Lo Specchio delle Anime

di Marne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto I - Tantalos ***
Capitolo 2: *** Atto II/Parte I - Verità sepolte. ***
Capitolo 3: *** Atto II/Parte II - Ossimoro ***
Capitolo 4: *** Atto III/Parte I - Nascosto in piena vista. ***
Capitolo 5: *** Atto III/Parte II - Il professore sopravvissuto. ***
Capitolo 6: *** Atto IV/Parte I - Il gioiello di Luigi XIV. ***
Capitolo 7: *** Atto IV/Parte II - L'inizio della fine. ***
Capitolo 8: *** Atto V - Di errori e autorità. ***
Capitolo 9: *** Atto VI - Scena I & Scena II ***
Capitolo 10: *** Atto VII - Il Destino della Cicatrice ***
Capitolo 11: *** Atto VIII - I fantasmi del passato. ***
Capitolo 12: *** Atto IX - Parte I/ Do ut des. ***
Capitolo 13: *** Atto IX - Parte II/ Il morso dell'aspide. ***
Capitolo 14: *** Atto IX - Parte III/ Il Trionfo di Bacco ed Hermione ***
Capitolo 15: *** Atto X - Parte I/ Seconde Possibilità. ***
Capitolo 16: *** Atto X - Parte II/ Di pozioni e incantesimi ***
Capitolo 17: *** Atto XI - Parte I/ Immortali nella mortalità ***
Capitolo 18: *** Atto XI - Parte I/ Il Guardiano della Roma d'Oriente ***
Capitolo 19: *** Atto XII - Parte I/ Il mostro sotto al letto. ***
Capitolo 20: *** Atto XII - Parte II/ Il rimpianto del padre ***
Capitolo 21: *** Atto XIII- Parte I/ Il Paese delle Meraviglie ***
Capitolo 22: *** Atto XIII - Parte II/ La Bella addormentata ***
Capitolo 23: *** Atto XIV/ Ragione e Sentimento ***
Capitolo 24: *** Atto XV - La fine del Mondo. ***
Capitolo 25: *** Atto XVI - Parte I/ Cantami o Diva ***
Capitolo 26: *** Atto XVI - Parte II/ Virtute e Canoscenza ***
Capitolo 27: *** Atto XVI - Parte III/ Più mirabile dell'uomo ***
Capitolo 28: *** Atto XVI - Parte IV/ Aristos Achaion ***
Capitolo 29: *** Atto XVI - Parte V/ Gloria della Madre ***
Capitolo 30: *** Atto XVII - Parte I/ L'Arazzo dimenticato ***
Capitolo 31: *** Atto XVII - Parte II/ Il Nemico nascosto ***
Capitolo 32: *** Atto XVIII - L’uomo che volle essere Re ***
Capitolo 33: *** Epilogo - All was well ***



Capitolo 1
*** Atto I - Tantalos ***


Lo Specchio delle Anime

Lo Specchio delle Anime.

 

I want to heal,

I want to feel,

Like I’m close to something real,

I want to find something I’ve wanted all along,

Somewhere I  belong.

[Somewhere I  belong – Linkin Park]

        

         Atto I – Tantalos.

 

Operazione Tantalos: Battuta d’arresto al Governo Shacklebolt?

 

Hermione Granger mise da parte il giornale, sbuffando spazientita. Era il terzo articolo in meno di una settimana che Rita Skeeter pubblicava, andando spudoratamente contro la politica che il Ministero stava supportando negli ultimi anni. Già al primo lei aveva provato a far valere l’antica minaccia di rivelare il suo essere Animagus, vedendosi però sbattere in faccia una lettera di garanzia da parte del Ministro in persona.

Ecco cosa si ottiene, quando si scende a patti con il diavolo.

Il suo caffè si stava velocemente raffreddando a causa del clima rigido che sferzava Londra in quel periodo. In pochi minuti sarebbe diventato a dir poco imbevibile, ma, sinceramente, Hermione sentiva lo stomaco completamente chiuso. Non aveva necessità di leggere l’articolo, sapeva bene che sarebbe stato uguale agli altri due: speculazioni sull’operato del Ministero, indizi su possibili talpe, dubbi sull’operato generale di Shacklebolt.

«Fra tre minuti sarai ufficialmente in ritardo, sicura di voler distruggere il tuo record?» le chiese una voce roca, vagamente rasposa, un attimo prima che il suo migliore amico si accomodasse davanti a lei, con gli occhi iniettati di sangue ed i capelli ancora più incolti della barba. «Jerry Stamp, dell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale, non aspetta altro che l’occasione di riprendersi il suo vecchio titolo»

La giovane alzò gli occhi in quelli verdi dell’uomo, inarcando le sopracciglia. «Oggi inizio un’ora dopo, il Signor Hicklebottom è impegnato ad una riunione privata, prima» gli disse, nascondendo malamente un sorriso. «Jerry Stamp ormai ha perso il suo primato, non ha saputo ordinare bene le sue priorità» aggiunse, ridendo sotto i baffi, poggiando le spalle allo schienale della sedia di ferro della caffetteria.

Harry rise, allungando la mano per prendere la tazza di caffè ancora intatta. «Ha fatto tardi perché sua moglie era in travaglio, Herm. Forse sei tu che devi rivedere le tue priorità» le disse, divertito, prima di bere un sorso dalla tazza e mandare giù il liquido con una smorfia terrificante. «Per il perizoma maculato di Godric! Cos’è questa robaccia?» le domandò, restituendole la tazza come se all’improvviso fosse diventata l’incarnazione di Satana.

«Ah, sai com’è. Amo il caffè proprio come amo i miei uomini…» gli rispose, sibillina, facendogli un occhiolino complice, prima di riappropriarsi del suo carburante mattutino. Assaggiando, si rese conto di quanto effettivamente fosse nauseabondo. Dovevano aver sbagliato miscela.

«Tiepidi e con la capacità di intossicare il resto della tua vita?» continuò il Capo Potter, facendo ancora le smorfie come un bambino. Poi alzò la mano per richiamare l’attenzione della vecchia cameriera. «Milly, per favore, un caffè ristretto, amaro come il veleno» chiese quindi, sorridendo quando la donna gli soffiò un bacio, sparendo all’interno.

Harry Potter, con la fine della guerra, aveva perso l’aria da bambino sperduto ed aveva iniziato a mietere vittime nell’altro sesso con una ritrovata sicurezza. Naturalmente, la vecchia Milly era soltanto intenerita da quei suoi occhi verdi e dall’aria trasandata, ma molte altre non facevano che buttarsi ai suoi piedi, a prescindere dall’età.

Fra queste, non c’era Hermione Granger, che lo conosceva più di quanto si conoscesse lui stesso. Caffè amaro poteva significare soltanto che il Signor Potter stesse sopportando i postumi di una terrificante sbornia. Cosa che spiegava anche il colorito tutt’altro che sano, barba e capelli da senzatetto e gli occhi iniettati di sangue.

«A che ora hai smesso di bere?» gli chiese, mettendo su il suo peggior cipiglio severo, quello che da ragazzi sapeva costringere lui e Ronald a studiare. Incrociò le braccia al petto, con uno sbuffo scontento. «Gin ti ha visto?»

Colpevole, Harry si grattò distrattamente il mento. Il modo in cui evitava lo sguardo dell’amica era un’implicita ammissione di colpevolezza. «Ho finito il turno alle tre. Gin è uscita di casa alle sei. Non ci siamo incrociati» mormorò, accettando con un sorriso la tazza che la vecchia cameriera gli stava porgendo. «Non guardarmi così, Hermione, non ho bisogno del tuo biasimo. Non sarei riuscito a dormire, quindi meglio ubriaco che impazzito per gli incubi» sbottò, prendendo poi una lunga sorsata. «Ha messo lo zucchero, come temevo. Quella donna mi tratta come se fossi un bambino»

Hermione non perse lo sguardo carico di disapprovazione, nonostante si fosse velato di una certa apprensione. Accavallò le gambe, restando poggiata allo schienale, nella posizione che solitamente assumeva durante i processi, quando toccava a lei fare le domande. «Quanti ne hai persi, ieri?»

L’Ex Bambino Sopravvissuto scosse il capo, sospirando. Le smorfie continuavano a deformargli il viso, man mano che beveva il suo caffè. «Non è morto nessuno, ma ci sono andati vicino» disse, posando la tazza vuota a metà. «Ormai succede ogni volta che mi agito molto e, considerato il mio lavoro…»

Hermione si accigliò. «Da quanto tempo non dormi come si deve, Harry?» gli chiese, piegando il capo nel tentativo disperato di incrociare il suo sguardo sfuggente.

Potter strinse le labbra, infossandosi di più nella sedia di ferro. Il lungo cappotto nero oscurava parzialmente il suo viso, ma non abbastanza e, sicuramente, non ad Hermione. «Che giorno è oggi?» rispose, retorico, sospirando e rialzandosi quando l’altra lo fulminò. «Herm, non lo so, ok? Per adesso riesco a tenere tutto sotto controllo, non devi preoccuparti».

«Un Capo Auror con i riflessi distrutti dal sonno non è utile. Soprattutto non adesso, con questo processo che pende come una Spada di Damocle su tutti noi» lo riprese la donna, seria, allungando la mano per afferrare quella dell’amico. «Devi andare a farti visitare da un Guaritore, Harry, non puoi continuare così».

Potter sbuffò, come quando era ragazzino. «Ti ho detto che ho tutto sotto controllo, va bene? Non è niente di grave, davvero» tentò di rassicurarla, con un sorriso stiracchiato. La rigidità dei suoi muscoli urlava proprio il contrario, Harry Potter non aveva mai imparato a mentire. Non con lei.

«Sta peggiorando» lo riprese lei, incrociando nuovamente le braccia la petto. «Prima ti capitava saltuariamente quando perdevi qualcuno in missione. Adesso ti capita almeno due volte alla settimana. La frequenza è aumentata e non puoi negarlo».

Il Bambino Sopravvissuto abbassò per un attimo lo sguardo smeraldino, rialzandolo poi con fare nervoso e sconfitto. «Sto perdendo molte più persone in missione. Sono il più giovane Capo Auror della storia, sento molto la pressione. Con gli articoli della Skeeter, oltretutto…»

Hermione espirò pesantemente dal naso, spingendo verso l’amico il giornale. «Ne ha scritto un altro. Questa volta se l’è presa con Winston Heautcourt, il Presidente del Winzegamot» spiegò, a denti stretti. I suoi occhi scuri lanciavano scintille, cosa che fece sorridere l’Auror.

«Coraggio, almeno non ce l’ha più con te» provò a rassicurarla, nonostante neppure lui fosse pienamente convinto. «Ci ha dedicato tutto il primo articolo. Come ci aveva chiamati?» domandò, retorico, alzando gli occhi al cielo alla ricerca della risposta. «Ah, sì! Progenie di un governo Corrotto».

Hermione chiuse gli occhi, presa dalla stizza. «Quell’insulsa Banshee marcia, sapevo che sarebbe tornata alla ribalta. Come si permette?» sibilò, stringendo le mani a pugno. «Se solo riuscissi a scovare un qualche collegamento con le indagini… Neppure il lasciapassare del Ministro potrebbe aiutarla» aggiunse, con un ringhio, sbattendo il pugno sul tavolo, così forte da attirare l’attenzione di alcuni babbani che facevano colazione.

«Miss Granger?»

La vocina delicata e spaventata che interruppe lo sproloquio della giovane donna arrivò dalle sue spalle, facendola balzare per lo spavento. Con un colpo della mano, fece cadere la tazza di caffè gelido – Harry aveva prontamente salvato la sua, stupidi riflessi da Auror – che si rovesciò sul suo nuovo tailleur. L’unico bianco nella lunga schiera di abiti da lavoro.

Meraviglioso.

«Daisy, per Merlino! Ti sembra il modo di arrivare?» le domandò, nervosa, afferrando una manciata di fazzoletti dal dispenser sul tavolino, cercando di salvare il salvabile. L’occhiata divertita che Harry le lanciò, sorseggiando il caffè salvato, le fece fortunatamente realizzare il tono che aveva usato. Voltandosi, si rese conto di aver terrorizzato la ragazza. «Scusami, Daisy, mi hai solo presa di sorpresa. Cosa succede? Dimmi tutto» le domandò, pacata, imponendosi una calma che Rita Skeeter le aveva sottratto a forza.

«Il Ministro vuole vederla, Miss. Dice che è una questione della massima importanza» pigolò la segretaria, una donnina sulla trentina, così posata e docile da sembrare uscita da una pubblicità sessista degli anni sessanta. Parlandole, non la guardava negli occhi, concentrandosi sul torturarsi le mani perfettamente curate. «Mi ha detto di dirle che riguarda Tantalos».

L’attenzione di Hermione era stata catturata con quella semplice parola. Per un attimo aveva temuto si trattasse ancora di sciocche carte da firmare, invece… «Vado subito da lui» disse, balzando in piedi, prendendo la borsa per pagare il suo caffè.

«Va’ pure, faccio io» la rassicurò Harry, apparentemente tranquillo. In realtà, i suoi occhi vincolavano quel caffè offerto ad un successivo resoconto dell’incontro, nonostante dubitasse che, se fosse stato qualcosa di pericolo, Kingsley non sarebbe andato direttamente da lui.

Hermione gli sorrise leggermente, ringraziandolo con un cenno. «Ci vediamo dopo» salutò, toccandogli la spalla mentre gli passava accanto, seguita dalla silenziosa Daisy.

La donna la tallonava come un’ombra, ma era evidente il suo disagio. La giovane donna, comunque, poteva dirsi soddisfatta: solitamente la segretaria tremava, incontrando altri impiegati. Il Ministro le aveva spiegato che fosse tutto a causa di un incidente di guerra, però non le aveva mai spiegato cosa, di preciso, e lei non se l’era mai sentita di indagare. Tutti avevano cicatrici, che fossero più o meno profonde era poco rilevante.

Giunte davanti alla cabina telefonica per l’ingresso visitatori, Daisy si fermò sul posto, sgranando gli occhi. Hermione la vide distintamente torturarsi le dita dal nervoso. «Miss… temo di non poterla seguire da questo ingresso» esalò, impallidendo. «Non… non potremmo smaterializzarci?» propose quindi, incrociando per un momento lo sguardo dell’altra strega e distogliendolo subito, spaventata. Quegli occhi fantasma, così chiari da sembrare bianchi, trasmettevano un’angoscia indescrivibile.

Mossa da un istinto irrefrenabile, Hermione allungò la mano per sfiorarle la spalla, ma lei arretrò di scatto, trattenendo il respiro. «Va bene, Daisy, non preoccuparti. Possiamo andare in quel vicolo laggiù» dicendo questo, indicò un vicolo cieco a pochi metri di distanza. «e smaterializzarci. Non è un problema» la rassicurò, accennando un lieve sorriso. Il modo in cui si era ritirata l’aveva preoccupata molto.

«Grazie, Miss» le rispose, emettendo un lieve sospiro di sollievo. «Sono mortificata, Miss, davvero. Soffro di vertigini, l’ultima volta che sono passata dall’ingresso visitatori ho dato di stomaco. I custodi temo abbiano una mia foto appesa nel loro ufficio, per perseguitarmi» confessò, abbassando il capo per fissarsi le graziose scarpette a punta, di un bianco così immacolato da far invidia al tailleur di Hermione prima dell’incidente col caffè.

Quell’immagine la fece sorridere, più tranquillamente di prima. «Un po’ come Gazza, il custode di Hogwarts» le disse, alzando gli occhi al cielo, mentre la precedeva verso il vicolo appartato. «Conoscevo dei ragazzi, sai. Avevano un cassetto interamente dedicato alle loro malefatte» raccontò, sentendo il cuore pesante al pensiero di Fred e del modo in cui era stato strappato alla sua famiglia. Quella stessa famiglia che poi aveva rifiutato anche lei.

«Mi dispiace, Miss, non so di cosa parla» si scusò la segretaria, dispiaciuta. «Io non ho frequentato la scuola, i miei genitori mi hanno fatta studiare da privatista» spiegò, stringendo le labbra rosa acceso, senza smettere di torturarsi le mani. «Qui possiamo smaterializzarci» comunicò quindi, nascondendosi all’ombra del vicolo, il nasino arricciato a causa della puzza che aleggiava in quello spazio non arieggiato.

Prima che Hermione potesse dire alcunché, la donna scomparve in un pop leggero. Sparita lei, fu come se un peso si fosse sollevato dallo stomaco della giovane strega, facendole finalmente riprendere fiato. Una volta un Guaritore le aveva detto che coloro che avevano subito profonde ferite riuscivano a far innervosire chi stava loro intorno, senza dire una parola. La loro stessa anima conteneva così tanto dolore e disperazione da intaccare quelle degli altri. Lei, inizialmente, aveva liquidato la faccenda come fandonie da psicologi, ma in quel momento non riusciva più ad esserne certa.

Qualcosa aveva distrutto l’anima di Daisy Bellefleur. O forse era stato qualcuno.

Sei inutile, Hermione! Cosa credi di fare? Sei niente, senza di noi.

No, non era il momento di rivangare il passato. Erano trascorsi sei mesi dal giorno infame. Sei mesi e quasi trecento galeoni d’oro in sedute psichiatriche, decisamente non poteva permettersi di soffermarvisi ancora di più. Il suo conto alla Gringott non era ancora abbastanza solido, se proprio doveva essere sincera con se stessa.

Doveva raggiungere il Ministro, ecco qual era il suo compito. Doveva fare l’unica cosa che le riusciva perfettamente, cioè il suo lavoro.

Chiuse gli occhi, sospirò e, con un pop, sentì il solito strappo all’ombelico tirarla verso un luogo completamente diverso. Dai cassonetti rovesciati e dalla puzza d’urina, passò all’affollato Ingresso profumato di carta e inchiostro, sballottata avanti ed indietro dagli impiegati ritardatari.

L’unico luogo in cui, ormai, riuscisse a sentirsi a casa.

Il rumore dei suoi tacchi – definirli tacchi, in realtà, sarebbe stato un eufemismo – si confuse nell’accozzaglia dell’ampia sala, il calore del cappotto, confortante quando esposta al terribile clima londinese, cominciò a soffocarla. Prima di entrare in ascensore le sovvenne quanto Kingsley fosse freddoloso: non avrebbe potuto nascondere in alcun modo l’orribile macchia di caffè che deturpava il tailleur bianco. Poco male, avrebbe avuto tutto il tempo di usare un incantesimo, prima di essere ricevuta. Doveva soltanto raggiungere un luogo abbastanza libero dalla calca da poter tirare fuori la bacchetta senza accecare nessuno.

Harry l’aveva fatto, durante i suoi primi mesi al Ministero. Troppo imbarazzo da sopportare, per lei che non era una “Bambina Sopravvissuta”.

«Buongiorno, Hermione»

Entrata nell’affollato ascensore, la strega venne accolta dal saluto gentile di un mago dai capelli rossi e con tondi occhiali di corno. Per un attimo pensò di aver incrociato Arthur Weasley, a causa della stessa leggera calvizie, ma le spalle troppo magre e l’assenza di rughe le impedirono, fortunatamente, di trasalire.

«Buongiorno, Percy. Credevo avessi la giornata libera» rispose allora, con un leggero sorriso, spingendo il pulsante per il Primo Livello. Il terzogenito dei Weasley lavorava nell’Ufficio per l’Applicazione della legge sulla magia, nella sezione Amministrativa. Tutti credevano aspirasse a qualcosa di più, ma Hermione, con il resto della sua famiglia, sapeva bene che la Guerra lo aveva sconvolto così tanto da non voler più raggiungere le vette più alte. Il potere non era adatto a lui, se concesso con troppa rapidità.

Il mago si strinse nelle spalle, spingendosi sul naso gli occhiali. «Devo solo consegnare dei documenti. Oggi c’è la festa di Dominique, la figlia di Bill» le disse, vagamente imbarazzato. Alle loro spalle, dei maghi mugugnarono riguardo il caldo che faceva in quello spazio ristretto. «Credo ti abbiano mandato un… un invito» aggiunse, grattandosi la tempia. Le orecchie erano diventate rosse più dei capelli, come accadeva a tutti i membri della sua famiglia se colti in fallo.

Hermione aveva ricevuto, in effetti, un invito. Ma le era bastato leggere Weasley nel frontespizio per decidere di buttarlo direttamente nell’immondizia.

«Fai i miei auguri alla bambina» gli rispose, fissando in modo vacuo le porte dorate dell’ascensore. Dentro di sé non faceva che ripetersi il mantra insegnato dallo psicologo: tu sei abbastanza forte, tu sei abbastanza forte, tu sei abbastanza forte… «Manderò un regalo, questa sera, non appena finirà il mio turno»

Al suo fianco, Percy Weasley sospirò. «Ho provato a convincere mia madre che non fosse il caso, ma lei non ne ha voluto sapere nulla. Mi dispiace che quelle sue attenzioni ti turbino»

Hermione gli lanciò soltanto un’occhiata in tralice, stringendosi la borsa al fianco, pur di tenere le mani occupate. «Molly Weasley non si lascia convincere neppure dall’evidenza»

Percy aprì e chiuse la bocca un paio di volte, come un pesce fuor d’acqua. Fra tutti, lui era l’ultimo che lei avrebbe voluto mettere in difficoltà, visto il supporto che le aveva dato. Ma non poteva proprio farne a meno.

«Hermione…»

Primo Livello, Ufficio del Ministro della Magia” disse la voce meccanica, salvando entrambi i giovani impiegati da una discussione tutt’altro che proficua.

Hermione si affrettò ad uscire, voltandosi soltanto un attimo per assicurarsi che lui non la seguisse. «Buona giornata, Percy. Fai i migliori auguri alla bambina»

Le porte dorate si chiusero sullo sguardo azzurro del terzo Weasley, sconfitto e mortificato. Hermione cercò di non pensare a quante fatiche le sarebbero state risparmiate, nel caso in cui quegli stessi occhi fossero appartenuti ad un altro fratello.

«Miss Granger! Miss!» la vocina stridula di Daisy la raggiunse un minuto prima che le sue dita dalle unghie perfettamente curate le artigliassero il braccio, strattonandola con violenza verso l’ingresso dell’Ufficio. Era decisamente più forte di quanto il suo metro e sessanta non lasciasse intendere. «Il Ministro non fa che sbraitare, deve vederla immediatamente!»

Nel silenzio del piano – Kingsley era un ex auror in tutto e per tutto, odiava la confusione – i tacchi delle donne facevano un rumore paragonabile agli spari di un cannone. Un paio di impiegati le osservarono, mentre una trascinava l’altra, ma si limitarono a sorridere sotto i baffi e tornare al proprio lavoro. La stessa Hermione, col fiato corto per quella corsa fuori programma, sapeva bene quanto il Ministro facesse correre i suoi sottoposti, Daisy più di tutti. Quella non doveva essere una scena così fuori dal normale.

«Non si spaventi se lo sente urlare, Miss» le disse la segretaria, correndo, senza avere neppure un accenno di fiatone. «Il suo ospite lo ha fatto molto innervosire, potrebbe volerci un po’ prima che riesca a recuperare la calma» aggiunse, fermandosi davanti alla grande porta in legno intarsiato, con inciso “K. Shacklebolt – Ministro della magia”. Mollata la presa sulle braccia della ragazza, le tirò via il cappotto senza troppe cerimonie e, con un’ultima occhiata che doveva essere incoraggiante, socchiuse l’entrata. «Miss Granger, Ministro»

Hermione era troppo sconvolta da quella dimostrazione di forza, per reagire. Si limitò quindi a fissare il retro del suo vestitino rosa, la bocca spalancata, imponendosi il minimo di contegno necessario per non fare la figura dell’idiota davanti al Ministro ed al suo ospite, quando l’assistente la spinse dentro, senza tante cerimonie.

«Bella macchia, Granger. Fammi indovinare, è una moda babbana?»

Un brivido corse lungo la spina dorsale di Hermione, sentendo quella voce. I suoi occhi si posarono lentamente dapprima su un paio di scarpe nere, eleganti, più costose di sei anni di terapia dallo psicologo, poi su gambe lunghe e sottili, fasciate da pantaloni di un completo più costoso delle scarpe, infine, dopo un torace magro ma non più scheletrico, arrivarono ad un viso affilato ma non troppo, coperto da un filo di barba bionda come i capelli perfettamente ordinati, e a degli occhi di diamante.

«Malfoy, cosa accidenti fai qui?» ringhiò, stringendo i pugni ai fianchi, prima di ricordarsi della terribile macchia di caffè sul completo. Allora incrociò le braccia al petto, nel tentativo di salvare il salvabile.

L’uomo sorrise – un accenno di movimento delle labbra, un lieve piegarsi che lei interpretò come un sorriso di scherno, ma che sarebbe potuto essere qualsiasi cosa – mentre la squadrava. I suoi occhi indugiarono su tutta la sua figura, per poi soffermarsi sul suo viso. «Anche per me è un piacere, Granger, sono estasiato all’idea di lavorare insieme».

 Hermione fu tentata di scoprire i denti come un gatto infuriato, ma le ultime parole del giovane la fecero immobilizzare.

Lavorare insieme?

Il Ministro dovette percepire la sua tensione, perché si schiarì la voce. «Signor Malfoy, la contatterò non appena avremo maggiori dettagli» disse, alzandosi in piedi e porgendo la mano all’ex Serpeverde, in un chiarissimo invito a levarsi dai piedi. «Al momento, l’appuntamento resta fissato per venerdì dieci settembre alle otto»

Malfoy, impeccabile, si rialzò, abbottonandosi la giacca elegante, da vero gentiluomo. Spostando solo allora gli occhi da Hermione, strinse la mano al Ministro e disse qualche parola di commiato, che la strega non riuscì ad udire, tanto forte era il rumore del battito cardiaco nelle orecchie. Con la sua cadenza elegante, la fronteggiò e, estraendo la bacchetta dalla manica, con un gesto così veloce che lei faticò quasi a scorgerlo, gliela puntò contro, mormorando «Tergeo».

Insieme alla macchia, Hermione sentì sparire anche tutto il sangue dal suo cervello.

«A venerdì, Mezzosangue» la salutò quindi il mago, con lo stesso sorrisino sottile, superandola ed uscendo dall’Ufficio, chiudendosi delicatamente la porta alle spalle.

Gli occhi scuri della strega, così asciutti da bruciarle, si puntarono allora sul Ministro, tornato a sedere dietro la sua massiccia scrivania di legno. Shacklebolt ebbe il buongusto di mostrarsi imbarazzato, mentre le indicava la poltroncina accanto a quella che era stata occupata fino a quel momento da Malfoy.

«Stava scherzando, giusto?»

«Il signor Malfoy sarà il tuo collega e consulente nelle indagini, iniziate venerdì alle dieci»

Non stava scherzando.

 

 

*** *** *** ***

 

»Marnie’s Corner

 

Questa è una storia di supporto a Draco Malfoy. Fai un’opera buona ed adotta anche tu un povero Serpeverde Incompreso.

 

Prima di tutto, coordinate generali:

» Ci troviamo a sei anni di distanza dalla Battaglia di Hogwarts, naturalmente i primi sette anni scolastici hanno seguito il loro corso esattamente come previsto dai libri.

» Hermione ed Harry lavorano al Ministero, lei è sottosegretario alla Sezione Inquisitoria (L’ho inventata io, non preoccupatevi se non la ricordate, si occupa di svolgere le Indagini per i processi più importanti) del Winzegamot, lui, invece, è un Capo Auror.

» Se amate Ron Weasley, mi dispiace, avete sbagliato totalmente fan fiction. Ancora non è stato detto nulla, ma la Donnola avrà una parte importante, andando avanti. E no, non in senso positivo. Perdonatemi, ma io non lo posso soffrire.

» Ci sarà la comparsa di vari personaggi presenti nella saga, sia Harry che Ginny avranno ruoli fondamentali. Quanto agli altri, sono i miei bambini.

 

Grazie infinite se siete arrivati fin qui, per me significa molto.

Mi rendo conto che sia un incipit trito e ritrito, la solita Dramione che inizia con loro che si detestano ma devono lavorare insieme e tante belle cose. Sono caduta nel clichè, lo ammetto. Ma ci sono tante altre cose che spero di poter trasmettere, andando avanti.

Vi chiedo una possibilità, tutto qui. Fatemi sapere cosa ne pensate ed io mi prostrerò ai vostri consigli, con tutta l’umiltà possibile.

 

Come ho già detto, questa è una storia nata per esprimere il mio amore per il povero Draco, che però non sarà mai trattato con i guanti. Hermione è una donna con attributi, non si fa mettere i piedi in testa da nessun Malfoy.

 

Attendo vostre notizie,

 

-Marnie

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Capitolo 2
*** Atto II/Parte I - Verità sepolte. ***


«Scherzava, vero

Lo Specchio delle Anime.

 

Truth is singular.

Lies are words, words, words.

[Madam Vastra, Doctor Who – The Snowmen S07E06]

        

        

Atto II – Parte I

Verità sepolte.

 

«Scherzava, vero?»

Il Bambino Sopravvissuto a Colui Che Non Deve Essere Nominato rischiava di non sopravvivere a quel brutto colpo basso giocato dal Ministro della Magia.

Una volta uscita dall’Ufficio del suo superiore, circa quattro ore dopo lo shock, Hermione si era affrettata a spedire un gufo all’amico e chiedergli di vedersi per pranzo, nel ristorante più babbano e isolato di cui fossero stati a conoscenza. Lì, come facevano sempre da quando la Tana aveva chiuso loro la porta in faccia, avrebbero avuto modo di scambiarsi le notizie di cui erano stati messi a conoscenza e lavorare come una squadra. Come parte della squadra, quella sopravvissuta all’incidente.

Hermione scosse leggermente il capo, osservando quasi con disgusto la zuppa di pesce che aveva ordinato. Aveva preso qualcosa soltanto per non destare sospetti, ma il suo stomaco sembrava non voler collaborare.

«A quanto pare, Malfoy è uno stimato e rispettabile collaboratore del Ministero, con tutta la fiducia del Ministro in persona, oltre che di una lunga schiera di pezzi grossi del Governo» gli spiegò, spostando col cucchiaio il contenuto del suo piatto. Alzò gli occhi sull’amico, trovandolo intento a fissare corrucciato la pinta di birra scura che aveva davanti, ancora intatta. «Dobbiamo iniziare venerdì».

Potter fece una smorfia, scuotendo il capo. «Potrebbe aver corrotto i pezzi grossi, ma Kingsley…» espirò dal naso, avvicinandosi ad Hermione. Il suo modo di gesticolare era nervoso, tradiva malamente le sue emozioni. Un temperamento che nessun buon Auror avrebbe dovuto e potuto permettersi. «No, lui non è stato corrotto. Crede seriamente che Malfoy sia… utile» sbottò, afferrando il bicchiere e bevendo d’un fiato almeno metà del contenuto, pulendosi poi le labbra con la manica del maglione nero.

Hermione lo fulminò con lo sguardo, intimandogli con un gesto di non continuare. «Hai avuto i postumi della sbornia per tutta la mattina, Harry. Non credo sia il caso di continuare ulteriormente» sibilò. «Non costringermi a parlarne di nuovo con Ginny, l’ultima volta è stata malissimo»

Harry fece una smorfia. «Anche il mio naso. Il guaritore non è riuscito a farlo tornare dritto come prima del suo pugno» borbottò, trattenendo a stento un sorriso. Mise giù il bicchiere, spingendolo verso la compagna in un chiaro invito a finire per lui. «Ma non distrarti. Dimmi di questa missione e del ruolo di Malfoy»

-Non distrarti, Hermione.

-Lasciami andare.

Con un sospiro, la donna spostò la birra nel tavolo affianco, senza accennare ad assaggiarne neppure una goccia. Ignorò tranquillamente il tentativo di protesta dell’altro, zittendolo con un gesto. «Dei Mangiamorte catturati hanno confessato qualcosa di molto vago su degli oggetti antichi in mano ai pochi rimasti liberi» cominciò a spiegare. «Il mio compito è scoprire di che oggetti si tratta, il piano e le persone coinvolte»

«Ed in tutto questo cosa c’entra Malfoy?» domandò l’Auror, accigliato, staccando un pezzo enorme dal suo panino, con un morso che avrebbe fatto piangere di gioia un basilisco. Hermione fu tentata di riprenderlo per quel comportamento al limite della decenza umana, ma, infondo, non le dispiaceva poi così tanto.

«A detta di Kingsley, è diventato uno degli esperti in artefatti antichi più rinomato d’Europa»

Harry inarcò le sopracciglia. «Puttanate»

Hermione ridacchiò, scuotendo il capo. «Oh, no, ho controllato. Negli ultimi cinque anni ha pubblicato più di sei libri su manufatti antichi e maledizioni. I folletti della Gringott, che già veneravano la sua famiglia, stendono il tappeto rosso ogni volta che fa ritorno da uno dei suoi viaggi all’estero» spiegò, divertita. Lo shock negli occhi dell’amico rispecchiava perfettamente quello che lei aveva visto nello specchio, un paio di ore prima, leggendo la firma del “Dottor D. Malfoy”.

«Accipicchia» commentò alla fine il Capo Auror, annuendo fra sé e sé, mettendo da parte il suo panino orribilmente pieno di schifezze. Da sorpreso, il suo viso attraversò una serie di emozioni, velocemente, soffermandosi poi sulla preoccupazione. «Sei sicura di voler lavorare con lui, Herm? Non sono sicuro sia una buona idea» mormorò, indeciso, arretrando fino a poggiare le spalle allo schienale della sedia di legno. «Dopo…»

Lei lo fermò con un gesto della mano, sentendo un improvviso gelo alle ossa. Quel pensiero l’aveva tormentata nelle ultime ore, costringendola anche ad una telefonata d’emergenza all’unico uomo sulla faccia della terra capace di aiutarla. Non era il momento di tirare fuori vecchi incubi, nessuno di loro poteva permetterselo.

«Non ho una scelta, da questa missione dipende la mia carriera, oltre che il destino del Ministero» provò a rassicurarlo, consapevole di non avere l’espressione di qualcuno nella posizione di tranquillizzare un qualsiasi essere dotato di occhi per vedere la sua espressione. Sospirò, raccogliendo tutto il suo coraggio. Era una Grifondoro, per l’amor di Dio. «Ascolta, io… non potrò per sempre rifiutare incarichi solo perché non voglio un collega. Voglio andare avanti e questa è la scelta migliore che ho»

«Ma Hermione… è Malfoy. Se dovesse scoprire qualcosa, non perderebbe l’occasione di umiliarti e… Merlino! Cos’altro potrebbe dire o fare, solo per distruggerti?» esalò, cercando di farle comprendere il suo punto di vista. «Non puoi lavorare con lui. È un Mangiamorte».

«Era un Mangiamorte» lo fermò immediatamente lei, cupa. «Non dimenticare che avrebbe potuto venderci a sua zia e non l’ha fatto. Quantomeno, non finché gli è stato possibile negare»

«Solo perché è un vigliacco. Resta comunque un Mangiamorte che doveva uccidere Silente»

«Ma non l’ha fatto, Harry. Lo stesso Winzegamot ha riconosciuto che il suo ruolo è stato semplicemente quello di marionetta…»

«Hermione, è Malfoy» sbottò alla fine, dando un pugno al tavolo.

I pochi avventori del ristorante si voltarono a fissarlo, sconvolti da tanta irruenza, per poi iniziare a bisbigliare furiosamente fra loro. Hermione sperò vivamente che non ci fosse alcun mago, soprattutto non uno dalla lingua lunga. La sua missione era segreta ed il Bambino Sopravvissuto che sibilava il nome di un ex Mangiamorte, parlando con un sottosegretario giovane del Winzegamot, poteva essere un succulento pettegolezzo.

«Harry»

Il Capo Auror chiuse gli occhi, pizzicandosi con due dita la radice del naso. Il suo sguardo sofferente spezzò il cuore dell’amica. Il dolore fisico si era sommato all’ansia per la sua sicurezza, il risultato lo stava distruggendo.

«Perdonami, sto esagerando» si scusò, con voce debole. Allungò la mano per prendere quella dell’amica, stringendola leggermente. «Dopo quello che è successo, dopo… quello, ho paura all’idea di quello che potrebbe succederti. Potrei non arrivare in tempo questa volta, Hermione. Se Ron è riuscito a… e quello è Malfoy»

«Ed io sono Hermione Granger. L’ho schiaffeggiato una volta, posso farlo ancora»

 

***

 

Il minuscolo studio del Dottor N. Crave si trovava in un meraviglioso angolo di Piccadilly, proprio affacciato su Hyde Park. Era una stanzetta che sarebbe sembrata angustiante e soffocante a chiunque, per via delle grandi finestre perennemente chiuse e delle grandissime cataste di libri polverosi sparse un po’ ovunque, oltre che per le piantine sospette sparse per tutta la stanza.

Ma Hermione Granger non era chiunque e non smetteva di ringraziare la sua buona stella per aver portato sulla sua strada un dottore amante dei libri quasi quanto lei. Quell’ambiente chiuso non la irritava, al contrario: la faceva sentire rilassata come non poteva essere neppure a casa sua. Il conforto che molti avrebbero trovato nell’aria fresca e profumata di fiori, lei l’aveva dalla polvere e dall’odore di libro antico.

«Spero ci sia un motivo più che valido per questa visita… come hai detto alla mia segretaria? D’emergenza» iniziò lo psicologo, entrando nella stanza ed aggirandola, senza darle la mano, per poi accomodarsi nella sua solita, vecchia e polverosa poltrona. La scrutò attentamente da sopra gli occhialini tondi, assottigliano per un momento lo sguardo. «Ebbene? Cosa può aver turbato la mia paziente più reattiva al punto da richiedere nuove sedute?»

Hermione dovette ripetere a se stessa il solito mantra, quello che le aveva concesso di aprirsi a quell’uomo senza farsi prima soffocare dai pregiudizi.

Ho bisogno di aiuto. Ho bisogno di aiuto. Ho bisogno di aiuto. Lui può aiutarmi.

«Un… un incarico di lavoro. Il mio Capo ha deciso di darmi fiducia e affidarmi un incarico della massima importanza e massima segretezza» iniziò, senza guardarlo in viso. Il cuore batteva così forte, nel suo petto, da farle venire la nausea. «Sono molto onorata»

Sentì un grugnito, così si decise ad alzare gli occhi sul medico, trovandolo accigliato in maniera quasi comica.

Il dottor Newton Crave era un rinomato psicologo nel mondo babbano, ma un altrettanto rinomato Guaritore nel mondo dei maghi, nonostante i motivi della sua fama variassero di caso in caso. Per i babbani – le babbane, piuttosto – era un avvenente studioso sulla cinquantina, amante dei metodi poco ortodossi ma così affascinante da arsi perdonare tutto. Per i maghi, invece, era un eccentrico senza rimedio, incapace di guarire il corpo invece che lo spirito e con un caratteraccio tale da non poter restare presso un ospedale o una clinica qualunque più di una settimana.

Per Hermione, era il miscuglio perfetto dei due mondi. L’unico capace di capirla davvero. L’unico capace di…

«Per Merlino, ragazza, che porcherie hai fumato?»

essere abbastanza schietto da farla ragionare in modo lucido.

Lo fissò, quasi interdetta, chiedendosi come sempre se stesse buttando altri trenta galeoni dalla sua camera blindata. Come sempre, non trovò una risposta.

«Mi scusi?»

Con una risata di scherno, il dottore allungò la mano verso una scatola poco lontana, estraendone delle cartine ed un po’ di tabacco dall’aria sospetta. Doveva essere anche alticcio, visto il vago colorito sulle guance lievemente barbute.

«Ti offrono un lavoro, uno d’enorme importanza, e tu vieni da me?» le chiese, esasperato, rollando la sua sigaretta. «Perdonami, mia cara, ma credevo che il tuo scopo fosse proprio quello di fare carriera e dimostrare a tutti di essere abbastanza forte. Ottenere il risultato sperato ti ha costretta a tornare in terapia. Se non fossi così sicuro di me, comincerei a dubitare della mia bravura».

Hermione strinse le labbra, imponendosi di trattenere i commenti velenosi. L’ultima volta che aveva risposto con vago tono da maestrina, l’uomo l’aveva costretta a rivangare tutti gli episodi più umilianti della sua adolescenza, comunicandole, solo infine, che fossero stati utili solo al suo personale diletto.

«Il problema non è il lavoro» gli disse invece, con un sospiro cupo. «Il mio Capo mi ha dato un compagno».

Le sopracciglia scure del dottore raggiunsero l’attaccatura dei capelli brizzolati, tanto scattarono in alto. La sigaretta perfettamente rollata attendeva fra le sue labbra di essere accesa. «Ed il problema sarebbe? Se non sbaglio, abbiamo superato l’ostacolo del rapporto con esponenti del gentil sesso due mesi dopo l’inizio delle sedute» domandò, sinceramente confuso, afferrando la bacchetta dalla tasca interna della giacca ed evocando una minuscola fiammella. In pochi secondi, la puzza dolciastra del tabacco speciale del dottore invase la stanza.

«Per caso sta fumando erba, dottore?» gli domandò, allibita, la strega, chiedendosi se davvero l’uomo fosse arrivato a quel punto, nel mese e mezzo in cui non si erano incontrati. «Si rende conto di quante regole sta infrangendo? Se si venisse a sapere la radierebbero dall’albo! È… è una cosa così immorale che io-»

«Oh, per l’amor di Merlino! Silencio»

La voce di Hermione semplicemente sparì nel nulla, esattamente come la sua tolleranza.

Ma che razza di…

«Non sforzarti, Fior di Loto, tanto non posso sentirti. E se ti stai chiedendo che razza di psicologo sia quello che non ti fa parlare dei tuoi problemi, ti rispondo immediatamente dicendo: uno psicologo con un terribile post-sbornia» le disse, aspirando una boccata dalla sigaretta e lasciando uscire il fumo dalle narici, come un vecchio drago brontolone. «Venendo al tuo problema, immagino ci sia un problema proprio con il compagno in questione» mugugnò, accavallando le gambe con una tale virilità da sembrare un modello a riposo.

Come diceva la medimaga? Se solo non fosse un bastardo, non ci penserei due volte…

Non potendo rispondere direttamente alla domanda, Hermione si limitò ad annuire.

«Lo conosci?»

Altro cenno affermativo.

«Era un tuo compagno di scuola?»

Alzando gli occhi al cielo, nervosa, Hermione annuì.

«Lo odiavi?»

Quella era una gran bella domanda, la strega dovette ammetterlo a se stessa. Senza pensarci due volte, cominciò a parlare, dimenticando completamente l’incantesimo che l’aveva colpita.

- Il mio rapporto con lui è sempre stato conflittuale, mi odiava, ma io ho sempre pensato…

«Hermione» la riprese il dottore, duramente, fermando quel fiume in piena. Il suo sguardo, per quanto arrossato dal fumo e dai postumi della sbronza, era diventato duro, fermo, uno sguardo che non ammetteva repliche. «Tralasciando l’assenza di voce, che può non rappresentare un problema per me, ti ho spiegato più volte come funzionano i nostri incontri»

-Io faccio le domande, tu rispondi con una sola parola.

Nervosa, sbuffò, allargando le braccia con fare esasperato. Dal suo punto di vista, era impossibile trovare una parola per spiegare il rapporto che la legava al suo futuro compagno. Oltretutto, non era lui nello specifico il problema, come avrebbe voluto far capire anche al dottore. Che fosse o meno Malfoy, per lei, non era così rilevante.

Essendo ancora senza voce, ma consapevole che lui potesse leggerle le labbra, si limitò a mimare ciò che passava per la sua mente al momento.

- Non posso.

«Esiste sempre una sola parola per rispondere ad una domanda. La verità è una, le bugie sono parole, parole, parole*…» le disse, serio, raddrizzandosi sulla poltrona. «Ed io sono consapevole che tu ricordi la mia prima spiegazione, tu ricordi sempre ogni cosa. Devo dedurre, quindi, che questa persona ti renda molto nervosa»

- No.

«Sei sicura, Fior di Loto?»

Hermione esitò, indecisa. Dopotutto, Draco Malfoy l’aveva sempre resa nervosa.

-No.

Il dottore annuì fra sé e sé, sbuffando un po’ di fumo. I suoi occhi arrossati si puntarono ancora una volta sulla strega, fissandola come se avessero voluto e potuto leggerle l’anima.

«Lo odiavi, durante la scuola?»

- Sì.

«Lo odi adesso?»

Hermione si morse il labbro, sospirando.

- No.

«Era cattivo con te, durante la scuola?»

- Razzista.

Il dottore annuì leggermente, spegnendo la sigaretta nel vecchio posacenere che teneva sul bracciolo della poltrona. Era pieno fino all’orlo di vecchi mozziconi, così come gli altri dieci in giro per la stanza. Newton Crave era il prototipo d’uomo che invece di svuotare un cestino per la spazzatura, ne comprava altri dieci, cosa che Hermione non riusciva a sopportare.

«Ma adesso hai smesso di odiarlo. Perché?»

Non sapendo come rispondere, la giovane si limitò a scrollare le spalle. Poteva valere come una parola, dal suo personalissimo punto di vista. Non aveva la più pallida idea del motivo per cui aveva smesso di odiarlo.

«Concentrati, Fior di Loto»

Gli sguardi scuri – quello confuso della giovane e quello curioso del dottore – si incrociarono e si squadrarono per parecchi minuti. Hermione credeva che non ci fosse alcun motivo, il dottore, invece, sapeva bene di poterne trovare almeno uno. Alla fine, fu lei a cedere.

- Pietà.

«Provi pietà per lui»

- Sì.

Il dottore la fissò per qualche momento, gli occhi ridotti a due fessure. La strega sembrò scorgere un lampo di divertimento, in lui, ma sparì troppo velocemente per assicurarselo. Lui, semplicemente, si alzò in piedi per recuperare un nuovo posacenere da dentro un cassetto.

«In questo caso, Hermione, lavorare insieme è la cosa migliore che potesse capitarti. Torna per farmi sapere com’è andata» le disse, tornando al suo posto. Notando che lei non sembrasse intenzionata ad alzarsi, però, allargò le braccia. «Cosa c’è, ancora? Non ti chiedo di tornare per pura curiosità, ma perché ritengo che serva alla tua terapia» sbuffò, accigliato.

- La voce, dottore.

«Ah, giusto. Finite Incantatem»

«Grazie» sospirò lei, rialzandosi e riassettandosi il tailleur bianco, tornato immacolato dopo l’intervento del suo nuovo collega. «Dica la verità, zittire i suoi pazienti le piace da morire, per questo vieta sempre di portare bacchette qui dentro, vero?» gli chiese poi, incrociando le braccia e guardandolo con aria esasperata.

L’uomo rise – una risata così roca e sensuale da far venire i brividi a qualunque essere dotato di ormoni funzionanti – mentre rollava un’altra sigaretta. Hermione lo osservò passare la lingua sulla cartina, chiedendosi se ci fosse qualcosa di irrimediabilmente storto, in lei, non riuscendo a trovare niente di minimamente sensuale in quel movimento. Sapeva di pazienti arrivate al punto di spendere centinaia di galeoni, per il puro gusto di sedurlo.

Conoscendolo, dubitava lui si fosse fatto pregare più di tanto.

«No, so come impedire a qualcuno di spezzare i miei incantesimi silenziatori. Li ho perfezionati negli anni di tirocinio al San Mungo» ammise, divertito, mettendosi la sigaretta fra le labbra per avere le mani libere e potersi slacciare il polsino sinistro della camicia. Sollevata questa, Hermione vide chiaramente una brutta cicatrice deturpare tutto l’avambraccio del dottore. «Questa,» disse, togliendosi la sigaretta dalle labbra «me l’ha fatta un paziente, quattro anni fa. Non tutti amano sentirsi dire chiaro e tondo qual è il loro problema. Da quel giorno gli ho vietato la bacchetta, ma per amor di coerenza ho preferito vietarla a tutti».

Hermione ridacchiò, afferrando il proprio cappotto dal retro della poltrona. «Immagino gli abbia caldamente consigliato un nuovo specialista» disse, divertita, cominciando ad avviarsi alla porta. Sapeva benissimo che il dottore non l’avrebbe accompagnata per puro spirito di cavalleria. Dopotutto, non poteva far colpo su di lei.

«In realtà no» rispose l’uomo, con il suo miglior sorriso enigmatico. «Ho appuntamento con lui questo pomeriggio alle diciassette».

 

 

*** *** *** ***

 

»Marnie’s Corner

 

Il servizio adozioni per Giovani Malfoy Maltrattati è attivo e funzionante.

 

Ed eccomi qui, con il secondo capitolo. Come avrete notato, è stato un po’ un capitolo di passaggio, come temo che sarà il prossimo. Vi giuro che sono fondamentali per la storia, abbiate un po’ di pazienza. Oltretutto, ho presentato il Professor Crave, il primo dei miei OC.

 

Veniamo ai punti importanti:

» Prima di tutto, la citazione contrassegnata dall’asterisco. Si tratta della stessa citazione all’inizio del Capitolo, presa da Doctor Who. Forse il Dottor Crave è un fan della serie, chi lo sa!

» Il titolo della Prima Parte riprende un film (Verità Sepolte, appunto) che però io non ho guardato. L’ho scoperto per caso, immagino sia giusto specificarlo!

» Io AMO Newton Crave e, almeno lo spero, dal prossimo capitolo lo amerete anche voi. Lui ha aiutato Hermione negli ultimi sei mesi, facendola riprendere dal misterioso incidente che riguarda anche Ronald. Già dalla prossima pubblicazione dovreste capire perché lo reputo importante per la narrazione.

» Per amor di chiarezza: Harry sta davvero male e vi assicuro che andando avanti non migliorerà.

 

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Il Club “Donnola Impagliata” attende con impazienza altri membri per sparlare e maledire Ronald. Unitevi al lato oscuro, abbiamo biscottini, bei ragazzi ed i soldi dei Malfoy!

 

Grazie a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

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Capitolo 3
*** Atto II/Parte II - Ossimoro ***


Ossimoro

Lo Specchio delle Anime.

 

One of the most difficult things to think about in life is one’s regrets.

Something will happen to you, and you will do the wrong thing,

and for years afterward you will wish you had done something different.

[Lemony Snicket – Horseradish]

        

        

Atto II – Parte II

Ossimoro.

 

Dicasi Ossimoro la figura retorica che consiste nell’accostamento di termini in antitesi fra loro. Ossimoro poteva essere l’accostamento calda neve, oppure dolce veleno. Meglio ancora, ossimoro era l’accostamento Granger-Malfoy, che al Ministro della Magia era sembrato così vincente.

«Se me l’avessi raccontato… diciamo otto anni fa, avrei dato per scontato che qualcuno ti avesse scagliato un Confundus, sai?» rise il mago stravaccato sull’elegante divano stile Luigi XIV.  Il velluto rosso dei cuscini si sposava meravigliosamente col verde del suo maglione, quasi avesse scelto i suoi abiti proprio per quel pezzo di mobilio.

«Nessun Confundus, posso assicurartelo» disse lui, con una risata secca, osservando con cupo piacere le sfumature ramate che il suo Whisky incendiario assumeva riflettendo le fiamme dell’enorme camino di marmo. «Shacklebolt si è detto entusiasta, questa mattina. Secondo il suo modesto parere, la mezzosangue non si sarebbe certo rifiutata di collaborare con me e, unendo le nostre immense capacità, potremmo ottenere abbastanza risposte da mettere fine a questa combutta infinita contro lui e contro tutto il nuovo Governo».

Blaise Zabini scoppiò in una risata assolutamente inarrestabile, ad un passo dal mettersi a piangere. Il suo migliore amico lo fissò per tutti i tre minuti che gli servirono per smetterla di chiocciare come una gallina e ritrovare quel minimo di dignità che gli consentisse di rapportarsi con lui o, più in generale, con qualunque essere umano.

«Immagino che la Granger fosse estasiata all’idea, vero?» gli domandò, con la voce ancora tremolante, le labbra strette per tentare invano di contenersi. «Secondo te lo ha schiantato? Oppure è arrivata subito ad una Maledizione Senza Perdono?».

Malfoy alzò gli occhi al cielo, liquidando il piccolo elfo che tentava invano di fargli mangiare dei biscottini alla cannella. Anni addietro l’avrebbe schiantato, dopo la terza offerta, ma aveva perso interesse nella sofferenza delle creature più deboli.

- Eri tu il debole, quella volta, non è vero?

«Quando sono andato via, era troppo sotto shock per avere delle reazioni vere e proprie. Ma il suo sguardo è stato impagabile» ammise, con un ghigno. I suoi occhi di ghiaccio si posarono nuovamente sul contenuto del bicchiere. «Avresti dovuto vedere la sua faccia, Blaise. Boccheggiava come un pesciolino fuor d’acqua».

Il giovane uomo davanti a lui si raddrizzò sul divano, fissandolo accigliato. «Da quando paragoni la Granger ad un pesciolino?» chiese, allibito, per poi sbuffare. «Non rispondere, non mi interessa. Chiedevo soltanto per amor di pathos».

Draco alzò gli occhi al cielo, incurante del commento fatto dall’amico. «Non è per questo che ti ho chiesto di venire, lo sai» sbuffò quindi, lanciandogli uno sguardo storto, per poi sollevare leggermente il braccio destro. Il dolore era aumentato al punto da non farlo dormire per due notti di seguito, stava iniziando a risentirne.

Il lavoro stava iniziando a risentirne.

Blaise fece una smorfia preoccupata, alzandosi svogliatamente dal divano e facendo segno all’altro di raggiungerlo nell’unica poltrona vicina alla borsa da Guaritore poggiata sul tavolino. Sembrava molto leggera, nonostante fosse piena di pozioni e scorte medicinali di ogni tipo, legali o meno.

«Non dovresti aspettare di raggiungere livelli critici, lo sai» lo rimproverò Zabini. «Serve sempre una dose maggiore ed io potrei non procurarmela tanto facilmente»

Draco lo guardò sconcertato, prima di tirare fuori il migliore fra i suoi sorrisini soddisfatti. «Amico, contrabbandi pozioni fin dal terzo anno di Hogwarts. Negli ultimi anni le più assurde sembrano arrivare prima nelle tue scorte che nelle farmacie».

«Questo è perché io, mio caro, ho intenzione di sposare questa mia passione per le pozioni» ammise l’altro, con un sorriso ancora più enigmatico. Tirate fuori un paio di boccette dalla borsa, gli fece cenno di avvicinarsi, l’ilarità quasi completamente sparita dal suo viso. «Quando ha ricominciato a far male?».

Il biondo si strinse nelle spalle, iniziando a sollevare la manica della camicia. Come sempre, quel semplice gesto gli provocò delle fitte così dolorose da fargli quasi lacrimare gli occhi. Se non avesse sopportato di peggio, nella sua giovane vita, non avrebbe retto quelle sensazioni. Non avrebbe retto alla vista di quel simbolo.

Dove un tempo la pelle era immacolata e bianca come il latte, da oltre otto anni viveva – perché era vivo, Draco non aveva il minimo dubbio al riguardo – il marchio della vita che per poco non aveva rovinato tutta la sua esistenza, quella vita che era stata scelta per lui e che, alla fine, lui si era deciso a mettere da parte.

Il marchio nero.

Blaise emise un fischio sconcertato, notando il serpente d’inchiostro muoversi come in agonia. La pelle tutt’intorno sembrava ustionata, completamente coperta di vesciche e carne viva.

«Deve farti un male dell’Inferno. Mi chiedo ancora per quale motivo tu non sia andato al San Mungo» sbottò il Guaritore, stringendo le labbra con disapprovazione. Le sue dita abili sfiorarono la ferita con una delicatezza quasi incredibile, considerata la stazza dell’uomo, ma il dolore che l’altro provò fu comunque inimmaginabile.

«Al San Mungo quelli come me finiscono fra le mani degli inetti» sbuffò Malfoy, sospirando quando la presa sulla ferita si allentò. «L’ultima volta che Goyle ha provato a farsi curare un braccio rotto, ne è uscito con tre litri di sangue in meno» spiegò, mogio, accomodandosi sulla poltrona quando cominciò a sentire le gambe tremare. «Piuttosto, quanta di questa robaccia credi di potermi procurare? Non ho la più pallida idea di quanto possa durare questa missione»

Blaise fece una smorfia, iniziando a far cadere qualche goccia di pozione puzzolente sul braccio dell’amico. «Te ne farò avere un bauletto, pomeriggio» gli disse, tutt’altro che contento. «Ripetere quanto ritengo stupido tutto questo non ha senso, giusto?».

«Ti ripeterei soltanto di non avere altra scelta» Draco allungò il braccio sano per afferrare la bottiglia di Whisky sul tavolino. Bevve una lunga sorsata, nel disperato tentativo di diminuire il male che stava provando. «Questo è il prezzo da pagare»

«Per cosa?»

«Per il rimpianto, Blaise. Per il rimpianto»

 

***

 

C’era una puzza soffocante di erba, quel pomeriggio. Avrebbe dovuto convincere la segretaria del dottore a lasciare la porta aperta, fra un appuntamento e l’altro, così da far cambiare un po’ l’aria lì dentro. Alcune persone avrebbero potuto non sopportare quella cappa.

«Sigaretta, Draco?»

«Sì, grazie»

Non che a lui importasse più di tanto, in realtà.

«Allora…» iniziò il dottore, passandogli una sigaretta appena rollata ed una scatola di fiammiferi. Raramente tirava fuori la bacchetta, quando c’era lui in giro. Draco non poteva dargli tutti i torti. «Cos’è successo di nuovo, nell’ultima settimana?»

Il giovane mago sprofondò nella poltrona, dopo aver acceso la sigaretta. Il fumo dolciastro gli fece bruciare gli occhi, ma la terribile emicrania che l’aveva preso dopo l’incontro con Blaise si alleviò un po’, facendogli tirare un sospiro di sollievo. Dal tavolino accanto a lui, afferrò lo stesso libro che aveva iniziato nella scorsa seduta, ritrovando addirittura il segnalibro – l’involucro di una caramella mou – che lui stesso vi aveva lasciato.

«Mi è stato proposto un nuovo lavoro. Questa volta dai piani più alti» gli disse alla fine, dopo aver fatto un paio di tiri. Guardò l’uomo, quando lo sentì ridacchiare come una vecchia comare, ma decise di non approfondire. Non dubitava che quel tizio avesse problemi ben più grossi dei suoi, ma era grazie a lui se era riuscito a rifarsi una vita, dopo la guerra.

«Da solo?» chiese quello, allora, fissandolo con la coda dell’occhio mentre sistemava dei fogli su un mucchietto preesistente. «Oppure ti hanno dato compagnia, questa volta?».

Draco si accigliò. «Perché me lo chiede?»

Il dottor Crave si strinse nelle spalle, con un’aria incurante fasulla quanto i capelli rossi della sua segretaria. «Solitamente non tiri in ballo il tuo lavoro fin quando non l’hai portato a termine. Ho dedotto sia cambiato qualcosa e, visto che stimi così tanto la tua solitudine, ho optato per la compagnia forzata» spiegò, con un sorrisino rilassato. «Ho ragione, vero?»

Dal canto suo, il giovane non era affatto convinto di quella spiegazione, ma se la fece bastare. Non era il medico quello in cura e non era lui a tirar fuori trenta galeoni d’oro alla settimana. Per questo, si limitò ad un gesto vago della mano, accavallando elegantemente le gambe. «Non mi chiede come mi sento al riguardo?»

Il dottore lo guardò da sopra le piccole lenti rotonde, le sopracciglia così sollevate da raggiungere l’attaccatura dei capelli. «Sembri smanioso di raccontarmelo. Come mai?»

«Perché lei mi spaventa» ammise lui, tranquillo, guardandosi le unghie perfettamente curate della mano sinistra. «Rappresenta tutto ciò da cui sono scappato e da cui avrei preferito continuare a scappare, nonostante non sia possibile»

«Perché impossibile?» il dottor Crave sembrò improvvisamente incuriosito dalle sue parole. Fin dalla prima volta in cui si erano incontrati, Malfoy non aveva fatto altro che sbandierare il suo essere capace di realizzare qualsiasi cosa. «Non eri tu quello del “Impossibile è il mio secondo nome”?» aggiunse infatti, ironico.

«Uno dei tanti, in realtà» convenne Draco, stringendosi nelle spalle, dopo aver aspirato un altro po’ di fumo. «Draco Impossibile Infallibile Lucius Malfoy» si vantò, nonostante fosse evidente l’ironia nelle sue parole. C’era stato un tempo, anni addietro, in cui avrebbe creduto ciecamente nella realtà di quegli appellativi. Ma quel tempo era passato, cancellato da una maschera bianca riposta nel più piccolo, vecchio ed inaccessibile baule del Manor.

«E questa infallibilità da cosa dipenderebbe? Illuminami»

Il giovane ghignò, raddrizzandosi leggermente sulla poltrona. «Un nomignolo che si è diffuso fra le mie numerose amanti, prima, e poi nel mio ambiente lavorativo. Sa, io non fallisco mai un colpo» si pavoneggiò, prima di sospirare, sarcastico. «Naturalmente, queste persone non sapevano nulla del mio fallimento più grande»

«L’assassinio del Preside?» tentò l’uomo, assottigliando lo sguardo. Spesso anche lui trovava difficile seguire il filo dei pensieri di quel giovane, che tante pene aveva avuto nel suo passato. Da quando gli aveva raccontato l’episodio in questione – dietro un voto infrangibile, tanto era terrorizzato – lui non aveva fatto altro che tentare di riportarlo a galla. Solo in quel modo, infatti, credeva di poterlo aiutare ad affrontare i suoi fantasmi.

E forse esorcizzare anche i suoi.

«No. Ma non voglio parlarne»

Non che Malfoy collaborasse, ovviamente.

«Vuoi dirmi perché è impossibile continuare a scappare, secondo te?» gli domandò allora, afferrando una penna a sfera dalla scrivania vicina, scribacchiando qualcosa sul suo taccuino. «Dopotutto, è da questo che siamo partiti. Un amante delle sfide che si da per vinto deve avere una ragione molto più che buona, non credi anche tu?»

Il giovane fissò con aria torva il tavolino che aveva davanti ed il dottore si ritrovò a ringraziare di avergli vietato la bacchetta. Continuando su quella strada, avrebbe fatto saltare in aria qualcosa per il solo piacere di infastidirlo.

«Non posso scappare dal mio passato. Tornerà sempre a farmi visita» ammise controvoglia, tornando a stravaccarsi sulla poltrona, improvvisamente dimentico di ogni buona maniera insegnatagli da sua madre. «Non che io possa permettermi di sperare in qualcosa di diverso. Ho una ricordella ancorata al braccio» sbuffò, sollevando svogliatamente il braccio destro, su cui, sotto la camicia bianca, spiccava una fasciatura molto recente.

Newton Crave si accigliò, improvvisamente preoccupato. «Ha ricominciato a far male? Credevo avesse smesso, dopo l’incantesimo di cura» disse, raddrizzandosi.

La sua preoccupazione era più che altro legata al fatto che lui stesso avesse partecipato alla preparazione di quell’incanto, capace di far sbiadire il Marchio Oscuro con una somministrazione regolare nell’arco di sei settimane. Tutti i pazienti – Mangiamorte di Azkaban, Mangiamorte pentiti – sembravano aver reagito positivamente al trattamento, arrivando alla guarigione completa anche in tempi più brevi rispetto a quelli previsti.

Draco fece un altro tiro, inspirando il fumo. Poi, con uno sbuffo, alzò gli occhi in quelli del suo psicologo. «Con me non ha mai funzionato, dottore» ammise. «Il mio Marchio si è ribellato, si è rifiutato di andare via. Ancora oggi non fa che distruggermi dall’interno, una lotta senza fine fra ciò che sono e ciò che ero»

Il dottor Crave lo fissò, sconvolto, per poi massaggiarsi gli occhi con pollice e indice della mano destra. Sembrava improvvisamente stanco, deluso. Draco non sapeva se l’ultima emozione fosse riservata a se stesso o a lui.

«Dottore?»

«Questo significa che non sono serviti a niente» ammise alla fine, cupo, alzandosi in piedi per afferrare una bottiglia di Rum da sopra la mensola del camino. Non si disturbò a prendere un bicchiere, bevendo direttamente da lì. «Tutti i nostri incontri… sono stati assolutamente inutili».

«Cosa vuole dire?»

«Voglio dire, Malfoy, che il mio compito era quello di farti accettare te stesso, per farti andare avanti. Ma tu…» sospirò ancora, nervoso. «Tu non sei cambiato. Ti sei semplicemente rassegnato» sbottò, guardandolo come se gli avesse assassinato il gatto.

Gatto che, giusto per chiarezza, adorava Draco. Anche in quel momento, il vecchio blu di Russia – chiamato Schopenhauer, nome che Malfoy proprio non riusciva a comprendere – si trovava fra i suoi piedi, piuttosto che sotto la poltrona del suo padrone, dove risiedeva durante tutte le sedute. Era una bestiola di oltre quindici anni, a detta del medico, magro come un asticello ma pigro come un bradipo. Draco sospettava che avesse inalato così tanti fumi alternativi da essere diventato stupido. Oppure un drogato cronico.

O magari entrambi.

«Cosa sta cercando di dirmi, dottore?» domandò alla fine, non avendo il minimo interesse a fare il solito giochino per indovinare cosa stesse passando per la mente di quell’uomo. «Abbiamo solo un’ora, se vuole passarla fissandomi in cagnesco posso togliere subito il disturbo. Mi basta andare a trovare mio padre, per questo»

Il medico digrignò i denti, fissandolo malamente. «Tu non ti rendi proprio conto, vero?» gli domandò, con un sibilo, per poi passarsi una mano fra i capelli e sospirare. «Bene, non importa. Non esiste il tempo perso, solo quello speso in modo alternativo. Risolveremo tutto, in qualche modo».

Draco inarcò le sopracciglia. «Tempo alternativo? Ha inventato questa definizione per giustificare la pigrizia?».

«No, l’ho trovata quando passato i pomeriggi in compagnia, piuttosto che studiare per i miei esami».

Si guardarono entrambi con un ghigno complice, stemperando ancora di più la tensione che si era creata nella stanza. C’era così tanto testosterone, fra quelle quattro mura, da far venire il mal di testa a qualunque animale dotato di un fiuto più affilato del normale. Tranne per Schopenhauer, lui era ridotto troppo male per poter sentire qualunque cosa.

«Quindi l’incantesimo su te non ha mai fatto effetto, dico bene?» chiese lo psicologo, riaccomodandosi sulla sua vecchia poltrona e fissando il suo paziente da sopra le piccole lenti rotonde. Quel suo sguardo inquisitore aveva sempre infastidito l’altro, che però era riuscito, col tempo, ad abituarsi. Il dottor Crrave aspettò che annuisse, prima di continuare. «Certo, un caso più unico che raro. Ha sempre funzionato. Ma tu mi sembri tranquillo, come mai?»

Draco emise una risatina sarcastica, sollevando appena gli occhi di ghiaccio sul suo psicologo. «Come ho detto, niente è impossibile, per me. Non c’era modo che l’incantesimo fallisse? Beh, io ho dovuto confermare il contrario» disse, tornando a guardare le pagine del libro che aveva preso ma non ancora iniziato a leggere. Aveva dimenticato di aver scelto una storia babbana, un certo Macbeth, costretto dalla moglie ad andare contro le più basilari regole della società per ottenere potere e fama.

Senza sapere perché, Draco sperò che quel tipo avesse ottenuto un lieto fine.

«Non prendermi in giro, Malfoy. Sono quattro anni che sopporto te ed il tuo insopportabile sarcasmo, dacci un taglio» lo rimproverò l’uomo. «Non costringermi a toglierti la voce e farti rispondere con una sola parola. Non saresti il primo» minacciò poi, puntandogli contro il dito.

Il gatto, dalle gambe del giovane, sgusciò via e si rifugiò sul vecchio poggiapiedi, grattando un po’ il cuscino con le unghiette, per poi rilassarsi ed iniziare a ronfare.

«Sa, dovrebbe farlo vedere ad uno specialista. Non è normale che si addormenti così velocemente… sembra morto».

«Non cambiare discorso, ragazzo».

Draco alzò gli occhi al cielo, sbuffando sonoramente.

«Ho una teoria» ammise soltanto, scorrendo un altro paio di righe nel libro. «Ma non ho voglia di parlarne adesso. Diciamo soltanto che, se ho ragione, probabilmente convivrò con questo dolore finché l’universo non mi farà un favore e mi manderà nell’inferno che mi merito».

Il dottore non gli staccò gli occhi di dosso, increspando leggermente le labbra. Nei suoi occhi, Draco riusciva a notare tutte le macchinazioni che quel suo bizzarro cervello stava elaborando. Continuò in quel modo per almeno due minuti interi e, alla fine, si voltò per afferrare due bicchieri dal tavolino alle sue spalle. Ne porse uno al ragazzo e, un momento dopo, appellò una nuova bottiglia di Scotch.

«Non dirmi nulla, d’accordo» disse alla fine, riempiendo di liquido ambrato entrambi i calici. «Se non vuoi parlarmene, è inutile insistere. Inizieresti a mentire come sempre e perderemmo tempo prezioso».

Il giovane si accigliò. «Rinuncia? Davvero?» chiese, sinceramente confuso. «L’ultima volta che non ho risposto alla sua domanda ha minacciato di mettermi il veritaserum nello-» si fermò, abbassando gli occhi sullo Scotch che aveva già assaggiato. «Sta cercando di avvelenarmi di nuovo? Non avevamo detto basta a questi trucchi da Auror?» sbottò, irritato, spingendo di alto il bicchiere.

Il dottore scoppiò in una risata allegra, per poi alzare gli occhi al cielo. «Bevi e prova a dire una bugia, ma posso assicurarti che stavolta non ti ho avvelenato. Voglio soltanto andare avanti con le sedute, senza perdere tempo».

Naturalmente, Draco non si fidò. C’era una foto di Newton Crave nei sotterranei, lo stesso Piton aveva spesso confermato quanto quell’uomo fosse stato d’esempio per i veri Serpeverde: studente modello, Prefetto e pure Caposcuola, senza mai perdere fascino o il primato nella vita sociale di Hogwarts.

Mantenendo lo sguardo corrucciato, sorseggiò ancora un po’ di liquore, per poi guardare il medico negli occhi. «Io ritengo che lei sia un grande mago ed un gentiluomo impeccabile… è vero, non mi ha avvelenato» constatò, mentre l’altro gli lanciava un’occhiataccia. «Ma io ancora non mi spiego per quale motivo ha deciso di lasciar perdere. Non è da lei» assottigliò lo sguardo. «Cos’è, l’andropausa sta iniziando a colpire? Crisi di mezz’età che lo rende meno paziente? Oppure ha un appuntamento galante con qualcuna delle sue prostitute e vuole raggiungerla prima? Le fa un buon prezzo?».

Se lo scopo del giovane era quello di provocare l’altro, non sarebbe servito un genio per comprendere che non l’avesse avuta vinta. Il dottore si limitò ad inarcare le sopracciglia, con un ghignò compiaciuto, e bevve d’un colpo tutto il contenuto del bicchiere. «Posso giurare di non aver mai pagato per avere compagnia. Di solito sono loro a pagare me»

Il giovane rise, gettando il capo indietro. «Mi sta dicendo di aver fatto la prostituta, dottore?».

L’uomo si strinse nelle spalle, noncurante. «Mi annoiavo facilmente, da giovane. Ed ho mantenuto gusti costosi anche dopo esser stato cacciato di casa».

«Dottore!»

Crave alzò le mani, arretrando contro lo schienale della poltrona. «Ero una sgualdrina d’alta società, solo le migliori signore purosangue potevano permettersi il sottoscritto».

Dopo quell’affermazione, entrambi restarono in silenzio per qualche istante, squadrandosi a vicenda. Infine, fu il dottore stesso a cedere, con un sospiro.

«Tu e questa tua nuova collega… quando inizierete?» domandò, accavallando le gambe elegantemente.

«Venerdì inizieremo il programma, abbiamo una visita da fare. Dovremo girare un bel po’ per trovare la soluzione giusta» rispose il giovane, con un ghigno. «Una parte di me è terrorizzata all’idea, l’altra, invece, non vede l’ora».

«Come mai?»

«Ah, dottore… ho passato i sei anni della mia formazione scolastica a tentare di infastidire quella donna. Immagini la faccia che potrebbe fare, dall’alto della sua carriera al Ministero, scoprendo di essere lei la mia assistente e non l’opposto» si pavoneggiò, con un ghigno sardonico.

«Potrebbe anche metterti i bastoni fra le ruote, non credi?»

Draco si strinse nelle spalle, con l’aria soddisfatta di un gatto accanto ad una ciotola di latte. «Potrebbe, ma sarà troppo impegnata a tentare di non uccidermi».

 

 

*** *** *** ***

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati, voi che avete aspettato una settimana, e benvenuti, voi che siete appena giunti!

Come avevo preannunciato, anche questo è un po’ un capitolo di passaggio, ma con più informazioni.

Prima di tutto: sorpresa! Crave è lo psicologo di entrambi! Non è curioso?

Vi assicuro che lui adora questa cosa.

 

Punti importanti:

» La citazione è di Lemony Snicket, autore che io adoro. Il fatto che riguardi il rimpianto non merita spiegazioni, credo. Malfoy rimpiange il suo passato e questo sembra influire sul suo presente.

» Crave è un Guaritore a dir poco geniale. Ha partecipato a questa cura, ma nessuno ospedale riesce a tollerarlo. Diciamo pure che si considera uno spirito libero.

» Blaise Zabini è un Medimago ad un passo dal concludere gli studi. Draco chiama lui perché i pregiudizi verso quelli come lui sono troppo forti per garantirgli un’assistenza adeguata.

 

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazir ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

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Capitolo 4
*** Atto III/Parte I - Nascosto in piena vista. ***


Atto V – Capitolo I

Lo Specchio delle Anime.

 

 

Il posto migliore per nascondere qualsiasi cosa è in piena vista.

[Edgar Allan Poe – La lettera rubata]

        

        

Atto III – Parte I

Nascosto in piena vista.

 

 

Il concetto di “essere in ritardo” era assolutamente assente nella visione del mondo che Hermione Granger aveva sviluppato, fin dal primo giorno di cui aveva memoria. La puntualità, negli appuntamenti così come nei compiti da consegnare, era ciò che l’aveva sempre contraddistinta dalla massa degli sfaticati che aveva intorno.

Compreso Jerry Stamp, che aveva perso il suo record di puntualità per assistere la moglie in travaglio.

Quella mattina, però, Hermione non aveva avuto la minima intenzione di essere puntuale. Per assicurarsi di arrivare in elegante ritardo, la sera si premurò di spegnere la sveglia, contando sulla stanchezza e sull’istinto di autoconservazione del suo corpo. Nella sua visione delle cose, in seguito, avrebbe fatto un bel bagno rilassante, nutrito il gatto, fatto lei stessa una lunga e sostanziosa colazione per poi, solo alla fine, presentarsi all’appuntamento con il suo nuovo collega.

Naturalmente, il suo piano non funzionò.

Sveglia alle cinque del mattino, la giovane restò a fissare le stesse fosforescenti che aveva fissato al soffitto, considerando ogni variazione di luminescenza con l’aumentare del chiarore fuori dalla finestra. Alle sei e quarantacinque, una volta che il sole fece la sua comparsa oltre il muro di palazzi che le impediva di vedere l’orizzonte, il miagolio insistente di Mittens la costrinse ad alzarsi dal suo enorme, freddo e ruvido letto per riempirgli la ciotola di latte.

Le lenzuola di cotone che sua madre le aveva regalato per l’ultimo compleanno, quasi un anno addietro, erano così fastidiose che ancora si chiedeva per quale motivo le avesse usate. Le ricordavano moltissimo quelle che la sua prozia Jeanne era solita propinarle quando era costretta a passare il weekend da lei, a Brighton. Sua madre le diceva sempre di non lamentarsi, perché la prozia era anziana, sola e non accettava le critiche. Non accettava neppure i complimenti. Sostanzialmente, non accettava nessuna manifestazione di volontà umana, a prescindere dalla tipologia.

«Oh, per Merlino, Barty Poplar e la sua mania di protagonismo» sbuffò, lanciando un’occhiata alla prima pagina del giornale. Il signor Poplar era un opinionista molto famoso, quel giorno aveva riempito il suo trafiletto con uno sproloquio sulla necessità delle streghe di iniziare ad indossare ancora una volta i capelli a punta. Hermione odiava tutte quelle sciocchezze.

Ovviamente, si stava trasformando nella Prozia Jeanne.

Erano le otto e quarantadue, lei era già rimasta a mollo nella vasca per un tempo a dir poco improponibile e stava giusto versando il suo caffè mattutino nella vecchia tazza a forma di gufo che i suoi genitori le avevano regalato dopo aver ricevuto la lettera da Hogwarts. Accanto a lei, sul bancone della minuscola cucina, giacevano tre lettere, due aperte ed una ancora sigillata con ceralacca.

La prima era una lettera babbana, una semplice bolletta della luce arrivata tramite posta; Hermione avrebbe dovuto ridurre notevolmente l’utilizzo del phon o dei vari aggeggi che sua madre le aveva regalato per aiutarla a tenere sotto controllo i suoi ricci ribelli, soprattutto perché in linea generale erano inutili. La seconda era una missiva del suo capo, il Signor Hicklebottom la informava che tutti i suoi soliti incarichi erano stati trasferiti ad un altro sottosegretario, così da lasciarle campo libero per le indagini. Inoltre, si premurava di farle sapere di aver scelto un sostituto organizzato e puntuale quasi quanto lei, così che potesse mantenere un’organizzazione quantomeno decente fino al suo ritorno.

Adalbert Hicklebottom era un uomo sulla sessantina, molto alto e non particolarmente in carne, con un amore sfegatato per tre cose: i suoi papillon colorati, i dolcetti babbani ed i casi proposti al suo dipartimento risolti senza complicazioni. Si occupava della Sezione Inquisitoria da quasi venti anni, dopo una lunga carriera dapprima come Auror e successivamente come sottosegretario, sopravvivendo egregiamente alle due guerre e facendosi un nome nello scenario giudiziario internazionale. Molti dei casi di cui si era occupato erano finiti nei libri di preparazione che Hermione aveva dovuto studiare, facendole sviluppare un’immensa ammirazione per quell’uomo.

Ma era un tale disordinato cronico da farle venire mal di testa.

La terza lettera, quella ancora sigillata, era di Ginny, cosa che spaventava la strega non poco.

La sua migliore amica, che negli ultimi sei mesi era diventata molto più che una sorella, era solita presentarsi direttamente nel suo salotto, usando la metropolvere, qualora avesse avuto una qualche notizia da comunicarle. Le lettere erano utilizzate da entrambe soltanto in casi di particolare urgenza, come questioni di lavoro o, più in generale, questioni del fattore P.

La P, naturalmente, indicava Potter. Questioni riguardanti Harry James Potter, per essere ancora più precisi, il Bambino Sopravvissuto a Voldemort ma che sembrava non riuscir a sopravvivere al terremoto mediatico che stava investendo il Ministero della Magia, oltre che agli incubi ed ai problemi di evidente alcolismo non più controllato.

Per questa ragione, Hermione aveva deciso di non aprire la lettera finché non avesse preso il suo caffè, magari aggiungendoci una ciambellina zuccherata che aveva acquistato la sera precedente al forno vicino.

Le servivano zuccheri, oltre che energia.

Un miagolio leggero le fece spostare lo sguardo dall’orologio sulla parete alla minuscola palla di pelo che tentava disperatamente di arrampicarsi sulle sue gambe. Le unghiette erano affilatissime, nonostante Mittens non avesse più di due mesi di vita, e le calze di nylon indossate da lei non fecero che aiutarlo a graffiarla con maggiore facilità. Guardandolo per la prima volta, sarebbe sembrato una creaturina adorabile, con un folto pelo tendente al rosato – forse era troppo piccolo per essere rosso? – e dei grandi occhi gialli. In realtà era un essere crudele, che sembrava tollerare Hermione solo perché era la mano che lo nutriva, oppure per rispetto alla memoria del defunto padre, il caro Grattastinchi.

Hermione ancora non si capacitava di come quel suo vecchio amico fosse riuscito a convincere una gatta a fare cuccioli.

Un cucciolo, ad essere precisi. Un singolo cucciolo dall’aria angelica, che il padrone della gatta le aveva consegnato dentro un guanto da forno, “Mitten”, appunto. L’uomo, disperato, le aveva consegnato l’unico frutto di quell’amore bizzarro, affermando che fosse troppo insopportabile per una casa rispettabile come la sua.

Lei non si era opposta, Grattastinchi era morto da pochissimo e non si sentiva ancora abbastanza forte da poter vivere da sola. Per quanto pestifero, Mittens era tutto ciò che era disposta a sopportare fra quelle quattro mura rosa pallido.

«Cosa c’è, mostriciattolo? Hai già finito il tuo latte?» gli domandò, con un leggero sorriso, chinandosi per acciuffarlo da sotto il pancino e lasciandolo andare sopra il bancone. Una parte di lei si lagnò per il pelo che avrebbe dovuto pulire prima di uscire, così da non scordarsene, ma il resto le ricordò che difficilmente si sarebbe messa a cucinare qualcosa, il takeaway italiano era sempre aperto per lei.

Mittens zampettò allegramente sul bancone, decidendo, infine, di accomodarsi sulla lettera che ancora non era stata aperta. Fissò la sua padrona con i suoi grandi occhi gialli, senza fare più un suono. Fu come se avesse iniziato a giudicarla per quel suo procrastinare.

Con uno sbuffo, la ragazza sfilò la lettera da sotto il suo sederino peloso, aprendola con degli scatti veloci delle dita. Le mani le tremarono, mentre gli occhi scorrevano le poche linee:

 

Cara Hermione,

Harry è quasi andato al lavoro ubriaco, ieri. Fortunatamente me ne sono resa conto prima che potesse farsi licenziare, costringendolo a darsi malato. Ti scrivo perché temo che Kingsley potrebbe chiederti conferma delle sue condizioni di salute e vorrei che tu ci reggessi il gioco. Come sempre.

Ho già informato il mio ragazzo che la prossima volta che succederà verrò a dormire a casa tua, ordinando a Kreacher di tormentarlo.

Tranquilla, oggi non è ubriaco e non credo avrà modo di esserlo, ho requisito tutte le bottiglie ed ho ordinato all’elfo di non farlo uscire di casa.

Ti aspetto per il tè, questo pomeriggio,

Ginny.

 

Hermione sospirò, mettendo da parte la lettera. Ancora una volta, il suo migliore amico aveva fatto prevalere il suo lato oscuro. Forse avrebbe fatto bene a parlare con qualche collega, per scoprire quanto fosse stata dura l’ultima missione. In base al numero di morti, avrebbe potuto prevedere quanto tempo Harry avrebbe impiegato a riprendersi.

Sperò qualche giorno fosse sufficiente.

“Appuntamento al Kensington Cafè, ore nove” canticchiò l’orologio che aveva al polso, un gentilissimo regalo di Harry stesso. Era dorato, molto fine, parlava con una voce che somigliava a quella della strega, ma molto più snob. Lui le aveva detto di averlo scelto per ridere. Hermione lo detestava.

«Ho capito, sto andando» sbuffò, con una smorfia, avvicinandosi all’uscita per osservarsi al grande specchio ovale accanto alla porta. La sua camicetta azzurra la faceva sembrare grassa ed i suoi capelli sembravano pronti a scappare dalla crocchia strettissima.

“Farai tardi” insistette la voce, pedante.

«Lo scopo era quello».

 

***

 

Victoria Sponge, dolcissima pasta morbida e spugnosa con ripieno di crema e confettura di lamponi, servita con lamponi freschi e zucchero a velo.

Hermione odiava i lamponi. Ancora si chiedeva per quale motivo avesse ordinato proprio quel dolce, considerata l’enorme scelta che le cinque pagine di menù offrivano. Avrebbe potuto prendere i bigné alla crema, oppure i biscotti al miele. Il crumble di mele sarebbe stata la sua prima scelta, ne era assolutamente convinta, ma…

«Signori, una fetta di Victoria ed un crumble di mele» disse la giovane cameriera, posando i due piatti davanti a loro e lanciando uno sguardo di fuoco al giovane mago, che però sembrava troppo preso dal contemplare il suo squadernino di pelle nera.

L’aveva preso lui, il maledetto crumble.

«Grazie» sibilò la strega, alla fine, quando la ragazza non sembrò interessata a lasciarli in pace. Le dedicò anche un’occhiataccia – una di quelle che in ufficio aveva fatto tremare molti novellini – e fece un gesto imperioso della mano per convincerla ad alzare i tacchi.

Non le erano mai piaciute le smorfiose.

«Mezzosangue, per Merlino, avresti potuto lanciarle direttamente una Cruciatus, saresti sembrata più magnanima» la riprese l’uomo, senza alzare gli occhi dal suo quadernino. Il solito sorriso sardonico non si mosse dalle sue labbra, facendola innervosire ancora di più.

«Dobbiamo parlare di lavoro, furetto» gli sibilò, incrociando le braccia al petto. «Il fatto stesso che tu abbia spostato l’appuntamento qui, quando doveva essere nel mio ufficio, è già inaccettabile di per sé, che tu addirittura lasci una ragazzina a sbavarti sulle scarpe mentre fingi di ignorare non solo lei, ma anche me, è addirittura vergognoso».

Malfoy alzò gli occhi dal suo quadernino solo per un secondo, prima di sospirare – come se lei lo stesse annoiando – e riporlo nella tasca interna della sua giacca, raddrizzandosi sulla sedia. Con un gesto elegante, intrecciò le dita sul tavolo, piegando leggermente il capo mentre osservava la sua collega come se le avesse fatto un enorme favore.

«Bene, Mezzosangue. Adesso hai tutta la mia attenzione, sei contenta?» le domandò, sfrontato, tirando fuori lo stesso strano sorriso che le aveva dedicato durante il loro primo incontro, al Ministero. Quel sorrisino capace di far rabbrividire Hermione per lo sdegno.

«Tu, insulso…»

Lui la fermò, alzando la mano per intimarle il silenzio. «Sì, lo so. Insulso furetto, maledetto egocentrico, Purosangue dei miei stivali. Queste deliziose parole d’amore le ho già lette nei sei gufi che mi hai mandato quando ti ho chiesto di incontrarci qui» le disse, esasperato. «Devo dire che sei ripetitiva, Granger» aggiunse, divertito. «Domandami il perché di questa scelta, invece di insultarmi. Non l’hai fatto nelle lettere, nonostante io credessi che sarebbe stata la prima cosa a venirti in mente».

Effettivamente, quella era stata la prima domanda a passare per la mente di Hermione. Aveva proprio voglia di chiedergli spiegazioni, ma temeva che lui…

«So per certo che avresti scritto qualche bugia» gli disse, raddrizzando le spalle ed incrociando le braccia al petto. «Ho preferito farti sapere subito cosa penso di te, così da impedirti di prendermi per i fondelli. Cosa che, faccia a faccia, sarà molto più difficile da fare» gli rispose, cercando di mantenere un atteggiamento il più orgoglioso ed elegante possibile.

Eleganza che semplicemente moriva, davanti al portamento del dannato Purosangue.

«E come mai ritieni di essere abbastanza brava da comprendere se sto mentendo, Mezzosangue? Vuoi usare la legilimanzia?» le domandò lui, divertito, osservandola col capo piegato di lato. Ridusse gli occhi grigi a due fessure, il sorrisino nuovamente evidente. «Oppure è qualcuna di quelle stronzate babbane sul guardare le persone negli occhi?».

Hermione accennò un sorriso, sentendosi improvvisamente più sicura di sé. «Interrogare le persone e capire se sono sinceri è il mio lavoro, Malfoy. Non hai idea di quanti siano immuni al Veritaserum o Occlumanti capaci» gli disse, orgogliosa. «Tu non puoi essere più complicato da capire».

Anche se su questo aveva i suoi dubbi.

«Su questo ho i miei dubbi, Granger». Draco sorrise, grattandosi il profilo della mascella. Aveva un velo di barba, forse aveva evitato di radersi per qualche giorno. «Comunque non c’è bisogno di mentire, il motivo è molto semplice e credo tu lo sappia, nel profondo del tuo cuoricino di Mezzosangue» disse poi, stringendosi un momento nelle spalle. «Al Ministero c’è una talpa, vista la gravità della nostra missione è il posto meno sicuro in assoluto» spiegò, prendendo in mano il suo cucchiaino ed immergendolo nella piccola coppa con il suo dolce. «Oltretutto, qui fanno il crumble migliore di tutto il sud dell’Inghilterra. La prossima volta dovresti provarlo».

