino a cent’anni fa, ma anche meno e in certe
zone tutt’oggi, sareste considerati incarnazioni di demoni. C’è qualcuno che si
intende di erboristeria? No? Per fortuna, altrimenti qualche secolo fa sarebbe
stato bruciato sul rogo. Via, salga allora sulla pira chi ha un gatto nero. Tutti
voi credete che sia la Terra a girare attorno al Sole e non viceversa? Molto bene,
quattrocento anni fa sareste stati tutti mandati a morte. Tranne tu, che sei
gracilino, che probabilmente ti avrebbero gettato da una rupe o abbandonato in
fasce. Avete bisogno di altri esempi? Le opinioni della massa sono mutevoli e
basta nascere qualche anno troppo presto o troppo tardi per essere considerati
dei mostri per via di qualche elemento di voi che in un’altra epoca o semplicemente
luogo sarebbe perfettamente accettato.” il tono finora aspro si addolcì: “Tornatevene
a casa e domandate ai vostri genitori com’è essere perseguitati unicamente in
virtù della propria nascita: fatevi raccontare e, se capirete, probabilmente
non vi arrogherete più il diritto di umiliare e picchiare qualcuno solo perché
leggermente diverso da voi. Le nostre similitudini superano sempre le nostre
differenze. Andate.”
I
bulli non se lo fecero ripetere due volte e corsero via. La ragazza guardò le
fiamme che si spensero, poi si avvicinò al giovane mutante e gli chiese come
stesse, lo rassicurò e poi lo esortò ad andare a casa. Il ragazzino ringraziò e
si avviò. Magneto, allora, gli fece un cenno e gli
disse: “La prossima volta, mordili oppure dà loro un saggio delle tue capacità:
non farti mettere i piedi in testa. Gli uomini capiscono solo la forza: finché
non mostrerai a loro che puoi essere pericoloso, continueranno a trattarti male
e tu non lo meriti. Nessuno mutante lo merita.”
Il
ragazzino annuì e si allontanò, sembrava avesse un’aria contenta.
“Nessuno
in generale lo merita!” gridò la giovane, per farsi sentire, nonostante la
distanza.
Eric
fece una smorfia e, con tono ironico e stizzito, chiese: “Ti ha catetizzata il Professor X?”
“No.
Ne ho sentito parlare, ma non l’ho mai conosciuto.” rispose lei, avvicinandosi “Questo
èil mio normale e spontaneo modus
operandi.”
“Stucchevole
e zuccheroso.”
“No,
affatto. Non sono ottimista, tutt’altro. So bene che se le mie parole
scuoteranno anche soltanto uno di quei ragazzini, lo si potrà considerare un
gran successo.”
“Perché
seguire un metodo che ritiene fallimentare? Non sarebbe meglio tentare un’altra
strada?”
“Sono
una disillusa, vedo fallimento ovunque. Credo che piccoli e singoli esempi e
insegnamenti possano spesso servire meglio che tentare grandi rivoluzioni. Le rivoluzioni
non sono mai rapide spontanee, ma sono sempre il risultato di tanti piccoli
passi fatti nell’arco di molto tempo.”
“Può
essere, ma in questo modo ci sono troppe vittime innocenti. I neri hanno di
recente acquisito lo status di umani e cittadini a tutti gli effetti in America
ed è un notevole passo in avanti, considerando che fino a un secolo fa erano
schiavi … ma nel frattempo quanti di loro sono stati sfruttati, considerati
bestie, strumenti di lavoro? Quanti non hanno potuto vivere una vita degna di
tale nome? Quanti sono stati uccisi e massacrati? E anche una volta abolita la
schiavitù, quanti di loro hanno continuato a patire perché non avevano pari
diritti e dignità? Certo, ora c’è una legge che li equipara agli altri
cittadini, ma credi che possa davvero bastare solo questo per spegnere il cieco
e stupido odio degli uomini? E anche se fosse, che colpa avevano gli schiavi? Chi
renderà loro giustizia? Nessuno. Questa è la stessa sorte che potrebbe toccare
ai mutanti, se non combatteremo fin dall’inizio per avere ciò che ci spetta.”
“La
giustizia è relativa, è una categoria della mente umana, è relativa e di certo
la storia non la segue. Il mondo ha le sue leggi e raramente coincidono con la
nostra idea di giusto e di bene.”
“Quest’affermazione
va a mio favore.” fece notare Magneto, abbozzando un
sorriso “Se non possiamo aspettarci giustizia dal mondo, dobbiamo farcela da
soli.”
Eric
e la ragazza rimasero ad osservarsi per qualche istante.
L’uomo
scrutava l’interlocutrice alla ricerca di qualche indizio che potesse fornirgli
informazioni su di lei: era corpulenta, ma proporzionata e si poteva notare il
gran seno che aveva, nonostante fosse avvolta in una mantella a scacchi rossi e
blu, indossava poi una lunga gonna scura; aveva la carnagione piuttosto
pallida, capelli scuri, molto lunghi e mossi, occhi oliva; aveva tutto l’aspetto
di chi ha viaggiato per diverso tempo, senza troppe comodità.
Infine,
lei propose: “Perché invece di esporre le nostre teorie in mezzo alla strada
non lo facciamo in un locale, bevendo e mangiando qualcosa? Ho voglia di vino e
liquore, ma in queste parti del mondo non vedono di buon occhio una donna che
si accosta agli alcolici: se li ordinate voi, potrei bere senza difficoltà.”
Eric
rimase perplesso qualche rapido istante, ma poi si sentì piuttosto divertito e
acconsentì: “Sia. Credo che la conversazione sarà piuttosto interessante. Sono curioso
d’ascoltarti.”
“Vi
dispiace se andiamo nel pub accanto all’ostello dove alloggio?”
“Fa
strada e dammi pure del tu: siamo mutanti, tra di noi non c’è bisogno di
formalità. Io sono Erik Lehnsherr, detto Magneto.”
“Lo
so bene, vi ho riconosciuto. Dopo che avete attentato al presidente Nixon in
diretta tv, tutti conoscono il vostro volto. Per quanto riguarda il tu, spero
che man mano mi venga naturale, ma sono piuttosto abituata a dare del lei e del
voi. Ad ogni modo, io sono Virgigna Balletti e se
proprio devo avere un soprannome sia Fosca.”
Concluse
le presentazioni, i due mutanti si incamminarono.
Il
locale era piuttosto affollato, arredato alla stessa maniera dei bar che si
vedevano in televisione nelle sitcom americane, molto colorato, la musica era tenuta
a un volume piuttosto alto e permetteva di conversare con le persone vicine, ma
non sentire chi era a un paio di metri di distanza.
Erik
e Virgigna si erano accomodati ad un tavolino un po’
defilato, per essere sicuri di non essere ascoltati da altri; erano seduti l’uno
di fronte all’altro e, dopo aver consultato il menù, ripresero a parlare.
“Allora”
esordì l’uomo “Puoi evocare il fuoco? È questo il tuo potere?”
“Non
proprio e non solo. Posso manipolare e controllare il fuoco e l’acqua, ma non
posso crearli. Sono capace di prenderli anche da una discreta distanza e
portarli rapidamente dove sono io, tanto che può parere ch’io li crei, ma è
semplice evocazione.”
“Fuoco
e acqua? Sembra una contraddizione.”
“È
una delle naturali leggi di natura: due principi od energie una l’opposta dell’altro
non sono in conflitto, così come può apparire, ma collaborano per generare. Se una
prevalesse sull’altra, si arriverebbe a una situazione di stasi, la guerra o l’amore
tra due opposti porta al progresso. Eraclito già lo sapeva bene, quando diceva
che il conflitto è il padre di tutte le cose.”
“La
guerra è proprio ciò che voglio: gli umani devono cederci il passo e se
vogliono ostinatamente opporsi al naturale progresso, come d’altronde hanno già
dimostrato, allora verranno estirpati. Una delle cose che la storia ha sempre
dimostrato è che ogni civiltà nasce dalle macerie di quella precedente: la
morte è necessaria per una rinascita migliore.”
La
donna abbassò lo sguardo, sospirò e mestamente disse: “È vero, ma è un
principio difficile da accettare. Un conto è se il crollo di una civiltà è
dovuto a cataclismi o, in un certo senso, autodistruzione perché arriva ad un
punto in cui è inevitabile il collasso … avere però la responsabilità di tale
distruzione, per quanto serva a migliorare il futuro, è molto doloroso da
accettare …”
“Sceglieresti
il male maggiore anziché il minore.” la interruppe Erik “Bisogna avere
lungimiranza: sacrifici nell’immediato eviteranno morti e dolori ben più gravi
nel futuro. Se avessi la possibilità di tornare indietro nel tempo e uccidere
Hitler prima che prenda il potere, non lo faresti?”
“Non
lo so … non avrebbe ancora fatto nulla …”
“Ma
lo farebbe e si sa. Io non esiterei un istante, se ne avessi l’opportunità,
sacrificherei volentieri Hitler e tutti i suoi collaboratori, prima che
agiscano, per impedire gli orrori che hanno compiuto.”
“Noi,
però, non veniamo dal futuro, non possiamo sapere se, chi, come provocheràafflizioni.”
“Se? Dubiti che i mutanti verranno
perseguitati? Notizia neppure dell’ultimo momento: molti mutanti sono già stati
uccisi o sottoposti ad esperimenti da parte di umani. Tu stessa, poco fa, hai
dimostrato come l’uomo sia stupido e aggredisca sempre il diverso, credi
davvero che noi mutanti riceveremo un trattamento differente?”
Un
cameriere si accostò al tavolo per prendere le ordinazioni e dunque interruppe
la discussione per qualche minuto.
Appena
furono rimasti di nuovo soli, Erik le chiese: “Quando hai scoperto il tuo
potere? Come l’ha presa la tua famiglia?”
“Oh,
da questo punto di vista sono stata fortunata: si sono arrabbiati maggiormente
quando ho loro detto che avevo intenzione di studiare all’università e non di
andare a fare la segretaria da qualche parte.”
“Davvero?!”
“Anche
mio padre è un mutante e lo sono i miei fratelli, per cui non c’è stata alcuna
sorpresa, quando ho manifestato i miei poteri.”
“Sei
stata molto fortunata, hai avuto comprensione, sostegno amorevole. Io ho
scoperto le mie capacità in un campo di concentramento e sono stato usato come
cavia.” Erik si sforzò di scacciare quei ricordi angosciosi e, incuriosito,
chiese: “Come vivete? Dove? Qualcuno sa di voi?”
“Pochi
e fidati amici. Vengo dall’Italia. Mio padre e i suoi fratelli erano partigiani
e combatterono contro i tedeschi e i repubblichini. Usarono spesso i loro
poteri negli scontri e, lì per lì, furono molto apprezzati dai loro compagni,
ma, finita la guerra, alcuni che avevano visto mio padre agire iniziarono ad avere
paura che lui usasse le sue capacità contro di loro e quindi decise di
trasferirsi in una città più lontana, dove fosse più facile mimetizzarsi tra la
gente e dove nessuno lo conoscesse. Mantenne i contatti solo con pochissimi dei
vecchi amici.”
“E
i tuoi zii?” domandò Erik che ascoltava molto attentamente.
“Non
li ho mai conosciuti.” rispose la giovane, tristemente “Uno venne ucciso,
mentre solo copriva la ritirata ai suoi compagni d’arme, altri due furono presi
prigionieri dai nazisti e non si seppe più nulla.”
“Probabilmente
è toccato loro il mio stesso fato, forse peggiore. È curioso che nonostante
tutto ciò tu non condivida le mie stesse preoccupazioni circa le sorti dei
mutanti. Sei nata a guerra finita, è vero, eppure dovrebbero esserti ugualmente
noti i meccanismi dello sterminio di una razza, del controllo sulle vite, le
umiliazioni … Forse è perché voi, bene o male, eravate tra i persecutori o, per
lo meno, tra quelli che si voltavano dall’altra parte e fingevano di non
vedere, quelli che non condividevano l’odio per una razza, eppure non hanno
mosso un dito per impedirlo, troppo presi dalla paura di perdere quelle
briciole di benessere che avevano.” Erik si sforzava di parlare a bassa voce,
ma era evidente come stesse tentando di mascherare la profonda ira e sofferenza
che ribollivano nel profondo del suo animo; ripensò ai toni buonisti di Charls e continuò dire tra i denti: “Mi hanno detto di
sperare nella bontà del genere umano, di confidare, avere fiducia … insulse
teorie da codardi. Quale bontà? Negli uomini c’è solo egoismo: i capi di stato
dicevano di non avere idea di quello che accadeva nei campi di concentramento,
che non immaginavano la follia di Hitler … Menzogne, menzogne e basta! Come
potevano non sapere o almeno sospettare? Perché credevano ci espropriassero dei
nostri beni o ci ammassassero sui treni peggio di bestie? Gli animali mandati
al macello erano trattati meglio di noi, perché la fatica o la paura avrebbero
guastato il sapore delle carni. La nostra sofferenza, invece, non importava,
anzi, non era mai abbastanza. La gente tenta di placare la propria coscienza
rifugiandosi dietro il stavamo solo
eseguendo degli ordini, oppure fingendo di ignoranza. La verità è che c’erano
due sole categorie di persone: chi provava gusto nel perseguitarci e chi era
troppo vigliacco o avido per mettere da parte il proprio interesse per fare ciò
che era giusto. Per quanto mi riguarda, chi non ha fatto nulla per impedire il
massacro è responsabile tanto quanto chi l’ha compiuto: tutti siete coinvolti.”
La
rabbia di Magneto era tale da far oscillare i lampadari
e tremare leggermente le posate. Per evitare di attirare l’attenzione o creare
agitazione nel locale, l’uomo si impose la calma
“L’Italia
ha avuto la suaparte di colpa e, per
quanto può valere, ti chiedo scusa a nome dei miei connazionali. Non siamo però
stati a guardare e basta o carnefici, c’è stato anche chi si è opposto, chi ha
combattuto …”
“Quando
ormai gran parte del danno era fatto” la interruppe Erik, con calma glaciale e
inquietante “E non lo avete fatto per senso di giustizia, ma animati da
vendette personali per i torti subiti da voi o, nel migliore dei casi, per la
vostra stessa libertà. Non c’era generosità verso gli altri presso di voi, ma
solo istinto di autodifesa.”
Arrivò
un cameriere a consegnare bevande e cibo. L’uomo sorseggiò la propria birra, si
rilassò un poco prima di proseguire: “Non voglio rimanere ancorato al passato,
ma non devo neppure dimenticarlo. Trent’anni fa è successo a me come Ebreo,
presto potrebbe accadere a noi come mutanti ed è a questo che dobbiamo pensare.
C’è chi pensa che possa essere possibile la pacifica convivenza tra umani e
mutanti, ma non è così: gli umani pensano solo all’autoconservazione, consapevoli
che i mutanti erediteranno il mondo, cercheranno di sterminarli, prima di
essere loro stessi ad estinguersi.”
“Io
non riesco a vedere la differenza tra umani e mutanti.”
“C’è
eccome, è preoccupante che tu e altri non le vediate. Tu stessa hai detto che
hai sempre dovuto nasconderti, non hai mai potuto essere apertamente te stessa:
è così che vuoi vivere? Non pensi di avere il diritto di essere libera e,
soprattutto, rispettata?”
“Se
devo essere sincera, nel mio piccolo ho subito anch’io vessazioni. Non ho mai
mostrato i miei poteri in pubblico, ma per il resto sono sempre stata me
stessa, ho seguito i miei interessi, le mie inclinazioni anche quando erano in
contrasto con l’opinione comune. Il risultato? Essere isolata, essere additata
come quella diversa, quella strana. Io non volevo essere come gli altri, volevo
semplicemente che loro capissero che le mie differenze non mi rendevano sbagliata.
Da pochi, emarginati anche loro, ho avuto comprensione amicizia, ma per la
maggior parte della gente sono, nei migliore dei casi, pazza o noioso, comunque
da evitare. Una ragazza che decide di fare l’università anziché sposarsi a vent’anni
e iniziare a fare figli, è considerata anormale, poco raccomandabile. Non ho
certo subito le tue tragedie e mi rendo conto che ai tuoi occhi questo paragone
possa suonare anche come un’offesa, tuttavia ti garantisco che anche senza un’aperta
persecuzione e senza torture fisiche si può soffrire immensamente, morire
dentro, quando si vorrebbe dare qualcosa al mondo e il mondo ti ignora. Di una
cosa mi sono convinta: l’isolare il diverso è tipico degli umani, mutanti
compresi e quando ci saranno solo mutanti nel mondo, si inventeranno altre
ragioni per odiarsi, aver paura e combattere.”
Erik
avrebbe voluto ribattere qualcosa, tuttavia non gli venne in mente una buona
replica, quindi rimase ad ascoltare.
“È
inutile che la natura ci dia poteri straordinari, se la nostra mentalità
continua ad essere violenta, chiusa ed egocentrica. È il nostro atteggiamento
verso l’altro che deve evolvere, solo così si potrà migliorare davvero il
mondo. La questione è morale e l’unica rivoluzione efficace è quella culturale …
ma non come quella pagliacciata di qualche anno fa. Il piccolo contributo che
posso dare al mondo è quello di cercare di far ragionare i singoli uomini:
convertire le masse è un’utopia.”
“Se
siamo d’accordo sul fatto che istillare buon senso agli umani sia impossibile,
allora perché non lo siamo sul fatto di combatterli? Sei anche tu una vigliacca
che ha paura di assumersi delle responsabilità: non hai il coraggio di essere
ciò che sei, forse in fondo nemmeno tu credi di meritare di vivere”
A
quelle parole, istintivamente, Virginia corrugò la fronte, abbassò lo sguardo e
le sue spalle si strinsero, come nel tentativo di chiudersi a uovo.
Magneto continuava: “Per
questo hai scelto di nasconderti, di seguire una strada che tu definisci
pacifica e che io definisco codarda e da ignavi. Siamo a questo mondo e non
possiamo permetterci di lasciare scorrere gli eventi, senza fare nulla per
cambiarli. Se la nostra vita dev’essere un patetico
passare il tempo in attesa della morte, allora sarebbe meglio non nascere
affatto.” Erik aveva assunto un tono molto deciso, si sentiva il vigore vibrare
in ogni sillaba “Lascio ad altri ambizioni meschine ed egoiste, io non ricerco
ricchezze, prestigio o altro. Io ho deciso che la mia vita sarà votata al
migliorare quella dei mutanti e farò tutto ciò che sarà necessario. La vita di
ciascuno di noi vale per quanto facciamo per il mondo e la società e non per
noi stessi. A te, come a molti altri, sta bene una vita da poco, ma io non mi
accontento.”
Virginia
rimase in silenzio per alcuni lunghi momenti, fissava il suo interlocutore e
nei suoi occhi si potevano distinguere ammirazione e invidia per quell’uomo e
anche malinconia. Infine disse: “Vorrei tanto provare la passione che ti anima.
Il mio spirito non è quieto, bensì insensibile da troppo tempo. Penso che, dopo
i venti, venticinque anni al massimo, non si possa più essere idealisti: chi lo
rimane è o estremamente stupido o estremamente nobile d’animo. Penso tu faccia
parte della seconda categoria.”
Erik
abbozzò un sorriso e stava per rispondere, ma la giovane non gliene diede il
tempo: “Quand’ero giovane, anch’io ero appassionata ad una causa, quella che
ritenevo portasse al vero bene comune.”
“Ferma
un attimo. Hai detto quand’eri giovane?
Mi pari piuttosto più piccola di me, sono un po’ fuori luogo discorsi colorati
da nostalgia.”
“È
vero, vado per ventisei anni, ma ciò non toglie ch’io avverta come lontano
passato ciò che riguarda dieci anni fa ed ero una persona molto diversa.”
“Com’eri?”
“Allegra,
piena di speranza e combattiva. Vedevo il bene da una parte e il male dall’altra,
sapevo che cosa volevo ed ero determinata a cercare di raggiungere l’obbiettivo.
Poi, pian, piano, soprattutto studiando, mi sono resa conto di come tutto
scorra e passi, che voler perseguire il bene è una chimera, che nella storia ci
sono stati momenti di benessere e di decadenza e che tutto ciò che riguarda
questo mondo è effimero. Faticare qui non è né più né meno di allestire uno
spettacolo teatrale: può essere bello da vedere, ma in fondo è tutto falso.”
“Almeno,
però, ci sarà stato un momento felice, almeno per qualcuno.”
“E
per qualcun altro no. Qui non c’è un bene finale da raggiungere, è inutile e
sciocco affannarsi in questo mondo.”
“Ne
conosci un altro?”
“Non
bene come vorrei. Io penso all’anima, a ciò che è eterno, solo l’imperituro ha
importanza. Ho imparato il distacco da ciò che accade attorno a me, almeno
dalle macrovicende. Voglio consacrare la mia vita a un bene superiore che
trascende i limiti della vita mortale: voglio elevare la mia anima e quella
altrui.”
“Io
penso che tu abbia paura del fallimento. Raccontami più esattamente come hai
perso la voglia di lottare.”
“È
stato graduale, una consapevolezza che si èpian, piano impadronita di me. Hanno influito soprattutto i fatti del ’68
e del ’69 … non so cosa sia accaduto esattamente, ma ho visto come la quasi
totalità della gente sia guidata unicamente da emozioni, rabbia, ricerca di
piacere, voglia di lotta, senza troppo curarsi dello scopo. Contava solo l’entusiasmo
che infiammava gli animi e non c’era razionalità e consapevolezza. Ciò che ha
dato speranza a molti, a me ha reso una disillusa.”
“Pari
affranta. Continuo a credere che tu ti sia tirata indietro per paura di
fallire. Avevi un sogno e lo hai visto naufragare, ti sei resa conto di non
poter fare affidamento sugli altri per realizzarlo e allora, piuttosto che
subire una sconfitta, hai preferito fare un passo indietro e non tentare. Se tutti
facessero così, non si otterrebbe mai nulla.”
“Purtroppo
o per fortuna io non sono tutti.” sospirò Virginia “Credimi, vorrei tanto poter
trovare una causa terrena che mi paia valga la pena essere combattuta, ma nulla
mi sembra abbia reale importanza.” si scosse, volendo scacciare la malinconia “Per
questo ho deciso di intraprendere questo viaggio, dopo essermi laureata, altra
cosa che i miei genitori non hanno apprezzato. Da una parte ho voglia di vedere
dal vivo ciò che finora ho studiato, dall’altra penso che entrare a contatto con
culture diverse possa aiutarmi a trovare una nuova prospettiva con cui vedere
le cose.”
“Dove
vuoi andare?”
“Non
ho un itinerario preciso. Da queste parti sono di passaggio, voglio esplorare
soprattutto l’antica Mesopotamia, poi passare in Persia
e infine, se ce ne sarà modo,forse
raggiungere l’India.”
“È
una strada lunga da fare in automobile.”
“Ancor
più lunga a piedi. È una sorta di pellegrinaggio il mio, marcio molto e quando
posso utilizzo autobus o treni, anche se non posso farlo spesso, devo
conservare il denaro, visto che non so quanto a lungo rimarrò lontana da casa.”
Erik
ragionò rapidamente: quella ragazza aveva dei poteri che sarebbero tornati
molto utili in una guerra, se fosse riuscito a vincerla alla propria causa;
inoltre lei aveva almeno altri tre parenti mutanti che, chissà, forse sarebbe
riuscito a far entrare nelle proprie fila.
Valeva
la pena trovare la maniera di restare vicino a quella ragazza qualche giorno,
per provare a persuaderla che combattere contro gli umani era la cosa migliore?
Mah,
non ne era affatto sicuro. Tuttavia, sarebbe potuta essere un’occasione per
viaggiare verso oriente, in una porzione di mondo che non aveva ancora
realmente conosciuto. Si iniziò a domandare se la sua fama fosse arrivata fin
là, che cosa pensassero di lui, se avrebbe incontrato altri mutanti pronti a
seguirlo.
Improvvisamente
l’idea di un piccolo viaggio l’allettava, forse gli avrebbe schiarito le idee e
avrebbe capito come agire e quale sarebbe dovuta essere la prossima mossa per
promuovere la supremazia dei mutanti.
Dopo
aver fatto questi conti, Erik osservò ad alta voce: “Hai valutato le difficoltà
del viaggio che intendi intraprendere?”
“Sì,
la fatica non mi spaventa.”
“Non
è a questo che mi riferivo. Finora hai attraversato stati abbastanza
occidentalizzati o, per lo meno con un briciola di elasticità, ma tu stessa hai
visto che già qui le donne sono trattate differentemente rispetto agli uomini. Più
ti spingerai ad oriente, più sarà difficoltoso per te muoverti da sola, non
sarebbe né prudente, né saggio.”
“Penso
che potrò cavarmela: non rinuncerò.”
“Ho
un’idea migliore: verrò con te.”
“Come?!”
sbalordì la ragazza.
“Se
viaggerai con un uomo, troverai meno ostacoli, semplicemente perché darai meno
nell’occhio e le varie polizie non ti fermeranno ad ogni passo.”
“Non
mi conosci.” replicò Virginia, sospettosa “Perché dovresti volermi dare una
mano?”
“Poiché
sei una mutante. Siamo pochi, ci danno la caccia, nonostante la nostra
superiorità non siamo al sicuro: dobbiamo proteggerci vicendevolmente.”
La
ragazza rimase turbata, non sapeva che cosa pensare: tanta bontà verso di lei
non le sembrava plausibile.
Non
ricevendo risposte, Erik concluse: “Hai detto che alloggi in un ostello? Prendi
i tuoi bagagli e vieni da me: è meglio così.”
Alla
fine, Virginia aveva accettato l’ospitalità di Magneto.
Era sempre stata educata a diffidare di tutti e quindi inizialmente si era
ripromessa di rifiutare, ma poi si era detta che, in fondo, dormire in un
ostello in mezzo a decine di sconosciuti non si poteva certo considerare più
sicuro che accettare un invito di un uomo che, pur non essendo un amico, era
comunque un personaggio in un certo senso noto. Era consapevole che quel
ragionamento non si reggeva in piedi neppure con una stampella, tuttavia in
quel momento non stava cercando la soluzione più prudente, bensì una qualsiasi
motivazione che la convincesse ad accettare.
Era
molto contenta di quell’incontro: aveva visto in televisione la minaccia che Magneto aveva mosso a Nixon e l’esortazione che aveva
rivolto ai mutanti di tutto il mondo. Non ne condivideva gli ideali, tuttavia
provava stima per lui. Data la storia recente dell’Italia, avrebbe dovuto
provare avversione o sospetto verso i leader carismatici, eppure non poteva
fare a meno di ammirare la determinazione di Magneto.
Vedere qualcuno totalmente dedito a un ideale, giusto o sbagliato che fosse, le
scaldava l’animo, infondendole una lieve speranza. Speranza in cosa non lo
sapeva.
Prima
ancora di conoscerlo, dunque, Virginia provava ammirazione per Erik; parlare
con lui, poi, conoscere meglio la sua storia e ascoltare il suo punto di vista
aveva iniziato a nutrire simpatia e stima per lui.
Chi
l’avrebbe mai detto che avrebbe trovato un amico in quel viaggio? Lei si era
immaginata mesi di solitudine e invece …
Era
partita più di tre settimane prime e le occasioni di chiacchierare con qualcuno
erano state rare: non le era mai stato facile attaccare bottone con estranei,
anche perché aveva sempre paura di disturbare. Le sue conversazioni durante il
viaggio si erano limitate a chiedere alcune informazioni indispensabili;
qualche volta aveva provato ad unirsi ai gruppetti che si formavano la sera
nell’atrio degli ostelli, ma non si era mai trovata granché bene.
Incontrare
Erik era stata un boccata d’aria fresca e il fatto che si fosse proposto di
accompagnarla le aveva fatto molto piacere. L’offerta le era sembrata sospetta
e strana e il buon senso le diceva di stare in allarme, tuttavia d’altra parte
si diceva che di certo lei non era il tipo di donna che attirasse certi tipi di
attenzione, anzi non attirava mai nessun tipo di attenzione. Sotto il fitto
strato di dubbio, perplessità e paura, tuttavia, Virginia si sentiva
estremamente lusingata: se le aveva proposto di accompagnarla, significava che
gli era simpatica, se lui voleva proteggerla, allora in un qualche modo le
voleva bene, benché l’avesse appena conosciuta. No via, questo no,
probabilmente lo faceva solo perché teneva alla sicurezza di tutti i mutanti:
non l’aveva certo fatto per lei, impossibile, lo aveva fatto per i valori in
cui credeva.
Si
sentiva piuttosto confusa: da una parte le sarebbe piaciuto credere di essere
una compagnia gradita, dall’altra si rimproverava quella vanità.
Infine,
tra tutte quelle indecisioni, si era risoluta ad accettare.
I
due mutanti avevano finito di cenare, poi Virginia aveva recuperato il proprio
zaino da viaggio e aveva seguito Erik alla sua abitazione. Era una piccola
casetta indipendente, tutta sul pian terreno, aveva un salotto, la cucina, un
bagno e due camere. Il padrone di casa fece sistemare l’ospite, poi le diede la
buona notte e si ritirò.
Ognuno
nel proprio letto, non si addormentarono facilmente, ciascuno assorto nelle
proprie riflessioni.
Si
ritrovarono viso a viso il mattino dopo, a colazione.
“Dormito
bene?”
“Sì,
finalmente una notte tranquilla. Negli ostelli tra via vai, russare e altro,
non si riesce ad avere un buon sonno.”
“Ed
eri pure titubante a venire.” commentò l’uomo, ironico.
“Grazie
per avere insistito. Se non sono indiscreta, come mai siete a Gerusalemme?”
“Dove
dovrebbe essere un Ebreo?” scherzò ancora Erik.
“Intendo
dire, dopo l’esibizione alla Casa Bianca non avete più dato vostre notizie. Ho
sentito delle voci, ma nulla di più. Come mai non avete fatto altro?”
“Ho
agito, anche se non ho dato fiato alle trombe. Hai sentito parlare dello
scandalo Watergate? È emerso per merito mio, è la mia
vendetta contro Nixon, presto sarà costretto a dimettersi e pagherà.
Ho
avuto contatti con molti mutanti che confidano in me, ci stiamo preparando. A
Gerusalemme vengo per rilassarmi, anche se in ottobre ho avuto da lavorare pure
qui. Se non fosse stato per il mio aiuto celato, la guerra del Kippur non
sarebbe finita così presto. A proposito, che razza di imprudente sei nel
viaggiare in un posto dove ci sono stati scontri a fuoco fino alla settimana
scorsa?”
“Era
la strada più breve. Comunque voi Ebrei siete veramente coriacei: da
quattromila anni chiunque tenta di sterminarvi e voi ancora resistete: siete
davvero il popolo eletto.”
“Il
mio popolo, ormai, sono i mutanti. Sento ancora abbastanza vive le mie radici
ebraiche e se posso fare qualcosa per Israele lo faccio, ma la mia priorità
sono i mutanti.”
“Popolo
dei mutanti … suona strano.”
“Perché?”
“Boh,
dà quasi l’idea di una specie in via d’estinzione da tutelare.”
“Lo
siamo.”
“Ci
manca solo che intervenga il wwf o che ci mettano in
una riserva.”
“No,
non faremo certo la fine dei pelle rossa. In effetti, quella della riserva
protetta, potrebbe essere la prospettiva del Professore, ma non è certo nei
miei piani. Con me c’è la supremazia.”
“Ma
…” la giovane si interruppe.
“Cosa?”
“No,
niente, lascia stare.”
“Su,
dì.”
“No,
non voglio polemizzare fin dal mattino.”
“Non
ti preoccupare, parla pure.”
“La
tua tattica mi sembra molto basata sulla prevenzione. Vedi in ognuno un
potenziale nemico e quindi lo vuoi annientare, prima che sia lui ad attaccare
te, giusto?”
“Il
vantaggio della prima mossa è molto utile.”
“Colpisce
però anche chi non avrebbe colpe.”
“Dio
non s’è posto il problema, quando inviò le piaghe in Egitto.”
“Ma
ha salvato Lot e le sue figlie dalla distruzione di Sodoma e Gomorra ed era disposto
a risparmiare le intere città, se vi fossero stati anche solo dieci giusti.”
“Chi
ora non ci è nemico, lo diventerà dopo i primi scontri. È una guerra ed è
inevitabile. So bene che c’è chi predica la non violenza, ma Gandhi e King, pur
ottenendo qualcosa, alla fine sono stati uccisi e i loro pacifici seguaci sono
stati più volte picchiati e ammazzati nonostante non avessero alzato un dito
contro i loro nemici. Ci sono già stati troppi morti tra di noi, non permetterò
ce ne siano ulteriori.”
“A
discapito però di altri. Per te è un aut aut, tertium non datum.”
“Precisamente:
mors tua, vita mea.”
“Effettivamente
è impensabile una storia priva di sangue … ma spero sempre in un
miglioramento.”
“Però
non agisci per attuarlo.” le fece notare Erik, con una lieve nota di
rimprovero.
Virginia
sentì scalfito uno dei suoi punti deboli, comunque replicò: “Se non so quale
sia il meglio da perseguire, come posso fare qualcosa? Non ho la pretesa di
sapere cosa sia bene e imporlo agli altri.”
“Se
tutti avessero aspettato di avere certezze, prima di agire, saremmo ancora
ominidi. La scienza procede per tentativi: si fanno ipotesi e le si verifica,
solo così si possono avere risposte: rimuginare non porta risultati.”
Quelle
parole sollecitarono nella ragazza un ricordo: “Tra le cose che ho studiato
all’università, c’è un testo induista interessante. Un eroe, già temprato da
mille battaglie, esita nell’affrontare quella più importante della sua vita,
poiché dovrebbe affrontare amici e parenti e questo gli sembra ingiusto. Il suo
auriga, che in realtà è una divinità, gli dice che non può scegliere di non
agire, perché anche la scelta di non fare nulla è un modo di fare qualcosa.”
“Questo
dà ragione a me.”
“Dice
anche che bisogna agire per agire, non pensare alla vittoria o alla sconfitta,
disinteressarsi al risultato, ma fare perché si deve fare.”
“Altra
affermazione a mio favore.”
“Dice
anche, però, che quel che è davvero importante è essere amico di Dio, l’unica
vera via giusta è il rapporto d’amore tra il devoto e Dio.”
“Tu
è a questo che miri?”
“Mi
piacerebbe, sì.”
“Auguri,
allora.”
“Troppo
ambizioso?”
“Sì,
soprattutto perché neppure tu ne sei sicura. Ne hai parlato non come una
certezza che hai, ma come una speranza e pure esile: desideri che sia questa la
verità, ma ancora in fondo ne dubiti. Per quel che hai detto, non stai cercando
il rapporto con Dio, stai cercando la conferma che quella sia la strada da
tentare.”
Punta
così nel vivo, non sapendo cosa rispondere per difendere le proprie posizioni,
Virginia replicò: “Tu, invece, agisci e agisci senza mai ottenere nulla. Spendi
tante energie invano. Sei come su un tapis roulant: corri e corri e non ti
muovi di un metro.”
Erik
si accigliò per qualche istante, i suoi occhi lampeggiarono ira per qualche
frazione di secondo, poi con imperativa calma consigliò: “Non giudicare la mia
vita, di cui sai ben poco.”
“E
voi non giudicate la mia.”
“Sei
stata tu a esporre i tuoi crucci, io ti ho solo comunicato le mie impressioni:
c’è differenza.”
Virginia
provò vergogna e si sentì un poco in colpa; era tentata di chiedere scusa ma,
nel provare a dire quella parola, l’imbarazzo la bloccava.
Per
l’ennesima volta nella sua vita si sentiva inadeguata. Non era, però, il senso
di disagio e noia che avvertiva in mezzo ai suoi coetanei o a qualche evento
mondano, piuttosto era la timidezza che la paralizzava in presenza di quelle poche
persone che ammirava, generalmente professori universitari o uomini
particolarmente istruiti o sicuri di sé. Non che davanti ad essi lei si
bloccasse e rimanesse in silenzio, semplicemente era agitata dal timore di non
apparire all’altezza della loro attenzione e quindi ponderava ogni parola, ogni
gesto.
Virginia
aveva sempre diviso le persone in due categorie: quelle comuni, della cui
opinione non le importava nulla (o almeno era ciò di cui cercava di
convincersi) e i pochi altri che l’avevano colpita per profondità d’animo e
sottile intelletto. Era l’approvazione di costoro che la ragazza mirava ad
ottenere.
In
fondo le cose stavano così: lei si sentiva diversa dalla massa e non solo a
causa dei suoi poteri, temeva di essere sbagliata e dunque cercava di salvare
quel poco di autostima che aveva volgendo il suo sguardo a quella ristretta
categoria di persone che riteneva superiori, sperando di essere da loro ben
accettata e in questo modo avere la conferma che fossero gli altri ad essere
sbagliati, non lei: lei era superiore.
Questa
ricerca l’aveva sempre guidata, fino a quel momento, ma i consensi e i piccoli
successi che aveva ottenuto non erano mai stati sufficienti per rassicurarla.
Un bel voto, un complimento, uno studio pubblicato non bastavano mai a colmare
la sua insicurezza; sentiva costantemente il bisogno di dover dimostrare al
mondo (o forse a se stessa?) che anche lei meritava di vivere.
Di
tutto ciò, tuttavia, non era granché consapevole.
Era
calato il silenzio: la ragazza sorseggiava un bicchiere di latte, tenendo la
testa china tanto che i capelli le coprivano il volto; l’uomo la osservava,
voleva capire qualcosa di più di lei, metterla alla prova. Non assomigliava
alla maggior parte delle donne che aveva conosciuto, forse aveva qualcosa della
personalità di Raven, ma era anche parecchio diversa.
La caratteristica che a lui era balzata maggiormente all’occhio era la
contraddizione: quella giovane non era superficiale, guardava le cose in
profondità e ciò le impediva di avere certezze. Quest’ultimo fattore giocava a
favore di Magneto e lui lo sapeva bene: era più
facile condurre una persona incerta, piuttosto che far cambiare idea a una
sicura.
Voleva
prima verificare alcune cose dell’animo della sua ospite, quindi decise di
provocarla apposta, dicendo: “Non dovrebbe stupirmi il tuo volerti sottrarre da
lotte e responsabilità: sei Italiana.”
Virginia,
punta nell’orgoglio nazionale, alzò il volto e fulminò con lo sguardo l’altro,
domandando: “Come, scusa?”
“Si
sa: voi preferite essere comandati da qualcuno, piuttosto che prendere delle
scelte, e vi va bene chiunque purché abbiate il piatto pieno. Come che dite?
Venga la Francia, venga la Spagna, purché se magna? Non avete spina dorsale per
combattere: nella prima guerra mondiale vi sparavate da soli a mani e piedi per
tornare a casa. Siete un popolo di fannulloni, codardi a cui piace solo
mangiare e cantare. Perché ho pensato che tu potessi essere diversa, non lo
so.”
“Non
ti permetto di parlare così della mia nazione!” tuonò Virginia, alzandosi in
piedi e sbattendo violentemente i palmi sul tavolo “Noi discendiamo dai Romani,
coloro il cui impero fu tra i più vasti e fu il più duraturo di cui la storia
abbia memoria.”
“Solo
perché si conta anche i mille anni dell’impero bizantino, che ormai aveva ben
poco a che fare con voi. Crogiolati pure delle vecchie glorie, ma ormai vi
siete imbastarditi e avete ben poco del sangue di Cesare. Avete passato gli
ultimi secoli come schiavi, è a questo che siete abituati: lavorare per i
padroni e non lottare per voi stessi.”
La
ragazza era furiosa, agitò per aria l’indice, gridando: “Tu dimentichi Pietro Micca che si fece esplodere per fermare i Francesi, non
conosci i Reggiani che insorsero prima dell’arrivo di Napoleone! Non sai niente
del nostro Risorgimento: Santorre di Santa Rosa,
Pisacane, Zucchi, i fratelli Bandiera, Garibaldi, Bixio,
Mazzini!”
“Mazzini
era tanto bravo a parlare, ma di fatto non l’ho mai visto con un’arma in mano:
lasciava che fossero gli altri a combattere e a morire. Potete anche aver avuto
qualche decennio in cui qualcuno si è comportato da uomo, ma poi? Siete il
popolo del non spingete, scappiamo anche
noi.”
Magneto aveva notato
che la giovane era presa dall’ira e che si sforzava di non lasciarla sfogare.
L’uomo capì di dover fare di più per provocare in lei una reazione maggiore:
farla arrabbiare di più non sarebbe servito, doveva convincerla a non frenare
il potere della sua rabbia.
Aveva
notato che lei aveva un forte autocontrollo, ma ben diverso dal suo: lui dava
carta bianca alla sua ira, mostrandosi tuttavia calmo e imperturbabile il più delle
volte; lei invece appariva deformata da una rabbia di cui si vergogna o aveva
paura e quindi cercava di frenarla.
Magneto si disse che
c’era un solo modo per costringere l’ospite a una vera e propria reazione. Posò
lo sguardo su un coltello appoggiato sulla tavola, lo sollevò col suo potere e
lo scagliò verso la ragazza.
Virginia
fu rapidissima: fece uscire l’acqua dalla caraffa che aveva davanti a sé, la
posizionò come scudo e la fece congelare a mezz’aria, in modo che il coltello
si conficcasse nel ghiaccio e non potesse raggiungerla.
L’uomo
sorrise soddisfatto e insistette: altri coltelli si levarono per aria e
sfrecciarono verso la giovane che aumentò la quantità d’acqua e la fece
vorticare come un mulinello sospeso, in modo da deviare la traiettoria dei
coltelli. Virginia, poi, plasmò l’acqua in punte di ghiaccio e le rivolse verso
l’aggressore. Erik si affrettò ad evitarle, sollevandosi per aria il minimo
necessario, poi approfittò del braccialetto metallico che la ragazza portava
per spingerla contro il muro e immobilizzarla.
Accorgendosi
che lei era intenzionata ad attaccare ancora, Magneto
si affrettò a dire: “Ferma, ti stavo solo mettendo alla prova.” smise di
tenerla bloccata “Allora li usi i tuoi poteri.”
“Solo
al bisogno.” ribatté Virginia, ancora nervosa.
“Te
la cavi piuttosto bene, anche. Brava, brava. Ero curioso e son rimasto
soddisfatto.”
La
giovane, sbalordita e arrabbiata, replicò: “Come ti salta in mente di
insultarmi e aggredirmi solo per vedere cosa so fare? Chiedere?”
“È
la rabbia che ci potenzia, che ci aiuta a tirare fuori il massimo dei nostri
poteri.”
“A
maggior ragione, allora, dovremmo imparare a restare calmi.” la ragazza era
molto seria, come spaventata da un pericolo appena scampato “So bene cosa la
rabbia può scatenare: è per questo che cerco di evitarla.”
“L’ira
mi ha sempre aiutato. È la naturale conseguenza della sofferenza, è il
principio del miglioramento.”
“Non
quando è solo distruttiva.”
“Un
amico mi disse che la massima concentrazione si trova in un punto tra la rabbia
e la serenità. È vero. L’ira dà energia, la serenità serve a canalizzarla
meglio. Non averne paura, quindi, non negarla, cerca di sfruttarla.”
Virginia
scosse la testa nervosamente, borbottando: “No, sono consapevole di quel che
devo fare.”
Magneto avrebbe voluto
continuare la conversazione: gli dispiaceva vedere una mutante con un simile
potenziale limitarsi. Si era però accorto del turbamento che aveva preso
l’ospite, per cui decise di non insistere in quell’occasione e di aspettare un
altro momento per affrontare la faccenda: il tempo non sarebbe mancato.
Quel
che gli sembrava più strano era che una persona che sosteneva di venire da una
famiglia di mutanti avesse così tanta paura nell’usare le proprie capacità.
“Allora,
quale sarebbe la prossima tappa del tuo viaggio?” chiese Erik, dopo un lungo
silenzio “Verso dove dobbiamo far rotta?”
Virginia
sussultò per lo stupore, alzò lo sguardo verso l’uomo, domandando: “Siete
ancora intenzionato ad accompagnarmi?”
“Certamente,
perché non dovrei? Credi forse che bastino due parole di disaccordo per farmi
cambiare idea? Se così fosse, non mi sarei intrattenuto più di cinque minuti
con te.” un velo di malinconia lo sfiorò rapidamente e lui disse: “Avere
visioni differenti non significa essere nemici.”
Erik
pensava a Charles e anche a Raven.
“Hai
ragione.” disse la ragazza, sorridendo, sentendosi confortata.
Erik
e Virginia si erano messi in viaggio. Avevano studiato abbastanza
dettagliatamente la prima parte di tragitto da percorrere e avevano preparato
con attenzione due zaini con tutto l’equipaggiamento e le scorte alimentari di
cui avrebbero potuto aver bisogno.
La
meta di quel primo percorso era Damasco, in Siria, e avevano calcolato di
impiegare una decina di giorni per raggiungerla. I primi sessanta chilometri li
avevano affrontati più o meno comodamente su un pullman che li aveva portati
fino a Ma’aleEfraim, poi
avevano deciso di continuare a piedi almeno fino a Dganya
Alef, sul mar di Galilea, che era in realtà un lago. Sarebbero stati circa un
centinaio di chilometri e prevedevano di coprirli in un paio di giorni e mezzo,
tre al massimo, se avessero voluto procedere lentamente.
