Viaggio ad oriente

di DirceMichelaRivetti
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Il cielo era rossastro e i raggi del Sole, che scompariva lentamente dietro l’orizzonte, colpivano le lamine dorate della cupola della Moschea della Roccia che svettava al di sopra dei tetti di Gerusalemme.

Era il trentuno ottobre e il clima era buono: in quelle zone non faceva particolarmente freddo, neppure in inverno, si poteva tranquillamente passeggiare per le strade, coperti da una giacca o un giubbotto leggero.

Tranquillamente non era forse il termine più adatto, dal momento che era trascorsa appena una settimana dalla fine di una guerra durata circa venti giorni. Si vedevano ancora i segni degli scontri per le strade: proiettili, muri diroccati, macerie ammassate in attesa di essere portate chissà dove.

La guerra del Kippur … uno dei tanti capitoli del conflitto arabo-israeliano, non era stato il primo e non sarebbe stato l’ultimo.

Dopo la diaspora e tante persecuzioni durate secoli in ogni angolo del mondo, gli Ebrei avevano finalmente potuto rientrare nella loro Terra Promessa, avere un loro Stato … eppure ciò non era sufficiente per farli vivere in pace, anche lì, nella loro Gerusalemme, non erano al sicuro e venivano attaccati in continuazione, combattuti, considerati invasori in patria.

A questo stava pensando Erik, mentre passeggiava tra i vicoli della città, per godersi la bellezza del panorama. Non sentiva mai il suo animo quieto, ogni ora del giorno lo assillavano problemi e dubbi, la sua mente era sempre alla ricerca di risposte e soluzioni e camminare al vespro era una delle poche cose che lo rilassava.

Dieci anni trascorsi in prigione gli parevano meno dolorosi e affannosi di quegli ultimi mesi.

Incarcerato si sentiva come un martire, sapeva di essere lì ingiustamente, incastrato, perché aveva degli ideali e dei valori per i quali combatteva ed era disposto a tutto per essi.

Prima non aveva potuto agire perché rinchiuso, ora invece aveva la possibilità di agire, eppure non sapeva cosa fare.

Beh, non era proprio così. Erano trascorsi nove mesi da quando aveva fallito il suo tentativo di uccidere Nixon, da quando gli era stato impedito di lanciare un monito agli umani, da quando Mistyca gli aveva voltato le spalle per tornare da Charles.

Non era rimasto in attivo per tutto quel tempo: aveva incontrato altri mutanti che condividevano il suo pensiero, era riuscito a prendersi alcune rivincite, tuttavia questo non gli bastava. Sentiva di potere fare di più, di dovere fare di più. Non sapeva però esattamente come muoversi. A volte pensava ad elaborare grandi piani, altre si diceva fosse meglio prima trovare fratelli e sorelle mutanti, formare con loro una società, essere uniti e proteggersi a vicenda; altre ancora, quando aveva notizia del successo che stava riscuotendo la scuola ideata da Charles, si sentiva frustrato e aveva voglia di mandare al diavolo tutto e tutti ma poi si calmava.

Con i mutanti che si rivolgevano a lui, Magneto si mostrava calmo, sicuro, calcolatore: era indubbiamente un leader carismatico; rimasto solo, invece, l’uomo si sentiva decisamente più insicuro e confuso, soprattutto perché aveva la consapevolezza di essere ormai considerato un punto di riferimento per la comunità dei mutanti e dunque ne sentiva la responsabilità.

L’esistenza dei mutanti era ormai nota al mondo e già si erano manifestati attriti, discordie, qualche atto di violenza da ambo le parti, ma nulla di grave.

I mutanti, quelli che avevano avuto il coraggio di uscire allo scoperto, si erano raggruppati o attorno al Professor X, oppure a Magneto, a seconda del loro animo.

Eric era consapevole che molti guardavano a lui come a una guida o un esempio e quindi sentiva di non doverli deluderli, di dover trovare la strada giusta e condurre gli altri verso la vittoria, una vita felice. Si era preso un impegno e gli stava a cuore più di ogni altra cosa: non poteva fallire.

Era contento di essere importante, il potere e la responsabilità lo appagavano ma, allo stesso tempo, erano fonte di apprensione: anche solo il minimo errore avrebbe potuto rovinarlo.

Si era preso alcuni giorni di isolamento dai suoi nuovi collaboratori: aveva bisogno di poter essere come si sentiva, senza dover indossare la maschera del leader; ciò era evidente anche a livello visivo: i suoi abiti non erano in perfetto ordine e aveva la barba di chi non si rade da alcuni giorni.

Eric approfittava della quiete che riempiva le strade di Gerusalemme alla sera per calmarsi: cercava di non pensare alle preoccupazioni che, comunque, si facevano largo nella sua mente, ma in maniera più dolce.

 

“Mostro! Mostro!”

Questa cantilena scosse Magneto dai suoi pensieri. L’insulto non era rivolto a lui, ma quell’unica parola bastò per catturare la sua attenzione; si guardò attorno per capire che cosa stesse accadendo e poi notò che nel vicolo accanto alcuni adolescenti avevano preso di mira un loro compagno e, oltre ad offenderlo, lo spintonavano da una parte all’altra, insultandolo. La vittima era palesemente un mutante: occhi a fessura e lingua biforcuta come quelle di un serpente, canini pronunciati, presumibilmente velenosi, e pelle che mutava in scaglie, quando veniva percossa.

Scorgendo un proprio simile in pericolo, Erik decise di soccorrerlo, già stava per scaraventare i bulli contro alle case, quando si udì una voce dall’altra parte della via.

“Ehi, fermi! Fermi!” intimava una ragazza, evidentemente forestiera “Che cosa state facendo?”

“Sta zitta e non t’immischiare.” replicò uno degli adolescenti, degnandola appena di uno sguardo “Non vedi che stiamo dando una lezione a questo dannato mutante?”

“Perché? Che cos’ha fatto?” insistette la giovane, avanzando di qualche passo con decisione.

Magneto si era stupito nel vedere qualcun altro esporsi per un mutante e quindi aveva deciso di rimanere ad osservare, almeno per il momento.

“Non hai sentito?” si stizzì uno dei bulli, che continuavano a colpire il coetaneo “È un mutante!”

“Questo non risponde alla domanda Che cosa ha fatto?” ribatté la ragazza che, vedendo il malcapitato ancora picchiato, ruotò leggermente una delle mani e un cerchio di fuoco, con fiamme alte fino al ginocchio, si formò attorno alla vittima, in modo che i suoi persecutori non potessero più avvicinarsi.

“Sei una schifosa mutante anche tu!” si sorprese e arrabbiò un altro ancora del gruppetto.

La donna non si scompose e scandì con fierezza: “Essere mutanti non è una colpa.”

“È un privilegio.” aggiunse Erik, facendosi avanti.

Si sentiva un po’ fuori luogo in quella situazione: lui quasi quarantenne a redarguire dei ragazzini, ma c’era di mezzo la questione mutanti e quindi non poteva lasciar correre.

“È una casualità genetica.” ribatté, invece, la straniera.

“È una mostruosità!” tagliò corto uno dei bulli.

“Siete degli scherzi della natura!” ringhiò un altro “Il vostro posto è il circo o il cimitero!”

Eric scoppiò in una risata divertita e sprezzante e poi commentò: “Sono sicuro che le scimmie abbiano pensato ciò, davanti agli ominidi. Noi siamo il futuro ed è bene che voi, involuti, non ostacoliate il naturale progresso.”

La donna lo guardò accigliata per qualche istante, poi scosse il capo e riprese: “Abbiamo capacità straordinarie, è vero, ed è stupido insultarci e maltrattarci per esse,  visto che potremmo essere molto utili alla società, se non aveste paura di noi.”

Magneto usò il proprio potere per sollevare per aria di un metro i ragazzini, dicendo: “Utili, sì, ma anche pericolosi: un mutante vale minimo cento umani, per cui dovreste ben temere la sua ira. Alcuni di noi sono accecati dal buonismo e non reagiscono alle vostre fanfaronate, ma se un giorno si stuferanno di subire … per voi sarà la fine.” li lasciò  ricadere violentemente per terra.

La giovane, spazientita da quei metodi, rivolse all’uomo, dicendo: “Mi scusi, ma i tempi dell’oderint dum metuant sono finiti da un pezzo. Sono almeno quei centocinquant’anni circa che si cerca di far valere l’universalità dei diritti umani.”

“Che sono solo una favoletta che viene rispolverata quando ai potenti di una nazione fa comodo interferire per una qualche ragione negli affari di un’altra.” ribatté Magneto “A nessuno importa di far valere i diritti umani, se non come pretesto per condurre guerre di sopraffazione che hanno ben altro scopo.”

“Tanto voi non siete umani!” urlò uno dei bulli, piuttosto innervosito.

Eric annuì e dichiarò: “Siamo di più: siamo homo superior.”

“Siamo esseri umani.” affermò, invece, la donna “Le nostre capacità non ci snaturano. Qualcuno di voi è mancino?”

Ci fu perplessità tra i bulli, poi uno di loro alzò la mano.

“Bene: tu e quello rosso di capelli, fino a cent’anni fa, ma anche meno e in certe zone tutt’oggi, sareste considerati incarnazioni di demoni. C’è qualcuno che si intende di erboristeria? No? Per fortuna, altrimenti qualche secolo fa sarebbe stato bruciato sul rogo. Via, salga allora sulla pira chi ha un gatto nero. Tutti voi credete che sia la Terra a girare attorno al Sole e non viceversa? Molto bene, quattrocento anni fa sareste stati tutti mandati a morte. Tranne tu, che sei gracilino, che probabilmente ti avrebbero gettato da una rupe o abbandonato in fasce. Avete bisogno di altri esempi? Le opinioni della massa sono mutevoli e basta nascere qualche anno troppo presto o troppo tardi per essere considerati dei mostri per via di qualche elemento di voi che in un’altra epoca o semplicemente luogo sarebbe perfettamente accettato.” il tono finora aspro si addolcì: “Tornatevene a casa e domandate ai vostri genitori com’è essere perseguitati unicamente in virtù della propria nascita: fatevi raccontare e, se capirete, probabilmente non vi arrogherete più il diritto di umiliare e picchiare qualcuno solo perché leggermente diverso da voi. Le nostre similitudini superano sempre le nostre differenze. Andate.”

I bulli non se lo fecero ripetere due volte e corsero via. La ragazza guardò le fiamme che si spensero, poi si avvicinò al giovane mutante e gli chiese come stesse, lo rassicurò e poi lo esortò ad andare a casa. Il ragazzino ringraziò e si avviò. Magneto, allora, gli fece un cenno e gli disse: “La prossima volta, mordili oppure dà loro un saggio delle tue capacità: non farti mettere i piedi in testa. Gli uomini capiscono solo la forza: finché non mostrerai a loro che puoi essere pericoloso, continueranno a trattarti male e tu non lo meriti. Nessuno mutante lo merita.”

Il ragazzino annuì e si allontanò, sembrava avesse un’aria contenta.

“Nessuno in generale lo merita!” gridò la giovane, per farsi sentire, nonostante la distanza.

Eric fece una smorfia e, con tono ironico e stizzito, chiese: “Ti ha catetizzata il Professor X?”

“No. Ne ho sentito parlare, ma non l’ho mai conosciuto.” rispose lei, avvicinandosi “Questo è  il mio normale e spontaneo modus operandi.”

“Stucchevole e zuccheroso.”

“No, affatto. Non sono ottimista, tutt’altro. So bene che se le mie parole scuoteranno anche soltanto uno di quei ragazzini, lo si potrà considerare un gran successo.”

“Perché seguire un metodo che ritiene fallimentare? Non sarebbe meglio tentare un’altra strada?”

“Sono una disillusa, vedo fallimento ovunque. Credo che piccoli e singoli esempi e insegnamenti possano spesso servire meglio che tentare grandi rivoluzioni. Le rivoluzioni non sono mai rapide spontanee, ma sono sempre il risultato di tanti piccoli passi fatti nell’arco di molto tempo.”

“Può essere, ma in questo modo ci sono troppe vittime innocenti. I neri hanno di recente acquisito lo status di umani e cittadini a tutti gli effetti in America ed è un notevole passo in avanti, considerando che fino a un secolo fa erano schiavi … ma nel frattempo quanti di loro sono stati sfruttati, considerati bestie, strumenti di lavoro? Quanti non hanno potuto vivere una vita degna di tale nome? Quanti sono stati uccisi e massacrati? E anche una volta abolita la schiavitù, quanti di loro hanno continuato a patire perché non avevano pari diritti e dignità? Certo, ora c’è una legge che li equipara agli altri cittadini, ma credi che possa davvero bastare solo questo per spegnere il cieco e stupido odio degli uomini? E anche se fosse, che colpa avevano gli schiavi? Chi renderà loro giustizia? Nessuno. Questa è la stessa sorte che potrebbe toccare ai mutanti, se non combatteremo fin dall’inizio per avere ciò che ci spetta.”

“La giustizia è relativa, è una categoria della mente umana, è relativa e di certo la storia non la segue. Il mondo ha le sue leggi e raramente coincidono con la nostra idea di giusto e di bene.”

“Quest’affermazione va a mio favore.” fece notare Magneto, abbozzando un sorriso “Se non possiamo aspettarci giustizia dal mondo, dobbiamo farcela da soli.”

Eric e la ragazza rimasero ad osservarsi per qualche istante.

L’uomo scrutava l’interlocutrice alla ricerca di qualche indizio che potesse fornirgli informazioni su di lei: era corpulenta, ma proporzionata e si poteva notare il gran seno che aveva, nonostante fosse avvolta in una mantella a scacchi rossi e blu, indossava poi una lunga gonna scura; aveva la carnagione piuttosto pallida, capelli scuri, molto lunghi e mossi, occhi oliva; aveva tutto l’aspetto di chi ha viaggiato per diverso tempo, senza troppe comodità.

Infine, lei propose: “Perché invece di esporre le nostre teorie in mezzo alla strada non lo facciamo in un locale, bevendo e mangiando qualcosa? Ho voglia di vino e liquore, ma in queste parti del mondo non vedono di buon occhio una donna che si accosta agli alcolici: se li ordinate voi, potrei bere senza difficoltà.”

Eric rimase perplesso qualche rapido istante, ma poi si sentì piuttosto divertito e acconsentì: “Sia. Credo che la conversazione sarà piuttosto interessante. Sono curioso d’ascoltarti.”

“Vi dispiace se andiamo nel pub accanto all’ostello dove alloggio?”

“Fa strada e dammi pure del tu: siamo mutanti, tra di noi non c’è bisogno di formalità. Io sono Erik Lehnsherr, detto Magneto.”

“Lo so bene, vi ho riconosciuto. Dopo che avete attentato al presidente Nixon in diretta tv, tutti conoscono il vostro volto. Per quanto riguarda il tu, spero che man mano mi venga naturale, ma sono piuttosto abituata a dare del lei e del voi. Ad ogni modo, io sono Virgigna Balletti e se proprio devo avere un soprannome sia Fosca.”

Concluse le presentazioni, i due mutanti si incamminarono.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Il locale era piuttosto affollato, arredato alla stessa maniera dei bar che si vedevano in televisione nelle sitcom americane, molto colorato, la musica era tenuta a un volume piuttosto alto e permetteva di conversare con le persone vicine, ma non sentire chi era a un paio di metri di distanza.

Erik e Virgigna si erano accomodati ad un tavolino un po’ defilato, per essere sicuri di non essere ascoltati da altri; erano seduti l’uno di fronte all’altro e, dopo aver consultato il menù, ripresero a parlare.

“Allora” esordì l’uomo “Puoi evocare il fuoco? È questo il tuo potere?”

“Non proprio e non solo. Posso manipolare e controllare il fuoco e l’acqua, ma non posso crearli. Sono capace di prenderli anche da una discreta distanza e portarli rapidamente dove sono io, tanto che può parere ch’io li crei, ma è semplice evocazione.”

“Fuoco e acqua? Sembra una contraddizione.”

“È una delle naturali leggi di natura: due principi od energie una l’opposta dell’altro non sono in conflitto, così come può apparire, ma collaborano per generare. Se una prevalesse sull’altra, si arriverebbe a una situazione di stasi, la guerra o l’amore tra due opposti porta al progresso. Eraclito già lo sapeva bene, quando diceva che il conflitto è il padre di tutte le cose.”

“La guerra è proprio ciò che voglio: gli umani devono cederci il passo e se vogliono ostinatamente opporsi al naturale progresso, come d’altronde hanno già dimostrato, allora verranno estirpati. Una delle cose che la storia ha sempre dimostrato è che ogni civiltà nasce dalle macerie di quella precedente: la morte è necessaria per una rinascita migliore.”

La donna abbassò lo sguardo, sospirò e mestamente disse: “È vero, ma è un principio difficile da accettare. Un conto è se il crollo di una civiltà è dovuto a cataclismi o, in un certo senso, autodistruzione perché arriva ad un punto in cui è inevitabile il collasso … avere però la responsabilità di tale distruzione, per quanto serva a migliorare il futuro, è molto doloroso da accettare …”

“Sceglieresti il male maggiore anziché il minore.” la interruppe Erik “Bisogna avere lungimiranza: sacrifici nell’immediato eviteranno morti e dolori ben più gravi nel futuro. Se avessi la possibilità di tornare indietro nel tempo e uccidere Hitler prima che prenda il potere, non lo faresti?”

“Non lo so … non avrebbe ancora fatto nulla …”

“Ma lo farebbe e si sa. Io non esiterei un istante, se ne avessi l’opportunità, sacrificherei volentieri Hitler e tutti i suoi collaboratori, prima che agiscano, per impedire gli orrori che hanno compiuto.”

“Noi, però, non veniamo dal futuro, non possiamo sapere se, chi, come provocherà  afflizioni.”

Se? Dubiti che i mutanti verranno perseguitati? Notizia neppure dell’ultimo momento: molti mutanti sono già stati uccisi o sottoposti ad esperimenti da parte di umani. Tu stessa, poco fa, hai dimostrato come l’uomo sia stupido e aggredisca sempre il diverso, credi davvero che noi mutanti riceveremo un trattamento differente?”

Un cameriere si accostò al tavolo per prendere le ordinazioni e dunque interruppe la discussione per qualche minuto.

Appena furono rimasti di nuovo soli, Erik le chiese: “Quando hai scoperto il tuo potere? Come l’ha presa la tua famiglia?”

“Oh, da questo punto di vista sono stata fortunata: si sono arrabbiati maggiormente quando ho loro detto che avevo intenzione di studiare all’università e non di andare a fare la segretaria da qualche parte.”

“Davvero?!”

“Anche mio padre è un mutante e lo sono i miei fratelli, per cui non c’è stata alcuna sorpresa, quando ho manifestato i miei poteri.”

“Sei stata molto fortunata, hai avuto comprensione, sostegno amorevole. Io ho scoperto le mie capacità in un campo di concentramento e sono stato usato come cavia.” Erik si sforzò di scacciare quei ricordi angosciosi e, incuriosito, chiese: “Come vivete? Dove? Qualcuno sa di voi?”

“Pochi e fidati amici. Vengo dall’Italia. Mio padre e i suoi fratelli erano partigiani e combatterono contro i tedeschi e i repubblichini. Usarono spesso i loro poteri negli scontri e, lì per lì, furono molto apprezzati dai loro compagni, ma, finita la guerra, alcuni che avevano visto mio padre agire iniziarono ad avere paura che lui usasse le sue capacità contro di loro e quindi decise di trasferirsi in una città più lontana, dove fosse più facile mimetizzarsi tra la gente e dove nessuno lo conoscesse. Mantenne i contatti solo con pochissimi dei vecchi amici.”

“E i tuoi zii?” domandò Erik che ascoltava molto attentamente.

“Non li ho mai conosciuti.” rispose la giovane, tristemente “Uno venne ucciso, mentre solo copriva la ritirata ai suoi compagni d’arme, altri due furono presi prigionieri dai nazisti e non si seppe più nulla.”

“Probabilmente è toccato loro il mio stesso fato, forse peggiore. È curioso che nonostante tutto ciò tu non condivida le mie stesse preoccupazioni circa le sorti dei mutanti. Sei nata a guerra finita, è vero, eppure dovrebbero esserti ugualmente noti i meccanismi dello sterminio di una razza, del controllo sulle vite, le umiliazioni … Forse è perché voi, bene o male, eravate tra i persecutori o, per lo meno, tra quelli che si voltavano dall’altra parte e fingevano di non vedere, quelli che non condividevano l’odio per una razza, eppure non hanno mosso un dito per impedirlo, troppo presi dalla paura di perdere quelle briciole di benessere che avevano.” Erik si sforzava di parlare a bassa voce, ma era evidente come stesse tentando di mascherare la profonda ira e sofferenza che ribollivano nel profondo del suo animo; ripensò ai toni buonisti di Charls e continuò dire tra i denti: “Mi hanno detto di sperare nella bontà del genere umano, di confidare, avere fiducia … insulse teorie da codardi. Quale bontà? Negli uomini c’è solo egoismo: i capi di stato dicevano di non avere idea di quello che accadeva nei campi di concentramento, che non immaginavano la follia di Hitler … Menzogne, menzogne e basta! Come potevano non sapere o almeno sospettare? Perché credevano ci espropriassero dei nostri beni o ci ammassassero sui treni peggio di bestie? Gli animali mandati al macello erano trattati meglio di noi, perché la fatica o la paura avrebbero guastato il sapore delle carni. La nostra sofferenza, invece, non importava, anzi, non era mai abbastanza. La gente tenta di placare la propria coscienza rifugiandosi dietro il stavamo solo eseguendo degli ordini, oppure fingendo di ignoranza. La verità è che c’erano due sole categorie di persone: chi provava gusto nel perseguitarci e chi era troppo vigliacco o avido per mettere da parte il proprio interesse per fare ciò che era giusto. Per quanto mi riguarda, chi non ha fatto nulla per impedire il massacro è responsabile tanto quanto chi l’ha compiuto: tutti siete coinvolti.”

La rabbia di Magneto era tale da far oscillare i lampadari e tremare leggermente le posate. Per evitare di attirare l’attenzione o creare agitazione nel locale, l’uomo si impose la calma

“L’Italia ha avuto la sua  parte di colpa e, per quanto può valere, ti chiedo scusa a nome dei miei connazionali. Non siamo però stati a guardare e basta o carnefici, c’è stato anche chi si è opposto, chi ha combattuto …”

“Quando ormai gran parte del danno era fatto” la interruppe Erik, con calma glaciale e inquietante “E non lo avete fatto per senso di giustizia, ma animati da vendette personali per i torti subiti da voi o, nel migliore dei casi, per la vostra stessa libertà. Non c’era generosità verso gli altri presso di voi, ma solo istinto di autodifesa.”

Arrivò un cameriere a consegnare bevande e cibo. L’uomo sorseggiò la propria birra, si rilassò un poco prima di proseguire: “Non voglio rimanere ancorato al passato, ma non devo neppure dimenticarlo. Trent’anni fa è successo a me come Ebreo, presto potrebbe accadere a noi come mutanti ed è a questo che dobbiamo pensare. C’è chi pensa che possa essere possibile la pacifica convivenza tra umani e mutanti, ma non è così: gli umani pensano solo all’autoconservazione, consapevoli che i mutanti erediteranno il mondo, cercheranno di sterminarli, prima di essere loro stessi ad estinguersi.”

“Io non riesco a vedere la differenza tra umani e mutanti.”

“C’è eccome, è preoccupante che tu e altri non le vediate. Tu stessa hai detto che hai sempre dovuto nasconderti, non hai mai potuto essere apertamente te stessa: è così che vuoi vivere? Non pensi di avere il diritto di essere libera e, soprattutto, rispettata?”

“Se devo essere sincera, nel mio piccolo ho subito anch’io vessazioni. Non ho mai mostrato i miei poteri in pubblico, ma per il resto sono sempre stata me stessa, ho seguito i miei interessi, le mie inclinazioni anche quando erano in contrasto con l’opinione comune. Il risultato? Essere isolata, essere additata come quella diversa, quella strana. Io non volevo essere come gli altri, volevo semplicemente che loro capissero che le mie differenze non mi rendevano sbagliata. Da pochi, emarginati anche loro, ho avuto comprensione amicizia, ma per la maggior parte della gente sono, nei migliore dei casi, pazza o noioso, comunque da evitare. Una ragazza che decide di fare l’università anziché sposarsi a vent’anni e iniziare a fare figli, è considerata anormale, poco raccomandabile. Non ho certo subito le tue tragedie e mi rendo conto che ai tuoi occhi questo paragone possa suonare anche come un’offesa, tuttavia ti garantisco che anche senza un’aperta persecuzione e senza torture fisiche si può soffrire immensamente, morire dentro, quando si vorrebbe dare qualcosa al mondo e il mondo ti ignora. Di una cosa mi sono convinta: l’isolare il diverso è tipico degli umani, mutanti compresi e quando ci saranno solo mutanti nel mondo, si inventeranno altre ragioni per odiarsi, aver paura e combattere.”

Erik avrebbe voluto ribattere qualcosa, tuttavia non gli venne in mente una buona replica, quindi rimase ad ascoltare.

“È inutile che la natura ci dia poteri straordinari, se la nostra mentalità continua ad essere violenta, chiusa ed egocentrica. È il nostro atteggiamento verso l’altro che deve evolvere, solo così si potrà migliorare davvero il mondo. La questione è morale e l’unica rivoluzione efficace è quella culturale … ma non come quella pagliacciata di qualche anno fa. Il piccolo contributo che posso dare al mondo è quello di cercare di far ragionare i singoli uomini: convertire le masse è un’utopia.”

“Se siamo d’accordo sul fatto che istillare buon senso agli umani sia impossibile, allora perché non lo siamo sul fatto di combatterli? Sei anche tu una vigliacca che ha paura di assumersi delle responsabilità: non hai il coraggio di essere ciò che sei, forse in fondo nemmeno tu credi di meritare di vivere”

A quelle parole, istintivamente, Virginia corrugò la fronte, abbassò lo sguardo e le sue spalle si strinsero, come nel tentativo di chiudersi a uovo.

Magneto continuava: “Per questo hai scelto di nasconderti, di seguire una strada che tu definisci pacifica e che io definisco codarda e da ignavi. Siamo a questo mondo e non possiamo permetterci di lasciare scorrere gli eventi, senza fare nulla per cambiarli. Se la nostra vita dev’essere un patetico passare il tempo in attesa della morte, allora sarebbe meglio non nascere affatto.” Erik aveva assunto un tono molto deciso, si sentiva il vigore vibrare in ogni sillaba “Lascio ad altri ambizioni meschine ed egoiste, io non ricerco ricchezze, prestigio o altro. Io ho deciso che la mia vita sarà votata al migliorare quella dei mutanti e farò tutto ciò che sarà necessario. La vita di ciascuno di noi vale per quanto facciamo per il mondo e la società e non per noi stessi. A te, come a molti altri, sta bene una vita da poco, ma io non mi accontento.”

Virginia rimase in silenzio per alcuni lunghi momenti, fissava il suo interlocutore e nei suoi occhi si potevano distinguere ammirazione e invidia per quell’uomo e anche malinconia. Infine disse: “Vorrei tanto provare la passione che ti anima. Il mio spirito non è quieto, bensì insensibile da troppo tempo. Penso che, dopo i venti, venticinque anni al massimo, non si possa più essere idealisti: chi lo rimane è o estremamente stupido o estremamente nobile d’animo. Penso tu faccia parte della seconda categoria.”

Erik abbozzò un sorriso e stava per rispondere, ma la giovane non gliene diede il tempo: “Quand’ero giovane, anch’io ero appassionata ad una causa, quella che ritenevo portasse al vero bene comune.”

“Ferma un attimo. Hai detto quand’eri giovane? Mi pari piuttosto più piccola di me, sono un po’ fuori luogo discorsi colorati da nostalgia.”

“È vero, vado per ventisei anni, ma ciò non toglie ch’io avverta come lontano passato ciò che riguarda dieci anni fa ed ero una persona molto diversa.”

“Com’eri?”

“Allegra, piena di speranza e combattiva. Vedevo il bene da una parte e il male dall’altra, sapevo che cosa volevo ed ero determinata a cercare di raggiungere l’obbiettivo. Poi, pian, piano, soprattutto studiando, mi sono resa conto di come tutto scorra e passi, che voler perseguire il bene è una chimera, che nella storia ci sono stati momenti di benessere e di decadenza e che tutto ciò che riguarda questo mondo è effimero. Faticare qui non è né più né meno di allestire uno spettacolo teatrale: può essere bello da vedere, ma in fondo è tutto falso.”

“Almeno, però, ci sarà stato un momento felice, almeno per qualcuno.”

“E per qualcun altro no. Qui non c’è un bene finale da raggiungere, è inutile e sciocco affannarsi in questo mondo.”

“Ne conosci un altro?”

“Non bene come vorrei. Io penso all’anima, a ciò che è eterno, solo l’imperituro ha importanza. Ho imparato il distacco da ciò che accade attorno a me, almeno dalle macrovicende. Voglio consacrare la mia vita a un bene superiore che trascende i limiti della vita mortale: voglio elevare la mia anima e quella altrui.”

“Io penso che tu abbia paura del fallimento. Raccontami più esattamente come hai perso la voglia di lottare.”

“È stato graduale, una consapevolezza che si è  pian, piano impadronita di me. Hanno influito soprattutto i fatti del ’68 e del ’69 … non so cosa sia accaduto esattamente, ma ho visto come la quasi totalità della gente sia guidata unicamente da emozioni, rabbia, ricerca di piacere, voglia di lotta, senza troppo curarsi dello scopo. Contava solo l’entusiasmo che infiammava gli animi e non c’era razionalità e consapevolezza. Ciò che ha dato speranza a molti, a me ha reso una disillusa.”

“Pari affranta. Continuo a credere che tu ti sia tirata indietro per paura di fallire. Avevi un sogno e lo hai visto naufragare, ti sei resa conto di non poter fare affidamento sugli altri per realizzarlo e allora, piuttosto che subire una sconfitta, hai preferito fare un passo indietro e non tentare. Se tutti facessero così, non si otterrebbe mai nulla.”

“Purtroppo o per fortuna io non sono tutti.” sospirò Virginia “Credimi, vorrei tanto poter trovare una causa terrena che mi paia valga la pena essere combattuta, ma nulla mi sembra abbia reale importanza.” si scosse, volendo scacciare la malinconia “Per questo ho deciso di intraprendere questo viaggio, dopo essermi laureata, altra cosa che i miei genitori non hanno apprezzato. Da una parte ho voglia di vedere dal vivo ciò che finora ho studiato, dall’altra penso che entrare a contatto con culture diverse possa aiutarmi a trovare una nuova prospettiva con cui vedere le cose.”

“Dove vuoi andare?”

“Non ho un itinerario preciso. Da queste parti sono di passaggio, voglio esplorare soprattutto l’antica Mesopotamia, poi passare in Persia e infine, se ce ne sarà modo,  forse raggiungere l’India.”

“È una strada lunga da fare in automobile.”

“Ancor più lunga a piedi. È una sorta di pellegrinaggio il mio, marcio molto e quando posso utilizzo autobus o treni, anche se non posso farlo spesso, devo conservare il denaro, visto che non so quanto a lungo rimarrò lontana da casa.”

Erik ragionò rapidamente: quella ragazza aveva dei poteri che sarebbero tornati molto utili in una guerra, se fosse riuscito a vincerla alla propria causa; inoltre lei aveva almeno altri tre parenti mutanti che, chissà, forse sarebbe riuscito a far entrare nelle proprie fila.

Valeva la pena trovare la maniera di restare vicino a quella ragazza qualche giorno, per provare a persuaderla che combattere contro gli umani era la cosa migliore?

Mah, non ne era affatto sicuro. Tuttavia, sarebbe potuta essere un’occasione per viaggiare verso oriente, in una porzione di mondo che non aveva ancora realmente conosciuto. Si iniziò a domandare se la sua fama fosse arrivata fin là, che cosa pensassero di lui, se avrebbe incontrato altri mutanti pronti a seguirlo.

Improvvisamente l’idea di un piccolo viaggio l’allettava, forse gli avrebbe schiarito le idee e avrebbe capito come agire e quale sarebbe dovuta essere la prossima mossa per promuovere la supremazia dei mutanti.

Dopo aver fatto questi conti, Erik osservò ad alta voce: “Hai valutato le difficoltà del viaggio che intendi intraprendere?”

“Sì, la fatica non mi spaventa.”

“Non è a questo che mi riferivo. Finora hai attraversato stati abbastanza occidentalizzati o, per lo meno con un briciola di elasticità, ma tu stessa hai visto che già qui le donne sono trattate differentemente rispetto agli uomini. Più ti spingerai ad oriente, più sarà difficoltoso per te muoverti da sola, non sarebbe né prudente, né saggio.”

“Penso che potrò cavarmela: non rinuncerò.”

“Ho un’idea migliore: verrò con te.”

“Come?!” sbalordì la ragazza.

“Se viaggerai con un uomo, troverai meno ostacoli, semplicemente perché darai meno nell’occhio e le varie polizie non ti fermeranno ad ogni passo.”

“Non mi conosci.” replicò Virginia, sospettosa “Perché dovresti volermi dare una mano?”

“Poiché sei una mutante. Siamo pochi, ci danno la caccia, nonostante la nostra superiorità non siamo al sicuro: dobbiamo proteggerci vicendevolmente.”

La ragazza rimase turbata, non sapeva che cosa pensare: tanta bontà verso di lei non le sembrava plausibile.

Non ricevendo risposte, Erik concluse: “Hai detto che alloggi in un ostello? Prendi i tuoi bagagli e vieni da me: è meglio così.”

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Alla fine, Virginia aveva accettato l’ospitalità di Magneto. Era sempre stata educata a diffidare di tutti e quindi inizialmente si era ripromessa di rifiutare, ma poi si era detta che, in fondo, dormire in un ostello in mezzo a decine di sconosciuti non si poteva certo considerare più sicuro che accettare un invito di un uomo che, pur non essendo un amico, era comunque un personaggio in un certo senso noto. Era consapevole che quel ragionamento non si reggeva in piedi neppure con una stampella, tuttavia in quel momento non stava cercando la soluzione più prudente, bensì una qualsiasi motivazione che la convincesse ad accettare.

Era molto contenta di quell’incontro: aveva visto in televisione la minaccia che Magneto aveva mosso a Nixon e l’esortazione che aveva rivolto ai mutanti di tutto il mondo. Non ne condivideva gli ideali, tuttavia provava stima per lui. Data la storia recente dell’Italia, avrebbe dovuto provare avversione o sospetto verso i leader carismatici, eppure non poteva fare a meno di ammirare la determinazione di Magneto. Vedere qualcuno totalmente dedito a un ideale, giusto o sbagliato che fosse, le scaldava l’animo, infondendole una lieve speranza. Speranza in cosa non lo sapeva.

Prima ancora di conoscerlo, dunque, Virginia provava ammirazione per Erik; parlare con lui, poi, conoscere meglio la sua storia e ascoltare il suo punto di vista aveva iniziato a nutrire simpatia e stima per lui.

Chi l’avrebbe mai detto che avrebbe trovato un amico in quel viaggio? Lei si era immaginata mesi di solitudine e invece …

Era partita più di tre settimane prime e le occasioni di chiacchierare con qualcuno erano state rare: non le era mai stato facile attaccare bottone con estranei, anche perché aveva sempre paura di disturbare. Le sue conversazioni durante il viaggio si erano limitate a chiedere alcune informazioni indispensabili; qualche volta aveva provato ad unirsi ai gruppetti che si formavano la sera nell’atrio degli ostelli, ma non si era mai trovata granché bene.

Incontrare Erik era stata un boccata d’aria fresca e il fatto che si fosse proposto di accompagnarla le aveva fatto molto piacere. L’offerta le era sembrata sospetta e strana e il buon senso le diceva di stare in allarme, tuttavia d’altra parte si diceva che di certo lei non era il tipo di donna che attirasse certi tipi di attenzione, anzi non attirava mai nessun tipo di attenzione. Sotto il fitto strato di dubbio, perplessità e paura, tuttavia, Virginia si sentiva estremamente lusingata: se le aveva proposto di accompagnarla, significava che gli era simpatica, se lui voleva proteggerla, allora in un qualche modo le voleva bene, benché l’avesse appena conosciuta. No via, questo no, probabilmente lo faceva solo perché teneva alla sicurezza di tutti i mutanti: non l’aveva certo fatto per lei, impossibile, lo aveva fatto per i valori in cui credeva.

Si sentiva piuttosto confusa: da una parte le sarebbe piaciuto credere di essere una compagnia gradita, dall’altra si rimproverava quella vanità.

Infine, tra tutte quelle indecisioni, si era risoluta ad accettare.

I due mutanti avevano finito di cenare, poi Virginia aveva recuperato il proprio zaino da viaggio e aveva seguito Erik alla sua abitazione. Era una piccola casetta indipendente, tutta sul pian terreno, aveva un salotto, la cucina, un bagno e due camere. Il padrone di casa fece sistemare l’ospite, poi le diede la buona notte e si ritirò.

Ognuno nel proprio letto, non si addormentarono facilmente, ciascuno assorto nelle proprie riflessioni.

Si ritrovarono viso a viso il mattino dopo, a colazione.

“Dormito bene?”

“Sì, finalmente una notte tranquilla. Negli ostelli tra via vai, russare e altro, non si riesce ad avere un buon sonno.”

“Ed eri pure titubante a venire.” commentò l’uomo, ironico.

“Grazie per avere insistito. Se non sono indiscreta, come mai siete a Gerusalemme?”

“Dove dovrebbe essere un Ebreo?” scherzò ancora Erik.

“Intendo dire, dopo l’esibizione alla Casa Bianca non avete più dato vostre notizie. Ho sentito delle voci, ma nulla di più. Come mai non avete fatto altro?”

“Ho agito, anche se non ho dato fiato alle trombe. Hai sentito parlare dello scandalo Watergate? È emerso per merito mio, è la mia vendetta contro Nixon, presto sarà costretto a dimettersi e pagherà.

Ho avuto contatti con molti mutanti che confidano in me, ci stiamo preparando. A Gerusalemme vengo per rilassarmi, anche se in ottobre ho avuto da lavorare pure qui. Se non fosse stato per il mio aiuto celato, la guerra del Kippur non sarebbe finita così presto. A proposito, che razza di imprudente sei nel viaggiare in un posto dove ci sono stati scontri a fuoco fino alla settimana scorsa?”

“Era la strada più breve. Comunque voi Ebrei siete veramente coriacei: da quattromila anni chiunque tenta di sterminarvi e voi ancora resistete: siete davvero il popolo eletto.”

“Il mio popolo, ormai, sono i mutanti. Sento ancora abbastanza vive le mie radici ebraiche e se posso fare qualcosa per Israele lo faccio, ma la mia priorità sono i mutanti.”

“Popolo dei mutanti … suona strano.”

“Perché?”

“Boh, dà quasi l’idea di una specie in via d’estinzione da tutelare.”

“Lo siamo.”

“Ci manca solo che intervenga il wwf o che ci mettano in una riserva.”

“No, non faremo certo la fine dei pelle rossa. In effetti, quella della riserva protetta, potrebbe essere la prospettiva del Professore, ma non è certo nei miei piani. Con me c’è la supremazia.”

“Ma …” la giovane si interruppe.

“Cosa?”

“No, niente, lascia stare.”

“Su, dì.”

“No, non voglio polemizzare fin dal mattino.”

“Non ti preoccupare, parla pure.”

“La tua tattica mi sembra molto basata sulla prevenzione. Vedi in ognuno un potenziale nemico e quindi lo vuoi annientare, prima che sia lui ad attaccare te, giusto?”

“Il vantaggio della prima mossa è molto utile.”

“Colpisce però anche chi non avrebbe colpe.”

“Dio non s’è posto il problema, quando inviò le piaghe in Egitto.”

“Ma ha salvato Lot e le sue figlie dalla distruzione di Sodoma e Gomorra ed era disposto a risparmiare le intere città, se vi fossero stati anche solo dieci giusti.”

“Chi ora non ci è nemico, lo diventerà dopo i primi scontri. È una guerra ed è inevitabile. So bene che c’è chi predica la non violenza, ma Gandhi e King, pur ottenendo qualcosa, alla fine sono stati uccisi e i loro pacifici seguaci sono stati più volte picchiati e ammazzati nonostante non avessero alzato un dito contro i loro nemici. Ci sono già stati troppi morti tra di noi, non permetterò ce ne siano ulteriori.”

“A discapito però di altri. Per te è un aut aut, tertium non datum.”

“Precisamente: mors tua, vita mea.”

“Effettivamente è impensabile una storia priva di sangue … ma spero sempre in un miglioramento.”

“Però non agisci per attuarlo.” le fece notare Erik, con una lieve nota di rimprovero.

Virginia sentì scalfito uno dei suoi punti deboli, comunque replicò: “Se non so quale sia il meglio da perseguire, come posso fare qualcosa? Non ho la pretesa di sapere cosa sia bene e imporlo agli altri.”

“Se tutti avessero aspettato di avere certezze, prima di agire, saremmo ancora ominidi. La scienza procede per tentativi: si fanno ipotesi e le si verifica, solo così si possono avere risposte: rimuginare non porta risultati.”

Quelle parole sollecitarono nella ragazza un ricordo: “Tra le cose che ho studiato all’università, c’è un testo induista interessante. Un eroe, già temprato da mille battaglie, esita nell’affrontare quella più importante della sua vita, poiché dovrebbe affrontare amici e parenti e questo gli sembra ingiusto. Il suo auriga, che in realtà è una divinità, gli dice che non può scegliere di non agire, perché anche la scelta di non fare nulla è un modo di fare qualcosa.”

“Questo dà ragione a me.”

“Dice anche che bisogna agire per agire, non pensare alla vittoria o alla sconfitta, disinteressarsi al risultato, ma fare perché si deve fare.”

“Altra affermazione a mio favore.”

“Dice anche, però, che quel che è davvero importante è essere amico di Dio, l’unica vera via giusta è il rapporto d’amore tra il devoto e Dio.”

“Tu è a questo che miri?”

“Mi piacerebbe, sì.”

“Auguri, allora.”

“Troppo ambizioso?”

“Sì, soprattutto perché neppure tu ne sei sicura. Ne hai parlato non come una certezza che hai, ma come una speranza e pure esile: desideri che sia questa la verità, ma ancora in fondo ne dubiti. Per quel che hai detto, non stai cercando il rapporto con Dio, stai cercando la conferma che quella sia la strada da tentare.”

Punta così nel vivo, non sapendo cosa rispondere per difendere le proprie posizioni, Virginia replicò: “Tu, invece, agisci e agisci senza mai ottenere nulla. Spendi tante energie invano. Sei come su un tapis roulant: corri e corri e non ti muovi di un metro.”

Erik si accigliò per qualche istante, i suoi occhi lampeggiarono ira per qualche frazione di secondo, poi con imperativa calma consigliò: “Non giudicare la mia vita, di cui sai ben poco.”

“E voi non giudicate la mia.”

“Sei stata tu a esporre i tuoi crucci, io ti ho solo comunicato le mie impressioni: c’è differenza.”

Virginia provò vergogna e si sentì un poco in colpa; era tentata di chiedere scusa ma, nel provare a dire quella parola, l’imbarazzo la bloccava.

Per l’ennesima volta nella sua vita si sentiva inadeguata. Non era, però, il senso di disagio e noia che avvertiva in mezzo ai suoi coetanei o a qualche evento mondano, piuttosto era la timidezza che la paralizzava in presenza di quelle poche persone che ammirava, generalmente professori universitari o uomini particolarmente istruiti o sicuri di sé. Non che davanti ad essi lei si bloccasse e rimanesse in silenzio, semplicemente era agitata dal timore di non apparire all’altezza della loro attenzione e quindi ponderava ogni parola, ogni gesto.

Virginia aveva sempre diviso le persone in due categorie: quelle comuni, della cui opinione non le importava nulla (o almeno era ciò di cui cercava di convincersi) e i pochi altri che l’avevano colpita per profondità d’animo e sottile intelletto. Era l’approvazione di costoro che la ragazza mirava ad ottenere.

In fondo le cose stavano così: lei si sentiva diversa dalla massa e non solo a causa dei suoi poteri, temeva di essere sbagliata e dunque cercava di salvare quel poco di autostima che aveva volgendo il suo sguardo a quella ristretta categoria di persone che riteneva superiori, sperando di essere da loro ben accettata e in questo modo avere la conferma che fossero gli altri ad essere sbagliati, non lei: lei era superiore.

Questa ricerca l’aveva sempre guidata, fino a quel momento, ma i consensi e i piccoli successi che aveva ottenuto non erano mai stati sufficienti per rassicurarla. Un bel voto, un complimento, uno studio pubblicato non bastavano mai a colmare la sua insicurezza; sentiva costantemente il bisogno di dover dimostrare al mondo (o forse a se stessa?) che anche lei meritava di vivere.

Di tutto ciò, tuttavia, non era granché consapevole.