Hermione serrò i denti, irritata. Negare che ci fosse una talpa sarebbe stato ingenuo, da parte sua, ma sentirselo sbattere in faccia così, soprattutto da lui, l’aveva fatta innervosire come mai.

Oppure era stata la storia del crumble, non lo sapeva.

«Bene, la tua motivazione regge, per quanto avrei ritenuto più accettabile un qualsiasi altro luogo appartato, vista la delicatezza dell’argomento» gli rispose, socchiudendo gli occhi per tentare disperatamente di darsi una calmata. La fetta di torta che aveva davanti le sembrò improvvisamente disgustosa. Il rosso dei lamponi nella crema sembrava sangue. Sangue su delle lenzuola.

«Ah, Mezzosangue. Nascosti in piena vista, non l’hai capito? Quale modo migliore per seminare una talpa, che restare in un luogo pubblico, dove nessuna persona di buon senso discuterebbe una missione così fondamentale?»

Maledizione, Malfoy 1 – Granger 0.

«Stai implicitamente affermando di non essere una persona di buon senso, Malfoy?» gli domandò, forse sperando di sembrare intelligente. La necessità di denigrarlo per tenerlo sotto controllo era diventata impellente.

«Certo che no, Mezzosangue, non implicitamente. Quale ex Mangiamorte di buon senso accetterebbe di lavorare con te? La migliore amica di Potter?» disse, divertito, portandosi un cucchiaio di dolce alle labbra. Hermione dovette sbattere un paio di volte le palpebre, sorprendendosi a fissare quel gesto. Probabilmente il movimento elegante l’aveva incantata. «Mi sorprende che lui o la Donnola non siano venuti a farti da scorta» aggiunse poi lui, con il suo solito ghigno.

Lei si irrigidì, quando lo sentì fare riferimento a Ronald. La ferita nella sua anima cominciò a pulsare, come succedeva ogni volta, ma ormai era diventato un dolore sopportabile.

«Non ho bisogno di guardie del corpo, Malfoy. Adesso, per piacere, possiamo parlare della missione?»

«Come la signora desidera».

 

***

 

«Speculum Animarum» lesse Malfoy, allontanando leggermente il suo quadernino. «Noto volgarmente come Specchio delle Anime, nonostante non siano molti i popolani a sapere qualcosa della sua esistenza» strinse un momento le labbra, alzando gli occhi verso Hermione. «Quantomeno, non con quel nome, viste le varie storie in cui è apparso».

«Principalmente favole, oppure romanzi epici, lo so» aggiunse lei, con un gesto annoiato della mano. «Ma i più illustri ricercatori sostengono che si tratti solo di una leggenda. Se davvero questo specchio è esistito, dovrebbe avere molto più di duemila anni, oltre ad aver girato tutto il Vecchio Continente» protestò, accigliandosi. Rischiò di arrabbiarsi, quando notò lo sguardo divertito ed il sorriso compiaciuto dell’altro, ma decise di soprassedere. I loro guai erano ben altri. «Non possiamo fidarci delle parole di quei detenuti, soprattutto perché la confessione è stata fatta senza veritaserum e davanti dei comunissimi Auror, non Inquisitori».

Malfoy inarcò le sopracciglia. «Potter è a conoscenza della considerazione che porti alla sua squadra?» le chiese, tornando quasi immediatamente a concentrarsi sul suo quadernino. Sfogliava le pagine con disinvoltura, probabilmente cercando solo qualche parola chiave. «Comunque, l’interrogatorio è più che accettabile, considerando le conferme raccolte da uno studioso estremamente competente».

«E chi sarebbe?» domandò lei, noncurante, essendo certa di non aver trascurato nessuno degli esperti più importanti. Con molti di loro aveva intrattenuto una breve corrispondenza, nella settimana trascorsa in attesa di quell’appuntamento. Tutti avevano concordato nel non considerare valida la teoria dell’esistenza dello specchio. Chiunque Malfoy avesse contattato, si sarebbe dimostrato facilmente uno sciocco.

«Io, Mezzosangue».

Le sopracciglia di Hermione non sarebbero potute andare più in alto, senza schizzare via dalla fronte. Una parte di lei fu tentata di scoppiare a ridere, l’altra, semplicemente, pensò che sarebbe stato più saggio dargli un altro cazzotto per pretendere un minimo di serietà. Poi, però, si rese conto che fosse assolutamente serio, quindi si limitò ad aprire la bocca per rispondergli, senza tuttavia riuscire ad emettere un suono.

Quell’insopportabile…

«Non guardarmi in quel modo, Mezzosangue» la riprese Malfoy, dedicandole solo uno sguardo veloce. «Sono certo tu abbia già verificato le mie credenziali. E non c’è bisogno di specificare che, diversamente da tutti gli studiosi che ti sei premurata di contattare, sono in possesso di contatti molto più affidabili».

«Contatti affidabili?» lo scimmiottò la strega, le sopracciglia inarcate ed un sorriso di scherno sulle labbra. «Modo carino per parlare di delinquenti, Mangiamorte non esattamente pentiti e… e…» non riuscendo a trovare appellativi peggiori di quelli già usati, gonfiò leggermente le guance. «Insomma, gentaglia inaffidabile».

Con uno sbuffo divertito, Malfoy mise da parte il suo quadernino, concentrandosi nuovamente sul suo dolce di mele. «Gentaglia di cui ho fatto parte, Mezzosangue. Non è carino da parte tua» le disse, pacato, mescolando il contenuto del suo piatto con la punta del cucchiaino, l’aria da principe elegantemente annoiato. «E comunque, parlo di gente tutt’altro che inaffidabile. Fra le mie conoscenze ci sono collezionisti d’arte di tutto il mondo, studiosi delle migliori università… L’uomo con cui abbiamo appuntamento questo pomeriggio, ad essere precisi, è Augustus Rochester, ordinario alla St. Andrews, esperto in Arte Medievale ed Arte Esoterica» le spiegò, passandole da sopra il tavolo un fascicoletto estratto dalla tasca interna della giacca.

Hermione era ammirata, inutile negarlo. Ammirata ed un po’ imbarazzata, per essere precisi. Il suo non era stato davvero un tentativo di sminuirlo, associandolo a quel gruppo tutt’altro che ammirabile, però non era riuscita a far diversamente.

- Non sminuirti Hermione. Hai sofferto, ma non sei una stupida.

No, non doveva pensarci. Avrebbe avuto modo di parlare con il dottor Crave nel giro di qualche giorno, nel suo appuntamento settimanale. Non poteva permettersi di mostrarsi debole. Non davanti a Malfoy.

Cercando di distrarsi, la giovane afferrò il fascicolo, scorrendo velocemente le poche pagine. Notò che i caratteri fossero più grandi del normale, probabilmente per lo stesso motivo che costringeva Malfoy ad allontanare il quadernino per leggere chiaramente. Era ipermetrope, lo spocchioso bastardo. Probabilmente non voleva che degli occhiali rovinassero il suo aspetto da principino delle fiabe.

Un principino verde e argento capace di far morire le principesse, piuttosto che svegliarle.

«Ha studiato alla Sorbonne» disse, ammirata, scorrendo la lunga lista di meriti del professore. «Massimo dei voti, tre dottorati… Ufficiale dell’Ordine Nazionale al Merito in Francia, Ordine dell’Impero Britannico… Ha pubblicato oltre centotrenta saggi!»

«Possiamo quindi concordare sul fatto che sia estremamente affidabile, non è vero?» le chiese lui, malizioso, portandosi alle labbra un altro cucchiaino di crumble. Per un attimo, Hermione pensò che l’avesse fissata ad occhi socchiusi per provocarla, poi si rese conto che, semplicemente, fosse impossibile.

«Come vuoi, sì» gli disse lei, con un gesto della mano, posando nuovamente gli occhi sui fogli. Sentì un calore sospetto al collo e sperò sinceramente di non essere arrossita. Avrebbe fatto bene a portarsi sempre dietro un foulard, quel giovane aveva la capacità di farle andare il sangue alla testa per la stizza. «Dice di avere delle informazioni per noi, ma non ha scritto nulla. Non poteva farci risparmiare un po’ di tempo?».

«Mezzosangue?» chiamò Malfoy, distraendola. Quando si voltò, pronta a dirgli di non disturbarla, lui le infilò di prepotenza un cucchiaino di torta fra le labbra, facendola spaventare a morte. «La tua torta stava andando a male. Comunque, come noterai questo pomeriggio, il Professore è un po’… prudente»

Mandato giù il boccone, solo per non rischiare di soffocare, Hermione si tolse il cucchiaino dalle labbra e lo fulminò. Fu solo per amore della missione che non lo uccise con una Maledizione.

«Cosa vuol dire prudente

Malfoy ridacchiò, afferrando il Times abbandonato sul tavolo accanto. Si chinò leggermente  verso di lei, come se avesse voluto rivelarle un segreto importantissimo. «Con prudente intendo che, se messo a confronto, Malocchio Moody, che riposi in pace nel suo inferno personale, era un allegro giovanotto dalla testa calda»

La mascella di Hermione rischiò di sfracellarsi per lo shock.

«Il male è sempre in agguato!» recitò lui, proprio mentre lei leggeva l’ultima riga della lettera che il professore aveva inviato al suo compagno.

Il male è sempre in agguato, nascosto in piena vista.

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Questa settimana, ho deciso di aggiornare un po’ prima. Non so il perché, forse la notizia di dover rimandare il mio esame di oltre dieci giorni mi ha stordita al punto di non voler aspettare per altre cose. Ha senso? Per me neppure rimandare un esame ce l’ha.

Scusatemi, sono solo stanca, pedante ed in una brutta crisi di “Grangerite”.

 

Punti importanti:

» La citazione è di Edgar Allan Poe, poiché è proprio a lui che ho pensato, scegliendo il titolo. In particolare, il mio pensiero è andato al racconto “Il cuore rivelatore”, nonostante non ci sia effettivamente un collegamento logico. Semplicemente, è uno dei miei preferiti.

» Il Signor Hicklebottom è un altro dei miei OC, non credo che farà un’apparizione prima della fine della fanfiction o, comunque, qualche presenza momentanea qui e lì. È un uomo di grande conoscenza e cultura, cui è stato anche proposto di fare il Ministro, prima di ricorrere a Caramell (nonostante nessuno l’abbia mai saputo). Hermione lo stima molto ed il sentimento è reciproco.

» Rochester farà la sua apparizione nel prossimo capitolo, portando molte notizie e, forse, un bel po’ di azione. Finalmente, mi verrebbe da dire.

 

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazie ancora a chiunque leggerà, ci becchiamo lunedì (o nel weekend!) prossimo,

-Marnie

 

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Capitolo 5
*** Atto III/Parte II - Il professore sopravvissuto. ***


L’Università che sorgeva nel cuore di St

Lo Specchio delle Anime.

 

 

Fear is the main source of superstition, and one of the main sources of cruelty.

To conquer fear is the beginning of wisdom.

[Bertrand Russel]

        

        

Atto III – Parte II

Il Professore sopravvissuto.

 

 

L’Università che sorgeva nel cuore di St. Andrews, in Scozia, era un adorabile scenario da cartolina, che Hermione avrebbe volentieri immortalato in una fotografia da mostrare a sua madre, quando avesse trovato abbastanza tempo da farle visita.

­ Bugiarda.

L’odore di terra umida e mura antiche – non c’era altro modo per identificare quel profumo particolare, che l’aveva sempre incantata tanto – le solleticò le narici, mentre si avviava velocemente lungo il viale principale. Intorno a lei, la vita dell’Università continuava come sempre, indisturbata, fra lamenti e risate.

Sembrava di essere ad Hogwarts, senza la paura della guerra.

L’assistente del Professor Rochester era immobile davanti al portone d’ingresso, con i capelli impomatati praticamente incollati alla testa, dei grossi occhiali che continuavano a scivolargli sul naso e l’aria di qualcuno decisamente infelice del compito che gli era stato affidato.

«Ginger e Malfy?» disse, non appena lo raggiunsero, squadrandoli dall’alto in basso nonostante non superasse il metro e mezzo d’altezza. Quando la strega fece per correggerlo, lui alzò la mano per impedirle di aprire bocca. «Lui vi aspetta nel suo ufficio» comunicò, dando loro le spalle e risalendo i pochi gradini, senza neppure curarsi che lo stessero seguendo.

Il mago e la strega si guardarono, lei corrucciata per esser stata zittita e lui accigliato per quello strano modo di comportarsi.

Nel frattempo, l’assistente senza nome era già arrivato alla fine del salone d’ingresso, se non si fossero sbrigati li avrebbe semplicemente abbandonati lì. Per quanto l’idea fosse stimolante, vista l’antichità della struttura, decisamente non c’era il tempo per fare i turisti.

«Ginger, dopo di te» commentò Malfoy, con le sopracciglia inarcate, facendole cenno elegantemente di precederlo. Il fatto stesso che avesse deciso di soprassedere a quella storpiatura del suo nome aveva lasciato la giovane totalmente basita.

«Grazie, Malfy».

Seguirono l’ombra del giovane assistente lungo un paio di corridoi affollati, oltre delle scalinate e, infine, lungo un corridoio dalle infinite porte. Quando lo raggiunsero, lui li squadrò ancora una volta con i suoi occhietti scuri, per poi dar loro le spalle, bussare tre volte e spalancare la porta.

Sul legno chiaro, incisa sopra una placca d’oro, c’era l’iscrizione “Professor A. Rochester – Storia dell’arte Medievale”, accompagnata da un post-it che invitava chiunque a non disturbare.

«Sono arrivati, professore. Avverto il Suo sostituto che è impegnato e non potrà raggiungerlo» disse il giovane, chinando leggermente il capo,  prima di uscire e far cenno ai due ospiti di accomodarsi. Dall’interno della stanza non era arrivato alcun suono, forse il professore si era limitato ad un cenno.

«Mezzosangue» le sibilò Malfoy, richiamando la sua attenzione prima che lei potesse irrompere nella stanza. «Qualunque cosa succeda, non fissargli le gambe e non cedere alle sue provocazioni» l’avvisò, serio, indicando con un cenno l’interno della stanza. «È un tipo un po’ suscettibile».

Hermione si accigliò. «Cosa vuoi dire?» ebbe appena il tempo di sussurrare, prima di essere malamente spinta all’interno.

Bastò uno sguardo per capire cosa intendesse Malfoy.

Il professor Augustus Rochester era un uomo che aveva abbondantemente superato la sessantina, senza capelli e con il viso estremamente rugoso. I suoi occhi erano piccoli e azzurri, si muovevano nervosamente per la stanza, tornando molte volte alle finestre. Ma ad attirare l’attenzione erano le sue gambe o, per essere ancora più precisi, ciò che restava delle sue gambe. La destra era irrimediabilmente storta, contorta su se stessa come se qualcuno l’avesse tenuta ferma dopo aver fatto ruotare tutto il corpo; alla sinistra mancava il piede, sostituito da una protesi, ed era piegata in modo tutt’altro che naturale.

Se Malfoy non l’avesse avvisata, Hermione si sarebbe ritrovata a fissarlo senza il minimo ritegno. Invece, spostando immediatamente gli occhi sul suo viso, riuscì a cogliere perfettamente la sua espressione contrariata. Lui voleva che lei lo fissasse. Voleva trovare una scusa per aggredirla e farla sentire a disagio: per quel motivo non si era nascosto dietro la scrivania, preferendo accomodarsi accanto al camino acceso.

Vecchio bastardo.

 

«Tornerò fra un’ora per il tè, professore» disse, pedante, l’assistente, chiudendo la porta con tale violenza da far quasi inciampare Malfoy, non ancora entrato. Il giovane si voltò e dedicò al legno uno sguardo irritato, senza tuttavia aprire bocca.

«Draco Malfoy» chiamò il Professore, dedicandogli uno sguardo che avrebbe dovuto essere di benvenuto, ma che, in realtà, non fece altro che trasmettere stizza. «Credevo non saresti venuto, considerato il terribile ritardo» commentò, voltando poi gli occhi verso la strega, con un sorriso affilato. «E voi dovete essere la Signorina Granger. Molto piacere di conoscerla».

Con un riflesso incondizionato, Hermione gli porse la mano, che però lui non strinse, fissandola come se avesse avuto paura che potesse rivoltarsi contro di lui e bruciarlo. Solo dopo vari secondi, imbarazzata, si ritirò, raccogliendo le mani in grembo.

L’uomo sorrise, assolutamente non imbarazzato. «Perdonatemi, Signorina, ma io non tocco mai nessuno» spiegò, con tranquillità. «Inoltre, pregherei entrambi di lasciare le bacchette magiche e tutte le possibili armi sulla mia scrivania, dove nessuno potrà raggiungerle» nel dirlo, indicò il tavolo alle sue spalle. I suoi occhietti chiari indugiarono su Hermione finché lei non fu costretta ad alzarsi e riporre la bacchetta, ricevendo in cambio solo un cenno stizzito ed un cenno ad accomodarsi su una delle due poltrone, disposte il più lontano possibile dalla sedia a rotelle e dalla scrivania. Subito dopo, gli occhi dell’uomo si posarono sul giovane mago, ma, una volta che lui ebbe deposto la bacchetta, non fece altro che inarcare le sopracciglia. «Tutte le armi, Malfoy, non credere che non abbia visto il resto» sibilò quindi il vecchio, con crudeltà.

Hermione si accigliò e fece per intervenire, ma, in quel momento, Malfoy ridacchiò, tirando fuori dalle tasche quelli che avevano proprio l’aria di essere diversi coltellini svizzeri, oltre che strumenti mai visti prima d’allora.

Posato l’ultimo oggetto nelle sue tasche, il giovane mago si accomodò accanto alla collega, accavallando elegantemente le gambe sotto lo sguardo compiaciuto ma ancora preoccupato del Professore.

«Benissimo» mugugnò il vecchio, soddisfatto, prendendo a fissarli entrambi con maggiore interessamento, una volta completamente disarmati. Il punto in cui erano seduti, così lontani da lui e dalle bacchette, avrebbe impedito qualsiasi movimento imprevisto. «Beh? Devo anche farmi le domande da solo?» sbottò quindi, con tono antipatico, allargando le mani come se tutto il tempo perso fino a quel momento fosse stato esclusivamente causa loro.

Il primo a riprendersi fu Malfoy. «Ci stavamo semplicemente sottoponendo al vostro esame, professor Rochester» disse, sarcastico. «Non vorremmo mai che le sfuggisse uno stuzzicadenti nascosto sotto la suola delle scarpe, potremmo tentare di accecarla» aggiunse, alzando gli occhi al cielo, mentre Hermione, al suo fianco, tentava disperatamente di intimargli il silenzio.

«Siamo spiacenti del ritardo, signore, ma siamo stati trattenuti» si scusò immediatamente, con un sorriso gentile.

«È stato lei a dirci di venire, Professore. Sa cosa ci interessa, prima parlerà e prima potremo togliere il disturbo, non crede?».

«Malfoy».

Il professore rise – una risata roca, graffiante e fastidiosa – impedendole con un cenno di continuare. «Lo lasci stare, Signorina Granger. Sono abituato a questi modi prepotenti, lui non è diverso dagli altri studiosi alle prime armi che si presentano alla mia porta, credendo di conoscere tutto» la rassicurò, mentre il giovane commentava con un verso sprezzante. «E lei non grugnisca, non è certo un maiale» aggiunse, divertito. I suoi occhi sembrarono brillare, per un singolo momento. «Siete qui per lo Specchio delle Anime, se non sbaglio. Il gioiello di Luigi XIV o, com’era conosciuto altrove, l’Occhio di Dio».

«I suoi appunti sono stati sufficienti a convincere la mia scettica collega» Malfoy indicò Hermione, con un cenno del capo. «Ma, adesso, dobbiamo sapere tutto. Non bastano informazioni estrapolate qui e lì. Avremmo preferito saper tutto via lettera, ma, poiché ormai siamo qui, immagino che pretendere tutte le informazioni che sono in vostro possesso non sia così irrazionale».

L’uomo grugnì, probabilmente non notando l’aria ancora scettica assunta dalla strega. «Il male è nascosto in piena vista, Signor Malfoy. Dovevo assicurarmi che le informazioni giungessero a voi ed a nessun altro. Per questo vi chiedo di non divulgare quello che scoprirete, so bene che al vostro Ministero c’è una talpa non ancora individuata» borbottò, fermandosi a causa di un brutto colpo di tosse. Estrasse un fazzoletto dal taschino, asciugandosi un po’ di sangue dall’angolo delle labbra.

Hermione fu tentata di chiedergli se si sentisse bene, ma un’occhiata del collega la bloccò sul posto.

Non aspetta altro che una scusa per trattarti male – sembrava voler dire, con quell’occhiata. – Non dargli una scusa per massacrarci di sensi di colpa.

«Stando alle mie ricerche, lo Specchio delle Anime ha fatto la sua prima comparsa in alcuni geroglifici egizi, in una piramide minore di Menfi» cominciò l’uomo, indicando il primo plico di fogli che aveva posizionato davanti a lui, su un grazioso tavolino da salotto. Sporgendosi, Hermione riuscì appena a notare dei simboli che, però, non erano comprensibili a lei.

Conosceva l’antica lingua celtica, conosceva il latino ed il greco. Ma i Geroglifici restavano ancora un mistero, per lei.

«Era chiamato Occhio di Osiride» continuò il professore. «Delle iscrizioni riportano che l’Occhio era utilizzato dai Sommi Sacerdoti per conoscere l’avvenire e la volontà degli Spiriti del Passato. Sembrava, infatti, che lo specchio riuscisse a mostrare la volontà dei Morti, tenuti, naturalmente, in altissima considerazione dal grande popolo» sorrise, sarcastico. «Alcuni passaggi dei papiri ritrovati appartenevano a dei nobili, convinti che i consigli dei Saggi fossero dei trucchi»

«Cosa ovviamente reale» convenne Malfoy, divertito. «Anche i bambini sanno che non bisogna fidarsi delle anime perdute. Se sono buone, allora si arrabbieranno per essere state disturbate, se, invece, sono crudeli, faranno di tutto per restare in contatto con il mondo umano e distruggere le vite dei mortali».

«Sta zitto» sibilò Hermione, con un’occhiataccia. «La prego professore, continui».

L’uomo annuì, scosso da un altro piccolo colpo di tosse.

«Ebbene, sembra che lo specchio sia rimasto nei Palazzi Reali d’Egitto fino all’Età d’Oro di Atene, quando un banale ladro di tombe la consegnò a Pericle» continuò, indicando il secondo plico. «Lì, lo Specchio venne chiamato Porta dell’Ade e divenne uno dei simboli del Potere Divino tenuti in maggior riguardo e maggior riservatezza. Sono state trovate pochissime iscrizioni che vi fanno riferimento e tutte sono zeppe di spergiuri».

«I Greci rispettavano il Dio Ade» intervenne Hermione, quando notò che Malfoy avesse già aperto la bocca. Qualcosa, dentro di lei, sembrava volerla riportare ai tempi della scuola. «Ma, pur rispettandolo come fratello di Zeus, tremavano all’idea di entrare in contatto con lui. Chi si avvicina all’Oltretomba, di solito ne viene risucchiato».

Come se non se ne fosse quasi reso conto, il Professore si portò le prime tre dita della mano destra al cuore, come se avesse voluto artigliarsi il petto. Hermione riconobbe quel gesto come un modo per allontanare il malocchio, usato proprio nell’Antica Grecia*.

«Ha ragione, Signorina Granger, e si può dire che avessero ragione nel volerlo tenere nascosto. Come accaduto in Egitto, dopo i primi anni di saggi consigli e bellezza, la storia sembrò ripetersi e lo specchio condusse Atene sull’orlo del collasso. Almeno, finché non venne condotto, nel 336 prima di Cristo, presso la corte di Alessandro il Macedone».

Un altro colpo di tosse gli fece interrompere il racconto e, allora, Hermione non riuscì più a impedirsi di avvicinarsi per assicurarsi che stesse bene.

L’uomo, però, sembrò stare meglio di quanto lei pensasse, vista la velocità con cui estrasse una pistola da dietro le sue spalle, puntandola contro la strega.

Con un gesto brusco, Malfoy afferrò Hermione per la giacca e la tirò al suo posto, fulminandola malamente con lo sguardo. La pistola del professore, allora, piuttosto che abbassarsi si posò su di lui.

«Non ho bisogno del vostro aiuto, Mostri» sibilò, pallido, mentre l’arma tremava nella sua fragile mano. I suoi occhietti erano sgranati, animati da una furia cieca. C’era un terrore tale, nel suo viso, da far tremare anche l’animo della giovane strega che per prima era stata minacciata. «Se ho accettato di farvi entrare è stato solo perché sono stato costretto. Ma credetemi, non ho nulla da perdere. Un solo movimento e sarò felicissimo di macchiare la mia preziosa moquette con il vostro sangue».

Hermione era atterrita.

Pallida, contro lo schienale della poltrona, si sentì improvvisamente debole.

-Il tuo stupido sangue… credi mi faccia schifo?

«Non facciamoci prendere dal panico, adesso» con una calma che quasi stonava in quella situazione, Malfoy alzò la mano destra verso il Professore, guardandolo dritto negli occhi. L’altra mano, invece, si strinse al braccio della sua collega, tenendola più indietro possibile. «Vogliamo soltanto le nostre informazioni, professore. Finisca di raccontare, ci consegni il fascicolo e toglieremo il disturbo» provò a dire, pacato, stringendo la presa sul braccio di Hermione quando la sentì tremare.

«Creature infide, voi maghi. Volevate prendermi in giro, eh? Qual era il suo intento? Eliminare l’unico testimone? Io non dimenticherò» ringhiò il vecchio, con la mano tremante ancora puntato verso i due. Un rivolo di sangue colava dal suo naso, ma lui sembrava non volersene curare.

«Tutto ciò che Miss Granger voleva fare era aiutarla, infido vecchio che non è altro» gli sibilò contro l’ex Serpeverde, probabilmente rimpiangendo il momento in cui aveva deciso di partecipare a quell’incontro. «Siamo disarmati e la mia collega non è decisamente capace di far del male a qualcuno, soprattutto non un vecchio paraplegico. Ho ragione, Granger?».

Dal canto suo, Hermione sentì di concordare con lui, pur non avendo la forza di aprire bocca. Si limitò ad annuire nervosamente, infossandosi nella poltrona. Si sentiva colta da un freddo gelido alle ossa, il petto stretto in una morsa. Tutto ciò che avrebbe voluto fare, in quel momento, era rannicchiarsi su se stessa e mettersi a piangere.

Maledizione, non davanti a Malfoy.

«Non ho bisogno dell’aiuto di quelli come voi» ringhiò il professore, con l’espressione di qualcuno che avrebbe volentieri sputato loro contro, se ne avesse avuta la forza. Poi, con disprezzo, abbassò l’arma, indicando i fogli sul tavolino. «Alessandro Magno tenne di gran conto lo specchio, ci sono numerosi reperti che fanno pensare al fatto che lo portasse sempre con sé, ma durante la spedizione in Asia qualcosa andò storto».

Il modo in cui aveva semplicemente ricominciato a raccontare fu quasi preoccupante. Parlava velocemente, mangiandosi delle parole, ma stando bene attento a farsi comprendere. Non voleva essere accusato di averli ostacolati, forse? Oppure non voleva che tornassero a disturbarlo, dopo?

«Gli uomini improvvisamente si stancarono di combattere e Alessandro iniziò a decadere» continuò, imperterrito il professore, con la pistola ancora bene in vista, sulle sue gambe. I suoi occhietti saettavano dalla posa ancora difensiva di Malfoy a quella terrorizzata di Hermione. Non era intenzionato a tranquillizzarsi. «Alcuni testi rinvenuti nell’Altopiano del Gange fecero pensare che avesse lasciato lo Specchio in India, dove passò di Principato in Principato. Da quel momento in poi, la storia è estremamente confusa. Si pensa sia passato in Italia, forse in Germania. L’ultimo luogo certo in cui è stato individuato è stato Parigi. Versailles, per essere precisi, alla corte di Luigi XIV prima e, infine, presso Luigi XVI e Maria Antonietta d’Austria, nel 1789».

«Fatemi indovinare, è andato perduto dopo la Rivoluzione?» tentò il Mago, probabilmente tentato di alzare gli occhi al cielo. «Non ci sono altre notizie?»

Il professore assottigliò lo sguardo, negando leggermente. «Niente di certo, ma vi dirò una cosa… ovunque sia stato, lo Specchio ha lasciato una traccia. E la traccia è sempre un indizio».

«Un indizio su cosa?»

«Un indizio sul luogo in cui si trovava prima di giungere nel nuovo nido. Lo specchio lascia sempre una traccia. Seguitela e giungerete alla fonte» disse l’uomo, serio. «Le leggende vogliono che esista un collegamento, fra la fonte e lo Specchio… andate lì e saprete dove si trova lo specchio».

«L’avete detto anche a loro?» chiese, all’improvviso, Malfoy, serio. La sua mano era stretta a pugno, il nervosismo evidente nella postura delle spalle.

Loro?

Il vecchio ghignò. «Certo che no. Loro hanno già lo specchio, hanno soltanto bisogno della prima luna d’inverno per farlo funzionare. Adesso, per piacere, uscite dal mio ufficio».

«Cosa intende con-?»

«Uscite!»

 

***

 

Ciò che più attrae, nei resoconti che sono stati tramandati al riguardo, è l’attenzione maniacale che è stata posta nello specificare la negatività che derivava dall’uso [dello specchio].

Nell’Antico Egitto si parlava della Maledizione di Osiride, in Grecia della Furia dell’Ade. Alcuni storici arrivarono ad ipotizzare che la stessa Rivoluzione Francese fosse stata una conseguenza dell’uso smodato che dello specchio fecero i Borboni.

Dalle infinite Ricchezze alle piaghe della carestia, l’Oggetto seminò distruzione in tutto il Vecchio Continente, portando con sé il nefasto consiglio dell’Aldilà. I più autorevoli conoscitori dell’Epoca, suggerirono che non potesse viaggiare per mare, poiché il riflesso di un riflesso avrebbe imprigionato le anime in fuga in un oblio senza fine.

Quanto alle descrizioni, nessuno conosce con certezza la sua forma originaria. Gli egizi parlavano di una Sfera Riflettente che riversava sul Mondo la Saggezza di Osiride, i Greci parlavano di uno scudo dalla lucentezza mai vista, capace di mostrare le anime sfuggite dall’Ade, ancora gli Artisti Rinascimentali Italiani parlavano di uno specchio riccamente decorato, con la cornice incisa dagli angeli.

Nonostante il dubbio sulla forma materiale, tutte le fonti si guardano bene dal consigliarne la ricerca. Grandi cose, sembra abbia fatto, chiunque ne sia entrato in possesso. I segreti della Vita e del Trapasso, aperti a costui come le pagine di un manuale, la Gloria Eterna una promessa ad un passo dall’essere mantenuta, crollarono tutti con la fragilità del volo di un pettirosso ferito e fu Disgrazia su loro e su quelli che li seguirono.

Perché nulla vuole la morte, se non Morte stessa.

 

Theodore F. Witherspoon, Anima Mundi – Il Mondo Occulto;

Edizione Originale 1939.

 

***

 

Ebbene, erano ben poche le cose capaci di irritare a morte Hermione Granger.

La prima era l’ignoranza gratuita. Hermione detestava con tutta se stessa le espressioni della cosiddetta beata ignoranza che la maggior parte dei suoi amici e colleghi tollerava con graziosa benevolenza. Naturalmente, Hermione non incolpava nessuno per i propri deficit di educazione, lei stessa era ben consapevole di peccare in molti ambiti e di non poter risolvere tutte queste mancanze nel tempo che la vita umana le metteva a disposizioni. Ma l’esaltazione dell’ignoranza in quanto tale, la presunzione di conoscenza senza alcuna base razionale… quella era la prima delle poche cose che irritavano Hermione.

-Io lo so che è stato il tuo stupido gatto a mangiare Crosta!

La seconda era la crudeltà gratuita verso gli esseri più deboli ed indifesi. Dall’essere lei stessa una creatura che necessitava protezione, aveva acquisito abbastanza conoscenze da poter agire contro chiunque usasse la prepotenza per vincere. Il C.R.E.P.A. era stato la sua più grande conquista, il suo più grande vanto. Niente la infastidiva più del vedere un piccolo elfo domestico costretto a torturarsi per piacere altrui.

-Stupido idiota, dovremmo ordinargli di chiudersi le dita nel forno.

La terza cosa, una novità che aveva appena scoperto, era il mutismo ostinato in cui Draco Malfoy si rinchiudeva quando rifletteva su qualcosa di più complesso di un brano di Rune da principianti.

«Malfoy» chiamò, per l’ennesima volta, cercando di ottenere l’attenzione del collega, senza il minimo successo. Il biondo era rimasto chino sul plico di fogli ottenuti dal professor Rochester dal momento in cui si erano accomodati nell’angolo più sperduto della biblioteca universitaria, per poterli studiare.

Di positivo c’era che avesse lasciato leggere prima lei.

«Malfoy» provò ancora, spazientita, cominciando a battere leggermente l’indice sulla superficie del tavolo.

Il biondo si limitò ad un grugnito ed a qualcosa di simile ad un “shh”.

Ad Hermione andò il sangue al cervello.

«Malfoy» disse alla fine, a voce alta, sbattendo il pugno sul tavolo con tutta la forza che aveva in corpo e cercando di metterci dentro tutta la rabbia accumulata negli ultimi venti minuti.

Proprio quando lui alzò gli occhi dal plico, con la migliore fra le espressioni atterrite, arrivò il richiamo furioso della bibliotecaria, che le intimò il silenzio.

«Si comporti bene, signorina, o dovrò chiederle di uscire! Questa è una biblioteca, faccia come il suo amico!» le ringhiò contro, fulminandola dall’alto dei suoi occhialini dal bordo coperto di strass, indicando poi il biondo come se fosse stato un’apparizione miracolosa.

Per la prima volta in vita sua, forse a causa della stizza per il rimprovero o forse per la considerazione di Malfoy come qualcuno degno di stima, Hermione fu tentata di fare la linguaccia alla nuca di un rappresentate dell’istituzione scolastica.

«Mezzosangue, contieniti» le sussurrò Malfoy, ancora con l’espressione da nobile principe cui qualcuno aveva sgualcito il mantello. «Siamo in una biblioteca, non credevo che proprio tu potessi essere così indisciplinata» la rimproverò, senza tuttavia nascondere un sorriso sarcastico. «Ah, dev’essere colpa di Potter e Weasley, ho sempre pensato che fossero una pessima compagnia, con la loro mania di protagonismo e quel loro essere così… pezzenti».

Fu solo lo spettro del rimprovero appena subito che le impedì di mettersi a urlare un’altra volta. Si limitò a stringere i denti, lasciandone uscire un sibilo minaccioso.

«Non parlare così di Harry, Malfoy. Ricordati che ti ha salvato la vita» gli sibilò contro, godendo nel vederlo irrigidirsi. Si vergognò subito di quell’emozione, ma non ebbe tempo per pensare di scusarsi.

«E la donnola? » le chiese, con l’intenzione manifesta di metterla in difficoltà. «Perché non difendi lui? C’era, nella Stanza delle Necessità».

«Lui è così abituato ai tuoi insulti sciocchi da non aver più bisogno di essere difeso» liquidò in fretta la questione, incrociando le braccia al petto. «Adesso che ho la tua attenzione, ti dispiace dirmi come sei arrivato al Professore e cosa accidentaccio gli è successo? Stava per spararmi» sbottò, a bassa voce, sentendo perfettamente gli occhietti scuri della bibliotecarie sulla schiena.

Malfoy inarcò le sopracciglia, poggiandosi allo schienale della scomoda sedia di legno.

«Ignorerò, per questa volta, il tuo terribile tentativo di cambiare discorso, Granger» commentò, esasperato, prima di riavvicinarsi a lei, per evitare che potessero sentirlo ed invitandola a fare lo stesso. Se lei lo accontentò, fu solo perché sapeva di non poter fare altrimenti. La vicinanza a quell’uomo le metteva ancora i brividi, nonostante conoscesse bene la sua storia. «Augustus Rochester è l’unico Babbano sopravvissuto alle torture di mia zia» la informò.

L’immagine di Bellatrix fece capolino nella mente di Hermione, lasciandole un fastidioso senso di nausea.

«Lo hanno catturato qualche mese prima della caduta del Sign-» si fermò, scuotendo lievemente il capo. «Di Tu-Sai-Chi. Lui temeva per la propria sopravvivenza e voleva lo specchio. A quanto pare, il maggiore esperto era proprio Rochester» spiegò, velocemente, guardandosi nervosamente intorno. «È stato il Ministro a convocarlo, su mia indicazione. Sapevo il motivo per cui era stato condotto da noi e sapevo che mia zia l’aveva risparmiato, perché poteva esser loro utile».

«Tu non hai assistito?» gli domandò Hermione, nervosa.

«No, lui non si fidava di me» disse, per poi sorridere, sarcastico. «Non possiamo dargli tutti i torti, dopotutto, no?» aggiunse, con un divertimento apparente che però non contagiò il suo sguardo. «Alla fine della guerra ho continuato a tener d’occhio il professore, ma non mi sono avvicinato. Ha troppa paura di chiunque, come hai potuto notare»

«Possiamo fidarci?»

«Dobbiamo, Mezzosangue» sospirò lui, scuotendo lievemente il capo. «Loro hanno lo specchio, ma soltanto al primo plenilunio d’Inverno potranno utilizzarlo. Se riusciremo a trovare la fonte, allora troveremo loro e li fermeremo».

Hermione strinse le labbra, puntando gli occhi sul plico di fogli che si trovava fra lei e Malfoy. Qualcosa non quadrava.

«Perché hanno aspettato oltre sei anni, per usarlo? Cosa credono di fare?».

«Questo non posso dirtelo, Mezzosangue» le rispose, raddrizzandosi sulla sedia. «Ma credo che un viaggio in Francia non ce lo risparmierà nessuno» aggiunse, con un ghigno divertito e complice. «Stando agli appunti del Professore, l’ultimo avvistamento dello specchio risale alla Rivoluzione Francese…»

«Vuoi andare a cercare la Traccia? A Versailles

«Tira fuori il vestito della festa, Granger, dobbiamo andare a palazzo».

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Come ogni lunedì, rieccomi su efp per presentarvi un altro capitolo di delirio. Sono sempre più felice ed emozionata, notando il modo in cui il numero di preferiti/seguiti/ricordati aumenta.

Grazie, davvero.

A questo punto, però, mi sembra opportuno chiedere: vi piace come si sta evolvendo la storia? Banale? Complicata? Sono aperta a tutte le critiche.

 

Punti importanti:

» * Questo gesto scaramantico appartiene davvero alla cultura della Grecia classica. Inizialmente credevo fosse frutto dell’ingegno dell’autore di Percy Jackson, ma ho fatto le mie ricerche e l’ho trovato in più fonti. Quindi, eccovi serviti! Il professore ha paura della morte, ma, infondo, di cosa non ha paura?

» Il professor Rochester è un mio OC, come al solito, vedete di non metterlo in mezzo senza avermi avvisata! Come avrete notato, il vecchietto non mi sta affatto simpatico. Diciamo che, dal mio personale punto di vista, credo che Bellatrix non l’abbia ucciso per dispetto, vincolandolo ad un’esistenza di dolore. Lui vuole morire, ma ne ha paura. Diciamo che è un po’ fuori di zucca.

»Prossima tappa, Versailles! Il prossimo sarà un capitolo carico di azione (almeno spero), quindi no disperate, la noia non sarà eterna.

 

 

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazie ancora a chiunque leggerà, ci becchiamo lunedì (o nel weekend!) prossimo,

-Marnie

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Atto IV/Parte I - Il gioiello di Luigi XIV. ***


Stando alle cronache del Tempo, lo Specchio possiede una carica magica pari ad altri grandi manufatti della storia, come il Labirinto di Minosse o l’Arca dell’Alleanza

Lo Specchio delle Anime.

 

 

Per la sua luce, che illumina i corpi celesti che lo circondano come una corte,

per i suoi raggi, che distribuisce equamente a tutti,

per il bene che porta in ogni luogo, generando vita, gioia, azione,

per la sua costanza che non muta mai,

io scelgo il sole come l’immagine che può più magnificamente rappresentare un grande condottiero.

[Luigi XIV]

        

        

Atto IV – Parte I

Il gioiello di Luigi XIV.

 

 

Stando alle cronache del Tempo, lo Specchio possiede una carica magica pari ad altri grandi manufatti della storia, come il Labirinto di Minosse o l’Arca dell’Alleanza. Molteplici, infatti, sono state le testimonianze di eventi inspiegabili nei luoghi e nei Tempi di cui lo Specchio è stato protagonista. L’avvertimento che ne deriva è sempre lo stesso, un monito al futuro ed a coloro che ne desiderano il potere. La Morte protegge se stessa, suo interesse è preservarsi nel Tempo e preservare il suo dominio.

Cercarlo conduce alla rovina, antica è la Magia che lo protegge.

Perché niente può vedere la Morte, se non Morte stessa.

 

Theodore F. Witherspoon, Anima Mundi – Il Mondo Occulto;

Edizione Originale 1939.

 

***

 

Quel giorno, lo studio puzzava di gardenie, il che, per Hermione, fu un immenso miglioramento.

Il dottor Crave era stravaccato sulla sua poltrona, quando lei entrò, e non la degnò del minimo sguardo, tanto sembrava preso dalla lettera che aveva fra le mani.

«Buongiorno, dottore» salutò allora la strega, sperando di essere educata e convincerlo a dedicarle un minimo d’attenzione. «Spero di non essere arrivata troppo presto» si scusò poi, con un leggero sorriso, nonostante il suo tono fosse tutt’altro che dispiaciuto.

«Non scusarti, se in realtà sei convinta di aver ragione» la riprese infatti il dottore, sollevando lo sguardo dal suo foglio solo un momento, per poi indicarle la poltrona. «Trovo che la falsa educazione sia più insopportabile del falso buonismo».

«Immagino sia per questo che si sforza tanto di essere un terribile padrone di casa» ribatté lei, alzando gli occhi al cielo ed accomodandosi, senza sembrare intenzionata a lasciargliela passare liscia. A dirla tutta, le sembrava di aver infierito poco. «Non le sembrerebbe più corretto mettere da parte le sue cose, ora che sono qui? Non sono in anticipo e pago sempre l’ora completa, immagino sia quantomeno giusto, da parte sua, fare il suo lavoro, come ogni persona degna di questo nome» sputò infatti, velenosa, incrociando le braccia al petto e fissando ostentatamente il camino spento.

Dietro le sue carte, il dottore sospirò.

«Dimmi un po’, mia Fior di Loto… com’è andato il tuo primo incontro di lavoro con il nuovo collega?» le domandò, mettendo da parte i documento per lanciarle una lunga occhiata inquisitrice. Sembrava annoiato da lei, o, per essere più precisi, più annoiato del solito. «Immagino che tu ti senta molto felice, non è così?»

Hermione avrebbe voluto intavolare una discussione adulta, seria, basata su presupposti oggettivi ed innegabili.

«Quel dannato furetto!».

Ma non ci riuscì.

«Naturalmente no, hai qualcosa di cui lamentarti» sospirò il dottore, mettendo da parte i suoi poveri documenti per dedicarle tutta la sua attenzione. Non sembrava affascinato, probabilmente perché consapevole che lei non avrebbe fatto altro che lamentarsi, lamentarsi e lamentarsi. «Qual è stato il problema?» chiese infine, scoraggiato.

«Non mi guardi come se fossi una bambina viziata, dottor Crave» lo riprese la strega, incrociando le braccia al petto. Era così nervosa che se avesse avuto Malfoy fra le mani lo avrebbe volentieri ridotto ad una poltiglia gelatinosa. «Quell’incommensurabile idiota mi ha quasi fatta uccidere, durante la missione! E tutto perché non se l’era sentita di raccontarmi la verità, come invece avrebbe fatto ogni persona dotata di buon senso, etica del lavoro e-».

Con un gesto brusco, Crave la fermò. «Dimmi la verità, mia cara… al suo posto, tu ti saresti avvisata?» le chiese, accigliato. I suoi occhi scuri brillavano di ilarità. «Mi hai detto che siete stati a scuola insieme, non è così?» le chiese allora, forse nel tentativo di aggirare il discorso.

«Cosa c’entra questo? Eravamo bambini, anni fa non mi rendevo conto…».

«Silencio sbottò il medico, muovendo appena la bacchetta, estratta dalla tasca senza che la strega riuscisse anche solo a rendersene conto. «Devo farlo subito, la settimana prossima. Mi risparmierò un gran mal di testa, non lo credi anche tu?» le disse poi, allegro, nonostante lei stesse mimando delle minacce abbastanza chiare e coincise. «Adesso, rispondi pure alla mia domanda».

Con una faccia scura degna della Professoressa McGranitt, Hermione si limitò ad annuire.

«Benissimo, benissimo… eravate compagni di scuola e lui era un razzista purosangue, esatto?».

Annuì ancora una volta, più arrabbiata di prima.

«Quindi si può dire che abbia patito, come tutta la scuola, la maledizione della compagna so-tutto-io, esatto?».

Un ostinato silenzio fu l’unica risposta che ottenne da Hermione.

«Non biasimarlo, Fior di loto, non puoi avere la certezza che al suo posto non ti saresti comportata in quel modo. Tutto, pur di avere un vantaggio. È sempre così, quando esistono vecchi scontri mai risolti» le disse il dottore, con un sorrisino enigmatico.

-Scontri?

Per un attimo, Crave sembrò sulle spine, come se avesse rivelato qualcosa  che sarebbe stato molto meglio tenere per sé. Poi, con un sorriso ed un sorso dal bicchiere che aveva poggiato sul tavolino, si riprese. «Mia cara, come potresti non aver avuto scontri? Eravate a scuola insieme, lui era un purosangue razzista e tu una Nata Babbana che di certo non ha paura a far valere le sue opinioni» spiegò, inarcando le sopracciglia. «Non esiste nessuna giustificazione al mondo che mi farà ricredere sul fatto che, come minimo, gli avrai assestato un cazzotto sul naso».

Vagamente compiaciuta di se stessa, Hermione alzò l’indice.

«Una volta sola, eh? Secondo me lo ricorda alla perfezione» ridacchiando, l’uomo la indicò con un cenno del capo. «Quelle mani sono abituate a sollevare libri pesantissimi, come minimo gli avrai lasciato un segno».

Il compiacimento di Hermione aumentò a dismisura.

«Quindi ti hanno quasi uccisa?».

-Sparato.

«Insolito che un mago voglia usare una pistola» commentò il dottore, stingendosi nelle spalle. «Ma non mi interessa davvero, volevo solo capire se ti fossi calmata un po’» la fermò, con un gesto elegante. «Voglio sapere… cosa pensi, ora, del tuo collega?».

Hermione non dovette riflettere molto, sulla risposta.

-Borioso.

Il dottore sorrise, come se concordasse. «E poi?».

-Presuntuoso.

«E poi?».

Questa volta, Hermione si fermò per qualche istante, riflettendo su come le fosse apparso Malfoy. Infine, accigliata, puntò lo sguardo sul dottore.

-Solo. Debole.

«Non lo sei pure tu, dopotutto?».

 

***

 

 Uno dei sogni che Hermione Granger non era ancora riuscita a realizzare era quello di poter viaggiare per il mondo. Certamente, grazie al lavoro le occasioni non erano mancate: aveva visitato il Ministero francese, quello tedesco, quello Bulgaro. Anche Ronald, nei pochi anni di tranquillità, l’aveva portata fuori: a casa dei genitori di Fleur per il compleanno di Victoire, a casa di Charlie per il suo fallito fidanzamento con una strega rumena, in una prigione belga per pagargli la cauzione dopo un’ubriacatura molesta all’addio al celibato di George.

In poche parole, Hermione Granger aveva girato il mondo. Ma non a modo suo.

Perché, sì, forse era un po’ un clichè, ma lei desiderava davvero visitare i tipici centri di attrazione delle città storiche, tutte quelle località più adatte ad un manuale di storia piuttosto che ad una brochure da agenzia immobiliare.

E Versailles – oh, Versailles! – era la prima fra quelle località. Niente le avrebbe potuto rovinare quell’esperienza, neppure le orde di turisti che soffocavano il castello per tutto il giorno. Sarebbero stati solo lei, i quadri, i giardini e…

«Granger, ti avevo detto di prendere il vestito della festa! Non ti avevo detto certo di svaligiare l’armadio di tua nonna!».

E Malfoy.

Una vena iniziò a pulsarle nella tempia destra, mentre il biondo le girava attorno con il suo elegantissimo completo dall’aria straordinariamente babbana, fissando il suo semplice vestito rosa come se fosse stato cucito unendo insieme brandelli di carne umana ancora sanguinanti.

«Il mio vestito non ha niente che non vada» provò a dirgli, con una calma che, davvero, non le apparteneva, incrociando le braccia al petto e ringraziando di avere ancora addosso il cappotto. Sotto quello sguardo accusatore, pur essendo davvero convinta che il vestito andasse bene, le sembrava di non valere più di uno zellino.

«Per il club del libro, magari» ribatté Malfoy, con una smorfia. «E questo colore, Granger! Sei forse diventata pazza, oltre che cieca?» continuò, con una smorfia, fermandosi davanti a lei per guardarsi intorno ed assicurarsi che nessuno li stesse fissando. «Mi aspettavo qualcosa di meglio, dal modello di riferimento delle giovani streghe di oggi…».

«Malfoy» il suo tono sfiorò note particolarmente minacciose, con quel singolo avvertimento.

«No, non va assolutamente bene, Granger. Dobbiamo andare sotto copertura, in una festa cui parteciperà la vecchia nobiltà di sangue e di portafogli di mezz’Europa, con questo vestito ti scambieranno per una cameriera» stava dicendo intanto lui, scuotendo ancora la testa, sempre più corrucciato. Le sue dita sfiorarono per un attimo la leggera gonna rosa, facendo frusciare il tessuto certamente non degno delle mura del castello.

  «Non avevo niente di più elegante, d’accordo? Non sono un tipo che va alle feste e… e… » strinse le labbra, piena di stizza. «Mi hai detto della festa solo poche ore fa, non ho avuto modo di organizzarmi» ammise, con un sospiro sconfitto, pronta a ricevere la valanga di derisioni che, sicuramente, ne sarebbe seguito.

«Granger…» Malfoy la fissò come se fosse impazzita. Il cuore della strega precipitò fra i suoi piedi, assolutamente impreparato all’umiliazione.

-Sei una stupida, sciocca ragazza… Cosa vali, senza di me? Nulla…

«Granger, sei una strega o cosa?» disse invece Malfoy, inarcando le sopracciglia, prima di sollevare la bacchetta e puntargliela contro. «Direi che il color pervinca ti dona di più. E chiffon, non quel… coso» rifletté ad alta voce, mentre lei lo fissava senza saper cosa dire. Semplicemente, era troppo sconvolta anche solo per pensare.

Un gesto della bacchetta di lui, ed il suo vestito si trasfigurò in una riproduzione quasi perfetta dell’abito che lei stessa aveva indossato al ballo del ceppo, quasi dieci anni prima.

«Molto meglio, Granger. Ho scelto l’unico abito decente che tu abbia mai indossato in mia presenza, non prendertela se suona ripetitivo» le spiegò, raddrizzando le spalle, incurante degli occhi ancora spiritati di lei. «Adesso, ricorda: io sono Bryce Morgersten e tu sei la mia fidanzata, Margot Sinclair. Comportati come un’ereditiera degna di questo nome e nessuno ci scoprirà» la avvertì, afferrandole la mano sinistra per far scivolare un anello all’anulare, mentre, davanti a loro, le porte scelte come ingresso per quella serata venivano spalancate. Prima di voltarsi, le prese il braccio, gonfiando il petto. «Calati nella parte, Granger».

Come riscuotendosi all’improvviso, Hermione lo fissò, indignata, puntandogli contro l’indice della mano destra. «Io non mi spaccerò per la tua stupida fidanzata, Malfoy! Quando hai ideato questa copertura? Perché ci serve una copertura?» sbottò, irritata, girandosi per fissarlo come se le avesse appena assassinato il gattino.

Anche se con ogni probabilità sarebbe stato il gattino ad uccidere lui.

Malfoy la fissò con disprezzo per qualche istante, prima di sospirare. «Quanto credi ci metteranno a scoprire che il Ministero trama qualcosa, se ti presenterai ad una festa in cui ovviamente non c’entri nulla?» le disse, con tono di prepotente superiorità. «Non ci sono maghi, questa sera, ma qualcuno di loro potrebbe avere familiari invischiati nel nostro mondo… Hermione Granger e Draco Malfoy non sono nomi che si dimenticano facilmente» spiegò, come se lo stesso fatto che lei avesse chiesto fosse stato un insulto. «Oltretutto, Granger, di certo non puoi spacciarti per mia sorella, non credi? Ed è più facile giustificare l’improvvisa sparizione di una coppia di fidanzati, specialmente in un castello come questo». Assottigliò lo sguardo, fissandola con divertimento e malizia. «Tu e la donnola siete stati insieme per anni, possibile che non vi siate mai defilati da una festa?».

Hermione si irrigidì, fissando il vuoto oltre il capo biondissimo di lui. «Chi ti dice che non lo facciamo ancora?» gli chiese, stizzita, nascondendo i pugni fra le pieghe dell’abito. Non avevano mai annunciato pubblicamente la separazione, proprio per evitare domande e curiosità. Motivo per cui Molly Weasley si sentiva ancora autorizzata ad invitarla alle riunioni di famiglia.

«Non sono stupido, Mezzosangue» le disse lui, divertito, prendendole la mano sinistra su cui brillava l’anello. «Primo punto, non è apparso per minacciarmi di comportarmi bene, è solo arrivata una lettera di Potter ed un bigliettino amichevole della sua ragazza Weasley» cominciò, mantenendo il suo ghigno sardonico. «Oltretutto, qualche anno fa tutti i giornali hanno proclamato il vostro fidanzamento, mentre qui, a questo bel ditino, non ho mai visto alcun anello. E non solo oggi. Quindi, per piacere, non insultare la mia intelligenza e neppure la tua. Se finalmente hai capito di aver sempre avuto a che fare con un pezzente, buon per te».

Detto questo, sollevò la mano sinistra di lei, lasciandole un bacio leggero all’altezza dell’anello.

Hermione lo fissò, prima di guardarsi la mano. Il solitario era almeno due volte grande quello che Ron le aveva scelto, più di tre anni prima, e lei non era neppure certa che fosse falso. «Non è piccolo, per essere il solitario di un’ereditiera?» domandò quindi, con la voce ridotta ad un pigolio.

«Adesso sì che mi piaci, Granger».

 

***

 

La Sala degli Specchi si sviluppava davanti ai suoi occhi, come un lungo corridoio affollato. Uomini e donne dagli accenti stranieri si accalcavano negli angoli, ballando qui e lì e fissandosi l’un l’altro con reciproco interesse e disprezzo. Le candele donavano all’ambiente una barocca sfumatura dorata, gli specchi riflettevano fra loro le fiammelle come mille e mille soli, mentre un leggero valzer danzava nell’aria.

Per un momento, Hermione pensò davvero di essere nella Parigi del Re Sole.

Erano arrivati alla festa da poco più di due ore, eppure lei non era riuscita a scorgere nessuna delle bellezze del palazzo. La strada per il salone era stata praticamente oscurata, lasciando che fossero maggiordomi con candelabri ad aprire la via. Delusa, non era riuscita a far altro che accettare i cocktail leggeri serviti da giovani cameriere e fingere di interessarsi al chiacchiericcio che li circondava.

Ma la noia durò soltanto finché non raggiunsero il centro della Sala, dov’era raccolta la creme de la creme dei partecipanti.

«Ah, il caro Lord Morgerstern!» chiocciò una donna estremamente grassa ed incredibilmente truccata, scansando giovani ballerini colpendoli alternativamente con pancia o sedere. I gioielli che indossava – a partire dalla collana con zaffiro fino alla tiara intonata – dimostravano con assoluta chiarezza quanto importante fosse la sua pozione in una qualche monarchia europea. Il suo accento faceva pensare al mondo germanico, ma Hermione non l’avrebbe giurato. «Mio caro, mio caro… credevo non sareste più arrivato, ja» continuò, piazzandosi davanti a loro con un gran sorriso incoraggiante.

A quella distanza, quella donna le ricordò incredibilmente lo zio di Harry. Stesso collo taurino, grossi occhi sporgenti ed il naso più simile a muso di un porcello che ad una qualche appendice umana. Anche la mano che porse a Malfoy, affinché lui la baciasse, sembrò più simile ad una zampa che ad un arto.

«Mia cara contessa Von Harrach» la salutò lui, professandosi in un inchino con baciamano degno della miglior educazione purosangue. «Vi trovo strabiliante, questa sera. Da togliere il fiato» la adulò, con un sorriso delizioso.

Il modo in cui lei arrossì fece venire la nausea alla povera Hermione.

«Non ci vediamo dalla festa di Baronessa De Berger… brutto mascalzone, scommetto che tu è andato via con la figlia dell’arcivescovo, ja? Mentre tutti si spaventavano per ladro!» lo rimproverò, bonaria, dandogli delle pacche compiacenti sulla mano che ancora non gli aveva mollato. Allora, come se l’avesse appena notata, puntò gli occhi su Hermione, sgranandoli. «Ma dico… tu sei forse venuto con fidanzata? Perché non me l’hai detto, io non voleva metterti nei pasticci…» disse, sbattendo le sopracciglia con l’aria di qualcuno che fosse davvero tanto dispiaciuto di aver fatto un guaio.

Che stronza.

«Contessa, mi permetta di presentarle la mia fidanzata, Lady Margot Sinclair» presentò, indicando la giovane strega con un cenno elegante della mano, il sorriso affabile per nulla intaccato. «Tesoro mio, ti presento la Contessa Hildegarde Von Harrach, di Vienna» continuò, facendo un cenno ad Hermione affinché anche lei sorridesse e rispondesse alla vigorosa stretta di mano della vecchia grassona.

Le mani sudaticce, che orrore.

La donna non si curò di lei più di tanto. Ritirata la mano, guardò nuovamente Malfoy, riporgendola a lui affinché la baciasse nuovamente. «Io devo andare, ospiti stanno aspettando, voi mi scusate» disse, parlando al plurale pur ignorando la giovane strega. Allora, senza attendere oltre, sparì nuovamente fra la piccola folla, spingendo qui e lì i poveri partecipanti.

Uno strano silenzio sconvolto aleggiò fra Hermione e Malfoy, mentre entrambi fissavano il vuoto lasciato dal sederone bardato di seta e chiffon della Contessa. Poi, senza poterne fare a meno, lei scoppiò a ridere, tentando disperatamente di nascondersi dietro la mano per non essere additata come stracciona e poveraccia.

Fortunatamente, Malfoy non sembrò sorpreso da quella reazione. Anche lui, senza pensarci due volte, si sciolse in un sorrisino divertito.

«Andiamo a ballare, Granger, fermi qui potremmo farle credere di voler ancora parlare» le disse, afferrandola per un braccio e trascinandola, seppur delicatamente, fra il piccolo gruppo danzante. Non le chiese se fosse capace, non le chiese il permesso: semplicemente, Malfoy decise di ballare e lei non poté far altro che assecondarlo.

Se solo non avesse avuto così tante domande per la testa, non gli avrebbe di certo permesso di comportarsi in modo tanto villano e presuntuoso. Poteva fingere di essere una sciocca ereditiera fidanzata con un campione di salta fra le lenzuola – come un giorno sua madre aveva definito un attore famoso – ma restava comunque Hermione Granger.

Oppure – le suggerì una voce nella sua testa, terribilmente simile a quella del dottor Cravestava morendo dalla voglia di ballare come una vera principessa francese e neppure il fatto che il suo accompagnatore fosse Malfoy avrebbe potuto scoraggiarla.

«Ti conosceva già come Lord Morgernstern, com’è possibile?» gli chiese a voce bassa, dopo essersi integrati perfettamente nel gruppo danzante.  I suoi occhi corsero velocemente alle persone intorno a loro, disinteressati come non sarebbero mai potuti essere, se effettivamente la presenza di entrambi fosse stata inaspettata. «E non tergiversare, Malfoy, ricordati che io so quando menti».

Il giovane rampollo Malfoy sorrise, facendola volteggiare in quella sala come se avesse avuto la scopa sotto i piedi. «Il mio lavoro mi ha portato spesso ad usare quel particolare pseudonimo» rispose, dopo qualche istante, gli occhi fissi nei suoi. Lui non aveva bisogno di guardarsi intorno o di guardarsi i piedi, non aveva paura di investire con altre coppie o, peggio, pestarle i piedi.

Dannato Malfoy.

«Sei un esperto d’arte» ragionò lei, accigliata. «Per quale motivo hai dovuto inventarti uno pseudonimo? Se solitamente recuperi arte magica antica, allora il nome dei Malfoy avrebbe potuto soltanto giovarti» aggiunse, guardandolo in viso abbastanza a lungo da notare, con curiosità, il formarsi di una piccola ruga fra gli occhi.

Non le piacque quell’espressione contrariata, le venne un’insopportabile voglia di allungare la mano per spianare le pieghe e farla sparire. Fortunatamente fin da ragazza aveva imparato che il controllo di se stessa fosse l’unica strada per sopravvivere in situazioni emotivamente e psicologicamente stressanti.

E Draco Malfoy era estremamente stressante.

«Generalmente devo recuperare artefatti magici dai babbani e, per loro, il nome dei Malfoy non rappresenta nulla, non abbiamo più un titolo nobiliare dalla fine dell’Ottocento» le disse, mantenendo quell’irritante espressione. Questa, anzi, peggiorò, prima di essere sostituita da un sorriso sarcastico. «Quanto ai maghi… dubito di ottenere più di qualche porta in faccia ed una sequela di insulti, Mezzosangue, dopo quello che è successo».

Dopo la guerra. Dopo essere stati salvati dalla prigione grazie all’intervento di Harry.

Imbarazzata, Hermione decise di non continuare su quella strada. Ricordare a lui ed a se stessa il passato da cui stavano tentando disperatamente di fuggire non avrebbe risolto molto, lasciandoli semplicemente in preda al rimpianto ed al dispiacere.

Si schiarì la voce, volteggiando con lui lungo la sala. «La figlia di un arcivescovo, Malfoy?» chiese allora, inarcando le sopracciglia. Era stato uno dei quesiti che la contessa aveva sollevato e, in quel momento, sembrava l’unico relativamente innocuo.

Lui si accigliò, fissandola come se avesse appena chiesto una sciocchezza. Poi, decidendo forse che non ne valesse la pena, si strinse nelle spalle. «Marygold Miller, figlia illegittima dell’arcivescovo di Canterbury» spiegò, tranquillo. «Una ragazza scialba, senza alcun interesse particolare e con la sfera emotiva di un cucchiaino» disse, separandosi dalla stretta per far girare Hermione su se stessa.

Lei, tornata al suo posto, lo fissò fra l’irritato ed il confuso. «Una babbana, per lo più insignificante» iniziò, con il tono di voce più dispregiativo – verso lui, naturalmente – di cui fosse in possesso. «Per quale motivo ti saresti allontanato con lei?».

Questa volta, Malfoy la guardò con sincera delusione, come se quelle domande, alle sue orecchie, fossero suonate assolutamente inappropriate. «Il fatto che fosse babbana non mi avrebbe fermato, se fosse stata interessante. Un vecchio amico ha già provveduto ad istruirmi al riguardo» le disse, accigliato. «Era così scialba che nulla mi avrebbe spinto ad allontanarmi con lei, quella sera, se non per accompagnarla alla sua auto e far sì che tornasse a casa sana, salva e vestita».

«Ma la Contessa sostiene che tu sia sparito nel nulla» ribatté lei, bene intenzionata a non farsi prendere per i fondelli. Per quanto le sembrasse assurdo, pareva proprio che Malfoy volesse farsi bello ai suoi occhi, mostrandosi come il gentiluomo che certamente non era.

A quel punto, lui scoppiò a riderle in faccia. «Ah, Mezzosangue, devo dire che per essere la strega più brillante della nostra generazione a volte sei decisamente tonta» le disse, zittendola quando la vide gonfiare le guance per ribattere. Sembrò anche sul punto di spiegarle il motivo, ma il suo orologio da taschino vibrò leggermente, facendoli trasalire entrambi. «Sono le undici, Mezzosangue» la avvertì allora, danzando verso il bordo dello spazio lasciato ai ballerini.

Fermatasi, lei lo guardò accigliata. «E allora?».

«Gli ospiti sono abbastanza ubriachi da notare la nostra fuga ma non così tanto da dimenticarsi di averci visto insieme. Se tutto andrà come previsto, crederanno in una nostra fuga romantica in qualcuna delle stanze» le disse, velocemente, prendendola per mano e trascinandola dietro una colonna, sorridendo poi malizioso ai curiosi lì intorno.

Il modo in cui annuirono e si allontanarono convinse Hermione che quell’allontanamento fosse procedura consueta per le coppiette altolocate.

«E adesso?» gli chiese, nervosa.

«Adesso farai quello che ti dirò e, forse, riusciremo a completare la missione senza farci ammazzare o, peggio, arrestare».

O peggio, arrestare? Quell’uomo doveva decisamente riordinare le sue priorità.

 

***

 

Vai nella camera della Regina, io andrò in quella del Re.

Così le aveva detto quello spocchioso idiota, accompagnandola fuori dalla Sala degli Specchi. Doveva cercare tracce dello specchio nella camera di Maria Antonietta, mentre lui si sarebbe dedicato a quella appartenuta a Luigi XIV. Erano loro due, infatti, i migliori candidati al possesso del peggior strumento nella storia dell’umanità.

Il sovrano che visto risplendere la Francia, la Regina che l’aveva vista cadere.

A rigor di logica, uno di loro avrebbe dovuto possedere l’artefatto maledetto, tenendolo, come avrebbe fatto chiunque, nel luogo più intimo e più inviolabile possibile. Per quanto affollate, le camere da letto reali erano come dei sancta sanctorum.

Quantomeno, quella era stata l’opinione di Malfoy, prima che si smaterializzasse con un po’, forse senza neppure accertarsi se qualcuno fosse a portata d’occhio e potesse scoprirlo.

Fra la Sala degli Specchi e la camera della Regina, c’era la Sala della Pace, completamente al buio, silenziosa, un vuoto fra il nulla assoluto delle stanze chiuse al pubblico e la festa rumorosa. Una parte di Hermione – quella più coraggiosa – le intimò di correre, di trovare la porta e recarsi immediatamente nel luogo indicato. L’altra – quella vigliacca che, per tutta la durata della guerra, aveva fatto sentire la sua vocina nei momenti meno opportuni – le ordinò di andare piano ed utilizzare l’incanto Lumos, per essere certa di non inciampare.

Fu quest’ultima a vincere. Dopotutto, nessuno degli ospiti si sarebbe avventurato lì o avrebbe potuto scorgerla, viste le tende pesanti che separavano gli ambienti.

Un movimento del polso, e la luce azzurrognola che scaturì dalla bacchetta illuminò l’intera stanza come se fosse stato pieno giorno.

Ciò che vide, fece tremare le ginocchia alla strega.

Le decorazioni in oro rilucevano di uno splendore antico, meraviglioso, i visi dipinti sembrarono vibrare di vita. La storia racchiusa fra quelle quattro mura quasi la soffocò.

Se avesse potuto, Hermione Granger si sarebbe sciolta in un mare di lacrime.

«Mezzosangue».

Rettificando: se avesse potuto, Hermione Granger avrebbe ucciso Draco Malfoy con incredibile efferatezza ed utilizzando esclusivamente le proprie mani.

«Sei forse impazzito?» gli sibilò contro, dandogli un pugno sulla spalla e portandosi poi la mano al cuore. «Se avessi avuto problemi di cuore, probabilmente sarei morta, dopo lo spavento che mi hai fatto prendere! È normale, questo tuo apparire alle spalle delle persone? Non hai nulla da fare? Hai già controllato le stanze del Re? Io non sono riuscita neppure ad arrivare in quella della Regina» sbottò, borbottando le domande una dopo l’altra, senza quasi riprendere fiato.

Per qualche motivo, si sentì in colpa.

Diversamente da quanto si sarebbe immaginata, Malfoy la fissò preoccupato, allungando la mano per fermarle il braccio. In silenzio, la fissò per qualche istante, avvicinandosi al suo viso per avere una migliore visuale dei suoi occhi. Dovette notare qualcosa di preoccupante, perché le posò anche l’altra mano sulla spalla.

«Hermione, io sono stato via per oltre un’ora e tu sei nella stanza della Regina».

Qualcosa, dentro di lei, scattò sentendo quelle parole.

Più di un’ora. Ma lei era rimasta da sola soltanto pochi minuti, no? No?

«Cosa sono questi?» le chiese Malfoy, abbassando gli occhi sul suo braccio scoperto. Seguendo il suo sguardo, Hermione vide chiaramente una linea rossa fatta col rossetto che teneva sempre nella borsa. Rossetto che, in quel momento, giaceva accanto ai suoi piedi. «Mezzosangue? Devi forse dirmi qualcosa?» tentò ancora Malfoy, decisamente più preoccupato, stringendo la presa sulle sue braccia.

Il cervello cominciò a ronzarle a tutta velocità, le informazioni che si accavallavano fra loro e si consumavano nel nulla, come se qualcosa le stesse impedendo di ricordare.

«Hai detto di non essere andato via con la figlia dell’arcivescovo» disse invece, alzando gli occhi in quelli del mago. Era confusa ed arrabbiata perché non riusciva a comprendere cosa le stesse sfuggendo, concentrarsi su altro l’avrebbe soltanto aiutata.

Probabilmente preoccupato per la sua salute mentale, Malfoy annuì.

«Però sei sparito nel nulla, mentre gli altri si preoccupavano per il ladro».

Con un sorrisino, Malfoy annuì nuovamente.

Hermione si accigliò. «Ho motivo di credere che il ladro non sia mai stato trovato?» chiese, sperando dentro di sé di sbagliarsi completamente e di aver semplicemente scelto una delle tante teorie assurde che ronzavano per la sua mente.

Ma il sorriso di Malfoy parlò per lui.

«Sei tu!» sbottò allora lei, gli occhi sgranati per l’orrore e l’indignazione. Si separò dalla sua stretta, facendo un balzo indietro, la bacchetta ancora illuminata puntata contro il suo petto. «Brutto… brutto mascalzone! È per questo che sei qui? Vuoi rubare lo specchio?» gli chiese, con un balbettio nervoso, trattenendo l’istinto di schiantarlo e calpestarlo ripetutamente con i tacchi a spillo. «Tu… tu… tu sei un ladro! Draco Malfoy, il riccastro dei miei stivali, che ruba manufatti! Devo avvertire il Ministro! Non ti permetterò di ostacolare la missione!».

Lui sembrò divertito da quella reazione. «Sono uno studioso d’arte, Mezzosangue, ed il Ministro sa benissimo qual è il mio lavoro. Per questo motivo mi ha assunto» le disse, allegro come una comare impicciona. «Quanti babbani sarebbero disposti a cedere manufatti antichissimi, altrimenti? E, prima che tu possa iniziare con la tua inutile diatriba, sappi che generalmente lavoro proprio per conto del Governo, per recuperare tesori perduti, non sono un banale ladruncolo da quattro zellini!».

Il Ministro sapeva.

«Mi stai prendendo in giro?» gli sussurrò in risposta, arretrando di un altro passo. «Perché mai il Ministero dovrebbe chiedere aiuto ad uno come te?».

Malfoy sorrise. «Perché, mia cara Mezzosangue, sono quelli come me che consentono a quelli come te di restare comodamente seduti alle proprie scrivanie, senza preoccuparsi di un babbano improvvisamente maledetto o di un castello infestato da un oggetto demoniaco» spiegò, alzando la mano per impedirle di ribattere.

Hermione era intenzionata ad ignorarlo, davvero, ma poi i suoi occhi si sgranarono e quella stessa mano indicò qualcosa alle sue spalle.

Ed allora Hermione ricordò.

A guardia della Traccia lasciata dallo specchio c’era una creatura quasi sconosciuta, pur essendo una delle peggiori mai esistite.

Il verme della memoria.

 

***

 

Che Draco Malfoy non avesse mai amato le lezioni di Cura delle Creature Magiche non era mai stato un mistero. Dall’incidente con quello stupido ippogrifo, i suoi rapporti con gli animali erano stati limitati a qualche cagnolino di tanto in tanto ed ai pavoni albini di Villa Malfoy.

Quello che aveva davanti non era sicuramente un cane.

Alto il doppio di una persona normale, grosso quando una mucca, il verme della memoria li fissava facendo sibilare le tenaglie che aveva ai lati della bocca. Era verde, viscido e silenzioso come poche cose al mondo.

Doveva esserlo, per attaccare le sue vittime alle spalle e cibarsi dei ricordi.

«Granger… cosa facciamo?» domandò alla strega, ancora impalata davanti a lui, la bacchetta alta. La osservò tremare leggermente ed arretrare, mantenendo però il contatto visivo con la bestiaccia.

«Il verme della paura attacca alle spalle» gli rispose lei, con voce tremante. «Oppure quando non lo si guarda. Se gli terrò gli occhi puntati addosso, tu potresti arrivare alla Traccia» propose, nonostante non sembrasse molto convinta.

«Potresti distrarti un attimo e farti divorare, Granger. Ed io potrei benissimo lasciarti qui e darmela a gambe, lo sai?» mormorò lui, cominciando tuttavia ad aggirare la bestia. Forse tenerla impegnata avrebbe aiutato entrambi ad uscirne vivi. «Ti fidi di me a tal punto, Mezzosangue?» le domandò quindi, osservandola con la coda dell’occhio.

La vide tremare leggermente, ma mantenere lo sguardo fisso. Per evitare di cedere alla tentazione di sbattere le palpebre, ne chiudeva prima uno e poi l’altro.

«Non mi fido di te, Malfoy» gli rispose, con voce ferma ma carica di terrore. «Ma, in questo momento, sei l’unica speranza che ho per sopravvivere. Quindi, maledizione, prendi quella Traccia e scappiamo» aggiunse, con un sibilo, tenendo la bacchetta immobile fra i grandi occhi rossi della creatura.

Draco si chiese, in quell’istante, se fosse stata così coraggiosa anche durante la guerra. Non era forse stata così, quando Bellatrix l’aveva torturata davanti ad i suoi occhi, lasciando gocciolare quel suo sangue impuro sul vecchio tappeto della bisnonna Malfoy?

La macchia non era andata via per settimane.

«Touchè, Mezzosangue» ribatté lui, con un sorriso nervoso, aggirando la creatura per osservare l’alcova da cui era appena uscito.

Nascosta sotto al baldacchino, una piccola cornice a forma di sole d’oro – il sole che era il simbolo del grande Re -  quasi si confondeva con gli ornamenti floreali del letto appartenuto a Maria Antonietta. Era ricoperto di ragnatele e polvere per almeno trecento anni, segno che nessuno l’avesse più avvicinato dopo la Rivoluzione Francese.

Questo – pensò Malfoy – dimostra che il vecchio antenato Napoleone abbia fatto tutto da solo.

Un buon motivo per essere orgoglioso della stirpe dei Malfoy, discendenti diretti del grande condottiero. Discendenti che avevano onorato la tradizione di famiglia, raggiungendo la cima della catena sociale purosangue, prima di crollare giù come un castello di carte.

«Malfoy, sbrigati» agitata, la voce della Granger arrivò insieme ad un movimento nervoso della creatura. Forse la sua resistenza stava iniziando a cedere, forse la bestia, per quanto affamata, non sarebbe stata tanto semplice da aggirare. Suo compito non era, forse, proteggere la Traccia?

«Resisti, Granger» le rispose lui, secco, scavalcando agilmente il muretto che separava il letto dal resto della camera. La bacchetta della strega illuminava malamente il luogo, ma lui se lo sarebbe fatto bastare, la sua sarebbe servita per liberare l’oggetto dalle catene che il tempo aveva creato.

Le ragnatele, infatti, erano ben più resistenti di quanto lui avesse prospettato: dure, appiccicose, di una consistenza ben più densa delle ragnatele normali. Quelle, decisamente, non erano frutto di un ragno come tanti.

Ed il ticchettio proveniente dalle sue spalle lo confermò.

Acromantula.

«Granger! Non muoverti!» avvisò, nervoso, voltandosi giusto in tempo per notare la strega completamente accerchiata. Il suo sangue freddo fu vitale, in quel momento. Non tutti avrebbero mantenuto la piena immobilità, con un ragno grosso quanto un drago appostato alle spalle. Il suo veleno gocciolava dalle piccole zanne, gli occhi rossi erano tutti puntati su di lei.

«È colpa della luce» gli sussurrò Hermione, cercando di mantenere la sua immobilità. «HagridHagrid mi ha detto che spesso, se tenuti in cattività, perdono quasi completamente l’uso di vista ed olfatto. Prendi la Traccia, adesso, a loro ci penso io» tentò di ordinargli, nonostante la voce non sembrasse particolarmente sicura.

Come darle torto?

«Hermione» era la seconda volta che Draco la chiamava per nome, rischiava di diventare una pessima abitudine. «Non fare la sciocca grifondoro, adesso, d’accordo? Io mi occupo dell’acromantula, tu del verme. Se saremo abbastanza veloci…».

Lei scosse leggermente il capo, causando un movimento di riflesso nelle due creature. «Potremmo distruggerli, certo, ma chi ci assicura che faremo in tempo a liberare la Traccia? L’acromantula avrà usato le sue ragnatele quasi indistruttibili. Uccidendoli, non avremo il tempo di liberarlo, senza far precipitare qui metà della nobiltà babbana europea» spiegò, espirando poi lentamente. «Quindi, adesso, tu prendi la traccia e la prendi in fretta, così potremo avere qualche speranza di non fallire la missione».

Draco strinse i denti, assolutamente non convinto di quel piano. Per quel motivo non amava lavorare in squadra.

«Se senti di non farcela più, avvertimi per tempo e faremo fuori queste bestiacce» la minacciò, arrendendosi, nonostante il suo tono avesse mantenuto l’inflessione di un ordine. «Non farmi incazzare, mezzosangue, perché ti assicuro che Draco Malfoy infuriato non è uno spettacolo delizioso» aggiunse, con un borbottio, tornando a concentrarsi sul piccolo specchietto sulle coperte.

Dalle sue spalle, giunse una risatina nervosa.

«Quando mai Draco Malfoy è stato uno spettacolo delizioso?».

Dannati Grifondoro – pensò il mago, dedicandole solo un’occhiata in tralice, mentre cominciava ad eliminare i fili resistenti della ragnatela – Sono sempre incapaci di restare seri davanti al pericolo.

«Diffindo» sussurrò, osservando con cupa soddisfazione il modo con cui quel tessuto maledetto cedeva alla magia, rilasciando un liquido verde dall’aria decisamente non salutare. Continuò con le altre catene, velocemente ma prestando attenzione, l’orecchio pronto a registrare ogni movimento.

«Malfoy» esalò la Granger, decisamente più preoccupata di prima. «Comincio a non sentire il braccio, sbrigati» gli intimò, mentre le due creature sibilavano, nervose per quei movimenti non abbastanza pronunciati da lasciare loro il via libera per l’attacco.

«Resisti».

Mancava poco, così poco.

Ancora due catene.

Una catena.

Sì!

«Granger, adesso! Arania Exumai

«Bombarda!»

Tutto ciò che Draco riuscì a comprendere, poi, fu una sostanza lattiginosa e puzzolente spalmata su tutto il suo corpo, un attimo prima di perdere i sensi.

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Poiché domani sarò impegnata quasi tutto il giorno, ho deciso di anticipare la pubblicazione a questa sera. Questo capitolo è stato un parto. Sembrava quasi che io non finissi mai di scrivere! Ho anche pensato di dividerlo in due parti, ma non credo che avrebbe avuto lo stesso effetto.

Finalmente Malfy e Ginger hanno avuto il loro primo momento di vera azione, che continuerà nelle prossime tappe. Spero davvero di non aver deluso le aspettative di nessuno!

 

Punti importanti:

» Morgerstern è un cognome preso direttamente dalla serie di libri Shadowhunters, di Cassandra Clare. Mi è sembrato un nome molto regale, considerando che Malfoy si stia spacciando per un qualche nobile inglese.

» Margot Sinclair, invece, è ispirato al mio OC nel fandom di Black Friars. La adoro al punto di aver deciso di dare il suo nome ad Hermione. A livello caratteriale, comunque, le due non potrebbero essere più diverse.

» Ronald, Ronald... fa sempre guai, anche quando non c’è. Provo un certo piacere nel non rilevare cosa realmente il rosso preferito abbia combinato. Si vedrà, prima o poi.

» Il dottor Crave, naturalmente, sa benissimo del passato che Hermione e Draco condividono. Draco è stato molto dettagliato, con lui. Quel furbacchione, a quanto pare, li shippa quasi quanto me. Oppure no? Non fatevi ingannare, quei riferimenti al passato di Hermione (e di Malfoy) che sembra indovinare, in realtà sono informazioni ottenute da tutti e due. Non è un uomo adorabile?

 

 

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazie ancora a chiunque leggerà, ci becchiamo lunedì (o nel weekend!) prossimo,

-Marnie

 

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Capitolo 7
*** Atto IV/Parte II - L'inizio della fine. ***


Il Bambino Sopravvissuto, sembrava non poter più sopravvivere

Lo Specchio delle Anime.

 

 

La Dignità e l’Amore non si mischiano bene,

e nemmeno vanno a lungo d’accordo.

[Ovidio]

        

        

Atto IV – Parte II

L’inizio della fine.

 

«Malfoy… Malfoy, maledizione! Draco!»

Quando riprese conoscenza, probabilmente non più di due o tre minuti dopo, la Mezzosangue era china verso di lui, gli occhi colmi di terrore. Stava chiamando il suo nome come se avesse davvero temuto che non ce l’avesse fatta.

«Rilassati, Granger, ci vuole ben altro per far fuori un Malfoy» la rassicurò, cercando di sollevarsi a sedere. Quel movimento gli provocò un dolore atroce al busto, che però sopportò da vero uomo: lamentandosi e facendo smorfie. «Mi hai fatto la respirazione bocca a bocca?» le domandò poi, una volta seduto, dedicandole un sorrisino malizioso che la fece arrossire fino alla radice dei capelli.

Se avesse saputo che per metterla in difficoltà sarebbe bastato fare lo splendido, ci avrebbe provato già ai tempi della scuola.

«Va’ al diavolo» fu la delicata risposta della strega, accompagnata da un doloroso cazzotto al braccio, capace di fargli lacrimare gli occhi.

«Maledizione, Granger, ammettilo che ti piace farmi del male!» le sibilò in risposta, cupo, massaggiandosi la parte lesa. «Credo di avere qualche costola incrinata. Cos’è successo?» aggiunse poi, confuso, rendendosi conto di non essere a Versailles, ma nascosto fra i giardini intorno al castello.

La Mezzosangue ebbe la decenza di mostrarsi almeno un po’ imbarazzata. «Forse sono stata troppo entusiasta» smozzicò, abbassando lo sguardo. «L’onda d’urto dell’esplosione ti ha sbalzato contro il muro, hai sbattuto la testa e sei rimasto svenuto per un po’».

Colpito, Draco inarcò le sopracciglia. «Dimmi la verità, Granger… da quant’era che non usavi incantesimi del genere?» le chiese, divertito, trattenendosi a stento dal farle i complimenti.

Non era da tutti usare una tale forza nell’incanto Bombarda.

Lei si strinse nelle spalle, nascondendo malamente un sorriso. «Da un po’. Ho sempre chiesto al mio capo di non partecipare alle perquisizioni, meglio il lavoro d’ufficio» gli disse, stringendo le labbra. I suoi occhi brillavano di entusiasmo, nonostante cercasse di limitarsi con le parole.

Le era piaciuto.

«E perché mai l’avresti fatto?» le chiese quindi, confuso, piegando leggermente il capo di lato. «Non fingere che non ti importi, si nota lontano un miglio quanto tu ti sia divertita».

Troppo tardi Draco si rese conto di aver sbagliato domanda. Vide chiaramente i suoi occhi spegnersi e le mani stringersi a pugno sull’erba gelida sotto di loro.

«Diciamo che Ron si preoccupava molto per la mia incolumità. Non volevo dargli preoccupazioni» sussurrò, vagamente insicura delle sue stesse parole. Il modo in cui spostò lo sguardo fra gli alberi fece intendere quanto l’argomento non le piacesse.

Meglio non infierire.

«Ma ora il pezzente non c’è più e, te lo assicuro, io non ho la minima intenzione di limitarti, quindi potrai sbizzarrirti a tuo piacimento. Nel frattempo…» disse, mettendo la mano nella tasca interna della giacca. «Meglio concentrarsi su questo».

E tirò fuori la Traccia.

 

***

 

Il Bambino Sopravvissuto, sembrava non poter più sopravvivere.

Ginevra Weasley, non ancora futura Signora Potter, fissava con aria contrita il corpo quasi esanime del fidanzato, abbandonato al centro del letto e attorcigliato alle lenzuola stropicciate. I capelli neri erano ancora più disordinati del solito e la barba lunga lo stava facendo somigliare, giorno dopo giorno, ad un esemplare poco nutrito di castoro.

Non poteva continuare così.

Hermione Granger, al fianco della suddetta signorina Weasley, aveva l’espressione di qualcuno che avrebbe volentieri dato di stomaco in un angolo, piuttosto che restare lì un momento in più. Avrebbe fatto di tutto, pur di non essere costretta a sentire quella puzza nauseante di alcol e solo Merlino sapeva cos’altro.

«Non va bene, Gin» disse alla fine, senza riuscire ad impedirsi di sventolare la mano davanti al viso, nel tentativo disperato di prendere un po’ d’aria. «Possibile che tu non sia riuscita a fermarlo, stanotte? Qui dentro c’è un’aria viziata che farebbe invidia ad una distilleria» .

Ginny grugnì – una fedele interpretazione del grugnito made in Weasley che di solito faceva venire i brividi ad Hermione – e le indicò le grandi finestre della camera. «Le abbiamo tenute aperte tutto il giorno, Kreacher è disperato. Credo sia andato a consultarsi con altri elfi per trovare una soluzione a questa puzza nauseante» le rispose, cupa, lanciando un ultimo sguardo al giovane uomo incosciente, prima di voltargli le spalle ed uscire dalla camera. «Vieni, altri cinque minuti qui e saremo ubriache come lui».

Abbandonando la camera padronale di Grimmaul Place, Hermione sentì un moto di angoscia opprimerle il petto. In quella stanza, ai tempi dell’ordine, aveva riposato Fierobecco. In quel momento, invece, vi dormiva Harry Potter, l’ex Salvatore del Mondo che si era ridotto ad una creatura ben più incivile dell’ippogrifo.

L’ambiente un tempo sporco e polveroso della vecchia casa, che aveva ospitato il cuore della ribellione contro Voldemort, era diventato caldo ed accogliente, un perfetto nido d’amore. Per Hermione, era come assistere alla bugia che era diventata la loro vita. Tutta la perfezione promessa dalla vittoria era stata spazzata via, lasciandosi alle spalle uomini e donne distrutti dal dolore e dalle perdite.

Sospirò, perché era tutto ciò che il suo cuore sembrò consentirle. Un tempo avrebbe fatto irruzione nella stanza ed avrebbe tirato via il suo migliore amico, ma, dopo gli ultimi mesi, non credeva di essere abbastanza forte. La cosa, naturalmente, la faceva sentire malissimo: Harry le era sempre rimasto accanto, dopo quello che le era successo.

Ma lei non era Harry Potter. Se qualcosa lo stava turbando a tal punto, chi le assicurava che non avrebbe lasciato lei completamente interdetta?