Avevano
camminato con passo svelto, la temperatura era ideale e loro non pativano né il
caldo, né il freddo. Non si parlavano molto, se non durante le soste per
rifocillarsi e dormire. Il marciare li induceva ad essere assorti nei loro
pensieri, si guardavano attorno, le riflessioni attraversavano le loro menti
come l’acqua corrente un fiume e dopo ore non erano nemmeno in grado di dire
quanto tempo fosse trascorso o su cosa avessero ragionato.
Arrivarono
sulle rive del Mar di Galilea nel pomeriggio del terzo giorno e decisero di
riposarsi. Si concessero una cena sostanziosa in un piccolo ristorante di
pesce; mentre per dormire avevano scelto di accamparsi a un paio di centinaia
di metri dalla riva del lago.
Seduti
uno di fronte all’altro, col fuoco in mezzo a separarli, Virginia domandò: “Non
sei ancora pentito?”
“Di
cosa?” replicò Magneto, assumendo cipiglio fiero
“Posso essere dispiaciuto sui risultati, ma non sui mezzi.”
La
ragazza rimase un attimo perplessa e poi disse: “Veramente mi riferivo a questo
viaggio … Sei sempre convinto di volerlo fare?”
“Certo.
Perché me lo chiedi? Sembra quasi che tu non mi voglia.”
“No,
anzi … è solo che mi sembra strano.”
“Che
cosa, esattamente?”
“Ch’io
non ti abbia già seccato, stufato, annoiato.”
“Perché
pensi questo? Dovresti stimarti di più.”
“Io
mi stimo: è il mondo che non lo fa. Di solito per le persone risulto pesante,
noiosa, troppo seria o troppo lunatica, quella che non sa divertirsi, quella
che non sa essere femminile, quella inquietante, quella che quando si facevano
le squadre da bambini veniva sempre scelta per ultima. Nessuno vuole mai la mia
compagnia e mi sembra strano che tu …”
“Bah,
stai esagerando: ne sono certo. Mi vuoi dire che non hai amici?”
“Forse
un paio … altri che reputavo tali si sono rivelati essere in realtà semplici
compagni di gioco. Ci si trova una sera a settimana, in gruppo, per divertirci
con qualche gioco da tavolo, oppure per andare a teatro o al cinematografo e
nient’altro. Ci si vede poco e sempre non con la finalità di trovarsi, ma di
fare qualcos’altro. Non è mai un vedersi per godere della reciproca compagnia.”
“Loro
hanno comunque deciso di condividere i loro interessi con te e non con qualcun
altro. Non sarà il rapporto profondo che vorresti tu, ma è comunque una
dimostrazione di stima e affetto: tra tante persone con cui potrebbero
divertirsi, hanno scelto te.”
“È
comunque un’amicizia incompleta: è superare le avversità insieme che
cementifica un rapporto.”
“Lo
so bene …” sospirò Erik, alzando gli occhi al cielo, tacque qualche istante,
poi si alzò in piedi e disse: “Scusami, ho bisogno di schiarirmi le idee:
faccio due passi.”
“D’accordo,
ti aspetto.”
“Quando
sei stanca, dormi pure, non so quanto mi ci vorrà.” si accorse dello sguardo
dubbioso della ragazza, per cui la rassicurò: “Tranquilla, non sto scappando.
Non sono il tipo di persona che fa le cose contro voglia: mi sono proposto di
accompagnarti perché, nonostante le divergenze, ho trovato molto da apprezzare
in te. A dopo, buona notte.”
Erik
si allontanò piuttosto velocemente: discutere di amici e amicizie gli aveva
fatto affiorare piuttosto veementemente il ricordo di Charles e quindi aveva
preferito trovare un posto dove rimanere solo a pensare.
Che
cos’erano lui e Charles?
Dieci
anni prima, seppure per un tempo breve, erano stati amici; lo erano ancora?
Quando
lui aveva tentato di uccidere il presidente Nixon, Charles glielo aveva
impedito, ma poi gli aveva permesso di fuggire e non finire di nuovo in
prigione o, peggio, essere giustiziato.
Che
strano! Lo aveva fatto evadere controvoglia, erano rimasti assieme le ore di un
viaggio in aereo, litigando o discutendo per la maggior parte del tempo; poi
lui aveva tentato di uccidere Raven, tradendo così la
fiducia del suo forse amico. Infine aveva cercato di risolvere la situazione coi
suoi metodi che Xavier non approvava. Tutto ciò non
doveva forse bastare a uccidere un’amicizia che credeva già morta? Eppure, dopo
tutto ciò, Charles lo aveva salvato, forse comportandosi da amico ancor più che
prima. Come mai?
Lui
si sarebbe comportato in quel modo? Trovandosi in una situazione di vantaggio e
vedendo Charles in difficoltà, lo avrebbe aiutato?
Sì.
Ci
aveva riflettuto per alcuni minuti, ma alla fine aveva concluso di sì.
Si
sentiva ancora suo amico, si sentiva ancora legato profondamente a lui e non
gli avrebbe mai fatto alcun male. Salvo ciò non fosse stato necessario per la
salvaguardia degli altri mutanti, ma era un caso del tutto ipotetico ed
estremamente improbabile.
Avevano
ideali e valori che in parte si intrecciavano e in parte divergevano. Entrambi volevano
la libertà dei mutanti, il loro benessere fisico, sociale e psicologico, i loro
diritti, il loro poter essere ciò che erano. I due, però, avevano visioni del
mondo troppo differenti per poter concordare sui mezzi da utilizzare per
ottenere tutto ciò.
Ognuno
vedeva l’altro su una strada erronea e voleva salvarlo dalla disfatta e
portarlo nel proprio paradiso.
Charles
era ottimista, credeva nell’accettazione graduale dei mutanti da parte degli
umani, nell’integrazione e cooperazione. Vedeva Erik su una strada di violenza
che avrebbe solo gettato odio sui mutanti e avrebbe reso difficile qualsiasi
tentativo di dialogo.
Erik,
invece, vedeva nel mondo solo guerra e odio per il diverso: darwinianamente
riteneva che soltanto il più forte potesse sopravvivere e quindi vedeva nella
lotta l’unica via per ottenere un posto nel mondo. Provava compassione per
Charles, ritenendo che vivesse nella mortificazione e che si lasciasse
sfruttare dagli umani, da coloro che prima o poi lo avrebbero tradito e
distrutto.
Avversari
che non volevano distruggersi, avversari che sarebbero stati pronti a
soccorrersi vicendevolmente nel momento del bisogno.
Erik,
passeggiando attorno al lago, aveva trovato un gruppo di scogli. Si era seduto
sopra uno di essi, quello più avanzato, e continuava a pensare, guardano la
superficie liscia dell’acqua, calmissima, in cui la falce di luna si rifletteva.
La luce degli astri era flebile, l’illuminazione artificiale lontana, l’uomo
era nell’oscurità, ma ciò non lo disturbava.
Era
sicuro che, prima o poi, perfino Charles si sarebbe reso conto dell’asperità
del mondo. Xavier era stato cresciuto come un
principino, in quella specie di piccolo castello con ogni comfort immaginabile,
con domestici e sempre nell’abbondanza. Ambiente ben diverso da quello vissuto
da Erik, prima sotto le leggi razziali, poi nel ghetto e, infine, nel campo di
concentramento.
Charles,
probabilmente, non aveva mai fatto a botte in vita sua, neppure da bambino: era
stato, senza dubbio, uno di quelli che andava a piagnucolare dalla maestra per
qualsiasi cosa, che credeva bastasse una battuta di spirito per conquistarsi la
simpatia del bullo che fino a due minuti prima lo voleva picchiare. Lui,
invece, era cresciuto in ben altro modo. Se bambini o ragazzi gli creavano
problemi, lui li affrontava da solo, senza rivolgersi agli adulti. Non aveva
mai alzato le mani su qualcuno se non per difendere sé stesso o un compagno di
sventura. Anche da più grande si era accorto che l’essere diplomatico serviva a
ben poco e che solitamente si veniva ignorati o calpestati, se non si alzava la
voce, non ci si mostrava determinata e si dava, almeno, un piccolo saggio della
propria forza.
Charls, finora, nella
propria vita se l’era cavata con la diplomazia perché non aveva avuto grandi
pretese ed era sufficiente la sua ricchezza per indurre gli altri a
contentarlo. Pure la ricchezza era una forma di forza e di violenza, ma Charles
ancora non lo capiva e, probabilmente, non si rendeva conto di quanto il denaro
gli avesse semplificato la vita.
Erik,
tuttavia, riteneva che se ne sarebbe accorto presto, quando il capitale della
sua famiglia, ridicolo in confronto a quello dei grandi potenti della Terra,
non sarebbe stato sufficiente a garantirgli la benevolenza dei governi che
presto avrebbero preteso di sorvegliarlo, tanto per cominciare.
Raven aveva
raccontato a Magneto della reazione del capo della
CIA quando si era reso conto delle loro capacità: aveva ordinato di tenerli
sottochiave, fino a che non avrebbe deciso che cosa fare.
Per
fortuna, grazie all’aiuto di Moira, la prigionia era diventata una
collaborazione.
Erik
non capiva come anche solo quell’episodio non fosse bastato a mostrare a
Charles la paura degli umani e quanto essi possano essere crudeli. Che cosa
avevano fatto Charles e Raven? Si erano rivelati per
dimostrare un pericolo imminente e poter aiutare il governo e per questi erano
stati quasi imprigionati.
Charles
era stato troppo felice e aveva vissuto troppo facilmente per capire l’importanza
della lotta. Avrebbe dovuto soffrire per scoprirla.
A
Erik questo dispiaceva: avrebbe preferito che l’amico comprendesse, senza dover
patire.
Era
certo che sarebbe arrivato il giorno in cui Charles avrebbe aperto gli occhi e,
allora, lui, Magneto, lo avrebbe avuto nuovamente al
suo fianco.
Era
quello che aveva sempre voluto, in fondo: lottare fianco a fianco con l’amico,
per il bene di tutti i loro fratelli mutanti.
Sarebbero
stati un po’ come Sandokan e Yanez: due amici
fraterni, uniti nella lotta contro il potere che voleva uccidere e soggiogare;
insieme ad affrontare le avversità.
Nessuno
dei due sarebbe stato il capo, sarebbero stati pari.
Questa
prospettiva dimostrava l’amicizia e l’affetto che Erik provava per Charles.
Magneto era un leader
per gli altri mutanti, anche per Mystica, solitamente
lui comandava, guidava e gli altri lo seguivano. Non sarebbe stato così per
Charles. Sarebbero stati di nuovo un duetto equilibrato, come consoli romani,
com’era stato dieci anni prima, quando si erano conosciuti.
Erik
ripensava a quelle poche settimane come a quelle più belle e felici della
propria vita, ma non perché gli avevano consentito di uccidere Show. Da quando
aveva perso la propria famiglia, era stata la prima volta che non si era
sentito solo, che aveva avvertito un senso di appartenenza.
Finita
la Seconda Guerra Mondiale, Erik era rimasto in un istituto per orfani fino
alla maggiore età e poi aveva dovuto trovare da lavorare e aveva iniziato a
preparare la propria vendetta, dunque ad indagare e cercare i gerarchi nazisti
che ora si nascondevano. Non aveva certo avuto tempo di fare amicizie, non
condivideva con nessuno i propri pensieri più profondi, aveva solamente
rapporti superficiali e si spostava di continuo. Aveva avuto un paio di
relazioni serie con alcune donne, era riuscito anche a raccontare loro qualcosa
della guerra, a una addirittura dei suoi poteri, ma non era mai soddisfatto: la
vendetta lo guidava e gli era impossibile mettere radici da alcuna parte.
In
generale, quello che gli aveva sempre causato maggior fastidio, era il pietismo
che tutti quanti gli dimostravano quando scoprivano che era Ebreo: odiava che
lo trattassero diversamente dagli altri e lo considerassero come qualcosa di
fragile per cui provare pietà o commiserazione.
Erik
non era sicuro di sapere il perché il poco tempo passato con Charles fosse
stato così felice e importante per lui. Forse perché per la prima volta si era
sentito trattare davvero come un uomo normale: né come bestia, né come vittima.
Si
era presto legato a Charles, era riuscito a confidargli tutti i suoi travagli,
ad avere fiducia in lui … e dire che non si era mai fidato d’altri prima. Poche
settimane erano state come un’intera vita: la ricerca dei mutanti, l’assalto
alla villa del generale russo, l’allenamento … avevano passato intere giornate
gomito a gomito, avevano provate emozioni all’unisono, vissuto le medesime
esperienze. Forse proprio l’importanza di ciò che stavano facendo li aveva
uniti profondamente. Non stavano condividendo un’uscita a teatro o al bar,
stavano condividendo un sogno. Avevano un obbiettivo comune. Ciò che facevano
non era per svagarsi, ma era una causa per la quale avevano dato l’anima.
Ecco
perché erano diventati amici così profondamente: non avevano mostrato solo la
superficie di sé, non avevano dato l’uno all’altro semplicemente un po’ di
giovialità; entrambi avevano fatto emergere la parte più genuina di sé, le loro
anime si erano toccate e intrecciate. Per questo la loro amicizia resisteva
anche al loro essere avversari.
La
gente può impiegare anni prima di conoscere quelli che reputa amici. Li
frequenta per anni e anni, eppure tutto rimane superficiale, ci si limita a
vedersi per mangiare o giocare o vedere un film e si rimane quasi come estranei,
conta soprattutto la simpatia; poi arrivano momenti difficili, ci sono le
confidenze, gli sfoghi, il reciproco aiuto ed è da questi fatti che pian, piano
si cementa l’amicizia, tramite queste piccole prove nel tempo le anime si
legano.
Le
circostante, il sogno e la lotta avevano permesso a Erik e Charles di creare
una delle amicizie più salde che si possano immaginare.
Il
pensiero di Charles, nonostante gli ultimi dissapori, era per Erik una cosa
preziosa, da godere in solitudine, lontano da chiunque altro, come per paura
che la presenza di un estraneo potesse contaminare quel frangente o, forse,
solo per potersi sentire libero di lasciarsi rigare il volto da un paio di
lacrime, se fosse giunta la malinconia per quella separazione.
Erik,
dopo aver pensato ai tempi passati ed aver sentito la mancanza di un buon
cognac o whiskey che accompagnasse i suoi pensieri, era tornato al piccolo
accampamento. Virginia si era addormentata, quindi mise nel fuoco tre
tronchetti per assicurarsi che il falò non si spegnesse e li scaldasse fino al
mattino.
Il
giorno dopo, mentre sistemavano le loro cose per ripartire, Magneto
vide il proprio elmetto sul fondo dello zaino. Rimase indeciso per alcuni momenti,
ma poi scelse di tirarlo fuori e calarlo sulla testa. Da quando era a
Gerusalemme non lo aveva più indossato, per non destare attenzioni, ma in quel
momento non voleva rimanere con la mente vulnerabile. Temeva dunque Charles?
No, si disse, in fondo per il mondo ci potevano essere altri telepati e lui voleva tutelarsi, poiché che qualcuno
potesse guardare nella sua testa e addirittura controllarla era una delle
prospettive che più lo ripugnava e lo faceva adirare.
Dopo
colazione, i due viaggiatori si informarono circa come fosse meglio raggiungere
la sponda opposta del lago. Alla fine, piuttosto che costeggiarlo, preferirono
attraversarlo su un traghetto mercantile che avrebbe impiegato poco più
un’oretta a coprire i 21 chilometri di lunghezza dello specchio d’acqua e
sbarcare a Cafarnao.
Si
trovarono nella zona portuale del mercato e si misero a discutere circa quale
fosse la strada migliore per raggiungere Damasco. Li udirono alcuni mercanti
persiani e uno di loro, dopo essersi consultato con gli altri, disse loro: “La
strada per Damasco non è sicura di questi tempi. Tra gli scontri fra
Palestinesi e Israeliani e quelli tra esercito siriano e chi non ha ancora
accettato l’ascesa di Hafizal-Asad,
trovarsi fuori dalle città è molto pericoloso. Noi siamo scortati da una
milizia privata, se dovete andare verso Damasco, vi conviene aggregarvi a noi.
Non vi chiederemo certo soldi: ben volentieri offriamo aiuto ai viaggiatori,
proprio perché conosciamo bene le difficoltà di questa tratta.”
Erik
ascoltò con diffidenza la proposta: qualcuno che offriva aiuto e non pretendeva
niente in cambio? Molto probabilmente era un inganno, una truffa o un modo per
cercare di rapinarli.
Virginia,
invece, si informò: “Siete diretti a Damasco anche voi?”
“La
nostra meta finale è Theran, ma faremo tappa a
Damasco, Baghdad e alcuni mercati importanti.”
“Quanto
durerà il viaggio da qui a Damasco?”
“Sei,
sette ore, generalmente, purtroppo coi convogli merci andiamo più lentamente di
un’automobile. Partiremo tra un’oretta, per essere certi di arrivare prima che
cali il buio. Che nedite, allora?”
Erik
intervenne: “Lasciateci cinque minuti per discuterne.”
L’uomo
prese da parte la ragazza e le domandò: “Nessuno ti ha mai insegnato a non
accettare passaggi dagli sconosciuti? Come puoi pensare di seguirli, senza
prima riflettere?”
“Sono
mercanti.”
“È
la loro parola e basta e poi ti sembra normale che non vogliano essere pagati?”
“Per
quanto riguarda ospitalità e solidarietà, gli orientali sono migliori di noi.
Sono abituati a vivere nella fatica e nel pericolo, quindi hanno una forte
empatia per chi si trova in situazioni simili e lo aiutano ben volentieri. Per
loro è naturale comportarsi così: un giorno danno aiuto loro qualcuno, il
giorno dopo lo ricevono. Semplice.”
“Sarà.”
Erik non era persuaso.
“Ad
ogni modo, sarà un viaggio di poche ore, poi la nostra strada procederà
diversamente, verso Ninive a nord, mentre loro
andranno ad est.”
L’uomo
ancora non era tranquillo, tuttavia scosse le spalle e disse: “Va bene. Se
provano ad alzare un dito, glielo farò rimpiangere: effettivamente, non sono
certo un pugno d’umani che possono spaventarmi.”
Riferirono
dunque ai mercanti di aver deciso di compiere assieme a loro il tragitto fino a
Damasco. Partirono in meno di un’ora. Entrambi erano stati fatti salire sul
fuoristrada su cui viaggiava il capo carovana assieme ai suoi due soci più
importanti e un paio di uomini della scorta, oltre che alla cassa col denaro.
Il mezzo era al centro della formazione, preceduto da due furgoncini con la
mercanzia e seguito da altrettanti, mentre attorno a loro si muovevano due auto
e due motociclette della scorta armata.
Il
capo dei mercanti era un persiano zoroastriano di nome Kourosh,
un simpatico uomo sulla cinquantina, che aveva trascorso gran parte della vita
a fare il mercante, molto fedele al suo sovrano, lo ShahRezaPahlavi. Per
intrattenere gli ospiti, parlò a lungo del suo monarca, elogiandone la politica
filoccidentale, una certa forma di stato laico, la volontà di accentrare il
potere e non lasciarlo a frammentato a vari gruppi, anche a costo di sembrare
dittatoriale; soprattutto era contento di come, una decina di anni prima, lo Shah avesse rifiutato convenzioni con le Sette Sorelle e aver siglato un accordo
commerciale con l’Eni di Enrico Mattei,
per una vendita del petrolio a condizioni vantaggiose per l’Iran.
Kourosh stava
raccontando di queste cose, quando si sentì una specie di colpo e poi
l’automobile iniziò a sbandare, costringendo l’autista a frenare bruscamente e,
con lui, il resto della carovana, in un tratto di strada distante vari
chilometri da qualsiasi centro abitato.
“Che
succede?” domandò il capo dei mercanti.
“Abbiamo
bucato una ruota.” rispose chi guidava.
Una
delle guardie di sicurezza scese dal fuoristrada per verificare lo stato delle
cose e, dopo neppure un minuto, aprì leggermente la portiera per dire:
“Rimanete dentro. È stato un cecchino a forarci la gomma: si tratta di una
trappola.”
“Che
cosa vogliono?” chiese Virginia, un poco spaventata.
“Rubare
merci e denaro.” spiegò Kourosh “La guerriglia costa
e i vari gruppi depredano i mercanti per finanziarsi. Piuttosto che farmi
derubare, preferisco morire: ho investito parecchio in questo scambio, se perdo
il carico rischio il tracollo finanziario e non posso permettere una simile
vergogna e umiliazione sulla mia famiglia. Se muoio, almeno l’assicurazione permetterà
ai miei figli di non finire in miseria e poter andare avanti qualche anno,
finché non avranno un lavoro solido.”
I
furgoncini accerchiarono il fuoristrada per proteggerlo e i mezzi della scorta
si misero attorno ad essi. Le guardie e anche alcuni dei mercanti strinsero in
mano fucili o pistole e si acquattarono dietro alle macchine, pronti a far
fuoco su eventuali banditi che li avessero aggrediti.
Presto
si udirono spari e i proiettili iniziarono a sibilare nell’aria.
“In
questo modo ci faremo ammazzare.” sibilò Erik a Virginia, dopo un paio di
minuti “Basta un proiettile in qualche zona delicata e tutto quanto esplode.”
“Cosa
suggerisci?” chiese la ragazza.
“Di
certo non di stare qui ad aspettare. Io esco ed elimino il problema degli
assalitori, tu fa come ti pare.”
Detto
ciò, Magneto con un cenno della mano fece spalancare
la portiera e si gettò fuori dall’auto, mentre gli altri, stupiti, cercavano di
trattenerlo.
Levitò
in aria, sollevandosi di alcuni metri, per avere una migliore visuale. Dapprima
deviò i proiettili sparati dagli assalitori, ma più che per proteggere i
mercanti lo fece per evitare danni ai mezzi di trasporto, in modo tale da poter
ripartire immediatamente dopo l’attacco e non rimanere esposti ad altri
assalti, mentre eseguivano le riparazioni.
Poi,
sfilò le armi dalle mani degli aggressori e le puntò contro di essi. Questo,
tuttavia, non gli riuscì uniformemente, poiché benché percepisse la presenza
del metallo, il fatto di non avere gli avversari davanti a sé, ma tutti
attorno, gli impediva di avere tutto sotto controllo.
Fu
la prima volta che si accorse di quella pecca e si ripromise di allenarsi già
dai giorni successivi, per avere una maggiore padronanza del proprio potere,
non solo come potenza, ma anche come coordinazione.
Per
il momento si sarebbe accontentato di uccidere prima gli uomini davanti a sé,
poi rotando avrebbe colpito quelli da un lato e così via, anziché poterli
eliminare all’unisono.
Una
prima scarica di colpi e circa un quarto degli assalitori cadde morto.
Virginia,
intanto, aveva deciso che neppure lei sarebbe rimasta ferma ad aspettare; aveva
preso un accendino ed era balzata fuori dall’auto, correndo verso il lato a cui
Magneto dava le spalle. Superò le barricate dei
difensori, usò l’accendino per avere una piccola fiamma che spostò sul palmo
della propria mano sinistra e l’ingrandì, plasmandola in una sfera. Da questa
palla di fuoco, la ragazza, con gesti della mano destra, fece partire grandi
lingue di fuoco che guizzarono nell’aria e raggiunsero gli assalitori che,
presi da terrore e sgomento, si diedero alla fuga.
Magneto, intanto, aveva
ucciso i restanti e, vedendo quelli che scappavano, si sforzò di ammazzarne il
più possibile, ma qualcuno gli sfuggì.
“Ehi,
lascia stare, ormai stanno scappando!” protestò Virginia, vedendo ciò.
“Vuoi
forse che vadano a chiamare i loro compari per la rivincita?” l’uomo atterrò
vicino a lei “Guardala in questa maniera: se io li uccido tutti, salvo la vita
ai loro amici a cui avrebbero chiesto soccorso. Perché ti sei intromessa? Me la
stavo cavando perfettamente.”
“Data
la situazione, ho agito in fretta. Non potevo aspettare, vedere quel che
accadeva e poi eventualmente intervenire. In più me l’hai detto tu di fare quel
che mi pareva.”
“Non
immaginavo avresti avuto il coraggio di intervenire.”
“Ho
del sangue nelle vene.”
Interruppero
la conversazione, accorgendosi dell’avvicinarsi circospetto e intimorito dei
mercanti e della scorta.
Erik
pensò subito che da lì a pochi istanti avrebbero iniziato a chiamarli mostri e
a cercare di scacciarli, per cui si preparò a respingerli.
Tra
tutti, avanzò Kourosh, esterrefatto; li osservò
alcuni momenti e poi disse: “Voi … voi siete Yazata!”
Erik
corrugò la fronte, non capendo.
“È
il grande Ahura Mazda che vi ha inviato per
soccorrerci!” il mercante si gettò in ginocchio, adorante, e gli altri lo imitarono.
Erik
non capiva che cosa stesse accadendo esattamente; era evidente che gli umani
non avrebbero attaccato, ma il perché gli rimaneva un mistero.
Virginia,
invece, aveva compreso le parole del mercante, per cui decise di approfittarne.
Avendo ancora la sfera di fuoco in mano, manipolò un poco le fiamme per
impressionare ulteriormente i presenti e disse: “Esattamente. Io sono Atar e lui e Verethragna. Viaggiamo
per il mondo così come ci ha ordinato Ahura Mazda per
proteggere l’asha combattere i daiva
e gli uomini le cui menti hanno abbracciato la drug
di AngraManyu.”
Erik
era sorpreso, ma capiva bene di dover assecondare quanto diceva la donna, per
cui non la contestò, rimase in silenzio e assunse una postura alquanto altera e
si sollevò in aria di mezzo metro.
Kourosh appoggiò la
fronte a terra e disse: “Sia lode ad Ahura Mazda. Noi
mille volte beati per aver ricevuto la grazia di incontrare i suoi Yazata!”
“Alzati”
proseguì Virginia “La tua devozione è nota, dopo ci sarà il tempo per la
venerazione. Ora controllate i danni subiti e preparatevi a ripartire. Noi, nel
frattempo, cercheremo daiva nascosti nei paraggi, in
modo che non possano più intralciare il vostro viaggio.”
“Grazie,
grazie!” dissero i mercanti, prima di mettersi all’opera.
I
due mutanti si allontanarono di qualche centinaio i metri e, quando furono
certi di non poter essere uditi, Erik domandò: “Mi spieghi esattamente la
situazione? Ho capito che costoro ci ritengono entità semidivine o angeliche e
questo mi sta bene, visto che ce li fa essere favorevoli, tuttavia vorrei
saperne di più del contesto, onde evitare errori che possano compromettere
questa copertura.”
“Sono
zoroastriani, quindi credono nella lotta perenne di Ahura
Mazda e AngraManyu, il dio
del bene che segue asha, l’ordine, e il dio del male
che segue drug, il caos; poi nei testi più antichi le
cose sono leggermente diverse, ma pazienza. Ci sarebbe parecchio da dire, ma
adesso non è essenziale. Direi che basta sapere che Ahura
Mazda ha come collaboratori, se così si può dire, sette entità dette Amesha Spenta e altre dette Yazata,
venerabili, quest’ultima per lo più sono quelle che interagiscono con gli
uomini e combattono contro i daiva, ossia esseri
sovrannaturali al servizio di AngraManyu.”
“D’accordo,
semplice da ricordare. Loro ci credono Yazata,
giusto?”
“Sì.
Per essere più convincente ho detto loro nomi ben radicati nella loro
tradizione.”
“Quali
erano?”
“Io
Atar e tu Verethragna.”
“Perché
tu un nome semplice e io così complicato?”
“Beh,
mica ti devi chiamare da solo. Comunque a me ho attribuito il nome dello Yazata del fuoco, mentre a te quello di un’entità eroica,
legata alla vittoria in battaglia e alla supremazia.”
“Bello,
mi piace. Speriamo che non mi chiedano di raccontare le mie gesta, perché non
ne saprei neppure una.”
“Nel
caso, dì loro che preferisci narrare fatti non tramandati e poi inventa, ma non
credo sarà necessario.”
“Tu
come sai tutte queste cose?”
“Le
ho studiate. Te l’ho detto, ho scelto queste zone come meta del mio viaggio,
perché volevo finalmente vedere dal vivo ciò che finora avevo conosciuto
soltanto sui libri.”
Presto
tornarono presso la carovana e proseguirono indisturbati fino a Damasco. Le ore
del viaggio trascorsero rapidamente, per lo più parlavano Kourosh
e Virginia, Erik intervenne raramente.
Arrivati
in città, i due mutanti si affrettarono a prendere congedo dai mercanti, per
evitare di dover portare troppo avanti quella messa in scena. Dissero che il
loro dovere richiedeva che andassero a cercare nuove persone da aiutare. Kourosh non obbiettò, ma non li lasciò andare senza prima
aver fatto loro doni e chiesto benedizioni per sé, colleghi, amici e parenti.
Finalmente
i due mutanti furono di nuovo soli, dato l’orario, cercarono un ostello che li
ospitasse per la notte.
Erik
era sdraiato su una branda, in mezzo ad altri viaggiatori. Quella scomoda
sistemazione gli ricordava la sua vita i primi anni del dopoguerra, quando
ancora non aveva iniziato a provvedere da solo a sé stesso, procurandosi tutto
ciò di cui aveva bisogno. Non era a questo che pensava in quel momento. Stava ripensando
alla bottiglia di Arak, un liquore medio orientale,
detto anche latte di leone, di cui gli aveva fatto dono Kourosh.
Ripensava a come erano stati trattati dai mercanti. Quegli uomini, vedendo i
loro poteri, non si erano spaventati, ma li avevano esaltati, mostrando
devozione e gratitudine.
Erik
pensava che quel reverenziale rispetto fosse quello dovuto ai mutanti dagli
umani.
Tutti
i ringraziamenti, poi, gli avevano dato una strana sensazione. Non erano
semplicemente un balsamo per l’orgoglio, c’era qualcosa di più. Lui aveva agito
principalmente nel proprio interesse, per difendere se stesso, il proteggere
anche gli altri era stato un effetto collaterale. Questo, però, gli altri non lo
sapevano e dunque vedevano in lui un eroe. Eroe, poi, non sarebbe stato il
termine corretto neppure se le sue intenzioni fossero state altruistiche: un
gesto eroico prevede almeno un minimo di rischio da parte di chi lo compie, lui
aveva agito in tutta sicurezza. Ad ogni modo, il fatto che i mercanti lo
avessero percepito e trattato come tale gli trasmetteva una specie di allegria
del tutto nuova. Non sentiva un rafforzamento della propria autostima, né
percepiva la gratitudine come qualcosa di dovuto. Era qualcosa che, chissà
come, pacificava un poco il suo animo.
Che
fosse il piacere di fare una buona azione
di cui qualche volta gli aveva parlato Charles? Forse.
Il
suo amico si sentiva appagato da quel tipo di gratificazione?
Fare
la cosa giusta.
Beh,
anche lui faceva sempre quel che riteneva giusto, eppure era la prima volta che
si sentiva così.
Forse
era un fare la cosa giusta, senza che essa rientrasse in ciò che era necessario
per i propri scopi, sì insomma, qualcosa di disinteressato … Charles in fondo
sosteneva che gli umani avrebbero accettato i mutanti, se li avessero visti
come protettori. Questo, però, a Magneto non andava
affatto bene: perché mai ogni mutante avrebbe dovuto rinunciare ai propri
sogni, alla propria vita per mettersi al servizio degli umani? Ridicolo!
Ad
ogni modo era inutile pensarci, si disse infine Erik. Quegli uomini in lui non
avevano visto una persona come loro, dotata di una capacità in più, bensì un
essere non umano benché benefico. Se avessero saputo la verità, tuttavia,
sarebbero stati ugualmente ben disposti verso di lui? Non lo credeva.
Il
giorno seguente, Erik e Virginia si aggirarono per le vie di Damasco per
visitarne i luoghi di maggior interesse, impiegarono tutto il tempo per
esplorare la città vecchia, entrando in chiese e sinagoghe, soffermandosi
davanti a vestigia d’epoca romana come il tempio di Giove. Si soffermarono
davanti al mausoleo del Saladino; vi fu qualche difficoltà ad ottenere il
permesso di ammirare l’interno della maestosa moschea degli Omayyadi,
ma alla fine lo ottennero.
Era
stata una giornata molto intensa e presto venne sera, per cui rimandarono al
giorno successivo la visita a palazzo Azm, dove si
trovava un museo.
“Finalmente
un po’ di riposo.” sospirò Erik, sedendosi al tavolino dell’osteria scelta per
la cena “Avanti e indietro tutto il giorno, ora di qua, ora di là … i piedi
reclamano un poco di pace.”
“Eh,
ma in una città nuova, così ricca di storia e in cui si sta per così poco
tempo, bisogna non avere un solo istante libero per non farsi sfuggire nulla.”
“Quindi
sarà così in tutte le città importanti?”
“Più
o meno. Damasco non solo è ricca, ma è anche un centro interculturale notevole
… un po’ come Gerusalemme, però con differenze e …”
“Sei
proprio entusiasta.” la interruppe Erik, con un lieve riso.
“Sì,
per me la cultura è qualcosa di importantissimo, anzi, è l’unica cosa a cui
riesco a dare ancora importanza. È naturale che mi elettrizzi stare qui, dove
posso ammirare millenni di storia e di almeno quattro culture differenti.”
“Tra
un anno ricorderai qualcosa di tutto quello che hai visto oggi?”
“Molto
lo avrò scordato, ma ciò che conta di più rimarrà indelebile.”
“Come
mai lo ritieni così importante?”
“La
cultura è tutto ciò che ci resta di un popolo o di un tempo. Milioni di persone
morte, di cui si è persa ogni nozione e l’unica forma di sopravvivenza che
hanno è quella che la loro storia, le loro tradizioni non vengano scordate. I
Maya e gli Aztechi, per esempio, sono stati quasi totalmente cancellati, eppure
le loro città, i loro templi, le loro opere d’arte ci ricordano che anche loro
sono stati parte di questo mondo, anche loro hanno contribuito a renderlo ciò
che è oggi. In fondo, nel passato, nelle questioni politiche, la peggiore sorte
che si poteva infliggere ad un avversario era la damnatio memoriae.
Finché esiste il ricordo, qualcosa sopravvive. È quando si dimentica che
sopraggiunge la morte eterna.”
“Sì,
lo capisco bene, anche se è un aspetto che non avevo mai considerato.”
Ci
fu qualche momento di silenzio, poi Virginia domandò: “Tu ti stai annoiando
molto ad accompagnarmi?”
“Annoiarmi?
No. Se mai un po’ di stanchezza fisica, strano non credevo che girare per
monumenti fosse più stancante che viaggiare per chilometri con uno zaino in
spalla. Mi piacciono i posti che mi hai mostrato, anche se gran parte dell’interesse
lo hanno suscitato le tue spiegazioni. I luoghi di culto si somigliano tutti
per me e, quindi, da solo non avrei saputo cogliere le differenze.”
“Oh,
meno male che hai detto questo! Credimi, non sai la paura che avevo di
tediarti!”
“No,
non ricominciare a preoccuparti circa se io apprezzi il viaggio o meno.” la
ammonì Erik, severamente “Ti ho già detto che, finché mi vedi qui, va tutto
bene.”
“Grazie.”
“Di
cosa?”
Virginia
si imbarazzò, farfugliò qualcosa di incomprensibile e poi disse: “Beh, di sopportarmi,
di apprezzare tutto questo.”
“Sei
troppo insicura: questo mi infastidisce.”
“Scusa
…”
“Dici
che l’essere mutante non ti ha mai creato problemi, ma ho i miei dubbi al
riguardo. Ti comporti come se considerassi ogni gesto amichevole come una concessione,
anziché come una normale conseguenza di stima e affetto. Non so cosa ti sia
successo da indurti ad avere così poca autostima e non mi interessa: qualsiasi
cosa sia stata, è passata. Essa non deve invilupparti e impedire di andare
avanti, ma da essa devi trarre un insegnamento e la forza per procedere. Io non
ho dimenticato l’olocausto, ma non permetto che quelle sofferenze e paure mi
paralizzino. Certo guardo sempre a quegli eventi per avere consapevolezza di
quel che è stato e potrebbe essere ancora, ma la mia mente e le mie emozioni
non sono bloccate a quei tempi. Devi capire che ogni situazione e persona è
differente e, pur cosciente del passato, devi affrontare ogni nuova esperienza
con un animo aperto e non sovrapporre ed equiparare tutto quanto. Ci conosciamo
da poco, perché parti col pregiudizio ch’io non possa apprezzarti?”
“Non
è un pregiudizio verso di te, è una consapevolezza su di me: io non piaccio
alla gente.”
“Perché
non dovresti?”
“Perché
quel che interessa e appassiona a me agli altri annoia o neppure lo capiscono,
perché non passo il tempo libero come gli altri, perché ho valori differenti,
non penso come loro.”
“Altri
… loro … troppo vago, chi esattamente?”
“La
maggior parte della gente. Sono sempre o troppo stravagante o troppo poco
trasgressiva per essere accettata.”
“Beh,
non essere socialmente accettati, di solito è indice di superiorità. La maggior
parte della gente è orribile, stupida, stolta, inconsapevole. Si affanna
inseguendo il nulla e si fa condurre da paura, rabbia, superficialità. Se
essere persone assennate, giudiziose, istruite e coscienziose significa avere
pochi amici, ben venga la solitudine. Qualità e non quantità, una come te
dovrebbe saperlo.” poi assunse un tono scherzoso, ma che lasciava intendere la
presenza di una punta di serietà “Comunque mi offende che tu abbia pensato
ch’io fossi come tutti gli altri. Ti sembra ch’io abbia a che spartire granché
con questa umanità?”
Virginia
sorrise, un poco rinfrancata, rispose: “Pur ribadendo che non considero le capacità
intellettive o morali collegati con l’essere mutante o meno, devo dire che sì
tu non sei un uomo comune. Con te ho conversazioni che … beh era da un po’ con
non avevo un interlocutore così interessante e stimolante. Inoltre, sai far
sentire apprezzati …” la ragazza era di nuovo in imbarazzo e cercò di
riprendersi “Cioè, spesso mi dici parole che mi aiutano a sentirmi meno
sbagliata … Non so se fai con tutti così, presumo di sì …”
Erik
fece un lieve cenno affermativo col capo: spesso incontrava mutanti spaventati
da ciò che erano, oppure delusi e sfiduciati, lui li aiutava a dare il giusto
valore a se stessi, insegnava loro che erano uno stato evolutivo superiore, che
erano il futuro e faceva in modo che si comportassero di conseguenza.
Un
tempo non avrebbe mai ipotizzato di diventare una guida per gli altri. Era
stato Charles a mostrargli quella strada; avevano iniziato quell’opera insieme
… peccato che le loro idee circa i diritti e i doveri dei mutanti non
coincidessero e si fossero dovuti allontanare.
“Finito
questo viaggio, ti presenterò alcuni fratelli mutanti. Sono certo che, dopo, ti
sentirai meno sola.”
Arrivò
un cameriere a chiedere le ordinazioni, entrambi decisero di assaggiare il fettehchamiyyeh, un piatto
tipico a base di carne e legumi su pane arabo, assieme a condimenti vari.
Rimasero
in silenzio per alcuni minuti. Virginia teneva lo sguardo basso, oppure lo
fissava su qualche punto distante, era piuttosto felice, benché non lo
dimostrasse. Era piacevolmente stupita di risultare simpatica a quell’uomo.
Magneto aveva ottenuto
fama mondiale, dopo lo spettacolo che aveva dato, tentando di uccidere Nixon;
anche se non era riuscito nel proposito, la sua dichiarazione d’intenti aveva
conquistato molti animi e così si era creato un seguito e si era formata una
certa fama attorno a lui, sia tra gli umani, sia trai mutanti. Non era poi
rimasto nell’ombra per tutti quei mesi, ogni tanto si era fatto vivo e aveva
fatto un paio di atti dimostrativi, più a livello simbolico che non utili a
qualche scopo. In pratica era diventato un personaggio pubblico, così come lo
era diventato il Professor X che si era dato da fare assieme a Raven e Hank per riaprire la scuola, scrivere articoli e
organizzare eventi a favore dell’integrazione dei mutanti e a dissociarsi e
condannare gli atti eclatanti di Magneto.
Per
Virginia, quindi, incontrare Erik era stato come incontrare un vip e ricevere
le sue attenzioni era un’immensa gratificazione per il suo ego così malandato.
Non le pareva vero che un uomo come Magneto l’apprezzasse
e avesse deciso di trascorrere del tempo con lei. Alternava la soddisfazione
alla paura di deluderlo e che lui si allontanasse. Sapeva bene di avere idee
differenti dalle sue, aveva visto che non era un ostacolo, comunque preferiva
evitare di polemizzare.
La
serata trascorse tranquillamente e si coricarono piuttosto presto, per
riposarsi dalla stanchezza di quel giorno.
Il
mattino successivo, fecero le cose con calma e dopo un’abbondante colazione si
recarono al museo. Lo visitarono con interesse e poi andarono in un giardinetto
lì vicino e, sedutesi accanto a una fontanella, si consultarono per pianificare
il resto della giornata e studiare il percorso da intraprendere il giorno
seguente, volgendosi a una nuova città.
Avevano
deciso di raggiungere TellMardikh,
nei cui pressi si trovava l’area archeologica dell’antichissima città di Ebla, ponendo come tappa intermedia una giornata di sosta
ad Homs, anch’essa con vestigia risalenti a prima del
secondo millennio avanti Cristo. Soltanto per raggiungere quest’ultima città
avrebbero impiegato una settimana a piedi. Forse avrebbero utilizzato un
qualche mezzo di trasporto per accorciare i tempi, ma lo avrebbero deciso in
seguito. I primi giorni li avrebbero impiegati attraversando le montagne a nord
di Damasco, in particolare avrebbero raggiunto il monte Qasioun,
alle cui pendici si trovava una grotta al centro di molte leggende, si diceva
che lì avessero abitato Adamo ed Eva e che fosse il luogo in cui Caino avesse
ucciso Abele; si diceva anche che Abramo e Gesù avessero pregato spesso in
quelle zone; era considerato un posto in cui le preghiere fossero esaudite
subito e infatti lì erano stati costruiti alcuni piccoli edifici di culto per i
pellegrini.
Raggiunsero
i pressi della grotta dopo un paio di giorni di cammino. Avevano percorso
sentieri di bassa montagna, incrociando altri viandanti. Erik si era
insospettito, notando lo stesso uomo in due gruppi di versi di quelli che
avevano incontrato e poi lo aveva rivisto pure alla grotta. Virginia gli aveva
domandato se fosse certo che si trattasse della stessa persona, perché le sembrava
strano il poter riconoscere dei passanti, ma lui le aveva assicurato che era
abituato a ricordare nitidamente le facce. Tale fatto gli dava preoccupazione,
per questo Erik aveva deciso fosse meglio trovare un posto un po’ defilato per
consumare il pranzo al sacco e, magari, consultare le mappe per scegliere una
strada meno praticata per procedere.
Precauzione
inutile. Una ventina di uomini, vestiti ed equipaggiati senza un grammo di
metallo addosso, stavano lentamente circondando i due mutanti. Erano soldati
professionisti e riuscivano ad avvicinarsi senza far rumore. Arrivati a
duecento metri circa, nascosti tra piante e dietro rocce, misero mano alle cerbottane
che avevano alla cintura, caricate con potenti dardi soporiferi; le portarono
alla bocca, soffiarono a piena forza.
Venti
dardi sfrecciarono nell’aria e si conficcarono nelle carni dei due mutanti che
caddero addormentati, senza che neppure si accorgessero di quanto stesse
accadendo.
Uno
dei soldati, lo stesso uomo che Erik aveva riconosciuto più volte,
probabilmente il loro comandante, prese una ricetrasmittente e comunicò: “Sergente
Stryker, abbiamo preso i due obbiettivi.”
“Erik … Erik …
mi senti …?”
“Charles?! Che
cosa …? Stai usando i tuoi poteri?”
“Sì.”
“Perché? Non hai
mai cercato di contattarmi in questi mesi. E perché non vedo nulla e non sento
il mio corpo? Cosa mi stai facendo, Charles?”
“Io nulla, ti
sto solo parlando. Hank ha visionato molti filmati relativi alla Guerra del
Kippur e quindi ho cercato di monitorare l’area per avere tue notizie.”
“Grazie del
gentile pensiero.”
“Meno sarcasmo,
amico mio, sei nei guai. La ragione per cui non hai alcuna percezione
sensoriale è dovuta al fatto che sei in coma.”
“Cosa?!”
“Qual è l’ultima
cosa che ricordi?”
“ … Pranzavo con
un’amica, mi pare … Dannazione! Che cos’è successo?! Tu lo sai?”
“Ho visto nelle
menti di chi ti sta attorno e ora so. Da tre giorni tu e un’altra mutante siete
prigionieri in un laboratorio in Iraq che risponde al sergente Stryker.”
“Stryker?! Dannato cane! Tu e Raven
mi avete impedito di ucciderlo, quando ne ho avuto l’occasione. Sei contento,
adesso, Charles?”
“Non dire
sciocchezze, come potrei essere contento? Raven mi ha
riferito che Stryker era stretto collaboratore di Trask e che sta continuando gli esperimenti del suo
collega, ora in prigione.”
“Hai ancora dei
dubbi circa la crudeltà umana e i rischi che corriamo noi mutanti, Charles?”
“Ti pare il
momento di parlarne?”