Era calato il silenzio: la ragazza sorseggiava un bicchiere di latte, tenendo la testa china tanto che i capelli le coprivano il volto; l’uomo la osservava, voleva capire qualcosa di più di lei, metterla alla prova. Non assomigliava alla maggior parte delle donne che aveva conosciuto, forse aveva qualcosa della personalità di Raven, ma era anche parecchio diversa. La caratteristica che a lui era balzata maggiormente all’occhio era la contraddizione: quella giovane non era superficiale, guardava le cose in profondità e ciò le impediva di avere certezze. Quest’ultimo fattore giocava a favore di Magneto e lui lo sapeva bene: era più facile condurre una persona incerta, piuttosto che far cambiare idea a una sicura.

Voleva prima verificare alcune cose dell’animo della sua ospite, quindi decise di provocarla apposta, dicendo: “Non dovrebbe stupirmi il tuo volerti sottrarre da lotte e responsabilità: sei Italiana.”

Virginia, punta nell’orgoglio nazionale, alzò il volto e fulminò con lo sguardo l’altro, domandando: “Come, scusa?”

“Si sa: voi preferite essere comandati da qualcuno, piuttosto che prendere delle scelte, e vi va bene chiunque purché abbiate il piatto pieno. Come che dite? Venga la Francia, venga la Spagna, purché se magna? Non avete spina dorsale per combattere: nella prima guerra mondiale vi sparavate da soli a mani e piedi per tornare a casa. Siete un popolo di fannulloni, codardi a cui piace solo mangiare e cantare. Perché ho pensato che tu potessi essere diversa, non lo so.”

“Non ti permetto di parlare così della mia nazione!” tuonò Virginia, alzandosi in piedi e sbattendo violentemente i palmi sul tavolo “Noi discendiamo dai Romani, coloro il cui impero fu tra i più vasti e fu il più duraturo di cui la storia abbia memoria.”

“Solo perché si conta anche i mille anni dell’impero bizantino, che ormai aveva ben poco a che fare con voi. Crogiolati pure delle vecchie glorie, ma ormai vi siete imbastarditi e avete ben poco del sangue di Cesare. Avete passato gli ultimi secoli come schiavi, è a questo che siete abituati: lavorare per i padroni e non lottare per voi stessi.”

La ragazza era furiosa, agitò per aria l’indice, gridando: “Tu dimentichi Pietro Micca che si fece esplodere per fermare i Francesi, non conosci i Reggiani che insorsero prima dell’arrivo di Napoleone! Non sai niente del nostro Risorgimento: Santorre di Santa Rosa, Pisacane, Zucchi, i fratelli Bandiera, Garibaldi, Bixio, Mazzini!”

“Mazzini era tanto bravo a parlare, ma di fatto non l’ho mai visto con un’arma in mano: lasciava che fossero gli altri a combattere e a morire. Potete anche aver avuto qualche decennio in cui qualcuno si è comportato da uomo, ma poi? Siete il popolo del non spingete, scappiamo anche noi.”

Magneto aveva notato che la giovane era presa dall’ira e che si sforzava di non lasciarla sfogare. L’uomo capì di dover fare di più per provocare in lei una reazione maggiore: farla arrabbiare di più non sarebbe servito, doveva convincerla a non frenare il potere della sua rabbia.

Aveva notato che lei aveva un forte autocontrollo, ma ben diverso dal suo: lui dava carta bianca alla sua ira, mostrandosi tuttavia calmo e imperturbabile il più delle volte; lei invece appariva deformata da una rabbia di cui si vergogna o aveva paura e quindi cercava di frenarla.

Magneto si disse che c’era un solo modo per costringere l’ospite a una vera e propria reazione. Posò lo sguardo su un coltello appoggiato sulla tavola, lo sollevò col suo potere e lo scagliò verso la ragazza.

Virginia fu rapidissima: fece uscire l’acqua dalla caraffa che aveva davanti a sé, la posizionò come scudo e la fece congelare a mezz’aria, in modo che il coltello si conficcasse nel ghiaccio e non potesse raggiungerla.

L’uomo sorrise soddisfatto e insistette: altri coltelli si levarono per aria e sfrecciarono verso la giovane che aumentò la quantità d’acqua e la fece vorticare come un mulinello sospeso, in modo da deviare la traiettoria dei coltelli. Virginia, poi, plasmò l’acqua in punte di ghiaccio e le rivolse verso l’aggressore. Erik si affrettò ad evitarle, sollevandosi per aria il minimo necessario, poi approfittò del braccialetto metallico che la ragazza portava per spingerla contro il muro e immobilizzarla.

Accorgendosi che lei era intenzionata ad attaccare ancora, Magneto si affrettò a dire: “Ferma, ti stavo solo mettendo alla prova.” smise di tenerla bloccata “Allora li usi i tuoi poteri.”

“Solo al bisogno.” ribatté Virginia, ancora nervosa.

“Te la cavi piuttosto bene, anche. Brava, brava. Ero curioso e son rimasto soddisfatto.”

La giovane, sbalordita e arrabbiata, replicò: “Come ti salta in mente di insultarmi e aggredirmi solo per vedere cosa so fare? Chiedere?”

“È la rabbia che ci potenzia, che ci aiuta a tirare fuori il massimo dei nostri poteri.”

“A maggior ragione, allora, dovremmo imparare a restare calmi.” la ragazza era molto seria, come spaventata da un pericolo appena scampato “So bene cosa la rabbia può scatenare: è per questo che cerco di evitarla.”

“L’ira mi ha sempre aiutato. È la naturale conseguenza della sofferenza, è il principio del miglioramento.”

“Non quando è solo distruttiva.”

“Un amico mi disse che la massima concentrazione si trova in un punto tra la rabbia e la serenità. È vero. L’ira dà energia, la serenità serve a canalizzarla meglio. Non averne paura, quindi, non negarla, cerca di sfruttarla.”

Virginia scosse la testa nervosamente, borbottando: “No, sono consapevole di quel che devo fare.”

Magneto avrebbe voluto continuare la conversazione: gli dispiaceva vedere una mutante con un simile potenziale limitarsi. Si era però accorto del turbamento che aveva preso l’ospite, per cui decise di non insistere in quell’occasione e di aspettare un altro momento per affrontare la faccenda: il tempo non sarebbe mancato.

Quel che gli sembrava più strano era che una persona che sosteneva di venire da una famiglia di mutanti avesse così tanta paura nell’usare le proprie capacità.

“Allora, quale sarebbe la prossima tappa del tuo viaggio?” chiese Erik, dopo un lungo silenzio “Verso dove dobbiamo far rotta?”

Virginia sussultò per lo stupore, alzò lo sguardo verso l’uomo, domandando: “Siete ancora intenzionato ad accompagnarmi?”

“Certamente, perché non dovrei? Credi forse che bastino due parole di disaccordo per farmi cambiare idea? Se così fosse, non mi sarei intrattenuto più di cinque minuti con te.” un velo di malinconia lo sfiorò rapidamente e lui disse: “Avere visioni differenti non significa essere nemici.”

Erik pensava a Charles e anche a Raven.

“Hai ragione.” disse la ragazza, sorridendo, sentendosi confortata.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Erik e Virginia si erano messi in viaggio. Avevano studiato abbastanza dettagliatamente la prima parte di tragitto da percorrere e avevano preparato con attenzione due zaini con tutto l’equipaggiamento e le scorte alimentari di cui avrebbero potuto aver bisogno.

La meta di quel primo percorso era Damasco, in Siria, e avevano calcolato di impiegare una decina di giorni per raggiungerla. I primi sessanta chilometri li avevano affrontati più o meno comodamente su un pullman che li aveva portati fino a Ma’ale Efraim, poi avevano deciso di continuare a piedi almeno fino a Dganya Alef, sul mar di Galilea, che era in realtà un lago. Sarebbero stati circa un centinaio di chilometri e prevedevano di coprirli in un paio di giorni e mezzo, tre al massimo, se avessero voluto procedere lentamente.

Avevano camminato con passo svelto, la temperatura era ideale e loro non pativano né il caldo, né il freddo. Non si parlavano molto, se non durante le soste per rifocillarsi e dormire. Il marciare li induceva ad essere assorti nei loro pensieri, si guardavano attorno, le riflessioni attraversavano le loro menti come l’acqua corrente un fiume e dopo ore non erano nemmeno in grado di dire quanto tempo fosse trascorso o su cosa avessero ragionato.

Arrivarono sulle rive del Mar di Galilea nel pomeriggio del terzo giorno e decisero di riposarsi. Si concessero una cena sostanziosa in un piccolo ristorante di pesce; mentre per dormire avevano scelto di accamparsi a un paio di centinaia di metri dalla riva del lago.

Seduti uno di fronte all’altro, col fuoco in mezzo a separarli, Virginia domandò: “Non sei ancora pentito?”

“Di cosa?” replicò Magneto, assumendo cipiglio fiero “Posso essere dispiaciuto sui risultati, ma non sui mezzi.”

La ragazza rimase un attimo perplessa e poi disse: “Veramente mi riferivo a questo viaggio … Sei sempre convinto di volerlo fare?”

“Certo. Perché me lo chiedi? Sembra quasi che tu non mi voglia.”

“No, anzi … è solo che mi sembra strano.”

“Che cosa, esattamente?”

“Ch’io non ti abbia già seccato, stufato, annoiato.”

“Perché pensi questo? Dovresti stimarti di più.”

“Io mi stimo: è il mondo che non lo fa. Di solito per le persone risulto pesante, noiosa, troppo seria o troppo lunatica, quella che non sa divertirsi, quella che non sa essere femminile, quella inquietante, quella che quando si facevano le squadre da bambini veniva sempre scelta per ultima. Nessuno vuole mai la mia compagnia e mi sembra strano che tu …”

“Bah, stai esagerando: ne sono certo. Mi vuoi dire che non hai amici?”

“Forse un paio … altri che reputavo tali si sono rivelati essere in realtà semplici compagni di gioco. Ci si trova una sera a settimana, in gruppo, per divertirci con qualche gioco da tavolo, oppure per andare a teatro o al cinematografo e nient’altro. Ci si vede poco e sempre non con la finalità di trovarsi, ma di fare qualcos’altro. Non è mai un vedersi per godere della reciproca compagnia.”

“Loro hanno comunque deciso di condividere i loro interessi con te e non con qualcun altro. Non sarà il rapporto profondo che vorresti tu, ma è comunque una dimostrazione di stima e affetto: tra tante persone con cui potrebbero divertirsi, hanno scelto te.”

“È comunque un’amicizia incompleta: è superare le avversità insieme che cementifica un rapporto.”

“Lo so bene …” sospirò Erik, alzando gli occhi al cielo, tacque qualche istante, poi si alzò in piedi e disse: “Scusami, ho bisogno di schiarirmi le idee: faccio due passi.”

“D’accordo, ti aspetto.”

“Quando sei stanca, dormi pure, non so quanto mi ci vorrà.” si accorse dello sguardo dubbioso della ragazza, per cui la rassicurò: “Tranquilla, non sto scappando. Non sono il tipo di persona che fa le cose contro voglia: mi sono proposto di accompagnarti perché, nonostante le divergenze, ho trovato molto da apprezzare in te. A dopo, buona notte.”

Erik si allontanò piuttosto velocemente: discutere di amici e amicizie gli aveva fatto affiorare piuttosto veementemente il ricordo di Charles e quindi aveva preferito trovare un posto dove rimanere solo a pensare.

Che cos’erano lui e Charles?

Dieci anni prima, seppure per un tempo breve, erano stati amici; lo erano ancora?

Quando lui aveva tentato di uccidere il presidente Nixon, Charles glielo aveva impedito, ma poi gli aveva permesso di fuggire e non finire di nuovo in prigione o, peggio, essere giustiziato.

Che strano! Lo aveva fatto evadere controvoglia, erano rimasti assieme le ore di un viaggio in aereo, litigando o discutendo per la maggior parte del tempo; poi lui aveva tentato di uccidere Raven, tradendo così la fiducia del suo forse amico. Infine aveva cercato di risolvere la situazione coi suoi metodi che Xavier non approvava. Tutto ciò non doveva forse bastare a uccidere un’amicizia che credeva già morta? Eppure, dopo tutto ciò, Charles lo aveva salvato, forse comportandosi da amico ancor più che prima. Come mai?

Lui si sarebbe comportato in quel modo? Trovandosi in una situazione di vantaggio e vedendo Charles in difficoltà, lo avrebbe aiutato?

Sì.

Ci aveva riflettuto per alcuni minuti, ma alla fine aveva concluso di sì.

Si sentiva ancora suo amico, si sentiva ancora legato profondamente a lui e non gli avrebbe mai fatto alcun male. Salvo ciò non fosse stato necessario per la salvaguardia degli altri mutanti, ma era un caso del tutto ipotetico ed estremamente improbabile.

Avevano ideali e valori che in parte si intrecciavano e in parte divergevano. Entrambi volevano la libertà dei mutanti, il loro benessere fisico, sociale e psicologico, i loro diritti, il loro poter essere ciò che erano. I due, però, avevano visioni del mondo troppo differenti per poter concordare sui mezzi da utilizzare per ottenere tutto ciò.

Ognuno vedeva l’altro su una strada erronea e voleva salvarlo dalla disfatta e portarlo nel proprio paradiso.

Charles era ottimista, credeva nell’accettazione graduale dei mutanti da parte degli umani, nell’integrazione e cooperazione. Vedeva Erik su una strada di violenza che avrebbe solo gettato odio sui mutanti e avrebbe reso difficile qualsiasi tentativo di dialogo.

Erik, invece, vedeva nel mondo solo guerra e odio per il diverso: darwinianamente riteneva che soltanto il più forte potesse sopravvivere e quindi vedeva nella lotta l’unica via per ottenere un posto nel mondo. Provava compassione per Charles, ritenendo che vivesse nella mortificazione e che si lasciasse sfruttare dagli umani, da coloro che prima o poi lo avrebbero tradito e distrutto.

Avversari che non volevano distruggersi, avversari che sarebbero stati pronti a soccorrersi vicendevolmente nel momento del bisogno.

Erik, passeggiando attorno al lago, aveva trovato un gruppo di scogli. Si era seduto sopra uno di essi, quello più avanzato, e continuava a pensare, guardano la superficie liscia dell’acqua, calmissima, in cui la falce di luna si rifletteva. La luce degli astri era flebile, l’illuminazione artificiale lontana, l’uomo era nell’oscurità, ma ciò non lo disturbava.

Era sicuro che, prima o poi, perfino Charles si sarebbe reso conto dell’asperità del mondo. Xavier era stato cresciuto come un principino, in quella specie di piccolo castello con ogni comfort immaginabile, con domestici e sempre nell’abbondanza. Ambiente ben diverso da quello vissuto da Erik, prima sotto le leggi razziali, poi nel ghetto e, infine, nel campo di concentramento.

Charles, probabilmente, non aveva mai fatto a botte in vita sua, neppure da bambino: era stato, senza dubbio, uno di quelli che andava a piagnucolare dalla maestra per qualsiasi cosa, che credeva bastasse una battuta di spirito per conquistarsi la simpatia del bullo che fino a due minuti prima lo voleva picchiare. Lui, invece, era cresciuto in ben altro modo. Se bambini o ragazzi gli creavano problemi, lui li affrontava da solo, senza rivolgersi agli adulti. Non aveva mai alzato le mani su qualcuno se non per difendere sé stesso o un compagno di sventura. Anche da più grande si era accorto che l’essere diplomatico serviva a ben poco e che solitamente si veniva ignorati o calpestati, se non si alzava la voce, non ci si mostrava determinata e si dava, almeno, un piccolo saggio della propria forza.

Charls, finora, nella propria vita se l’era cavata con la diplomazia perché non aveva avuto grandi pretese ed era sufficiente la sua ricchezza per indurre gli altri a contentarlo. Pure la ricchezza era una forma di forza e di violenza, ma Charles ancora non lo capiva e, probabilmente, non si rendeva conto di quanto il denaro gli avesse semplificato la vita.

Erik, tuttavia, riteneva che se ne sarebbe accorto presto, quando il capitale della sua famiglia, ridicolo in confronto a quello dei grandi potenti della Terra, non sarebbe stato sufficiente a garantirgli la benevolenza dei governi che presto avrebbero preteso di sorvegliarlo, tanto per cominciare.

Raven aveva raccontato a Magneto della reazione del capo della CIA quando si era reso conto delle loro capacità: aveva ordinato di tenerli sottochiave, fino a che non avrebbe deciso che cosa fare.

Per fortuna, grazie all’aiuto di Moira, la prigionia era diventata una collaborazione.

Erik non capiva come anche solo quell’episodio non fosse bastato a mostrare a Charles la paura degli umani e quanto essi possano essere crudeli. Che cosa avevano fatto Charles e Raven? Si erano rivelati per dimostrare un pericolo imminente e poter aiutare il governo e per questi erano stati quasi imprigionati.

Charles era stato troppo felice e aveva vissuto troppo facilmente per capire l’importanza della lotta. Avrebbe dovuto soffrire per scoprirla.

A Erik questo dispiaceva: avrebbe preferito che l’amico comprendesse, senza dover patire.

Era certo che sarebbe arrivato il giorno in cui Charles avrebbe aperto gli occhi e, allora, lui, Magneto, lo avrebbe avuto nuovamente al suo fianco.

Era quello che aveva sempre voluto, in fondo: lottare fianco a fianco con l’amico, per il bene di tutti i loro fratelli mutanti.

Sarebbero stati un po’ come Sandokan e Yanez: due amici fraterni, uniti nella lotta contro il potere che voleva uccidere e soggiogare; insieme ad affrontare le avversità.

Nessuno dei due sarebbe stato il capo, sarebbero stati pari.

Questa prospettiva dimostrava l’amicizia e l’affetto che Erik provava per Charles.

Magneto era un leader per gli altri mutanti, anche per Mystica, solitamente lui comandava, guidava e gli altri lo seguivano. Non sarebbe stato così per Charles. Sarebbero stati di nuovo un duetto equilibrato, come consoli romani, com’era stato dieci anni prima, quando si erano conosciuti.

Erik ripensava a quelle poche settimane come a quelle più belle e felici della propria vita, ma non perché gli avevano consentito di uccidere Show. Da quando aveva perso la propria famiglia, era stata la prima volta che non si era sentito solo, che aveva avvertito un senso di appartenenza.

Finita la Seconda Guerra Mondiale, Erik era rimasto in un istituto per orfani fino alla maggiore età e poi aveva dovuto trovare da lavorare e aveva iniziato a preparare la propria vendetta, dunque ad indagare e cercare i gerarchi nazisti che ora si nascondevano. Non aveva certo avuto tempo di fare amicizie, non condivideva con nessuno i propri pensieri più profondi, aveva solamente rapporti superficiali e si spostava di continuo. Aveva avuto un paio di relazioni serie con alcune donne, era riuscito anche a raccontare loro qualcosa della guerra, a una addirittura dei suoi poteri, ma non era mai soddisfatto: la vendetta lo guidava e gli era impossibile mettere radici da alcuna parte.

In generale, quello che gli aveva sempre causato maggior fastidio, era il pietismo che tutti quanti gli dimostravano quando scoprivano che era Ebreo: odiava che lo trattassero diversamente dagli altri e lo considerassero come qualcosa di fragile per cui provare pietà o commiserazione.

Erik non era sicuro di sapere il perché il poco tempo passato con Charles fosse stato così felice e importante per lui. Forse perché per la prima volta si era sentito trattare davvero come un uomo normale: né come bestia, né come vittima.

Si era presto legato a Charles, era riuscito a confidargli tutti i suoi travagli, ad avere fiducia in lui … e dire che non si era mai fidato d’altri prima. Poche settimane erano state come un’intera vita: la ricerca dei mutanti, l’assalto alla villa del generale russo, l’allenamento … avevano passato intere giornate gomito a gomito, avevano provate emozioni all’unisono, vissuto le medesime esperienze. Forse proprio l’importanza di ciò che stavano facendo li aveva uniti profondamente. Non stavano condividendo un’uscita a teatro o al bar, stavano condividendo un sogno. Avevano un obbiettivo comune. Ciò che facevano non era per svagarsi, ma era una causa per la quale avevano dato l’anima.

Ecco perché erano diventati amici così profondamente: non avevano mostrato solo la superficie di sé, non avevano dato l’uno all’altro semplicemente un po’ di giovialità; entrambi avevano fatto emergere la parte più genuina di sé, le loro anime si erano toccate e intrecciate. Per questo la loro amicizia resisteva anche al loro essere avversari.

La gente può impiegare anni prima di conoscere quelli che reputa amici. Li frequenta per anni e anni, eppure tutto rimane superficiale, ci si limita a vedersi per mangiare o giocare o vedere un film e si rimane quasi come estranei, conta soprattutto la simpatia; poi arrivano momenti difficili, ci sono le confidenze, gli sfoghi, il reciproco aiuto ed è da questi fatti che pian, piano si cementa l’amicizia, tramite queste piccole prove nel tempo le anime si legano.

Le circostante, il sogno e la lotta avevano permesso a Erik e Charles di creare una delle amicizie più salde che si possano immaginare.

Il pensiero di Charles, nonostante gli ultimi dissapori, era per Erik una cosa preziosa, da godere in solitudine, lontano da chiunque altro, come per paura che la presenza di un estraneo potesse contaminare quel frangente o, forse, solo per potersi sentire libero di lasciarsi rigare il volto da un paio di lacrime, se fosse giunta la malinconia per quella separazione.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Erik, dopo aver pensato ai tempi passati ed aver sentito la mancanza di un buon cognac o whiskey che accompagnasse i suoi pensieri, era tornato al piccolo accampamento. Virginia si era addormentata, quindi mise nel fuoco tre tronchetti per assicurarsi che il falò non si spegnesse e li scaldasse fino al mattino.

Il giorno dopo, mentre sistemavano le loro cose per ripartire, Magneto vide il proprio elmetto sul fondo dello zaino. Rimase indeciso per alcuni momenti, ma poi scelse di tirarlo fuori e calarlo sulla testa. Da quando era a Gerusalemme non lo aveva più indossato, per non destare attenzioni, ma in quel momento non voleva rimanere con la mente vulnerabile. Temeva dunque Charles? No, si disse, in fondo per il mondo ci potevano essere altri telepati e lui voleva tutelarsi, poiché che qualcuno potesse guardare nella sua testa e addirittura controllarla era una delle prospettive che più lo ripugnava e lo faceva adirare.

Dopo colazione, i due viaggiatori si informarono circa come fosse meglio raggiungere la sponda opposta del lago. Alla fine, piuttosto che costeggiarlo, preferirono attraversarlo su un traghetto mercantile che avrebbe impiegato poco più un’oretta a coprire i 21 chilometri di lunghezza dello specchio d’acqua e sbarcare a Cafarnao.

Si trovarono nella zona portuale del mercato e si misero a discutere circa quale fosse la strada migliore per raggiungere Damasco. Li udirono alcuni mercanti persiani e uno di loro, dopo essersi consultato con gli altri, disse loro: “La strada per Damasco non è sicura di questi tempi. Tra gli scontri fra Palestinesi e Israeliani e quelli tra esercito siriano e chi non ha ancora accettato l’ascesa di Hafiz al-Asad, trovarsi fuori dalle città è molto pericoloso. Noi siamo scortati da una milizia privata, se dovete andare verso Damasco, vi conviene aggregarvi a noi. Non vi chiederemo certo soldi: ben volentieri offriamo aiuto ai viaggiatori, proprio perché conosciamo bene le difficoltà di questa tratta.”

Erik ascoltò con diffidenza la proposta: qualcuno che offriva aiuto e non pretendeva niente in cambio? Molto probabilmente era un inganno, una truffa o un modo per cercare di rapinarli.

Virginia, invece, si informò: “Siete diretti a Damasco anche voi?”

“La nostra meta finale è Theran, ma faremo tappa a Damasco, Baghdad e alcuni mercati importanti.”

“Quanto durerà il viaggio da qui a Damasco?”

“Sei, sette ore, generalmente, purtroppo coi convogli merci andiamo più lentamente di un’automobile. Partiremo tra un’oretta, per essere certi di arrivare prima che cali il buio. Che ne  dite, allora?”

Erik intervenne: “Lasciateci cinque minuti per discuterne.”

L’uomo prese da parte la ragazza e le domandò: “Nessuno ti ha mai insegnato a non accettare passaggi dagli sconosciuti? Come puoi pensare di seguirli, senza prima riflettere?”

“Sono mercanti.”

“È la loro parola e basta e poi ti sembra normale che non vogliano essere pagati?”

“Per quanto riguarda ospitalità e solidarietà, gli orientali sono migliori di noi. Sono abituati a vivere nella fatica e nel pericolo, quindi hanno una forte empatia per chi si trova in situazioni simili e lo aiutano ben volentieri. Per loro è naturale comportarsi così: un giorno danno aiuto loro qualcuno, il giorno dopo lo ricevono. Semplice.”

“Sarà.” Erik non era persuaso.

“Ad ogni modo, sarà un viaggio di poche ore, poi la nostra strada procederà diversamente, verso Ninive a nord, mentre loro andranno ad est.”

L’uomo ancora non era tranquillo, tuttavia scosse le spalle e disse: “Va bene. Se provano ad alzare un dito, glielo farò rimpiangere: effettivamente, non sono certo un pugno d’umani che possono spaventarmi.”

Riferirono dunque ai mercanti di aver deciso di compiere assieme a loro il tragitto fino a Damasco. Partirono in meno di un’ora. Entrambi erano stati fatti salire sul fuoristrada su cui viaggiava il capo carovana assieme ai suoi due soci più importanti e un paio di uomini della scorta, oltre che alla cassa col denaro. Il mezzo era al centro della formazione, preceduto da due furgoncini con la mercanzia e seguito da altrettanti, mentre attorno a loro si muovevano due auto e due motociclette della scorta armata.

Il capo dei mercanti era un persiano zoroastriano di nome Kourosh, un simpatico uomo sulla cinquantina, che aveva trascorso gran parte della vita a fare il mercante, molto fedele al suo sovrano, lo Shah Reza Pahlavi. Per intrattenere gli ospiti, parlò a lungo del suo monarca, elogiandone la politica filoccidentale, una certa forma di stato laico, la volontà di accentrare il potere e non lasciarlo a frammentato a vari gruppi, anche a costo di sembrare dittatoriale; soprattutto era contento di come, una decina di anni prima, lo Shah avesse rifiutato convenzioni con le Sette Sorelle e aver siglato un accordo commerciale con l’Eni di Enrico Mattei, per una vendita del petrolio a condizioni vantaggiose per l’Iran.

Kourosh stava raccontando di queste cose, quando si sentì una specie di colpo e poi l’automobile iniziò a sbandare, costringendo l’autista a frenare bruscamente e, con lui, il resto della carovana, in un tratto di strada distante vari chilometri da qualsiasi centro abitato.

“Che succede?” domandò il capo dei mercanti.

“Abbiamo bucato una ruota.” rispose chi guidava.

Una delle guardie di sicurezza scese dal fuoristrada per verificare lo stato delle cose e, dopo neppure un minuto, aprì leggermente la portiera per dire: “Rimanete dentro. È stato un cecchino a forarci la gomma: si tratta di una trappola.”

“Che cosa vogliono?” chiese Virginia, un poco spaventata.

“Rubare merci e denaro.” spiegò Kourosh “La guerriglia costa e i vari gruppi depredano i mercanti per finanziarsi. Piuttosto che farmi derubare, preferisco morire: ho investito parecchio in questo scambio, se perdo il carico rischio il tracollo finanziario e non posso permettere una simile vergogna e umiliazione sulla mia famiglia. Se muoio, almeno l’assicurazione permetterà ai miei figli di non finire in miseria e poter andare avanti qualche anno, finché non avranno un lavoro solido.”

I furgoncini accerchiarono il fuoristrada per proteggerlo e i mezzi della scorta si misero attorno ad essi. Le guardie e anche alcuni dei mercanti strinsero in mano fucili o pistole e si acquattarono dietro alle macchine, pronti a far fuoco su eventuali banditi che li avessero aggrediti.

Presto si udirono spari e i proiettili iniziarono a sibilare nell’aria.

“In questo modo ci faremo ammazzare.” sibilò Erik a Virginia, dopo un paio di minuti “Basta un proiettile in qualche zona delicata e tutto quanto esplode.”

“Cosa suggerisci?” chiese la ragazza.

“Di certo non di stare qui ad aspettare. Io esco ed elimino il problema degli assalitori, tu fa come ti pare.”

Detto ciò, Magneto con un cenno della mano fece spalancare la portiera e si gettò fuori dall’auto, mentre gli altri, stupiti, cercavano di trattenerlo.

Levitò in aria, sollevandosi di alcuni metri, per avere una migliore visuale. Dapprima deviò i proiettili sparati dagli assalitori, ma più che per proteggere i mercanti lo fece per evitare danni ai mezzi di trasporto, in modo tale da poter ripartire immediatamente dopo l’attacco e non rimanere esposti ad altri assalti, mentre eseguivano le riparazioni.

Poi, sfilò le armi dalle mani degli aggressori e le puntò contro di essi. Questo, tuttavia, non gli riuscì uniformemente, poiché benché percepisse la presenza del metallo, il fatto di non avere gli avversari davanti a sé, ma tutti attorno, gli impediva di avere tutto sotto controllo.

Fu la prima volta che si accorse di quella pecca e si ripromise di allenarsi già dai giorni successivi, per avere una maggiore padronanza del proprio potere, non solo come potenza, ma anche come coordinazione.

Per il momento si sarebbe accontentato di uccidere prima gli uomini davanti a sé, poi rotando avrebbe colpito quelli da un lato e così via, anziché poterli eliminare all’unisono.

Una prima scarica di colpi e circa un quarto degli assalitori cadde morto.

Virginia, intanto, aveva deciso che neppure lei sarebbe rimasta ferma ad aspettare; aveva preso un accendino ed era balzata fuori dall’auto, correndo verso il lato a cui Magneto dava le spalle. Superò le barricate dei difensori, usò l’accendino per avere una piccola fiamma che spostò sul palmo della propria mano sinistra e l’ingrandì, plasmandola in una sfera. Da questa palla di fuoco, la ragazza, con gesti della mano destra, fece partire grandi lingue di fuoco che guizzarono nell’aria e raggiunsero gli assalitori che, presi da terrore e sgomento, si diedero alla fuga.

Magneto, intanto, aveva ucciso i restanti e, vedendo quelli che scappavano, si sforzò di ammazzarne il più possibile, ma qualcuno gli sfuggì.

“Ehi, lascia stare, ormai stanno scappando!” protestò Virginia, vedendo ciò.

“Vuoi forse che vadano a chiamare i loro compari per la rivincita?” l’uomo atterrò vicino a lei “Guardala in questa maniera: se io li uccido tutti, salvo la vita ai loro amici a cui avrebbero chiesto soccorso. Perché ti sei intromessa? Me la stavo cavando perfettamente.”

“Data la situazione, ho agito in fretta. Non potevo aspettare, vedere quel che accadeva e poi eventualmente intervenire. In più me l’hai detto tu di fare quel che mi pareva.”

“Non immaginavo avresti avuto il coraggio di intervenire.”

“Ho del sangue nelle vene.”

Interruppero la conversazione, accorgendosi dell’avvicinarsi circospetto e intimorito dei mercanti e della scorta.

Erik pensò subito che da lì a pochi istanti avrebbero iniziato a chiamarli mostri e a cercare di scacciarli, per cui si preparò a respingerli.

Tra tutti, avanzò Kourosh, esterrefatto; li osservò alcuni momenti e poi disse: “Voi … voi siete Yazata!”

Erik corrugò la fronte, non capendo.

“È il grande Ahura Mazda che vi ha inviato per soccorrerci!” il mercante si gettò in ginocchio, adorante, e gli altri lo imitarono.

Erik non capiva che cosa stesse accadendo esattamente; era evidente che gli umani non avrebbero attaccato, ma il perché gli rimaneva un mistero.

Virginia, invece, aveva compreso le parole del mercante, per cui decise di approfittarne. Avendo ancora la sfera di fuoco in mano, manipolò un poco le fiamme per impressionare ulteriormente i presenti e disse: “Esattamente. Io sono Atar e lui e Verethragna. Viaggiamo per il mondo così come ci ha ordinato Ahura Mazda per proteggere l’asha combattere i daiva e gli uomini le cui menti hanno abbracciato la drug di Angra Manyu.”

Erik era sorpreso, ma capiva bene di dover assecondare quanto diceva la donna, per cui non la contestò, rimase in silenzio e assunse una postura alquanto altera e si sollevò in aria di mezzo metro.

Kourosh appoggiò la fronte a terra e disse: “Sia lode ad Ahura Mazda. Noi mille volte beati per aver ricevuto la grazia di incontrare i suoi Yazata!”

“Alzati” proseguì Virginia “La tua devozione è nota, dopo ci sarà il tempo per la venerazione. Ora controllate i danni subiti e preparatevi a ripartire. Noi, nel frattempo, cercheremo daiva nascosti nei paraggi, in modo che non possano più intralciare il vostro viaggio.”

“Grazie, grazie!” dissero i mercanti, prima di mettersi all’opera.

I due mutanti si allontanarono di qualche centinaio i metri e, quando furono certi di non poter essere uditi, Erik domandò: “Mi spieghi esattamente la situazione? Ho capito che costoro ci ritengono entità semidivine o angeliche e questo mi sta bene, visto che ce li fa essere favorevoli, tuttavia vorrei saperne di più del contesto, onde evitare errori che possano compromettere questa copertura.”

“Sono zoroastriani, quindi credono nella lotta perenne di Ahura Mazda e Angra Manyu, il dio del bene che segue asha, l’ordine, e il dio del male che segue drug, il caos; poi nei testi più antichi le cose sono leggermente diverse, ma pazienza. Ci sarebbe parecchio da dire, ma adesso non è essenziale. Direi che basta sapere che Ahura Mazda ha come collaboratori, se così si può dire, sette entità dette Amesha Spenta e altre dette Yazata, venerabili, quest’ultima per lo più sono quelle che interagiscono con gli uomini e combattono contro i daiva, ossia esseri sovrannaturali al servizio di Angra Manyu.”

“D’accordo, semplice da ricordare. Loro ci credono Yazata, giusto?”

“Sì. Per essere più convincente ho detto loro nomi ben radicati nella loro tradizione.”

“Quali erano?”

“Io Atar e tu Verethragna.”

“Perché tu un nome semplice e io così complicato?”

“Beh, mica ti devi chiamare da solo. Comunque a me ho attribuito il nome dello Yazata del fuoco, mentre a te quello di un’entità eroica, legata alla vittoria in battaglia e alla supremazia.”

“Bello, mi piace. Speriamo che non mi chiedano di raccontare le mie gesta, perché non ne saprei neppure una.”

“Nel caso, dì loro che preferisci narrare fatti non tramandati e poi inventa, ma non credo sarà necessario.”

“Tu come sai tutte queste cose?”

“Le ho studiate. Te l’ho detto, ho scelto queste zone come meta del mio viaggio, perché volevo finalmente vedere dal vivo ciò che finora avevo conosciuto soltanto sui libri.”

Presto tornarono presso la carovana e proseguirono indisturbati fino a Damasco. Le ore del viaggio trascorsero rapidamente, per lo più parlavano Kourosh e Virginia, Erik intervenne raramente.

Arrivati in città, i due mutanti si affrettarono a prendere congedo dai mercanti, per evitare di dover portare troppo avanti quella messa in scena. Dissero che il loro dovere richiedeva che andassero a cercare nuove persone da aiutare. Kourosh non obbiettò, ma non li lasciò andare senza prima aver fatto loro doni e chiesto benedizioni per sé, colleghi, amici e parenti.

Finalmente i due mutanti furono di nuovo soli, dato l’orario, cercarono un ostello che li ospitasse per la notte.

Erik era sdraiato su una branda, in mezzo ad altri viaggiatori. Quella scomoda sistemazione gli ricordava la sua vita i primi anni del dopoguerra, quando ancora non aveva iniziato a provvedere da solo a sé stesso, procurandosi tutto ciò di cui aveva bisogno. Non era a questo che pensava in quel momento. Stava ripensando alla bottiglia di Arak, un liquore medio orientale, detto anche latte di leone, di cui gli aveva fatto dono Kourosh. Ripensava a come erano stati trattati dai mercanti. Quegli uomini, vedendo i loro poteri, non si erano spaventati, ma li avevano esaltati, mostrando devozione e gratitudine.

Erik pensava che quel reverenziale rispetto fosse quello dovuto ai mutanti dagli umani.

Tutti i ringraziamenti, poi, gli avevano dato una strana sensazione. Non erano semplicemente un balsamo per l’orgoglio, c’era qualcosa di più. Lui aveva agito principalmente nel proprio interesse, per difendere se stesso, il proteggere anche gli altri era stato un effetto collaterale. Questo, però, gli altri non lo sapevano e dunque vedevano in lui un eroe. Eroe, poi, non sarebbe stato il termine corretto neppure se le sue intenzioni fossero state altruistiche: un gesto eroico prevede almeno un minimo di rischio da parte di chi lo compie, lui aveva agito in tutta sicurezza. Ad ogni modo, il fatto che i mercanti lo avessero percepito e trattato come tale gli trasmetteva una specie di allegria del tutto nuova. Non sentiva un rafforzamento della propria autostima, né percepiva la gratitudine come qualcosa di dovuto. Era qualcosa che, chissà come, pacificava un poco il suo animo.

Che fosse il piacere di fare una buona azione di cui qualche volta gli aveva parlato Charles? Forse.

Il suo amico si sentiva appagato da quel tipo di gratificazione?

Fare la cosa giusta.

Beh, anche lui faceva sempre quel che riteneva giusto, eppure era la prima volta che si sentiva così.

Forse era un fare la cosa giusta, senza che essa rientrasse in ciò che era necessario per i propri scopi, sì insomma, qualcosa di disinteressato … Charles in fondo sosteneva che gli umani avrebbero accettato i mutanti, se li avessero visti come protettori. Questo, però, a Magneto non andava affatto bene: perché mai ogni mutante avrebbe dovuto rinunciare ai propri sogni, alla propria vita per mettersi al servizio degli umani? Ridicolo!

Ad ogni modo era inutile pensarci, si disse infine Erik. Quegli uomini in lui non avevano visto una persona come loro, dotata di una capacità in più, bensì un essere non umano benché benefico. Se avessero saputo la verità, tuttavia, sarebbero stati ugualmente ben disposti verso di lui? Non lo credeva.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Il giorno seguente, Erik e Virginia si aggirarono per le vie di Damasco per visitarne i luoghi di maggior interesse, impiegarono tutto il tempo per esplorare la città vecchia, entrando in chiese e sinagoghe, soffermandosi davanti a vestigia d’epoca romana come il tempio di Giove. Si soffermarono davanti al mausoleo del Saladino; vi fu qualche difficoltà ad ottenere il permesso di ammirare l’interno della maestosa moschea degli Omayyadi, ma alla fine lo ottennero.

Era stata una giornata molto intensa e presto venne sera, per cui rimandarono al giorno successivo la visita a palazzo Azm, dove si trovava un museo.

“Finalmente un po’ di riposo.” sospirò Erik, sedendosi al tavolino dell’osteria scelta per la cena “Avanti e indietro tutto il giorno, ora di qua, ora di là … i piedi reclamano un poco di pace.”

“Eh, ma in una città nuova, così ricca di storia e in cui si sta per così poco tempo, bisogna non avere un solo istante libero per non farsi sfuggire nulla.”

“Quindi sarà così in tutte le città importanti?”

“Più o meno. Damasco non solo è ricca, ma è anche un centro interculturale notevole … un po’ come Gerusalemme, però con differenze e …”

“Sei proprio entusiasta.” la interruppe Erik, con un lieve riso.

“Sì, per me la cultura è qualcosa di importantissimo, anzi, è l’unica cosa a cui riesco a dare ancora importanza. È naturale che mi elettrizzi stare qui, dove posso ammirare millenni di storia e di almeno quattro culture differenti.”

“Tra un anno ricorderai qualcosa di tutto quello che hai visto oggi?”

“Molto lo avrò scordato, ma ciò che conta di più rimarrà indelebile.”

“Come mai lo ritieni così importante?”

“La cultura è tutto ciò che ci resta di un popolo o di un tempo. Milioni di persone morte, di cui si è persa ogni nozione e l’unica forma di sopravvivenza che hanno è quella che la loro storia, le loro tradizioni non vengano scordate. I Maya e gli Aztechi, per esempio, sono stati quasi totalmente cancellati, eppure le loro città, i loro templi, le loro opere d’arte ci ricordano che anche loro sono stati parte di questo mondo, anche loro hanno contribuito a renderlo ciò che è oggi. In fondo, nel passato, nelle questioni politiche, la peggiore sorte che si poteva infliggere ad un avversario era la damnatio memoriae. Finché esiste il ricordo, qualcosa sopravvive. È quando si dimentica che sopraggiunge la morte eterna.”

“Sì, lo capisco bene, anche se è un aspetto che non avevo mai considerato.”

Ci fu qualche momento di silenzio, poi Virginia domandò: “Tu ti stai annoiando molto ad accompagnarmi?”

“Annoiarmi? No. Se mai un po’ di stanchezza fisica, strano non credevo che girare per monumenti fosse più stancante che viaggiare per chilometri con uno zaino in spalla. Mi piacciono i posti che mi hai mostrato, anche se gran parte dell’interesse lo hanno suscitato le tue spiegazioni. I luoghi di culto si somigliano tutti per me e, quindi, da solo non avrei saputo cogliere le differenze.”

“Oh, meno male che hai detto questo! Credimi, non sai la paura che avevo di tediarti!”

“No, non ricominciare a preoccuparti circa se io apprezzi il viaggio o meno.” la ammonì Erik, severamente “Ti ho già detto che, finché mi vedi qui, va tutto bene.”

“Grazie.”

“Di cosa?”

Virginia si imbarazzò, farfugliò qualcosa di incomprensibile e poi disse: “Beh, di sopportarmi, di apprezzare tutto questo.”

“Sei troppo insicura: questo mi infastidisce.”

“Scusa …”

“Dici che l’essere mutante non ti ha mai creato problemi, ma ho i miei dubbi al riguardo. Ti comporti come se considerassi ogni gesto amichevole come una concessione, anziché come una normale conseguenza di stima e affetto. Non so cosa ti sia successo da indurti ad avere così poca autostima e non mi interessa: qualsiasi cosa sia stata, è passata. Essa non deve invilupparti e impedire di andare avanti, ma da essa devi trarre un insegnamento e la forza per procedere. Io non ho dimenticato l’olocausto, ma non permetto che quelle sofferenze e paure mi paralizzino. Certo guardo sempre a quegli eventi per avere consapevolezza di quel che è stato e potrebbe essere ancora, ma la mia mente e le mie emozioni non sono bloccate a quei tempi. Devi capire che ogni situazione e persona è differente e, pur cosciente del passato, devi affrontare ogni nuova esperienza con un animo aperto e non sovrapporre ed equiparare tutto quanto. Ci conosciamo da poco, perché parti col pregiudizio ch’io non possa apprezzarti?”

“Non è un pregiudizio verso di te, è una consapevolezza su di me: io non piaccio alla gente.”

“Perché non dovresti?”

“Perché quel che interessa e appassiona a me agli altri annoia o neppure lo capiscono, perché non passo il tempo libero come gli altri, perché ho valori differenti, non penso come loro.”

“Altri … loro … troppo vago, chi esattamente?”

“La maggior parte della gente. Sono sempre o troppo stravagante o troppo poco trasgressiva per essere accettata.”

“Beh, non essere socialmente accettati, di solito è indice di superiorità. La maggior parte della gente è orribile, stupida, stolta, inconsapevole. Si affanna inseguendo il nulla e si fa condurre da paura, rabbia, superficialità. Se essere persone assennate, giudiziose, istruite e coscienziose significa avere pochi amici, ben venga la solitudine. Qualità e non quantità, una come te dovrebbe saperlo.” poi assunse un tono scherzoso, ma che lasciava intendere la presenza di una punta di serietà “Comunque mi offende che tu abbia pensato ch’io fossi come tutti gli altri. Ti sembra ch’io abbia a che spartire granché con questa umanità?”

Virginia sorrise, un poco rinfrancata, rispose: “Pur ribadendo che non considero le capacità intellettive o morali collegati con l’essere mutante o meno, devo dire che sì tu non sei un uomo comune. Con te ho conversazioni che … beh era da un po’ con non avevo un interlocutore così interessante e stimolante. Inoltre, sai far sentire apprezzati …” la ragazza era di nuovo in imbarazzo e cercò di riprendersi “Cioè, spesso mi dici parole che mi aiutano a sentirmi meno sbagliata … Non so se fai con tutti così, presumo di sì …”

Erik fece un lieve cenno affermativo col capo: spesso incontrava mutanti spaventati da ciò che erano, oppure delusi e sfiduciati, lui li aiutava a dare il giusto valore a se stessi, insegnava loro che erano uno stato evolutivo superiore, che erano il futuro e faceva in modo che si comportassero di conseguenza.

Un tempo non avrebbe mai ipotizzato di diventare una guida per gli altri. Era stato Charles a mostrargli quella strada; avevano iniziato quell’opera insieme … peccato che le loro idee circa i diritti e i doveri dei mutanti non coincidessero e si fossero dovuti allontanare.