«La zia di Harry ci ha mandato dei biscotti» le disse Ginny, interrompendo le sue elucubrazioni mentre entravano nella piccola ma oramai accogliente cucina. Indicò un contenitore metallico al centro del tavolo, proveniente da una pasticceria a lei sconosciuta. «Sono deliziosi con il tè» aggiunse, con un sorriso, facendole cenno di accomodarsi.

Dal canto suo, Hermione si era fermata alle parole “zia di Harry”.

«Quale zia? Credevo che lui fosse l’ultimo Potter» le chiese, confusa, sedendosi ed allungando le mani verso i biscotti. Ce n’erano di vari gusti, molti alle nocciole o coperti da cioccolato. Trovarne uno che fosse semplicissimo fu un’impresa, ma Hermione ci riuscì. «Sono deliziosi» esalò, dopo aver dato un morso. «Non ne mangiavo di così buoni da…» dall’ultima volta che era stata alla Tana. «…da mesi».

Ginny, che le dava le spalle, non diede cenno di essersi innervosita. Diversamente da lei, sembrava aver accettato con tranquillità devastante quella nuova situazione. «Infatti è l’ultimo Potter» le rispose, tranquilla, voltandosi per accomodarsi davanti a lei. Il bollitore era stato messo sul fuoco, ma non c’era bisogno di controllarlo: Ginny Weasley era un talento con gli incantesimi domestici. «Quelli li ha mandati sua zia Petunia, la sorella di sua madre».

«Petunia?» il biscotto, forse sbigottito quanto lei, decise di prendere la strada per i polmoni, piuttosto che quella per lo stomaco. Le briciole tentarono di soffocarla, mentre il respiro le si mozzava. Dovette cambiare colore in modo preoccupante, vista la rapidità con cui l’altra le procurò un bicchiere d’acqua.

«Per le mutande a fiori di Merlino!» sbottò la rossa, dandole delle pacche sulla schiena, mentre bevevo. «Si può sapere cosa ti è passato per la testa, Granger? Vuoi forse completare l’opera che Tu-Sai-Chi non è riuscito a portare a termine?».

Hermione non se la sentì di risponderle subito, preferendo assicurarsi di non morire in modo totalmente assurdo. Solo quando le molliche vagabonde ritrovarono la loro strada ed il suo colorito tornò ad essere quantomeno umano, si decise ad alzare gli occhi sull’amica.

«Petunia Dursley vi ha mandato dei biscotti?» le chiese, scandalizzata, accettando la tazza di tè che le stava porgendo solo perché temeva di farsi andare ancora qualcosa di traverso. «La stessa Petunia Dursley che a Natale dell’anno scorso vi ha mandato un terrificante quadro dai grandi magazzini?» insistette, fissando l’amica come se avesse paura di esser presa per i fondelli.

Ginny sorrise, serafica. «Proprio quella Petunia Dursley, sì» confermò, cinguettando ed allungando la mano verso la scatola dei biscotti, pescandone due al cioccolato e mangiandone uno sotto lo sguardo sempre più allibito di Hermione. «Oh, insomma!»  sbottò, esasperata. «Non c’è bisogno di reagire così, dopotutto è sua zia».

Le sopracciglia di Hermione raggiunsero l’attaccatura dei capelli. «L’ultima volta che vi ha scritto, la casa sembrava infestata da un poltergeist! Non posso credere che vi abbia mandato dei biscotti buonissimi senza che… non so… senza che a Kreacher spuntasse un’altra testa!» sbottò, scuotendo il capo. Il suo sguardo si fece improvvisamente più attento. «Cosa c’è sotto, Gin?» chiese quindi, piegando leggermente il capo di lato.

La rossa rise, mescolando il proprio tè. «Hai presente la figlia di Dudley, Jane?» iniziò, posando il cucchiaino al lato del piattino ed osservando di sottecchi l’amica.

Hermione annuì, accigliata. «Se non sbaglio ha fatto tre anni, poco tempo fa. Perché me lo chiedi?» domandò, curiosa, prima che un pensiero la fulminasse.

Se Malfoy poteva essere un ladro, la figlia di Dudley Dursley poteva benissimo essere…

«Ha fatto levitare i suoi giochi per tutta la stanza, a Petunia è venuto un colpo» rispose Ginny, allegramente, per poi sorseggiare il suo tè. «E così il nipotino strambo è diventato l’unico capace di aiutarla. I casi della vita sono fantastici, non credi?»

«Come Malfoy diventato un ladro».

Quella volta, fu Ginny a strozzarsi.

 

***

 

 

«Davvero, Gin» ammonì ancora una volta Hermione, guardando l’amica con severità. «Nessuno deve venire a saperlo».

Il modo in cui le labbra le tremarono, pronunciando quelle parole, avrebbero rischiato di rovinare la portata di quell’ordine. Da quando era tornata dalla Francia, due giorni prima, non era riuscita a smettere di ridacchiare all’idea di Draco Malfoy nei panni di un moderno ed aristocratico Lupin.

Ginny mise un leggero broncio, gli occhi illuminati d’entusiasmo. «Neppure ad Harry? Sono sicura che lui si farebbe delle sane risate» propose, indicando con un cenno del capo il piano di sopra. Prese un altro biscotto dalla scatola inviata da Petunia, osservandolo come se fosse stato il centro delle loro discussioni. «Malfoy un ladro. Posso dirglielo? Ti prego».

Hermione scosse il capo, cercando di mantenere la serietà. «Non devi dirlo a nessuno. Soprattutto ad Harry!» disse, stringendo le labbra in una fedele imitazione della professoressa McGranitt nel pieno di una dimostrazione d’irritazione. «Se lo sapesse, cercherebbe di mettersi in mezzo alla missione, dicendo in giro che Malfoy sia un banale ladruncolo pronto a vendermi alla prima occasione».

La rossa aprì la bocca, probabilmente per ribattere a quella sua affermazione. Prima di farlo, però, sembrò ripensarci, limitandosi a stringersi nelle spalle. «D’accordo, immagino tu abbia ragione. È stato il primo pensiero che ho avuto anch’io». I suoi occhi si puntarono in quelli scuri dell’amica. «Ma tu ti sei fidata. Perché?» domandò, curiosa, spingendo verso l’altra i biscotti.

Se credeva che facendola mangiare avrebbe ottenuto risposte migliori, aveva assolutamente ragione.

Con un sospiro, Hermione afferrò un altro dolcetto, cercando la risposta adatta. «L’altra mia opzione era scappare via come una ladra e lasciarlo morire» mormorò, accigliata. Qualcosa, dentro di lei, si opponeva a quella confessione. «Sono una Grifondoro, non posso semplicemente abbandonare qualcuno».

Le bugie sono parole, parole, parole.

Ginny non si preoccupò, annuendo leggermente. «Sì, questo è un comportamento da te» concordò, tranquilla. «Neppure lui ti ha abbandonata, però, e questa è una vera sorpresa, non credi?»-

Dubbiosa, Hermione si limitò a scuotere le spalle. «Forse, oppure no. La guerra ci ha cambiati tutti, immagino che non volesse avere anche me sulla coscienza» mormorò, fissando il tè che ancora non aveva bevuto.  Il colorito troppo chiaro lasciava intendere la quantità di limone che dovesse avervi infuso, senza neppure rendersene conto. «Oltretutto, io gli servo».

Ginny annuì, sorseggiando il contenuto della sua tazza. «Gli hai salvato il regale fondoschiena, me lo stavi giusto accennando» concordò, vagamente accigliata. «Davvero era ricoperto da interiora di verme? Puzzava come si dice in giro?» chiese, con una risatina, allungandosi per afferrare un pacchetto di sigarette dal mobile alle sue spalle.

Hermione annuì, con una risatina. «Era completamente ricoperto, dalla punta dei suoi capelli da biondo principino fino alla punta delle scarpe firmate» fece una smorfia. «E la puzza… Gin, davvero, sembrava di essere entrati nel deposito di caccabombe che Gazza teneva al castello!».

Ginny scoppiò a ridere, facendole l’occhiolino. «Ah, mia cara, io non dovrei sapere nulla di quel deposito, sai? Non sono stata nominata prefetto, non avevo il permesso di conoscere quel postaccio» spiegò, porgendole una sigaretta e l’accendino.

Una risatina scosse Hermione, mentre accettava l’offerta. «Potrei chiederti come mai tu ne sia a conoscenza, ma sarebbe stupido, oltre che una perdita di tempo» commentò, tranquilla, avvicinandosi affinché l’altra potesse farle accendere la sigaretta. «Potrei, ma non ne ho intenzione. Il mio animo da Caposcuola insorgerebbe e tenterei di toglierti punti».

Le giovani si guardarono per qualche istante, scoppiando a ridere.

«Comunque» Hermione si asciugò una lacrima sfuggita al controllo, raddrizzandosi sulla sedia, per poi portare la sigaretta alle labbra ed aspirare un po’ di fumo. «Sono appena riuscita a pulire tutto e tirarci entrambi fuori dai guai, non ho neppure pensato a controllare che ci fosse la Traccia» rilassò le spalle, espirando una boccata di fumo. «Per fortuna Malfoy ha avuto i riflessi pronti, o non avremmo saputo dove andare».

«E dove dovrete andare, stavolta?»

 

«Allora, Mezzosangue?»

Ancora una volta, Malfoy le pungolò la spalla, cercando di spiare oltre l’ammasso di capelli ormai libero dalle forcine. Erano passati solo dieci minuti da quando avevano comunemente deciso che lei avrebbe capito il funzionamento della Traccia, ma lui sembrava essersi già stancato.

«Malfoy, per favore, sto tentando di comprendere qualcosa» gli rispose, pacata, per l’ennesima volta. Il suo proposito di non strangolarlo – sarebbe stato ipocrita, dopo avergli salvato la vita – sfumava secondo dopo secondo, in favore di un fastidioso tic all’occhio. Se avesse continuato, Hermione non avrebbe risposto di sé.

Il purosangue sbuff, come un cavallo nervoso. La strega lo sentì distintamente armeggiare con qualcosa, prima che una scintilla illuminasse per un attimo gli alberi ed uno strano odore di cannella si diffondesse nell’aria.

Quando, confusa, si voltò, trovò il giovane intento a fumare una strana sigaretta dal colore scuro, con lo sguardo perso verso il profilo illuminato di Versailles.

«Cosa accidenti stai fumando, Furetto?» gli chiese, curiosa, tornando tuttavia a controllare la piccola superficie riflettente che aveva davanti.

Lo specchietto – un piccolo sole che rientrava perfettamente nel palmo della mano della strega – era poggiato sull’erba, poiché nessuno di loro aveva avuto il coraggio di tenerlo in mano durante i tentativi di azionamento. Non sapevano cosa sarebbe successo e, di certo, non avrebbero rischiato di essere inceneriti per scoprirlo.

«Sono sigarette aromatizzate, Granger» le rispose lui, alzando gli occhi al cielo, l’espressione quasi disgustata. «Possibile che tu sia così ignorante sul mondo magico? Sono la soluzione migliore per poter ottenere tutti i vantaggi del fumo, escludendo il peggiore fra gli effetti collaterali».

«Il cancro ai polmoni?» azzardò la strega, sentendo in un altro sperduto della propria testa la voce di sua madre, in un lamentoso memento della fine che lei stessa avrebbe fatto, se avesse continuato su quella strada.

«Certo che no» scandalizzato, Malfoy le dedicò un verso sprezzante. «I veri Purosangue non si ammalano, noi ci limitiamo a diminuire lo standard ottimale della nostra salute e decidiamo quando porre fine alle nostre sofferenze» rispose, tranquillo, aspirando un’altra boccata di fumo.

Confusa, Hermione si voltò a fissarlo. «Mi stai forse dicendo che per i Purosangue è prassi affermata l’eliminazione fisica degli ammalati? È un atteggiamento da barbari!» sbottò, scandalizzata. «Se il Ministero sapesse… praticamente fate dell’eutanasia! È disgustoso!» continuò, furiosa, sentendo l’indole da paladina della legge insorgere nel proprio petto, insieme ad una sequela di insulti che una signorina non avrebbe mai dovuto proferire.

Malfoy, dal canto suo, non fece una piega. «Io definirei disgustoso privare una persona della dignità, Granger» le rispose, glaciale. «Ho visto come i babbani trattano i loro malati senza speranza. Quell’abbandono… quello non è disgustoso?» le chiese, senza sembrare particolarmente interessato. «Pensala come vuoi, Granger, ma i Purosangue, piuttosto che trascorrere mesi o anni in un letto, preferiscono prendere una pozione e morire da veri signori».

Hermione scosse il capo, ancora sconvolta. «Voi purosangue! La considerazione che avete di ciò che non è perfetto  è il riflesso della considerazione che avete della vita» sbottò, con un borbottio, tornando a concentrarsi sulla Traccia. «Se solo aveste-» si fermò, trattenendo bruscamente il respiro.

Alle sue spalle, Malfoy si fece improvvisamente più attento, buttando di lato la sigaretta ed inginocchiandosi al suo fianco. Entrambi fissarono, interdetti, la leggera cornice d’oro. Al centro, la superficie riflettente era mutata, ora sciogliendosi ed ora  addensandosi, trasformandosi in nebbia sotto i loro occhi.

«Come hai fatto, Mezzosangue?» le domandò, sottovoce, senza staccare gli occhi dalla meraviglia che si stava realizzando davanti a loro.

La strega si strinse leggermente nelle spalle, confusa. «Credo sia stata la parola riflesso. Mi sembra  di aver letto di oggetti magici che rispondono a diversi comandi, in base al diverso luogo ed al tempo in cui vengono ritrovati. Riflesso è simile al francese réflexion, probabilmente per questo ce l’ho fatta. Ero così irritata da aver usato magia accidentale» spiegò, sempre con lo stesso tono di voce, osservando affascinata il movimento delle nebbie davanti a lei. Sembrava volessero comunicare, danzando e creando ombre dalle forme quasi antropomorfe.

Malfoy non era più così rapito dallo spettacolo, i suoi occhi grigi erano fermi su di lei, stupiti. «Sei riuscita a risolvere un problema che altrimenti sarebbe stato irrisolvibile, il tutto mentre tentavi di far valere le tue idee incomprensibili con me» disse, ammirato. «Sei una fonte di sorprese, Granger, dico davvero» borbottò, incurante della rigidità che colpì l’altra.

«Potrai farmi pervenire i tuoi complimenti sottoforma di un mazzo di fiori recapitati al mio ufficio» gli rispose, con uno sbuffo irritato. «Abbiamo attivato la nebbia, ma adesso cosa dobbiamo fare? Il professore ha parlato di un collegamento con la Traccia precedente, ma…» Hermione assottigliò lo sguardo, sospirando.

«Come accidenti facciamo a trovare il collegamento? Non ne ho idea» disse lui, stringendosi nelle spalle. «Prova con un incantesimo di rivelazione, uno di quelli semplici» propose, indicando con un cenno la bacchetta che lei ancora teneva in mano. «Hai presente, Revelio» tentò ancora, quando la vide esitare.

Lo sguardo che Hermione gli dedicò lo fece ridere, ma soltanto per qualche istante. Quando lei eseguì l’incantesimo, la tensione fu troppa per mantenere il tono leggero dell’ilarità.

All’inizio non cambiò nulla.

Poi, come se la nebbia avesse acquistato consapevolezza della loro disperazione, sette minuscole figure si formarono dalla materia inconsistente, ruotando intorno ad una figura centrale, più grande. Le figurine ruotarono e la centrale cadde. Le figurine si fermarono e si unirono alla centrale, disegnando la forma di un altro specchio, all’apparenza ben più maestoso, sormontato da una corona.

Infine, lo specchio si ruppe ed il suono ovattato del vetro infranto dilagò fra gli alberi, facendo venire la pelle d’oca ai due maghi che, impotenti, avevano assistito allo spettacolo.

Restarono in silenzio per qualche secondo, fissando la bruciatura nel terreno dove, fino a poco prima, era stato lo specchietto. Poi, lentamente, Malfoy si voltò a guardarla.

«Cosa cazzo significa, Granger?» chiese, mantenendo il tono di voce soave.

«Sette piccole persone ed una grande» ragionò lei, ad alta voce. «La piccola persona cade ed uno specchio è alla base di tutto. Uno specchio coronato» continuò, stringendo le labbra.

«Perfetto, sarà sempre così? Dovremo sperare nel colpo di fortuna ogni maledetta volta?» sbottò Malfoy, sedendosi per terra con l’espressione di qualcuno che aveva voglia di prendere a pugni il primo albero disponibile. «Tanto vale morire qui! Sarà più veloce ed indolore, come addormentarci».

Come addormentarci.

Hermione spalancò gli occhi, voltandosi verso il collega. C’era una certezza, nel suo sguardo, capace di far impallidire anche Lord Voldemort nei suoi tempi d’oro.

«Mezzosangue?»

«So dove dobbiamo andare».

 

***

 

«In Germania? Come hai fatto a collegare la Germania?» domandò Ginny, accigliata, spegnendo la sigaretta nel posacenere vicino. Raramente Ginevra Weasley ne fumava una intera: le piaceva credere di poter controllare la dipendenza. Almeno, era quello che ripeteva a chiunque le chiedesse informazioni al riguardo.

Hermione sorrise, sbuffando il fumo verso il pavimento, per non colpire in viso l’amica. «Mai sentito parlare di Biancaneve ed i sette nani, Gin?» le domandò, retorica, avendo già potuto accertare, con Malfoy, che i purosangue non conoscessero la fiaba. «La Regina Cattiva usa uno specchio per realizzare i suoi piani malvagi» spiegò subito, con un sorriso. «E la storia è stata scritta dai fratelli Grimm, che vivevano in Germania» si strinse nelle spalle. «Ho ipotizzato si fossero ispirati ad una storia vera».

Ginny annuì, vagamente soddisfatta. «Quindi tu e Malfoy state per addentrarvi in una fiaba babbana, eh? Avete lo specchio ed immagino che troverete la strega cattiva a guardia» mormorò, con le sopracciglia inarcate e l’espressione maliziosa. «Chi di voi sarà la principessa e chi il principe azzurro?» chiese, in un cinguettio.

Hermione sorrise, facendo l’occhiolino alla migliore amica.  «Naturalmente io sono il principe».

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Ormai la storia è entrata nel pieno dell’azione! Il primo indovinello è stato risolto, ma i prossimi? Hermione ha dimostrato ancora una volta di essere una Grifondoro in piena regola, coraggiosa e pronta ad aiutare gli altri. Qualcosa le ha impedito di esprimersi al massimo, negli anni precedenti, e la colpa sembra essere di Ronald. Caso strano, eh?

Questo capitolo ed il prossimo mancano un po’ d’azione, me ne rendo conto, ma sono fondamentali. Nel prossimo ci sarà il ritorno del caro Dottor Crave, che scoprirà un po’ delle sue carte, ma non anticipo altro!

 

Per la comprensione della citazione, faccio riferimento in uno dei punti sotto! Ho evidenziato l’inizio, per renderlo facilmente individuabile!

 

Avviso: La settimana entrante ho esami, quindi potrei non avere modo di portarmi avanti con la scrittura ed il capitolo potrebbe slittare un po’. Per favore, pregate per me se credete in qualsiasi entità superiore, oppure tenetemi nei vostri pensieri. Sono terrorizzata.

 

Punti importanti:

» Il titolo è stato scelto sia in relazione alla loro avventura, che ha davvero inizio con il ritrovamento della prima Traccia, sia in relazione alle condizioni di Harry.

» La squadra di cui fa parte Hermione – gli Inquisitori – ha sia una sezione d’ufficio che una d’Inchiesta, che si occupa di ricercare le prove e, spesso, catturare i fuggitivi. Non confondeteli con gli Auror, il loro scopo è arrivare ad un processo, non buttare la gente in prigione. Semplicemente, le prove spesso non possono essere ottenute con le buone.

» Harry, Harry, cosa ti sta succedendo? Le condizioni del Bambino Sopravvissuto sembrano proprio non voler migliorare! Che sia stress post traumatico? Chi lo sa! La povera Ginny fa di tutto per aiutarlo, ma sembra non essere sufficiente.

» Ebbene, la figlia di Dudley è una strega. JK Rowling ha detto di aver pensato a questa possibilità, ritenendo impossibile che un gene magico possa sopravvivere allo scontro con il DNA di Vernon Dursley. Io non sono d’accordo. Dopotutto, in queste ultime settimane ho avuto la certezza che la cara Jo abbia iniziato a sparare baggianate, spinte soltanto dal fanservice. Perché non posso essere felice con qualcosa di comprensibile? I Dursley faranno una comparsa? Non credo, ma non si può mai sapere.

Se proprio vogliamo essere pignoli, l’idea di dare una nipote strega a Petunia è tornata a galla grazie alla fanfiction di Poison Spring, “Gli eredi del Crepuscolo”. Ve la consiglio, è favolosa.

» La discussione di Draco ed Hermione sull’eutanasia e sul diritto al suicidio forse è stata un azzardo, me ne rendo conto. In un certo senso, è una questione molto attuale e ho pensato di trattarla, seppur in modo estremamente superficiale. Qual è il mio punto di vista? Ah, non credo di doverlo dire, non vorrei influenzare nessuno. Comunque il discorso non si concluderà qui, la questione si ripresenterà già a partire dal prossimo capitolo. La citazione ad inizio capitolo riguarda quelle che si ritengono essere le due fazioni di questo scontro: l’Amore che impedisce di lasciar andare il malato e la Dignità di quest’ultimo, che viene messa a rischio dalla sua condizione. Oppure l’Amore che consente alla famiglia di lasciar andare il malato e la Dignità che viene a mancare quando si toglie il primo valore indisponibile, la vita.

» Prossima tappa, Germania! È stato un azzardo, secondo voi? Fatemi sapere! Non vedevo l’ora di usare Biancaneve nella storia! Parlando di specchi e magia non era forse ovvio?

 

 

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazie ancora a chiunque leggerà, ci becchiamo lunedì (o più avanti!) prossimo,

-Marnie

 

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Capitolo 8
*** Atto V - Di errori e autorità. ***


Il dottor Crave, quel giorno, non sembrava intenzionato a parlare

Lo Specchio delle Anime.

 

 

Ci si chiede qual è la differenza tra un leader ed un capo.

Un leader guida, un capo dirige.

[Theodore Roosevelt]

        

        

Atto V

Di errori e autorità.

 

 

Il dottor Crave, quel giorno, non sembrava intenzionato a parlare.

Aveva ascoltato tutto il racconto di Draco, sorridendo qui e lì ogni qualvolta lui avesse fatto riferimento alla sua collega, ma non si era espresso neppure una volta e neppure con un semplice grugnito. Semplicemente, Newton Crave si era limitato a fissare il suo paziente, scribacchiare qualcosa sul suo quadernino ed accarezzare il suo povero ed apparentemente svenuto gatto.

Quel silenzio stava facendo innervosire Draco oltre ogni immaginazione. Il desiderio di alzarsi in piedi e lanciare il libro in testa al dottore era quasi fastidioso, tanto era forte dentro di lui. Non sborsava certo trenta galeoni alla settimana per osservarlo farsi i fatti suoi.

Aspettò un minuto, sperando che parlasse.

Due minuti.

Tre minuti.

Cinque.

Il libro venne sbattuto con violenza sul tavolo, ma l’uomo si limitò soltanto a lanciargli un’occhiata esasperata, le sopracciglia inarcate.

«Hai bisogno di qualcosa, Draco?» gli domandò l’uomo, serafico, tornando ad abbassare gli occhi sui suoi appunti, il viso nuovamente rilassato. «Sembri alquanto nervoso, oggi, non è da te» aggiunse, pacato.

Draco non apprezzò quell’affermazione. Per niente, davvero. La apprezzò così poco da alzarsi in piedi come una furia ed avviarsi alla porta, intenzionato a non prendere alcun appuntamento per la settimana successiva. Aveva trascorso anni a farsi spillare soldi da quel cialtrone e lui stesso aveva ammesso che le condizioni del suo braccio testimoniassero che non fosse guarito.

Nessuno poteva prendersi gioco di un Malfoy.

La porta dello studio, però, non si aprì. A prescindere da quanti tentativi stesse facendo, Draco non riuscì ad abbassare la maniglia neppure di un millimetro, lasciando che l’irritazione crescesse, crescesse all’infinito, come un fuoco sul punto di mangiargli le viscere.

«Apra questa dannata porta!» sbottò alla fine, voltandosi verso il medico e trovandolo con la bacchetta ancora puntata nella sua direzione. Aveva sigillato la porta per impedirgli di uscire, il bastardo. «Se non ha intenzione di staccarsi da quegli appunti, per quale motivo dovrei restare qui a perdere tempo con lei?» chiese alla fine, stizzito, quando l’altro non accennò a volerlo accontentare. Avrebbe sbattuto il piede per terra, se non avesse avuto un briciolo d’amore per il suo orgoglio.

Crave inarcò un sopracciglio, fissandolo con l’aria più sarcastica che il giovane mago avesse mai visto in faccia a qualcuno che non fosse un Malfoy.

«E sentiamo…» iniziò il dottore «dov’è che vorresti andare, una volta lasciato il mio studio? Pensi che qualcun altro possa aiutarti più di me?» chiese, piegando la testa di lato, come se si stesse interessando ad una qualche bestiola curiosa.

L’immagine di se stesso con una coda da pavone fece rabbrividire Malfoy, impedendogli di sputare la risposta velenosa che aveva sulla punta della lingua. Persa l’occasione, deglutì e si sforzò di non far fuggire la lunga sequela di imprecazioni che scorreva nella sua mente.

«Ha detto lei stesso di non poter fare nulla per me. A questo punto, risparmierò i galeoni e vedrò di parlare davanti allo specchio. Probabilmente otterrei più reazioni» mugugnò quindi, risentito, incrociando le braccia al petto per resistere alla tentazione di cercare la bacchetta nelle tasche.

Ancora una volta, Crave aveva dimostrato d’essere un passo avanti a lui. Sapeva che presto o tardi la tentazione di incendiargli lo studio l’avrebbe colto di nuovo, quindi si era premurato di vietargli la bacchetta a tutti gli incontri.

Bastardo.

«E da quando Draco Malfoy si preoccupa dei soldi?» chiese il dottore, ironico, sghignazzando nel notare un vago rossore colorare le orecchie dell’altro mago. Gli impedì di parlare, quando fece per rispondergli. «Lo so che non è per i galeoni, Malfoy, non sono un idiota. E, poiché non credo lo sia tu, mi farebbe davvero piacere se ti sedessi e la smettessi di comportarti da bambino viziato» disse allora, alzando gli occhi al cielo e mettendo da parte il suo quadernino, mentre il suo paziente, tornato pallido come un cadavere, si accomodava nuovamente sulla poltrona.

I due si guardarono, come a squadrarsi a vicenda.

«Perché ha aspettato che io provassi ad andarmene, prima di intervenire? Era un test?» domandò Malfoy, gli occhi ridotti a due lame argentee fra le ciglia. Indicò con un cenno la porta. «Ha messo del veleno sulla maniglia? Veritaserum che fa effetto grazie al tatto?» disse allora, sempre più accigliato. «Sul serio, dottore, se sta ancora tentando di usarmi per i suoi esperimenti…».

Crave sbuffò, stravaccandosi nella poltrona. «Non voglio avvelenarti, Malfoy. Da come ne parli, sembra quasi che io non faccia altro che usarti per i miei esperimenti. Quante volte posso averlo fatto? Una o due…»

Malfoy assottigliò di più lo sguardo. «Dieci, dottore».

«Dieci? Davvero?» chiese, con un’espressione fra l’ammirato ed il divertito. «Significa che le tue reazioni mi sono sembrate affidabili. Comunque non temere, non ho messo del veleno sulla maniglia. Non ne avrei avuto motivo» lo tranquillizzò, con un gesto vago della mano.

Malfoy non seppe se credergli oppure no, ma a quel punto sentì di non avere molta scelta.

«Ebbene? Sono rimasto per consentirle di fissarmi in silenzio un altro po’?» gli chiese, dopo altri minuti di calma opprimente. «Faccia il suo lavoro, per Merlino!».

«Cosa vuoi che ti dica, Draco?» disse il dottore, apparentemente tranquillo. «Mi hai raccontato i fatti con una dovizia di particolari invidiabile al migliore fra i cantastorie… devi essere tu a indicarmi da dove vorresti far iniziare la nostra discussione. Se iniziassi io, probabilmente decideresti di non volerne parlare per pura ripicca».

Draco avrebbe voluto negare, ma non seppe cosa dire. Dopotutto, il dottore aveva ragione. Per questo, si strinse nelle spalle e diede uno sguardo ai libri che lo circondavano, cercando uno spunto per parlare di qualunque cosa tranne quella che, davvero, lo stava assillando.

«Sputa il rospo, Malfoy, si vede lontano un miglio quanto tu stia cercando di evitare un argomento, pur volendo disperatamente aprirti con me» gli disse il dottore, esasperato. Un sorrisino gli curvò le labbra. «Naturalmente, nel tuo caso dubito che aprirsi a me possa essere interpretato alla lettera».

«Dottore!»

Crave rise, elegante come un felino. «Non scandalizzarti Malfoy, dubito che qualche baldo giovane non si sia proposto a te, come succede a me ancora oggi. Ai tempi della scuola era decisamente frequente, ma, dopotutto, ero uno spirito molto libero…» gli rispose, allegro come una comare impicciona. Il suo sorriso da gatto si fece più ampio quando vide un leggero colore tornare sulle guance del biondo.

«Lei è una vergogna per tutta la categoria dei guaritori, lo sa?» ribatté il giovane, mettendo il broncio quando il dottore rispose con una risata. «Mi faccia una domanda ed io risponderò sinceramente, lo giuro. Sarebbe inutile girare intorno alla questione» si arrese alla fine, con un sospiro rassegnato.

Prima ancora che Crave parlasse, Draco aveva intuito quale sarebbe stata la sua domanda.

«Per quale ragione ti sei impegnato tanto per salvarla, Draco?».

«Perchè anni fa avrei dovuto farlo e non ci sono riuscito» ammise lui, tirandosi le parole dalla bocca come se fossero state incastrate fra i suoi denti. «Perché quel giorno lei mi ha salvato ed io adesso devo ripagare quel favore».

Il dottore annuì fra sé e sé, grattandosi distrattamente il mento barbuto. Draco lo vide scribacchiare qualcosa sul quadernino, ma non gli sembrò intenzionato a chiedere qualcos’altro.

Alla fine, lo vide rilassarsi contro lo schienale, con un sospiro stanco. «Perché credi che lei ti abbia salvato la vita, Draco?» gli chiese, accavallando le gambe. «Dopotutto, l’hai sempre trattata male. Avrebbe potuto lasciarti lì, da solo» spiegò, inarcando le sopracciglia. Allungò la mano per afferrare il bicchiere di scotch sul tavolino, così da portarselo alle labbra.

Malfoy si accigliò, confuso. «Lei non è mai stata crudele, dottore» mormorò, infossandosi di più nella poltrona. «Non si dimentichi chi era l’idiota, in tutta questa storia» aggiunse, con un sorriso ironico. «Immagino che avrebbe potuto lasciarmi lì, così che gli altri mi scoprissero, ma dubito sarebbe stata bene con la sua coscienza, dopo».

«Ma tu» cominciò Crave, gli occhi scuri ridotti a due fessure. «Tu ci saresti riuscito, eppure hai detto che l’hai salvata per ripagare un debito, nonostante… beh, diciamo il tuo curriculum» sorrise leggermente, ironico. «Perché proprio lei, Draco? Perché hai sentito di dover pareggiare i conti? I tuoi genitori si sono addossati molte colpe per proteggerti, eppure insisti a non volerli incontrare» disse infine, puntando gli occhi sul fondo del bicchiere, ormai vuoto.

Draco si irrigidì, improvvisamente sulle spine. «Io non ho alcun problema con mia madre, dottore. L’ho incontrata non più di tre giorni fa ed intratteniamo una fitta corrispondenza. Non le permetto di insinuare che io non abbia rispetto per lei» sbottò, raddrizzandosi sulla poltrona, come se qualcuno avesse trasformato i morbidi cuscini in spine e frammenti di vetro.

«E tuo padre? Non mi pare che lui sia mai stato presente agli incontri con la signora Malfoy» ribatté, pacato, il dottore, appellando con un gesto la bottiglia di Scotch rimasta nell’angolo per riempirsi il bicchiere. Non accennò ad offrirne un bicchiere al ragazzo, forse perché consapevole che, se lasciato a se stesso, Draco l’avrebbe prosciugata nel giro di pochi minuti.

Il giovane strinse i denti, nervoso. «Per quanto mi riguarda, mio padre ha tirato le cuoia il giorno della Battaglia di Hogwarts» sibilò, mostrando i denti. «Se vogliamo essere pignoli, mio padre ci ha tragicamente lasciati il giorno in cui è stato rinchiuso ad Azkaban. L’uomo che ha accettato la mia nomina a Mangiamorte e che io uccidessi Silente non potrebbe mai essere considerato un padre degno di questo nome».

Qualcosa – qualcosa di oscuro, di pericoloso – apparve per un momento negli occhi del dottore e la difficoltà a scacciarlo fu evidente anche a Draco, che non era mai stato bravo a leggere e comprendere le persone.

«Un padre, spesso, fa qualcosa che ritiene sia giusta, sbagliandosi» gli disse semplicemente, riempiendo ancora una volta il bicchiere fino all’orlo. Sembrava fosse affascinato dai riflessi che il liquore assumeva, a contatto con la luce del camino. «Sbagliare non significa non potersi pentire. Io proverei a parlare con lui, fossi in te» sorrise leggermente, ma senza allegria. «Fare un tentativo non costa nulla».

Draco assottigliò lo sguardo, confuso. «Stiamo ancora parlando di mio padre, dottore?» chiese, piegando leggermente la testa di lato, come se, da quella prospettiva, fosse più semplice comprenderlo. «Spero non stia usando me per farsi i passare i sensi di colpa verso suo padre» disse, senza riuscire a trattenere l’ironia. «Isaac Crave, dico bene? Era un grande guaritore, decisamente più benvoluto di lei» aggiunse, incrociando le braccia al petto e rilassandosi di nuovo contro lo schienale.

Il dottore non si lasciò abbindolare. «Mio padre, che riposi in pace, non ha mai avuto nulla da dirmi, dopo avermi tanto gentilmente cacciato di casa. Ed io non posso portargli rancore, so bene di aver meritato tutto» gli rispose, calmo. Poi gli dedicò uno sguardo intenso. «Non so se sentirmi lusingato o offeso dal fatto che tu non abbia pensato che potessi essere io il padre».

Quella era una rivelazione che Draco non si aspettava.

«Mi prende in giro?» chiese, allibito.

Il dottore sorrise, malinconico, indicando una fotografia solitaria sulla mensola del camino. Una ragazza, non avrebbe potuto avere più di sedici anni, sorrideva all’obiettivo, scuotendo la mano in un saluto allegro. I grandi occhi azzurri certamente non appartenevano al dottore, ma i capelli scuri e l’espressione esasperata erano esattamente le stesse.

La figlia del dottore.

«Rosemary Crave, la mia unica figlia» disse l’uomo, senza tuttavia voltarsi a guardare la fotografia. «Quella foto risale ai tempi della scuola. Ha frequentato il quinto anno, quando c’è stata la battaglia» spiegò, sfiorano il bicchiere con la punta delle dita.

Una terribile sensazione fece gelare il petto di Draco, quando il sospetto si insinuò sotto la sua pelle come tanti, fastidiosi spilli.

Che fosse…

«È morta, dottore?» chiese, mostrando una delicatezza ed un tatto che non credeva di possedere. Il terrore di aver raccontato gli errori del suo passato al padre di una delle vittime di coloro che aveva considerato famiglia gli impediva di mantenere l’atteggiamento da sbruffone.

Crave espirò dal naso, bevendo metà del contenuto del bicchiere. «No, non è morta» chiarì, senza tuttavia mostrarsi abbastanza tranquillo da risollevare il morale di Draco. «In un certo senso, è sana come un pesce» continuò, sempre con la stessa espressione. «Fatta eccezione per le occasionali emorragie interne, l’incapacità di camminare ed il fatto che sia stata usata come cavia da laboratorio per oltre due mesi. Sono sciocchezze» sibilò infine, con una smorfia. Le nocche della mano con cui teneva il bicchiere erano sbiancate, tanto forte era la pressione.

«Cavia da laboratorio?» chiese il giovane, raddrizzandosi. Provò a ricordare se i Mangiamorte avessero mai parlato di esperimenti in sua presenza, ma senza alcun successo. Forse non avrebbe dovuto addossare a suo padre un’altra colpa. Forse non avrebbe avuto quel dolore sulla coscienza.

«I Mangiamorte stavano sperimentando nuove pozioni» disse invece in dottore, distruggendo in un momento ogni sua speranza. «Mi chiesero di aiutarli ed io rifiutai» bevve un altro sorso di scotch, riempiendo nuovamente il bicchiere. «Ho scoperto cosa le avevano fatto soltanto dopo mesi, quando l’Ordine della Fenice l’ha salvata. Oltre due mesi senza che io mi rendessi conto di cosa le avessero fatto. Oltre due mesi senza ricevere notizie, ma io quasi non me ne resi conto».

In quel momento, Draco immaginò per quale motivo la questione del perdono e dei padri gli stesse a cuore. Lui era un padre che doveva essere perdonato.

«Non poteva sapere che se la sarebbero presa con lei» provò a rassicurarlo, senza esser certo di avere buoni risultati. Non era bravo con le persone. «Ha evitato di aiutare degli assassini, sua figlia non può davvero biasimarla».

Crave emise uno sbuffo di risata, nonostante sembrasse particolarmente furioso con se stesso. «Mia figlia non mi odia, Signor Malfoy» lo rassicurò, sarcastico. «Lei non mi rinfaccia assolutamente nulla, anzi, sembra quasi che la prigionia l’abbia convinta a volermi ancora più bene».

Draco si accigliò. «Allora…?».

«Io non mi sono perdonato, Malfoy, e non credo che potrò mai farlo» sputò infine il dottore, mettendo da parte il bicchiere. «Se potessi tornare indietro aiuterei i Mangiamorte, anche a costo di resuscitare personalmente Voldemort» ringhiò, balzando in piedi e fronteggiando, per la prima volta, la fotografia. «Farei qualunque cosa, per impedire che la mia Rose possa esser presa di mira. Qualunque cosa, Malfoy, pur di vederla camminare ancora una volta e per sentirla minacciarmi di dare il mio nome al suo primogenito» esalò, con la voce improvvisamente tremante.

Draco non alzò lo sguardo, preoccupato all’idea di cosa avrebbe visto. La cicatrice al braccio gli faceva abbastanza male senza trovarsi davanti gli occhi di un padre distrutto dal dolore. «Non si può fare nulla, per lei?» chiese quindi, sperando di poter aiutare, in un qualsiasi modo. Nonostante non l’avesse mai conosciuta, la ragazza era comunque la figlia dell’uomo che lo aveva aiutato a superare quei sei anni. Glielo doveva.

Crave, gli occhi ancora puntati sulla foto della sorridente figlia, rise senza la minima allegria. «Sono il miglior guaritore degli ultimi anni, Malfoy, credi che se ci fosse stato un antidoto io non l’avrei già trovato?» domandò, sarcastico, per poi passarsi la mano fra i capelli. «Non c’è più nulla che io o chiunque altro possa fare per Rosemary. Nulla mi consentirà di guardare negli occhi mia figlia e non provare l’istinto di uccidermi» continuò, la voce ridotta ad un sibilo carico di odio e ribrezzo per se stesso. «Se ti ho chiesto di parlare con tuo padre, Malfoy, non è perché credo che tu abbia bisogno di perdonarlo, ma perché sono certo che lui abbia bisogno di perdonare se stesso, prima di morire».

Colpito da quelle ultime parole, Draco strinse i braccioli della poltrona così forte da farsi quasi del male. «Lei come lo sa? Siamo stati bene attenti a non diffondere la verità sulle sue condizioni» domandò, nervoso, ripetendosi l’elenco di tutte le persone che avrebbero potuto davvero tradirli.

«Sono il migliore, Malfoy, te l’ho detto» gli rispose il dottore, sospirando. «Tua madre si è subito rivolta a me, quando hanno scoperto la malattia» disse, lanciandogli uno sguardo in tralice.

Il giovane deglutì, sforzandosi di far uscire le parole con un tono che non sembrasse troppo preoccupato o interessato. «E cosa ha scoperto, nella visita?» domandò, con la voce ridotta a poco più di un sussurro.

Crave sospirò, dedicandogli un sincero sguardo di commiserazione. «Va’ a parlare con tuo padre, Draco, concedi almeno a lui di morire con l’anima in pace. Dubito vedrà l’anno nuovo».

 

***

 

«Si rende conto dei danni che avete causato?».

Ancora una volta, Kinglsley Shacklebolt sbatté il pugno sul tavolo, trattenendosi dall’urlare soltanto per evitare di far diffondere troppo la notizia. Aveva gli occhi spalancati in modo quasi anormale, il viso coperto da tante goccioline di sudore. Hermione non ne era assolutamente certa, ma le sembrò di poter scorgere l’arteria sul collo pulsare furiosamente.

Il ministro si era infuriato.

«Mi rendo conto, ma…» tentò, ancora una volta, ritrovandosi interrotta da un altro pugno sulla scrivania. Quella volta, almeno, non trasalì. «Ministro, mi rendo conto che i danni siano stati particolarmente gravi, ma se esaminasse il rapporto…» continuò, testarda, allungando la mano per poter indicare il punto preciso in cui l’uomo avrebbe potuto trovare la spiegazione dettagliata di ciò che erano stati costretti a fare pur di portare a casa la Traccia e, soprattutto, la pelle.

«Tu non ti rendi conto, signorina Granger» le sibilò contro l’uomo, con una smorfia furiosa. «Il Ministro della Magia francese mi alita sul collo, li avevo avvertiti che ci sarebbero potuti essere problemi, ma non… non questo» aggiunse, furioso. «Hanno chiesto i danni per quello che avete combinato e il Governo non ha abbastanza fondi per permettersi queste sciocchezze».

Ad Hermione la parola sciocchezze non piacque affatto. L’irritazione crebbe dentro di lei come un fiume in piena, riportandole alla memoria tutto ciò che di orribile aveva visto negli anni di fedele servizio al Ministero. Ogni sciocchezza, ogni quisquilia che aveva pensato semplicemente di scordare per amore della pace comune… ricordò tutto.

«Questa è una sciocchezza, Ministro?» sbottò allora, incrociando le braccia al petto. «Distruggere creature pericolosissime, nascoste fra i babbani, per recuperare un artefatto di fondamentale importanza ed evitare che Voldemort torni in vita è una sciocchezza?» sibilò ancora, alzandosi in piedi, l’indice puntato contro il petto dell’uomo. «Vuole sapere una vera sciocchezza, Ministro? I regali assurdamente costosi fatti ai Capi di Stato stranieri, quelli sono sciocchi! Oppure le cene di lusso! Oppure le interviste con il Profeta che il Governo finanzia, per coprire un po’ lo schifo generale!» iniziò a sbraitare, sentendo la rabbia infiammarle il viso. Avrebbe voluto tirar fuori la bacchetta, puntargliela contro e fargli rimpiangere l’ultima mezzora di rimproveri che era stata costretta a sopportare. Ma lui era il Ministro, lei non poteva permettersi certe libertà.

«Signorina Granger, queste non sono questioni che…».

«Non mi dica signorina Granger!» sbottò ancora, furiosa. «Ci ha dato una missione e noi l’abbiamo portata a termine! Cosa vuole di più? Stiamo già facendo il lavoro di cui lei dovrebbe occuparsi, Ministro» sputò l’ultima parola come se fosse stata un insulto. «Posso accettare che il nostro modo di gestire la situazione non sia stato dei migliori. Posso accettare l’ammonimento a stare più attenti, la prossima volta» si fermò un momento, abbassando il dito e sospirando, nel tentativo di recuperare la calma. «Ma non può accusarci di mandare in bancarotta il Ministero, Signore. Non siamo noi a dissipare tutto per mantenere l’illusione che vada tutto bene. Non siamo noi gli incapaci».

Si rese conto di aver esagerato un istante troppo tardi, quando notò la rabbia tornare prepotentemente ad affacciarsi negli occhi scuri dell’uomo, dove un attimo prima sembrava voler vincere la vergogna.

L’avrebbe fatta arrestare?

Shacklebolt aveva l’espressione di un lupo affamato cui era stata malamente sottratta la preda. Puntò il dito contro il rapporto che la giovane gli aveva consegnato quella mattina, colpendolo più volte. Se avesse usato più forza, avrebbe lasciato un buco nel legno.

«Ho sbagliato la prima volta a coprire le spalle a lei ed a Malfoy» le sibilò, mostrando i denti. «Non sbaglierò più. Il Ministero, da oggi in poi, si limiterà a tirarvi fuori di prigione, qualora fosse necessario. Si ricordi che tutta la sua carriera dipende da questa missione, Granger, e che sono io il vero capo della missione» con fare minaccioso, girò intorno alla scrivania, fronteggiandola. «La prossima volta che mi metterete in imbarazzo davanti ai Ministeri stranieri, non esisterà bettola del mondo magico pronta a darle un lavoro» si fermò, ma solo per riprendere fiato. «Quanto a Malfoy, gli ricordi chi è che gli copre le spalle» aggiunse infatti, indicando nuovamente i fogli. «Trovate quello Specchio e state bene attenti, se il Ministero non paga, i responsabili sarete voi».

L’istinto ribelle che Hermione non sapeva neppure di possedere insorse. «E se non volessimo continuare la missione?» domandò, impertinente. «Chi altri vorrebbe mandare, eh? Chi potrebbe avere più esperienza di noi?» sbottò, forse peccando un po’ di egoismo. «Voldemort è una minaccia ben più importante della caduta del Governo e mi rifiuto di credere che proprio tu non te ne renda conto, Kingsley» disse infine, cercando di ergersi in tutta la sua modesta altezza.

L’uomo non si fece intimidire, tutt’altro. Il fatto che lei si fosse presa quella confidenza, come se fossero stati ancora nell’Ordine, doveva averlo irritato ancora di più.

«Non mancarmi di rispetto, signorina Granger. Sono io che impedisco alle autorità babbane di arrivare al tuo collega» minacciò, lasciando bene intendere che l’attività illecita di Malfoy fosse, in un certo senso, appesa al filo di un rasoio.

Nonostante l’istinto le ordinasse di tacere, poiché quella minaccia era sufficiente a mettere a repentaglio la missione, qualcosa la spinse a ribellarsi ancora.

Nessuno l’avrebbe più sottomessa.

«Beh, questo potrebbe fermare Malfoy. Senza di me, lui non potrebbe portare a termine un bel niente» ribatté quindi, l’espressione vincente.

Kingsley sorrise.

«Quanto credi che durerebbe il tuo amico Potter, se si venisse a sapere dei suoi problemi con l’alcol?» le disse, le sopracciglia inarcate ed un sorriso di trionfo stampato in viso. Lui sapeva che niente le avrebbe impedito di aiutare Harry. Sapeva che lei  fosse ben più che consapevole del fatto che l’amico, lasciato a se stesso, non avrebbe resistito molto.

Con le spalle al muro, Hermione capitolò.

 

***

 

«Beva questo, Miss» con voce gentile, Daisy le porse una tazza fumante di tè. «Ho messo un bel po’ di zucchero, è così pallida che sicuramente ne avrà bisogno» aggiunse, dolcemente, aggirando la scrivania del Ministro per sistemare i documenti sparsi un po’ ovunque.

Dopo averle dato quell’ultimatum, Shacklebolt era praticamente scappato dal suo ufficio, abbandonando la giovane strega a tutti i suoi pensieri. Doveva essere totalmente fuori di sé, altrimenti non avrebbe mai lasciato tutto quel disordine sulla scrivania. Era stato un Auror, l’ordine era un modo di essere.

Hermione, da quando la porta si era chiusa violentemente alle sue spalle, si era limitata ad accomodarsi in una delle sedie davanti alla scrivania. Non era neppure riuscita a sentire Daisy, prima che le mettesse davanti la tazza.

Doveva ringraziarla, era stata gentile, nonostante nessuno la stesse obbligando. Di certo il Ministro non le aveva chiesto di portarle il tè.

«Grazie, Daisy» mormorò, schiarendosi la voce per eliminare il tremore fastidioso. «Tolgo subito il disturbo, mi dispiace di non essere andata via immediatamente» si scusò, imbarazzata, mescolando leggermente il contenuto della tazza. Il colore rosato del liquido le fece venire i brividi: era la stessa qualità che Dolores Umbridge beveva ad Hogwarts. Qualcosa di irrazionale, dentro di lei, le urlò di non bere, per evitare di diventare a sua volta una rospa in rosa.

La giovane assistente sorrise, tranquilla, senza tuttavia sollevare lo sguardo dai documenti. Il rapporto che con tanta cura Hermione aveva preparato era quasi totalmente stropicciato. «Non si preoccupi, Miss Granger, so bene quanto il Ministro possa spaventare» mormorò in risposta, con tono leggero e tranquillo. Le sue dita fragili erano velocissime nel rassettare i fogli.

Hermione si sentì punta da quell’osservazione. «Io non ho paura di lui» disse quindi, accigliata, raddrizzando le spalle per recuperare un po’ dell’orgoglio che temeva di aver perso. Era un’eroina di guerra, nessuno avrebbe potuto più spaventarla davvero.

Più o meno.

Daisy sorrise di più, comprensiva, sollevando un attimo lo sguardo per rassicurare l’altra strega. «Naturalmente, Miss» mormorò, pacata. «Intendevo dire che so bene quanto il Ministro possa perdere le staffe, quando qualcuno gli fa notare i suoi errori» strinse per un momento le labbra dipinte di rosa chiaro, indicando una delle finestre – magia, naturalmente, si trovavano sottoterra – alle sue spalle. Il vetro dell’infisso in questione era leggermente diverso dagli altri, come se fosse stato sostituito da poco. «Almeno questa volta non è stato violento».

Hermione si accigliò di più, cercando di far conciliare l’immagine del Kingsley che lei aveva conosciuto durante la guerra con quella del Ministro Shacklebolt, sommerso da critiche, debiti ed incapace di reagire con calma.

Non ci riuscì.

«Daisy, ti ha mai fatto del male?» domandò all’improvviso la più giovane, colta da un orribile dubbio. Aveva detto di averlo visto nei suoi momenti peggiori, aveva detto che spesso era stato violento. Possibile che la sua follia fosse arrivata a quel punto? «Non preoccuparti, puoi dirmelo…» aggiunse, temendo che la bionda avesse paura ad aprirsi a causa delle possibili ritorsioni.

Il suo sguardo sconvolto fu sufficiente a dissipare tutte le preoccupazioni di Hermione.

«Oh, no, Miss! Il Ministro è sempre molto gentile con me» assicurò Daisy, portandosi una mano a coprire le labbra. La sorpresa nel suo sguardo era genuina, fortunatamente. Hermione dubitava che stesse mentendo: dopotutto, scovare i bugiardi era il suo lavoro. «È molto suscettibile, ma di solito si sfoga lanciando cose contro il muro e si interrompe sempre quando si accorge di me» le spiegò ancora l’assistente. «Una volta, per paura di avermi spaventata troppo, mi ha dato dei giorni di riposo ed ha mandato dei fiori con un biglietto di scuse».

Ecco – pensò Hermione – quello era un comportamento degno del Kingsley Shacklebolt che aveva conosciuto.

Sollevata, la strega più giovane annuì. «D’accordo, Daisy, scusa se ti sono sembrata inopportuna» le disse, con un sorriso, sorseggiando il suo tè. La dolcezza la colpì allo stomaco come un pugno. «Mi rendo conto che il Ministro sia molto stressato, volevo essere certa che fossi al sicuro».

Daisy sorrise, ma qualcosa di oscuro, di triste, le annebbiò lo sguardo solitamente limpido. «Non si preoccupi, Miss, con il Ministro io sono perfettamente al sicuro» la rassicurò, mettendo a posto anche l’ultimo foglio. Intrecciò le dita, guardandosi intorno con aria leggermente imbarazzata. «Quindi avete trovato la prima Traccia, giusto?» chiese alla fine, mascherando malamente una certa curiosità.

Hermione si accigliò, osservandola con vaga curiosità. «Ci hai per caso spiati, Daisy?» le domandò infatti, preoccupandosi leggermente di aver fatto sapere a tutto il Ministero che ci fossero dissapori fra lei ed il Ministro.

La giovane assistente arrossì, sbrigandosi a negare. «Oh, no! Certo, che no, Miss… ma tutti i documenti per il Ministro passano prima da me… ho letto qualcosa della sua relazione e ne sono rimasta affascinata. È stata davvero molto intelligente e coraggiosa, Miss» spiegò, imbarazzata, abbassando lo sguardo sul plico di fogli che ancora aveva davanti. «Ha davvero un sangue freddo invidiabile».

A quel punto, fu Hermione ad arrossire. «Oh… scusami ancora, è naturale che tu controlli i documenti» disse, scuotendo il capo, con un sorriso imbarazzato. «Ti ringrazio, ma più che coraggiosa sono stata umana. In certi casi, l’istinto di sopravvivenza ha la meglio» spiegò, con un sorriso di circostanza, finendo di sorseggiare il tè ormai tiepido. «Dovevamo prendere quella Traccia, non avevamo scelta. Ho solo fatto il mio dovere».

Daisy annuì, con uno sguardo perso in pensieri troppo gravi e troppo cupi per un viso dolce e fresco come il suo. La sensazione di oppressione che Hermione provava in sua compagnia si fece ancora più insopportabile del solito.

«Quindi dovete andare in Germania, adesso?» chiese allora l’assistente, prendendo la tazza vuota che Hermione teneva ancora fra le mani, dopo averle chiesto con un cenno se avesse finito. «Non mi sembra ci siano state vere indicazioni geografiche, come saprete dove cercare?».

«Quello che lo specchio ha mostrato è stata la fiaba di Biancaneve» rispose Hermione, pratica. Notando lo sguardo confuso della strega e rammentando il suo essere purosangue, sorrise. «È una fiaba babbana che parla di una ragazza vittima della sua matrigna strega che possedeva uno specchio magico» spiegò. «Immagino che quello specchio sia proprio ciò che cerchiamo noi e che i Fratelli Grimm abbiano trascritto qualcosa a cui devono aver assistito personalmente. Mi sono ricordata di una ricerca di alcuni studiosi di Cambridge* e della loro convinzione che la fiaba di Biancaneve si sia tenuta nelle foreste intorno il loro luogo natale, così…» si strinse nelle spalle, trattenendosi a stento dal complimentarsi con se stessa. Era stata davvero geniale a fare quel collegamento.

Daisy si accigliò. «E qual è il loro luogo natale?» chiese, apparendo sinceramente curiosa.

«Hanau, nel nord dell’Assia».

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Avrei dovuto aggiornare direttamente lunedì, ma ho preferito anticipare. Ho praticamente scritto un capitolo in poco più di quarantotto ore e, per me, è davvero una conquista. Dopo aver finito gli esami ed aver ripreso un po’ di fiato – avrei potuto iniziare a scrivere già sabato e, forse, postare in tempo, ma ero davvero troppo sconvolta. Ho avuto bisogno di tempo per me, ma sono tornata!

Grazie a chiunque mi abbia tenuto nei suoi pensieri, la settimana scorsa.

 

Punti importanti:

» I miei titoli stanno diventando banali, me ne rendo conto. Perdonatemi, mi sto ancora riprendendo.

» Ta-daaaaan, il dottor Crave è tornato con il botto! Il rapimento di sua figlia non è stato notato da Draco ed Hermione perché, naturalmente, erano via da Hogwarts in quel periodo. Draco, oltretutto, non sapeva nulla di quel reparto di ricerca dei Mangiamorte, perché, naturalmente, i pezzi grossi non si fidavano dei Malfoy. E ne avevano tutte le ragioni.

» Ho esagerato con Kingsley? Mi dispiace, ma vi assicuro che tutto ha un senso.

» Daisy è tornata ed ha tranquillizzato Hermione, almeno in parte. Un capitolo di ritorni, non vi pare?

» * Non esiste alcuna ricerca degli studiosi di Cambridge, ovviamente. Diciamo che ho dovuto lavorare un po’ di fantasia.

 

Mi sembra giusto, a questo punto, ricordare due fra i migliori scrittori al mondo, entrambi fondamentali per la mia formazione culturale ed entrambi scomparsi di recente. Sto parlando di Harper Lee – autrice de “Il buio oltre la siepe” – e di Umberto Eco, autore di così tante opere da richiedere un capitolo intero. Questo 2016 sta facendo una strage.  

 

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazie ancora a chiunque leggerà, ci becchiamo lunedì (o più avanti!) prossimo,

-Marnie

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Capitolo 9
*** Atto VI - Scena I & Scena II ***


Harry Potter si era sempre considerato un uomo dal sangue freddo

Lo Specchio delle Anime.

 

 

        

        

Atto VI – Scena I

Requiem for a dream.

 

Morire, dormire… nient’altro,

e con un sonno dire che poniamo fine al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali di cui è erede la carne:

è una conclusione da desiderarsi devotamente.

Morire, dormire.

Dormire, forse sognare.

Sì, qui è l’ostacolo, perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale deve farci riflettere.

[W. Shakespeare, Amleto – Atto III, Scena I]

 

 

Harry Potter si era sempre considerato un uomo dal sangue freddo.

Fin da ragazzo, era riuscito a mantenere la calma in situazioni che sarebbero state ingestibili per qualsiasi adulto dotato di un minimo di buonsenso. Aveva visto morire Raptor fra le sue mani, aveva sconfitto un serpente più grande di un drago ed aveva spesso e volentieri salvato l’intera comunità magica.

Naturalmente, sapeva bene di non essere perfetto. Ricordava alla perfezione come si era sentito dopo la morte di Cedric o quando la Umbridge lo aveva sottoposto ad ogni genere di tortura psicologica pur di piegarlo. E ricordava quanto era stato male dopo la morte di Sirius.

E poi Lupin, Tonks, Dobby, Fred…

Però era sempre riuscito a riprendersi. Sempre. Cosa che lo aveva convinto di poter sopportare tutto, di essere abbastanza forte per sopportare tutto.

Evidentemente si era sbagliato.

Il corpo senza vita di Ginny giaceva al centro della loro camera da letto, riverso per metà sulla poltrona che proprio lei aveva preteso di spostare dal soggiorno. I capelli rossi, solitamente lucenti e morbidi, sembravano steppa arida. Gli occhi erano ancora spalancati, il castano solitamente caldo e confortante era diventato gelido, spaventoso, colmo d’accuse.

Era colpa sua.

«Sensi di colpa, Harry?» come sempre, la voce sembrò giungere direttamente da dentro la sua testa, quasi avesse iniziato improvvisamente a parlare con se stesso. Ma Harry sapeva che non fosse così e gli bastò voltare leggermente la testa per trovarsi faccia a faccia con il proprietario di quel sussurro. «Non sei riuscito a salvarla, come tutti gli altri…».

A parlare era stata una creatura scheletrica, con la pelle sottile ed irritata come se avesse strisciato sul cemento grezzo. I grandi occhi neri erano illuminati dall’entusiasmo, la voce quasi incrinata dall’aspettativa.

Era tornato.

«No, mio caro, non sono tornato» rise ancora la creatura, artigliandosi più forte alle sue spalle. «Ma sto tornando… e verrò a prendere tutti coloro che ami».

No, non l’avrebbe permesso. Non avrebbe più toccato la sua famiglia.

La creatura rise ed Harry sentì la sua lingua biforcuta sfiorargli la nuca. Se non fosse stato pietrificato dalla paura, avrebbe tremato. L’istinto gli suggeriva di scappare via, la razionalità gli rammentava che dovesse necessariamente essere un altro dei suoi sogni.

Gli occhi di Ginny gli perforavano l’anima, consumandolo.

«Ah, ormai è tardi, è quasi fatta… mancano poco più di due mesi… nulla, per me. Io posso aspettare in eterno» gli disse la creatura, aumentando ancora la presa sulle sue spalle.

Il dolore delle unghie contro la pelle lo spinse a stringere i pugni per reprimere la tentazione di scrollarsi di dosso quel mostro.

Sapeva che sarebbe stato perfettamente inutile. Non si può toccare uno spirito.

«Inizi a capire, giovane Harry» la creatura rise. «Non combattere, non serve più. Per cosa dovresti farlo? Guarda, guarda la tua fidanzata! Lei sarà la prima a cadere, lo sai. Ed il tuo amico… Ronald, non è vero? Dov’è lui?» chiese, crudelmente, lasciando strisciare una delle mani ad artiglio sulla gola del giovane uomo, soffocandolo.

Harry lottò, si divincolò, ma ebbe alcuna speranza di liberarsi.

«Ah, Ronald non c’è più, non è vero? Non sarà con te… e quali saranno le tue speranze? Il trio non esiste più, i tuoi amici sono tutti condannati…».

Accanto al cadavere di Ginny, ne apparvero molti altri.

Hermione, Teddy, tutti i colleghi che aveva perso in quegli anni come Auror.

«Sai di non avere speranze, Harry» cantilenò la creatura, aumentando la presa sul suo collo.

Harry lo sapeva.

«Sai di non poter più combattere».

Harry si sentì improvvisamente esausto, come se gli occhi di Ginny avessero iniziato a succhiargli via ogni forza, ogni respiro stentato.

«Arrenditi» ordinò la voce, perentoria, stringendo ancora di più la presa sul suo collo.

Sfinito, Harry si arrese.

 

«Harry! Harry svegliati! HARRY!»

***

 

Atto VI – Scena II

Lo specchio e la Regina.

 

 

C'era una volta una deliziosa principessina chiamata Biancaneve.

 La sua vanitosa e perfida matrigna, la Regina,

temeva che un giorno la bellezza di Biancaneve potesse offuscare la sua.

Perciò vestì di stracci la Principessina e la costrinse ai servizi più umili.

Ogni giorno la vanitosa regina consultava il suo specchio magico:

 «Specchio, servo delle mie brame: Chi è la più bella del reame?»

 e sinché lo specchio rispose "Tu sei la più bella",

 la gelosia crudele della Regina risparmiò Biancaneve.

 

 

 

Il castello appariva molto più diroccato di quanto Hermione avesse mai sperato.

Le mura erano spoglie, scure, in più punti ridotte ad un banale cumulo di macerie. C’erano enormi buchi nel tetto, gli infissi avevano perso le vetrate, lasciando entrare il vento nelle stanze, così che fischiasse tutto il suo disappunto per il macabro destino toccato ad una struttura un tempo tanto meravigliosa.

Malfoy sembrava affascinato: i suoi occhi chiari osservavano ogni minimo dettaglio come se lui fosse stato un guaritore e quelle mura una ferita. Stranamente, Hermione percepì lo stomaco contrarsi. Le piaceva quello sguardo, lo faceva sembrare umano. E l’umanità era proprio ciò che lei non aveva mai voluto scorgere dietro quelle iridi di ghiaccio. Non avrebbe potuto affrontarlo, altrimenti.

Ma lei non c’era mai riuscita.

«Sono rovine del tardo dodicesimo secolo» commentò l’uomo, avvicinandosi al muro diroccato più vicino. «È incredibile che si sia conservato in questo stato, pur essendo stato abbandonato a se stesso per almeno…» si fermò, osservando il calcinaccio raccolto da terra. «Direi più di duecento anni, sì».

L’indole saccente di Hermione insorse, senza che lei potesse far nulla per fermarla. «Stando alle mie ricerche al Ministero tedesco, il castello è appartenuto alla famiglia Von Teufel fino alla fine del diciannovesimo secolo, quando Gertrut Von Teufel morì senza eredi, bruciata sul rogo dalle famiglie magiche del luogo per aver assassinato la principessa» spiegò, con il tono da prima della classe che le avrebbe fatto guadagnare un’occhiataccia da Harry. «Duecento anni all’abbandono raramente portano a queste condizioni, Malfoy. Reperti molto più antichi hanno resistito senza restauro per ben più tempo».

Draco le lanciò un’occhiata con la coda dell’occhio, senza nascondere un ghigno compiaciuto. «Vedo che la mia cara Mezzosangue ha fatto i compiti» disse, malizioso, accosciandosi davanti al muro. «I luoghi protetti da antica magia tendono a dissolversi molto prima degli altri. Secondo i miei calcoli, non sarebbe dovuto sopravvivere che qualche brandello di muro» le comunicò, senza guardarla, ma facendole cenno di avvicinarsi ed osservare a sua volta. «La magia a protezione del castello si è dissolta con la morte dell’ultima proprietaria… eppure, qualcosa ha impedito che le mura si sgretolassero del tutto».

Hermione ricordò improvvisamente ciò che era rimasto della casa dei Potter a Godric’s Hollow. Certo, aveva dato la colpa della rovina all’esplosione causata da Voldemort, ma il resto non era stato forse troppo abbandonato, essendo passati solamente sedici anni?

«Quel calcinaccio sta forse brillando?» domandò al suo collega, accigliata, fissando il frammento di muro che aveva preso a luccicare fra le mani dell’altro. Quando lo sentì imprecare, si voltò a fissarlo. «Malfoy? Che accidenti…?»-

«A terra!».

Senza sapere come o perché, Hermione si ritrovò con le spalle sull’erba ed il corpo di Malfoy sopra il suo, come se avesse voluto farle da scudo.

Ma da cosa?

Prima che potesse chiedere spiegazioni o urlargli contro le peggiori maledizioni, i frammenti di muro alle loro spalle iniziarono a sfrecciare velocemente sopra le loro teste, volando verso le rovine del castello con una violenza tale da poterli uccidere entrambi, se Malfoy non fosse stato pronto a spingerli al suolo.

«Incantesimo di Renovatio» le urlò lui all’orecchio, per tentare di sovrastare il caos davanti a loro. «Avrei dovuto pensarci prima! Tutti i castelli ne hanno uno, ha riconosciuto la presenza di maghi e si è attivato» sbottò quindi, incurante di essere praticamente sdraiato sopra la giovane, con le mani ad un passo dal suo corpo ed il viso a pochi centimetri dal suo.

Possibile che solo lei si sentisse a disagio?

Forse si trattava di pura stizza. Dopotutto – razionalmente parlando – sapeva bene che lui si fosse avvicinato solo per evitare ad entrambi una brutta e dolorosa morte. Doveva sentirsi così nervosa perché non aveva la più pallida idea di quale accidenti di incantesimo lui stesse parlando. E non esistevano incantesimi che lei non avesse studiato, prima o dopo la scuola.

«Incanto che cosa?» sbottò, spostando il viso di lato per osservare la velocissima ricostruzione del castello. Era strabiliante come si stesse ricostruendo, mattone dopo mattone. Sembrava di assistere alla sua decadenza accelerata, ma al contrario.

«Renovatio» ripeté Malfoy, vagamente divertito. «Non preoccuparti, è più che normale che tu non lo conosca. Si tratta di un incanto segreto che viene tramandato nelle migliori famiglie purosangue, per salvaguardare il Maniero» spiegò, voltando il viso abbastanza da poter notare l’andamento della ricostruzione. «Serve a far tornare le abitazioni allo splendore in cui erano al momento della morte dell’ultimo proprietario, così da essere adeguate ad accogliere il nuovo erede».

«Ma noi non siamo gli eredi, Malfoy» sbottò allora lei, seguendo il percorso di una finestra dal piano terra all’infisso vuoto dell’ultimo piano. «Non ha senso!».

Lui rise, divertito. «Parla per te, Granger. Non hai ancora capito che i purosangue d’Europa sono tutti imparentati?».

 

***

Il castello sembrava appena uscito da un romanzo horror, in perfetto stile Mary Shelley. Hermione ricordò la descrizione del castello di Frankenstein che aveva letto da ragazzina e, all’improvviso, temette di doversi guardare le spalle da uno zombie con delle viti infilate nelle tempie.

«Accogliente» commentò invece Malfoy, sarcastico, indicando le teste di cinghiali, orsi e – strano a dirlo – anche procioni appese alla parete dell’ingresso. «Le teste impagliate sono fuori moda dalla fine del diciottesimo secolo, immagino che la vecchia antenata Gertrut non sia mai stata una appassionata delle mode» aggiunse, con una smorfia nauseata, muovendo la bacchetta in direzione del grande lampadario che sovrastava la scala centrale.

Nonostante fossero ridotte ad un cumulo di cera sciolta – come aveva potuto mantenersi tanto a lungo? – si accesero contemporaneamente, rischiarando la vista sull’ampio salone. Se la luce del sole era riuscita appena a mostrare la grandiosità della scalinata centrale, in quel momento alla strega sembrò davvero di essere stata proiettata indietro nel tempo di almeno duecento anni. I tappeti erano perfettamente puliti e spazzolati, non c’era una singola ragnatela sui quadri vuoti e non c’era una sola finestra col vetro incrinato.

Quadri vuoti?

«Malfoy, dove sono i quadri?» domandò, cauta, tenendo la bacchetta alzata per paura di doversi difendere all’improvviso. L’esperienza di Versailles l’aveva segnata più di quanto avesse voluto ammettere. Aveva sempre paura di essere attaccata… e desiderava ardentemente tornare in azione.

Lui si strinse nelle spalle, calmo ma non rilassato. «Avranno doppioni in molti altri Manor, in oltre duecento anni si saranno annoiati» le rispose, avvicinandosi ad una cornice vuota. «Questo risale al tardo quindicesimo secolo, intarsi d’oro» commentò, vagamente ammirato, sfiorando il decoro con la punta delle dita. «Alta classe, non c’è che dire. Ne avevamo alcuni al Manor, ma mia madre li riteneva altamente detestabili».

Hermione lo fissò per qualche istante, indecisa se sorridere di quella scena quasi assurda o sentirsi ammirata. Malfoy era davvero un conoscitore dell’arte, difficilmente avrebbe potuto metterlo in dubbio. E lei era quasi ignorante al riguardo, sempre che non le si chiedessero informazioni sul trasferimento dei beni di valore tramite testamenti e cessioni onerose.

«Non siamo qui per commentare i quadri, Malfoy» lo riprese alla fine, indicando le scale con un cenno della bacchetta. «Credi che dovremmo separarci ancora una volta? È già pomeriggio inoltrato e preferirei non restare qui totalmente al buio, sai» ammise, con una smorfia preoccupata, lanciandosi uno sguardo alle spalle. «Per quanto impressionante, questo posto mi mette i brividi».

Malfoy la osservò in silenzio, prima di seguirla ed avviarsi verso la grande scala centrale. Il fatto che non si fosse lamentato e non l’avesse presa per i fondelli la fece accigliare.

«Malfoy?» chiese quindi, crucciata, raggiungendolo ed afferrandolo per il braccio, tentando di ottenere la sua attenzione. Se quello era un trucco per farle abbassare le armi, di certo lei non si sarebbe fatta abbindolare. Era molto più intelligente di così.

Oltretutto, quel luogo era così inquietante da farla sentir male al solo pensiero di doverla attraversare da sola. Se lui le avesse giocato qualche tiro mancino, probabilmente si sarebbe nascosta nel primo angolo disponibile, incapace anche di smaterializzarsi. Era come se qualcosa – o qualcuno – fosse stato con il fiato sul suo collo dal momento stesso in cui aveva messo piede nell’androne.

«Granger» il tono di Malfoy era serio, forse addirittura nervoso. «Se tu sei spaventata di un vecchio castello, significa che deve esserci qualcosa di davvero inquietante» le disse, fermandosi ad un passo dalla scala per lanciare un’occhiata tutt’intorno. Aveva la mascella contratta e le spalle tese quasi quanto quelle di Hermione. «Se devo essere sincero, anch’io sento puzza di guai. Dobbiamo sbrigarci» aggiunse, fissandola negli occhi come se si aspettasse qualcosa da lei.

«Cosa?»

Vederlo alzare gli occhi al cielo le fece venire mal di stomaco. «Dove dobbiamo andare, Granger? Sei tu l’esperta in fiabe babbane, io non saprei come muovermi in questo postaccio».

«Oh!» dandosi dell’idiota, Hermione si prese il labbro inferiore fra i denti, alzando lo sguardo verso l’alto soffitto. C’erano molte opzioni ma non aveva la più pallida idea di quale potesse essere quella giusta. «Le diverse versioni sono contrastanti al riguardo» iniziò a spiegare, nervosa. «Alcuni ritenevano che la strega avesse lo specchio al sicuro nelle proprie stanze, altri ritenevano che fosse nei sotterranei, al sicuro dallo sguardo del marito babbano» nel dirlo, colse appena la smorfia fatta da lui. «Qualcosa non va?» domandò, tentata terribilmente di assumere lo stesso cipiglio che era solita rivolgere ad Harry.

«Una mia antenata sposata con un babbano? Impossibile» le rispose lui, dandole le spalle ed avviandosi a passo di marcia verso una porta laterale, seminascosta dietro un enorme arazzo. Un arazzo raffigurante un albero di mele con un solo frutto visibile. Ironico.

«Dove accidenti stai andando, adesso?» gli chiese allora, inseguendolo di corsa nel tentativo di non essere lasciata indietro. «Cosa c’entra in tutto questo il marito babbano?».

Lui si strinse nelle spalle, tirando fuori dalla giacca degli strani strumenti appuntiti ed iniziato ad usarli sulla serratura della porta nascosta. «Il marito? Nulla, naturalmente. Sono solo sconvolto dal fatto che una purosangue del diciottesimo secolo avesse pensato di tradire la sua dinastia» le spiegò, senza degnarla di uno sguardo. «Quanto alla prima domanda, Mezzosangue, è risaputo che i maghi tengono tutto ciò che esiste di valore nei loro sotterranei» le spiegò, vagamente allegro.

Nei sotterranei, come i Dormitori Serpeverde.

Che bastardo.

Hermione decise di ignorarlo, non erano nel luogo adatto per delle schermaglie da bambini. «Il marito babbano era un nobile, Malfoy. Immagino abbia ritenuto quel matrimonio un sacrificio necessario per il potere» disse, sprezzante, raddrizzando le spalle e tirando su il naso, come se avesse voluto lanciare un guanto di sfida proprio alla strega.

Malfoy si irrigidì, dedicandole un verso di scherno. «Perché un Serpeverde non può certo sposarsi per amore, eh, Granger?» le chiese, ironico, lanciandole un solo sguardo affilato prima di spalancare la piccola porta su un corridoio lungo, stretto e buio. «Da qui si va direttamente ai quartieri dei domestici e, da qualche parte, dovremmo riuscire a trovare le scale per i sotterranei» aggiunse, tranquillo, raddrizzandosi e riponendo i suoi attrezzi nella tasca interna della giacca.

Hermione era rimasta a fissarlo completamente atterrita dalla vergogna. Naturalmente lei non credeva davvero che i purosangue non fossero capaci di sposarsi per amore. Alcuni certamente l’avevano fatto, come i signori Weasley. Naturalmente, non potevano proprio essere considerati fra i migliori purosangue in circolazione, ma, insomma…

Anche lei era una razzista.

«Malfoy, io…» iniziò, allungando la mano per afferrargli il braccio. Lui non glielo lasciò fare, continuando verso l’oscurità appena illuminata dalla bacchetta. «Aspettami!».

Quando lo raggiunse, notò che lui sembrasse sul punto di sorridere. «Non scusarti con me, Granger, nessuno potrebbe capire meglio cosa significa realizzare improvvisamente di credere in qualcosa di sbagliato» le disse – forse per rassicurarla? – indicando con un cenno la piccola scala che si intravedeva alla fine del lungo e retto corridoio. «Da lì arriveremo di sotto, cerca di tenerti pronta. Non possiamo sapere cosa ci sarà a guardia della Traccia».

Lei si limitò ad annuire, bacchetta in mano e sensi all’erta. Dietro ognuna delle porte che superavano sembravano agitarsi delle ombre inquiete, con scricchiolii improvvisi e sussurri inspiegabili. L’inquietudine di Hermione crebbe a dismisura. Era come se la cosa che l’aveva seguita fino a quel momento si fosse moltiplicata, nascondendosi nelle zone buie, pronta ad attaccare.

Un momento troppo tardi, si rese conto di avere ragione.

 

***

 

Bluatsauger, creatura umanoide dalla pelle diafana tendente al grigio, profondi occhi scuri, corpo solitamente esile ma dalle movenze attraenti.

E con una dentatura capace di far perdere i sensi a qualsiasi dentista dotato di buonsenso.

La creatura che li osservava dal grande trono di pietra ed ossa era rimasta immobile, non sembrava neppure aver preso un respiro. Il lungo abito di pizzo nero le cadeva sul corpo esile con una studiata eleganza, come se fosse stata una delle meravigliose statue del Bernini. Lei era reale – i brividi che percorrevano la schiena della strega al solo osservarla non lasciavano spazio ai dubbi – eppure sembrava non essere lì, come se fosse un’opera d’arte.

Malfoy stava ancora tentando di riprendere fiato, piegato in due dopo il colpo ricevuto a tradimento da uno dei servi della creatura. Lei non aveva visto l’attacco – era troppo buio ed era stato troppo veloce – ma considerata la sua espressione, non c’era dubbio che stesse temendo per la futura discendenza dei Malfoy.

Gli schiavi, legati i polsi dei prigionieri, si inginocchiarono davanti alla loro meravigliosa regina, il capo chino fin quasi al pavimento. Erano sette, nessuno di loro più alto di cinquanta centimetri, con folte barbe brizzolate e cattivi occhi neri.

Ebbene, Hermione aveva guardato spesso Biancaneve ed i sette nani, eppure non ricordava che qualcuno di loro sembrasse appena uscito da un film dell’orrore.

«Si stavano dirigendo da voi, Maestà» parlarono insieme, come una sola persona, le vocine gracchianti e perfettamente coordinate echeggiarono fra le pareti spoglie del sotterraneo. «Abbiamo pensato di aiutarli».

La Regina non sembrò essere impressionata. Si limitò ad un leggero movimento del capo, così aggraziato da far lacrimare gli occhi della strega, tornando alla sua immobilità immortale.

«Vostra Maestà desidera altro dai suoi umili servitori?» quella volta, a parlare fu il più vecchio del gruppo, l’unico la cui barba sfiorava il terreno e tendeva più al bianco che al nero. Dentro di sé, Hermione lo inquadrò come il Dotto della situazione, trattenendosi a stento dal sentirsi male all’idea dei bambini costretti a guardare un film con quei protagonisti.

«Preparate l’uomo».

Se non l’avesse vista aprire la bocca, Hermione avrebbe pensato che a parlare fosse stato un angelo del Cielo. Non era nulla di umano, nulla di vivo: la perfezione di mille campanellini in un’orchestra voluta da Dio in persona. Si ritrovò incantata a fissarla, implorandola mentalmente affinché parlasse ancora e ancora e ancora. Se gliel’avesse chiesto, si sarebbe buttata da un ponte per lei.

Fortunatamente, Malfoy, accecato dal dolore, non era dello stesso avviso. «Granger, la Traccia» le sibilò, mentre due nani lo afferravano per le braccia e lo trascinavano via, come se non pesasse più di un giunco di bambù. Probabilmente preso dallo sconcerto per la mancanza di reazioni della strega, prima di esser troppo lontano le assestò un calcio nello stinco.

Fu come riprendere fiato dopo averlo trattenuto per oltre un minuto. La vista tornò limpida, nonostante Hermione non si fosse resa conto di averla appannata, il controllo su braccia e gambe fu nuovamente suo. Tornata in possesso della sua razionalità, vide la creatura per quella che era.

Era stata bella, non c’erano dubbi al riguardo. La struttura ossea lasciava intendere che un tempo dovesse essere stata una di una bellezza pari a quella di una divinità. Ma era quello il punto, la sua struttura ossea era fin troppo distinguibile. Dove un attimo prima Hermione aveva visto guance morbide, c’era solo un teschio coperto da un sottile strato di pelle. Gli occhi, luminosi nella loro oscurità, erano diventati pozzi senza fondo, ammalianti come quelli di un serpente. I denti erano ben visibili fra ciò che restava di quelle che dovevano essere meravigliose labbra.

Vampiro.

Prima che realizzasse cosa stesse succedendo, la creatura si portò alle sue spalle, le mani ad artiglio piantate sulla sua gola per limitarle i movimenti. Stretta in quell’inquietante abbraccio, la strega sentì ogni calore defluire dal suo corpo. L’avrebbe morsa? L’avrebbe uccisa?

«L’odore del tuo sangue mi disgusta, strega» le disse all’orecchio, con un sussurro glaciale che le fece accapponare la pelle. «Sei della mia discendenza, non posso toccarti» aggiunse, quasi arrabbiata, stringendo la presa su di lei. «Ma, fortunatamente, ho già uno spuntino ad attendermi».

La lasciò andare con una velocità che di umano non aveva nulla, scaraventandola ai piedi del trono. Quando Hermione si voltò, la vide china su Malfoy, il volto glaciale sconvolto dall’impazienza e dalla fame. Se lo avesse morso, lo avrebbe forse trasformato? Lei non ricordava molto di quella lezione seguita durante i primi anni al Ministero, quando il professor Van Helsing – discendente di quel Van Helsing – aveva trattato superficialmente dei vampiri nati da una maledizione.

Gertrut non era stata morsa, aveva semplicemente maledetto se stessa prima di essere bruciata dagli altri maghi. Cosa le impediva di dannare anche Malfoy?

Doveva fare qualcosa. Ma cosa? Come avrebbe potuto impedire ad una creatura ultracentenaria di consumare un pasto che doveva aver atteso per così tanto tempo? Come poteva, lei, impedirle di realizzare il suo piano, rovinando non solo l’esistenza di Malfoy ma, soprattutto, l’intera riuscita della loro missione?

Fu allora che lo vide, come se avesse risposto al suo richiamo disperato con uno scintillio d’emergenza.

Nascosto dietro un pesante tendaggio oscuro, lo Specchio attendeva soltanto di essere consultato. La decorazione barocca splendeva quasi di luce propria, la superficie centrale rifletteva un’oscurità che non apparteneva al mondo dei vivi. La stava chiamando, Hermione non aveva dubbi al riguardo. Era come se delle gelide dita di nebbia si fossero aggrappate al suo collo per trascinarla lì, al cospetto di una magia che mai nessuno avrebbe posseduto. Nessuno tranne lei, se solo si fosse donata ad essa con tutta l’anima.

Specchio, specchio delle mie Brame…

Nessuno le impedì di avvicinarsi, nessuno la fermò quando allungò la mano e scostò il pesante panneggio nero, fronteggiando il nulla dell’abisso. E lì, nascosti fra le ombre, Hermione vide volti, vide mondi nascere e crollare, vide la conoscenza umana sorgere e raggiungere il suo picco. E vide se stessa, circondata da tutto quel sapere, protetta da tutti i mali del mondo. Lei era la conoscenza, lei era il sapere e nessuno avrebbe più potuto farle del male.

Chi è la più bella del Reame?

Ma, ecco, un altro volto accanto al suo, gli occhi coperti da un mantello dello stesso colore della notte, le braccia nude strette intorno a lei. Un marchio nero bruciava sulla sua pelle candida, a contatto con il suo cuore di Mezzosangue. Stringeva forte, ma lei non sentiva nulla. Stringeva e la conoscenza intorno a lei si faceva più fitta, soffocante. Mondi nascevano e crollavano, il fuoco distruggeva l’universo, eppure l’uomo col tatuaggio restava lì, impedendole di crollare con tutto ciò che la circondava.

Aiutami, Hermione.

La conoscenza svanì. Restò solo il riflesso di Hermione, circondato dal nulla dell’oscurità, nonostante intorno a lei le candele stessero bruciando tutta la loro luce. Un uomo vestito di una lunga toga rossa apparve dal nulla, il sorriso accennato ed il capo cinto d’alloro.

Distruggi lo specchio, ragazza” le intimò, bonario, occhieggiando a qualcosa alle sue spalle, come se lo specchio fosse diventato un portale. “Gertrut ha abusato del potere per troppo tempo ormai. È ora che paghi per ciò che ha fatto in misura pari all’entità dei danni che ha causato”.

Hermione trattenne bruscamente il respiro, sentendo quelle parole. Gli occhi dell’uomo non la rassicuravano, quasi avesse causato egli stesso infinite pene a molte, moltissime persone. Ma il vampiro aveva la precedenza su tutto. Doveva distruggerla, o lei avrebbe distrutto Malfoy.

«Lo specchio ti sta parlando, nipote?» come un’ombra, Gertrut aveva abbandonato la sua vittima ed era tornata da lei, posandole le dita ossute sulle spalle. Non l’aveva uccisa, non l’aveva allontanata: era felice che fosse arrivata allo specchio. «Dimmi se ti sta parlando!» insistette, improvvisamente nervosa, scuotendola con violenza. Possibile che lei non sentisse? Che lei non vedesse?

Il sorriso macabro dell’uomo confermò la sua teoria. Gertrut aveva perso l’abilità di parlare con il suo Specchio da molto, moltissimo tempo.

Distruggi lo Specchio, strega.

Con un sorriso di circostanza, Hermione si voltò per un momento verso la sua ava, mostrandosi incantata come se fosse ancora stata posta sotto il dominio dell’illusione.

«Sì, ho sentito lo Specchio» le rispose, gentilmente. La sua mano sfiorò la cornice d’oro, quasi fosse stata persa in contemplazione.

«Cosa ti ha detto? Chiedi come tornare in vita, presto!» le intimò il vampiro, fremente d’eccitazione ed incurante delle imprecazioni che, alle loro spalle, Malfoy stava urlando nonostante i colpi dei nani da compagnia.

«Lo Specchio dice che devi pagare, Gertrut» il sorriso si allargò, la presa della mano sulla cornice si strinse. «E pagherai tutto».

Lo schianto del vetro infranto risuonò per tutto il sotterraneo, facendo tremare le fondamenta. Gertrut urlò, si scagliò contro Hermione e con le unghie affilate le lacerò la pelle all’altezza dello stomaco, snudando i canini per nutrirsi di lei, nonostante avesse ella stessa affermato di non trovare appetitoso l’odore del suo sangue.

Ma lo Spirito dello Specchio la fermò prima che potesse mettere in atto il suo piano.

Così s’osserva in me lo contrappasso” recitò la creatura, avanzando lentamente verso la Vampira, crollata in ginocchio alla sua sola vista. Improvvisamente tornò alla sua originaria bellezza, l’orrore dipinto su degli occhi scuri, ma non più immortali.

Non ci fu pietà per lei, esattamente come lei non ne ebbe per le sue vittime. Il suo urlo si unì a quelli dei suoi servitori, pietrificati e ridotti lentamente in cenere mentre ancora i loro occhietti neri si muovevano nervosi nelle orbite.

Della Regina Cattiva e dei suoi sette nani non restò che polvere e, fra la polvere, otto piccoli semi.

Semi di mela, notò Hermione con ironia.

«Mezzosangue» Malfoy era comparso al suo fianco, il viso pallido ma fortunatamente illeso. Sembrava preoccupato, nonostante Hermione non riuscisse a comprendere il perché.

«Prendi la Traccia, Malfoy» gli rispose, secca, indicando la piccola cornice nascosta dietro lo specchio più grande. «Perché mi stai guardando così, maledizione? Prendi la Traccia!».

Lui non la prese, limitandosi ad inginocchiarsi davanti a lei. «Hermione, stai sanguinando» le disse, mortalmente pallido, indicando lo squarcio che Gertrut aveva aperto nel suo stomaco. «Adesso ti porto al San Mungo, va bene? Ma tu non devi agitarti» aggiunse, deglutendo. «Hai la bacchetta? La mia è stata spezzata da quei nani maledetti».

Abbassato lo sguardo, Hermione si rese finalmente conto di quanto grave fosse la sua ferita. Non sentiva alcun dolore, ma sapeva con certezza che un altro centimetro di profondità e la vampira avrebbe potuto saltare la corda con le sue budella. Confusa, alzò gli occhi sul mago, indicando la bacchetta che le era caduta durante l’attacco. Osservò Malfoy prenderla, lo fissò mentre mormorava incantesimi per fermare l’emorragia. Forse le avrebbe salvato la vita, forse avrebbe solo ritardato la sua morte.

«Dobbiamo andare al San Mungo» le comunicò, stringendo i denti con rabbia, portandole un braccio sotto le ginocchia e l’altro dietro le spalle, per sollevarla. «Non preoccuparti, ci penserò io» tentò ancora di rassicurarla, nonostante lei fosse tutto tranne che preoccupata per se stessa. Probabilmente era colpa dello shock.