“Sì, amico mio. Io
farò di tutto per liberarmi, ma se non dovessi riuscirci, voglio ricordarti un’ultima
volta che vuoi integrazione per i mutanti in un mondo che ancora non ha
accettato i neri. L’America, la cosiddetta terra della libertà, è piena di
cellule del KuKluxKlan. In Sud Africa c’è l’apartheid ai danni dei neri. Gli umani
non riescono ad accettare un’etnia che differisce dalla loro solo per il colore
e a volte nemmeno quello e tu pretendi di far accogliere pacificamente l’homo superior. Sta in guardia Charles, a uno dei tuoi prossimi
comizi di sensibilizzazione, ti beccherai una pallottola. Dal momento che non
so se uscirò da questo laboratorio, volevo avvertirti. Non farti ammazzare,
Charles.”
“Erik, non
morirai lì dentro, te lo assicuro. Se davvero ci tieni alla mia incolumità, potresti
tornare da noi e pensare a deviare queste ipotetiche pallottole.”
“Sempre che non
me lo impediscano com’è successo per Kennedy. Se dovessero ammazzarti, sappi
che ti vendicherò con un bagno di sangue.”
“Non sarebbe il
giusto modo di onorare la mia memoria, comunque preferirei non ipotizzassimo la
mia morte. Concentriamoci sul presente e su di te.”
“Giusto. Dicevi che
sono in un laboratorio in Iraq?”
“Sì, ti stanno
tenendo in coma farmacologico perché la struttura contiene metalli. Stryker sta attrezzando in America un laboratorio
totalmente in plastica e polimeri vari. Hai ancora qualche giorno di tempo,
prima che venga a prelevarti. Farò in modo …”
“Puoi svegliarmi
dal coma? I tuoi poteri te lo permettono?”
“Sì, ma …”
“Allora
svegliami. Se c’è metallo in giro, me la caverò perfettamente. Un momento,
Virginia dov’è?”
“La mutante che
viaggiava con te? Stanno già conducendo esperimenti su di lei.”
“E tu glielo
permetti? Non potresti usare i tuoi poteri per fermarli?”
“A questa
distanza? Forse per qualche secondo, un minuto al massimo.”
“Allora
svegliami e lascia fare a me.”
“Ascolta il mio
piano, almeno, prima di decidere.”
“Il tuo piano
richiede attesa?”
“… Sì.”
“Allora è meglio
la mia tattica. Nemmeno tu dovresti tollerare un istante di più che un mutante
sia usato come cavia. Svegliami!”
“D’accordo, ma
tu promettimi che cercherai di limitare i morti.”
“Ucciderò solo
se indispensabile.”
Magneto si sentì
nuovamente nel proprio corpo, non era più in coma. Non aprì immediatamente gli
occhi per non destare sospetti. Cominciò a percepire la presenza di metalli,
studiò ciò che avrebbe potuto usare. Finalmente sentì il proprio elmetto, lo
chiamò a sé. L’elmo volò per un intero corridoio e sfondo una porta per
arrivare tra le mani del suo padrone, che lo strinse forte. Sorrise. Aprì gli
occhi. Si portò l’emetto alla testa.
“Ricordati quel
che mi hai promesso, Erik.”
“Certo, uccidere
solo se necessario.”
Si
calò l’elmo sul capo, spezzando ogni contatto mentale con l’amico e, alzandosi
in piedi, disse: “Ed è necessario che tutti costoro paghino con la vita le loro
crudeltà.”
Magneto si era alzato
d’improvviso dal letto su cui era sdraiato.
Lo
stupore prese l’uomo che si trovava in quella stessa stanza per sorvegliarlo
durante il coma.
Magneto non gli diede
il tempo di fare alcun ché: sollevò una siringa di quelle che avevano usato per
tenerlo sedato e la conficcò nella giugulare dell’uomo, poi l’estrasse e la
piantò nella carotide. Avendo recise le due arterie tanto importanti, l’uomo
morì dissanguato in pochi secondi.
Nel
frattempo, per il fatto di aver visto l’elmetto volare nell’aria, molti
soldati, armati di pistole in plastica, si stavano recando verso la stanza per
neutralizzare il prigioniero.
Magneto non si
spaventò. Come prima mossa, fece saltare le tubature dell’acqua che correvano
nelle pareti lì vicino e, mentre aspettava che la zona si allagasse di almeno
un paio di centimetri, scaraventò ogni possibile arnese, compreso il
lampadario, contro i soldati che si accalcavano e cercavano di far fuoco contro
di lui. Per fortuna, la situazione di emergenza aveva impedito ad ogni soldato
di sbarazzarsi dei metalli che aveva addosso, per cui il mutante poté sfruttare
anche le monete che essi avevano in tasca o i loro orologi o quant’altro come
arma da rivolgere contro gli aggressori o per deviare i loro colpi.
Il
prigioniero aveva chiuso e bloccato le porte del corridoio di quella zona per
facilitare l’allagamento e non disperdere l’acqua in tutto l’edificio; quando
finalmente il livello idrico fu giusto, Magneto si
concentrò sui fili di rame dell’impianto elettrico e li divelse dalle pareti.
Un istante prima che i cavi elettrizzati toccassero l’acqua, lui si sollevò per
aria per evitare di essere folgorato come invece avvenne ai soldati che lo
assediavano.
Magneto non perse tempo
a compiacersi per il successo e si affrettò ad uscire da quell’area per cercare
Virginia; intanto portava seco tutti gli oggetti di metallo che trovava,
facendoseli volteggiare attorno, per essere certo di non rimanere a corto di
munizioni o scudi.
Per
tutto l’edificio risuonava l’allarme che segnalava il suo essere a piede
libero. L’uomo incontrò diversi soldati che tentarono di colpirlo, ma lui
plasmava il metallo per frapporre barriere tra sé e loro e poi per
contrattaccare. Ovunque passasse la gente moriva, soldati o scienziati che
fossero non faceva differenza.
Aveva
ispezionato tutto l’edificio e non c’era traccia dell’amica. Ebbe un tremendo
sospetto. Sfondò una finestra e volò fuori, in tempo per vedere un elicottero
che si stava alzando in volo. Rise di quel tentativo. Stese la mano davanti a
sé poi l’abbassò lentamente e altrettanto fece l’elicottero che tornò a terra. Magneto si avvicinò, facendo sbalzare via la porta. Un paio
di uomini uscirono dal mezzo; per fortuna avevano fibbie in metallo alla
cintura. Vennero sollevati fino all’altezza delle pale che tranciò le loro
teste.
Si
sentirono delle grida e dei versi provenire dall’interno dell’elicottero, poi
si vide Virginia gettarsi fuori dall’apparecchio, aveva le mani legate, l’equilibrio
e rotolò per terra.
Magneto plasmò parte
del metallo che aveva con sé a forma di gancio e lo usò per prendere la ragazza
e portarla vicino a sé, mentre lui piegava l’elicottero, stringendolo e
accartocciandolo, incurante degli uomini che vi erano sopra che furono
stritolati.
Erik
guardò l’amica: era molto pallida e il suo sguardo era molto provato. Le liberò
le mani, l’aiutò ad alzarsi in piedi e le domandò come si sentisse.
“Debole
e non troppo lucida.”
“Cosa
ti hanno fatto?”
“Non
lo so esattamente. Mi han preso del sangue e credo anche del midollo osseo …
non so bene, mi riempivano continuamente di farmaci e sieri strani, non so se
per tenermi sottocontrollo o sperimentare non so che … ricordo delle scosse, ma
è tutto confuso.”
“Mi
dispiace. Vieni, vediamo cosa c’è lì dentro che può tornarci utile e poi
andiamocene. Te la senti di camminare?”
“Proviamo.”
“No,
meglio che non ti sforzi.”
Erik
manipolò il metallo a disposizione in modo da formare una specie di seggio su
cui fece sedere la ragazza e tramite ciò la spostò con sé all’interno della
struttura. A parte la cambusa dove prendere viveri, non trovarono nulla di
utile. Non sapevano dove si trovassero esattamente, forse questa e altre
informazioni si trovavano nei computer, ma ormai non ci si poteva più accedere,
visto che l’elettricità era ormai disattivata. Recuperarono il loro
equipaggiamento, lì c’erano mappe, ma non potevano servire, visto che non
avevano riferimenti per orientarsi.
Mentre
percorrevano un corridoio, sentirono un rumore proveniente da una delle stanze
laterali. Magneto spalancò la porta per controllare
e, vedendo due scienziati che tentavano di nascondersi dietro una scrivania, li
uccise all’istante, senza battere ciglio.
Virginia,
che era già rimasta impressionata dai cadaveri che aveva visto sul pavimento
dell’edificio, chiese: “Era necessario?”
“Sì.
Appena siamo pronti per partire, farò crollare questo posto, in modo che se ci
sono superstiti … beh non ce ne saranno più.”
“Perché?
Se pazienza se qualcuno si salva.”
“Per
farci inseguire? No, grazie.”
“Sabotiamo
i mezzi di trasporto che non utilizziamo, se li troviamo.”
“Preferisco
non correre rischi.”
“Non
è necessario uccidere tutti!” insisté Virginia; intanto stavano continuando a
cercare un garage.
“Come
puoi dire questo, dopo quello che ti hanno fatto?!”
“Adesso,
però, sono in salvo. Mi han fatto male, ma non cerco vendetta. Capisco uccidere
se necessario per salvare qualcuno in pericolo, ma ammazzare così … no.”
“Non
è vendetta, è prevenzione. Se questi vermi sopravvivranno, non passeranno più
di due giorni, prima che trovino qualcun altro da sottoporre ai loro
esperimenti e allora anche noi saremmo colpevoli. Hanno fatto tanto male e
continueranno a farlo, se noi non glielo impediremo.”
Avevano
finalmente trovato un garage dove erano parcheggiati quattro fuoristrada. Erik
aveva cominciato a travasare la benzina dai serbatoi di tre in taniche da
caricare sul quarto e così avrebbe spostato anche le ruote di scorta: potevano
essere lontani centinaia e centinaia di chilometri da un centro abitato e
quindi era necessario attrezzarsi al meglio per non rimanere a piedi nel
deserto che aveva visto circondare quel laboratorio. Soltanto le gomme dovette
spostare a mano, mentre il carburante lo spostò tramite il proprio potere,
visto che era benzina con piombo.
Virginia,
che non voleva stare con le mani in mano, aveva iniziato a caricare in auto le
provviste, comunque continuava ad essere turbata dall’idea di non lasciare
superstiti e quindi continuava: “Pensa alle loro famiglie! Genitori, coniugi,
figli … soffriranno! Questi aguzzini moriranno, ma ad essere realmente puniti
saranno i loro parenti.”
“È
un rischio che decidono di assumersi le persone, quando intraprendono certe
strade.”
“Questo
vale per i soldati, ma non per gli scienziati. Stavano solo facendo il loro
lavoro.”
Magneto la guardò
ferocemente e scandì: “Stavano facendo il
loro lavoro? Suona esattamente come Stavano
solo eseguendo ordini. Dove la metti l’etica?” una catena si sollevò da un
angolo del garage e si strinse attorno al collo della donna, soffocandola
lentamente “Anche la scienza deve avere limiti morali. Ma l’umanità non è
adatta a porsi limiti, non per morale, almeno. Gli unici limiti che gli uomini
si danno è per convenienza. Gli uomini primitivi si organizzavano in gruppi per
andare a caccia di animali o di altri uomini, per la sopravvivenza non si
facevano problemi a mangiare i loro simili. Sai quando il cannibalismo è cessato?
Quando ci si è resi conto che la schiavitù era più redditizia.”
Il
volto della donna stava diventando cianotico. La catena cadde a terra e lei
poté riprendere a respirare, appoggiandosi all’auto.
Erik
voltò le spalle per tornare a travasare la benzina, borbottando: “T’ho salvata
... e tu pensi ad avere compassione per i tuoi aguzzini, evidentemente non hai
sofferto abbastanza.”
Entrambi
finirono di preparare il fuoristrada per la partenza nel silenzio più assoluto,
oltre a caricare i viveri e gli strumenti ritenuti necessari per la
sopravvivenza, l’uomo prese anche alcune delle armi da fuoco che aveva trovato
addosso ai cadaveri. Lasciarono il laboratorio e Magneto
mantenne il suo proposito di distruggere tutto: privò la struttura di ogni
elemento metallico e già solo questo la fece crollare in parte, poi usò quelle
stesse cose per bombardare ripetutamente le strutture, fino a ridurle a un
cumolo di macerie.
Virginia
rimase voltata dall’altra parte, in silenzio. Non protestò, ma a sui modo cercò
pure di dissociarsi da quel gesto.
Ottenuto
il risultato che desiderava, Magneto partì
definitivamente, alla ricerca di una città. Avevano trovato un orologio e così
avevano saputo di trovarsi in tarda mattinata. Viaggiarono fino a sera, il
paesaggio era desertico e sempre uguale, non scambiarono una sola parola.
Erik
era piuttosto arrabbiato: come poteva quella ragazza provare pietà per coloro
che l’avevano torturata per giorni e che, peggio ancora, l’avevano considerata
una cavia, un fenomeno da sviscerare, anziché una persona con sentimenti e
dignità? Perché lei non aveva capito quanto fossero pericolosi per tutti i
mutanti? Erano persone crudeli e aride, perché mai avrebbero dovuto meritare
quella pietà che loro stessi non provavano?
Sii migliore! Questa era stata
la disperata richiesta che Charles gli aveva fatto, pochi secondi prima che lui
compisse la propria vendetta su Show.
Che
cosa voleva dire essere migliori? Che cosa comportava? Lasciarsi mettere i
piedi in testa e sperare che il comportarsi da vigliacchi spingesse gli uomini
a non tormentarli, anziché schiacciarli sempre di più? L’inerzia degli oppressi
spinge i prepotenti a prendere ogni volta qualcosa di più e non ad essere
clementi e comprensivi. Ribellarsi e vendicarsi, questi erano i mezzi per essere
ascoltati. Le sofferenze devono essere manifestate e se gli uomini non
comprendono con il buon senso, allora è lecito ripagare il dolore con altro
dolore. Moltissimi ignorano la tragedia finché non li tocca personalmente. Era
consapevole che i suoi metodi si basavano sulla sopraffazione e non sulla
razionalità e giustizia, ma lui non faceva altro che adattarsi alle regole del
mondo. Se tutti usavano la legge del più forte, il non applicarla significava
la sconfitta.
Non
era forse sempre vera la favola del lupo e dell’agnello? L’agnellino aveva
assolutamente ragione ed era nel giusto, ma il lupo aveva fame e lo divorò
comunque.
Se
in una gara di biciclette tutti si drogano tranne te, che cosa avrai guadagnato
se non la sconfitta? Ah, certo, avrai la consapevolezza di essere stato onesto,
ma rimani ugualmente un perdente.
Erik
era convinto che la guerra non fosse stata iniziata dai mutanti, ma che era
necessario combatterla, per uscirne vincitori. Rifiutarsi di combattere era la
sconfitta.
Non
voleva si pensasse che fosse crudele, insensibile e che non conoscesse il
valore della vita, perché non era affatto così: si limitava a seguire le regole
del mondo. Conosceva profondamente la sofferenza: prima dei sedici anni aveva
patito più lui di quanto una normale persona possa subire e sopportare in
un’intera vita. Come poteva un solo cuore sopportare tutto questo e una sola
mente mantenersi lucida e non sbilanciarsi? Non potevano.
Essere
sensibile, con quel tale fardello, conduceva alla follia. Quanti ebrei, sopravvissuti
ai campi di sterminio, si erano poi suicidati, anche a distanza di anni, poiché
non riuscivano a sopportare il ricordo e ad andare avanti?
Quante
volte Erik, nell’adolescenza e prima giovinezza, aveva combattuto contro quella
sofferenza radicata in lui e quante volte era stato sopraffatto!
Incubi
che non lo lasciavano in pace neppure nel sonno, rivedeva il proprio passato,
lo rivisse molte e molte notti, destandosi senza sapere dove si trovasse, senza
ricordarsi che era tutto finito. Oppure si svegliava d’improvviso, senza
ricordare cosa stesse sognando, sudato da bagnare le lenzuola, o scosso da
brividi di freddo simili a spasmi, o peggio col cuore che batteva talmente
rapidamente che aveva l’impressione che il petto gli sarebbe esploso da un
momento all’altro. Per anni aveva avuto il terrore di addormentarsi, temendo il
proprio inconscio.
Moltissime
volte, nelle occasioni più disparate, aveva avuto attacchi d’ansia o di panico
apparentemente immotivati. Camminando in mezzo a una folla, i suoi nervi si
irrigidivano, la frequenza cardiaca aumentava, il respiro rapido e corto lo
portava all’iperventilazione.
Detestava
tutto ciò. Detestava quella gabbia che gli impediva di vivere.
L’isolarsi,
l’evitare le compagnie non erano servite a farlo star meglio.
Già
da ragazzino, appena finita la guerra, aveva iniziato ad ubriacarsi perché
soltanto nell’ebbrezza riusciva a non soffrire, l’incoscienza era la morfina
migliore.
Così,
però, non poteva andare a vanti.
In
pochi anni il suo animo si era indurito per proteggerlo dal male dei ricordi e
da quello esterno; l’essere spietato e cinico lo aiutava ad esorcizzare il
proprio dolore; l’accettare l’omicidio facile gli permetteva di percepire la
sua sofferenza come normale e dunque sopportabile.
La
caccia ai nazisti era stato il suggello a tutto ciò e aveva finito di temprare
gli ultimi tratti del suo carattere.
Non
poteva però dirsi né tranquillo, né sereno e non aveva rinunciato all’alcool
con cui, pur non ubriacandosi, teneva i suoi ricordi sottocontrollo.
Era
calata la sera e il paesaggio continuava ad essere desertico. Erik aveva
fermato l’automobile per cenare e passare la notte. Avrebbe preferito non
interrompere il viaggio, ma Virginia non sapeva guidare e dunque non potevano
darsi il cambio al volante e alternarsi nel dormire.
La
ragazza aveva ingrandito la fiammella del suo accendino e aveva formato il falò
per scaldare entrambi e il cibo in scatola.
“Scusami.”
Virginia
aveva appena rotto il silenzio che durava da ore. Stavano cenando, uno di
fronte all’altro, pur senza guardarsi. Il cielo era già scuro e brillavano le
prime stelle.
Continuò,
titubante e parecchio dispiaciuta: “Non avrei dovuto arrabbiarmi con te. Quello
che hai fatto oggi … sono risoluzioni difficili da prendere, ma necessarie … e
il fatto che tu te ne faccia carico … beh, dimostra ancora una volta quanto
forte sia il tuo animo.”
Erik
rimase in ascolto, pur col viso rivolto altrove, senza ribattere.
“Volevo
anche ringraziarti per avermi salvata. Non mi hai abbandonata e … grazie.”
L’uomo
la guardò, lasciò passare alcuni istanti e poi la esortò: “Vieni qua.”
Virginia
era perplessa, ma obbedì e si mise a sedere accanto a lui.
Erik
le fece una carezza e la confortò con poche parole: “Non pensiamoci più.
Dimentichiamo di aver litigato. È inutile trattenere ciò che ci fa star male,
apriamo le mani e lasciamo che il malumore scivoli via.”
Virginia
sorrise, molto sollevata. Era felice ma non sapeva cosa dire. Istintivamente
abbracciò l’uomo, ma appena si rese conto di quel che stava facendo, si ritrasse,
imbarazzata, puntando lo sguardo a terra.
Erik
abbozzò un sorriso, divertito per quel pudore e chiese: “Ti turba così tanto il
contatto fisico?”
“Eh?!”
la ragazza sgranò gli occhi disorientata “Sì … no, cioè … non avrei dovuto
prendermi una simile confidenza …”
“Rilassati!
Da quando un abbraccio è diventato un atto condannabile?”
“Beh,
sei un estraneo.”
“Ah,
dopo tutto quello che abbiamo passato, mi consideri ancora uno sconosciuto?
Tranquilla, qui ci siamo solo noi, senza perbenisti pronti a giudicare. Tanto
più che con il freddo che c’è nel deserto di notte, dovremo dormire nello
stesso sacco a pelo per non assiderarci.”
“Cosa?!
Ma non dormiamo in auto che è più riparata dal freddo?”
“L’abbiamo
caricata troppo, non possiamo ribaltare i sedili e io seduto non ci dormo. Sono
stato stretto così tutto il giorno e non ho intenzione di rimanerci anche di
notte.”
Virginia
era leggermente agitata, pensò rapidamente e poi ribatté: “In ogni caso in due
dentro un sacco a pelo non ci staremmo.”
“Ci
staremmo, al più ne teniamo uno aperto sotto e l’altro lo usiamo come coperta.”
“Ho
un’idea migliore: tu dormi e io tengo il fuoco acceso, così non ci sarà freddo,
poi ripartiamo e io dormo in auto, mentre si viaggia. Così, anche, posso fare
la guardia …”
Erik
le prese le mani e, non capendo, chiese: “Di cos’hai paura? Si dorme e basta.”
“Lo
so ma … non è il caso. Io non sono mai stata così vicino a un uomo che non
fosse mio parente e mi sento a disagio.”
Erik
allungò le braccia e strinse a sé la ragazza, forte, forte. Attese qualche
decina di secondi e poi le chiese: “Sta crollando il mondo?”
“No.”
L’uomo
aspettò ancora un poco: “Allora?”
“Continuo
a preferire la mia idea.”
“D’accordo.”
Erik
sciolse l’abbraccio e si sistemò per dormire. Disse che gli sarebbero bastate quattro
ore per riposare a sufficienza e dunque chiese di essere svegliato dopo circa
tale tempo.
Nota dell’Autrice
Un saluto e un ringraziamento a tutti
coloro che seguono la mia fanfic. Spero di non essere
ripetitiva nelle riflessioni dei personaggi.
Ho le idee un po’ più chiare circa lo
sviluppo della trama, non sarà lunga, anzi penso di essere già a più di metà.
In realtà avrei anche qualche idea per
poterla allungare ulteriormente, ma deciderò anche in base al vostro gradimento.
Intanto due precisazioni circa cose
dette in questo capitolo.
1-Ho dibattuto con i miei amici e non
siamo arrivati a un’opinione unanime circa se Magneto
possa o non possa spostare la benzina col piombo. C’è chi sostiene di sì, c’è
chi afferma che separerebbe il piombo dalla benzina. Se siete di quest’ultimo
parere, perdonatemi.
2-La presenza dell’alcool nella vita di Magneto l’ho voluta inserire, notando quanto spesso beve
nei due film in cui appare giovane.
Spero
di aver detto tutto. Vi ringrazio ancora per la lettura e scrivetemi pure.
Erik
e Virginia continuarono ad attraversare il deserto, riuscendo a mantenersi di
buon umore, nonostante le condizioni avverse e il non sapere dove si
trovassero. Rimasero perfino senza acqua, ma la ragazza fu abbastanza abile da
far condensare il poco vapore acqueo presente nell’aria e raccoglierlo in una
borraccia.
Finalmente,
sul calare del terzo giorno, videro un piccolo villaggio. Si fermarono lì per
la notte e chiesero informazioni su dove fossero esattamente e così poterono
orientarsi con le mappe e decidere verso dove dirigersi. Scoprirono di essere
al confine tra Iraq e Iran, nei pressi dei monti Zagros;
avevano deviato di molto dall’itinerario programmato, invece di essere a nord,
erano finiti molto ad oriente.
Il
giorno dopo partirono di buon ora e raggiunsero allora la vicina città di Mehran per fare rifornimenti e poi usarono le seguenti ore
per recarsi a Bisotun, luogo che interessava molto a
Virginia per via della presenza di un’antichissima iscrizione risalente al re
persiano Dario.
Trovarono
un alloggio economico e riposarono fino al mattino seguente. Dopo la colazione,
si incamminarono per andare ad ammirare l’iscrizione che era inserita in un
alto rilievo scolpito su una parete rocciosa. Era raffigurato Dario, dietro di
lui un paio di guardie, davanti i sovrani da lui sconfitti, in fila e
incatenati; sopra le loro testa Ahura Mazda sul suo
carro piumato. Il testo spiegava come il re avesse espanso il proprio dominio
grazie all’aiuto del dio.
Artisticamente
non era eccezionale, tuttavia la sua posizione e la sua imponenza l’avevano
resa una delle iscrizioni più famose, benché per secoli e secoli se ne fosse
perso il significato originale. Già appena un secolo dopo la loro incisione, si
pensava rappresentassero la regina Semiramide e,
successivamente, ebbero altre attribuzioni e sorse attorno a quel luogo anche
una romantica leggenda che vedeva come protagonista un uomo sventurato,
innamorato della moglie del sovrano Kusroe.
Quel
luogo era importante soprattutto per il valore storico e per ciò che aveva
simboleggiato nel corso dei secoli, più che per una intrinseca bellezza.
Erik
e Virginia arrivarono sul posto e trovarono una situazione inaspettata: non era
possibile avvicinarsi a più di quattrocento metri dall’iscrizione. Alla base
della rupe su cui si trovava l’incisione, infatti, era stato allestito uno
scavo archeologico e il perimetro era ben delimitato e non ci si poteva
accedere. Di fronte alla scritta erano stati collocati tre cannocchiali a
pagamento, per poter vedere meglio e nel dettaglio l’iscrizione, impossibile da
apprezzare a occhio nudo da quella distanza.
Virginia
era delusa, ma non se ne lamentò e si accontentò di guardare col cannocchiale. Incuriosita
anche dalla presenza di uno scavo, cercò anche di sbirciare lì per capire a cosa
gli archeologi stessero lavorando: cercavano tracce delle statue e delle
strutture cultuali di cui parlavano le fonti antiche?
Fu
così che le capitò di riconoscere uno degli uomini presenti sullo scavo, anzi
dalla posizione e dagli atteggiamenti, sembrava essere il direttore dei lavori.
Virginia
rimase interdetta, restò in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto e un’espressione
turbata.
“Che
cos’hai?” le chiese Erik, vedendola così bloccata a lungo.
La
ragazza non rispose subito, dopo qualche istante si scosse e disse: “Niente,
niente … è che là c’è una persona che conosco e non so cosa fare.”
“In
che senso?”
“Da
una parte vorrei approfittarne per avvicinarmi all’iscrizione e scuriosare
negli scavi, dall’altra non credo di volere che lui mi veda.”
“Perché?”
“Dovrò
già sopportarlo abbastanza in futuro … e poi sono sicura che mi rovinerebbe il
viaggio.”
“Questa
mi pare un’esagerazione, al limite ti rovina la giornata. Nel caso, poi,
possiamo rovinarla noi a lui. Chi è?”
“Uno
dell’università, è l’assistente di un professore, ho avuto a che fare con lui
soprattutto in una specie di associazione culturale … sì, penso si possa
definire così. Diciamo che l’ultima volta che sono stata lì me ne sono andata
un po’ bruscamente e quindi …”
“Tu,
però, tieni parecchio a vedere quegli scavi. Se l’eventuale chiedere scusa non
è umiliante, vai e domanda di vedere. Insomma, perché dovresti rinunciare a una
cosa per te importante solo a causa di un dissapore di … quanto tempo fa è
successo?”
“Due
mesi e mezzo.”
“Eh!
Allora dovrebbe essere stato un litigio veramente grave o una rottura
definitiva per influire ancora. Non credi che ormai si siano quietati? Oppure il
tizio in questione è uno con cui non è mai corso buon sangue?”
Virginia
ascoltava e rifletteva, molto combattuta; disse: “No, dovrei avere un buon
rapporto con lui, teoricamente … D’accordo, vado … verresti con me?”
“Certo,
se ti è d’aiuto.”
“Sì
… anzi, no, è meglio se vado da sola.”
Erik
intuiva che la ragazza non gli stesse dicendo tutto quanto, comunque si limitò
a dire: “Basta che ti decidi.”
“Mi
farebbe piacere che ci fossi, ma è meglio che resti qui. Non ti dispiace, vero?”
“Va
tranquilla.”
Virginia
si congedò con un mesto sorriso e si diresse verso lo scavo archeologico;
avvicinatasi troppo, uno degli operai la informò che non poteva entrare nell’area,
allora lei disse semplicemente: “Vorrei parlare col dottor Lamberti.”
L’uomo
le fece cenno d’aspettare e si allontanò, poco dopo giunse il direttore degli
scavi, un uomo sulla trentina, capelli ricci e scuri, dapprima fu stupito, ma
poi sorrise e, avvicinatosi alla donna, le disse: “Buongiorno Virginia, è una
vera sorpresa trovarti qui.”
“E
io sono meravigliata di vedere te, Cesare.”
“Se
non fossi sparita dalla circolazione, avresti saputo della mia vittoria al
bando di concorso per questo posto.”
“Da
quanto sono iniziati i lavori?”
“Tre
settimane.”
“Cercate
la statua del presunto Ercole?”
“Tra
le altre cose, sì.”
“Cos’è
emerso, finora?”
“L’informazione
è riservata.”
“Come?”
“Ogni
dato deve essere inviato esclusivamente al ministro dei beni culturali dell’Iran,
che deciderà come, se e quando divulgarli.”
“Potrei,
allora, dare una rapida occhiata agli scavi?”
“No.”
rispose seccamente l’uomo “Niente visite, solo addetti ai lavori.”
“Beh,
sono una persona competente, potrei dare una consulenza esterna.”
“Non
hai un contratto. Ottienine uno e ti farò accedere. Anche se il ministro
dubiterà delle tue competenze e non solo perché sei donna.”
“Suvvia,
un’occhiata in via confidenziale.”
“No.
Io le rispetto le regole e tu imparerai a fare altrettanto.”
Virginia
corrugò la fronte, sentendosi leggermente minacciata, poi disse piuttosto
aspra: “Nondrammatizzare. Non ci sono
mai state mancanze da parte mia.”
“Non
la penso così io e neppure gli altri.”
“Ho
solo detto che mi sentivo stressata e che avevo bisogno di una pausa e di
rilassarmi per qualche settimana e voi mi avete trattata come se vi stessi
tradendo.”
“Dal
momento che poi sei scomparsa, direi che equivale a un tradimento.”
“Se
mai abbandono. In ogni caso, siete un po’ paranoici o troppo apprensivi.”
“Non
hai più dato tue notizie.”
“Potevate
chiedere a mio padre o ai miei fratelli.”
“Sono
molto scontenti anche loro, non è che li tieni molto aggiornati. Questa situazione
li ha messi in un certo imbarazzo, credo che tu capisca che cosa intendo.”
“Senti,
ho bisogno di staccare la spina da tutto quanto per un po’ di tempo. Finirò il
mio viaggio e poi tornerò, così sarete tutti contenti.”
“Ho
un’idea migliore: resta qua con me e non solo ti faccio vedere lo scavo, ma ti
ci faccio anche lavorare, se vuoi.”
Virginia
scosse il capo e disse, un po’ amareggiata, ma decisa: “Non è quello di cui ho
bisogno in questo momento.”
L’uomo
assunse il tono di chi sta rimproverando un ragazzino capriccioso: “Questo tuo
viaggio è una sciocchezza, non serve a nulla. Devi pensare a ciò che è davvero
importante.”
Gli
occhi della donna si infiammarono e il suo volto si increspò per l’ira. Sembrava
voler dire o fare qualcosa, ma poi rimase in silenzio e a voltarsi per andare
via.
“Pessima
scelta” le disse l’altro “Tra pochi giorni questa follia sarà comunque finita.”
Erik
era rimasto piuttosto distante ad osservare tutta quella scena, non aveva idea
di cosa i due si fossero detti, ma aveva capito che c’era stato un contrasto. Quando
vide la ragazza allontanarsi, la seguì con lo sguardo poiché non stava tornando
verso di lui ma si era diretta verso un gruppetto di edifici lì vicino, dove i
turisti potevano trovare da mangiare e souvenir.
Erik,
inizialmente, non se ne preoccupò, pensando che avesse bisogno di prendere
qualcosa, ma dopo un quarto d’ora, non vedendola tornare, si insospettì e
decise di andare a cercarla. Raggiunse la zona commerciale, gettò un’occhiata
dentro alcuni locali, ma dell’amica non vi era traccia. Percorse le strade a
passo svelto e guardandosi ben attorno, infine la scorse in fondo ad un piccolo
vicolo piuttosto isolato. La vide che era seduta a terra, con la testa piegata
in avanti coi capelli che le coprivano il volto; si accorse che aveva un
coltello nella mano destra. Si avvicinò in silenzio, gli bastò qualche passo
per accorgersi che la ragazza aveva la mano sinistra rossa del proprio sangue:
infatti appoggiava la punta del coltello sul proprio palmo e poi la ruotava
fino a ferirsi. Un altro paio di passi e l’uomo poté notare delle bruciature
sull’avambraccio dell’amica.
Erik
la guardò inorridito e chiese severamente: “Che cosa stai facendo?”
Virginia
alzò lo sguardo verso di lui, stupendosi poiché non lo aveva sentito arrivare,
con voce rotta disse: “Niente. Va via, lasciami stare.”
L’uomo
usò il proprio potere per sfilarle di mano il coltello e replicò: “Normalmente
non mi intrometto nelle faccende degli altri, se non mi chiedono apertamente
consiglio, e lascio che ognuno viva la sua vita come meglio crede ed
eventualmente paghi le conseguenze delle proprie azioni. Questo, tuttavia, è
uno dei pochi casi in cui mi sento in dovere di intromettermi. Quindi, a meno
che non si tratti di un rito religioso o magico, mi farebbe piacere una
spiegazione.”
Virginia,
che aveva iniziato a leccarsi il palmo per pulirlo dal sangue, si limitò a dire
cavernosamente: “Mi fa stare meglio.”
“In
quale modo, scusa?”
“Mi
distrae. È più sopportabile che pensare.”
“A
cosa? Che cos’è successo con quel tizio?”
“Mi
ha fatto ricordare di tutto ciò da cui volevo prendermi una pausa e a cui dovrò
ritornare e mi ha fatto arrabbiare, stare male.”
“Non
devi tornarci, se il solo pensiero ti fa reagire così.”
“Non
è il genere di cose a cui ci si può sottrarre. Di base non mi dispiacerebbe
come ambiente, ma negli ultimi tempi è diventato tutto piuttosto soffocante e
opprimente.”
“Di
cosa si tratta esattamente?”
“
… l’associazione culturale … è particolare.”
“Molto
a quanto pare. Visto che non hai voglia di raccontarmi che cosa esattamente ti
turba, mi spieghi almeno perché ti fai questo?”
“Te
l’ho detto, mi sono arrabbiata.”
“Quello
ti fa soffrire e tu, invece di fare del male a lui, lo infliggi a te stessa? Non
ha senso! Tu stai già male, perché dovresti aggiungerne? Sono sicuro che, se
gli dessi fuoco, ti sentiresti decisamente meglio. Se uno è irrispettoso o ti
tratta male, tu hai tutto il diritto di arrabbiarti e dimostrarlo.”
Virginia
sospirò, aveva preso un fazzoletto per fasciarsi la mano, dopo un breve
silenzio disse: “Non posso permettermi di cadere in preda all’ira. Quand’ero
piccola e mi prendevano in giro, sopportavo e sopportavo fino a non poterne più
e allora non era bello, per nulla. Facevo male agli altri e non volevo. Sono spaventata
da ciò che posso fare quando sono arrabbiata … ho imparato a non sfogare la
rabbia sugli altri ma … la violenza in me c’è ugualmente e o la concentro su
oggetti o su me stessa. Non è bello, lo so, e mi spaventa anche questo, ma non
posso farci nulla.”
“Da
quanto ti fai questo?”
“Non
lo so, qualche anno. La prima volta non mi ricordo neppure per cosa stessi
male, ma ero furiosa con mio padre perché vedeva che soffrivo e non faceva
nulla per aiutarmi, neppure un abbraccio … ero in cucina … ho preso un bicchiere
e l’ho gettato a terra, poi ci ho camminato sopra, scalza, e il pavimento è
diventato rosso … dopo mio padre mi ha dato attenzione. Qualche ora dopo,
quando ho ripensato a mente lucida, mi sono spaventata, mi sono ripromessa che
non sarebbe più accaduto e invece …”
Erik
allungò la mano alla ragazza per aiutarla ad alzarsi e le disse: “Non dovresti
agire così, nessuno dovrebbe. È un palliativo e pure pessimo. Dovresti cercare
di risolvere e migliorare la situazione e non di trovare un modo per
sopportare. Se posso darti un consiglio, non tornare in quel posto, finché non
starai meglio.”
Virginia
sorrise, grata di quella comprensione, prese la mano e si alzò in piedi e gli
disse: “Non so se sarà possibile. Per favore, andiamo in un’altra città.”
Erik
e Virginia avevano lasciato rapidamente Bisotun,
avendo ancora a disposizione l’automobile che avevano preso al laboratorio,
usarono quella per viaggiare e allontanarsi il più velocemente possibile da
quel posto che aveva tanto angosciato la ragazza. Vollero recarsi direttamente,
senza tappe intermedie, a Naqash-eRostam, una località dove si trovavano le tombe dei re Achemenidi: Dario, Serse e i loro
discendenti meno famosi. Distava circa 900 chilometri, quindi circa dieci ore
di viaggio, vi arrivarono a sera inoltrata. Si accontentarono del primo
alloggio che trovarono, appoggiarono i loro zaini e si misero a tavola per
rifocillarsi.
“Sei
stanca?” chiese Erik, mentre mangiavano una zuppa speziata.
“No.”
“Sei
ancora affranta?”
“Un
po’, ho solo voglia di mettermi sotto le coperte e non alzarmi per una
settimana, almeno.”
“Allora
puoi anche tornartene a casa. Sei qua, ora, apprezzalo, per deprimiti avrai
tempo in futuro. Sai cosa ti dico? Dopo cena usciamo e cerchiamo qualcosa da
fare qua fuori! Non abbiamo ancora sperimentato la vita notturna di queste
zone, vediamo un po’ che cosa c’è.”
“Non
credo ci siano chissà quali intrattenimenti e, in ogni caso, non sono solita frequnetare locali pubblici alla sera, tranne il cinema.”
“Niente
locali, niente balere, concerti, eventi o altro?”
“Concerti
di musica classica oppure spettacoli in teatro. Generalmente, se esco la sera,
è per andare a casa di conoscenti, mezzi amici, per giochi da tavolo.”
“Giochi
di società, questo è qualcosa che mi manca, gioco solamente a scacchi. Per il
resto, anch’io apprezzo gli intrattenimenti classici, ma non evito neppure la
mondanità che vige adesso. Comunque ormai è tardi per controllare se c’è una
qualche opera lirica in teatro, per cui propongo di passeggiare un poco per
strada e vedere in cosa ci imbattiamo.”
Virginia
sorrise e subito se ne stupì, comunque accettò la proposta. Non era convinta,
ma sperava di trovare qualcosa che la distraesse un poco.
Dopo
cena, i due mutanti si incamminarono per le viuzze della piccola città che, pur
non essendo un gran centro, poteva ugualmente offrire qualcosa. Si trovarono a
passare dinnanzi all’insegna luminosa e colorata di un locale che si presentava
come uno dei più rinomati e moderni della zona. La ragazza era indecisa circa
se entrare oppure no, temendo che il costo fosse eccessivo, ma Erik la
convinse, ribadendo che il prezzo non era un problema. L’arredamento era
particolare rispecchiava un misto tra raffinatezza, eleganza e modernità, senza
cadere nella freddezza e aridità del futurismo. C’erano diverse stanze, le
principali erano una con tavoli da bigliardo, una pista da ballo e una sorta di
mini teatrino dove c’erano tavolini a cui gli avventori si sedevano e bevevano
di fronte a un palchettino su cui ogni sera artisti
di vario tipo si alternavano nelle loro esibizioni.
Per
quella serata c’era una grandissima novità, proveniente addirittura dal Giappone:
il karaoke.
Sul
piccolo palco stava il signor DaisukeInoue con l’apparecchiatura da lui costruita che consentiva
di far udire solo la parte strumentale delle canzoni le sui parole scorrevano
su un monitor, per essere cantate da chi lo desiderava.
Erik
pensò che fosse meglio sedersi a bere qualcosa nella sala del karaoke, attività
che incuriosiva parecchio Virginia a cui sarebbe piaciuto cimentarsi nella
prova, ma si vergognava. Dopo un cocktail a base di vodka e mango, la ragazza
vinse le proprie incertezze e decise di provare a salire sul palchetto e
cantare. Per fortuna erano presenti anche alcune canzoni italiane nel
repertorio del Giapponese, che le aveva inserite in occasione della sua
permanenza in Iran, sapendo che per motivi commerciali e culturali, in quel
periodo c’erano vari italiani da quelle parti e anche diversi persiani comprendevano
e apprezzavano quella lingua.
Un
po’ per l’alcool, un po’ per lo sfogarsi cantando, Virginia aveva riacquistato
una buona dose di buon umore; Erik ne era felice: l’aveva vista così entusiasta
solo davanti ad antichi reperti. Lui era rimasto sempre al tavolino con una
bottiglia di ArrackMehwah,
ottenuto dalla fermentazione di un succo di fiori. Si sentiva piuttosto a
proprio agio: lì in mezzo a una moltitudine, ma allo stesso tempo distaccato,
confondendosi tra gli altri, ma in una posizione di osservazione che gli dava
la sensazione di poter controllare quel che accadeva attorno. Gli venne da
pensare che quel viaggio non sarebbe durato per sempre, che presto Virginia
avrebbe deciso di tornare a casa e, anche nel caso lui fosse riuscito a
convincerla a non rientrare in una vita che, da quel che aveva potuto vedere,
le recava dolore, lui avrebbe dovuto tornare a pensare ai suoi doveri nei
confronti dei mutanti. C’erano persone che facevano affidamento su di lui e non
poteva deluderle. Quella consapevolezza un poco lo disturbava: ancora tutte
quelle responsabilità? Il dover escogitare piani efficaci che sarebbero stati
ostacolati da Charles e i buonisti suoi colleghi?
Si
disse che, forse, doveva pensare innanzitutto a sé, ma che cosa voleva dire
questo? Abbandonare chi faceva affidamento su di lui, vivere una vita mediocre
in attesa che gli umani compissero la loro pulizia etnica verso i mutanti. No,
non lo poteva accettare. Ecco che sentiva infiammarsi nuovamente nel suo petto
l’ardore per la battaglia, la consapevolezza del pericolo e della propria
importanza, la determinazione a offrire tutto se stesso alla causa e condurre
gli altri alla vittoria.
Bene,
ora si sentiva meglio, si sentiva più se stesso. Ogni tanto gli capitava di
trovare troppo stressante la strada per il conseguimento dell’obbiettivo che si
era preposto, per questo si era preso quella breve vacanza a Gerusalemme, e si
spaventava per quell’insicurezza, lo faceva dubitare non solo di sé ma anche
della possibilità di dare un futuro ai mutanti. Poi, per fortuna, ritrovava
presto il vigore e si sentiva meglio. Dopo aver riflettuto più volte sul perché
di quei momenti, si era detto che fosse perché sentiva tutto il peso su sé
solo, senza la possibilità di considerare qualcuno come suo pari e quindi con
cui dividere la responsabilità. Finché Mystica era
stata al suo fianco, lui aveva sentito più leggero l’onere, invece da quando
agiva da solo, o come unico leader per lo meno, aveva molte più preoccupazioni.
Per questo, nei momenti più difficili, aveva voglia di abbandonare tutto: era
una sorta di codardia, si diceva, per qualche istante rifiutava l’idea che il
successo o la sconfitta dipendevano da lui solo, ma poi recuperava subito la
sua fermezza e andava avanti.
L’incontro
con Virginia gli suscitava stati d’animo contrastanti: alternava momenti in cui
sentiva più vivo e più forte il voler combattere per la libertà e la felicità
dei mutanti, a momenti in cui non desiderava altro che quel viaggio continuasse
per sempre coi suoi alti e bassi, disavventure e occasioni felici.
Erik
venne scosso da questi suoi pensieri da un saluto inaspettato. Tornato presente
alla realtà, quando rifletteva profondamente, poteva non accorgersi di quel che
gli accadeva attorno, vide davanti a sé Kourosh, il
mercante con cui avevano viaggiato ormai una decina di giorni prima o forse
più.
“Verethragna!” esclamò sottovoce il Persiano “Che piacere e
che sorpresa vedervi qui! Quando ho visto Atar cantare,
ho supposto ci foste anche voi e vi ho cercato!”
Erik
si ricordò della messa in scena che aveva fatto la ragazza per giustificare i
loro poteri, per cui sperò di non commettere errori e che lei li raggiungesse
presto. Per fortuna, Kourosh parlò quasi tutto il
tempo lui solo, dicendosi onorato che gli Yazata si fossero
recati nella sua città, che avrebbe avuto grande piacere ad ospitarli nella sua
casa e molto altro ancora. Virginia aveva notato la situazione ed era tornata
al tavolo aveva conversato il necessario, declinato l’offerta di ospitalità ma
accettato quella per cui il mercante avrebbe fatto loro da guida presso le
tombe degli Achemenidi il giorno successivo.
Così
avvenne e la mattina seguente Kourosh si presentò
davanti all’alloggio dei due viaggiatori per accompagnarli alla necropoli, si
era portato dietro due dei suoi figli e, successivamente, incontrarono vari
conoscenti del mercante che, casualmente, passavano da quelle parti. Erik era
un po’ infastidito da tutte quelle presenze che fingevano di non essere lì
appositamente perché credevano che loro due fossero specie di semidei o quell’accidenti
che era; tuttavia stava ben attento a non compromettere quella finzione.