“Finito questo viaggio, ti presenterò alcuni fratelli mutanti. Sono certo che, dopo, ti sentirai meno sola.”

Arrivò un cameriere a chiedere le ordinazioni, entrambi decisero di assaggiare il fetteh chamiyyeh, un piatto tipico a base di carne e legumi su pane arabo, assieme a condimenti vari.

Rimasero in silenzio per alcuni minuti. Virginia teneva lo sguardo basso, oppure lo fissava su qualche punto distante, era piuttosto felice, benché non lo dimostrasse. Era piacevolmente stupita di risultare simpatica a quell’uomo.

Magneto aveva ottenuto fama mondiale, dopo lo spettacolo che aveva dato, tentando di uccidere Nixon; anche se non era riuscito nel proposito, la sua dichiarazione d’intenti aveva conquistato molti animi e così si era creato un seguito e si era formata una certa fama attorno a lui, sia tra gli umani, sia trai mutanti. Non era poi rimasto nell’ombra per tutti quei mesi, ogni tanto si era fatto vivo e aveva fatto un paio di atti dimostrativi, più a livello simbolico che non utili a qualche scopo. In pratica era diventato un personaggio pubblico, così come lo era diventato il Professor X che si era dato da fare assieme a Raven e Hank per riaprire la scuola, scrivere articoli e organizzare eventi a favore dell’integrazione dei mutanti e a dissociarsi e condannare gli atti eclatanti di Magneto.

Per Virginia, quindi, incontrare Erik era stato come incontrare un vip e ricevere le sue attenzioni era un’immensa gratificazione per il suo ego così malandato. Non le pareva vero che un uomo come Magneto l’apprezzasse e avesse deciso di trascorrere del tempo con lei. Alternava la soddisfazione alla paura di deluderlo e che lui si allontanasse. Sapeva bene di avere idee differenti dalle sue, aveva visto che non era un ostacolo, comunque preferiva evitare di polemizzare.

La serata trascorse tranquillamente e si coricarono piuttosto presto, per riposarsi dalla stanchezza di quel giorno.

Il mattino successivo, fecero le cose con calma e dopo un’abbondante colazione si recarono al museo. Lo visitarono con interesse e poi andarono in un giardinetto lì vicino e, sedutesi accanto a una fontanella, si consultarono per pianificare il resto della giornata e studiare il percorso da intraprendere il giorno seguente, volgendosi a una nuova città.

Avevano deciso di raggiungere Tell Mardikh, nei cui pressi si trovava l’area archeologica dell’antichissima città di Ebla, ponendo come tappa intermedia una giornata di sosta ad Homs, anch’essa con vestigia risalenti a prima del secondo millennio avanti Cristo. Soltanto per raggiungere quest’ultima città avrebbero impiegato una settimana a piedi. Forse avrebbero utilizzato un qualche mezzo di trasporto per accorciare i tempi, ma lo avrebbero deciso in seguito. I primi giorni li avrebbero impiegati attraversando le montagne a nord di Damasco, in particolare avrebbero raggiunto il monte Qasioun, alle cui pendici si trovava una grotta al centro di molte leggende, si diceva che lì avessero abitato Adamo ed Eva e che fosse il luogo in cui Caino avesse ucciso Abele; si diceva anche che Abramo e Gesù avessero pregato spesso in quelle zone; era considerato un posto in cui le preghiere fossero esaudite subito e infatti lì erano stati costruiti alcuni piccoli edifici di culto per i pellegrini.

Raggiunsero i pressi della grotta dopo un paio di giorni di cammino. Avevano percorso sentieri di bassa montagna, incrociando altri viandanti. Erik si era insospettito, notando lo stesso uomo in due gruppi di versi di quelli che avevano incontrato e poi lo aveva rivisto pure alla grotta. Virginia gli aveva domandato se fosse certo che si trattasse della stessa persona, perché le sembrava strano il poter riconoscere dei passanti, ma lui le aveva assicurato che era abituato a ricordare nitidamente le facce. Tale fatto gli dava preoccupazione, per questo Erik aveva deciso fosse meglio trovare un posto un po’ defilato per consumare il pranzo al sacco e, magari, consultare le mappe per scegliere una strada meno praticata per procedere.

Precauzione inutile. Una ventina di uomini, vestiti ed equipaggiati senza un grammo di metallo addosso, stavano lentamente circondando i due mutanti. Erano soldati professionisti e riuscivano ad avvicinarsi senza far rumore. Arrivati a duecento metri circa, nascosti tra piante e dietro rocce, misero mano alle cerbottane che avevano alla cintura, caricate con potenti dardi soporiferi; le portarono alla bocca, soffiarono a piena forza.

Venti dardi sfrecciarono nell’aria e si conficcarono nelle carni dei due mutanti che caddero addormentati, senza che neppure si accorgessero di quanto stesse accadendo.

Uno dei soldati, lo stesso uomo che Erik aveva riconosciuto più volte, probabilmente il loro comandante, prese una ricetrasmittente e comunicò: “Sergente Stryker, abbiamo preso i due obbiettivi.”

 

“Erik … Erik … mi senti …?”

“Charles?! Che cosa …? Stai usando i tuoi poteri?”

“Sì.”

“Perché? Non hai mai cercato di contattarmi in questi mesi. E perché non vedo nulla e non sento il mio corpo? Cosa mi stai facendo, Charles?”

“Io nulla, ti sto solo parlando. Hank ha visionato molti filmati relativi alla Guerra del Kippur e quindi ho cercato di monitorare l’area per avere tue notizie.”

“Grazie del gentile pensiero.”

“Meno sarcasmo, amico mio, sei nei guai. La ragione per cui non hai alcuna percezione sensoriale è dovuta al fatto che sei in coma.”

“Cosa?!”

“Qual è l’ultima cosa che ricordi?”

“ … Pranzavo con un’amica, mi pare … Dannazione! Che cos’è successo?! Tu lo sai?”

“Ho visto nelle menti di chi ti sta attorno e ora so. Da tre giorni tu e un’altra mutante siete prigionieri in un laboratorio in Iraq che risponde al sergente Stryker.”

Stryker?! Dannato cane! Tu e Raven mi avete impedito di ucciderlo, quando ne ho avuto l’occasione. Sei contento, adesso, Charles?”

“Non dire sciocchezze, come potrei essere contento? Raven mi ha riferito che Stryker era stretto collaboratore di Trask e che sta continuando gli esperimenti del suo collega, ora in prigione.”

“Hai ancora dei dubbi circa la crudeltà umana e i rischi che corriamo noi mutanti, Charles?”

“Ti pare il momento di parlarne?”

“Sì, amico mio. Io farò di tutto per liberarmi, ma se non dovessi riuscirci, voglio ricordarti un’ultima volta che vuoi integrazione per i mutanti in un mondo che ancora non ha accettato i neri. L’America, la cosiddetta terra della libertà, è piena di cellule del Ku Klux Klan. In Sud Africa c’è l’apartheid ai danni dei neri. Gli umani non riescono ad accettare un’etnia che differisce dalla loro solo per il colore e a volte nemmeno quello e tu pretendi di far accogliere pacificamente l’homo superior. Sta in guardia Charles, a uno dei tuoi prossimi comizi di sensibilizzazione, ti beccherai una pallottola. Dal momento che non so se uscirò da questo laboratorio, volevo avvertirti. Non farti ammazzare, Charles.”

“Erik, non morirai lì dentro, te lo assicuro. Se davvero ci tieni alla mia incolumità, potresti tornare da noi e pensare a deviare queste ipotetiche pallottole.”

“Sempre che non me lo impediscano com’è successo per Kennedy. Se dovessero ammazzarti, sappi che ti vendicherò con un bagno di sangue.”

“Non sarebbe il giusto modo di onorare la mia memoria, comunque preferirei non ipotizzassimo la mia morte. Concentriamoci sul presente e su di te.”

“Giusto. Dicevi che sono in un laboratorio in Iraq?”

“Sì, ti stanno tenendo in coma farmacologico perché la struttura contiene metalli. Stryker sta attrezzando in America un laboratorio totalmente in plastica e polimeri vari. Hai ancora qualche giorno di tempo, prima che venga a prelevarti. Farò in modo …”

“Puoi svegliarmi dal coma? I tuoi poteri te lo permettono?”

“Sì, ma …”

“Allora svegliami. Se c’è metallo in giro, me la caverò perfettamente. Un momento, Virginia dov’è?”

“La mutante che viaggiava con te? Stanno già conducendo esperimenti su di lei.”

“E tu glielo permetti? Non potresti usare i tuoi poteri per fermarli?”

“A questa distanza? Forse per qualche secondo, un minuto al massimo.”

“Allora svegliami e lascia fare a me.”

“Ascolta il mio piano, almeno, prima di decidere.”

“Il tuo piano richiede attesa?”

“… Sì.”

“Allora è meglio la mia tattica. Nemmeno tu dovresti tollerare un istante di più che un mutante sia usato come cavia. Svegliami!”

“D’accordo, ma tu promettimi che cercherai di limitare i morti.”

“Ucciderò solo se indispensabile.”

 

Magneto si sentì nuovamente nel proprio corpo, non era più in coma. Non aprì immediatamente gli occhi per non destare sospetti. Cominciò a percepire la presenza di metalli, studiò ciò che avrebbe potuto usare. Finalmente sentì il proprio elmetto, lo chiamò a sé. L’elmo volò per un intero corridoio e sfondo una porta per arrivare tra le mani del suo padrone, che lo strinse forte. Sorrise. Aprì gli occhi. Si portò l’emetto alla testa.

“Ricordati quel che mi hai promesso, Erik.”

“Certo, uccidere solo se necessario.”

Si calò l’elmo sul capo, spezzando ogni contatto mentale con l’amico e, alzandosi in piedi, disse: “Ed è necessario che tutti costoro paghino con la vita le loro crudeltà.”

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Magneto si era alzato d’improvviso dal letto su cui era sdraiato.

Lo stupore prese l’uomo che si trovava in quella stessa stanza per sorvegliarlo durante il coma.

Magneto non gli diede il tempo di fare alcun ché: sollevò una siringa di quelle che avevano usato per tenerlo sedato e la conficcò nella giugulare dell’uomo, poi l’estrasse e la piantò nella carotide. Avendo recise le due arterie tanto importanti, l’uomo morì dissanguato in pochi secondi.

Nel frattempo, per il fatto di aver visto l’elmetto volare nell’aria, molti soldati, armati di pistole in plastica, si stavano recando verso la stanza per neutralizzare il prigioniero.

Magneto non si spaventò. Come prima mossa, fece saltare le tubature dell’acqua che correvano nelle pareti lì vicino e, mentre aspettava che la zona si allagasse di almeno un paio di centimetri, scaraventò ogni possibile arnese, compreso il lampadario, contro i soldati che si accalcavano e cercavano di far fuoco contro di lui. Per fortuna, la situazione di emergenza aveva impedito ad ogni soldato di sbarazzarsi dei metalli che aveva addosso, per cui il mutante poté sfruttare anche le monete che essi avevano in tasca o i loro orologi o quant’altro come arma da rivolgere contro gli aggressori o per deviare i loro colpi.

Il prigioniero aveva chiuso e bloccato le porte del corridoio di quella zona per facilitare l’allagamento e non disperdere l’acqua in tutto l’edificio; quando finalmente il livello idrico fu giusto, Magneto si concentrò sui fili di rame dell’impianto elettrico e li divelse dalle pareti. Un istante prima che i cavi elettrizzati toccassero l’acqua, lui si sollevò per aria per evitare di essere folgorato come invece avvenne ai soldati che lo assediavano.

Magneto non perse tempo a compiacersi per il successo e si affrettò ad uscire da quell’area per cercare Virginia; intanto portava seco tutti gli oggetti di metallo che trovava, facendoseli volteggiare attorno, per essere certo di non rimanere a corto di munizioni o scudi.

Per tutto l’edificio risuonava l’allarme che segnalava il suo essere a piede libero. L’uomo incontrò diversi soldati che tentarono di colpirlo, ma lui plasmava il metallo per frapporre barriere tra sé e loro e poi per contrattaccare. Ovunque passasse la gente moriva, soldati o scienziati che fossero non faceva differenza.

Aveva ispezionato tutto l’edificio e non c’era traccia dell’amica. Ebbe un tremendo sospetto. Sfondò una finestra e volò fuori, in tempo per vedere un elicottero che si stava alzando in volo. Rise di quel tentativo. Stese la mano davanti a sé poi l’abbassò lentamente e altrettanto fece l’elicottero che tornò a terra. Magneto si avvicinò, facendo sbalzare via la porta. Un paio di uomini uscirono dal mezzo; per fortuna avevano fibbie in metallo alla cintura. Vennero sollevati fino all’altezza delle pale che tranciò le loro teste.

Si sentirono delle grida e dei versi provenire dall’interno dell’elicottero, poi si vide Virginia gettarsi fuori dall’apparecchio, aveva le mani legate, l’equilibrio e rotolò per terra.

Magneto plasmò parte del metallo che aveva con sé a forma di gancio e lo usò per prendere la ragazza e portarla vicino a sé, mentre lui piegava l’elicottero, stringendolo e accartocciandolo, incurante degli uomini che vi erano sopra che furono stritolati.

Erik guardò l’amica: era molto pallida e il suo sguardo era molto provato. Le liberò le mani, l’aiutò ad alzarsi in piedi e le domandò come si sentisse.

“Debole e non troppo lucida.”

“Cosa ti hanno fatto?”

“Non lo so esattamente. Mi han preso del sangue e credo anche del midollo osseo … non so bene, mi riempivano continuamente di farmaci e sieri strani, non so se per tenermi sottocontrollo o sperimentare non so che … ricordo delle scosse, ma è tutto confuso.”

“Mi dispiace. Vieni, vediamo cosa c’è lì dentro che può tornarci utile e poi andiamocene. Te la senti di camminare?”

“Proviamo.”

“No, meglio che non ti sforzi.”

Erik manipolò il metallo a disposizione in modo da formare una specie di seggio su cui fece sedere la ragazza e tramite ciò la spostò con sé all’interno della struttura. A parte la cambusa dove prendere viveri, non trovarono nulla di utile. Non sapevano dove si trovassero esattamente, forse questa e altre informazioni si trovavano nei computer, ma ormai non ci si poteva più accedere, visto che l’elettricità era ormai disattivata. Recuperarono il loro equipaggiamento, lì c’erano mappe, ma non potevano servire, visto che non avevano riferimenti per orientarsi.

Mentre percorrevano un corridoio, sentirono un rumore proveniente da una delle stanze laterali. Magneto spalancò la porta per controllare e, vedendo due scienziati che tentavano di nascondersi dietro una scrivania, li uccise all’istante, senza battere ciglio.

Virginia, che era già rimasta impressionata dai cadaveri che aveva visto sul pavimento dell’edificio, chiese: “Era necessario?”

“Sì. Appena siamo pronti per partire, farò crollare questo posto, in modo che se ci sono superstiti … beh non ce ne saranno più.”

“Perché? Se pazienza se qualcuno si salva.”

“Per farci inseguire? No, grazie.”

“Sabotiamo i mezzi di trasporto che non utilizziamo, se li troviamo.”

“Preferisco non correre rischi.”

“Non è necessario uccidere tutti!” insisté Virginia; intanto stavano continuando a cercare un garage.

“Come puoi dire questo, dopo quello che ti hanno fatto?!”

“Adesso, però, sono in salvo. Mi han fatto male, ma non cerco vendetta. Capisco uccidere se necessario per salvare qualcuno in pericolo, ma ammazzare così … no.”

“Non è vendetta, è prevenzione. Se questi vermi sopravvivranno, non passeranno più di due giorni, prima che trovino qualcun altro da sottoporre ai loro esperimenti e allora anche noi saremmo colpevoli. Hanno fatto tanto male e continueranno a farlo, se noi non glielo impediremo.”

Avevano finalmente trovato un garage dove erano parcheggiati quattro fuoristrada. Erik aveva cominciato a travasare la benzina dai serbatoi di tre in taniche da caricare sul quarto e così avrebbe spostato anche le ruote di scorta: potevano essere lontani centinaia e centinaia di chilometri da un centro abitato e quindi era necessario attrezzarsi al meglio per non rimanere a piedi nel deserto che aveva visto circondare quel laboratorio. Soltanto le gomme dovette spostare a mano, mentre il carburante lo spostò tramite il proprio potere, visto che era benzina con piombo.

Virginia, che non voleva stare con le mani in mano, aveva iniziato a caricare in auto le provviste, comunque continuava ad essere turbata dall’idea di non lasciare superstiti e quindi continuava: “Pensa alle loro famiglie! Genitori, coniugi, figli … soffriranno! Questi aguzzini moriranno, ma ad essere realmente puniti saranno i loro parenti.”

“È un rischio che decidono di assumersi le persone, quando intraprendono certe strade.”

“Questo vale per i soldati, ma non per gli scienziati. Stavano solo facendo il loro lavoro.”

Magneto la guardò ferocemente e scandì: “Stavano facendo il loro lavoro? Suona esattamente come Stavano solo eseguendo ordini. Dove la metti l’etica?” una catena si sollevò da un angolo del garage e si strinse attorno al collo della donna, soffocandola lentamente “Anche la scienza deve avere limiti morali. Ma l’umanità non è adatta a porsi limiti, non per morale, almeno. Gli unici limiti che gli uomini si danno è per convenienza. Gli uomini primitivi si organizzavano in gruppi per andare a caccia di animali o di altri uomini, per la sopravvivenza non si facevano problemi a mangiare i loro simili. Sai quando il cannibalismo è cessato? Quando ci si è resi conto che la schiavitù era più redditizia.”

Il volto della donna stava diventando cianotico. La catena cadde a terra e lei poté riprendere a respirare, appoggiandosi all’auto.

Erik voltò le spalle per tornare a travasare la benzina, borbottando: “T’ho salvata ... e tu pensi ad avere compassione per i tuoi aguzzini, evidentemente non hai sofferto abbastanza.”

Entrambi finirono di preparare il fuoristrada per la partenza nel silenzio più assoluto, oltre a caricare i viveri e gli strumenti ritenuti necessari per la sopravvivenza, l’uomo prese anche alcune delle armi da fuoco che aveva trovato addosso ai cadaveri. Lasciarono il laboratorio e Magneto mantenne il suo proposito di distruggere tutto: privò la struttura di ogni elemento metallico e già solo questo la fece crollare in parte, poi usò quelle stesse cose per bombardare ripetutamente le strutture, fino a ridurle a un cumolo di macerie.

Virginia rimase voltata dall’altra parte, in silenzio. Non protestò, ma a sui modo cercò pure di dissociarsi da quel gesto.

Ottenuto il risultato che desiderava, Magneto partì definitivamente, alla ricerca di una città. Avevano trovato un orologio e così avevano saputo di trovarsi in tarda mattinata. Viaggiarono fino a sera, il paesaggio era desertico e sempre uguale, non scambiarono una sola parola.

Erik era piuttosto arrabbiato: come poteva quella ragazza provare pietà per coloro che l’avevano torturata per giorni e che, peggio ancora, l’avevano considerata una cavia, un fenomeno da sviscerare, anziché una persona con sentimenti e dignità? Perché lei non aveva capito quanto fossero pericolosi per tutti i mutanti? Erano persone crudeli e aride, perché mai avrebbero dovuto meritare quella pietà che loro stessi non provavano?

Sii migliore! Questa era stata la disperata richiesta che Charles gli aveva fatto, pochi secondi prima che lui compisse la propria vendetta su Show.

Che cosa voleva dire essere migliori? Che cosa comportava? Lasciarsi mettere i piedi in testa e sperare che il comportarsi da vigliacchi spingesse gli uomini a non tormentarli, anziché schiacciarli sempre di più? L’inerzia degli oppressi spinge i prepotenti a prendere ogni volta qualcosa di più e non ad essere clementi e comprensivi. Ribellarsi e vendicarsi, questi erano i mezzi per essere ascoltati. Le sofferenze devono essere manifestate e se gli uomini non comprendono con il buon senso, allora è lecito ripagare il dolore con altro dolore. Moltissimi ignorano la tragedia finché non li tocca personalmente. Era consapevole che i suoi metodi si basavano sulla sopraffazione e non sulla razionalità e giustizia, ma lui non faceva altro che adattarsi alle regole del mondo. Se tutti usavano la legge del più forte, il non applicarla significava la sconfitta.

Non era forse sempre vera la favola del lupo e dell’agnello? L’agnellino aveva assolutamente ragione ed era nel giusto, ma il lupo aveva fame e lo divorò comunque.

Se in una gara di biciclette tutti si drogano tranne te, che cosa avrai guadagnato se non la sconfitta? Ah, certo, avrai la consapevolezza di essere stato onesto, ma rimani ugualmente un perdente.

Erik era convinto che la guerra non fosse stata iniziata dai mutanti, ma che era necessario combatterla, per uscirne vincitori. Rifiutarsi di combattere era la sconfitta.

Non voleva si pensasse che fosse crudele, insensibile e che non conoscesse il valore della vita, perché non era affatto così: si limitava a seguire le regole del mondo. Conosceva profondamente la sofferenza: prima dei sedici anni aveva patito più lui di quanto una normale persona possa subire e sopportare in un’intera vita. Come poteva un solo cuore sopportare tutto questo e una sola mente mantenersi lucida e non sbilanciarsi? Non potevano.

Essere sensibile, con quel tale fardello, conduceva alla follia. Quanti ebrei, sopravvissuti ai campi di sterminio, si erano poi suicidati, anche a distanza di anni, poiché non riuscivano a sopportare il ricordo e ad andare avanti?

Quante volte Erik, nell’adolescenza e prima giovinezza, aveva combattuto contro quella sofferenza radicata in lui e quante volte era stato sopraffatto!

Incubi che non lo lasciavano in pace neppure nel sonno, rivedeva il proprio passato, lo rivisse molte e molte notti, destandosi senza sapere dove si trovasse, senza ricordarsi che era tutto finito. Oppure si svegliava d’improvviso, senza ricordare cosa stesse sognando, sudato da bagnare le lenzuola, o scosso da brividi di freddo simili a spasmi, o peggio col cuore che batteva talmente rapidamente che aveva l’impressione che il petto gli sarebbe esploso da un momento all’altro. Per anni aveva avuto il terrore di addormentarsi, temendo il proprio inconscio.

Moltissime volte, nelle occasioni più disparate, aveva avuto attacchi d’ansia o di panico apparentemente immotivati. Camminando in mezzo a una folla, i suoi nervi si irrigidivano, la frequenza cardiaca aumentava, il respiro rapido e corto lo portava all’iperventilazione.

Detestava tutto ciò. Detestava quella gabbia che gli impediva di vivere.

L’isolarsi, l’evitare le compagnie non erano servite a farlo star meglio.

Già da ragazzino, appena finita la guerra, aveva iniziato ad ubriacarsi perché soltanto nell’ebbrezza riusciva a non soffrire, l’incoscienza era la morfina migliore.

Così, però, non poteva andare a vanti.

In pochi anni il suo animo si era indurito per proteggerlo dal male dei ricordi e da quello esterno; l’essere spietato e cinico lo aiutava ad esorcizzare il proprio dolore; l’accettare l’omicidio facile gli permetteva di percepire la sua sofferenza come normale e dunque sopportabile.

La caccia ai nazisti era stato il suggello a tutto ciò e aveva finito di temprare gli ultimi tratti del suo carattere.

Non poteva però dirsi né tranquillo, né sereno e non aveva rinunciato all’alcool con cui, pur non ubriacandosi, teneva i suoi ricordi sottocontrollo.

Era calata la sera e il paesaggio continuava ad essere desertico. Erik aveva fermato l’automobile per cenare e passare la notte. Avrebbe preferito non interrompere il viaggio, ma Virginia non sapeva guidare e dunque non potevano darsi il cambio al volante e alternarsi nel dormire.

La ragazza aveva ingrandito la fiammella del suo accendino e aveva formato il falò per scaldare entrambi e il cibo in scatola.

“Scusami.”

Virginia aveva appena rotto il silenzio che durava da ore. Stavano cenando, uno di fronte all’altro, pur senza guardarsi. Il cielo era già scuro e brillavano le prime stelle.

Continuò, titubante e parecchio dispiaciuta: “Non avrei dovuto arrabbiarmi con te. Quello che hai fatto oggi … sono risoluzioni difficili da prendere, ma necessarie … e il fatto che tu te ne faccia carico … beh, dimostra ancora una volta quanto forte sia il tuo animo.”

Erik rimase in ascolto, pur col viso rivolto altrove, senza ribattere.

“Volevo anche ringraziarti per avermi salvata. Non mi hai abbandonata e … grazie.”

L’uomo la guardò, lasciò passare alcuni istanti e poi la esortò: “Vieni qua.”

Virginia era perplessa, ma obbedì e si mise a sedere accanto a lui.

Erik le fece una carezza e la confortò con poche parole: “Non pensiamoci più. Dimentichiamo di aver litigato. È inutile trattenere ciò che ci fa star male, apriamo le mani e lasciamo che il malumore scivoli via.”

Virginia sorrise, molto sollevata. Era felice ma non sapeva cosa dire. Istintivamente abbracciò l’uomo, ma appena si rese conto di quel che stava facendo, si ritrasse, imbarazzata, puntando lo sguardo a terra.

Erik abbozzò un sorriso, divertito per quel pudore e chiese: “Ti turba così tanto il contatto fisico?”

“Eh?!” la ragazza sgranò gli occhi disorientata “Sì … no, cioè … non avrei dovuto prendermi una simile confidenza …”

“Rilassati! Da quando un abbraccio è diventato un atto condannabile?”

“Beh, sei un estraneo.”

“Ah, dopo tutto quello che abbiamo passato, mi consideri ancora uno sconosciuto? Tranquilla, qui ci siamo solo noi, senza perbenisti pronti a giudicare. Tanto più che con il freddo che c’è nel deserto di notte, dovremo dormire nello stesso sacco a pelo per non assiderarci.”

“Cosa?! Ma non dormiamo in auto che è più riparata dal freddo?”

“L’abbiamo caricata troppo, non possiamo ribaltare i sedili e io seduto non ci dormo. Sono stato stretto così tutto il giorno e non ho intenzione di rimanerci anche di notte.”

Virginia era leggermente agitata, pensò rapidamente e poi ribatté: “In ogni caso in due dentro un sacco a pelo non ci staremmo.”

“Ci staremmo, al più ne teniamo uno aperto sotto e l’altro lo usiamo come coperta.”

“Ho un’idea migliore: tu dormi e io tengo il fuoco acceso, così non ci sarà freddo, poi ripartiamo e io dormo in auto, mentre si viaggia. Così, anche, posso fare la guardia …”

Erik le prese le mani e, non capendo, chiese: “Di cos’hai paura? Si dorme e basta.”

“Lo so ma … non è il caso. Io non sono mai stata così vicino a un uomo che non fosse mio parente e mi sento a disagio.”

Erik allungò le braccia e strinse a sé la ragazza, forte, forte. Attese qualche decina di secondi e poi le chiese: “Sta crollando il mondo?”

“No.”

L’uomo aspettò ancora un poco: “Allora?”

“Continuo a preferire la mia idea.”

“D’accordo.”

Erik sciolse l’abbraccio e si sistemò per dormire. Disse che gli sarebbero bastate quattro ore per riposare a sufficienza e dunque chiese di essere svegliato dopo circa tale tempo.

 

 

 

Nota dell’Autrice

 

Un saluto e un ringraziamento a tutti coloro che seguono la mia fanfic. Spero di non essere ripetitiva nelle riflessioni dei personaggi.

Ho le idee un po’ più chiare circa lo sviluppo della trama, non sarà lunga, anzi penso di essere già a più di metà.

In realtà avrei anche qualche idea per poterla allungare ulteriormente, ma deciderò anche in base al vostro gradimento.

Intanto due precisazioni circa cose dette in questo capitolo.

1-    Ho dibattuto con i miei amici e non siamo arrivati a un’opinione unanime circa se Magneto possa o non possa spostare la benzina col piombo. C’è chi sostiene di sì, c’è chi afferma che separerebbe il piombo dalla benzina. Se siete di quest’ultimo parere, perdonatemi.

2-    La presenza dell’alcool nella vita di Magneto l’ho voluta inserire, notando quanto spesso beve nei due film in cui appare giovane.

 

Spero di aver detto tutto. Vi ringrazio ancora per la lettura e scrivetemi pure.

 

^____^

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Erik e Virginia continuarono ad attraversare il deserto, riuscendo a mantenersi di buon umore, nonostante le condizioni avverse e il non sapere dove si trovassero. Rimasero perfino senza acqua, ma la ragazza fu abbastanza abile da far condensare il poco vapore acqueo presente nell’aria e raccoglierlo in una borraccia.

Finalmente, sul calare del terzo giorno, videro un piccolo villaggio. Si fermarono lì per la notte e chiesero informazioni su dove fossero esattamente e così poterono orientarsi con le mappe e decidere verso dove dirigersi. Scoprirono di essere al confine tra Iraq e Iran, nei pressi dei monti Zagros; avevano deviato di molto dall’itinerario programmato, invece di essere a nord, erano finiti molto ad oriente.

Il giorno dopo partirono di buon ora e raggiunsero allora la vicina città di Mehran per fare rifornimenti e poi usarono le seguenti ore per recarsi a Bisotun, luogo che interessava molto a Virginia per via della presenza di un’antichissima iscrizione risalente al re persiano Dario.

Trovarono un alloggio economico e riposarono fino al mattino seguente. Dopo la colazione, si incamminarono per andare ad ammirare l’iscrizione che era inserita in un alto rilievo scolpito su una parete rocciosa. Era raffigurato Dario, dietro di lui un paio di guardie, davanti i sovrani da lui sconfitti, in fila e incatenati; sopra le loro testa Ahura Mazda sul suo carro piumato. Il testo spiegava come il re avesse espanso il proprio dominio grazie all’aiuto del dio.

Artisticamente non era eccezionale, tuttavia la sua posizione e la sua imponenza l’avevano resa una delle iscrizioni più famose, benché per secoli e secoli se ne fosse perso il significato originale. Già appena un secolo dopo la loro incisione, si pensava rappresentassero la regina Semiramide e, successivamente, ebbero altre attribuzioni e sorse attorno a quel luogo anche una romantica leggenda che vedeva come protagonista un uomo sventurato, innamorato della moglie del sovrano Kusroe.

Quel luogo era importante soprattutto per il valore storico e per ciò che aveva simboleggiato nel corso dei secoli, più che per una intrinseca bellezza.

Erik e Virginia arrivarono sul posto e trovarono una situazione inaspettata: non era possibile avvicinarsi a più di quattrocento metri dall’iscrizione. Alla base della rupe su cui si trovava l’incisione, infatti, era stato allestito uno scavo archeologico e il perimetro era ben delimitato e non ci si poteva accedere. Di fronte alla scritta erano stati collocati tre cannocchiali a pagamento, per poter vedere meglio e nel dettaglio l’iscrizione, impossibile da apprezzare a occhio nudo da quella distanza.

Virginia era delusa, ma non se ne lamentò e si accontentò di guardare col cannocchiale. Incuriosita anche dalla presenza di uno scavo, cercò anche di sbirciare lì per capire a cosa gli archeologi stessero lavorando: cercavano tracce delle statue e delle strutture cultuali di cui parlavano le fonti antiche?

Fu così che le capitò di riconoscere uno degli uomini presenti sullo scavo, anzi dalla posizione e dagli atteggiamenti, sembrava essere il direttore dei lavori.

Virginia rimase interdetta, restò in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto e un’espressione turbata.

“Che cos’hai?” le chiese Erik, vedendola così bloccata a lungo.

La ragazza non rispose subito, dopo qualche istante si scosse e disse: “Niente, niente … è che là c’è una persona che conosco e non so cosa fare.”

“In che senso?”

“Da una parte vorrei approfittarne per avvicinarmi all’iscrizione e scuriosare negli scavi, dall’altra non credo di volere che lui mi veda.”

“Perché?”

“Dovrò già sopportarlo abbastanza in futuro … e poi sono sicura che mi rovinerebbe il viaggio.”

“Questa mi pare un’esagerazione, al limite ti rovina la giornata. Nel caso, poi, possiamo rovinarla noi a lui. Chi è?”

“Uno dell’università, è l’assistente di un professore, ho avuto a che fare con lui soprattutto in una specie di associazione culturale … sì, penso si possa definire così. Diciamo che l’ultima volta che sono stata lì me ne sono andata un po’ bruscamente e quindi …”

“Tu, però, tieni parecchio a vedere quegli scavi. Se l’eventuale chiedere scusa non è umiliante, vai e domanda di vedere. Insomma, perché dovresti rinunciare a una cosa per te importante solo a causa di un dissapore di … quanto tempo fa è successo?”

“Due mesi e mezzo.”

“Eh! Allora dovrebbe essere stato un litigio veramente grave o una rottura definitiva per influire ancora. Non credi che ormai si siano quietati? Oppure il tizio in questione è uno con cui non è mai corso buon sangue?”

Virginia ascoltava e rifletteva, molto combattuta; disse: “No, dovrei avere un buon rapporto con lui, teoricamente … D’accordo, vado … verresti con me?”

“Certo, se ti è d’aiuto.”

“Sì … anzi, no, è meglio se vado da sola.”

Erik intuiva che la ragazza non gli stesse dicendo tutto quanto, comunque si limitò a dire: “Basta che ti decidi.”

“Mi farebbe piacere che ci fossi, ma è meglio che resti qui. Non ti dispiace, vero?”

“Va tranquilla.”

Virginia si congedò con un mesto sorriso e si diresse verso lo scavo archeologico; avvicinatasi troppo, uno degli operai la informò che non poteva entrare nell’area, allora lei disse semplicemente: “Vorrei parlare col dottor Lamberti.”

L’uomo le fece cenno d’aspettare e si allontanò, poco dopo giunse il direttore degli scavi, un uomo sulla trentina, capelli ricci e scuri, dapprima fu stupito, ma poi sorrise e, avvicinatosi alla donna, le disse: “Buongiorno Virginia, è una vera sorpresa trovarti qui.”

“E io sono meravigliata di vedere te, Cesare.”

“Se non fossi sparita dalla circolazione, avresti saputo della mia vittoria al bando di concorso per questo posto.”

“Da quanto sono iniziati i lavori?”

“Tre settimane.”

“Cercate la statua del presunto Ercole?”

“Tra le altre cose, sì.”

“Cos’è emerso, finora?”

“L’informazione è riservata.”

“Come?”

“Ogni dato deve essere inviato esclusivamente al ministro dei beni culturali dell’Iran, che deciderà come, se e quando divulgarli.”

“Potrei, allora, dare una rapida occhiata agli scavi?”

“No.” rispose seccamente l’uomo “Niente visite, solo addetti ai lavori.”

“Beh, sono una persona competente, potrei dare una consulenza esterna.”

“Non hai un contratto. Ottienine uno e ti farò accedere. Anche se il ministro dubiterà delle tue competenze e non solo perché sei donna.”

“Suvvia, un’occhiata in via confidenziale.”

“No. Io le rispetto le regole e tu imparerai a fare altrettanto.”

Virginia corrugò la fronte, sentendosi leggermente minacciata, poi disse piuttosto aspra: “Non  drammatizzare. Non ci sono mai state mancanze da parte mia.”

“Non la penso così io e neppure gli altri.”

“Ho solo detto che mi sentivo stressata e che avevo bisogno di una pausa e di rilassarmi per qualche settimana e voi mi avete trattata come se vi stessi tradendo.”

“Dal momento che poi sei scomparsa, direi che equivale a un tradimento.”

“Se mai abbandono. In ogni caso, siete un po’ paranoici o troppo apprensivi.”

“Non hai più dato tue notizie.”

“Potevate chiedere a mio padre o ai miei fratelli.”

“Sono molto scontenti anche loro, non è che li tieni molto aggiornati. Questa situazione li ha messi in un certo imbarazzo, credo che tu capisca che cosa intendo.”

“Senti, ho bisogno di staccare la spina da tutto quanto per un po’ di tempo. Finirò il mio viaggio e poi tornerò, così sarete tutti contenti.”

“Ho un’idea migliore: resta qua con me e non solo ti faccio vedere lo scavo, ma ti ci faccio anche lavorare, se vuoi.”

Virginia scosse il capo e disse, un po’ amareggiata, ma decisa: “Non è quello di cui ho bisogno in questo momento.”

L’uomo assunse il tono di chi sta rimproverando un ragazzino capriccioso: “Questo tuo viaggio è una sciocchezza, non serve a nulla. Devi pensare a ciò che è davvero importante.”

Gli occhi della donna si infiammarono e il suo volto si increspò per l’ira. Sembrava voler dire o fare qualcosa, ma poi rimase in silenzio e a voltarsi per andare via.

“Pessima scelta” le disse l’altro “Tra pochi giorni questa follia sarà comunque finita.”

Erik era rimasto piuttosto distante ad osservare tutta quella scena, non aveva idea di cosa i due si fossero detti, ma aveva capito che c’era stato un contrasto. Quando vide la ragazza allontanarsi, la seguì con lo sguardo poiché non stava tornando verso di lui ma si era diretta verso un gruppetto di edifici lì vicino, dove i turisti potevano trovare da mangiare e souvenir.

Erik, inizialmente, non se ne preoccupò, pensando che avesse bisogno di prendere qualcosa, ma dopo un quarto d’ora, non vedendola tornare, si insospettì e decise di andare a cercarla. Raggiunse la zona commerciale, gettò un’occhiata dentro alcuni locali, ma dell’amica non vi era traccia. Percorse le strade a passo svelto e guardandosi ben attorno, infine la scorse in fondo ad un piccolo vicolo piuttosto isolato. La vide che era seduta a terra, con la testa piegata in avanti coi capelli che le coprivano il volto; si accorse che aveva un coltello nella mano destra. Si avvicinò in silenzio, gli bastò qualche passo per accorgersi che la ragazza aveva la mano sinistra rossa del proprio sangue: infatti appoggiava la punta del coltello sul proprio palmo e poi la ruotava fino a ferirsi. Un altro paio di passi e l’uomo poté notare delle bruciature sull’avambraccio dell’amica.

Erik la guardò inorridito e chiese severamente: “Che cosa stai facendo?”

Virginia alzò lo sguardo verso di lui, stupendosi poiché non lo aveva sentito arrivare, con voce rotta disse: “Niente. Va via, lasciami stare.”

L’uomo usò il proprio potere per sfilarle di mano il coltello e replicò: “Normalmente non mi intrometto nelle faccende degli altri, se non mi chiedono apertamente consiglio, e lascio che ognuno viva la sua vita come meglio crede ed eventualmente paghi le conseguenze delle proprie azioni. Questo, tuttavia, è uno dei pochi casi in cui mi sento in dovere di intromettermi. Quindi, a meno che non si tratti di un rito religioso o magico, mi farebbe piacere una spiegazione.”

Virginia, che aveva iniziato a leccarsi il palmo per pulirlo dal sangue, si limitò a dire cavernosamente: “Mi fa stare meglio.”

“In quale modo, scusa?”

“Mi distrae. È più sopportabile che pensare.”

“A cosa? Che cos’è successo con quel tizio?”

“Mi ha fatto ricordare di tutto ciò da cui volevo prendermi una pausa e a cui dovrò ritornare e mi ha fatto arrabbiare, stare male.”

“Non devi tornarci, se il solo pensiero ti fa reagire così.”

“Non è il genere di cose a cui ci si può sottrarre. Di base non mi dispiacerebbe come ambiente, ma negli ultimi tempi è diventato tutto piuttosto soffocante e opprimente.”

“Di cosa si tratta esattamente?”

“ … l’associazione culturale … è particolare.”

“Molto a quanto pare. Visto che non hai voglia di raccontarmi che cosa esattamente ti turba, mi spieghi almeno perché ti fai questo?”

“Te l’ho detto, mi sono arrabbiata.”

“Quello ti fa soffrire e tu, invece di fare del male a lui, lo infliggi a te stessa? Non ha senso! Tu stai già male, perché dovresti aggiungerne? Sono sicuro che, se gli dessi fuoco, ti sentiresti decisamente meglio. Se uno è irrispettoso o ti tratta male, tu hai tutto il diritto di arrabbiarti e dimostrarlo.”

Virginia sospirò, aveva preso un fazzoletto per fasciarsi la mano, dopo un breve silenzio disse: “Non posso permettermi di cadere in preda all’ira. Quand’ero piccola e mi prendevano in giro, sopportavo e sopportavo fino a non poterne più e allora non era bello, per nulla. Facevo male agli altri e non volevo. Sono spaventata da ciò che posso fare quando sono arrabbiata … ho imparato a non sfogare la rabbia sugli altri ma … la violenza in me c’è ugualmente e o la concentro su oggetti o su me stessa. Non è bello, lo so, e mi spaventa anche questo, ma non posso farci nulla.”

“Da quanto ti fai questo?”

“Non lo so, qualche anno. La prima volta non mi ricordo neppure per cosa stessi male, ma ero furiosa con mio padre perché vedeva che soffrivo e non faceva nulla per aiutarmi, neppure un abbraccio … ero in cucina … ho preso un bicchiere e l’ho gettato a terra, poi ci ho camminato sopra, scalza, e il pavimento è diventato rosso … dopo mio padre mi ha dato attenzione. Qualche ora dopo, quando ho ripensato a mente lucida, mi sono spaventata, mi sono ripromessa che non sarebbe più accaduto e invece …”

Erik allungò la mano alla ragazza per aiutarla ad alzarsi e le disse: “Non dovresti agire così, nessuno dovrebbe. È un palliativo e pure pessimo. Dovresti cercare di risolvere e migliorare la situazione e non di trovare un modo per sopportare. Se posso darti un consiglio, non tornare in quel posto, finché non starai meglio.”

Virginia sorrise, grata di quella comprensione, prese la mano e si alzò in piedi e gli disse: “Non so se sarà possibile. Per favore, andiamo in un’altra città.”

“Certamente. Sai già dove?”

“Sì.”

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Erik e Virginia avevano lasciato rapidamente Bisotun, avendo ancora a disposizione l’automobile che avevano preso al laboratorio, usarono quella per viaggiare e allontanarsi il più velocemente possibile da quel posto che aveva tanto angosciato la ragazza. Vollero recarsi direttamente, senza tappe intermedie, a Naqash-e Rostam, una località dove si trovavano le tombe dei re Achemenidi: Dario, Serse e i loro discendenti meno famosi. Distava circa 900 chilometri, quindi circa dieci ore di viaggio, vi arrivarono a sera inoltrata. Si accontentarono del primo alloggio che trovarono, appoggiarono i loro zaini e si misero a tavola per rifocillarsi.

“Sei stanca?” chiese Erik, mentre mangiavano una zuppa speziata.

“No.”

“Sei ancora affranta?”

“Un po’, ho solo voglia di mettermi sotto le coperte e non alzarmi per una settimana, almeno.”

“Allora puoi anche tornartene a casa. Sei qua, ora, apprezzalo, per deprimiti avrai tempo in futuro. Sai cosa ti dico? Dopo cena usciamo e cerchiamo qualcosa da fare qua fuori! Non abbiamo ancora sperimentato la vita notturna di queste zone, vediamo un po’ che cosa c’è.”

“Non credo ci siano chissà quali intrattenimenti e, in ogni caso, non sono solita frequnetare locali pubblici alla sera, tranne il cinema.”

“Niente locali, niente balere, concerti, eventi o altro?”

“Concerti di musica classica oppure spettacoli in teatro. Generalmente, se esco la sera, è per andare a casa di conoscenti, mezzi amici, per giochi da tavolo.”

“Giochi di società, questo è qualcosa che mi manca, gioco solamente a scacchi. Per il resto, anch’io apprezzo gli intrattenimenti classici, ma non evito neppure la mondanità che vige adesso. Comunque ormai è tardi per controllare se c’è una qualche opera lirica in teatro, per cui propongo di passeggiare un poco per strada e vedere in cosa ci imbattiamo.”

Virginia sorrise e subito se ne stupì, comunque accettò la proposta. Non era convinta, ma sperava di trovare qualcosa che la distraesse un poco.

Dopo cena, i due mutanti si incamminarono per le viuzze della piccola città che, pur non essendo un gran centro, poteva ugualmente offrire qualcosa. Si trovarono a passare dinnanzi all’insegna luminosa e colorata di un locale che si presentava come uno dei più rinomati e moderni della zona. La ragazza era indecisa circa se entrare oppure no, temendo che il costo fosse eccessivo, ma Erik la convinse, ribadendo che il prezzo non era un problema. L’arredamento era particolare rispecchiava un misto tra raffinatezza, eleganza e modernità, senza cadere nella freddezza e aridità del futurismo. C’erano diverse stanze, le principali erano una con tavoli da bigliardo, una pista da ballo e una sorta di mini teatrino dove c’erano tavolini a cui gli avventori si sedevano e bevevano di fronte a un palchettino su cui ogni sera artisti di vario tipo si alternavano nelle loro esibizioni.

Per quella serata c’era una grandissima novità, proveniente addirittura dal Giappone: il karaoke.

Sul piccolo palco stava il signor Daisuke Inoue con l’apparecchiatura da lui costruita che consentiva di far udire solo la parte strumentale delle canzoni le sui parole scorrevano su un monitor, per essere cantate da chi lo desiderava.