«La Traccia…».

«Questa la prendiamo noi, mia cara».

Una voce maschile, cavernosa ma elegante, li fece immobilizzare.

Immobilizzare letteralmente.

«Incantesimo della Pastoia, Manuale degli Incantesimi del primo anno» aggiunse la stessa voce, con una risata macabra, un attimo prima che un uomo mascherato sbucasse dalla porta di accesso al sotterraneo, con la bacchetta ancora alzata. La tunica era risalita lungo il braccio, mostrando chiaramente un tatuaggio sulla parte interna.

Il Marchio Nero.

Chi era? Cosa voleva da loro? Erano tante le domande che Hermione avrebbe voluto porre. L’emorragia non rispondeva all’incantesimo, il sangue continuava a colare fuori da lei, rendendola sempre più debole, sempre meno legata alla vita.

Il Mangiamorte rise più forte. «Non provare a riconoscermi, Malfoy, non potresti. Io ero nulla per quelli come te» disse, allegro, avvicinandosi al piccolo specchio ed allungando la mano per staccarlo dal muro. «Siete stati bravi, l’altra volta. Non avevamo idea che sareste arrivati così lontano con la vostra ricerca» aggiunse, prendendo lo specchietto e nascondendolo nella tasca interna del mantello.

Uno sguardo allarmato fu tutto ciò che ricevette in risposta.

«Adesso non potrete più ostacolarci. Il Padrone conquisterà il suo corpo mortale e tornerà fra noi» comunicò infine il Mangiamorte, stringendosi nelle spalle. «Granger, quella ferita sembra davvero brutta. Spero sinceramente che tu muoia senza troppo dolore, non eri una cattiva ragazza» rise più forte, indicando il sangue per terra. «Sì, insomma… pur essendo una Mezzosangue».

Intorno a loro risuonò un boato, le mura iniziarono a tremare.

«Beh, ragazzi, buona fortuna» si congedò il Mangiamorte, tirando fuori la bacchetta. «Con il crollo, intendo».

E si smaterializzò.

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Vi sto scrivendo praticamente dormendo! Questa notte, come credo sappiate, c’è stata la cerimonia degli Oscar ed io dovevo assolutamente assistere. Questo è stato l’anno del mio adorato Leo, se non avesse vinto non so cos’avrei fatto.

Oltretutto è stata una notte importantissima per il Maestro Morricone, un vero orgoglio italiano, dovremmo esserne fieri.

Comunque, per chiudere la parentesi, ho dormito solo tre ore e sento il cervello galleggiare nella scatola cranica, abbiate pietà.

 

Punti importanti:

» In questo capitolo ci sono due scene, quindi, due titoli. Requiem for a dream è il titolo di un film dei primi anni duemila che io, sfortunatamente, non ho ancora visto. Essenzialmente, traducendo, è “funerale per un sogno” ed ho ipotizzato che fosse perfetto per Harry. Quanto al secondo titolo, immagino non servano grandi spiegazioni!

» Harry, Harry, cosa ci combini? Cosa ti è successo? Il signor Potter è ufficialmente fuori dai giochi? Quanto è grave la sua condizione? Chi lo sa...

» La strega cattiva non è mai morta ed i nani erano i suoi servetti! I fratelli Grimm si staranno rivoltando nella tomba, ma questa versione mi attirava decisamente di più. Hermione voleva tanto fare il principe azzurro, ma ho idea che ci sia riuscita solo in parte. Dopotutto, non è stato Draco a venir affettato come un salame.

» Chi sarà mai l’uomo con il tatuaggio ed il mantello nero? Qualcosa, nella psiche di Hermione, comincia davvero a muoversi!

» I nostri eroi hanno perso la traccia, ed ora? Chi era il Mangiamorte apparso dal nulla? Come ha fatto a conoscere i loro piani? E, soprattutto, i nostri giovanotti sopravvivranno al crollo del castello?

 

Piccola comunicazione di servizio: Ho intenzione di pubblicare al massimo questo venerdì, se riuscirò, perché nel weekend dovrò sottopormi ad un piccolo intervento chirurgico (help!) e non avrò proprio modo di pubblicare. Portate pazienza, vi assicuro che eviterei volentieri!

 

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 10
*** Atto VII - Il Destino della Cicatrice ***


Sua madre era china sul Settimanale delle Streghe, lo sguardo rapito da qualche articolo così zeppo di termini magici da essere, probabilmente, incomprensibile

Lo Specchio delle Anime.

 

 

Dirgli che la notte che Lord Voldemort cercò di ucciderlo e Lily interpose la propria vita tra di loro come uno scudo, l'Anatema che Uccide gli rimbalzò addosso: un frammento dell'anima di Voldemort fu violentemente separato e si agganciò alla sola anima vivente rimasta nella casa che crollava. [...]

E finché quel frammento di anima, di cui Voldemort non sente la mancanza, resta aggrappato a Harry e da lui protetto, Lord Voldemort non può morire.

[Albus Silente – Harry Potter e i Doni della Morte]

        

        

Atto VII.

Il Destino della Cicatrice.

 

 

 

Sua madre era china sul Settimanale delle Streghe, lo sguardo rapito da qualche articolo così zeppo di termini magici da essere, probabilmente, incomprensibile. La fronte leggermente aggrottata lasciava trasparire una curiosità che Hermione conosceva fin troppo bene – la stessa espressione che assumeva lei davanti ad un nuovo libro – ma la piega delle labbra mostrava quanto se la stesse spassando.

«Mamma?» chiamò lei, confusa, cercando di allungare la mano per attirare la sua attenzione. Sapeva bene quanto Guinevere Granger fosse difficile da distrarre, quando presa dalla lettura. Quella volta, comunque, la sua reazione fu pronta.

Pessimo segno.

«Hermione, tesoro, finalmente ti sei svegliata! Frederick! Fred! Vieni!» balzò subito la donna, voltandosi verso la porta per richiamare il Signor Granger. Le accarezzò il viso ed improvvisamente la giovane realizzò di sentire molto freddo. Sua madre se ne accorse e, con un gesto gentile, le rimboccò le coperte. «Ci hai fatto preoccupare così tanto…» le mormorò, dolcemente, mentre anche suo padre irrompeva nella stanza, il volto immensamente sollevato. E, dietro di lui, con degli occhiali da vista, c’era nientemeno che Malfoy.

Draco Malfoy, che era in ospedale per lei ed attendeva fuori insieme a suo padre, un babbano. Malfoy il purosangue.

Malfoy il Mangiamorte.

«Hermione, non farci mai più uno scherzo simile! Il dottore ha detto che ti sei salvata per un pelo» la rimproverò Fred Granger, avvicinandosi per lasciarle un piccolo bacio sulla fronte. Le accarezzò i capelli, spostandole un riccio ribelle dietro l’orecchio. «Ci hai fatti preoccupare così tanto».

Stordita, lei accennò un leggero sorriso. «Mi dispiace, io… in realtà non ricordo molto» si voltò verso Malfoy, rimasto nell’angolo più lontano dal letto con l’espressione neutrale di un critico d’arte preso dal proprio lavoro. «Per quanto tempo sono stata senza sensi?» chiese allora, quando da lui ricevette soltanto un’alzata di sopracciglia.

Sua madre sospirò, chiudendo la rivista con un gesto brusco e riponendola sul comodino. «Per tre giorni, Hermione! Tre giorni!» le disse, furiosa. «Come hai fatto a ridurti in quel modo? Avevi lo stomaco nelle condizioni di un arrosto il giorno di Natale!» praticamente le urlò contro, incrociando le braccia al petto. I suoi capelli, così diversi da quelli della figlia, erano raccolti in una crocchia stretta, dandole un’aria molto più severa del solito.

Hermione si sentì ancora una bambina scoperta con le mani nella marmellata.

«Mi dispiace molto, davvero» si scusò, con gli occhi bassi. «Non volevo farvi preoccupare, sono i rischi del mestiere» smozzicò, stringendo la mano che sua madre le aveva posato sul braccio. Per un attimo le sembrò di rivivere i primi tempi dopo la guerra, quando i Signori Granger erano tornati dall’Australia in preda all’ansia ed alla furia.

«Per fortuna c’era questo bravo giovanotto con te!» le rispose sua madre, con un tono improvvisamente più mite, lanciando un’occhiata colma di gratitudine e benevolenza verso Malfoy, rimasto ancora nel suo angolo, con l’espressione divisa fra il curioso e lo sconcertato. «È stato lui a farci chiamare! Se fosse stato per i tuoi medici, non saremmo neppure entrati in questo curioso ospedale» aggiunse, perdendo qualsivoglia dolcezza nel tono della voce e sostituendolo con astio ed apprensione.

Naturalmente, i Babbani non erano ammessi al San Mungo. Malfoy li aveva fatti entrare?

«Forse è il caso che li lasciamo parlare, Gwen cara» intervenne il signor Granger, probabilmente notando il modo in cui la figlia avesse iniziato a fissare il collega. Nella sua inconsapevolezza, avrebbe potuto vedere di tutto in quello sguardo. Cose che non ci sarebbero mai state, a giudicare dal sorrisino divertito che dedicò alla figlia, dopo aver preso la moglie per le spalle. Si chinò proprio verso Hermione, lasciandole un bacio sulla fronte. «Noi aspettiamo fuori» le comunicò, facendole un occhiolino complice per poi sparire oltre la porta.

I due rimasti si guardarono in silenzio per un lungo momento, poi, Hermione sbuffò.

«Davvero li hai fatti entrare tu?» gli chiese, con le sopracciglia aggrottate. «Perché?» aggiunse, piegando la testa di lato. Si sentiva nervosa, non le piaceva essere costretta ad osservarlo attraverso quei maledetti occhiali. Era come aggiungere un ulteriore schermo fra lei e la verità delle sue parole.

Lui si strinse nelle spalle, tranquillo. «Sono i tuoi genitori, è ridicolo che non possano vederti» le rispose, pacato. Prima di indicarla. «Come va la ferita? Sei rimasta senza sensi per giorni, i Guaritori temevano che non riuscissi a svegliarti più» aggiunse, passandosi una mano fra i capelli. «Credevano fossi stata avvelenata».

Un morso alla mela e la ragazza avrebbe dormito per sempre in un sonno simile alla morte.

Malfoy la fissò come se, improvvisamente, fosse diventata pazza. «Granger, per quale motivo sorridi in quel modo? Ti ho detto che hai rischiato la morte per giorni e tu ridi? Fai sul serio?» le domandò, accigliato, allontanandosi dal suo angolino per raggiungere la sedia accanto al letto, dove fino a pochi istanti prima c’era stata la signora Granger.

La strega scosse lentamente il capo, lasciandosi andare contro i morbidi cuscini. Prima non se n’era resa conto, ma le fodere erano quelle che sua madre le aveva comprato prima che andasse a vivere da sola. Doveva averle cambiate per aiutarla a sentirsi più a suo agio.

«Non è nulla di importante» spiegò, sistemando le pieghe del lenzuolo con la punta delle dita. «La fiaba… quella scritta dai fratelli Grimm, hai presente?» chiese, lanciandogli un’occhiata di traverso per giudicare, in base alla sua espressione, se la ritenesse pazza o semplicemente sotto shock. «La principessa viene avvelenata da una mela e giace come morta finché il suo principe azzurro non arriva per darle il bacio del vero amore e salvarla» spiegò, pacata. «A quanto pare, ho fatto la fine di Biancaneve e non quella del principe».

La risata di Malfoy la fece accigliare e, per un istante, si chiese se avesse detto qualcosa di sinceramente assurdo senza rendersene conto.

«Sta’ tranquilla, Mezzosangue» la rassicurò invece, accavallando le gambe con una grazia che Hermione gli invidiò. «Nessuno ha provato a baciarti mentre eri incosciente».

Purtroppo.

Il pensiero la fulminò, paralizzandola. Cosa significava purtroppo? Cosa le stava passando per la mente? Che cosa purtroppo? Un attacco di nausea non avrebbe saputo stringerle lo stomaco come l’ansia che la prese in quel momento. Voleva essere baciata da qualcuno? Era pronta a lasciare che qualcuno le prendesse il viso fra le mani e controllasse tutti i suoi movimenti? Era quello che desiderava inconsciamente?

No, naturalmente no, la sola idea di mettere se stessa nelle mani di qualcuno la fece rabbrividire. Ma peggiore fu la realizzazione che lei non avesse mai pensato a qualcuno di generale, ma, piuttosto, ad un soggetto molto più che specifico.

«Granger?» la mano di Malfoy era gelida contro la sua pelle bollente. Il suo polso sembrava così minuscolo, in quella stretta, da sparire. Ma le sue mani erano delicate, fragili. Erano mani d’artista, non mani d’Auror.

«Scusa, Malfoy, sono ancora un po’ intontita» si scusò, scuotendo leggermente il capo e tirando fuori un sorriso di scuse che lui, a giudicare dall’occhiata scettica, non apprezzò. «Non guardarmi così! Piuttosto, dimmi, in questi giorni hai cercato informazioni? Siamo praticamente punto e da capo, con la nostra missione»  cambiò immediatamente discorso, con le labbra strette in una smorfia contrariata.

Improvvisamente, il ricordo di quel Mangiamorte aveva spazzato via tutti gli imbarazzi e tutti i dubbi. Erano stati gabbati ed avevano perso l’unica possibilità di seguire il filo conduttore fino alla Fonte. Non avrebbero avuto modo di impedire il ritorno di Voldemort.

«Dici sul serio, Mezzosangue?» domandò, sinceramente confuso, piegando lievemente il capo come se avesse temuto di non aver sentito bene. «Dici sul serio?» aggiunse, prima di restare qualche secondo in silenzio e, infine, in una mossa che fece trasalire Hermione dallo shock, scoppiare a riderle in faccia, come se lei avesse appena rivelato la barzelletta del secolo.

Se avesse potuto, lei lo avrebbe arrostito come una patatina al forno.

«Puoi condividere il motivo di tanta ilarità o è qualche stupida ragione da purosangue che non consente a noi poveri mortali di comprendere?» sbottò allora, a denti stretti, trattenendosi a stento dal dargli un pugno in faccia per la stizza. L’aveva già fatto una volta ed aveva capito di non trarre grande soddisfazione dalla violenza. Molto meglio trascinare la fonte della propria ira in tribunale e distruggerla tassello dopo tassello, fino a lasciare davanti ai propri occhi un verme ricoperto di colpe.

Hermione amava davvero tanto il suo lavoro.

Malfoy non si fece influenzare dalla sua aura negativa. Lasciò, infatti, che le risate si esaurissero naturalmente, fluendo da lui con tranquillità e naturalezza, per poi rilassarsi di più contro lo schienale della sedia e fissare la collega come se fosse stata qualcosa di estremamente raro, buffo e prezioso.

In un certo senso, Malfoy la stava guardando come lei avrebbe guardato un cucciolo di panda dello zoo rotolare giù da uno scivolo.

«Ebbene?» gli sibilò quindi, stringendo le dita sul lenzuolo per placare il proprio desiderio di affondargliele nel collo e stringere fino a fargli implorare pietà. «Se preferisci posso farti un incantesimo della tranquillità, non vorrei mai che a forza di sogghignare come una iena ridens tu lasciassi libertà alle viscere» aggiunse, sperando di suonare almeno lontanamente minacciosa e sarcastica com’era suonata la stessa frase nella sua mente. Le speranze non erano molte.

Il biondo inarcò un sopracciglio, guardandola ancora una volta divertito. «Farmela sotto per le troppe risate? Ti piace così poco divertirti, Mezzosangue, da non voler concedere neppure agli altri di farsi quattro risate?» le domandò, ironico, facendole cenno di non rispondere con un gesto della mano. «Non scomodarti ad insultarmi, temo tu abbia finito il repertorio ed odierei doverti accusare di essere ripetitiva. Vuoi sapere perché sto ridendo?».

La rabbia di Hermione, a quel punto, era assai difficile da controllare. Se riuscì a non afferrare il vaso di fiori al suo fianco – qualcuno le aveva portato delle pervinche – e scagliarglielo contro fu soltanto per amore degli elfi che avrebbero dovuto ripulire i cocci ed il sangue dal pavimento.

«Se sua maestà lo desidera» gli rispose allora, in un sibilo furioso, praticamente mostrando i denti in un ringhio che avrebbe fatto miagolare di orgoglio il defunto Grattastinchi. «Malfoy, io sono ancora convalescente, non dovresti giocare così con i miei nervi» lo ammonì poi, ricordando la propria condizione grazie al pulsare fastidioso della ferita quasi totalmente guarita. Fortunatamente avevano usato la magia, su di lei, altrimenti avrebbe passato mesi preziosi ancorata al dannato letto.

Il giovane mago, ancora ghignante, scosse il capo, gli occhi al cielo. «Mezzosangue, sei tu la babbana della situazione. Possibile tu non abbia riconosciuto l’entità nello Specchio?» le domandò, quasi incredulo. Non ottenendo risposta, scoppiò in un’altra breve risata. «Ah, Granger! Si tratta di cultura babbana… immagino tu non abbia avuto modo di approfondire, tanto presa dalla magia» le disse allora, infilando la mano nella tasca interna della giacca e tirandone fuori il suo vecchio taccuino. Sfogliò un paio di pagine, prima di porgerglielo. «Da’ un’occhiata. Mi rifiuto di credere che tu davvero non lo conosca. Preferisco dar la colpa allo shock» aggiunse, divertito.

Confusa e, sì, imbarazzata da quella pecca che non aveva mai capito d’avere, Hermione guardò il piccolo ritratto che era stato magicamente incollato alle pagine. Lo stesso uomo incontrato nello specchio la fissava immobile, cosa non assurda considerando che quella fosse la replica di una rappresentazione babbana. La tunica rossa era identica a quella della visione, così come l’alloro nei capelli ed il curioso naso adunco. Sotto i suoi piedi, infine, vi era l’indicazione della sua identità.

Dantes di Alighieri Fiorentini.

Per lo shock e la vergogna, per poco Hermione non lasciò cadere il taccuino di Malfoy. Resistere alla tentazione di nascondersi il viso dietro le mani fu difficile quasi quanto lo era stato non prenderlo a pugni. Seppe di essere arrossita quando sentì l’altro sogghignare.

«Già, Granger, Dante Alighieri» le confermò, ridacchiando, pronunciando il nome del Sommo Poeta con un accento italiano impressionante, tanto simile all’originale. Naturalmente, Malfoy doveva parlare perfettamente quella lingua, come ogni bravo purosangue capace di ostentare la propria ricchezza e le proprie parentele internazionali. «Naturalmente non possiamo averne la conferma, ma è comunque qualcosa da cui partire, no?» disse, facendole cenno di voltare pagina. «In questi giorni mi sono informato un po’» le spiegò, mentre lei osservava le tre pagine di appunti fittissimi ed ordinati che aveva raccolto in quei giorni. C’erano moltissime citazioni in italiano che Hermione faticò a comprendere. «A quanto pare ci sono riferimenti ad uno specchio».

Annuendo leggermente, la strega continuò a tentare di districare qualche parola da quell’ammasso di lettere confuse ed in più lingue che si era trovata davanti. Una parte di lei provava una certa stizza all’idea di esser costretta a richiedere l’aiuto di Malfoy per interpretare un testo, quando era stata lei stessa a fare da tramite fra i suoi amici ed il mondo della cultura. Un’altra parte, invece, era incredibilmente ammirata.

«In un certo senso, Dio stesso, nella concezione Dantesca, è riflesso della sua Creazione» concordò Hermione, annuendo leggermente. «Ma immagino sia più un’idea metafisica che un riferimento ad un vero e proprio specchio, tu non credi?» gli domandò, sinceramente interessata alla sua opinione. Per la prima volta – forse a causa degli occhiali – vide oltre il biondo dei suoi capelli e l’espressione spavalda.

Draco era un suo collega, qualcuno al suo livello.

Il mago annuì, alzandosi in piedi ed avvicinandosi, così da poter vedere a sua volta gli appunti presi in quei giorni. La spalla della strega praticamente gli toccò il petto e, per un istante, lei si sentì mancare il fiato.

Ma non era il momento adatto.

«Nel sedicesimo canto del Paradiso, Adamo rivela a Dante che la realtà si riflette in Dio, ma non è capace di rifletterlo completamente» le disse, indicando i versi in italiano che erano stati riportati fra gli appunti. «Il Riflesso della realtà è parziale, non riesce a coprire tutta l’immensità del Creatore» spiegò meglio, allontanandosi nuovamente per guardarla negli occhi. «Naturalmente è stato tutto interpretato in chiave filosofica, come un monito all’umiltà e non alla superbia. Io, tuttavia, credo di potervi scorgere qualcosa in più» disse, indicando l’ultima pagina degli appunti, piena di date e riferimenti storici.

Hermione non dovette leggere molto, prima di potersi sentire nuovamente pronta a rientrare in gioco e farsi valere. Lui poteva averla spiazzata a causa della lingua, ma la storia babbana era il suo forte.

«In effetti, la questione dell’umiltà e della superbia potrebbe tornarci molto, molto utile» ragionò, scorrendo velocemente le date che erano state segnate. «Dante fu uno dei più acerrimi oppositori di uno dei papi più contestati della storia, Bonifacio VIII» gli disse, raddrizzando la schiena e continuando a controllare gli appunti.

«Uno dei più contestati ed uno dei più forti, Mezzosangue» specificò Malfoy, annuendo leggermente. Con un gesto secco spinse gli occhiali sul naso, provocando una serie di reazioni contrastanti nella sua collega ancora incredibilmente provata dall’incidente.

Doveva essere tutta colpa delle pozioni.

«Fammi indovinare… anche lui era un Purosangue?» azzardò quindi lei, inarcando le sopracciglia. Lui aveva tirato fuori la stessa espressione compiaciuta di quando, una volta scoperta la seconda meta, le aveva rivelato che il Re Sole fosse stato fra gli antenati dei Malfoy. Lui, Napoleone, solo Merlino sapeva quanti altri personaggi storici! Quanti altri suoi antenati avrebbero incontrato nel loro viaggio? Quante volta l’avrebbe dovuto sentire vantarsi di parentele difficili da provare?

Poi, l’illuminazione.

«Mezzosangue, perché sorridi in quel modo?».

Hermione ridacchiò, guardandolo con la coda dell’occhio. «A quanto pare, Malfoy, non è grazie a te se il Castello ha reagito» gli comunicò, forse vantandosi un po’ troppo. Dopotutto, quale orgoglio c’era nell’avere, fra gli antenati, una strega psicopatica e non-morta? «Gertrut ha detto chiaramente di non poter bere il mio sangue perché eravamo imparentate» spiegò, comunque, incrociando le braccia al petto. «Quindi, se fossi in te eviterei di vantarmi tanto. Potrebbero essere molto più parenti miei che tuoi».

Un lampo indefinito attraversò gli occhi grigi di Malfoy e, per un istante, le sembrò quasi che volesse dirle qualcosa. Poi, come se nulla fosse, si strinse nelle spalle.

«Essere sua nipote ti ha quasi uccisa, Mezzosangue. Se fossi in te non mi vanterei molto» le disse, ironico, accennando alla lunga schiera di pozioni che, sul tavolino, attendevano solo di essere somministrate. «Comunque sì, era un purosangue, ma non eravamo imparentati» le spiegò, allegro. «Sono imparentato con i suoi discendenti, se proprio vuoi saperlo, ma non credo potrebbero esserci molto utili».

Naturalmente era imparentato con i discendenti di Bonifacio VIII.

«Sappiamo che Dante non lo ha mai apprezzato» continuò quindi lei, preferendo non soffermarsi su questioni familiari. «Lo ha inserito nell’Inferno, nel Canto dei Simoniaci, ritenendo che la sua elezione fosse stata comprata».

Malfoy annuì, indicando un altro passaggio dei propri appunti. «Il Gran Rifiuto di Celestino V sembra capitato fin troppo a fagiolo, non credi, Granger? Un attacco di viltà da parte dell’uomo che, in quel periodo, poteva tranquillamente affermare di gestire le sorti di tutta l’Europa. Gli uomini davano l’anima per raggiungere quell’obiettivo ma Celestino decise di rifiutarlo» ragionò, passandosi una mano fra i capelli. «Non ti sembra strano che dopo di lui sia stato eletto un personaggio tanto controverso e con tale desiderio di grandezza? Nessuno lo apprezzò mai sinceramente, neppure a quei tempi».

Hermione annuì, fissando le pagine con aria assente. I collegamenti che si susseguivano nella sua testa erano veloci, spesso non razionali, ma dopotutto era difficile trovare logica nel Trecento Europeo, soprattutto negli scontro fra Papato ed Impero.

«Un potere smisurato, che poi, con la sua morte, è declinato terribilmente» ragionò, cercando di ricordare le vicende successive alla morte del Papa. «Un Pontificato di appena otto mesi e poi il trasferimento ad Avignone. Con la morte di Bonifacio VIII la Chiesa Cattolica ha conosciuto uno dei momenti di maggior divisione» mormorò, per poi fermarsi un secondo. «Come…»

«Come Gertrut, passata dall’essere Regina dei maghi e delle streghe del suo piccolo Regno all’essere completamente dimenticata, bloccata in un limbo fra la vita e la morte» continuò subito Malfoy, avendo compreso il filone dei suoi pensieri. «E come la Francia del Re Sole».

I due si guardarono, leggendo negli occhi dell’altro la stessa speranza.

«Bonifacio VIII aveva lo Specchio e Dante, durante il periodo di prigionia precedente all’esilio, è riuscito a scovarlo, facendo riferimenti continui nella Commedia.» disse infine lei, distogliendo lo sguardo e puntandolo sul quadernino. «Deve averlo considerato un dono di Dio da usare con umiltà, mentre il Papa, evidentemente, ne stava abusando. Da qui l’accusa di simonia… ha comprato la carica barattando la propria anima» aggiunse, tornando per un momento ad osservare il collega, con una nuova determinazione nella voce. «A Roma troveremo la Traccia».

Con un sorriso soddisfatto, Malfoy si sollevò e riprese possesso dei suoi appunti. «Tu continua a riposare, i Guaritori dicono che entro pochi giorni potrai tornare a casa» le comunicò, avvicinandosi all’appendiabiti per prendere il proprio cappotto. «Nel frattempo, io organizzerò una visita guidata nei luoghi più importanti per Bonifacio, sperando di trovare qualcosa di utile» le comunicò, avvicinandosi alla porta.

Hermione si limitò ad annuire, voltando nuovamente lo sguardo verso i fiori. Allora, prima che lui potesse uscire, un pensiero la fulminò.

Non c’erano girasoli, Ginny ed Harry non erano andati a trovarla.

Il timore rischiò di farla strozzare con il proprio cuore e, quando si voltò a fissare Malfoy, il suo orrore dovette essere così chiaro da far preoccupare anche qualcuno disinteressato alla sua salute mentale come lui. Si avvicinò velocemente, piegandosi per essere alla sua stessa altezza, e le poggiò le mani sulle spalle, per costringerla a guardarlo.

«Granger! Che accidenti ti prende? Sei diventata pallida come uno spettro…» esalò, controllandola come se avesse temuto che qualcuno le avesse fatto il malocchio.

Lei lo guardò in silenzio per qualche istante, mentre il terrore continuava a farsi strada nel suo corpo come se, lentamente, qualcuno avesse provato ad immergerla in una vasca di cubetti di ghiaccio. Alla fine, con il magone, palesò i propri dubbi.

«Dov’è Harry?»

 

***

 

Le era bastato vedere il colore defluire dalle guance già pallide di Malfoy per capire che qualcosa fosse andato terribilmente storto. Fu evidente che avesse tentato in tutti i modi di tenerla impegnata per evitare la questione “Harry” ma, come lui stesso ammise, una volta amica dello Sfregiato era impossibile non percepire la puzza di guai intorno a lui anche a distanza.

Aveva preteso di accompagnarla personalmente nel reparto di lunga degenza, non fidandosi delle sue precarie condizioni fisiche e mentali, ma Hermione aveva preferito mandarlo al diavolo e chiedergli di cominciare subito le ricerche. In realtà, la sua compagnia non le avrebbe dato davvero fastidio, tutt’altro. Ma non sapeva bene cos’avrebbe trovato, una volta raggiunto il migliore amico, e l’idea di avere un crollo davanti a lui non le sembrava particolarmente allettante. Oltretutto, Harry e Ginny avrebbero potuto reagire male alla sua presenza.

Dopotutto era un Mangiamorte.

L’infermiera che si era decisa ad accompagnarla – Hermione sentiva puzza di minaccia da parte del Signor Malfoy – aveva rivelato soltanto qualcosa delle condizioni di Harry. Aveva accennato ad uno stato fortemente confusionale ed alla preoccupazione dei medici, ma era stata così vaga da inquietare terribilmente la giovane.

La presenza del Dottor Crave, davanti alla piccola vetrata che consentiva di tenere sotto controllo il paziente senza tuttavia disturbarlo, fu l’ennesima conferma che le condizioni del suo migliore amico fossero ben più gravi di quanto l’infermiera non avesse tentato di farle credere.

«Dottore?» sfuggita al controllo della sua accompagnatrice, Hermione aumentò il passo e raggiunse il suo psicologo, distogliendolo dalla contemplazione del paziente. Lei non si avvicinò troppo alla vetrata, non era certa di essere già in grado di guardare le condizioni di Harry. Meglio essere preparata, prima.

Per la prima volta, Newton Crave trasmise alla sua paziente una forte sensazione di ansia. Naturalmente, il suo sguardo si calmò, quando si rese conto di chi l’avesse chiamato.

«Hermione, cara, credevo dovessi stare a riposo» le disse, facendo un paio di passi nella sua direzione e congedando l’infermiera-mastino con un gesto della mano. La giovane non si sarebbe sorpresa se, voltandosi, avesse notato uno sguardo d’invidia dell’infermiera verso la mano che il medico le aveva poggiato sul braccio. «Ho parlato con i tuoi Guaritori, hanno detto che hai rischiato tantissimo».

Lei liquidò la propria situazione con un gesto del capo, indicando piuttosto la vetrata. Dalla sua posizione, poteva scorgere soltanto un angolo della stanza buia. Le fu sufficiente, il cuore iniziò a palpitare come se avesse già compreso di dover fronteggiare una situazione mai vissuta prima.

«È qui per Harry?» domandò all’uomo, che nel frattempo aveva a sua volta voltato lo sguardo sulla stanza. Non le piaceva quella ruga preoccupata fra i suoi occhi. Non le piaceva il modo in cui stringeva i denti prima di risponderle. «Dottore, cos’ha?».

«È stato ricoverato il tuo stesso giorno» la informò, passandosi una mano sul mento ispido. «Io ero qui per…» esitò, forse cercando le parole adatte. «per questioni personali. Mentre andavo via ho visto un capannello di Guaritori ed uno di loro mi ha riconosciuto, eravamo insieme al corso di formazione. Mi hanno chiesto di visitarlo, ma io non ho potuto far altro che confermare una condizione momentaneamente irreversibile» le spiegò, afferrandola poi per un braccio, con una presa infinitamente delicata. «Guarda con i tuoi occhi, negare non ti servirà a nulla» le disse infine, tirando leggermente e costringendola a fronteggiare la realtà.

I suoi occhi impiegarono qualche istante ad abituarsi alla semioscurità della stanzetta. In un primo momento, grazie alla tenue luce di una piccola lampada, riuscì a riconoscere il profilo addormentato di Ginny, con i lunghi capelli rossi raccolti in una treccia quasi totalmente disfatta e dei profondi cerchi scuri intorno agli occhi. Era raggomitolata su se stessa, il viso abbandonato contro lo schienale della poltrona. Al suo fianco c’era una ragazza che Hermione non conosceva, con capelli scuri ed espressione preoccupata. Era un cipiglio familiare, nonostante la strega fosse certa di non averla mai incontrata prima.

Solo alla fine, probabilmente a causa di un meccanismo di difesa azionato involontariamente, la strega iniziò a distinguere i tratti tesi e la pelle pallida e sudata dell’uomo disteso sul lettino al centro della stanza. I capelli, di norma sparati in tutte le direzioni, erano stati rasati quasi a zero, la barba incolta era sparita. Nonostante stesse dormendo, le sue occhiaie erano paragonabili a quelle della fidanzata e le sue membra di muovevano a scatti, impedendogli di trovare pace.

Di Harry Potter sembrava non esser rimasto più nulla.

«Cos’è successo ai suoi capelli?» chiese Hermione, senza trovare la forza di staccare gli occhi da quel corpo in agonia ma, tuttavia, senza neppure trovare il coraggio per porre la domanda che davvero necessitava di una risposta. Per la prima volta, la strega più brillante aveva paura di conoscere la verità.

Il medico sospirò, esitando un momento prima di passarle un braccio intorno alle spalle. Lei non si chiese come avesse fatto a capire che lei avesse bisogno di sostegno. Dopotutto, era lo psicologo più famoso di tutto il mondo magico.

«Hanno dovuto tagliarli, continuava a strapparseli» la informò, stringendo leggermente la presa. «Stando a quello che ho potuto riscontrare, sembra che qualcosa l’abbia attirato in uno stato di trance perpetua. Il signor Potter, da tre giorni, è intrappolato in un incubo che non gli permette di fuggire in alcun modo. Abbiamo provato di tutto per entrare nei suoi sogni e liberarlo, ma…» scosse il capo, sospirando. «Credo sia qualcosa che vada ben oltre i limiti della mente umana» ammise infine, mentre Ginny, improvvisamente sveglia, asciugava il viso del suo fidanzato con una pezzuola e, poi, sorrideva gentilmente alla giovane al suo fianco.

Hermione era troppo piena d’orrore per poter davvero comprendere la situazione. Le informazioni si accumulavano nella sua mente, ma lei non riusciva a decifrarle davvero. Se riuscì ad annuire ed a mettere insieme una domanda razionale, fu solo grazie ad un sangue freddo che non credeva di possedere.

«Cosa intende dire, dottore?» domandò infatti, incrociando le braccia al petto. Il dolore allo stomaco aveva iniziato a farsi sentire nel momento esatto in cui si era rialzata dal letto, ma, in quel momento, le sembrò una cosa così insignificante da non meritare più di un pensiero. «Oltre la mente umana?».

Crave annuì, mostrando tutta la sua preoccupazione. «Io sono il massimo esperto sulle malattie della mente, Hermione, eppure non sono riuscito a comprendere cosa stia torturando il tuo amico. Per questo credo che l’infezione sia andata oltre e abbia colpito qualcosa di ben più profondo» spiegò, seguendo con lo sguardo il percorso che la giovane dai capelli scuri stava facendo nella stanza. Hermione si rese conto solo in quel momento che fosse seduta su una sedia a rotelle spinta da un vecchio elfo dall’aria burbera.

«Che cosa?».

Separandosi dalla stretta, Crave la costrinse a guardarlo negli occhi, come se avesse temuto che la notizia potesse stravolgerla al punto da causarle un trauma. «Credo che qualcosa abbia intaccato l’anima del Signor Potter, Hermione. E, non vorrei causare allarmismi, entrambi sappiamo bene quanto siano state gravi le vicende in cui l’anima del nostro Capo Auror è stata coinvolta».

La realizzazione del pericolo fece tremare Hermione. Se non fosse stata tanto terrorizzata, si sarebbe chiesta quanto il dottore comprendesse il rischio che stavano correndo, considerando che lei non avesse mai parlato espressamente dello specchio.

Il sorriso inquietante del Mangiamorte che per poco non aveva ucciso sia lei che Malfoy fece capolino nella sua mente.

Il Padrone conquisterà il suo corpo mortale e tornerà fra noi.

«Hermione?» il tono con cui il Dottor Crave pronunciò il suo nome era carico di ansia, come se avesse scorto qualcosa, nel suo sguardo, di così terribile da farlo sinceramente temere per la sua salute. Alle sue spalle, la ragazza con i capelli scuri era stata sul punto di salutarla, ma si era improvvisamente zittita ed aveva fatto cenno all’elfo di arretrare un po’.

«Mi scusi, Dottore, credo di dover raggiungere i miei migliori amici» si scusò invece Hermione, arretrando di un passo. «Spero non le dispiacerà confermare il mio solito appuntamento del venerdì mattina» aggiunse poi, allungando la mano affinché lui la stringesse. «Arrivederci, Dottore» si congedò quindi, senza sorridere, voltandosi per entrare nella stanza.

Doveva parlare con Malfoy. Il tempo stava davvero per scadere.

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, perdonatemi per i possibili errori. Ho pubblicato senza rileggere, perché riesco a stare seduta al pc solamente per poco tempo a causa della recente operazione. Proprio per questo motivo, i prossimi aggiornamenti potrebbero ancora ritardare. Sono mortificata, farò il possibile, ma la salute prima di tutto!

 

Punti importanti:

» BOOM, fantasia portami via! Avevo avvisato che ci sarebbe stata una rivisitazione storica da mettere i brividi. Perdonatemi, una mia cuginetta sta studiando la Commedia ed io ero a portata d’orecchio, i ricordi di scuola si sono fatti sentire!

» Hermione è viva e sta bene, almeno fisicamente. Si inizia a comprendere QUANTO è grave la condizione del povero Harry?

» Il dottore mostra un po’ di cuore con Hermione, ma solo per dirle che non c’è stato nulla da fare. È davvero finita?

» Guinevere e Frederick sono due nomi che, al tempo stesso, mi piacciono e non mi piacciono, perfetti per dei dentisti, che ne dite? Draco è riuscito ad essere civile con loro, in quei giorni in cui Hermione è stata fuori combattimento. Non merita forse un premio?

 

Perdonatemi ancora per i possibili errori dovuti ad una mancata rilettura e portate pazienza se i capitoli tarderanno ad arrivare (non è detto), ma vi assicuro che sto facendo del mio meglio.

 

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

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Capitolo 11
*** Atto VIII - I fantasmi del passato. ***


Laurie Jones aveva odiato poche persone, nella sua giovane vita, e Draco aveva sempre saputo di essere fra queste

Lo Specchio delle Anime.

 

 

Ognuno ha il proprio passato chiuso dentro di sé come le pagine di un libro imparato a memoria. 

[Virginia Woolf]

        

        

Atto VIII.

I fantasmi del passato.

 

 

Le tapparelle erano quasi completamente calate, solo poche luci rischiaravano il letto e la poltrona vuota accanto. Il corpo immobile al centro della stanza non somigliava a quello di Lucius Malfoy.

Non al Lucius che Draco aveva conosciuto per tutta la vita.

Suo padre era invecchiato incredibilmente negli anni in cui non aveva voluto incontrarlo, i capelli biondi erano diventati grigi e stopposi, tagliati molto più corti di quanto non fossero mai stati, probabilmente per comodità degli infermieri, e la pelle si era raggrinzita in rughe sparse per tutto il viso.

Dormiva, quando suo figlio gli si avvicinò. Naturalmente doveva essere stato sedato, nessuno aveva mai avuto il sonno leggero come lui. Quando era bambino, Draco non era mai riuscito a sgattaiolare nella stanza dei suoi genitori senza prima svegliarlo ed essere colto di sorpresa. In quel momento, invece, riuscì ad avvicinarsi al letto, fissarlo e addirittura inspirare rumorosamente senza ottenere una reazione degna di quel nome.

«Ciao».

Per la paura, mancò poco che Draco balzasse via da suo padre come un gatto. Quando si voltò a guardare l’intrusa, sentiva il cuore battere nel petto come quando si era ritrovato davanti l’Acromantula a Parigi. Si sentì un po’ sciocco, in realtà, quando si ritrovò davanti ad una ragazza che probabilmente non avrebbe potuto superare i quaranta chili di peso. Era seduta su una sedia a rotelle e un elfo, alle sue spalle, osservava Draco come se fosse stato disgustato dalla sua presenza.

«Ho detto, ciao» ripeté le ragazza, piegando la testa di lato ed osservandolo con aria divertita, come se quella sua reazione fosse stata inconcepibile. Nella penombra, gli occhi chiari erano appena visibili e luccicavano di curiosità e, forse, di un pizzico di divertimento.

«Chi accidenti dovresti essere, tu?» le chiese quindi Malfoy, ripresosi dallo shock, assottigliando lo sguardo e puntandole contro il dito. «Questa è una stanza privata, signorina, non dovresti essere qui» le comunicò quindi, occhieggiando in modo significativo la porta della stanza, in un chiaro invito ad andarsene.

La ragazza non si fece scoraggiare dal suo tono, il suo sorriso si allargò. «Tu come puoi averne la certezza, se non sei mai venuto qui? Io sono frequentatrice abituale» ribatté, allegra, congedando l’elfo e spingendosi più vicina al letto. «Io ho tutti i diritti di entrare, tu, invece, chi credi di essere?».

Chi sei tu, Draco Malfoy?

Un brivido attraversò l’uomo, sentendosi porre quella domanda. Qualcosa, nel suo cervello, gli disse di prestare attenzione alla sensazione sgradevole che si diramava nelle sue ossa, ma non riuscì a spiegarsene il motivo. Di conseguenza, agì com’era solito fare: ignorò l’istinto.

«Io sono suo figlio» le disse, fissandola attraverso le ciglia. «Ma noto di dovermi ripetere. Tu chi diavolo sei?» domandò ancora, incrociando le braccia al petto ed alzando leggermente il tono di voce. Da suo padre non arrivarono risposte, cosa che lo fece inquietare molto di più.

«Mi chiamo Rose» si presentò lei, allegra, allungando la mano verso di lui. «Tanto piacere di conoscerti, suo figlio» aggiunse, allegramente, indicando con un cenno l’uscita. «Io abito dall’altra parte della corsia. Vengo sempre a fare compagnia al signor Malfoy» gli spiegò, mentre Draco allungava a sua volta la mano e la stringeva.

La ragazza aveva una mano sottilissima, con delle ossa che sembravano appartenere ad un uccellino e non ad una giovane donna. Al tempo stesso, però, la sua stretta era forte, apparentemente sana. Se non fosse stata così magra e pallida – anche solo alla luce dei pochi lumi – Draco si sarebbe chiesto il motivo della sua permanenza in ospedale.

«Di solito è sveglio, quindi?» le chiese, arretrando di un passo per permettere alla carrozzina di avvicinarsi. Scacciarla, in quel momento, non gli sembrò un’idea geniale. In un certo senso lei aveva ragione.

Chi gli dava la sicurezza di essere il benvenuto?

«Oh, sì» stringendo le labbra, Rose occhieggiò il profilo di Malfoy padre. «Lo lasciano sveglio solo poche ore al giorno, il dolore è troppo forte e non possono sempre imbottirlo di antidolorifici» gli spiegò, con un sospiro, mentre l’elfo si sistemava al suo fianco, guardandola come se avesse temuto che potesse sentirsi male da un momento all’altro.

Draco fissò suo padre senza sapere cosa dire. Una parte di lui si convinse che quella fosse una fine più che giusta per qualcuno come lui, come punizione per quello che aveva fatto a lui ed a molti altri. Un’altra, invece, rivide in quei tratti sofferenti lo stesso uomo che, a quattro anni, lo aveva fatto sedere per la prima volta su una scopa giocattolo. Il cuore sembrò stringerglisi in un macigno nel centro del petto, pesante e freddo. Il braccio gli doleva ancora più del solito, sarebbe dovuto andare a fare quattro chiacchiere con Blaise, subito dopo l’ospedale.

«Mia madre riesce a vederlo sveglio, ogni tanto?» chiese, pensando all’angoscia che era trapelata dall’ultima lettera della donna, solamente il giorno prima. Le aveva scritto per le cortesie di rito, ma lasciando trasparire solo un pizzico del senso di colpa che il dottor Crave gli aveva instillato, durante il loro ultimo incontro. Quella speranza con cui lei gli aveva nuovamente richiesto di andare in ospedale era stato più doloroso del marchio nero.

Rose annuì, con un leggero sorriso. «Ma certo, loro lo svegliano proprio quando arriva lei» lo rassicurò, tranquilla. «Credo che qualche volta vengano anche dei vecchi amici, ma non posso dirlo con certezza, non ci sono mai in quei momenti» aggiunse, imbarazzata.

Draco si accigliò, accomodandosi nella poltrona. Stava ancora risentendo molto delle botte prese durante l’incontro con Gertrut ed i suoi nani malefici, stare troppo tempo in piedi non faceva che peggiorare il suo dolore alla schiena.

«Credevo che tu venissi a trovarlo tutti i giorni» disse, curioso, osservandola con il capo leggermente piegato di lato. Qualcosa in lei lo spingeva a parlare, qualcosa che non riusciva ad identificare. «Cosa fai, mi prendi in giro, ragazzina?» domandò allora, divertito, ammirando la freddezza con cui lei era riuscita a farlo sentire in colpa in una semplice battuta, oltretutto non fondata sulla verità.

Rose sorrise, scuotendo la testa. I capelli scuri, raccolti in una treccia morbida, sfuggivano alle forcine, ricadendole intorno al viso in piccole ciocche disordinate. Nonostante tutto, sembrava mantenere un aspetto formale, affidabile.

Lo stile fa parte del mio corredo genetico, Malfoy. Sarei affascinante anche in pigiama.

«Anche io ricevo delle visite, signor Malfoy» spiegò, abbassando un momento lo sguardo. «Ho poche ore per vedere mio padre, voglio passare tutto il mio tempo con lui» il suo sguardo chiaro si soffermò nuovamente su Malfoy padre, improvvisamente cupa. «Oltretutto, lui non apprezzerebbe queste mie visite a suo padre. Si arrabbierebbe molto, se lo sapesse».

Draco annuì, fissandola con aria sempre più curiosa e confusa. «Perché vieni qui, se lui dorme?».

Rose si strinse nelle spalle, tranquilla. «Nessuno dovrebbe passare così tanto tempo da solo, soltanto perché dorme non significa che non senta nulla» spiegò, tranquilla. «Io sono stata senza sensi per settimane, ma ricordo il silenzio e…» strinse le labbra, la voce improvvisamente bassa e tremula. I suoi occhi erano nascosti alla vista di Draco, ma lui non ebbe bisogno di osservarli per sapere che li avrebbe trovati lucidi. «Ricordo mio padre. I suoi lamenti, le sue scuse» si morse il labbro inferiore, come a trattenere un singhiozzo. «Nessun altro deve sentire quella colpa, quella solitudine. Neppure tuo padre, signor Malfoy. Venire qui e raccontargli un po’ della mia giornata non mi costa nulla e può aiutarlo a…» fece un cenno vago con la mano, cercando la parola giusta. «Diciamo a far passare il tempo. Il silenzio può essere molto, molto difficile da sopportare».

Le sue scuse.

«Tu sei Rosemary Crave» si illuminò improvvisamente Draco, spalancando gli occhi come se qualcuno gli avesse dato un pugno. «Tu sei la figlia del mio psicologo».

Improvvisamente, tutte quelle somiglianze ebbero un senso. Lo sguardo, l’espressione del viso, l’atteggiamento di ostentata eleganza.

Lei sorrise, annuendo leggermente. «Mio padre mi ha parlato molto di te» gli disse, intrecciando le dita. «Spero tu non te la prenda con lui per avermi rivelato dei dettagli delle vostre sedute» aggiunse, vagamente imbarazzata. «Non ho molto da fare, papà dice sempre che i miei consigli lo aiutano molto nel suo lavoro» si piegò in avanti, una mano accanto alle labbra, come se avesse voluto sussurrargli un segreto. «In realtà so che lo dice solo per farmi sentire importante, ma lo accetto lo stesso, è divertente».

Draco si accigliò, lanciando solo uno sguardo storto al padre. «Divertente conoscere i problemi degli altri… di un mangiamorte» disse, accigliandosi e sentendosi improvvisamente in difficoltà. «E vieni a trovare uno dei più vicini a Tu-Sai-Chi…». Come se qualcuno glieli avessi indicati, tutti i problemi di salute che quella ragazza stesse soffrendo divennero evidenti per lui.

Era troppo pallida. Il fazzolettino nella tasca del suo pigiama era sporco di sangue – aveva emorragie, il dottore lo aveva avvertito – e lo sguardo del suo elfo da compagnia non era semplicemente ansioso, ma decisamente terrorizzato.

Era stata usata come cavia per settimane.

«Credo di doverti raccontare la mia storia, Signor Malfoy» gli disse lei, con un sorriso gentile. «Faresti meglio a rilassarti, potrebbe volerci un po’».

 

***

 

«Capisco» disse per l’ennesima volta, annuendo leggermente quando lei diede segno di aver finito il proprio racconto. La vide asciugarsi una lacrima con il dorso della mano, non fece nulla per aiutarla. Farlo notare sarebbe stato una mancanza di tatto e, se lei fosse stata almeno un po’ simile a suo padre, non avrebbe apprezzato.

«Non dirai nulla a mio padre, vero?» gli chiese Rose, con voce debole tuttavia ferma, indicando con un cenno il corpo inerme di Lucius Malfoy. «Quello che ho fatto è stato solo per il suo bene, altrimenti non si sarebbe mai perdonato».

Draco annuì, cercando di sorridere con gentilezza. Era un gesto che non gli veniva naturale, vista la rarità con cui era richiesto. «Tu dovresti dirgli la verità, però. Non credo cambi molto, vista la considerazione che, nonostante tutto, ha di se stesso» le disse, alzandosi in piedi e sgranchendosi le gambe, rimaste immobili per un tempo lungo, seppur non determinato.

Gli occhi chiari di Rosemary Crave brillarono come due piccole pietre preziose, alla luce dei piccoli lumi. Erano gli occhi di una guerriera che stava ancora combattendo la più dura delle battaglie ma, al tempo stesso, erano gli occhi di una ragazza poco più che ventenne che aveva visto sfumare la propria vita per il progetto assurdo ed incomprensibile di un gruppo di folli.

Folli di cui Draco aveva fatto parte, come gli ricordava il perenne dolore al braccio.

Folli di cui aveva fatto parte Lucius Malfoy, che però, con la coscienza di poi, aveva pagato il suo debito e, forse, meritava un po’ più di considerazione da parte del suo unico figlio.

«Mi accompagneresti in camera mia, signor Malfoy?» gli chiese lei, dopo un attimo di silenzio, indicando con un gesto l’unica porta della camera. «Il mio elfo è sicuramente andato a sistemare il letto, se dovessi chiamarlo si precipiterebbe qui ed avrebbe un attacco di panico»  aggiunse, con un sorriso divertito. «Sa, Downey è vecchio ed è ossessionato all’idea che io possa morire prima di lui. Non credo che lo sopporterebbe».

Neppure il Dottore ce la farebbe, si ritrovò a pensare Draco, provando un brivido sinistro lungo la spina dorsale all’idea di cosa sarebbe successo a quell’uomo se avesse davvero perso la figlia in età così giovane.

«Ti accompagno io, non preoccuparti» la rassicurò, prontamente, girandole intorno ed afferrando la sedia a rotelle, iniziando a spingerla verso l’uscita. Nel farlo, lanciò solo un’occhiata a suo padre, ripromettendosi di tornare durante l’ora di visita e, finalmente, poter parlare faccia a faccia. «La tua camera che numero è?» le domandò, uscendo dalla stanza ed osservando la lunga fila di porte chiuse che costellava il corridoio.

Quell’ala del San Mungo era stata inaugurata dopo la Battaglia di Hogwarts, quando il numero di malati senza speranza era aumentato in modo esponenziale. Avevano delle esigenze diverse e non tutti erano adatti a restare in una sala come quella già adibita ai ricoverati di lunga degenza. Sei anni dopo, molte di quelle stanze erano state convertite a camere di degenza private o ricoveri per maghi e streghe che venivano considerati un pericolo o un peso per la società.

Rosemary non era certo un pericolo, ma non era neppure un peso.

«La tredici» rispose la giovane, indicando l’unica stanza con la porta socchiusa, praticamente a pochi passi da quella di Lucius. «Numero infelice, non trovi? Ma mio padre dice sempre che la nostra è una famiglia di casi infelici e che il nostro talento è sempre stato quello di trarre il meglio da ogni situazione» spiegò, prima di ridacchiare. «Forse spera che stando lì un colpo di fortuna possa aiutarmi a guarire. Secondo lui non mi sono mai resa conto di tutte le Felix Felicis o pozioni varie che mi ha fatto scivolare nel tè».

L’immagine del dottore chino su un calderone, gli occhi iniettati di sangue ed il cuore colmo di speranza gli fece tremare le ginocchia.

Credi che se ci fosse stato un antidoto io non l’avrei già trovato?

«Non puoi biasimarlo» le rispose Draco, schiarendosi la voce nel tentativo di mantenere una tono freddo e distaccato. «Sei la sua unica figlia, è naturale che voglia fare di tutto per aiutarti».

Lei scosse leggermente il capo, allungando la mano per spalancare la porta della sua camera. Come previsto, il vecchio elfo stava giusto finendo di sistemare le lenzuola. Quando la vide, sgranò gli occhi per la sorpresa e si affrettò a mettersi fra lei e Draco stesso, dedicando a quest’ultimo uno sguardo furioso.

«Preferirei che mio padre impiegasse il suo tempo restando con me, piuttosto che inseguendo un unicorno rosa» confessò la ragazza, stringendo le labbra in una smorfia delusa, mentre veniva sollevata dalla magia dell’elfo e depositata sul letto. «Diversamente da lui, io ho già accettato di non avere molto tempo davanti e preferirei passarlo in famiglia».

Quella confessione fece abbassare lo sguardo a Malfoy. Anche lui, per alcune settimane, era stato convinto di non avere che mesi da vivere, nulla di più, eppure non era mai stato così tranquillo nei confronti del suo futuro.

Non si era mai rassegnato.

«Non si è rassegnato, non dovresti prendertela con lui» le rispose, infilando le mani in tasca, non sapendo più dove tenerle. «È tuo padre, l’idea di perderti dev’essere terrificante, per lui. Sta facendo il possibile affinché tu possa vivere» aggiunse, guardandosi intorno e sorprendendosi di quanto quella stanza fosse diversa da quella di Lucius.

Probabilmente a causa della lunga degenza, Rosemary aveva personalizzato al massimo quei tre metri quadrati che le erano toccati. Le mura erano di un tenue verde pastello, intonate alle tende colorate ed alle lenzuola di cotone. C’erano tantissimi libri accatastati in ogni angolo e fiori colorati qui e lì, alcuni avevano un aspetto così esotico che Draco dubitò fossero originari della cara, vecchia Inghilterra. Qui e lì, nascosti da appunti svolazzanti, erano appesi disegni di tantissime creature magiche ed un Ippogrifo dall’aria orribilmente familiare ammiccava da una fotografia sul comodino vicino al letto.

Il ricordo dell’aggressione del maledetto pollo di Hagrid gli fece fare una smorfia.

«Credo sia ora che io vada» disse quindi, schiarendosi la voce e distogliendo gli occhi dalla foto, per posarli su quella ragazza. «Ho molti impegni di lavoro, sai» aggiunse, quasi credesse di doversi giustificare. In un certo senso, era vero: abbandonarla in quel modo, dopo che lei gli aveva raccontato così tanto di se stessa, gli sembrava una cattiveria.

Rosemary, comunque, non se la prese, anzi, il suo viso si illuminò. «Oh, sì! Mio padre mi ha detto della missione… è così avvincente, non è vero? Seguire degli indizi e salvare il mondo… io non avrei potuto farlo, non così in segreto!» disse, allegra, scuotendo il capo.

«Beh… sì, non è facile» concordò Malfoy, annuendo. «Ma io non ho molte persone con cui parlare, non è così complicato» ammise, stringendosi nelle spalle. In realtà, la sua non era stata proprio un’uscita felice. Riflettendoci a mente fredda, probabilmente si sarebbe dato dello stupido per aver ammesso una cosa del genere. Ma aveva sentito troppe storie, aveva provato troppe emozioni, la sua anima aveva semplicemente deciso di rifiutare qualunque altro shock, positivo o negativo che fosse.

Il sorriso della signorina Crave si allargò a dismisura. «Adesso puoi venire a parlare con me! Neanche io ho qualcuno con cui chiacchierare, potremo non parlarne insieme».

Lo sguardo che gli dedicò fu così simile a quello carico di entusiasmo che il dottore gli dedicava i primi tempi che, per un secondo, Draco si chiese se davvero quella ragazza avesse avuto una madre o se il dottore si fosse semplicemente limitato a clonare se stesso.

«D’accordo, tornerò a fare quattro chiacchiere».

 

***

 

«So che non mi reputerai sincero, ma… come sta?» quando pose quella domanda, Draco sentì l’impulso di non credere alle proprie parole. Se qualcuno gli avesse detto, ai tempi della scuola, che si sarebbe sinceramente informato sulla salute di Harry Potter, si sarebbe messo a ridere ed avrebbe liquidato tutto con la speranza di vederlo finalmente sparire dalla faccia della terra.

«Mi prendi in giro, Malfoy?».

Evidentemente, Hermione Granger la pensava come la sua versione adolescente. Ma Hermione Granger era una donna adulta, con un cipiglio da guerriera ed un coraggio che Draco sapeva di non avere neppure in quel momento.

Per quanto pallida, per quanto debole e con i capelli simili ad un cespuglio, la giovane strega trasmetteva una sensazione di determinatezza e forza capace di incoraggiare chiunque.

«Non prendertela con me se sei nervosa per fatti tuoi, Granger, sto solo tentando di essere gentile» le rispose, forse più scontroso di quanto non avesse voluto, incrociando le braccia la petto ed osservandola con la coda dell’occhio. Avrebbe voluto allontanarsi da quella vetrata, allontanarsi dal corpo sofferente del Salvatore del Mondo Magico, ma non lo avrebbe mai imposto a lei.

Potter era il suo migliore amico, lui non era nessuno per tenerla lontana da lui. Non gliel’avrebbe mai chiesto.

Era un figlio di puttana, ma aveva una decenza.

La Granger sembrò colpita dalla sua risposta nervosa e, come se qualcuno l’avesse infilzata con uno spillo, sospirò, sgonfiandosi di tutta l’irritazione e la forza. Si voltò a guardarlo, con le labbra strette, e scosse il capo.

«Perdonami, questa notte sono rimasta sveglia per controllare Harry. Ho preferito mandare Ginny a casa» si giustificò, indicando la Rossa Weasley seduta nell’angolo della stanza, con il viso decisamente meno sconvolto dell’ultima volta in cui Draco l’aveva vista. Teneva fra le mani un quadernino, probabilmente appunti sul suo prossimo articolo.

Ginevra Weasley, nonostante tutto, non aveva messo da parte il suo lavoro.

Un’altra forza della natura, un’altra donna coraggiosa che, oltre la Granger, aveva deciso di ronzare intorno a Potter. Forse anche Draco avrebbe dovuto iniziare a comportarsi come un irritante miracolato, così da attirare brave ragazze come miele per le mosche. Gli unici esempi di donne che aveva conosciuto ed erano state degne di nota, oltre sua madre, si riducevano a sua zia Andromeda ed a Laurie, la fidanzata di Blaise.

Ma Laurie lo detestava apertamente, quindi, in un certo senso, gli stava vicino solo per amore del suo fidanzato. E Draco, tentando d’essere razionale, sapeva bene di non poterle dare torto.

«Non avresti dovuto stancarti così» le disse lui, sinceramente preoccupato nonostante il tono ironico. «Sei ancora convalescente, Granger, e non credo che Potter ti vorrebbe così stanca, se fosse capace di intendere e di volere» aggiunse, quando si rese conto che lei lo stesse fissando con le sopracciglia aggrottate in un’espressione confusa.

Lei si strinse nelle spalle, tornando a fissare il migliore amico. «Non è una cosa carina da dire. I Guaritori credono che lui senta tutto ma che non riesca a riprendere possesso del proprio corpo. Quindi, in un certo senso, è capace di intendere e di volere» gli disse, stringendosi le braccia al petto.

«Immagino che questa sia una definizione amichevole e non giuridica» contestò lui, accennando un sorriso «Giuridicamente parlando è poco più di un vegetale e sai bene che lo dico perché è vero, non solo per darti fastidio» aggiunse, stringendosi nelle spalle. «Prendila in positivo, piuttosto che incapace di intendere e di volere avrei potuto dire che Potter sia incapace di pulirsi da solo il fondoschiena».

Hermione accennò un sorriso, osservandolo con la coda dell’occhio. La sua stanchezza era evidente dal fatto che non si fosse scatenata come una furia contro di lui.

«E tu, Malfoy?» gli chiese, senza nascondere l’ilarità nel tono.

«Io cosa?».

«Tu te lo pulisci da solo il fondoschiena? Oppure hai un elfo preposto proprio a quella mansione?».

Il silenzio cadde fra loro due, con la strega intenta a fissare i suoi migliori amici nella stanza e lui preso a fissare lei, la bocca spalancata in shock.

Poi, simultaneamente, iniziarono a ridacchiare come ragazzini.

«Granger, misericordia! Ti sembrano battute adatte ad una signorina?» sbottò, fingendosi più scandalizzato di quanto non fosse in realtà. Gli occhi lucidi della sua collega rendevano ben chiaro quanto fosse bisognosa di quel momento di leggerezza. Restare chiusa in quell’ospedale la stava facendo impazzire di preoccupazione.

Per quanto avesse scelto una vita d’ufficio, Hermione Granger aveva bisogno d’azione per non perdere la ragione.

«Non sono come le signorine d’alta classe cui tu sei abituato, Malfoy, ricordatelo» gli disse, tornando a concentrarsi sull’interno della stanza. Lui concordò, ma evitò di confermare.

«Devo dire, Granger, che come Margot Sinclair non sei stata affatto male» le disse invece, con un mezzo sorriso. «Regale al punto, giusto, davvero. Immagino che potrai tirarla fuori ancora una volta, per il nostro viaggio in Italia».

Quel riferimento attirò l’attenzione della donna, che si voltò completamente verso di lui. La stanchezza sul suo viso era evidente, ma in quel momento oscurata dal desiderio d’agire.

«Hai sistemato le cose? Ci sono indizi?» gli chiese, nervosa, tormentandosi le dita. «Avresti dovuto parlarmene subito, senza lasciarmi qui… è il corpo ad essere affaticato, non la mia mente» lo rimproverò, nervosa, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Quella, riccia com’era, non si fece domare e continuò a ricaderle davanti al viso.

«Non dire sciocchezze, Granger» liquidò tutto con un gesto della mano. «I medici sono stati chiari, dovresti riposare per un’altra settimana» le comunicò, dando un’occhiata all’orologio d’oro che portava al polso da quando aveva diciassette anni. La vide aprire la bocca per ribattere, ma la fermò prima che potesse iniziare la sua invettiva. «Ma siamo già a fine ottobre e fra non molto tempo quegli esaltati avranno modo di usare lo specchio e far tornare Tu-Sai-Chi dal regno dei Morti, uccidendo il nostro Golden Boy».

Lei si mostrò sorpresa, ma si riprese in un attimo ed annuì. «Quindi? Novità?».

«Ho ottenuto un invito per una festa in una Villa nelle campagne romane» le disse, tirando fuori dalla giacca il suo quadernino ed aprendolo agli ultimi appunti presi. «A quanto pare, Villa Aura era una delle residenze preferite del vecchio Bonifacio e lì potremo trovare degli indizi sulla nuova traccia» spiegò, mostrandole una riproduzione della villa che avrebbero visitato entro qualche giorno. «Naturalmente, dovremo tirar fuori la nostra vecchia copertura, se per te non è un dispiacere troppo grande».

Hermione scosse il capo, osservando gli appunti. «Va bene, finché tu non avrai intenzione di rubare qualcosa che non sia la Traccia».

Draco ridacchiò. «Peccato, c’è un arazzo meraviglioso nella sala principale…».

«Malfoy!».

Si guardarono per qualche istante, poi tornarono a fissare gli occupanti della piccola stanza. Potter sembrava più debole ogni minuto che passava, la Weasley sempre più disperata. Se non si fossero sbrigati a risolvere quella situazione, Harry Potter avrebbe perso la sua guerra e, con lui, sarebbero morte tutte le loro speranze.

«Partiremo fra tre giorni, Granger» le disse alla fine, arretrando di un passo. «Tira fuori l’anello, non ne ho molti a disposizione, nella camera blindata». Aggiunse, con un vago sorriso divertito, riponendo nel taschino interno della giacca il taccuino.

Lo sguardo che lei gli lanciò in quel momento lo fecero sentire improvvisamente leggero, tranquillo come poche volte prima d’allora. «Mi stai facendo capire che quello non era un anello falso, Malfoy?» gli domandò, curiosa, mostrando abbastanza evidentemente lo scetticismo nei suoi occhi. «Non l’avresti mai fatto…».

Lui le lanciò un altro guardo condiscendente, iniziando ad arretrare lentamente.

«Ti consiglio di stare attenta, Granger, mia nonna ha lasciato solamente un anello in eredità, è dei Malfoy da almeno duecento anni».

L’imprecazione con cui lei lo salutò gli fece lasciare l’ospedale con un gran sorriso.

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Sono tornata, sana e salva! Perdonatemi per queste settimane di morte e risurrezione (per restare in tema!), ma non credevo che l’operazione mi avrebbe lasciato tanto destabilizzata. Vi chiedo scusa per l’attesa, spero di non arrivare mai più a ritardi così imperdonabili.

Grazie per la pazienza che avete avuto! E Buona Pasqua!

 

Punti importanti:

» Questo è un capitolo un po’ fiacco, me ne rendo conto, ma era assolutamente necessario. Dal prossimo capitolo ricominceranno le missioni! Prossima tappa, casa nostra!

» Rosemary Crave ha un passato sconosciuto a suo padre, ma di cui fa parte Lucius Malfoy. Cos’è successo? Soltanto Rosemary e Draco lo sanno e, per un po’, sarà così.

» Le condizioni della ragazza sono davvero tragiche, non fatevi ingannare dal carattere allegro e dalla sua intraprendenza, il dottore presto chiarirà quanto realmente la sua bambina stia male e quanto questa cosa faccia soffrire anche lui.

» Soltanto perché, da qui in poi, Hermione si rimboccherà le maniche e si concentrerà sul lavoro, non dovete pensare che si sia dimenticata di Harry. Hermione non sarà egoista e non penserà solo al lavoro, ma non potrà neppure sedersi in un angolo e battersi pugni sul petto al pensiero delle pessime condizioni di salute dell’amico. È troppo intelligente per farlo.

 

Il prossimo capitolo sarà parecchio lungo, quindi ho dovuto dividerlo in due parti! Ci sarà il ritorno di un personaggio assente da un bel po’ ed una bella vacanza romana!

 

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 12
*** Atto IX - Parte I/ Do ut des. ***


Atto IX

Lo Specchio delle Anime.

 

 

In ogni situazione ciascuno assume un contegno ed un atteggiamento esterno per sembrare come vuole che lo si creda.

Perciò si può dire che il mondo è composto soltanto da maschere.

[François de La Rochefoucauld]

        

        

Atto IX – Parte I

Do ut des.

 

 

«Sono rimasta venti minuti chiusa in un camerino con una donna che non conosce la differenza fra mettere due gocce di profumo dietro l’orecchio e usarlo al posto dell’acqua per il bagno» si lamentò per l’ennesima volta, osservando con disgusto la vetrina del negozio d’alta moda da cui era uscita solo dopo ore ed ore di torture.

Avrebbero dovuto assumere quelle donne ad Azkaban al posto dei Dissennatore. Stesso effetto ma con meno implicazioni a livello etico. Avrebbero succhiato via l’anima dei condannati uno spillo alla volta, tailleur griffato dopo tailleur griffato.

«Non puoi certo negare la sua competenza, Granger, suvvia» la rimbeccò il biondo, con una risatina appena accennata, osservandola da sopra le lenti che era stato costretto ad indossare per leggere il menù microscopico del ristorante. «Ti ha proposto degli abiti perfetti per te, sia dal punto di vista del colore che del taglio. Servono così poche modifiche da rendere addirittura inutile un aiutino da parte dei miei elfi per averli domani mattina».

I suoi elfi, naturalmente.

«I tuoi elfi fanno anche i sarti, adesso?» gli domandò, sarcastica, scorrendo velocemente i nomi dei piatti fra cui scegliere. Erano così tanti e di così tante nazionalità diverse da farle quasi girare la testa. Non avrebbe trovato un piatto di pesce e patatine neppure se l’avesse esaminato da cima a fondo.

Malfoy la guardò come se fosse impazzita. «Ovviamente fanno anche i sarti, Mezzosangue. Mi credi forse così incivile da scomodare gli stilisti per ogni microscopica modifica ai miei vestiti? Dovrei essere uno schiavista, davvero!» sbottò, sinceramente sconvolto, azzardandosi addirittura ad alzare gli occhi al cielo quando lei lo fulminò. «Davvero, Mezzosangue, non capisco che educazione devi aver avuto, fra i babbani».

Un colpo di tosse improvviso impedì alla strega di sputare fuori la sequela di insulti e minacce che, ormai, scorreva liberamente nel suo cervello ogni volta in cui era costretta a rapportarsi con quello spocchioso ereditiere.

Lo sguardo del giovane in questione – divertito ma curioso – anticipò di una frazione di secondo l’arrivo di una giovane coppia che lei credeva di non aver mai visto prima ma che, evidentemente, doveva conoscere abbastanza bene sia lei che il suo collega.

L’uomo era molto alto, pelle scura ed occhi neri, con il portamento distinto di un gentiluomo consumato ed il sorriso da mascalzone che, più di una volta, Hermione aveva visto anche sul viso di Malfoy. La donna, invece, era il suo esatto opposto. Pallida, bassa e con penetranti occhi verdi, sembrava preferire l’incontro con dei dissennatore piuttosto che con loro due.

«Cosa ci fate qui?» sbottò Malfoy, senza alzarsi in piedi ma, comunque, mantenendo un tono al limite del cordiale, una novità per lui. Dovevano essere suoi amici.

«Non preoccuparti, Malfoy, non ti stiamo pedinando».

L’uomo doveva essere suo amico, lei sembrava condividere la stizza di Hermione.

Draco sorrise, divertito. «È un piacere rivederti, Laurie» salutò, piegando leggermente il capo, per poi voltarsi ancora una volta verso l’uomo. «Blaise? A cosa devo questa visita? Tu detesti questo ristorante» aggiunse, con le sopracciglia inarcate ed un ghigno appena accennato. Hermione riconobbe quella tattica: non inventare bugie, so che sei qui per me.

Un momento più tardi, anche lei riconobbe l’uomo: Blaise Zabini, ex Serpeverde ed amico di Malfoy, attualmente uno degli apprendisti Guaritori più promettenti del San Mungo. Al suo fianco, di conseguenza, doveva esservi Lauren Jones, sua fidanzata ed alchimista molto competente.

Una coppia talentuosa, senza orma di dubbio.

«Prima di tutto, Draco, lasciami salutare la tua accompagnatrice. Io non sono un cafone come te» rispose Zabini, alzando gli occhi al cielo prima di votarsi verso Hermione. Le porse la mano, da vero gentiluomo, e le sorrise quando lei la strinse. «È un piacere rivederti, Miss Granger. Ti trovo in splendida forma» le disse, quando la lasciò andare, per poi voltarsi verso l’altra donna, rimasta in silenzio dietro di lui, con gli occhi che sembravano pronti a sputare fiamme. «Le presento la mia fidanzata, Laurie». Lauren Jones non sembrò interessata a stringerle la mano o a fare qualunque gesto nei suoi confronti, oltre ad un lieve cenno del capo. «La perdoni, non è un tipo di molte parole».

Divertito, Draco ridacchiò, attirando su di sé lo sguardo furioso della donna.

«Dagli quello che gli serve, Blaise, facciamo tardi al pranzo con mia madre» rispose le invece, tornando a concentrarsi sul suo fidanzato, poggiandogli la mano sul braccio per attirare la sua attenzione. All’anulare le brillava un solitario abbastanza grande da fare invidia a quello che Hermione aveva lasciato a casa, ben nascosto nella cassaforte dal momento in cui ne aveva scoperta la vera origine.

Non era per il possibile valore affettivo che il gioiello avrebbe potuto portare con sé, naturalmente, ma per una questione di pura razionalità. Si era sempre considerata una donna intelligente, farsi rubare un’inestimabile pezzo di geologia da sotto al naso sarebbe stato troppo per chiunque.

Quella riflessione aveva distratto Hermione per un tempo sufficientemente lungo da impedirle di vedere l’oggetto di tanta fretta, ma non abbastanza da non notare lo sguardo nervoso che Malfoy dedicò all’amico.

Qualunque cosa fosse, Hermione non avrebbe dovuto saperne nulla.

«Il nostro lavoro qui è concluso» annunciò Blaise, un momento prima che lei potesse sguinzagliare la lingua e riempirli di domande. Dedicò un cenno del capo all’amico ed un sorriso alla donna, prima di liquidarsi con fidanzata al seguito. Lei, in particolare, dedicò un’occhiata colma d’astio proprio ad Hermione, ignorando completamente Malfoy. Lei ne restò così sconvolta da fissare il punto in cui si era dileguata con aria vaga per almeno tre minuti.

«Non prendertela, Laurie ce l’ha con il mondo intero. L’unico immune alla sua furia è il suo fidanzato» le disse il mago, scuotendo la testa e mascherando lo sguardo allarmato dietro un sorriso divertito. «Oltretutto, credo tu le stia particolarmente antipatica».

Hermione si accigliò. «Per quale motivo?» domandò, ringraziando il cameriere per averle portato la sua tanto attesa tazza di caffè. Prese un sorso e fece una smorfia, avevano dimenticato di aggiungere la panna liquida.

«Perché tutti i Corvonero ti odiavano, Granger» le rispose Malfoy, guardandola come se le fosse improvvisamente uscita un’altra testa. «Tu eri la migliore in tutto» aggiunse, sperando, forse, di chiarire il suo punto di vista. Senza che lei dicesse nulla, oltretutto, le avvicinò lo zucchero.

Doveva aver notato la sua smorfia.

«Non riesco a comprendere, davvero» il suo cipiglio peggiorò, mentre riversava due abbondanti cucchiaiate di dolcificante nel suo caffè. «Non ho mai parlato con lei, non ricordo di aver mai fatto più che incrociarla… qual è il problema?».

Malfoy ridacchiò in un modo così naturale ed inconsapevole da far venire la pelle d’oca ad Hermione.

Naturalmente, si trattava certamente di una reazione nervosa. Quel suo modo di fare la innervosiva terribilmente, il solo guardarlo in faccia le faceva venire la nausea.

Ed una insopportabile sensazione di calore alla bocca dello stomaco.

«Quanto sei… Grifondoro» le rispose lui, mantenendo l’espressione divertita ed alzando gli occhi al cielo. Disse quella parola come se fosse stato il peggiore fra tutti gli insulti. «Ricordi il periodo in cui Potter ti rubò il titolo di migliore della classe in Pozioni? Ricordi la sensazione provata in quel periodo?» le domandò, fermandola con un gesto prima che potesse ribattere. «So benissimo che ti ha infastidita tantissimo, Granger, non mentire».

Hermione strinse le labbra, picchiettando nervosamente il piede al suolo. Lei non era mai stata gelosa di Harry. Assolutamente no.

«Harry è sempre stato il migliore in Difesa, non mi sembra ci sia mai stato un lamento da parte mia. Oltretutto, la sua bravura ha salvato il mondo magico più di una volta» rispose, secca, sorseggiando il suo caffè senza osare alzare gli occhi sul collega. Sapeva benissimo dove sarebbe andato a parare, ma senza guardarlo in faccia sarebbe riuscita a mantenere un minimo di contegno.

«Non metto certo in dubbio la bravura di Potter nel salvarsi il deretano, Granger. E tu stai evitando la mia domanda» le disse, con una risata nella voce. La strega lo vide allungare la mano verso il bicchiere di vino rosso che il cameriere aveva consegnato insieme al caffè ma che lui non aveva ancora toccato. «Potter ha un talento naturale per Difesa, è risaputo. Ma riguardo al resto, tu sei sempre stata imbattibile. Sempre, tranne quell’anno».

Il piede della strega batté il terreno con più forza.

«Sono questioni che non ti riguardano, Malfoy. Non ti permetto di sputare sentenze su cose che non conosci, non quando tu, proprio quell’anno…».

Il mago le impedì di continuare, alzando la mano. I suoi occhi erano chiari, tranquilli, nonostante l’argomento che lei avesse tentato di opporgli. Era una calma rassegnata, una calma che Hermione non aveva mai conosciuto.

La calma che il dottor Crave aveva sempre tentato di instillarle.

«Non voglio sapere perché Potter era più bravo di te. Voglio solo sentirti dire quanto questa cosa ti abbia infastidita. E, forse, farti capire perché gli altri cervelloni della scuola ce l’hanno tanto con te. Non è bello sapere di non essere mai abbastanza, di avere sempre qualcuno sopra di te» le disse, pacato, sorseggiando poi il suo vino. Quelle parole sembrarono risvegliare qualcosa, in lui, qualcosa di oscuro ma sufficientemente lontano da non fargli perdere la testa.

«Quindi la fidanzata di Blaise mi odia perché sono sempre stata la migliore?» chiese lei, schiarendosi la voce. Meglio allontanarsi dal campo minato.

«Laurie, non fidanzata di Blaise» la corresse Malfoy, con una risata. «Odia essere definita in quel modo. Blaise, invece, adora quando lei lo chiama futuro signor Jones» aggiunse, rendendo ben chiaro quanto trovasse ridicola tutta quella sceneggiata. «Comunque sì, Granger. Lei è la migliore alchimista dai tempi di Isaac Burke, eppure tu sei sempre stata un passo avanti a lei ed a tutti gli altri. Alcune persone non prendono bene la sconfitta e tu dovresti saperlo bene, considerando quello che hai fatto alla Donnola».

Io ti rovinerò, fosse l’ultima cosa che faccio.

Hermione si irrigidì. Che lui sapesse qualcosa? Che avesse scoperto il segreto che si era premurata di rendere inaccessibile a chiunque non fosse direttamente coinvolto?

«Cosa intendi dire?».

Lui si accigliò, notando la sua reazione. «Hai portato McLaggen alla festa di Lumacorno, al sesto anno. Non vorrai dirmi di averlo fatto per reale interesse e non per far un dispetto a lui, spero!».

Il sospiro di sollievo che premeva sul suo petto venne fermato appena in tempo. Non gli avrebbe mai rivelato nulla, non avrebbe mai alimentato i sospetti che sapeva bene lui avesse.

Mai.

«La sconfitta è dura da accettare, te lo concedo, ed io non amo non ottenere ciò che voglio» ammise, cupa, indicando la tasca dentro cui lui aveva fatto sparire la pozione consegnata da Zabini. «Per questo motivo dovrai concedermi qualcosa, per evitare che io ti torturi per scoprire cosa vuoi tenermi nascosto».

Gli occhi di Malfoy sembrarono mandare fiamme. «Chi ti dice che io ti stia nascondendo qualcosa, Granger?» le domandò, senza tuttavia mostrarsi troppo convinto delle proprie parole.

Bastò che lei sollevasse le sopracciglia per rendere chiaro il suo pensiero al riguardo. «Il mio lavoro è capire quando qualcuno ha un segreto. Ed ho lavorato con gli Inquisitori per un tempo sufficientemente lungo da sapere bene di non poter ottenere una risposta da te, oggi. Quindi devo essere ripagata, do ut des».

Lui sorrise, alzando gli occhi al cielo. «Va bene, Mezzosangue, ti devo un favore».

«Ovviamente, il discorso è solamente rimandato. Scoprirò cosa mi stai nascondendo» lo avvertì, con un sorriso malandrino, sollevando la tazza di caffè come a voler proporre un brindisi.

Malfoy non si fece scoraggiare, naturalmente. Alzò anche il suo bicchiere di vino, facendolo scontrare con la tazza.

«L’intento è reciproco, Mezzosangue. Non credere di poter tenere i tuoi segreti solo per te».

 

 

***

 

«Granger, per l’amor di Merlino, vai piano».

L’urlo angosciato di Draco Malfoy fu musica per le orecchie di Hermione, nervosa e carica di rabbia repressa dopo il ricovero forzato in ospedale. Scoprire che non solo lui non avesse la minima idea di come si guidasse un’auto, ma che fosse assolutamente terrorizzato da queste l’aveva immediatamente riempita di gioia infinita.

Era un atteggiamento meschino, probabilmente. Sfruttare le insicurezze e le paure di qualcun altro – soprattutto di un alleato – per ottenerne un qualche piacere personale era decisamente un comportamento non da brava Grifondoro e, sicuramente, non da brava Inquisitrice.

Perseguire la giustizia non significava perseguitare le persone, era una lezione che il suo Capo le aveva impartito il primo giorno in cui avevano lavorato insieme.

«Granger!».

Ma il tono allarmato di Malfoy valeva ogni futuro senso di colpa.

«Non essere così piagnone» lo riprese per l’ennesima volta, decelerando leggermente così da evitargli un attacco di panico. «Ti ho già detto che so guidare benissimo, non c’è bisogno di allarmarsi in questo modo» aggiunse, con una risata sadica, mentre la campagna romana sfrecciava dietro di loro con i suoi mille e mille colori diversi.

Erano partiti quella mattina presto da Londra, con l’intendo di smaterializzarsi direttamente a pochi metri da Villa Aura. Naturalmente, Hermione aveva saputo come giocarsi le sue carte e, soprattutto, come ottenere una vendetta adeguata al supplizio che era stata costretta a sopportare il giorno precedente.

Quindi, lei era riuscita ad ottenere l’arrivo in auto. Una Lamborghini rossa, la stessa che Ronald, quando ancora era Ron, aveva criticato tanto aspramente, facendola sentire una ragazzina viziata per aver anche solo pensato di affittarla per il matrimonio.

Malfoy non si era lamentato della spesa eccessiva, assolutamente no.

Malfoy si era lamentato perché lei aveva rifiutato l’autista.

«Stai sbandando come un’ubriaca, Granger! E non mi piace il rumore che questo trabiccolo sta facendo» mugugnò ancora il purosangue, con un tono così infantile che, se fosse stato in piedi, sarebbe stato accompagnato da un piede pestato con forza.

«Sei incredibile! Preferisci viaggiare su di un manico di scopa, piuttosto che su una delle migliori auto in circolazione! Non vi capirò mai, voi maghi!» sbottò lei in risposta, con una risata di cuore che la fece sentire leggera come non accadeva da tantissimo tempo. Era così libera, in quell’istante, da non percepire neppure l’occhiata penetrante che il biondo le aveva dedicato, sentendola. «Secondo il navigatore satellitare, manca poco alla Villa… sei sicuro che ci stanno aspettando?» chiese quindi, voltandosi a guardarlo solo per un attimo, prima che lui impallidisse e le urlasse di tenere sott’occhio la strada.

«Posso sopportare che tu rinunci alla bellezza del mio viso, Mezzosangue, a patto che tu faccia in modo di non farci sfracellare sull’asfalto come gli idioti convinti di poter cavalcare i draghi!» il tono di Malfoy doveva essere ironico, ma, improvvisamente, sembrò ricordarsi qualcosa. «Naturalmente, si dice in giro che tu sia un’esperta in quest’ultima attività».

Hermione sorrise, maliziosa. «Non saprei, Malfoy» iniziò a dire, osservando con la coda dell’occhio il ghigno vittorioso spuntato sul suo viso. Credeva che la fuga dalla Gringott fosse una montatura, eh? «Non ci siamo sfracellati sull’asfalto, abbiamo deciso di saltare dentro un lago» specificò quindi, ridacchiando. «E tu non hai risposto alla mia domanda. Ci stanno aspettando o dobbiamo imbucarci?».

Lui scosse il capo, stringendo la presa sulla cintura di sicurezza che aveva indossato in fretta e furia pochi secondi dopo la partenza. «Abbiamo un invito. Lord Morgerstern non ha bisogno di imbucarsi, di solito mettono il tappeto rosso» la guardò male per un istante, indicando il solitario che le brillava all’anulare. «E stanno tutti morendo dalla voglia di conoscere la fortunata… o sfortunata».

«Non passerò per l’allegra cornuta di turno, Malfoy, sappilo» lo ammonì, cominciando a scorgere, in lontananza, una villa a dir poco strepitosa. «Che sia reale o finta, la nostra relazione dovrà essere basata sul reciproco rispetto» aggiunse, con un tono ben più serio di quanto la situazione stesse richiedendo. Dopotutto era una finzione, nessuno conosceva Hermione Granger e Draco Malfoy e, nel caso qualcuno avesse conosciuto quei nomi, non avrebbe potuto mai collegarli alla giovane e ricca coppia in procinto di celebrare un matrimonio.

Ma la ferita era troppo profonda e fingere non le era più possibile.

«E questo cosa significa, Mezzosangue?».

«Che se tu credi di poter fare lo splendido con le signore presenti, niente mi impedirà di fare altrettanto con i gentiluomini».

Il modo in cui Malfoy digrignò di denti l’avrebbe fatta accigliare, in una situazione normale, ma in quel momento diede la colpa alla curva stretta che aveva appena percorso a velocità sorprendentemente alta.

«Siamo arrivati, questa è Villa Aura».

 

***

 

L’edificio era di pianta quadrata, magnifico nel suo genere, circondato da giardini e vigneti che in nessun angolo d’Inghilterra sarebbe stato possibile riprodurre. I colori caldi della campagna romana si riflettevano in ogni aspetto della Villa, così che questa potesse entrare in armonia con l’atmosfera e sembrare appena uscita da un libro di fiabe.

Appena arrivati, avevano consegnato l’auto ad un valletto in livrea bianca, impeccabile nell’espressione e nella posa rigida delle spalle, non avevano lasciato una mancia e Malfoy le aveva lanciato un’occhiata storta quando lo aveva ringraziato con un sorriso.

«Siamo nell’alta società, Mezzosangue» l’aveva ammonita, allontanandola dallo sguardo sconvolto del giovane. «Qui non si dice grazie a qualcuno pagato per fare il suo lavoro. Tutto ti è dovuto, tutto dev’essere naturale. Lord Morgerstern si vanta d’essere uno degli uomini più facoltosi d’Inghilterra, è impensabile che la sua fidanzata abbia degli standard più bassi».

Lei l’aveva guardato con sfida, stringendo le labbra. «Lord Morgerstern o Lord Malfoy? Il confine mi sembra davvero sottile, sai? Perché io sono costretta a recitare, mentre tu puoi sentirti perfettamente a tuo agio per tutto il tempo?».

Lui scosse il capo, afferrandole la mano così da poterla prendere a braccetto in modo più naturale ed affettuoso. Erano una coppia, non dei colleghi. «Credimi, Lord Morgerstern è completamente diverso da Lord Malfoy. La mia carriera è basata su una finzione continua» le disse, sorridendo con aria che Fleur avrebbe definito charmant ad alcune signore in abito pomposo ed elegante.

«Ad esempio?» chiese Hermione, ignorando l’istinto di far smorfie a dette nobildonne e ricambiando, invece, la loro occhiata curiosa con una benevolente.

«Lord Morgerstern adora passare il suo tempo con questi boriosi, esagerati, banali babbani nobili» fu la risposta, accompagnata da un sorriso tanto falso quanto convincente. Sembrava avesse fatto un complimento agli altri ospiti. «Soprattutto quando le frustrate donnine di mezza età fanno cadere accidentalmente la loro mano grassoccia e sudata sulla mia coscia».

Quelle parole, quasi fosse stato fatto di proposito, vennero accompagnate dall’occhiolino che una donna pesantemente truccata, adornata di pellicce e gioielli e con almeno ottanta chili di troppo dedicò al giovane Malfoy. Hermione rabbrividì e strinse leggermente la mano del suo accompagnatore.

«Hai ragione, forse posso fingermi un po’ più snob».

«Ti ringrazio».

Avviandosi lungo il corridoio profumato di fiori e vino, incrociarono molte persone dall’aria distinta ed elegante, molte delle quali sembrarono sul punto di avvicinarsi per chiacchierare, nonostante Malfoy non avesse accennato a fermarsi più di un secondo.

Dovevano prima presentarsi alla padrona di casa, le aveva detto, altrimenti avrebbero fatto la figura dei cafoni.

In un certo senso, quella era una regola abbastanza sensata se presa in se stessa. Ma considerando le dimensioni della villa e la posizione remota in cui avrebbero potuto trovare la proprietaria le sembrò tutto un po’ troppo forzato. Non che avesse sinceramente voluto fermarsi a chiacchierare con qualcuno, dubitava che quelle persone fossero più simpatiche dei nobili incontrati a Versailles.