Le
tombe erano quattro, scavate in un’imponente massiccio roccioso, tutte a forma
di croce con l’ingresso al centro, il braccio orizzontale era una riproduzione
del palazzo di Persepoli; l’interno era una singola semplice stanza in cui un
tempo vi si trovava il sarcofago, ma purtroppo erano state saccheggiate fin dai
tempi di Alessandro Magno. L’esterno della montagna, sotto e attorno alle
tombe, era decorato con alcuni rilievi d’epoca sasanide, ossia del terzo secolo
dopo Cristo.
Nel
primo, il fondatore della dinastia, Ardashir, riceve
la corona e l’investitura regale dal dio Ahura Mazda,
dopo aver ammesso di aver tradito il suo predecessore, Artabano
IV. Vi era poi re Sapore che trionfava sugli imperatori romani Filippo l’Arabo
e Valeriano. Gli altri altorilevi raffiguravano
diversi sovrani che combattevano o ricevevano il potere.
“Quello
cos’è?” chiese Erik, dopo oltre un’ora che Virginia osservava le immagini
dettagliatamente, cercando anche di disegnarle su un quadernetto, oltre che
fotografarle.
L’uomo
aveva chiesto informazioni circa un edificio cubico a meno di un centinaio di
metri davanti alle tombe, aveva tutti i lati uguali e cono quattro finestre per
facciata.
“È
un ka’ba-yeZartosh” rispose Kourosh “Significa
cubo di Zoroastro. È un tempio, vi abbiamo riportato
il fuoco sacro dopo molti secoli che vi era spento, prendendo le braci da uno
dei più antichi focolari che i sacerdoti mantengono accesi.”
Virginia
udì quella spiegazione ed espresse il desiderio di entrare nel tempio. Il mercante
rispose che solo i sacerdoti potevano entrare nell’area sacra ma che essendo
loro due degli Yazata sicuramente erano nello stato
di purezza adeguato per accedervi. La ragazza si sentì un poco in colpa nel
profanare con l’inganno quel luogo, ma la sua curiosità ebbe la meglio.
Entrò
nell’edificio assieme all’amico. Al piano terreno vi erano solamente un grande
braciere accese e un catino pieno d’acqua. Salirono le scale e raggiunsero il
piano superiore che era completamente vuoto, ma le pareti erano decorate con
fittissimi bassorilievi assai vivaci.
“Chissà
cosa c’è raffigurato.” ragionò Erik “Tu lo sai?”
Virginia
scrutò le immagini e disse: “La cosmogonia zoroastriana, credo ... c’è qualche
incongruenza con ciò che solitamente viene descritto, quindi presumo sia una
versione piuttosto arcaica.”
“Che
cosa dice?”
“Fuori
dal tempo e dallo spazio vi è Ahura Mazda. Ad un
certo punto decide di avere un figlio e celebra un rituale per ottenerlo, ma
durante esso, per qualche istante, dubita. Così nascono due gemelli Spenta Manyu, pensiero accrescitore,
generato dall’ordine, e AngraManyu,
pensiero distruttore, generato dal dubbio. Questo, almeno, secondo le dottrine
deterministiche, c’è anche chi sostiene che entrambi abbiano scelto liberamente
se seguire il bene o il male. Spenta Manyu sarebbe
quasi un doppione di Ahura Mazda, tanto che nelle
tradizioni più tarde Spenta Manyu è sparito, del
tutto assimilato al dio supremo. Per me, però, non sono la stessa cosa, secondo
me è bello e importante il concetto secondo cui il dio supremo sia al di sopra
del bene e del male. Ad ogni modo, questi due spiriti esistono nell’infinito e
nell’eternità. Spenta Manyu capisce che uno scontro
sarà inevitabile e comprende anche che combattere nell’infinito significherà
dare origine ad un conflitto eterno. Decide allora di creare il tempo e lo
spazio da utilizzare come campo di battaglia e impiega tremila anni a creare
tutte le cose a livello mentale, un po’ come le idee di Platone. AngraManyu, accorgendosi di ciò,
assume le sembianze di un rospo e con atto di auto sodomia, dimostrando così di
non poter amare altri che se stesso, genera demoni. Spenta e Angra si incontrano e confrontano le due creazioni mentali.
Angra ammira molto ciò che l’altro ha fatto e così
Spenta gli offre la possibilità di essere amici e di vivere insieme nella sua
creazione. Angra è però incapace di percepire il bene
e lo scambia per codardia e un’ammissione di debolezza da parte dell’altro,
sceglie dunque di fargli guerra. Stabiliscono di affrontarsi nella creazione di
Spenta che pronuncia una preghiera con la quale addormenta l’avversario per
altri tremila anni, durante i quali lui fornisce materia vitale a ciò che aveva
creato a livello mentale. Quando Angra si risveglia
grazie all’intervento di Jeh, la sua più devota
creatura; lui e i suoi demoni, tutti esistenti solo a livello mentale, aprono
uno squarcio per entrare nel tempo e nello spazio e lo strappo si chiude alle
loro spalle. In questo modo essi sono per sempre bloccati nel mondo e non ne
potranno uscire, mentre Spenta e le sue emanazioni potranno entrarvi e uscirvi
a piacimento. L’intero mondo è dunque solo un campo di battaglia in cui il bene
e il male si affrontano, ogni uomo è un soldato che deve scegliere da che parte
schierarsi. Il corpo, contrariamente a molte altre tradizioni, non è affatto
visto come negativo, ma come componente fondamentale degli esseri. Il male,
invece, non ha materia, è solamente uno stato mentale, una distorsione del
pensiero.”
Erik
era rimasto molto colpito da quel racconto e chiese: “Si sa chi vincerà alla
fine?”
“Spenta
Manyu, ovviamente. Allo scadere del tempo prefissato
per la battaglia, entrerà nel mondo con tutti i suoi campioni e ci sarà l’ultimo
grande scontro. Jeh, che fino ad allora sarà sempre
stata il braccio destro di Angra, per fame e
disperazione si rivolterà contro di lui. Angra
chiederà soccorso a Spenta che lo salverà, uccidendo la demonessa,
ma poi sarà lui ad ammazzare Angra. C’è chi sostiene,
però, che Spenta e Angra si equivalgano e che nessuno
dei due possa uccidere l’altro e, dunque, Spenta si limiterà ad imprigionarlo
per sempre nello spazio-tempo, mentre lui e le anime di tutti gli uomini, buoni
e cattivi, vivranno in eterno nel paradiso che è al di fuori di quelle
dimensioni.”
“Anche
i cattivi?”
“Sì.
I cattivi saranno all’inferno solo fintanto che saranno nel tempo, poiché un’azione
compita nel tempo non può essere punita in eterno.”
“Una
religione parecchio strana.”
“È
anche forse la più longeva, benché non si sia certi della datazione.”
“Più
antica dell’ebraismo? Ne dubito.”
“Forse
coeve.”
“Beh,
direi che però noi abbiamo resistito meglio: siamo più numerosi, nonostante
tutte le avversità.”
“Mi
permetti una freddura, un po’ infelice?”
“Sentiamo.”
“Non ti arrabbierai, vero? È per scherzare.”
“Tranquilla.”
“Bene.
Sono quattromila anni che ovunque andiate c’è chi vi vuol sterminare: Egiziani,
Persiani, Romani, Spagnoli, Francesi, Russi, Tedeschi … non è che voi ebrei
dovreste farvi un piccolo esame di coscienza? Forse se tutti vi odiano,
qualcosa nel vostro atteggiamento lo dovreste cambiare.”
“È
solo invidia quella degli altri: noi siamo il popolo eletto da dio e loro sono
invidiosi.”
“Più
che l’amicizia con Dio vi invidiavano i soldi, almeno negli ultimi secoli.”
Non
si soffermarono molto più a lungo là dentro. Trascorsero il resto della
giornata sempre scortati da Kourosh che prima li
ospitò a pranzo, offrendo loro grandi leccornie, poili accompagnò ancora in giro per la città
affinché vedessero tutti posti più importanti e, un po’ controvoglia, i due
mutanti dovettero mostrare i loro poteri a una ristretta cerchia di forse non
troppo selezionatissimi zoroastriani.
In
fine, alla sera, tornarono nel locale chic della serata precedente, ove anche cenarono.
Non vi era più il karaoke, era stata un’esclusiva speciale per una sola
occasione, così quando erano già le ventidue, Erik chiese alla ragazza: “Vieni
con me sulla pista da ballo? Ho voglia di danzare: è un sacco di tempo che non
lo faccio.”
Virginia
era titubante e farfugliò: “Non ho molta esperienza …”
“Non
ci vuole esperienza, nessuno ti giudicherà: lo si fa per divertimento e basta. Vieni
e prova. Io non credevo di potermi appassionare a musei o archeologia, certo
non ero una zappa prima, ma non me ne curavo eccessivamente, ora grazie a te e
all’aver sperimentato li apprezzo maggiormente. Adesso hai dei dubbi sul
ballare ma, se provi, forse dopo ti piacerà.”
Davanti
ad un’argomentazione simile, Virginia non poté rifiutare e accettò di seguire l’amico
nella stanza accanto dove una piccola orchestrina suonava balli di vario
genere.
Erik
sembrava molto a proprio agio, come se il lasciarsi permeare dalla musica lo
aiutasse a scaricare le energie negative e ad essere più sereno. Virginia,
invece, era più impacciata, i suoi movimenti erano piuttosto meccanici, non
riusciva a lasciarsi guidare dalle note.
Ci
fu, poi, un brano lento. Erik strinse la ragazza senza neppure avvertirla e
condusse la danza con gran disinvoltura e fissando la giovane negli occhi,
facendola piroettare di tanto in tanto e poi riportandola a sé. Virginia era in
confusione tanto da non riuscire a godersi quel momento come invece avrebbe
potuto e voluto; essere così stretta al petto dell’uomo le faceva accelerare il
battito cardiaco e lei si agitava; avrebbe voluto dire qualcosa per allentare
la tensione, ma aveva paura di dire stupidaggini e banalità, per cui tacque. Sperò
che lui parlasse, ma non fu così.
La
musica cambiò nuovamente e i due si staccarono. Virginia provò un moto di
tristezza e delusione, come se avesse sperato che, nonostante la sua inerzia,
quel momento non finisse così. Per un attimo osò immaginare che Erik la stesse
ancora abbracciando, che i loro volti fossero quasi uniti … si interruppe, frenò
la fantasia prima che potesse costruire chissà quali castelli per aria, poiché
lei sapeva bene che si sarebbe trattato solo di sogni impossibili e quindi non
voleva infliggersi da sola ulteriore dolore con fantasticherie che mai
sarebbero potute divenire realtà.
Erik,
dal canto suo, stava pensando a come fosse stato strano quel giro di ballo: era
stato così freddo! Eppure non deludente. Erano dieci anni che non danzava, l’ultima
volta era stata con Mystica, poi lui era stato in
prigione e nei mesi dopo la sua evasione aveva avuto ben altri pensieri che
quelli di divertirsi. Avrebbe potuto ballare con qualsiasi donna presente in
quella sala; ce ne erano numerose e alcune bellissime o sensuali e lui era
certo che nessuna di loro lo avrebbe rifiutato, se avesse chiesto un ballo. Lui,
però, non se ne era curato e aveva deciso di danzare quel lento con Virginia,
nonostante non la si potesse definire attraente. Non l’aveva fatto per pietà
verso di lei, per delicatezza verso la di lei scarsa autostima o per rispetto,
essendo in viaggio con lei. No. Lo aveva fatto perché ne aveva voglia, perché
in quel momento era stata l’unica persona con cui aveva sentito il desiderio di
ballare. Prendendole le mani, aveva immaginato un momento caloroso ed
emozionato, invece era stato tutto molto freddo, quasi distaccato, nonostante
la vicinanza dei corpi, e tutto ciò gli trasmetteva una lieve sensazione di
fallimento.
Kourosh era talmente
entusiasta della presenza di quelli che reputava Yazata,
che aveva organizzato vari intrattenimenti e specie di celebrazioni che avevano
trattenuto per un’altra giornata i due mutanti a Bisotun.
Era
l’imbrunire e ancora era in corso il banchetto con musici, danzatori, poeti
improvvisato da Kourosh per onorare i suoi ospiti.
Erik si compiaceva di essere così ben trattato e tenuto in alta considerazione,
mentre Virginia osservava tutto con l’attenzione di un’antropologa.
Si
trovavano nel cortile interno della casa del mercante, un trio di musici aveva
appena concluso la propria esibizione, nell’intervallo in cui i camerieri
avevano sparecchiato la portata di carne e servivano il dolce. Uno dei
domestici si accostò al padrone di casa e gli mormorò qualcosa. Dopo aver
ascoltato, Kourosh si rivolse ai due ospiti: “Mi
hanno appena informato che sono giunti tre signori che chiedono di voi. Han
detto di annunciare un certo professor Xavier. Lo
conoscete?”
Erik
si stupì e poi si affrettò a rispondere: “Sì, è uno dei nostri, fatelo
passare.”
“Un
altro Yazata?!” si meravigliò il mercante.
“Sì,
sì … c’è un’alta concentrazione di forze malvagie da queste parti, ci stiamo
riunendo.” Erik ormai aveva preso gusto a portare avanti quella sceneggiata.
“E
di chi si tratta?”
“Sraosha.” inventò Virginia, che iniziava a temere che la
situazione sfuggisse loro di mano.
Kourosh intanto aveva
dato ordine di introdurre i nuovi arrivati e così presto fecero il loro
ingresso Charles, Raven ed Hank che furono fatti
accomodare accanto agli altri due mutanti, mentre il mercante e alcuni suoi
famigliari cedevano loro il posto. Ci fu qualche minuto in cui i cinque forno
lasciati più o meno soli, nel senso che per dare nuove disposizioni, Kourosh e altri si allontanarono quel tanto che bastava a
loro per parlare liberamente, senza essere sentiti da altri.
“Benvenuto
Charles” esordì Erik “Come mi hai trovato?”
“Tu
hai l’elmetto, la tua amica no. Non vi ho persi di vista da quando avete lasciato
il laboratorio. Quando ho capito che vi sareste fermati un poco qui, ne ho
approfittato per raggiungervi.”
“Quanta
premura da parte tua, non dovevi disturbarti.”
“Io,
invece, credo di sì.”
“Me
lo spiegherai più tardi, adesso goditi questo momento, Charles. Ci credono
degli inviati di un dio, non infrangiamo i loro sogni.”
“Sì, ho guardato le loro menti e so che
cosa pensano. Devo dire che è disonesto da parte vostra perpetrare
quest’inganno e io non voglio rendermene complice.”
“Nessuno si sta facendo del male, anzi,
sono tutti più felici, quindi non rovinare tutto quanto.”
“D’accordo, ti concedo di arrivare alla
fine di questo banchetto, ma poi dobbiamo parlare.”
“Uh una concessione!” replicò sarcastico
Erik “Te ne sarò infinitamente grato!”
Charles lo rimproverò con lo sguardo, ma
in quel momento tornò Kourosh che riprese a
contendersi le attenzioni di tutti quanti.
Raven e Hank si erano
seduti accanto a Xavier, non prestavano molta
attenzione a quel che accadeva attorno, parlavano fittamente tra di loro e ogni
tanto osservavano Erik, come a volerne studiare le espressioni e i movimenti,
come sospettando di qualsiasi gesto. Magneto aveva
notato di essere spiato e quindi aveva deciso di prenderli un poco in giro con
cenni non sempre limpidi; inoltre ne approfittò per sussurrare all’orecchio di
Virginia di assecondarlo, avendo avuto il consenso, per il resto della serata
la strinse spesso a sé, accarezzandole le mani o i capelli, tal volta le
braccia o il volto, arrivò anche a darle un bacio sulla guancia. In pratica
s’era inventato un pretesto per fare credere necessaria alla ragazza una
finzione che in realtà gli serviva per cercare di infrangere un poco quella
barriera che finora non era riuscito a scalfire. Virginia inizialmente era
comunque piuttosto imbarazzata, ma il fatto di considerare quei gesti non come
genuini bensì come simulazione la rendeva più tranquilla e non si sentì a
disagio nel tenere per mano l’uomo o appoggiare la testa sulla sua spalla. In
realtà si era domandata il perché di quella sceneggiata, ma subito aveva deciso
che non le interessava.
Kourosh avrebbe fatto
proseguire la serata fino a tarda notte se non addirittura l’alba, se non fosse
stato che Charles utilizzò i propri poteri su di lui per persuaderlo della
necessità di lasciarli andare per prepararsi allo scontro con forze maligne. I
cinque mutanti si ritirarono dunque nell’alloggio che già ospitava da tre notti
i due viaggiatori.
Appena saliti nelle stanze, Erik
premise: “Non ho intenzione di trovarmi davanti alla commissione Magneto è un insensibile.”
“Non esiste niente con quel nome.”
bofonchiò Hank “Insensibile, poi, è
un eufemismo.”
Erik lo ignorò e proseguì: “Quindi,
Charles, sarò ben lieto di fare una partita a scacchi con te e chiacchierare
nella stanza di là, ma soli, senza sostenitori.”
“D’accordo.” Xavier
acconsentì.
I due uomini si accomodarono nel
salottino accanto, seduti uno di fronte a l’altro con in mezzo una scacchiera,
come ai vecchi tempi.
“Che cosa sei venuto a fare, Charles,
che cosa speri di ottenere?” nel tono di Erik non c’era spavalderia ma
amarezza.
“Non perdo la speranza, amico mio.”
“L’ultima volta, dopo dieci anni che non
ci vedevamo, eri piuttosto adirato con me.”
“Era stato un pessimo periodo, trattavo male
chiunque. Non avevo più niente, neppure la speranza.”
“E mi hai accusato di avertele sottratte
io. Ora invece hai di nuovo tutto e sei felice; è così che funziona? Hai quello
che vuoi e ti comporti come San Francesco, Gandhi, Mary Poppins
e Babbo Natale tutti assieme, ma se gli eventi non seguono il tuo capriccio
diventi un misantropo, apatico affetto da vittimismo perché non è in grado di
agire per cambiare le cose ma aspetta la manna dal cielo?”
“Meglio che essere sempre in guerra con
il mondo intero, non credi?”
“Beh, io almeno sono coerente.” disse
Erik, scherzando, ed entrambi si misero a ridere.
Tacquero alcuni momenti, concentrandosi
sugli scacchi, poi Erik domandò: “Toglimi una curiosità, come mai Hank, da
scienziato della CIA che era, è diventato il tuo maggiordomo?”
“Non è il mio maggiordomo … ok, forse un
po’ lo è … il fatto è che prima mi dava un grande aiuto con la scuola, poi la
scuola ha chiuso … ed Hank è rimasto, non mi ha abbandonato, è un buon amico.
Ora che la scuola è stata riaperta, la sua collaborazione è fondamentale.”
“Sbaglio o il vostro non è un rapporto
proprio paritario? Voglio dire, mi pare che tu ordini e lui esegue,
nient’altro.”
“E allora?”
“Non so se si possa definire
propriamente amicizia.”
“Lezione molto interessante. Ricordami:
quanti amici hai?”
“Uno: tu. Forse due, se conto anche
Virginia, ma non ne sono certo.”
“Amicizia? Ci credi ancora, dopo tutto
quello che è successo?”
“Sei qui e non per combattermi, non mi
servono altre dimostrazioni.”
“Cosa ti fa pensare ch’io sia amico tuo
e non di Hank?”
“A me non dai ordini.”
“Non posso farlo.”
“Non lo faresti neppure se non avessi
l’elmetto.”
“Io non uso i miei poteri per
controllare le persone, lo sai bene.”
“No, infatti, ti bastano il tuo carisma
e la tua dialettica per soggiogare le persone. Sai parlare al cuore delle
persone, conquistarti in un attimo la loro stima e fiducia. Affascini i tuoi
interlocutori in un modo tale che mi viene da domandarmi se sia davvero del
tutto naturale o se, piuttosto, tu sia talmente avvezzo ad applicare il tuo
potere in quella forma che non riesci neppure a renderti conto che lo stai
utilizzando. Sai tutto degli altri, tutti si confidano con te, ti guardano come
un punto di riferimento, ma chi è che sa qualcosa di te? Il tuo animo è chiuso
in una torre d’avorio e nessuno lo conosce. Raven ed
Hank dovrebbero sapere tutto di te ed effettivamente conoscono molto, ma non li
hai mai lasciati avvicinare nel profondo, ci scommetto. Tratti loro come tratti
tutti i tuoi studenti: ti poni su un piedistallo, ti senti superiore a loro e
li vuoi condurre e quindi non li senti tuoi pari e non riesci ad avere in loro
totale fiducia. Professore … ti si
addice perfettamente e sai perché? Perché per tutta la vita non hai fatto altro
che nasconderti dietro una cattedra ad esercitare la tua presunta superiorità e
senza mai metterti in discussione. Sei convinto di essere nel giusto e prosegui
sulla tua strada con un paraocchi che ti impedisce di vedere tutto il resto. Il
tuo pacifismo, i tuoi valori morali ti fanno sentire superiore e per questo non
hai orecchie per ascoltare gli altri. Sono certo che la vera ragione, che ti ha
portato alla misantropia e depressione quando la tua scuola ha chiuso i
battenti, sia stata quella di sentire venire meno la tua autorevolezza e il tuo
potere, di veder messa in dubbio la tua superiorità sugli altri. La durezza
della vita ti aveva dato la possibilità di migliorare e maturare e tu, anziché
metterti in discussione e cercare di cambiare ciò che non andava, hai preferito
fare la vittima inerte.”
Erik mosse l’alfiere e fissò Charles in
attesa di una risposta che arrivò dopo una trentina di secondi: “Solo un vero
amico mi avrebbe parlato così.”
“Torniamo dunque alla domanda iniziale:
perché sei qui?”
“Anche la risposta non cambia: non ho
perso la speranza.”
“È inutile: io non riesco a vedere il
mondo come lo vedi tu, né tu lo puoi percepire come me. Perché insistere?
Perché cercare la maniera di conciliare due visioni inconciliabili? Anzi, tu
vorresti ch’io cambiassi la mia opinione, senza modificare di una virgola la
tua. Non accadrà mai. Continuiamo ognuno sulla propria strada e troviamoci ogni
tanto a chiacchierare e giocare, rispettando le reciproche scelte. Credimi,
anche a me piacerebbe che avessimo idee unanimi, ma per il momento non è
possibile alcuna collaborazione.”
“Ho fatto tanti chilometri per niente,
allora?”
“No, hai fatto tanti chilometri per
passare a trovare un amico.”
“Suvvia, Erik, deve esserci un modo per
persuaderti che lo sterminio non è la soluzione. Guarda gli uomini di cui sei
stato ospite oggi: ti hanno ben accolto ed erano tutt’altro che ostili.”
“Solo perché ignorano la verità.”
“Ciò non toglie che potremmo davvero
diventare eroi per il mondo intero. Abbiamo grandi poteri e li metteremo al servizio
dei Governi e del bene.”
“Da quando i governi corrispondono al
bene? La conosci la favola del lupo e del cane domestico?”
“Sì: un lupo, magro, magro, incontra un
cane in perfetta forma e se ne stupisce. Gli chiede come faccia ad essere così
sano e pasciuto e il cane gli risponde che è perché lavora per l’uomo: lui fa
da guardia agli animali e alla casa del padrone e in cambio riceve da mangiare
in abbondanza. Offre al lupo la possibilità di fare altrettanto, ma il lupo
nota il collare e chiede spiegazioni; il cane spiega che è perché ogni tanto il
padrone lo tiene a guinzaglio o lo lega. Allora il lupo dice di preferire una
vita di stenti ma in libertà, piuttosto che essere ben trattato da schiavo.”
“Esattamente: io sono il lupo e tu il
cane. Inoltre, se uno non volesse fare l’eroe? Dimmi, come potrebbe vivere una
vita normale un teleporter? Verrebbe accusato di
qualsiasi furto in città, ammesso e non concesso che qualche fanatico religioso
non tenti di ucciderlo a causa delle sue sembianze leggermente demoniache. Per
qualsiasi problema cercheranno di incolpare il mutante nei paraggi con capacità
compatibili col fatto, perché sarà più semplice che indagare. Trovare un
colpevole è lentezza. Gli umani sono mossi più dalla vendetta che dalla
giustizia.”
“Infatti tu punti a una vendetta
preventiva: ti sembra logico?”
“Cosa ti fa pensare che l’umanità possa
agire diversamente da come ha sempre fatto? Il genocidio non è un’invenzione
moderna, pensa anche solo agli Aztechi. A volte non è necessaria neppure appartenere
ad una razza diversa, ma è sufficiente credere in un Dio diverso o anche solo
differire di una parola o due dalla dottrina. A volta basta semplicemente
essere nati nel ceto sociale sbagliato.”
“Ho studiato la storia e so quello che è
stato. Non ci sono solo momenti bui, ma anche di luce. Alessandro Magno voleva
unire il mondo greco e quello persiano e ci stava riuscendo. Negli ultimi
secoli si sta ottenendo una maggiore consapevolezza dei diritti universali ed
inalienabili dell’uomo: stiamo progredendo e può esserci un futuro armonioso.”
“Charles, non nego che possa avvenire un
lento processo di integrazione, penso però a tutti i morti che ci saranno da
qui al successo che tu auspichi, senza contare poi che alcuni pregiudizi sono
duri a morire, si mantengono in alcune famiglie e fazioni, pronti a scatenarsi
nuovamente alla prima crisi di qual si voglia tipo. Un futuro come lo speri tu
è possibile, ma instabile e richiederà molti morti, soprattutto tra i mutanti.
Perché dovrei accettare simili condizioni? Solo per non essere additato come il
cattivo? Le medicine sono sempre amare.”
“Lo zucchero le può addolcire. Inoltre
tu proponi una medicina tradizionale, perché non provare l’omeopatia?”
Intanto, nella stanza accanto, gli altri
tre mutanti rimanevano in più o meno cordiale silenzio. Virginia aveva preso un
libro e si era immersa nella lettura. Raven e Hank un
poco la osservavano, un poco confabulavano. Ad un tratto, Mystica
si avvicinò all’altra ragazza, lanciò un’occhiata al libro che aveva fra le
mani e commentò: “Potresti anche inventare qualcosa di meglio per ignorarci.”
“Eh?”
“Suvvia, fingere di leggere un libro non
è il massimo dell’educazione.”
“Io sto leggendo davvero.”
“Ma non è nemmeno scritto nel nostro
alfabeto!”
“È persiano, la lingua di questo stato,
e si dà il caso che l’ho studiato per un paio d’anni e quindi lo capisco
abbastanza.” era stata piuttosto acida.
“Come sei capitata a viaggiare con
Erik?”
“Ci siamo conosciuti a Gerusalemme e lui
ha voluto accompagnarmi.”
“Davvero? Strano. Non sembri il tipo di
persona che possa attirare la sua attenzione.”
Virginia si sentì piuttosto ferita da
quelle parole, soprattutto perché pronunciate da una donna tanto bella.”
“Sicuramente ha un qualche doppio scopo,
probabilmente malvagio.” continuava Raven “Devi stare
molto attenta: Magneto è crudele, spietato e incapace
di voler bene. Pensa, diceva di amarmi, un tempo, e poi ha tentato di uccidermi
poiché gli era stato detto che in futuro avrebbero sfruttato le mie cellule per
costruire armi che avrebbero distrutto i mutanti. Così lui ha ben pensato, per
evitare ch’io finissi prigioniera, di eliminarmi, per fortuna non c’è
riuscito.”
“Pragmatico.”
“Quell’episodio mi ha fatto capire che
nel suo cuore non si annidava altro che male. Charles è troppo buono e si
illude di poter ancora redimerlo. Stai molto attenta a lui: ti farà del male,
prima o poi, in una maniera o nell’altra. Non fidarti di lui.”
“Ne prenderò nota.” rispose Virginia,
più per chiudere la conversazione che per interesse alla questione, infatti
tornò a rivolgersi al libro.
Mystica, sorpresa per
quell’atteggiamento, insisté più grintosa: “È una questione seria. Io ci sono
passata e so esattamente di quel che parlo.”
Hank intervenne: “Raven,
lascia stare, anche tu non ascoltavi nessuno, quand’eri affascinata da Erik. Si
scotterà e capirà da sola.”
La donna non si diede per vinta e
ribadì: “Credimi, lui è pericoloso e sicuramente vuole sfruttarti in un qualche
modo. Devi stare attenta.”
Virginia chiuse il libro piuttosto
bruscamente e disse: “E perché dovrei fidarmi di te? Chi sei? Nessuno. Non ti
conosco, non so niente del tuo passato e dei tuoi rancori e neppure mi
interessa. Forse sarai abituata ad avere l’attenzione di tutti, ad essere
attorniata da uomini che considerano oro qualsiasi cosa tu dica, ma a me non me
ne importa assolutamente nulla.” si era innervosita “Non ho né bisogno né voglia
di ascoltarti.”
Virginia si alzò in piedi e uscì dalla
stanza.
Raven era rimasta
piuttosto basita, si voltò verso Hank e gli chiese: “Che cosa l’è preso?”
Il ragazzo scosse le spalle, non avendo
una risposta.
Quel che turbava Virginia era il fatto
di odiare le belle donne. Per come vedeva lei il mondo, una donna sensuale
poteva ottenere tutto quel che voleva, poteva sbagliare mille volte ed essere
sempre perdonata, fare un lavoro di scarsa qualità ed essere elogiata per mesi.
Virginia odiava la facilità con cui gran parte degli uomini si lasciavano
rimbecillire e sottomettere dalla bellezza di un corpo. Odiava come molte donne
approfittassero di quell’ascendente e di come si sentissero superiori alle
altre. Odiava pensare al fatto che a nessuno importava della sua intelligenza e
delle sue capacità perché non erano accompagnate dalla bellezza; sentiva di
dover sempre impegnarsi il doppio o il triplo delle altre per essere presa in
considerazione, anche solo in università.
Per questo aveva reagito così
bruscamente: si era sentita intimorita dalla bellezza di Raven
e subito l’aveva associata a quelle ragazze che aveva conosciuto che si
sentivano di poter dire tutto ciò che volevano ed essere considerate degli
oracoli solo perché belle.
Lei non aveva idea circa se Raven appartenesse realmente a quella categoria di donne
oppure no, non conosceva nulla del suo passato, ma il suo pregiudizio era più
forte.
La
partita a scacchi si era conclusa dopo oltre due ore in una situazione di
stallo, esattamente come il loro dialogo. Erik e Charles uscirono dalla stanza
per riunirsi agli altri e il primo si stupì di non trovare la sua amica.
“Dov’è
Virginia?” chiese bruscamente.
“È
fuori.” rispose Hank un po’ sorpreso.
Erik
uscì rapidamente, senza aggiungere altro. La porta dava su un corridoio su cui
si affacciavano le stanze di altri ospiti; Erik lo attraversò a gran passi,
alquanto preoccupato: che motivo aveva la ragazza di andarsene? E senza dire
nulla per di più?
Arrivato
però alle scale che portavano al piano di sotto, si tranquillizzò, vedendo
l’amica seduta sui gradini, intenta a leggere.
“Che
cosa ci fai qui?” le chiese.
“Dentro
il clima non mi piaceva troppo e ho pensato fosse meglio allontanarmi.”
“Dai,
rientriamo.”
“Che
cosa accadrà adesso?”
“Cosa
intendi?”
“Adesso
che ci sono anche loro …”
“Non
cambia nulla, probabilmente già domani se ne andranno, vedendo che non possono
ottenere ciò che speravano.”
“Che
cosa volevano da te, se posso chiedere?”
“Charles
vorrebbe che abbandonassi il mio metodo e seguissi il suo, per conseguire il
bene dei mutanti. Solite cose, inizia ad essere ripetitivo. È piuttosto
ostinato.”
“Il
suo progetto è così sbagliato?”
“È
poco realistico e parte dall’erroneo presupposto che gli uomini siano d’animo
buono e razionale … ma ne abbiamo già discusso, inutile ripetersi.”
“Rousseau
parlava del mito del buon selvaggio.”
“La
natura impedisce di essere buoni, se si vuole sopravvivere. Il bene e il male
sono due concetti inventati per regolare la vita all’interno delle società e
cambiano continuamente nel tempo e nello spazio. In ogni caso, Rousseau dà
ragione a me, visto che nell’Emilio
scrive: ogni cosa è buona mentre lascia
le mani del Creatore delle cose; ogni cosa degenera nelle mani dell’uomo.”
“Sei
proprio convinto che non ci possa essere amicizia tra umani e mutanti?”
“Qualche
umano può accettare i mutanti … forse anche molti, ma basta poi un folle
carismatico, magari aiutato anche solo da una piccola crisi, ed ecco che si
generano psicosi e odi collettivi. Gli esempi sono numerosissimi, anche
recenti, anche nei confronti di noi mutanti.”
“Abbatteresti
un’intera foresta, per un solo albero malato?”
“Sì.
Un solo albero appare malato, ma il contagio è già in atto e bisogna eliminare
ogni pianta che potenzialmente ha il virus in incubazione, per evitare che esso
distrugga prima la foresta e poi tutto il resto.”
“Senza
neppure tentare una cura?”
Erik
si accigliò qualche istante, poi disse: “Scusami un minuto.”
L’uomo
si alzò e tornò verso la camera. Aprì la porta, guardò severamente l’amico e
gli disse con moderata ira: “Smettila immediatamente, Charles!”
“Erik
…” provò a dire Raven, ma venne interrotta.
“È
veramente meschino da parte tua entrare nella mente di qualcuno e usarlo per
ingannare un altro. Stavo parlando con una mia amica e tu hai usato il tuo
potere per farle dire quello che volevi tu! È spregevole. Come posso fidarmi di
te o di qualsiasi altra persona?”
“Erik,
lo sai che non è una cosa che faccio normalmente, ma visto che sembra che tu
non ascolti me per principio, ho pensato che forse saresti stato più
disponibile a sentire queste cose se pronunciate da qualcun altro.”
“Avresti
potuto chiedere a Raven o Hank di parlarmi, visto che
la pensano come te. Forse Raven avrebbe potuto farmi
capire meglio di te: lei condivideva le mie stesse convinzioni e poi ha
cambiato idea, sicuramente avrebbe avuto buone argomentazioni. Tu, invece, non
riesci ad avere fiducia, pensi di essere l’unico a poter risolvere le cose, gli
altri sono solo pedine. Non hai alcun rispetto.”
“Questo
non è vero!” intervenne Mystica “Charles avrebbe
potuto semplicemente impedirmi di uccidere Trask, invece
ha lasciato ch’io decidessi cosa fare. Lui ha rispetto del libero arbitrio.”
“O
forse era convinto di averti già convertita e per questo il suo ego dev’essersi ben gonfiato.”
“Erik,
adesso basta!” tuonò Xavier.
“Basta
cosa?”
“Hai
ragione: ho sbagliato a cercare di farti credere che quelle cose te le dicesse
Virginia. Il fatto è che io vorrei tanto che tu capissi!”
“Perché
non provi tu a capire me? Hai anche avuto modo di guardare nella mia testa, in
passato, e sai benissimo cos’ho patito.”
“Sì.
La tua rabbia è comprensibile, ma non può giustificare quel che hai intenzione
di fare. Pensa agli scacchi! Tu agisci esattamente come i giocatori
principianti che mirano a mangiare il più velocemente le pedine degli altri,
anziché pensare al vero obbiettivo di incastrare il re e per questo si
espongono più facilmente ai pericoli e alle trappole, perché la loro visione è
limitata e concentrata solo sul distruggere.”
“Anche
una strategia lungimirante porta ad eliminare le pedine altrui per arrivare al
re.”
“Non
sempre.”
In
quel momento la porta si aprì e sulla soglia si affacciò Virginia che
timidamente chiese: “Che cosa accade?”
“Nulla.”
rispose Erik “Dovevo chiarire una questione.”
“Io
pensavo di andare a dormire, data l’ora; quindi vi auguro la buona notte.”
Anche
gli altri pensarono fosse una buona idea riposarsi, almeno per calmare un poco
gli animi, dunque presto andarono tutti a coricarsi nei propri letti.
Giunse
il mattino. Erik non era riuscito a dormire molto la presenza di Charles e le
discussioni lo avevano innervosito. Aveva faticato a dormire e dopo poche ore
si era svegliato e non era stato più in grado di chiudere occhio; era rimasto
disteso sul letto a pensare, in una sorta di dormiveglia che alternava ricordi,
riflessioni, preoccupazioni e parti di sogni, mescolati in un flusso
ininterrotto che non seguiva un preciso filo logico. Quando la sveglia lo
richiamò completamente alla realtà, ne fu molto felice, si alzò e si preparò,
pronto ad affrontare la giornata con determinazione.
Scese
al piano terra, dove si trovava la sala delle colazioni e dei pranzi e,
stranamente, la trovò deserta: i tavoli apparecchiati e il cibo esposto erano a
metà, come se l’allestimento fosse stato interrotto di colpo. Erik si
insospettì e si affrettò ad esplorare l’alberghetto, alla ricerca di qualcuno e
spiegazioni. Dopo essere passato per un paio di stanze, notò che tutte le tende
erano state tirate, in modo da nascondere le finestre; si avvicinò ad una di
esse, scostò leggermente il tessuto per sbirciare fuori e vide che l’edificio
era stato circondato da alcune camionette militari, strano era che non
percepiva la presenza di metallo su quei mezzi e tra i soldati, notò anche che avventori
e personale dell’alberghetto erano là fuori e si stavano allontanando.
Erik
immediatamente si precipitò alla porta sul retro, certo ce ne fosse una;
trovandovi un uomo che stava per fuggire, lo trattenne grazie all’orologio ch’egli
indossava e altri oggetti metallici che aveva addosso.
“Che
cosa sta accadendo?!” tuonò Magneto “Chi sono quei
soldati?”
“Erik,
fermo!” esclamò la voce di Charles, alle sue spalle. Stava arrivando assieme a Mystica ed Hank.
Il
mutante si voltò verso l’amico e gli disse: “Sei prevenuto nei miei confronti! Non
è che ogni volta che ho a che fare con qualcuno lo voglio uccidere. Sta accadendo
qualcosa di strano, siamo circondati da uomini dell’esercito e sono abbastanza
certo che costui ci possa dare qualche informazione.”
“Posso
leggere direttamente le menti di chi è là fuori.” gli ricordò Xavier “Per cui non c’è bisogno di trattenerlo.”
“Un
ostaggio può tornarci comodo, soprattutto se tu ti ostini a non voler
combattere chi ci attacca.”
Intanto,
l’uomo trattenuto, sperando di essere lasciato andare, iniziò a dire: “Io non
so nulla, sono solo un cameriere! Mezz’ora fa sono arrivati i soldati, hanno
detto che voi siete ricercati internazionali e hanno fatto evacuare l’edificio.
Lasciatemi andare, vi prego! Ho una famiglia e … e …”
“Vedi,
Charles, cosa arrivano ad inventarsi per aggredirci?!” proruppe Magneto, colmo d’ira.
“Nel
tuo caso hanno assolutamente ragione.” gli fece notare Hank.
Sopraggiunse
anche Virginia, chiedendo che cosa stesse accadendo. Il Professor Xavier, che aveva guardato nelle menti di chi li
circondava, spiegò: “Si tratta di Stryker e dei suoi
uomini. Dopo aver scoperto la vostra fuga dal suo laboratorio, si è dato da
fare per trovarvi e ora sa anche di noi.”
“Cosa
facciamo?” chiese Hank.
“Dobbiamo
raggiungere l’aereo.” propose Raven.
“Ma
è a quattro, cinque chilometri da qui!” esclamò lo scienziato.
Virginia,
avendo ancora fresco il ricordo di ciò che le avevano fatto nel laboratorio
pochi giorni prima, disse seccamente: “Se ci ospitate a bordo, corriamo dritti
verso l’aereo e peggio per chi vuole impedircelo.”
Raven, indicando la
sedia a rotelle dell’amico, chiese: “Ti sembra nelle condizioni di correre?”
“Abbiamo
un’automobile.”
Charles
troncò la discussione: “Non possiamo farci inseguire. Ci sarebbero spari e non
so che altro per le vie della città, in mezzo a chi non c’entra nulla.”
“Concordo
sul non coinvolgere i civili.” Erik stupì con queste sue parole “Quindi sterminiamo
i soldati che ci minacciano e poi andiamo all’aereo.”
“No,
niente omicidi.” ribadì Charles “Sto facendo un duro lavoro per dimostrare che
i mutanti non sono una minaccia, quindi non attaccheremo questi uomini. Dev’esserci una soluzione pacifica.”
“Noi
stiamo solo difendendo le nostre vite e la nostra libertà: loro sono i cattivi!”
insistette Magneto “Vai da Stryker
a dirgli che vuoi essere suo amico, metti un fiore nella canna del suo fucile e
vediamo quanto sarà felice e bendisposto.”
“Lasciami
pensare.”
Raven propose: “Potrei
assumere l’aspetto del cameriere e infiltrarmi tra di loro.”
“A
che scopo?” chiese Erik “Cosa potresti fare una volta là? Soprattutto se non
hai intenzione di combattere.”
Hank
domandò: “Puoi immobilizzarli tutti quanti? Se li tieni bloccati, noi possiamo
andarcene senza colpo ferire.”
“Sarebbe
bello, ma sono parecchi e poi c’è il fattore tempo e distanza. Adesso posso
bloccarli, sì, ma se mi allontano anche solo di un chilometro perdo la presa
sulle loro menti e ci saranno subito addosso.”
Si
sentì squillare il telefono dell’albergo, tornarono immediatamente tutti nella
hall, portandosi dietro anche il cameriere. Hank alzò la cornetta e la diede a Charlse che rispose: “Pronto.”
“Sono
il maggiore Stryker. Con chi ho il piacere di
parlare?” il tono era beffardo “Magneto, il Professor
X o il coso peloso blu?”
“Sono
il professor Xavier e pretendo di sapere con quale
autorità avete circondato questo albergo. Questa non è la vostra giurisdizione.”
Erik
commentò: “Fanno esperimenti sui mutanti, gliene importerà tantissimo delle
questioni territoriali.”
Stryker spiegò: “Erik Lehnsherr è un ricercato internazionale e io ho tutte le
autorizzazioni per arrestarlo, in qualsiasi paese si trovi. Mi è anche consentito
di catturare chiunque si trovi in sua compagnia. Trovare lei, Professor X, è
una fortuna insperata. Chissà cosa penseranno il Presidente degli Stati Uniti e
i rappresentanti dell’ONU e della NATO, quando scopriranno
che lei pubblicamente si mostra pacifista e condanna le attività di Mangento, ma poi privatamente lo frequenta. Probabilmente si
accorgeranno che arrestare Trask è stato un errore e
riconsidereranno il progetto sentinella. Consegnatevi spontaneamente a noi e
forse ci sarà la possibilità che non tutti i mutanti vengano uccisi. Vi do dieci
minuti di tempo, poi apriremo il fuoco e vi verremo a prendere.”
Stryker attaccò la
cornetta. Charles guardò gli altri mutanti che avevano sentito tutto quanto.
“È
un pessimo negoziatore.” sentenziò Magneto “Non ha
offerto un granché per convincerci a non vendere cara la pelle.”
“Non
combatteremo.” ribadì Charles “Inoltre sono tantissimi e ben armati, senza
metalli. Possiamo fare ben poco.”
L’amico
dichiarò fieramente: “Se ci cattureranno, prima soffriremo le pene dell’inferno
e poi ci uccideranno e saremo felici nell’accogliere la morte come una
liberazione. Preferisco, allora, morire adesso e portare con me nell’altro mondo
il maggior numero di loro.”
“Se
provassimo a usare l’ostaggio?” chiese Virginia timidamente.
Erik
scosse il capo e disse: “Per come stanno le cose, probabilmente lo uccideranno
e incolperanno noi.”
“C’è
una sola cosa da fare.” sentenziò Charles “Entrerò nella mente di Stryker e manometterò i suoi ricordi in modo che vada via. Mi
servirà tempo, ma potrei provare a riformare le menti di tutti quei soldati. Dimenticheranno
perché sono qui, darò loro un nuovo obbiettivo e …”
“Non
abbiamo tempo a sufficienza.” lo interruppe Erik “E poi perché mai giocare con
la mente delle persone, manipolarle e privarle di ricordi e volontà dovrebbe
essere più etico che ucciderle?”
“Il
rispetto per la vita, quello che tu non conosci.” disse Hank.
“Io
rispetto le persone e le loro scelte e mostro loro le conseguenze.”
“Peccato
che un morto non possa imparare dai propri errori.” osservò Charles.
“Ma
i vivi possono apprendere dall’esempio.”
“Quella
è paura, non coscienza.”
“Vi
ricordo che tra poco Stryker attaccherà.” li richiamò
Raven.
Charles
annuì e poi disse: “Proverò a chiamare alcuni simpatizzanti che sono nell’ONU,
potrebbero ordinare a Stryker di fermare l’operazione.”
“Certo,
prima riuniranno l’assemblea, poi ne discuteranno e poi prenderanno una
decisione che forse sarà positiva per noi che, nel frattempo, saremo già morti.”
commentò Erik.
Si
udirono degli spari.
“È
in anticipo!” esclamò Hank con disappunto e timore.
Erik
fece sollevare in volo tutte le posate che si trovavano nella sala della
colazione e si avvicinò a una delle finestre, pronto a dar battaglia. Virginia afferrò
una brocca d’acqua e strinse il proprio accendino: per difendersi era disposta
a combattere.