Erik pensò che fosse meglio sedersi a bere qualcosa nella sala del karaoke, attività che incuriosiva parecchio Virginia a cui sarebbe piaciuto cimentarsi nella prova, ma si vergognava. Dopo un cocktail a base di vodka e mango, la ragazza vinse le proprie incertezze e decise di provare a salire sul palchetto e cantare. Per fortuna erano presenti anche alcune canzoni italiane nel repertorio del Giapponese, che le aveva inserite in occasione della sua permanenza in Iran, sapendo che per motivi commerciali e culturali, in quel periodo c’erano vari italiani da quelle parti e anche diversi persiani comprendevano e apprezzavano quella lingua.

Un po’ per l’alcool, un po’ per lo sfogarsi cantando, Virginia aveva riacquistato una buona dose di buon umore; Erik ne era felice: l’aveva vista così entusiasta solo davanti ad antichi reperti. Lui era rimasto sempre al tavolino con una bottiglia di Arrack Mehwah, ottenuto dalla fermentazione di un succo di fiori. Si sentiva piuttosto a proprio agio: lì in mezzo a una moltitudine, ma allo stesso tempo distaccato, confondendosi tra gli altri, ma in una posizione di osservazione che gli dava la sensazione di poter controllare quel che accadeva attorno. Gli venne da pensare che quel viaggio non sarebbe durato per sempre, che presto Virginia avrebbe deciso di tornare a casa e, anche nel caso lui fosse riuscito a convincerla a non rientrare in una vita che, da quel che aveva potuto vedere, le recava dolore, lui avrebbe dovuto tornare a pensare ai suoi doveri nei confronti dei mutanti. C’erano persone che facevano affidamento su di lui e non poteva deluderle. Quella consapevolezza un poco lo disturbava: ancora tutte quelle responsabilità? Il dover escogitare piani efficaci che sarebbero stati ostacolati da Charles e i buonisti suoi colleghi?

Si disse che, forse, doveva pensare innanzitutto a sé, ma che cosa voleva dire questo? Abbandonare chi faceva affidamento su di lui, vivere una vita mediocre in attesa che gli umani compissero la loro pulizia etnica verso i mutanti. No, non lo poteva accettare. Ecco che sentiva infiammarsi nuovamente nel suo petto l’ardore per la battaglia, la consapevolezza del pericolo e della propria importanza, la determinazione a offrire tutto se stesso alla causa e condurre gli altri alla vittoria.

Bene, ora si sentiva meglio, si sentiva più se stesso. Ogni tanto gli capitava di trovare troppo stressante la strada per il conseguimento dell’obbiettivo che si era preposto, per questo si era preso quella breve vacanza a Gerusalemme, e si spaventava per quell’insicurezza, lo faceva dubitare non solo di sé ma anche della possibilità di dare un futuro ai mutanti. Poi, per fortuna, ritrovava presto il vigore e si sentiva meglio. Dopo aver riflettuto più volte sul perché di quei momenti, si era detto che fosse perché sentiva tutto il peso su sé solo, senza la possibilità di considerare qualcuno come suo pari e quindi con cui dividere la responsabilità. Finché Mystica era stata al suo fianco, lui aveva sentito più leggero l’onere, invece da quando agiva da solo, o come unico leader per lo meno, aveva molte più preoccupazioni. Per questo, nei momenti più difficili, aveva voglia di abbandonare tutto: era una sorta di codardia, si diceva, per qualche istante rifiutava l’idea che il successo o la sconfitta dipendevano da lui solo, ma poi recuperava subito la sua fermezza e andava avanti.

L’incontro con Virginia gli suscitava stati d’animo contrastanti: alternava momenti in cui sentiva più vivo e più forte il voler combattere per la libertà e la felicità dei mutanti, a momenti in cui non desiderava altro che quel viaggio continuasse per sempre coi suoi alti e bassi, disavventure e occasioni felici.

Erik venne scosso da questi suoi pensieri da un saluto inaspettato. Tornato presente alla realtà, quando rifletteva profondamente, poteva non accorgersi di quel che gli accadeva attorno, vide davanti a sé Kourosh, il mercante con cui avevano viaggiato ormai una decina di giorni prima o forse più.

Verethragna!” esclamò sottovoce il Persiano “Che piacere e che sorpresa vedervi qui! Quando ho visto Atar cantare, ho supposto ci foste anche voi e vi ho cercato!”

Erik si ricordò della messa in scena che aveva fatto la ragazza per giustificare i loro poteri, per cui sperò di non commettere errori e che lei li raggiungesse presto. Per fortuna, Kourosh parlò quasi tutto il tempo lui solo, dicendosi onorato che gli Yazata si fossero recati nella sua città, che avrebbe avuto grande piacere ad ospitarli nella sua casa e molto altro ancora. Virginia aveva notato la situazione ed era tornata al tavolo aveva conversato il necessario, declinato l’offerta di ospitalità ma accettato quella per cui il mercante avrebbe fatto loro da guida presso le tombe degli Achemenidi il giorno successivo.

Così avvenne e la mattina seguente Kourosh si presentò davanti all’alloggio dei due viaggiatori per accompagnarli alla necropoli, si era portato dietro due dei suoi figli e, successivamente, incontrarono vari conoscenti del mercante che, casualmente, passavano da quelle parti. Erik era un po’ infastidito da tutte quelle presenze che fingevano di non essere lì appositamente perché credevano che loro due fossero specie di semidei o quell’accidenti che era; tuttavia stava ben attento a non compromettere quella finzione.

Le tombe erano quattro, scavate in un’imponente massiccio roccioso, tutte a forma di croce con l’ingresso al centro, il braccio orizzontale era una riproduzione del palazzo di Persepoli; l’interno era una singola semplice stanza in cui un tempo vi si trovava il sarcofago, ma purtroppo erano state saccheggiate fin dai tempi di Alessandro Magno. L’esterno della montagna, sotto e attorno alle tombe, era decorato con alcuni rilievi d’epoca sasanide, ossia del terzo secolo dopo Cristo.

Nel primo, il fondatore della dinastia, Ardashir, riceve la corona e l’investitura regale dal dio Ahura Mazda, dopo aver ammesso di aver tradito il suo predecessore, Artabano IV. Vi era poi re Sapore che trionfava sugli imperatori romani Filippo l’Arabo e Valeriano. Gli altri altorilevi raffiguravano diversi sovrani che combattevano o ricevevano il potere.

“Quello cos’è?” chiese Erik, dopo oltre un’ora che Virginia osservava le immagini dettagliatamente, cercando anche di disegnarle su un quadernetto, oltre che fotografarle.

L’uomo aveva chiesto informazioni circa un edificio cubico a meno di un centinaio di metri davanti alle tombe, aveva tutti i lati uguali e cono quattro finestre per facciata.

“È un kaba-ye Zartosh” rispose Kourosh “Significa cubo di Zoroastro. È un tempio, vi abbiamo riportato il fuoco sacro dopo molti secoli che vi era spento, prendendo le braci da uno dei più antichi focolari che i sacerdoti mantengono accesi.”

Virginia udì quella spiegazione ed espresse il desiderio di entrare nel tempio. Il mercante rispose che solo i sacerdoti potevano entrare nell’area sacra ma che essendo loro due degli Yazata sicuramente erano nello stato di purezza adeguato per accedervi. La ragazza si sentì un poco in colpa nel profanare con l’inganno quel luogo, ma la sua curiosità ebbe la meglio.

Entrò nell’edificio assieme all’amico. Al piano terreno vi erano solamente un grande braciere accese e un catino pieno d’acqua. Salirono le scale e raggiunsero il piano superiore che era completamente vuoto, ma le pareti erano decorate con fittissimi bassorilievi assai vivaci.

“Chissà cosa c’è raffigurato.” ragionò Erik “Tu lo sai?”

Virginia scrutò le immagini e disse: “La cosmogonia zoroastriana, credo ... c’è qualche incongruenza con ciò che solitamente viene descritto, quindi presumo sia una versione piuttosto arcaica.”

“Che cosa dice?”

“Fuori dal tempo e dallo spazio vi è Ahura Mazda. Ad un certo punto decide di avere un figlio e celebra un rituale per ottenerlo, ma durante esso, per qualche istante, dubita. Così nascono due gemelli Spenta Manyu, pensiero accrescitore, generato dall’ordine, e Angra Manyu, pensiero distruttore, generato dal dubbio. Questo, almeno, secondo le dottrine deterministiche, c’è anche chi sostiene che entrambi abbiano scelto liberamente se seguire il bene o il male. Spenta Manyu sarebbe quasi un doppione di Ahura Mazda, tanto che nelle tradizioni più tarde Spenta Manyu è sparito, del tutto assimilato al dio supremo. Per me, però, non sono la stessa cosa, secondo me è bello e importante il concetto secondo cui il dio supremo sia al di sopra del bene e del male. Ad ogni modo, questi due spiriti esistono nell’infinito e nell’eternità. Spenta Manyu capisce che uno scontro sarà inevitabile e comprende anche che combattere nell’infinito significherà dare origine ad un conflitto eterno. Decide allora di creare il tempo e lo spazio da utilizzare come campo di battaglia e impiega tremila anni a creare tutte le cose a livello mentale, un po’ come le idee di Platone. Angra Manyu, accorgendosi di ciò, assume le sembianze di un rospo e con atto di auto sodomia, dimostrando così di non poter amare altri che se stesso, genera demoni. Spenta e Angra si incontrano e confrontano le due creazioni mentali. Angra ammira molto ciò che l’altro ha fatto e così Spenta gli offre la possibilità di essere amici e di vivere insieme nella sua creazione. Angra è però incapace di percepire il bene e lo scambia per codardia e un’ammissione di debolezza da parte dell’altro, sceglie dunque di fargli guerra. Stabiliscono di affrontarsi nella creazione di Spenta che pronuncia una preghiera con la quale addormenta l’avversario per altri tremila anni, durante i quali lui fornisce materia vitale a ciò che aveva creato a livello mentale. Quando Angra si risveglia grazie all’intervento di Jeh, la sua più devota creatura; lui e i suoi demoni, tutti esistenti solo a livello mentale, aprono uno squarcio per entrare nel tempo e nello spazio e lo strappo si chiude alle loro spalle. In questo modo essi sono per sempre bloccati nel mondo e non ne potranno uscire, mentre Spenta e le sue emanazioni potranno entrarvi e uscirvi a piacimento. L’intero mondo è dunque solo un campo di battaglia in cui il bene e il male si affrontano, ogni uomo è un soldato che deve scegliere da che parte schierarsi. Il corpo, contrariamente a molte altre tradizioni, non è affatto visto come negativo, ma come componente fondamentale degli esseri. Il male, invece, non ha materia, è solamente uno stato mentale, una distorsione del pensiero.”

Erik era rimasto molto colpito da quel racconto e chiese: “Si sa chi vincerà alla fine?”

“Spenta Manyu, ovviamente. Allo scadere del tempo prefissato per la battaglia, entrerà nel mondo con tutti i suoi campioni e ci sarà l’ultimo grande scontro. Jeh, che fino ad allora sarà sempre stata il braccio destro di Angra, per fame e disperazione si rivolterà contro di lui. Angra chiederà soccorso a Spenta che lo salverà, uccidendo la demonessa, ma poi sarà lui ad ammazzare Angra. C’è chi sostiene, però, che Spenta e Angra si equivalgano e che nessuno dei due possa uccidere l’altro e, dunque, Spenta si limiterà ad imprigionarlo per sempre nello spazio-tempo, mentre lui e le anime di tutti gli uomini, buoni e cattivi, vivranno in eterno nel paradiso che è al di fuori di quelle dimensioni.”

“Anche i cattivi?”

“Sì. I cattivi saranno all’inferno solo fintanto che saranno nel tempo, poiché un’azione compita nel tempo non può essere punita in eterno.”

“Una religione parecchio strana.”

“È anche forse la più longeva, benché non si sia certi della datazione.”

“Più antica dell’ebraismo? Ne dubito.”

“Forse coeve.”

“Beh, direi che però noi abbiamo resistito meglio: siamo più numerosi, nonostante tutte le avversità.”

“Mi permetti una freddura, un po’ infelice?”

“Sentiamo.”
“Non ti arrabbierai, vero? È per scherzare.”

“Tranquilla.”

“Bene. Sono quattromila anni che ovunque andiate c’è chi vi vuol sterminare: Egiziani, Persiani, Romani, Spagnoli, Francesi, Russi, Tedeschi … non è che voi ebrei dovreste farvi un piccolo esame di coscienza? Forse se tutti vi odiano, qualcosa nel vostro atteggiamento lo dovreste cambiare.”

“È solo invidia quella degli altri: noi siamo il popolo eletto da dio e loro sono invidiosi.”

“Più che l’amicizia con Dio vi invidiavano i soldi, almeno negli ultimi secoli.”

Non si soffermarono molto più a lungo là dentro. Trascorsero il resto della giornata sempre scortati da Kourosh che prima li ospitò a pranzo, offrendo loro grandi leccornie, poi  li accompagnò ancora in giro per la città affinché vedessero tutti posti più importanti e, un po’ controvoglia, i due mutanti dovettero mostrare i loro poteri a una ristretta cerchia di forse non troppo selezionatissimi zoroastriani.

In fine, alla sera, tornarono nel locale chic della serata precedente, ove anche cenarono. Non vi era più il karaoke, era stata un’esclusiva speciale per una sola occasione, così quando erano già le ventidue, Erik chiese alla ragazza: “Vieni con me sulla pista da ballo? Ho voglia di danzare: è un sacco di tempo che non lo faccio.”

Virginia era titubante e farfugliò: “Non ho molta esperienza …”

“Non ci vuole esperienza, nessuno ti giudicherà: lo si fa per divertimento e basta. Vieni e prova. Io non credevo di potermi appassionare a musei o archeologia, certo non ero una zappa prima, ma non me ne curavo eccessivamente, ora grazie a te e all’aver sperimentato li apprezzo maggiormente. Adesso hai dei dubbi sul ballare ma, se provi, forse dopo ti piacerà.”

Davanti ad un’argomentazione simile, Virginia non poté rifiutare e accettò di seguire l’amico nella stanza accanto dove una piccola orchestrina suonava balli di vario genere.

Erik sembrava molto a proprio agio, come se il lasciarsi permeare dalla musica lo aiutasse a scaricare le energie negative e ad essere più sereno. Virginia, invece, era più impacciata, i suoi movimenti erano piuttosto meccanici, non riusciva a lasciarsi guidare dalle note.

Ci fu, poi, un brano lento. Erik strinse la ragazza senza neppure avvertirla e condusse la danza con gran disinvoltura e fissando la giovane negli occhi, facendola piroettare di tanto in tanto e poi riportandola a sé. Virginia era in confusione tanto da non riuscire a godersi quel momento come invece avrebbe potuto e voluto; essere così stretta al petto dell’uomo le faceva accelerare il battito cardiaco e lei si agitava; avrebbe voluto dire qualcosa per allentare la tensione, ma aveva paura di dire stupidaggini e banalità, per cui tacque. Sperò che lui parlasse, ma non fu così.

La musica cambiò nuovamente e i due si staccarono. Virginia provò un moto di tristezza e delusione, come se avesse sperato che, nonostante la sua inerzia, quel momento non finisse così. Per un attimo osò immaginare che Erik la stesse ancora abbracciando, che i loro volti fossero quasi uniti … si interruppe, frenò la fantasia prima che potesse costruire chissà quali castelli per aria, poiché lei sapeva bene che si sarebbe trattato solo di sogni impossibili e quindi non voleva infliggersi da sola ulteriore dolore con fantasticherie che mai sarebbero potute divenire realtà.

Erik, dal canto suo, stava pensando a come fosse stato strano quel giro di ballo: era stato così freddo! Eppure non deludente. Erano dieci anni che non danzava, l’ultima volta era stata con Mystica, poi lui era stato in prigione e nei mesi dopo la sua evasione aveva avuto ben altri pensieri che quelli di divertirsi. Avrebbe potuto ballare con qualsiasi donna presente in quella sala; ce ne erano numerose e alcune bellissime o sensuali e lui era certo che nessuna di loro lo avrebbe rifiutato, se avesse chiesto un ballo. Lui, però, non se ne era curato e aveva deciso di danzare quel lento con Virginia, nonostante non la si potesse definire attraente. Non l’aveva fatto per pietà verso di lei, per delicatezza verso la di lei scarsa autostima o per rispetto, essendo in viaggio con lei. No. Lo aveva fatto perché ne aveva voglia, perché in quel momento era stata l’unica persona con cui aveva sentito il desiderio di ballare. Prendendole le mani, aveva immaginato un momento caloroso ed emozionato, invece era stato tutto molto freddo, quasi distaccato, nonostante la vicinanza dei corpi, e tutto ciò gli trasmetteva una lieve sensazione di fallimento.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Kourosh era talmente entusiasta della presenza di quelli che reputava Yazata, che aveva organizzato vari intrattenimenti e specie di celebrazioni che avevano trattenuto per un’altra giornata i due mutanti a Bisotun.

Era l’imbrunire e ancora era in corso il banchetto con musici, danzatori, poeti improvvisato da Kourosh per onorare i suoi ospiti. Erik si compiaceva di essere così ben trattato e tenuto in alta considerazione, mentre Virginia osservava tutto con l’attenzione di un’antropologa.

Si trovavano nel cortile interno della casa del mercante, un trio di musici aveva appena concluso la propria esibizione, nell’intervallo in cui i camerieri avevano sparecchiato la portata di carne e servivano il dolce. Uno dei domestici si accostò al padrone di casa e gli mormorò qualcosa. Dopo aver ascoltato, Kourosh si rivolse ai due ospiti: “Mi hanno appena informato che sono giunti tre signori che chiedono di voi. Han detto di annunciare un certo professor Xavier. Lo conoscete?”

Erik si stupì e poi si affrettò a rispondere: “Sì, è uno dei nostri, fatelo passare.”

“Un altro Yazata?!” si meravigliò il mercante.

“Sì, sì … c’è un’alta concentrazione di forze malvagie da queste parti, ci stiamo riunendo.” Erik ormai aveva preso gusto a portare avanti quella sceneggiata.

“E di chi si tratta?”

Sraosha.” inventò Virginia, che iniziava a temere che la situazione sfuggisse loro di mano.

Kourosh intanto aveva dato ordine di introdurre i nuovi arrivati e così presto fecero il loro ingresso Charles, Raven ed Hank che furono fatti accomodare accanto agli altri due mutanti, mentre il mercante e alcuni suoi famigliari cedevano loro il posto. Ci fu qualche minuto in cui i cinque forno lasciati più o meno soli, nel senso che per dare nuove disposizioni, Kourosh e altri si allontanarono quel tanto che bastava a loro per parlare liberamente, senza essere sentiti da altri.

“Benvenuto Charles” esordì Erik “Come mi hai trovato?”

“Tu hai l’elmetto, la tua amica no. Non vi ho persi di vista da quando avete lasciato il laboratorio. Quando ho capito che vi sareste fermati un poco qui, ne ho approfittato per raggiungervi.”

“Quanta premura da parte tua, non dovevi disturbarti.”

“Io, invece, credo di sì.”

“Me lo spiegherai più tardi, adesso goditi questo momento, Charles. Ci credono degli inviati di un dio, non infrangiamo i loro sogni.”

“Sì, ho guardato le loro menti e so che cosa pensano. Devo dire che è disonesto da parte vostra perpetrare quest’inganno e io non voglio rendermene complice.”

“Nessuno si sta facendo del male, anzi, sono tutti più felici, quindi non rovinare tutto quanto.”

“D’accordo, ti concedo di arrivare alla fine di questo banchetto, ma poi dobbiamo parlare.”

“Uh una concessione!” replicò sarcastico Erik “Te ne sarò infinitamente grato!”

Charles lo rimproverò con lo sguardo, ma in quel momento tornò Kourosh che riprese a contendersi le attenzioni di tutti quanti.

Raven e Hank si erano seduti accanto a Xavier, non prestavano molta attenzione a quel che accadeva attorno, parlavano fittamente tra di loro e ogni tanto osservavano Erik, come a volerne studiare le espressioni e i movimenti, come sospettando di qualsiasi gesto. Magneto aveva notato di essere spiato e quindi aveva deciso di prenderli un poco in giro con cenni non sempre limpidi; inoltre ne approfittò per sussurrare all’orecchio di Virginia di assecondarlo, avendo avuto il consenso, per il resto della serata la strinse spesso a sé, accarezzandole le mani o i capelli, tal volta le braccia o il volto, arrivò anche a darle un bacio sulla guancia. In pratica s’era inventato un pretesto per fare credere necessaria alla ragazza una finzione che in realtà gli serviva per cercare di infrangere un poco quella barriera che finora non era riuscito a scalfire. Virginia inizialmente era comunque piuttosto imbarazzata, ma il fatto di considerare quei gesti non come genuini bensì come simulazione la rendeva più tranquilla e non si sentì a disagio nel tenere per mano l’uomo o appoggiare la testa sulla sua spalla. In realtà si era domandata il perché di quella sceneggiata, ma subito aveva deciso che non le interessava.

Kourosh avrebbe fatto proseguire la serata fino a tarda notte se non addirittura l’alba, se non fosse stato che Charles utilizzò i propri poteri su di lui per persuaderlo della necessità di lasciarli andare per prepararsi allo scontro con forze maligne. I cinque mutanti si ritirarono dunque nell’alloggio che già ospitava da tre notti i due viaggiatori.

Appena saliti nelle stanze, Erik premise: “Non ho intenzione di trovarmi davanti alla commissione Magneto è un insensibile.”

“Non esiste niente con quel nome.” bofonchiò Hank “Insensibile, poi, è un eufemismo.”

Erik lo ignorò e proseguì: “Quindi, Charles, sarò ben lieto di fare una partita a scacchi con te e chiacchierare nella stanza di là, ma soli, senza sostenitori.”

“D’accordo.” Xavier acconsentì.

I due uomini si accomodarono nel salottino accanto, seduti uno di fronte a l’altro con in mezzo una scacchiera, come ai vecchi tempi.

“Che cosa sei venuto a fare, Charles, che cosa speri di ottenere?” nel tono di Erik non c’era spavalderia ma amarezza.

“Non perdo la speranza, amico mio.”

“L’ultima volta, dopo dieci anni che non ci vedevamo, eri piuttosto adirato con me.”

“Era stato un pessimo periodo, trattavo male chiunque. Non avevo più niente, neppure la speranza.”

“E mi hai accusato di avertele sottratte io. Ora invece hai di nuovo tutto e sei felice; è così che funziona? Hai quello che vuoi e ti comporti come San Francesco, Gandhi, Mary Poppins e Babbo Natale tutti assieme, ma se gli eventi non seguono il tuo capriccio diventi un misantropo, apatico affetto da vittimismo perché non è in grado di agire per cambiare le cose ma aspetta la manna dal cielo?”

“Meglio che essere sempre in guerra con il mondo intero, non credi?”

“Beh, io almeno sono coerente.” disse Erik, scherzando, ed entrambi si misero a ridere.

Tacquero alcuni momenti, concentrandosi sugli scacchi, poi Erik domandò: “Toglimi una curiosità, come mai Hank, da scienziato della CIA che era, è diventato il tuo maggiordomo?”

“Non è il mio maggiordomo … ok, forse un po’ lo è … il fatto è che prima mi dava un grande aiuto con la scuola, poi la scuola ha chiuso … ed Hank è rimasto, non mi ha abbandonato, è un buon amico. Ora che la scuola è stata riaperta, la sua collaborazione è fondamentale.”

“Sbaglio o il vostro non è un rapporto proprio paritario? Voglio dire, mi pare che tu ordini e lui esegue, nient’altro.”

“E allora?”

“Non so se si possa definire propriamente amicizia.”

“Lezione molto interessante. Ricordami: quanti amici hai?”

“Uno: tu. Forse due, se conto anche Virginia, ma non ne sono certo.”

“Amicizia? Ci credi ancora, dopo tutto quello che è successo?”

“Sei qui e non per combattermi, non mi servono altre dimostrazioni.”

“Cosa ti fa pensare ch’io sia amico tuo e non di Hank?”

“A me non dai ordini.”

“Non posso farlo.”

“Non lo faresti neppure se non avessi l’elmetto.”

“Io non uso i miei poteri per controllare le persone, lo sai bene.”

“No, infatti, ti bastano il tuo carisma e la tua dialettica per soggiogare le persone. Sai parlare al cuore delle persone, conquistarti in un attimo la loro stima e fiducia. Affascini i tuoi interlocutori in un modo tale che mi viene da domandarmi se sia davvero del tutto naturale o se, piuttosto, tu sia talmente avvezzo ad applicare il tuo potere in quella forma che non riesci neppure a renderti conto che lo stai utilizzando. Sai tutto degli altri, tutti si confidano con te, ti guardano come un punto di riferimento, ma chi è che sa qualcosa di te? Il tuo animo è chiuso in una torre d’avorio e nessuno lo conosce. Raven ed Hank dovrebbero sapere tutto di te ed effettivamente conoscono molto, ma non li hai mai lasciati avvicinare nel profondo, ci scommetto. Tratti loro come tratti tutti i tuoi studenti: ti poni su un piedistallo, ti senti superiore a loro e li vuoi condurre e quindi non li senti tuoi pari e non riesci ad avere in loro totale fiducia. Professore … ti si addice perfettamente e sai perché? Perché per tutta la vita non hai fatto altro che nasconderti dietro una cattedra ad esercitare la tua presunta superiorità e senza mai metterti in discussione. Sei convinto di essere nel giusto e prosegui sulla tua strada con un paraocchi che ti impedisce di vedere tutto il resto. Il tuo pacifismo, i tuoi valori morali ti fanno sentire superiore e per questo non hai orecchie per ascoltare gli altri. Sono certo che la vera ragione, che ti ha portato alla misantropia e depressione quando la tua scuola ha chiuso i battenti, sia stata quella di sentire venire meno la tua autorevolezza e il tuo potere, di veder messa in dubbio la tua superiorità sugli altri. La durezza della vita ti aveva dato la possibilità di migliorare e maturare e tu, anziché metterti in discussione e cercare di cambiare ciò che non andava, hai preferito fare la vittima inerte.”

Erik mosse l’alfiere e fissò Charles in attesa di una risposta che arrivò dopo una trentina di secondi: “Solo un vero amico mi avrebbe parlato così.”

“Torniamo dunque alla domanda iniziale: perché sei qui?”

“Anche la risposta non cambia: non ho perso la speranza.”

“È inutile: io non riesco a vedere il mondo come lo vedi tu, né tu lo puoi percepire come me. Perché insistere? Perché cercare la maniera di conciliare due visioni inconciliabili? Anzi, tu vorresti ch’io cambiassi la mia opinione, senza modificare di una virgola la tua. Non accadrà mai. Continuiamo ognuno sulla propria strada e troviamoci ogni tanto a chiacchierare e giocare, rispettando le reciproche scelte. Credimi, anche a me piacerebbe che avessimo idee unanimi, ma per il momento non è possibile alcuna collaborazione.”

“Ho fatto tanti chilometri per niente, allora?”

“No, hai fatto tanti chilometri per passare a trovare un amico.”

“Suvvia, Erik, deve esserci un modo per persuaderti che lo sterminio non è la soluzione. Guarda gli uomini di cui sei stato ospite oggi: ti hanno ben accolto ed erano tutt’altro che ostili.”

“Solo perché ignorano la verità.”

“Ciò non toglie che potremmo davvero diventare eroi per il mondo intero. Abbiamo grandi poteri e li metteremo al servizio dei Governi e del bene.”

“Da quando i governi corrispondono al bene? La conosci la favola del lupo e del cane domestico?”

“Sì: un lupo, magro, magro, incontra un cane in perfetta forma e se ne stupisce. Gli chiede come faccia ad essere così sano e pasciuto e il cane gli risponde che è perché lavora per l’uomo: lui fa da guardia agli animali e alla casa del padrone e in cambio riceve da mangiare in abbondanza. Offre al lupo la possibilità di fare altrettanto, ma il lupo nota il collare e chiede spiegazioni; il cane spiega che è perché ogni tanto il padrone lo tiene a guinzaglio o lo lega. Allora il lupo dice di preferire una vita di stenti ma in libertà, piuttosto che essere ben trattato da schiavo.”

“Esattamente: io sono il lupo e tu il cane. Inoltre, se uno non volesse fare l’eroe? Dimmi, come potrebbe vivere una vita normale un teleporter? Verrebbe accusato di qualsiasi furto in città, ammesso e non concesso che qualche fanatico religioso non tenti di ucciderlo a causa delle sue sembianze leggermente demoniache. Per qualsiasi problema cercheranno di incolpare il mutante nei paraggi con capacità compatibili col fatto, perché sarà più semplice che indagare. Trovare un colpevole è lentezza. Gli umani sono mossi più dalla vendetta che dalla giustizia.”

“Infatti tu punti a una vendetta preventiva: ti sembra logico?”

“Cosa ti fa pensare che l’umanità possa agire diversamente da come ha sempre fatto? Il genocidio non è un’invenzione moderna, pensa anche solo agli Aztechi. A volte non è necessaria neppure appartenere ad una razza diversa, ma è sufficiente credere in un Dio diverso o anche solo differire di una parola o due dalla dottrina. A volta basta semplicemente essere nati nel ceto sociale sbagliato.”

“Ho studiato la storia e so quello che è stato. Non ci sono solo momenti bui, ma anche di luce. Alessandro Magno voleva unire il mondo greco e quello persiano e ci stava riuscendo. Negli ultimi secoli si sta ottenendo una maggiore consapevolezza dei diritti universali ed inalienabili dell’uomo: stiamo progredendo e può esserci un futuro armonioso.”

“Charles, non nego che possa avvenire un lento processo di integrazione, penso però a tutti i morti che ci saranno da qui al successo che tu auspichi, senza contare poi che alcuni pregiudizi sono duri a morire, si mantengono in alcune famiglie e fazioni, pronti a scatenarsi nuovamente alla prima crisi di qual si voglia tipo. Un futuro come lo speri tu è possibile, ma instabile e richiederà molti morti, soprattutto tra i mutanti. Perché dovrei accettare simili condizioni? Solo per non essere additato come il cattivo? Le medicine sono sempre amare.”

“Lo zucchero le può addolcire. Inoltre tu proponi una medicina tradizionale, perché non provare l’omeopatia?”

 

Intanto, nella stanza accanto, gli altri tre mutanti rimanevano in più o meno cordiale silenzio. Virginia aveva preso un libro e si era immersa nella lettura. Raven e Hank un poco la osservavano, un poco confabulavano. Ad un tratto, Mystica si avvicinò all’altra ragazza, lanciò un’occhiata al libro che aveva fra le mani e commentò: “Potresti anche inventare qualcosa di meglio per ignorarci.”

“Eh?”

“Suvvia, fingere di leggere un libro non è il massimo dell’educazione.”

“Io sto leggendo davvero.”

“Ma non è nemmeno scritto nel nostro alfabeto!”

“È persiano, la lingua di questo stato, e si dà il caso che l’ho studiato per un paio d’anni e quindi lo capisco abbastanza.” era stata piuttosto acida.

“Come sei capitata a viaggiare con Erik?”

“Ci siamo conosciuti a Gerusalemme e lui ha voluto accompagnarmi.”

“Davvero? Strano. Non sembri il tipo di persona che possa attirare la sua attenzione.”

Virginia si sentì piuttosto ferita da quelle parole, soprattutto perché pronunciate da una donna tanto bella.”

“Sicuramente ha un qualche doppio scopo, probabilmente malvagio.” continuava Raven “Devi stare molto attenta: Magneto è crudele, spietato e incapace di voler bene. Pensa, diceva di amarmi, un tempo, e poi ha tentato di uccidermi poiché gli era stato detto che in futuro avrebbero sfruttato le mie cellule per costruire armi che avrebbero distrutto i mutanti. Così lui ha ben pensato, per evitare ch’io finissi prigioniera, di eliminarmi, per fortuna non c’è riuscito.”

“Pragmatico.”

“Quell’episodio mi ha fatto capire che nel suo cuore non si annidava altro che male. Charles è troppo buono e si illude di poter ancora redimerlo. Stai molto attenta a lui: ti farà del male, prima o poi, in una maniera o nell’altra. Non fidarti di lui.”

“Ne prenderò nota.” rispose Virginia, più per chiudere la conversazione che per interesse alla questione, infatti tornò a rivolgersi al libro.

Mystica, sorpresa per quell’atteggiamento, insisté più grintosa: “È una questione seria. Io ci sono passata e so esattamente di quel che parlo.”

Hank intervenne: “Raven, lascia stare, anche tu non ascoltavi nessuno, quand’eri affascinata da Erik. Si scotterà e capirà da sola.”

La donna non si diede per vinta e ribadì: “Credimi, lui è pericoloso e sicuramente vuole sfruttarti in un qualche modo. Devi stare attenta.”

Virginia chiuse il libro piuttosto bruscamente e disse: “E perché dovrei fidarmi di te? Chi sei? Nessuno. Non ti conosco, non so niente del tuo passato e dei tuoi rancori e neppure mi interessa. Forse sarai abituata ad avere l’attenzione di tutti, ad essere attorniata da uomini che considerano oro qualsiasi cosa tu dica, ma a me non me ne importa assolutamente nulla.” si era innervosita “Non ho né bisogno né voglia di ascoltarti.”

Virginia si alzò in piedi e uscì dalla stanza.

Raven era rimasta piuttosto basita, si voltò verso Hank e gli chiese: “Che cosa l’è preso?”

Il ragazzo scosse le spalle, non avendo una risposta.

Quel che turbava Virginia era il fatto di odiare le belle donne. Per come vedeva lei il mondo, una donna sensuale poteva ottenere tutto quel che voleva, poteva sbagliare mille volte ed essere sempre perdonata, fare un lavoro di scarsa qualità ed essere elogiata per mesi. Virginia odiava la facilità con cui gran parte degli uomini si lasciavano rimbecillire e sottomettere dalla bellezza di un corpo. Odiava come molte donne approfittassero di quell’ascendente e di come si sentissero superiori alle altre. Odiava pensare al fatto che a nessuno importava della sua intelligenza e delle sue capacità perché non erano accompagnate dalla bellezza; sentiva di dover sempre impegnarsi il doppio o il triplo delle altre per essere presa in considerazione, anche solo in università.

Per questo aveva reagito così bruscamente: si era sentita intimorita dalla bellezza di Raven e subito l’aveva associata a quelle ragazze che aveva conosciuto che si sentivano di poter dire tutto ciò che volevano ed essere considerate degli oracoli solo perché belle.

Lei non aveva idea circa se Raven appartenesse realmente a quella categoria di donne oppure no, non conosceva nulla del suo passato, ma il suo pregiudizio era più forte.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


La partita a scacchi si era conclusa dopo oltre due ore in una situazione di stallo, esattamente come il loro dialogo. Erik e Charles uscirono dalla stanza per riunirsi agli altri e il primo si stupì di non trovare la sua amica.

“Dov’è Virginia?” chiese bruscamente.

“È fuori.” rispose Hank un po’ sorpreso.

Erik uscì rapidamente, senza aggiungere altro. La porta dava su un corridoio su cui si affacciavano le stanze di altri ospiti; Erik lo attraversò a gran passi, alquanto preoccupato: che motivo aveva la ragazza di andarsene? E senza dire nulla per di più?

Arrivato però alle scale che portavano al piano di sotto, si tranquillizzò, vedendo l’amica seduta sui gradini, intenta a leggere.

“Che cosa ci fai qui?” le chiese.

“Dentro il clima non mi piaceva troppo e ho pensato fosse meglio allontanarmi.”

“Dai, rientriamo.”

“Che cosa accadrà adesso?”

“Cosa intendi?”

“Adesso che ci sono anche loro …”

“Non cambia nulla, probabilmente già domani se ne andranno, vedendo che non possono ottenere ciò che speravano.”

“Che cosa volevano da te, se posso chiedere?”

“Charles vorrebbe che abbandonassi il mio metodo e seguissi il suo, per conseguire il bene dei mutanti. Solite cose, inizia ad essere ripetitivo. È piuttosto ostinato.”

“Il suo progetto è così sbagliato?”

“È poco realistico e parte dall’erroneo presupposto che gli uomini siano d’animo buono e razionale … ma ne abbiamo già discusso, inutile ripetersi.”

“Rousseau parlava del mito del buon selvaggio.”

“La natura impedisce di essere buoni, se si vuole sopravvivere. Il bene e il male sono due concetti inventati per regolare la vita all’interno delle società e cambiano continuamente nel tempo e nello spazio. In ogni caso, Rousseau dà ragione a me, visto che nell’Emilio scrive: ogni cosa è buona mentre lascia le mani del Creatore delle cose; ogni cosa degenera nelle mani dell’uomo.”

“Sei proprio convinto che non ci possa essere amicizia tra umani e mutanti?”

“Qualche umano può accettare i mutanti … forse anche molti, ma basta poi un folle carismatico, magari aiutato anche solo da una piccola crisi, ed ecco che si generano psicosi e odi collettivi. Gli esempi sono numerosissimi, anche recenti, anche nei confronti di noi mutanti.”

“Abbatteresti un’intera foresta, per un solo albero malato?”

“Sì. Un solo albero appare malato, ma il contagio è già in atto e bisogna eliminare ogni pianta che potenzialmente ha il virus in incubazione, per evitare che esso distrugga prima la foresta e poi tutto il resto.”

“Senza neppure tentare una cura?”

Erik si accigliò qualche istante, poi disse: “Scusami un minuto.”

L’uomo si alzò e tornò verso la camera. Aprì la porta, guardò severamente l’amico e gli disse con moderata ira: “Smettila immediatamente, Charles!”

“Erik …” provò a dire Raven, ma venne interrotta.

“È veramente meschino da parte tua entrare nella mente di qualcuno e usarlo per ingannare un altro. Stavo parlando con una mia amica e tu hai usato il tuo potere per farle dire quello che volevi tu! È spregevole. Come posso fidarmi di te o di qualsiasi altra persona?”

“Erik, lo sai che non è una cosa che faccio normalmente, ma visto che sembra che tu non ascolti me per principio, ho pensato che forse saresti stato più disponibile a sentire queste cose se pronunciate da qualcun altro.”

“Avresti potuto chiedere a Raven o Hank di parlarmi, visto che la pensano come te. Forse Raven avrebbe potuto farmi capire meglio di te: lei condivideva le mie stesse convinzioni e poi ha cambiato idea, sicuramente avrebbe avuto buone argomentazioni. Tu, invece, non riesci ad avere fiducia, pensi di essere l’unico a poter risolvere le cose, gli altri sono solo pedine. Non hai alcun rispetto.”

“Questo non è vero!” intervenne Mystica “Charles avrebbe potuto semplicemente impedirmi di uccidere Trask, invece ha lasciato ch’io decidessi cosa fare. Lui ha rispetto del libero arbitrio.”

“O forse era convinto di averti già convertita e per questo il suo ego dev’essersi ben gonfiato.”

“Erik, adesso basta!” tuonò Xavier.

“Basta cosa?”

“Hai ragione: ho sbagliato a cercare di farti credere che quelle cose te le dicesse Virginia. Il fatto è che io vorrei tanto che tu capissi!”

“Perché non provi tu a capire me? Hai anche avuto modo di guardare nella mia testa, in passato, e sai benissimo cos’ho patito.”

“Sì. La tua rabbia è comprensibile, ma non può giustificare quel che hai intenzione di fare. Pensa agli scacchi! Tu agisci esattamente come i giocatori principianti che mirano a mangiare il più velocemente le pedine degli altri, anziché pensare al vero obbiettivo di incastrare il re e per questo si espongono più facilmente ai pericoli e alle trappole, perché la loro visione è limitata e concentrata solo sul distruggere.”

“Anche una strategia lungimirante porta ad eliminare le pedine altrui per arrivare al re.”

“Non sempre.”

In quel momento la porta si aprì e sulla soglia si affacciò Virginia che timidamente chiese: “Che cosa accade?”

“Nulla.” rispose Erik “Dovevo chiarire una questione.”

“Io pensavo di andare a dormire, data l’ora; quindi vi auguro la buona notte.”

Anche gli altri pensarono fosse una buona idea riposarsi, almeno per calmare un poco gli animi, dunque presto andarono tutti a coricarsi nei propri letti.

Giunse il mattino. Erik non era riuscito a dormire molto la presenza di Charles e le discussioni lo avevano innervosito. Aveva faticato a dormire e dopo poche ore si era svegliato e non era stato più in grado di chiudere occhio; era rimasto disteso sul letto a pensare, in una sorta di dormiveglia che alternava ricordi, riflessioni, preoccupazioni e parti di sogni, mescolati in un flusso ininterrotto che non seguiva un preciso filo logico. Quando la sveglia lo richiamò completamente alla realtà, ne fu molto felice, si alzò e si preparò, pronto ad affrontare la giornata con determinazione.

Scese al piano terra, dove si trovava la sala delle colazioni e dei pranzi e, stranamente, la trovò deserta: i tavoli apparecchiati e il cibo esposto erano a metà, come se l’allestimento fosse stato interrotto di colpo. Erik si insospettì e si affrettò ad esplorare l’alberghetto, alla ricerca di qualcuno e spiegazioni. Dopo essere passato per un paio di stanze, notò che tutte le tende erano state tirate, in modo da nascondere le finestre; si avvicinò ad una di esse, scostò leggermente il tessuto per sbirciare fuori e vide che l’edificio era stato circondato da alcune camionette militari, strano era che non percepiva la presenza di metallo su quei mezzi e tra i soldati, notò anche che avventori e personale dell’alberghetto erano là fuori e si stavano allontanando.

Erik immediatamente si precipitò alla porta sul retro, certo ce ne fosse una; trovandovi un uomo che stava per fuggire, lo trattenne grazie all’orologio ch’egli indossava e altri oggetti metallici che aveva addosso.

“Che cosa sta accadendo?!” tuonò Magneto “Chi sono quei soldati?”

“Erik, fermo!” esclamò la voce di Charles, alle sue spalle. Stava arrivando assieme a Mystica ed Hank.

Il mutante si voltò verso l’amico e gli disse: “Sei prevenuto nei miei confronti! Non è che ogni volta che ho a che fare con qualcuno lo voglio uccidere. Sta accadendo qualcosa di strano, siamo circondati da uomini dell’esercito e sono abbastanza certo che costui ci possa dare qualche informazione.”

“Posso leggere direttamente le menti di chi è là fuori.” gli ricordò Xavier “Per cui non c’è bisogno di trattenerlo.”

“Un ostaggio può tornarci comodo, soprattutto se tu ti ostini a non voler combattere chi ci attacca.”

Intanto, l’uomo trattenuto, sperando di essere lasciato andare, iniziò a dire: “Io non so nulla, sono solo un cameriere! Mezz’ora fa sono arrivati i soldati, hanno detto che voi siete ricercati internazionali e hanno fatto evacuare l’edificio. Lasciatemi andare, vi prego! Ho una famiglia e … e …”

“Vedi, Charles, cosa arrivano ad inventarsi per aggredirci?!” proruppe Magneto, colmo d’ira.

“Nel tuo caso hanno assolutamente ragione.” gli fece notare Hank.

Sopraggiunse anche Virginia, chiedendo che cosa stesse accadendo. Il Professor Xavier, che aveva guardato nelle menti di chi li circondava, spiegò: “Si tratta di Stryker e dei suoi uomini. Dopo aver scoperto la vostra fuga dal suo laboratorio, si è dato da fare per trovarvi e ora sa anche di noi.”

“Cosa facciamo?” chiese Hank.

“Dobbiamo raggiungere l’aereo.” propose Raven.

“Ma è a quattro, cinque chilometri da qui!” esclamò lo scienziato.

Virginia, avendo ancora fresco il ricordo di ciò che le avevano fatto nel laboratorio pochi giorni prima, disse seccamente: “Se ci ospitate a bordo, corriamo dritti verso l’aereo e peggio per chi vuole impedircelo.”

Raven, indicando la sedia a rotelle dell’amico, chiese: “Ti sembra nelle condizioni di correre?”

“Abbiamo un’automobile.”

Charles troncò la discussione: “Non possiamo farci inseguire. Ci sarebbero spari e non so che altro per le vie della città, in mezzo a chi non c’entra nulla.”

“Concordo sul non coinvolgere i civili.” Erik stupì con queste sue parole “Quindi sterminiamo i soldati che ci minacciano e poi andiamo all’aereo.”

“No, niente omicidi.” ribadì Charles “Sto facendo un duro lavoro per dimostrare che i mutanti non sono una minaccia, quindi non attaccheremo questi uomini. Dev’esserci una soluzione pacifica.”

“Noi stiamo solo difendendo le nostre vite e la nostra libertà: loro sono i cattivi!” insistette Magneto “Vai da Stryker a dirgli che vuoi essere suo amico, metti un fiore nella canna del suo fucile e vediamo quanto sarà felice e bendisposto.”

“Lasciami pensare.”

Raven propose: “Potrei assumere l’aspetto del cameriere e infiltrarmi tra di loro.”

“A che scopo?” chiese Erik “Cosa potresti fare una volta là? Soprattutto se non hai intenzione di combattere.”