«Il cuore dell’edificio è la zona sud, dall’altra parte del cortile» le disse lui, trascinandola lungo un salone a dir poco meraviglioso, adornato di affreschi e statue probabilmente più antiche di molti degli edifici visitati dalla strega stessa. «Quella era la vera residenza del vecchio Papa, prima che venisse ampliata dai suoi discendenti. Questa zona è stata costruita nel periodo Rinascimentale…» le indicò un quadro raffigurante una Madonna con Bambino, meraviglioso nella sua semplicità e nella perfezione dei suoi colori. «Quello è di Michelangelo, lo stesso autore dell’affresco alla Cappella Sistina… immagino tu la conosca, no?» le domandò, tranquillo, strappandola immediatamente allo spettacolo cui l’aveva appena introdotta.

Per Draco Malfoy non era una gran cosa, l’essere posto dinnanzi ad un quadro quasi sconosciuto del Maestro Buonarroti.

«L’ho vista su dei libri, ma non l’ho mai visitata» ammise lei, sentendo una morsa al petto. «Avevo intenzione di fare un viaggio per visitare Roma, un po’ di tempo fa, ma ho preferito cambiare meta» spiegò, senza dare via troppi dettagli.

Il viaggio in questione doveva essere una prova generale per il viaggio di nozze, giusto pochi giorni per festeggiare la proposta tanto attesa.

«Dove sei andata, alla fine?» le domandò lui, probabilmente inconsapevole di aver rigirato il dito in una piaga ancora molto, molto dolorosa. «Venezia? Firenze? Oppure hai cambiato proprio stato?» aggiunse, tranquillo, come se stesse riflettendo su qualcosa di particolarmente difficile. «In Spagna ci sono monumenti e chiese a dir poco mozzafiato, oltre che musei incredibili. Ma niente vale la bellezza di Roma, dopotutto è Caput Mundi da oltre duemila anni».

Hermione si sentì morire, rendendosi conto di voler rispondere alla domanda. Di volergli dire cos’era stato del suo intento, nonostante fosse consapevole che, così facendo, avrebbe rivelato qualcosa del suo passato, del suo segreto, che aveva ripromesso a se stessa di tenere nascosto.

«No, sono andata in Galles. C’era la partita dei Cannoni di Chudley» ammise, sentendo freddo a livello dello sterno. Era un freddo diverso dal solito provato nel ripensare al periodo trascorso con Ronald, quando era ancora pronta a tutto per far funzionare il loro rapporto.

Non era tristezza e non era risentimento.

Era vergogna.

Si stava vergognando orribilmente della sua debolezza passata, dell’essere stata così sottomessa da non voler far valere le proprie idee e le proprie opinioni.

E temeva che Malfoy avrebbe preso la palla al balzo.

«Se riusciamo a finire velocemente qui» disse invece lui, tranquillo, come se lei gli avesse appena rivelato una motivazione incredibilmente seria riguardo quel cambio di direzione inaspettato. «possiamo fare un salto in città. Non credo di poterti mostrare tutta Roma in un pomeriggio, ma almeno le tappe più importanti…».

Se non l’avesse visto parlare, Hermione non avrebbe creduto alle sue orecchie.

«Vuoi portarmi a visitare Roma, Malfoy?» chiese, allibita, mentre lui continuava a trascinarla fuori dal salone, in un cortile dall’aria meravigliosamente curata, al cui centro svettava un tendone bianco in cui veniva servito un leggero aperitivo.

Lui le dedicò uno sguardo confuso. «Naturalmente, Granger. Io sono uno dei migliori esperti d’arte del mondo magico, è inaccettabile che la mia collega non conosca le bellezze di Roma».

La risposta di Hermione venne fermata da un fulmine in bianco precipitato quasi in braccio a Draco, squittendo in quello che lei credeva fosse italiano e spingendola via con una mano adorna di anelli di brillanti e bracciali preziosi.

Il fulmine in bianco si rivelò essere una donna sulla trentina, bionda, perfetta in ogni minimo particolare, con degli occhi azzurri incantevoli ed un sorriso da vipera. Baciò sulle guance Malfoy, scambiando con lui qualche frase in italiano, e sembrò non rendersi conto di averla spinta via malamente.

Fu Malfoy ad allontanarsi di un passo dalla bionda, dedicando ad Hermione uno sguardo che all’apparenza era gioviale ma che, in realtà, sembrava nascondere un orrore profondo. «Mia cara, lascia che ti presenti la mia fidanzata, Miss Margot Sinclair» disse, in inglese, affiancando la sua accompagnatrice. «Tesoro, lei è Beatrice Caetani, la padrona di casa».

Lo sguardo che le lanciò la bionda avrebbe fatto impallidire qualunque donna con problemi d’autostima. Fortunatamente, non era il caso di Hermione Granger. Per quanto potesse essere bella ed elegante, la Signora non avrebbe mai avuto nel suo curriculum l’aver salvato il Mondo Magico.

«Incantata, signora Caetani. La sua Villa è incredibile» salutò quindi la strega, con un sorriso falso quasi quanto quello di Malfoy. Ma come presentazione non bastava, doveva integrarsi all’ambiente. «E adoro il suo vestito».

La donna sembrò illuminarsi all’ultimo commento. «Fatto su misura, naturalmente» disse, con un accento molto forte. Le si addiceva, non stonava con l’aria da nobile abituata al lusso con cui si era presentata. «Mi auguro che resterete per cena! Ho intenzione di chiedere a Lord Morgerstern di esaminare alcune opere entrate in mio possesso… la Baronessa Duclaise mi ha raccontato che siete un incantevole critico».

Hermione e Draco si guardarono per un istante, come a cercare un punto d’accordo per rifiutare la gentilissima offerta. Ma non ne ebbero il tempo.

«Meraviglioso!» si esaltò subito Beatrice, battendo allegramente le mani e voltandosi verso un uomo decisamente più vecchio di lei ma con l’aria ancora parecchio avvenente. «Augusto, tesoro, accompagna il signor Morgerstern alla galleria, io intratterrò la sua adorabile fidanzata!».

Prima che potesse dire qualunque cosa, Hermione si ritrovò coinvolta in un’assurda conversazione su gioielli, uomini ed eredità macchiate di sangue.

Per l’ennesima volta si sentì male all’idea di esser stata separata da Malfoy.

 

***

 

«Non sono mai stata più felice di vederti» sbottò quando, dopo ore ed ore di insulse chiacchiere, si ritrovò nella stessa stanza di Malfoy. Che fosse una camera da letto era irrilevante. Semplicemente, lei era contenta di avere davanti un viso conosciuto.

Con uno sbuffo di risata, lui si sedette sul letto, allentando il nodo alla cravatta. Aveva l’aria distrutta, i capelli non erano più perfettamente sistemati. Sembrava che avesse passato il pomeriggio a zappare, piuttosto che ad ammirare opere d’arte.

«Granger, posso dire lo stesso, per quanto sembri assurdo» disse, con voce roca, lanciandole un’occhiata in tralice. «Quel folle di Augusto Caetani mi ha trascinato per tutta la galleria e poi si è convinto che avrei trovato il suo vigneto avvincente» spiegò, allungandosi sul letto con uno sbuffo. «Mi ha fatto rovinare le scarpe nuove, quell’idiota».

Curiosa, Hermione gettò un’occhiata alle scarpe in questione, trovandole, effettivamente, coperte di polvere e terra. Si ricordò di quanto fossero costate le sue scarpe e si rese conto che quelle di lui non dovessero distare così tanto da quella fascia di prezzo. Si sentì quasi male all’idea.

«Avrei preferito rovinare le scarpe che sentire tutti quei fastidiosi discorsi» ribatté Hermione, con un sospiro stanco. «Non credevo che potessero essere tutte così superficiali. Eppure fra loro c’erano tantissime laureate con lode alle migliori università europee» rifletté ad alta voce. «Alcune di loro hanno detto di essere ingegneri chimici e nucleari».

Malfoy sorrise, rialzandosi e sfilandosi dal collo la cravatta. «Ti ho già detto di non fare la razzista, Mezzosangue. Per esperienza, posso assicurarti che non porta mai a nulla di buono. Queste donne sono costrette a fingersi delle idiote per tenere buoni i mariti e sopravvivere in quest’ambiente. Per vincere bisogna conoscere le debolezze. Per conoscere le debolezze, bisogna conoscere i segreti».

«E i segreti vengono rivelati esclusivamente se si crede che le altre siano troppo stupide per capire» concluse Hermione, annuendo leggermente. «Hai ragione. Dopotutto, è una tecnica che usiamo anche in ufficio. Sono riuscita a sventare un attentato facendo credere al terrorista di essere anch’io una Mangiamorte nostalgica del passato».

Lo sguardo che Malfoy le lanciò la fece arrossire senza che potesse avere neppure il tempo di rendersene conto. «Sorvolando sull’evidente ignoranza del soggetto in questione, devi essere stata incredibilmente convincente. Mi sorprendi, Granger, non credevo fossi così brava a mentire» ammise, avvicinandosi alla finestra della camera e spalancando i battenti sul giardino.

Dal piano di sotto arrivavano i rumori del salone che veniva allestito per la cena, borbottii dei camerieri vestiti di bianco tutti presi nel trasportare piatti e bicchieri dall’aria incredibilmente preziosa. Ad illuminare lo spazio erano solo le lanterne che – a detta della signora Beatrice – davano all’intera proprietà un’apparenza di incredibile magnificenza, il profumo della campagna si univa alla brezza fresca che entrava dalla finestra aperta, inondando la stanza del suo aroma particolare e rilassante.

Draco Malfoy le sembrò molto più affascinante di quanto non fosse mai stato.

Doveva essere colpa del vino… che non aveva bevuto.

«Non sottovalutarmi, te l’ho già detto. Il mio non è un lavoro per molti e di certo non lo è la mia carriera scolastica. Ricordi al primo anno, quella storia del Troll?» gli chiese, schiarendosi la voce e cercando di darsi un tono. Si alzò dalla poltrona, spostandosi verso il lato opposto della stanza. Aveva tolto le scarpe, il freddo pavimento di pietra contro la pianta nuda del piede sembrò ridarle lucidità.

Lui annuì leggermente, allungandosi per afferrare un pacchetto di sigarette dal mobile vicino. Beatrice le aveva detto, in effetti, di aver convinto il suo fidanzato a fermarsi per la notte e di averlo già accompagnato in camera da letto per posare i loro bagagli.

Che questi bagagli fossero solo due valigie vuote – fatta eccezione per gli strumenti da lavoro di Malfoy – era irrilevante. Probabilmente lui si era messo a suo agio, prima di partire per la scampagnata nella vigna.

«Quando hai pensato di andare a caccia e ti sei fatta salvare dal magico duo, no?» chiese conferma, offrendole il pacchetto più per cortesia che per altro. Quando lei accettò una sigaretta si mostrò sorpreso, ma seppe mascherare il tutto dietro un’espressione neutra.

«In realtà ero in bagno a…» non gli avrebbe mai detto di essere andata a piangere, meglio la morte. «A fare quello che generalmente viene fatto in bagno. Harry e Ron sapevano che sarei stata da sola e sono venuti ad avvisarmi. Se non avessi mentito alla McGranitt, probabilmente la loro carriera scolastica sarebbe davvero iniziata col botto» raccontò, con un sorrisino divertito.

Malfoy ghignò nella sua direzione, mentre si accendeva la sigaretta. «Mentire alla Vecchia a soli undici anni… devi essere stata un vero talento precoce, Granger» la scimmiottò, facendole cenno di avvicinarsi così da accendere anche la sua. «Ma io ti ho già vista all’opera, non c’è bisogno di rivangare il passato».

Ma certo, ricordò Hermione, al quinto anno aveva convinto la Umbridge di conoscere l’arma segreta di Albus Silente.

Lo stesso anno in cui si erano davvero trovati ai capi opposti di una stessa battaglia. L’anno in cui erano state gettate le basi degli schieramenti che, nei due anni successivi, avevano spinto lei a diventare un’eroina di guerra e lui un pentito redento solo parzialmente.

«Comunque ho qualche notizia che potrebbe interessarti» comunicò, avvicinandosi a sua volta alla finestra, accomodandosi sul davanzale. Quel momento di sbandamento sembrava passato, non aveva più i brividi al solo guardarlo.

Si rese conto di aver calcolato male l’influenza che lui aveva sul suo corpo nel momento stesso in cui lo osservò espirare il fumo. La curva presa dalle sue labbra attirò tutta la sua attenzione, costringendolo a richiamarla un paio di volte prima di farla uscire da quella trans in cui era caduta.

«Se sei stanca puoi riposare un po’, Mezzosangue» le disse, accigliato, indicando il letto con un cenno del capo. «Mancano due ore alla cena e tu sei appena stata dimessa dall’ospedale» aggiunse, vagamente preoccupato.

«No, sto bene, ero solo…» si scusò lei, schiarendosi la voce. Non continuò, non avendo la più pallida idea di cosa accidenti avrebbe potuto dire per discolparsi. Non avrebbe mai ammesso la verità.

«Come desideri» si arrese lui, nonostante non sembrasse affatto convinto. «Cos’hai scoperto?».

«Una marchesa mi ha raccontato che esiste un’ala della casa che è perennemente chiusa al pubblico. I padroni di casa lasciano sempre delle guardie per controllare che nessun ospite si avventuri da quelle parti» spiegò, indicando l’altra parte del cortile, nella zona più vecchia della villa. «Sembra che i Caetani si rechino lì ogni notte. Molti credono che si tratti della cappella di famiglia, ma…».

Malfoy annuì, puntando gli occhi nella direzione da lei indicata. «Neppure a me sembrano tipi particolarmente devoti. Stanno nascondendo qualcosa» concordò, per poi lanciarle un’occhiata divertita mentre aspirava un’altra boccata di fumo. «Hai visto? Fare la sciocca ci ha aiutati nella ricerca».

Hermione rise, poggiandosi al davanzale ed avvicinandosi, seppur impercettibilmente, a lui. «Qui ti sbagli, mio caro» gli rispose, mantenendo un sorriso affascinante. «Lei è rimasta affascinata dal mio acume ed ha ritenuto che io potessi aiutarla a risolvere il mistero. Il mio cervello riesce ad affascinare le persone, visto?».

Malfoy si accigliò, accostandosi ulteriormente e prendendole delicatamente il mento fra pollice e indice. «Non ho mai detto il contrario, mia cara» le sussurrò, a pochi centimetri dal viso, abbastanza vicino da farle percepire il profumo delle sue sigarette tanto particolari ed un vago sentore di vino.

Hermione voleva morire e non per la vergogna o per la stizza, quella volta non avrebbe potuto trovare una giustificazione per se stessa.

Ron non si era mai avvicinato a lei in quel modo. Ron non era mai stato tanto delicato e, al tempo stesso, affascinante, con lei.

Non potrai mai avere di meglio. Io sono tutto ciò cui potrai mai aspirare.

Hermione, per la prima volta, stava provando del reale desiderio. Ed era merito di Draco Malfoy, l’ultima persona in tutto in mondo con cui lei avrebbe mai voluto trovarsi in quella situazione.

Non poteva permetterlo. Non poteva sopportarlo.

«Raggiungo gli altri uomini nella sala da biliardo» disse improvvisamente Malfoy, allontanandosi da lei ed avvicinandosi alla porta. «Tu riposati, tornerò a prenderti per la cena. Una volta che andranno tutti a dormire, dovremo pedinare i nostri ospiti» le disse, tranquillo, uscendo.

Hermione, semplicemente, restò a fissarlo in silenzio. Ed il silenzio riguardava anche la mente, non soltanto la lingua. Non riusciva a pensare a nulla di coerente, quindi si limitò ad annuire.

«Mezzosangue…» disse infine, con un sorriso appena accennato, indicando qualcosa che lei teneva in mano. «La tua sigaretta si è consumata, se non stai attenta rischi di bruciarti con la cenere. Prenditene un’altra, ti aiuterà a rilassarti».

Quando lui si chiuse la porta alle spalle, la cenere le cadde sul piede nudo, bruciandola e risvegliandola dallo shock in cui era caduta.

Aveva già provato una morsa allo stomaco come quella che percepiva in quel momento, ma il contesto era totalmente diverso.

Non hai bisogno di nessuno, solo di me. Non vedrai nessuno.

Non era più paura.

Non ho mai detto il contrario, mia cara.

Hermione Granger era davvero in un mare di guai.

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Come ho anticipato l’ultima volta, questo capitolo non finisce mai. Avevo deciso di dividerlo in due parti, com’è già successo altre volte, ma credo proprio che ce ne sarà una terza.

Troppi avvenimenti in un capitolo solo non vanno bene, confondono le idee!

La prossima parte, vi avverto, sarà un po’ particolare.

 

Punti importanti:

» Blaise è tornato e, con lui, la sua fidanzata. Lei è presente anche nella mia “Danse Macabre”, che naturalmente fa parte dello stesso universo e che si è appena classificata PRIMA nel contest Sette Colori di erzsi sul forum di EFP. So che si tratta di autocelebrazione inutile, ma sono troppo felice!

» Laurie odia Hermione ed io, per quanto possa amare la nostra genietta, non posso che condividere il suo sentimento. Anche io l’avrei odiata, se mi avesse rubato ogni possibilità di brillare in classe.

» Hermione Granger pirata della strada! Ronald le toglieva la gioia vivere, farle rinunciare a Roma per una partita di Quidditch... imperdonabile! Forse sono troppo dura con lui? Ma temo che questa sia la realtà del loro rapporto, almeno dal mio punto di vista. Hermione è sprecata con uno come lui.

» Beatrice ed Augusto fanno la loro prima comparsa, ma nel prossimo capitolo giocheranno un ruolo fondamentale.

» Il muro fra i nostri due eroi inizia a crollare, io non dico altro.

 

Ho già fatto questa domanda in un’altra fanfiction, ma credo sia opportuno chiedere qui. Sarebbe preferibile una pagina facebook per eventuali comunicazioni e/o anticipazioni? Ditemi voi, potrebbe essere inutile. Dopo la malattia, però, ho capito che non avere un modo per contattare tutti e giustificare il ritardo potrebbe essere un problema. Fatemi sapere!

 

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 13
*** Atto IX - Parte II/ Il morso dell'aspide. ***


Draco Malfoy era sempre stato una persona sicura di sé

Lo Specchio delle Anime.

 

Vieni, vieni, mortifera creatura:

sciogli di colpo, coi tuoi denti aguzzi, l’aggrovigliato nodo di mia vita.

Povero velenoso stupidello, accanisciti, sbrigati a spacciarmi! 

 [Cleopatra, Atto V, Scena II – W. Shakespeare, Antonio e Cleopatra]

        

        

Atto IX – Parte II

Il morso dell’aspide.

 

 

Draco Malfoy era sempre stato una persona sicura di sé.

Anche quando il suo mondo era stato capovolto e la sua vita era stata gettata in pasto ai lupi, lui non aveva mai smesso di mostrarsi sicuro della propria strada e sicuro delle proprie capacità.

Esisteva solamente una persona capace di togliergli quel controllo che tanto faticosamente tentava di imporre a se stesso. Ed era la stessa persona che lui era stato sul punto di baciare non più di quindici minuti prima.

Baciare Hermione Granger, che cosa assurda. Com’era potuto passargli per la mente? Il dottor Crave si sarebbe messo a ridere ed avrebbe citato le teorie di un qualche filosofo morto fissato con il voler avere relazioni sessuali con sua madre*. Avrebbe trovato da solo una qualche ragione difficilmente comprensibile per spiegare quell’improvvisa attrazione.

No, non era davvero inspiegabile.

Se non fossero stati da sempre su fronti opposti, Hermione Granger l’avrebbe affascinato fin dai tempi della scuola. In un certo senso l’aveva fatto, durante il primo viaggio verso Hogwarts. L’aveva affascinato, per poi spingerlo ad allontanarsi con poche e semplici parole.

I tuoi genitori sono maghi, vero?

No, sono dentisti.

All’epoca la sola idea di avere rapporti con una bambina Mezzosangue gli faceva ribrezzo. All’epoca, era abituato a difendere in qualunque modo ed a qualunque costo gli stessi ideali assurdi che gli erano stati impartiti nella prima infanzia.

Non era inspiegabile, soltanto impossibile.

Impossibile è il mio secondo nome.

Draco si trattenne a stento dal mettersi ad imprecare. Colpito ed affondato dalle sue stesse vanterie.

Per quanto gli dispiacesse ammetterlo, l’impossibilità non era tale con Hermione Granger. Non se avesse saputo giocare a dovere le sue carte.

Non se avesse deciso a rinunciare completamente al proprio passato.

«Ha davvero un’espressione desolata, signor Morgerstern».

La voce di Augusto Caetani lo fece balzare, vagamente spaventato. Gli occhi scuri dell’uomo sembrarono attraversarlo, come fosse fatto di semplice carta trasparente.

Per un istante, Draco si sentì davvero insignificante, una sensazione del tutto nuova per lui. Gli sembrò d’esser improvvisamente diventato leggerissimo, le ossa ridotte a semplice cenere intrappolata fra i suoi muscoli, il battito cardiaco veloce nelle vene, il fiato intrappolato nella sua gola.

Era ansia.

E la fonte erano gli occhi verdi dell’uomo che aveva di fronte.

«Mi dispiace» si scusò, quando si rese conto che l’altro avesse parlato e che fosse giunto il momento di rientrare in possesso delle proprie facoltà mentali. «Ero soprappensiero, non mi sono accorto della sua presenza, altrimenti mi sarei fermato».

Il sorriso comprensivo ma stranamente divertito dell’uomo l’avrebbero fatto accigliare, se non si fosse reso conto del rischio che avrebbe corso, inimicandoselo. Doveva mantenere la sua copertura, per non attirare troppo l’attenzione e mandare all’aria il lavoro di quelle settimane.

«Non si preoccupi, non si preoccupi» con un  gesto elegante della mano, l’uomo gli fece cenno di seguirlo in quello che, Draco se ne accorse in quel momento, doveva essere il suo studio. Senza sapere bene come, era giunto davanti alla sua porta e lì si era fermato, come una mosca attirata dal miele. «Venga con me, credo le farebbe bene un bel bicchiere di prosecco. Viene direttamente dalle mie vigne, una delizia» aggiunse, esprimendo l’ultimo commento in italiano.

Augusto Caetani, nato Malatesta, era un uomo sgradevole, all’apparenza troppo alto e troppo muscoloso rispetto alla testa piccola, tonda e quasi completamente pelata. Aveva sposato Beatrice quasi dieci anni prima, assumendo il controllo delle proprietà di famiglia ed i vari titoli nobiliari a quelle annessi, diventando, grazie anche al tesoro che la sua famiglia portava con sé, uno degli uomini più ricchi ed influenti d’Europa. Tutti erano rimasti molto sorpresi che avesse scelto di prendere il cognome della moglie, ma la sorpresa era svanita quando lo scandalo sui suoi fratelli era venuto allo scoperto.

Fratello e sorella, un amore proibito ed una famiglia distrutta.

Lo studio in cui lo guidò aveva le pareti quasi interamente coperte da dipinti.

Dipinti erotici.

Draco non aveva mai avuto problemi con la sua sessualità o con le varie sfumature che questa aveva nelle altre persone. Non avrebbe potuto, vivendo a stretto contatto con degli adolescenti per sei anni della sua vita e trascorrendo i successivi con critici d’arte più o meno espansivi al riguardo. Aveva ammirato opere d’arte di ogni risma, aveva studiato nudi appartenenti ad ogni epoca. Aveva addirittura sperimentato buona parte delle posizioni illustrate in quel libricino indiano che tanto faceva parlare i babbani!

Ma quei dipinti riuscirono a fargli sentire una stretta allo stomaco a causa del disagio.

«Ah, sta ammirando la nostra collezione» commentò Augusto, con un sorriso, accomodandosi alla sua scrivania ed indicando a Draco la poltroncina libera, davanti a lui. «Mia moglie preteso di esporla qui, sa. Io ritenevo che fosse un po’ troppo spinta per uno studio, considerando il via vai di uomini d’affari ed ecclesiastici che passano fra queste quattro mura, ma lei ha insistito».

Per una qualche ragione, Draco non riuscì a credere che stesse mentendo. Beatrice Caetani aveva proprio l’aria di qualcuno appassionato a quel genere d’arte. Nonostante le parvenze d’angelo, la sua reputazione nella buona società la precedeva ovunque si recasse.

Bella come un angelo, ma incline al peccato come Satana in persona.

«Sono dell’idea che ognuno abbia il sacrosanto diritto di esporre ciò che desidera, in casa sua» gli disse quindi il giovane, accomodandosi ed accennando un sorriso gentile. I muscoli delle sue spalle erano stranamente tesi, come se parte di lui stesse percependo un pericolo che il resto, invece, non riusciva a comprendere. Qualcosa gli stava urlando di scappare, mentre altro lo supplicava di restare. Quella tensione stava diventando sempre più insopportabile.

«Sono lieto che condividiamo lo stesso pensiero» si complimentò Caetani, annuendo leggermente mentre preparava due flute e si allungava per tirar fuori da un mobiletto – probabilmente nascosto sotto la scrivania – una bottiglia di vino bianco. «Questa è una delle migliori annate. Sono certo che la farà impazzire».

La tensione alle spalle stava uccidendo Draco, lentamente e con parecchio dolore.

«Non sono un grande amante del vino, purtroppo» si scusò in anticipo, allungando comunque la mano per afferrare il bicchiere che gli era stato porto. Mai rifiutare, diceva l’etichetta, nonostante non provasse il minimo desiderio di avvicinare le labbra al cristallo immacolato. Annusò leggermente il profumo del liquido, sentendo le narici pizzicare. Era insolitamente dolce, ma, dopotutto, lui davvero non ne sapeva molto, soprattutto non di vino bianco.

«Lo assaggi, Morgerstern» insistette l’uomo, senza tuttavia accennare a prendere il suo bicchiere. «Le prometto che non è avvelenato!» aggiunse, con una risata divertita ed estremamente genuina, come se avvelenare qualcuno fosse stato uno scherzo. Come se la sola idea fosse stata assurda.

Come se qualcuno non avesse già tentato di avvelenare Draco. Più di una volta.

Il sapore, esattamente come il profumo, era incredibilmente dolce. Così dolce da far dolere i denti di Draco e fargli stringere la gola in una morsa, quasi come se il suo stesso corpo si stesse rifiutando di assorbire quella sostanza. Era forse veleno? No, Blaise gli aveva insegnato a riconoscere i sintomi immediatamente seguenti all’ingestione di sostanze tossiche e lui non sentiva formicolio alla lingua o dita fredde. E comunque sapeva bene che molti vini erano caratterizzati da una dolcezza fuori dal comune.

Forse era solo troppo ansioso e prevenuto nei confronti di quell’uomo.

«Ha un buon sapore, glielo concedo» disse infine, con un vago sorriso, raddrizzandosi contro lo schienale della poltrona. «Ma continuo a preferire il whisky».

Augusto scoppiò a ridere, rilassandosi a sua volta. «Voi inglesi avete una predilezione per quel particolare liquore, dico bene? Noi italiani, invece, siamo legati al nostro vino» gli spiegò, prendendo il bicchiere ma solo per far oscillare il contenuto al suo interno. Alla luce del grande lampadario, sembrava aver assunto un colorito rosato, decisamente più scuro di quanto Draco avesse visto poco prima.

Per sicurezza, sollevò anche il suo calice, notando quella strana colorazione.

Forse non aveva guardato bene, la prima volta, troppo spaventato all’idea di esser avvelenato per l’ennesima volta.

Prese un ulteriore sorso, chiedendosi se sarebbe stato ancora tanto sgradevolmente dolce.

La risposta fu positiva, naturalmente. La dolcezza, forse, era addirittura aumentata.

«Immagino sia una questione di culture diverse» gli disse, forse per impedire a se stesso di fare smorfie proprio davanti al proprietario della vigna. «Il vino fa parte della vostra tradizione, mentre per noi è comunque qualcosa di estraneo, di importato. Siamo famosi per una bevanda molto meno…» si accigliò, cercando la parola adatta. «Diciamo meno eleganti».

Augusto sorrise, annuendo leggermente. «Ah, sì, non posso darle torto» concordò, posando nuovamente il bicchiere e rilassandosi contro lo schienale della sua poltrona. «Il vino è bevanda degli dei, dopotutto, e Roma è stata la casa delle più grandi divinità. Bacco ne è stato l’inventore».

«A detta del mito» precisò subito Draco, con un ghigno. «Probabilmente Bacco era solo un contadino annoiato ed amante degli esperimenti. Ma immagino che, oggi, sia giusto ricordare la sua memoria in modo più divino» scherzò, alzando gli occhi al cielo.

Vide, comunque, lo sguardo irritato del padrone di casa, un attimo prima che si rilassasse nuovamente e tornasse a puntare gli occhi scuri su di lui.

Guai.

«Il mito, naturalmente» concordò, nonostante non sembrasse poi così convinto. «Bacco è stato accolto fra le divinità, grazie al suo talento. Ma quel mondo ultraterreno non gli è mai appartenuto particolarmente. Preferiva passare il suo tempo sulla terra, con i suoi seguaci, godendo di quei piaceri che nel Regno Celeste gli erano preclusi». Puntò i suoi occhi su Draco, improvvisamente divertito. «Immagino lei ne abbia sentito parlare».

«Naturalmente» confermò, vagamente preoccupato. «Le baccanti ed i loro rituali, sono in pochi a non conoscerli. Attraversavano le campagne organizzando rituali depravati che mettevano al centro il piacere dei sensi, sessuale e non solo». Restò in silenzio per quale istante, improvvisamente indeciso su come comportarsi. «Hanno rappresentato un bel grattacapo, in Grecia».

«Non soltanto in Grecia» Augusto indicò la scena erotica dipinta alle sue spalle. C’erano tante donne con maschere ed in posizioni promiscue, al centro un uomo con un mantello di leopardo. «Anche a Roma si diffuse il culto, naturalmente, ma gli adepti si mostrarono molto più intelligenti» disse quella parola come se fosse stato tutto merito suo. «Dopo il Senatus consultum de Bacchanalibus** il culto venne abolito ufficialmente, ma gli adepti non si dimenticarono della loro religione. Evitarono di dare troppo nell’occhio e fecero in modo che la conoscenza si tramandasse di genitori in figli e così per anni ed anni».

Le dita di Draco sembrarono improvvisamente troppo fredde. «Interessante. Immagino abbia le prove di quest’affermazione… sono certo che molti studiosi pagherebbero dell’oro sonante per poter scrivere qualcosa al riguardo».

«Diciamo che ho i miei agganci» lo rassicurò l’uomo, sfiorando con la punta del dito il bordo del suo calice rimasto intonso. «Mi piacciono le sfide, signor Morgerstern» disse, poggiando i gomiti al tavolo e congiungendo le punte delle dita poco sotto al mento. La sua espressione era feroce, quasi come quella di un lupo a caccia, ma, stranamente, Draco non riuscì a preoccuparsene. «E sono certo che lei sarà un’aggiunta incredibile alla nostra collezione».

Quelle parole avrebbero dovuto turbarlo, ma non ci riuscirono. La consapevolezza di quella sua anormale rilassatezza lo fece irrigidire leggermente, ma nulla di più.

«Signor Caetani?».

«Dopo cena, venga nell’ala vecchia» gli disse, alzandosi in piedi, in un chiaro invito a lasciare il suo studio. «Naturalmente, la sua fidanzata potrà aspettarla in camera, non credo sarà un grande dispiacere, per lei. Non con la reputazione che si porta dietro, Signor Morgerstern».

Il lord inglese capace di affascinare ogni donna nell’arco di un chilometro, incapace di essere fedele alla sua innocente fidanzata.

«Naturalmente» fu tutto ciò che disse, mentre una parte di lui – molto debole, ma anche estremamente testarda – combatteva per ribellarsi a quel torpore forzato. C’era un pericolo in agguato, ma lui non riusciva ad inquadrarlo. E non gli piaceva affatto. «Immagino che ci vedremo a cena» disse poi, rialzandosi e sforzandosi di apparire meno rilassato di quanto fosse in realtà. Era un mondo di rigidità, quello, non c’era spazio per i sorrisi.

«Non credo, signor Morgerstern» gli rispose il padrone di casa, con un sorriso malandrino. «Io ho degli impegni improrogabili, ma sono certo che ci vedremo dopo» il sorriso si allargò, inquietante. «Nell’ala vecchia, dopo cena. Si assicuri di mettere a cuccia la sua fidanzata, non vogliamo certo che rovini la nostra serata, con tutte le sue domande inopportune».

«No, certo che non lo vogliamo».

Mantenendo la postura il più rigida possibile, Draco diede le spalle al padrone di casa ed uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

Fu in quel momento che la lingua iniziò a pizzicare.

 

***

 

Che ci fosse qualcosa di orribilmente sbagliato, in lui, Hermione l’aveva capito nel momento stesso in cui si era accomodato al suo fianco, poco prima che venisse servita la cena. Era più bianco del solito, fatta eccezione per le guance accese di un rosa tutt’altro che naturale, ed aveva le mani sudaticce. Quando si chinò verso di lei per dirle qualcosa, si irrigidì e si allontanò, restando poi in un silenzio di tomba.

«Per Merlino, vuoi dirmi cosa ti succede?» gli chiese, nella pausa fra il primo e l’insalata. Si riavvicinò a lui, stando bene attenta a non farsi sentire dagli altri ospiti seduti al loro stesso tavolo. Il gran numero di persone presenti lasciava intendere che la festa si fosse estesa a molti degli invitati del mattino, seppur non a tutti. «Se continuerai a stringere quella forchetta fra le mani rischierai di rovinarla e dovremo ripagare l’intero servizio ai Caetani».

Lui non la guardò e non accennò neppure a rilassarsi, tutt’altro. I suoi occhi guizzarono verso Beatrice, attorniata da ragazzi anche più giovani di loro, tutti presi nel decantare le sue lodi, e poi scattarono verso la porta d’ingresso alla Sala, quasi avesse voluto cercare una via di fuga. Lei, allora, gli posò la mano sul braccio, con l’intenzione di tenerlo fermo fin quando non si fosse deciso a parlare.

«Mia cara» la voce preoccupata di una vecchietta seduta con loro la fece voltare nella sua direzione, tirando fuori il sorriso falso più convincente di cui fosse in possesso. «Il suo fidanzato si sente bene? Sembra accaldato».

In effetti, nel momento stesso in cui l’aveva toccato, Hermione aveva sentito un fiotto di calore superare anche i due strati di pesante stoffa con cui il suo braccio era coperto, come se qualcuno gli avesse acceso un fuocherello sotto al sedere e lui avesse iniziato a cuocersi come un tacchino al forno.

Non era il più gentile dei paragoni, in effetti.

«Ho assaggiato del peperoncino» disse Malfoy, impedendo ad Hermione di far sentire quella orribile bugia che il suo povero cervello aveva iniziato a mettere insieme. «Non sono abituato, perdonatemi» aggiunse, cercando di suonare il più rassicurante possibile. La presa di Hermione si strinse sul suo braccio, ma lui si irrigidì di più. «Credo che tornerò in camera nostra, mi sento particolarmente indisposto» aggiunse, deglutendo con l’aria più preoccupata e ansiosa che Hermione aveva mai visto sul suo viso. «Tu resta pure a finire la cena, tesoro, non preoccuparti per me».

Non muoverti da qui, Granger.

Controbattere, davanti a tutte quelle persone, era certamente fuori discussione, lei lo sapeva bene. Se lasciò andare la presa sul braccio del suo accompagnatore e si limitò a fulminarlo con un’occhiata, fu solo per non mandare al diavolo la copertura che aveva funzionato tanto bene fino a quel momento. Osservò Malfoy rialzarsi in piedi e sistemarsi la giacca con aria particolarmente impacciata, voltandosi velocemente per dirigersi fuori dalla sala, ignorato da tutti.

Quasi tutti. Beatrice Caetani seguì la sua figura come se lui fosse stato un uccellino e lei un gatto affamato. Hermione sentì qualcosa di gelido nello stomaco, ma non osò pensarci più di tanto. Non era il momento e non era certo il luogo per cominciare a sputar cattiverie sulla padrona di casa.

Non quando c’era il quasi fondato sospetto che lei ed il marito trafficassero con magia arcana ben al di sopra della loro comprensione.

Restare seduta per il resto della cena fu straziante, per i nervi della strega. Passò dal non riuscire ad ingerire neppure una foglia di insalata o un pezzetto di carne allo spazzolare via una decina di dolcetti alla crema e vari assaggi di almeno sette torte diverse. La vecchietta seduta al suo stesso tavolo le fece addirittura i complimenti per il modo in cui riusciva a mantenere la sua linea, mangiando in quel modo.

Lei non aveva idea delle pozioni per bruciare i grassi in eccesso che non uscivano mai dalla borsetta di Hermione.

Quando molti degli ospiti si alzarono dai propri posti, chi per tornare a casa e chi per raggiungere la camera da letto che i padroni di casa avevano generosamente offerto, anche lei si sentì finalmente libera di scappare via e torturare Malfoy finché non le avesse detto la verità.

I suoi tacchi ticchettavano contro il pavimento di immacolato marmo, ma nessuno le prestò attenzione, mentre si dirigeva di corsa al piano di sopra. Molti degli ospiti, però, le lanciarono occhiatine divertite, quasi di pietà. Che fosse buffa, con quel vestito elegante e truccata come se fosse stata invitata a cena dalla Regina d’Inghilterra? Che fosse evidentemente come un pesce fuor d’acqua, in quel mondo di belletto e lustrini?

Francamente, non le importava. Tutto ciò che voleva era aprire la porta della camera – come fece – e trovare Malfoy, per tirargli fuori ogni minima cosa che avesse pensato di nasconderle.

Quando entrò, si rese conto che Malfoy non stesse nascondendo poi molto.

Draco Malfoy, l’uomo di ghiaccio che per anni aveva meritato un posto d’onore nella classifica delle dieci persone che le stavano più antipatiche, era in piedi, nell’angolo della stanza più lontano dalla porta, con gli occhi sgranati e lucidi e le guance rosse.

Ed era quasi completamente nudo.

Solo un asciugamano a separarla da una visuale da giornaletto pornografico.

Mostrando una calma che, davvero, Hermione aveva sempre creduto di non possedere, chiuse la porta e vi poggiò contro le spalle, restando per qualche istante a fissare il suo collega in quelle condizioni a dir poco sconvenienti. Diversamente da quanto avrebbe pensato lei stessa, non lo fissava per desiderio o lussuria.

Era soltanto sotto shock.

«Granger… va’ via» la ammonì lui, cercando di farsi ancora più piccolo nell’angolo della stanza, le guance sempre più rosse e gli occhi sempre più sgranati.

Aveva l’aria di qualcuno che si era divertito parecchio, fino a quel momento. E fu proprio quell’aria a far insorgere in Hermione la peggiore delle emozioni.

La gelosia.

«Chi diavolo c’era qui con te, Malfoy?» gli chiese, furiosa, incrociando le braccia al petto. «Credevo di essere stata chiara! Non ho intenzione di passare per la cornuta contenta, neppure per finta! Cosa accidenti ti è saltato in mente, eh?» gli sibilò contro, avanzando di un paio di passi. Sentiva una vena pulsare in modo sinistro nella sua tempia, ma non vi prestò molta attenzione. Erano ben altri i pensieri che la torturavano, in quel momento. L’idea che Malfoy se la fosse spassata mentre lei, al piano di sotto, si preoccupava per la sua condizione…

«Non c’è nessuno, Granger, e faresti bene ad andartene subito» le ripeté lui, con un tono preoccupato, ma anche oscurato da qualcosa che lei non riusciva a comprendere. «Nasconditi e, quando nei corridoi non ci sarà nessuno, raggiungi l’ala vecchia. Renditi invisibile, se necessario. Se non credi di poter prendere lo specchio, smaterializzati via. Questa gente è pericolosa».

L’urgenza nel suo tono la preoccupò non poco.

«Cosa ti hanno fatto?» chiese, in un sussurro preoccupato, iniziando seriamente a credere che qualcosa di molto importante le stesse sfuggendo da sotto al naso. «Malfoy?» chiamò, quando lui chiuse gli occhi, come se qualcuno gli avesse appena dato un pugno nello stomaco. Non ottenne risposta e la sua preoccupazione schizzò alle stelle. «Draco?».

Si rese conto di aver detto la cosa sbagliata quando lui rialzò la testa di scatto, puntandole addosso gli occhi d’argento puro, molto più scuri di quanto non fossero solitamente.

Hermione sentì un brivido lungo la spina dorsale e, non c’erano dubbi al riguardo, non era un brivido causato dalla paura.

«Augusto mi ha dato un potentissimo afrodisiaco, Granger» le disse, con la voce resa roca da qualcosa che Hermione ancora non riusciva – oppure non voleva? – comprendere. «Credo che lui e sua moglie siano adepti al culto… al culto di Dioniso» spiegò, a fatica, senza staccarle gli occhi di dosso. Sembrava facesse fatica anche a respirare.

Un afrodisiaco.

«Ti senti male? Posso… posso fare qualcosa per aiutarti? Io…» in difficoltà, Hermione si guadò intorno. Tutto, pur di non fissare lui. Tutto, pur di non cedere alla tentazione. Tutto. Non si rese neppure conto di aver chiesto ad un uomo sotto l’effetto di quel genere di pozione se si sentisse male. «Se vuoi andiamo via. Sono certa che al San Mungo sapranno come aiutarti».

Malfoy strinse gli occhi, ormai ridotti a due fessure di argento liquido e denso. «Sto troppo bene, Granger, ma grazie per l’interessamento» la disse, sarcastico. «Non hai sentito cosa ti ho detto? Quei due sono come due fottute baccanti, Granger. Hai capito?».

L’improvviso ricordo di alcuni racconti piccanti letti durante un’estate parecchio calda le tornarono alla mente. A lei erano sempre piaciuti i racconti dell’antica Grecia, quindi leggere di riti orgiastici non era poi così difficile.

«Ma sono discendenti di un Papa».

Malfoy riaprì gli occhi, vagamente sconvolto. Il calore sulle sue guance non sembrava voler diminuire, tutt’altro. «Granger, buona parte dei nobili italiani discende da qualche Papa, questo non credo possa fermarli» le disse, con voce roca, attraente. «Smettila di sconcertarti per cose così ridicole, fai quello che devi. Devi trovare lo Specchio e ricordare dov’è collocato, domani mattina torneremo per rubarlo. Quei due saranno troppo sconvolti dalle emozioni della serata».

«Tu non sarai troppo sconvolto?» gli chiese lei, dandosi mentalmente dell’idiota. Porgendo quell’involontaria domanda, aveva condannato se stessa ad immaginare cosa avrebbe fatto Malfoy, per sopportare quella smania che, com’era evidente, lo stava torturando al punto da farlo spogliare e da non riuscire a trattenere i sospiri davanti a lei.

Idiota, Hermione, ricordati perché hai giurato di non avere mai più un uomo nella tua vita!

Ricordarsi del passato l’aiutò a ritornare in se stessa per qualche momento, un brivido di orrore ad offuscare l’immagine di devastato tormento sessuale che Malfoy stava trasmettendo. Un brivido per ricordarle chi era lei, chi era lui e ciò che, in fazioni opposte, avevano vissuto.

«Io starò bene, ma devi assicurarti di essere al sicuro a tua volta» le disse, trattenendo a stento un sorriso. «Ricorda, sii invisibile e scappa via una volta vista la Traccia. Probabilmente loro non saranno lontani. Cerca…» dovette fermarsi, come se qualcosa lo avesse colpito nuovamente allo stomaco. Con la coscienza chiara, Hermione si rese conto che non fosse proprio allo stomaco, il fastidio. «Cerca di non scandalizzarti e scappa via, velocemente. Io ti raggiungerò a Londra domani mattina, non sono in condizione di… di viaggiare, adesso».

Il suo tono sembrava non ammettere repliche, ma lei era Hermione Granger e non avrebbe mai preso ordini da lui.

«Troverò la Traccia e la prenderò, poi ti raggiungerò e ti smaterializzerò via di qui. Cerca solo di resistere fino al mio ritorno, poi potrò anche sedarti» ribatté infatti, fiera. «Non preoccuparti, non sono così stupida da mettere in pericolo la mia vita. Se mi renderò conto di non potercela fare, tornerò qui e ce ne andremo via».

«Granger…» Malfoy fece per protestare, poi chiuse gli occhi e sospirò, un’emozione indecifrabile negli occhi. «Cerca solo di non farti scoprire, non mi piacerebbe saperti violentata quando avremmo dovuto lavorare insieme» si raccomandò, passandosi una mano fra i capelli sconvolti. «Ma non tornare a prendermi, davvero… io sto esaurendo il mio controllo» ammise poi, deglutendo rumorosamente. «Va’ via di qui, adesso, e resta intera».

Sentendo la pelle d’oca, Hermione si limitò ad annuire e dargli le spalle, pronta ad uscire.

Fece in tempo a mettere la mano sulla maniglia della porta, prima di sentire un’imprecazione ed il rumore dei passi veloci alle sue spalle.

Un momento dopo, si rese conto che Draco Malfoy la stesse baciando.

Un bacio appassionato, un contrasto di labbra, denti e lingua cui lei non era assolutamente preparata ed a cui sapeva di non aver dato alcun consenso. Sentì le mani di lui fra i capelli, sciolti mentre tornava in camera, e la pressione del suo desiderio contro il ventre.

E, così com’era iniziato, tutto finì. Lui si allontanò da lei, continuando tuttavia a guardarla negli occhi, sconvolti quanto probabilmente erano anche i suoi.

Come il morso dell’aspide, il veleno di quel bacio si irradiò in tutto il suo corpo.

Si fissarono sotto shock, per qualche secondo, ognuno immaginando ciò che probabilmente stava attraversando la mente dell’altro.

Mi hai baciata.

Tu hai risposto.

«Vai, Granger» la voce di Malfoy era più roca di prima, quando fece un passo indietro. «Sto per perdere tutto il mio autocontrollo e questo non è il modo in cui avrei voluto baciarti per la prima volta» le disse, dandole le spalle e mettendo in bella mostra il fondoschiena che madre natura ed una frequente attività fisica intensa gli avevano donato.

Hermione, sotto shock, si rese conto solamente di due cose.

Il modo in cui avrei voluto baciarti.

Malfoy era nudo.

Lasciò la stanza il più velocemente possibile, sbattendo la porta alle proprie spalle e poggiandosi contro il legno per riprendere fiato. Sentiva la testa in fiamme ed il cuore non aveva mai battuto così velocemente.

Neppure durante la sua prima volta, con Ron.

Neppure durante la proposta di matrimonio.

Quando si diresse nell’ala vecchia, era ancora così sconvolta da non aver realizzato la cosa più importante di tutte.

Malfoy aveva il braccio destro bendato.

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti! [NB: è ancora in fase di allestimento, non è proprio perfetta!]. Presto aggiungerò anche un’anteprima del prossimo capitolo!

 

BOOOOOOOOM! E NON DICO ALTRO! Ho dovuto tagliare il capitolo qui, non potevo certo perdere l’occasione di tenervi tutti col fiato sospeso!

 

Punti importanti:

 

» *Draco sta facendo un riferimento a Freud. Il Dottor Crave è anche esperto in psicologia babbana, come credo di aver precisato.

» **La delibera del Senato Romano in questione esiste davvero, risale al 186 a.C. (Scusate, ma sono una giurista, non potevo permettermi di ignorare il Senato).

 

» I Caetani sono persone strane, io ve l’avevo detto. Non me ne vogliano possibili soggetti imparentati con le famiglie che ho citato, si tratta di nobili e, come Malfoy ha sottolineato, quasi tutti discendono da Papi. Non scandalizziamoci, suvvia.

 

» I fratelli di Augusto sono stati scoperti in flagranza d’incesto. Diciamo, però, che i due erano adepti allo stesso culto del fratello e che non hanno saputo mascherare le prove. Oppure Augusto li ha fatti scoprire per tenere tutta l’eredità per sé, quando i due si sono suicidati per la vergogna? Impossibile saperlo!

 

» Il povero Draco viene ancora una volta avvelenato. Immagino che quando lo racconterà al Dottor Crave anche lui si farà una bella risata. Draco Malfoy è la nuova cavia di laboratorio! Essere in condizione imbarazzante davanti a tutti deve essere stato molto traumatico, per lui.

 

» Hermione, Hermione, ti piace proprio mettere il dito nella piaga, vero? Quel poverette sta già male di suo, tu che lo chiami per nome e fai la preoccupata di certo non aiuti!

 

» Sia il titolo che la citazione fanno riferimento al momento del bacio, ovviamente. Perché il veleno? Perché questo bacio porterà parecchi danni, anche se non immediatamente. Dopotutto, lui l’ha baciata mentre era sotto l’effetto di un potente afrodisiaco. E comunque, Hermione è rimasta totalmente paralizzata! Cleopatra che vuole farsi mordere rispecchia un po’ le emozioni di Hermione, che avrebbe fatto volentieri un altro giro sulla giostra, chi vuol capire che capisca.

 

» Per evitare dubbi, i Caetani non sono magici. Quello che il marito ha rifilato a Draco è un afrodisiaco babbano, magari un concentrato di viagra, ostriche e cioccolato (che cosa disgustosa!).

 

 

Il prossimo capitolo sarà molto HermioneCentrico, ci saranno nuovi dettagli riguardo ciò che è successo fra lei e Ron. Per varie informazioni, immagini e altro rimando alla pagina Facebook! (Ancora non c’è nulla, è un po’ sciocco visto che non l’ha ancora vista nessuno!).

  

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 14
*** Atto IX - Parte III/ Il Trionfo di Bacco ed Hermione ***


Superato il primo momento di shock, ad impedirle di crollare in un angolo del corridoio alla ricerca disperata di ossigeno fu l’improvvisa vibrazione del cellulare che teneva nascosto nella giarrettiera, ridotto in modo da non essere subito riconoscibile

Lo Specchio delle Anime.

 

Quant’è bella giovichezza,

che si fugge tuttavia!

Chi vuol esser lieto, sia:

di doman non c’è certezza. 

 [Il Trionfo di Bacco e Arianna – Lorenzo de Medici]

        

        

Atto IX – Parte III

Il Trionfo di Bacco ed Hermione.

 

 

Superato il primo momento di shock, ad impedirle di crollare in un angolo del corridoio alla ricerca disperata di ossigeno fu l’improvvisa vibrazione del cellulare che teneva nascosto nella giarrettiera, ridotto in modo da non essere subito riconoscibile.

Lo spavento fu tanto che per poco non si mise ad urlare, mandando all’aria tutta la sua copertura. Dovette fare più di un tentativo, prima di riuscire a recitare l’incantesimo e farlo tornare delle giuste dimensioni.

Ginny.

Il terrore che fosse successo qualcosa ad Harry, che le sue condizioni fossero improvvisamente peggiorate, le fece tremare le ginocchia, allontanando definitivamente quello strano miscuglio emotivo provato a causa di Malfoy.

«Cos’è successo?». Non c’era tempo per i saluti e decisamente non c’era tempo per nascondere la preoccupazione dietro una falsa tranquillità. «Ginny, come sta? È successo qualcosa di grave? Se mi hai chiamata durante la missione…».

«Oh, Hermione cara».

Si fermò, sentendo il sangue improvvisamente ghiacciato nelle vene. Non era Ginny, al telefono.

Era la signora Weasley.

«Cosa vuole? Dov’è Ginny?» le sibilò, guardandosi per un momento intorno e trovando il nascondiglio perfetto dietro una statua dall’aria incredibilmente antica. «Cosa accidenti crede di fare?» aggiunse, trattenendosi a stento dal mettersi ad urlare come un’isterica.

Al mondo esistevano poche cose capace di ridurla in quello stato. Fra queste, le prime erano Ronald Weasley e sua madre.

Soprattutto sua madre.

«Oh, cara… sono venuta a trovare Harry, naturalmente!» il tono della donna era melenso, carico di una preoccupazione che sarebbe suonata sincera alle orecchie di qualcuno che non l’avesse conosciuta prima della Guerra. Ma non ad Hermione, che riconobbe ogni inflessione forzata. «Ginevra è andata in bagno, così ho pensato di chiamarti…».

«Ginny lo sa che lei è lì?» le chiese quindi, presa da un dubbio. Conosceva troppo bene la sua migliore amica, difficilmente avrebbe voltato le spalle a lei o ad Harry in quel modo. Non dopo che sua madre l’aveva trattata in quel modo.

Un silenzio assoluto seguì alla sua domanda, confermando la sua teoria. Che quella donna avesse intenzione di fare qualcosa? Che avesse un piano? Forse avrebbe potuto sfruttare il momento di debolezza di Ginny per farle un incantesimo e modificarle la memoria. Oppure avrebbe ucciso Harry, arrivando nel momento migliore per far vedere alla sua ultimogenita quanto fosse pentita del suo stesso comportamento.

No, si disse Hermione. I malati di mente non possono pianificare così bene.

«Si allontani immediatamente da quella stanza, lasci stare Harry e Ginny» sibilò al telefono, cominciando a calcolare quanto tempo avrebbe impiegato per smaterializzarsi a Londra, cacciarla personalmente e tornare indietro per continuare la missione.

«Diversamente da te, io non abbandono i membri della mia famiglia!» le rispose la donna, con voce stridula – la stessa voce che aveva usato quel giorno – ansimando alla cornetta come se qualcuno l’avesse costretta a correre una maratona. «Per questo ti ho chiamata! Presto lui tornerà e si aspetterà di trovarti… devi tornare indietro!».

Quelle parole fecero defluire tutto il sangue dalla sua testa, rischiando di farla svenire in mezzo al corridoio.

Lui tornerà.

No, era impossibile. Harry se ne era occupato personalmente, lui non sarebbe mai più tornato in Inghilterra e non l’avrebbe più avvicinata. Mai.

«Ronald non tornerà e certamente non avrà modo di parlare con me» le rispose, schiarendosi la voce per impedire a se stessa di suonare troppo debole. «Io non ho alcun motivo per tornare indietro».

La signora Weasley rise, dall’altra parte della cornetta.

«Ah, così ingenua! Chi mai potrebbe volerti? Ron è l’unico, l’unico! Nessuno vorrà mai avere a che fare con te!» la sua voce era crudele, come l’ultima volta che le aveva rivolto la parola. Una voce crudele che non somigliava affatto a quella della donna che, per anni, era stata una seconda madre sia per lei che per Harry.

Molly Weasley era morta e ciò che era rimasto di lei svaniva dietro una malattia mentale che la stava consumando.

Il ricordo di ciò che era successo poco prima, in camera da letto, aiutò Hermione a non cadere nel vortice dell’autocommiserazione, come invece era successo anni prima, quando soltanto il dottor Crave era riuscito ad impedirle di sparire in un’ombra che proveniva dall’interno del suo cuore.

«Meglio sola che con Ronald» le rispose, secca, pronta a continuare con la sua invettiva, ma un’altra voce, furiosa, le impedì di continuare.

«Cosa cazzo credi di fare? Dammi il mio telefono e sparisci!». Ginny era tornata e, come previsto, non era stata affatto felice di aver trovato sua madre lì. «Hermione? Oh, tesoro! Ti ha infastidita? Ti ha disturbata, eri in missione…».

Il sollievo sembrò liberarle il petto da un peso che neppure aveva compreso di sentire.

«Va tutto bene, Gin. Tua madre non può più farmi soffrire». Si rese conto quanto fossero vere, quelle parole, soltanto quando le pronunciò. Quel peso sul petto era rimasto con lei per tanto, tantissimo tempo, ed una volta sparito era riuscita a comprendere quanto l’avesse fatta stare male.

Non era sciocca, sapeva benissimo che presto o tardi la ferita si sarebbe riaperta.

Ma non in quel momento.

Non quando aveva una missione da compiere.

«L’ho mandata via. Ho chiesto all’infermiera di impedirle di tornare in questa parte dell’ospedale. Non temere, non si avvicinerà a nessuno di noi».

Hermione sospirò, pizzicandosi la radice del naso con la punta delle dita. «Non preoccuparti, va tutto bene. Adesso io vado, ho del lavoro da fare» le disse, raddrizzando le spalle. La consapevolezza del luogo in cui si trovasse, del rischio che stessero correndo sia lei che Malfoy, le fece tremare le ginocchia.

«Naturalmente. Buona fortuna, Herm».

«Verrò a trovarti presto, non temere».

 

***

 

Quando aveva imparato l’incantesimo di Disillusione, si era stranamente convinta che fosse l’unico modo per rendersi parzialmente invisibili senza l’aiuto di un mantello dell’invisibilità. Probabilmente era stato a causa di Harry e del regalo di suo padre se non si era mai impegnata al riguardo, ma, fortunatamente, si era ritrovata con le spalle al muro più di una volta, dovendo ricorrere a libri particolarmente complicati ed antichi per trovare una soluzione a quel problema che tanto la angustiava.

Un mantello dell’invisibilità comune avrebbe potuto sparire sotto la pressione di un qualsiasi Incanto di Rivelazione, le serviva qualcosa di più forte.

Incanto Tenebrae.

La sensazione che provò la fece rabbrividire. Pronunciare quell’incantesimo le ricordava moltissimo il gelo seguito all’immersione in una vasca piena di ghiaccio. Era un freddo secco, penetrante, capace di raggiungere il nucleo delle ossa e renderle un ammasso di ghiaccio morto.

L’abbraccio della tenebra, il buio dell’inesistenza.

Camminare con la consapevolezza di essere diventata nulla le riuscì incredibilmente facile, quasi non se ne rese conto. La prima volta in cui l’incantesimo aveva avvolto il suo corpo, aveva dato di stomaco e si era accasciata al suolo, incapace di muovere un solo muscolo finché non era stata messa alla magia. Sentirsi nulla, un’anima e nulla di più, era qualcosa che pochi riuscivano ad accettare e sopportare.

In quel momento, dopo essere stata nulla per mesi, Hermione non aveva più paura.

I corridoi della nuova ala della villa erano quasi totalmente deserti, meravigliosi nelle loro decorazioni antiche e nella bellezza dei lampadari lucenti. Ad Hermione ricordarono molto le abitazioni di molti dei Mangiamorte sotto copertura che aveva interrogato negli anni precedenti, così perfette da far quasi male agli occhi. La perfezione di una vita che era solo una copertura, il sorriso dietro cui si celavano gli orrori accantonati nei bui sotterranei.

Casa sua non sarebbe mai stata così perfetta.

Villa Aura non aveva dei sotterranei, però. Hermione non dovette scendere delle scale di pietra, sentendo il freddo aumentare ad ogni passo verso l’oscurità dell’ignoto. Lei continuò a camminare lungo il corridoio, osservando i quadri rinascimentali diventare degli arazzi di fine trecento e quelli, a loro vota, vasi di ceramica risalenti ad un’era in cui l’Italia, potenza mondiale, era culla della più grande fra le civiltà. I lampadari di cristalli sparirono, la strada venne illuminata soltanto da candelabri antichi. Il fresco profumo dell’autunno, che aveva pervaso le nuove stanze grazie alle finestre spalancate, stava cedendo il passo ad un odore forte, di incenso e vino unito all’inconfondibile aroma tipico delle antiche dimore.

Qualcosa di primitivo esisteva in quell’ala della casa. Qualcosa che stonava terribilmente con la vita che continuava a fluire fuori dalle mura.

Era come esser stati catapultati in un’altra era. Un’era in cui giusto e sbagliato si confondevano dietro l’apparente ordine delle divinità che camminavano fra gli uomini, in cui niente era impossibile e la magia era libera di fluire per il mondo senza doversi nascondere.

I primi rumori giunsero quando svoltò per la terza volta a sinistra. Qualcuno stava suonando uno strumento a corde – un’arpa, forse? – e qualcun altro dei flauti, un paio di donne cantavano in una lingua che Hermione aveva già sentito, ma che non riusciva ad identificare, non a quella distanza. L’odore di incenso ed alcol si fece più forte.

Dopo aver svoltato per altre due volte a destra, seguendo la musica, i rumori divennero più semplici da distinguere. Non erano due donne, a cantare, ma una sola accompagnata da un uomo. Il tono di quest’ultimo era troppo alto ed Hermione ricordò, improvvisamente, l’usanza di evirare i giovani affinché potessero mantenere una voce candida e pura per il resto della loro vita. Usanza barbara, forse, ma comprensibile nell’ottica di un mondo in cui la persona spariva dietro la necessità di esaltare il Bello e la Perfezione delle divinità.

Insieme al canto, però, c’erano anche altre voci ben distinguibili, da quella distanza minima.

Lingue diverse si intrecciavano fra loro, sussurri sensuali che strisciarono sulla pelle della strega come le carezze di un amante capace, ansimi e gemiti le riempirono le orecchie, facendola arrossire.

Baccanti, aveva detto Malfoy.

La fama li precedeva, naturalmente. Adepti del dio greco Dioniso, erano pronti a rinunciare a qualunque freno inibitore per festeggiare le gioie della vita con il loro protettore immortale. Le storie narravano di riti orgiastici conclusi con il sangue, di vergini private della virtù e del senno per osannare il dio della follia.

Voltato l’ultimo angolo e trovandosi davanti all’unica Sala Grande dell’Ala antica – specchio di quella che era la Sala da Pranzo nella zona più recente – Hermione comprese quanto fossero stati accurati i vecchi miti, parlando di scenari da bolgia infermale.

Dopotutto, era da scene simili che il Sommo Poeta doveva aver preso spunto.

La stanza era molto ampia, senza finestre, con muri di pietra decorati dagli affreschi più antichi che Hermione avesse mai visto in vita sua. Scene erotiche incredibilmente dettagliate erano riprodotte in sequenza, come se, osservando i muri da sinistra verso destra, fosse stato possibile individuare una storia diversa rispetto alla semplice esaltazione dei sensi.

Ma le raffigurazioni erano nulla, rispetto ciò che stava accadendo nella stanza.

Decine di persone – se quei corpi nudi avvinghiati fra loro potessero esser ancora definiti come tali – erano riverse al suolo, animati solo dagli scatti nervosi degli amplessi che venivano consumati. C’erano maschere sugli stessi visi che Hermione, poco più di un’ora prima, aveva visto durante la cena, animati da modi perfetti e dall’arroganza che solo la nobiltà di sangue sapeva portare.

Non c’era arroganza, in quella stanza. Non c’erano nobili, plebei o divinità.

Dalla sua posizione di spettatrice, ancora invisibile ed ancora fuori dalla sfera di luce proiettata dai bracieri della stanza, la strega comprese perché certi rituali fossero sempre stati visti con diffidenza, nell’antichità.

Non si trattava del sesso, naturalmente. La visione degli antichi, al riguardo, era sempre stata molto più liberale rispetto a quella moderna.

Non si trattava neppure degli alcolici, che riempivano coppe d’oro adornate di gioielli preziosi e si riversavano sui corpi già sudati, aumentandole la lucentezza alla luce del fuoco.

Era la follia.

Senza neppure avvicinarsi, Hermione percepì il brivido dell’incoscienza attraversarle la spina dorsale, l’adrenalina liberarsi nel sangue, il battito accelerato del cuore. Tutti i suoi dolori iniziarono a svanire, la vista le si appannò come se il suo cervello avesse iniziato a bollire e sciogliersi nella scatola cranica.

Seppe con certezza che se avesse messo un solo piede in quella stanza, avrebbe perso tutti i suoi freni inibitori e si sarebbe unita a quella follia devastante fatta di corpi, gemiti e musica.

La musica.

Spinta da un ultimo impulso di razionalità, Hermione sollevò lo sguardo dal pavimento della stanza e puntò gli occhi sui musicisti. Un giovane uomo dai capelli scuri teneva fra le mani un meraviglioso strumento a corda – una lira, probabilmente – e, al suo fianco, un altro ragazzo dai folti capelli biondi suonava un flauto di Pan. In un angolo sedevano i due cantanti, perfetti nella loro nudità, così presi dal loro compito da non sembrare minimamente consapevoli di cosa stesse succedendo ai loro piedi.

La Traccia.

Si trovava proprio davanti a lei, nel muro opposto all’entrata, al centro. Una grande cornice d’oro circondava uno specchio rettangolare, molto simile a quello già visto in Germania, ma più rozzo, più antico. Corpi nudi decoravano i due estremi, atti sensuali che si riproducevano dai muri alla realtà.

La superficie non rifletteva nulla, si rese conto Hermione. Esattamente com’era successo in Germania, lo Specchio non si stava comportando come tale, rimandando l’immagine di un uomo che, lei lo sapeva, non c’era realmente nella Stanza.

Che fosse come con Dante? Avrebbe dovuto avvicinarsi per parlargli, nonostante vi fosse il rischio di perdere la ragione? La sua paura era abbastanza forte da impedirle di fare il suo lavoro?

«Avvicinati, ragazza».

L’uomo nello specchio le parlò, ma Hermione non vide la sua bocca muoversi. La voce provenne direttamente da qualche parte dentro di lei, come se fosse stata la sua coscienza. Improvvisamente riuscì a distinguerlo con incredibile nitidezza, nonostante la distanza che la separava dallo Specchio.

I suoi capelli erano ricci, lunghi, dello stesso colore dell’uva matura, adornati da tralci di vite ed oro. I suoi occhi erano profondi, dello stesso colore delle ametiste più pure. Le sue spalle erano larghe, il suo petto nudo muscoloso e perfetto.

Le ginocchia di Hermione tremarono.

C’era un Dio davanti a lei.

«Vieni da me, ragazza». L’uomo allungò la mano, invitandola ancora una volta ad avvicinarsi. La sua voce, ancora nella mente di lei, suonò chiara, perentoria, ma incredibilmente sensuale. Una voce per cui lei avrebbe fatto follie.

Hermione fece un passo, poi un altro.

Infine, senza neppure rendersene conto, si ritrovò al centro di quella bolgia infernale, l’incantesimo di Tenebra completamente dissolto, ma lei non se ne curò.

I corpi si attorcigliavano ai suoi piedi, qualcuno le sfiorò la caviglia, qualcun altro le chiese di unirsi a loro. Ansimavano tutti, gemevano tutti. La follia dilagava fra quegli esseri che erano diventati una sola carne, strisciava su di loro come se fossero stati dei semplici fili per la trasmissione dell’energia.

Ma Hermione non aveva occhi che per l’uomo nello Specchio.

«Vieni, bambina, vieni da me».

Quella volta, la voce arrivò dalla figura stessa, non da una parte remota della sua mente. Lei riuscì a scorgere il movimento delle labbra, il sensuale brillio degli occhi chiarissimi e dal colore impossibile. La bellezza dei suoi tratti le sembrò ancora più ultraterrena, da quella distanza.

Dioniso o Bacco, non cambiava la sua natura. Padrone del vino, dell’illusione  e della follia.

Un passo, un altro ancora.

Senza rendersene conto, Hermione si ritrovò davanti allo Specchio, gli occhi spalancati nel desiderio di poter assorbire la magnificenza di quell’immagine che le veniva donata.

L’uomo allungò la mano verso di lei, attraversando il confine fra la realtà in cui lei stava vivendo e quel mondo superiore da cui lui doveva provenire. Era una mano delicata, perfetta, quasi puerile nella sua gentilezza. Non era la mano di un guerriero o di un uomo forgiato da mille difficoltà. Era la mano di chi avrebbe preferito l’amore alla guerra, un bicchiere di vino allo spargimento di sangue.

«Vieni, bambina, lasciati andare».

Lasciati andare, piccola. Lo sai anche tu, sai bene di volerlo.

Gelida, più di quanto non fosse stato l’Incanto, la ragione tornò prepotente e prese possesso di ciò che quella creatura aveva tentato di sottrarle. Arretrò di un passo, respirando bruscamente e prendendo finalmente consapevolezza di cosa stesse effettivamente succedendo.

I rumori della stanza non erano neppure lontanamente invitanti come le era sembrato all’inizio, i suoni che dipendevano dagli accoppiamenti furiosi erano disturbanti, i loro versi disgustosi. Hermione si sentì male all’idea di aver camminato fra loro e di esser stata toccata. Avrebbe dovuto farsi un bagno eterno, per pulirsi da quel sudiciume.

L’uomo, però, restava la creatura più bella su cui Hermione avesse mai poggiato lo sguardo. Ed anche la più letale.

«Non ti piace perderti nella follia, ragazza?» le chiese, divertito, osservandola mentre arretrava di un passo, così da allontanarsi da lui, ma senza avvicinarsi troppo a lui. «Eppure le persone venivano da me proprio per questo… per la pace».

«Questa non è pace» disse Hermione, raddrizzando le spalle, dopo essersi schiarita la voce. Tornare in se stessa le aveva mostrato quanto quell’ambiente avesse addormentato i suoi sensi. Forse era stata la musica, forse l’incenso, ma qualcosa aveva alterato le sue percezioni. Se la creatura non avesse fatto un passo falso, lei sarebbe caduta vittima di un incantesimo sconosciuto. «Questa è solo un’illusione».

Una risata scosse la creatura, prima che sparisse dal suo mondo nascosto nello specchio e riapparisse al di fuori, reale come Hermione e tutti gli altri. «E cosa c’è di male, nell’illusione della pace?» le domandò, girandole attorno.

Quando alzò nuovamente la mano perfetta, il mondo di Hermione si oscurò per un attimo e lei si ritrovò in un luogo dalla bellezza eccezionale.

Le mura di pietra erano sparite, così come i corpi e la puzza soffocante di sudore, alcol ed incenso. Era sola con quella creatura, improvvisamente vestita – come lui – di drappi d’oro ed avorio, i capelli adorni di foglie di vite e gioielli al collo e sulle braccia. Intorno a lei c’era tantissima luce, c’erano triclini coperti di velluto, piatti colmi delle migliori prelibatezze.

Era un’illusione, nulla di più.

«Molto emozionante, davvero, ma non riuscirai ad incantarmi ancora» gli rispose, con un po’ troppa impertinenza, incrociando le braccia al petto. Forse si sentiva così tranquilla perché poteva ancora percepire la pressione della bacchetta contro la coscia. Forse era soltanto l’adrenalina ancora in circolo. In quel momento, avrebbe affrontato qualunque ostacolo.

La creatura sorrise, camminandole intorno come se fosse stato un leopardo pronto a lanciasi sulla preda. In effetti, sulle spalle aveva drappeggiata proprio la pelle di quell’animale, come un tragico memorandum della sua vera natura.

«Forse potrei rendere questo mondo più appetibile, per te» propose quindi lui, sorridendo in modo inquietante.

Un battito di ciglia e davanti a lei si presentò Ronald Weasley in persona, nei suoi abiti migliori, con un sorriso splendido e gli occhi colmi di speranza. A lei venne improvvisamente da vomitare.

«Perché lui? Cosa speri di ottenere? Ti assicuro che non provo alcun tipo di attrazione per Ronald Weasley da anni» sbottò, seguendo tuttavia il giovane uomo con la coda dell’occhio. La pressione alla bocca dello stomaco, quell’orrore incommensurabile per ciò che le era stato fatto, le premevano sul cuore come cemento. «Tutto ciò che voglio è farti a pezzi, ora più di prima».

La creatura con il viso di Ronald rise, crudele. «Esattamente, mia cara. Furia, passione… sono tutte facce della follia. Lasciati andare, Hermione, sfoga le tue emozioni più profonde» disse, allungando una mano per sfiorarle il viso, ma lei si spostò. «Pensa a ciò che ti ha fatto. Quanto tempo è durata? Due, tre giorni? Oh, no, una settimana intera… una settimana-».

«Basta!».

Veloce, la bacchetta di lei si ritrovò puntata alla gola della creatura dagli inconfondibili capelli rossi. Aveva il respiro corto, il cuore che batteva all’impazzata. Sentiva il sangue pompare in modo furioso nelle vene, un dolore lancinante alla testa. Si era morsa il labbro, nel tentativo di resistere all’orrore, ed in quel momento poteva sentire il sapore metallico sfiorarle la lingua.

«Così delicata, Hermione» sussurrò lui, con dolcezza. «Non sei riuscita a reagire allora, cosa credi che ti farebbe reagire, adesso?».

Nulla, avrebbe voluto rispondere lei. Se non era stata abbastanza forte quasi otto mesi prima, poteva sperare di esserlo in quel momento, senza Harry?

«Stai lontano da me, Mostro».

«L’hai detto anche a lui, vero?» la creatura continuò a girarle intorno, gli occhi di Ronald illuminati dalla stessa follia dei giorni dell’incidente. «Gli hai chiesto di fermarsi, di smetterla… se lui non l’ha fatto, perché dovrei farlo io?».

Il primo colpo le sembrò quasi di averlo meritato. L’ultimo la fece piangere di terrore.

Ronald Weasley era stato tutta la sua vita, eppure non era stato sufficiente, per lui. Lei non era mai stata nulla, se non una risorsa, una scusa. Un capro espiatorio. Niente più di un cervello ingombrante, inadatto alla sua visione del futuro, in cui lui sarebbe stato l’eroe. Niente più che un bel faccino da presentare alla famiglia, all’occorrenza.

Era davvero soltanto quello?

Il mio cervello riesce ad affascinare le persone, visto?

Non ho mai detto il contrario, mia cara.

Lei non era soltanto un bel faccino, non era qualcosa di ingombrante.

Tutti i Corvonero ti odiavano, Granger. Tu eri la migliore in tutto.

Non aveva bisogno che lui fosse il suo eroe, che lui controllasse la sua vita. Il suo ego ferito non l’avrebbe più toccata. Hermione non era da sola.

Questo non è il modo in cui avrei voluto baciarti per la prima volta.

«Perché io non ho paura di te».

Fece un passo avanti, fronteggiando nuovamente la creatura. Gli occhi azzurri di Ronald sembrarono brillare di qualcosa di innaturale, rivelando, a causa della sorpresa, uno stralcio della natura dell’essere che aveva rubato la loro forma.

«Sciocchezze» anche la voce cambiò, prendendo un tono stranamente sibilante. La creatura non sembrò curarsene, nonostante i capelli rossi avessero iniziato a ritirarsi verso il cranio e la pelle del viso, prima rosea, avesse assunto un colorito bluastro. «Tutti credono in me, tutti vedono in me la più grande delle loro follie». Il viso dai lineamenti spigolosi si sciolse, lasciando un capo serpentino fatto di carne in putrefazione e sangue nero. I vestiti sparirono, così come braccia e gambe, lasciando un corpo ben lontano dalle fattezze umane assunte fino a quel momento.

«Io non credo in te» lo sfidò Hermione momento.

ontano dalle fattezze umane un corpo da ino fatto di carne in putrefazione e sangue nero. l viso, . «Ho creduto tu esistessi, non posso negarlo» confessò quindi, con un sorriso quasi dolce, cominciando a camminare intorno alla bestia, non più spaventata. «Così perfetto, così simile ai miti antichi, capace di instillare la follia nelle persone e far vivere tutti in un’illusione, proprio come Dioniso».

«Io sono un Dio!» sibilò ancora la bestia, arretrando come se avesse voluto prendere la rincorsa ed attaccarla. «Io sono Dioniso! Io sono Bacco!».

«No, non lo sei» gli rispose lei, con una risata. «Ma hai giocato per così tanto tempo questo ruolo da non riuscire più a distinguere la realtà dalle tue illusioni. Te l’ho detto, eri riuscito a prenderti gioco anche di me, all’inizio, ma…» Hermione piegò la testa di lato, osservandolo. «Non hai considerato una cosa importante».

«Io sono un Dio! Io considero qualunque cosa sia degna di esser considerata!»

«Questo è il problema». Lei allargò le braccia, come se avesse voluto dimostrare qualcosa di ovvio. «È sempre così, non è vero? Ronald sottovalutava la mia intelligenza, convinto di essere migliore di me. Tu hai sottovalutato la mia forza, vedendo in me solo una sciocca ragazza. Ma io sono Hermione Granger e non ho paura di voi».

Con un sibilo furioso, la creatura si accasciò su se stessa, in agonia. Assunse tante forme, quasi fosse stata un Molliccio confuso. Da serpente divenne licantropo, da licantropo divenne un Inferius, poi ancora un ragno ed un cadavere dalla familiare cicatrice a forma di saetta. Infine divenne un mostro, enorme ed orribile, grande come un troll di montagna ma incredibilmente più spaventoso.

«Cosa mi stai facendo, stupida umana? Cosa sono io?».

«È curioso che tu me lo stia chiedendo, in effetti». Hermione sorrise, alzando la bacchetta. «Se non avessi usato Ronald, io non avrei mai compreso quanto tu fossi legato alla mia psiche. Se non avessi tentato di attaccare me, non avresti mai prodotto magie così forti».

La bacchetta iniziò a risplendere di una luce violacea, simile a quella che aveva illuminato gli occhi del dio Dioniso.

«No, no!».

«Tu sei un Tulpa, sei stato posto a guardia della Traccia ed hai sfruttato la fede cieca dei seguaci di Dioniso, nutrendo la loro follia ed aumentando il tuo potere sulla loro forza psichica. Ma poi sono arrivata io ed io sono geniale». Sorrise, pronunciando quella parola. Finalmente l’aveva capito, finalmente l’aveva accettato. Lei era incredibile. «La mia energia psichica è stata troppo, per te. Hai esagerato con il potere ed io ho capito chi sei».

La creatura la fissò con degli occhi vuoti, gli stessi occhi del troll che, quando aveva undici anni, tentò di ucciderla.

Il primo ostacolo. La prima volta che la sua genialità venne messa al servizio degli altri.

«No! Lasciami andare, strega! Non puoi…».

«Ti sbagli» la voce di Hermione divenne fredda, calcolatrice. La voce di una guerriera. «Io posso. Perché tu sei un Tulpa, esisti perché io ti sto permettendo di esistere. Ma adesso io penso che per ucciderti basterà uno schiantesimo».

«No! Fermati! Tu non sai con chi hai a che fare!».

«Stupeficium!».

Una nuvola di fumo fu tutto ciò che restò della creatura che per secoli si era nutrita dei discendenti delle menadi romane. Come quell’essere, anche l’illusione sparì ed Hermione si ritrovò da sola a fronteggiare uno specchio vuoto, incapace di riflettere la realtà ma non più popolato da mostri. Intorno a lei era sceso il silenzio, tutti coloro che avevano partecipato a quello strano rituale erano al suolo, privi di sensi per aver nutrito con la propria energia un essere millenario.

Avranno un gran mal di testa, domani.

«Reducio» pronunciò allora lei, consapevole di non poter essere scoperta, puntando la bacchetta contro la Traccia e portandola alle dimensioni uno specchietto da borsa. Lo staccò dalla parete e lo tenne stretto al petto, incamminandosi immediatamente fuori dalla stanza per raggiungere Malfoy e lasciare quel posto maledetto prima che fosse troppo tardi.

La sensazione di pura esaltazione che aveva provato nell’eliminare il Tulpa non la abbandonò neppure per un istante, così come il suo ritrovato orgoglio.

Perché lei era Hermione Granger, era un’eroina di guerra e nessuno l’avrebbe mai più fatta sentire inferiore senza il suo permesso.

Si fermò non appena mise un piede fuori dalla stanza, osservando quell’ammasso di corpi nudi e sporchi.

«Qualsiasi cosa tu abbia fatto, Granger» disse Malfoy, apparso improvvisamente al suo fianco, vestito di tutto punto ma con le guance ancora di un bel rosa intenso. «Non credo che loro ti ringrazierebbero». Si voltò ad osservarla, accennando alla piccola Traccia che teneva ancora stretta. «Mi sono disintossicato e sono corso qui, credevo potessi aver bisogno di aiuto, ma mi sbagliavo. Non che ci fossero dubbi, con quel cervello metteresti nel sacco anche Bacco stesso!».

Lei sorrise, gongolando leggermente all’idea che lui avesse trovato un modo per raggiungerla ed aiutarla, nonostante le sue precarie condizioni. «In effetti ho incontrato Bacco. O, quantomeno, la creatura che si spacciava per lui».

Lo sguardo confuso di Malfoy la divertì, ma mai quanto l’occhiata di disprezzo che poi dedicò alle persone presenti nella stanza. «Mi spiegherai tutto dopo, ormai è quasi l’alba e credo proprio di conoscere un luogo perfetto per fare colazione. C’è una visuale del Vaticano che è assolutamente favolosa» le disse, stringendosi nelle spalle. «Dopotutto, dobbiamo scoprire cosa nasconde quell’oggettino che hai recuperato con tanta fatica».

Hermione sorrise, alzando gli occhi al cielo. «Ma come, Malfoy, ti disturba la vista di corpi nudi? Ti facevo più disinibito!».

Lui le dedicò un’occhiata esasperata, posandole una mano dietro la schiena e spingendola verso l’uscita. «Non mi da fastidio la vista di corpi nudi, anche se alcuni di loro dovrebbero davvero fare più attività fisica» borbottò. «Ma non vorrei esser qui quando si sveglieranno e non troveranno più questo bel pezzo di arredamento».

Lei si voltò a guardarli per l’ultima volta. «Non so per quale motivo, ma credo che continueranno comunque ad esercitare questo strano culto. Immagino si divertano comunque… chi potrebbe mai criticarli?» disse, mentre lo seguiva fuori dalla stanza.

Malfoy ridacchiò, alzando gli occhi al cielo. «Queste ninfe ed altre genti sono allegre tuttavia. Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è» recitò, in italiano. «Non hanno nulla da perdere e tutto da guadagnare. Vuoi dar loro torto?».

Nulla da perdere e tutto da guadagnare.

Hermione sorrise, sentendosi finalmente se stessa.

«No, non posso dar loro torto».

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

Bentornata a casa, Hermione Granger!

 

Punti importanti:

 

» Questo è un capitolo concentrato quasi completamente su Hermione e sulla sua riconquista personale. Ho pensato fosse giunto il momento di mettere da parte, almeno parzialmente, i suoi traumi. Basta essere salvata, il suo cervello ha fatto tutto il lavoro! 

 

» La signora Weasley è davvero fuori di cocuzza. Non fatevi ingannare, quella donna è diventata psicotica dopo la guerra. Io la adoro, nei libri, senza orma di dubbio! Ma qui, in questo universo, la perdita di Fred l’ha stordita un bel po’. E diciamo che la questione Ron/Hermione non ha aiutato. Lei, diversamente dal figlio, è malata, non stronza.

 

» Hermione, Hermione... cosa ti avrà fatto mai, questo Ronald? Dovremmo ringraziarlo, in realtà, perché senza i suoi guai non sarebbe riuscita a sconfiggere il Tulpa! Ho dato qualche altro indizio su ciò che c’è stato fra loro, ma mi rendo conto di non aver spiegato ancora abbastanza!

 

» Il Tulpa è ripreso direttamente da Supernatural, uno dei miei telefilm preferiti. Sfortunatamente non ricordo con esattezza la puntata, ma se qualcuno la conoscesse potrebbe tranquillamente dirmelo!

 

» Ho fatto due volte riferimento a “Il trionfo di Bacco e Arianna”, perché ho ritenuto fosse incredibilmente pertinente, voi no?

 

 

 

 

Piccola informazione: il capitolo di lunedì 25 slitterà di una settimana, per vari impegni personali che mi impediranno di scrivere in questi giorni! Probabilmente darò maggiori dettagli su facebook!

  

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 15
*** Atto X - Parte I/ Seconde Possibilità. ***


Rosemary Crave somigliava incredibilmente a suo padre

Lo Specchio delle Anime.

 

 

Hotter than friction, subtle as sound
There’ll be no forgiveness when you come around
Oh these days, oh these days get heavy
I get older and life fades
But you remain
Open up again, I believe in second chances 

[Second Chances – Immagine Dragons]

        

        

Atto X – Parte I

Seconde possibilità.

 

 

Rosemary Crave somigliava incredibilmente a suo padre. Se anche non avesse saputo del loro legame, Draco non avrebbe impiegato molto tempo a notare la stessa scintilla nello sguardo o, per esser precisi, lo stesso macabro sorriso nel vederlo spuntare oltre la porta.

Gli sembrava sempre di esser un agnellino condotto all’altare sacrificale.

«Sei andato a trovare tuo padre?» gli chiese, non appena entrò, senza neppure dargli il tempo di salutarla, come avrebbe fatto ogni persona con un minimo di educazione. «Dovresti andare, a breve potrebbe arrivare tua madre ed avresti modo di parlargli un po’» aggiunse, il tono speranzoso di chi non doveva avere molte cose cui pensare, durante il giorno.

Draco si sentì un po’ un bastardo, quando si rese conto di aver accusato una povera ragazza malata di essere un’impicciona. Davvero non doveva avere nulla di meglio da fare e non era di certo una sua scelta. Se non fosse stato per quelli come lui, per i Mangiamorte, Rosemary sarebbe stata libera di vivere la sua vita al meglio, come tutte le ventenni del mondo.

«Non credo proprio che andrò a trovarlo» ammise, togliendosi il cappotto ed accomodandosi nell’unica poltrona della camera. «Sono certo che mia madre ha molto cari quei pochi minuti che le sono concessi con lui. Non vorrei mai sottrarglieli».

«Io credo che lei sarebbe molto felice di perdere quei minuti, per darti a te» gli rispose immediatamente la ragazza, portandosi una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio. Gli occhi azzurri erano ridotti a delle fessure cariche di sarcasmo. «Ma immagino che tu abbia troppa paura per accettare quel piccolo regalo, non è vero? Dev’essere difficile andare oltre tutti quei pregiudizi che ti sei costruito contro di lui…» il suo sorriso si allargò, crudele. «Continuare ad incolparlo per un futuro che ti sarebbe toccato comunque è più semplice, immagino. Meno sensi di colpa?».

Lui si ritrovò a ghignare, alzando gli occhi al cielo. «Sai, ci sono momenti in cui mi sembra di dimenticare chi sia tuo padre. Tu sei incredibilmente brava a ricordarmelo» le disse, allegro. Allungò le gambe davanti a sé, rilassando i muscoli delle cosce. Dopo esser stato avvelenato, pochi giorni prima, ed aver fatto ricorso alla pozione rilassante che aveva trovato nella scatola regalatagli da Blaise, gli era risultato alquanto complicato camminare per lunghi tratti senza sentire affaticamento ai muscoli.

Capace di calmare un cavallo, gli aveva detto il suo amico.

Sarebbe stato carino, da parte sua, avvisarlo degli effetti collaterali.

Rosemary rise, stringendosi nelle spalle. «Diversamente da te, io sono molto fiera del mio papà». I suoi occhi si assottigliarono nuovamente, lasciando che le ciglia scure inquinassero quell’azzurro perfetto. «Non hai risposto alla mia domanda, però. Hai paura di parlare con tuo padre? Sei troppo vigliacco per accettare le conseguenze che quelle rivelazioni avrebbero per te?».

Anche Draco rise, esasperato. «Mi dispiace deluderti, Crave, ma io ero un Serpeverde, non un idiota Grifondoro. Non siamo noi quelli fissati con l’onore e con il desiderio di apparire più coraggiosi di quello che in realtà non siamo». Le fece l’occhiolino, passandosi una mano fra i capelli. «Non mi spingerai ad andare da mio padre tentando di farmi passare per vigliacco, non funziona così per me».

La ragazza annuì, come se avesse già sostenuto quella discussione più di una volta. «Ah, siete tutti uguali, fissati con questa storia dei Grifondoro accecati dal desiderio di gloria ed avventura». Sbuffò, poggiandosi nuovamente ai guanciali che il suo elfo le aveva sistemato alle spalle. «Soltanto perché ero una Grifondoro non significa certo che io non possa capire come vi sentite».

«Siamo troppo diversi, non esistono punti d’incontro». La risposta fu molto più aspra di quanto lui avesse voluto, come se qualcosa, in lui, avesse iniziato a sputare veleno. «Grifondoro e Serpeverde, come il giorno e la notte».

«Anche il giorno e la notte si incontrano, per ben due volte in una giornata» gli fece notare la ragazza, con un gran sorriso, alzando due dita per rendere più chiaro il concetto. «Alba e tramonto sono i momenti che più preferisco, i più romantici». La sua voce divenne improvvisamente più interessata, più calda. «Ma tu sembri molto convinto di quello che dici. Hai avuto recente motivo di discordia con un Grifondoro, forse?». Si fermò per un momento, come se avesse voluto dare il giusto peso alle sue parole successive. «Oppure con una Grifondoro?».

Era caduto in una trappola.