Si
continuavano a sentire spari e grida, ma nulla colpiva l’edificio. Scostarono una
tenda e videro che i soldati di Stryker stavano
combattendo contro gente all’esterno. Osservando meglio, si accorsero che Kourosh e altri uomini del paese avevano imbracciato armi
da fuoco e lame e stavano lottando. I mutanti ne furono stupiti, Charles guardò
nelle loro menti e spiegò: “Hanno saputo che eravamo in pericolo. Hanno creduto
che Stryker fosse parte delle forze oscure di cui
Erik ha parlato ieri sera e hanno deciso di combattere. Dobbiamo fermarli.”
“No.”
ribatté Magneto “Non starò qui ad aspettare che tu
abbia un’idea. Io so esattamente ciò che dev’essere
fatto: combattere.”
Non
lasciò il tempo di dire altro, mandò in frantumi la finestra, facendola
trapassare dalle posate e poi si unì alla lotta, facendo volare rapidamente i
coltelli da un corpo all’altro e procurandosi anche altre armi, tra quelle che
poteva trovare sul campo.
Virginia
mosse un paio di passi per raggiungerlo. Charles usò i propri poteri per
trattenerla, ma lei disse: “Quegli uomini stanno rischiando la vita per noi. Il
minimo ch’io possa fare è cercare di proteggerli e rischiare almeno quanto
loro.”
Il
Professor X decise di lasciarla fare.
Kourosh e i suoi
compagni non erano guerrieri, ma la loro volontà era parecchia e furono
galvanizzati nel vedere combattere al loro fianco quelli che consideravano Yazata. La grinta di quegli umani e i poteri dei due
mutanti bastarono per sterminare in pochi minuti tutti i soldati o quasi e
costringere Stryker a chiamare un elicottero per
prelevare lui e i pochi superstiti che resistevano.
Erik
provò a fermare l’elicottero che, purtroppo, era costruito in polimeri privi di
metallo.
Kourosh, pur ferito,
era felicissimo ed entusiasta e si mise ad intonare un inno gioioso, assieme
aisuoi compagni.
Magneto e Virginia
furono coinvolti in quei festeggiamenti. Charles, Raven
e Hank osservavano da dentro l’albergo, confusi e non avendo ben chiaro come
comportarsi.
Lo
scontro a fuoco aveva destato preoccupazione nei civili e allarmato le forze
dell’ordine che giunsero sul posto quando ormai la situazione si era risolta. I
poliziotti si convinsero piuttosto facilmente (anche grazie all’intervento di Xavier e dei suoi poteri) che si era trattato di un gruppo
di guerriglieri ribelli che erano stati prontamente affrontati da onesti
cittadini.
In
questo modo non si creò troppa confusione e curiosità attorno a quei fatti,
poiché da quelle parti e in quel periodo gli scontri tra gruppi antigovernativi
e civili o esercito erano piuttosto all’ordine del giorno.
Ancora
una volta Kourosh coinvolse tutti quanti nei suoi
festeggiamenti e andò via così più di metà della giornata.
Charles
era piuttosto preoccupato e avrebbe voluto allontanarsi da lì alla svelta,
prima che Stryker potesse tornare con ulteriori
forze. Lui, Raven e Hank avrebbero potuto facilmente
raggiungere il loro aereo e lasciare rapidamente la città, non solo grazie alle
sue capacità persuasive, ma anche perché il loro non prendere parte alla
battaglia aveva un poco irritato Kourosh e i suoi che
quindi non davano loro grandi attenzioni. La ragione per cui non erano già
ripartiti era perché Charles voleva ancora tentare di convincere Erik a
seguirlo: forse il pericolo appena corso lo avrebbe persuaso a rimanere per un
po’ di tempo tranquillo in un posto sicuro.
Attorno
alle diciotto, i mutanti erano riusciti ad ottenere almeno un paio d’ore di
calma e solitudine da Kourosh che assieme ai suoi si
era allontanato per organizzare chissà cosa per la serata.
Tutti
e cinque si erano seduti in tranquillità, almeno apparente, nel salottino della
stanza d’albergo, in cui erano ancora i benvenuti.
“Una
giornata veramente intensa, vero?” chiese Charles, dopo alcuni minuti di
silenzio, per rompere il ghiaccio.
“Ho
passato di peggio.” replicò Erik, serafico.
Calò
di nuovo il silenzio, questa volta fu Hank a dire: “Non mi aspettavo che Stryker attaccasse in pieno giorno, in mezzo alla gente …
mi sarei aspettato una trappola o qualcosa del genere. Si è esposto molto.”
“Voleva
costringerci ad usare i nostri poteri per additarci ancora una volta come
pericolosi nemici.” spiegò Charles.
“Beh,
se lo scopo era spingerci a mostrarci, Magneto e la sua
amica lo hanno accontentato.” Raven commentò
piuttosto acidamente.
“Per
fortuna non ha trovato il pubblico adatto.” replicò Virginia.
“Dimmi,
Charles, come hai intenzione di proteggere i nostri fratelli mutanti dalla
follia di Stryker?” Erik volle provocare.
“Li
cercherò tramite Cerebro e li porterò nella mia scuola, dove saranno protetti.”
“Tutti
i mutanti in un unico luogo … tu la chiami scuola,
fino a trent’anni fa si diceva ghetto.
Inoltre, se non volessero venire? Se volessero una vita in mezzo agli altri?”
“Con
calma, un mattone alla volta, Roma non è stata costruita in un giorno.”
Si
sentì bussare.
“Aspettiamo
qualcuno?” domandò Hank, preoccupato.
“No.”
rispose Erik, alzandosi in piedi “Sarà Kourosh o uno
dei suoi.”
L’uomo
andò alla porta e l’aprì. Si stupì nel trovarsi davanti tre occidentali: un
signore distinto che poteva avere quasi sessant’anni, uno che aveva superato la
trentina e l’ultimo era appena maggiorenne.
Erik
pensò immediatamente a un nuovo attacco e si preparò a combattere, ma comunque
chiese: “Chi siete?”
L’uomo
più anziano, che aveva occhi piccoli e gran baffi brizzolati, con aria di
sufficienza rispose: “Sono il dottor Balletti, sono venuto per prelevare mia
figlia, quindi la esorto a non intromettersi.”
Erik
rimase perplesso e non reagì per lo stupore.
Virginia
si alzò in piedi, un poco spaventata, abbastanza agitata, chiese: “Papà, che
cosa ci fate qui? Come mi avete trovata?”
“Che
cosa ci facciamo?!” esclamò il padre, entrando nella stanza e passando davanti
a Erik “La mia unica figlia femmina, in un periodo in cui è piuttosto stressata
e instabile, si aggira da sola per il medio oriente: è sano e giusto essere
preoccupato.”
“Mi
avevi dato il permesso per viaggiare.”
“Sì,
ma in alberghi dalle tre stelle in su e chiamando minimo due volte al giorno,
erano questi gli accordi e tu dopo una settimana hai smesso di dare notizie.”
il tono dell’uomo era molto duro e severo “Tua madre era disperata e piangeva
pensando a chissà quali tragedie. Ho allertato tutti gli ambasciatori della
zona. Sei nei guai. Un comportamento così irresponsabile non è tollerato in
casa mia.”
Erik,
infastidito da quell’aggressività, cercò di prendere le difese dell’amica:
“Signore, concordo che Virginia avrebbe dovuto darvi notizie, ma come può
vedere è al sicuro e in compagnia e …”
“Lei
non si immischi.” lo interruppe l’uomo, scoccandogli un’occhiataccia, poi tornò
a rivolgersi alla figlia: “Effettivamente non mi aspettavo di trovarti con dei
compagni di viaggio: Cesare non ce ne aveva fatto cenno.”
“Cesare?
È stato lui a chiamarvi?”
“Sì,
per fortuna. Ci ha riferito di averti vista a Bisotun,
siamo venuti in queste zone e poi individuarti non è stato un problema. Comunque,
il fatto che tu non abbia presentato i tuoi amici
a Cesare mi induce a pensare che i tuoi rapporti con loro non siano esattamente
leciti.”
“Padre,
non dite sciocchezze. Non li ho presentati perché credevo di avere qualche
possibilità in più di vedere gli scavi archeologici, se fossi andata sola.”
“Non
cercare di raddolcirmi usando il voi
che non funziona. Ora raccogli le tue cose e vieni a casa con noi.”
Erik
si intromise: “Aspettate! Non è necessario che lei se ne vada. Vi posso
garantire che è al sicuro e che …”
“Erik,
lascia stare.” lo fermò Virginia “Non è necessario, va bene così. Ho fatto il
mio viaggio e ora è giusto ch’io torni a casa.”
“Ma
hai visto meno della metà delle cose che volevi vedere!” protestò l’uomo che
non capiva e non tollerava l’arrendevolezza dell’amica.
“Me
le farò bastare e poi, in futuro, chissà … Vado a preparare i bagagli.”
Erik
era confuso: era certo che la ragazza non volesse tornare dalla sua famiglia,
eppure lo stava facendo, senza protestare. Perché?
“Padre”
chiese timidamente Virginia “Erik può aiutarmi con la valigia?”
“Non
ho bisogno del permesso di nessuno.” protestò Magneto.
Uno
dei due giovani che accompagnavano il padre della ragazza, quello sui
trent’anni, disse quasi minaccioso: “Tu non sei della famiglia e non hai
diritto di avvicinarti a mia sorella!”
“Calmati,
Vincenzo.” lo ammonì il padre “Per questa volta chiuderemo un occhio. Tanto
sarà l’ultima volta che si vedranno.”
Virginia
si ritirò nella camera in cui aveva dormito nelle ultime notti per infilare
nello zaino le poche cose che aveva tirato fuori. Erik la seguì, si premurò di
chiudere la porta alle loro spalle e le chiese: “Perché lo fai?”
“È
quel che devo fare.” rispose lei, con amarezza, senza neppure guardarlo.
“Perché?”
“Sono
la mia famiglia, sanno cos’è meglio e poi credo che questa faccenda abbia
causato loro dei problemi e non voglio peggiorare le cose.”
Erik
le afferrò le spalle e la costrinse a voltarsi e a guardarlo dritto negli
occhi; le domandò: “Ti stai sacrificando, in pratica?”
“No.
Avevo preso una pausa per rilassarmi. Mi sono svagata, mi sono divertita, ora
sto meglio e torno alla mia vita.”
“Non
ne sei entusiasta.”
“A
volte bisogna sapersi accontentare. Anzi, la ricerca della felicità è la vera
causa dell’infelicitàumana. Tutti noi
vogliamo cambiare ciò che abbiamo, ottenere di più, inseguiamo chimere ed è
questo nostro desiderare che ci rende infelici. Io ho avuto le mie velleità, è
stato piacevole fingere per un po’ di essere chi non sono, ma adesso è giusto
ch’io torni in me. Non ne sarò triste.”
“L’ultima
volta che hai pensato alla vita che ti aspetta, ti ho trovata che ti pugnalavi
una mano, mi riesce difficile credere che sarai contenta.”
“Ti
prego, non complicare le cose.”
“Tu
hai paura, è evidente. Non devi per forza tornare da loro, puoi restare con me
e sarai protetta da qualsiasi cosa tu temi.”
“No,
Erik, io non ho paura. La mia è solo amara consapevolezza per un destino già
deciso che in generale non mi dispiace, è solo che vorrei cambiare qualche
dettaglio, ma non posso. Va bene così. Se provassi a evitarlo, mi metterei
contro la mia famiglia e non lo voglio. Non sempre mi capiscono, ma mi vogliono
bene e io ne voglio a loro e non vorrei mai deluderli, tanto meno combatterli.”
“Proprio
perché è la tua famiglia dovrebbero rispettare le tue scelte.”
“Se
io non sono perfettamente felice (e sfido chiunque a trovare una persona che
realmente lo sia) non è per colpa loro, ma per colpa mia che ho ancora troppa
vanità e arroganza.”
“Non
mi sembra affatto.”
“Erik,
io ti ringrazio infinitamente per tutto quello che hai fatto per me. Queste
ultime settimane sono state meravigliose e credo che per molto tempo le
ricorderò come il periodo più bello della mia vita, perché è naturale
apprezzare maggiormente ciò che non rientra nella routine. Averti conosciuto è
una gioia che mi scalderà sempre, ma ora dobbiamo dirci addio. Il mio
postoè là.”
Erik
capiva che non poteva far cambiare idea alla ragazza e ciò lo innervosiva
parecchio. La strinse forte a sé e avvicinò il proprio volto al suo per
baciarla.
Virginia
si spostò di scatto, aveva gli occhi lucidi e con tono che mal celava
sofferenza disse: “Credimi, vorrei tanto, ma non posso. Mio padre e i miei
fratelli sono già abbastanza irritati con me. Se ci baciassimo, loro lo scoprirebbero
e si arrabbierebbero ancor di più. Mi piacerebbe, ma non posso e sarebbe una
debolezza imperdonabile.”
La
ragazza prese il proprio zaino e uscì dalla stanza. Erik rimase dentro e la
seguì con lo sguardo, mentre raggiungeva i suoi parenti e usciva dalla camera
d’albergo, usciva dalla sua vita.
Charles,
Raven e Hank erano rimasti tutto il tempo ad
osservare in silenzio. Xavier guidò la sedia a
rotelle per raggiungere l’amico e gli disse: “Ci sei rimasto molto male, vero?
Che cos’è accaduto?”
“Dimmelo
tu. Non mi ha detto molto, ma tu avrai sicuramente sbirciato nelle loro menti e
saprai qualcosa.”
“No,
purtroppo. Credo fossero tutti e tre mutanti e almeno uno di loro era un telepate che mi ha impedito di avvicinarmi ai loro
pensieri. Con Cerebro potrei scoprire qualcosa, ma da solo no.”
“Pazienza,
vorrà dire che indagherò alla vecchia maniera, come ho sempre fatto d’altra
parte.”
“Aspetta,
Erik, che cos’hai intenzione di fare?”
“Scoprire
che cosa non va in quella famiglia e aiutare un’amica.”
“Non
mi sembra il caso, visto che lei li ha seguiti spontaneamente.”
“Non
c’è bisogno dei tuoi poteri per capire che lei avrebbe preferito restare qua. È
evidente che si sente intrappolata, ha paura come se fosse ricattata. Voglio
assicurarmi che lei sia realmente libera e che possa scegliere della sua vita.
Non ti ho chiesto di aiutarmi, Charles, quindi lasciami fare.”
Charles
sospirò e disse: “No, non mi hai chiesto nulla, ma vuoi imbarcarti in una questione
troppo grande per lasciartela affrontare da solo.”
“Punto
primo: la mia incolumità non è affar tuo. Punto secondo: me la sono cavata
benissimo per anni da solo.”
L’amico
si intromise: “Non hai mai dovuto affrontare da solo più mutanti in una sola
volta.”
“Punto
terzo” continuò l’altro seccamente “Ho anch’io i miei compagni e le mie
risorse, se riterrò necessario ricorrere ad essi.”
Charles
ed Erik si fissarono severamente in silenzio per oltre un minuto, come se
cercassero di sopraffarsi con lo sguardo. Infine, senza distogliere gli occhi e
senza perdere il cipiglio arcigno, Xavier domandò: “Ci
tieni veramente molto a quella ragazza?”
Etik si sentì
leggermente a disagio, ma non lo mostrò. Effettivamente si stupiva lui stesso
di prendersi tanto a cuore la sorte di Virginia. La sua era stata una reazione
improvvisa e quasi inaspettata: non era rimasto turbato dall’arrivo imprevisto
del padre di lei, ma dai suoi modi di fare, dal suo autoritarismo e di come lei
aveva accettato tutto ciò.
Beh,
in effetti, a ben pensare, era normale che una figlia, soprattutto se femmina, sottostasse all’autorità paterna; c’erano, in quegli anni,
movimenti femministi che rivendicavano indipendenza per le donne, ma avevano
contagiato un numero limitato di persone e c’erano ancora moltissime donne che
non riuscivano ad immaginarsi svincolate dal loro ruolo nel nucleo famigliare.
Benché
dunque la situazione di Virginia si potesse considerare normale, Erik non la
trovava comunque giusta. Non capiva però esattamente se fosse preoccupato per
lei o se fosse arrabbiato per non averla più vicina o forse era stizzito per
entrambe le cose.
Tutti
questi pensieri attraversarono la mente di Erik in un lampo, continuando a fissare
l’amico gli rispose: “Ogni mutante è importante per me. Se come altri
provenisse da una famiglia di semplici umani, né io né te esiteremmo a
soccorrerla. Il fatto che anche i suoi parenti siano mutanti dovrebbe
rassicurarci e farci pensare che sia al sicuro e, probabilmente, è così. Al sicuro,
però, non significa che sia felice e io … beh voglia accertarmi che lo sia. L’ho
conosciuta in queste settimane e ho visto la sua sofferenza e come la voglia di
vivere fatichi ad emergere tra tutto ciò che ha dentro di sé. La sua famiglia
non l’ha aiutata e forse, anzi, è la causa di questo malessere. Io voglio
aiutarla.”
Raven osservò: “Lei,
però, non ti ha affatto chiesto aiuto, non ti ha chiesto di intrometterti nella
sua vita. Vuole stare con loro, perché complicare le cose?”
“Poiché
ci sono situazioni talmente opprimenti e tristi che ci rendono incapaci di
vedere vie di uscita e dunque ci rassegniamo e siamo incapaci di chiedere
soccorso. In questi casi è bello che ci sia un amico che ci offra un aiuto non
richiesto ma necessario.”
Charles
sorrise nel sentire quelle parole: non si era sbagliato nel percepire del bene
in Erik e nell’avere ancora speranza per lui; trovò anche buffo il fatto che
lui vedeva il proprio amico esattamente nella stessa situazione da lui appena
descritta: Xavier era convinto che anche Erik fosse
tra coloro che non si rendono conto di avere bisogno di soccorso.
Charles
disse: “Sono tra le parole più sagge che ti abbia mai sentito pronunciare. Per
questo voglio aiutarti ad aiutarla.”
“Non
è necessario, me la posso cavare benissimo da solo.”
“Non
essere cocciuto, la nostra presenza ti faciliterà parecchio e, probabilmente,
ti salverà la vita. Torniamo alla scuola, là userò Cerebro per individuarla e
ottenere tutte le informazioni necessarie.”
“Non
mi va di perdere tempo. Sono riuscito a ritrovare ex gerarchi nazisti che si
erano nascosti in capo al mondo, riuscirò a trovare lei.”
“Allora
dividiamoci. Dimmi dove vuoi iniziare le tue ricerche e ti ci porteremo, dopo
noi andremo da Cerebro e poi vedremo di confrontare le nostre informazioni e
decideremo il da farsi. Siamo d’accordo.”
Xavier tese la mano
destra in avanti. Erik fu indeciso per qualche istante, infine la strinse e
disse: “Grazie, Charles.”
Erik
aveva annunciato a Kourosh che la presenza sua e dei
suoi compagni era richiesta altrove e che, dunque, il giorno successivo
avrebbero lasciato il villaggio. Il mercante ne fu dispiaciuto, ma non protestò
e si limitò a trasformare la cena che aveva organizzato per quella sera in una
cerimonia di addio. Il mattino seguente, l’aereo di Xavier
finalmente decollò e si allontanò dall’Iran; fece una breve sosta a Torino,
dove Erik scese, e poi ripartì verso l’America.
Erik
si trovò subito una camera d’albergo da utilizzare come base operativa. Come
prima cosa, informò della propria ubicazione alcuni dei suoi seguaci, in modo
che si tenessero pronti a raggiungerlo se ne avessero ricevuto l’ordine. Dopo
di ciò, si procurò un elenco del telefono per cercare l’indirizzo di Virginia.
Purtroppo, però, non conosceva il nome di suo padre e quindi gli fu impossibile
capire quale dei ventitré Balletti presenti nell’elenco, dieci dei quali
preceduti dal titolo dottore, fosse
quello giusto. Si stava apprestando a segnarsi sulla mappa tutte le possibili
abitazioni, che aveva intenzione di controllare una per una, quando gli venne
in mente un dettaglio: Virginia gli aveva raccontato che suo padre era un
professore universitario e che l’aveva fatta tenere d’occhio da alcuni
colleghi, quando lei era andata a studiare a Venezia.
Erik
sperò che l’uomo insegnasse nell’Università di Torino e quindi decise di
cercarlo colà, ma ormai doveva aspettare il giorno successivo. Era interessato
a capire meglio la vita di Virginia e riteneva che parlare col padre fosse
l’idea migliore per ottenere quelle informazioni e, chissà, forse sarebbe
riuscito a ragionarci e a fargli capire che la ragazza aveva bisogno di
maggiore serenità. Ad ogni modo, che l’uomo fosse stato o meno collaborativo,
lui avrebbe tratto informazioni utili per capire come approcciarsi a Virginia e
convincerla a fare ciò che era meglio per se stessa.
Il
giorno dopo si presentò in Università e perse tutta la mattina tra il cercare
la segreteria generale che gli diede il nome completo del professore e lo
indirizzò alla Facoltà di Lettere e Filosofia dove avrebbe trovato il suo
orario e altre informazioni; una volta là cercò il suo studio, ma lo trovò
vuoto; infine, alla portineria, gli comunicarono che il professor Balletti non
aveva lezione quel giorno e che lo avrebbe trovato l’indomani, attorno alle
undici.
Erik
era piuttosto seccato di aver girato come una trottola tutta la mattina, senza
ottenere granché. Pensò di andare direttamente a casa dell’uomo, visto che
ormai il nome lo sapeva e poteva trovarlo subito nell’elenco, però si disse
anche che il presentarsi alla sua porta avrebbe potuto sembrare un po’
aggressivo e quindi compromettere il suo intento che prevedeva di cominciare
come pacifico. Attese allora il mattino seguente e si ripresentò in Facoltà ma
davanti l’edificio trovò ad attenderlo i due giovani che aveva intuito essere
fratelli di Virginia e il tale che aveva visto a Bisotun.
Capì immediatamente che la faccenda non si sarebbe risolta amichevolmente, ma
prima che potesse avere il tempo di agire, sentì la terra tremargli sotto i
piedi e cadde, un istante dopo tutti e tre i giovani gli furono addosso e un
altro attimo dopo si ritrovavano su di un tetto di un grattacielo. Erik intuì
che uno di loro era un teleporta.
Si
rialzò in piedi e, con aria per nulla turbata, domandò: “Buongiorno, come mai
una simile accoglienza?”
“Non
sei il benvenuto.” spiegò quello sulla trentina che doveva chiamarsi Vincenzo
“Devi stare lontano dalla nostra famiglia, soprattutto da Virginia.”
“È
ammirevole e giusto che vogliate proteggere vostra sorella e vi assicuro che la
mia presenza non la metterà in pericolo.”
“A
noi risulta che, nei giorni in tua compagnia, sia rimasta coinvolta in uno
scontro a fuoco con guerriglieri, sia stata chiusa in un laboratorio dov’è
stata esaminata e che avete combattuto contro una non meglio definita milizia
privata, poche ore prima che la recuperassimo.”
“È
vero ma, date le circostanze, si sarebbe ritrovata coinvolta in ciò anche senza
di me e, anzi, penso di avere fatto molto per proteggerla durante tali
battaglie e dal laboratorio lo tratta in salvoio. Credo, dunque, che mi dovreste ringraziare.”
“Sa
manipolare l’acqua e il fuoco, non ha bisogno di te.” disse l’uomo dello scavo
archeologico “Inoltre ci siamo noi a proteggerla.”
Il
palazzo cominciò a tremare. Vincenzo guardò quello che aveva appena parlato e
gli disse: “Non ancora, Cesare, aspetta. Inoltre evita di scuotere tutto
l’edificio.”
Erik,
sempre con molta calma, disse: “Ascoltate, io non voglio fare nulla di losco e
proprio per dimostrare le mie buone intenzioni ho deciso di cercare vostro
padre per chiarire e parlargli, ma questa situazione mi costringe ad essere
meno diplomatico.”
“Nostro
padre non ha intenzione di parlare con te. Lo hanno informato che lo hai
cercato e dunque ha mandato me, mio fratello e mio cognato per persuaderti ad
andartene. Ora, se ti ritieni convinto ad andartene, bene, altrimenti dovremo
fartene passare la voglia. Tutto chiaro?”
Erik
rise a bocca chiusa, scosse leggermente il capo e disse: “Siete veramente
carini nel tentare di incutere paura, ma ve la siete presa con l’uomo
sbagliato: io non accetto che mi si parli in un simile modo.”
Per
sottolineare tale concetto, Erik fece sollevare in volo tre delle freccette che
si era portato dietro per precauzione e le scagliò contro quegli uomini, ma non
in punti vitali: se avesse ucciso qualcuno si sarebbe bruciato qualsiasi
possibilità di dialogo, dunque era meglio limitarsi a una dimostrazione di
forza. Non che si facesse scrupoli ad uccidere ora, ovviamente, semplicemente
non aveva chiaro che cosa nascondessero o meno, se fossero realmente pericolosi
o solamente tradizionalisti. Virginia aveva detto di volere loro bene e quindi
non voleva fare qualcosa contro di loro, almeno finché non avesse avuto la
certezza che fosse la cosa giusta da fare.
I
tre, per tutta risposta, passato il primo momento di stupore, contrattaccarono
ferocemente. Cesare stese una mano in avanti e d’improvviso Erik si sentì
tremare da capo a piedi: non erano brividi, era un totale scuotimento di ogni
sua cellula, non gli faceva male ma lo scombussolava totalmente, lo rallentava
parecchio, nei gesti e nei pensieri, non capiva che tipo di potere fosse.
Nel
mentre, la mano di Vincenzo aveva iniziato a crepitare: stava accumulando
elettricità statica presente nell’aria, quando ne ebbe accumulata a sufficienza
la scaricò contro Erik che ne risentì abbastanza.
Erik
si sentiva in difficoltà, ma non si demoralizzava. Aveva trascorso dieci anni
in prigione, senza ora d’aria, senza mai incontrare nessuno, avendo solo dei
libri a disposizione di tanto in tanto. Dieci anni, centoventi mesi,
tremilaseicentocinquanta giorni, ottantasettemilaseicento ore, cinque milioni e
duecentocinquantaseimila minuti. Tutto quel tempo solo e indisturbato lo aveva
sfruttato per esplorare più a fondo i propri poteri e aveva scoperto qualcosa
di molto interessante: lui non era semplicemente una calamita, e questo in
parte lo aveva capito quando si era accorto di poter volare, lui influenzava i
campi elettromagnetici e ciò significava che era assai efficace sui metalli, ma
che in minima parte poteva agire anche sugli altri oggetti e sui flussi
elettromagnetici che erano nell’aria. Era stato molto difficile imparare a
percepire livelli così sottili e lievi di energia e a gestirli, aveva impiegato
tanto tempo per riuscire ad ottenere qualche risultato; successivamente aveva
iniziato ad esercitarsi anche sui flussi non generati da oggetti, ma che
attraversavano l’aria, questo tipo di esercizio aveva richiesto anni, una
concentrazione profonda, molta fatica e una forte volontà. Era riuscito così a
creare campi di forza che fungessero come scudo, dapprima piccoli e poi grandi;
stava iniziando a cercare di applicare tale metodo per usare i campi di forza
per attaccare e quindi forse fuggire dal pentagono, quando poi era stato
liberato da Charles e il suo team.
In
quell’ultimo anno non aveva avuto molte occasioni per continuare ad esercitarsi
in quelle arti, si era concentrato molto su altre questioni e aveva accantonato
gli esercizi. Erik in quel momento era consapevole che ricorrere ai campi
elettromagnetici per proteggersi. Era un po’ arrugginito e la confusione
mentale causata dal mutante gli rendeva più difficile il concentrarsi, ma
l’adrenalina scatenata anche dal dolore delle scariche elettriche, gli permise
di ritrovare la lucidità necessaria per formare uno scudo col campo
elettromagnetico. Vi riuscì e le scosse e le ondulazioni cessarono di colpo.
Erik, soddisfatto, guardò gli avversari con aria di sfida.
Il
più giovane, quello che non era ancora intervenuto, scomparve in un lampo rosso
e un istante dopo si materializzò, pugnale in mano, alle spalle di Erik e già
stava per trafiggerlo ad un fianco. Magneto, tuttavia,
aveva ottimi riflessi e, pur non potendo evitare il colpo, riuscì spostarsi
quel tanto che bastava affinché la ferita non gli fosse letale. Immediatamente
si impossessò del coltello e lo accartocciò. Si accorse di stare perdendo
parecchio sangue per cui decise di non perdere tempo: in men
che non si dica staccò una grondaia del palazzo e la usò per legare tra di loro
i tre aggressori, poi si alzò in volo e si allontanò.
Erik
rientrò in albergo rapidamente, usò la grappa del frigobar per disinfettarsi la
ferita, poi prese ago e filo e, guidando il primo con la mente, si ricucì i
lembi del taglio. Intanto, pensava al da farsi; l’aggressività dei parenti di
Virginia lo insospettivano parecchio e lo rendeva convinto che nascondessero
qualcosa. Come poteva agire, adesso?
Dopo
aver pensato e ripensato, con una certa riluttanza decise di telefonare a
Charles per sapere se avesse scoperto qualcosa.
“Pronto.”
“Hank,
sono Erik. Fammi parlare con Charles.”
Hank
avrebbe voluto rimproverare all’altro la mancanza di buone maniere, ma poi si
disse che effettivamente preferiva non dover scambiare formalità con
quell’uomo, quindi soddisfò la richiesta.
“Erik,
per fortuna hai chiamato tu.” disse Xavier, appena
presa la cornetta “Non sapevo come contattarti. Stai bene?”
“Ho
avuto giorni migliori, ma anche peggiori, quindi non mi lamento.”
“Non
fare lo spiritoso, ho scoperto alcune cose e devo metterti in guardia.”
“Se
le tue informazioni riguardavano il fatto che l’iperprotettività
degli Italiani e il loro attaccamento all’onore della famiglia non è solo uno
stereotipo dei film, allora arrivi in ritardo.”
“Magari
fosse solo quello! Ma che ti è successo?”
“Ho
avuto un breve ma intenso scontro con i fratelli di Virginia e un altro che non
ricordo come sia imparentato con loro. Hanno poteri interessanti e piuttosto
forti, ma non abbastanza per me. Dimmi, tu cos’hai saputo?”
“Nulla
di preciso né di buono. Quello che abbiamo visto non dev’essere
l’unico telepate che vive da quelle parti: si
schermano piuttosto efficacemente. C’è un discreto numero di mutanti da quelle
parti e anche persone che sembrano dotate di poteri, benché non di origine
genetica. Sembra che abbiano formato una sorta di gruppo segreto, ma capire i
loro scopi mi è impossibile da qui. Ho capito solamente che cooperano assieme
mutanti, umani e quei dotati indefiniti e che si danno come nome quello di SacraeSophiaeSocietas.”
“Ah,
allora avevo ragione a pensare che ci fosse qualcosa di grosso e oscuro, dietro
a questa faccenda.”
“Oscuro
non possiamo dirlo, ma di certo non agiscono apertamente. Erik, non sappiamo se
e quanto possano essere pericolosi, resta dove sei e aspettaci, arriveremo il
prima possibile.”
Erik
lasciò detto dove potevano trovarlo, poi riagganciò. Rifletté per qualche
tempo: la ferita era meno grave di quello che aveva pensato inizialmente e non
gli andava che Charles si prendesse il merito di qualsiasi cosa fosse accaduta
da quel momento in avanti. Decise che non sarebbe rimasto ad aspettare e che
avrebbe continuato a svolgere la sua indagine personale.
Contattò
alcuni dei suoi seguaci e disse loro di raggiungerlo a Torino il prima
possibile: se la gente che voleva fronteggiare aveva poteri, allora anche lui
voleva una squadra di mutanti a sostenerlo e non si sarebbe accontentato o
fidato di quella eventualmente portata da Charles.
Individuò
sulla mappa della città la casa di Virginia e decise di presentarsi lì per
l’ora di cena. Prima passò da un ferramenta per procurarsi delle mezzelune di
metallo. Arrivò all’abitazione, era una piccola villetta urbana su due piani,
circondata da un cortiletto. Con il proprio potere aprì il cancello, poi
raggiunse la porta e bussò; dopo un paio di minuti, Vincenzo gli aprì e,
vedendolo, esclamò: “Ancora tu?! Non sei il benvenuto!”
Erik
non si stupì di trovarselo davanti: per il teleporta
non doveva certo essere stato un problema farli uscire dal groviglio in cui li
aveva bloccati. Per il momento, si limitò a spingerlo via, entrò nell’atrio e
trovò subito sulla sinistra la sala da pranzo, dove la famiglia era riunita per
la cena, Virginia era però assente. Vedendolo avanzare così determinato e quasi
minaccioso, Vincenzo e il fratello minore fecero per avventarsi contro di lui,
ma Erik fece volare parte delle mezzelune che andarono a colpire i polsi e le
caviglie dei due aggressori e poi si conficcarono nel muro, bloccandoli alla
parete.
Magneto guardò il
capofamiglia e gli disse: “Io non voglio uno scontro, voglio risposte.
Innanzitutto, dov’è Virginia?”
L’interpellato,
rimasto seduto tranquillamente a tavola, rispose: “È a cena col suo fidanzato.”
Erik
si stupì e aggrottò la fronte.
“Non
ti ha detto di averne uno?” incalzò il padre, quasi schernendolo.
“Non
ha importanza. Io voglio sapere chi siete esattamente voi: so della vostra SacraeSofiaeSocietas.”
Questa
volta fu il Balletti a sorprendersi e il suo volto si irrigidì, tacque per
alcuni momenti, poi si rilassò e disse: “Nostra?
No, non è nostra, noi siamo suoi. So chi sei, Erik Lehnsherr,
e so chi è anche quell’altro mutante spuntato fuori ultimamente, Xavier. Avete fatto rumore e abbiamo sentito parlare anche
noi della tua aggressività scoordinata e del suo buonismo zuccheroso da hippie.
È divertente osservarvi: siete come bambini che giocano a fare i grandi. È
tanto ciò che non sapete e agite ciecamente, privi di consapevolezza. Noi, e
Virginia anche, apparteniamo a qualcosa di molto più antico e superiore a voi.
Umani, mutanti, dotati in altre maniere … per noi non c’è differenza alcuna,
l’unica cosa che traccia il confine tra esseri superiori e essere inferiori è
la saggezza. Noi siamo i discendenti di un culto misterico relativo a Giano
Bifronte. Noi conosciamo l’importanza dell’equilibrio, della lotta continua tra
il bene e il male. Eraclito aveva ragione: la guerra è madre di tutte le cose,
ma nel senso in cui l’apparente scontro tra il bene e il male è ciò che genera
il progresso. Due forze opposte ma non in contrasto, entrambe necessarie per la
vita. Noi preserviamo la cultura e manteniamo l’equilibrio, impedendo a ciascuna
delle due forze di prevalere troppo sull’altra. Generalmente dobbiamo
intervenire a favore del bene, poiché il male se la cava egregiamente anche da
solo. Siamo una società segreta che da secoli agisce per evitare gli eccessi e
non ci interessa il potere. La nostra unità è data non dalla razza, ma dalla
consapevolezza. Mutanti e umani agiscono assieme da oltre duemila anni, ma ciò
è possibile solo grazie alla nostra saggezza. Questo è ciò che posso rivelarti
di noi. Altro non hai da sapere, dunque vattene.”
Erik
era rimasto basito: tutte quelle informazioni e quella tranquillità lo avevano
spiazzato, non si aspettava nulla del genere e ora non sapeva esattamente come
reagire.
Si
limitò a ringraziare rapidamente e ad uscire, liberando gli altri due e recuperando
le sue mezzelune di metallo. Si aggirò, confuso, per la via per circa mezzora e
alla fine decise di non allontanarsi ancora, cercò un angolo dove appostarsi e
aspettò che Virginia rientrasse in casa. La ragazza arrivò attorno alle
ventidue e trenta, accompagnata da Cesare che la salutò e se ne andò. Erik se
ne meravigliò: a Bisotun lei non era stata felice di
incontrarlo. L’aggiunse alla lista di domande da porre, si concentrò sulla
giovane per cercare un qualche elemento metallico in ciò che indossava per
poterla seguire a distanza anche dentro casa e capire dove fosse la sua camera.
Quando ritenne di averla individuata, o per lo meno era certo che la ragazza si
trovasse ferma nello stesso posto, si alzò in volo e raggiunse la stanza; diede
un’occhiata per essere certo di non essersi sbagliato, poi usò i suoi poteri
per aprire la finestra e infine entrò.
Virginia
aveva lanciato un urlo, quando aveva sentito la finestra aprirsi d’improvviso e
da sola, ma poi aveva visto Erik e si era un poco tranquillizzata. Andrò a
chiudere i vetri, dicendo piuttosto severamente: “Non farlo mai più! La
prossima volta bussa.”
Intanto,
dal corridoio, la voce di uno dei fratelli chiese: “Che succede? Tutto bene?”
“Sì,
grazie. È stato un moscone che mi è volato all’improvviso in faccia, non ti
preoccupare!” inventò la ragazza, poi si rivolse all’amico e sottovoce gli
chiese: “Cosa ci fai qui? Come mi hai trovata?”
“Ho
le mie risorse. Comunque ho già visto i tuoi parenti due volte, oggi, non ti
hanno detto nulla in proposito?”
“No.”
rispose lei, tristemente “Ti hanno fatto del male?”
“Ci
hanno provato. Ok, mi hanno aperto un fianco, ma nulla di ché, alla fine hanno
capito che era meglio darmi le risposte che volevo.”
“E
cosa volevi sapere?”
“Che
cosa accade. Tuo padre mi ha raccontato a grandi linee della SacraeSophiaeSocietas. Ne fai parte anche tu?”
“Sì.
È una società di tipo tribale, sono le stesse famiglie che da secoli e secoli
si tramandano tradizioni, informazioni e obbiettivi e, di tanto intanto, si
aggrega qualcuno di nuovo. Generalmente l’appartenenza attiva alla società è
tramandata in linea maschile e le donne servono per politiche matrimoniali per
conservare la segretezza, dare solidità alle famiglie, oppure per legittimare
l’ingresso di nuovi membri. Per gli uomini è obbligatorio rendersi utile alla
società in maniera più o meno attiva e solitamente lo fanno tutti volentieri;
per le donne è, diciamo, facoltativo prendere parte alle iniziative, però
facilmente vengono coinvolte se dimostrano talenti o attitudini particolari.
Ricordi che ti parlai di una sorta di associazione culturale in cui ero entrata
nel periodo dell’università? Ecco, di fatto si tratta di questo: la sezione
veneziana della società. Mio padre aveva acconsentito ch’io andassi a studiare
così lontano proprio perché là aveva alleati e sapeva che la società mi avrebbe
coinvolta e protetta.”
“Sei
stata costretta, dunque, ad associarti e ora sei obbligata a restare.”
“No.
Potrei decidere di rimanere ai margini, ma in realtà questo ambiente mi piace.
Non condivido sempre tutte le loro decisioni o strategie, ma mi rendo conto che
è una mancanza mia, sono io che ancora non sono pronta a capire.”
“Avevi
però detto che c’era stata una brutta lite tra te e loro e che per questo avevi
deciso di viaggiare: per allontanarti!”
“Per
prendere una pausa, è diverso. Avevo appena scoperto che sono stati membri
della società a fomentare la Rosa dei
venti, un gruppo segreto neofascista, e poi lo hanno denunciato, lo hanno
fatto scoprire alle forze dell’ordine. È giusto contrastare certe ideologie, ma
fingere di sostenerle solo per poter fare arrestare chi le propugna mi sembra
meschino. Insomma, credo che molti degli uomini coinvolti, se isolati, non
avrebbero mai mosso un dito, invece sono stati fatti incontrare, unire e
cospirare per avere un motivo per farli arrestare. Anche l’istigazione a
delinquere è un reato, giusto?”
“Sì,
ma una persona onesta non si lascia tentare e se uno cede a una lusinga falsa,
lo farebbe anche con una vera e allora è ben peggio.”
“Qualche
anno fa, invece, hanno sventato il golpe ordito da Valerio Junio
Borghese. Questa è una cosa buona, senza dubbio, però avrebbero potuto troncare
la faccenda sul nascere, invece le hanno permesso di svilupparsi fino al
momento in cui Borghese è uscito allo scoperto e allora lo hanno fatto cadere,
prima che potesse prendere realmente il controllo di qualcosa. Gli hanno
permesso di mostrarsi perché volevano che la gente fosse consapevole del
pericolo del ritorno di una dittatura e, inoltre, credo volesse essere un
monito anche per altri eventuali cospiratori.”
“È
una buona strategia. Li hanno uccisi tutti questi delinquenti?”
“No,
li hanno affidati alla giustizia.”
“Peccato,
io li avrei uccisi per evitare vendette o altro.”
“Ecco,
guardavi tanto con sospetto la SacraeSophiaeSocietas e adesso,
invece, te ne scopri sostenitore.” scherzò Virginia.
“Se
una cosa va bene per me, non è detto che debba esserlo anche per gli altri. Se
a me piacessero le nocciole e a te no, non ti direi di mangiarle solo perché io
le ritengo squisite.”
“È
un paragone un po’ strano, ma va beh.”
“Mi
assicuri, quindi, che tu sei felice qui?”
“Sì.
È la mia vita e mi piace. Certo, a volte ho delle noie, oppure vorrei
approfondire uno studio e invece devo fare altro, ma sono quelle piccole
seccature che capitano sempre e comunque, per qualsiasi mestiere.”
“Lo
fai anche per il tuo fidanzato?”
Virginia
si meravigliò, poi sbuffò e chiese: “Te l’ha detto mio padre?”
“Sì.
Ha detto che sei fidanzata, poi ti ho visto con quel tale degli scavi
archeologici, è lui? Stai davvero con quel tale? Credevo non ti stesse
simpatico.”
“No,
avevo solo detto che in futuro, appunto, avrei avuto fin troppo a che fare con
lui. Non è male, anche se tende un po’ troppo a voler controllare tutto e
comandare.”
“Perché
ci stai assieme, allora?”
“Te
l’ho detto: nella società i matrimoni servono a suggellare alleanze,
consolidare potere. Mio fratello ha sposato la sorella di Cesare e io sposerò
lui.”
“Siete
ancora ai matrimoni combinati?”
“L’amore
romantico è un’invenzione che ha meno di due secoli. Le storie del passato ci
illustrino ampiamente come l’amore appassionato porti il più delle volte
sventura e sia follia. Prima di promettere in sposa qualcuno, i genitori si
assicurino che tra i due ragazzi ci sia simpatia e una discreta intesa, insomma
amicizia, ma la passione è completamente esclusa.”
“Devo
dire che ora molte cose mi sono più chiare.” concluse Erik, un po’ deluso dal
fatto che la sua idea di salvataggio si era rivelata del tutto inutile “Mi sono
preoccupato per nulla, ma almeno ho visto Torino.”
L’uomo
si voltò e tornò verso la finestra.
“Grazie”
gli disse Virginia, nella cui voce si avvertiva commozione “Grazie per avermi
cercata e scusami se le cose non sono come te le aspettavi.”
Erik
scosse le spalle, si mise una mano in tasca, esitò, poi tirò fuori un
bigliettino che aveva preparato nel pomeriggio; si voltò di nuovo verso la
donna e glielo porse, dicendo: “Se mai avrai bisogno di aiuto … il primo numero
è per contattare me, ci sono buone probabilità che non risponda io, ma comunque
ci sarà qualcuno che mi riferirà o ti dirà come contattarmi in quel momento.
L’altro è per telefonare a Charles.”
Virginia
lo prese, sorrise amaramente e disse: “Dovrò nasconderlo, allora.”
L’uomo
si voltò di nuovo e tornò verso la finestra.
“Erik
…!” sussurrò ancora la giovane “ … no, nulla.”
L’uomo
uscì volando. Virginia lo seguì con lo sguardo finché non si perdette nelle tenebre
e poi richiuse la finestra.
Nota dell’Autrice
Un saluto e un ringraziamento calorosi
a tutti i miei lettori! GRAZIE!!! ^_____^
Volevo precisare che per i poteri a cui
Magneto ricorre in questo capitolo non sono presenti
nei film, bensì nei fumetti e su wikipedia li trovate
elencati assieme ad altri ancora.
Erik
si svegliò, infastidito da quel bussare, borbottò: “Arrivo!”
Si
alzò e infilò rapidamente la vestaglia da camera, ritenendo fosse il personale
dell’albergo che volesse rifare la stanza, per cui gli avrebbe aperto giusto il
tempo per dire di aspettare che si cambiasse. Lanciò un’occhiata all’orologio e
vide che era quasi mezzogiorno. Aprì la porta e si stupì nel trovarsi davanti
Charles, Raven ed Hank.
“Non
potevate avvertire?” chiese Erik, ancora assonnato.
“Ci
abbiamo provato” rispose Raven “Ma non hai risposto
al telefono.”
“È
colpa di Charles.” si giustificò l’altro.
“Mia?”
“Sì,
mi tocca dormire con l’elmetto e non sento gli squilli.”
“Paranoico.”
lo rimproverò Xavier, scherzosamente.
“Entrate.”
I
tre entrarono nella stanza e cercarono di sistemare la sedia a rotelle da una
parte e gli altri due di sedersi, mentre Erik prese i propri abiti e andò in
bagno per cambiarsi.
Charles
notò sulla scrivania un bicchiere usato e una bottiglia di rum a metà,
insospettito domandò: “È successo qualcosa, ieri? Dopo che ti hanno
accoltellato, intendo.”