Hank domandò: “Puoi immobilizzarli tutti quanti? Se li tieni bloccati, noi possiamo andarcene senza colpo ferire.”

“Sarebbe bello, ma sono parecchi e poi c’è il fattore tempo e distanza. Adesso posso bloccarli, sì, ma se mi allontano anche solo di un chilometro perdo la presa sulle loro menti e ci saranno subito addosso.”

Si sentì squillare il telefono dell’albergo, tornarono immediatamente tutti nella hall, portandosi dietro anche il cameriere. Hank alzò la cornetta e la diede a Charlse che rispose: “Pronto.”

“Sono il maggiore Stryker. Con chi ho il piacere di parlare?” il tono era beffardo “Magneto, il Professor X o il coso peloso blu?”

“Sono il professor Xavier e pretendo di sapere con quale autorità avete circondato questo albergo. Questa non è la vostra giurisdizione.”

Erik commentò: “Fanno esperimenti sui mutanti, gliene importerà tantissimo delle questioni territoriali.”

Stryker spiegò: “Erik Lehnsherr è un ricercato internazionale e io ho tutte le autorizzazioni per arrestarlo, in qualsiasi paese si trovi. Mi è anche consentito di catturare chiunque si trovi in sua compagnia. Trovare lei, Professor X, è una fortuna insperata. Chissà cosa penseranno il Presidente degli Stati Uniti e i rappresentanti dell’ONU e della NATO, quando scopriranno che lei pubblicamente si mostra pacifista e condanna le attività di Mangento, ma poi privatamente lo frequenta. Probabilmente si accorgeranno che arrestare Trask è stato un errore e riconsidereranno il progetto sentinella. Consegnatevi spontaneamente a noi e forse ci sarà la possibilità che non tutti i mutanti vengano uccisi. Vi do dieci minuti di tempo, poi apriremo il fuoco e vi verremo a prendere.”

Stryker attaccò la cornetta. Charles guardò gli altri mutanti che avevano sentito tutto quanto.

“È un pessimo negoziatore.” sentenziò Magneto “Non ha offerto un granché per convincerci a non vendere cara la pelle.”

“Non combatteremo.” ribadì Charles “Inoltre sono tantissimi e ben armati, senza metalli. Possiamo fare ben poco.”

L’amico dichiarò fieramente: “Se ci cattureranno, prima soffriremo le pene dell’inferno e poi ci uccideranno e saremo felici nell’accogliere la morte come una liberazione. Preferisco, allora, morire adesso e portare con me nell’altro mondo il maggior numero di loro.”

“Se provassimo a usare l’ostaggio?” chiese Virginia timidamente.

Erik scosse il capo e disse: “Per come stanno le cose, probabilmente lo uccideranno e incolperanno noi.”

“C’è una sola cosa da fare.” sentenziò Charles “Entrerò nella mente di Stryker e manometterò i suoi ricordi in modo che vada via. Mi servirà tempo, ma potrei provare a riformare le menti di tutti quei soldati. Dimenticheranno perché sono qui, darò loro un nuovo obbiettivo e …”

“Non abbiamo tempo a sufficienza.” lo interruppe Erik “E poi perché mai giocare con la mente delle persone, manipolarle e privarle di ricordi e volontà dovrebbe essere più etico che ucciderle?”

“Il rispetto per la vita, quello che tu non conosci.” disse Hank.

“Io rispetto le persone e le loro scelte e mostro loro le conseguenze.”

“Peccato che un morto non possa imparare dai propri errori.” osservò Charles.

“Ma i vivi possono apprendere dall’esempio.”

“Quella è paura, non coscienza.”

“Vi ricordo che tra poco Stryker attaccherà.” li richiamò Raven.

Charles annuì e poi disse: “Proverò a chiamare alcuni simpatizzanti che sono nell’ONU, potrebbero ordinare a Stryker di fermare l’operazione.”

“Certo, prima riuniranno l’assemblea, poi ne discuteranno e poi prenderanno una decisione che forse sarà positiva per noi che, nel frattempo, saremo già morti.” commentò Erik.

Si udirono degli spari.

“È in anticipo!” esclamò Hank con disappunto e timore.

Erik fece sollevare in volo tutte le posate che si trovavano nella sala della colazione e si avvicinò a una delle finestre, pronto a dar battaglia. Virginia afferrò una brocca d’acqua e strinse il proprio accendino: per difendersi era disposta a combattere.

Si continuavano a sentire spari e grida, ma nulla colpiva l’edificio. Scostarono una tenda e videro che i soldati di Stryker stavano combattendo contro gente all’esterno. Osservando meglio, si accorsero che Kourosh e altri uomini del paese avevano imbracciato armi da fuoco e lame e stavano lottando. I mutanti ne furono stupiti, Charles guardò nelle loro menti e spiegò: “Hanno saputo che eravamo in pericolo. Hanno creduto che Stryker fosse parte delle forze oscure di cui Erik ha parlato ieri sera e hanno deciso di combattere. Dobbiamo fermarli.”

“No.” ribatté Magneto “Non starò qui ad aspettare che tu abbia un’idea. Io so esattamente ciò che dev’essere fatto: combattere.”

Non lasciò il tempo di dire altro, mandò in frantumi la finestra, facendola trapassare dalle posate e poi si unì alla lotta, facendo volare rapidamente i coltelli da un corpo all’altro e procurandosi anche altre armi, tra quelle che poteva trovare sul campo.

Virginia mosse un paio di passi per raggiungerlo. Charles usò i propri poteri per trattenerla, ma lei disse: “Quegli uomini stanno rischiando la vita per noi. Il minimo ch’io possa fare è cercare di proteggerli e rischiare almeno quanto loro.”

Il Professor X decise di lasciarla fare.

Kourosh e i suoi compagni non erano guerrieri, ma la loro volontà era parecchia e furono galvanizzati nel vedere combattere al loro fianco quelli che consideravano Yazata. La grinta di quegli umani e i poteri dei due mutanti bastarono per sterminare in pochi minuti tutti i soldati o quasi e costringere Stryker a chiamare un elicottero per prelevare lui e i pochi superstiti che resistevano.

Erik provò a fermare l’elicottero che, purtroppo, era costruito in polimeri privi di metallo.

Kourosh, pur ferito, era felicissimo ed entusiasta e si mise ad intonare un inno gioioso, assieme ai  suoi compagni.

Magneto e Virginia furono coinvolti in quei festeggiamenti. Charles, Raven e Hank osservavano da dentro l’albergo, confusi e non avendo ben chiaro come comportarsi.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Lo scontro a fuoco aveva destato preoccupazione nei civili e allarmato le forze dell’ordine che giunsero sul posto quando ormai la situazione si era risolta. I poliziotti si convinsero piuttosto facilmente (anche grazie all’intervento di Xavier e dei suoi poteri) che si era trattato di un gruppo di guerriglieri ribelli che erano stati prontamente affrontati da onesti cittadini.

In questo modo non si creò troppa confusione e curiosità attorno a quei fatti, poiché da quelle parti e in quel periodo gli scontri tra gruppi antigovernativi e civili o esercito erano piuttosto all’ordine del giorno.

Ancora una volta Kourosh coinvolse tutti quanti nei suoi festeggiamenti e andò via così più di metà della giornata.

Charles era piuttosto preoccupato e avrebbe voluto allontanarsi da lì alla svelta, prima che Stryker potesse tornare con ulteriori forze. Lui, Raven e Hank avrebbero potuto facilmente raggiungere il loro aereo e lasciare rapidamente la città, non solo grazie alle sue capacità persuasive, ma anche perché il loro non prendere parte alla battaglia aveva un poco irritato Kourosh e i suoi che quindi non davano loro grandi attenzioni. La ragione per cui non erano già ripartiti era perché Charles voleva ancora tentare di convincere Erik a seguirlo: forse il pericolo appena corso lo avrebbe persuaso a rimanere per un po’ di tempo tranquillo in un posto sicuro.

Attorno alle diciotto, i mutanti erano riusciti ad ottenere almeno un paio d’ore di calma e solitudine da Kourosh che assieme ai suoi si era allontanato per organizzare chissà cosa per la serata.

Tutti e cinque si erano seduti in tranquillità, almeno apparente, nel salottino della stanza d’albergo, in cui erano ancora i benvenuti.

“Una giornata veramente intensa, vero?” chiese Charles, dopo alcuni minuti di silenzio, per rompere il ghiaccio.

“Ho passato di peggio.” replicò Erik, serafico.

Calò di nuovo il silenzio, questa volta fu Hank a dire: “Non mi aspettavo che Stryker attaccasse in pieno giorno, in mezzo alla gente … mi sarei aspettato una trappola o qualcosa del genere. Si è esposto molto.”

“Voleva costringerci ad usare i nostri poteri per additarci ancora una volta come pericolosi nemici.” spiegò Charles.

“Beh, se lo scopo era spingerci a mostrarci, Magneto e la sua amica lo hanno accontentato.” Raven commentò piuttosto acidamente.

“Per fortuna non ha trovato il pubblico adatto.” replicò Virginia.

“Dimmi, Charles, come hai intenzione di proteggere i nostri fratelli mutanti dalla follia di Stryker?” Erik volle provocare.

“Li cercherò tramite Cerebro e li porterò nella mia scuola, dove saranno protetti.”

“Tutti i mutanti in un unico luogo … tu la chiami scuola, fino a trent’anni fa si diceva ghetto. Inoltre, se non volessero venire? Se volessero una vita in mezzo agli altri?”

“Con calma, un mattone alla volta, Roma non è stata costruita in un giorno.”

Si sentì bussare.

“Aspettiamo qualcuno?” domandò Hank, preoccupato.

“No.” rispose Erik, alzandosi in piedi “Sarà Kourosh o uno dei suoi.”

L’uomo andò alla porta e l’aprì. Si stupì nel trovarsi davanti tre occidentali: un signore distinto che poteva avere quasi sessant’anni, uno che aveva superato la trentina e l’ultimo era appena maggiorenne.

Erik pensò immediatamente a un nuovo attacco e si preparò a combattere, ma comunque chiese: “Chi siete?”

L’uomo più anziano, che aveva occhi piccoli e gran baffi brizzolati, con aria di sufficienza rispose: “Sono il dottor Balletti, sono venuto per prelevare mia figlia, quindi la esorto a non intromettersi.”

Erik rimase perplesso e non reagì per lo stupore.

Virginia si alzò in piedi, un poco spaventata, abbastanza agitata, chiese: “Papà, che cosa ci fate qui? Come mi avete trovata?”

“Che cosa ci facciamo?!” esclamò il padre, entrando nella stanza e passando davanti a Erik “La mia unica figlia femmina, in un periodo in cui è piuttosto stressata e instabile, si aggira da sola per il medio oriente: è sano e giusto essere preoccupato.”

“Mi avevi dato il permesso per viaggiare.”

“Sì, ma in alberghi dalle tre stelle in su e chiamando minimo due volte al giorno, erano questi gli accordi e tu dopo una settimana hai smesso di dare notizie.” il tono dell’uomo era molto duro e severo “Tua madre era disperata e piangeva pensando a chissà quali tragedie. Ho allertato tutti gli ambasciatori della zona. Sei nei guai. Un comportamento così irresponsabile non è tollerato in casa mia.”

Erik, infastidito da quell’aggressività, cercò di prendere le difese dell’amica: “Signore, concordo che Virginia avrebbe dovuto darvi notizie, ma come può vedere è al sicuro e in compagnia e …”

“Lei non si immischi.” lo interruppe l’uomo, scoccandogli un’occhiataccia, poi tornò a rivolgersi alla figlia: “Effettivamente non mi aspettavo di trovarti con dei compagni di viaggio: Cesare non ce ne aveva fatto cenno.”

“Cesare? È stato lui a chiamarvi?”

“Sì, per fortuna. Ci ha riferito di averti vista a Bisotun, siamo venuti in queste zone e poi individuarti non è stato un problema. Comunque, il fatto che tu non abbia presentato i tuoi amici a Cesare mi induce a pensare che i tuoi rapporti con loro non siano esattamente leciti.”

“Padre, non dite sciocchezze. Non li ho presentati perché credevo di avere qualche possibilità in più di vedere gli scavi archeologici, se fossi andata sola.”

“Non cercare di raddolcirmi usando il voi che non funziona. Ora raccogli le tue cose e vieni a casa con noi.”

Erik si intromise: “Aspettate! Non è necessario che lei se ne vada. Vi posso garantire che è al sicuro e che …”

“Erik, lascia stare.” lo fermò Virginia “Non è necessario, va bene così. Ho fatto il mio viaggio e ora è giusto ch’io torni a casa.”

“Ma hai visto meno della metà delle cose che volevi vedere!” protestò l’uomo che non capiva e non tollerava l’arrendevolezza dell’amica.

“Me le farò bastare e poi, in futuro, chissà … Vado a preparare i bagagli.”

Erik era confuso: era certo che la ragazza non volesse tornare dalla sua famiglia, eppure lo stava facendo, senza protestare. Perché?

“Padre” chiese timidamente Virginia “Erik può aiutarmi con la valigia?”

“Non ho bisogno del permesso di nessuno.” protestò Magneto.

Uno dei due giovani che accompagnavano il padre della ragazza, quello sui trent’anni, disse quasi minaccioso: “Tu non sei della famiglia e non hai diritto di avvicinarti a mia sorella!”

“Calmati, Vincenzo.” lo ammonì il padre “Per questa volta chiuderemo un occhio. Tanto sarà l’ultima volta che si vedranno.”

Virginia si ritirò nella camera in cui aveva dormito nelle ultime notti per infilare nello zaino le poche cose che aveva tirato fuori. Erik la seguì, si premurò di chiudere la porta alle loro spalle e le chiese: “Perché lo fai?”

“È quel che devo fare.” rispose lei, con amarezza, senza neppure guardarlo.

“Perché?”

“Sono la mia famiglia, sanno cos’è meglio e poi credo che questa faccenda abbia causato loro dei problemi e non voglio peggiorare le cose.”

Erik le afferrò le spalle e la costrinse a voltarsi e a guardarlo dritto negli occhi; le domandò: “Ti stai sacrificando, in pratica?”

“No. Avevo preso una pausa per rilassarmi. Mi sono svagata, mi sono divertita, ora sto meglio e torno alla mia vita.”

“Non ne sei entusiasta.”

“A volte bisogna sapersi accontentare. Anzi, la ricerca della felicità è la vera causa dell’infelicità  umana. Tutti noi vogliamo cambiare ciò che abbiamo, ottenere di più, inseguiamo chimere ed è questo nostro desiderare che ci rende infelici. Io ho avuto le mie velleità, è stato piacevole fingere per un po’ di essere chi non sono, ma adesso è giusto ch’io torni in me. Non ne sarò triste.”

“L’ultima volta che hai pensato alla vita che ti aspetta, ti ho trovata che ti pugnalavi una mano, mi riesce difficile credere che sarai contenta.”

“Ti prego, non complicare le cose.”

“Tu hai paura, è evidente. Non devi per forza tornare da loro, puoi restare con me e sarai protetta da qualsiasi cosa tu temi.”

“No, Erik, io non ho paura. La mia è solo amara consapevolezza per un destino già deciso che in generale non mi dispiace, è solo che vorrei cambiare qualche dettaglio, ma non posso. Va bene così. Se provassi a evitarlo, mi metterei contro la mia famiglia e non lo voglio. Non sempre mi capiscono, ma mi vogliono bene e io ne voglio a loro e non vorrei mai deluderli, tanto meno combatterli.”

“Proprio perché è la tua famiglia dovrebbero rispettare le tue scelte.”

“Se io non sono perfettamente felice (e sfido chiunque a trovare una persona che realmente lo sia) non è per colpa loro, ma per colpa mia che ho ancora troppa vanità e arroganza.”

“Non mi sembra affatto.”

“Erik, io ti ringrazio infinitamente per tutto quello che hai fatto per me. Queste ultime settimane sono state meravigliose e credo che per molto tempo le ricorderò come il periodo più bello della mia vita, perché è naturale apprezzare maggiormente ciò che non rientra nella routine. Averti conosciuto è una gioia che mi scalderà sempre, ma ora dobbiamo dirci addio. Il mio posto  è là.”

Erik capiva che non poteva far cambiare idea alla ragazza e ciò lo innervosiva parecchio. La strinse forte a sé e avvicinò il proprio volto al suo per baciarla.

Virginia si spostò di scatto, aveva gli occhi lucidi e con tono che mal celava sofferenza disse: “Credimi, vorrei tanto, ma non posso. Mio padre e i miei fratelli sono già abbastanza irritati con me. Se ci baciassimo, loro lo scoprirebbero e si arrabbierebbero ancor di più. Mi piacerebbe, ma non posso e sarebbe una debolezza imperdonabile.”

La ragazza prese il proprio zaino e uscì dalla stanza. Erik rimase dentro e la seguì con lo sguardo, mentre raggiungeva i suoi parenti e usciva dalla camera d’albergo, usciva dalla sua vita.

Charles, Raven e Hank erano rimasti tutto il tempo ad osservare in silenzio. Xavier guidò la sedia a rotelle per raggiungere l’amico e gli disse: “Ci sei rimasto molto male, vero? Che cos’è accaduto?”

“Dimmelo tu. Non mi ha detto molto, ma tu avrai sicuramente sbirciato nelle loro menti e saprai qualcosa.”

“No, purtroppo. Credo fossero tutti e tre mutanti e almeno uno di loro era un telepate che mi ha impedito di avvicinarmi ai loro pensieri. Con Cerebro potrei scoprire qualcosa, ma da solo no.”

“Pazienza, vorrà dire che indagherò alla vecchia maniera, come ho sempre fatto d’altra parte.”

“Aspetta, Erik, che cos’hai intenzione di fare?”

“Scoprire che cosa non va in quella famiglia e aiutare un’amica.”

“Non mi sembra il caso, visto che lei li ha seguiti spontaneamente.”

“Non c’è bisogno dei tuoi poteri per capire che lei avrebbe preferito restare qua. È evidente che si sente intrappolata, ha paura come se fosse ricattata. Voglio assicurarmi che lei sia realmente libera e che possa scegliere della sua vita. Non ti ho chiesto di aiutarmi, Charles, quindi lasciami fare.”

Charles sospirò e disse: “No, non mi hai chiesto nulla, ma vuoi imbarcarti in una questione troppo grande per lasciartela affrontare da solo.”

“Punto primo: la mia incolumità non è affar tuo. Punto secondo: me la sono cavata benissimo per anni da solo.”

L’amico si intromise: “Non hai mai dovuto affrontare da solo più mutanti in una sola volta.”

“Punto terzo” continuò l’altro seccamente “Ho anch’io i miei compagni e le mie risorse, se riterrò necessario ricorrere ad essi.”

Charles ed Erik si fissarono severamente in silenzio per oltre un minuto, come se cercassero di sopraffarsi con lo sguardo. Infine, senza distogliere gli occhi e senza perdere il cipiglio arcigno, Xavier domandò: “Ci tieni veramente molto a quella ragazza?”

Etik si sentì leggermente a disagio, ma non lo mostrò. Effettivamente si stupiva lui stesso di prendersi tanto a cuore la sorte di Virginia. La sua era stata una reazione improvvisa e quasi inaspettata: non era rimasto turbato dall’arrivo imprevisto del padre di lei, ma dai suoi modi di fare, dal suo autoritarismo e di come lei aveva accettato tutto ciò.

Beh, in effetti, a ben pensare, era normale che una figlia, soprattutto se femmina, sottostasse all’autorità paterna; c’erano, in quegli anni, movimenti femministi che rivendicavano indipendenza per le donne, ma avevano contagiato un numero limitato di persone e c’erano ancora moltissime donne che non riuscivano ad immaginarsi svincolate dal loro ruolo nel nucleo famigliare.

Benché dunque la situazione di Virginia si potesse considerare normale, Erik non la trovava comunque giusta. Non capiva però esattamente se fosse preoccupato per lei o se fosse arrabbiato per non averla più vicina o forse era stizzito per entrambe le cose.

Tutti questi pensieri attraversarono la mente di Erik in un lampo, continuando a fissare l’amico gli rispose: “Ogni mutante è importante per me. Se come altri provenisse da una famiglia di semplici umani, né io né te esiteremmo a soccorrerla. Il fatto che anche i suoi parenti siano mutanti dovrebbe rassicurarci e farci pensare che sia al sicuro e, probabilmente, è così. Al sicuro, però, non significa che sia felice e io … beh voglia accertarmi che lo sia. L’ho conosciuta in queste settimane e ho visto la sua sofferenza e come la voglia di vivere fatichi ad emergere tra tutto ciò che ha dentro di sé. La sua famiglia non l’ha aiutata e forse, anzi, è la causa di questo malessere. Io voglio aiutarla.”

Raven osservò: “Lei, però, non ti ha affatto chiesto aiuto, non ti ha chiesto di intrometterti nella sua vita. Vuole stare con loro, perché complicare le cose?”

“Poiché ci sono situazioni talmente opprimenti e tristi che ci rendono incapaci di vedere vie di uscita e dunque ci rassegniamo e siamo incapaci di chiedere soccorso. In questi casi è bello che ci sia un amico che ci offra un aiuto non richiesto ma necessario.”

Charles sorrise nel sentire quelle parole: non si era sbagliato nel percepire del bene in Erik e nell’avere ancora speranza per lui; trovò anche buffo il fatto che lui vedeva il proprio amico esattamente nella stessa situazione da lui appena descritta: Xavier era convinto che anche Erik fosse tra coloro che non si rendono conto di avere bisogno di soccorso.

Charles disse: “Sono tra le parole più sagge che ti abbia mai sentito pronunciare. Per questo voglio aiutarti ad aiutarla.”

“Non è necessario, me la posso cavare benissimo da solo.”

“Non essere cocciuto, la nostra presenza ti faciliterà parecchio e, probabilmente, ti salverà la vita. Torniamo alla scuola, là userò Cerebro per individuarla e ottenere tutte le informazioni necessarie.”

“Non mi va di perdere tempo. Sono riuscito a ritrovare ex gerarchi nazisti che si erano nascosti in capo al mondo, riuscirò a trovare lei.”

“Allora dividiamoci. Dimmi dove vuoi iniziare le tue ricerche e ti ci porteremo, dopo noi andremo da Cerebro e poi vedremo di confrontare le nostre informazioni e decideremo il da farsi. Siamo d’accordo.”

Xavier tese la mano destra in avanti. Erik fu indeciso per qualche istante, infine la strinse e disse: “Grazie, Charles.”

“Di nulla, vecchio amico.”

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Erik aveva annunciato a Kourosh che la presenza sua e dei suoi compagni era richiesta altrove e che, dunque, il giorno successivo avrebbero lasciato il villaggio. Il mercante ne fu dispiaciuto, ma non protestò e si limitò a trasformare la cena che aveva organizzato per quella sera in una cerimonia di addio. Il mattino seguente, l’aereo di Xavier finalmente decollò e si allontanò dall’Iran; fece una breve sosta a Torino, dove Erik scese, e poi ripartì verso l’America.

Erik si trovò subito una camera d’albergo da utilizzare come base operativa. Come prima cosa, informò della propria ubicazione alcuni dei suoi seguaci, in modo che si tenessero pronti a raggiungerlo se ne avessero ricevuto l’ordine. Dopo di ciò, si procurò un elenco del telefono per cercare l’indirizzo di Virginia. Purtroppo, però, non conosceva il nome di suo padre e quindi gli fu impossibile capire quale dei ventitré Balletti presenti nell’elenco, dieci dei quali preceduti dal titolo dottore, fosse quello giusto. Si stava apprestando a segnarsi sulla mappa tutte le possibili abitazioni, che aveva intenzione di controllare una per una, quando gli venne in mente un dettaglio: Virginia gli aveva raccontato che suo padre era un professore universitario e che l’aveva fatta tenere d’occhio da alcuni colleghi, quando lei era andata a studiare a Venezia.

Erik sperò che l’uomo insegnasse nell’Università di Torino e quindi decise di cercarlo colà, ma ormai doveva aspettare il giorno successivo. Era interessato a capire meglio la vita di Virginia e riteneva che parlare col padre fosse l’idea migliore per ottenere quelle informazioni e, chissà, forse sarebbe riuscito a ragionarci e a fargli capire che la ragazza aveva bisogno di maggiore serenità. Ad ogni modo, che l’uomo fosse stato o meno collaborativo, lui avrebbe tratto informazioni utili per capire come approcciarsi a Virginia e convincerla a fare ciò che era meglio per se stessa.

Il giorno dopo si presentò in Università e perse tutta la mattina tra il cercare la segreteria generale che gli diede il nome completo del professore e lo indirizzò alla Facoltà di Lettere e Filosofia dove avrebbe trovato il suo orario e altre informazioni; una volta là cercò il suo studio, ma lo trovò vuoto; infine, alla portineria, gli comunicarono che il professor Balletti non aveva lezione quel giorno e che lo avrebbe trovato l’indomani, attorno alle undici.

Erik era piuttosto seccato di aver girato come una trottola tutta la mattina, senza ottenere granché. Pensò di andare direttamente a casa dell’uomo, visto che ormai il nome lo sapeva e poteva trovarlo subito nell’elenco, però si disse anche che il presentarsi alla sua porta avrebbe potuto sembrare un po’ aggressivo e quindi compromettere il suo intento che prevedeva di cominciare come pacifico. Attese allora il mattino seguente e si ripresentò in Facoltà ma davanti l’edificio trovò ad attenderlo i due giovani che aveva intuito essere fratelli di Virginia e il tale che aveva visto a Bisotun. Capì immediatamente che la faccenda non si sarebbe risolta amichevolmente, ma prima che potesse avere il tempo di agire, sentì la terra tremargli sotto i piedi e cadde, un istante dopo tutti e tre i giovani gli furono addosso e un altro attimo dopo si ritrovavano su di un tetto di un grattacielo. Erik intuì che uno di loro era un teleporta.

Si rialzò in piedi e, con aria per nulla turbata, domandò: “Buongiorno, come mai una simile accoglienza?”

“Non sei il benvenuto.” spiegò quello sulla trentina che doveva chiamarsi Vincenzo “Devi stare lontano dalla nostra famiglia, soprattutto da Virginia.”

“È ammirevole e giusto che vogliate proteggere vostra sorella e vi assicuro che la mia presenza non la metterà in pericolo.”

“A noi risulta che, nei giorni in tua compagnia, sia rimasta coinvolta in uno scontro a fuoco con guerriglieri, sia stata chiusa in un laboratorio dov’è stata esaminata e che avete combattuto contro una non meglio definita milizia privata, poche ore prima che la recuperassimo.”

“È vero ma, date le circostanze, si sarebbe ritrovata coinvolta in ciò anche senza di me e, anzi, penso di avere fatto molto per proteggerla durante tali battaglie e dal laboratorio lo tratta in salvo  io. Credo, dunque, che mi dovreste ringraziare.”

“Sa manipolare l’acqua e il fuoco, non ha bisogno di te.” disse l’uomo dello scavo archeologico “Inoltre ci siamo noi a proteggerla.”

Il palazzo cominciò a tremare. Vincenzo guardò quello che aveva appena parlato e gli disse: “Non ancora, Cesare, aspetta. Inoltre evita di scuotere tutto l’edificio.”

Erik, sempre con molta calma, disse: “Ascoltate, io non voglio fare nulla di losco e proprio per dimostrare le mie buone intenzioni ho deciso di cercare vostro padre per chiarire e parlargli, ma questa situazione mi costringe ad essere meno diplomatico.”

“Nostro padre non ha intenzione di parlare con te. Lo hanno informato che lo hai cercato e dunque ha mandato me, mio fratello e mio cognato per persuaderti ad andartene. Ora, se ti ritieni convinto ad andartene, bene, altrimenti dovremo fartene passare la voglia. Tutto chiaro?”

Erik rise a bocca chiusa, scosse leggermente il capo e disse: “Siete veramente carini nel tentare di incutere paura, ma ve la siete presa con l’uomo sbagliato: io non accetto che mi si parli in un simile modo.”

Per sottolineare tale concetto, Erik fece sollevare in volo tre delle freccette che si era portato dietro per precauzione e le scagliò contro quegli uomini, ma non in punti vitali: se avesse ucciso qualcuno si sarebbe bruciato qualsiasi possibilità di dialogo, dunque era meglio limitarsi a una dimostrazione di forza. Non che si facesse scrupoli ad uccidere ora, ovviamente, semplicemente non aveva chiaro che cosa nascondessero o meno, se fossero realmente pericolosi o solamente tradizionalisti. Virginia aveva detto di volere loro bene e quindi non voleva fare qualcosa contro di loro, almeno finché non avesse avuto la certezza che fosse la cosa giusta da fare.

I tre, per tutta risposta, passato il primo momento di stupore, contrattaccarono ferocemente. Cesare stese una mano in avanti e d’improvviso Erik si sentì tremare da capo a piedi: non erano brividi, era un totale scuotimento di ogni sua cellula, non gli faceva male ma lo scombussolava totalmente, lo rallentava parecchio, nei gesti e nei pensieri, non capiva che tipo di potere fosse.

Nel mentre, la mano di Vincenzo aveva iniziato a crepitare: stava accumulando elettricità statica presente nell’aria, quando ne ebbe accumulata a sufficienza la scaricò contro Erik che ne risentì abbastanza.

Erik si sentiva in difficoltà, ma non si demoralizzava. Aveva trascorso dieci anni in prigione, senza ora d’aria, senza mai incontrare nessuno, avendo solo dei libri a disposizione di tanto in tanto. Dieci anni, centoventi mesi, tremilaseicentocinquanta giorni, ottantasettemilaseicento ore, cinque milioni e duecentocinquantaseimila minuti. Tutto quel tempo solo e indisturbato lo aveva sfruttato per esplorare più a fondo i propri poteri e aveva scoperto qualcosa di molto interessante: lui non era semplicemente una calamita, e questo in parte lo aveva capito quando si era accorto di poter volare, lui influenzava i campi elettromagnetici e ciò significava che era assai efficace sui metalli, ma che in minima parte poteva agire anche sugli altri oggetti e sui flussi elettromagnetici che erano nell’aria. Era stato molto difficile imparare a percepire livelli così sottili e lievi di energia e a gestirli, aveva impiegato tanto tempo per riuscire ad ottenere qualche risultato; successivamente aveva iniziato ad esercitarsi anche sui flussi non generati da oggetti, ma che attraversavano l’aria, questo tipo di esercizio aveva richiesto anni, una concentrazione profonda, molta fatica e una forte volontà. Era riuscito così a creare campi di forza che fungessero come scudo, dapprima piccoli e poi grandi; stava iniziando a cercare di applicare tale metodo per usare i campi di forza per attaccare e quindi forse fuggire dal pentagono, quando poi era stato liberato da Charles e il suo team.

In quell’ultimo anno non aveva avuto molte occasioni per continuare ad esercitarsi in quelle arti, si era concentrato molto su altre questioni e aveva accantonato gli esercizi. Erik in quel momento era consapevole che ricorrere ai campi elettromagnetici per proteggersi. Era un po’ arrugginito e la confusione mentale causata dal mutante gli rendeva più difficile il concentrarsi, ma l’adrenalina scatenata anche dal dolore delle scariche elettriche, gli permise di ritrovare la lucidità necessaria per formare uno scudo col campo elettromagnetico. Vi riuscì e le scosse e le ondulazioni cessarono di colpo. Erik, soddisfatto, guardò gli avversari con aria di sfida.

Il più giovane, quello che non era ancora intervenuto, scomparve in un lampo rosso e un istante dopo si materializzò, pugnale in mano, alle spalle di Erik e già stava per trafiggerlo ad un fianco. Magneto, tuttavia, aveva ottimi riflessi e, pur non potendo evitare il colpo, riuscì spostarsi quel tanto che bastava affinché la ferita non gli fosse letale. Immediatamente si impossessò del coltello e lo accartocciò. Si accorse di stare perdendo parecchio sangue per cui decise di non perdere tempo: in men che non si dica staccò una grondaia del palazzo e la usò per legare tra di loro i tre aggressori, poi si alzò in volo e si allontanò.

Erik rientrò in albergo rapidamente, usò la grappa del frigobar per disinfettarsi la ferita, poi prese ago e filo e, guidando il primo con la mente, si ricucì i lembi del taglio. Intanto, pensava al da farsi; l’aggressività dei parenti di Virginia lo insospettivano parecchio e lo rendeva convinto che nascondessero qualcosa. Come poteva agire, adesso?

Dopo aver pensato e ripensato, con una certa riluttanza decise di telefonare a Charles per sapere se avesse scoperto qualcosa.

“Pronto.”

“Hank, sono Erik. Fammi parlare con Charles.”

Hank avrebbe voluto rimproverare all’altro la mancanza di buone maniere, ma poi si disse che effettivamente preferiva non dover scambiare formalità con quell’uomo, quindi soddisfò la richiesta.

“Erik, per fortuna hai chiamato tu.” disse Xavier, appena presa la cornetta “Non sapevo come contattarti. Stai bene?”

“Ho avuto giorni migliori, ma anche peggiori, quindi non mi lamento.”

“Non fare lo spiritoso, ho scoperto alcune cose e devo metterti in guardia.”

“Se le tue informazioni riguardavano il fatto che l’iperprotettività degli Italiani e il loro attaccamento all’onore della famiglia non è solo uno stereotipo dei film, allora arrivi in ritardo.”

“Magari fosse solo quello! Ma che ti è successo?”

“Ho avuto un breve ma intenso scontro con i fratelli di Virginia e un altro che non ricordo come sia imparentato con loro. Hanno poteri interessanti e piuttosto forti, ma non abbastanza per me. Dimmi, tu cos’hai saputo?”

“Nulla di preciso né di buono. Quello che abbiamo visto non dev’essere l’unico telepate che vive da quelle parti: si schermano piuttosto efficacemente. C’è un discreto numero di mutanti da quelle parti e anche persone che sembrano dotate di poteri, benché non di origine genetica. Sembra che abbiano formato una sorta di gruppo segreto, ma capire i loro scopi mi è impossibile da qui. Ho capito solamente che cooperano assieme mutanti, umani e quei dotati indefiniti e che si danno come nome quello di Sacrae Sophiae Societas.”

“Ah, allora avevo ragione a pensare che ci fosse qualcosa di grosso e oscuro, dietro a questa faccenda.”

“Oscuro non possiamo dirlo, ma di certo non agiscono apertamente. Erik, non sappiamo se e quanto possano essere pericolosi, resta dove sei e aspettaci, arriveremo il prima possibile.”

Erik lasciò detto dove potevano trovarlo, poi riagganciò. Rifletté per qualche tempo: la ferita era meno grave di quello che aveva pensato inizialmente e non gli andava che Charles si prendesse il merito di qualsiasi cosa fosse accaduta da quel momento in avanti. Decise che non sarebbe rimasto ad aspettare e che avrebbe continuato a svolgere la sua indagine personale.

Contattò alcuni dei suoi seguaci e disse loro di raggiungerlo a Torino il prima possibile: se la gente che voleva fronteggiare aveva poteri, allora anche lui voleva una squadra di mutanti a sostenerlo e non si sarebbe accontentato o fidato di quella eventualmente portata da Charles.

Individuò sulla mappa della città la casa di Virginia e decise di presentarsi lì per l’ora di cena. Prima passò da un ferramenta per procurarsi delle mezzelune di metallo. Arrivò all’abitazione, era una piccola villetta urbana su due piani, circondata da un cortiletto. Con il proprio potere aprì il cancello, poi raggiunse la porta e bussò; dopo un paio di minuti, Vincenzo gli aprì e, vedendolo, esclamò: “Ancora tu?! Non sei il benvenuto!”

Erik non si stupì di trovarselo davanti: per il teleporta non doveva certo essere stato un problema farli uscire dal groviglio in cui li aveva bloccati. Per il momento, si limitò a spingerlo via, entrò nell’atrio e trovò subito sulla sinistra la sala da pranzo, dove la famiglia era riunita per la cena, Virginia era però assente. Vedendolo avanzare così determinato e quasi minaccioso, Vincenzo e il fratello minore fecero per avventarsi contro di lui, ma Erik fece volare parte delle mezzelune che andarono a colpire i polsi e le caviglie dei due aggressori e poi si conficcarono nel muro, bloccandoli alla parete.

Magneto guardò il capofamiglia e gli disse: “Io non voglio uno scontro, voglio risposte. Innanzitutto, dov’è Virginia?”

L’interpellato, rimasto seduto tranquillamente a tavola, rispose: “È a cena col suo fidanzato.”

Erik si stupì e aggrottò la fronte.

“Non ti ha detto di averne uno?” incalzò il padre, quasi schernendolo.

“Non ha importanza. Io voglio sapere chi siete esattamente voi: so della vostra Sacrae Sofiae Societas.”

Questa volta fu il Balletti a sorprendersi e il suo volto si irrigidì, tacque per alcuni momenti, poi si rilassò e disse: “Nostra? No, non è nostra, noi siamo suoi. So chi sei, Erik Lehnsherr, e so chi è anche quell’altro mutante spuntato fuori ultimamente, Xavier. Avete fatto rumore e abbiamo sentito parlare anche noi della tua aggressività scoordinata e del suo buonismo zuccheroso da hippie. È divertente osservarvi: siete come bambini che giocano a fare i grandi. È tanto ciò che non sapete e agite ciecamente, privi di consapevolezza. Noi, e Virginia anche, apparteniamo a qualcosa di molto più antico e superiore a voi. Umani, mutanti, dotati in altre maniere … per noi non c’è differenza alcuna, l’unica cosa che traccia il confine tra esseri superiori e essere inferiori è la saggezza. Noi siamo i discendenti di un culto misterico relativo a Giano Bifronte. Noi conosciamo l’importanza dell’equilibrio, della lotta continua tra il bene e il male. Eraclito aveva ragione: la guerra è madre di tutte le cose, ma nel senso in cui l’apparente scontro tra il bene e il male è ciò che genera il progresso. Due forze opposte ma non in contrasto, entrambe necessarie per la vita. Noi preserviamo la cultura e manteniamo l’equilibrio, impedendo a ciascuna delle due forze di prevalere troppo sull’altra. Generalmente dobbiamo intervenire a favore del bene, poiché il male se la cava egregiamente anche da solo. Siamo una società segreta che da secoli agisce per evitare gli eccessi e non ci interessa il potere. La nostra unità è data non dalla razza, ma dalla consapevolezza. Mutanti e umani agiscono assieme da oltre duemila anni, ma ciò è possibile solo grazie alla nostra saggezza. Questo è ciò che posso rivelarti di noi. Altro non hai da sapere, dunque vattene.”

Erik era rimasto basito: tutte quelle informazioni e quella tranquillità lo avevano spiazzato, non si aspettava nulla del genere e ora non sapeva esattamente come reagire.

Si limitò a ringraziare rapidamente e ad uscire, liberando gli altri due e recuperando le sue mezzelune di metallo. Si aggirò, confuso, per la via per circa mezzora e alla fine decise di non allontanarsi ancora, cercò un angolo dove appostarsi e aspettò che Virginia rientrasse in casa. La ragazza arrivò attorno alle ventidue e trenta, accompagnata da Cesare che la salutò e se ne andò. Erik se ne meravigliò: a Bisotun lei non era stata felice di incontrarlo. L’aggiunse alla lista di domande da porre, si concentrò sulla giovane per cercare un qualche elemento metallico in ciò che indossava per poterla seguire a distanza anche dentro casa e capire dove fosse la sua camera. Quando ritenne di averla individuata, o per lo meno era certo che la ragazza si trovasse ferma nello stesso posto, si alzò in volo e raggiunse la stanza; diede un’occhiata per essere certo di non essersi sbagliato, poi usò i suoi poteri per aprire la finestra e infine entrò.

Virginia aveva lanciato un urlo, quando aveva sentito la finestra aprirsi d’improvviso e da sola, ma poi aveva visto Erik e si era un poco tranquillizzata. Andrò a chiudere i vetri, dicendo piuttosto severamente: “Non farlo mai più! La prossima volta bussa.”

Intanto, dal corridoio, la voce di uno dei fratelli chiese: “Che succede? Tutto bene?”

“Sì, grazie. È stato un moscone che mi è volato all’improvviso in faccia, non ti preoccupare!” inventò la ragazza, poi si rivolse all’amico e sottovoce gli chiese: “Cosa ci fai qui? Come mi hai trovata?”

“Ho le mie risorse. Comunque ho già visto i tuoi parenti due volte, oggi, non ti hanno detto nulla in proposito?”

“No.” rispose lei, tristemente “Ti hanno fatto del male?”

“Ci hanno provato. Ok, mi hanno aperto un fianco, ma nulla di ché, alla fine hanno capito che era meglio darmi le risposte che volevo.”

“E cosa volevi sapere?”

“Che cosa accade. Tuo padre mi ha raccontato a grandi linee della Sacrae Sophiae Societas. Ne fai parte anche tu?”

“Sì. È una società di tipo tribale, sono le stesse famiglie che da secoli e secoli si tramandano tradizioni, informazioni e obbiettivi e, di tanto intanto, si aggrega qualcuno di nuovo. Generalmente l’appartenenza attiva alla società è tramandata in linea maschile e le donne servono per politiche matrimoniali per conservare la segretezza, dare solidità alle famiglie, oppure per legittimare l’ingresso di nuovi membri. Per gli uomini è obbligatorio rendersi utile alla società in maniera più o meno attiva e solitamente lo fanno tutti volentieri; per le donne è, diciamo, facoltativo prendere parte alle iniziative, però facilmente vengono coinvolte se dimostrano talenti o attitudini particolari. Ricordi che ti parlai di una sorta di associazione culturale in cui ero entrata nel periodo dell’università? Ecco, di fatto si tratta di questo: la sezione veneziana della società. Mio padre aveva acconsentito ch’io andassi a studiare così lontano proprio perché là aveva alleati e sapeva che la società mi avrebbe coinvolta e protetta.”

“Sei stata costretta, dunque, ad associarti e ora sei obbligata a restare.”

“No. Potrei decidere di rimanere ai margini, ma in realtà questo ambiente mi piace. Non condivido sempre tutte le loro decisioni o strategie, ma mi rendo conto che è una mancanza mia, sono io che ancora non sono pronta a capire.”

“Avevi però detto che c’era stata una brutta lite tra te e loro e che per questo avevi deciso di viaggiare: per allontanarti!”

“Per prendere una pausa, è diverso. Avevo appena scoperto che sono stati membri della società a fomentare la Rosa dei venti, un gruppo segreto neofascista, e poi lo hanno denunciato, lo hanno fatto scoprire alle forze dell’ordine. È giusto contrastare certe ideologie, ma fingere di sostenerle solo per poter fare arrestare chi le propugna mi sembra meschino. Insomma, credo che molti degli uomini coinvolti, se isolati, non avrebbero mai mosso un dito, invece sono stati fatti incontrare, unire e cospirare per avere un motivo per farli arrestare. Anche l’istigazione a delinquere è un reato, giusto?”

“Sì, ma una persona onesta non si lascia tentare e se uno cede a una lusinga falsa, lo farebbe anche con una vera e allora è ben peggio.”

“Qualche anno fa, invece, hanno sventato il golpe ordito da Valerio Junio Borghese. Questa è una cosa buona, senza dubbio, però avrebbero potuto troncare la faccenda sul nascere, invece le hanno permesso di svilupparsi fino al momento in cui Borghese è uscito allo scoperto e allora lo hanno fatto cadere, prima che potesse prendere realmente il controllo di qualcosa. Gli hanno permesso di mostrarsi perché volevano che la gente fosse consapevole del pericolo del ritorno di una dittatura e, inoltre, credo volesse essere un monito anche per altri eventuali cospiratori.”

“È una buona strategia. Li hanno uccisi tutti questi delinquenti?”

“No, li hanno affidati alla giustizia.”

“Peccato, io li avrei uccisi per evitare vendette o altro.”

“Ecco, guardavi tanto con sospetto la Sacrae Sophiae Societas e adesso, invece, te ne scopri sostenitore.” scherzò Virginia.

“Se una cosa va bene per me, non è detto che debba esserlo anche per gli altri. Se a me piacessero le nocciole e a te no, non ti direi di mangiarle solo perché io le ritengo squisite.”

“È un paragone un po’ strano, ma va beh.”

“Mi assicuri, quindi, che tu sei felice qui?”

“Sì. È la mia vita e mi piace. Certo, a volte ho delle noie, oppure vorrei approfondire uno studio e invece devo fare altro, ma sono quelle piccole seccature che capitano sempre e comunque, per qualsiasi mestiere.”

“Lo fai anche per il tuo fidanzato?”

Virginia si meravigliò, poi sbuffò e chiese: “Te l’ha detto mio padre?”

“Sì. Ha detto che sei fidanzata, poi ti ho visto con quel tale degli scavi archeologici, è lui? Stai davvero con quel tale? Credevo non ti stesse simpatico.”

“No, avevo solo detto che in futuro, appunto, avrei avuto fin troppo a che fare con lui. Non è male, anche se tende un po’ troppo a voler controllare tutto e comandare.”

“Perché ci stai assieme, allora?”

“Te l’ho detto: nella società i matrimoni servono a suggellare alleanze, consolidare potere. Mio fratello ha sposato la sorella di Cesare e io sposerò lui.”