«Non giocare con me, Rosemary Crave» la ammonì, lanciandole un’occhiata storta. Restò in silenzio per qualche istante, valutando le reazioni di lei – quel sorrisino non sembrava voler svanire – e, soprattutto, ciò che aveva iniziato ad agitarglisi nello stomaco. Lui voleva parlare. «Come hai fatto a capirlo? Non ho ancora parlato con tuo padre».

Lei si strinse nelle spalle, noncurante. «Solo perché ho trascorso gli ultimi sei anni chiusa in un ospedale, non significa che io non abbia il sesto senso femminile di tutte le altre» gli disse, tranquilla. «So bene che stai lavorando ad un caso con Hermione Granger e mi ricordo fin troppo bene che durante il mio primo anno lei ti ha schiaffeggiato».

Draco si accigliò, trattenendo a stento un sorriso. «Oltre ad essere curioso sul perché tu conosca quell’infausto episodio, mi sembra abbastanza strano che tu lo consideri una giustificazione per questo mio… problema». Si piegò in avanti, come se fosse sul punto di rivelarle un segreto. «Dimmi la verità… tu e tuo padre mi avete fatto spiare? Oltre ad avvelenarmi, adesso tenta anche di pedinarmi?».

La risata che scosse la ragazza la fece tossire e, con orrore, Draco scorse del sangue sulle sue labbra, nonostante la velocità con cui lei lo pulì via. Avrebbe dovuto star attento, il dottore l’avrebbe ucciso se si fosse sentita male in sua presenza o, peggio ancora, per colpa sua.

«Papà mi ha raccontato qualcosa dei suoi esperimenti su di te» ammise, ancora scossa da qualche tremito. «Ritiene che tu abbia delle reazioni molto singolari, perfette per esser registrate. Dopotutto, è uno scienziato, sperimentare e registrare sono parte del suo normale modo di fare». I suoi occhi indugiarono sul tavolo alla sua sinistra, ricolmo di libri e fogli ricoperti da appunti. «Quando ero bambina e veniva a trovarmi a casa dei nonni, mi metteva davanti a dei libri sugli animali e mi diceva di studiarli, così da grande sarei diventata una ricercatrice come lui». Abbassò lo sguardo, un sorriso triste ad incurvarle le belle labbra pallide. «Credeva fossi troppo spericolata per studiare Medimagia ma troppo amante della biologia per abbandonare del tutto, così ha optato per la Magizoologia».

Draco accennò una risata. «Tutto quel parlare di libertà e volontà, poi ha tentato di costringere sua figlia a seguire una strada stabilita da lui» alzò gli occhi chiari su di lei, trovandola con un’espressione divertita stampata in viso. «Un comportamento tutt’altro che coerente, non credi anche tu?».

Lei scosse il capo. «Lui ha soltanto capito qual era la mia strada» spiegò, indicando l’enorme quantità di foto di animali alle sue spalle. «Io volevo diventare esperta di creature, lui non ha fatto altro che assecondarmi. Mi ha anche portata a conoscere Newt Scamandro, sai? Avevo tredici anni». Si allungò di lato, prendendo in mano una copia di Animali Fantastici. «Papà gli ha chiesto di darmi delle lezioni private, ma lui ha detto che sarebbe stato più intelligente aspettare la fine di Hogwarts, per avere più tempo…» la sua voce si incrinò per un istante soltanto. «Evidentemente non era destino che succedesse. Non a me».

Se fosse stato un altro, Draco sarebbe rimasto in religioso silenzio ed avrebbe fatto di tutto per non guardarla in viso, non dopo un’affermazione simile.

«Puoi ancora studiare, anche se non…» fece un gesto vago, incapace di trovare le parole adatte a rappresentare la vastità delle opportunità che le erano precluse. «Puoi comunque conoscere le creature, non credi? Puoi aggirare il destino».

Rosemary gli puntò contro gli occhi chiarissimi. «Predichi bene e razzoli male, Malfoy? Tu non puoi combattere questo fantomatico destino? Non ho dimenticato la mia domanda, devi ancora parlarmi dei tuoi problemi di cuore».

«Non sono problemi di cuore» la sua stizza fu evidente nel tono della voce. «Io non provo nulla che riguarda il cuore, non verso di lei».

«Non la ritieni alla tua altezza, forse? Eppure credevo avessi superato la tua fase da stronzo razzista» sdegnata, lei gli lanciò contro uno dei mille piccoli cuscini che le erano stati sistemati dietro le spalle per aiutarla a mantenere una posizione il più rigida possibile. «Andiamo, non puoi davvero credere-».

«Non è così, sciocca ragazzina che non sei altra» la interruppe, forse un po’ troppo bruscamente, alzandosi in piedi con uno scatto nervoso. Si passò la mano fra i capelli, fortunatamente non più pieni di quella disgustosa gelatina appiccicosa. «Io non credo che lei sia inferiore a me, forse l’opposto». Le lanciò un’occhiataccia. «Tu questo lo sai, non è vero? Tuo padre te l’avrà già detto. Sì, soffro di uno stupido complesso di inferiorità. Non ho bisogno della predica!».

Lo sguardo che Rosemary gli dedicò avrebbe fatto applaudire d’orgoglio la professoressa McGranitt. «Non hai bisogno di una predica, avresti bisogno di una sculacciata!» sbottò, sinceramente infastidita. «Che razza di modi sono, questi? Sono certa che tua madre ti avrà insegnato a parlare con una ragazza, soprattutto una sulla sedia a rotelle!».

Draco non si fece intimidire, quell’atteggiamento era troppo simile a quello del dottore per spaventarlo. Fu un po’ come aver lui davanti, sprovvisto di barba, pizzetto e baffi. E con un visino molto più delicato e gradevole.

«In questo momento non sei sulla sedia a rotelle, Rosemary, quindi non puoi farmi sentire in colpa!».

«Se proprio lo vuoi posso chiedere a Downey di farmici sedere!».

Si guardarono in cagnesco per qualche istante, prima che un sorriso identico spuntasse sulle labbra di entrambi.

«Non volevo farti la predica, solo… non capisco per quale motivo non credi di poterti permettere sentimenti verso di lei. Sei un bell’uomo, sei molto più gentile di quanto tu non sia mai stato a scuola…» piegò la testa di lato, confusa. «Non dico che tu sia il partito ideale, ma soltanto una donna cieca non ci farebbe un pensierino».

Draco accennò un sorriso, tornando a sedersi e rilassandosi contro lo schienale. «Sono molto più che un bell’uomo e molte delle purosangue d’alta classe mi considerano il partito ideale, nonostante i trascorsi della mia famiglia» rettificò, ignorando l’espressione esasperata della ragazza. «Ma non lei. Lei non riuscirebbe mai ad andare oltre il mio passato. Dopotutto, sono il nipote della donna che l’ha torturata».

«Anche il figlioccio di Harry Potter lo è, vero?» gli fece notare Rosemary. «Ted Lupin, credo si chiami così. Mio padre ha aiutato sua nonna poco dopo la Guerra. La signora Tonks è la sorella di tua madre e di Bellatrix Lestrange, no?».

Lui annuì, senza riuscire ad impedire a se stesso di sorridere leggermente. «Sì, Andromeda è mia zia, abbiamo riallacciato i rapporti dopo…» si fermò un momento, grattandosi la punta del naso. «Diciamo dopo la Battaglia di Hogwarts. Non è stata una riappacificazione veloce, ma immagino che la relativa dipartita di mio padre abbia aiutato moltissimo. Dubito che, con lui presente, quel bambino tanto strano sarebbe entrato in casa nostra».

«Bambino tanto strano…» il tono della ragazza si ammorbidì incredibilmente, ripetendo quelle parole. «Sai, per qualche momento ho temuto che, nel profondo del tuo cuore, tu non fossi cambiato davvero. Temevo che fossi rimasto lo stesso idiota fissato con il sangue».

Draco si accigliò. «Ed ora hai cambiato idea? Cos’ho fatto?».

«Avresti davvero definito un mezzosangue e mezzo-licantropo come un bambino tanto strano? Pensaci bene, prima di rispondermi. Avresti davvero usato quell’appellativo?».

No, Draco non dovette riflettere per realizzare che non sarebbero state quelle le sue parole.

Mostro.

Scherzo della natura.

Bestia immonda.

«Comunque è un ragazzino molto fastidioso. Non fa che attaccarsi alle mie gambe e chiedermi di mostrargli cose» si limitò a dire, incrociando le braccia al petto. «Davvero irritante».

«Probabilmente significa che sei la persona più interessante che abbia vicino» Rosemary sorrise, facendogli l’occhiolino. «Più interessante di Harry Potter».

Contrariamente a quanto chiunque si sarebbe aspettato, Draco non si mostrò felice di quell’osservazione, tutt’altro. «Mai abbastanza interessante per Hermione Granger, a quanto pare». Alzò gli occhi sulla ragazza, inspirando e trattenendo il respiro per qualche istante. Poi, come se si fosse deciso, si sgonfiò. «L’ho baciata, l’ultima volta».

Gli occhi chiari di Rosemary si assottigliarono pericolosamente. «Ma sei ancora vivo, quindi lei non ha reagito male, no?».

Draco scosse il capo, con un sospiro. «Non ha reagito affatto. Non dico di aver sperato in una reazione immediata, anche perché ero sotto l’effetto di un afrodisiaco e non sarei stato in me… ma lei non ha fatto assolutamente nulla, capisci? Nulla. Mi ha dato le spalle ed è uscita. Quando mi sono ripreso… non ha accennato a quello che era successo, si è limitata a fare il suo lavoro ed andare via. Nulla di più». Strinse le labbra, per poi alzarsi in piedi. «È stata molto chiara. Lavoro e basta, come è giusto che sia. Devo essermi fatto trascinare da qualche strano impulso romantico che non credevo di avere».

«Oppure, brutto presuntuoso che non sei altro» la voce del Dottor Crave arrivò direttamente dalle sue spalle, un attimo prima che l’uomo chiudesse la porta della camera e lo fulminasse con i suoi occhi scuri. «potrebbe aver ritenuto quel bacio come il logico effetto di un afrodisiaco, piuttosto che manifestazione della tua volontà. Ho idea che tu non abbia spiegato quanto sia stato intenzionale quel gesto».

Draco squadrò il suo psicologo con attenzione, mente lui si avvicinava alla figlia per accarezzarle il viso e sfiorarle la tempia con un bacio. C’era una delicatezza, in quei gesti, che per un attimo gli strinse le stomaco in una morsa. Ogni singolo movimento di quell’uomo trasmetteva una devozione ed un terrore immensi. Sembrava quasi che temesse di veder sparire in una nuvola di fumo il suo tesoro più grande.

In un certo senso, il suo timore era reale.

«Avrebbe potuto parlarmene. Chiedermi cosa ne pensassi al riguardo». Il tono di Draco era acido, ma improvvisamente più dubbioso. Che il dottore avesse trovato il modo di farlo davvero riflettere?

«Non sopravvalutare la paura del rifiuto. Dalle una seconda possibilità, Malfoy, e magari riuscirai ad ottenere la reazione che tanto desideri».

 «Stavo appunto per dirglielo» Rosemary sorrise al padre, voltandosi subito verso Draco. «Anch’io avrei fatto finta di nulla, se fossi stata certa di non esser ricambiata. Eri stato avvelenato, probabilmente saresti saltato addosso alla prima banshee in circolazione! Prova a fare un altro passo avanti, datti un’altra possibilità, e magari…».

«Rose» il tono del dottore era secco, duro, i suoi occhi improvvisamente severi. «Non nominare quelle creature, lo sai che non mi piace» la riprese, togliendosi la giacca e fronteggiando Malfoy. «Quanto a te… ti consiglio di raggiungere tua madre nell’altra stanza o di trovarti qualcosa da fare, preferirei restare da solo con mia figlia. Ti vedrò domani pomeriggio, nel nostro appuntamento settimanale».

In poche parole, levati dalle palle.

«Sei sgarbato, papà» la ragazza fulminò suo padre, alzando gli occhi al cielo. «Scusalo, ma non gli piace sentirmi nominare quelle creature. La nonna era irlandese, lui è un po’ traumatizzato al riguardo. Spero comunque che tornerai a trovarmi!» aggiunse, notando come Draco si fosse sbrigato ad avvicinarsi alla porta per uscire.

«Magari dopo la prossima missione» concordò Malfoy, con un leggero sorriso verso la ragazza. «Domani ne parlerò ancora con lei, dottore, e ascolterò con attenzione le sue ipotesi al riguardo. Dopotutto è per questo motivo che la pago profumatamente».

«Dove sarà la prossima missione?» domandò Crave, sedendosi nella poltrona occupata fino a quel momento da Draco. Fra le mani aveva un libro dall’aria consumata e molto, molto pesante.

«Istanbul».

 

***

 

«Istanbul?».

Gli occhi di Ginny erano arrossati dalla stanchezza, ma lei sembrava sopportare quel peso con impeccabile stoicità. Aveva trascorso la notte in ospedale, con Harry, ma era stata ben lieta di lasciare il posto a Dean, giunto quella mattina subito dopo aver finito il suo turno. Lui e gli altri Auror della squadra erano stati di grandissimo aiuto per la ragazza, consentendole di riposare nelle pause fra il lavoro e le visite al fidanzato.

Anche in quel momento un paio di loro si aggiravano come fantasmi stanchi per le stanze di Grimmauld Place, alcuni in pigiama ed altri con la divisa, pronti a raggiungere le rispettive destinazioni.

Era stato il sostituto di Harry, Seamus, a decidere che dovesse sempre esserci qualcuno con Ginny, ovunque si trovasse. Dal suo punto di vista, ciò che era successo al vecchio amico era un attacco non troppo velato alla sua vita e doveva essere trattato come tale. Nonostante l’opposizione inspiegabile del Ministero, era riuscito ad organizzare dei turni di controllo clandestini così da tenere sott’occhio sia Harry che Ginny. Aveva tentato di imporre la scorta anche ad Hermione, ma lei era stata molto più decisa nel rifiutare. Dopotutto, era un’Inquisitrice ed aveva una posizione ben superiore a quella dell’irlandese nella gerarchia del Ministero.

«Bel posticino, ci sono stato un paio di anni fa» fu proprio Seamus a parlare, passandosi una mano fra i capelli color sabbia prima di soffocare malamente uno sbadiglio. Aveva avuto il turno di notte ma si era comunque presentato a Casa Potter per conoscere le ultime notizie su Harry. Probabilmente sarebbe rimasto con Ginny per il resto della mattinata. «Un sacco di edifici decorati, non sono proprio il mio genere».

«Il tuo genere è una birreria, Seamus» gli rispose Hermione, con una risatina, ignorando i commenti indignati dell’altro su quanto gli inglesi fossero prevenuti nei confronti degli irlandesi. «Comunque sì, Istanbul. L’indizio della Traccia è stato abbastanza chiaro».

Aveva raccontato della missione al nuovo Capo poco dopo esser tornata dall’Italia, convinta che un aiuto da parte sua sarebbe stato particolarmente utile. Si fidava di lui come di pochissime persone. Negli ultimi mesi era stato una presenza rassicurante per lei ed Harry, aiutando quest’ultimo a risolvere la questione Ronald con la massima discrezione. Oltretutto, essendo momentaneamente a capo di tutto l’Ufficio Auror, avrebbe potuto aver bisogno del suo intervento in veste ufficiale.

«Cos’avete visto?» le chiese Ginny, mescolando distrattamente la sua tazza di tè, mentre sondava il contenuto della scatola di biscotti che Andromeda Tonks aveva mandato quella mattina. C’era anche un disegno da parte di Teddy che Hermione aveva visto appuntato al muro. Quelle linee pasticciate – non aveva preso nulla dell’ordine maniacale del padre – le avevano scaldato il cuore, ricordandole il motivo per cui tutte le loro sofferenze avevano un senso.

Quei bambini dovevano avere un mondo migliore.

«All’inizio è stato tutto molto confuso» mormorò lei, poggiando le spalle alla sedia. «La solita nuvola di fumo oscuro. Poi si è… plasmata, è diventata un’aquila. E l’aquila si è divisa in due uccellini e l’uccellino di destra è caduto».

«Uccellini». Il tono di Seamus era incredulo, mentre seppelliva il viso dietro una tazza di caffè. «E dagli uccellini sei arrivata ad Istanbul, Hermione? Sei più eccezionale di quanto credessi».

Ginny lo zittì assestandogli un pugno sulla spalla. «Sta’ zitto, idiota. Solo perché tu sei un imbecille, non significa che siano tutti come te».

«Oh, certo, perché tu hai capito, non è vero?».

«Questo è irrilevante».

Hermione li osservò in silenzio per qualche istante, sentendo una morsa al cuore. Era cose trovarsi davanti Ginny e Ron adolescenti, presi dai loro battibecchi tra fratelli. Ma Seamus non era Ronald e Ginny non era più una bambina.

Era cambiato tutto.

«L’uccellino superstite era debole, ma resisteva, cresceva. E allora anche l’altro uccellino tornò in vita, ma era un’aquila a due teste e provò a mangiare il suo avversario» riprese a raccontare, gli occhi puntati nel vuoto, totalmente presa dai ricordi. «Però l’uccellino sfuggì al suo predatore e continuò a volare, lontano da noi, finché entrambi caddero e si dissolsero come nebbia».

«A costo di essere ripetitivo… come hai collegato gli uccellini ad Istanbul?» Seamus era sempre più sconvolto, la tazza di caffè ancora intatta. «Davvero, Hermione, hai praticamente collegato i Troll alle banane!».

«Questa volta sono d’accordo con lui» anche Ginny appariva confusa, le braccia incrociate al petto. «Credevo ci fossero più indizi, come hai fatto a ricollegare degli uccellini ad Istanbul?».

«È la storia dell’Impero Romano, non è evidente?».

Una voce dal forte accento scozzese fece voltare i tre occupanti della cucina verso l’ingresso. Lì, con ancora indosso una vestaglia di flanella, stava una giovane donna dai lunghi capelli neri e con profondi occhi scuri. Hermione dovette riflettere qualche istante prima di riconoscere Merrick Rosier, una degli Auror di Harry.

Il terrore che avesse sentito o capito più di quanto fosse lecito la fece sbiancare.

«Non preoccuparti, Hermione, lei sa tutto». Imbarazzato, Seamus si passò la mano fra i capelli, guardando storto la vecchia compagna di scuola. «Merry è la legilimante del gruppo, non esiste segreto che si possa tenere con lei».

Lo sguardo confuso della strega fece ridere la nuova arrivata.

«Non uso la legilimanzia su tutti, Miss Granger, non si preoccupi» la rassicurò, girando intorno al tavolo per prendere posto accanto a Seamus. «Devo addestrarlo, è una delle condizioni per la sua promozione. Il Capo Potter era un asso, mentre lui…» lasciò in sospeso la frase, lanciando un’occhiata significativa al sostituto di Harry, che arrossì.

«Sii sincera, Merry» tutto rosso in viso, Seamus le lanciò un’occhiata storta. «Ti piace usare la legilimanzia su di me, così puoi dare un’occhiata a tutti i pensieri sconci che faccio su di te».

«Per quello basterebbe guardarti in faccia mentre mi fissi, Finnegan» ribatté lei, con uno sbuffo divertito. «Comunque stava parlando dell’Impero Romano, vero, Miss Granger? L’aquila era l’emblema, immagino che gli uccellini rappresentino la separazione in Oriente ed Occidente».

I suoi occhi scuri erano curiosi, ma impenetrabili. Per una qualche ragione, Hermione sentì di potersi fidare, come se esistesse qualcosa che le accomunasse, qualcosa che riuscisse a renderle incredibilmente simili. Poteva fidarsi di una sua simile.

L’Inquisitrice annuì. «Quella è la mia teoria. L’uccellino superstite immagino sia stato l’Impero d’Oriente, quello rinato dev’essere l’Occidente carolingio. Dopo la separazione c’è stato un solo momento in cui sono quasi riusciti a toccarsi, prima di separarsi nuovamente, ed è stato quando il Papa tentò di organizzare il matrimonio fra Carlo Magno e l’Imperatrice Irene d’Atene, sovrana dell’Impero d’Oriente».

«Le trattative non sono mai state concluse». Merrick piegò il capo di lato, accigliata. «Irene era una strega, non accettò la proposta del Papa di abbandonare la magia per diventare sovrana di tutto l’Impero. In una lettera confidò a sua cugina di non riuscire a sacrificare quella parte di sé per avere tutto il potere. Immagino che avesse ottenuto abbastanza, fino a quel momento. La morte del marito, il colpo di stato… è un peccato che sia finito tutto tanto velocemente».

Quel particolare catturò l’attenzione di Ginny. «Velocemente, dici?» i suoi occhi scuri si puntarono su Hermione. «Qual era l’effetto dello Specchio? Grande potere…».

«E veloce disgrazia» concluse Hermione, annuendo. «Ritengo che Irene abbia tenuto con sé lo specchio, prima di cederlo a Carlo Magno durante le trattative per il matrimonio. Ma lui era un babbano, bigotto riguardo la magia. Probabilmente l’ha ceduto al Papa e da lì…».

«Da lì dev’essere rimasto nascosto fino a Bonifacio VIII, stando a quello che mi hai detto». Ginny sorrise, con uno sguardo ammirato. «Tutto torna, non credi anche tu?» guardò Merrick, che annuì. «Sai, Herm, la signorina Rosier è un’appassionata di storia della Magia, ancora mi chiedo cosa ci faccia nell’Ufficio Auror».

«Non è ovvio?» Seamus sorrise, facendo l’occhiolino alla storica in questione. «Si è unita a noi per passare più tempo con me!». Tre versi sprezzanti accolsero quella sua affermazione, facendolo arrossire fino alla radice dei capelli color sabbia. «Comunque, Istanbul è una grande città. Come saprete da dove iniziare?» chiese, schiarendosi la voce. «Gli uccellini hanno suggerito qualcosa?».

Hermione scosse il capo, con un sospiro. «Malfoy crede di saper trovare una via» spiegò, stringendosi nelle spalle. «Vedremo se ci riuscirà».

«Ti fidi di lui». Il tono di Seamus lasciava bene intendere che la sua non fosse una domanda. Era certo di ciò che aveva detto. «Questo è un gran cambiamento. Meno di una settimana fa non gli avresti affidato una caramella, oggi gli affidi la riuscita della missione».

«Alcune persone meritano una seconda possibilità». Afferrò un biscotto dalla scatola, senza tuttavia mangiarlo. Si ritrovò incredibilmente affascinata dall’intricata decorazione. «Se si possono cancellare, allora alcuni errori possono essere riparati. Non esiste il perdono, ma… seconde possibilità».

«Stai parlando di lui, oppure stai parlando di te?» gli occhi di Merrick sembrarono sondarle l’anima, tanto erano profondi ed impenetrabili.

Hermione sorrise, sostenendo il suo sguardo.

«Forse sto parlando di entrambi».

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

Buon sangue non mente, evidentemente Draco adora parlare con i Crave!

 

Punti importanti:

 

» Io adoro Rosemary ed amo vederla interagire con suo padre. Il loro è un rapporto incredibilmente profondo, segnato da molta sofferenza. Con nessuno lui si comporterebbe in quel modo. La loro mente ragiona allo stesso modo, entrambi sono affascinati da Draco. Magari riusciranno a farlo comportare come una persona seria!

 

» La Banshee, come credo si sappia, è una creatura della mitologia irlandese considerata un’annunciatrice della morte. Secondo le leggende, quando un esponente di una famiglia (irlandese) muore, la banshee di fiducia lancia un urlo terrificante. Il dottore è un uomo di cultura, ma il terrore di sentire quell’urlo gli rende insopportabile anche la sola idea di sentir nominare quelle creature.

 

» Seamus è Capo Auror in attesa di Harry e, come tale, si occupa di gestire i turni. Avendo imparato la lezione il quinto anno, ha capito che è sempre meglio un po’ di sicurezza in più che in meno, mettendo sia Ginny che Harry sotto scorta. Gli Auror in questione, però, sono solo quelli non in servizio, così da non informare il Ministero. Che Seamus sia diventato un po’ come Malocchio Moody, fissato con la vigilanza costante? Forse, ma io non posso dargli torto.

 

» Merrick Rosier è il mio ennesimo OC, l’ho inserita in questo capitolo perché dovevo un po’ vederla interagire. Quasi sicuramente apparirà in una fanfiction che ho intenzione di scrivere per un concorso sul forum (The Darkness Within). Posso anticipare che sarà parecchio catastrofico come setting.

 

» La storia degli uccellini è stata assolutamente improvvisata, mi rendo conto che il mio ragionamento sia stato praticamente assurdo. Perdonatemi, ma non è per niente facile elaborare questi stupidi indizi.

 

» Quanto a Carlo Magno e Irene d’Atene, il loro matrimonio fallito è esistito davvero. È stato un tentativo del Papa di riunire Oriente ed Occidente, ma non ha avuto seguito, soprattutto perché Irene è stata deposta dopo poco tempo.

 

 

 

 

Ho deciso di pubblicare oggi, avendo già ritardato la settimana scorsa! Il prossimo capitolo arriverà verso la fine della settimana prossima, altrimenti lunedì 9! Ma spero davvero di riuscire ad anticipare, così da non perdere altro tempo.

  

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 16
*** Atto X - Parte II/ Di pozioni e incantesimi ***


«Mittens, per l’amor di Merlino

Lo Specchio delle Anime.

 

 

 

I put a spell on you

‘cause you’re mine.

 

[Annie Lennox – I put a spell on you]        

        

 

Atto X – Parte II

Di pozioni e incantesimi.

 

 

«Blaise, per l’amor di Merlino, ma devi portartela dietro ovunque tu vada?».

Lo sguardo che la giovane donna gli dedicò avrebbe fatto raggelare chiunque, ma il rampollo Malfoy era cresciuto con Severus Piton come padrino: niente lo avrebbe mai fatto pietrificare. Di certo non un metro e mezzo di mezzosangue con evidenti problemi di autocontrollo.

Il suo migliore amico – poteva essere definito tale, dopo tutti quegli anni? – gli dedicò un’occhiata estremamente sardonica, per poi sorridere alla futura moglie. «Dove vado io, la mia signora è libera di venire» disse, pomposo, baciandole il dorso della mano sinistra, su cui svettava l’anello di fidanzamento.

Draco lasciò andare un grugnito incredulo. «Sottomesso in modo così disgustoso e ancora non capisco come. Ti ha forse avvelenato? Le sue qualità da pozionista ed  alchimista sono innegabili. Da ragazzini ti ha fatto bere qualcosa di strano?».

La giovane non rispose, limitandosi ad assestare un calcio ben piazzato nello stinco del biondo, per poi rifugiarsi accanto al fidanzato, lo sguardo truce ancora fermo nella sua decisione.

«Merlino! Come può una cosa così piccola calciare così forte?».

«Ah, sai com’è, bevo molto latte, ho le ossa forti» gli rispose Laurie, facendogli una smorfia. Blaise le aveva amorevolmente passato un braccio intorno alle spalle, senza rimanerne fulminato. «Evita di parlare di me come se fossi una bestia selvatica, Malfoy, senza me e Blaise dubito che riusciresti a stare in piedi per più di quindici minuti alla volta».

«Laurie, amore, non credo sia necessario ricordarglielo. Dopotutto, Draco ci ha prestato molti libri che appartengono ai Malfoy da generazioni» le disse il moro, dandole dei colpetti sulla mano, con un tono bonario che fece rabbrividire l’amico.

«Tu davvero fai sesso con quella… cosa?» gli domandò, nauseato, buttando giù d’un sol colpo il contenuto del proprio bicchiere. Whisky incendiario risalente al 1789, annata terribile per i reali d’Europa ma perfetta per gli alcolici invecchiati. Doveva essere una delle bottiglie migliori di Madama Rosmerta, Blaise aveva fatto in modo che dovesse sborsare una bella cifra per quella serata in amichevole compagnia.

Tipico.

Il moro, in risposa, alzò il suo bicchiere come se avesse voluto proporre un brindisi. «Merlino piacendo, amico mio, me la sposerò fra un paio di mesi e farò un sacco di bei bambini, carismatici come il padre ed intelligenti come la madre».

«Incrocio fra uomo e rottweiler, dev’essere interessante. Credo di aver letto qualcosa in delle vecchie leggende…» azzardò Malfoy, schivando per un pelo l’ennesimo calcio. «Quando sei permalosa, Jones. Non è Blaise a darti del cane, ogni giorno?».

«Io la chiamo piccola rottweiler in modo affettuoso, non è certo un’offesa alla sua persona e neppure un riferimento poco gratificante alle qualità legate generalmente ai cani di sesso femminile*» si affrettò a spiegare Blaise, accigliato, stringendo la presa sulle spalle della compagna. Per una qualche ragione, Draco si convinse che lui la stesse trattenendo dal saltargli alla gola.

Pericolosa.

«Non è per discutere della vostra curiosa vita sessuale che siamo qui, comunque. Lei non è invitata nella conversazione» si sbrigò a specificare, schiarendosi la voce e versandosi un altro bicchiere di whisky. Era il terzo? Il quarto? Non gli importava più di tanto. Lo scopo della serata era ubriacarsi e dimenticare tutti i pensieri che gli affollavano il cervello.

Dopo averne discusso con Blaise, naturalmente.

«Hai ragione, non ho interesse nell’ascoltare i tuoi lamenti da principino» concordò lei, annuendo ed alzandosi in piedi. «Vado a parlare con Juniper Higgins, la responsabile di un gruppo di ricerca al Ministero, è interessata ad alcune mie combinazioni». Diede un bacio a stampo al fidanzato, mormorandogli qualcosa che lo fece sorridere così dolcemente da far stringere lo stomaco di Draco.

In quel momento, avrebbe voluto essere al posto di Blaise. Non perché provasse una qualche attrazione per quella sottospecie di piccolo troll di montagna, ma quell’intimità, quell’affetto innegabile… Draco non aveva mai avuto nulla di simile e, per la prima volta, lo desiderò ardentemente, con ogni fibra del suo essere.

Salutata la fidanzata, Blaise abbassò gli occhi sul platinato amico. «Allora, cos’hai? Hai fatto fuori mezza bottiglia di Whisky in meno di un’ora. Non succedeva da quella volta in cui non sapevi se accettare il tuo primo lavoro, ergo, stiamo parlando di una questione di particolare importanza per il tuo futuro. Di cosa si tratta?» domandò, poggiando la schiena al divanetto ed accavallando le gambe con la sua solita aria da principe annoiato. Lui non aveva bevuto più di un bicchiere, cosa alquanto strana, ma Draco non se ne preoccupò più di tanto.

«Sono… indeciso» confessò lui, stringendo le labbra, prima di prendere un altro sorso. «Ancora una volta, non so se fare la cosa giusta o…» si accigliò, non sapendo come continuare.

«Oppure?».

Draco posò il bicchiere, sospirando. «Oppure la cosa corretta. Avrei voluto dire sbagliata, ma in realtà non credo che lo sia. Non esiste giusto o sbagliato, riguardo certe cose» ammise, senza avere il coraggio di guardare in faccia l’amico. Ciò che disse dopo non avrebbe avuto molto senso, per Blaise, ma lui non riuscì a trattenersi. «Come… come hai fatto a finire con Laurie? Cosa vi siete detti? Come…» fece un cenno vago con la mano, non sapendo bene come continuare. «Come hai fatto a capire di volerla solo per te?».

Diversamente da quanto lui si sarebbe aspettato, Blaise non lo guardò come se fosse pazzo. Lo osservò con occhi curiosi, quello sì, ma nulla di più. «Mi aspettavo questa domanda, sai? Ma credevo che ci saresti arrivato fra un po’ di tempo, magari alla fine di tutti questi guai con la missione».

Punto sul vivo, Draco scattò come se qualcosa l’avesse punto. «Cosa vuoi dire? Io non… tu… non sono certo curioso riguardo la vostra… la tua…».

«Non agitarti, Draco, non ho intenzione di dire in giro che il nostro scapolo d’oro sta pensando di accasarsi» lo calmò, alzando la mano per impedirgli di continuare. «Lo so che non sei ancora arrivato a quel punto, rilassati. Ma non puoi negare che certi pensierini ti siano passati per la testa».

Malfoy restò in silenzio per qualche istante, ripensando alla discussione avuta con i Crave quella mattina.

Poteva negare di aver pensato a qualcosa di un po’ più duraturo di un bacio, dopo aver lasciato quella stanza d’ospedale?

No, non poteva. Non dopo aver realizzato di avere il dovere morale di vivere la vita che quella ragazza non avrebbe mai vissuto ma che aveva fatto di tutto affinché lui potesse. Se avesse buttato alle ortiche quella possibilità, Rosemary Crave sarebbe uscita dall’ospedale per ucciderlo con le proprie delicate manine di fata.

«Non posso negarlo» ammise, come se lui lo avesse costretto ad ammettere di aver ucciso un gattino indifeso. Riempì nuovamente il suo bicchiere, buttandolo giù tutto d’un colpo. «Allora? Vuoi rispondere alla mia domanda? Io non ho la più pallida idea di come voi due siate finiti insieme. Una mattina ti ho semplicemente visto spuntare mano nella mano con quella bestiola selvatica».

Blaise rise, scuotendo il capo. «Storia lunga, piena di rabbia, lacrime, tensione sessuale e capelli rosa» spiegò, ignorando l’occhiata confusa dell’amico. «Ma posso dire con certezza che tutto abbia avuto inizio da una pozione. L’ho sfruttata per capire se lei avrebbe accettato la mia… corte. Come penso tu abbia capito, la mia Laurie ha un gran bel caratterino».

Draco grugnì, partecipe, bevendo un altro bicchiere di Whisky. «Bel caratterino è proprio un eufemismo, questo lo sai» gli disse, nascondendo a stento un sorrisino. «Quindi… una pozione?».

Blaise annuì. «Grazie a quella abbiamo iniziato a conoscerci, a parlare… grazie ad una pozione, oltretutto, siamo riusciti a modificare la memoria dei genitori del suo patrigno, riuscendo a farla passare per mezzosangue e non sanguesporco, durante la Guerra». Tutt’altro che felice di quel ricordo, Blaise digrignò i denti. «E con un’altra pozione, mesi dopo, sono riuscito ad avvicinarla di nuovo ed a tornare insieme».

Malfoy si accigliò. «Vi eravate separati? Credevo fosse stati sempre insieme, anche durante la guerra».

«Io sono andato ad Hogwarts, lei no. Essendo del settimo anno, non era obbligata a tornare e… abbiamo preferito evitare guai. Ma la lontananza è stata difficile da sopportare e, con tutto quello che è successo, abbiamo preferito fermarci».

Draco si accigliò, confuso. «Tu non ti saresti deciso a lasciarla per nessuna ragione al mondo e, per quanto non mi piaccia ammetterlo, lei è troppo innamorata e troppo testarda per cedere alla gelosia della lontananza» disse, piegando il capo di lato. «Cos’è successo?».

Blaise sospirò, accennando un sorriso triste. «Aveva paura per me. Se qualcuno avesse scoperto l’imbroglio, anche io sarei stato messo in mezzo e… era un rischio che non se la sentiva di correre. L’ho sempre detto, se non fosse finita a Corvonero sarebbe stata una Grifondoro eccellente».

Esattamente come la Granger sarebbe stata una perfetta Corvonero.

Ancora una volta, lui e Blaise avevano dimostrato d’essere due facce della stessa medaglia. Entrambi Serpeverde, ma uno aveva scelto di ignorare il pregiudizio per amore, mentre l’altro lo aveva coltivato per rispetto del dovere. Blaise aveva trovato l’amore in una Corvonero con atteggiamento da Grifondoro, mentre Draco…

«Una pozione, hai detto?».

«Una pozione, esat- Draco? Dove stai andando?».

Malfoy sorrise, alzandosi dal divanetto in cui si era lasciato cadere e lasciando una manciata di galeoni sul tavolo. Era decisamente ubriaco, ma non per questo meno determinato.

«Vado a cercare la mia conferma, Blaise».

 

***

 

«Mittens, per l’amor di Merlino!» sbraitò, acciuffando per un pelo il gattino fuggitivo che aveva tentato di lanciarsi dal bancone della cucina. Cosa spingesse quella bestiola a mantenere atteggiamenti suicidi, lei non riusciva proprio a capirlo. Era appena tornata da casa Potter, dopo aver passato ore intense con il dottor Crave, e prima aveva dovuto impedirgli di nascondersi sotto al divano, in quel momento, invece, gli aveva impedito di fare il kamikaze.

Grattastinchi non era mai stato così fastidioso.

Oppure lo era, ma lei era più giovane e più paziente.

«Dovresti insegnare l’educazione a quella tua bestiola, Granger. Quando sono arrivato ha tentato di assassinarmi».

In quel momento, Hermione rischiò seriamente l’infarto.

Voltatasi di scatto, si trovò davanti Draco Malfoy, con un maglione dall’aria estremamente babbana e delle terribili occhiaie sotto agli occhi. Del principino viziato con tendenze alla Indiana Jones con cui aveva avuto il piacere di lavorare in quel periodo non sembrava esser rimasto assolutamente nulla.

«Malfoy, cosa cazzo fai a casa mia?» gli domandò, sconvolta, arretrando di colpo ed estraendo la bacchetta. Gliela puntò contro, nonostante non avesse davvero intenzione di fargli del male. Si trattava comunque del suo collega, per quanto fosse un idiota presuntuoso.

«Non ho fatto che ragionarci tutta la notte, Granger» ammise lui, la voce rasposa, facendo un paio di passi avanti. Il suo petto sfiorò la bacchetta, senza paura, quasi come se avesse voluto sfidarla. Ma non c’era alcuna presunzione, nei suoi occhi, e le mani gli tremavano come se fosse spaventato.

Hermione sentì una morsa allo stomaco, come se quei pozzi di diamanti avessero iniziato a scioglierle qualcosa nelle viscere. Sentì caldo, molto caldo, e per un attimo temette di essere sul punto di sentirsi male.

Quando lui la fissò in viso, lei sentì le gambe tremare e comprese che non era di una malattia che doveva aver paura. Il problema era molto più radicato dentro di lei. Un problema biologico, per essere precisi.

Ormonale, suggerì una vocina nella profondità del suo animo.

«Su cosa hai ragionato, Malfoy? Ed è normale, secondo te, presentarti qui alle cinque del mattino? E cosa ti è successo? Sei ubriaco? Drogato? Merlino, Malfoy, hai fumato dell’algabranchia? Assurdo! Sei un impiegato Ministeriale, te ne rendi conto? Lavori per conto del Ministero della Magia!» sputò, ad una velocità quasi sovrumana, il cuore che batteva così furiosamente nel suo petto da sembrare sul punto di balzare fuori.

«Troppe domande, Granger. Sei forse nervosa?». Il sorriso malandrino che lui le dedicò fece peggiorare quella terribile sensazione allo stomaco e, in reazione, la sua bacchetta mandò scintille dorate, bruciacchiando la maglia dell’uomo. «Rilassati, Hermione, non ho intenzione di farti del male. Se avessi voluto ferirti, avrei avuto mille possibilità da quando sei rientrata».

Hermione si accigliò. «Da quanto tempo sei nascosto a casa mia, stupido di un Malfoy? Questa si chiama violazione di domicilio! Potrei denunciarti, potrei… potrei farti arrestare da Seamus senza perdere tempo dietro alle scartoffie!» sbottò, senza abbassare la bacchetta. Lo sdegno nella sua voce sembrava falso, posticcio. Se fosse stata un’imputata, dubitava che un qualunque inquisitore con un minimo di competenza le avrebbe creduto. Lei non avrebbe di certo creduto a se stessa.

«Mi vuoi far credere, Granger» disse lui, inarcando le sopracciglia «che saresti pronta ad aggirare le regole che hai sempre amato così tanto, pur di farmi un dispetto?».

Lei ebbe il buongusto di mostrarsi costernata. «Assurdo! Come ti permetti? Io non agirei mai per farti un dispetto, altrimenti avrei potuto sfruttare tutte quelle occasioni che mi si sono presentate davanti». Il suo sguardo scuro si infiammò di sdegno. «Come osi? Io sono un’Inquisitrice!».

«Io non ho mai dimenticato chi sei, Granger» la voce di Malfoy era dura, il viso trasformato in una maschera di ghiaccio. Sembrava che qualcuno gli avesse dato un pugno, ma quella volta non era di certo stata lei. «Mi ricordo chi sei ogni mattina, appena mi sveglio. Me lo ricordo ogni volta che incrocio il tuo sguardo e ricordo quello che mia zia ti ha fatto». Qualcosa incrinò il ferro dei suoi occhi, come se avesse perso la decisione che l’aveva motivato fino a quel momento, però non si allontanò. «So benissimo chi sei ed ho combattuto con me stesso per tenerlo a mente, in queste settimane».

La sensazione di calore allo stomaco aumentò, ma, Hermione ne era certa, tutto il suo sangue era risalito per inondarle il cervello. Era abbastanza certa di non riuscire più a sentire le gambe, ma non avrebbe potuto giurarlo. Non c’era una sola sicurezza in lei, in quel momento.

«Cosa vuoi, Malfoy?» esalò alla fine, deglutendo il cuore e, forse, una mangiata di ormoni fuoriusciti dalle sue ghiandole. Più lui la guardava, più lei si sentiva male.

Avrebbe dovuto aprire la finestra e far cambiare l’aria. C’era poco ossigeno.

La decisione tornò prepotentemente ad oscurargli lo sguardo. «Sono stanco di combattere, Granger» ammise, raddrizzando le spalle. Un gesto della mano e scansò la bacchetta di lei. Un passo avanti e si ritrovò a poca distanza dal suo corpo.

Draco Malfoy la stava baciando, di nuovo.

Quel bacio non aveva nulla a che fare con quello dell’altra volta. Non c’era l’ansia provocata dall’afrodisiaco, non c’era il timore di non riuscire a portare a termine la missione. Malfoy la stava baciando perché l’aveva deciso.

Stava baciando lei.

Hermione Granger.

E lei stava rispondendo al bacio.

Ancora una volta.

Le mani di Draco erano delicate, ma non erano fragili come le erano sembrate la prima volta. La leggera ruvidezza dei polpastrelli le sfregava contro i fianchi scoperti dalla maglia del pigiama che aveva appena indossato, i fianchi sottili premevano contro i suoi, stringendola fra il suo corpo ed il mobile della cucina.

Una parte della sua mente – una parte remota, debole – si chiese che fine avesse fatto Mittens, rimproverandola per quel comportamento tanto disdicevole. Il gattino era ancora un cuccioletto, avrebbe potuto traumatizzarlo per il resto della sua esistenza. Avrebbe potuto provocarle un trauma.

La restante parte, tuttavia… quella era fin troppo distratta da ciò che stava accadendo e se ne vergognava, ma…

Oh, Merlino, cosa aveva appena fatto con quella maledetta lingua da serpe?

«Malfoy…» esalò, con voce ben più debole di quanto avrebbe voluto. Si fermò, tuttavia, perché usare quell’appellativo le sembrò sbagliato, al momento. Lui le aveva appena infilato una mano nei pantaloni del pigiama, davvero non era il caso. «Draco… cosa stai facendo?» gli chiese, senza poter impedire a se stessa di sospirare e passargli una mano fra i capelli.

Quegli stessi capelli biondi che tante volte aveva sognato di strappargli via, uno per uno. Anche in quel momento non riuscì ad impedire a se stessa di negare quanto le sarebbe piaciuto, pochi mesi prima, vederlo soffrire come un cane sotto le sue mani.

Soffrire come lui aveva fatto soffrire lei.

Come Bellatrix l’aveva fatta soffrire, con la sua tortura.

«Sto facendo quello che desidero, Granger… quello che anche tu desideri» le rispose, le labbra a pochi centimetri dall’orecchio, che poi le morse delicatamente.

Quel gesto fu sufficiente affinché lei perdesse quel minimo di controllo che era riuscita a mantenere fino a quel momento.

Bastò un sospiro, un ansito in più rispetto a quelli che aveva già fatto sfuggire dalle sue labbra, e Draco seppe di aver vinto la sua battaglia. Le mani di Hermione, febbrili, corsero al suo maglione, tirandolo via un momento prima che lui facesse lo stesso con la maglia del suo pigiama.

«Non ti farò del male, Granger» le promise lui, all’improvviso, mentre la afferrava per i fianchi e la faceva sedere sul bancone della cucina, intrufolandosi fra le sue gambe e premendo, in modo inequivocabile, il suo desiderio contro quello di lei.

Non le avrebbe fatto male.

Non era Ronald, lui era…

«Draco».

In quel momento, Hermione si svegliò.

L’insieme di caotiche emozioni che le si agitavano nel petto la confusero, dandole la nausea. L’ultima volta che era stata così sconvolta, non era finita bene. L’ultima volta, Ronald l’aveva portata alla distruzione, perché lei gliel’aveva concesso.

Si alzò, andando in bagno per sciacquarsi il viso ma finendo col fare una doccia gelida, ancora con il pigiama addosso. Una parte di lei avrebbe voluto sentirsi sporca, nauseata da quelle immagini.

Ma non era successo e lei non riusciva a schiarirsi le idee.

Era come se qualcuno le avesse fatto un incantesimo, nonostante non fosse assolutamente possibile. Nessuno avrebbe potuto e, certamente, non Malfoy.

Stava impazzendo?

 

***

 

Quando Draco aprì gli occhi, un sorriso malandrino curvava le sue belle labbra da nobile, facendolo sembrare un amante soddisfatto piuttosto che un mascalzone reduce da una sbronza colossale e distrutto dalla potente magia cui aveva appena fatto ricorso. Si sentiva ancora parecchio agitato dal sogno appena finito, ma non dubitava affatto di poter trovare una soluzione.

Dopotutto, la Granger avrebbe potuto dargli un aiutino, al riguardo.

Un secondo dopo aver pensato di poter trovare compagnia nella sua giovane ed affascinante collega, Draco si rese conto che qualcuno avesse iniziato a bussare insistentemente alla porta di casa sua.

Casa, come se quel buco d’appartamento potesse esser considerato tale.

Si alzò, stiracchiandosi come un gatto pigro, raggiungendo con tutta calma la porta. Erano le sei del mattino, chiunque fosse andato a trovarlo avrebbe dovuto avere la pazienza di attendere. Era assolutamente da maleducati presentarsi senza invito, prima di colazione ed addirittura senza avere il buongusto di smettere di bussare. Doveva trattarsi di qualcuno estremamente fastidioso e maleducato.

Quando aprì, Draco comprese di trovarsi davanti ad una persona che, sì, era fastidiosa, ma non poteva certo definirsi maleducata. Sarebbe stato controproducente, considerando che avessero avuto una formazione identica, da bambini.

«Buongiorno, Meribelle» salutò, osservando la giovane Auror con ancora la mano alzata dopo aver tartassato di colpi la porta.

Merrick RosierMeribell, come erano soliti chiamarla i nonni – era rimasta la stessa, dalla sera prima. I suoi capelli dello stesso colore dell’ebano, naturalmente, erano ancora perfettamente acconciati, gli occhi nascosti da dei grandi occhiali da sole, il corpo fasciato da un tubino d’alta sartoria.

Sarebbe stata perfetta, se non avesse avuto un’espressione degna di una regina cui era appena stato tolto il trono da sotto il fondoschiena.

Espressione che si estese anche al suo sguardo, quando tolse gli occhiali da sole e fulminò Draco, quasi fosse stato lui l’autore del colpo di stato. Entrò a passo di marcia nell’appartamento, guardandosi intorno come se avesse iniziato a pensare di buttare giù i muri per far costruire la sua nuova sala del trono.

Forse stava esagerando con le metafore.

La osservò posare la borsetta sull’affollato tavolo della cucina, sempre con quella sua ostentata aria di nauseata superiorità, poi chiuse la porta di casa e si avvicinò, a braccia incrociate.

«Cosa posso fare per te, Meribelle?» le chiese, nascondendo a stento uno sbadiglio. «So già che la missione che ti ho affidato è andata a buon fine, quindi mi chiedo cosa tu possa volere da me» le disse, puntando la bacchetta contro un bicchiere d’acqua e trasfigurandola in caffè.

Il modo in cui lei gli colpì la mano, impedendogli di prendere quel suo nettare prelibato, gli fece tornare in mente degli oscuri momenti del suo passato, in cui sua nonna lo rimproverava di essere troppo precipitoso.

«Mi hai detto di farle bere la pozione ed io l’ho fatto, perché mi hai giurato che non fosse veleno» gli disse, a denti stretti, puntandogli contro il dito ancora guantato di nero.

Draco inarcò le sopracciglia. «Non hai verificato? Non posso crederci, hai imparato a fidarti di me, Meribelle?» le domandò, sorpreso, riuscendo a schivare per un pelo il ceffone che lei provò ad assestargli.

«Naturalmente ho verificato che non fosse veleno, non sono certo stupida!» ribatté lei, sconvolta che lui avesse soltanto proposto l’idea. «Ho smesso di fidarmi di te il giorno in cui hai rotto il vaso della zia Berenice e mi hai dato la colpa, Malfoy, imparo dai miei errori».

«Avevamo cinque anni, Meribelle! Porti rancore per così tanto?» le domandò, fingendosi ferito, allungando la mano ed afferrando la tazza di caffè. «Comunque, non preoccuparti. Non ho intenzione di avvelenare la Granger. Quella pozione è servita soltanto per ottenere una conferma».

«Conferma di cosa, per Merlino? Lei è amica del mio capo, Draco. Se dovesse saltar fuori che ti ho fatto questo favore, la mia carriera sarebbe rovinata» minacciò la strega, mantenendo l’occhiata di puro fuoco puntata su di lui.

Draco sbuffò. «Oh, andiamo! Lo sanno tutti che se chiedessi a Finnigan di mettersi a saltare su un piede solo ed abbaiare lui lo farebbe e ti ringrazierebbe» ribatté, alzando gli occhi al cielo. «Non hai fatto niente di male, te lo giuro. Hai soltanto dato una mano ad un pover’uomo senza speranze» la rassicurò, tirando fuori il migliore dei suoi sorrisi.

La donna lo guardò male, incrociando le braccia. «Ti sei fatto l’incantesimo dei Sogni Legati da solo? Sei un masochista, tutto per sapere cosa passa per la testa della Granger. Chiedere era troppo normale, per te?».

Draco scoppiò a ridere, allegro come se gli avessero appena regalato un nuovo set per pulire la scopa. «Non avrebbe mai detto la verità e, inoltre, così ho avuto modo di manipolarla un po’. La sua espressione quando ci rivedremo, domani, sarà impagabile».

Merrick lo guardò come se fosse impazzito, prima di sospirare e prendergli la tazza di caffè dalle mani. «Se lei starà male, Malfoy, verrò io stessa ad arrestarti» sbottò, sorseggiando un po’ del liquido scuro, facendo una smorfia. «Dovresti prendere il tè, da bravo ragazzo, non questa porcheria trasfigurata. Fa schifo» commentò, posando la tazza sul tavolo ed allontanandosi di un paio di passi, recuperando la borsetta. «Se non starà male, comunque, non credere che questo mi spingerà ad aiutarti di nuovo. Ti dovevo un favore ed ora ho pagato il mio debito» concluse, secca, avvicinandosi a passo di marcia alla porta.

Draco si trattenne a stento dal riderle in faccia, consapevole di quanto poco veritiere fossero quelle parole. «Il motto dei Malfoy non è forse Famiglia e Onore? Anche tu sei una Malfoy, seppur a metà» le disse, prima che sparisse oltre l’uscio.

Lei si voltò e gli dedicò un’occhiata gelida. «Mia madre era una Malfoy, io sono una Rosier, cugino» specificò, sollevando il mento ed assumendo la posizione che Berenice Malfoy – nonna di Draco e zia di Merrick – le aveva insegnato personalmente. «Ed il motto dei Rosier è Memento Vindicare. Rovinami la vita e non troverai un buco abbastanza profondo da nasconderti alla mia ira».

«Anche io ti adoro, Meribelle».

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

Temevo di non riuscire a pubblicare, ma ce l’ho fatta! È stata una domenica passata davanti al pc e non sono affatto soddisfatta, spero comunque che a voi piacerà almeno un po’.

Sono riuscita ad illudervi almeno un po’, con quella storia del sogno?

 

Punti importanti:

 

» In questo capitolo torna la coppia d’oro! Giusto per rinfrescare la memoria: Blaise è un medimago, la sua fidanzata un’alchimista. Tutti e due riforniscono Draco di pozioni antidolorifiche, in modo che il marchio non gli impedisca di vivere.

 

» * sì, insomma, solo perché la chiama Rottweiler non le sta certo dando della cagna. Blaise ha una venerazione allucinante per la sua fidanzata, soprattutto dopo averla quasi persa durante la guerra.

 

» Il rapporto di Draco e Laurie è... particolare. Si fanno a pezzi, si uccidono verbalmente ogni volta che si incrociano, ma posso assicurarvi che nessuno dei due permetterebbe che all’altro venisse fatto del male. All’inizio era solo per Blaise, si tutelavano a vicenda per non ferire lui, ma adesso, anche se non lo ammetterebbero mai, sono finiti col “piacersi” a vicenda.

 

» Perdonatemi, ma ho dovuto mettere in mezzo quel sogno manipolato. Non ho approfondito, ho tentato di tenere tutto il più light possibile, ma vi assicuro che servirà. Diciamo che, nell’ottica di Draco, se non avesse assaggiato un pezzetto di formaggio, Hermione non avrebbe mai comprato la forma intera (pessima metafora). Draco si è comportato da bastardo manipolatore? È un Malfoy, il lupo perde il pelo ma non il vizio ;)

 

» Merrick è tornata, avevo bisogno di rimetterla in mezzo, perdonatemi. Quella povera ragazza ha avuto un estenuante turno di notte, ma è stata costretta a collaborare con Draco, per via di un favore dovuto da anni.

 

» Merrick è una Malfoy a metà, in che senso? Suo padre è un Rosier (figlio di Mangiamorte, fratello di Mangiamorte, probabilmente Mangiamorte pure lui), ma sua madre era Alhena Malfoy, sorella del nonno di Draco. Merrick è l’ultima figlia di un ultimo figlio, ho fatto dei calcoli e funzionano. Lucius è figlio unico, non potevo certo inventare una sorella, no?

 

» Ho inventato i motti di famiglia, naturalmente. Quello dei Malfoy è chiaro, mentre quello dei Rosier significa “Ricordati di vendicare” o, almeno, spero significhi quello. Il mio latino è orribilmente arrugginito, se qualcuno nota un errore, che me lo faccia notare! Provvederò subito a modificare!

 

 

 

 

Questa settimana sono riuscita a pubblicare in tempo, ma non faccio promesse per la prossima, purtroppo. Il mio esame si avvicina ed è il più pesante del mio corso di studi, vi prego di avere pazienza. Vi prometto che farò del mio meglio!

Per qualsiasi aggiornamento, tenete sotto controllo Facebook!

  

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 17
*** Atto XI - Parte I/ Immortali nella mortalità ***


Quando Hermione aveva incrociato il suo sguardo, aveva sentito nuovamente quella disgustosa fitta alla bocca dello stomaco, vergognandosene come una ladra

Lo Specchio delle Anime.

 

 

They say we are what we are,
But we don't have to be.
I'm bad behaviour but I do it in the best way.
I'll be the watcher of the eternal flame,
I'll be the guard dog of all your fever dreams.

We could be Immortals.

 

[Fall Out Boys – Immortals]

        

 

Atto XI – Parte I

Immortali nella mortalità.

 

 

Quando Hermione aveva incrociato il suo sguardo, aveva sentito nuovamente quella disgustosa fitta alla bocca dello stomaco, vergognandosene come una ladra. Ebbene, seppur immediatamente dopo essersi svegliata avesse contemplato l’idea di lasciarsi andare, una buona notte insonne le aveva portato consiglio, convincendola che quello fosse stato un sogno ammonitore mandato dalla sua psiche.

Si era lasciata andare con i pensieri e stava per ricadere nel baratro in cui Ronald l’aveva trascinata la prima volta. Non sarebbe più dovuto accadere. Non a lei.

Non con lui.

«Sei nervosa, Granger?» le chiese Malfoy, da bravo squalo, camminando al suo fianco come se le strade di Istanbul fossero state sue. Il ghigno che gli curvava le labbra la infastidì terribilmente, le sembrò quasi di trovarsi davanti allo stesso ragazzino viziato cui aveva dato un pugno al terzo anno.

Quel paragone la aiutò a riprendere il controllo del suo corpo, ripristinando la naturale avversione che lei avrebbe dovuto provare per lui. Senza rendersene conto, il suo collega le aveva ricordato di chiamarsi Malfoy e non solo Draco.

Avrebbe dovuto ringraziarlo mandandogli un mazzo di fiori maledetto.

«Non sono assolutamente nervosa» gli rispose, rilassando le spalle ed aumentando leggermente il passo. Il sole di Istanbul picchiava sulle sue spalle coperte dalla camicia nera, ricordandole l’infelice scelta di vestiario fatta quella mattina. Colori scuri in una città come quella, per quanto fosse inverno, le avevano garantito un bagno di sudore.

Per fortuna conosceva incantesimi antitraspiranti…

«Granger, hai detto tre parole da quando siamo arrivati!» ribatté, sempre più divertito, fissandola da sopra gli occhiali da sole che aveva tirato fuori dalla tasca non appena si erano materializzati in un vicolo della città. Contrariamente a lei, Malfoy aveva ben pensato di vestirsi in modo appropriato, evitando di attirare più calore del necessario.

Maledetto bastardo.

«Stavo pensando alla Traccia» mentì spudoratamente la strega. «Hai detto che avremmo cercato alla residenza degli Imperatori d’Oriente*, ma non ne è rimasto nulla» aggiunse, per rendere più credibile quella ridicola bugia. In realtà non aveva mai messo in dubbio che ci fosse un modo per accedere alla parte più antica. «Il tuo aggancio può darci un aiuto serio o ci manderà a spasso per la città?».

Il ghigno di Malfoy si ampliò e lei lo vide chiaramente alzare gli occhi al cielo. «Sei troppo ansiosa, Granger. Rilassati, ho tutto sotto controllo» la tranquillizzò, indicando un negozio di spezie alla loro sinistra, dall’altra parte della strada. «Il mio aggancio ci spiegherà come raggiungere il cuore del palazzo e gli scavi».

«Scavi?» Hermione si fermò nel bel mezzo del marciapiede, le braccia incrociate. «Malfoy, non vorrai metterti a fare l’archeologo adesso! Capisco tu voglia essere una specie di spocchioso Indiana Jones, ma così-».

Lui, che era andato avanti di qualche passo, tornò indietro e la raggiunse, accigliato. «Indiana chi?» le chiese, curioso, per poi scrollare le spalle. Probabilmente non era interessato a conoscere qualcosa della cultura babbana. Non era nulla di interessante, per lui. «Te l’ho detto, ti stai preoccupando troppo. Molte delle stanze sono state demolite e ricostruite, ma i quartieri privati dell’Imperatore, le tombe e parte delle prigioni sono venute fuori. Immagino che la Traccia si troverà lì».

Possibile, si disse Hermione, ricordando qualche stralcio di informazione letta nei libri sullo Specchio. «La Traccia difende se stessa, non può essere deteriorata o distrutta. Nessuno l’ha vista a Parigi, non è crollato niente sulla testa dell’immortale Gertrut e la parte antica di Villa Aura era fin troppo stabile e ben conservata, per essere così vecchia» borbottò, riprendendo a camminare accanto al biondo.

Lui annuì, senza perdere l’espressione sorniona. «Se la mia teoria è corretta, troveremo la Traccia nella zona sopravvissuta del castello. Avrà salvaguardato se stessa, impedendo che quella parte di palazzo fosse demolita» concordò, facendole poi cenno di attraversare la strada. Evidentemente, il suo aggancio li attendeva nel negozio di spezie dall’aria incredibilmente chic.

Troppo chic, in realtà, per essere un negozio di spezie. Ad Istanbul.

Sono pregiudizi, questi? È 2004 anche in Turchia, per Merlino!

«Sei sicuro che questo aggancio ci aiuterà?» gli domandò per l’ennesima volta, tallonandolo senza tuttavia avvicinarsi troppo. Aveva messo a tacere le sensazioni pericolose, ma non poteva escludere che non potessero tornare. «Ti avverto, se ci manderà a casa, ridendoci in faccia, io non risponderò di me!».

Quell’affermazione lo fece sorridere di più, un attimo prima che si fermasse davanti alla porta d’ingresso. «Per quanto io non voglia altro che farti perdere il controllo, Granger» iniziò, malizioso «non credo che sarà questo il caso. Io e il nostro aggancio abbiamo un passato in comune, mi deve un favore. Sarà entusiasta di aiutarci».

 

***

 

Effettivamente, era entusiasta di incontrarli.

Nonostante la prima persona con cui fossero entrati in contatto fosse stato un vecchio mezzo sordo con evidenti problemi di alitosi, non era lui il loro aggancio. Sarebbe stato troppo semplice, per i nervi di Hermione.

No, doveva essere un’avvenente signorina con meravigliosi capelli corvini e profondi occhi verdi, delicata come un fiore e bella come un sogno. A dirla tutta, Hermione pensò che avrebbe dovuto rivedere alcune scelte di vita, perché per un sorriso di quella donna avrebbe volentieri cambiato sponda. Senza alcun dubbio, uno come Seamus o, peggio ancora, uno come Dean, sarebbe caduto ai suoi piedi senza pensarci più di tre minuti.

Si chiamava Ranya Goldsmith, purosangue con madre turca e padre inglese. Malfoy non l’avrebbe mai ammesso, ma Hermione ricordava benissimo di aver letto quello stesso cognome fra i documenti riguardanti un trafficante di pozioni altamente pericolose.

Era ovvio che non avrebbero ricevuto alcun aiuto da parte di un onesto archeologo o esperto d’arte, non finché Malfoy avesse avuto campo libero. Hermione avrebbe davvero dovuto prendere in mano la missione, lasciargli così tanto spazio li avrebbe messi nei guai, senza alcuna possibilità di salvezza.

E se c’era una cosa a cui Hermione teneva tantissimo, subito dopo i suoi migliori amici e la sua famiglia, era il suo lavoro.

Non avrebbe mai lasciato che un ricco idiota glielo togliesse da sotto il naso.

«Non è possibile materializzarsi o smaterializzarsi nella zona antica, dovrete entrare dalla porta principale» stava dicendo Ranya, versando il tè nelle delicate tazze di porcellana. Era un servizio francese, Hermione avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco: sua madre ne aveva visto uno uguale a Limoges e si era lamentata per tutto il viaggio perché non gliel’avevano fatto acquistare. Col senno di poi, comunque, anche la Signora Granger aveva concordato che spendere più di duemila sterline per quattro tazzine ed una teiera sarebbe stato un po’ troppo, per le loro finanze domestiche.

Quella donna non doveva aver fatto il suo stesso ragionamento.

Malfoy non sembrava preoccupato del piccolo intoppo. «Possiamo spacciarci per turisti, non sarà difficile allontanarci dal gruppo e sgattaiolare fra gli scavi, no?» le chiese, allungando la mano per prendere un biscottino al sesamo. «Com’è la sorveglianza?».

La donna sorrise, benevola, quasi come se Malfoy fosse stato un bambino innocente e non la serpe infida che in realtà era sempre stato. «Non riuscireste mai a sgattaiolare via, ci sono guardie ovunque. Fortunatamente siete venuti da me». Gli occhi da gatta si puntarono su Hermione, quasi illuminandosi. «Sai, io sono a capo della sezione romana del nostro museo» le disse, sbattendo le ciglia con aria civettuola. «Le guardie ormai sono così abituate a vedere me ed i miei assistenti da non chiederci neppure spiegazioni. Vi basterà presentarvi con un mio lasciapassare e riuscirete ad avere un accesso illimitato a tutte le sezioni».

Confusa da quello strano atteggiamento, Hermione annuì, lanciando un’occhiata storta a Malfoy. Che quella donna stesse tentando di aggraziarsi lei per ottenere i favori di lui? Avrebbe dovuto dirle di cambiare tattica, Malfoy non avrebbe fatto alcuna scenata di fronte a lei.

«Grazie, Ranie» con un sorriso amichevole, strano sulle sue peccaminose labbra, Malfoy allungò la mano verso la sua tazzina e la sollevò come a chiedere un brindisi. «Come al solito, mi sei d’enorme aiuto. Ma immagino che tu ritenga di non aver ancora ripagato il debito, non è vero?» aggiunse, divertito, sorseggiando un po’ di tè, con una smorfia.

In quel momento, Hermione avrebbe voluto lanciargli uno sguardo di comprensione. Quella brodaglia verde era decisamente troppo forte per i suoi gusti, nulla a che vedere con il suo meraviglioso Prince of Wales**. Riuscì comunque a contenersi, raddrizzando le spalle e costringendosi a pensare a qualcosa di diverso rispetto all’ultima volta in cui aveva bevuto una tazza del suo tè preferito.

Era troppo sconvolta dal sogno, dubitava che qualcos’altro l’avrebbe calmata.

«No, non ho ancora ripagato il debito» confermò lei, con una risata divertita. «Dubito che ci riuscirò mai, se devo esser sincera. Dovresti esserne felice, potrai sfruttare le mie conoscenze per un bel po’ di tempo. Non ho certo dimenticato i cinque ringraziamenti ufficiali che mi hai dedicato, nei tuoi discorsi ai musei».

«Sei» rettificò Malfoy, scuotendo leggermente il capo. «L’ultimo è stato al Museo di Scienze Naturali di New York, sei mesi fa».

Ringraziamenti? Debiti?

«Scusate se vi interrompo» si intromise Hermione, raddrizzandosi sulla sedia. «Posso chiederci di cosa state parlando?».

Ranya le dedicò un sorriso immenso, allungandosi per poggiarle una mano sul braccio. Un gesto molto intimo, considerando che si conoscessero da poco più di mezz’ora. «Hai ragione, mia cara, siamo stati dei maleducati ad escluderti dalla conversazione» le disse, con dolcezza. «Vedi, qualche anno fa Draco ed io abbiamo collaborato in una spedizione in Cina» iniziò a spiegare, volgendo lo sguardo su Malfoy, che alzò gli occhi al cielo. «Lui era il più giovane del gruppo, ma è stato anche l’unico a riconoscere la maledizione che ha colpito me ed un paio degli altri colleghi… senza di lui, probabilmente io, mio fratello Selim ed il nostro amico Joachin saremmo morti fra atroci dolori».

Malfoy sbuffò. «Sciocchezze, Ranie. Avresti capito anche tu come cavartela, avresti solo perso un po’ più tempo» le disse, quasi imbarazzato – emozione nuova per lui, probabilmente – e senza guardare Hermione.

«Non è vero, lo sappiamo entrambi» la donna tornò a sfiorare la spalla dell’altra. «Ci ha salvati tutti ed io gli devo tre vite. Per ripagare un po’ questo debito, cerco di aiutarlo quando posso, soprattutto se è sufficiente metterlo in contatto con alcuni colleghi in varie parti del mondo».

Hermione annuì, facendo del suo meglio per nascondere la sorpresa. «Capisco. È comunque gentile, da parte tua, aiutare anche me» ringraziò, cercando di mostrarsi gentile. Il modo in cui l’altra si illuminò la fece arrossire leggermente, ma non si preoccupò più di tanto. «Sarà sufficiente mostrare i documenti, quindi?».

Ranya annuì, allontanando la mano ed alzandosi in piedi. «Esatto» confermò, sistemando delle inesistenti pieghe sulla gonna. «Ho lasciato tutto nelle mani dello zio Mustafa, una volta finito il tè potrete andare direttamente al castello» disse loro, sollevando il braccio per controllare l’ora. «L’entrata sarà libera per ancora un’ora, non c’è assolutamente fretta. Una volta dentro non avrete limiti, l’uscita è vicinissima agli scavi».

Comprendendo che lei fosse sul punto di andarsene, sia Hermione che Draco si alzarono in piedi, per salutarla. Malfoy le sorrise e le fece un perfetto baciamano ma, prima che Hermione potesse farsi avanti, fu proprio Ranya a voltarsi verso di lei e stringerla in un abbraccio delicato, baciandole la guancia.

«Grazie ancora per il tuo aiuto, Ran» salutò lui osservandola uscire con la grazia di una ballerina. «La prossima volta ti manderò un mazzo di fiori!» le urlò dietro, ricevendo in risposta una risata perfetta come un coro di campanellini. Allora, con un ghigno, si voltò verso Hermione, che aveva ancora una mano sulla guancia. «Un po’ intraprendente, vero?».

Lei si riprese un attimo dopo, scuotendo la testa. «Non più di molti altri» gli rispose, secca, cercando di riprendere un minimo del suo controllo. «Immagino che sia un uso tipico di questo paese, io non sono certo un’esperta e non posso certo permettermi di… uhm… lamentarmi».

La risata di Malfoy riempì il piccolo retrobottega in cui erano rintanati. «Un uso turco? Mi dispiace deluderti, Granger, ma stanno addirittura parlando di rendere illegali i baci in pubblico, sicuramente non è un uso tipico» iniziò a spiegarle, avvicinandosi con fare cospiratorio. «Diciamo che la vecchia Ran ha un debole per le brunette intelligenti».

Senza sapere come reagire, Hermione restò immobile, assorbendo quelle parole.

Un debole per le brunette intelligenti.

«Vuoi dire che lei…» iniziò, accigliata, prima di pietrificarsi ed arrossire miseramente. Non le era neppure passato per la mente che una donna come quella potesse avere un debole per una come lei. «Ma è assurdo!».

Malfoy scosse il capo, allungandosi per prendere un altro biscottino al sesamo. «Perché mai, Granger? Mi sorprendi! Non sei tu che dai a me del bigotto? Ed ora ti sorprendi tanto perché ti ho presentato una donna che preferisce la compagnia d’altre donne?» le domandò, con disappunto ed un’evidente confusione in viso.

Vagamente scandalizzata, lei gli assestò un pugno sul braccio. «Sei forse impazzito? Naturalmente non mi riferivo al fatto che fosse lesbica! Per quale motivo dovrei esserne scandalizzata?» gli chiese, retorica, per poi alzare gli occhi al cielo. «Mi ha solo sorpresa che avesse interesse per me. Lei è favolosa, mentre io…».

Malfoy non esitò un momento ad interromperla. «Tu sei un genio e sei anche parecchio affascinante, Granger» le disse, facendole un occhiolino complice. «Smettila di sottovalutarti e vedrai che riuscirai a vedere quanto interesse riesci ad attirare. Ci sono momenti in cui temo tu sia ipermetrope***».

La risposta che Hermione aveva pensato di dargli le restò bloccata in gola perché, in quel preciso istante, delle voci davvero poco amichevoli giunsero dall’interno del negozio.

«Prendete il vecchio, loro devono essere ancora qui da qualche parte».

Malfoy si irrigidì, perdendo quel minimo di colore che era riuscito a guadagnare grazie al calore della piccola stanza. Facendo cenno ad Hermione di stare in silenzio, si avvicinò alla tenda che separava il retrobottega dal vero e proprio locale. Seguendolo, anche lei riuscì a scorgere perfettamente le tre figure ammantate e mascherate che avevano fatto irruzione nel piccolo negozio, bacchetta alla mano e cattive intenzioni chiare nella postura fiera.

I Mangiamorte li avevano trovati.

 

***

 

Nessuno di loro era lo stesso che li aveva incontrati in Germania, Draco ne fu immediatamente certo. Per quanto avesse raccontato alla Granger di non avere la minima idea di chi diavolo fosse quello spostato, in realtà era riuscito immediatamente a riconoscerne la voce.

Terence Higgs, che Draco stesso aveva sempre trattato come fosse meno che spazzatura.

Lo stesso che Draco aveva fatto cacciare dalla squadra, comprandosi il ruolo di cercatore.

«Cosa facciamo? Il vecchio non ci potrà certo coprire!» sussurrò Hermione, preoccupata, sbirciando l’interno del negozio da un angolino di tenda sollevata. Era naturalmente preoccupata, ma, diversamente da lui, temeva per la salute del vecchio zio.

Dal punto di vista di Draco, quell’uomo aveva vissuto la sua vita, quindi la sua morte sarebbe stata molto meno rilevante rispetto a quella di due giovani come loro. Ma, naturalmente, Draco non era certo autorizzato a far presente quel pensiero, altrimenti lei si sarebbe arrabbiata e la sua minuscola possibilità di conquistarla del tutto avrebbe fatto la fine di un cristallo nelle mani di suo cugino Teddy.

Non poteva permetterselo, neppure sul letto di morte.

«I ingilizce bilmeyen» stava dicendo il vecchio, nel frattempo. Non parlo inglese. Stava mentendo, era ovvio, Draco l’aveva sentito chiaramente borbottare qualcosa sugli inglesi impertinenti e su quanto fosse stato felice di tornare nella sua amata Istanbul. C’era da ammirare la sua prontezza di spirito, oltre che le sue innegabili doti recitative.

«Non ho capito un accidenti, stupido vecchio!» l’imprecazione del Mangiamorte venne accompagnata da un colpo violento a vecchio bancone, che scricchiolò. La Granger, lì accanto, si irrigidì.

Conoscendola, probabilmente avrebbe mandato tutto all’aria per poter uscire e combattere, se dalla missione non fosse dipesa la salute di Potter, oltre che la salvezza del Mondo Magico.

« I ingilizce bilmeyen» ripeté l’uomo, cocciuto, mantenendo sempre lo stesso tono di implacabile noia. Draco ebbe il sospetto che avrebbe continuato all’infinito, se quei tre l’avessero lasciato fare.

La sua ammirazione per il vecchietto crebbe a dismisura quando il Mangiamorte lo afferrò per il bavero della tunica, sollevandolo di qualche centimetro da terra, ma lui non fece che ripetere, imperterrito, quella singola frase.

«Non possiamo lasciarlo lì» gemette la Mezzosangue, preoccupata, fremendo in modo ancora più evidente al pensiero di averlo abbandonato a se stesso contro quei tre. Era improbabile che proprio lei non riuscisse a cogliere la tranquillità dello zio ma, almeno secondo Draco, quell’ansia doveva esser frutto della sua naturale condizione di Grifondoro.

Eroi a qualunque costo.

«Dobbiamo darcela a gambe, Granger» le rispose lui, cercando di mantenere il tono più basso possibile. «Se restiamo qui, rischiamo di perdere l’occasione e non poter entrare al palazzo. Sai bene quanto me che non abbiamo tempo da perdere».

Lei non fu d’accordo ed ebbe la bontà d’animo di dimostrarglielo immediatamente ed in modo pratico.

Quella folle raddrizzò le spalle e spalancò la tenda, mostrandosi ai loro persecutori.

Prima di seguirla, Draco imprecò.

«Lasciate andare quell’uomo, è noi che volete» sbottò la donna, con la bacchetta ben alta e puntata sul Mangiamorte che teneva lo zio sollevato. L’occhiata esasperata che proprio lui le dedicò avrebbe fatto ridere il povero Malfoy, se gli altri due brutti ceffi non avessero alzato a loro volta le armi, godendo di quell’evidente vantaggio. «Lasciatelo andare!».

«Altrimenti cosa farai, Granger?». Il Mangiamorte sulla sinistra, quello più magro, parlò per la prima volta. La sua voce era profonda, ma estremamente giovane: Draco non gli avrebbe dato più di vent’anni. «Ucciderai lui per poi farti uccidere da noi?» minacciò, con una risatina capace di far accapponare la pelle.

«Hermione, sta’ calma» Draco si limitò a sussurrare, ma non coltivò alcuna speranza che quei tre non l’avessero sentito. Non era il momento di fare gli eroi, si trovavano in svantaggio numerico e non solo. Diversamente dai Mangiamorte, loro non avevano un ostaggio parecchio avanti con l’età e con una faccia da schiaffi invidiabile. «Il vecchio non c’entra nulla in tutto questo, se volete noi, dovreste prendervela solo con noi» aggiunse quindi, ad alta voce, sperando di trovarsi davanti agli esemplari più sciocchi delle nuove schiere dei Mangiamorte.

Il vecchio zio sbuffò, prima di ripetere la sua solita frase in turco. Stava diventato un po’ snervante.

«Lasciarlo andare senza prima disarmarvi? Dovete averci preso per stupidi» sbottò il Mangiamorte al centro, che doveva essere il capo, tenendo ancora la bacchetta su Hermione. «Forza, lasciate cadere le armi e forse questo vecchietto avrà salva la vita. Diversamente da quanto potete credere voi, non vogliamo fare stragi d’innocenti».

Quella era una novità, Draco dovette ammetterlo. I Mangiamorte che non volevano far strage d’innocenti? Loro, che avevano innalzato a scopo ultimo della loro esistenza la possibilità di eliminare i babbani dalla faccia della Terra?

C’era qualcosa di sbagliato, qualcosa di diverso.

«Questa è una sciocchezza!». Evidentemente, Hermione la pensava esattamente come lui. «Da quando in qua i Mangiamorte non uccidono innocenti? Non metteremo giù le nostre bacchette finché non avremo la certezza che non farete del male a quel pover’uomo!».

Il Mangiamorte che teneva sollevato lo zio rise, come se l’affermazione della Granger fosse stata assolutamente inconcepibile. «Per chi ci avete presi, eh? Per degli sciocchi? Non siamo come voi, non uccideremo nessuno per il solo piacere di farlo. Abbiamo detto che non gli faremo del male, se vi arrenderete. Se, però, insistete nel non voler cedere…».

Ad ogni risposta di qualcuno di quei tre, Draco si sentiva sempre più confuso. Era diventato bravo nel riconoscere quando qualcuno stesse dicendo o meno la verità, era un’abilità che aveva imparato ben presto nel suo lavoro, poiché erano ben pochi i collezionisti disposti ad ammettere l’illecita provenienza di taluno dei propri gioielli.

Quei tre non stavano mentendo.

«Dite di non essere sciocchi, eppure volete riportare indietro Voldemort» sbottò allora Malfoy, innervosito da tutti i dubbi che lo stavano assillando. «Non è forse una mossa da idioti, questa? Chi vorrebbe quello psicopatico ancora in giro per il mondo?».

«Noi non vogliamo lui, razza di idiota» rise, malignamente, il mangiamorte sulla destra. «Vogliamo soltanto la sua immortal-» quello al centro gli impedì di continuare, assestandogli una gomitata. «Sei forse impazzito? Tanto li uccideremo comunque, non andranno a raccontarlo ai quattro venti!».

«Stupido Sanguesporco che non sei altro» gli rispose allora quello al centro, senza staccare gli occhi da Draco ed Hermione. Era il più intelligente dei tre, nessun dubbio che fosse lui il capo, nonostante non brillasse affatto a sua volta. «I Maghi con faccende in sospeso diventano fantasmi ed i fantasmi parlano».

Il modo in cui la Granger si irrigidì confermò a Draco che anche lei avesse conto gli indizi di quella conversazione.

Sanguesporco, aveva detto. I Mangiamorte non avevano mai accettato persone che non avessero almeno uno dei genitori purosangue.

Immortalità, aveva quasi rivelato l’idiota. Ma Voldemort non era mai stato immortale, con immensa fortuna di tutto il mondo magico, altrimenti Potter non sarebbe mai riuscito a cancellarlo dalla faccia della terra.

«Adesso basta!». Il tizio sulla sinistra strinse la presa sul collo del vecchio zio, che emise un rantolo di protesta. «Gettate quelle dannate bacchette o morirete tutti e tre!».

Sarebbe stata una minaccia efficace, davvero, se in quel momento un boato non avesse fatto saltare in aria i tre Mangiamorte e buona parte del negozio, facendo volare indietro di un metro anche Hermione e Draco, che atterrarono dolorosamente sul fondoschiena.

«Granger! Granger, sei stata tu? Stai bene?» ansioso, Draco era stato il primo a rimettersi in piedi, tossendo e lacrimando a causa dell’enorme polverone di spezie che si era sollevato. Non riusciva a distinguere nulla che fosse più lontano di un paio di centimetri dal suo naso, ma, fortunatamente, altri colpi di tosse lì vicino lo rassicurarono riguardo la salute della sua collega.

«Sono tutta intera, credo» sbottò lei, muovendosi dietro quella coltre di polveri come un’ombra estremamente goffa. Lui non provò a porgerle una mano, era ben consapevole che lei non l’avrebbe accettata. «Sei stato tu a far saltare tutto? Sei forse impazzito?» gli chiese, una vota tornata in piedi, avvicinandosi fino a fronteggiarlo in tutta la sua furia scarmigliata. «Ci stavano raccontando il loro piano! Non avresti potuto aspettare ancora qualche dannatissimo minuto?».

«Io pensavo fossi stata tu!» le rispose lui, indignato per quell’ingiustificata cattiveria, sentendo lo stranissimo impulso di pestare il piede per terra. Se non lo fece, fu solo a causa di uno starnuto che lo lasciò tremante e lacrimante. «Chi è stato?» domandò invece, sentendo l’impellente necessità di soffiarsi il naso. Quell’aria era diventata davvero irrespirabile.

Lei non riuscì a rispondere, perché qualcuno, a pochi passi di distanza, mugugnò «Tergeo» e, in pochi secondi, tutto il polverone venne risucchiato via, lasciando l’aria nuovamente limpida come poco prima dell’esplosione.

Davanti a loro, riversi al suolo, stavano i tre Mangiamorte, le maschere storte sul visi privi di conoscenza e i corpi ammucchiati a causa dell’onda d’urto dell’esplosione. Su di loro, mugugnando incantesimi di memoria, c’era proprio il vecchio zio, con un’aria decisamente più sveglia di quanto non fosse stata fino a quel momento.

«Voi inglesi siete troppo calmo» mugugnò, alzando gli occhi al cielo ed avvicinandosi a loro due, sorridendo delle loro espressioni sconvolte. «Io sono Mustafa Baydar, ero capo di Ufficio Auror turco, venti anni fa» si presentò, stringendo la mano ad entrambi.

La Granger aveva un’espressione così sconvolta che, se la situazione non fosse stata così seria, avrebbe fatto morire Draco dalle risate. «Lei poteva difendersi? Per quale ragione non l’ha fatto subito?» gli domandò, riponendo la bacchetta ed incrociando le braccia la petto. Aveva sostituito la sorpresa con la stizza, le sue emozioni cambiavano velocemente.

Mustafa si strinse nelle spalle, tornando dietro al bancone e recuperando un plico di fogli. «Non sembravano intelligenti» spiegò, tranquillo. «Loro hanno rivelato piano, non è importante?».

«Se li avesse lasciati parlare ancora, probabilmente avrebbero detto altro» gli fece notare allora Draco, accigliato. «Avremmo potuto legarli e interrogarli».

Mustafa scosse il capo. «Avevano dente finto con veleno, vecchio trucco di anni quaranta» spiegò, riavvicinandosi ai tre e togliendo la maschera a quello più grosso, che l’aveva tenuto sollevato. Si trattava di un ragazzo molto giovane, totalmente sconosciuto a Draco e, quindi, probabilmente non appartenente a qualche famiglia purosangue inglese.

«Quello è Colin Burton» sbottò invece la Granger, avvicinandosi di qualche passo mentre il vecchio Auror spalancava la bocca della sua vittima e tirava via quello che aveva tutta l’aria di essere un dente finto. «Era un Corvonero, due anni più giovane di noi. Un Mezzosangue, se non sbaglio».

«Sia lui che l’altro» specificò allora Malfoy, indicando il Mangiamorte che era stato sulla destra, mentre, risistemata la maschera, Mustafa si alzava e faceva vedere loro il dente. «Non credevo che ce ne sarebbero mai stati, fra i Mangiamorte».

«Interessi sono diversi ora, è evidente» concordò il vecchio, prima di sventolargli sotto al naso il suo tesoro. Quel dente, apparentemente normalissimo, era in realtà fatto di vetro bianco, con una decorazione che recitava: Immortali nella mortalità. Bastò una semplice pressione ed un liquido nero colò fra le dita dell’uomo. «Questo è veleno. Se noi li avessimo interrogati, loro avrebbero bevuto questo».

«È un trucco che veniva usato spesso durante la Seconda Guerra Mondiale» mormorò la Granger, confusa ma affascinata. «È evidente che non vogliano rischiare una fuga di notizie».

«Ed è evidente che si fidino ciecamente della convinzione di questi nuovi Mangiamorte» aggiunse Draco, confuso. «Io non direi a qualcuno di prendere del veleno, se non avessi la certezza che quell’altro lo farebbe senza problemi».

«Oppure confidano nel fatto che niente potrebbe essere più spaventoso che diventare dei reietti per il loro nuovo gruppo di pazzi».

Un silenzio meditabondo restò fra i tre, mentre osservavano il liquido nero gocciolare al suolo.

Alla fine, Mustafa allungò loro le carte, con un sospiro. «Voi andate, io rimando questi tre a casa» comunicò, accennando col capo ai Mangiamorte svenuti. «Tempo sta per scadere e voi avete missione da compiere».

Draco annuì, prendendo i fogli. «La ringrazio, signor Baydar. Probabilmente ci ha salvati tutti, oltre ad averci fatto fare qualche passo avanti con le indagini» gli disse, abbassando il capo con rispetto. Quell’uomo aveva causato un’esplosione senza neppure far uso della propria bacchetta, sfruttando un’arte magica praticamente sconosciuta in Inghilterra. «Come potremo sdebitarci?».

L’uomo sorrise, tranquillo. «Tu hai aiutato miei nipoti, giovane Malfoy» disse, dando loro le spalle ed avvicinandosi alle sue vittime. «Ranya ti doveva tre vite ed ora io ne ho ripagate due. Il suo debito è parzialmente saldato, ora».

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

Lo scorso capitolo è stato tragico, non è vero? Mi dispiace davvero tanto, sono troppo stressata ed il mio modo di scrivere ne risente tantissimo.

Sono riuscita a pubblicare, questa settimana, e spero di riuscirci anche la prossima, considerando che l’esame è stato rimandato di pochi giorni. Pregate per me!

 

Punti importanti:

 

» *Palazzo Imperiale Bizantino, assorbito dal Palazzo Topkapı, oggi è ridotto ad un cumulo di scavi, poiché quasi tutte le stanze sono state eliminate. Io ho dovuto “modificare” il contenuto degli scavi, includendo alcuni ambienti privati dell’Imperatore, perché sarebbe stato ridicolo pensare di trovare la Traccia in quelle che erano le prigioni. Qui troverete la pagina Wikipedia con tutte le informazioni. Perdonatemi se ho lavorato e se lavorerò ancora di fantasia, ma, purtroppo, non ho visitato questi luoghi e quindi non ho altra possibilità.

 

» ** Questa tipologia di tè esiste davvero, ho pensato fosse molto inglese, perfetto per la nostra patriottica Hermione.

 

» *** Disturbo di chi non riesce a vedere da vicino. Ovviamente, Draco sta facendo riferimento a se stesso.

 

» Come credo sia evidente, Hermione non è affatto contenta del risultato dell’incantesimo di Draco. Mentre lui tenta di farsi avanti e far capire il suo interesse, forte di quella reazione involontaria della strega, lei fa di tutto per resistergli. In pratica, no, non sono arrivati al culmine del corteggiamento.

 

» Ranya e Draco fanno praticamente lo stesso lavoro, soltanto che lei ha preferito restare nell’ambito della legalità. Sono rimasti amici, dopo la missione cui lei ha fatto riferimento, e, anche se non è stato espressamente detto, lei lo ha più volte accompagnato in delle spedizioni di ricerca, guadagnandosi non solo dei ringraziamenti ma anche regalini parecchio costosi.

 

» I primi nodi vengono al pettine! Adesso inizia a spiegarsi come mai Hermione non avesse riconosciuto il famoso Mangiamorte tedesco! Il loro intento è stato parzialmente svelato e, nonostante tutti i timori di Draco ed Hermione, non vogliono semplicemente sguinzagliare Voldemort sulla terra. Vogliono sfruttarlo. Questo li rende meno pericolosi? Più pericolosi? Non è dato saperlo.

 

» Zio Mustafa è un grande, lo adoro. Il vecchio non si è immediatamente fatto notare dai due (quando sono arrivati in negozio), per puro divertimento. Le sue intenzioni erano quelle di “tornare in vita” dallo stato catatonico un attimo prima che Draco ed Hermione lasciassero il locale, ma, (s)fortunatamente, ha avuto occasione di far capire quanto vale. Un vecchietto arzillo, insomma.