“Sì.
Ho ignorato il tuo ordine di rimanere qua in attesa e sono andato a casa sua.”
“E
…?”
“Ho
ottenuto informazioni interessanti. Te ne parlo quando esco dal bagno, se
permetti.”
“Sì,
scusa, fa con comodo.”
Erik
si vestì, si unì agli altri e riferì tutto quello che aveva saputo sulla SacraeSophiaeSocietas. Charles ne rimase profondamente colpito,
aveva ascoltato tutto con grande attenzione e, finito il racconto, rimase
pensoso e ragionò: “Interessante, davvero interessante. Una società di umani e
mutanti … vedi che ho ragione a sostenere che una convivenza pacifica è
possibile?”
“Stiamo
parlando di una piccola comunità, legata da ideali comuni e da una forte
identità data da elementi culturali e religiosi, oserei dire: è naturale che
simili condizioni favoriscano un cameratismo che supera le barriere razziali.
Ciò non significa che lo stesso meccanismo sia applicabile in sistemi più
vasti.”
“Da
quando sei diventato un sociologo?” chiese Hank, ironico.
“Il
ragionamento è giusto” intervenne Charles “Infatti il nostro obbiettivo è
quello di far sì che l’identità delle persone non sia data dall’essere mutante
od umano, bensì dallo stato di appartenenza, dalla religione e non so che altro.
I governi devono capire che i mutanti sono innanzitutto cittadini e non hanno
motivo di agire contro lo stato.”
“A
meno che non si chiamino Magneto.” commentò di nuovo
Hank, ma tenendo ben bassa la voce per non essere sentito.
“Questa
società può essere un grande aiuto.” continuava a riflettere ad alta voce Xavier.
“Non
so quanto siano disposti a collaborare, sono molto chiusi e conservatori. Se ho
capito il genere, dovresti prima convincerli ad ammetterti nella loro cerchia,
passare qualche anno di gavetta ad obbedire, poi iniziare a scalare la
gerarchia fino ad avere abbastanza voce in capitolo e allora trovare un
sotterfugio per ottenere ciò che vuoi.”
“Non
è quello che avevo in mente. Pensavo più ad una collaborazione.”
“Non
accetteranno mai.”
“Perché?”
“Dimmi
esattamente cosa speri di ottenere.”
“Collaborazione
per mostrare come la convivenza e collaborazione tra umani e mutanti sia
assolutamente possibile, potranno essere un esempio per entrambe le parti.
Potremmo organizzare conferenze per raccontare le loro esperienze, seminari per
aiutare la gente a superare le diversità e poi …”
“Charles!”
lo richiamò Erik “Per favore, fa pace col realismo. Stiamo parlando di gente
che agisce in segreto e che si nasconde da duemila anni. Cosa ti fa pensare che
si sentiranno entusiasti di finire sotto i riflettori di tutto il mondo?”
“Capiranno
che il pericolo è imminente e che bisogna agire alla svelta.”
“Tu
non eri quello che tifava per il cambiamento graduale?”
“Sì,
ma ancora Stryker non aveva ancora colpito così in
basso.”
“Che
altro ha fatto quell’infame?”
“Non
hai letto i giornali degli ultimi giorni?”
“No.”
“Hank,
fagli vedere.”
Hank
prese una cartelletta che aveva con sé, tirò fuori alcune pagine di giornale e
le passò ad Erik, spiegando: “Stryker ha accusato
pubblicamente il Professor X di essere in combutta con Magneto.
Ha raccontato del nostro ultimo scontro, mostrando fotografie e sostenendo che
Charles abbia usato i suoi poteri per controllare la mente di poveri cittadini
per aizzarli contro di lui.”
“Bastardo.”
mormorò Erik a denti stretti, leggendo velocemente i titoli.
Xavier continuò:
“L’ONU è indignata e vuole che io compaia davanti al loro consiglio per dare
spiegazioni.”
“È
una trappola, te ne rendi conto, vero?” chiese Erik, con ira e preoccupazione
“Non ascolteranno una parola e ti arresteranno.”
“Lo
so, per questo ho lasciato momentaneamente la scuola e risulto come latitante.”
Magneto si concesse di
scherzare per un attimo: “Chi l’avrebbe mai detto! Sono orgoglioso di te.” ma
tornò subito serio: “Che ti dicevo? Loro non fanno distinzioni, vogliono
distruggerci e basta e tu addirittura vorresti convincere degli altri di noi ad
uscire allo scoperto. È un suicidio.”
“Sì,
mi immagino la scena, tu che ti presenti loro dicendo: Salve, sono un idealista, che ne direste di mettere in pericolo le
vostre vite, rendendo pubblico ciò che nascondete gelosamente da secoli?”
“Smettila!”
disse Raven “Quale altre soluzione c’è se non
mostrare un esempio secolare? E non rispondere uccidere tutti perché inizia ad essere monotono.”
“Innanzitutto
dovrai dimostrarlo che è secolare, vorranno delle prove e sinceramente non so
se si troveranno. Ad ogni modo, volete tentare? Fate pure, non ho motivo di
impedirvelo: lì c’è l’elenco telefonico, chiamate!”
Charles
non se lo fece ripetere, si fece indicare il numero del padre di Virginia e lo
chiamò. Con grande stupore di Erik, Xavier ottenne di
poter incontrare quella sera stessa alcuni membri della SacraeSophiaeSocietas.
“Hai
usato il tuo potere su di lui per convincerlo.”
“No,
visto che è lui il telepate che mi ha tenuto fuori
dalla mente sua e dei figli l’altro giorno.”
“Non
è giusto! A me tendono imboscate e a te invitano a prendere il te. Bah, avranno
imparato dall’esperienza con me che conviene essere aperti al dialogo.”
Hank
scosse il capo e domandò: “Quali sono esattamente gli accordi?”
“Aspettare.
Manderanno qualcuno per accompagnarci nel luogo in cui ci incontreremo.”
“Ci
benderanno per impedirci di sapere dove siamo?” chiese Hank.
Raven rispose: “Se
non avessero voluto farci sapere dove si trovano, sarebbero venuti loro qui,
invece di spostarci.”
“Nella
loro sede, però, possono attaccarci senza che nessuno se ne accorga.”
puntualizzò Erik.
“Hai
deciso di assecondarmi?” chiese Charles, piacevolmente stupito.
“Beh,
nel caso stiano tramando qualcosa, è necessario qualcuno che ti protegga. Hank
e Raven non basterebbero.”
“Ehi,
per dieci anni me la sono cavata perfettamente da sola.” specificò la donna
“Non ho problemi a fronteggiare più avversari contemporaneamente.”
“Sbaglio
o hai avuto a che fare solamente con degli umani? Non mi risulta che tu abbia
mai affrontato più mutanti in una volta.” le fece osservare Erik.
“Ragazzi,
è inutile litigare.” Charles troncò la discussione “Andiamo a mangiare
qualcosa, è quasi passata l’ora di pranzo e non abbiamo messo nulla sotto i
denti.”
Calmata
l’atmosfera andarono a cercare un posto dove pranzare e poi ritornarono in
albergo. Attesero per tutto il pomeriggio che qualcuno si presentasse, ma non
giunse nessuno fin dopo cena. Anzi, nel pomeriggio arrivarono tre dei seguaci
che Magneto aveva chiamato ed erano stati fatti
sistemare in un altro albergo, di fronte al primo, in modo che potessero
sorvegliare e intervenire, in caso di necessità, sfruttando l’effetto sopresa.
L’emissario
scelto per accompagnarli era Cesare. Fu alquanto formale e non scambiò più
parole del necessario con Xavier e gli altri. Solamente
Erik gli rivolse la parola per altro e gli chiese come maisi trovasse lì e non fosse più allo scavo
archeologico, lui gli rispose che non aveva difficoltà a spostarsi da uno stato
all’altro, avendo un amico teleporta.
Si
spostarono su due automobili, una guidata da Cesare e l’altra da un uomo che
non avevano mai visto e che non disse una parola per tutto il tragitto. Arrivarono
presso un palazzotto in stile liberty nei pressi del centro, non furono né
bendati, né altro, questo metteva un po’ in buona luce la SacraeSophiaeSocietas. Furono fatti accomodare in un salotto,
attorno ad un lungo tavolo a cui avevano già preso posto sei uomini, tra cui il
padre di Virginia, e una donna. Charles si posizionò a capotavola, ai suoi lati
si erano seduti Harnk e Raven,
mentre Erik aveva preferito rimanere i piedi, poco distante, per osservare
meglio ciò che accadeva.
“Dottor
Charles Xavier, detto professor X, pur non avendo
cattedre in nessuna struttura scolastica riconosciuta.” esordì uno degli uomini
“Laureato a pieni voti ad Oxford in genetica con una tesi sulla mutazione. Coinvolto
nella crisi di Cuba, presente dieci mesi fa durante l’attacco al presidente
americano. Potrei andare avanti ancora a lungo, ma lei la sua vita la conosce
già.”
“Sì,
è la vostra che mi è più oscura.”
“Oh,
credo che sappia già anche più del necessario. Veniamo al dunque: perché ha
voluto quest’incontro?”
Charles
fece un respiro profondo e cominciò: “Io sono un mutante, come alcuni di voi. Da
tempo mi occupo di cercare altri come noi che, spesso, sono spaventati da sé
stessi, disperati e isolati e cerca di dare loro fiducia in sé, cerco di far
capire loro che quel che hanno non è una maledizione ma un dono. Cerco di mostrare
loro che possono avere una vita felice e normale. Insomma, il mio obbiettivo è
quello di non permettere ai mutanti di commiserarsi e di realizzarsi, come
qualsiasi altra persona.”
“Uno
psicologo per mutanti, in pratica.” commentò uno della società segreta.
“Lo
psicoterapeuta non è considerato un mestiere da donna in America?” chiese
Cesare, ironico, ma venne rimproverato.
Xavier capì di non
averli impressionati, continuò: “Il lavoro su se stessi è molto importante e,
quando i ragazzi iniziano finalmente ad acquisire fiducia, ritrovano il sorriso
e la voglia di vivere. Il disagio che provano quando sono soli e spaventati
rischia di portarli su una cattiva strada di violenza su sé o gli altri, di
crimine o depressione. Aiutare queste persone è un dovere e un onore per me.”
“Sì,
sappiamo della sua idea di scuola per mutanti, proceda.”
“Io
penso che questo non basti. I ragazzi sono felici presso di noi, ma è più
complesso reinserirli nella società normale. Presso la scuola possono essere
liberi, mostrarsi apertamente per quello che sono, ma poi nel mondo devono
comunque reprimersi e nascondersi e questo non è salutare. Io penso sia
necessario mostrarsi al mondo, sensibilizzare l’opinione pubblica, favorire l’integrazione,
spiegare che non siamo diversi dagli umani e che possiamo vivere pacificamente
gli uni con gli altri.”
“Buona
fortuna.” sogghignò qualcuno, divertito.
“Il
suo è un progetto ammirevole.” disse l’uomo che pareva essere il portavoce
ufficiale “Che cosa c’entriamo noi con ciò?”
“Voi
siete l’esempio lampante di come sia possibile la coesistenza e collaborazione
armoniosa tra mutanti e umani. Ho visto uomini spaventati da noi e ho visto
anche nostri fratelli perdere la speranza nella bontà umana, decidere di
combatterli. Voi potete dimostrare al mondo che si sbagliano, voi potete
provare che umani e mutanti si aiutano da secoli, che possiamo accettarci gli
uni con gli altri ed essere parti integranti di una società senza conflitti tra
noi.”
Ci
fu un certo brusio tra le sette figure, poi il solito chiese: “Come mai
dovremmo mostrarci al mondo? La nostra cooperazione è stata consentita dal
rispetto di equilibri, dal fatto che ci fossero tanti umani quanti mutanti
nella nostra società ed in entrambi i casi membri di un’elite intellettuale, la
cui saggezza ha sempre sconfitto i pregiudizi e la stupidità della gente
comune. Siamo un organismo fragile ed esporci è assai pericoloso, oltre che contrario
alla nostra generale volontà di segretezza.”
“Adesso
la situazione è differente dal passato. Ora i mutanti non sono più una piccola
minoranza com’è stato negli scorsi secoli. Ho percepito i mutanti nel mondo:
sono milioni. Non possono più nascondersi, neppure volendolo. Presto gli umani
si accorgeranno di noi e allora non sapremo come reagiranno loro e come
reagiranno i nostri. Non possiamo rimettere al caso un simile cambiamento,
bensì dobbiamo controllarlo e guidarlo, affinché sia il più pacifico possibile.
Io non voglio una guerra tra mutanti e umani e sono convinto che solo il
prendere le redini della situazione in anticipo ci possa aiutare ad evitare
inutili spargimenti di sangue da ambo le parti.”
Questo
discorso parve catturare l’attenzione dei sette membri della SacraeSophiaeSocietas, ma non erano ancora persuasi.
Erik
allora disse: “Io non condivido le idee del mio amico. Lui vuole un passaggio
graduale e indolore, io invece sono convinto che ogni progresso nella storia si
ottenga non con l’evoluzione, bensì con la distruzione. Il frutto che rimane
troppo a lungo sull’albero marcisce e non da nulla, occorre che cada affinché
la pianta possa produrne di nuovi. È dalle macerie che sorge il nuovo, chi vive
troppo a lungo diventa inutile e odioso. Questa è la mia opinione e non ho idea
di cosa pensiate voi. Voglio però dirvi che, in un modo o nell’altro, l’azione
è ora necessaria. I mutanti non sono più un segreto e chi è a conoscenza della
nostra esistenza vuole il nostro male. Uno scienziato militare, Stryker, sta continuando gli esperimenti su mutanti e le
loro uccisioni, cominciati da Trask, il fautore del
progetto Sentinella, di cui avrete sicuramente sentito parlare. Rimanere nascosti
non vi è più possibile. Dovrete prendere una decisione, prima che gli eventi vi
sopraffaggano.”
Anche
queste parole sortirono un qualche effetto sui sette uomini che si consultarono
rapidamente tra di loro, prima che il portavoce annunciasse: “Riferiremo ai
nostri confratelli la questione che avete sollevato e prenderemo le nostre
decisioni circa il se e il come intervenire. Avete già fatto la vostra parte,
ora andate.”
“Ci
farete sapere la vostra decisione?” chiese Charles, un po’ sorpreso nell’essere
liquidato così rapidamente.
“Se
lo riterremo opportuno.” fu la risposta secca che concluse la conversazione,
poiché i quattro ospiti furono poi accompagnati alla porta con un modo che
lasciava presagire maniere più brusche in caso di proteste.
Tornarono
in albergo, sconsolati; solo Erik non era deluso poiché era partito già
convinto che non avrebbero ottenuto nulla, tuttavia era scocciato dai modi di
fare di quella congrega.
Il
mattino seguente, dopo colazione, Charles volle tenere una piccola riunione coi
suoi amici.
“La
situazione attuale è complessa. È necessario capire quali fili muovere e come
destreggiarsi sull’affilata lama della politica. Attualmente sono anch’io considerato
una minaccia e dunque non c’è un qualche mutante visto positivamente dai
governi che possa trattare in nostro favore.”
“Raven ha salvato Nixon” fece notare Hank “Lei deve pur
essere tenuta in buona considerazione!”
“Nixon
è coinvolto in troppi scandali, al momento.” osservò Charles “Non credo che
considererebbe utile una politica pro mutanti e, inoltre, potrebbero inventarsi
chissà quali calunnie per fingere che siamo coinvolti anche noi nel Watergate e non so che altro.”
“Inoltre
non è bene esporre Raven a una situazione di
pericolo, in questo momento.” precisò Erik.
“Perché
no?” chiese lei.
“Perché
potrebbero ancora catturarti e usare le tue cellule per costruire le
Sentinelle.”
“Avevi
detto che ormai ero alsicuro, visto che
il mio sangue lo avevano preso.”
“Per
fortuna era poco e, comunque, pare abbiano bisogno di altre parti di te.”
“Ascoltatemi!”
li richiamò Charles “Io penso che la carta migliore che possiamo giocare sia
quella di rendere note le nefandezze di Stryker.”
“Cosa?!”
fu lo stupore generale.
“Sì.”
rispose Xavier, gravemente “Ogni governo, ogni
televisione, ogni giornale dovrà ricevere la documentazione relativa agli
esperimenti condotti da Trask e Stryker,
renderemo pubbliche le torture, le uccisioni e ogni dettaglio. A quel punto sapremo
chi haragione tra me e Erik. Se la
gente si indignerà e protesterà, allora c’è speranza per la pace, se invece ci
sarà indifferenza o approvazione per questi crimini, allora dovremo combattere
per sopravvivere. Raven, Hank, mi fido di voi: il tuo
trasformismo e la tua intelligenza e abilità tecnologica vi permetteranno di
raggiungere gli archivi delle TraskIndustries, trovare i documenti e diffonderli. Partite oggi
stesso e fate il più in fretta possibile.”
“Tu
non vieni?” chiese Raven, dispiaciuta.
“No,
nelle mie condizioni vi rallenterei e, inoltre, sono molto riconoscibile,
quindi voi darete meno nell’occhio.”
“Dove
ci aspetterai?” chiese Hank.
“Qui.
Non posso tornare a casa, finché sono considerato un latitante. Inoltre spero
di avere altri contatti con la SacraeSophiae.”
“Te
la caverai da solo? E se dovessero trovarti?” si preoccuparono gli altri due.
“Erik,
tu e i tuoi amici mi terrete al sicuro, vero?”
“Avevo
intenzione di lasciare la città, visto che non ho più niente da fare, ma se hai
bisogno per qualche giorno, ti aiuto volentieri.”
Presi
questi accordi e definiti alcuni dettagli, Hank e Raven
prepararono le loro cose e partirono, avendo intenzione di utilizzare voli di
linea e non l’aereo privato.
“Notizie?”
chiese Erik, rientrando in stanza, portando la pizza con cui avrebbe cenato
assieme a Charles.
“Nessuna.”
“Sono
partiti due giorni fa, è normale che non si siano ancora fatti vivi?”
“Assolutamente.
Comunicare con noi potrebbe mettere a rischio la segretezza della missione. Stryker potrebbe tenere monitorati i nostri telefoni e
quindi una chiamata potrebbe mettere in pericolo Raven
ed Hank.”
“Se
Stryker sa che siamo a Torino e tiene sottocontrollo
il telefono di questa stanza, beh allora merita di trovarci.”
“Meglio
non correre rischi, non credi?”
Erik
non rispose, aveva appoggiato i cartoni delle pizze sul tavolo e aspettava
l’amico per iniziare a mangiare. Cenarono e poi ripresero la scacchiera e si dedicarono
all’ennesima partita, non avevano praticamente fatto altro in quei due giorni
che giocare a scacchi e fare lunghe conversazioni dotte, colme di citazioni e
riferimenti alla letteratura, storia e filosofia.
Si
sentì bussare alla porta; i due amici si scambiarono un’occhiata perplessa: chi
poteva essere? Uno dei seguaci di Magneto che portava
qualche notizia? Un membro della SacraeSophiaeSocietas che avrebbe
riferito le decisioni di quel gruppo? L’ONU?
Charles
decise di togliersi ogni dubbio, per stabilire come accogliere il sopraggiunto.
Si concentrò per entrare nella mente di chi stava dietro alla porta e infine
disse: “È la tua amica.”
“Virginia?!”
si stupì Erik e poi aprì l’uscio.
La
ragazza entrò nella stanza velocemente, era visibilmente preoccupata.
“Che
cosa ci fai qui? È successo qualcosa? Come ci hai trovati?” chiese Erik, un
poco sospettoso.
Virginia
si passava le mani nervosamente tra i capelli e disse: “Ho dovuto prendere una
decisione e spero sia quella giusta. Sto per fare una cosa che mi inimicherà la
mia famiglia e quelli che sono stati i miei amici finora: non fatemene pentire.
Dopo che vi avrò detto quello che devo, non avrò altri amici nel mondo che voi,
al momento, quindi poi non abbandonatemi, fatemi rimanere con voi.”
“Calmati,
qui sei al sicuro” Charles cercò di tranquillizzarla “Non aver paura, nessuno
ti abbandonerà.”
“Aspetta,
prima di fare promesse.” lo fermò Erik, poi si rivolse alla ragazza con modo un
po’ inquisitorio: “Fino all’altro giorno eri tanto unita alla tua famiglia, non
li avresti mai traditi nonostante tutto, perché adesso avresti cambiato
opinione?”
“Ti
dissi che avevo difficoltà ad accettare le strategie della SacraeSophiaeSociatas,
nonostante pensassi avesse nobili scopi. Cercavo soprattutto di convincere me
stessa, per la paura di affrontare il mondo da sola, se me ne fossi andata.
Questa volta, però, si stanno spingendo troppo oltre ciò che l’etica può
accettare. Ho deciso che non potevo essere complice di quel che stanno mettendo
in atto e che dovevo fare qualcosa e avvertire voi era necessario.”
Charles,
alquanto allarmato, domandò: “Di cosa si tratta?”
Virginia
sospirò, guardò verso terra e disse: “So che alcune sere fa avete parlato con
alcuni della società a proposito della possibilità di rendere nota
universalmente l’esistenza dei mutanti e far sì che vengano accettati.”
“E
allora?” chiese Erik, seccamente.
“Hanno
preso una decisione?” domandò Charles, speranzoso.
“Sì,
ma non vi piacerà.”
Entrambi
gli uomini si preoccuparono.
Virginia
continuò: “Io … vi giuro che se lo avessi saputo prima, ve lo avrei detto, ma
ho scoperto tutto solo un paio d’ore e non mi è stato possibile far altro che
scoprire dove vi trovavate e venire ad avvertirvi.”
“Cosa,
dunque?” la incalzarono.
“Hanno
rintracciato la tua scuola e … hanno inoltrato l’informazione a Stryker.”
“Cosa?!”
Charles era esterrefatto “Perché?!”
“Infidi
bastardi!” esclamò Magneto, furioso, facendo vibrare
tutto ciò che fosse metallico nel raggio di una ventina di metri. Non che si
sentisse legato a quel posto, semplicemente l’idea che altri mutanti finissero
nelle mani di Stryker lo faceva adirare più di
qualsiasi altra cosa.
“Tutto
questo non ha senso!” Charles non si capacitava “Perché dovrebbero fare una
cosa del genere? È follia!”
Virginia
spiegò: “Usano spesso piani contorti e cercano di non agire direttamente e
limitarsi ad orchestrare. Vogliono far cogliere sul fatto Stryker
e i suoi che attaccano ferocemente dei mutanti, meglio se giovani. Non so
esattamente i mezzi che utilizzeranno per mostrare tutto ciò, ma la loro
intenzione è che il mondo veda pacifici mutanti da una parte, ingiustamente
assaliti da uomini plagiati da paura e sete di potere. Sono convinti che ciò
farà schierare l’opinione pubblica dalla pare dei mutanti.”
“Quanti
di noi dovranno morire, per commuovere gli umani?” chiese Erik stizzito e
sarcastico “Hanno fatto i calcoli o hanno deciso di sacrificare ad oltranza?
Per ottenere cosa, poi? Avremo i riflettori puntati addosso per un paio di mesi
e poi si scorderanno di noi e non sarà cambiato nulla.”
“Bisognerebbe
volgere i governi a nostro favore e poi battere il ferro fin che è caldo,
tramite diplomazia e educazione e opere culturali.” rifletteva Charles.
“Stai
parlando di politici” lo redarguì Erik “Sono avvezzi a vedere stragi e ad
ordinarle, non si faranno impressionare dalle malefatte di Stryker,
se lo noteranno sarà solo per tenerlo in considerazione per la loro prossima
inutile guerra. Vogliamo veramente che siano interessati alla causa dei
mutanti? Minacciamo le loro ricchezze. Se trovassimo un modo per mettere in
crisi le loro finanze, immediatamente tutti sarebbero a favore
dell’integrazione. A questo punto, però, è più sicuro sterminare, come dico
sempre io. Gente che aiuta perché ricattata può sempre tradire, gente morta non
può più fare danno.”
“Pensiamo
al presente.” ribatté Charles “Non sappiamo quando Stryker
attaccherà la scuola, ma presumibilmente sarà molto presto. Dobbiamo decidere
che cosa fare per salvare i ragazzi. Un’evacuazione non credo sarebbe
possibile, pur avvertendoli telefonicamente.”
“Charles,
non c’è molto da pensare” lo ammonì Erik “Combatteremo e uccideremo chiunque
tenti di fare del male a quelli come noi. Non mi parlare ancora di soluzione
pacifica, perché è impossibile.”
“La
difesa con ogni mezzo è necessaria, su questo concordo.” disse il telepate “Ma c’è anche un’altra cosa che posso fare. Il
fatto che la società segreta voglia mostrare al mondo le efferatezze di Stryker contro la scuola, è complementare ai documenti che Raven e Hank diffonderanno. Erik, tu e i tuoi compagni
prenderete il mio aereo e difenderete la scuola, mi raccomando cercate di
limitarvi alla difesa.”
“Lo
sai, vero, che la miglior difesa è l’attacco?”
“Erik
…!”
“Era
per dire … e tu che farai? Perché non vieni con noi?”
“Telefonerò
all’ONU e dirò loro dove possono trovarmi.”
“Cosa?
Sei impazzito? Ti rinchiuderanno o peggio!”
“Otterrò
di parlare di fronte al consiglio delle Nazioni Unite e prenderò il tempo
necessario, finché non giungeranno le notizie che faranno pendere l’ago della
bilancia a nostro favore.”
Erik
non era affatto convinto, ribadì più volte che sarebbe stato meglio rimanere
uniti e andare a combattere per difendere la scuola, ma Charles fu irremovibile
e alla fine si fece come aveva proposto (e di fatto deciso) lui.
Erik
si organizzò rapidamente, convocò i quattro mutanti suoi seguaci che
alloggiavano di fronte per informarli che sarebbero partiti in meno di un’ora.
Così avvenne e con loro c’era anche Virginia che aveva insistito per seguirli
ed aiutarli.
Erik pilotava l’aereo, mentre gli altri
riposavano, essendo ormai notte. Erano in viaggio da cinque ore, quando
Virginia si svegliò; provò a riprendere sonno, ma senza successo e non poteva
fare a meno di pensare alla maniera distaccata e quasi brusca con cui Erik
l’aveva trattata quella sera. Certo aveva portato cattive notizie, quindi era
normale aspettarsi che l’uomo fosse di cattivo umore, ma lei ne era troppo
dispiaciuta e si chiedeva se dietro non ci fosse qualche altra ragione. Non
riuscendo più a dormire, quindi, decise di alzarsi e raggiungere la cabina di
pilotaggio, si sedette sulla poltrona del copilota e attese qualche momento,
aspettandosi che l’uomo parlasse per primo. Infine fu lei a rompere il
silenzio: “Siamo circa a metà viaggio?”
“Circa.”
“Come mai sei così freddo?”
“Non sono freddo. È il mio naturale.”
Erik non aveva distolto neppure per un istante lo sguardo dal cielo davanti a
sé.
“Allora sono contenta d’averti
conosciuto in un momento in cui non eri al naturale.”
“Se non devi comunicare qualcosa di
rilevante, torna di là. Sto pilotando, devo rimanere concentrato.” ciò non era
vero, dal momento che le correnti erano regolari e avrebbe tranquillamente
potuto inserire il pilota automatico.
“Sei arrabbiato con me?”
“Dovrei?”
“No. Se ritenessi che tu abbia ragione
ad essere arrabbiato, allora farei qualcosa per farmi perdonare oppure,
convinta di essere nel giusto, non mi curerei del tuo risentimento. Il fatto è
che non capisco il tuo atteggiamento: se sei solamente, e giustamente,
preoccupato per ciò che stiamo per affrontare, oppure se te la sei presa con me
per qualche motivo che mi sfugge. L’ultima volta che ci siamo visti, mi hai
dato il tuo numero di telefono, ti sei preoccupato ch’io sapessi di poter
contare su di voi se fossi stata nei guai … e ora sei così distaccato …”
“È stato un errore dirti di contare su
di noi. Ero troppo preso dall’idea di fare il salvatore per accorgermi di come
stavano realmente le cose. Mi hai mentito, ti sei mostrata triste, sola, in difficoltà
e in fuga e in realtà non era vero nulla di tutto ciò. Tornata a casa ti sei riambientata perfettamente”
“Ti ho detto fin da quando sono
ripartita con la mia famiglia che non avevi da preoccuparti, che per me non era
un problema tornare qua. Sei stato tu ad insistere.”
“Già, sono stato stupido a non capire.”
“Ti ringrazio, però, di avere
insistito.”
“Vanità da donne.”
“No, non è questo.” disse Virginia,
volendo fare una carezza all’uomo, ma avendo paura di contrariarlo “Tu non mi hai
abbandonata e … mi hai fatto sperare, mi hai convita che un’alternativa è
possibile … senza di te, non avrei avuto il coraggio di fare la scelta che ho
fatto …”
Rimasero in silenzio alcuni lunghi
momenti, poi Erik domandò: “Dunque hai davvero deciso di abbandonare la tua
famiglia? Definitivamente.”
“Ho fatto ciò che ho ritenuto giusto,
nonostante la loro contrarietà.”
Erik impostò il pilota automatico e si
voltò verso la giovane: “Io sono stato privato della mia famiglia e ho fatto di
tutto per vendicarla. La vendetta è stata una componente fondamentale della mia
vita … che, poi, vendetta non è neanche il termine adatto … Giustizia, ecco
quello che ho fatto finora. Erano criminali, il processo di Norimberga li
avrebbe condannati, loro si sono sottratti alla Giustizia e io l’ho portata a
loro. Comunque, quello che volevo dire era che la famiglia è stata molto
importante per me e, quindi, forse avrei dovuto ripensare a quei pochi anni che
ho passato coi miei genitori, per capire quanto tu fossi legata alla tua e
quanto ti fosse difficile opporti a loro.”
Gli occhi di Virginia si illuminarono e
una strana gioia la pervase, sciogliendo tutte le tensioni che l’agitavano e
riuscì solo a dire: “Oh, sono parole bellissime.”
“Basta così poco per farti contenta?”
“Hai appena detto di capirmi, non è cosa
da poco.”
Erik si irrigidì un poco, si voltò e
riprese i comandi dell’aeroplano e disse: “Riposati, sarà una giornata dura.”
“Appunto, se questa fosse la nostra
ultima conversazione?”
“Non credo. Io ho intenzione di sopravvivere.
Tu no?”
“Ah, per voler uscirne viva, lo voglio,
ma ci sono cose che non possiamo scegliere.”
“Se sopravvivi, ti porto a cena.”
“Non sarebbe un’esperienza nuova.” lo
prese un poco in giro la ragazza “Mi pare che abbiamo abbondantemente cenato assieme
nell’ultimo mese. Ci vuole qualcosa di più per motivarmi a non morire.”
“La tua appena conquistata libertà non è
sufficiente?”
“La libertà accompagnata dalla
solitudine non è poi una gran cosa.”
“Hai pure rotto il tuo fidanzamento con
il coso dello scavo?”
“Certamente. Anche il pensiero di dover
sopportare il suo ego per il resto della mia vita, mi ha spronato a prendere in
mano le redini della mia vita.”
“Allora facciamo così: tu pensa a non
farti ammazzare oggi; dopo vedremo di trovare il modo per festeggiare. Affare
fatto?”
Virginia si alzò in piedi e sospirò e
disse: “D’accordo.”
Poi si chinò e diede un bacio sulla
tempia di Erik e tornò nel retro dell’aereo.
Dopo alcune ore atterrarono e poterono
raggiungere la scuola di Xavier, che era già stata
avvisata dal professore stesso dell’imminente pericolo.
Magneto radunò tutti
quanti e ribadì la difficoltà della situazione, esortando chi volesse a fuggire
per mettersi in salvo. Furono pochi quelli che lo fecero: la maggior parte
preferì rimanere per proteggere l’unico posto a cui si sentivano di
appartenere.
Erik iniziò allora a chiedere a ciascuno
che capacità avesse, in modo da organizzare al meglio la strategia difensiva.
Charles
aveva aspettato alcune ore da solo nella stanza d’albergo, voleva essere certo
che Erik e i suoi giungessero alla scuola senza correre pericoli; dopo aver
riflettuto a lungo sulle parole che avrebbe usato, infine prese il telefono e
chiamò il numero speciale che era stato istituito proprio per segnalare lui o Magneto alle autorità. Telefonò, disse che era deciso a
costituirsi e diede i dettagli su dove potessero trovarlo.
Attese
di essere prelevato. Era consapevole che nelle ore successive si sarebbe deciso
il destino dei mutanti, si sarebbe scoperto chi avesse ragione tra lui ed Erik.
I grandi della Terra si sarebbero mostrati ragionevoli, comprensivi, aperti di
mente e pronti all’accoglienza, oppure sarebbero sprofondati nella paura e
nella rabbia, scatenando una guerra?
Charles
aveva paura, non poteva negarlo, tuttavia non temeva per se stesso bensì per le
sorti generali. La sua forza era la speranza, infatti quando l’aveva persa era
andato in depressione e aveva perso la voglia di vivere, ritrovandola era
tornato attivo e determinato. La speranza per sua natura, però, non era una
certezza: infondeva la forza di andare avanti e lottare, metaforicamente, ma
non poteva garantire il successo. Charles questo lo sapeva bene; confidava di
poter costruire pacificamente un futuro di integrazione, ma era anche
consapevole che esistevano uomini malvagi e, soprattutto, spaventati che
avrebbero cercato di sterminarli; la sua speranza era che costoro fossero una minoranza
(e non la maggioranza come riteneva Erik) e che si sarebbero potuti pian piano
convertire e tranquillizzare. L’incontro con l’ONU avrebbe dunque palesato
quale fosse realmente l’opinione degli stati sui mutanti. Charles sentiva il peso
della responsabilità che si era preso: tranquillizzare, persuadere, garantire
la pace … senza usare i propri poteri. Come avrebbe potuto svolgere il proprio
compito senza che ci fosse per sempre il dubbio circa se avesse o meno
manipolato i propri interlocutori? Forse, l’ONU, volendolo incontrare, aveva
preso precauzioni, ma quali?
Questo
quesito fu presto risolto: quando venne arrestato dai caschi blu, Charles notò
immediatamente di non potere entrare nella mente dei soldati. Scoprì, dunque,
che la CIA si era impadronita dell’elmo di Magneto,
dopo che egli era stato costretto ad abbandonarlo dopo il fallito attentato a
Nixon; gli scienziati dell’intelligence lo avevano studiato ed erano riusciti a
replicarlo.
Charles
comparì quindi davanti all’assemblea dell’ONU i cui membri erano tutti muniti
di un casco che impediva al mutante di entrare nelle loro menti.
“Dottor
Xavier” esordì il presidente “Vuole rilasciare una
dichiarazione spontanea, prima di rispondere alle nostre domande?”
“Sì.”
“Proceda.”
“Io
sono un cittadino americano. Negli Stati Uniti d’America ci sono moltissimi
cittadini: alcuni sono di etnia latina, altri francese, inglese, italiana, c’è
chi ha la pelle nera perché afroamericano, ci sono ebrei, ci sono mutanti, ma
tutti quanti sono cittadini americani. Ci sono attori, ci sono lavoratori,
operai, ci sono scienziati geniali al punto di mandare l’uomo sulla Luna, ci
sono stati ingegneri che hanno creato terribili bombe che ci hanno fatto
vincere la Guerra prima e poi vivere nella paura, ci sono atleti che detengono
record mondiali, ci sono alcuni dei soldati più abili al mondo, ci sono mutanti
e tutti quanti sono cittadini americani. Lo stesso val per ogni nazione. Tutti noi
ricordiamo molto bene Hitler, quello che ha fatto e per cui lo abbiamo
condannato. Aveva programmato lo sterminio del popolo ebraico, dell’etnia degli
zingari, dei disabili che erano considerati un ostacolo per la società e degli
omosessuali, considerati contro natura. Tutti noi troviamo abominevole un tale
progetto e lo vogliamo ricordare affinchénon accada mai più nulla del genere. Qualcuno, però, sta cercando di
spaventarvi, di ingannarvi, di instillare in voi la paura verso i mutanti per
indurvi a prendere le torce e i forconi contro di noi. Noi, però, non siamo un
popolo, non siamo un’etnia, non abbiamo neppure una nostra cultura. Siamo uomini
dotati ma questo non ci rende diversi e separati dagli altri. Nasciamo in uno
stato e cresciamo e ci formiamo nella stessa cultura di qualsiasi altra persona;
molti non danno neppure importanza alle proprie capacità e vivono una vita
tranquilla ed anonima. Io stesso, fino alla laurea, immaginavo la mia vita come
quella di uno scienziato in un laboratorio, oppure come docente, ma poi la mia
nazione ha avuto bisogno di me. Un’agente della CIA è venuta a cercarmi, a
chiedermi aiuto per la crisi dei missili di Cuba. Ho scoperto, in quell’occasione,
che ci sono mutanti che, come qualsiasi criminale umano, cercano di fare del
male e approfittarsi delle situazioni, ma ho scoperto anche che sono molti di
più quelli che soffrono. Molti mutanti si sentono soli, esclusi, emarginati,
hanno paura di quello che potrebbero subire da chi li considera mostri e possono
temere di fare del male agli altri quando hanno capacità molto potenti che
ancora non sanno controllare. Sono umani e hanno tutte le fragilità di
qualsiasi altra persona. Hanno lo stesso bisogno di essere integrati nella
società, di essere amati, le stesse ambizioni, le stesse sofferenze di
qualsiasi uomo o donna di questa Terra. La sofferenza e la paura possono
condurre su una cattiva strada, indurre a comportamenti violenti e criminosi:
quante volte ci troviamo davanti a delinquenti dal passato difficile? si tratta
di psicologia, di esperienze di vita, non di genetica. I traumi non sono una
giustificazione, però. Per questo ho deciso di aprire la mia scuola: per
rendere i mutanti che soffrono persone felici. Serenità, autostima, controllo
delle proprie capacità, questo permette a qualsiasi persona di essere un buon
cittadino, oltre che etica e morale. Ora io vi domando: siete davvero convinti
che basti un potere speciale per rendere un uomo cattivo? Credete che ogni
uomo, come il Gige di Platone, se trovasse l’anello
dell’invisibilità lo userebbe per fare rubare e approfittarsene ai danni degli
altri? Credete davvero che sia solo la paura di una punizione a impedire alle
persone di fare del male e compiere reati? Oppure credete che il giusto
comportamento sia ispirato non da paura, bensì da senso della giustizia,
spontanea bontà, moralità? Non sostengo che tutti i mutanti siano buoni ed
innocui: come in tutte le categorie di persone ci sono i giusti e i
delinquenti. Bisogna evitare generalizzazioni, bisogna impedire che il diverso
ci faccia paura. Ci saranno mutanti criminali? Sì. Ci saranno mutanti che si
crederanno superiori e vorranno fare del male agli umani? Sì. Ci saranno, però,
anche mutanti che vorranno difendere le loro nazioni, che vorranno proteggere
le persone, che affiancheranno la polizia e gli eserciti degli stati per
impedire il male da qualsiasi parte provenga. Ci saranno gli X-men, pronti ad agire per proteggere tutta l’umanità.”
Charles
concluse così il proprio primo intervento. Aveva parlato con estrema calma e
fermezza, non si era mostrato affatto intimorito, il suo sguardo era sempre
stato alto e fiero.
Tutti
i presenti rimasero in silenzio per lunghi momenti, come affascinati da quelle
parole, come se stessero riflettendo su di esse. Poi il presidente dell’assemblea
domandò:“Come giustifica le accuse che
le sono state mosse dal maggiore Stryker? Cos’ha da
dire sugli scontri a fuoco della settimana scorsa?”
“Legittima
difesa. Il maggiore Stryker, spero all’insaputa di
tutte le nazioni qui riunite, da anni sta rapendo mutanti, prima per la TraskIndustries, ora non so se
in proprio o per altri, per condurre esperimenti su di loro, trattandoli come
bestie e cavie da laboratorio e non da esseri umani. Avevo da poco rintracciato
Erik Leinsher e lo avevo raggiunto nel tentativo di
persuaderlo a desistere dai suoi propositi aggressivi, quando siamo stati
attaccati dai soldati di Stryker. Noi ci siamo difesi
e i cittadini che ci hanno aiutato lo hanno fatto di loro spontanea volontà.”
“Ha
delle prove, dottor Xavier?”
In
quel momento entrò un segretario e comunicò che i notiziari, in edizione
straordinaria un po’ in tutto il mondo, stavano mostrando le immagini di un
attacco al momento in corso alla scuola per mutanti. Subito il presidente diede
ordine di portare un televisore nella sala per guardare coi loro stessi occhi
che cosa stesse accadendo.
I
fotogrammi erano inequivocabili: elicotteri, carri armati e soldati a piedi
avevano circondato la scuola e avevano aperto il fuoco contro di essa, ma si
potevano anche chiaramente vedere coi mutanti la stavano difendendo strenuamente,
senza armi convenzionali, ma solo con le proprie capacità. Havoc
si notava parecchio.
Charles,
per qualche momento, si domandò se quelle scene non potessero avere l’effetto
contrario di quello desiderato: mostrare la difesa dei mutanti poteva evidenziare
la loro potenza e rendere l’ONU più diffidente e impaurita. Il Professor X notò
anche con piacere che Magneto gli aveva dato ascolto
e si stava concentrando soprattutto sulla difesa, limitando al massimo la
controffensiva.
Non
passarono molti minuti e cominciarono ad arrivare anche numerosi plichi di
documenti: tuttiche testimoniavano le
atrocità commesse dalle TraskIndustries.
Dopo
averne visionati alcuni, il presidente dell’assemblea dichiarò: “È inequivocabile
che il maggiore Stryker ci abbia ingannati e si sia
macchiato di crimini contro l’umanità e per questo sarà arrestato e processato.
Propongo un voto immediato per autorizzare la NATO ad intervenire all’istante
in difesa della scuola del professor Xavier e
procedere all’arresto del maggiore.”
In
pochi minuti la mozione venne approvata all’unanimità e quindi dei caschi blu
furono inviati immediatamente per intervenire in quell’assedio.
Il
presidente, poi, continuò: “La questione mutanti è tuttavia un argomento che
non possiamo trascurare, né considerare chiuso. Calendarizzeremo
incontri col professor Xavier e altri mutanti per
studiare la situazione, apriremo anche noi delle commissioni di ricerca e
studio, per comprendere esattamente lo stato dei fatti e gestire i mutanti, sia
come cittadini, come ci è stato fatto notare oggi, sia come risorse, sia come
minacce. L’azione che oggi abbiamo ordinato come Stryker
non è una presa di posizione netta sulla questione mutanti, ma solo il giusto
intervento per la protezione di cittadini americani e non e perché il maggiore
si è palesemente macchiato di crimini pari a quelli degli scienziati nazisti. Per
quanto riguarda i mutanti, affronteremo la faccenda tutti assieme già nei
prossimi mesi.”
Charles
rimase soddisfatto da come fossero andate le cose. Sapeva che, invece, Erik
sarebbe stato deluso. L’ONU li aveva difesi in quell’attacco e lo si poteva
considerare un piccolo e significativo passo, ma era ancora ben lontano dall’integrazione
dei mutanti. Charles era però ottimista, riteneva di avere avuto una conferma
che gli animi delle persone non fossero colmi di pregiudizi e di paure, sentiva
che un dialogo era possibile, che una soluzione pacifica non era un’utopia.
Nota dell’Autrice
Ciao a tutti !!!
Perdonate lalunghissima attesa per questo capitolo, ma
sono stata molto indaffarata con università, teatro e coinvolgimento emotivo in
altri fandom.
L’uscita del nuovo film degli x-men mi ha riportata in questa dimensione e, allora, ho
deciso di approfittarne per continuare questa fanfic
che non so bene se concludere nel prossimo capitolo come avevo pensato inizialmente,
oppure proseguire un poco di più.
Vi ringrazio per la lettura e vi chiedo
ancora scusa per avervi fatto aspettare.
Magneto era stato molto
scrupoloso nell’organizzare la difesa e aveva seguito la raccomandazione di
Charles di non curarsi eccessivamente della controffensiva non perché provasse
pietà per gli umani che li attaccavano, ma poiché si rendeva conto che i
mutanti che erano con lui erano per lo più non ancora in grado di utilizzare
appieno i propri poteri e quindi non poteva loro chiedere di riuscire a
concentrarsi sia sulla difesa che sull’attacco. Oltre al poco controllo sui
loro poteri, quegli uomini, quelle donne, quei giovani, non erano soldati, non
avevano la rapidità, i riflessi, la forza e l’agilità per sostenere una
battaglia: erano persone semplici, con vite normali e il fatto di essere
mutanti non li rendeva automaticamente dei guerrieri. Inoltre non tutti i
poteri erano adatti per i combattimenti. Se volevano sopravvivere, avrebbero
dovuto pensare unicamente a difendere se stessi e i loro compagni e non
lasciarsi distrarre dal tentare di contrattaccare.
Chi
si dedicava realmente alla controffensiva, erano Magneto
e i suoi pochi seguaci che era riuscito a portarsi dietro; avrebbe potuto dar
loro manforte anche Havoc (a cui il professor X aveva
affidato la scuola in quei giorni), ma lui preferiva usare i propri poteri per
mettere fuori uso i mezzi di trasporto e le armi dei nemici, piuttosto che le
persone. Virginia faceva quel che poteva per creare barriere e rallentare i
soldati di Stryker, sebbene fossero dotati di
uniformi ignifughe e dunque la giovane poteva fare affidamento soprattutto sull’acqua,
magari creando lastre di ghiaccio per farli scivolare, oppure sbalzando i
soldati all’indietro con getti d’acqua ad alta pressione.