“Siete ancora ai matrimoni combinati?”

“L’amore romantico è un’invenzione che ha meno di due secoli. Le storie del passato ci illustrino ampiamente come l’amore appassionato porti il più delle volte sventura e sia follia. Prima di promettere in sposa qualcuno, i genitori si assicurino che tra i due ragazzi ci sia simpatia e una discreta intesa, insomma amicizia, ma la passione è completamente esclusa.”

“Devo dire che ora molte cose mi sono più chiare.” concluse Erik, un po’ deluso dal fatto che la sua idea di salvataggio si era rivelata del tutto inutile “Mi sono preoccupato per nulla, ma almeno ho visto Torino.”

L’uomo si voltò e tornò verso la finestra.

“Grazie” gli disse Virginia, nella cui voce si avvertiva commozione “Grazie per avermi cercata e scusami se le cose non sono come te le aspettavi.”

Erik scosse le spalle, si mise una mano in tasca, esitò, poi tirò fuori un bigliettino che aveva preparato nel pomeriggio; si voltò di nuovo verso la donna e glielo porse, dicendo: “Se mai avrai bisogno di aiuto … il primo numero è per contattare me, ci sono buone probabilità che non risponda io, ma comunque ci sarà qualcuno che mi riferirà o ti dirà come contattarmi in quel momento. L’altro è per telefonare a Charles.”

Virginia lo prese, sorrise amaramente e disse: “Dovrò nasconderlo, allora.”

L’uomo si voltò di nuovo e tornò verso la finestra.

“Erik …!” sussurrò ancora la giovane “ … no, nulla.”

L’uomo uscì volando. Virginia lo seguì con lo sguardo finché non si perdette nelle tenebre e poi richiuse la finestra.

 

 

Nota dell’Autrice

 

Un saluto e un ringraziamento calorosi a tutti i miei lettori! GRAZIE!!! ^_____^

 

Volevo precisare che per i poteri a cui Magneto ricorre in questo capitolo non sono presenti nei film, bensì nei fumetti e su wikipedia li trovate elencati assieme ad altri ancora.

 

A presto!!!

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Toc-toc. Toc-toc. Toc-toc.

Erik si svegliò, infastidito da quel bussare, borbottò: “Arrivo!”

Si alzò e infilò rapidamente la vestaglia da camera, ritenendo fosse il personale dell’albergo che volesse rifare la stanza, per cui gli avrebbe aperto giusto il tempo per dire di aspettare che si cambiasse. Lanciò un’occhiata all’orologio e vide che era quasi mezzogiorno. Aprì la porta e si stupì nel trovarsi davanti Charles, Raven ed Hank.

“Non potevate avvertire?” chiese Erik, ancora assonnato.

“Ci abbiamo provato” rispose Raven “Ma non hai risposto al telefono.”

“È colpa di Charles.” si giustificò l’altro.

“Mia?”

“Sì, mi tocca dormire con l’elmetto e non sento gli squilli.”

“Paranoico.” lo rimproverò Xavier, scherzosamente.

“Entrate.”

I tre entrarono nella stanza e cercarono di sistemare la sedia a rotelle da una parte e gli altri due di sedersi, mentre Erik prese i propri abiti e andò in bagno per cambiarsi.

Charles notò sulla scrivania un bicchiere usato e una bottiglia di rum a metà, insospettito domandò: “È successo qualcosa, ieri? Dopo che ti hanno accoltellato, intendo.”

“Sì. Ho ignorato il tuo ordine di rimanere qua in attesa e sono andato a casa sua.”

“E …?”

“Ho ottenuto informazioni interessanti. Te ne parlo quando esco dal bagno, se permetti.”

“Sì, scusa, fa con comodo.”

Erik si vestì, si unì agli altri e riferì tutto quello che aveva saputo sulla Sacrae Sophiae Societas. Charles ne rimase profondamente colpito, aveva ascoltato tutto con grande attenzione e, finito il racconto, rimase pensoso e ragionò: “Interessante, davvero interessante. Una società di umani e mutanti … vedi che ho ragione a sostenere che una convivenza pacifica è possibile?”

“Stiamo parlando di una piccola comunità, legata da ideali comuni e da una forte identità data da elementi culturali e religiosi, oserei dire: è naturale che simili condizioni favoriscano un cameratismo che supera le barriere razziali. Ciò non significa che lo stesso meccanismo sia applicabile in sistemi più vasti.”

“Da quando sei diventato un sociologo?” chiese Hank, ironico.

“Il ragionamento è giusto” intervenne Charles “Infatti il nostro obbiettivo è quello di far sì che l’identità delle persone non sia data dall’essere mutante od umano, bensì dallo stato di appartenenza, dalla religione e non so che altro. I governi devono capire che i mutanti sono innanzitutto cittadini e non hanno motivo di agire contro lo stato.”

“A meno che non si chiamino Magneto.” commentò di nuovo Hank, ma tenendo ben bassa la voce per non essere sentito.

“Questa società può essere un grande aiuto.” continuava a riflettere ad alta voce Xavier.

“Non so quanto siano disposti a collaborare, sono molto chiusi e conservatori. Se ho capito il genere, dovresti prima convincerli ad ammetterti nella loro cerchia, passare qualche anno di gavetta ad obbedire, poi iniziare a scalare la gerarchia fino ad avere abbastanza voce in capitolo e allora trovare un sotterfugio per ottenere ciò che vuoi.”

“Non è quello che avevo in mente. Pensavo più ad una collaborazione.”

“Non accetteranno mai.”

“Perché?”

“Dimmi esattamente cosa speri di ottenere.”

“Collaborazione per mostrare come la convivenza e collaborazione tra umani e mutanti sia assolutamente possibile, potranno essere un esempio per entrambe le parti. Potremmo organizzare conferenze per raccontare le loro esperienze, seminari per aiutare la gente a superare le diversità e poi …”

“Charles!” lo richiamò Erik “Per favore, fa pace col realismo. Stiamo parlando di gente che agisce in segreto e che si nasconde da duemila anni. Cosa ti fa pensare che si sentiranno entusiasti di finire sotto i riflettori di tutto il mondo?”

“Capiranno che il pericolo è imminente e che bisogna agire alla svelta.”

“Tu non eri quello che tifava per il cambiamento graduale?”

“Sì, ma ancora Stryker non aveva ancora colpito così in basso.”

“Che altro ha fatto quell’infame?”

“Non hai letto i giornali degli ultimi giorni?”

“No.”

“Hank, fagli vedere.”

Hank prese una cartelletta che aveva con sé, tirò fuori alcune pagine di giornale e le passò ad Erik, spiegando: “Stryker ha accusato pubblicamente il Professor X di essere in combutta con Magneto. Ha raccontato del nostro ultimo scontro, mostrando fotografie e sostenendo che Charles abbia usato i suoi poteri per controllare la mente di poveri cittadini per aizzarli contro di lui.”

“Bastardo.” mormorò Erik a denti stretti, leggendo velocemente i titoli.

Xavier continuò: “L’ONU è indignata e vuole che io compaia davanti al loro consiglio per dare spiegazioni.”

“È una trappola, te ne rendi conto, vero?” chiese Erik, con ira e preoccupazione “Non ascolteranno una parola e ti arresteranno.”

“Lo so, per questo ho lasciato momentaneamente la scuola e risulto come latitante.”

Magneto si concesse di scherzare per un attimo: “Chi l’avrebbe mai detto! Sono orgoglioso di te.” ma tornò subito serio: “Che ti dicevo? Loro non fanno distinzioni, vogliono distruggerci e basta e tu addirittura vorresti convincere degli altri di noi ad uscire allo scoperto. È un suicidio.”

“Sì, mi immagino la scena, tu che ti presenti loro dicendo: Salve, sono un idealista, che ne direste di mettere in pericolo le vostre vite, rendendo pubblico ciò che nascondete gelosamente da secoli?

“Smettila!” disse Raven “Quale altre soluzione c’è se non mostrare un esempio secolare? E non rispondere uccidere tutti perché inizia ad essere monotono.”

“Innanzitutto dovrai dimostrarlo che è secolare, vorranno delle prove e sinceramente non so se si troveranno. Ad ogni modo, volete tentare? Fate pure, non ho motivo di impedirvelo: lì c’è l’elenco telefonico, chiamate!”

Charles non se lo fece ripetere, si fece indicare il numero del padre di Virginia e lo chiamò. Con grande stupore di Erik, Xavier ottenne di poter incontrare quella sera stessa alcuni membri della Sacrae Sophiae Societas.

“Hai usato il tuo potere su di lui per convincerlo.”

“No, visto che è lui il telepate che mi ha tenuto fuori dalla mente sua e dei figli l’altro giorno.”

“Non è giusto! A me tendono imboscate e a te invitano a prendere il te. Bah, avranno imparato dall’esperienza con me che conviene essere aperti al dialogo.”

Hank scosse il capo e domandò: “Quali sono esattamente gli accordi?”

“Aspettare. Manderanno qualcuno per accompagnarci nel luogo in cui ci incontreremo.”

“Ci benderanno per impedirci di sapere dove siamo?” chiese Hank.

Raven rispose: “Se non avessero voluto farci sapere dove si trovano, sarebbero venuti loro qui, invece di spostarci.”

“Nella loro sede, però, possono attaccarci senza che nessuno se ne accorga.” puntualizzò Erik.

“Hai deciso di assecondarmi?” chiese Charles, piacevolmente stupito.

“Beh, nel caso stiano tramando qualcosa, è necessario qualcuno che ti protegga. Hank e Raven non basterebbero.”

“Ehi, per dieci anni me la sono cavata perfettamente da sola.” specificò la donna “Non ho problemi a fronteggiare più avversari contemporaneamente.”

“Sbaglio o hai avuto a che fare solamente con degli umani? Non mi risulta che tu abbia mai affrontato più mutanti in una volta.” le fece osservare Erik.

“Ragazzi, è inutile litigare.” Charles troncò la discussione “Andiamo a mangiare qualcosa, è quasi passata l’ora di pranzo e non abbiamo messo nulla sotto i denti.”

Calmata l’atmosfera andarono a cercare un posto dove pranzare e poi ritornarono in albergo. Attesero per tutto il pomeriggio che qualcuno si presentasse, ma non giunse nessuno fin dopo cena. Anzi, nel pomeriggio arrivarono tre dei seguaci che Magneto aveva chiamato ed erano stati fatti sistemare in un altro albergo, di fronte al primo, in modo che potessero sorvegliare e intervenire, in caso di necessità, sfruttando l’effetto sopresa.

L’emissario scelto per accompagnarli era Cesare. Fu alquanto formale e non scambiò più parole del necessario con Xavier e gli altri. Solamente Erik gli rivolse la parola per altro e gli chiese come mai  si trovasse lì e non fosse più allo scavo archeologico, lui gli rispose che non aveva difficoltà a spostarsi da uno stato all’altro, avendo un amico teleporta.

Si spostarono su due automobili, una guidata da Cesare e l’altra da un uomo che non avevano mai visto e che non disse una parola per tutto il tragitto. Arrivarono presso un palazzotto in stile liberty nei pressi del centro, non furono né bendati, né altro, questo metteva un po’ in buona luce la Sacrae Sophiae Societas. Furono fatti accomodare in un salotto, attorno ad un lungo tavolo a cui avevano già preso posto sei uomini, tra cui il padre di Virginia, e una donna. Charles si posizionò a capotavola, ai suoi lati si erano seduti Harnk e Raven, mentre Erik aveva preferito rimanere i piedi, poco distante, per osservare meglio ciò che accadeva.

“Dottor Charles Xavier, detto professor X, pur non avendo cattedre in nessuna struttura scolastica riconosciuta.” esordì uno degli uomini “Laureato a pieni voti ad Oxford in genetica con una tesi sulla mutazione. Coinvolto nella crisi di Cuba, presente dieci mesi fa durante l’attacco al presidente americano. Potrei andare avanti ancora a lungo, ma lei la sua vita la conosce già.”

“Sì, è la vostra che mi è più oscura.”

“Oh, credo che sappia già anche più del necessario. Veniamo al dunque: perché ha voluto quest’incontro?”

Charles fece un respiro profondo e cominciò: “Io sono un mutante, come alcuni di voi. Da tempo mi occupo di cercare altri come noi che, spesso, sono spaventati da sé stessi, disperati e isolati e cerca di dare loro fiducia in sé, cerco di far capire loro che quel che hanno non è una maledizione ma un dono. Cerco di mostrare loro che possono avere una vita felice e normale. Insomma, il mio obbiettivo è quello di non permettere ai mutanti di commiserarsi e di realizzarsi, come qualsiasi altra persona.”

“Uno psicologo per mutanti, in pratica.” commentò uno della società segreta.

“Lo psicoterapeuta non è considerato un mestiere da donna in America?” chiese Cesare, ironico, ma venne rimproverato.

Xavier capì di non averli impressionati, continuò: “Il lavoro su se stessi è molto importante e, quando i ragazzi iniziano finalmente ad acquisire fiducia, ritrovano il sorriso e la voglia di vivere. Il disagio che provano quando sono soli e spaventati rischia di portarli su una cattiva strada di violenza su sé o gli altri, di crimine o depressione. Aiutare queste persone è un dovere e un onore per me.”

“Sì, sappiamo della sua idea di scuola per mutanti, proceda.”

“Io penso che questo non basti. I ragazzi sono felici presso di noi, ma è più complesso reinserirli nella società normale. Presso la scuola possono essere liberi, mostrarsi apertamente per quello che sono, ma poi nel mondo devono comunque reprimersi e nascondersi e questo non è salutare. Io penso sia necessario mostrarsi al mondo, sensibilizzare l’opinione pubblica, favorire l’integrazione, spiegare che non siamo diversi dagli umani e che possiamo vivere pacificamente gli uni con gli altri.”

“Buona fortuna.” sogghignò qualcuno, divertito.

“Il suo è un progetto ammirevole.” disse l’uomo che pareva essere il portavoce ufficiale “Che cosa c’entriamo noi con ciò?”

“Voi siete l’esempio lampante di come sia possibile la coesistenza e collaborazione armoniosa tra mutanti e umani. Ho visto uomini spaventati da noi e ho visto anche nostri fratelli perdere la speranza nella bontà umana, decidere di combatterli. Voi potete dimostrare al mondo che si sbagliano, voi potete provare che umani e mutanti si aiutano da secoli, che possiamo accettarci gli uni con gli altri ed essere parti integranti di una società senza conflitti tra noi.”

Ci fu un certo brusio tra le sette figure, poi il solito chiese: “Come mai dovremmo mostrarci al mondo? La nostra cooperazione è stata consentita dal rispetto di equilibri, dal fatto che ci fossero tanti umani quanti mutanti nella nostra società ed in entrambi i casi membri di un’elite intellettuale, la cui saggezza ha sempre sconfitto i pregiudizi e la stupidità della gente comune. Siamo un organismo fragile ed esporci è assai pericoloso, oltre che contrario alla nostra generale volontà di segretezza.”

“Adesso la situazione è differente dal passato. Ora i mutanti non sono più una piccola minoranza com’è stato negli scorsi secoli. Ho percepito i mutanti nel mondo: sono milioni. Non possono più nascondersi, neppure volendolo. Presto gli umani si accorgeranno di noi e allora non sapremo come reagiranno loro e come reagiranno i nostri. Non possiamo rimettere al caso un simile cambiamento, bensì dobbiamo controllarlo e guidarlo, affinché sia il più pacifico possibile. Io non voglio una guerra tra mutanti e umani e sono convinto che solo il prendere le redini della situazione in anticipo ci possa aiutare ad evitare inutili spargimenti di sangue da ambo le parti.”

Questo discorso parve catturare l’attenzione dei sette membri della Sacrae Sophiae Societas, ma non erano ancora persuasi.

Erik allora disse: “Io non condivido le idee del mio amico. Lui vuole un passaggio graduale e indolore, io invece sono convinto che ogni progresso nella storia si ottenga non con l’evoluzione, bensì con la distruzione. Il frutto che rimane troppo a lungo sull’albero marcisce e non da nulla, occorre che cada affinché la pianta possa produrne di nuovi. È dalle macerie che sorge il nuovo, chi vive troppo a lungo diventa inutile e odioso. Questa è la mia opinione e non ho idea di cosa pensiate voi. Voglio però dirvi che, in un modo o nell’altro, l’azione è ora necessaria. I mutanti non sono più un segreto e chi è a conoscenza della nostra esistenza vuole il nostro male. Uno scienziato militare, Stryker, sta continuando gli esperimenti su mutanti e le loro uccisioni, cominciati da Trask, il fautore del progetto Sentinella, di cui avrete sicuramente sentito parlare. Rimanere nascosti non vi è più possibile. Dovrete prendere una decisione, prima che gli eventi vi sopraffaggano.”

Anche queste parole sortirono un qualche effetto sui sette uomini che si consultarono rapidamente tra di loro, prima che il portavoce annunciasse: “Riferiremo ai nostri confratelli la questione che avete sollevato e prenderemo le nostre decisioni circa il se e il come intervenire. Avete già fatto la vostra parte, ora andate.”

“Ci farete sapere la vostra decisione?” chiese Charles, un po’ sorpreso nell’essere liquidato così rapidamente.

“Se lo riterremo opportuno.” fu la risposta secca che concluse la conversazione, poiché i quattro ospiti furono poi accompagnati alla porta con un modo che lasciava presagire maniere più brusche in caso di proteste.

Tornarono in albergo, sconsolati; solo Erik non era deluso poiché era partito già convinto che non avrebbero ottenuto nulla, tuttavia era scocciato dai modi di fare di quella congrega.

Il mattino seguente, dopo colazione, Charles volle tenere una piccola riunione coi suoi amici.

“La situazione attuale è complessa. È necessario capire quali fili muovere e come destreggiarsi sull’affilata lama della politica. Attualmente sono anch’io considerato una minaccia e dunque non c’è un qualche mutante visto positivamente dai governi che possa trattare in nostro favore.”

Raven ha salvato Nixon” fece notare Hank “Lei deve pur essere tenuta in buona considerazione!”

“Nixon è coinvolto in troppi scandali, al momento.” osservò Charles “Non credo che considererebbe utile una politica pro mutanti e, inoltre, potrebbero inventarsi chissà quali calunnie per fingere che siamo coinvolti anche noi nel Watergate e non so che altro.”

“Inoltre non è bene esporre Raven a una situazione di pericolo, in questo momento.” precisò Erik.

“Perché no?” chiese lei.

“Perché potrebbero ancora catturarti e usare le tue cellule per costruire le Sentinelle.”

“Avevi detto che ormai ero al  sicuro, visto che il mio sangue lo avevano preso.”

“Per fortuna era poco e, comunque, pare abbiano bisogno di altre parti di te.”

“Ascoltatemi!” li richiamò Charles “Io penso che la carta migliore che possiamo giocare sia quella di rendere note le nefandezze di Stryker.”

“Cosa?!” fu lo stupore generale.

“Sì.” rispose Xavier, gravemente “Ogni governo, ogni televisione, ogni giornale dovrà ricevere la documentazione relativa agli esperimenti condotti da Trask e Stryker, renderemo pubbliche le torture, le uccisioni e ogni dettaglio. A quel punto sapremo chi ha  ragione tra me e Erik. Se la gente si indignerà e protesterà, allora c’è speranza per la pace, se invece ci sarà indifferenza o approvazione per questi crimini, allora dovremo combattere per sopravvivere. Raven, Hank, mi fido di voi: il tuo trasformismo e la tua intelligenza e abilità tecnologica vi permetteranno di raggiungere gli archivi delle Trask Industries, trovare i documenti e diffonderli. Partite oggi stesso e fate il più in fretta possibile.”

“Tu non vieni?” chiese Raven, dispiaciuta.

“No, nelle mie condizioni vi rallenterei e, inoltre, sono molto riconoscibile, quindi voi darete meno nell’occhio.”

“Dove ci aspetterai?” chiese Hank.

“Qui. Non posso tornare a casa, finché sono considerato un latitante. Inoltre spero di avere altri contatti con la Sacrae Sophiae.”

“Te la caverai da solo? E se dovessero trovarti?” si preoccuparono gli altri due.

“Erik, tu e i tuoi amici mi terrete al sicuro, vero?”

“Avevo intenzione di lasciare la città, visto che non ho più niente da fare, ma se hai bisogno per qualche giorno, ti aiuto volentieri.”

Presi questi accordi e definiti alcuni dettagli, Hank e Raven prepararono le loro cose e partirono, avendo intenzione di utilizzare voli di linea e non l’aereo privato.

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


“Notizie?” chiese Erik, rientrando in stanza, portando la pizza con cui avrebbe cenato assieme a Charles.

“Nessuna.”

“Sono partiti due giorni fa, è normale che non si siano ancora fatti vivi?”

“Assolutamente. Comunicare con noi potrebbe mettere a rischio la segretezza della missione. Stryker potrebbe tenere monitorati i nostri telefoni e quindi una chiamata potrebbe mettere in pericolo Raven ed Hank.”

“Se Stryker sa che siamo a Torino e tiene sottocontrollo il telefono di questa stanza, beh allora merita di trovarci.”

“Meglio non correre rischi, non credi?”

Erik non rispose, aveva appoggiato i cartoni delle pizze sul tavolo e aspettava l’amico per iniziare a mangiare. Cenarono e poi ripresero la scacchiera e si dedicarono all’ennesima partita, non avevano praticamente fatto altro in quei due giorni che giocare a scacchi e fare lunghe conversazioni dotte, colme di citazioni e riferimenti alla letteratura, storia e filosofia.

Si sentì bussare alla porta; i due amici si scambiarono un’occhiata perplessa: chi poteva essere? Uno dei seguaci di Magneto che portava qualche notizia? Un membro della Sacrae Sophiae Societas che avrebbe riferito le decisioni di quel gruppo? L’ONU?

Charles decise di togliersi ogni dubbio, per stabilire come accogliere il sopraggiunto. Si concentrò per entrare nella mente di chi stava dietro alla porta e infine disse: “È la tua amica.”

“Virginia?!” si stupì Erik e poi aprì l’uscio.

La ragazza entrò nella stanza velocemente, era visibilmente preoccupata.

“Che cosa ci fai qui? È successo qualcosa? Come ci hai trovati?” chiese Erik, un poco sospettoso.

Virginia si passava le mani nervosamente tra i capelli e disse: “Ho dovuto prendere una decisione e spero sia quella giusta. Sto per fare una cosa che mi inimicherà la mia famiglia e quelli che sono stati i miei amici finora: non fatemene pentire. Dopo che vi avrò detto quello che devo, non avrò altri amici nel mondo che voi, al momento, quindi poi non abbandonatemi, fatemi rimanere con voi.”

“Calmati, qui sei al sicuro” Charles cercò di tranquillizzarla “Non aver paura, nessuno ti abbandonerà.”

“Aspetta, prima di fare promesse.” lo fermò Erik, poi si rivolse alla ragazza con modo un po’ inquisitorio: “Fino all’altro giorno eri tanto unita alla tua famiglia, non li avresti mai traditi nonostante tutto, perché adesso avresti cambiato opinione?”

“Ti dissi che avevo difficoltà ad accettare le strategie della Sacrae Sophiae Sociatas, nonostante pensassi avesse nobili scopi. Cercavo soprattutto di convincere me stessa, per la paura di affrontare il mondo da sola, se me ne fossi andata. Questa volta, però, si stanno spingendo troppo oltre ciò che l’etica può accettare. Ho deciso che non potevo essere complice di quel che stanno mettendo in atto e che dovevo fare qualcosa e avvertire voi era necessario.”

Charles, alquanto allarmato, domandò: “Di cosa si tratta?”

Virginia sospirò, guardò verso terra e disse: “So che alcune sere fa avete parlato con alcuni della società a proposito della possibilità di rendere nota universalmente l’esistenza dei mutanti e far sì che vengano accettati.”

“E allora?” chiese Erik, seccamente.

“Hanno preso una decisione?” domandò Charles, speranzoso.

“Sì, ma non vi piacerà.”

Entrambi gli uomini si preoccuparono.

Virginia continuò: “Io … vi giuro che se lo avessi saputo prima, ve lo avrei detto, ma ho scoperto tutto solo un paio d’ore e non mi è stato possibile far altro che scoprire dove vi trovavate e venire ad avvertirvi.”

“Cosa, dunque?” la incalzarono.

“Hanno rintracciato la tua scuola e … hanno inoltrato l’informazione a Stryker.”

“Cosa?!” Charles era esterrefatto “Perché?!”

“Infidi bastardi!” esclamò Magneto, furioso, facendo vibrare tutto ciò che fosse metallico nel raggio di una ventina di metri. Non che si sentisse legato a quel posto, semplicemente l’idea che altri mutanti finissero nelle mani di Stryker lo faceva adirare più di qualsiasi altra cosa.

“Tutto questo non ha senso!” Charles non si capacitava “Perché dovrebbero fare una cosa del genere? È follia!”

Virginia spiegò: “Usano spesso piani contorti e cercano di non agire direttamente e limitarsi ad orchestrare. Vogliono far cogliere sul fatto Stryker e i suoi che attaccano ferocemente dei mutanti, meglio se giovani. Non so esattamente i mezzi che utilizzeranno per mostrare tutto ciò, ma la loro intenzione è che il mondo veda pacifici mutanti da una parte, ingiustamente assaliti da uomini plagiati da paura e sete di potere. Sono convinti che ciò farà schierare l’opinione pubblica dalla pare dei mutanti.”

“Quanti di noi dovranno morire, per commuovere gli umani?” chiese Erik stizzito e sarcastico “Hanno fatto i calcoli o hanno deciso di sacrificare ad oltranza? Per ottenere cosa, poi? Avremo i riflettori puntati addosso per un paio di mesi e poi si scorderanno di noi e non sarà cambiato nulla.”

“Bisognerebbe volgere i governi a nostro favore e poi battere il ferro fin che è caldo, tramite diplomazia e educazione e opere culturali.” rifletteva Charles.

“Stai parlando di politici” lo redarguì Erik “Sono avvezzi a vedere stragi e ad ordinarle, non si faranno impressionare dalle malefatte di Stryker, se lo noteranno sarà solo per tenerlo in considerazione per la loro prossima inutile guerra. Vogliamo veramente che siano interessati alla causa dei mutanti? Minacciamo le loro ricchezze. Se trovassimo un modo per mettere in crisi le loro finanze, immediatamente tutti sarebbero a favore dell’integrazione. A questo punto, però, è più sicuro sterminare, come dico sempre io. Gente che aiuta perché ricattata può sempre tradire, gente morta non può più fare danno.”

“Pensiamo al presente.” ribatté Charles “Non sappiamo quando Stryker attaccherà la scuola, ma presumibilmente sarà molto presto. Dobbiamo decidere che cosa fare per salvare i ragazzi. Un’evacuazione non credo sarebbe possibile, pur avvertendoli telefonicamente.”

“Charles, non c’è molto da pensare” lo ammonì Erik “Combatteremo e uccideremo chiunque tenti di fare del male a quelli come noi. Non mi parlare ancora di soluzione pacifica, perché è impossibile.”

“La difesa con ogni mezzo è necessaria, su questo concordo.” disse il telepate “Ma c’è anche un’altra cosa che posso fare. Il fatto che la società segreta voglia mostrare al mondo le efferatezze di Stryker contro la scuola, è complementare ai documenti che Raven e Hank diffonderanno. Erik, tu e i tuoi compagni prenderete il mio aereo e difenderete la scuola, mi raccomando cercate di limitarvi alla difesa.”

“Lo sai, vero, che la miglior difesa è l’attacco?”

“Erik …!”

“Era per dire … e tu che farai? Perché non vieni con noi?”

“Telefonerò all’ONU e dirò loro dove possono trovarmi.”

“Cosa? Sei impazzito? Ti rinchiuderanno o peggio!”

“Otterrò di parlare di fronte al consiglio delle Nazioni Unite e prenderò il tempo necessario, finché non giungeranno le notizie che faranno pendere l’ago della bilancia a nostro favore.”

Erik non era affatto convinto, ribadì più volte che sarebbe stato meglio rimanere uniti e andare a combattere per difendere la scuola, ma Charles fu irremovibile e alla fine si fece come aveva proposto (e di fatto deciso) lui.

Erik si organizzò rapidamente, convocò i quattro mutanti suoi seguaci che alloggiavano di fronte per informarli che sarebbero partiti in meno di un’ora. Così avvenne e con loro c’era anche Virginia che aveva insistito per seguirli ed aiutarli.

Erik pilotava l’aereo, mentre gli altri riposavano, essendo ormai notte. Erano in viaggio da cinque ore, quando Virginia si svegliò; provò a riprendere sonno, ma senza successo e non poteva fare a meno di pensare alla maniera distaccata e quasi brusca con cui Erik l’aveva trattata quella sera. Certo aveva portato cattive notizie, quindi era normale aspettarsi che l’uomo fosse di cattivo umore, ma lei ne era troppo dispiaciuta e si chiedeva se dietro non ci fosse qualche altra ragione. Non riuscendo più a dormire, quindi, decise di alzarsi e raggiungere la cabina di pilotaggio, si sedette sulla poltrona del copilota e attese qualche momento, aspettandosi che l’uomo parlasse per primo. Infine fu lei a rompere il silenzio: “Siamo circa a metà viaggio?”

“Circa.”

“Come mai sei così freddo?”

“Non sono freddo. È il mio naturale.” Erik non aveva distolto neppure per un istante lo sguardo dal cielo davanti a sé.

“Allora sono contenta d’averti conosciuto in un momento in cui non eri al naturale.”

“Se non devi comunicare qualcosa di rilevante, torna di là. Sto pilotando, devo rimanere concentrato.” ciò non era vero, dal momento che le correnti erano regolari e avrebbe tranquillamente potuto inserire il pilota automatico.

“Sei arrabbiato con me?”

“Dovrei?”

“No. Se ritenessi che tu abbia ragione ad essere arrabbiato, allora farei qualcosa per farmi perdonare oppure, convinta di essere nel giusto, non mi curerei del tuo risentimento. Il fatto è che non capisco il tuo atteggiamento: se sei solamente, e giustamente, preoccupato per ciò che stiamo per affrontare, oppure se te la sei presa con me per qualche motivo che mi sfugge. L’ultima volta che ci siamo visti, mi hai dato il tuo numero di telefono, ti sei preoccupato ch’io sapessi di poter contare su di voi se fossi stata nei guai … e ora sei così distaccato …”

“È stato un errore dirti di contare su di noi. Ero troppo preso dall’idea di fare il salvatore per accorgermi di come stavano realmente le cose. Mi hai mentito, ti sei mostrata triste, sola, in difficoltà e in fuga e in realtà non era vero nulla di tutto ciò. Tornata a casa ti sei riambientata perfettamente”

“Ti ho detto fin da quando sono ripartita con la mia famiglia che non avevi da preoccuparti, che per me non era un problema tornare qua. Sei stato tu ad insistere.”

“Già, sono stato stupido a non capire.”

“Ti ringrazio, però, di avere insistito.”

“Vanità da donne.”

“No, non è questo.” disse Virginia, volendo fare una carezza all’uomo, ma avendo paura di contrariarlo “Tu non mi hai abbandonata e … mi hai fatto sperare, mi hai convita che un’alternativa è possibile … senza di te, non avrei avuto il coraggio di fare la scelta che ho fatto …”

Rimasero in silenzio alcuni lunghi momenti, poi Erik domandò: “Dunque hai davvero deciso di abbandonare la tua famiglia? Definitivamente.”

“Ho fatto ciò che ho ritenuto giusto, nonostante la loro contrarietà.”

Erik impostò il pilota automatico e si voltò verso la giovane: “Io sono stato privato della mia famiglia e ho fatto di tutto per vendicarla. La vendetta è stata una componente fondamentale della mia vita … che, poi, vendetta non è neanche il termine adatto … Giustizia, ecco quello che ho fatto finora. Erano criminali, il processo di Norimberga li avrebbe condannati, loro si sono sottratti alla Giustizia e io l’ho portata a loro. Comunque, quello che volevo dire era che la famiglia è stata molto importante per me e, quindi, forse avrei dovuto ripensare a quei pochi anni che ho passato coi miei genitori, per capire quanto tu fossi legata alla tua e quanto ti fosse difficile opporti a loro.”

Gli occhi di Virginia si illuminarono e una strana gioia la pervase, sciogliendo tutte le tensioni che l’agitavano e riuscì solo a dire: “Oh, sono parole bellissime.”

“Basta così poco per farti contenta?”

“Hai appena detto di capirmi, non è cosa da poco.”

Erik si irrigidì un poco, si voltò e riprese i comandi dell’aeroplano e disse: “Riposati, sarà una giornata dura.”

“Appunto, se questa fosse la nostra ultima conversazione?”

“Non credo. Io ho intenzione di sopravvivere. Tu no?”

“Ah, per voler uscirne viva, lo voglio, ma ci sono cose che non possiamo scegliere.”

“Se sopravvivi, ti porto a cena.”

“Non sarebbe un’esperienza nuova.” lo prese un poco in giro la ragazza “Mi pare che abbiamo abbondantemente cenato assieme nell’ultimo mese. Ci vuole qualcosa di più per motivarmi a non morire.”

“La tua appena conquistata libertà non è sufficiente?”

“La libertà accompagnata dalla solitudine non è poi una gran cosa.”

“Hai pure rotto il tuo fidanzamento con il coso dello scavo?”

“Certamente. Anche il pensiero di dover sopportare il suo ego per il resto della mia vita, mi ha spronato a prendere in mano le redini della mia vita.”

“Allora facciamo così: tu pensa a non farti ammazzare oggi; dopo vedremo di trovare il modo per festeggiare. Affare fatto?”

Virginia si alzò in piedi e sospirò e disse: “D’accordo.”

Poi si chinò e diede un bacio sulla tempia di Erik e tornò nel retro dell’aereo.

Dopo alcune ore atterrarono e poterono raggiungere la scuola di Xavier, che era già stata avvisata dal professore stesso dell’imminente pericolo.

Magneto radunò tutti quanti e ribadì la difficoltà della situazione, esortando chi volesse a fuggire per mettersi in salvo. Furono pochi quelli che lo fecero: la maggior parte preferì rimanere per proteggere l’unico posto a cui si sentivano di appartenere.

Erik iniziò allora a chiedere a ciascuno che capacità avesse, in modo da organizzare al meglio la strategia difensiva.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Charles aveva aspettato alcune ore da solo nella stanza d’albergo, voleva essere certo che Erik e i suoi giungessero alla scuola senza correre pericoli; dopo aver riflettuto a lungo sulle parole che avrebbe usato, infine prese il telefono e chiamò il numero speciale che era stato istituito proprio per segnalare lui o Magneto alle autorità. Telefonò, disse che era deciso a costituirsi e diede i dettagli su dove potessero trovarlo.

Attese di essere prelevato. Era consapevole che nelle ore successive si sarebbe deciso il destino dei mutanti, si sarebbe scoperto chi avesse ragione tra lui ed Erik. I grandi della Terra si sarebbero mostrati ragionevoli, comprensivi, aperti di mente e pronti all’accoglienza, oppure sarebbero sprofondati nella paura e nella rabbia, scatenando una guerra?

Charles aveva paura, non poteva negarlo, tuttavia non temeva per se stesso bensì per le sorti generali. La sua forza era la speranza, infatti quando l’aveva persa era andato in depressione e aveva perso la voglia di vivere, ritrovandola era tornato attivo e determinato. La speranza per sua natura, però, non era una certezza: infondeva la forza di andare avanti e lottare, metaforicamente, ma non poteva garantire il successo. Charles questo lo sapeva bene; confidava di poter costruire pacificamente un futuro di integrazione, ma era anche consapevole che esistevano uomini malvagi e, soprattutto, spaventati che avrebbero cercato di sterminarli; la sua speranza era che costoro fossero una minoranza (e non la maggioranza come riteneva Erik) e che si sarebbero potuti pian piano convertire e tranquillizzare. L’incontro con l’ONU avrebbe dunque palesato quale fosse realmente l’opinione degli stati sui mutanti. Charles sentiva il peso della responsabilità che si era preso: tranquillizzare, persuadere, garantire la pace … senza usare i propri poteri. Come avrebbe potuto svolgere il proprio compito senza che ci fosse per sempre il dubbio circa se avesse o meno manipolato i propri interlocutori? Forse, l’ONU, volendolo incontrare, aveva preso precauzioni, ma quali?

Questo quesito fu presto risolto: quando venne arrestato dai caschi blu, Charles notò immediatamente di non potere entrare nella mente dei soldati. Scoprì, dunque, che la CIA si era impadronita dell’elmo di Magneto, dopo che egli era stato costretto ad abbandonarlo dopo il fallito attentato a Nixon; gli scienziati dell’intelligence lo avevano studiato ed erano riusciti a replicarlo.

Charles comparì quindi davanti all’assemblea dell’ONU i cui membri erano tutti muniti di un casco che impediva al mutante di entrare nelle loro menti.

“Dottor Xavier” esordì il presidente “Vuole rilasciare una dichiarazione spontanea, prima di rispondere alle nostre domande?”

“Sì.”

“Proceda.”

“Io sono un cittadino americano. Negli Stati Uniti d’America ci sono moltissimi cittadini: alcuni sono di etnia latina, altri francese, inglese, italiana, c’è chi ha la pelle nera perché afroamericano, ci sono ebrei, ci sono mutanti, ma tutti quanti sono cittadini americani. Ci sono attori, ci sono lavoratori, operai, ci sono scienziati geniali al punto di mandare l’uomo sulla Luna, ci sono stati ingegneri che hanno creato terribili bombe che ci hanno fatto vincere la Guerra prima e poi vivere nella paura, ci sono atleti che detengono record mondiali, ci sono alcuni dei soldati più abili al mondo, ci sono mutanti e tutti quanti sono cittadini americani. Lo stesso val per ogni nazione. Tutti noi ricordiamo molto bene Hitler, quello che ha fatto e per cui lo abbiamo condannato. Aveva programmato lo sterminio del popolo ebraico, dell’etnia degli zingari, dei disabili che erano considerati un ostacolo per la società e degli omosessuali, considerati contro natura. Tutti noi troviamo abominevole un tale progetto e lo vogliamo ricordare affinché  non accada mai più nulla del genere. Qualcuno, però, sta cercando di spaventarvi, di ingannarvi, di instillare in voi la paura verso i mutanti per indurvi a prendere le torce e i forconi contro di noi. Noi, però, non siamo un popolo, non siamo un’etnia, non abbiamo neppure una nostra cultura. Siamo uomini dotati ma questo non ci rende diversi e separati dagli altri. Nasciamo in uno stato e cresciamo e ci formiamo nella stessa cultura di qualsiasi altra persona; molti non danno neppure importanza alle proprie capacità e vivono una vita tranquilla ed anonima. Io stesso, fino alla laurea, immaginavo la mia vita come quella di uno scienziato in un laboratorio, oppure come docente, ma poi la mia nazione ha avuto bisogno di me. Un’agente della CIA è venuta a cercarmi, a chiedermi aiuto per la crisi dei missili di Cuba. Ho scoperto, in quell’occasione, che ci sono mutanti che, come qualsiasi criminale umano, cercano di fare del male e approfittarsi delle situazioni, ma ho scoperto anche che sono molti di più quelli che soffrono. Molti mutanti si sentono soli, esclusi, emarginati, hanno paura di quello che potrebbero subire da chi li considera mostri e possono temere di fare del male agli altri quando hanno capacità molto potenti che ancora non sanno controllare. Sono umani e hanno tutte le fragilità di qualsiasi altra persona. Hanno lo stesso bisogno di essere integrati nella società, di essere amati, le stesse ambizioni, le stesse sofferenze di qualsiasi uomo o donna di questa Terra. La sofferenza e la paura possono condurre su una cattiva strada, indurre a comportamenti violenti e criminosi: quante volte ci troviamo davanti a delinquenti dal passato difficile? si tratta di psicologia, di esperienze di vita, non di genetica. I traumi non sono una giustificazione, però. Per questo ho deciso di aprire la mia scuola: per rendere i mutanti che soffrono persone felici. Serenità, autostima, controllo delle proprie capacità, questo permette a qualsiasi persona di essere un buon cittadino, oltre che etica e morale. Ora io vi domando: siete davvero convinti che basti un potere speciale per rendere un uomo cattivo? Credete che ogni uomo, come il Gige di Platone, se trovasse l’anello dell’invisibilità lo userebbe per fare rubare e approfittarsene ai danni degli altri? Credete davvero che sia solo la paura di una punizione a impedire alle persone di fare del male e compiere reati? Oppure credete che il giusto comportamento sia ispirato non da paura, bensì da senso della giustizia, spontanea bontà, moralità? Non sostengo che tutti i mutanti siano buoni ed innocui: come in tutte le categorie di persone ci sono i giusti e i delinquenti. Bisogna evitare generalizzazioni, bisogna impedire che il diverso ci faccia paura. Ci saranno mutanti criminali? Sì. Ci saranno mutanti che si crederanno superiori e vorranno fare del male agli umani? Sì. Ci saranno, però, anche mutanti che vorranno difendere le loro nazioni, che vorranno proteggere le persone, che affiancheranno la polizia e gli eserciti degli stati per impedire il male da qualsiasi parte provenga. Ci saranno gli X-men, pronti ad agire per proteggere tutta l’umanità.”

Charles concluse così il proprio primo intervento. Aveva parlato con estrema calma e fermezza, non si era mostrato affatto intimorito, il suo sguardo era sempre stato alto e fiero.

Tutti i presenti rimasero in silenzio per lunghi momenti, come affascinati da quelle parole, come se stessero riflettendo su di esse. Poi il presidente dell’assemblea domandò:  “Come giustifica le accuse che le sono state mosse dal maggiore Stryker? Cos’ha da dire sugli scontri a fuoco della settimana scorsa?”

“Legittima difesa. Il maggiore Stryker, spero all’insaputa di tutte le nazioni qui riunite, da anni sta rapendo mutanti, prima per la Trask Industries, ora non so se in proprio o per altri, per condurre esperimenti su di loro, trattandoli come bestie e cavie da laboratorio e non da esseri umani. Avevo da poco rintracciato Erik Leinsher e lo avevo raggiunto nel tentativo di persuaderlo a desistere dai suoi propositi aggressivi, quando siamo stati attaccati dai soldati di Stryker. Noi ci siamo difesi e i cittadini che ci hanno aiutato lo hanno fatto di loro spontanea volontà.”

“Ha delle prove, dottor Xavier?”

In quel momento entrò un segretario e comunicò che i notiziari, in edizione straordinaria un po’ in tutto il mondo, stavano mostrando le immagini di un attacco al momento in corso alla scuola per mutanti. Subito il presidente diede ordine di portare un televisore nella sala per guardare coi loro stessi occhi che cosa stesse accadendo.

I fotogrammi erano inequivocabili: elicotteri, carri armati e soldati a piedi avevano circondato la scuola e avevano aperto il fuoco contro di essa, ma si potevano anche chiaramente vedere coi mutanti la stavano difendendo strenuamente, senza armi convenzionali, ma solo con le proprie capacità. Havoc si notava parecchio.

Charles, per qualche momento, si domandò se quelle scene non potessero avere l’effetto contrario di quello desiderato: mostrare la difesa dei mutanti poteva evidenziare la loro potenza e rendere l’ONU più diffidente e impaurita. Il Professor X notò anche con piacere che Magneto gli aveva dato ascolto e si stava concentrando soprattutto sulla difesa, limitando al massimo la controffensiva.

Non passarono molti minuti e cominciarono ad arrivare anche numerosi plichi di documenti: tutti  che testimoniavano le atrocità commesse dalle Trask Industries.

Dopo averne visionati alcuni, il presidente dell’assemblea dichiarò: “È inequivocabile che il maggiore Stryker ci abbia ingannati e si sia macchiato di crimini contro l’umanità e per questo sarà arrestato e processato. Propongo un voto immediato per autorizzare la NATO ad intervenire all’istante in difesa della scuola del professor Xavier e procedere all’arresto del maggiore.”

In pochi minuti la mozione venne approvata all’unanimità e quindi dei caschi blu furono inviati immediatamente per intervenire in quell’assedio.

Il presidente, poi, continuò: “La questione mutanti è tuttavia un argomento che non possiamo trascurare, né considerare chiuso. Calendarizzeremo incontri col professor Xavier e altri mutanti per studiare la situazione, apriremo anche noi delle commissioni di ricerca e studio, per comprendere esattamente lo stato dei fatti e gestire i mutanti, sia come cittadini, come ci è stato fatto notare oggi, sia come risorse, sia come minacce. L’azione che oggi abbiamo ordinato come Stryker non è una presa di posizione netta sulla questione mutanti, ma solo il giusto intervento per la protezione di cittadini americani e non e perché il maggiore si è palesemente macchiato di crimini pari a quelli degli scienziati nazisti. Per quanto riguarda i mutanti, affronteremo la faccenda tutti assieme già nei prossimi mesi.”