 

» Il trucchetto del dente ripieno di veleno (cianuro, nella realtà storica) viene direttamente dal film Captain America. Ho cercato di renderlo un uso storico, anche se non sono certa si usasse davvero. Insomma, passatemelo, mi sembrava una cosa carina.  

 

 

 

Perdonatemi per la porcheria che è stata il capitolo scorso e per la scarsità concettuale di quest’ultimo. L’esame mi sta togliendo la voglia di vivere.

Per qualsiasi aggiornamento, tenete sotto controllo Facebook!

  

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 18
*** Atto XI - Parte I/ Il Guardiano della Roma d'Oriente ***


Del palazzo non era rimasto che un cumulo di macerie, più o meno conservate

Lo Specchio delle Anime.

 

 

 

Colui che teme di essere conquistato è sicuro della sconfitta. 

[Napoleone Bonaparte – Aforismi e pensieri politici, morali e filosofici]

        

 

 

 

Atto XI – Parte II

Il Guardiano della Roma d’Oriente.

 

 

 

Del palazzo non era rimasto che un cumulo di macerie, più o meno conservate. L’odore di muffa stonava orribilmente col il calore asfissiante che avevano sopportato lungo la strada verso gli scavi, soprattutto perché, in effetti, sembrava non esserci sufficiente umidità affinché quella sostanza nerastra avviluppasse i muri in quel modo.

Draco storse il naso, ricordando la spedizione in Guatemala di un paio di anni addietro. Era stato costretto a strisciare fra le mura di un vecchio tempio Maya che si trovava proprio accanto ad una cascata, alla fine aveva dovuto bruciare i suoi abiti a causa della puzza di muffa ed altri odori disturbanti che emanavano.

Se non errava, era stata una pozione di Laurie a togliergli quello stesso mix micidiale dai capelli. Probabilmente quello era stato il momento in cui lui l’aveva accettata nella famiglia. Salvare i suoi adorati capelli era stato il gesto più bello che avrebbe mai potuto rivolgergli, sempre che non avesse deciso di dare il suo nome al primogenito suo e di Blaise.

In quel caso avrebbe davvero dovuto pensare di trattarla con più dolcezza.

Un rumore soffocato proveniente dalle sue spalle lo fece immobilizzare e voltare verso la sua accompagnatrice, trovandola con una mano davanti al viso e l’altra impegnata a cercare qualcosa nella tasca.

«Mezzosangue, stai bene?» le domandò, confuso, piegando la testa di lato mentre la osservava tirar fuori un pacchetto di fazzolettini di carta. «Non potevi semplicemente appellarli, invece di perdere tutto questo tempo?».

L’occhiata furiosa che gli lanciò lo fece sorridere: aveva implicitamente confermato di non aver pensato di usare la bacchetta. La Granger odiava quando erano gli altri a farle notare le scorciatoie che la magia poteva concedere a quelli come loro.

«Diversamente dal tuo viziato sedere purosangue, Malfoy» gli ringhiò contro, cercando di apparire minacciosa ma senza riuscirci più di tanto, non con il naso ancora tutto rosso «io sono cresciuta senza usare la magia per ogni sciocchezza. Non ti farebbe male provare a non usarla per un po’, sai? Ne otterresti maggiore soddisfazione. Dimmi, la usi anche per legarti i lacci delle scarpe?».

Draco ghignò, facendole l’occhiolino. «Oh, Granger, possibile tu debba essere sempre così babbana? A volte mi sorprendo che tu sia riuscita a diplomarti con il massimo dei voti. A questo punto, mi chiedo se tu non abbia provato ad usare dei fiammiferi per accendere il fuoco, durante i MAGO» le disse, divertito, alludendo all’incantesimo Incendio che veniva chiesto a tutti gli studenti dell’ultimo anno, affinché potessero dimostrare di saper controllare la magia ed accendere un fuocherello sotto un bollitore, piuttosto che incendiare l’intero tavolo.

La Mezzosangue strinse le labbra, arrossendo leggermente. «Devi essere molto stanco, Malfoy» borbottò, con la faccia più seria che riuscì a tirar fuori.

Quel brusco cambiamento di direzione fece accigliare Draco, che non fece nulla per nascondere la sua sorpresa.

«Chiedo scusa?».

«Ho detto che devi essere molto stanco» ripeté Hermione, inumidendosi le labbra. Sembrò lottare contro se stessa per non scoppiare a ridere. «Mi rifiuto di credere che essere così stronzo ti venga naturale, devi sforzarti davvero tantissimo per essere continuamente così insopportabile».

Un silenzio attonito fu tutto ciò che Hermione ottenne in risposta. Silenzio ed uno sguardo carico di sorpresa, shock e, seppur molto infondo, un bel po’ di divertimento.

«Non abbiamo tempo da perdere, Malfoy» riprese allora lei, raddrizzando le spalle, nuovamente piena di orgoglio – fastidiosissimo orgoglio Grifondoro – e di una sicurezza che, agli occhi di Draco, la faceva apparire ancora più insopportabilmente attraente. «Vorrei risolvere questa storia prima dell’ora di cena».

Prima dell’ora di cena. Quelle parole fecero nascere qualcosa di oscuro in Draco.

«Cosa devi fare all’ora di cena, Granger?» domandò quindi, ricominciando a camminare e facendo il possibile per mostrarsi assolutamente impassibile alla notizia. Non le avrebbe dato la soddisfazione di farle vedere la sua gelosia. Almeno, non in modo troppo spudorato.

«Non sono affari tuoi» ribatté lei, secca, sollevando la bacchetta per illuminare il corridoio buio e ammuffito. «Comunque, considerando che arriveresti a torturarmi pur di saperlo, devo andare da Harry. Ho promesso a Gin che le avrei fatto compagnia nel turno di notte» fece una piccola smorfia, che Draco trovò tanto corrucciata quanto affascinante. «Non mi piace saperla da sola in quella stanza».

«Ma non è da sola» fu la puntualizzazione che lui non riuscì a trattenere. «Potter è ancora vivo, nonostante tutto. Sono sicuro che non le dispiacerà moltissimo poter restare al suo fianco tutta la notte. Non a tutti i parenti dei malati è concesso».

Non era concesso a sua madre, pensò, sentendo un certo fastidio alla bocca dello stomaco. Narcissa Malfoy poteva parlare con suo marito soltanto per un’ora ogni giorno, mentre agli amici ed ai parenti di Harry Potter era stata lasciata libertà assoluta di visita.

Non era concesso neppure al Dottor Crave, si rese conto un attimo dopo, ricordando di aver visto più di una volta la figlia del dottore da sola, presa dalla lettura di un vecchio libro in attesa che arrivasse l’orario di visite e che suo padre potesse farle compagnia.

«Per quanto il suo cuore stia battendo, Harry non è lì» mormorò Hermione, gli occhi bassi e le spalle improvvisamente rigide. Quella confessione dovette costarle moltissimo. «Le permettono di restare perché credono che la vicinanza possa aiutarlo a tornare indietro… ma non io non credo che sia sufficiente. Non può esserlo, perché Harry non è ».  

«Hai parlato dei tuoi sospetti con i Guaritori?» domandò allora Draco, nonostante una parte di sé gli stesse facendo notare che lui, al posto della donna, non avrebbe neppure preso in considerazione l’idea di aprirsi con lui al riguardo.

«No, troppo rischioso. Potrebbero smettere di cercare di aiutarlo». Naturalmente, Hermione Granger non era Draco Malfoy. Lei non era maliziosa, non era crudele. «Stanno facendo di tutto perché lui è Harry Potter,» continuò, cupa, «se io dovessi dire loro che Harry Potter non è più in quel corpo, allora lo lascerebbero morire prima che io possa avere il tempo di trovare una soluzione».

Draco si accigliò. «Tu, Mezzosangue? Pensi di riuscire dove i migliori medici del mondo magico hanno fallito?».

La Granger accennò un sorriso, fermandosi in mezzo a ciò che restava del vecchio corridoio. «Ho parlato con il migliore fra tutti i medimaghi» gli rivelò. «Lui concorda nel credere che se riusciremo ad impedire il ritorno di Voldemort, allora Harry riuscirà a tornare indietro».

Senza riuscire a impedirlo a se stesso, Draco pensò al Dottor Crave, scuotendo immediatamente il capo per abbandonare l’idea.

No, se avessero collaborato davvero, il Dottore lo avrebbe avvertito di sicuro.

«Indietro da dove?» chiese allora, mentre si avvicinavano ad un bivio.

Hermione gli fece cenno di andare a destra, mentre lei, evidentemente, sarebbe andata a sinistra. Aveva deciso che si sarebbero divisi e, data l’intensità del suo sguardo, Draco non provò neppure a dissuaderla, consapevole che non ci sarebbe mai riuscito. Semplicemente, la seguì ed ignorò le proteste.

«Dal limbo in cui sta combattendo contro Voldemort».

 

***

 

Si resero conto che ci fosse qualcosa di terribilmente sbagliato solo al terzo corridoio, quando Hermione si sentì mancare il fiato e le gambe tremare come se avesse scalato a piedi il Monte Everest.

«Malfoy?» chiamò, portandosi la mano al petto, cercando di inalare più ossigeno, ma sentendo tuttavia le ginocchia cedere e la vista appannarsi sempre di più. Fortunatamente, lui riuscì ad afferrarla prima che toccasse il suolo.

«Granger, che ti prende?» preoccupato, lui l’aveva fatta sedere con le spalle poggiate al muro, sfiorandole la fronte con le dita gelide. «Non potevi avvertirmi prima? Ci saremmo fermati a riposare» aggiunse, con uno strano tremore nella voce.

Quando lei riuscì a schiarirsi la vista, comprese il perché di quel tono tanto debole. Malfoy era pallido, con delle profonde occhiaie violacee e sudore nonostante fosse gelido come la morte. Più che il meraviglioso giovane uomo che sapeva fare strage di cuori, ad Hermione ricordò moltissimo quei piccoli bambini licantropi che avevano scovato una volta arrestato Greyback, sul fondo di una caverna fredda e buia.

«Io avrei dovuto avvertirti? Malfoy, tu sembri sul punto di collassare!» quasi si mise ad urlare, tanto quella faccia la spaventò. Senza voler sentire ragioni, lo trascinò accanto a sé, riuscendoci con particolare facilità. Il gemito dolorante che gli sentì emettere confermò la gravità delle sue condizioni.

«Mi sembra quasi di avere la febbre» mormorò Malfoy, passandosi la mano sugli occhi infossati. «È come avere un peso continuo sul petto, hai presente? Non è possibile che siamo passati davanti a dei dissennatori senza rendercene conto?».

Quella domanda fece accigliare la strega, che si voltò a fissarlo, confusa. «Perché mi chiedi questo? Come… come hai collegato i dissennatori

Lui fece una smorfia, poggiando il capo contro il muro ed impallidendo ancora di più, proprio quando Hermione si era abituata a quel colorito già anormale di suo. «Questa era la sensazione che provavo sempre, quando quelle bestiacce pattugliavano il Manor» disse, passandosi la mano sinistra sul braccio destro, come a volerlo nascondere. «Non siete stati gli unici ad avere delle balie indesiderate, Granger».

Il ricordo di quel periodo fece stringere lo stomaco ad Hermione. Ricordava fin troppo bene com’era stato quel periodo e, soprattutto, ricordava perfettamente il Manor. L’istinto di nascondere ancora di più il braccio su cui lei sapeva esserci stata la cicatrice lasciatale da Bellatrix la assalì prepotentemente, ma riuscì a controllarsi. Dopotutto, era riuscita a farla sparire nei primi anni seguenti alla guerra, con giusto qualche incantesimo estetico. Nonostante tutto, Bellatrix non aveva usato la magia nera, per procurargliela.

Ma per il Marchio Nero era necessaria.

L’improvvisa consapevolezza di cosa lui stesse nascondendo la fece voltare dalla sua parte, una mano a coprirle la bocca per non mostrare in modo troppo spudorato quanto fosse spalancata per la sorpresa. Il ricordo della sera in cui lui l’aveva baciata – perché spinto dall’afrodisiaco di Augusto Caetani, sicuramente – riapparve come un flash, permettendole di riportare alla mente la fasciatura che copriva il suo braccio destro.

Come aveva fatto a non rendersene conto prima? Era l’unico pezzo di stoffa che lui aveva addosso, era davvero possibile che le fosse semplicemente sfuggito?

Sì, certo che era possibile, si rispose, dandosi dell’idiota.

Lui era nudo, c’era molto altro cui prestare attenzione.

Stava diventando una maniaca.

«Granger, perché mi stai fissando in quel modo? Mi è spuntato un terzo occhio? Sanguino? Mi è uscito un brufolo?» sbottò lui, portandosi le mani sul viso e tastando i propri lineamenti alla ricerca di qualcosa di sbagliato. Quell’ultima ipotesi elencata sembrava preoccuparlo più delle prime due. «Per Salazar, Mezzosangue, mi stai facendo preoccupare!».

Certo che si stava preoccupando, erano senza forze per ragioni sconosciute e totalmente da soli contro qualsiasi pericolo si stagliasse sulla loro via.

Non era il momento di farsi prendere dallo sconcerto, Malfoy non era certo l’unico Mangiamorte pentito con cui lei era entrato in contatto.

Ma non aveva mai creduto che lui fosse effettivamente stato uno di loro, neppure quando Harry le aveva raccontato l’incidente della Torre di Astronomia.

La verità era che la speranza che in realtà non fosse stato coinvolto fino a quel punto le aveva sempre permesso di guardare con maggiore umanità ai suoi familiari. Ripetersi che Narcissa e Lucius non avrebbero mai venduto in modo così spudorato il loro unico figlio le aveva permesso di considerare tutti i Mangiamorte come umani, seppur deviati e crudeli.

Se Harry le aveva detto la verità, allora quell’oscuro tatuaggio gli era stato imposto ad appena sedici anni, insieme al fardello di dover salvare tutta la sua famiglia dalla rovina.

Non aveva mai avuto una scelta, così come non l’aveva avuta neanche Harry.

Ma lei, in quel momento, la possibilità di scegliere ce l’aveva.

«Hai detto Dissennatore, ma non c’è traccia del freddo che li caratterizza. Ho pensato ad un’altra creatura che potrebbe avere lo stesso effetto».

Scelse di rimandare quella discussione, semplicemente. Non era il momento e non era neppure il luogo per rivangare un passato che sapeva avrebbe fatto soffrire entrambi. E, comunque, aveva davvero immaginato quale creatura potesse averli attaccati.

Lui, naturalmente, la fissò come se fosse impazzita. «E c’è bisogno di reagire in quel modo?» le domandò, accigliato, prima di irrigidirsi leggermente. «È una creatura molto pericolosa? Classificazione?» le chiese quindi, riducendo gli occhi a due lame sottilissime.

Hermione scosse il capo. «Non sono ancora stati classificati, nessuno ha mai avuto il piacere di incontrarne uno dal vivo. Si tratta più che altro di leggende» iniziò a spiegare, cercando di tirarsi a sedere ed allungando le mani verso il colletto della camicia di lui. «Slaccialo» ordinò brevemente, quando constatò di non avere abbastanza forza da protendersi in avanti e concentrarsi contemporaneamente nella semplice azione di rimuovere i bottoni dalle asole.

Quando lui tirò fuori un sorrisino compiaciuto, le venne voglia di picchiarlo.

«Granger! Non ti facevo così intraprendente… normalmente non mi sottrarrei a certe iniziative, ma davvero non mi pare il caso…» provò a dirle, con un tono che – fortunatamente per lui – era inevitabilmente scherzoso, mentre obbediva a quel bislacco ordine. «Cosa speri di trovare, sotto la mia camicia? Credo tu abbia avuto modo di constatare di persona che io abbia solamente due capezzoli e muscoli non troppo defin- porca puttana».

L’imprecazione con cui interruppe quel suo sproloqui fu la stessa che Hermione urlò nella propria mente, nel momento in cui i suoi occhi si posarono sull’impronta di un morso dalla forma umana ma decisamente troppo grande, proprio sulla spalla di Malfoy. La ferita era abbastanza profonda, ma doveva aver smesso di sanguinare da almeno un’ora, forse meno grazie alla strana patina verdastra che la ricopriva.

Presa dal panico, Hermione non si ribellò quando Malfoy allungò velocemente le mani per allentare anche la sua camicia, scoprendo un morso praticamente identico anche sulla propria spalla, coperto dalla stessa porcheria verde.

«Hermione, cosa cazzo significa?» le domandò, con un filo di voce, sollevando lo sguardo dalle loro ferite per portarlo al viso di lei. Il pallore non era più dettato soltanto dalla debolezza. «Io non conosco nulla che possa fare una cosa del genere, soprattutto senza lasciare alcun ricordo».

«Io sì» mormorò lei, guardandosi intorno, sentendo come se, all’improvviso, ogni ombra potesse celare il loro nemico. «Si chiama Ubir, è un mostro della mitologia Turca» gli spiegò, cercando con tutte le sue forze di deglutire. «Prova ad immaginare cosa succederebbe se un vampiro ed un dissennatore avessero un figlio».

La smorfia che le dedicò valse più di mille risposte.

«Qualche dettaglio in più non sarebbe male, Granger».

«Forma umanoide, grossi denti aguzzi, succhia via la linfa vitale da qualsiasi essere, come un vampiro, ma è più una questione d’anima che di vita vera e propria» cercò di sintetizzare, nervosa. «Quantomeno, questo è tutto ciò che dicono le leggende. Sembra sia impossibile vederlo e sopravvivere, immagino che abbia un meccanismo di difesa che narcotizza le sue vittime, così che queste muoiano senza lamentarsi o, comunque, vadano via senza ricordare».

«Un po’ come il verme di Versailles, questo mi stai dicendo?» azzardò lui, rialzandosi in piedi a fatica e cercando di rilassare le spalle. Restare accovacciati stava danneggiando i loro muscoli deboli, anche Hermione poteva sentire i suoi lamentarsi. «Come possiamo ucciderlo?» chiese poi, allungandole la mano per aiutarla.

Considerato il pallore, probabilmente quello fu più un gesto di cortesia che di vero aiuto.

«Non come il Verme della Memoria, no» spiegò, risollevandosi senza approfittare troppo di quella mano offerta tanto gentilmente. «Quello succhia via i ricordi, questo ti rende completamente incosciente. Te l’ho detto, un incrocio fra un dissennatore ed un vampiro. Immagino che non abbiamo alcuna memoria perché il trauma è stato così forte da impedirci di realizzare l’accaduto. Alcune volte la mente difende se stessa».

Non preoccuparti se con il passare del tempo avrai dei flash, fino ad ora la tua mente ha protetto se stessa dall’accaduto.

Quasi come se l’avesse sentita, Malfoy rabbrividì.

«Qualcuno mi ha detto una cosa simile, una volta» spiegò, notando il suo sguardo curioso. «Non è una persona particolarmente gentile, sentirti dire quelle parole mi ha fatto una certa impressione».

Non una persona particolarmente gentile.

Un dubbio nacque spontaneamente in Hermione, ma lei si impose di ignorarlo. Non era assolutamente il momento per certe cose, dovevano trovare un modo per sopravvivere.

Dopo, si disse.

Dopo avrebbero parlato di un bel po’ di cose.

«Fermo un attimo» intimò al suo accompagnatore, schiarendosi la voce. Fortunatamente, il miglior professore di Difesa che avesse mai avuto – migliore anche di Harry, nonostante non avesse mai osato dirglielo – le aveva insegnato una tecnica infallibile per recuperare le forze. Questa volta non perse tempo e, con un colpo di bacchetta, appellò dalla propria borsetta una barretta di cioccolata, scartandola velocemente e dividendola in due parti uguali. «Mangiane un po’, ti farà bene».

Accettando l’offerta, Malfoy le lanciò un’occhiata divertita. «Mi è sembrato di vedere Lupin, lo sai? Stessa espressione rassicurante» le disse, scuotendo il capo ed addentando la sua cioccolata. «Hai mai pensato di fare l’insegnante? Hai sempre avuto l’aria da maestrina».  

Hermione strinse le labbra, sentendo quelle parole. Sì, aveva pensato di intraprendere la carriera accademica e, quando la professoressa McGranitt le aveva proposto di prendere il suo posto come insegnante di Trasfigurazione, lei aveva rifiutato immediatamente.

Cosa avrebbe fatto Ron, se lei fosse andata via per così tanto tempo?

«Non credo vada bene per me» rispose invece. «Troppa poca azione e troppi ragazzini, potrei perdere facilmente la pazienza».

«Soprattutto se dovesse capitarti un piccolo principino rompiscatole com’ero io, giusto?» ribatté Malfoy, con una risatina. «Merlino, Mezzosangue, ancora mi fa male la mascella, se penso a quel ceffone che mi hai dato al terzo anno!».

Divertita, imbarazzata ma soprattutto curiosa, Hermione lo guardò con la coda dell’occhio. «Non credevo ricordassi quell’episodio. Io ho smesso di pensarci da un bel po’ di tempo. Non ti ho colpito così forte».

Malfoy si accigliò, toccandosi l’osso in questione, come se il colpo fosse stato recentissimo. «Se devo esser sincero, ho cercato più volte di dimenticare ma il mondo ha fatto di tutto per ricordarmelo. È stato un ceffone così forte da restare nella storia, Granger! Una ragazza più giovane di noi me l’ha rinfacciato proprio qualche giorno fa».

Hermione si trattenne a stento dal rivelargli che la torre Grifondoro fosse solita festeggiare quel suo gesto come se, da solo, fosse stato sufficiente a consegnare loro la Coppa del Quidditch. Era stato Harry a raccontarlo in giro, quando Malfoy stesso aveva spifferato alla Skeeter le bugie su una loro ipotetica storia d’amore, peggiorando tutta la situazione con Ron.

Fece per rispondergli, chiedendogli di smetterla di lamentarsi come un bambinone, ma qualcosa le impedì di parlare. Qualcosa che aveva sembrava essere un uomo, ma che la sua mente si rifiutava di registrare come tale. Un guscio vuoto, con il petto squarciato ed il cuore che era stato violentemente strappato via e spremuto come un frutto troppo maturo. Il sangue sporcava gli abiti identici a quelli che le guardie dell’ingresso indossavano, gli occhi erano spalancati e vitrei, spenti come quelli di un qualsiasi cadavere, nonostante quella creatura non sembrasse davvero morta.

Non secondo la comune concezione di quel termine, comunque.

«Resta qui, Hermione» la ammonì Malfoy, freddo, tirandola indietro mentre lui avanzava, con la bacchetta tesa. Lei si sarebbe ribellata, se lui l’avesse fatto solo per farla sentire debole, ma considerando la nausea insopportabile che quella vista le diede preferì fare come le era stato chiesto.

Aveva imparato a sue spese di non dover mai attraversare i propri limiti.

Osservò il suo collega esaminare il cadavere, spostando arti e brandelli d’abito con la magia, pur di non sporcarsi con sangue o altra sostanza gelatinosa. Alla fine, quando si voltò verso di lei, c’era un certo allarme nel suo sguardo.

«Credo sia morto poco tempo fa, è ancora tiepido. Chiamami folle, ma temo che la bestiola non sia poi tanto lontana da qui» le disse, allontanandosi dal cadavere. «Considerando che questa è una strada che noi abbiamo certamente percorso, credo che inizialmente abbia tentato di attaccare noi, per poi concentrarsi su questo povero malcapitato e lasciarci stare, nonostante io non la ritenga una strategia molto sensata».

«Sempre che non abbia deciso di lasciarci andare per il puro piacere di inseguirci» sussurrò lei in risposta, sentendo il cuore in gola. Le ombre erano sempre più minacciose e sempre più pericolose, alle sue spalle. Stava calando la notte, era un pessimo, pessimo segno. In cerca di una qualche risposta, allora, Hermione notò una scia di sangue sul pavimento che conduceva verso il corridoio di sinistra. Con il cuore in gola e la bacchetta alta, fece qualche passo nella direzione, illuminando con un Lumos un altro cadavere e, poco più in là, almeno altri due. «Malfoy, credo ci abbia lasciati andare perché aveva trovato altro… intrattenimento».

Lui l’aveva già raggiunta, facendo con lei la macabra scoperta. «Ho idea che quelli armati gli piacciano di più».

Sentendo quelle parole, Hermione ricordò un piccolo aneddoto che Merrick Rosier le aveva raccontato, parlando della storia che circondava il Palazzo e la sua caduta.

«Affilati sono i suoi denti, infinita il suo desiderio di Morte. Finché il Guardiano della Roma d’Oriente vivrà, i suoi Sovrani non temeranno alcun nemico» recitò allora, sentendo il cuore perdere qualche battito. Si voltò verso Malfoy, con gli occhi enormi. «Le guardie erano una minaccia più grande di noi, perché noi non vogliamo distruggere nulla. Noi non siamo nemici dell’Impero».

«Di cosa diavolo stai blaterando, Granger?» le domandò lui, ansioso. «Mi sembra di sentir parlare la mia prozia Alhena*!» aggiunse, voltandosi per controllare che niente – o nessuno – bloccasse la loro unica via di fuga.

«Una leggenda vuole che a guardia dell’Impero d’Oriente ci fosse una creatura mostruosa, la stessa che ha divorato Irene, prima che questa potesse sposarsi con Carlo Magno e porre fine alla storica separazione» iniziò a raccontare, percependo tuttavia uno strano e fastidioso prurito al collo. «Gli Imperatori lo chiamavano Guardiano della Roma d’Oriente. Si dice che sia caduto insieme a Costantinopoli, nel 1453, durante-».

«La conquista della città, lo so» la interruppe il biondo, esasperato. «Mezzosangue, sono un archeologo ed un collezionista, conosco abbastanza bene i fatti della storia». I suoi occhi grigi saettarono, nervosi, da un capo all’altro del corridoio. «Come hanno fatto a controllarlo, mi chiedo. Evidentemente non è morto nell’assedio».

Merrick le aveva detto qualcosa, al riguardo, qualcosa che lei non riusciva a ricordare. Forse aveva esagerato con il drink che la stessa Auror le aveva messo davanti**.

La sensazione di qualcosa di freddo e umido sul collo le impedì di parlare. Semplicemente, allungò il braccio per afferrare quello di Malfoy.

Il modo in cui lui la guardò e sgranò gli occhi avrebbe fatto morire di paura anche il più coraggioso dei Grifondoro.

Bastò uno sguardo d’intesa ed Hermione si gettò a terra, mentre un lampo di luce verde colpiva in pieno la creatura alle sue spalle, riuscendo soltanto a scalfirla.

Naturalmente, si disse lei, mentre Malfoy la aiutava a fatica a rialzarsi ed iniziava a correre lungo il corridoio gelido, era una creatura vissuta per secoli e secoli, un’Avada Kedavra non l’avrebbe di certo uccisa.

«Cosa dobbiamo fare, Granger?» le chiese Draco, mentre scavalcavano a fatica una lunga scia di cadaveri. «Quella bestia ha mangiato parecchie anime, ma sembra piuttosto ingorda» aggiunse, con un cipiglio particolarmente preoccupato.

Hermione, nel frattempo, aveva impedito a se stessa di vedere qualcosa in più che dei semplici sacchi di carne nelle carcasse ai suoi piedi. Non sarebbe riuscita a scavalcarli o calpestarli, altrimenti. Osservare la creatura – un’animale dalle fattezze quasi umane, ma molto più grosso, con il corpo coperto di squame nere, una lunga lingua blu e dei grandi occhi rossi – era stato sufficiente per i suoi nervi, non ce l’avrebbe fatta a reggere altro.

Non se doveva ricordare cosa le aveva detto Merrick.

Si dice che Maometto II abbia usato un’arma abbastanza forte da contrastare il potere della creatura. Un potere uguale ma diverso.

La creatura doveva essersi presentata con la partenza dello Specchio, per poi rivoltarsi contro la sua stessa creatrice. Si era eletta a protettrice dell’Impero, sfruttando il desiderio di distruzione che aveva sempre accompagnato i nemici di quest’ultimo.

Ma Maometto II non voleva distruggere.

Voleva conquistare, non difendersi da una conquista.

Improvvisamente conscia di ciò che avrebbe dovuto fare, Hermione si fermò e si voltò a fronteggiare il loro inseguitore, sorda dei richiami di Malfoy e dei suoi deboli tentativi di trascinarla via. Non ce l’avrebbe fatta a restare immobile, in effetti, se non fosse stata animata da quella convinzione.

Quando la bestia fu a pochi centimetri da lei e si fermò per spiccare il balzo, lei alzò la bacchetta e pronunciò una Maledizione Senza Perdono, ma non la stessa che Malfoy aveva provato ad usare.

«Imperio».

 

 

«Ancora mi chiedo come facciamo ad essere vivi, Granger» sbottò per l’ennesima volta Malfoy, lasciando che il Medimago gli sistemasse una piccola benda sulla spalla.

Hermione era già stata curata, ma aveva preferito aspettare per assicurarsi che anche lui stesse bene. Dopotutto, il suo nuovo amichetto non aveva preso bene il fatto che lui avesse tentato di strappargliela dalle zampe, sballottandolo un po’ per la stanza.

«Quella è una creatura fatta d’anime, non può morire» gli spiegò, con un sorrisino compiaciuto. «Non potendo morire, però, può comunque essere controllata. Ed è ciò che ho fatto io… e ciò che ha fatto Maometto II nel 1253, quando l’Imperatore gliel’ha sguinzagliato contro».

«Quello che ha fatto lei» sbottò Malfoy, con una smorfia. «Come se fosse stata una cosa normalissima, vero? Usare un Imperius avrebbe potuto ucciderci tutti e due, lo sai?».

«Ma non l’ha fatto! Ed ora continuerà a proteggere gli scavi dai malintenzionati… senza uccidere nessuno» ribatté lei, particolarmente fiera di se stessa. «Fuffy ci ha anche aiutati a trovare quello che ci serviva, Malfoy, non essere irriconoscente» aggiunse, alludendo allo specchietto che, in quel momento, giaceva in pezzi nella sua borsetta.

«Fuffy?» sbottò allora Malfoy, ricevendo un’occhiataccia dal Guaritore. «Hai dato un nome a quella cosa infernale?» le domandò, passandosi la mano libera fra i capelli scompigliati. «Davvero, Granger, secondo me hai passato troppo tempo con Hagrid».

Hermione ridacchiò, ripensando al cane a tre teste che aveva incontrato il suo primo anno. E al drago. E all’Ippogrifo. Aragog non l’aveva conosciuto, ma valeva comunque.

«Diciamo che sono andata alla vera natura di quella povera creatura indifesa» gli rispose, tranquilla. In quel momento, borbottando di una pozione sbagliata, il Guaritore si congedò, lasciandoli soli. «Fatti controllare per bene, domani mattina dovremo partire per Jhelum».

Con una faccia ancora parecchio contrariata, lui annuì. «Sei sicura che sia quella la meta? Non che mi dispiaccia, il Pakistan è meraviglioso, ma l’antica India è molto grande. Hai visto un elefante ed una donna con tante braccia? Non c’era una cartina geografica».

«Ho visto un destriero cadere proprio in mezzo ad un fiume. Un cavallo dalla grande testa incoronata. Dici di conoscere la storia, possibile che tu non sappia della fine di Bucefalo e, soprattutto, del declino di Alessandro Magno?» lo scimmiottò, alzando gli occhi al cielo. Poi, agilmente, balzò giù dal tavolino su cui si era seduta. «Ci vediamo domani mattina davanti casa mia, Malfoy, questa volta ho io un buon aggancio».

«Dove stai andando, adesso? Ancora non è arrivata la tua amica Weasley» le chiese, confuso, senza tuttavia obiettare sul piano. Avevano discusso più che a sufficienza nel tragitto da Istanbul all’Ospedale.

Con un sospiro, Hermione gli lanciò un’occhiataccia da sopra la spalla. «Vado a scambiare quattro chiacchiere con il Dottor Crave, Malfoy. Credo che il nostro psicanalista mi debba un bel po’ di spiegazioni».

 

 

 

 

 

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CE L’HO FATTA.

Sono sparita per due settimane e vi ho propinato dei capitoli terrificanti, ma finalmente quel brutto esame cattivo è sparito ed ora posso dedicarmi un po’ di più alla scrittura. Naturalmente dovrò prepararne altri, ma non credo proprio che saranno stressanti come quest’ultimo. Grazie a chiunque mi abbia pensata!

 

Punti importanti:

 

» Prima di tutto, la citazione. La paura di esser conquistati (o mangiati) avrebbe decretato la fine di quei due, perché, naturalmente, avrebbero reagito per difendersi da morte certa, senza riuscire ad uccidere. Conquistare, invece, avrebbe significato controllare la mente del mostro. Per conquistare (quindi, per usare l’Imperius) serve convinzione. Senza convinzione, l’incantesimo non funziona.

 

» * La prozia Alhena è la madre di Merrick. Avendo Hermione ripetuto una frase della stessa cugina, è naturale che abbia imitato, involontariamente, una Malfoy.

 

» **Fa riferimento alla bevanda con cui, due capitoli fa, Merrick stessa l’ha fatta cadere nella trappola di Malfoy.

 

» La belva cui si fa riferimento esiste davvero nella mitologia turca, ma io l’ho interpretata un po’ a modo mio. Come sempre, abbiate pazienza, sono una che non sa attenersi alle regole. Ho lavorato parecchio di fantasia, ma spero che almeno un po’ il mio ragionamento sul “funzionamento” psicologico della creatura abbia funzionato.

 

» Ho lavorato MOLTO di fantasia riguardo i fatti successi fra la caduta di Irene e quella dell’Impero d’Oriente. Storici ed esperti, perdonatemi. Fans di Maometto II, spero di non aver offeso la vostra sensibilità. Dopo il Re Sole, la Strega di Biancaneve, Dante e Bonifacio VIII, infangare la memoria di tre Imperatori è ancora più orribile. Perdono.

 

» Naturalmente, l’Assedio di Costantinopoli del 1453 è realtà storica. Non ho intenzione di fare la maestrina al riguardo, ma si tratta dell’anno in cui ha avuto ufficialmente fine l’Impero Romano d’Oriente.

 

» Hermione ha collegato parecchi punti, in questo capitolo! Credo proprio che il dottor Crave avrà un bel po’ di guai. Questo succede quando si riciclano le stesse frasi per diversi pazienti, caro mio!

 

»Prossima tappa, Pakistan! Avevo intenzione di spedirli a Mumbay, ma mi sono resa conto dell’impossibilità della cosa. Dopotutto, devono seguire le orme di Alessandro Magno! Lui, infatti, oltre ad essere nella top 3 dei miei personaggi storici preferiti è stato il primo imperatore greco a spingersi verso i confini dell’Oriente, concludendo il suo viaggio con la battaglia dell’Idaspe (le truppe si rifiutarono improvvisamente di continuare) e fondando, proprio lì, la città di Alessandria Bucefala, oggi Jhelum. Perdonatemi se l’indizio è disgustosamente ignorante, ma non sapevo come renderlo. Il nome della città, infatti, deriva dall’episodio della morte dell’amato cavallo di Alessandro, che si chiamava Bucefalo.  

 

 

 

Non credevo di poter pubblicare in tempo, ma ce l’ho fatta! Alla settimana prossima con l’incontro Hermione/Dottor Crave!

  

 

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 19
*** Atto XII - Parte I/ Il mostro sotto al letto. ***


Lo Specchio delle Anime.

 

 

 

Mile after mile, above, beneath,

One has a smile and one has teeth,

Though the man above might say hello,

Expect no love from the beast below.

 

[Doctor Who – La bestia di sotto s5e02]

        

 

 

 

Atto XII – Parte I

Il mostro sotto al letto.

 

 

 

«Mi chiedevo quanto avresti impiegato a capire. Devo dire di essere deluso, Hermione, ho lasciato andare indizi da quando avete iniziato a lavorare insieme» disse il Dottore, non appena lei fece irruzione nel suo studio, senza neppure voltarsi per guardarla.

Dalla sua posizione, Hermione riusciva a scorgere soltanto le sue spalle ed i capelli lievemente brizzolati. Il tono era divertito, ma le sembrò troppo rigido, anche rispetto i suoi standard. Il gatto dall’aria svampita, che solitamente non usciva da sotto il divano, le si avvicinò e si strusciò contro le sue gambe, quasi volesse esser preso in braccio.

Strano.

Vagamente preoccupata, ma ferma nel suo proposito, Hermione marciò lungo tutto lo studio, fino a fronteggiarlo. Allora, nonostante lui fosse impegnato con dei documenti, gli si posizionò davanti a gambe larghe e mani sui fianchi, sbattendo il piede per terra per richiamare la sua attenzione.

Non avendo successo, si decise a parlare.

«Avrebbe dovuto avvertirmi, dottore. Questo è conflitto di interessi, lo sai?» gli disse, irritata. «Sapevo che lei era il medico con la peggior etica del lavoro cui ci si potesse rivolgere, ma addirittura questo!» aggiunse, con uno sbuffo, iniziando a camminare per lo studio. «Io le ho confidato i miei pensieri e lei, nel frattempo, faceva il doppiogioco».

Come se fosse stanco, il dottor Crave sospirò e sollevò lo sguardo verso di lei, togliendosi gli occhiali da vista.

Hermione, in quel momento, gelò sul posto.

«Dottore?» esalò, spaventata, avvicinandosi di un passo ed allungando la mano, quasi avesse voluto accertarsi che quello sguardo distrutto e quelle borse scure fossero soltanto le conseguenze di una delle sue solite notti brave. Qualcosa le disse che no, quella volta era diverso, non si trattava di una sciocchezza. Non poteva. «Dottore, va tutto bene?».

«Non preoccuparti, Hermione, va tutto benissimo» la rassicurò, accennando un lieve sorriso. «Solo dei piccoli problemi di famiglia, nulla che tu possa risolvere o che riguardi il nostro rapporto» le disse quindi, raddrizzandosi sulla sua poltrona. «Quanto alle tue velate accuse, come ti ho già detto, ho provato a darti qualche indizio, ma tu mi sei sembrata più sorda del solito, al riguardo. Sei sicura di non aver voluto capire?» le domandò, con quel solito tono impertinente che lei aveva imparato a gestire ormai da qualche mese.

Naturalmente Hermione non si fece incantare da quella scenata, leggere le emozioni delle persone era il suo lavoro e, per quanto lui fosse difficile da decifrare, lei era davvero brava in quello che faceva. Quella preoccupazione andava ben oltre i piccoli problemi, doveva esser successo qualcosa di orribilmente grave, capace di togliergli il sonno.

Ma non poteva far nulla, non quando era lei ad aver bisogno di lui.

«Perché non avrei voluto capire?» gli domandò allora, accigliata, lasciandosi andare sulla sua solita poltrona. «Avrei potuto sfruttarla per ottenere informazioni su Malfoy, no?».

Il dottore emise un grugnito che avrebbe dovuto fungere da risata di scherno. «Non l’avresti mai fatto, così come non avresti rinunciato ai nostri incontri. Tu hai bisogno di me, ma anche lui. Non posso mandarvi via, entrambi siete in un momento troppo delicato della vostra terapia».

Con un sospiro, Hermione annuì. Il dottore aveva ragione, non avrebbe mai tentato di approfittare di una debolezza di Malfoy. Non era quel tipo di persona.

«Lui lo sa?» gli domandò allora, vagamente rassegnata, lasciando correre lo sguardo sui documenti che affollavano il tavolino che li divideva. Avevano tutti lo stemma del San Mungo, probabilmente si trattava di varie collaborazioni cui lui aveva preso parte. Per quanto nessuno riuscisse a controllarlo, avevano bisogno del suo aiuto, almeno ogni tanto.

«Naturalmente no, non ho neppure tentato di farglielo capire» le rispose, poggiando le spalle allo schienale e rilassandosi, nonostante sembrasse sempre sul punto di balzare in piedi alla prima avvisaglia di pericolo.

Che qualcuno lo avesse minacciato?

«Perché no?» gli chiese allora, ricordando l’infelice uscita con cui l’aveva salutato, all’ospedale. Se davvero il dottore non gliel’aveva detto, allora l’aveva fatto lei, come un’idiota.

«Perché lui non è te, Hermione» ammise il Dottore, con un sorriso divertito. «Per quanto io creda che non farà mai nulla di male contro di te, dubito che non avrebbe cercato di estorcermi informazioni per manipolarti».

L’espressione di Hermione dovette rivelare più di quanto lei avrebbe voluto, perché il dottore alzò gli occhi al cielo e sospirò.

«Ero sinceramente convinta che lo sapesse già, mi dispiace di aver dubitato della sua integrità professionale, dottor Crave» ammise alla fine, mortificata, cominciando ad immaginare tutti i mille e mille modi con cui Malfoy l’avrebbe torturata per estorcerle il motivo delle sue visite.

Quanto a lui, non c’era bisogno di un genio. Era stato costretto a diventare un Mangiamorte, suo padre giaceva in punto di morte ormai da mesi ed il suo braccio destro era ancora marchiato a vita, nonostante fosse sicura che il dottore gli avesse fatto prendere la stessa pozione che lei stessa aveva fatto bere ai mangiamorte pentiti.

Non era guarito, quindi qualcosa era andato storto.

«Non preoccuparti, mia cara, manterrò il tuo segreto» la rassicurò allora il medico, con un sorriso gentile che era raro, sulle sue labbra, come la cattiveria negli occhi di Hermione. Lei si preoccupò ancora di più: quell’espressione non aveva fatto che sottolineare la stanchezza dei suoi tratti. «Al riguardo, non mi hai più parlato dei tuoi incubi. Sono ancora gli stessi?».

Come punta da uno spillo, Hermione raddrizzò le spalle ed arrossì.

No, decisamente i suoi incubi erano parzialmente cambiati.

«Hermione, ti ho già detto che non esistono tabù in questa stanza» le rispose il dottore, con un accenno di sorriso stanco. Avevano già affrontato quell’argomento, durante le prime sedute. Data la natura della disgrazia che le era successa, essere timidi non avrebbe fatto del bene a nessuno dei due.

Lei era stata concorde, per quanto difficile. Gli aveva raccontato un po’ tutto quello che era successo o che le era passato per la mente.

Ma quello no, non gliel’avrebbe detto. 

«Non è vergogna» si difese allora, schiarendosi la voce. «I miei sogni sono cambiati, credo siano più normali adesso. Ma…» abbassò lo sguardo, con un sospiro sconfitto. Non avrebbe voluto ammettere quell’altra, orribile verità, ma si rese conto che fosse giunto il momento. Aveva deciso di riprendersi, di guardare avanti: avrebbe dovuto affrontare quel suo ultimo mostro sotto al letto.

«Ma?» il Dottore, come se avesse compreso la gravità di ciò che lei stesse per raccontargli, allungò la mano per prendere una delle sue strane sigarette casalinghe. Quando gliene offrì una e lei accettò, le dedicò un’occhiata estremamente sorpresa. «Sei pronta a lasciar andare il tuo fardello, non è vero, mia cara?» le domandò allora, senza riuscire a nascondere la soddisfazione, tenendo la sigaretta fra le labbra ed allungandosi per afferrare la bacchetta, abbandonata sul tavolino.

Hermione si avvicinò, permettendogli di accendere la sua, per poi rilassarsi sulla poltrona e portare gli occhi al cielo. Voleva raccontare, ma non poteva farlo guardandolo negli occhi. «Mi prenderà per stupida, una volta che avrò finito. Non è poi così spaventoso» ammise alla fine, inspirando lentamente e sentendo il naso pizzicare. Non aveva idea di cosa stesse effettivamente fumando, ma non le importò.

«Non temere, non sono qui per giudicare» la rassicurò lui, con un sorriso ben chiaro nella voce. Era incoraggiante, molto più del solito, ma c’era sempre quella strana nota di stanchezza che stonava con l’uomo con cui Hermione era solita battibeccare. «Qual è quest’incubo ricorrente?».

Non è il momento di pensare a lui.

«Il sogno è sempre lo stesso, ogni notte». Tranne una. «Io mi sto guardando allo specchio, sono seduta sul letto della casa che io e Ron* dividevamo» iniziò, sentendo un noto stringerle la gola. «Ogni notte c’è sempre un dettaglio diverso, sa? Una volta le coperte sono rosse, altre volte blu. Oppure cambiano i fiori nel vaso all’angolo della stanza. C’è sempre un dettaglio diverso».

Il dottore grugnì, facendole capire che fosse in ascolto. Hermione lo vide alzarsi in piedi e dirigersi alle sue spalle, con le maniche della camicia arrotolate. Lei sapeva cosa sarebbe successo a breve, ma temeva il confronto. Era un metodo che lei non amava, durante i mesi precedenti aveva preferito evitare, per quanto possibile.

Ma il medico era lui.

«Sei pronta?» le domandò, secco, mentre le puntava la bacchetta sulla nuca, in una leggerissima pressione, l’altra mano si posò sulla spalla di lei, delicata, come a volerla rassicurare.

«Non potrei mai essere più pronta di così, Dottore» gli disse, tesa, chiudendo gli occhi. Nonostante la sua evidente paura, era stata sincera. Non sarebbe mai stata più certa come in quel momento.

Un momento dopo, il gelo di quell’oblio forzato le oscurò la vista e le rese pesanti le membra.

 

***

 

La prima volta in cui il dottor Crave l’aveva sottoposta al sonno forzato, lei aveva paragonato l’esperienza alla prima volta in cui aveva utilizzato un Pensatoio. Era come essere trascinati in un ricordo, assistendo come spettatori impotenti.

Anche quella volta, Hermione si ritrovò ad osservare la versione peggiore di se stessa: gracile, pallida, raggomitolata su se stessa in un angolo di quello che era stato il letto suo e di Ron per un tempo che, col senno di poi, le sembrava sempre vergognosamente lungo.

Il Dottore, naturalmente, era al suo fianco, freddo nella sua professionalità, con ancora la sigaretta fra le labbra. Lei la sua non l’aveva portata nel sogno, probabilmente l’aveva poggiata sul posacenere vicino prima di perdere conoscenza. Sperò davvero di esserci riuscita, perché altrimenti a svegliarla sarebbe stata la puzza di bruciato.

«Questa volta il copriletto è verde e ci sono dei gigli nel vaso» le fece notare l’uomo, guardandosi intorno, mentre la sua piuma continuava a prendere appunti da sola. La ragazza del sogno, in cui Hermione rivedeva se stessa nonostante non le piacesse affatto, sembrò non sentirli.

Ovviamente, pensò, dandosi della stupida. Lei non esisteva.

«I sogni iniziano sempre così. Io mi guardo allo specchio e la stanza sembra normalissima. All’inizio mi svegliavo convinta che fosse la realtà, ero arrivata a non voler più chiudere occhio» spiegò, incrociando le braccia al petto, in un gesto che le trasmise un’immediata sicurezza. «Naturalmente, prima che venissi da lei».

Il Dottore annuì. «Comprensibile, era il tuo modo di difenderti, prima di avere un modo per elaborare il trauma» mormorò, mentre la ragazza del sogno si sollevava dal materasso, con una lentezza quasi estenuante. Lui trattenne il fiato, quando, una volta in piedi, la morbida camicia da notte lasciò intravedere una rotondità sospetta al ventre. «Questo non me l’aspettavo» ammise allora, voltandosi verso l’Hermione reale, in quel momento con gli occhi socchiusi.

Certo che non se l’aspettava, non gliel’aveva mai detto.

«Non si sorprenda, Dottore» gli disse allora lei, senza guardarlo. «L’Orrore deve ancora iniziare».

Era quello, il peggiore dei suoi segreti. Hermione aveva giurato che nessuno avrebbe mai saputo cos’era davvero successo, in quei giorni terribili. I suoi genitori non lo sapevano. Ginny non lo sapeva. Il dottor Crave non lo sapeva.

Solo Harry.

Non preoccuparti, tesoro, andrà tutto bene.

Il pensiero del suo migliore amico le fece venire la nausea. Era stato molto più che un amico, molto più che un fratello. Harry era stato ciò che le aveva impedito di togliersi la vita, quando tutto era finito. Era stato il suo unico confessore, la parte migliore della sua anima torturata.

Harry aveva mentito per lei. Aveva lottato per lei.

Harry era stato pronto ad uccidere per lei.

La ragazza del sogno si sfiorò quell’accenno di pancione, sorridendogli in modo vuoto e canticchiando una strana melodia a bassa voce. Intorno a loro, la stanza iniziò ad oscurarsi, come durante un’eclissi. Le ombre si allungarono in modo innaturale, scurendosi, addensandosi come pece sulle superfici.

«La guardi, dottore» disse la vera Hermione, con una voce fredda che non le apparteneva, di solito. «Guardi quant’è stupida. Non vede le ombre, pensa solo al suo bambino».

Il dottor Crave alternò lo sguardo fra le due ragazze presenti, prima di concentrarsi sulle ombre che li circondavano. Diventavano sempre più dense, sempre più tridimensionali.

Hermione non si mosse, quando qualcosa di nero e denso come il petrolio le scivolò accanto, avvicinandosi alla sua controparte nel sogno ed acciambellandosi ai suoi piedi.

In pochi minuti coprirono le finestre, eliminando tutta la luce proveniente dall’esterno. La stanza era precipitata nel buio totale, ma qualcosa non quadrava, qualcosa era sbagliato.

Senza la luce, le ombre sarebbero dovute sparire, no? Era una legge della scienza, una di quelle leggi necessariamente vere, che neppure la magia poteva derogare.

Eppure, le ombre erano ancora lì, ai piedi della falsa Hermione, un corpo informe che cresceva e si innalzava alle sue spalle, sfiorandole la pelle candida e lasciando, al loro passaggio lividi violacei e tagli di varie dimensioni.

«Quei segni non fanno male, lo sa?» disse la vera Hermione, senza distogliere lo sguardo da ciò che stava accadendo alla sua controparte. «Nulla fa male, c’è troppa dolcezza, troppa bellezza per lei».

Le ombre informi assunsero una forma quasi umana, delle mani scheletriche, scure, con dita lunghissime ed artigliate, si posarono sulla pancia appena pronunciata. L’Hermione dell’incubo impallidì, improvvisamente spaventata, dando per la prima volta le spalle allo specchio e voltandosi per fronteggiare il suo nuovo nemico.

Il dottor Crave si irrigidì, rafforzando la presa sul braccio della donna che aveva al suo fianco. Non la guardò, quasi fosse troppo preso da quella scena.

Hermione non lo biasimò: neppure lei riusciva a spostare lo sguardo, nonostante conoscesse fin troppo bene l’inevitabile conclusione di quell’incubo.

Il mostro d’ombra accarezzò il viso della donna gracile che aveva davanti, riempiendolo di tumefazioni e graffi. Il sangue copriva quei tratti fino a quel momento delicati, unendosi alle lacrime che avevano affollato i terrorizzati occhi castani, per poi scivolare via in una cascata inarrestabile.

Il dottore trattenne il fiato, quando la donna del sogno venne spinta con violenza contro lo specchio, che si ruppe in un milione di pezzi acuminati. Delle schegge insanguinate spuntavano dalle spalle nude della povera sventurata, mentre altri erano evidentemente incastrati fra i suoi capelli.

Ogni frammento rifletteva la stessa immagine di distruzione, coperta dallo stesso velo di orrore rosso sangue.

«Sei sicura di farcela?» la voce dell’uomo giunse alle orecchie della vera Hermione come un sussurro, nonostante la presa sul suo braccio fosse molto forte, quasi dolorosa. Il dottore temeva che lei non se la sentisse di assistere, ma a lei non importava, non più. Vedeva quella scena ogni notte, per una volta non vi avrebbe assistito completamente sola.

«Non è ancora finita» gli rispose lei, accennando un sorriso senza allegria. Si voltò a guardarlo, mente la controparte onirica veniva ancora malmenata dal mostro d’ombra. «Una volta una donna molto saggia mi ha posto una domanda cui io ho dato risposta solo dopo l’incidente» aggiunse, tornando ad osservare la scena.

«Chi? Quale domanda?» le domande del dottore arrivarono veloci, concitate. Non sembrava a suo agio, in quel momento. Forse, per la prima volta da oltre sei mesi, Hermione sentì della preoccupazione nel suo tono.

«Quando un mostro non è un mostro?» chiese però lei, senza rispondere alla prima domanda. Non credeva fosse il caso, non quando la donna in questione era Narcissa Malfoy, la madre del suo collega e paziente di lui.

La creatura d’ombra non aveva smesso di accarezzare il pancione. Il sangue aveva iniziato a macchiare in più punti la sua veste candida, i lividi ormai coprivano tutto il suo corpo.

«Quando?» chiese quindi il dottore, in un sussurro.

«Quando si è innamorati di lui».

In quel momento, il mostro conficcò la mano nel pancione, squartando la giovane donna come se fosse stata fatta di sabbia.

Hermione – quella vera – osservò la sua controparte urlare ed accasciarsi, senza muovere un muscolo. Aveva visto quella scena troppe volte, non ne aveva più la forza di piangere o disperarsi.

«Hermione, lui ti ha fatto questo? È tutto vero?».

Non si voltò a guardare il dottore, non fece assolutamente nulla che potesse confermare o meno le sue parole. Si limitò a fissare il mostro, mentre quello finiva di accanirsi sulla povera vittima ormai senza più il suo bambino.

Fu allora che la luce ritornò, improvvisa come un’esplosione, ed il mostro si rivelò per ciò che era davvero.

Hermione fissò negli occhi se stesa, mentre sorrideva con crudeltà e si ripuliva le mani sporche del sangue del suo bambino.

«Sono io il mostro, dottor Crave» ammise alla fine, voltandosi verso il suo accompagnatore. «Non ho compreso quanto grave fosse la situazione di Ronald finché non è stato troppo tardi. Mi sono innamorata e quell’amore ha ucciso il mio bambino».

Allora, come se qualcuno l’avesse trascinata di peso fuori dall’acqua un attimo prima che affogasse, si risvegliò dalla sua trance.

 

***

 

«Non vuole chiedermi come ho fatto a convivere con questo peso?» gli domandò, camminando senza meta per lo studio. Era scossa, ma l’aver condiviso quel ricordo l’aveva aiutata ad accettare la parte più oscura del suo passato. «Immagino che sia una domanda troppo ovvia per lei, non è vero?» aggiunse, quando lui restò in silenzio.

Sulla mensola del camino c’era la foto di una ragazzina con un grande sorriso e dei meravigliosi occhi chiari. Somigliava al dottore, forse era una sua parente stretta.

«Non te lo chiederò, perché io so bene cosa significa» le disse allora il dottore, affiancandola ed osservando a sua volta la foto. «Sentirsi responsabili per il destino di un figlio, perché non si è stati abbastanza bravi da comprendere il pericolo… è un peso che posso comprendere» aggiunse, seccamente. La guardò, impassibile. «Ma, Hermione, devi capire che il mostro è lui, non tu. Non puoi impedire a te stessa di amare».

«Lo so» ammise lei, accennando un sorriso. «L’ho capito ormai da tempo, ma non sono ancora pronta».

«Non essere pronti va bene» concordò lui, annuendo leggermente. Poi alzò la mano per sfiorare la fotografia sulla mensola. «Sai, Hermione, ti ammiro».

Lei si accigliò, senza tuttavia guardarlo. «Perché? Non ho fatto altro che nascondere la verità e ferire me stessa».

«Sei sopravvissuta alla perdita di un figlio ed a tutto quello che lui ti ha fatto» le disse allora il dottore, con voce improvvisamente roca e le mani tremanti. «Mia figlia sta morendo, ed io so con certezza che non riuscirò a vivere un solo giorno senza di lei».

 

 

 

 

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Ecco svelato parte del segreto di Hermione. Naturalmente, questo non è tutto, ma rappresenta il fulcro del suo trauma. La perdita di un figlio è la peggiore delle disgrazie, stando a quello che raccontano i superstiti a questa tragedia, ed il Dottor Crave comprende benissimo la situazione di Hermione, perché, sfortunatamente, anche lui sta per viverla.

 

Punti importanti:

 

» Prima di tutto, le condizioni di Rosemary, se non si fosse compreso, sono decisamente peggiorate. I documenti che il dottore stava studiando erano i referti della sua ultima visita. Nel prossimo capitolo torneremo da lei e Draco, probabilmente per il loro ultimo confronto.

 

» *Hermione fa riferimento a Ron, non a Ronald, perché per lei sono due persone diverse. Uno è il ragazzo di cui si è innamorata, l’altro è il mostro. Parlando della loro stanza, Hermione fa riferimento al suo Ron, quello buono. Alla fine, invece, parlerà di Ronald.

 

» Hermione rivede se stessa nel mostro, ma di certo non ritiene che sia solo colpa sua. In un certo senso, lei ed il dottor Crave sono più simili di quanto vorrebbero. Ma Hermione è forte, Hermione è pronta a ricominciare (anche grazie a Draco, ma ancora non lo so), mente il Dottore è bloccato in un limbo di colpe. Hermione ha Harry, Ginny ed una famiglia, mentre Newton Crave ha soltanto Rosemary e, presto, non avrà neppure lei.

 

» La filastrocca ad inizio capitolo viene da Doctor Who, da una delle mie puntate preferite. In questo caso, la bestia è sempre Hermione, ma la sua parte più nascosta, più oscura, quella che non ha mai smesso di incolparsi per la morte del bambino e che non mostra pietà per sé o per Ronald.

 

  

 

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

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Capitolo 20
*** Atto XII - Parte II/ Il rimpianto del padre ***


Lo Specchio delle Anime

Lo Specchio delle Anime.

 

 

 

 

The sharp knife of a short life, well

I’ve had, just enough time.

So put on your best boys and I’ll wear my peals,

What I never did is done.*

 

[The Band Perry – If I die young]        

        

 

Atto XII – Parte II

Il rimpianto del Padre.

 

 

 

Si rese conto ci fosse qualcosa di sbagliato quando non venne accolto dalla solita occhiataccia dell’elfo domestico. Per il resto, la stanza sembrava la stessa: solita penombra, soliti fiori esotici nei vasi, soliti libri sparsi per tutta la stanza.

L’iniziale sorpresa, però, sparì velocemente e, allora, Draco ebbe modo di notare la vera differenza.

Rosemary non lo stava guardando. In realtà, non sembrava neppure essersi resa conto che lui fosse entrato nella stanza. Era sdraiata, gli occhi chiari puntati nel nulla davanti a lei, molto più pallida di quanto non fosse mai stata.

L’elfo Downey era al suo fianco, i grandi occhioni sgranati e colmi di orrore. Non sembrò neppure scontento dell’arrivo di Draco, anzi. Quando lo vide, si allontanò dalla sua padroncina e lo raggiunse, prendendolo per il polso e trascinandolo accanto al letto.

«Parlatele, Padron Malfoy» gli disse, con vocina flebile ma imperiosa. «Magari vi risponderà. Voi le piacete, voi potete fare qualcosa…» aggiunse, angosciato. Le sue vecchie mani tremavano di aspettativa e di paura, cosa che fece cadere un macigno sul petto di Draco.

Osservò il profilo pallido di colei che aveva imparato a considerare una amica, senza tuttavia osare toccarla. «Da quanto tempo è così?» domandò allora, in un sussurro. Più la guardava, più la sentiva lontana, vicina alla morte e non alla vita.

Sbagliata, ecco com’era quella situazione.

Era sbagliato che quella ventenne fosse bloccata in un letto, senza possibilità di fare tutte quelle cose che lui, un paio di anni prima, non aveva voluto fare.

«Da ieri, quando il Padrone è venuto a trovarla» gli rispose l’elfo, con le orecchie basse. «Gli ha detto che lo avrebbe aspettato, ma quando lui è uscito…».

Il suo tono era talmente desolato che Draco rimpianse le cattiverie con cui era stato solito accoglierlo durante le altre visite.

«Cosa dicono i medici?» chiese quindi, azzardandosi ad allungare la mano per sfiorare il dorso di quella di Rosemary, solo con la punta delle dita. Temeva potesse rompersi, forse. Oppure che potesse riprendersi e chiedergli il perché di quell’orrore.

«I Guaritori dicono che le resta molto poco».

«Mesi?» la speranza era evidente nella voce del giovane mago.

«Ore, Padrone». L’elfo era disperato, non c’era altro modo per descrivere quel tono. «Padron Newton ha dato un pugno al Guaritore, gli ha detto che è un incompetente e che la nostra bambina non può morire» raccontò, infervorandosi. «Ha soltanto ventun anni».

Aveva detto nostra bambina, quasi ad ulteriore conferma di quanto quella ragazza fosse importante per i componenti della famiglia. A Draco sembrava impossibile immaginare il Dottor Crave talmente furioso da perdere il controllo. Ma, dopotutto, lui cos’avrebbe fatto? Per quel che ne sapeva, Rosemary era l’unica parente in vita del dottore ed era, probabilmente, il suo più grande orgoglio e rimpianto. Aveva visto il suo sguardo, quando si erano trovati nella stessa stanza. Aveva notato l’amore incondizionato con cui lei aveva ricambiato, quel sorriso caloroso che, non era difficile crederlo, nessuno doveva aver mai rivolto a quell’uomo.

Lussuria, forse lusinga, ma mai amore.

«Il Dottor Crave non ha trovato una cura, quindi» mormorò allora il mago, sentendosi tuttavia estremamente stupido o inutile. Ovviamente non c’era una cura, se anche il prezzo fosse stato la sua vita, il dottore non avrebbe esitato un singolo istante.

L’elfo scosse il capo, poi sospirò e si riavvicinò per accarezzare i capelli della sua padroncina.

«Ho fatto tutto il possibile, per lei» la voce di Crave, improvvisa, fece trasalire Draco. «Il possibile non è bastato». Era roca, secca ma disperata. Il giovane sentì un brivido lungo la spina dorsale, che divenne terrore quando lo guardò.

Non aveva mai visto degli occhi così colmi d’orrore.

«Non può farsene una colpa, Dottore» provò a rassicurarlo Draco, spostandosi così che lui potesse avvicinarsi alla figlia. In quel momento, vide Hermione Granger entrare dietro di lui, gli occhi colmi di dispiacere.

Alla fine era vero, allora. Il dottore li aveva in cura entrambi.

Se fosse stato un altro momento, si sarebbe arrabbiato.

«Rosemary ha sempre fatto l’impossibile, per me» rispose il dottore, senza guardare i due. «Lei era la mia bambina impossibile, ma io non sono riuscito ad essere impossibile per lei» aggiunse, con la voce improvvisamente ridotta ad un sussurro strozzato.

Draco ed Hermione lo osservarono crollare sulla poltrona accanto al letto, le dita strette intorno a quelle delicate di ciò che restava di sua figlia. Lei non sembrò reagire e l’elfo, che aveva atteso l’arrivo del Padrone con trepidazione, si accasciò in un angolo, improvvisamente sconfitto.

La morte aleggiava su tutti loro come l’alito freddo di un dissennatore.

«Non poteva farlo, Dottore». Mostrando quella gentilezza d’animo che l’aveva sempre contraddistinta, Hermione si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla, accosciandosi accanto a lui. I suoi occhi scuri erano enormi e lucidi. «Per quanto le sembri assurdo, adesso, capirà che era semplicemente così che doveva andare».

Quelle parole fecero storcere il naso a Draco.

Così doveva andare.

Non era qualcosa da dire ad un padre in procinto di perdere la figlia. Non era una cosa da dire a prescindere a qualcuno che stesse perdendo una persona amata. La Granger doveva essere impazzita, non c’era altra spiegazione. Se lui, che non era mai stato una personcina delicata, aveva percepito l’asprezza di quelle parole, lei doveva aver perso la testa.

Il Dottore, però, le sorrise, come se avessero già discusso di quella storia, come se, per lui, quella frase tanto dura da digerire avesse avuto un senso.

Magari Draco era troppo preso dalla situazione per essere oggettivo. Diversamente dalla Granger, lui aveva conosciuto Rosemary. Lui aveva fatto amicizia con quella ragazzina tanto impertinente e l’idea di vederla sparire da un secondo all’altro gli stava frantumando il cuore.

«Ha solo vent’anni, è troppo giovane per morire» mormorò l’uomo, passandosi l’unica mano libera sul viso, senza staccare lo sguardo dal corpo immobile della ragazza. «Ha trascorso gli ultimi sei chiusa in questa stanza, dopo essere stata torturata per mesi. E tutto perché io non ho saputo essere un padre quantomeno decente».

«Non dica così, lei non lo vorrebbe». Draco scattò, senza sapere bene perché. Forse gli sembrò corretto difendere il pensiero di Rosemary, essendo lei impossibilitata a farlo. «Parlava di lei con un amore incondizionato, anche io sono riuscito a vederlo. Soffriva all’idea del modo in cui si stava torturando e, lo dico per esperienza, questo accade solo quando il padre in questione è un ottimo padre».

Hermione gli dedicò un leggero sorriso, quasi come se lo stesse compatendo, poi tornò a concentrarsi sul dottore. Lei sapeva qualcosa. Qualcosa da cui Draco era stato escluso.

«Rosemary è sempre stata l’unica a non vedere… la realtà, anche quando tutti gliela sbattevano in faccia. È una ragazza estremamente testarda, sapete» mormorò l’uomo, con un tono colmo di amore e sofferenza al tempo stesso. «Quando è nata…» scosse il capo, espirando dal naso. «Sapete, sua madre voleva abortire. Sono stati i miei genitori a farle cambiare idea. A me non interessava, non ero neppure certo di essere io il vero responsabile, considerata la fama che Victoria si portava dietro».

In un flash, Draco visualizzò Victoria Fawley ed i suoi sorprendenti occhi di cristallo, collegando tutte quelle piccole somiglianze che aveva ignorato fino a quel momento. Ricordò anche le parole che sua madre gli aveva detto, quando era solo un ragazzino, per evitare che le gironzolasse troppo intorno, nonostante gli anni di distanza.

Quella donna viene accolta in società solo grazie ai soldi della sua famiglia, altrimenti neppure il peggiore postribolo la farebbe entrare.

Il pensiero che Rosemary fosse figlia sua fece rabbrividire Draco.

«Non mi sono fatto vedere durante la gravidanza, ho lasciato che se ne occupassero i miei genitori. Mio padre è stato d’accordo, riteneva che rischiassi di innervosire la madre di suo nipote e compromettere la salute del nascituro» continuò a raccontare il Dottore, con disprezzo verso se stesso. «Quando sua madre è entrata in travaglio, io mi sono rintanato in un pub e ho meditato di ubriacarmi. Credo che ad impedirmi di farlo sia stato l’amore per mia madre, non mi avrebbe perdonato una cosa simile».

Sua madre.

Draco ricordava vagamente la signora Crave, ma tutti ne avevano sempre parlato benissimo. Il fatto che non si fossero mai schierati apertamente aveva impedito che fossero esclusi ma, in realtà, tutti sapevano bene che entrambi i coniugi avessero agito di nascosto per contrastare il Signore Oscuro e proteggere i babbani del loro paese. Rosalyn e Magnus Crave erano stati gli angeli custodi di molte persone ed erano riusciti a confondersi fra i peggiori demoni del loro mondo.

Il dottore non era stato altrettanto bravo.

«Non appena mio padre me l’ha messa in braccio, lei ha smesso di piangere» disse ancora lui, accarezzando con il pollice il dorso della mano di Rosemary. «Mi hanno raccontato che non si fosse calmata dal momento in cui era nata ed i Guaritori avevano addirittura ipotizzato di darle una pozione calmante. Ma lei ha smesso quando l’ho presa».

«Ha riconosciuto suo padre» mormorò allora Hermione, dolcemente. «L’ha aiutata fin dai primi istanti, ha sempre fatto il possibile».

Crave scoppiò in una risata inquietante. «No, non è vero. Le volevo bene, ma per me è sempre stata un peso, più che una gioia. Avevo diciannove anni ed ero lo studente più brillante del mio corso di Medimagia, avere una bambina, dal mio punto di vista, era la peggiore delle disgrazie» disse, disgustato da se stesso. Rosemary non sembrava rispondere alla sua vicinanza. «Lei ha passato i primi sei anni della sua vita con i miei genitori ed altri quattro in collegio, io andavo a trovarla solo raramente e le portavo qualche libro o dei giocattoli. La consideravo una cuginetta molto rompiscatole, più che una figlia».

«Un po’ rompiscatole lo è davvero». Draco non riuscì a frenare la lingua, accennò un lieve sorriso quando il dottore e la Granger si voltarono a guardarlo. «Le somiglia in modo spaventoso, Dottore, quindi quelle visite, per quanto brevi, devono aver lasciato il segno».

Crave annuì, tornando a concentrarsi sulla ragazza. «Voleva diventare Magizoologa e secondo me ne aveva tutte le capacità. A sei anni conosceva alla perfezione tutte le caratteristiche dei draghi del libro che le avevo regalato durante l’ultima visita» accennò un sorriso triste, pronunciando quelle parole. «Mi disse che sarebbe diventata la migliore, come me. Un guaritore per tutte le creature fantastiche». Il sorriso, veloce com’era comparso, sparì. «Quando morirono i miei genitori…» sospirò, passandosi la mano libera fra i capelli. «Non avevo compiuto trent’anni ed ero un imbecille. Ho passato il giorno del funerale e quello dopo ad ubriacarmi, credevo di esser rimasto completamente solo… finché una zia non pensò bene di andare a recuperare lei» con un cenno indicò sua figlia, senza riuscire a trattenere una piccola smorfia addolorata. «Mi gettò le braccia al collo e disse l’unica frase al mondo capace di farmi riprendere da quella strana catalessi in cui ero caduto».

«Cosa…» Hermione dovette schiarirsi la voce, prima di ricominciare a parlare. Nei minuti in cui non l’aveva guardata, Draco non era riuscito a rendersi conto che avesse gli occhi arrossati. «Cosa le disse?».

Crave strinse le labbra per un istante, prima di ricominciare a parlare. «Mi disse “ti voglio bene, papà”. Una frase semplice, non trovate? Ma per me fu come un pugno in faccia. Mi aveva sempre chiamato Newt, magari Newtie se voleva farmi arrabbiare, ma mai papà». Si fermò per un istante, mentre l’elfo, ancora seduto in un angolo, si soffiava rumorosamente il naso in un angolo della sua divisa. «Mi piace pensare che sia stato quello il momento in cui sono davvero diventato un padre, nonostante io non sia ancora riuscito a meritare neppure una briciola di quel titolo».

«Ha sempre avuto talento nel dire la cosa giusta al momento giusto, allora» mormorò Draco, con un tono insolitamente gentile, senza tuttavia riuscire ad alzare lo sguardo dalla punta delle proprie scarpe. Ricordare l’ultimo incontro con la ragazza gli faceva male. Se non fosse stato per lei, non avrebbe mai intrapreso quella via che era tanto determinato a seguire.

«Dev’essere un talento di famiglia, anche mia madre sapeva farlo» concordò il dottore, con un sospiro. «Da quel momento è rimasta con me, per quanto permettessero i miei impegni. Durante la scuola ero solito scriverle una volta al mese per mandarle qualche regalino o rimproverarla per i guai in cui si cacciava» aggiunse, concludendo con un tono insolitamente aspro. «Una volta al mese, capite? E quando le scrivevo, non le chiedevo mai come andassero le cose con la scuola, non le chiedevo se stesse bene… non sapevo neppure che avesse degli amici, prima di ritrovarmi Neville Paciock in questa stanza».

Ovviamente era amica di Paciock, pensò Draco. Raccogliere casi umani era più forte di lei.

«Non può farsene una colpa, lei è un uomo molto impegnato» tentò di nuovo di confortarlo Hermione, nonostante non suonasse estremamente convinta. Con ogni probabilità, la parte più nobile di lei non riusciva a capacitarsi di che tipo di padre avesse così poco a cuore la sua unica figlia.

«Rosemary non ha mai messo in dubbio il suo amore per lei, questo posso garantirglielo» si intromise allora Draco. «Non ha mai fatto altro che vantarla, con me. È il miglior padre del mondo, per lei».

Il suo intervento sembrò far sprofondare il dottore in un’angoscia ancora più nera.

«Quale padre non si preoccuperebbe, non ricevendo notizie di sua figlia per due mesi?» sbottò, furioso contro se stesso, la schiena ritta e le spalle rigide. «Mi sono rifiutato di aiutare i Mangiamorte e non ho pensato di proteggere la cosa più importante che avevo al mondo» aggiunse, in un sibilo. «Ho preferito nascondermi, ritenendo che loro non avrebbero mai trovato qualcosa con cui ricattarmi. Mi sono nascosto ritenendo che non ci fosse nulla di più importante della mia stessa, misera vita, da proteggere. Ho dato per scontato che nessuno sapesse di Rose, perché io non ne avevo parlato con nessuno, perché io ero imbarazzato da quella debolezza giovanile». La sua mano libera si strinse a pugno contro le lenzuola del letto, mentre l’altra non si mosse da sopra le dita della ragazza. «Lei non si è mai vergognata di me. Lei non ha mai nascosto agli altri chi fosse suo padre» nel dirlo, allentò il pugno ed allungò quella mano per sfiorare il viso di lei. «Rose è sempre stata orgogliosa di me e quell’orgoglio l’ha portata dov’è ora».

«Sarebbe successo, in un modo o nell’altro». Draco si rese conto della realtà delle proprie parole non appena le pronunciò. I Mangiamorte si sarebbero vendicati, in un modo o nell’altro, ed avrebbero fatto pagare il prezzo più alto possibile a quel padre, nonostante lui non se ne fosse neppure reso conto. «Se avesse collaborato, forse la guerra non sarebbe finita e saremmo morti tutti. Se avesse tentato di salvare subito Rosemary, loro l’avrebbero uccisa. Ha avuto sei anni da passare con lei, è stata la migliore fra le possibilità».

Crave fece un verso sarcastico, senza voltarsi verso di lui. «Mia figlia è rimasta due mesi in mano a dei macellai e se gli Auror non l’avessero trovata, per pura fortuna, probabilmente io me ne sarei reso conto solo davanti al suo cadavere. Non esistono possibilità migliori, Malfoy. La mia bambina sta morendo ed è tutta colpa mia. L’hanno catturata perché io non l’ho ritenuta abbastanza meritevole di protezione. L’hanno torturata per sessantacinque giorni perché io non ho capito cosa fosse successo». Si voltò, fulminando i due giovani con i suoi lucidi occhi scuri. «Sapete qual è la parte peggiore, in tutto questo?» chiese quindi, guardandoli come se si aspettasse davvero una risposta.

Risposta che Hermione sembrava conoscere. «Lei non prova alcun rancore. Le vuole bene come se non fosse successo nulla e lei non riesce a sopportarlo» mormorò, con la voce rotta. C’era un dolore, in lei, che fece spaventare Draco.

Cosa le era successo?

Crave annuì, stringendo i denti. «Ogni mattina mi sveglio e mi chiedo cosa sarebbe stato di me, senza di lei. Forse sarei diventato un Mangiamorte, forse mi sarei sposato ed avrei avuto altri figli. Poi mi chiedo cosa sarò, senza di lei, e non riesco mai a trovare una risposta». La voce del dottore ebbe un cedimento, ma lui non lo dimostrò. «Un padre resta sempre un padre, quando perde sua figlia. Ma se un padre non è un padre? Io non lo sono mai diventato davvero, sto ancora imparando. Cosa sarò, quando lei mi lascerà?». Quella domanda si perse nel cupo silenzio della stanza, interrotto solo sporadicamente dai singhiozzi dell’elfo. «Non diventerò un Mangiamorte, non mi sposerò e non avrò altri figli. Non sarò padre, non sarò nonno, non sarò nulla».

«Lei è un padre, Dottore» disse Draco, mentre Hermione voltava il capo per nascondere le lacrime. Lui resisteva, nonostante dubitasse di poter reggere ancora a lungo. «Lo è da almeno sei anni, se davvero non riusciva a vedersi come tale prima della guerra. Lo è adesso e lo sarà dopo, proprio come vorrebbe Rosemary. Cosa crede le direbbe, se la sentisse dire queste sciocchezze?».

Il rumore di un fruscio fra le lenzuola impedì a chiunque di continuare. Tre paia di occhi su puntarono su quelli chiarissimi e affaticati della signorina Crave. «Gli… direi…» mormorò, in un sussurro debole, ricambiando finalmente la stretta della mano di suo padre. «…che è un… vecchio ippogrifo brontolone» continuò, fissando l’uomo con una dolcezza indescrivibile.

Draco avrebbe voluto sentirsi sollevato, nel rivederla cosciente. Avrebbe voluto gioire, perché forse il pericolo era stato ancora una volta scongiurato.

Avrebbe voluto provare un briciolo di speranza in più, ma non ci riuscì. La era sempre lì, aleggiava sulle loro spalle come una gelida brezza invernale.

«Non devi affaticarti, bambina». Premuroso, Crave si era alzato dalla poltrona e le aveva accarezzato la guancia pallida, cercando di mostrarsi tranquillo e sereno. «Non preoccuparti, va tutto bene. Ti fa male qualcosa?».

Lei, in tutta risposta, gli dedicò un sorriso che fece singhiozzare Hermione, ormai nascosta dietro Draco per non farsi vedere. Fu verso di lui che si voltò la ragazza, subito dopo, gli occhi affaticati e preoccupati. «Non puoi… dire la verità. Non ora» gli ordinò, nonostante la sua voce sembrasse sul punto di spegnersi. Lo fissò finché lui, compreso a cosa si stesse riferendo, non annuì.

Draco ricordava bene il loro primo incontro, quella storia che doveva restare segreta. E ricordava la promessa che lei era riuscita ad estorcergli durante uno dei seguenti.

Va’ a trovare tuo padre.

«Non parlare, tesoro». Incurante di quello scambio quasi silenzioso, Crave le scostò una ciocca di capelli dalla fronte, riattirando su di sé quei cristalli affaticati. «Devi riposare, altrimenti non sarai abbastanza in forze per la tua lezione con Newt Scamandro, ricordi?» aggiunse poi, dolcemente.

Il cuore di Draco si strinse in una morsa.

Rosemary Crave aveva solamente vent’anni ed un mucchio di sogni che non si sarebbero mai realizzati a causa di qualcuno come lui.

L’ammasso sanguinolento sul suo braccio destro bruciò come se Voldemort avesse iniziato a chiamarlo dall’oltretomba, ricordandogli quali fossero i crimini di cui, anche senza volerlo davvero, si era macchiato.

«Sarebbe così bello…» sospirò Rose, accennando un sorriso sognante. Qualcosa, in quell’istante, fece venire la pelle d’oca a Draco. Un brivido gli corse lungo la spina dorsale quando Hermione gli afferrò la manica della camicia e la strinse con forza, dimostrandogli che anche lei avesse percepito qualcosa. «Sono così… stanca» aggiunse allora la giovane, quasi in un lamento. «Non… non ce la faccio più», un sussurro che suonò forte come un urlo di dolore. «Posso dormire, adesso?», una supplica, una richiesta dolorosa come una pugnatala al cuore.

Posso smettere di combattere, adesso?

Draco allungò la mano per coprire quella che Hermione gli aveva stretto al braccio, trascinandola indietro mentre Newton Crave impallidiva per l’orrore.

«Rosie?».

«Ti voglio bene, papà».

 

***

 

Successero molte cose, in quel momento, e pur a distanza di anni Draco non riuscì mai ad essere certo di averle davvero comprese tutte.

Rosemary Crave, a poco più di vent’anni, aveva chiuso gli occhi per l’ultima volta. Suo padre, lo stesso dottore che molti credevano non conoscesse i sentimenti, aveva urlato il suo nome, afferrandola per le spalle e scuotendola, perché era semplicemente impossibile, perché era ingiusto, perché lui non l’avrebbe mai permesso.

No, Rosie, no! Rose! ROSE!

Draco ricordava di aver stretto al petto Hermione Granger, impedendole di assistere alla caduta dell’uomo in cui entrambi avevano confidato. Impedendole di vedere la violenza necessaria ai Guaritori per staccarlo dal corpo di quella ragazza che non esisteva più.

Ricordava di averla condotta fuori da quella stanza, sentendo le sue lacrime bagnargli la camicia e le proprie scendere lungo le guance.

Ricordava l’urlo straziante con cui Newton Crave aveva detto addio a tutto ciò che era rimasto della sua famiglia.

 

***

 

«Ti ha chiesto di non dire qualcosa».

Erano passate due ore e trentacinque minuti, da quando Draco ed Hermione erano stati costretti a lasciare la stanza di Rosemary Crave. C’era stato un enorme viavai di medici ed infermieri, da quando erano usciti. Qualcuno aveva mormorato sulla possibilità di somministrare un calmante, evidentemente al dottor Crave, oppure all’elfo. Draco non sapeva bene chi dei due stesse reagendo peggio. Lui non era riuscito a pensare a nulla che non fossero quegli occhi senza vita.

La Granger, evidentemente, doveva avere un modo diverso per affrontare lo shock.

«Mi ha raccontato una storia e mi ha chiesto di non dirla a suo padre» le rispose allora, secco. Non era stato scortese, si rese conto. Non aveva la forza di essere scortese.

Rosemary non avrebbe voluto.

«Che storia?» domandò ancora lei, con un filo di voce. «Perché suo padre non ne deve sapere nulla?» aggiunse, preoccupata. «In questo momento, credo sarebbe pronto ad ascoltare qualunque cosa che riguardi la sua bambina».

«Non questo» specificò allora, scuotendo il capo. «Lo farebbe sentire soltanto peggio».

La mano di Hermione si posò sul suo braccio, rassicurante. «Puoi parlarmene?».

Poteva parlargliene? Dopotutto, Rosemary non aveva mai posto dei limiti su di lei. Non gli aveva mai chiesto di non parlarle ad altri.

Io voglio parlarne.

Se ne rese conto all’improvviso, sentendo un brivido lungo la spina dorsale. Non era una brutta sensazione, tutt’altro. Gli sembrò quasi di sentire un nodo sciogliersi all’altezza dello stomaco.

«Quando è stata rapita, mio padre è stato incaricato di sorvegliarla» iniziò a raccontare, senza guardarla ma sentendo distintamente la sua presa irrigidirsi. «Gli avevano detto di trattarla meglio degli altri, perché l’avrebbero usata per il riscatto. In realtà avevano già iniziato a fare degli esperimenti».

«Il dottore ha accennato qualcosa» mormorò lei, sospirando. «Non sapevo ci fosse una divisione di ricerca. Ma, dopotutto, non sapevo neppure che stessero cercando lo Specchio. Il male che conosci sembra sempre terribile, finché non viene fuori ciò che non conosci».

«Nessun esterno sapeva degli esperimenti, neppure mio padre. Lo scoprì perché alla fine non riuscirono più a rimetterla in sesto» ricominciò a spiegare allora lui, ricordando il racconto con cui la ragazza aveva conquistato totalmente la sua attenzione. «Provò a parlare con il Signore Oscuro, sai? Rosemary lo ha sentito chiedere di lasciarla stare, perché era una giovane purosangue che sarebbe stata molto utile alla causa, se l’avessero liberata».

«Ma Voldemort non ascoltò» si intromise ancora Hermione, incurante dell’involontario brivido che quel nome scatenò in Draco. Resistette alla tentazione di afferrarsi il braccio destro solo per non darle altri motivi di provare pena per lui. Se non l’aveva ancora scoperto, non c’era bisogno che le fosse sbattuta in faccia la verità del suo dolore.

Non poteva dirle che non sapeva come guarire.

Scosse il capo, allora, tornando alla sua storia. «Gli disse che lei li stava già aiutando e che il suo destino era segnato. Mio padre non riuscì a digerire quella risposta» spiegò, senza riuscire a nascondere un leggero e triste sorriso. «Provò a farla scappare, ma Bellatrix glielo impedì e alla fine lo rimosse dall’incarico».

«Però gli Auror l’hanno trovata, alla fine».

Draco annuì, voltandosi, finalmente, verso di lei. «Mio padre ha fatto la spia, pur di salvarla. L’ultima volta in cui lei gli ha parlato, lui si è scusato per non esser riuscito a salvarla prima». Espirò dal naso, esasperato. «È stato un padre migliore per lei che per me, ci credi? Credo sia per questo che Rose abbia deciso di non dirlo al dottore. L’avrebbe fatto sentire un padre peggiore del più vigliacco fra i Mangiamorte».

Hermione restò in silenzio per qualche istante, assorbendo tutte quelle informazioni. Draco non riuscì a biasimarla, anche lui stentava a credere che il vecchio Lucius avesse davvero fatto un’azione tanto buona. Oppure non voleva crederci, considerando che sarebbe stata l’ennesima dimostrazione di quanto poco quell’uomo avesse mai tenuto a lui.

«Ti sei mai chiesto perché lei ti abbia rivelato questa storia?» gli domandò alla fine, con un filo di voce, piegando leggermente il capo per costringerlo a guardarla negli occhi. «Hai capito il perché?».

Lui si strinse nelle spalle. «L’ho trovata nella camera di mio padre, qui in ospedale. E non fare quella faccia, so che tu sai che è in fin di vita da un pezzo» sbottò, notando gli occhi di lei ingrandirsi. «Le ho chiesto cosa stesse facendo lì e lei mi ha spiegato il motivo della sua riconoscenza, tutto qui».

La Granger alzò gli occhi al cielo, poggiando le spalle allo schienale della sedia su cui si era accomodata. «Io non conoscevo quella ragazza, ma conosco abbastanza il Dottore da credere che fosse riuscito a renderla più simile a lui di quanto non avesse effettivamente desiderato. Non credo ti abbia raccontato tutto questo senza un ulteriore scopo».

Draco si voltò a guardarla, curioso, senza tuttavia dare molto peso a quelle parole. Dentro di sé sapeva benissimo che il vero scopo di Rosemary fosse quello di spingerlo a parlare con suo padre e perdonarlo, se possibile. Semplicemente, aveva scelto di ignorare quella possibilità.

«Sei più testone di Harry, adesso capisco perché era tanto ossessionato da te» sospirò quindi lei, incrociando le braccia al petto. «Perché credi che Lucius Malfoy l’abbia aiutata, se non per dare a lei quello che non era riuscito a garantire a te? Entrambi siete stati messi davanti ad un cammino prestabilito, entrambi siete stati condannati a morte senza aver commesso alcun peccato» nel dirlo, indicò con un cenno il braccio, fasciato sotto la camicia candida. «Non ha potuto salvarti, perché salvarti avrebbe implicato ucciderti. Ma Rose… lei aveva qualcuno, fuori, pronto ad aiutarla. Rose avrebbe trovato quella salvezza che lui, un Mangiamorte, non poteva garantire a suo figlio».

Lei sapeva della cicatrice.

Quello fu il primo pensiero che lo fulminò, spingendolo a ritirarsi contro lo schienale della sedia e dedicarle un’occhiataccia da serpente calpestato.

Lei ha ragione.

Quel pensiero arrivò un momento dopo, quando l’immagine del viso di suo padre, posto per la prima volta faccia a faccia con il suo marchio, gli balenò in mente.

Disgusto e orrore, non orgoglio e follia.

Non possiamo ribellarci Draco, l’altra possibilità è la morte.

Era la sua morte, che temevano, non quella di Lucius. Era lui che Narcissa aveva tentato di proteggere, supplicando pietà ai piedi dell’Oscuro Signore. Era grazie a lui se Lucius aveva tentato di salvare Rosemary, per il rimorso di non aver potuto mai far di più ed aiutare il suo unico figlio.

Quando si alzò in piedi, la Granger non lo imitò.

«Cosa stai facendo?».

«Chiudo i conti con il passato, Mezzosangue. Vado a trovare mio padre».

Quando lei gli sorrise, lui sentì qualcosa di caldo e pesante posarsi sul suo stomaco.

Da qualche parte lo spirito di Rosemary Crave gli stava sorridendo, ne era più che certo. Sperò soltanto che, un giorno, anche il Dottore avrebbe ricevuto lo stesso conforto che lei aveva appena regalato a Lucius.

Draco le avrebbe restituito il favore.  

 

 

 

 

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Questo capitolo mi ha uccisa. Mi sto odiando, sento che Newton Crave mi sta odiando e che Draco vorrebbe festeggiare sul mio cadavere.

Ho sofferto. Ho pianto. Mi sono scervellata per trovare un finale diverso alla breve vita di Rose, ma non ce l’ho fatta. Questa non sarà l’ultima volta in cui si sentirà parlare di lei, ma sì, è morta. Caput.

Voglio morire.

Mi scuso infinitamente per il ritardo, ma il capitolo è stato complicato e doloroso ed io martedì ho esami. Quindi, per favore, siate clementi e pensatemi, martedì.