I
soldati di Stryker erano stati equipaggiati in modo
tale da non avere metallo addosso, ma nella scuola c’era abbastanza ferro da
permettere a Magneto di combattere senza difficoltà.
Tra
gli studenti c’era un teleporta e una ragazza in grado di creare ombre che
rassomigliassero alle persone (pur non avendo corpo e quindi non potendo interagire); loro due
contribuirono a creare confusione tra i soldati, depistandoli e distraendoli,
cercando di attirare i loro colpi verso falsi bersagli. C’era una mutante che
poteva vedere attraverso le pareti: ella fu molto utile per individuare i
nemici in avvicinamento e potersi spostare o preparare, senza mai essere colti
di sorpresa.
In
questo modo i mutanti erano riusciti a resistere, senza passare dalla parte del
torto agli occhi di chi stava osservando quelle immagini in mondovisione.
Infine
erano intervenuti i caschi blu e i soldati di Stryker,
capendo la situazione, si arresero quasi subito alla NATO; il maggiore,
tuttavia, era riuscito a fuggire su un elicottero, prima che potessero giungere
a lui e arrestarlo.
Quando
i mutanti si erano accorti che stavano ricevendo aiuto dall’esterno, si erano
tutti ritirati dagli scontri e radunati in un’unica stanza, in attesa di capire
che cosa stesse accadendo. A tale scopo, il teleporta si spostava rapidamente
da fuori a dentro e viceversa per cercare di raccogliere informazioni. Qualcuno
era intervenuto in quella battaglia, ma non avevano idea del perché e di quali ordini
avessero i caschi blu.
Magneto era parecchio
in apprensione: non gli piaceva quando si facevano avanti eserciti
internazionali e dubitava sempre delle loro buone intenzioni; per questo se ne
stava a braccia conserte, un po’ in disparte, corrucciato e attento a captare
qualsiasi segnale di pericolo.
Virginia
gli si avvicinò e gli chiese: “Non sei sollevato che qualcuno sia venuto in
nostro aiuto?”
“Vorrei
essere certo che sia in nostro aiuto.”
“Evidentemente
Xavier è riuscito a persuadere l’assemblea dell’ONU.”
“Oppure
è stato catturato e l’ONU non vuole lasciare i mutanti nelle sole mani di Stryker, ma occuparsene personalmente.”
“Non
sarebbe stato più facile per loro aspettare che Stryker
ci prendesse e poi sottrarci a lui?”
“Avranno
fatto altre valutazioni. Non escludo che Charles abbia fatto un miracolo, se c’èuno che potrebbe riuscirci è lui, ma non do
neppure per scontato che ci sia riuscito. Finché non ne sapremo di più,
preferisco non abbassare la guardia.”
Poco
dopo, il teleporta tornò nella stanza dove si trovavano tutti e disse: “I
caschi blu hanno avuto l’ordine di fermare questo attacco e di arrestare Stryker e i suoi. Purtroppo non parlano molto, ma ora
stanno cercando noi, non hanno le armi spiegate, da quello che ho capito vogliono
prestarci cure mediche e parlare con un nostro rappresentante.”
Havoc si fece avanti:
“Andrò io, portami da loro.”
“No.”
lo interruppe Magneto “Sarò io a conferire con loro.”
“Tu?
Non sei proprio diplomatico e, inoltre, ti ricordo che il Professore ha
lasciato la responsabilità della scuola a me. Sono io la persona piùadatta.”
“Alex,
potrebbe essere una trappola. Se dovesse esserlo, io non mi farò scrupoli per
liberarmi, mentre tu preferiresti far catturare tutti quanti, piuttosto che
usare il tuo potere su qualche umano, nonostante sia in pericolo la vita dei
nostri fratelli. Tu hai la responsabilità di questi ragazzi, è vero, per questo
devi rimanere al sicuro con loro, finché non saremo certi che il pericolo è realmente
cessato, almeno per adesso. Loro sono affezionati a te, stimano te: se ti
dovesse accadere qualcosa dubito che ascolteranno me e se si divideranno sarà
realmente la fine. Tu devi prenderti cura di loro, quindi fa correre a me
questo rischio del primo incontro: se le loro intenzioni sono realmente
pacifiche, potrai poi gestire la faccenda come meglio credi; ma se c’è da
prendere una pallottola, è meglio che sia io a prenderla.”
Havoc era rimasto
molto colpito da quelle parole: non si aspettava spirito di sacrificio da parte
di Magneto e lo sfiorò il dubbio che fosse un inganno,
ma poi si convinse della sincerità dell’uomo; si limitò ad annuire e disse: “Grazie,
Erik.”
Prima
di avvicinarsi al teleporta, Erik lanciò un’occhiata a Virginia che ricambiò,
si scrutarono solo per un paio di secondo, eppure entrambi sentirono di essersi
detto tantissimo.
Magneto raggiunse il
teleporta e gli fece cenno di procedere al trasferimento. In un attimo si
trovarono entrambi davanti a un generale dei caschi blu e alcuni suoi
subordinati, i quali non poterono celare lo stupore nel vedere apparire due
persone all’improvviso.
Il
generale li scrutò per qualche momento e chiese: “Lei è venuto per conferire
con me?”
“Sì.”
annuì Magneto, rimanendo imperturbabile.
“Lei
è Erik Leinsher, un ricercato, credo che …”
“Mi
dica come mai la NATO è intervenuta in questo scontro, mi assicuri che le
persone là dentro non corrono pericoli da parte vostra, poi potrete parlare col
legittimo rappresentante della scuola attualmente presente.”
“Io
sono un generale e mi limito a seguire gli ordini. Il professor Xavier ha persuaso l’assemblea dell’ONU che fosse
necessario il nostro intervento: in effetti, una milizia privata che prende d’assalto
un edificio occupato da civili incensurati prevede un intervento di forze
armate legittime per fermarla. È stato decretato, almeno per il momento, che i
mutanti non sono criminali e che Stryker non ha
nessun diritto di rapirvi, per cui siamo venuti a salvare dei cittadini a cui
ora presteremo anche soccorso medico, se necessario. Di più non so.”
“Quindi
l’ONU ha deciso di schierarsi dalla parte dei mutanti e proteggerli?” Erik si
mostrava scettico.
“Per
il momento. Sembra che il professor Xavier abbia
ottenuto che l’ONU si concentri sullafaccenda mutanti e si arrivi ad un accordo, ma non è di questo di cui io
mi occupo, quindi se vuolesaperne di
più, dovrà rivolgersi a qualcun altro, anche se dubito che verrà ben accolto,
dato che è un ricercato internazionale, anzi io stesso dovrei …”
“Me
ne farò una ragione. Ora comunicherò all’interno che non siete nemici e li farò
uscire.”
Erik
non aveva alcuna intenzione di farsi arrestare, tanto meno in quel momento, per
questo era stato rapido nella risposta e subito appoggiò una mano sulla spalla
del teleporta in modo che lo portasse immediatamente via da lì.
Ritornarono
all’interno dell’edificio ed Erik si rivolse ad Havoc:
“Non sono Charles per cui non posso sapere che cosa realmente ci sia nella
testa di quelle persone, però mi sembrano sinceri. Oggi non hanno intenzione di
farvi del male, per cui potete rivolgervi a loro. Alex, il campo è tuo.”
“Tu
che farai? Resti con noi?” domandò Havoc, che in
fondo non sarebbe stato contrariato dalla presenza di Erik, non era arrabbiato
con lui come lo erano Raven ed Hank.
“No.
Non sono propriamente una figura gradita, quindi preferisco andarmene,
piuttosto che rischiare di creare problemi rimanendo. Quando vedi Charles,
digli di farsi vivo, per favore; un modo per contattarmi lo troverà certamente.”
Magneto chiese al
teleporta se potesse portarlo fuori dal perimetro dei caschi blu, poi si
accordò coi suoi alleati circa dove ritrovarsi successivamente, una volta
calmate le acque. Infine si rivolse a Virginia e le domandò: “Vuoi venire con
me, oppure preferisci rimanere qui? Ci sono mutanti come noi, l’ambiente è
rilassato, sereno e tranquillo e tra poco tornerà Charles che sarà contento di
aiutarti.”
“Voglio
seguirti, Erik.”
“Ti
ricordi che sono latitante, vero?”
“Non
ha importanza.”
Il
teleporta allontanò in un baleno Erik e Virginia dalla scuola. Rimasti soli, si
incamminarono e rimasero in silenzio per alcuni minuti: la battaglia li aveva
affaticati e i pensieri erano molti.
Infine
Virginia ruppe il silenzio: “La vittoria di oggi fa ben sperare per il futuro.”
“Immagino
tu ti riferisca a quella di Charles e non a quella sul campo. Mi chiedo se
quella dell’ONU sia stata una decisione sincera o ipocrita. Forse si sono resi
conto che permettere un massacro in mondovisione avrebbe spinto i mutanti ad
insorgere e, quindi, hanno ritenuto più saggio intervenire. Forse non volevano
che Stryker avesse il monopolio sugli esperimenti sui
mutanti. Forse vogliono prima creare un clima d’odio contro di noi per sentirsi
autorizzati a sterminarci, senza il peso dell’opinione pubblica di quelli che
vogliono almeno un motivo apparente, prima di un atto di forza. Anche a voler
essere ottimisti, però, si è semplicemente ottenuto che l’ONU approfondirà la
questione dei mutanti e poi deciderà che cosa pensarne. Non mi rassicura per
nulla. Lo vedo come un modo per cercare pretesti e ragioni per considerarci
nemici, anziché come un percorso per essere accettati e integrati. Il generale
con cui ho parlato ha sottolineato più volte la perifrasi al momento, per il momento … ilche significa che ciò che hanno deciso vale per oggi e non per il
futuro. Se pensassero davvero che siamo umani, come loro, che meritiamo una
vita come tutti gli altri, non sarebbero stati così cauti nel parlare e
deliberare. Charles li ha convinti che per il momento non era necessario
sterminarci, ma non che abbiamo gli stessi diritti di tutti gli altri. Non riesco
ancora a vedere la situazione in modo positivo.”
“Sbaglio
o non stai neppure pensando a sterminare gli umani?”
“Non
sbagli, ma comunque voglio essere chiaro: non è che io voglia per forza
uccidere chi non è un mutante, semplicemente non mi faccio problemi ad
eliminare chi vuole fare del male a noi. voglio che sia chiaro che noi non
siamo persone da perseguitare, da disprezzare, trattare come fenomeni da
baraccone, cavie da laboratorio o altro. Noi abbiamo una dignità, anche
superiore a quella degli uomini perché noi siamo il futuro. Noi abbiamo pieno
diritto di essere felici, di mostrarci in pubblico a testa alta, di vivere
appieno ed essere rispettati e stimati. Se sono aggressivo è solo perché so
quanto gli uomini siano crudeli con chi è diverso e perché so che chiunque
abbia conquistato diritti e libertà ha dovuto combattere. Chi non esalta la
Rivoluzione francese? La guerra d’indipendenza americana? La liberazione dei
neri ha portato alla guerra di secessione. L’Italia ha ottenuto la propria
libertà e unità solo dopo quaranta e più anni di lotte. L’impero germanico si è
liberato del dominio Asburgico con la forza. Ne devo elencare ancora? Io non
sono un assassino come molti vorrebbero credere, io sono un combattente, un
rivoluzionario: quelli come me, sono salvatori o criminali a seconda di se
avranno successo oppure no. Che Guevara è un eroe a Cuba, un bandito in
Bolivia. In Italia, da te, generalmente si ritengono i partigiani dei
liberatori che hanno scacciato i nazisti, ma sono sicuro che c’è qualche
nostalgico della dittatura che li ritiene degli assassini. Ogni vita che ho
tolto non è stato per il piacere di ammazzare o altro, ma sempre e solo perché
necessaria alla mia causa. Io ho degli ideali ed è per essi che mi batto. Sarò considerato
un criminale solo fintanto che la mia causa non vincerà. Per il momento, però, voglio
dare fiducia a Charles. Per il momento non farò progetti, al più qualche
indagine, aspetterò di vedere che piega prendono gli eventi con la strategia di
Charles e poi vedremo se aveva ragione lui o se dovrò riprendere in mano la
situazione.”
“Vedremo?”
“Vedrò,
volevo dire.”
“Quindi
che cosa hai intenzione di fare?”
“Trovare
un posto tranquillo dove fermarmi per un po’ e osservare, senza il rischio di
essere arrestato. L’incontro con quel generale mi ha fatto capire che sono un
ricercato internazionale … e temo che imporranno a Charles la mia consegna,
durante questi incontri sulla questione mutanti. Da amico non vorrebbe
consegnarmi, lo so, ma deve pensare al bene di tutti i mutanti … Io ho passato
troppo tempo della mia vita ingiustamente in prigione, per finirci di nuovo,
non ho intenzione di farmi rinchiudere di nuovo.”
Rimasero
di nuovo in silenzio per un po’ di tempo, poi Virginia chiese: “Come mai mi hai
chiesto di seguirti?”
“Come
mai hai accettato?”
“Sto
bene con te. Mi è piaciuto tantissimo viaggiare con te e ne ho ancora voglia. Separarmi
da te mi renderebbe triste, lo sento. Voglio proseguire questo percorso, averti
accanto e starti accanto. Sento che questo è ciò che mi rende felice, adesso,
voglio scoprire che cosa accadrà restando assieme.”
Erik
sorrise: quelle parole gli infondevano tranquillità. Tacque un poco, prima di
dire: “Anch’io sto molto bene in tua compagnia. Non è come in passato in cui
dicevo a delle donne sto bene in tua
compagnia per dire che mi divertivo ed era piacevole passare del tempo con
loro, tra una ricerca e l’altra, per dimenticare lo stress del cacciare nazisti
e così via. Con te è diverso. Mentre viaggiavo con te, non ho sentito di
dimenticare le fatiche o i problemi, ma di poterli condividere, anche se siamo
in disaccordo. Non voglio vederti per uscire dalla mia vita, ma ti voglio nella
mia vita per vederti. Sono felice, quindi, che tu abbia deciso di seguirmi.”
Virginia
timidamente gli prese la mano e continuarono a camminare verso il centra
abitato più vicino.
Nota dell’Autrice
Ciao a tutti e grazie per aver letto
questa fanfic che teoricamente potrebbe essere finita
qui. Mi sono però lasciata qualche pista aperta nel caso mi chiediate di
continuarla.
Vi ringrazio, intanto, per avermi
seguita fino a questo punto e se volete qualche capitolo in più, ditemelo ^___^
E’ vero, avevo detto che era finita,
però … non ho saputo resistere.
Il finale mi sembrava davvero troppo
affrettato, ho ripensato a come avevo pensato inizialmente alla conclusione di
questa fanfic e mi sono detto che uno sforzo per
completarla degnamente avrei dovuto farlo.
Inoltre mi hanno spronata anche alcuni
dei commenti e, infatti, voglio ringraziare Winterlover97, Manto e Annina_76
Penso che questo prolungamento sarà di
pochi capitoli (3 al massimo, contando anche questo), quindi spero di non farvi
aspettare troppo.
Grazie a tutti e buona lettura
“Tutto
bene? Ci sono stati problemi?” domandò Erik, quando vide Virginia rientrare.
La
giovane aveva appena fatto la spesa nel negozietto del centro abitato più
vicino. Dopo che si erano allontanati dalla scuola di mutanti, Erik e Virginia avevano
cercato un posto dove nascondersi e stare tranquilli in attesa che le acque si
fossero calmate: Magneto era ricercato dalla NATO e
da tutte le forze dell’ordine, messe in allerta dopo il suo avvistamento.
Spostarsi avrebbe significato esporsi e purtroppo non avevano modo di
contattare un teleporta che li aiutasse ad allontanarsi maggiormente. Avevano
dunque raggiunto una zona di campagna e avevano cercato una piccola casa da
affittare per poco tempo, il che fu facile: fortunatamente quei luoghi erano
posti di villeggiatura estiva, disabitati in inverno e i proprietari erano ben
lieti di affittarli fuori stagione, senza porsi domande sugli inquilini.
I
due mutanti erano lì da un paio di settimane e ogni tanto la ragazza si recava
al paese vicino per comprare i viveri, mentre l’uomo prudentemente non si
mostrava.
“Tutto
a posto. Non ho attirato attenzioni. Ho comprato anche il giornale.”
“Brava,
qui non abbiamo né televisione, né radio e non abbiamo modo di sapere come sia
la situazione.”
Erik
sedette sul divano e Virginia si mise accanto a lui, aprendo il quotidiano, per
leggerlo assieme. Le notizie, tuttavia, non erano di interesse per la loro
situazione.
“Odio
essere rinchiuso qui, senza sapere che accidenti stanno facendo Charles, l’ONU
e il resto del mondo. Le notizie sono state frammentarie e il mio amico ancora
non si è fatto vivo, da quando ci siamo separati a Torino. Mi sorge il dubbio
che gli abbiano fatto qualcosa … che quelli della NATO non siano stati corretti
e benevolenti come si sono mostrati alla scuola e che il loro intervento sia
stato solo una grande ipocrisia, come temevo all’inizio. Avrei voglia di uscire
e andare a vedere di persona!”
“Erik
tranquillizzati” gli disse dolcemente Virginia, appoggiandogli una mano sul
petto “La situazione è delicata e il professor Xavier
starà agendo con tutte le cautele del caso, pazienta ancora almeno una
settimana o due, prima di decidere di agire in una qualche maniera.”
“Odio
non poter uscire da un posto.” fissava la parete davanti a sé, piuttosto corrucciato
“Ho passato troppo tempo della mia vita prigioniero e queste situazioni non mi
piacciono per nulla.”
Dopo
qualche altro momento cupo, la sua durezza si sciolse, con la destra prese la
mano della ragazza, mentre strinse il braccio sinistro attorno alle sue spalle
e disse: “Certo questa sorta di prigionia è molto più piacevole di tutte quelle
passate. Niente nazisti, niente bunker sotterranei privi di metallo … ci sono
libri, giochi da tavolo e, soprattutto, buona compagnia.”
Virginia
si sentì in imbarazzo e voltò il viso altrove. Erik sorrise, le arruffò i
capelli e le chiese: “Sei ancora così timida? Eppure ne abbiamo passate così
tante in così poco tempo … io mi sento molto legato a te. Te l’ho già detto in
questi giorni, lo so, ma non capisco che cosa ne pensi tu. Abbiamo affrontato
battaglie e rischiato la vita assieme almeno tre volte in meno di un mese,
credo che questo ci abbia permesso di conoscerci molto rapidamente, insomma, ci
siamo mostrati a vicenda punti di forza e debolezze e penso che ci siamo molto
affiatati. Non me ne sono reso conto subito. All’inizio sentivo solo
attrazione, voglia di passare il tempo finché non mi fossi stancato, ma poi …
ti ho vista soffrire e mi sono indignato, pensando che mai la tristezza avrebbe
dovuto solcarti il volto. Quando i tuoi parenti ti hanno portata via, oltre a
essere preoccupato per te, mi sentivo privato di qualcosa di importante. Ti ho
cercata e, trovandoti praticamente indifferente, mi sono infuriato, soprattutto
con me stesso, per aver commesso l’errore di affezionarmi. Quando poi sei
tornata e hai dimostrato che saresti rimasta, ho provato gran gioia in me e il
desiderio di costruire qualcosa.”
“Perché
mi stai dicendo tutto questo?” Virginia sembrava quasi spaventata da quelle
parole.
“Perché
non capisco quale sia il tuo pensiero. In passato a volte mi sei sembrata molto
infiammata, ma da quando siamo qui mi pari quasi più chiusa, più distaccata.
Viviamo sotto lo stesso tetto ma a volte è come se mi evitassi. Sinceramente
non capisco.”
Virginia
sospirò, tentò un paio di volte di parlare, ma aperta la bocca non riusciva a
dire nulla. Infine si impose di rispondere: “Ho paura …”
“Di
cosa?”
“Mi
sembra impossibile e assurdo che tu ti senta legato a me. Insomma, tu sei tu e
io sono semplicemente io.”
“Non
capisco.”
“Tu
sei un leader, hai seguaci, idee, progetti, hai vissuto intensamente, hai
compiuto azioni uniche; insomma, non sei una persona comune. Sei speciale. Io,
invece, sono una persona comune, di gente come me ne avrai conosciuta a
bizzeffe e, inoltre, io ho mille paure e paranoie. Come posso io contare
realmente qualcosa per te? Cosa posso offrirti? È di questo che ho timore:
essere abbandonata. Non è stato facile, per nulla, lasciare la mia famiglia e
ora ho paura di fare la fine di Medea. Ricordi la sua storia? Innamorata di
Giasone, per aiutarlo tradisce il padre e la patria, uccide il fratello e fugge
col greco solo per essere abbandonata poco dopo. Giasone ha avuto dei figli da
Medea e poi l’ha messa da parte, non appena gli si è profilato un matrimonio
più conveniente. Ecco io sono terrorizzata da questo: non voglio aprire il mio
animo a te, non voglio amarti perché non vedo proprio come potrei meritare di
essere ricambiata e davanti a me vedo inevitabile l’abbandono. Non voglio!”
Erik
le mise le mani sulle spalle e la voltò verso di lei, affinché si guardassero
negli occhi e le disse: “L’amore non si merita, non c’è modo di guadagnarlo: è
qualcosa che sorge spontaneo. Per me è qualcosa di totalmente inaspettato: non
pensavo affatto di poter amare. Tu stai dicendo che mi vedi come un personaggio
speciale, come un VIP praticamente, ma io non vedo nulla di straordinario in
me. A parte l’essere un mutante, ovvio, ma quello lo sei anche tu. Ho passato i
primi anni della mia vita ad essere discriminato e trattato come un essere
inferiore che nemmeno era degno di vivere. Ho visto gerarchi nazisti con
lampade che avevano il paralume in pelle umana, pelle di ebreo. Li vedevo e
sentivo dire che quella era la giusta fine per quelli come me. Sapevo che era
ingiusto, che erano loro, crudeli, a sbagliare, che io e gli altri ebrei non
avevamo colpe, eppure ho impiegato anni prima di sentirmi un essere umano col
diritto di vivere. Non ho fatto nulla di speciale, ho vendicato il mio popolo
là dove la giustizia non era arrivata. Poi ho incontrato Charles e per la prima
volta ho pensato di prendermi cura dei mutanti: voglio evitare loro il mio
stesso dolore. Non ho potuto fare molto però, visto che ho passato quasi tutto
il tempo successivo in prigione. Sì, ho raccolto attorno a me qualche mutante,
ho cercato di fare qualcosa per loro, di proteggerli dai nemici che hanno ma,
sinceramente, non mi pare di essere riuscito a fare molto. Non so dove tu veda
straordinarietà in me. In ogni caso, se anche fosse vera la tua opinione su di
me, perché questo dovrebbe impedirmi di amarti? Tu hai praticamente detto di
credere di valere molto meno di me, ma io questo non lo credo affatto. Non hai
preso parte a grandi battaglie sociali o effettivamente militari, ma qual è il problema?
Tu hai una cultura vasta, hai un animo sensibile e forte senso del dovere. Io
ti guardo e vedo una persona a cui poter mostrare me stesso, con cui non dover
essere un leader, ma su cui fare affidamento, con cui poter condividere ciò che
ho dentro, il cui consiglio è importante per me. Un’amica innanzitutto, ma
anche qualcuno con cui non semplicemente percorrere uno stesso cammino, ma con
cui costruire una strada. Credimi: io non ti abbandonerò mai.”
Non
diede il tempo alla ragazza di rispondere, Erik le prese le guance e la baciò,
sulla bocca, dolcemente, schiudendo lentamente le labbra affinché quello fosse
un bacio vero.
Virginia
non disse nulla, ma abbracciò l’uomo, quasi a volersi aggrappare e nascose la
testa sul suo petto.
Trascorsero
ancora tre giorni, durante i quali la giovane, rassicurata, si era finalmente
lasciata alle spalle molti timori ed era stata più spontanea e affettuosa con
l’uomo. Era pomeriggio, Virginia era andata in paese sia per i viveri, ma
soprattutto in cerca di notizie. Erik era rimasto nella casa, ma era finalmente
riuscito a trovare un mangianastri, che non aveva la funzione di radio, ma
poteva almeno far ascoltare musicassette. L’uomo sapeva che la compagna se ne
era portata alcune dall’Italia, quindi ne prese una da sentire, curioso di
conoscere i gusti musicali di lei. Poté apprezzare le melodie e il timbro delle
voci, ma ovviamente non capì nulla di quel che dicevano. Vi fu una canzone,
però, che lo colpì.
Attese
che la giovane rientrasse e subito le domandò: “Potresti tradurmi il testo di
una canzone? Ho ascoltato una delle tue musicassette e ce n’è una che nomina
Auschwitz e vorrei sapere che cosa dice esattamente.”
“Oh,
sì, certo. È una canzone di pochi anni fa, di un giovane cantautore, Guccini.
Dice: Son morto con altri cento, son
morto che ero bambino, passato per il camino e adesso sono nel vento. Ad
Auschwitz c’era la neve, il fumo saliva lento nel freddo giorno d’inverno e
adesso sono nel vento. Ad Auschwitz tante persone ma un solo grande silenzio; è
strano, non riesco ancora a sorridere, qui nel vento. Io chiedo come può l’uomo
uccidere un suo fratello, eppure siamo a milioni in polvere qui nel vento.
Ancora tuona il cannone, ancora non è contenta di sangue la belva umana e
ancora mi porta il vento. Io chiedo quando sarà che l’uomo potrà imparare a
vivere senza ammazzare e il vento mi poserà.”
Erano
entrambi commossi, con gli occhi lucidi.
Erik,
poi, le chiese se potesse scrivergli le parole della canzone su un foglio:
voleva ricordarsele, voleva poterle leggere con calma, rifletterci su; gli
ispiravano tantissimi pensieri e riflessioni e dunque voleva poter ragionare
con calma.
Quella
sera, mentre i due stavano cenando, udirono una voce nelle loro teste.
“Erik,
Virginia, mi sentite?”
Era
Charles che finalmente li contattava.
“Sì,
ti sentiamo.” rispose l’uomo “Perché non sei venuto? Avrei preferito vederti di
persona. Tuttavia, se ci parli a lunga distanza, significa che stai usando
Cerebro e dunque sei sano e salvo alla tua scuola.”
“Esatto.
Anch’io avrei preferito essere lì, ma per la tua sicurezza e la mia credibilità
è meglio parlarci così. L’ONU non è convinta ch’io non abbia contatti con te e
che non ti stia aiutando nella latitanza, quindi temo che spiino i miei
spostamenti.”
“Molto
confortante avere alleati che non si fidano di te.”
“Già,
ma non hanno tutti i torti, visto che io effettivamente ti sto proteggendo.
Davvero, non voglio rischiare che tu venga trovato.”
“L’idea
di nascondermi per il resto della mia vita non mi piace, però.”
“Troveremo
una strada, pian, piano.”
“Non
potresti mandarci il teleporta? Almeno potremmo raggiungere uno dei miei
rifugi.”
“Per
il momento è più prudente che nessuno di noi sappia dove ti trovi. Non conosco
i loro mezzi e le loro risorse, ma siamo in una fase delicata e decisiva per lo
sviluppo dei rapporti tra umani e mutanti e non possiamo permetterci errori. Se
ci fosse il minimo indizio del fatto che io ti aiuto, rischieremmo di mandare a
monte tutta la diplomazia. Erik, credimi, mi dispiace tantissimo. Io vorrei
averti al mio fianco in questo momento, avere il tuo supporto e il tuo aiuto,
ma sei un ricercato a livello mondiale e all’ONU sei visto come un pericoloso
criminale.”
“Capisco,
Charles, non ti preoccupare. La salvaguardia dei mutanti è più importante. Noi
ce la caveremo lo stesso. Piuttosto, dimmi come hai intenzione di procedere,
come funzionerà la tua campagna di sensibilizzazione dell’ONU.”
“Al
momento è stata aperta una sorta di commissione che si occupa di capire cosa
significhi esattamente essere un mutante e avranno vari incontri con i miei
studenti, dentro e fuori la scuola, per comprenderli meglio. Io, Hank e Raven, invece, viaggeremo per incontrare capi di stato e
autorità per cercare di mostrare a tutti quanti la nostra buona fede e spronarli
a prendere una posizione. Pensa che una delle prime tappe, già qui in dicembre,
sarà un’udienza dal Papa, beh non sarà solo un incontro, ci fermeremo a Roma
qualche giorno. Più avanti vedremo anche il Dalai Lama. Se riusciamo avere
l’appoggio dei cattolici e dei movimenti newage, direi che siamo a buon punto del lavoro di
integrazione.”
“Sei
il solito ottimista. Piuttosto, che fine ha fatto il maggiore Stryker? È stato arrestato? Verrà processato? I suoi
crimini sono emersi? Perché i giornali non ne parlano?”
“In
realtà, Stryker è fuggito. È stato accusato di
crimini contro l’umanità, ma non lo hanno ancora arrestato. Lo stanno cercando.
Pare che abbia una base segreta, forse laboratorio, in Canada ma deve essere
ancora individuato.”
“Charles,
secondo te, se io riuscissi a catturare Stryker e a
consegnarlo, l’ONU potrebbe rivedere la sua opinione su di me?”
“Ad
essere franco, non lo so. Penso che possa essere possibile, dimostrerebbe la
tua volontà di collaborare col sistema … però, mi raccomando, dovresti
consegnarlo a loro e non ucciderlo, facendo giustizia per conto tuo.”
“Ho
capito. Penso che farò di tutto per scovare quel bastardo. Che l’ONU sarà o non
sarà riconoscente, poco importa: i suoi esperimenti devono finire, lui deve
essere punito e io non posso starmene con le mani in mano.”
“Ti
auguro buona fortuna, allora, amico mio.”
“Grazie,
Charles. Spero di poter presto prendere posto anch’io al tavolo delle
trattative.”
“È
un piacere e una sorpresa sentirtelo dire.”
“Non
voglio che tu sia troppo molle e accondiscendente con gli umani.”
La
conversazione non proseguì molto di più, se non per i saluti e poco altro. Erik
era molto concentrato sul fatto di dare la caccia a Stryker.
Dopo aver ragionato su alcune cose, disse a Virginia: “Non ho intenzione di
fare affidamento sui miei compagni mutanti in questa occasione. Non voglio
metterli in pericolo. Non vorrei nemmeno mettere in pericolo te ma non vorrei
nemmeno lasciarti sola, né io stare senza di te per chissà quanto tempo. Dimmi
tu cosa preferisci fare, quale che sia la tua decisione, avrò un motivo per
essere lieto e uno per rattristarmi.”
“Voglio
combattere, voglio seguirti. Credo che il mio aiuto potrà servire e, comunque,
non voglio essere la donna che resta a casa in pena per il compagno in guerra,
bensì voglio lottare assieme a te.”
“Grazie
e che il fato conservi entrambi in vita.”
“Già,
speriamo … Piuttosto, pensiamo un po’ a come muoverci. Tu sei sempre ricercato
e non abbiamo un mezzo di trasporto e il Canada, oltre che lontano, è il
secondo stato più grande del mondo. Idee?”
“Beh,
sono quasi tre settimane che non mi faccio la barba, proprio pensando a
un’evenienza come questa. Dovresti procurati, in città, tinta per capelli e
lenti a contatto colorate. Spero basti, purtroppo non sono né un mutaforma, né un telepate.”
“Dovresti
anche cambiare look.”
“Perché?”
“Beh,
suppongo che se tu ti vestissi da freakettone o
hippie o qualcos’altro di completamente diverso dal tuo carattere, sarebbe più
difficile che ti riconoscano, proprio perché non si aspettano di trovarti in un
contesto del genere e quindi non ti osserveranno più di tanto.”
“Giusto,
però niente moda hippie: rischieremmo di essere fermati e perseguitati dalle
forze dell’ordine comunque.”
“È
vero. Qualche idea su quale stile adottare?”
“Non
una corrente particolare, semplicemente moda giovanile attuale. Io di solito ho
uno stile sobrio, tendente all’elegante, poco americano, con colori neutri. Ci
vuole qualcosa che sia l’opposto e anche tu dovrai seguire lo stile di qui
odierno, non possiamo mostrarci stonati.”
“D’accordo,
faremo una bella trasformazione, sarà divertente. Per spostarci, invece? Non
possiamo rubare un’auto, avremmo la polizia che ci cerca.”
“Usiamo
treni e autobus fino a Smith Falls, che è già oltre
il confine, ma a meno di settecento chilometri. Spero che una mia vecchia
conoscenza abiti ancora lì, potrà fornirci un’automobili e forse qualche altro
aiuto.”
“Il
Canada è veramente enorme! Possibile che il professor Xavier
non possa usare i suoi poteri per trovare questo Stryker?”
“Sono
certo che Charles abbia tentato di usare Cerebro, ma che qualcosa abbia
interferito. Potrebbe essersi procurato un elmetto come il mio.”
“Non
lo trova il telepate più potente, non lo trova la
NATO, come potremmo trovarlo noi?”
“Qualcosa
ci verrà in mente … anzi, un’ideuzza già ce l’ho.
Spero solo che la base che cerchiamo non sia quella priva di metallo, pensata
per ingabbiare me.”
“Cosa
stai architettando?”
“Semplice:
con la giusta concentrazione posso individuare qualsiasi struttura di metallo,
anche nascosta. Devo solo percepire il metallo e capirne la quantità, la
concentrazione, il luogo …”
“Insomma,
un misto tra un radar e un metaldetector.”
“Più
o meno.”
“Posso
fare una battuta pessima?”
“Se
proprio devi …” Erik sorrise, curioso.
“Come
stile di vestiti, potremo optare per il genere fan di musica metal.”
“No,
è un genere ancora poco affermato.”
Erik
e Virginia continuarono a confabulare circa il come organizzare quella
spedizione. Il giorno dopo, la ragazza si recò in città e comprò tutto ciò di
cui avevano bisogno. Avevano deciso di partire il mattino seguente, poiché
speravano che il mescolarsi tra la folla li avrebbe aiutati. Il viaggio fu
piuttosto lungo tra cambi di treno e di autobus, ma per fortuna si svolse senza
destare nessun sospetto e in poco meno di ventiquattro ore riuscirono a
raggiungere Smith Falls.
Appena
giunti in città, Erik cercò un elenco telefonico e una cabina per poter
chiamare il suo vecchio conoscente: era un mutante anche lui e quindi Magneto era certo che non lo avrebbe tradito, consegnandolo
all’ONU.
Per
fortuna l’uomo abitava ancora là, fu sorpreso nel sentirsi contattato, ma ne fu
lieto e, molto gentilmente, andò a prenderli in stazione, li portò a casa sua e
li fece rifocillare, infine chiese che cosa fossero andati a fare.
Il
mutante, di nome Caleb, si era presentato imbacuccato
da capo a piedi, non solo con un lungo cappotto e un grosso cappello, ma anche
con guanti a manopola e una sciarpa che gli copriva perfino il naso, lasciando
intravedere solo gli occhi: eppure non faceva troppo freddo. Arrivati
nell’abitazione, però, fu chiaro anche a Virginia il perché l’uomo si fosse
vestito in quel modo: la mutazione aveva dato a Caleb
l’aspetto simile a quello di un rettile, la sua pelle era squamosa e
verdognola, le mani erano palmate, la lingua lunga e biforcuta.
Erik
riferì a grandi linee tutto quanto e spiegò la sua idea per rintracciare la
base di Stryker.
“Conta
pure su di me, Magneto, lo sai che quando c’è da dare
una lezione a chi fa del male ai mutanti, io mi schiero subito. Signorina, non
mi fraintenda, non sono un attaccabrighe, mi piace la mia tranquillità, ma se
posso aiutare a evitare qualche ingiustizia, lo faccio volentieri.”
“Lei
come vive qui? Nasconde il suo aspetto, mi pare di aver capito.” osservò Virginia.
“Quando
devo andare in qualche posto che solitamente non frequento, sì mi copro il più
possibile, ma in altre occasioni no. Ho convinto la gente che conosco di essere
affetto da una di quelle malattie genetiche rare, un po’ da fenomeno da
baraccone. Certo ci sono gli imbecilli che mi evitano o mi offendono, ma
sinceramente me la rido di loro. Ho comunque buoni amici che si sono abituati
al mio aspetto; mi vogliono bene per la mia simpatia e perché produco il whisky
più buono di tutto l’Ontario.”
Erik
intervenne: “Il fatto che tu sia costretto a definire la tua mutazione una
malattia e a nascondere i tuoi poteri, la dice lunga su come si possa sperare
nell’integrazione che auspica Charles. Va beh, non parliamone, preoccupiamoci
di Stryker e basta.”
Non fu
affatto facile trovare la base di Stryker. Erik,
infatti, non aveva considerato quante strutture con parti metalliche
esistessero, anche a livello sotterraneo. Presto decisero di limitare le
ricerche nei luoghi ritenuti disabitati, in questo modo sarebbe stato più
semplice individuare basi segrete. Il territorio era comunque molto vasto e
dovettero viaggiare diversi giorni, fino ad arrivare nella zona dell'Alberta,
prima di trovare qualcosa.
Era una regione
molto fredda, con boschi di conifere e neve, c'era anche una diga per contenere
un impetuoso fiume. L'occhio non scorgeva nulla, ma Magneto
poteva sentire le tubature, i portoni pesanti, i computer, le armi e ogni altra
traccia di metallo che si nascondeva all'interno della montagna.
“Sei certo
che il posto sia questo?” domandò Caleb spaesato “Non
voglio certo mettere in dubbio le tue capacità, però, a parte la diga, qua
sembra proprio ci sia solo la natura.”
“Quella diga
nasconde molto.” rispose Magneto, imperturbabile
“Quel che non posso sapere è se là dentro c'è Stryker.
Pensiamo a come procedere.”
L'altro uomo
disse: “Dobbiamo stare ben attenti a non fare troppi danni o rischiamo che la
diga si rompa e finiamo tutti a salutare i pesci. Purtroppo io sono solo
rettile e non anfibio, quindi nemmeno io sopravvivrei.”
Virginia
intervenne: “Io posso manipolare l'acqua, ma non credo di poter fare molto in
un'eventualità del genere. Caleb, tu cosa sei in
grado di fare esattamente?”
“Con la mia
mutazione posso rigenerarmi, ho una forza notevole e posso sparare dalle mani
degli aculei velenosi, ma ne ho un numero limitato a disposizione: dieci in
tutto, poi devo farmi una bella dormita per riformarli. Ad ogni modo so
combattere, Magneto lo sa bene.”
Erik riprese:
“Dobbiamo essere rapidi e diretti, arrivare al centro il prima possibile. Una
volta che sarà dato l'allarme e che scatteranno i protocolli di sicurezza, per
noi la situazione sarà più difficile. Niente perdite di tempo, bisognerà
eliminare i soldati che ci verranno addosso senza troppo estro.”
La donna gli
disse: “Ricordi quello che ha detto Xavier? Sarebbe
meglio limitare il più possibile i morti.”
Magneto sbuffò e ribatté: “Neutralizzare soldati, che ti
vogliono uccidere, senza ammazzarli, è pericoloso per noi ed è lentezza. Io
potrei usare il ferro per legarli, tu non lo so: se hanno uniformi ignifughe
come gli altri, non potrai rinchiuderli in cerchi di fuoco. Con l'acqua
potresti al massimo bloccare loro mani e piedi nel ghiaccio, ma non credo molto
altro. Caleb, invece, sarebbe praticamente inattivo.”
Il mutante
rettile disse: “Non ti preoccupare. Voi aprite la strada, io vi coprirò le
spalle, colpendo chi vi sfugge.”
Erik annuì e
li spronò: “D'accordo. Siamo in tre, non conosciamo il posto, ignoriamo le loro
forze ... non possiamo elaborare un piano più dettagliato, quindi andiamo e
mostriamo loro cosa possono i mutanti.”
“E uno per
tutti e tutti per uno!” esclamò Virginia, per poi aggiungere: “Nessuno ha letto
i tre moschettieri? Ci stava bene come citazione.”
Si
avvicinarono rapidamente, Erik aveva individuato delle telecamere vicino
all'entrata, le staccò di netto coi suoi poteri e poi scardinò il portone senza
difficoltà. Tutti e tre corsero nel corridoio per un paio di centinaia di
metri, prima di imbattersi nel primo manipolo di soldati. Magneto
usò il loro stesso equipaggiamento per bloccarli: trasformò le loro armi in un
flusso di metallo che li attaccò al muro prima di risolidificarsi.
I soldati successivi ebbero in parte il medesimo trattamento, mentre altri si
ritrovarono immersi nel ghiaccio fino alle spalle. Soltanto dopo Virginia si
sentì in colpa, teme do potessero morire assiderati.
Raggiunsero
finalmente l'area più centrale della base, sembrava composta da celle e
laboratori. Ciò fece adirare sia Erik che Caleb,
infatti non si preoccuparono molto della vita dei successivi soldati.
Non sapevano
bene dove dirigersi, non riuscivano ad individuare dove potesse trovarsi Stryker. Si fermarono per osservare meglio, decisero di
separarsi per un paio di minuti per esplorare i corridoi che partivano dalla
stanza in cui si trovavano.
Diedero
rapide occhiate per poi ricongiungersi subito: non volevano rischiare di
trovarsi da soli di fronte a chissà quali nemici.
“Avete
notato?” chiese Virginia, raggiungendo gli altri due “Sembra che questa base
non sia ancora operativa. È come se avessero approntato tutto, ma che debba
ancora entrare in funzione.”
“Il fatto
che sia ancora inutilizzata è una consolazione a metà.” commentò Erik.
Caleb si intromise: “Penso di sapere dove avere risposte.
In fondo al mio corridoio ho trovato una scala che sale e mi pare che
l'intonaco e l'arredamento siano più da ufficio, piuttosto che da laboratorio.”
“Strykerdev'essere là, barricato,
suppongo. Prepariamoci, il grosso dei soldati deve trovarsi lì, quindi ci sarà
da combattere duramente.”
Agguerriti,
i tre mutanti salirono le scale e si trovarono in un altro corridoio pieno di
soldati che aprirono il fuoco immediatamente. Magneto
si preoccupò di deviare le pallottole, rispedendole al mittente quand'era
possibile. Virginia usava dei getti d'acqua per sbalzare via gli uomini. Caleb aveva strappato un fucile d'assalto a uno dei nemici
e aveva iniziato a sparare contro gli altri.
In breve
sgomberarono il corridoio e raggiunsero la stanza che i soldati stavano
proteggendo. Appena scardinata la porta, Magneto
sradicò le tubature dalle pareti per attorcigliarle attorno ai soldati. Vi
erano, però, anche degli uomini che sembravano funzionari, in giacca e
cravatta. Erano tuttavia armati pure loro e avevano già gli indici suoi
grilletti. Caleb, rimasto senza munizioni, ricorse ai
propri aculei velenosi e li scagliò contro quei cinque uomini.
L'effetto
del veleno non era immediato e impiegava alcuni minuti per uccidere. Erik ne
approfittò e disse: “Dov'è Stryker? Il primo che me
lo dice, riceverà l'antidoto.”
Gli uomini,
spaventati, iniziarono a parlare, sovrapponendosi l'uno all'altro. Fu chiaro
però il concetto: Stryker aveva lasciato la base da
due giorni, aveva radunata la sua speciale squadra d'azione e si era diretto a
Roma, il suo obbiettivo: catturare il professor Charles Xavier.
Ovviamente i
cinque uomini non ebbero salva la vita dal momento che non esisteva un antidoto
a quel veleno.
“Cerchiamo
prove per dimostrare che quel che hanno detto sia vero.” ordinò Erik.
“Non ti
fidi?” si stupì Caleb “A me parevano alquanto
sinceri.”
“Sì, ma
voglio che l'ONU sia informata. Andrò a salvare Charles e non voglio rischiare
che le mie intenzioni vengano fraintese e che quelli si intromettano dalla
parte sbagliata. Caleb, fruga ovunque: archivi
cartacei e anche in quei computer, non si sa mai. Virginia, aiutami, liberiamo
i soldati immobilizzati e diciamo loro che si allontanino alla svelta se
vogliono vivere: voglio distruggere questo posto.”
“Perché?” si
stupì laragazza “La NATO dovrebbe
vederla e ...”
“Preferisco
evitare che si impossessi di queste apparecchiature, non vorrei che le usassero
loro.”
Dopo aver
liberato i soldati stretti dalle tubature, Erik e Virginia uscirono dalla stanza,
scavalcarono i corpi nel corridoio e scesero le scale.
La donna
chiese: “Li salverai davvero i soldati sopravvissuti finora? O è come la
promessa fatta ai tizi là dentro?”
“Quegli
uomini erano ormai già morti ed erano gli unici a poterci dare delle
informazioni. Pensi che queste guardie sappiano dove sia Stryker?
Dovevo ottenere quelle informazioni, non mi sentirò in colpa per aver mentito.”
Rimasero in
silenzio, finalmente raggiunsero gli altri soldati bloccati e pian, piano li
liberarono. Quelli si stupirono di essere stati graziati e si allontanarono
rapidamente e felici. I due mutanti non si erano parlati durante quella
operazione, ma prima di tornare da Caleb, Virginia
domandò: “Sei molto preoccupato per Xavier, vero?”