Charles rimase soddisfatto da come fossero andate le cose. Sapeva che, invece, Erik sarebbe stato deluso. L’ONU li aveva difesi in quell’attacco e lo si poteva considerare un piccolo e significativo passo, ma era ancora ben lontano dall’integrazione dei mutanti. Charles era però ottimista, riteneva di avere avuto una conferma che gli animi delle persone non fossero colmi di pregiudizi e di paure, sentiva che un dialogo era possibile, che una soluzione pacifica non era un’utopia.

 

 

Nota dell’Autrice

Ciao a tutti !!!

Perdonate la  lunghissima attesa per questo capitolo, ma sono stata molto indaffarata con università, teatro e coinvolgimento emotivo in altri fandom.

L’uscita del nuovo film degli x-men mi ha riportata in questa dimensione e, allora, ho deciso di approfittarne per continuare questa fanfic che non so bene se concludere nel prossimo capitolo come avevo pensato inizialmente, oppure proseguire un poco di più.

Vi ringrazio per la lettura e vi chiedo ancora scusa per avervi fatto aspettare.

 

Un saluto!

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Magneto era stato molto scrupoloso nell’organizzare la difesa e aveva seguito la raccomandazione di Charles di non curarsi eccessivamente della controffensiva non perché provasse pietà per gli umani che li attaccavano, ma poiché si rendeva conto che i mutanti che erano con lui erano per lo più non ancora in grado di utilizzare appieno i propri poteri e quindi non poteva loro chiedere di riuscire a concentrarsi sia sulla difesa che sull’attacco. Oltre al poco controllo sui loro poteri, quegli uomini, quelle donne, quei giovani, non erano soldati, non avevano la rapidità, i riflessi, la forza e l’agilità per sostenere una battaglia: erano persone semplici, con vite normali e il fatto di essere mutanti non li rendeva automaticamente dei guerrieri. Inoltre non tutti i poteri erano adatti per i combattimenti. Se volevano sopravvivere, avrebbero dovuto pensare unicamente a difendere se stessi e i loro compagni e non lasciarsi distrarre dal tentare di contrattaccare.

Chi si dedicava realmente alla controffensiva, erano Magneto e i suoi pochi seguaci che era riuscito a portarsi dietro; avrebbe potuto dar loro manforte anche Havoc (a cui il professor X aveva affidato la scuola in quei giorni), ma lui preferiva usare i propri poteri per mettere fuori uso i mezzi di trasporto e le armi dei nemici, piuttosto che le persone. Virginia faceva quel che poteva per creare barriere e rallentare i soldati di Stryker, sebbene fossero dotati di uniformi ignifughe e dunque la giovane poteva fare affidamento soprattutto sull’acqua, magari creando lastre di ghiaccio per farli scivolare, oppure sbalzando i soldati all’indietro con getti d’acqua ad alta pressione.

I soldati di Stryker erano stati equipaggiati in modo tale da non avere metallo addosso, ma nella scuola c’era abbastanza ferro da permettere a Magneto di combattere senza difficoltà.

Tra gli studenti c’era un teleporta e una ragazza in grado di creare ombre che rassomigliassero alle persone (pur non avendo corpo e  quindi non potendo interagire); loro due contribuirono a creare confusione tra i soldati, depistandoli e distraendoli, cercando di attirare i loro colpi verso falsi bersagli. C’era una mutante che poteva vedere attraverso le pareti: ella fu molto utile per individuare i nemici in avvicinamento e potersi spostare o preparare, senza mai essere colti di sorpresa.

In questo modo i mutanti erano riusciti a resistere, senza passare dalla parte del torto agli occhi di chi stava osservando quelle immagini in mondovisione.

Infine erano intervenuti i caschi blu e i soldati di Stryker, capendo la situazione, si arresero quasi subito alla NATO; il maggiore, tuttavia, era riuscito a fuggire su un elicottero, prima che potessero giungere a lui e arrestarlo.

Quando i mutanti si erano accorti che stavano ricevendo aiuto dall’esterno, si erano tutti ritirati dagli scontri e radunati in un’unica stanza, in attesa di capire che cosa stesse accadendo. A tale scopo, il teleporta si spostava rapidamente da fuori a dentro e viceversa per cercare di raccogliere informazioni. Qualcuno era intervenuto in quella battaglia, ma non avevano idea del perché e di quali ordini avessero i caschi blu.

Magneto era parecchio in apprensione: non gli piaceva quando si facevano avanti eserciti internazionali e dubitava sempre delle loro buone intenzioni; per questo se ne stava a braccia conserte, un po’ in disparte, corrucciato e attento a captare qualsiasi segnale di pericolo.

Virginia gli si avvicinò e gli chiese: “Non sei sollevato che qualcuno sia venuto in nostro aiuto?”

“Vorrei essere certo che sia in nostro aiuto.”

“Evidentemente Xavier è riuscito a persuadere l’assemblea dell’ONU.”

“Oppure è stato catturato e l’ONU non vuole lasciare i mutanti nelle sole mani di Stryker, ma occuparsene personalmente.”

“Non sarebbe stato più facile per loro aspettare che Stryker ci prendesse e poi sottrarci a lui?”

“Avranno fatto altre valutazioni. Non escludo che Charles abbia fatto un miracolo, se c’è  uno che potrebbe riuscirci è lui, ma non do neppure per scontato che ci sia riuscito. Finché non ne sapremo di più, preferisco non abbassare la guardia.”

Poco dopo, il teleporta tornò nella stanza dove si trovavano tutti e disse: “I caschi blu hanno avuto l’ordine di fermare questo attacco e di arrestare Stryker e i suoi. Purtroppo non parlano molto, ma ora stanno cercando noi, non hanno le armi spiegate, da quello che ho capito vogliono prestarci cure mediche e parlare con un nostro rappresentante.”

Havoc si fece avanti: “Andrò io, portami da loro.”

“No.” lo interruppe Magneto “Sarò io a conferire con loro.”

“Tu? Non sei proprio diplomatico e, inoltre, ti ricordo che il Professore ha lasciato la responsabilità della scuola a me. Sono io la persona più  adatta.”

“Alex, potrebbe essere una trappola. Se dovesse esserlo, io non mi farò scrupoli per liberarmi, mentre tu preferiresti far catturare tutti quanti, piuttosto che usare il tuo potere su qualche umano, nonostante sia in pericolo la vita dei nostri fratelli. Tu hai la responsabilità di questi ragazzi, è vero, per questo devi rimanere al sicuro con loro, finché non saremo certi che il pericolo è realmente cessato, almeno per adesso. Loro sono affezionati a te, stimano te: se ti dovesse accadere qualcosa dubito che ascolteranno me e se si divideranno sarà realmente la fine. Tu devi prenderti cura di loro, quindi fa correre a me questo rischio del primo incontro: se le loro intenzioni sono realmente pacifiche, potrai poi gestire la faccenda come meglio credi; ma se c’è da prendere una pallottola, è meglio che sia io a prenderla.”

Havoc era rimasto molto colpito da quelle parole: non si aspettava spirito di sacrificio da parte di Magneto e lo sfiorò il dubbio che fosse un inganno, ma poi si convinse della sincerità dell’uomo; si limitò ad annuire e disse: “Grazie, Erik.”

Prima di avvicinarsi al teleporta, Erik lanciò un’occhiata a Virginia che ricambiò, si scrutarono solo per un paio di secondo, eppure entrambi sentirono di essersi detto tantissimo.

Magneto raggiunse il teleporta e gli fece cenno di procedere al trasferimento. In un attimo si trovarono entrambi davanti a un generale dei caschi blu e alcuni suoi subordinati, i quali non poterono celare lo stupore nel vedere apparire due persone all’improvviso.

Il generale li scrutò per qualche momento e chiese: “Lei è venuto per conferire con me?”

“Sì.” annuì Magneto, rimanendo imperturbabile.

“Lei è Erik Leinsher, un ricercato, credo che …”

“Mi dica come mai la NATO è intervenuta in questo scontro, mi assicuri che le persone là dentro non corrono pericoli da parte vostra, poi potrete parlare col legittimo rappresentante della scuola attualmente presente.”

“Io sono un generale e mi limito a seguire gli ordini. Il professor Xavier ha persuaso l’assemblea dell’ONU che fosse necessario il nostro intervento: in effetti, una milizia privata che prende d’assalto un edificio occupato da civili incensurati prevede un intervento di forze armate legittime per fermarla. È stato decretato, almeno per il momento, che i mutanti non sono criminali e che Stryker non ha nessun diritto di rapirvi, per cui siamo venuti a salvare dei cittadini a cui ora presteremo anche soccorso medico, se necessario. Di più non so.”

“Quindi l’ONU ha deciso di schierarsi dalla parte dei mutanti e proteggerli?” Erik si mostrava scettico.

“Per il momento. Sembra che il professor Xavier abbia ottenuto che l’ONU si concentri sulla  faccenda mutanti e si arrivi ad un accordo, ma non è di questo di cui io mi occupo, quindi se vuole  saperne di più, dovrà rivolgersi a qualcun altro, anche se dubito che verrà ben accolto, dato che è un ricercato internazionale, anzi io stesso dovrei …”

“Me ne farò una ragione. Ora comunicherò all’interno che non siete nemici e li farò uscire.”

Erik non aveva alcuna intenzione di farsi arrestare, tanto meno in quel momento, per questo era stato rapido nella risposta e subito appoggiò una mano sulla spalla del teleporta in modo che lo portasse immediatamente via da lì.

Ritornarono all’interno dell’edificio ed Erik si rivolse ad Havoc: “Non sono Charles per cui non posso sapere che cosa realmente ci sia nella testa di quelle persone, però mi sembrano sinceri. Oggi non hanno intenzione di farvi del male, per cui potete rivolgervi a loro. Alex, il campo è tuo.”

“Tu che farai? Resti con noi?” domandò Havoc, che in fondo non sarebbe stato contrariato dalla presenza di Erik, non era arrabbiato con lui come lo erano Raven ed Hank.

“No. Non sono propriamente una figura gradita, quindi preferisco andarmene, piuttosto che rischiare di creare problemi rimanendo. Quando vedi Charles, digli di farsi vivo, per favore; un modo per contattarmi lo troverà certamente.”

Magneto chiese al teleporta se potesse portarlo fuori dal perimetro dei caschi blu, poi si accordò coi suoi alleati circa dove ritrovarsi successivamente, una volta calmate le acque. Infine si rivolse a Virginia e le domandò: “Vuoi venire con me, oppure preferisci rimanere qui? Ci sono mutanti come noi, l’ambiente è rilassato, sereno e tranquillo e tra poco tornerà Charles che sarà contento di aiutarti.”

“Voglio seguirti, Erik.”

“Ti ricordi che sono latitante, vero?”

“Non ha importanza.”

Il teleporta allontanò in un baleno Erik e Virginia dalla scuola. Rimasti soli, si incamminarono e rimasero in silenzio per alcuni minuti: la battaglia li aveva affaticati e i pensieri erano molti.

Infine Virginia ruppe il silenzio: “La vittoria di oggi fa ben sperare per il futuro.”

“Immagino tu ti riferisca a quella di Charles e non a quella sul campo. Mi chiedo se quella dell’ONU sia stata una decisione sincera o ipocrita. Forse si sono resi conto che permettere un massacro in mondovisione avrebbe spinto i mutanti ad insorgere e, quindi, hanno ritenuto più saggio intervenire. Forse non volevano che Stryker avesse il monopolio sugli esperimenti sui mutanti. Forse vogliono prima creare un clima d’odio contro di noi per sentirsi autorizzati a sterminarci, senza il peso dell’opinione pubblica di quelli che vogliono almeno un motivo apparente, prima di un atto di forza. Anche a voler essere ottimisti, però, si è semplicemente ottenuto che l’ONU approfondirà la questione dei mutanti e poi deciderà che cosa pensarne. Non mi rassicura per nulla. Lo vedo come un modo per cercare pretesti e ragioni per considerarci nemici, anziché come un percorso per essere accettati e integrati. Il generale con cui ho parlato ha sottolineato più volte la perifrasi al momento, per il momento … il  che significa che ciò che hanno deciso vale per oggi e non per il futuro. Se pensassero davvero che siamo umani, come loro, che meritiamo una vita come tutti gli altri, non sarebbero stati così cauti nel parlare e deliberare. Charles li ha convinti che per il momento non era necessario sterminarci, ma non che abbiamo gli stessi diritti di tutti gli altri. Non riesco ancora a vedere la situazione in modo positivo.”

“Sbaglio o non stai neppure pensando a sterminare gli umani?”

“Non sbagli, ma comunque voglio essere chiaro: non è che io voglia per forza uccidere chi non è un mutante, semplicemente non mi faccio problemi ad eliminare chi vuole fare del male a noi. voglio che sia chiaro che noi non siamo persone da perseguitare, da disprezzare, trattare come fenomeni da baraccone, cavie da laboratorio o altro. Noi abbiamo una dignità, anche superiore a quella degli uomini perché noi siamo il futuro. Noi abbiamo pieno diritto di essere felici, di mostrarci in pubblico a testa alta, di vivere appieno ed essere rispettati e stimati. Se sono aggressivo è solo perché so quanto gli uomini siano crudeli con chi è diverso e perché so che chiunque abbia conquistato diritti e libertà ha dovuto combattere. Chi non esalta la Rivoluzione francese? La guerra d’indipendenza americana? La liberazione dei neri ha portato alla guerra di secessione. L’Italia ha ottenuto la propria libertà e unità solo dopo quaranta e più anni di lotte. L’impero germanico si è liberato del dominio Asburgico con la forza. Ne devo elencare ancora? Io non sono un assassino come molti vorrebbero credere, io sono un combattente, un rivoluzionario: quelli come me, sono salvatori o criminali a seconda di se avranno successo oppure no. Che Guevara è un eroe a Cuba, un bandito in Bolivia. In Italia, da te, generalmente si ritengono i partigiani dei liberatori che hanno scacciato i nazisti, ma sono sicuro che c’è qualche nostalgico della dittatura che li ritiene degli assassini. Ogni vita che ho tolto non è stato per il piacere di ammazzare o altro, ma sempre e solo perché necessaria alla mia causa. Io ho degli ideali ed è per essi che mi batto. Sarò considerato un criminale solo fintanto che la mia causa non vincerà. Per il momento, però, voglio dare fiducia a Charles. Per il momento non farò progetti, al più qualche indagine, aspetterò di vedere che piega prendono gli eventi con la strategia di Charles e poi vedremo se aveva ragione lui o se dovrò riprendere in mano la situazione.”

“Vedremo?”

“Vedrò, volevo dire.”

“Quindi che cosa hai intenzione di fare?”

“Trovare un posto tranquillo dove fermarmi per un po’ e osservare, senza il rischio di essere arrestato. L’incontro con quel generale mi ha fatto capire che sono un ricercato internazionale … e temo che imporranno a Charles la mia consegna, durante questi incontri sulla questione mutanti. Da amico non vorrebbe consegnarmi, lo so, ma deve pensare al bene di tutti i mutanti … Io ho passato troppo tempo della mia vita ingiustamente in prigione, per finirci di nuovo, non ho intenzione di farmi rinchiudere di nuovo.”

Rimasero di nuovo in silenzio per un po’ di tempo, poi Virginia chiese: “Come mai mi hai chiesto di seguirti?”

“Come mai hai accettato?”

“Sto bene con te. Mi è piaciuto tantissimo viaggiare con te e ne ho ancora voglia. Separarmi da te mi renderebbe triste, lo sento. Voglio proseguire questo percorso, averti accanto e starti accanto. Sento che questo è ciò che mi rende felice, adesso, voglio scoprire che cosa accadrà restando assieme.”

Erik sorrise: quelle parole gli infondevano tranquillità. Tacque un poco, prima di dire: “Anch’io sto molto bene in tua compagnia. Non è come in passato in cui dicevo a delle donne sto bene in tua compagnia per dire che mi divertivo ed era piacevole passare del tempo con loro, tra una ricerca e l’altra, per dimenticare lo stress del cacciare nazisti e così via. Con te è diverso. Mentre viaggiavo con te, non ho sentito di dimenticare le fatiche o i problemi, ma di poterli condividere, anche se siamo in disaccordo. Non voglio vederti per uscire dalla mia vita, ma ti voglio nella mia vita per vederti. Sono felice, quindi, che tu abbia deciso di seguirmi.”

Virginia timidamente gli prese la mano e continuarono a camminare verso il centra abitato più vicino.

 

 

Nota dell’Autrice

 

Ciao a tutti e grazie per aver letto questa fanfic che teoricamente potrebbe essere finita qui. Mi sono però lasciata qualche pista aperta nel caso mi chiediate di continuarla.

Vi ringrazio, intanto, per avermi seguita fino a questo punto e se volete qualche capitolo in più, ditemelo ^___^

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Premessa dell’Autrice:

E’ vero, avevo detto che era finita, però … non ho saputo resistere.

Il finale mi sembrava davvero troppo affrettato, ho ripensato a come avevo pensato inizialmente alla conclusione di questa fanfic e mi sono detto che uno sforzo per completarla degnamente avrei dovuto farlo.

Inoltre mi hanno spronata anche alcuni dei commenti e, infatti, voglio ringraziare Winterlover97, Manto e Annina_76

Penso che questo prolungamento sarà di pochi capitoli (3 al massimo, contando anche questo), quindi spero di non farvi aspettare troppo.

Grazie a tutti e buona lettura

 

 

“Tutto bene? Ci sono stati problemi?” domandò Erik, quando vide Virginia rientrare.

La giovane aveva appena fatto la spesa nel negozietto del centro abitato più vicino. Dopo che si erano allontanati dalla scuola di mutanti, Erik e Virginia avevano cercato un posto dove nascondersi e stare tranquilli in attesa che le acque si fossero calmate: Magneto era ricercato dalla NATO e da tutte le forze dell’ordine, messe in allerta dopo il suo avvistamento. Spostarsi avrebbe significato esporsi e purtroppo non avevano modo di contattare un teleporta che li aiutasse ad allontanarsi maggiormente. Avevano dunque raggiunto una zona di campagna e avevano cercato una piccola casa da affittare per poco tempo, il che fu facile: fortunatamente quei luoghi erano posti di villeggiatura estiva, disabitati in inverno e i proprietari erano ben lieti di affittarli fuori stagione, senza porsi domande sugli inquilini.

I due mutanti erano lì da un paio di settimane e ogni tanto la ragazza si recava al paese vicino per comprare i viveri, mentre l’uomo prudentemente non si mostrava.

“Tutto a posto. Non ho attirato attenzioni. Ho comprato anche il giornale.”

“Brava, qui non abbiamo né televisione, né radio e non abbiamo modo di sapere come sia la situazione.”

Erik sedette sul divano e Virginia si mise accanto a lui, aprendo il quotidiano, per leggerlo assieme. Le notizie, tuttavia, non erano di interesse per la loro situazione.

“Odio essere rinchiuso qui, senza sapere che accidenti stanno facendo Charles, l’ONU e il resto del mondo. Le notizie sono state frammentarie e il mio amico ancora non si è fatto vivo, da quando ci siamo separati a Torino. Mi sorge il dubbio che gli abbiano fatto qualcosa … che quelli della NATO non siano stati corretti e benevolenti come si sono mostrati alla scuola e che il loro intervento sia stato solo una grande ipocrisia, come temevo all’inizio. Avrei voglia di uscire e andare a vedere di persona!”

“Erik tranquillizzati” gli disse dolcemente Virginia, appoggiandogli una mano sul petto “La situazione è delicata e il professor Xavier starà agendo con tutte le cautele del caso, pazienta ancora almeno una settimana o due, prima di decidere di agire in una qualche maniera.”

“Odio non poter uscire da un posto.” fissava la parete davanti a sé, piuttosto corrucciato “Ho passato troppo tempo della mia vita prigioniero e queste situazioni non mi piacciono per nulla.”

Dopo qualche altro momento cupo, la sua durezza si sciolse, con la destra prese la mano della ragazza, mentre strinse il braccio sinistro attorno alle sue spalle e disse: “Certo questa sorta di prigionia è molto più piacevole di tutte quelle passate. Niente nazisti, niente bunker sotterranei privi di metallo … ci sono libri, giochi da tavolo e, soprattutto, buona compagnia.”

Virginia si sentì in imbarazzo e voltò il viso altrove. Erik sorrise, le arruffò i capelli e le chiese: “Sei ancora così timida? Eppure ne abbiamo passate così tante in così poco tempo … io mi sento molto legato a te. Te l’ho già detto in questi giorni, lo so, ma non capisco che cosa ne pensi tu. Abbiamo affrontato battaglie e rischiato la vita assieme almeno tre volte in meno di un mese, credo che questo ci abbia permesso di conoscerci molto rapidamente, insomma, ci siamo mostrati a vicenda punti di forza e debolezze e penso che ci siamo molto affiatati. Non me ne sono reso conto subito. All’inizio sentivo solo attrazione, voglia di passare il tempo finché non mi fossi stancato, ma poi … ti ho vista soffrire e mi sono indignato, pensando che mai la tristezza avrebbe dovuto solcarti il volto. Quando i tuoi parenti ti hanno portata via, oltre a essere preoccupato per te, mi sentivo privato di qualcosa di importante. Ti ho cercata e, trovandoti praticamente indifferente, mi sono infuriato, soprattutto con me stesso, per aver commesso l’errore di affezionarmi. Quando poi sei tornata e hai dimostrato che saresti rimasta, ho provato gran gioia in me e il desiderio di costruire qualcosa.”

“Perché mi stai dicendo tutto questo?” Virginia sembrava quasi spaventata da quelle parole.

“Perché non capisco quale sia il tuo pensiero. In passato a volte mi sei sembrata molto infiammata, ma da quando siamo qui mi pari quasi più chiusa, più distaccata. Viviamo sotto lo stesso tetto ma a volte è come se mi evitassi. Sinceramente non capisco.”

Virginia sospirò, tentò un paio di volte di parlare, ma aperta la bocca non riusciva a dire nulla. Infine si impose di rispondere: “Ho paura …”

“Di cosa?”

“Mi sembra impossibile e assurdo che tu ti senta legato a me. Insomma, tu sei tu e io sono semplicemente io.”

“Non capisco.”

“Tu sei un leader, hai seguaci, idee, progetti, hai vissuto intensamente, hai compiuto azioni uniche; insomma, non sei una persona comune. Sei speciale. Io, invece, sono una persona comune, di gente come me ne avrai conosciuta a bizzeffe e, inoltre, io ho mille paure e paranoie. Come posso io contare realmente qualcosa per te? Cosa posso offrirti? È di questo che ho timore: essere abbandonata. Non è stato facile, per nulla, lasciare la mia famiglia e ora ho paura di fare la fine di Medea. Ricordi la sua storia? Innamorata di Giasone, per aiutarlo tradisce il padre e la patria, uccide il fratello e fugge col greco solo per essere abbandonata poco dopo. Giasone ha avuto dei figli da Medea e poi l’ha messa da parte, non appena gli si è profilato un matrimonio più conveniente. Ecco io sono terrorizzata da questo: non voglio aprire il mio animo a te, non voglio amarti perché non vedo proprio come potrei meritare di essere ricambiata e davanti a me vedo inevitabile l’abbandono. Non voglio!”

Erik le mise le mani sulle spalle e la voltò verso di lei, affinché si guardassero negli occhi e le disse: “L’amore non si merita, non c’è modo di guadagnarlo: è qualcosa che sorge spontaneo. Per me è qualcosa di totalmente inaspettato: non pensavo affatto di poter amare. Tu stai dicendo che mi vedi come un personaggio speciale, come un VIP praticamente, ma io non vedo nulla di straordinario in me. A parte l’essere un mutante, ovvio, ma quello lo sei anche tu. Ho passato i primi anni della mia vita ad essere discriminato e trattato come un essere inferiore che nemmeno era degno di vivere. Ho visto gerarchi nazisti con lampade che avevano il paralume in pelle umana, pelle di ebreo. Li vedevo e sentivo dire che quella era la giusta fine per quelli come me. Sapevo che era ingiusto, che erano loro, crudeli, a sbagliare, che io e gli altri ebrei non avevamo colpe, eppure ho impiegato anni prima di sentirmi un essere umano col diritto di vivere. Non ho fatto nulla di speciale, ho vendicato il mio popolo là dove la giustizia non era arrivata. Poi ho incontrato Charles e per la prima volta ho pensato di prendermi cura dei mutanti: voglio evitare loro il mio stesso dolore. Non ho potuto fare molto però, visto che ho passato quasi tutto il tempo successivo in prigione. Sì, ho raccolto attorno a me qualche mutante, ho cercato di fare qualcosa per loro, di proteggerli dai nemici che hanno ma, sinceramente, non mi pare di essere riuscito a fare molto. Non so dove tu veda straordinarietà in me. In ogni caso, se anche fosse vera la tua opinione su di me, perché questo dovrebbe impedirmi di amarti? Tu hai praticamente detto di credere di valere molto meno di me, ma io questo non lo credo affatto. Non hai preso parte a grandi battaglie sociali o effettivamente militari, ma qual è il problema? Tu hai una cultura vasta, hai un animo sensibile e forte senso del dovere. Io ti guardo e vedo una persona a cui poter mostrare me stesso, con cui non dover essere un leader, ma su cui fare affidamento, con cui poter condividere ciò che ho dentro, il cui consiglio è importante per me. Un’amica innanzitutto, ma anche qualcuno con cui non semplicemente percorrere uno stesso cammino, ma con cui costruire una strada. Credimi: io non ti abbandonerò mai.”

Non diede il tempo alla ragazza di rispondere, Erik le prese le guance e la baciò, sulla bocca, dolcemente, schiudendo lentamente le labbra affinché quello fosse un bacio vero.

Virginia non disse nulla, ma abbracciò l’uomo, quasi a volersi aggrappare e nascose la testa sul suo petto.

Trascorsero ancora tre giorni, durante i quali la giovane, rassicurata, si era finalmente lasciata alle spalle molti timori ed era stata più spontanea e affettuosa con l’uomo. Era pomeriggio, Virginia era andata in paese sia per i viveri, ma soprattutto in cerca di notizie. Erik era rimasto nella casa, ma era finalmente riuscito a trovare un mangianastri, che non aveva la funzione di radio, ma poteva almeno far ascoltare musicassette. L’uomo sapeva che la compagna se ne era portata alcune dall’Italia, quindi ne prese una da sentire, curioso di conoscere i gusti musicali di lei. Poté apprezzare le melodie e il timbro delle voci, ma ovviamente non capì nulla di quel che dicevano. Vi fu una canzone, però, che lo colpì.

Attese che la giovane rientrasse e subito le domandò: “Potresti tradurmi il testo di una canzone? Ho ascoltato una delle tue musicassette e ce n’è una che nomina Auschwitz e vorrei sapere che cosa dice esattamente.”

“Oh, sì, certo. È una canzone di pochi anni fa, di un giovane cantautore, Guccini. Dice: Son morto con altri cento, son morto che ero bambino, passato per il camino e adesso sono nel vento. Ad Auschwitz c’era la neve, il fumo saliva lento nel freddo giorno d’inverno e adesso sono nel vento. Ad Auschwitz tante persone ma un solo grande silenzio; è strano, non riesco ancora a sorridere, qui nel vento. Io chiedo come può l’uomo uccidere un suo fratello, eppure siamo a milioni in polvere qui nel vento. Ancora tuona il cannone, ancora non è contenta di sangue la belva umana e ancora mi porta il vento. Io chiedo quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare e il vento mi poserà.

Erano entrambi commossi, con gli occhi lucidi.

Erik, poi, le chiese se potesse scrivergli le parole della canzone su un foglio: voleva ricordarsele, voleva poterle leggere con calma, rifletterci su; gli ispiravano tantissimi pensieri e riflessioni e dunque voleva poter ragionare con calma.

Quella sera, mentre i due stavano cenando, udirono una voce nelle loro teste.

“Erik, Virginia, mi sentite?”

Era Charles che finalmente li contattava.

“Sì, ti sentiamo.” rispose l’uomo “Perché non sei venuto? Avrei preferito vederti di persona. Tuttavia, se ci parli a lunga distanza, significa che stai usando Cerebro e dunque sei sano e salvo alla tua scuola.”

“Esatto. Anch’io avrei preferito essere lì, ma per la tua sicurezza e la mia credibilità è meglio parlarci così. L’ONU non è convinta ch’io non abbia contatti con te e che non ti stia aiutando nella latitanza, quindi temo che spiino i miei spostamenti.”

“Molto confortante avere alleati che non si fidano di te.”

“Già, ma non hanno tutti i torti, visto che io effettivamente ti sto proteggendo. Davvero, non voglio rischiare che tu venga trovato.”

“L’idea di nascondermi per il resto della mia vita non mi piace, però.”

“Troveremo una strada, pian, piano.”

“Non potresti mandarci il teleporta? Almeno potremmo raggiungere uno dei miei rifugi.”

“Per il momento è più prudente che nessuno di noi sappia dove ti trovi. Non conosco i loro mezzi e le loro risorse, ma siamo in una fase delicata e decisiva per lo sviluppo dei rapporti tra umani e mutanti e non possiamo permetterci errori. Se ci fosse il minimo indizio del fatto che io ti aiuto, rischieremmo di mandare a monte tutta la diplomazia. Erik, credimi, mi dispiace tantissimo. Io vorrei averti al mio fianco in questo momento, avere il tuo supporto e il tuo aiuto, ma sei un ricercato a livello mondiale e all’ONU sei visto come un pericoloso criminale.”

“Capisco, Charles, non ti preoccupare. La salvaguardia dei mutanti è più importante. Noi ce la caveremo lo stesso. Piuttosto, dimmi come hai intenzione di procedere, come funzionerà la tua campagna di sensibilizzazione dell’ONU.”

“Al momento è stata aperta una sorta di commissione che si occupa di capire cosa significhi esattamente essere un mutante e avranno vari incontri con i miei studenti, dentro e fuori la scuola, per comprenderli meglio. Io, Hank e Raven, invece, viaggeremo per incontrare capi di stato e autorità per cercare di mostrare a tutti quanti la nostra buona fede e spronarli a prendere una posizione. Pensa che una delle prime tappe, già qui in dicembre, sarà un’udienza dal Papa, beh non sarà solo un incontro, ci fermeremo a Roma qualche giorno. Più avanti vedremo anche il Dalai Lama. Se riusciamo avere l’appoggio dei cattolici e dei movimenti new age, direi che siamo a buon punto del lavoro di integrazione.”

“Sei il solito ottimista. Piuttosto, che fine ha fatto il maggiore Stryker? È stato arrestato? Verrà processato? I suoi crimini sono emersi? Perché i giornali non ne parlano?”

“In realtà, Stryker è fuggito. È stato accusato di crimini contro l’umanità, ma non lo hanno ancora arrestato. Lo stanno cercando. Pare che abbia una base segreta, forse laboratorio, in Canada ma deve essere ancora individuato.”

“Charles, secondo te, se io riuscissi a catturare Stryker e a consegnarlo, l’ONU potrebbe rivedere la sua opinione su di me?”

“Ad essere franco, non lo so. Penso che possa essere possibile, dimostrerebbe la tua volontà di collaborare col sistema … però, mi raccomando, dovresti consegnarlo a loro e non ucciderlo, facendo giustizia per conto tuo.”

“Ho capito. Penso che farò di tutto per scovare quel bastardo. Che l’ONU sarà o non sarà riconoscente, poco importa: i suoi esperimenti devono finire, lui deve essere punito e io non posso starmene con le mani in mano.”

“Ti auguro buona fortuna, allora, amico mio.”

“Grazie, Charles. Spero di poter presto prendere posto anch’io al tavolo delle trattative.”

“È un piacere e una sorpresa sentirtelo dire.”

“Non voglio che tu sia troppo molle e accondiscendente con gli umani.”

La conversazione non proseguì molto di più, se non per i saluti e poco altro. Erik era molto concentrato sul fatto di dare la caccia a Stryker. Dopo aver ragionato su alcune cose, disse a Virginia: “Non ho intenzione di fare affidamento sui miei compagni mutanti in questa occasione. Non voglio metterli in pericolo. Non vorrei nemmeno mettere in pericolo te ma non vorrei nemmeno lasciarti sola, né io stare senza di te per chissà quanto tempo. Dimmi tu cosa preferisci fare, quale che sia la tua decisione, avrò un motivo per essere lieto e uno per rattristarmi.”

“Voglio combattere, voglio seguirti. Credo che il mio aiuto potrà servire e, comunque, non voglio essere la donna che resta a casa in pena per il compagno in guerra, bensì voglio lottare assieme a te.”

“Grazie e che il fato conservi entrambi in vita.”

“Già, speriamo … Piuttosto, pensiamo un po’ a come muoverci. Tu sei sempre ricercato e non abbiamo un mezzo di trasporto e il Canada, oltre che lontano, è il secondo stato più grande del mondo. Idee?”

“Beh, sono quasi tre settimane che non mi faccio la barba, proprio pensando a un’evenienza come questa. Dovresti procurati, in città, tinta per capelli e lenti a contatto colorate. Spero basti, purtroppo non sono né un mutaforma, né un telepate.”

“Dovresti anche cambiare look.”

“Perché?”

“Beh, suppongo che se tu ti vestissi da freakettone o hippie o qualcos’altro di completamente diverso dal tuo carattere, sarebbe più difficile che ti riconoscano, proprio perché non si aspettano di trovarti in un contesto del genere e quindi non ti osserveranno più di tanto.”

“Giusto, però niente moda hippie: rischieremmo di essere fermati e perseguitati dalle forze dell’ordine comunque.”

“È vero. Qualche idea su quale stile adottare?”

“Non una corrente particolare, semplicemente moda giovanile attuale. Io di solito ho uno stile sobrio, tendente all’elegante, poco americano, con colori neutri. Ci vuole qualcosa che sia l’opposto e anche tu dovrai seguire lo stile di qui odierno, non possiamo mostrarci stonati.”

“D’accordo, faremo una bella trasformazione, sarà divertente. Per spostarci, invece? Non possiamo rubare un’auto, avremmo la polizia che ci cerca.”

“Usiamo treni e autobus fino a Smith Falls, che è già oltre il confine, ma a meno di settecento chilometri. Spero che una mia vecchia conoscenza abiti ancora lì, potrà fornirci un’automobili e forse qualche altro aiuto.”

“Il Canada è veramente enorme! Possibile che il professor Xavier non possa usare i suoi poteri per trovare questo Stryker?”

“Sono certo che Charles abbia tentato di usare Cerebro, ma che qualcosa abbia interferito. Potrebbe essersi procurato un elmetto come il mio.”

“Non lo trova il telepate più potente, non lo trova la NATO, come potremmo trovarlo noi?”

“Qualcosa ci verrà in mente … anzi, un’ideuzza già ce l’ho. Spero solo che la base che cerchiamo non sia quella priva di metallo, pensata per ingabbiare me.”

“Cosa stai architettando?”

“Semplice: con la giusta concentrazione posso individuare qualsiasi struttura di metallo, anche nascosta. Devo solo percepire il metallo e capirne la quantità, la concentrazione, il luogo …”

“Insomma, un misto tra un radar e un metaldetector.”

“Più o meno.”

“Posso fare una battuta pessima?”

“Se proprio devi …” Erik sorrise, curioso.

“Come stile di vestiti, potremo optare per il genere fan di musica metal.”

“No, è un genere ancora poco affermato.”

Erik e Virginia continuarono a confabulare circa il come organizzare quella spedizione. Il giorno dopo, la ragazza si recò in città e comprò tutto ciò di cui avevano bisogno. Avevano deciso di partire il mattino seguente, poiché speravano che il mescolarsi tra la folla li avrebbe aiutati. Il viaggio fu piuttosto lungo tra cambi di treno e di autobus, ma per fortuna si svolse senza destare nessun sospetto e in poco meno di ventiquattro ore riuscirono a raggiungere Smith Falls.

Appena giunti in città, Erik cercò un elenco telefonico e una cabina per poter chiamare il suo vecchio conoscente: era un mutante anche lui e quindi Magneto era certo che non lo avrebbe tradito, consegnandolo all’ONU.

Per fortuna l’uomo abitava ancora là, fu sorpreso nel sentirsi contattato, ma ne fu lieto e, molto gentilmente, andò a prenderli in stazione, li portò a casa sua e li fece rifocillare, infine chiese che cosa fossero andati a fare.

Il mutante, di nome Caleb, si era presentato imbacuccato da capo a piedi, non solo con un lungo cappotto e un grosso cappello, ma anche con guanti a manopola e una sciarpa che gli copriva perfino il naso, lasciando intravedere solo gli occhi: eppure non faceva troppo freddo. Arrivati nell’abitazione, però, fu chiaro anche a Virginia il perché l’uomo si fosse vestito in quel modo: la mutazione aveva dato a Caleb l’aspetto simile a quello di un rettile, la sua pelle era squamosa e verdognola, le mani erano palmate, la lingua lunga e biforcuta.

Erik riferì a grandi linee tutto quanto e spiegò la sua idea per rintracciare la base di Stryker.

“Conta pure su di me, Magneto, lo sai che quando c’è da dare una lezione a chi fa del male ai mutanti, io mi schiero subito. Signorina, non mi fraintenda, non sono un attaccabrighe, mi piace la mia tranquillità, ma se posso aiutare a evitare qualche ingiustizia, lo faccio volentieri.”

“Lei come vive qui? Nasconde il suo aspetto, mi pare di aver capito.” osservò Virginia.

“Quando devo andare in qualche posto che solitamente non frequento, sì mi copro il più possibile, ma in altre occasioni no. Ho convinto la gente che conosco di essere affetto da una di quelle malattie genetiche rare, un po’ da fenomeno da baraccone. Certo ci sono gli imbecilli che mi evitano o mi offendono, ma sinceramente me la rido di loro. Ho comunque buoni amici che si sono abituati al mio aspetto; mi vogliono bene per la mia simpatia e perché produco il whisky più buono di tutto l’Ontario.”

Erik intervenne: “Il fatto che tu sia costretto a definire la tua mutazione una malattia e a nascondere i tuoi poteri, la dice lunga su come si possa sperare nell’integrazione che auspica Charles. Va beh, non parliamone, preoccupiamoci di Stryker e basta.”

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Non fu affatto facile trovare la base di Stryker. Erik, infatti, non aveva considerato quante strutture con parti metalliche esistessero, anche a livello sotterraneo. Presto decisero di limitare le ricerche nei luoghi ritenuti disabitati, in questo modo sarebbe stato più semplice individuare basi segrete. Il territorio era comunque molto vasto e dovettero viaggiare diversi giorni, fino ad arrivare nella zona dell'Alberta, prima di trovare qualcosa.

Era una regione molto fredda, con boschi di conifere e neve, c'era anche una diga per contenere un impetuoso fiume. L'occhio non scorgeva nulla, ma Magneto poteva sentire le tubature, i portoni pesanti, i computer, le armi e ogni altra traccia di metallo che si nascondeva all'interno della montagna.

“Sei certo che il posto sia questo?” domandò Caleb spaesato “Non voglio certo mettere in dubbio le tue capacità, però, a parte la diga, qua sembra proprio ci sia solo la natura.”

“Quella diga nasconde molto.” rispose Magneto, imperturbabile “Quel che non posso sapere è se là dentro c'è Stryker. Pensiamo a come procedere.”

L'altro uomo disse: “Dobbiamo stare ben attenti a non fare troppi danni o rischiamo che la diga si rompa e finiamo tutti a salutare i pesci. Purtroppo io sono solo rettile e non anfibio, quindi nemmeno io sopravvivrei.”

Virginia intervenne: “Io posso manipolare l'acqua, ma non credo di poter fare molto in un'eventualità del genere. Caleb, tu cosa sei in grado di fare esattamente?”

“Con la mia mutazione posso rigenerarmi, ho una forza notevole e posso sparare dalle mani degli aculei velenosi, ma ne ho un numero limitato a disposizione: dieci in tutto, poi devo farmi una bella dormita per riformarli. Ad ogni modo so combattere, Magneto lo sa bene.”

Erik riprese: “Dobbiamo essere rapidi e diretti, arrivare al centro il prima possibile. Una volta che sarà dato l'allarme e che scatteranno i protocolli di sicurezza, per noi la situazione sarà più difficile. Niente perdite di tempo, bisognerà eliminare i soldati che ci verranno addosso senza troppo estro.”

La donna gli disse: “Ricordi quello che ha detto Xavier? Sarebbe meglio limitare il più possibile i morti.”

Magneto sbuffò e ribatté: “Neutralizzare soldati, che ti vogliono uccidere, senza ammazzarli, è pericoloso per noi ed è lentezza. Io potrei usare il ferro per legarli, tu non lo so: se hanno uniformi ignifughe come gli altri, non potrai rinchiuderli in cerchi di fuoco. Con l'acqua potresti al massimo bloccare loro mani e piedi nel ghiaccio, ma non credo molto altro. Caleb, invece, sarebbe praticamente inattivo.”

Il mutante rettile disse: “Non ti preoccupare. Voi aprite la strada, io vi coprirò le spalle, colpendo chi vi sfugge.”

Erik annuì e li spronò: “D'accordo. Siamo in tre, non conosciamo il posto, ignoriamo le loro forze ... non possiamo elaborare un piano più dettagliato, quindi andiamo e mostriamo loro cosa possono i mutanti.”

“E uno per tutti e tutti per uno!” esclamò Virginia, per poi aggiungere: “Nessuno ha letto i tre moschettieri? Ci stava bene come citazione.”

Si avvicinarono rapidamente, Erik aveva individuato delle telecamere vicino all'entrata, le staccò di netto coi suoi poteri e poi scardinò il portone senza difficoltà. Tutti e tre corsero nel corridoio per un paio di centinaia di metri, prima di imbattersi nel primo manipolo di soldati. Magneto usò il loro stesso equipaggiamento per bloccarli: trasformò le loro armi in un flusso di metallo che li attaccò al muro prima di risolidificarsi. I soldati successivi ebbero in parte il medesimo trattamento, mentre altri si ritrovarono immersi nel ghiaccio fino alle spalle. Soltanto dopo Virginia si sentì in colpa, teme do potessero morire assiderati.

Raggiunsero finalmente l'area più centrale della base, sembrava composta da celle e laboratori. Ciò fece adirare sia Erik che Caleb, infatti non si preoccuparono molto della vita dei successivi soldati.

Non sapevano bene dove dirigersi, non riuscivano ad individuare dove potesse trovarsi Stryker. Si fermarono per osservare meglio, decisero di separarsi per un paio di minuti per esplorare i corridoi che partivano dalla stanza in cui si trovavano.

Diedero rapide occhiate per poi ricongiungersi subito: non volevano rischiare di trovarsi da soli di fronte a chissà quali nemici.

“Avete notato?” chiese Virginia, raggiungendo gli altri due “Sembra che questa base non sia ancora operativa. È come se avessero approntato tutto, ma che debba ancora entrare in funzione.”

“Il fatto che sia ancora inutilizzata è una consolazione a metà.” commentò Erik.

Caleb si intromise: “Penso di sapere dove avere risposte. In fondo al mio corridoio ho trovato una scala che sale e mi pare che l'intonaco e l'arredamento siano più da ufficio, piuttosto che da laboratorio.”

Stryker dev'essere là, barricato, suppongo. Prepariamoci, il grosso dei soldati deve trovarsi lì, quindi ci sarà da combattere duramente.”

Agguerriti, i tre mutanti salirono le scale e si trovarono in un altro corridoio pieno di soldati che aprirono il fuoco immediatamente. Magneto si preoccupò di deviare le pallottole, rispedendole al mittente quand'era possibile. Virginia usava dei getti d'acqua per sbalzare via gli uomini. Caleb aveva strappato un fucile d'assalto a uno dei nemici e aveva iniziato a sparare contro gli altri.

In breve sgomberarono il corridoio e raggiunsero la stanza che i soldati stavano proteggendo. Appena scardinata la porta, Magneto sradicò le tubature dalle pareti per attorcigliarle attorno ai soldati. Vi erano, però, anche degli uomini che sembravano funzionari, in giacca e cravatta. Erano tuttavia armati pure loro e avevano già gli indici suoi grilletti. Caleb, rimasto senza munizioni, ricorse ai propri aculei velenosi e li scagliò contro quei cinque uomini.

L'effetto del veleno non era immediato e impiegava alcuni minuti per uccidere. Erik ne approfittò e disse: “Dov'è Stryker? Il primo che me lo dice, riceverà l'antidoto.”

Gli uomini, spaventati, iniziarono a parlare, sovrapponendosi l'uno all'altro. Fu chiaro però il concetto: Stryker aveva lasciato la base da due giorni, aveva radunata la sua speciale squadra d'azione e si era diretto a Roma, il suo obbiettivo: catturare il professor Charles Xavier.

Ovviamente i cinque uomini non ebbero salva la vita dal momento che non esisteva un antidoto a quel veleno.

“Cerchiamo prove per dimostrare che quel che hanno detto sia vero.” ordinò Erik.

“Non ti fidi?” si stupì Caleb “A me parevano alquanto sinceri.”

“Sì, ma voglio che l'ONU sia informata. Andrò a salvare Charles e non voglio rischiare che le mie intenzioni vengano fraintese e che quelli si intromettano dalla parte sbagliata. Caleb, fruga ovunque: archivi cartacei e anche in quei computer, non si sa mai. Virginia, aiutami, liberiamo i soldati immobilizzati e diciamo loro che si allontanino alla svelta se vogliono vivere: voglio distruggere questo posto.”

“Perché?” si stupì la  ragazza “La NATO dovrebbe vederla e ...”

“Preferisco evitare che si impossessi di queste apparecchiature, non vorrei che le usassero loro.”

Dopo aver liberato i soldati stretti dalle tubature, Erik e Virginia uscirono dalla stanza, scavalcarono i corpi nel corridoio e scesero le scale.

La donna chiese: “Li salverai davvero i soldati sopravvissuti finora? O è come la promessa fatta ai tizi là dentro?”

“Quegli uomini erano ormai già morti ed erano gli unici a poterci dare delle informazioni. Pensi che queste guardie sappiano dove sia Stryker? Dovevo ottenere quelle informazioni, non mi sentirò in colpa per aver mentito.”

Rimasero in silenzio, finalmente raggiunsero gli altri soldati bloccati e pian, piano li liberarono. Quelli si stupirono di essere stati graziati e si allontanarono rapidamente e felici. I due mutanti non si erano parlati durante quella operazione, ma prima di tornare da Caleb, Virginia domandò: “Sei molto preoccupato per Xavier, vero?”

Erik, il cui volto era bloccato in una delle sue espressioni più severe e cupe, rispose: “Sì. Non posso pensare che facciano del male a Charles. Lui è pacifico, diplomatico, la persona meno minacciosa che conosco, eppure quel dannato Stryker se la sta prendendo con lui! Non posso pensare a una pacifica convivenza con gli umani, se c'è chi se la prende con chi li ha sempre difesi. Stryker, prima con Trask e ora da solo, ha spezzato la vita di molti mutanti e non lo perdonerò mai per questo, ma Charles non lo deve toccare. Se succede qualcosa al mio amico, Stryker si augurerà la morte, piuttosto che cadere in mano mia.”

“Non avevo capito quanto fossi legato a Xavier. Avevo visto che eravate molto amici, cosa che non sospettavo affatto, prima di conoscervi. Dopo lo sventato attentato a Nixon, per come vi mostravano le televisioni, si sarebbe detto che tu e il professore foste nemici, infatti mi sono parecchio meravigliata quando ho scoperto che non era così. Adesso mi pare di capire che il vostro affetto sia molto profondo.”

“Sì. Nonostante il periodo trascorse assieme sia esiguo, io credo che Charles sia il mio migliore amico e di esserlo io per lui. Lo dico perché io sono l’unico che lui tratti come una persona alla pari e non con il rapporto professore-allievo con cui ormai tratta tutti; pensa che si ostina a dire di avere cresciuto Raven, quando lei ha appena un paio d’anni in meno di lui. Il fatto è che una volta avevamo un obbiettivo comune, ancora non ci eravamo resi conto che volevamo perseguirlo tramite strade ben diverse, abbiamo iniziato a costruire qualcosa. Abbiamo cercato mutanti, li abbiamo addestrati, abbiamo partecipato a missioni … tutto in pochissimo tempo, eppure è bastato per consolidare un legame profondissimo. Dopo l’aver perso tutta la mia famiglia, non ho più istaurato veri legami affettivi; in orfanatrofio e poi fuori frequentavo la gente che trovavo simpatica, ma senza affezionar mici, senza darvi importanza se mi stufavo di loro o i fatti mi portavano altrove, mi separavo senza difficoltà, di molti di loro non ricordo né i nomi, né le facce. Prendevo dagli altri quel che mi faceva comodo al momento e poi addio, insomma, li sfruttavo; anche perché avevo in mente solo la vendetta, del resto nulla mi importava. Conoscere Charles è stato diverso. Sì, inizialmente volevo solo il suo aiuto per trovare Shaw, ma poi ho iniziato a non vederlo più come un mezzo per ottenere qualcosa. Ho dato importanza a lui come persona e non a ciò che poteva fare per me.” si percepiva la fatica di Erik nel parlare di ciò “Gli sono diventato amico. È come un fratello per me, quindi al diavolo le divergenze di opinione.”

“È bello avere amici di questo genere, sono molto rari e i migliori.” osservò Virginia, poi si mise di fronte all’uomo, gli appoggiò le mani sul petto e gli disse: “Farò qualsiasi cosa per aiutarti a salvare il tuo amico.”

Erik le sorrise, poi la baciò. Virginia ricambiò, serenamente. Si era ormai abituata a quei baci che ogni tanto riceveva dall’uomo e ne era felice. La prima volta che le loro labbra si erano toccate, lei si era sentita tremare da capo a piedi; l’emozione aveva fatto vibrare tutto il suo corpo e un’agitazione mai provata prima l’aveva animata per diverse ore, aveva avuto in mente solo quel prima bacio e tutto il resto del mondo le era sembrato confuso. Superato quello scombussolamento iniziale, però, si era tranquillizzata e nei giorni successivi aveva accolto ogni bacio serenamente.

“Grazie” le disse Erik “Conosci appena Charles, eppure dici di essere pronta a tutto per salvarlo.”

“È naturale, se lui è importante per te, allora lo è anche per me. Hai sofferto già molto nella vita, farò tutto il possibile per evitarti altri dolori: non li meriti. Meriti di avere amici, qualcuno che ti ami e che voglia il tuo bene, una vita dove non ci sia solo violenza.”

“La violenza è nella mia vita, non so immaginare un’esistenza senza lotta.”

“C’è differenza nel combattere per odio, vendetta e distruzione, dal combattere per giustizia e per costruire qualcosa. Le stesse guerre hanno nobiltà differenti per chi le affronta con rabbia e chi col desiderio di rinascita. Erik, ho capito che tu sei un guerriero e non cercherò di cambiarti, vorrei solo aiutarti a capire che la tua tempra e le tue abilità possono essere alimentate anche da altro, oltre che dal nero fuoco che ti ha consumato finora. Tu credi di essere caratterizzato dall’odio e dalla vendetta, di perdere te stesso se le accantonerai. Io ritengo che in te ci sia molto di più che tu possa trovare sentimenti più nobili e benefici per muovere la tua lotta. L’odio che domina il tuo animo ha bisogno del tuo dolore per alimentarsi e quindi ti costringerà a soffrire, a lasciare sempre aperte le tue ferite e impedirti di crescere. Tu puoi trovare in te risorse molto più potenti e che non si nutrano delle tue sofferenze.”

Erik rimase sorpreso da quelle parole: aveva sempre pensato che la vendetta avrebbe spento il suo dolore e, invece, una volta ucciso Shaw, il suo odio aveva cercato qualcun altro, gli umani, verso cui indirizzarsi. Effettivamente si rendeva conto che, oltre la sua facciata di severità e sicurezza, ardeva un fuoco che sferzava il suo animo e lo spingeva a cercare ristoro nello sfogare la propria rabbia su quelli che riteneva nemici. A volte era come se fossero quell’odio e quel dolore a scorrergli nelle vene al posto del sangue.

Anche Charles gli aveva detto che in lui c’era altro oltre che la sofferenza e l’ira; lui però non lo aveva ancora trovato. Forse aveva paura di scoprire che cosa ci fosse, forse temeva che, spento quel fuoco nero, non avrebbe trovato altro che cenere, forse credeva di smarrirsi, di perdere la propria forza, la ragione di vita.

Trovandosi di fronte a Virginia, però, sentiva che forse c’era davvero qualcosa di più in lui, che forse poteva davvero nobilitare la propria lotta. In quel momento, più di ogni altro passato, voleva scoprire se davvero c’era altro, oltre che rabbia, in lui.

Non disse tutto questo alla ragazza, si limitò a osservare: “Sai, anche Charles dice che c’è pure del bene in me, dice di averlo sentito. Lui, però, è un telepate, ha frugato nella mia mente. Tu come puoi dirlo?”

“Non lo so. Semplice sensazione, intuito. Abbiamo viaggiato assieme e ho visto che hai mostrato preoccupazione per le sorti degli altri, sete di giustizia, questi sono sentimenti che vanno oltre la vendetta. Inoltre tutti le persone nascono con gli stessi sentimenti, istinti ed emozioni, i casi della vita, l’educazione e le circostanze esaltano alcuni aspetti piuttosto che altri in ciascuno di noi, ma non cancellano quelli inutilizzati. Restano lì, in attesa di essere risvegliati. Si può sempre cambiare, si può sempre scegliere che cosa essere. Non siamo vittime degli eventi, siamo padroni del nostro destino. Certo, non possiamo scegliere ciò che ci accadrà, ma possiamo decidere come reagire e come farci influenzare.”

“Mi stupisci. Sono parole piene di speranza, quasi di amore per la vita … sono dissonanti dall’atteggiamento di disincanto e delusione che mi hai mostrato finora, soprattutto in medio oriente.”

“Hai ragione, ma prima ero rassegnata al destino che mi era imposto dalla famiglia, mi sforzavo di avere una visione delle cose che meglio mi  permettesse di adattarmi a ciò che mio padre e i miei fratelli volevano. Da quando ho deciso di fuggire, mi sento più libera, più padrona di me. Certo non mi aspetto rose, fiori e fiumi di latte e miele, ma mi sento meno scoraggiata. Penso che il disinteresse per il mondo dimostri una gran paura di fallire. Ce l’ho ancora, ma cerco di superarla. Non voglio restare in panchina per tutta la vita, giacché sono qui, tanto vale giocare. Ricordi quando ti parlai dello zoroastrismo? Per loro ogni uomo e donna è chiamato a combattere o per Oromaze o per Arimane, l’ignavia non piace a nessuno. Ho deciso quindi di cambiare, di lasciare meno le cose al caso e prendermi più responsabilità, senza nascondermi dietro alla scusa che le cose sono sempre andate male e sempre rimarranno tali.”

“Brava, mi piace la tua propositività. Mi piace quando sei solare. Nei tuoi momenti malinconici mi hai mostrato una sensibilità profonda che mi ha colpito parecchio, ma quando sei di buon umore, sembra che tu possa fare qualsiasi cosa.”

“Oh … grazie …” la giovane si sentì in imbarazzo “Pensa, allora, a quel che potresti fare tu, se trovassi il tuo lato positivo, orientale.”

“Orientale?”

“Sì, da un punto di vista metaforico, non geografico. L’occidente è il luogo del tramonto e della morte, l’oriente è il sorgere del Sole e della vita.”

Erik tacque alcuni momenti, poi cambiò argomento: “Torniamo da Caleb, forse sarà preoccupato e, in ogni caso, sarà bene aiutarlo a setacciare la documentazione.”

Ritornarono dall’amico e frugarono assieme a lui in varie stanze, trovarono cartelle piene di progetti, annotazioni sui mutanti, libri contabili, ma nulla che parlasse dell’idea di Stryker di rapire Xavier, durante il suo periodo a Roma.

“Dannazione!” esclamò Magneto, dopo ore di inutile ricerca “Oggi che giorno è? Il 16 dicembre? Charles è già a Roma, è già in pericolo, anzi potrebbe essere già stato preso e non abbiamo modo di avvertirlo!” ogni oggetto metallico nel raggio di qualche decina di metri si stata contorcendo; l’uomo poi si calmo e con fredda lucidità disse: “Virginia, usa il fuoco per aiutarmi a distruggere questo posto; dopo tu e Caleb raggiungerete la scuola di Charles e riferirete tutto ad Hank o Raven o Havoc o chiunque altro abbiano lasciato a gestire le cose lì. Io, invece, andrò a New York, al Palazzo di Vetro, e riferirò di Stryker all’ONU.”

“Cosa?!” esclamò la donna “Ti arresteranno!”

“Pazienza, se serve ad evitare che Charles cada nelle mani di Stryker, lascerò che mi arrestino.”

“Possiamo andare noi a parlare con quelli dell’ONU.” ribatté la giovane.

“Non vi riceverebbero, non siete conosciuti e, inoltre, non abbiamo trovato alcuna prova: è solo la vostra parola, non verreste ascoltati. Se mi presento io, invece, dovranno credermi: insomma, se mi metto in mano loro pur di farmi ascoltare, non potranno dubitare della mia parola.”

“Allora solo Caleb andrà alla scuola” dichiarò Virginia “Io vengo con te.”

“Ti crederanno una mia complice e arresteranno anche te, non voglio che ti accada.”

“Voglio esserti vicino in un momento così delicato, anche a costo di rimetterci, non ti lascio solo.”

Quelle ultime quattro parole furono come un lungo e delicato soffio che ravvivò delle braci sotto la cenere nell’animo di Erik.

L’uomo mosse le labbra in un lieve sorriso, di cui forse neppure si accorse, e si limitò a dire, quasi in un sussurro: “Grazie.”

Decisero dunque come agire. Magneto distrusse ogni cosa metallica fosse presente nella base, dalle apparecchiature, alle porte, mentre Virginia diede fuoco dapprima ai documenti e poi a tutte le stanze, man mano che si avviavano verso l’uscita. Furono fuori dalla struttura sani e salvi, prima che l’incendio sfuggisse al loro controllo. Avevano controllato se per caso ci fossero mezzi di trasporto in un qualche garage o hangar e avevano trovato alcuni fuoristrada, ne avevano portato fuori uno, prima di distruggere tutto. Caleb recuperò la propria automobile e partì alla volta della scuola per mutanti, mentre gli altri due usarono il mezzo rubato per raggiungere New York.

Viaggiarono per tutta la notte, fermandosi solo per fare benzina, per fortuna il veicolo poteva raggiungere grandi velocità. Arrivarono al Palazzo di Vetro attorno alle 7 del mattino, proprio quando stava aprendo.

Tutti i funzionari si stupirono nel vedere Erik Leinsher fare il proprio ingresso e lo stupore fu ancora maggiore quando non li aggredì.

“Devo parlare al più presto con qualcuno che abbia potere decisionale.” esordì il mutante a gran voce.

Si fecero avanti delle guardie, armate di pistole di plastica, costruite apposta per affrontare Magneto; uno disse: “Signor Leinsher, la devo dichiarare in arresto. Si arrenda e sollevi le mani sopra la testa, in caso contrario apriremo il fuoco.”

Erik alzò le braccia, dicendo: “Io mi consegno, ma devo assolutamente parlare con urgenza a qualche membro dell’ONU e non a semplici impiegati o burocrati. Per favore, ho delle informazioni che riguardano la sicurezza del professor Xavier, fatemi parlare con qualcuno, non fatemi pentire di non aver agito da solo.”

La guardia non disse nulla, ma si avvicinò al mutante e lo ammanettò. Viriginia, allora, si fece avanti e ribadì: “Vi prego, dobbiamo informare …”

“Stia indietro, signorina, non si immischi. Anzi, ci fornisca le sue generalità, dobbiamo controllare chi è lei.”

La giovane mostrò i documenti e continuò a ribadire che era necessario che parlassero con qualcuno e così ripeteva anche Erik che venne portato in una stanza, in attesa che arrivassero soldati NATO a prenderlo in consegna. Nel frattempo erano stati avvisati alcuni membri dell’ONU, residenti a New York che subito giunsero per capire come gestire la cattura di Magneto. Sentendo l’insistenza con cui veniva chiesta un’udienza, si decisero, infine, ad ascoltare l’uomo e la giovane.

Trovatisi sei membri dell’ONU e i due mutanti nella stessa stanza, con le guardie a sorvegliare, finalmente Erik poté rilasciare le proprie dichiarazioni: “Il maggiore Stryker ha intenzione di rapire il professor Xavier, durante la permanenza a Roma.”

“Impossibile. In Italia sono quasi le 13 e la delegazione ONU con Xavier sta per lasciare Roma alla volta di Teheran, proprio in questi minuti.”

“Allora avrà rimandato, ma dovete credermi: Xavier e chi lo accompagna sono in pericolo.”

“Ha qualche prova di ciò? Lettere? Documenti? Un’intercettazione? Testimoni?”

“No.”

“Allora non vedo perché dovremmo ascoltare le parole di un criminale come lei.”

“Sono venuto qui, ben sapendo che sarei finito in prigione, di nuovo, solo nel tentativo di fare del bene, di nuovo; l’ho fatto per la salvezza di Charles … e degli altri uomini, perché dovrei farmi arrestare e mentire?”

“Non lo so che cosa accade nelle vostre menti contorte.”

In quel momento, entrò nella stanza un segretario che, accendendo il televisore, esclamò: “Guardate che cosa sta accadendo all’aeroporto di Fiumicino!”

Un’edizione speciale di un telegiornale stava mostrando le immagini di un commando armato che stava combattendo ad un terminal d’aeroporto. Il giornalista raccontava: “Pochi minuti fa un gruppo di terroristi ha provocato un attentato all’aeroporto di Roma. Il loro obbiettivo erano alcuni passeggeri, non ancora identificati. Il commando pare composto da una decina di uomini che, armati di fucili mitragliatori e granate, nascosti nel bagaglio a mano, le hanno estratte al terminal e hanno aperto il fuoco, uccidendo due persone. Successivamente, hanno fatto irruzione in un aereo della Pan Am in partenza per Beirut-Teheran, rimasto a terra per un leggero ritardo, e hanno prelevato diversi ostaggi, prima di abbandonarlo lasciando esplodere al suo interno due bombe incendiarie al fosforo. Il numero dei morti non è sicuro, ma si aggira attorno alla trentina, tra le vittime anche una bambina di nove anni. I terroristi hanno sequestrato un altro aereo della Lufthansa, portandovi a bordo gli ostaggi. È stato ucciso anche Antonio Zara, militare della guardia di finanza, che ha tentato di fermare, da solo, i terroristi sulla pista. Al momento ignoriamo chi e perché abbia voluto questo sequestro e questo massacro. Si attendono rivendicazioni e richieste di riscatto. Per il momento è tutto, vi aggiorneremo con gli sviluppi, non appena giungeranno notizie.”

Spensero la televisione. I sei membri dell’ONU si scambiarono occhiate preoccupate e piene di imbarazzo.

Erik, con una voce fremente per la rabbia, domandò: “Charles era su quell’aereo?”

Virginia, che avendo la fedina penale pulita era ancora libera, appoggiò una mano sulla spalla dell’uomo e gli disse dolce ma severa: “Erik, calma. Anche se questi uomini ti avessero creduto subito, non avrebbero potuto fare nulla per evitare quanto accaduto. Adirarsi, adesso, non serve a nulla. Pensiamo a cosa fare ora per risolvere la situazione.”

Quelle parole parvero placare davvero Magneto che, con tono più pacato, propose agli uomini che aveva davanti: “Permettetemi di organizzare una piccola squadra d’azione per salvare chiunque si trovi prigioniero su quell’aereo, suppongo che ci siano anche dei vostri uomini.”

I sei si guardarono, sentendosi in difficoltà, infine uno di loro  si limitò a dire: “Leinsher, lasciaci il tempo di capire esattamente la situazione e di consultare il consiglio, non possiamo prendere da soli una simile decisione. Inoltre, suppongo tu voglia qualcosa in cambio, per il tuo aiuto.”

“No. Voglio salvare il mio amico e nessuno dei vostri eserciti può farlo. Sono disposto a promettere che mi riconsegnerò a voi, una volta risolta la faccenda, pur di prendere parte a questo salvataggio. Stryker non chiederà un riscatto per Xavier, nel migliore dei casi lo torturerà con esperimenti, nel peggiore troverà il modo per usare le sue capacità come un’arma.”

“Lo terremo a mente.”

I sei uomini uscirono dalla stanza, rimasero fuori meno di un’ora, ma quell’attesa fu interminabile per Erik e Virginia. Infine entrarono nella stanza molti più uomini di quelli che erano usciti e uno di loro cominciò a parlare: “Abbiamo fatto accertamenti ed è risultato che, effettivamente, l’autore dell’attentato a Fiumicino sia Stryker coi suoi uomini. Oltre all’equipaggio dell’aereo che ha rubato, ha rapito il professor Xavier e i diplomatici ONU che lo accompagnavano. È un errore e un imbarazzo che non possiamo permetterci, stiamo lavorando per far ricadere la colpa sui palestinesi. Abbiamo deciso di accordarle il permesso di scegliere gli uomini che riterrà più adatti per risolvere questa incresciosa situazione. Se davvero riuscirà a sistemare le cose, senza che nessun ostaggio muoia, come segno di gratitudine faremo cadere tutte le accuse contro di lei e non sarà più un ricercato.”

“Quand’è così, farò ancor  più del mio meglio. Charles viaggiava da solo? Non c’erano altri mutanti con lui?”

“Sì, c’erano Hank McCoy e Raven Wagner. Risultano tra i superstiti alle bombe al fosforo, anzi pare abbiano dato un grande aiuto a portare via i feriti ed evitare ulteriori morti.”

“Bene. Posso formare la mia squadra d’azione come preferisco?”

“Sì, data la situazione, siamo costretti a darle carta bianca. Sarò franco, non ci piace molto l’idea di assegnare questa missione a lei, che fino ad ora si è sempre dimostrato un nemico, tuttavia le circostanze paradossalmente indicano che dobbiamo affidarci a lei. Spero che ci dimostrerà che le nostre perplessità non sono fondate. Ci dica chi e cosa vuole per la sua squadra, le forniremo tutto. Ha già un piano d’azione?”

“Qualche idea. Prima, ditemi, l’aereo è sempre sui vostri radar?”

“Non lo perdiamo di vista; non possiamo ingaggiare battaglia, ma lo bracchiamo.”

“Capisco, evidentemente il furto dell’aereo è stato un piano di ripiego, devono avere avuto un imprevisto e ora non sanno come fare a raggiungere i loro rifugi senza trovarsi la NATO addosso. Starà temporeggiando in attesa di capire come trattare per la fuga. Prima o poi dovranno fare rifornimento, ovviamente minacceranno di uccidere gli ostaggi, se la pista non sarà sgombra. Sarà in quel momento che dovremo introdurci nell’aereo.”

“In che modo? Ha appena detto che la presenza di altre persone metterebbe a rischio l’incolumità dei prigionieri.”

“Già, per questo voglio il teleporta che sta nella scuola di Charles e anche il mio amico Caleb che  si trova pure lui là. Poi recuperiamo Hank e Mystica e la mia squadra sarà al completo. Vorrei tute protettive e un aereo abbastanza veloce per atterrare all’aeroporto che Stryker sceglierà per il rifornimento prima di lui. Anzi, facciamo così, date ordine a tutti gli aeroporti di negargli l’atterraggio, in modo da costringerlo a scegliere quello di Atene. Su, prepariamoci, dobbiamo partire al più presto.”

Tutti quanti quegli uomini lasciarono la stanza e si misero d’impegno per procurare il materiale, contattare le persone ed essere pronti a far partire la missione. Prima di raggiungerli e unirsi ai preparativi, Erik rimase qualche minuto solo nella stanza con Virginia.

La donna gli chiese: “Verrò anch’io, vero?”

“No. Non insistere. Saremo in un aeroplano a diecimila metri d’altezza, non puoi venire: i tuoi poteri rischiano di creare più guai che risolverli. Per la sicurezza di tutti è bene che tu resti a terra. Hai visto, ho chiamato solo gente che sia adatta al corpo a corpo, non ho voluto nemmeno Havok, proprio perché i suoi poteri, proprio come i tuoi, rischiano di peggiorare la situazione. Quindi, non sentirti offesa.”

Virginia annuì: capiva perfettamente. In effetti era vero che lei non poteva rendersi granché utile su un aereo in volo. Mise le braccia attorno alle spalle dell’uomo, si strinse a lui, i loro corpi erano a contatto, sentivano il calore l’uno dell’altra, i toraci muoversi col respiro. Lei gli diede un rapido bacio e si raccomandò: “Sta attento!” lo baciò di nuovo “Promettimi che tornerai da me” un altro bacio “Non posso stare senza di te, adesso che ti ho conosciuto.”

Si scambiarono un altro bacio ancora, molto più lungo e appassionato dei precedenti.

Erik osservò: “Non mi avevi mai detto qualcosa di così carino.”

“Beh … ecco …” la donna si era imbarazzata.

“No, non c’è bisogno che tu dia spiegazioni.” Erik aveva notato i tremori che percorrevano la donna, per cui non voleva metterla maggiormente a disagio.

“In realtà, forse qualcosa dovrei dirlo. Insomma, se la missione dovesse andare male? Forse dovrei dire tutto adesso … ma, mi sento così frastornata … confusa …”

“Non ti preoccupare. Io vado a salvare Charles, tu riordini le idee e poi mi dirai quel che devi.”

“No! Io voglio che tu ritorni, ma se non dovesse succedere, non voglio avere il rimpianto di non averti detto tutto.”

“Se vuoi parlare adesso, parla. Non preoccuparti, però, di usare parole ricercate o immagini poetiche particolare. Sii semplice e diretta: non hai bisogno di impressionarmi, mi hai colpito già da molto tempo.”

“Io … incontrarti mi ha cambiato la vita, mi ha salvata. Tu mi hai dato la forza di cambiare … Io ho iniziato una nuova vita perché c’eri tu; non ho mai avuto il coraggio di dirlo ad alta voce, ma in queste ultime settimane, io mi sono immaginata il mio futuro al tuo fianco … ti prego, non spaventarti per quel che ho detto. Non ho pretese, assolutamente … è solo che volevo che sapessi quanto sei importante per me, ecco tutto.”

Erik non insisté, capiva bene che quelle parole erano già state un grosso sforzo per la giovane. Si limitarono a guardarsi e a baciarsi ed entrambi si chiesero, soltanto nel pensiero, se prima o poi avrebbero avuto il coraggio di osare dire a voce le parole: ti amo.  

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


In meno di un’ora, Erik, Caleb e il teleporta, che si chiamava John, erano pronti per partire da una base Nato per l’Europa. L’aereo militare li trasportò molto più velocemente di quel che avrebbe potuto fare un qualsiasi mezzo civile. Arrivarono ad Atene, dove ad attenderli trovarono Hank e Mystica che, informati di quanto organizzato, erano stati trasferiti subito in Grecia.

Raven ed Hank erano rimasti molto stupiti della presenza di Magneto; non sapevano se essere più meravigliati del fatto che l’ONU gli avesse affidato una  missione o che lui l’avesse accettata.

“Erik! Che cosa ci fai, qui?” domandò Mystica, quando gli agenti della Nato si furono allontanati e solo i mutanti erano appostati vicino alla pista d’atterraggio, in attesa che l’aereo atterrasse per il rifornimento.

“Come è già stato detto, salvare Charles. Non crederai che sarei capace di lasciarlo nelle mani di Stryker, spero!”

“No” disse Hank “Ma io mi sarei aspettato che te la prendessi con l’ONU per aver messo in pericolo il professore e poi saresti andato a cercarlo da solo.”

“In effetti, ci avevo pensato.”

“Scommetto che è stata quella ragazza a farti cambiare idea.” intervenne Caleb.

“Quale ragazza?” domandò Raven “Quella che hai trovato a Gerusalemme? Quindi ti sta seguendo ancora? Perché non è qui?”

“Eri meno curiosa, una volta. Comunque, sì, Virginia ed io viaggiamo ancora assieme, probabilmente continueremo a farlo per molto tempo. Non è qui perché non è adatta a questa missione.”

Raven rimase in silenzio qualche momento, poi chiese: “Ma tu … con lei … è come quando abbiamo avuto il nostro periodo, dieci anni fa?”

“No, direi decisamente di no.” tacque qualche momento “Ma si può sapere perché ti interessa?”

“Vorrei solo capire qualcosa in più di te. Se sei cambiato in nove anni di prigione, in quale modo. Se metterai anche lei in pericolo, come quando hai cercato di uccidere me; se hai imparato a dare importanza alle persone e non trattare tutti solo come soldati o strumenti. Charles si ostina a vedere del buono in te; a volte penso che sia accecato dal troppo affetto. È vero, per molto tempo sono stata convinta che tu avessi ragione, ero contagiata dal tuo odio e credevo che tutti odiassero noi; me ne autoconvincevo, vedevo odio, scherno e disprezzo da parte degli umani, anche quando non era vero, quando era solo una suggestione che mi creavo per rassicurarmi di essere io nel giusto e gli umani nel torto. Charles mi ha aiutata a capire che, nonostante l’odio di molti, c’è anche chi ci accetta. Sono pochi, per ora, è vero, ma mi basta per non condannarli tutti, sperare nel cambiamento e aspettare che uno faccia del male, prima di considerarlo un nemico. Conosco il tuo pensiero, ricordo la tua rabbia e, anche se credevi di agire per il bene dei mutanti, sei un assassino, io non riesco a vedere altro. Charles, invece, non è d’accordo e allora voglio cercare di capire se sbaglio io oppure lui, voglio conoscerti di più per capire se mi sia sempre sfuggito qualcosa di te, oppure no.”

“E credi che farmi domande su Virginia serva a tale scopo?”

“Non sono su di lei ma su come tu ti relazioni con lei. Visto che in passato ti ho conosciuto sotto un certo aspetto, penso sia interessante vedere come lo vivi adesso.”

“Stiamo aspettando l’aereo per salvare Charles e tu vuoi parlare di queste cose?”

“Attendere in silenzio non farà passare il tempo più velocemente.”

“Bene, ma sarò sintetico: tra me e te c’era passione, attrazione, ma tutto assolutamente superficiale ed effimero. Con Virginia la passione deve ancora divampare, ma ci siamo toccati a un livello molto più profondo che, forse lentamente, ci permetterà di ottenere qualcosa di solido e duraturo.”

Erik stesso si stupì di avere parlato così schiettamente; forse l’insistenza di Mystica lo aveva spinto a dire tutto, oppure aveva approfittato dell’occasione per dire a voce alta ciò che non riusciva a mettere a fuoco dentro di sé.

Raven storse il naso e commentò: “La passione è alla base di una relazione, se manca quella, vuol dire che non sarete mai una coppia. Prima viene il trasporto fisico, poi si vede se il legame si consolida o quanto dura.”

“Sì, una volta lo pensavo anch’io, ma non mi ha mai reso veramente felice, credo. Era semplice produzione di endorfine, serotonina e roba del genere. Solo fisico, solo chimica. Con Virginia è una situazione completamente differente. Ha iniziato a diventare sempre più importante per me, praticamente senza che me ne accorgessi.”

“Non sembra molto il tuo stile.”

“Credi davvero di conoscermi?”

“Beh, penso che ..”

“Ehi!” li richiamò Hank “L’aereo è in fase di atterraggio. John, pronto a portarci dentro?”

Il teleporta annuì. Erano tutti piuttosto tesi; non avevano paura, ma quel briciolo di nervosismo che rendeva più reattivi.

L’aeroplano atterrò sulla pista dove era stata portata un’autobotte di carburante per permettere il rifornimento. Scesero quattro uomini, abbandonarono un cadavere sull’asfalto e poi iniziarono a riempire il serbatoio.

I mutanti si strinsero tutti al teleporta che in un istante li portò all’interno dell’aereo, precisamente nella stiva. Avevano deciso di nascondersi lì per poter prima capire come fosse la situazione a bordo e poi decidere come agire, senza perdere l’effetto sorpresa. Il teleporta, infatti si teletrasportò rapidamente attorno e dentro l’aereo, senza mai farsi notare, per poter riferire dettagliatamente agli altri quale fosse la situazione.

“Il professore è addormentato, credo; gli hanno messo in testa delle cuffie, come quelle per ascoltare la musica, ma non so cosa siano.”

“Inibiscono i suoi poteri” spiegò Hank “Gliel’hanno messo appena hanno fatto irruzione sull’altro volo. Hanno fatto un blitz talmente rapido che né io, né Raven siamo riusciti ad intervenire.”

“A proposito” domandò Erik “Come mai non vi hanno catturati?”

“Il professore era seduto con alcuni tizi dell’ONU, io e Raven eravamo in un’altra fila. Entrambi avevano un aspetto umano e, quindi, ci avranno scambiato per passeggeri normali, suppongo. Beh, John, che altro hai visto?”

“Dunque, il professore è tenuto legato vicino a Stryker, gli altri sei prigionieri sono tenuti in coda all’aereo, disarmati e legati, con tre soldati a sorvegliarli. L’equipaggio di bordo, invece, non è legato: il pilota serviva a volare e le  hostess evidentemente non sono state ritenute una  minaccia. Comunque ci sono altri sei soldati che tengono sorvegliata la situazione, uno è in cabina di pilotaggio, gli altri stanno seduti o girano come preferiscono.”

“Gli ostaggi tenuti legati sono membri dell’ONU o della NATO, giusto?” chiese Erik.

“Sì” rispose Raven “Dall’altro aereo hanno sequestrato quattro  membri dell’ONU e due soldati della scorta, oltre a Charles, ovviamente.”

“Liberare loro per primi potrebbe fornirci un aiuto in più.” rifletteva Erik “Dunque, io inizierò col far tremare e sobbalzare un po’ tutto quanto. John si materializzerà in testa all’aeroplano e attirerà l’attenzione dei soldati, poi tornerà qua e prenderà me, Caleb e Mystica. Voi due andrete a liberare gli ostaggi, poi raggiungerete me che sarò nella parte centrale a pensare agli altri soldati. Nel frattempo, John avrà portato Hank nella cabina di pilotaggio. Hank, anche se non sei trasformato, pensi di essere in grado di sistemare la guardia che sorveglia il pilota?”

“Sì, ce la posso fare.”

“Bene. Se succede qualcosa al pilota, prenderai i comandi, altrimenti raggiungi noi. Tutto chiaro?”

I mutanti annuirono e si prepararono all’azione. Magneto cominciò a far vibrare il metallo dell’aereo. Il veicolo fu scosso in tutte le  sue parti. Il teleporta sparì dalla stiva, per comparire nel mezzo della prima classe e attirare l’attenzione di  più gente possibile, prima di scomparire per procedere col piano.

Portato nel corridoio dell’aeroplano, Erik si affrettò ad attrarre a sé tutti gli oggetti metallici che ci fossero nei paraggi per sottrarre armi ai nemici i quali, purtroppo, erano stati equipaggiati con pistole in polimeri senza metallo.

“Oh, non speravo in così tanta fortuna!” esclamò Stryker, alzandosi in piedi “Anche il famoso Magneto …”

Il militare sollevo il braccio con cui impugnava una pistola e sparò alcuni colpi contro Erik che fu abbastanza rapido per sradicare un sedile e usarlo come scudo. Stryker allora puntò l’arma contro l’inerme Xavier e intimò: “Lheinsher, arrenditi altrimenti lo uccido!”

“Lo faresti comunque!” disse Erik per prendere tempo.

“Se l’avessi voluto morto, lo avrei già ucciso.”

“Se ti serve per i tuoi esperimenti, allora non lo ucciderai per fermare me.”

“Ci sono altri telepati; lui era semplicemente quello più facile da rintracciare.”

“L’ONU lo aggiungerà ai tuoi crimini.”

“Non se penserà che ci sia tu dietro questo attacco, visto che sei stato così gentile da venire qui, farò in modo da far ricadere la colpa su di te.”

“Piano perfetto, se non fosse che io sono stato mandato qui dall’ONU.”

“Evidentemente speravano di sbarazzarsi di te. Xavier pensa, ingenuamente, che i politicanti abbiano d’improvviso preso a cuore la causa dei mutanti: sciocchezze! Sanno che non hanno i mezzi per combattervi, al momento, quindi si fingono diplomatici in attesa di avere l’arsenale adatto.”

“Su questo sono pienamente d’accordo con te.”

“Io fornirò loro i mezzi per distruggervi, perfezionerò le sentinelle di Trusk e per voi sarà la fine.”

“Fammi capire la tua minaccia di prima. Secondo te io dovrei arrendermi e accettare una morte più o meno dolorosa e breve per allungare la vita a Charles, che così subirebbe torture ed esperimenti? Qual è la logica di tutto  ciò?”

La strategia di Erik di prendere tempo aveva funzionato. Mystica e Caleb avevano liberato gli ostaggi e si erano avvicinati alla parte centrale dell’aereo, quando avevano sentito le voci si erano fermati per capire come intervenire: non volevano mettere in pericolo Charles. John aveva teletrasportato Hank nella cabina di pilotaggio e lo aveva aiutato a neutralizzare il soldato che sorvegliava il pilota, che però era stato colpito a un braccio da un proiettile esploso dal dirottatore. Hank aveva preso i comandi, mentre John si preoccupò di bendare il ferito. Il teleporta si era poi spostato per vedere se ci fosse bisogno di lui altrove. Non appena si accorse di ciò che stava avvenendo, raggiunse Ravene e non ebbero neppure bisogno di accordarsi sul come agire. John la teletrasportò alle spalle di Stryker. Mystica assalì l’uomo, gettandolo a terra ed immobilizzandolo. Il teleporta toccò una spalla di Xavier e lo portò al sicuro dove c’erano Caleb e gli uomini della scorta e gli tolsero le cuffie che lo stordivano.

Erik allora, sapendo l’amico al sicuro, sradicò altri sedili da scagliare contro i soldati. Mystica e Stryker continuavano a lottare sul pavimento, strappandosi di mano vicendevolmente la pistola, nel tentativo di ammazzarsi l’un l’altro.

Charles per fortuna si riprese velocemente e utilizzò i suoi poteri mentali per far perdere i sensi a Stryker e tutti i suoi sgherri. Gli uomini della scorta dell’ONU si affrettarono a disarmare e legare gli svenuti, mentre i rappresentanti che erano stati presi in ostaggio raggiunsero la cabina di pilotaggio e contattarono il palazzo di vetro per avvisare che l’emergenza era stata risolta, che Stryker era stato neutralizzato e chiesero dove sarebbero potuti atterrare. Dal momento che l’ONU era riuscita ad addossare la colpa a un gruppo di palestinesi, per avvalorare tale ipotesi decisero di far atterrare l’aeroplano a Kuwait City.

Mentre erano in volo, aspettando che tutto ciò finisse, dopo aver rassicurato Raven ed Hank, Charles si sedette accanto ad Erik, che si era messo un poco distante dal gruppo di mutanti, ostaggi liberati ed hostess, e sorridendo gli disse: “Grazie.”

“Non devi ringraziarmi …”

“Penso invece di sì e non solo per avermi salvato, ma perché hai accettato di collaborare con gli umani pur di riuscirci. Avresti potuto agire da solo, ma hai scelto di cooperare con gli umani, perché?”

“A parte che collaborare è un termine grosso, visto che loro non hanno fatto praticamente nulla. Comunque non avevo idea di cosa sarebbe potuto accadere e non volevo correre il rischio di compromettere il lavoro che stai facendo per l’integrazione dei mutanti.”

“In cui però ancora non credi. Ti ho sentito parlare con Stryker. Non potevo agire, ma ero sveglio, ho ascoltato tutto. Perché non lo hai ucciso?”

“Ti puntava una pistola alla testa.”

“Avresti potuto trafiggerlo con qualcosa di metallico o mozzargli la mano.”

“Non ero abbastanza sicuro del successo …”

Charles era invece convinto che Erik avesse deciso di non uccidere, visto che c’erano altre possibilità. Benché sapesse che l’amico non gradiva, provò a guardare un poco nella sua mente per capire se riusciva a trovare il vero motivo, ma non sentì altro che qualche verso di una canzone: Io chiedo quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare e il vento mi poserà. Si accontentò di quello e non cercò altro.

Xavier rimase un poco in silenzio e poi chiese: “Vuoi tornare a lavorare insieme a me? Riprendiamo in mano il nostro progetto di dieci anni fa?”

“Il tuo progetto.”

“Io continuerò come adesso a curare i rapporti diplomatici, fare conferenze, sensibilizzare e così via; tu ti occuperai di proteggere i mutanti, di cercare gli uomini come Stryker e fermarli. Cosa ne pensi? Proviamo?”

 

L’aeroplano atterrò all’aeroporto di Kwait City la sera del giorno dopo il dirottamento. Sulla pista c’era già un jet che li avrebbe riportati tutti a New York, mentre i servizi segreti della Nato si affrettavano a sistemare ogni dettaglio e a prendere accordi con l’equipaggio dell’aereo affinché confermassero ai media che attentato e dirottamento erano stati opera dei palestinesi. Dopo alcuni giorni furono addirittura catturati cinque uomini con l’accusa di essere i terroristi di quel commando; le autorità del Kuwait li interrogarono e decisero di non processarli e consegnarli all’Organizzazione per la liberazione della Palestina e dopo meno di un anno furono considerati uomini liberi e non si seppe più nulla di loro.

Charles, Erik, gli altri mutanti e gli uomini dell’ONU giunsero a New York e furono subito portati al palazzo di vetro, poiché si riteneva necessaria una riunione per discutere di quanto accaduto. Stryker fu condotto in un carcere militare di massima sicurezza.

Quando la riunione fu conclusa, Erik chiese notizie di Virginia: non averla vista subito lo aveva un poco preoccupato; era convinto che, arrivato lì, lei sarebbe stata la prima persona ad andargli incontro e, invece, così non era stato.

Alla sua richiesta di vedere la ragazza, fu accompagnato in una stanza: Virginia dormiva su una seggiola, la testa e il busto distesi su un tavolo. Aveva cercato di rimanere sveglia per accogliere l’amico, ma alla fine si era addormentata. Erik attese lì più di un’ora che si svegliasse. La ragazza gioì come mai prima in vita sua e subito abbracciò e baciò l’uomo e gli disse quanto fosse contenta che lui fosse tornato incolume.

“Anch’io sono contento di esserne uscito vivo” commentò Magneto “Sai, mi dispiacerebbe morire, senza avere passato abbastanza tempo con te … anche se …” si interruppe.

“Anche se …?” lo incoraggiò lei, prendendogli le mani.

“Sembrerà una frase banale ma, pazienza: anche se penso che il tempo passato con te non sarà mai abbastanza.”

“Ne trascorreremo comunque tanto!” esclamò lei, entusiasta “Adesso che l’ONU ti ha tolto dalla lista dei ricercati, potremo andare ovunque e senza paura, potremo costruire la nostra vita come vogliamo!”

“Ecco, a questo proposito, c’è una cosa di cui dobbiamo parlare … Charles mi ha proposto di occuparmi dei mutanti assieme a lui; lui come ha sempre fatto e io indagando e sventando i piani di chi ci vuole male. Ci ho pensato e mi è venuta in mente la storia di quel dio e quel diavolo dei persiani.”

Oromaze e Ahrimane, intendi?”

“I nomi li sai tu. Ho pensato al pezzo in cui c’è il dio che offre all’altro di vivere anche lui nel mondo che aveva creato e reggerlo assieme, ma il demone rifiuta e così poi le cose iniziano ad andare male. Poi ho pensato a quel che mi hai detto, che posso essere un guerriero anche senza l’odio e che forse posso difendere i mutanti, senza dichiarare guerra a tutti gli umani … quindi stavo per accettare la proposta di Charles.”

“Perché non l’hai accettata?”

“Perché poi ho pensato a te e mi sono detto che io innanzitutto voglio condividere la mia vita con te e quindi non potevo prendere una decisione senza consultarti. Se io accettassi l’offerta di Charles continuerei a fare una vita piuttosto movimentata, dovrei viaggiare, affrontare pericoli e combattimenti; non sarebbe né semplice, né sicuro, tantomeno tranquillo. Questo tipo di vita può renderti comunque felice? Se vuoi qualcosa di più normale, non hai che da dirlo. Io voglio stare insieme a te e che tu sia contenta. Non ti chiedo di seguirmi, ti chiedo di decidere assieme.”

“Erik, questi ultimi mesi passati con te sono stati decisamente i più pericolosi della mia vita ma sono anche stati i più belli. Mai mi sono sentita così viva! Ho sentito di fare qualcosa di importante, di stare aiutando ed è quello che voglio continuare a fare. Sarò ben contenta se accetterai di tornare socio di Xavier,  però ci tengo che tu non mi faccia stare fuori dall’azione per tenermi al sicuro. Voglio partecipare anch’io.”

“Certo, sarai anche tu un X-men, se è quello che vuoi.” le disse Erik, sorridendo “Il fatto ch’io non ti voglia perdere, non significa che ti impedirò di vivere la tua vita.”

Si guardarono negli occhi per l’ennesima volta, senza stancarsene; si baciarono e mentre le loro labbra si staccavano, all’unisono mormorarono: “Ti amo.”

 

 

Nota dell’Autrice:

Grazie a tutti per essere arrivati fino alla fine.

Scusate l’attesa, ma non riuscivo a scrivere questo capitolo in maniera che mi convincesse ( e ancora non mi soddisfa). Vi ringrazio per la pazienza e spero non sia stato deludente.

Una cosa che non ho detto nel capitolo precedente è che, per rimanere fedele allo stile dei film dove finzione e fatti reali si intrecciano [vedi storia dei missili a Cuba presente in “First Class”], ho cercato episodi realmente accaduti da intercalare nella trama. L’attentato e il dirottamento dell’aereo sono avvenuti davvero, vi lascio il link dove potrete saperne di più, se vi interessa:

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Fiumicino_(1973)

 

Alla luce di questo vorrei dedicare gli ultimi due capitoli che avete letto alla memoria del finanziere Antonio Zara che, all’età di 20 anni, è stato ucciso mentre tentava di fermare i terroristi.

 

 

 

 

Il maggiore Stryker era seduto davanti a una commissione di una decina di uomini; alzò spavaldamente il capo e rispose: “L’attentato non l’ho organizzato da solo, sono stato sollecitato.”

“Da chi?”

Sacrae Sophiae Societatis.

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