Erik, il cui
volto era bloccato in una delle sue espressioni più severe e cupe, rispose:
“Sì. Non posso pensare che facciano del male a Charles. Lui è pacifico,
diplomatico, la persona meno minacciosa che conosco, eppure quel dannato Stryker se la sta prendendo con lui! Non posso pensare a
una pacifica convivenza con gli umani, se c'è chi se la prende con chi li ha
sempre difesi. Stryker, prima con Trask
e ora da solo, ha spezzato la vita di molti mutanti e non lo perdonerò mai per
questo, ma Charles non lo deve toccare. Se succede qualcosa al mio amico, Stryker si augurerà la morte, piuttosto che cadere in mano
mia.”
“Non avevo
capito quanto fossi legato a Xavier. Avevo visto che
eravate molto amici, cosa che non sospettavo affatto, prima di conoscervi. Dopo
lo sventato attentato a Nixon, per come vi mostravano le televisioni, si
sarebbe detto che tu e il professore foste nemici, infatti mi sono parecchio
meravigliata quando ho scoperto che non era così. Adesso mi pare di capire che
il vostro affetto sia molto profondo.”
“Sì. Nonostante
il periodo trascorse assieme sia esiguo, io credo che Charles sia il mio
migliore amico e di esserlo io per lui. Lo dico perché io sono l’unico che lui
tratti come una persona alla pari e non con il rapporto professore-allievo con
cui ormai tratta tutti; pensa che si ostina a dire di avere cresciuto Raven, quando lei ha appena un paio d’anni in meno di lui.
Il fatto è che una volta avevamo un obbiettivo comune, ancora non ci eravamo
resi conto che volevamo perseguirlo tramite strade ben diverse, abbiamo
iniziato a costruire qualcosa. Abbiamo cercato mutanti, li abbiamo addestrati,
abbiamo partecipato a missioni … tutto in pochissimo tempo, eppure è bastato
per consolidare un legame profondissimo. Dopo l’aver perso tutta la mia
famiglia, non ho più istaurato veri legami affettivi; in orfanatrofio e poi
fuori frequentavo la gente che trovavo simpatica, ma senza affezionar mici,
senza darvi importanza se mi stufavo di loro o i fatti mi portavano altrove, mi
separavo senza difficoltà, di molti di loro non ricordo né i nomi, né le facce.
Prendevo dagli altri quel che mi faceva comodo al momento e poi addio, insomma,
li sfruttavo; anche perché avevo in mente solo la vendetta, del resto nulla mi
importava. Conoscere Charles è stato diverso. Sì, inizialmente volevo solo il
suo aiuto per trovare Shaw, ma poi ho iniziato a non vederlo più come un mezzo
per ottenere qualcosa. Ho dato importanza a lui come persona e non a ciò che
poteva fare per me.” si percepiva la fatica di Erik nel parlare di ciò “Gli
sono diventato amico. È come un fratello per me, quindi al diavolo le
divergenze di opinione.”
“È bello
avere amici di questo genere, sono molto rari e i migliori.” osservò Virginia,
poi si mise di fronte all’uomo, gli appoggiò le mani sul petto e gli disse:
“Farò qualsiasi cosa per aiutarti a salvare il tuo amico.”
Erik le
sorrise, poi la baciò. Virginia ricambiò, serenamente. Si era ormai abituata a
quei baci che ogni tanto riceveva dall’uomo e ne era felice. La prima volta che
le loro labbra si erano toccate, lei si era sentita tremare da capo a piedi; l’emozione
aveva fatto vibrare tutto il suo corpo e un’agitazione mai provata prima l’aveva
animata per diverse ore, aveva avuto in mente solo quel prima bacio e tutto il
resto del mondo le era sembrato confuso. Superato quello scombussolamento
iniziale, però, si era tranquillizzata e nei giorni successivi aveva accolto
ogni bacio serenamente.
“Grazie” le
disse Erik “Conosci appena Charles, eppure dici di essere pronta a tutto per
salvarlo.”
“È naturale,
se lui è importante per te, allora lo è anche per me. Hai sofferto già molto
nella vita, farò tutto il possibile per evitarti altri dolori: non li meriti. Meriti
di avere amici, qualcuno che ti ami e che voglia il tuo bene, una vita dove non
ci sia solo violenza.”
“La violenza
è nella mia vita, non so immaginare un’esistenza senza lotta.”
“C’è
differenza nel combattere per odio, vendetta e distruzione, dal combattere per
giustizia e per costruire qualcosa. Le stesse guerre hanno nobiltà differenti
per chi le affronta con rabbia e chi col desiderio di rinascita. Erik, ho
capito che tu sei un guerriero e non cercherò di cambiarti, vorrei solo
aiutarti a capire che la tua tempra e le tue abilità possono essere alimentate
anche da altro, oltre che dal nero fuoco che ti ha consumato finora. Tu credi
di essere caratterizzato dall’odio e dalla vendetta, di perdere te stesso se le
accantonerai. Io ritengo che in te ci sia molto di più che tu possa trovare
sentimenti più nobili e benefici per muovere la tua lotta. L’odio che domina il
tuo animo ha bisogno del tuo dolore per alimentarsi e quindi ti costringerà a
soffrire, a lasciare sempre aperte le tue ferite e impedirti di crescere. Tu puoi
trovare in te risorse molto più potenti e che non si nutrano delle tue
sofferenze.”
Erik rimase
sorpreso da quelle parole: aveva sempre pensato che la vendetta avrebbe spento
il suo dolore e, invece, una volta ucciso Shaw, il suo odio aveva cercato
qualcun altro, gli umani, verso cui indirizzarsi. Effettivamente si rendeva
conto che, oltre la sua facciata di severità e sicurezza, ardeva un fuoco che
sferzava il suo animo e lo spingeva a cercare ristoro nello sfogare la propria
rabbia su quelli che riteneva nemici. A volte era come se fossero quell’odio e
quel dolore a scorrergli nelle vene al posto del sangue.
Anche Charles
gli aveva detto che in lui c’era altro oltre che la sofferenza e l’ira; lui però
non lo aveva ancora trovato. Forse aveva paura di scoprire che cosa ci fosse,
forse temeva che, spento quel fuoco nero, non avrebbe trovato altro che cenere,
forse credeva di smarrirsi, di perdere la propria forza, la ragione di vita.
Trovandosi di
fronte a Virginia, però, sentiva che forse c’era davvero qualcosa di più in
lui, che forse poteva davvero nobilitare la propria lotta. In quel momento, più
di ogni altro passato, voleva scoprire se davvero c’era altro, oltre che rabbia,
in lui.
Non disse
tutto questo alla ragazza, si limitò a osservare: “Sai, anche Charles dice che
c’è pure del bene in me, dice di averlo sentito. Lui, però, è un telepate, ha frugato nella mia mente. Tu come puoi dirlo?”
“Non lo so. Semplice
sensazione, intuito. Abbiamo viaggiato assieme e ho visto che hai mostrato
preoccupazione per le sorti degli altri, sete di giustizia, questi sono
sentimenti che vanno oltre la vendetta. Inoltre tutti le persone nascono con gli
stessi sentimenti, istinti ed emozioni, i casi della vita, l’educazione e le
circostanze esaltano alcuni aspetti piuttosto che altri in ciascuno di noi, ma
non cancellano quelli inutilizzati. Restano lì, in attesa di essere
risvegliati. Si può sempre cambiare, si può sempre scegliere che cosa essere. Non
siamo vittime degli eventi, siamo padroni del nostro destino. Certo, non
possiamo scegliere ciò che ci accadrà, ma possiamo decidere come reagire e come
farci influenzare.”
“Mi stupisci.
Sono parole piene di speranza, quasi di amore per la vita … sono dissonanti
dall’atteggiamento di disincanto e delusione che mi hai mostrato finora,
soprattutto in medio oriente.”
“Hai
ragione, ma prima ero rassegnata al destino che mi era imposto dalla famiglia,
mi sforzavo di avere una visione delle cose che meglio mipermettesse di adattarmi a ciò che mio padre
e i miei fratelli volevano. Da quando ho deciso di fuggire, mi sento più
libera, più padrona di me. Certo non mi aspetto rose, fiori e fiumi di latte e
miele, ma mi sento meno scoraggiata. Penso che il disinteresse per il mondo
dimostri una gran paura di fallire. Ce l’ho ancora, ma cerco di superarla. Non voglio
restare in panchina per tutta la vita, giacché sono qui, tanto vale giocare.
Ricordi quando ti parlai dello zoroastrismo? Per loro ogni uomo e donna è
chiamato a combattere o per Oromaze o per Arimane, l’ignavia non piace a nessuno. Ho deciso quindi di
cambiare, di lasciare meno le cose al caso e prendermi più responsabilità,
senza nascondermi dietro alla scusa che le cose sono sempre andate male e
sempre rimarranno tali.”
“Brava, mi
piace la tua propositività. Mi piace quando sei
solare. Nei tuoi momenti malinconici mi hai mostrato una sensibilità profonda
che mi ha colpito parecchio, ma quando sei di buon umore, sembra che tu possa
fare qualsiasi cosa.”
“Oh … grazie
…” la giovane si sentì in imbarazzo “Pensa, allora, a quel che potresti fare
tu, se trovassi il tuo lato positivo, orientale.”
“Orientale?”
“Sì, da un
punto di vista metaforico, non geografico. L’occidente è il luogo del tramonto
e della morte, l’oriente è il sorgere del Sole e della vita.”
Erik tacque
alcuni momenti, poi cambiò argomento: “Torniamo da Caleb,
forse sarà preoccupato e, in ogni caso, sarà bene aiutarlo a setacciare la
documentazione.”
Ritornarono dall’amico
e frugarono assieme a lui in varie stanze, trovarono cartelle piene di
progetti, annotazioni sui mutanti, libri contabili, ma nulla che parlasse dell’idea
di Stryker di rapire Xavier,
durante il suo periodo a Roma.
“Dannazione!”
esclamò Magneto, dopo ore di inutile ricerca “Oggi
che giorno è? Il 16 dicembre? Charles è già a Roma, è già in pericolo, anzi
potrebbe essere già stato preso e non abbiamo modo di avvertirlo!” ogni oggetto
metallico nel raggio di qualche decina di metri si stata contorcendo; l’uomo
poi si calmo e con fredda lucidità disse: “Virginia, usa il fuoco per aiutarmi
a distruggere questo posto; dopo tu e Caleb
raggiungerete la scuola di Charles e riferirete tutto ad Hank o Raven o Havoc o chiunque altro
abbiano lasciato a gestire le cose lì. Io, invece, andrò a New York, al Palazzo
di Vetro, e riferirò di Stryker all’ONU.”
“Cosa?!”
esclamò la donna “Ti arresteranno!”
“Pazienza,
se serve ad evitare che Charles cada nelle mani di Stryker,
lascerò che mi arrestino.”
“Possiamo
andare noi a parlare con quelli dell’ONU.” ribatté la giovane.
“Non vi
riceverebbero, non siete conosciuti e, inoltre, non abbiamo trovato alcuna
prova: è solo la vostra parola, non verreste ascoltati. Se mi presento io,
invece, dovranno credermi: insomma, se mi metto in mano loro pur di farmi
ascoltare, non potranno dubitare della mia parola.”
“Allora solo
Caleb andrà alla scuola” dichiarò Virginia “Io vengo
con te.”
“Ti
crederanno una mia complice e arresteranno anche te, non voglio che ti accada.”
“Voglio
esserti vicino in un momento così delicato, anche a costo di rimetterci, non ti
lascio solo.”
Quelle ultime
quattro parole furono come un lungo e delicato soffio che ravvivò delle braci
sotto la cenere nell’animo di Erik.
L’uomo mosse
le labbra in un lieve sorriso, di cui forse neppure si accorse, e si limitò a
dire, quasi in un sussurro: “Grazie.”
Decisero dunque
come agire. Magneto distrusse ogni cosa metallica
fosse presente nella base, dalle apparecchiature, alle porte, mentre Virginia
diede fuoco dapprima ai documenti e poi a tutte le stanze, man mano che si
avviavano verso l’uscita. Furono fuori dalla struttura sani e salvi, prima che
l’incendio sfuggisse al loro controllo. Avevano controllato se per caso ci
fossero mezzi di trasporto in un qualche garage o hangar e avevano trovato
alcuni fuoristrada, ne avevano portato fuori uno, prima di distruggere tutto. Caleb recuperò la propria automobile e partì alla volta
della scuola per mutanti, mentre gli altri due usarono il mezzo rubato per
raggiungere New York.
Viaggiarono per
tutta la notte, fermandosi solo per fare benzina, per fortuna il veicolo poteva
raggiungere grandi velocità. Arrivarono al Palazzo di Vetro attorno alle 7 del
mattino, proprio quando stava aprendo.
Tutti i
funzionari si stupirono nel vedere Erik Leinsher fare
il proprio ingresso e lo stupore fu ancora maggiore quando non li aggredì.
“Devo
parlare al più presto con qualcuno che abbia potere decisionale.” esordì il
mutante a gran voce.
Si fecero
avanti delle guardie, armate di pistole di plastica, costruite apposta per
affrontare Magneto; uno disse: “Signor Leinsher, la devo dichiarare in arresto. Si arrenda e sollevi
le mani sopra la testa, in caso contrario apriremo il fuoco.”
Erik alzò le
braccia, dicendo: “Io mi consegno, ma devo assolutamente parlare con urgenza a
qualche membro dell’ONU e non a semplici impiegati o burocrati. Per favore, ho
delle informazioni che riguardano la sicurezza del professor Xavier, fatemi parlare con qualcuno, non fatemi pentire di
non aver agito da solo.”
La guardia
non disse nulla, ma si avvicinò al mutante e lo ammanettò. Viriginia,
allora, si fece avanti e ribadì: “Vi prego, dobbiamo informare …”
“Stia
indietro, signorina, non si immischi. Anzi, ci fornisca le sue generalità,
dobbiamo controllare chi è lei.”
La giovane
mostrò i documenti e continuò a ribadire che era necessario che parlassero con
qualcuno e così ripeteva anche Erik che venne portato in una stanza, in attesa
che arrivassero soldati NATO a prenderlo in consegna. Nel frattempo erano stati
avvisati alcuni membri dell’ONU, residenti a New York che subito giunsero per
capire come gestire la cattura di Magneto. Sentendo l’insistenza
con cui veniva chiesta un’udienza, si decisero, infine, ad ascoltare l’uomo e
la giovane.
Trovatisi sei
membri dell’ONU e i due mutanti nella stessa stanza, con le guardie a
sorvegliare, finalmente Erik poté rilasciare le proprie dichiarazioni: “Il
maggiore Stryker ha intenzione di rapire il professor
Xavier, durante la permanenza a Roma.”
“Impossibile.
In Italia sono quasi le 13 e la delegazione ONU con Xavier
sta per lasciare Roma alla volta di Teheran, proprio in questi minuti.”
“Allora avrà
rimandato, ma dovete credermi: Xavier e chi lo
accompagna sono in pericolo.”
“Ha qualche
prova di ciò? Lettere? Documenti? Un’intercettazione? Testimoni?”
“No.”
“Allora non
vedo perché dovremmo ascoltare le parole di un criminale come lei.”
“Sono venuto
qui, ben sapendo che sarei finito in prigione, di nuovo, solo nel tentativo di
fare del bene, di nuovo; l’ho fatto per la salvezza di Charles … e degli altri
uomini, perché dovrei farmi arrestare e mentire?”
“Non lo so
che cosa accade nelle vostre menti contorte.”
In quel
momento, entrò nella stanza un segretario che, accendendo il televisore,
esclamò: “Guardate che cosa sta accadendo all’aeroporto di Fiumicino!”
Un’edizione
speciale di un telegiornale stava mostrando le immagini di un commando armato
che stava combattendo ad un terminal d’aeroporto. Il giornalista raccontava: “Pochi
minuti fa un gruppo di terroristi ha provocato un attentato all’aeroporto di
Roma. Il loro obbiettivo erano alcuni passeggeri, non ancora identificati. Il commando
pare composto da una decina di uomini che, armati di fucili mitragliatori e
granate, nascosti nel bagaglio a mano, le hanno estratte al terminal e hanno
aperto il fuoco, uccidendo due persone. Successivamente, hanno fatto irruzione
in un aereo della Pan Am in partenza per Beirut-Teheran,
rimasto a terra per un leggero ritardo, e hanno prelevato diversi ostaggi,
prima di abbandonarlo lasciando esplodere al suo interno due bombe incendiarie
al fosforo. Il numero dei morti non è sicuro, ma si aggira attorno alla
trentina, tra le vittime anche una bambina di nove anni. I terroristi hanno
sequestrato un altro aereo della Lufthansa, portandovi a bordo gli ostaggi. È stato
ucciso anche Antonio Zara, militare della guardia di finanza, che ha tentato di
fermare, da solo, i terroristi sulla pista. Al momento ignoriamo chi e perché
abbia voluto questo sequestro e questo massacro. Si attendono rivendicazioni e
richieste di riscatto. Per il momento è tutto, vi aggiorneremo con gli
sviluppi, non appena giungeranno notizie.”
Spensero la
televisione. I sei membri dell’ONU si scambiarono occhiate preoccupate e piene
di imbarazzo.
Erik, con
una voce fremente per la rabbia, domandò: “Charles era su quell’aereo?”
Virginia,
che avendo la fedina penale pulita era ancora libera, appoggiò una mano sulla
spalla dell’uomo e gli disse dolce ma severa: “Erik, calma. Anche se questi
uomini ti avessero creduto subito, non avrebbero potuto fare nulla per evitare
quanto accaduto. Adirarsi, adesso, non serve a nulla. Pensiamo a cosa fare ora
per risolvere la situazione.”
Quelle parole
parvero placare davvero Magneto che, con tono più
pacato, propose agli uomini che aveva davanti: “Permettetemi di organizzare una
piccola squadra d’azione per salvare chiunque si trovi prigioniero su quell’aereo,
suppongo che ci siano anche dei vostri uomini.”
I sei si
guardarono, sentendosi in difficoltà, infine uno di lorosi limitò a dire: “Leinsher,
lasciaci il tempo di capire esattamente la situazione e di consultare il consiglio,
non possiamo prendere da soli una simile decisione. Inoltre, suppongo tu voglia
qualcosa in cambio, per il tuo aiuto.”
“No. Voglio salvare
il mio amico e nessuno dei vostri eserciti può farlo. Sono disposto a promettere
che mi riconsegnerò a voi, una volta risolta la faccenda, pur di prendere parte
a questo salvataggio. Stryker non chiederà un
riscatto per Xavier, nel migliore dei casi lo
torturerà con esperimenti, nel peggiore troverà il modo per usare le sue
capacità come un’arma.”
“Lo terremo
a mente.”
I sei uomini
uscirono dalla stanza, rimasero fuori meno di un’ora, ma quell’attesa fu
interminabile per Erik e Virginia. Infine entrarono nella stanza molti più
uomini di quelli che erano usciti e uno di loro cominciò a parlare: “Abbiamo
fatto accertamenti ed è risultato che, effettivamente, l’autore dell’attentato
a Fiumicino sia Stryker coi suoi uomini. Oltre all’equipaggio
dell’aereo che ha rubato, ha rapito il professor Xavier
e i diplomatici ONU che lo accompagnavano. È un errore e un imbarazzo che non
possiamo permetterci, stiamo lavorando per far ricadere la colpa sui
palestinesi. Abbiamo deciso di accordarle il permesso di scegliere gli uomini
che riterrà più adatti per risolvere questa incresciosa situazione. Se davvero
riuscirà a sistemare le cose, senza che nessun ostaggio muoia, come segno di
gratitudine faremo cadere tutte le accuse contro di lei e non sarà più un
ricercato.”
“Quand’è
così, farò ancorpiù del mio meglio. Charles
viaggiava da solo? Non c’erano altri mutanti con lui?”
“Sì, c’erano
Hank McCoy e Raven Wagner. Risultano tra i superstiti
alle bombe al fosforo, anzi pare abbiano dato un grande aiuto a portare via i
feriti ed evitare ulteriori morti.”
“Bene. Posso
formare la mia squadra d’azione come preferisco?”
“Sì, data la
situazione, siamo costretti a darle carta bianca. Sarò franco, non ci piace
molto l’idea di assegnare questa missione a lei, che fino ad ora si è sempre
dimostrato un nemico, tuttavia le circostanze paradossalmente indicano che
dobbiamo affidarci a lei. Spero che ci dimostrerà che le nostre perplessità non
sono fondate. Ci dica chi e cosa vuole per la sua squadra, le forniremo tutto. Ha
già un piano d’azione?”
“Qualche
idea. Prima, ditemi, l’aereo è sempre sui vostri radar?”
“Non lo
perdiamo di vista; non possiamo ingaggiare battaglia, ma lo bracchiamo.”
“Capisco,
evidentemente il furto dell’aereo è stato un piano di ripiego, devono avere
avuto un imprevisto e ora non sanno come fare a raggiungere i loro rifugi senza
trovarsi la NATO addosso. Starà temporeggiando in attesa di capire come
trattare per la fuga. Prima o poi dovranno fare rifornimento, ovviamente
minacceranno di uccidere gli ostaggi, se la pista non sarà sgombra. Sarà in
quel momento che dovremo introdurci nell’aereo.”
“In che
modo? Ha appena detto che la presenza di altre persone metterebbe a rischio l’incolumità
dei prigionieri.”
“Già, per
questo voglio il teleporta che sta nella scuola di Charles e anche il mio amico
Caleb chesi
trova pure lui là. Poi recuperiamo Hank e Mystica e
la mia squadra sarà al completo. Vorrei tute protettive e un aereo abbastanza
veloce per atterrare all’aeroporto che Stryker
sceglierà per il rifornimento prima di lui. Anzi, facciamo così, date ordine a
tutti gli aeroporti di negargli l’atterraggio, in modo da costringerlo a
scegliere quello di Atene. Su, prepariamoci, dobbiamo partire al più presto.”
Tutti quanti
quegli uomini lasciarono la stanza e si misero d’impegno per procurare il
materiale, contattare le persone ed essere pronti a far partire la missione. Prima
di raggiungerli e unirsi ai preparativi, Erik rimase qualche minuto solo nella
stanza con Virginia.
La donna gli
chiese: “Verrò anch’io, vero?”
“No. Non insistere.
Saremo in un aeroplano a diecimila metri d’altezza, non puoi venire: i tuoi
poteri rischiano di creare più guai che risolverli. Per la sicurezza di tutti è
bene che tu resti a terra. Hai visto, ho chiamato solo gente che sia adatta al
corpo a corpo, non ho voluto nemmeno Havok, proprio
perché i suoi poteri, proprio come i tuoi, rischiano di peggiorare la
situazione. Quindi, non sentirti offesa.”
Virginia annuì:
capiva perfettamente. In effetti era vero che lei non poteva rendersi granché
utile su un aereo in volo. Mise le braccia attorno alle spalle dell’uomo, si
strinse a lui, i loro corpi erano a contatto, sentivano il calore l’uno dell’altra,
i toraci muoversi col respiro. Lei gli diede un rapido bacio e si raccomandò: “Sta
attento!” lo baciò di nuovo “Promettimi che tornerai da me” un altro bacio “Non
posso stare senza di te, adesso che ti ho conosciuto.”
Si scambiarono
un altro bacio ancora, molto più lungo e appassionato dei precedenti.
Erik osservò:
“Non mi avevi mai detto qualcosa di così carino.”
“Beh … ecco …”
la donna si era imbarazzata.
“No, non c’è
bisogno che tu dia spiegazioni.” Erik aveva notato i tremori che percorrevano
la donna, per cui non voleva metterla maggiormente a disagio.
“In realtà,
forse qualcosa dovrei dirlo. Insomma, se la missione dovesse andare male? Forse
dovrei dire tutto adesso … ma, mi sento così frastornata … confusa …”
“Non ti
preoccupare. Io vado a salvare Charles, tu riordini le idee e poi mi dirai quel
che devi.”
“No! Io voglio
che tu ritorni, ma se non dovesse succedere, non voglio avere il rimpianto di
non averti detto tutto.”
“Se vuoi
parlare adesso, parla. Non preoccuparti, però, di usare parole ricercate o
immagini poetiche particolare. Sii semplice e diretta: non hai bisogno di
impressionarmi, mi hai colpito già da molto tempo.”
“Io …
incontrarti mi ha cambiato la vita, mi ha salvata. Tu mi hai dato la forza di
cambiare … Io ho iniziato una nuova vita perché c’eri tu; non ho mai avuto il
coraggio di dirlo ad alta voce, ma in queste ultime settimane, io mi sono
immaginata il mio futuro al tuo fianco … ti prego, non spaventarti per quel che
ho detto. Non ho pretese, assolutamente … è solo che volevo che sapessi quanto
sei importante per me, ecco tutto.”
Erik non
insisté, capiva bene che quelle parole erano già state un grosso sforzo per la
giovane. Si limitarono a guardarsi e a baciarsi ed entrambi si chiesero,
soltanto nel pensiero, se prima o poi avrebbero avuto il coraggio di osare dire
a voce le parole: ti amo.
In
meno di un’ora, Erik, Caleb e il teleporta, che si
chiamava John, erano pronti per partire da una base Nato per l’Europa. L’aereo
militare li trasportò molto più velocemente di quel che avrebbe potuto fare un
qualsiasi mezzo civile. Arrivarono ad Atene, dove ad attenderli trovarono Hank
e Mystica che, informati di quanto organizzato, erano
stati trasferiti subito in Grecia.
Raven ed Hank erano
rimasti molto stupiti della presenza di Magneto; non sapevano
se essere più meravigliati del fatto che l’ONU gli avesse affidato unamissione o che lui l’avesse accettata.
“Erik!
Che cosa ci fai, qui?” domandò Mystica, quando gli
agenti della Nato si furono allontanati e solo i mutanti erano appostati vicino
alla pista d’atterraggio, in attesa che l’aereo atterrasse per il rifornimento.
“Come
è già stato detto, salvare Charles. Non crederai che sarei capace di lasciarlo
nelle mani di Stryker, spero!”
“No”
disse Hank “Ma io mi sarei aspettato che te la prendessi con l’ONU per aver
messo in pericolo il professore e poi saresti andato a cercarlo da solo.”
“In
effetti, ci avevo pensato.”
“Scommetto
che è stata quella ragazza a farti cambiare idea.” intervenne Caleb.
“Quale
ragazza?” domandò Raven “Quella che hai trovato a
Gerusalemme? Quindi ti sta seguendo ancora? Perché non è qui?”
“Eri
meno curiosa, una volta. Comunque, sì, Virginia ed io viaggiamo ancora assieme,
probabilmente continueremo a farlo per molto tempo. Non è qui perché non è
adatta a questa missione.”
Raven rimase in
silenzio qualche momento, poi chiese: “Ma tu … con lei … è come quando abbiamo
avuto il nostro periodo, dieci anni fa?”
“No,
direi decisamente di no.” tacque qualche momento “Ma si può sapere perché ti
interessa?”
“Vorrei
solo capire qualcosa in più di te. Se sei cambiato in nove anni di prigione, in
quale modo. Se metterai anche lei in pericolo, come quando hai cercato di
uccidere me; se hai imparato a dare importanza alle persone e non trattare
tutti solo come soldati o strumenti. Charles si ostina a vedere del buono in
te; a volte penso che sia accecato dal troppo affetto. È vero, per molto tempo
sono stata convinta che tu avessi ragione, ero contagiata dal tuo odio e
credevo che tutti odiassero noi; me ne autoconvincevo,
vedevo odio, scherno e disprezzo da parte degli umani, anche quando non era
vero, quando era solo una suggestione che mi creavo per rassicurarmi di essere
io nel giusto e gli umani nel torto. Charles mi ha aiutata a capire che,
nonostante l’odio di molti, c’è anche chi ci accetta. Sono pochi, per ora, è
vero, ma mi basta per non condannarli tutti, sperare nel cambiamento e
aspettare che uno faccia del male, prima di considerarlo un nemico. Conosco il
tuo pensiero, ricordo la tua rabbia e, anche se credevi di agire per il bene
dei mutanti, sei un assassino, io non riesco a vedere altro. Charles, invece,
non è d’accordo e allora voglio cercare di capire se sbaglio io oppure lui,
voglio conoscerti di più per capire se mi sia sempre sfuggito qualcosa di te,
oppure no.”
“E
credi che farmi domande su Virginia serva a tale scopo?”
“Non
sono su di lei ma su come tu ti relazioni con lei. Visto che in passato ti ho
conosciuto sotto un certo aspetto, penso sia interessante vedere come lo vivi
adesso.”
“Stiamo
aspettando l’aereo per salvare Charles e tu vuoi parlare di queste cose?”
“Attendere
in silenzio non farà passare il tempo più velocemente.”
“Bene,
ma sarò sintetico: tra me e te c’era passione, attrazione, ma tutto
assolutamente superficiale ed effimero. Con Virginia la passione deve ancora
divampare, ma ci siamo toccati a un livello molto più profondo che, forse
lentamente, ci permetterà di ottenere qualcosa di solido e duraturo.”
Erik
stesso si stupì di avere parlato così schiettamente; forse l’insistenza di Mystica lo aveva spinto a dire tutto, oppure aveva
approfittato dell’occasione per dire a voce alta ciò che non riusciva a mettere
a fuoco dentro di sé.
Raven storse il naso
e commentò: “La passione è alla base di una relazione, se manca quella, vuol
dire che non sarete mai una coppia. Prima viene il trasporto fisico, poi si
vede se il legame si consolida o quanto dura.”
“Sì,
una volta lo pensavo anch’io, ma non mi ha mai reso veramente felice, credo.
Era semplice produzione di endorfine, serotonina e roba del genere. Solo fisico,
solo chimica. Con Virginia è una situazione completamente differente. Ha
iniziato a diventare sempre più importante per me, praticamente senza che me ne
accorgessi.”
“Non
sembra molto il tuo stile.”
“Credi
davvero di conoscermi?”
“Beh,
penso che ..”
“Ehi!”
li richiamò Hank “L’aereo è in fase di atterraggio. John, pronto a portarci
dentro?”
Il
teleporta annuì. Erano tutti piuttosto tesi; non avevano paura, ma quel
briciolo di nervosismo che rendeva più reattivi.
L’aeroplano
atterrò sulla pista dove era stata portata un’autobotte di carburante per
permettere il rifornimento. Scesero quattro uomini, abbandonarono un cadavere
sull’asfalto e poi iniziarono a riempire il serbatoio.
I
mutanti si strinsero tutti al teleporta che in un istante li portò all’interno
dell’aereo, precisamente nella stiva. Avevano deciso di nascondersi lì per
poter prima capire come fosse la situazione a bordo e poi decidere come agire,
senza perdere l’effetto sorpresa. Il teleporta, infatti si teletrasportò
rapidamente attorno e dentro l’aereo, senza mai farsi notare, per poter
riferire dettagliatamente agli altri quale fosse la situazione.
“Il
professore è addormentato, credo; gli hanno messo in testa delle cuffie, come
quelle per ascoltare la musica, ma non so cosa siano.”
“Inibiscono
i suoi poteri” spiegò Hank “Gliel’hanno messo appena hanno fatto irruzione
sull’altro volo. Hanno fatto un blitz talmente rapido che né io, né Raven siamo riusciti ad intervenire.”
“A
proposito” domandò Erik “Come mai non vi hanno catturati?”
“Il
professore era seduto con alcuni tizi dell’ONU, io e Raven
eravamo in un’altra fila. Entrambi avevano un aspetto umano e, quindi, ci
avranno scambiato per passeggeri normali, suppongo. Beh, John, che altro hai
visto?”
“Dunque,
il professore è tenuto legato vicino a Stryker, gli
altri sei prigionieri sono tenuti in coda all’aereo, disarmati e legati, con
tre soldati a sorvegliarli. L’equipaggio di bordo, invece, non è legato: il
pilota serviva a volare e lehostess
evidentemente non sono state ritenute unaminaccia. Comunque ci sono altri sei soldati che tengono sorvegliata la
situazione, uno è in cabina di pilotaggio, gli altri stanno seduti o girano
come preferiscono.”
“Gli
ostaggi tenuti legati sono membri dell’ONU o della NATO, giusto?” chiese Erik.
“Sì”
rispose Raven “Dall’altro aereo hanno sequestrato
quattromembri dell’ONU e due soldati
della scorta, oltre a Charles, ovviamente.”
“Liberare
loro per primi potrebbe fornirci un aiuto in più.” rifletteva Erik “Dunque, io
inizierò col far tremare e sobbalzare un po’ tutto quanto. John si
materializzerà in testa all’aeroplano e attirerà l’attenzione dei soldati, poi
tornerà qua e prenderà me, Caleb e Mystica. Voi due andrete a liberare gli ostaggi, poi
raggiungerete me che sarò nella parte centrale a pensare agli altri soldati.
Nel frattempo, John avrà portato Hank nella cabina di pilotaggio. Hank, anche
se non sei trasformato, pensi di essere in grado di sistemare la guardia che
sorveglia il pilota?”
“Sì,
ce la posso fare.”
“Bene.
Se succede qualcosa al pilota, prenderai i comandi, altrimenti raggiungi noi.
Tutto chiaro?”
I
mutanti annuirono e si prepararono all’azione. Magneto
cominciò a far vibrare il metallo dell’aereo. Il veicolo fu scosso in tutte
lesue parti. Il teleporta sparì dalla
stiva, per comparire nel mezzo della prima classe e attirare l’attenzione
dipiù gente possibile, prima di
scomparire per procedere col piano.
Portato
nel corridoio dell’aeroplano, Erik si affrettò ad attrarre a sé tutti gli
oggetti metallici che ci fossero nei paraggi per sottrarre armi ai nemici i
quali, purtroppo, erano stati equipaggiati con pistole in polimeri senza
metallo.
“Oh,
non speravo in così tanta fortuna!” esclamò Stryker,
alzandosi in piedi “Anche il famoso Magneto …”
Il
militare sollevo il braccio con cui impugnava una pistola e sparò alcuni colpi
contro Erik che fu abbastanza rapido per sradicare un sedile e usarlo come
scudo. Stryker allora puntò l’arma contro l’inerme Xavier e intimò: “Lheinsher,
arrenditi altrimenti lo uccido!”
“Lo
faresti comunque!” disse Erik per prendere tempo.
“Se
l’avessi voluto morto, lo avrei già ucciso.”
“Se
ti serve per i tuoi esperimenti, allora non lo ucciderai per fermare me.”
“Ci
sono altri telepati; lui era semplicemente quello più
facile da rintracciare.”
“L’ONU
lo aggiungerà ai tuoi crimini.”
“Non
se penserà che ci sia tu dietro questo attacco, visto che sei stato così
gentile da venire qui, farò in modo da far ricadere la colpa su di te.”
“Piano
perfetto, se non fosse che io sono stato mandato qui dall’ONU.”
“Evidentemente
speravano di sbarazzarsi di te. Xavier pensa,
ingenuamente, che i politicanti abbiano d’improvviso preso a cuore la causa dei
mutanti: sciocchezze! Sanno che non hanno i mezzi per combattervi, al momento,
quindi si fingono diplomatici in attesa di avere l’arsenale adatto.”
“Su
questo sono pienamente d’accordo con te.”
“Io
fornirò loro i mezzi per distruggervi, perfezionerò le sentinelle di Trusk e per voi sarà la fine.”
“Fammi
capire la tua minaccia di prima. Secondo te io dovrei arrendermi e accettare
una morte più o meno dolorosa e breve per allungare la vita a Charles, che così
subirebbe torture ed esperimenti? Qual è la logica di tuttociò?”
La
strategia di Erik di prendere tempo aveva funzionato. Mystica
e Caleb avevano liberato gli ostaggi e si erano
avvicinati alla parte centrale dell’aereo, quando avevano sentito le voci si
erano fermati per capire come intervenire: non volevano mettere in pericolo
Charles. John aveva teletrasportato Hank nella cabina di pilotaggio e lo aveva
aiutato a neutralizzare il soldato che sorvegliava il pilota, che però era
stato colpito a un braccio da un proiettile esploso dal dirottatore. Hank aveva
preso i comandi, mentre John si preoccupò di bendare il ferito. Il teleporta si
era poi spostato per vedere se ci fosse bisogno di lui altrove. Non appena si
accorse di ciò che stava avvenendo, raggiunse Ravene
e non ebbero neppure bisogno di accordarsi sul come agire. John la
teletrasportò alle spalle di Stryker. Mystica assalì l’uomo, gettandolo a terra ed
immobilizzandolo. Il teleporta toccò una spalla di Xavier
e lo portò al sicuro dove c’erano Caleb e gli uomini
della scorta e gli tolsero le cuffie che lo stordivano.
Erik
allora, sapendo l’amico al sicuro, sradicò altri sedili da scagliare contro i
soldati. Mystica e Stryker
continuavano a lottare sul pavimento, strappandosi di mano vicendevolmente la
pistola, nel tentativo di ammazzarsi l’un l’altro.
Charles
per fortuna si riprese velocemente e utilizzò i suoi poteri mentali per far
perdere i sensi a Stryker e tutti i suoi sgherri. Gli
uomini della scorta dell’ONU si affrettarono a disarmare e legare gli svenuti,
mentre i rappresentanti che erano stati presi in ostaggio raggiunsero la cabina
di pilotaggio e contattarono il palazzo di vetro per avvisare che l’emergenza
era stata risolta, che Stryker era stato
neutralizzato e chiesero dove sarebbero potuti atterrare. Dal momento che l’ONU
era riuscita ad addossare la colpa a un gruppo di palestinesi, per avvalorare
tale ipotesi decisero di far atterrare l’aeroplano a Kuwait City.
Mentre
erano in volo, aspettando che tutto ciò finisse, dopo aver rassicurato Raven ed Hank, Charles si sedette accanto ad Erik, che si
era messo un poco distante dal gruppo di mutanti, ostaggi liberati ed hostess,
e sorridendo gli disse: “Grazie.”
“Non
devi ringraziarmi …”
“Penso
invece di sì e non solo per avermi salvato, ma perché hai accettato di
collaborare con gli umani pur di riuscirci. Avresti potuto agire da solo, ma
hai scelto di cooperare con gli umani, perché?”
“A
parte che collaborare è un termine grosso, visto che loro non hanno fatto
praticamente nulla. Comunque non avevo idea di cosa sarebbe potuto accadere e
non volevo correre il rischio di compromettere il lavoro che stai facendo per l’integrazione
dei mutanti.”
“In
cui però ancora non credi. Ti ho sentito parlare con Stryker.
Non potevo agire, ma ero sveglio, ho ascoltato tutto. Perché non lo hai ucciso?”
“Ti
puntava una pistola alla testa.”
“Avresti
potuto trafiggerlo con qualcosa di metallico o mozzargli la mano.”
“Non
ero abbastanza sicuro del successo …”
Charles
era invece convinto che Erik avesse deciso di non uccidere, visto che c’erano
altre possibilità. Benché sapesse che l’amico non gradiva, provò a guardare un
poco nella sua mente per capire se riusciva a trovare il vero motivo, ma non
sentì altro che qualche verso di una canzone: Io chiedo quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senza
ammazzare e il vento mi poserà. Si accontentò di quello e non cercò altro.
Xavier rimase un poco
in silenzio e poi chiese: “Vuoi tornare a lavorare insieme a me? Riprendiamo in
mano il nostro progetto di dieci anni fa?”
“Il
tuo progetto.”
“Io
continuerò come adesso a curare i rapporti diplomatici, fare conferenze,
sensibilizzare e così via; tu ti occuperai di proteggere i mutanti, di cercare
gli uomini come Stryker e fermarli. Cosa ne pensi?
Proviamo?”
L’aeroplano
atterrò all’aeroporto di Kwait City la sera del
giorno dopo il dirottamento. Sulla pista c’era già un jet che li avrebbe
riportati tutti a New York, mentre i servizi segreti della Nato si affrettavano
a sistemare ogni dettaglio e a prendere accordi con l’equipaggio dell’aereo affinché
confermassero ai media che attentato e dirottamento erano stati opera dei palestinesi.
Dopo alcuni giorni furono addirittura catturati cinque uomini con l’accusa di
essere i terroristi di quel commando; le autorità del Kuwait li interrogarono e
decisero di non processarli e consegnarli all’Organizzazione per la liberazione della
Palestina e dopo meno di un anno furono
considerati uomini liberi e non si seppe più nulla di loro.
Charles, Erik, gli altri mutanti e gli
uomini dell’ONU
giunsero a New York e furono subito portati al palazzo di vetro, poiché si
riteneva necessaria una riunione per discutere di quanto accaduto. Stryker fu condotto in un carcere militare di massima
sicurezza.
Quando
la riunione fu conclusa, Erik chiese notizie di Virginia: non averla vista
subito lo aveva un poco preoccupato; era convinto che, arrivato lì, lei sarebbe
stata la prima persona ad andargli incontro e, invece, così non era stato.
Alla
sua richiesta di vedere la ragazza, fu accompagnato in una stanza: Virginia
dormiva su una seggiola, la testa e il busto distesi su un tavolo. Aveva cercato
di rimanere sveglia per accogliere l’amico, ma alla fine si era addormentata. Erik
attese lì più di un’ora che si svegliasse. La ragazza gioì come mai prima in
vita sua e subito abbracciò e baciò l’uomo e gli disse quanto fosse contenta
che lui fosse tornato incolume.
“Anch’io
sono contento di esserne uscito vivo” commentò Magneto
“Sai, mi dispiacerebbe morire, senza avere passato abbastanza tempo con te …
anche se …” si interruppe.
“Anche
se …?” lo incoraggiò lei, prendendogli le mani.
“Sembrerà
una frase banale ma, pazienza: anche se penso che il tempo passato con te non
sarà mai abbastanza.”
“Ne
trascorreremo comunque tanto!” esclamò lei, entusiasta “Adesso che l’ONU ti ha
tolto dalla lista dei ricercati, potremo andare ovunque e senza paura, potremo
costruire la nostra vita come vogliamo!”
“Ecco,
a questo proposito, c’è una cosa di cui dobbiamo parlare … Charles mi ha
proposto di occuparmi dei mutanti assieme a lui; lui come ha sempre fatto e io
indagando e sventando i piani di chi ci vuole male. Ci ho pensato e mi è venuta
in mente la storia di quel dio e quel diavolo dei persiani.”
“Oromaze e Ahrimane, intendi?”
“I
nomi li sai tu. Ho pensato al pezzo in cui c’è il dio che offre all’altro di vivere
anche lui nel mondo che aveva creato e reggerlo assieme, ma il demone rifiuta e
così poi le cose iniziano ad andare male. Poi ho pensato a quel che mi hai
detto, che posso essere un guerriero anche senza l’odio e che forse posso
difendere i mutanti, senza dichiarare guerra a tutti gli umani … quindi stavo
per accettare la proposta di Charles.”
“Perché
non l’hai accettata?”
“Perché
poi ho pensato a te e mi sono detto che io innanzitutto voglio condividere la
mia vita con te e quindi non potevo prendere una decisione senza consultarti. Se
io accettassi l’offerta di Charles continuerei a fare una vita piuttosto
movimentata, dovrei viaggiare, affrontare pericoli e combattimenti; non sarebbe
né semplice, né sicuro, tantomeno tranquillo. Questo tipo di vita può renderti
comunque felice? Se vuoi qualcosa di più normale, non hai che da dirlo. Io voglio
stare insieme a te e che tu sia contenta. Non ti chiedo di seguirmi, ti chiedo
di decidere assieme.”
“Erik,
questi ultimi mesi passati con te sono stati decisamente i più pericolosi della
mia vita ma sono anche stati i più belli. Mai mi sono sentita così viva! Ho sentito
di fare qualcosa di importante, di stare aiutando ed è quello che voglio
continuare a fare. Sarò ben contenta se accetterai di tornare socio di Xavier,però ci
tengo che tu non mi faccia stare fuori dall’azione per tenermi al sicuro. Voglio
partecipare anch’io.”
“Certo,
sarai anche tu un X-men, se è quello che vuoi.” le
disse Erik, sorridendo “Il fatto ch’io non ti voglia perdere, non significa che
ti impedirò di vivere la tua vita.”
Si
guardarono negli occhi per l’ennesima volta, senza stancarsene; si baciarono e
mentre le loro labbra si staccavano, all’unisono mormorarono: “Ti amo.”
Nota dell’Autrice:
Grazie a tutti per essere arrivati fino
alla fine.
Scusate l’attesa, ma non riuscivo a
scrivere questo capitolo in maniera che mi convincesse ( e ancora non mi
soddisfa). Vi ringrazio per la pazienza e spero non sia stato deludente.
Una cosa che non ho detto nel capitolo
precedente è che, per rimanere fedele allo stile dei film dove finzione e fatti
reali si intrecciano [vedi storia dei missili a Cuba presente in “First Class”], ho cercato episodi realmente accaduti da
intercalare nella trama. L’attentato e il dirottamento dell’aereo sono avvenuti
davvero, vi lascio il link dove potrete saperne di più, se vi interessa:
Alla luce di questo vorrei dedicare gli
ultimi due capitoli che avete letto alla memoria del finanziere Antonio Zara
che, all’età di 20 anni, è stato ucciso mentre tentava di fermare i terroristi.
Il
maggiore Stryker era seduto davanti a una commissione
di una decina di uomini; alzò spavaldamente il capo e rispose: “L’attentato non
l’ho organizzato da solo, sono stato sollecitato.”