 

Se dovessi sparire, sappiate che il Dottore e Draco sono venuti a prendermi.

 

Punti importanti:

 

» * Io amavo questa canzone. Non credo che potrò mai più riascoltarla senza piangere. Vi scriverò la traduzione, così che possiate farvi spezzare il cuore da quella frase citata all’inizio del capitolo. (Il coltello affilato di una vita giovane, beh, l’ho avuto; giusto il tempo necessario. Quindi organizzati con i tuoi migliori amici, io indosserò le mie perle. Ciò che non ho mai fatto, ormai è fatto)-> Non credo di doverla spiegare, ma, comunque: ho avuto una schifosissima vita breve, giusto il tempo necessario per assaporarla. Venite tutti al mio funerale, invece di uscire e fare i giovani. Ormai non potrò mai più fare quello che non ho mai fatto prima.  

 

» Rosemary  è peggiorata, sì, ma non così velocemente come potrebbe sembrare. Quando Draco l’ha conosciuta lei aveva già pochissimo da vivere. Semplicemente, la natura ha fatto il suo corso.

 

» Temporalmente parlando, ci troviamo alla sera del capitolo precedente. Dopo aver confessato di star per perdere sua figlia, il dottore ha portato Hermione a conoscerla, trovandoci Draco. Il resto è storia.

 

» Newton Crave è stato un padre di merda, passatemi il francesismo. Era assente, si limitava a delle letterine striminzite e, quando Rose era a casa da scuola, tendeva a lasciarla con Downey ed andarsene con belle signore. È stato un padre di merda, ma amava sua figlia, nonostante non riuscisse a capirlo. Rose è stata e sarà per sempre il suo cuore, gli ha mostrato che l’amore non porta rancore.

 

» Scusate se insisto, ma dovete capire che Crave adorava sua figlia. L’ha sempre adorata. SEMPRE. Lei lo ha salvato dalla depressione alla morte dei suoi genitori, lei è sempre stata lì a mostrargli che qualcosa, al mondo, poteva essere buono e puro. Ma ora quel qualcosa è sparito ed il dottore è di nuovo da solo.

 

» Hermione sembra fredda, in alcuni momenti, ma è soltanto perché lei sa cosa vuol dire. Il fatto che lei abbia avuto un aborto non la rende meno madre di quanto Crave sia stato un padre. Alla fine, quando pone quelle domande a Draco, non è per poca delicatezza: lei reagisce così, punto. Ha pianto, il suo cuore è a pezzi perché ha rivissuto la sua tragedia, ma lei sa che, se non reagirà, ripiomberà nel precipizio da cui Crave stesso l’ha salvata. Non giudicatela male.

 

» Rosemary Crave era il mio personaggio preferito ed io l’ho dovuta uccidere. Abbiate pietà.

 

» Per quanto contorto, c’è un vero rammarico dietro il comportamento di Lucius. Ha salvato Rose, perché era come salvare Draco. Non ha fatto nulla per Draco, perché – come lui stesso ha detto al dottore – i Mangiamorte avrebbero trovato un modo peggiore per vendicarsi del fallimento all’Ufficio Misteri. Lucius Malfoy ama suo figlio e nessuno mi convincerà del contrario.

 

» Rose e Neville sono amici, lo sono diventati quando lei ha tentato di ucciderlo per aver quasi ammazzato un coleottero squamato che si era posato sulla sua piantina nella serra. È lui a portarle i fiori esotici, regolarmente, ogni volta che va a trovare i suoi genitori.   

 

Siate in lutto con me, perché Rosemary Crave era un’anima bellissima e suo padre è rimasto solo.

  

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 21
*** Atto XIII- Parte I/ Il Paese delle Meraviglie ***


Quando aprì gli occhi, Draco si rese conto che qualcosa fosse orribilmente sbagliato

Lo Specchio delle Anime.

 

 

 

 

Se io avessi un mondo come piace a me,

là tutto sarebbe assurdo: niente sarebbe com'è,

perché tutto sarebbe come non è, e viceversa!

Ciò che è non sarebbe e ciò che non è sarebbe!

 

[Alice – Alice nel Paese delle Meraviglie, Disney 1951]        

        

 

 

Atto XIII – Parte I

Il Paese delle Meraviglie.

 

 

Quando si svegliò, Draco si rese conto che qualcosa fosse orribilmente sbagliato.

Prima di tutto, lui non ricordava di essere mai andato a dormire, di certo non in un letto tanto comodo. Considerando il terrificante motel in cui li aveva sistemati l’amico della Granger, dubitava altamente di trovarsi proprio nel cuore del Pakistan.  Ed il profumo era troppo buono, troppo pulito per appartenere a quella topaia.

«Tu vai a destra, io a sinistra. Il primo che trova la Traccia, lo segnala».

«Granger, non puoi darmi ordini! Sei tu che ti cacci sempre nei guai».

Rabbrividì, rivivendo quell’istante. Non credeva fosse passato molto tempo. Non ricordava fosse passato molto tempo. Se era tornato a casa, dovevano aver trovato la Traccia, no?

«Stai attento, c’è qualcosa che fa la guardia».

«Al massimo è il mostro a dover star attento a me».

No, era abbastanza certo che non avessero trovato un accidenti, in quella stupida caverna. Concentrandosi, gli sembrò quasi di sentire la puzza di chiuso e umido. Forse era stata un’esperienza abbastanza traumatica da essere completamente cancellata dalla sua memoria. Il Dottor Crave gli aveva detto una cosa simile, quando aveva rivelato di non ricordare un accidenti della notte in cui gli avevano imposto il Marchio.

«Ti stai rigirando come un Vermicolo. Piantala».

Il lamento giunse da qualche parte al suo fianco, facendolo trasalire. Si rese conto di non aver ancora trovato il coraggio di aprire gli occhi o di allargare le braccia per verificare di trovarsi realmente nel proprio letto. Se non balzò via come un boccino, fu solo perché la voce non gli era sembrata affatto minacciosa e decisamente non sconosciuta.

Il suo primo pensiero fu quello di essere finalmente riuscito a portarsi a letto Hermione Granger, accompagnato dallo sdegno del non ricordarselo.

Il secondo pensiero che lo colpì fu molto più pratico: era ancora vestito, non avevano fatto sesso.

Il terzo pensiero, finalmente, fu una domanda: cosa ci faceva Hermione Granger nel suo letto?

Con la grazia di un gufo, spalancò gli occhi e si girò verso la fonte del rumore, trovandosi davanti quella che sembrava essere una pecorella mora con un faccino incredibilmente assonnato e carino. Due occhioni scuri stavano ricambiando il suo sguardo, curiosi e stanchi, ed un broncio li accompagnava, concludendo quel quadretto adorabile che era Hermione Granger appena sveglia.

Era tranquilla. Troppo tranquilla, considerando che quella dovesse essere la loro prima notte insieme, per quanto non avessero fatto nulla.

«Sono dieci minuti che ti muovi» si lamentò ancora lei, passandosi la mano destra sul viso e stropicciandosi gli occhi. «Non eri tu quello che mi aveva ordinato di riposare?» continuò, rotolandosi sotto le pesanti coperte per dargli le spalle. Quella sua calma lo stava facendo innervosire. «Devi dormire, mia cara! Nelle tue condizioni è fondamentale… bah, chi diavolo ti capisce è bravo, Malfoy» lo scimmiottò allora, sbuffando come un treno. «Fai una cosa buona e massaggiami la schiena. Sai, quella cosa che fai sempre con i pollici. E dobbiamo cambiare il materasso, queste piume d’oca sono insopportabili. Questo è il nostro letto, non il tuo».

Draco non seppe se esser contento del fatto che lei non potesse vedere la sua espressione sconvolta. Quello che stava succedendo non aveva il minimo senso. Lei non aveva senso. Il fatto che gli avesse chiesto quei massaggi che lui aveva imparato a fare in Indonesia non aveva senso. “Nostro letto” non aveva senso.

«Malfoy, sbrigati!».

Quello era un tono che non ammetteva repliche, quello che negli anni di scuola lo aveva sempre fatto imbestialire. Stranamente, il suo primo istinto fu quello di sorridere e di sbrigarsi ad obbedire.

Assurdo, pensò, mentre le sue mani – proprio le sue, incredibilmente – si avvicinavano alle spalle della Mezzosangue per farla rilassare. Incredibile, pensò ancora, quando sentì di non voler commentare quel suo assurdo pigiama rosa con gli ippogrifi, quasi glielo avesse regalato lui stesso.

«Ma che cazzo?» disse poi ad alta voce, notando l’anello d’oro che svettava, principesco, al suo anulare sinistro.

Una fede.

«Draco, ma che modi sono?». Sgusciando come un’anguilla, la Granger si voltò parzialmente verso di lui, scoccandogli un’occhiataccia che avrebbe fatto piangere la McGranitt di commozione. «Io non ti capisco, questa mattina. Prima fai la sardina, poi usi questo linguaggio da Nocturne Alley… queste cose avresti dovuto farmele sapere anni fa, avrei evitato di sposarti» aggiunse poi, sbuffando ed allungando la mano sinistra per assestargli un buffetto sul braccio.

Braccio sinistro cui era attaccata la mano sinistra. Al cui anulare svettava il diamante di sua nonna, insieme ad una fede.

Porca puttana.

«Noi siamo sposati» esalò allora, tossicchiando per migliorare un po’ la condizione della sua povera voce. Il cuore gli batteva nel petto come un tamburo, assordandolo. Voleva suonare naturale, ma l’assurdità di quella situazione gli impediva di fingere come avrebbe voluto. «Va… va bene se faccio così?» chiese allora, facendo pressione con le dita nello spazio fra le scapole di lei. Qualcosa, nel retro della sua mente, gli suggerì di aumentare la forza e lei, immediatamente, mugolò contenta.

Gli sembrava di sapere cosa fare, quasi l’avesse davvero fatto per anni.

Anni di matrimonio.

Non era davvero possibile.

«Hai fatto un brutto sogno, per caso? Non eri così sconvolto, la mattina, dai primi tempi dopo le nozze. Non dirmi che hai ricominciato a sognare Voldemort, mi faresti perdere la scommessa con il Dottor Crave» sbottò lei, incurante del suo shock, rilassandosi sempre di più ad ogni secondo in cui lui continuava a massaggiare.

Incubi su Voldemort?

Improvvisamente, gli sembrò di ricordare sogni molto confusi in cui il Signore Oscuro tentava di imporgli il marchio, per poi esser fermato da Piton, Silente e la Mezzosangue. Era così giovane, lei. Ed anche lui lo era.

Quelle immagini gli appartenevano, come se le avesse davvero sognate così spesso da renderle parte del suo essere, immutabili nel tempo.

Non le ho solo sognate, le ho vissute.

Senza neppure capire perché, abbassò lo sguardo sul proprio braccio, trovandolo immacolato come quando era un bambino. Seppe con certezza che quella non fosse la conseguenza della pozione di Crave ma che non ci fosse davvero mai stato nulla lì.

«Draco, amore, mi stai spaventando». La voce di Hermione era preoccupata, ma incredibilmente dolce. Sfuggì alla sua presa e si girò ancora, tornando ad osservarlo in volto. I suoi occhi scuri sembrarono scandagliare ogni minimo angolo della sua anima, lasciando alle proprie spalle una scia di calore e conforto. Lui si meravigliò sentendosi chiamare amore, ma non tanto come avrebbe fatto qualche minuto prima. Per qualche motivo gli sembrò normale. «Ricordi cos’ha detto il dottore… sono passati otto anni, ma il trauma è ancora lì. Più tardi gli manderò un gufo e prenderò appuntamento per te, va bene?» gli chiese, sfiorandogli i capelli con la punta delle dita.

«Mi dispiace, non voglio farti preoccupare» ammise allora lui, afferrandole la mano per portarsela alle labbra. Non sapeva bene da dove stesse sbucando quella cavalleria, ma non gli importò. Poterla toccare con quella dolcezza, poter sentire il suo profumo senza paura di sembrare uno psicopatico… erano sensazioni troppo belle per poter essere fermate.

«Mi hai fatta preoccupare quando mi hai urlato in faccia che Voldemort avesse intenzione di marchiarti. Mi hai fatta preoccupare quando mi hai chiesto aiuto… di certo non adesso. Ancora oggi mi chiedo cosa accidenti ti abbia spinto a chiedere a me, piuttosto che al professor Piton o a Silente direttamente» sospirò, alzando gli occhi al cielo. «Immagino che il tuo stupido orgoglio purosangue abbia trovato il male minore. Per quanto Sanguesporco, almeno non sono Albus Silente».

Quella parola lo infastidì, nonostante lui stesso l’avesse utilizzata parecchie volte. Lei stava parlando di richieste d’aiuto che non ricordava di aver fatto, ma che, comunque, non gli suonavano come assurde. Parlava di confessioni che sapeva di non aver fatto, ma che al tempo stesso ricordava.

Che fosse stato davvero tutto un sogno? Il Marchio, la Guerra… e lo Specchio? In quel momento gli sembrava tutto meno che un ricordo. Non c’era una cosa del suo stupido passato che fosse certa.

«Sei davvero sconvolto» sospirò lei, alla fine, allungandosi per lasciargli un leggero bacio sulle labbra. Per quanto Draco fosse strabiliato dalla gentilezza di quel contatto, non gli sembrò strano come avrebbe dovuto. Erano sposati, dopotutto, no? «Ho capito, è ora di preparare la colazione» con uno sbuffo, si rotolò ancora fra le lenzuola e gli diede le spalle, scostando le coperte ed alzandosi. «So cosa stai per dire, ma non ho la minima intenzione di prendere un elfo domestico. Niente schiavi in casa mia».

«Questa è anche casa mia, Granger. A me un elfo non dispiacerebbe» le rispose, tirandosi a sedere a sua volta. Il sorriso divertito che gli incurvava le labbra era solo uno squarcio rispetto a ciò che gli si stava agitando nel petto.

Lei rise, lanciandogli uno sguardo divertito da oltre la spalla. «Non mi chiamavi Granger da un bel pezzo, mi mancava. Però mi hai tolto la possibilità di ripeterti, per l’ennesima volta-»

«Io non sono la Signora Malfoy, sono la signora Granger-Malfoy!» senza sapere bene come, lui la anticipò, scimmiottandola. La risata, però, gli morì nel petto quando Hermione – indossata una vestaglia di seta – girò intorno al letto, mettendo in mostra un pancino dall’aria particolarmente sospetta.

Aspettavano un bambino, realizzò improvvisamente, dandosi dello sciocco per non esserselo ricordato subito. Un maschietto che sarebbe nato a marzo.

«Mi stai fissando in modo strano».

Lo avrebbero chiamato Alexander Lucius.

«Scusami, sono solo molto confuso. Quel sogno era davvero brutto».

Lo sguardo dolce che lei gli dedicò avrebbe potuto fargli passare qualsiasi dolore. La osservò girare intorno al letto ed avvicinarsi per dargli un altro piccolo bacio sulle labbra.

«Va’ a svegliare Rosie, io preparo i pancakes e mando un gufo al Dottore. Non preoccuparti, sono solo brutti sogni, nessuno può farti del male, qui».

Per una ragione a lui sconosciuta, Draco le credette. Non riuscì ad impedirsi, però, di porre a se stesso una domanda.

Chi diavolo era Rosie?

 

***

 

Venne fuori che Rosie – Rosemary Gwen Narcissa1 – altri non fosse che la sua primogenita, una signorina di tre anni con grandi occhi scuri ed una cascata di ricci color miele. Draco aveva sentito le gambe tremare al solo notarla nella penombra della sua cameretta.

Naturalmente, Draco non era un idiota. Se qualcosa era riuscito a manipolarlo fino a quel momento, facendogli credere che lui e la Granger fossero davvero sposati e con figli, non aveva fatto i conti con una cosa fondamentale.

Per quanto a lui piacessero gli occhi scuri di Hermione, non c’era speranza che sua figlia li avesse come quelli. Il grigio era un marchio dei Malfoy da generazioni, nessuno era scampato.

Ebbene, nonostante quella consapevolezza lui non aveva la più pallida idea di dove fosse finito, di come ci fosse arrivato o di come tornarsene alla sua realtà. La sua memoria reale sembrava peggiorare di minuto in minuto, sostituita da quella che sembrava essere una versione migliorata della sua vita. Per esempio, aveva iniziato a ricordare il giorno del suo matrimonio, sentendo una stretta allo stomaco nel realizzare quanto meravigliosa sua moglie fosse stata con l’abito da sposa. C’era, oltretutto, qualche immagine risalente alla nascita di Rosie che lui avrebbe preferito non ricordare.

«Papà, non arrivo» si lamentò la bambina seduta al suo fianco, indicando la ciotola con il porridge che sua madre le aveva piazzato davanti. La sua determinazione nel raggiungerla era ammirevole, da vera Malfoy, ma aveva dovuto arrendersi all’evidenza delle proprie braccia corte.

«Attenta a non sporcarti» la ammonì, automaticamente, Draco, avvicinandole la colazione e lanciandola la migliore fra le sue occhiate alla Lucius. Dentro di sé, l’emozione per ciò cui stava assistendo era irrefrenabile. Osservare quella mocciosa – erano davvero così piccoli, i bambini di tre anni? – bere il suo succo di frutta ed aggredire quel porridge come se l’avessero lasciata a digiuno da tre giorni era un balsamo per la sua anima. Era bellissima, era graziosa, era una vera Malfoy. Sua figlia.

«Papà? Ma se solo le persone cattive hanno gli elfi… allora anche nonno Lucius è cattivo? E zio Harry?».

Era anche figlia della Granger, però.

Sorrise, alzando gli occhi al cielo ed abbassando la voce per non farsi sentire dalla donna incinta che lui sapeva essere particolarmente vendicativa a causa della gravidanza. «Non tutte le persone che hanno gli elfi domestici sono cattive» le spiegò, avvicinandosi come se avesse voluto ordire una congiura. «Se proprio lo vuoi, per Natale te ne porterò un paio».

Allettata da quella proposta, Rosie assottigliò lo sguardo e si portò il piccolo indice al mento, sporcandosi di porridge. Alla fine, con un grande sorriso, batté le manine. «Anche Santa Claus ha gli elfi! Se ne prendiamo uno anche noi, allora mi potrà costruire i giocattoli tuuuutto l’anno!».

Era decisamente una Malfoy.

Pur sorridendo a sua figlia – quantomeno lo era in quel luogo – Draco non poté non chiedersi chi accidenti fosse quel Sandy Claws2 e perché usasse degli elfi per costruire dei giocattoli, invece che usare la propria magia. Forse era qualche diavoleria babbana che la Mezzosangue aveva insegnato alla loro bambina.

Una volta tornato indietro, avrebbe fatto bene ad avvertire quella donna che i suoi futuri figli non si sarebbero immischiati con quelle sciocchezze.

«Cosa state confabulando, voi due?». Preceduta da tre piatti pieni di pancake e marmellata, Hermione fece il suo ingresso nella Sala da Pranzo. Il suo viso era incredibilmente simile alla versione più giovane che lui aveva conosciuto, nonostante fosse illuminato ed ammorbidito grazie alla gravidanza.

Doveva per forza essere un trucco, era troppo bello per essere vero.

In fondo, Draco sapeva bene che la sua vita con la Mezzosangue non sarebbe mai stata tanto pacifica. Nella realtà, lei lo avrebbe costretto ad ascoltarla lamentarsi delle caviglie gonfie, incolpando lui e tutta la sua stirpe di razzisti, avrebbe bruciato i pancake ed avrebbe trovato il modo di renderlo responsabile.

Quella versione era dolce, ma noiosa.

«Papà mi ha chiesto cosa voglio da Santa Claus» mentì spudoratamente la bambina, con un sorriso talmente innocente che, per un istante, Draco stesso le credette.

Nessuna figlia di Hermione Granger saprebbe mentire così, con lei. Neppure io so mentire così con lei.

«Spero tu non le abbia offerto un elfo, perché la risposta resta sempre no» tranquilla, la Mezzosangue lanciò a suo marito uno sguardo di fuoco, cui lui rispose sorridendo. «Fra poco Rosemary verrà a prenderla, io però devo andare a lavoro» aggiunse, versandosi una generosissima dose di sciroppo d’acero sui pancake. «Puoi aspettarla tu?».

Come in un flash, Draco vide Rosemary Crave prendere in braccio una Rosie appena nata e ringraziarli per averle dato il suo nome.

Era ancora viva.

«Sì, non preoccuparti». Avrebbe aspettato comunque, pur di vederla di nuovo, viva e sana. «Cerca di non esagerare con il lavoro, ricordati che sei in attesa del mio pupillo» aggiunse poi, d’istinto, allungando la mano per sfiorare quel ventre ben pronunciato, in cui riposava e cresceva il più giovane dei Malfoy.

Sarebbe bellissimo, se solo fosse vero.

Hermione alzò gli occhi al cielo, sbuffando. «Sei assurdo. Sono incinta, non malata…» vagamente indispettita, nonostante il sorriso, gli pizzicò leggermente il braccio. «Mi stai guardando come se temessi di vedermi sparire da un secondo all’altro».

Lui non riuscì ad impedirsi di abbassare lo sguardo.

«Non essere sciocca, mia cara. Altra marmellata?».

 

***

 

Rosemary Crave3 era seduta nel suo salotto, con una divisa in pelle rinforzata ed un enorme peluche a forma di Ippogrifo rosa, tutto per la sua giovane figlioccia. Quando era entrata, nonostante lo shock di Draco, lo aveva abbracciato e poi l’aveva immediatamente oltrepassato, seguendo l’urlo belluino con cui Rosie aveva accolto il suo arrivo.

Erano trascorsi cinque minuti, eppure lui non era riuscito a capacitarsi che fosse proprio lei. Aveva sempre gli stessi capelli neri e gli stessi occhi simili a cristalli, eppure era diversa. Certo, secondo i suoi calcoli aveva quasi ventiquattro anni e, a giudicare dal vestiario, doveva essersi addentrata parecchio nello studio delle creature magiche, oltre ad essere perfettamente sana. Eppure, Draco non riusciva a comprendere cosa gli stesse sfuggendo, di lei.

«Quindi… con il lavoro va tutto bene?» le domandò allora, sondando il terreno e cercando, inutilmente, di farsi venire in mente qualcosa di lei. Stranamente, era come se il suo cervello si stesse rifiutando di collaborare.

Rosemary gli lanciò un’occhiata divertita, continuando a giocare con la bambina. «Hai saputo della mia disavventura col drago, eh?» sbottò, arrossendo leggermente. «Senti, non è colpa mia! Gli stavo pulendo le squame superiori e mi sono dimenticata di addormentarlo! Quando ha iniziato a sbattere le ali era troppo tardi!».

L’immagine terrificante di una prima pagina del Profeta con Rosemary che esultava scendendo dal dorso di un drago appena atterrato lo fece rabbrividire.

Quella psicopatica.

«Hai fatto un giro su un drago, ragazzina» le disse, tirando fuori tutto lo sdegno purosangue di cui era in possesso. «A tuo padre sarà venuto un colpo! Questo è l’esempio che vuoi dare a Rosie?» aggiunse, giocandosi la carta della responsabilità paterna che lui sapeva avrebbe funzionato. Dopotutto, per quanto si trovasse in un mondo parallelo in cui tutti i suoi drammi passati sembravano andati miracolosamente a puttane, lei era sempre figlia di Crave. E non c’era modo che Crave, ovunque si trovassero, non considerasse sua figlia il suo bene più prezioso.

Il flash di un funerale, un uomo così prostrato dal dolore da dover essere trascinato via di forza dalla bara della figlia.

Probabilmente era quello il motivo per cui, diversamente da quanto gli stava succedendo con la Mezzosangue, non riusciva a rivedere gli squarci del passato mai vissuto con Rose. Il trauma della sua morte, del suo funerale, era troppo impresso nella sua mente per essere semplicemente spazzato via da nuovi ricordi.

La giovane si imbronciò, incrociando le braccia al petto. «Non lo vedevo così arrabbiato dal giorno in cui ho portato Charlie4 a casa. E tu sai quanto si è arrabbiato quella volta». Fortunatamente, non guardò Draco negli occhi, quando pronunciò quelle parole. Lui non aveva la più pallida idea di chi – o cosa, conoscendola sarebbe potuto essere un animale – fosse Charlie. «Non preoccuparti, comunque, ho imparato la lezione. Troppa gente si è arrabbiata per quel giochetto, magari mi limiterò agli ippogrifi, d’ora in poi».

Non che quell’affermazione fosse di conforto, per Draco. Quando aveva esaminato il braccio destro, aveva trovato la cicatrice che quello stupido pollo di Hagrid gli aveva lasciato al terzo anno.

«Anche io voglio un ipplogrifio» si intromise la bambina, con sguardo orribilmente deciso, voltandosi verso suo padre e sventolando il pupazzetto. «Lo possiamo chiamare Biscottino, vero papà?» chiese, per poi imbronciarsi quando Draco la guardò malissimo. Allora si voltò verso la sua omonima, che non aveva mai smesso di sorriderle. «Posso, zia?».

«Certo che puoi!» ribatté allora lei, facendo un occhiolino allo sventurato padre nella stanza, che ebbe la certezza che un giorno avrebbe dovuto trovare il modo di impedire a quella mocciosa di dare asilo politico a qualche ippogrifo. «Il mio ippogrifo preferito si chiama Pasticcino!».

L’ippogrifo era ritratto in una fotografia che svettava sul comodino dell’ospedale.

«Povera bestia» fu l’acido commento con cui lui commentò quella sua uscita. Pasticcino. Forse si era lasciato impressionare dal fatto che la Granger avesse chiamato il mostro di Istanbul Fuffy. Rose non poteva essere tanto psicopatica.

Il pensiero della Granger e della sua bestiola, però, gli ricordò qualcosa che fino a quel momento aveva messo da parte, strabiliato nel trovarsi davanti ad una versione migliorata di quella stessa ragazza che aveva visto morire.

La Traccia. Il mostro che l’aveva catturato e intrappolato lì.

Se davvero qualcosa l’aveva preso, probabilmente era perché lui si era avvicinato al nascondiglio della Traccia. E se non era riuscito ad avvertirla, probabilmente la Granger era in pericolo.

Occhi azzurri come il cielo che imploravano il suo perdono, mani fredde contro la sua tempia e poi il nulla.

Qualcuno lo aveva fatto cadere in una trappola.

«Che cos’hai?» improvvisa, la domanda della giovane lo fece trasalire. Nonostante fosse intenta a giocare con la sua figlioccia, Rose era totalmente concentrata su di lui, l’espressione orribilmente identica a quella che suo padre era solito dedicargli prima di torturarlo psicologicamente. «Qualcosa ti turba, non provare a negarlo».

Draco sorrise, esasperato. «Come potrei negarlo? Ti intestardiresti al punto da convincermi di avere qualcosa». Il sesto senso dei Crave era rimasto anche in quel mondo, dunque. Il sangue non era certo acqua, nonostante lei fosse una Magizoologa. «In realtà, avrei bisogno di un consulto specialistico» aggiunse poi, realizzando quanto maledettamente fortunato fosse. Sì, quel mondo probabilmente era una finzione ed era frutto dei suoi più reconditi desideri, quindi lei non era davvero una Magizoologa. Ma, al tempo stesso, era abbastanza sicuro di conoscere il nome della bestia e, interrogando lei, credeva di poterlo ricordare.

«Se vuoi parlare con uno psichiatra, mio padre sarà felice di prenderti un appuntamento» scherzò lei, per poi farsi più attenta. «Forza, il mio tariffario è estremamente alto e tu hai già sprecato venti secondi del mio tempo».

«Ti comprerò un mazzo di fiori» concesse allora lui, ridendo. «Si tratta di una creatura capace di rinchiudere le persone in realtà alternative» spiegò, raddrizzando le spalle. «Ne sai qualcosa? Magari è un veleno…».

L’espressione che lei tirò fuori lo fece rabbrividire. Era così identica a suo padre da essere quasi inquietante. L’effetto di quegli occhi chiarissimi, se possibile, era ben più terrificante di quello ottenuto da quelli scuri del dottore. «Ci sono dei Ragni della foresta pluviale il cui morso ha effetto allucinogeno, so che li vendono come se fossero droghe» spiegò, con una risatina. «Non che io abbia mai usato robaccia simile, certo…».

L’immagine del gatto psicotico del dottore si affacciò alla mente di Draco e, per qualche motivo, quell’ultima affermazione suonò alle sue orecchie come una confessione implicita5.

«Fa’ quello che ti pare, finché mia figlia non è coinvolta» borbottò lui, cercando di essere severo, per poi scuotere il capo. «Non credo sia un ragno e non sono allucinazioni. In un certo senso, è come se la vittima fosse intrappolata in un mondo diverso, senza possibilità di capire quanto sia diverso» aggiunse poi, cercando di spiegarsi meglio. «Un mondo in cui tutti i suoi sogni sono realtà».

L’espressione spaventata con cui lei accolse quella specificazione lo inquietò non poco. «Allora stai parlando dei Djinn» sbottò, scuotendo il capo. «Brutto affare, brutto davvero… al Ministero ne avete beccato uno? Sarei entusiasta di studiarlo! E come me tantissimi altri scienziati. Sono praticamente estinti da secoli».

Si chiamano Djinn, Malfoy.

«Come funzionano le loro capacità? Dimmi tutto quello che sai» le domandò, schiarendosi la voce. Cominciava a ricordare qualcosa – un avvertimento – dalla realtà da cui proveniva. Non era una bella immagine. C’era stata preoccupazione, nella voce della Granger.

Rosemary si accigliò. «Hanno la capacità di imprigionare l’anima di una persona in un altro mondo. Un mondo in cui tutti i suoi desideri più nascosti sono reali. Alcuni discutono che si tratti solo di un’illusione… ma io non credo sia così. I corpi di chi non è stato abbastanza forte da opporsi al Djinn si sono ridotti proprio come quelli delle vittime del Bacio dei Dissennatori. L’anima era sparita» spigò, stringendo poi le labbra. «È una brutta faccenda, Draco. Davvero avete di questi problemi, all’Ufficio Misteri?».

Ufficio Misteri? Era il mio dannato sogno, da ragazzino.

«Beh, sì» mentì, alzando gli occhi al cielo. «Ovviamente, quello che io faccio è indicibile6, Rose, lo sai benissimo» aggiunse, come se avesse voluto rimproverarla. In realtà aveva sognato tutta la vita di poter fare quella battuta.

Lei non apprezzò. «Merlino, Malfoy, ormai fai gli stessi scherzi di un padre di mezz’età con la classica pancia da birra7» gli disse, disgustata, fingendo di rabbrividire.

Draco ridacchiò. «Tuo padre è di mezz’età, ma non ha la pancia da birra» le fece notare, mentre la bambina, annoiata dal gioco, si arrampicava sul divano e gli si sedeva in braccio.

«Ma si tratta di mio padre, lui è meraviglioso».

Draco non se la sentì di controbattere. Troppe donne – in entrambe le realtà in cui aveva vissuto – non avrebbero messo in discussione quell’affermazione.

«Quanto al Djinn… mi stai dicendo che quella realtà esiste davvero?» domandò allora, sentendo qualcosa di molto simile alla speranza sbocciargli nel petto. Forse poteva restare.

Rose si strinse nelle spalle, con un sospiro. «Sì e no. Esiste per l’anima, come quello che in molte religioni è il Paradiso, sai? Stando alle testimonianze, le vittime arrivano ad un punto tale in cui si dimenticano del mondo da cui provengono e, semplicemente, fanno in modo che la loro anima sopravviva nella realtà parallela. Sono pochissimi quelli che sono riusciti a tornare».

Poteva restare e morire lì, con una famiglia che lo amava. Con degli amici che non avrebbe mai potuto incontrare.

La scelta era stata fatta, per quanto lo riguardava. Non c’era nulla di certo che lo attendesse, nel mondo da cui proveniva. Quante volte aveva meditato di porre fine a tutto? Quante volte non ne aveva avuto il coraggio?

Gli sarebbe bastato accettare quella fortuna, per farla finita ed essere finalmente felice. Non meritava anche lui il suo angolo di paradiso?

Occhi come il cielo  pieni di orrore, una richiesta di scuse prima dell’oblio.

Qualcuno l’aveva fatto cadere in una trappola.

La Granger era in pericolo.

«Come hanno fatto a tornare indietro?». Strapparsi quelle parole fu doloroso come se ognuna di esse fosse stata una freccia piantata nel suo petto. Il calore della piccola Rosie, accomodata sulle sue gambe, all’improvviso non gli sembrò sufficiente.

Stava per abbandonarla.

«Il procedimento è inverso, possiamo dire» spiegò Rose, con una smorfia. «Se per restare nella fantasia si deve lasciar morire l’anima nel mondo vero, allora per tornare nel mondo vero bisogna morire nella fantasia». Sospirò, preoccupata. «Non è semplice, il ritorno. In molti non sono più riusciti a rassegnarsi alla verità, dopo aver vissuto l’illusione, e si sono suicidati».

Draco lanciò uno sguardo alla bambina stretta al suo petto, ripensando alla Mezzosangue ed al bambino non ancora nato. Non faticava a comprendere il motivo che avesse spinto quelle persone ad un gesto tanto estremo.

«Grazie Rose. Mi sei stata di immenso aiuto».

Doveva soltanto capire come uccidersi.

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

Ancora non mi sono ripresa dalla morte di Rose, questo capitolo ne è la dimostrazione. Abbiate pazienza, dovevo farlo. Dovevo vederla felice, anche solo una volta.

 

Il capitolo è un po’ più lungo, mi sono ritrovata ispirata e non me la sono sentita di togliere qualcosa. Nel prossimo, rivedremo Hermione ed anche altri amici.

 

Punti importanti:

 

» Prima di tutto, il Djinn è ispirato alla serie tv Supernatural (episodi 2x20, 6x01, 6x10, 8x20 e 9x20). Si tratta di creature della tradizione islamica (il Pakistan è uno stato di religione islamica, per questo ho scelto loro) capaci di alterare la percezioni della realtà delle loro vittime con un solo tocco. Nella serie tv si nutrono del sangue (o della forza vitale, non ricordo) delle loro vittime, qui, invece, sono un po’ come i Dissennatori, solo che mandano l’anima “in un posto migliore” e si nutrono della vita della vittima.

 

» 1 I tre nomi della bambina sono quelli di Rosemary (ovviamente), della madre di Hermione e di Narcissa, le tre donne più importanti nella vita di Draco (Gwen perché è la madre di Hermione, ovviamente). Capisco che lui e Rose non abbiano avuto questa amicizia duratura, ma lei ha influito su di lui molto più di amici di vecchia data.

 

» 2 Sandy Claws è un omaggio a Nightmare before Christmas, il miglior film di Halloween/Natale mai realizzato. Se non l’avete già visto, dovete farlo.

 

» 3 Questa Rosemary, ovviamente, è una proiezione dei desideri di Draco, ufficialmente è ciò che lui avrebbe voluto per lei. Ufficiosamente, invece, io non mi sono rassegnata e, almeno in un universo parallelo, ho dovuto darle la vita felice che merita, piena di salute e successo lavorativo. La storia della cavalcata sul drago è qualcosa che lei avrebbe sicuramente fatto e non necessariamente per errore.

 

» 4  Questo Charlie non è un cane, ma Charlie Weasley. Vedete, io adoro solamente due Weasley come se fossero figli miei: al secondo posto c’è Percy (scelta improbabile, lo so, eppure…), ma al primo c’è sicuramente Charlie. Lui ed i suoi draghi. In questo AU (di cui io mi sono innamorata perdutamente), Charlie e Rose si sono conosciuti durante una conferenza sui draghi e, con MOLTI PROBLEMI, sono finiti insieme. Sì, lui è dieci anni più grande di lei, ma alla fine è un bambinone. Il povero Newton non è stato affatto contento. Se Draco non fosse intervenuto (con un proverbiale “e se si innamorasse di uno senza spina dorsale?”), probabilmente il vecchio Newt avrebbe ammazzato il secondo Weasley con le sue manine delicate. Quindi sì, la ship Charmary è nata. Devo scrivere di loro due.

 

» 5  Rosemary non è una drogata, state calmi. Semplicemente, è una ragazza che conosce bene le capacità di alcuni veleni. È un po’ come se stesse fumando erba, una volta ogni tanto. Non prendetevela. Anche perché la sottoscritta è contraria anche alle sigarette.

 

» 6 Malfoy come Indicibile è una mia fantasia. Secondo me quei tizi, nel mondo magico, sono come gli 007. Quale maghetto non vorrebbe diventare un tizio figo, da grande?

 

» 7 Il classico “Dad Joke”, si fa riferimento alle battute così pessime da farti cadere il latte dalle ginocchia ma che sembrano piacere un sacco ai papà. Stessa cosa per il riferimento alla classica “trippa da birra”.

 

Mamma mia quante note, in questo capitolo. Scusatemi, ma mi sono davvero fatta prendere la mano. Questo universo alternativo mi ha ispirata in modo incredibile, non volevo smettere di scrivere, pur di continuare a pensarci.

 

Piccola comunicazione di servizio: I prossimi due lunedì avrò esami, quindi la pubblicazione verrà spostata al martedì! Per possibili aggiornamenti, tenete d’occhio facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 22
*** Atto XIII - Parte II/ La Bella addormentata ***


Lo Specchio delle Anime

Lo Specchio delle Anime.

 

 

 

 

“Principessina, se la triste profezia si avverasse, bimba mia, non per questo morirai.

Nel sonno tu cadrai e il tuo sonno cesserà, se l'amor ti bacerà.

Sia questo il più fulgido dei tuoi doni: che la speranza mai ti abbandoni!”

[Serenella – La Bella addormentata nel Bosco, Disney 1959]        

        

 

 

Atto XIII – Parte II

La Bella addormentata.

 

 

 

Quando, dopo due ore, non ricevette notizie di Malfoy, Hermione iniziò a preoccuparsi.

Era una sensazione strana, in effetti. Era già stata in ansia per lui, soprattutto durante quelle loro missioni quasi suicide, ma solitamente il tutto si riduceva ad uno strano senso di fastidio alla bocca dello stomaco, oppure ad uno sgradevole tic all’occhio destro.

Quella volta, invece, il disagio era diffuso in buona parte dei suoi organi, come un veleno capace di scorrere insieme al sangue nelle vene. Bruciava, lasciandola in uno stato perenne di ansia e nausea che non riusciva a sopportare. Non capiva il senso di quelle emozioni. Non capiva perché improvvisamente le importasse così tanto, perché fosse pronta a mettere da parte l’orgoglio e l’interesse per la missione solo per poter andare a cercarlo.

Non lo capiva.

Oppure si?

Malfoy, nei due giorni precedenti, era stato una roccia, per lei, senza neppure chiedere spiegazioni riguardo il suo comportamento strano. Le era rimasto accanto quando i Guaritori avevano chiesto loro di allontanare il Dottore dal corpo di Rosemary e lui aveva urlato come se gli avessero strappato il cuore dal petto. Era rimasto al suo fianco durante il funerale, quando Hermione aveva assistito allo strazio che a lei era stato risparmiato.

Il suo bambino non aveva avuto funerale.

Malfoy era rimasto al suo fianco e lei non poteva che essergli riconoscente. Doveva essere quella la motivazione della sua ansia: non poteva permettere che morisse da solo, non quando era stato così gentile e riguardoso verso di lei.

Sì, contaci.

Quando si erano separati, lui le aveva promesso che avrebbe mandato un qualche segnale ogni ora e le aveva chiesto di fare lo stesso.

I messaggi via patronus di Hermione non avevano ricevuto alcuna risposta.

All’inizio si era convinta che fosse perché i Mangiamorte – gli ex – non erano capaci di evocare quell’incanto, poiché avevano conosciuto troppo male nella loro vita. Riflettendoci, però, si disse che fosse una giustificazione assurda. Malfoy avrebbe trovato un altro modo per parlarle, se avesse voluto.

Se avesse potuto.

Per quel motivo, dopo due ore, aveva deciso di lasciar stare il suo cammino e seguire le tracce che Malfoy aveva lasciato.

Non era stato difficile, davvero. La fanghiglia che ricopriva il fondo della caverna aveva permesso che le impronte delle sue scarpe firmate – chi andava in missione con le scarpe firmate? – restassero ben evidenti anche ad ore dalla loro creazione. Lui era andato quasi sempre dritto, fermandosi ogni tanto per osservare delle particolarità nelle pareti di roccia, molte delle quali Hermione non aveva neppure notato. C’erano incisioni, disegni che dovevano risalire agli uomini preistorici.

Non c’era dubbio che in quella caverna fossero passate generazioni e generazioni di uomini e donne e che tutti avessero lasciato un’impronta. Il valore storico ed artistico di quel luogo sembrava aumentare ad ogni suo passo.

La meraviglia, tuttavia, si arrestò quando i disegni divennero più comprensibili e l’orrore di quei messaggi iniziò a fare breccia nelle emozioni di Hermione.

Una creatura enorme si stagliava sui piccoli umani stilizzati. Impronte insanguinate ricoprivano quella roccia antica come se fossero state appena lasciate. Doveva esser frutto di una qualche magia, naturalmente. Era impossibile che il sangue si mantenesse così bene, a distanza di secoli.

Era impossibile che un cadavere con indosso un’armatura risalente al periodo greco fosse ancora abbandonato in un angolo, perfetto come se si fosse appena addormentato.

Hermione non l’aveva visto e, per un istante, aveva temuto di star per essere attaccata. Era bastato uno sguardo, ovviamente, per comprendere quanto inutile fosse stata la sua preoccupazione. Il cadavere era quasi interamente ricoperto dalle ragnatele, gli occhi sembravano l’unica parte del corpo ad essersi deteriorata seguendo il corretto iter temporale.

Era come una marionetta degli orrori, realizzò la strega, con raccapriccio. Morto, eppure abbastanza vivo da spaventarla.

Conservazione del corpo, rammentò improvvisamente, rabbrividendo ed arretrando di un paio di passi. Erano le conseguenze del Djinn.

Il suo viaggio su quella strada non migliorò, i cadaveri aumentarono così come la sua ansia. La sua speranza, comunque, cresceva con lo stesso ritmo. Malfoy non era uno sprovveduto, non si sarebbe fatto prendere alle spalle dalla creatura. Le aveva raccontato delle sue avventure, le aveva raccontato delle maledizioni scampate per un pelo. Ce l’avrebbe fatta.

Lo pensò finché le impronte della fanghiglia non si sdoppiarono e, a quelle leggermente a punta di Malfoy, non se ne unì un paio troppo piccolo per appartenere al mostro. Soprattutto perché il mostro difficilmente avrebbe indossato delle scarpe.

C’era stato qualcuno lì.

Seguire quelle orme le sembrò improvvisamente il più arduo dei compiti. Non voleva scoprire cosa ci sarebbe stato alla fine del tunnel. La possibilità che qualcuno avesse colpito Malfoy alle spalle aveva reso molto più reale il rischio che fosse stato ferito.

Qualcosa strisciò nell’ombra, facendole gelare il sangue nelle vene.

«Malfoy?» chiamò, forse mostrandosi troppo ottimista. La bacchetta illuminata le tremò in mano. Quel suono continuò, come se un corpo assurdamente grosso avesse iniziato a girarle intorno, famelico. Il respiro gelido che le accarezzò il collo le confermò che non potesse trattarsi di Malfoy. «Io non ho paura di te» aggiunse, forse per convincere se stessa e mostrarsi un po’ più spavalda.

Il debole non sopravvive, le aveva detto una volta il Dottor Crave. Lei gli aveva risposto che spesso erano i forti a morire, proprio a causa del loro coraggio.

Sopravvivere non significa non morire, aveva aggiunto allora lui.

Pensando a ciò che era successo a Rosemary, stando a quello che Malfoy le aveva raccontato, Hermione non se la sentì di metterlo in dubbio. Non più.

La creatura nell’ombra ringhiò, ma, ascoltando meglio, Hermione percepì qualcosa di diverso, qualcosa che prima non aveva sentito.

Dolore.

Si rese conto, all’improvviso, che la paura avesse irretito i suoi sensi. Quell’impronta di sangue che aveva visto prima era troppo grande per appartenere ad una persona. Le tracce che aveva notato lungo il percorso, fino a quel punto, erano di un colore troppo scuro, troppo innaturale.

Voltandosi all’improvviso, seguendo il lamento, ebbe la conferma delle sue teorie.

Alto, grosso e ferito, il Djinn la fissava da un angolo della caverna, raggomitolato su se stesso, con una grossa mano artigliata a tamponare uno squarcio aperto sul suo fianco. Sangue nero gocciolava sul pavimento ed un liquido azzurrognolo gli colava dai grandi occhi bianchi. Ad Hermione fece tornare in mente i ricordi, nonostante fossero molto più densi e di un colore più acceso.

Il Djinn si nutre di anime, spingendo le vittime a vivere in un mondo parallelo.

Forse era l’anima di Malfoy, quella che lui stava perdendo. Forse erano momenti di quel mondo mai esistito che lui stava sperimentando in quel momento.

Di una cosa, però, era certa: Draco era stato colpito.

Il Djinn non sembrava intenzionato a nutrirsi di lei. Non sembrava intenzionato a fare qualcosa che non fosse morire, in quel momento, nonostante quel privilegio gli sembrasse precluso.

Avrebbe dovuto lasciarlo lì.

Avrebbe dovuto scappare alla ricerca del collega.

Ma la curiosità ebbe la meglio.

Spinta da un impulso che non sapeva neppure dove avesse origine, Hermione fece un passo avanti ed allungò la mano verso la creatura, che non si mosse. Le sue dita, tremanti, si avvicinarono alla sostanza azzurrognola, sfiorandola appena.

Una bambina con bellissimi capelli color del miele.

Avrebbe dovuto staccarsi.

Occhi come il  ghiaccio, sulle labbra rosa un sorriso felice.

Doveva staccarsi, prima che l’incanto della creatura la catturasse nelle sue spire velenose.

Un nome.

Rose.

Quasi come se il Djinn avesse deciso di lasciarla andare, Hermione si staccò da quella visione e prese un profondo respiro. Gli occhi bianchi erano improvvisamente tristi, stanchi.

Aveva pagato la sua morte con un angolo di paradiso.

Lei sentì il cuore stringersi in una morsa gelida, le lacrime ai bordi degli occhi premevano per uscire. Sapeva che quella creatura fosse responsabile della possibile morte di Malfoy, ma non se la sentì di esser crudele.

Non aveva scelto di essere ciò che era. Non poteva rinnegare se stesso.

«Mi dispiace» gli disse allora, con un sussurro. Poi, sollevando nuovamente la bacchetta, chiuse gli occhi. Sapeva cosa fare e sapeva come farlo, ma assistere alla morte di un essere così antico le faceva dolere il petto. «Avada Kedavra».

 

Trovò la Traccia fra i resti della creatura, nascosta negli stracci che aveva usato per coprirsi. Era uno specchietto piccolo, semplice, con una cornice di rame leggermente decorata. La raccolse sentendo un moto di orrore sprigionarsi nel suo petto.

Dov’era Malfoy?

Non era lì vicino, non c’era più traccia delle sue impronte per terra. Qualcuno l’aveva seguito, non c‘erano dubbi al riguardo. Nonostante tutto, le sembrò quasi assurdo che lui si fosse fatto incastrare così facilmente. Non era un comportamento da Malfoy.

Morto il Djinn, la caverna le sembrava molto meno inquietante. Era ancora buia, era ancora fredda, ma non le sembrava più di esser seguita ad ogni passo. Il silenzio era quasi confortante, come se le ombre avessero voluto abbracciarla e tenerla lontana da tutti gli orrori che la aspettavano fuori da quella grotta dimenticata da Dio.

Sapeva di non poter restare. Sapeva di non poter godere di quella pace.

Non quando Malfoy era ancora disperso o quando Harry rischiava di esser sopraffatto dall’orrore che minacciava di divorarlo dall’interno.

Contavano su di lei, la pace avrebbe dovuto aspettare.

Continuò il suo viaggio con il cuore in gola, il terrore di essere arrivata troppo tardi cresceva imperioso nel suo petto.

Quando lo vide, temette di aver fallito.

Pallido come un cadavere, placidamente abbandonato contro la parete, Malfoy riposava su un letto di rovi come la Bella addormentata nel bosco. Hermione aveva ucciso il Drago cattivo, ma non credeva di poter essere davvero il principe azzurro.

Avrebbe dovuto riposare anche lui per oltre cento anni?

«Innerva!» tentò, senza tuttavia avvicinarsi. Il terrore che fosse troppo tardi le impediva di ragionare lucidamente come avrebbe voluto. Se Malfoy fosse morto, lei sarebbe stata completamente sola. Non avrebbe potuto coinvolgere nessun altro nella ricerca, non senza perdere giorni e giorni di tempo. Il solstizio d’Inverno si avvicinava e, con quello, anche la fine delle loro speranze.

Malfoy, ovviamente, non si riprese.

Maledizione, Draco.

Quando si avvicinò, Hermione allungò la mano per prendergli il polso e ricercare il battito. Il sollievo che provò sentendo quel ticchettio regolare durò poco: era lento, affaticato, il battito di qualcuno molto vicino alla fine della vita.

Le tremarono le ginocchia, chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare per aiutarlo. Non c’era una cura al veleno del Djinn, doveva esser la vittima a scegliere di salvarsi.

Come poteva pretendere che lui tornasse, se un solo istante di quel paradiso era stato sufficiente a spezzarle il cuore? Draco aveva avuto una vita complessivamente peggiore della sua, aveva vissuto dolori che Hermione aveva solo immaginato.

Lei aveva visto una bambina, perché il suo più grande dolore era stato l’aborto.

Lui cos’aveva visto? Dov’era intrappolato?

Aveva bisogno d’aiuto, da sola non sarebbe riuscita a salvarlo in tempo.

Con uno sforzo sovrumano, Hermione tirò a sedere il collega, passandogli un braccio intorno al busto prima di smaterializzarsi nell’unico posto assolutamente sicuro.

Malfoy era stato tradito, non poteva fidarsi di nessuno.

Ma non poteva farcela da sola.

 

***

 

«Non c’è molto che possiamo fare, adesso».

Non erano esattamente le parole che Hermione voleva sentire. Tuttavia non se la sentì di farne una colpa a Zabini, era ben consapevole delle pochissime informazioni che girassero sul conto dei Djinn e dell’assenza di cure al veleno.

«Ho preparato questa, dovrebbe aiutarlo a riprendere il controllo» si intromise Laurie, porgendole una fialetta dorata. Si era presentata con il suo fidanzato e, sorprendentemente, non aveva mostrato un minimo di astio verso di lei o verso Malfoy, tutt’altro. Sembrava sinceramente preoccupata, nonostante la sua ansia dovesse esser ricondotta più alle condizioni del futuro marito che del giovane addormentato. «Non posso far altro, questo dovrebbe mantenere la sua anima forte per un po’ più di tempo».

Hermione annuì, senza sorridere. Fu lei stessa a far bere quello strano liquido a Draco, assistendo impotente all’assenza di conseguenze. Forse fu un bene, non avere effetti era molto meglio che una morte immediata.

«Sei sicura che vi abbiano traditi?» le chiese allora Blaise, sedendosi nella poltrona accanto al letto. Il suo sguardo era impassibile, ma le spalle erano rigide, quasi fosse pronto a scattare via. «Chi sapeva della missione?» chiese ancora, prima di lanciarle un’occhiata gelida. «Perché non credi che potremmo essere noi le talpe?».

Lei espirò forte dal naso, incrociando le braccia la petto. Era la prima volta che si sentiva a disagio a casa sua. «C’erano impronte estranee, come se qualcuno l’avesse seguito. Altrimenti non saprei come giustificare il fatto che sia stato colpito, lui è molto più intelligente di un Djinn» disse, stringendosi nelle spalle. «Quanto a te, dubito fortemente che vorresti il ritorno di Voldemort» aggiunse, indicando Laurie con un cenno del capo. 

La ragazza chiamata in causa sorrise, avvicinandosi alla poltrona ed accomodandosi sul bracciolo. «La sua logica è inoppugnabile, Blaise. L’ultima volta hai rischiato la pelle, non credo che tu voglia farlo di nuovo». Alzò lo sguardo su Hermione, solo per un attimo. «La vita di noi Sanguesporco non è stata facile, tu lo sai bene».

Hermione sospirò. «Al Ministero le informazioni girano facilmente, soprattutto negli uffici del Ministro. Ho molti sospetti, ma non posso avere certezze. Shacklebolt ha dato impiego a molti soggetti dubbi, il mio capo gli ha più volte chiesto di lasciar perdere» spiegò, scuotendo leggermente il capo. «Negli ultimi mesi sembra completamente impazzito, ha fatto tutto quello che gli passava per la testa senza mai preoccuparsi delle conseguenze». 

Non poteva essere lui, vero?

«Se stai pensando che il Ministro possa essere coinvolto, io non posso che concordare» le disse Laurie, seria, incrociando le braccia al petto. Sembrava minuscola accanto al suo fidanzato, più simile ad un armadio che ad una persona. Il suo sguardo, però, faceva quasi paura. «L’ho incontrato un paio di settimane fa, inUfficio. Mi ha chiesto se qualcuno di noi si fosse avvicinato alla creazione di una nuova pietra filosofale, nonostante il divieto assoluto anche solo di parlarne*». Strinse le labbra, sospirando. «A cosa potrebbe servirgli, se non per tenere in vita qualcosa che è stato morto per troppo tempo?».

Era assurda come ipotesi. Kingsley Shacklebolt era l’uomo dai principi più sani che Hermione avesse mai conosciuto in vita sua. Non c’era verso che potesse arrivare a sostenere Voldemort. Non quando i Mangiamorte avevano ucciso sua moglie.

Ma tutti possono cambiare. Non lo disse ad alta voce, naturalmente. Lo sguardo che la ragazza le stava dedicando era più che sufficiente per chiarire cosa pensasse lei di tutta quella storia. E Blaise, che era rimasto in silenzio, probabilmente concordava.

«Non importa, adesso» disse proprio lui, alla fine, con un sospiro. «Draco è incosciente da ore ed il suo polso è sempre più debole. Non possiamo fare nulla, finché non deciderà di svegliarsi da solo». Lo sguardo del giovane Guaritore era troppo preoccupato per appartenere a qualcuno che provasse speranza. «Non credo che vorrà farlo, comunque».

«Non puoi saperlo» sbottò immediatamente la sua fidanzata, lanciandogli un’occhiata storta. «Malfoy è tante cose, ma non è un codardo. Non più». Accennò un leve sorriso. «Non da quando gli ho dato un pugno, quantomeno».

«Perché credi che preferirebbe restare in quel limbo?» domandò allora Hermione, sentendo un peso sulla bocca dello stomaco. Forse sapeva perché. L’aveva sperimentato.

«Perché vuoi saperlo?».

«Perchè tu lo conosci meglio di me» la sua risposta fu immediata. Era la pura e semplice verità. Per una oscura ragione, Hermione aveva accettato la possibilità che l’amicizia fra Malfoy e Zabini fosse un po’ come ciò che legava lei ed Harry.

Una versione Serpeverde di lei ed Harry.

Blaise sembrò accettare quella spiegazione come se fosse buona. Annuì leggermente, spostando lo sguardo sul corpo inanimato del migliore amico. «Il veleno del Djinn ti regala ciò che hai sempre desiderato. Io, probabilmente, mi vedrei così come sono» ammise, forse con po’ troppa allegria. La sua fidanzata gli sussurrò qualcosa come sbruffone, ma lui non sembrò prestarvi attenzione. «Quello che intendo dire… Draco può aver avuto una vita apparentemente perfetta, ma quello che per altri era naturale, per lui non lo è mai stato». Sospirò, alzandosi in piedi, con le mani in tasca. «Immagina di non aver mai avuto un vero compleanno in famiglia. Immagina di non aver mai ricevuto un abbraccio da tuo padre. Immagina come sarebbe stata la tua vita se ogni tuo passo fosse stato accompagnato da persone estranee, senza mai un sorriso sincero».

«I suoi genitori lo amano» ribatté però Hermione, con le sopracciglia inarcate. «Sua madre ha sfidato Voldemort, suo padre ha messo se stesso a rischio per… per rimediare». Non spiegò cosa intendesse. Il passato di Lucius Malfoy e Rosemary Crave doveva restare un segreto.

«Non lo sto mettendo in dubbio». Blaise sospirò, passandosi una mano fra i corti capelli scuri. «L’amore si dimostra in molti modi diversi e spesso non viene proprio dimostrato, nonostante ci sia. Ma in questo caso… questa è la via peggiore, ti fa crescere credendo di essere solo e, alla fine, sei pronto a tutto pur di non esserlo più» mormorò, includendosi, questa volta, nella cerchia dei bambini abbandonati. «Alcuni di noi sono abbastanza fortunati da trovare una via d’uscita» nel dirlo, prese la mano di Laurie e se la portò alle labbra, sfiorandole delicatamente le nocche. «Altri no, allora la vita perde ogni senso e si cercano altre vie per esprimere quell’amore che la famiglia non può più garantire».

«È ancora giovane. L’amore… la famiglia potrà ancora arrivare» rispose quindi la strega, sentendo una strana nota di fastidio diffondersi come un’onda gelida a partire dal fondo del suo stomaco. Poteva arrivare, perché, forse, lei poteva esservi coinvolta. «Non può rinunciare alla speranza, non così velocemente».

Blaise annuì, con uno sguardo carico di compassione. «Arriva un momento in cui la speranza non basta più, Granger. Non quando qualcosa può offrirti di meglio e subito».

Hermione sentì le ginocchia tremare. «Ma così morirà».

Dopo aver preso il proprio cappotto dallo schienale della poltrona ed aver fatto cenno a Laurie di alzarsi, Blaise poggiò la mano sulla spalla di Hermione.

«Ci sono destini peggiori della morte».

 

***

 

Draco aveva pensato che fare i suoi addii sarebbe stato facile. Aveva vissuto quella giornata al massimo delle sue possibilità, giocando con la sua bambina e baciando sua moglie ad ogni occasione buona. Era andato a pranzo con Rosemary, aveva parlato del suo lavoro e della storia con quel famoso Charlie, che si era risolto essere il secondo fra tutti i Weasley.

Un Weasley, per Merlino.

Quello doveva essere un accoppiamento sensato, in qualche oscura regione del suo cervello. Lui aveva incontrato quel tipo soltanto due volte in tutta la sua vita ed era stato sempre un rapporto ridotto ad una parola di cortesia ed a qualche “grazie per aver controllato quel Drago”.

Il Dottor Crave si era mostrato contrario, stando a quello che Rosemary gli aveva detto. Il Dottore doveva rappresentare la parte razionale di Draco, quella che vedeva l’orrore nel costringere quell’anima pura a convivere con un Weasley.

Probabilmente era colpa della Granger.

Se avesse deciso di restare, Draco avrebbe potuto far qualcosa per impedire quello scempio.

Ma non poteva e doveva dire addio.

«Domani andiamo dal nonno, papà?» le aveva chiesto Rosie, con un sorriso enorme, tutto fossette e gioia. Un trucco della sua mente per convincerlo a restare. «Voglio una scopa da corsa!».

Quello era un buon modo per convincerlo, comunque. Doveva ammettere che il sadismo della sua mente sapeva raggiungere livelli di nauseante perfezione.

«Faremo quello che vorrai» le aveva quindi risposto lui, chinandosi per baciarle la fronte e sistemandole le coperte intorno, assicurandosi che fosse comoda e ben al caldo. Probabilmente era freddolosa come lui.

In quel momento, una volta trascorse ore, l’intera casa era caduta in un sonno profondo e lui, unico ancora cosciente, si aggirava per quelle grandi stanze come uno spirito inquieto. Non aveva ancora deciso come morire, non avendoci mai riflettuto particolarmente.

Avrebbe potuto usare la magia, ma chi gli assicurava che non ci sarebbero stai effetti collaterali anche nel mondo reale? Non avrebbe certo voluto risvegliarsi con una qualche menomazione che gli impedisse di potare a termine la missione.

Aveva pensato di usare un coltello, piantandoselo nel petto in una fedele imitazione di quella tragedia babbana** a cui Laurie lo aveva costretto ad assistere. Però il ricordo di detta ragazza che insultava pesantemente i due protagonisti lo aveva fatto desistere. Non voleva certo subire lo stesso trattamento, una volta risvegliato.

Sono due idioti, io guardo la commedia solo per rammentare a me stessa di non perdere la testa.

«Sai cosa devi fare, Draco».

La voce conosciuta, giunta da una parte oscura alle sue spalle, lo fece trasalire. Quando si voltò, due occhi chiari come cristalli lo guardarono con dolcezza e compassione. Rosemary era di nuovo lì, eppure non sembrava la stessa che credeva di aver incontrato quella mattina. Era giovane, pallida, con indosso un vestito bianco molto simile a quello con cui era stata seppellita.

Non si chiese perché la sua visione della ragazza fosse mutata così radicalmente, non gli importava.

«Non so come farlo» ammise, allargando le braccia con aria sconfitta. «Non ho mai pensato ai mille modi in cui una persona può togliersi la vita. È piuttosto deprimente, in realtà».

Rose sorrise, indicando la finestra. «Puoi morire facendo la cosa che, più di tutte, ti ha reso felice. In un certo senso, starebbe bene con questo strano mondo che ti sei creato».

Accigliato, Malfoy la guardò con curiosità. «Vuoi dire che dovrei morire tentando di far sesso con mia moglie sul cornicione?» domandò, fingendosi ben più spavaldo o divertito di quanto non fosse in realtà. «Sei intraprendente, Miss Crave».

Lei non sembrò colpita dal suo sarcasmo. Con una tranquillità che di vivo non aveva nulla, si avvicinò a lui, fino ad affiancare l’infisso che poco prima aveva indicato. Poggiò allora le spalle al muro, intrecciando le dita davanti a sé. Sembrava fosse in posa per una fotografia, tanto perfetta era la sua immagine.

«Non so se sono intraprendente» gli disse, stringendosi leggermente nelle spalle. «Quando i miei amici scoprivano le gioie del sesso, io scoprivo quanto velocemente i Guaritori potevano arrivare nella mia camera» aggiunse. «Dubito, comunque, che sarei stata pudica. Mio padre mi ha insegnato che spesso bisogna allungare la mano e prendere ciò che si desidera».

Nonostante sentisse un peso sullo stomaco, Draco annuì. «Sembra un consiglio da Newton Crave, in effetti» commentò, accennando un leggero sorriso. «Credi che dovrei buttarmi?» domandò allora, facendo qualche passo avanti e gettando uno sguardo oltre la vetrata perfettamente pulita.

Rosemary gli sorrise, dolce. «Hai sempre voluto scoprire cosa si prova a volare senza una scopa, no? Puoi farlo, adesso» disse, indicando lo spazio davanti a lui. «Fa paura, non è vero? Ma immagino che sia un male necessario».

Draco le lanciò un’occhiata storta. «So bene di dover schiattare in fretta e tornare alla realtà, non mi servono promemoria» le disse, vagamente sarcastico.

Lei scosse il capo, lasciando che qualche ciocca scura le scivolasse dalla spalla. «Mi riferivo alla paura» spiegò, con una punta di tristezza nella voce. «Provarla è il male necessario di chiunque sia vivo, vero? Mi piacerebbe sentire ancora quel brivido».

Draco non riuscì ad impedire che un magone gli salisse in gola. «Immagino che dovrei esser felice di provarla, allora. Se vuoi, posso provarne un po’ di più in tuo onore» propose, con un tono che, in fondo, non era poi molto scherzoso.

«Ci sono molte cose che dovrai fare, in mio onore» fu la risposta che lei gli dedicò, sorridendogli con una dolcezza ed un coraggio tali da scaldargli il cuore. Allargò un braccio, per indicare ciò che li circonava. «Ormai sei vicino a realizzare tutto questo, non lo capisci? Non ti serve un sogno, solo un po’ di coraggio in più».

Lui sorrise, ironico. «Noi Serpeverde non siamo mai stati famosi per il coraggio».

Rose alzò gli occhi al cielo, girandogli intorno per poggiarsi all’altro fianco della finestra. «Voi Serpeverde siete i primi ad avere pregiudizi su voi stessi» gli fece notare, incrociando le braccia al petto. «Tu e mio padre siete più simili di quello che credevo».

«E questo è un male?».

La osservò scuotere il capo, un sorriso ad incresparle le labbra. «No» rispose, gentile. «Adesso so che tu potrai aiutarlo ad andare avanti, in qualche modo». La sua voce sembrò tremare leggermente, a quelle parole. «Ti sto affidando il mio papà, Malfoy, cerca di non mandare tutto a puttane, uhm? Non costringermi a tornare dalla tomba» lo minacciò, con un sorriso che fece più male di un fiume di lacrime.

La finestra si aprì davanti a lui senza bisogno che lui muovesse un dito. Improvvisamente gli sembrò molto più bassa, molto più semplice da scavalcare.

Bastava sollevare una gamba.

«Farò del mio meglio, con lui» promise, sentendo la gola stretta in una morsa incandescente. «Ma non sarà lo stesso, senza di te».

«Lo so» gli rispose, mostrando quella tristezza che mai, prima di allora, lui aveva scorto sul suo viso giovane e segnato da tanto dolore. «Ma la vita va avanti, no? Ed è compito di chi resta fare in modo che le nostre tracce non si perdano nel nulla». Fece un passo avanti, affiancandolo ed osservando il panorama che si stagliava davanti a loro. «Sai, è piuttosto deprimente essere ricordati solo per la tristezza che la nostra dipartita ha lasciato. Elimina tutto ciò che di buono abbiamo fatto, non credi?».

«Immagino sia così» ammise lui, alla fine, facendo un passo avanti e salendo sul cornicione, le mani ancora piantate saldamente ai bordi, per non cadere troppo presto. «Farò in modo che tu sia ricordata per qualcosa di divertente, che ne dici?» le chiese, accennando un sorriso. «Magari cercherò di tirar fuori una Rosie Malfoy, eh?» aggiunse, forse suonando più ironico che speranzoso.

La risata che lei gli dedicò gli fece stringere il cuore in una morsa. «Mio padre te ne sarebbe eternamente grato, sì. Ma temo che tua figlia acquisirebbe un nonno in più rispetto alla norma. Uno molto insistente ed incredibilmente appiccicoso».

Draco si strinse nelle spalle, sentendo la voglia di piangere crescere nel petto. «Immagino che sia un rischio che sono disposto a correre, se alla mia signora andrà bene» mormorò, realizzando, improvvisamente, di aver immediatamente pensato alla Granger. Non se ne vergognò, però.

Era diventato un obiettivo, non un sogno. E le sue motivazioni erano dannatamente più convincenti di quanto non fossero mai state fino a quel momento.

Voleva lei, a prescindere da tutto.

Amava lei, a prescindere da tutto.

«Vedi, sai essere coraggioso se lo vuoi» gli disse alla fine lei, incoraggiante. «Devi solo ricordarti che, a volte, prendere decisioni rischiose può portare a qualcosa di meraviglioso». Improvvisamente al suo fianco sul cornicione, Rose gli posò una mano sul braccio, incoraggiante. «Rischia, Draco. Vivi quella vita che a me è stata preclusa. Ama, soffri… sii sempre riconoscente per ciò che hai e vedrai che potrai affrontare qualunque difficoltà».

Improvvisamente più fiducioso, Draco guardò l’orizzonte con un atteggiamento tutto nuovo.

Aveva paura, ma non aveva più intenzione di permettere che questa gli impedisse di andare avanti. Non poteva farlo, non era giusto.

Era più forte di quanto non avesse mai creduto.

«Rose» chiamò, però, prima di lasciarsi andare. Lei era ancora al suo fianco, come se avesse voluto assisterlo ogni istante. Come un angelo custode. «Tu sei davvero tu? Oppure tutto questo è solo frutto della mia mente?».

Lei si lasciò andare ad una risata liberatoria, gettando indietro la testa.

«Certo che è tutto frutto della tua mente, Draco» gli disse, allegra. «Ma perché diavolo non dovrei essere davvero io?***». 

Quando si lasciò cadere, Draco sorrise.

 

***

 

Rannicchiata sulla poltrona accanto al suo letto, Hermione teneva fra le mani il vecchio libro di fiabe babbane che sua nonna le aveva regalato quando era poco più di una bambina. Le aveva lette tutte milioni di volte, eppure una, in particolare, aveva sempre rapito il suo immaginario di bimba.

La favola della Bella che dormì per cento anni su un letto di rovi, in attesa del suo principe.

La vecchia fata, crudele nella sua invidia, aveva trovato la sua vendetta nella maledizione. La bella principessa sarebbe cresciuta, invero, in grazia e bellezza, amata da chiunque avesse posato su di lei lo sguardo. Prima, però, che il sole potesse tramontare sul suo sedicesimo compleanno, ella si sarebbe punta il dito con il fuso di un arcolaio e la morte l’avrebbe colta.

L’aveva sempre affascinata l’idea di un principe senza paura pronto a salvarla da un incanto malefico. Naturalmente, quel desiderio era stato seppellito, negli anni, e l’immagine di quel salvatore era stata sostituita da quella di un buffo giullare dai capelli rossi.

Quel giullare, in realtà, era diventato il suo drago crudele.

Si era chiesta dove fosse il suo principe. Se l’era chiesto così tante volte, in quei mesi, da sentire il cuore sgretolarsi giorno dopo giorno, riducendosi ad un ammasso di polvere bruciata e senza più speranza a riscaldarlo.

Però, forse, il suo principe lei l’aveva trovato, alla fine. L’aveva trovato nel luogo più assurdo di tutti, l’ultimo in cui avesse mai pensato di dover guardare.

Il suo principe non aveva i capelli come il fuoco.

Il suo principe non aveva gli occhi chiari e non era biondo.

Il suo principe era una principessa ed era sempre stata lì, nascosta negli antri più oscuri del suo cuore, in attesa che lei si decidesse a porgerle la mano ed accoglierla come davvero meritava.

Lei era il principe, non la Bella.

La fata più giovane, che non aveva ancora concesso alla giovane principessa il suo dono, le diede ciò che la malvagità aveva rischiato di toglierle: la speranza. Ella non sarebbe morta, ma sarebbe caduta in un sonno profondo. Per cento anni avrebbe riposato, finché un figlio di Re dall’animo nobile non avrebbe spezzato quel terribile maleficio, dandole il primo bacio del vero amore.

Fu una mossa azzardata, probabilmente. Fu una mossa stupida.

Ma non era il vero amore ad essere stupido?

Malfoy sembrava diverso, ma forse era solo a causa della speranza che, improvvisamente, aveva iniziato ad animare ogni sua azione. Era il momento di realizzare la sua fiaba, prima che fosse troppo tardi.

Quando allontanò le labbra da quelle del giovane uomo – della sua Bella addormentata – Hermione venne fulminata da due gemme del colore dei diamanti.

 

Col primo bacio la sua bella sveglierà, poiché il vero amore tutto potrà.

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

Giusto perché io ho superato benissimo la morte della mia Rosie ed il dolore di suo padre, lei è di nuovo tornata a dare coraggio al nostro piccolo Malfoy sperduto. Questa ragazza fa del bene anche da morta.

 

Le fiabe sono tornate a trovarci! Dopo Biancaneve ed Alice, questa volta tocca alla nostra Rosaspina ed al principe Filippo (lui è il mio preferito in assoluto). È stata una rielaborazione un po’ azzardata, ma abbiate pietà, sono reduce da un esame.

 

Punti importanti:

 

» * Per chi non lo ricordasse (non sono neppure sicura di averlo detto, in realtà), Laurie è un’alchimista, una delle migliori. Il divieto di creazione di una nuova pietra filosofale è stato imposto dell’ultimo grande capo degli alchimisti – Nicholas Flames – prima di morire. Nessuno può neppure pronunciare il nome di quella pietruzza senza essere radiato dall’albo.

 

» Laurie e Blaise sono tornati, perché sono gli unici che Hermione sapeva di poter contattare. Per esser più precisi, era consapevole di potersi rivolgere anche a Ginny o a Seamus (e con lui i suoi Auror più fidati, tra cui la cugina di Malfoy stesso, Merrick), ma nessuno di loro avrebbe potuto offrirle un vero aiuto.

 

» Qualcuno ha tradito, ma chi? E chi c’è dietro tutto questo? A volte la spiegazione meno ovvia è quella corretta, altre volte è l’opposto. Fatto sta che i nostri eroi dovranno decisamente star attenti alle informazioni che lasceranno circolare.

 

» **La tragedia in questione è Romeo e Giulietta. Tragedia meravigliosa, per carità, ma io e Laurie concordiamo nel considerare i due protagonisti un po’ affrettati. Avevano quattordici anni, si conoscevano da due giorni e hanno comunque causato una strage perché avevano l’ormone agitato. Passatemi il cinismo, ma lo ritengo un comportamento assurdo.

 

» *** Omaggio ai Doni della Morte, quando Silente dice praticamente la stessa cosa ad un confuso Harry, nella stazione di King’s Cross.

Ci sarebbe da fare, al riguardo, un discorso piuttosto profondo con risvolti religiosi sulla possibilità che quella sia davvero Rosemary. Se volete il mio punto di vista, il mondo creato da Djinn è un “paradiso” per le anime, se mi passate la terminologia cristiana. Si tratta quasi di un limbo, come quello che Harry stesso ha creato nell’ultimo racconto della Saga. Se è davvero un luogo a metà fra due mondi, perché mai Rosie non dovrebbe fermarsi per dare un ultimo incoraggiamento al vecchio amico? Naturalmente, non abbiamo certezza di nulla. Forse era lei, forse Draco l’ha immaginata lì. Chi lo sa?

 

» Spero di non aver esagerato con i parallelismi con la fiaba, soprattutto perché è  fra le mie preferite e mi dispiacerebbe averla rovinata. Hermione è il principe della sua favola e Malfoy è diventato la principessa (ma non diteglielo, i maschi sono molto fragili se viene messa in gioco la loro virilità). Quel bacio, alla fine, potrebbe aver davvero collaborato al risveglio del Bel Malfoy, così come potrebbe essere stato inutile ma con un tempismo perfetto. Draco si è svegliato grazie al bacio del vero amore? Fatto sta che Hermione di certo la penserà così.

 

 

A questo punto ho una domanda: il prossimo capitolo potrebbe avere risvolti piccanti. Ora voglio sapere: i risvolti in questione li volete leggere (scusando la mia orribile inesperienza e sempre in modo abbastanza delicato) oppure lascio solo intendere, così da evitare di dover cambiare il rating?

 

Piccola comunicazione di servizio: Anche lunedì prossimo sarò d’esami, quindi la pubblicazione dovrà slittare a martedì. Tenetemi nei vostri pensieri, vi prego, perché per l’esame di ieri ha funzionato ed io sono orribilmente ansiosa.

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 23
*** Atto XIV/ Ragione e Sentimento ***


Lo Specchio delle Anime

Lo Specchio delle Anime.

 

 

 

And the arms of the ocean are carrying me
So sweet and so cold
And all this devotion I never knew at all
In the crushes of heaven for a sinner released
But the arms of the ocean delivered me
Never let me go.¹

 [Florence and the Machine – Never let me go

        

 

 

Atto XIV

Ragione e Sentimento.

 

 

 

Svegliarsi fu come nascere di nuovo.

Almeno, Draco pensò che la sensazione fosse la stessa. I polmoni si riempirono d’aria fresca in uno scoppio improvviso, lasciandolo boccheggiante per un paio di istanti.

Aperti gli occhi, ciò che vide rischiò di togliergli quello che aveva appena riguadagnato.

In pratica, per poco non ci restò secco.

Hermione Granger, con gli occhi chiusi, era china su di lui, intenta a baciarlo come se avesse voluto risvegliarlo con la sola forza di volontà. Draco, in realtà, pensò fosse davvero così. La sensazione di essere morto, dopo essersi schiantato al suolo, era ancora presente nelle sue ossa, quasi le sentisse ancora ammaccate dal colpo ricevuto. Solo quel contatto – solo quelle labbra sulle sue, dolci come il miele ed incandescenti come il fuoco – gli restituì quel legame con la realtà che sembrava volergli sfuggire come fumo fra le dita.

In realtà, Draco si sentì un po’ più che vivo. Quando Hermione arretrò leggermente, essendosi accorta dei suoi occhi spalancati, non aspettò un solo istante per allungare le braccia e riattirarla contro il suo petto, lasciando che le loro labbra tornassero ad incontrarsi in quel modo così incredibilmente perfetto da non sembrargli ancora reale.

Forse sono ancora intrappolato, pensò, lasciando che le mani si insinuassero fra quei capelli castani e meravigliosamente ricci come aveva sognato di fare tante, tantissime volte. Le reazioni del suo corpo erano ben più intense di quanto non avesse sperato.

Lei era così morbida, fra le sue mani. Il suo profumo era così intenso.

Ed era anche dannatamente veloce.

Senza quasi dargli il tempo di rendersene conto, la Granger era balzata dall’altro lato della stanza, con il fiato corto, i capelli scompigliati e le labbra gonfie.

Era meravigliosa.

Pronto a tutto pur di concludere, Draco balzò in piedi, le braccia protese per riacciuffarla e trascinarla di nuovo sul letto.

Il suo corpo, però, lo tradì.

Quasi come se le sue ossa fossero state tutte rotte, sentì un dolore acutissimo in ogni angolo del suo corpo, fitte terribili che gli mozzarono il respiro e gli fecero annebbiare la vista.

C’è qualcosa che non va.

Ebbe appena il tempo di formulare quel pensiero, prima che l’urlo spaventato di Hermione gli riempisse le orecchie ed il pavimento si avvicinasse ad una velocità del tutto innaturale.

Aiuto.

Un attimo dopo, sentì un colpo alla testa e tutto divenne buio.

 

Si risvegliò che ormai il sole era calato, lo capì perché dalla finestra di quella camera era possibile vedere uno scorcio di cielo buio. Non c’erano stelle, probabilmente perché si trovava in città e l’inquinamento luminoso era un ostacolo troppo grande.

Al Manor il cielo era sempre stellato.

Confuso ed ancora dolorante, si guardò intorno, cercando di comprendere dove fosse andato a finire e quanto grave fosse la sua situazione. La stanza era molto ordinata, vagamente illuminata grazie ad un fuocherello portatile sistemato in un vasetto di vetro. Le pareti erano di un verde pastello delicato, i mobili bianchi.

Decisamente non era lo stile di casa sua, praticamente scarna, o di quella di Blaise, che aveva sfogato il suo amore per il barocco su mobili molto più costosi di molti anni di stipendio di Arthur Weasley.

Qualcuno lo aveva adagiato su un letto orribilmente rigido, con una coperta di lana fatta a mano dai sospetti colori Grifondoro. Pizzicava, segno che non fosse opera degli elfi. Però profumava di pulito e di rose, gli piaceva da morire.

Era lo stesso profumo della Granger.

«Mi hai fatto prendere un brutto spavento, Malfoy» gli disse lei, parlando dalla poltrona nell’angolo su cui si era raggomitolata. Aveva dei brutti cerchi sotto gli occhi e Draco si sentì responsabile. Lei era così stanca perché lui aveva perso tantissimo tempo per decidersi a morire e tornare alla realtà. E se non fosse tornato? Lei cos’avrebbe fatto?

«Mi dispiace» ammise, sincero, cercando di risollevarsi fra i cuscini. I muscoli gli facevano ancora un male dell’Inferno, ma era molto più sopportabile di quanto non fosse stato prima. Si rese conto di indossare solo una t-shirt e che il braccio martoriato fosse sprovvisto di benda. Lei sapeva. «Ebbene, adesso sai che Potter ha sempre avuto ragione sul mio conto» ammise, forse un po’ più acido di quanto non avrebbe voluto essere. Non con lei, almeno.

Hermione gli sorrise, ironica. «Oh, io ho sempre saputo che sei un biondino petulante con manie di protagonismo» gli disse, stringendosi nelle spalle e rialzandosi. Draco la vide poggiare un libro sul comodino², ma era troppo buio per permettergli di distinguerne il titolo. «Quanto al resto,» continuò, sedendosi ai piedi del letto, «ho sempre pensato che Harry si fosse sbagliato ed ora ne ho solo la certezza».

Draco si accigliò.

«Potter non pensava fossi un Mangiamorte?» domandò, curioso, schiarendosi la voce divenuta troppo roca. Aveva la gola secca, lo stomaco brontolava. Doveva essere rimasto incosciente per un bel po’. «Strano, le accuse urlate in faccia mi sembravano proprio chiare, al riguardo».

La Granger alzò gli occhi al cielo, quasi divertita. «Oh, lui pensava tu fossi un Mangiamorte, ma io sono sicurissima non sia così» spiegò, alzando la mano per impedirgli di ribattere con un sentitissimoeh?”. «I Mangiamorte erano tanti, fra cui tua zia. Ma tu non eri più colpevole di Rosemary. Sei stato il prezzo per il fallimento di tuo padre, non prenderti colpe che non ti appartengono».

Quello non se l’era aspettato.

«Questa è una sorpresa, Granger» ammise alla fine, scuotendo leggermente il capo. «Pensavo ti saresti imbufalita e che avresti iniziato a sperticarti in insulti». Sospirò, senza trovare il coraggio di guardarla negli occhi. «Quelli come me ti hanno fatto del male. Mia zia ti ha torturata ed io non ho fatto nulla per aiutarti» disse, senza vergognarsi del modo in cui la sua voce si spezzò.

La mano di Hermione coprì la sua ed una sensazione di calore si propagò da quel punto in tutto il resto del suo corpo.

«Non è stata colpa tua» lo tranquillizzò, con un leggero sorriso, abbassando il viso per cercare i suoi occhi. «Ho capito che incolparsi per qualcosa su cui non si aveva controllo è solo fonte di enorme dolore. Hai visto anche tu come si è ridotto il dottore».

Il pensiero di Newton Crave gli fece annodare lo stomaco.

Prenditi cura del mio papà.

«Ho la mia parte di colpe, Granger» insistette comunque, con un sospiro rassegnato. «Ricordati chi ha fatto entrare i Mangiamorte ad Hogwarts. E quello che ho fatto a Katie Bell. E a quel tuo amico Weasley» il fastidio, pronunciando quelle parole, fu impossibile da nascondere.

Altrettanto impossibile fu non notare il modo in cui lei si irrigidì.

Ecco, adesso arriverà la rabbia.

«Quello che hai fatto, l’hai fatto perché sei stato costretto. E so che Katie ti ha già perdonato, per quanto testarda sia» gli disse, cercando di recuperare velocemente il controllo. «Non è una ragazza stupida, se sapesse credo che ci metterebbe poco a decidere di lasciar perdere l’astio». Si accigliò, senza notare l’occhiata divertita che lui le stava dedicando. «Ma perché ammettere tutte queste colpe, adesso?».

Perché ti amo e voglio che tu conosca ogni orrore del mio passato.

«La morte mi ha fatto capire che serve confessare i propri peccati, prima che sia troppo tardi» disse invece, stringendosi nelle spalle per quanto gli consentissero i dolori. «Sai, alcuni parlano d’inferno e paradiso. La seconda scelta credo sia la migliore, per quanto io non me la meriti ancora».

La Granger alzò gli occhi al cielo, per poi occhieggiare a qualcosa poco lontano, sul pavimento. «Interessante motivazione. Fai bene, immagino che avere la coscienza più leggera faccia bene. Io mi sentivo così, dopo ogni seduta con il dottore».

Draco sorrise, annuendo leggermente. «Già, abbiamo lo stesso psicanalista» disse, con un sorriso amaro. «Lo sapevi da molto?».

«No, è stata una serie di coincidenze a portarmi su quella strada. Alla fine, lui me ne ha data la conferma». I suoi occhi scuri si puntarono in quelli di ghiaccio di Malfoy. «Conoscevi da molto sua figlia? Mi sei sembrato molto colpito dalla sua morte» mormorò, per poi esitare. «Sempre se non sono troppo impicciona, se ti senti a disagio non dirmi nulla. Mi rendo conto di non avere il diritto di chiedere certe informazioni».

«Essere curiosa è una deformazione professionale, Granger, lo so bene» la tranquillizzò, con un leggero sorriso. «Dopotutto, io non ho casa piena di manufatti antichi solo perché li ho… acquistati» disse, ricambiando finalmente la stretta della sua mano. «Quanto a Rosemary, ci siamo conosciuti un mesetto fa, lei e mio padre hanno un passato, come sai, e lei ha sempre cercato di riportare la pecorella perduta all’ovile».

Il modo in cui lei si morse le labbra per non sorridere gli fece smuovere qualcosa nello stomaco.

Meravigliosa.

«Perdonami, ti ho immaginato con indosso un costume da pecorella e non sono riuscita a trattenermi» spiegò, lasciandolo senza parole.

L’immagine di se stesso con un costumino da pecorella appena uscito da un sexy shop lo fece rabbrividire. Blaise non avrebbe mai dovuto sapere, altrimenti gli avrebbe dato il tormento per il resto della sua vita.

E se per qualche disgraziato motivo l’avesse scoperto Laurie

«Dai, Malfoy, non fare quella faccia! Lo so che è una cosa raccapricciante» intervenne lei, prima che Draco potesse effettivamente dare di stomaco. «Comunque, spero non ti dispiaccia essere rimasto qui, negli ultimi due giorni. Casa mia mi è sembrata il luogo più sicuro».

Quindi, quella era casa sua.

Sì, si disse Draco, vagamente soddisfatto. Ha proprio l’aspetto di una casa da Granger.

«L’avevo sospettato, quando ho notato i colori di questa coperta» le fece notare, cercando di mostrarsi più nauseato di quanto in realtà non fosse. «Non potevi usarne un’altra? È un affronto aver passato… due giorni, hai detto? Due giorni sotto coperte da Grifondoro! Salazar si starà rivoltando nella tomba».

L’occhiata scettica che lei gli dedicò per poco non lo fece scoppiare a ridere. «Non ti ha dato fastidio, quando ti sei svegliato la prima volta. Anzi, mi sei sembrato parecchio entusiasta» gli fece notare, inarcando le sopracciglia.

Ecco, quell’uscita non era nei piani di Draco. Dire che venne colto alla sprovvista sarebbe riduttivo. In pratica, mancò poco che arrossisse come una ragazzina alla prima cotta.

«Se pensi che cercherò una scusa, cadi male, Hermione» disse, cercando di recuperare tutto il suo orgoglio. Insomma, aveva sedotto la figlia illegittima di un vescovo, la Mezzosangue doveva essere un giochino da ragazzi, per lui. «Ti desideravo prima e ti desidero ora. Se non avessi la certezza che le gambe non mi reggerebbero, probabilmente ti avrei già raggiunta per continuare da dove avevamo interrotto».

Il modo in cui arrossì, probabilmente, rese meno credibile la sua sicurezza. Per fortuna, Hermione sembrò non rendersene conto, troppo presa a soffocare nella sua stessa saliva.

«Tu…» esalò, fra i colpi di tosse. «Non puoi… non puoi dire così! Non è vero!» sbottò, rossa come un peperone, la voce gracchiante ma ancora assurdamente irresistibile, agli occhi di Draco.

Lui sorrise, riconoscendosi, finalmente, nel sentire il suo sorriso sensuale affacciarsi di nuovo nel suo viso. «Puoi accusarmi di tante cose, Hermione, ma non di aver appena mentito» le disse, la voce resa roca da ciò che gli si stava agitando nel petto. «Non mi vergogno di quello che ho detto e ho deciso di non negare più quello che provo. Sono morto, ormai sono pronto a tutto» continuò, serio come poche volte. Lei si irrigidì, ma lui non riuscì a comprendere se fosse per l’emozione o per la paura. «Ci sarà modo di discutere della questione. Per ora, sappi che l’unica cosa che mi sta impedendo di farti mia è questa ridicola debolezza che sembra non voler passare».

La Mezzosangue si schiarì la voce, in evidente difficoltà.

Se gli avesse detto di non provare nulla? Forse era ancora innamorata di Weasley e l’aveva baciato perché pensava stesse per morire.

Forse provava solo lussuria, per lui.

«Abbiamo tempo per il resto» disse invece, guardandolo con una strana luce nello sguardo. «Le conseguenze del Djinn non si sono ancora esaurite e tu sei debole» aggiunse, alzandosi per afferrare qualcosa da terra. «Malfoy, questo è Mittens» disse poi, mettendo sul letto una palla di pelo rosato. «Spero non ti dia fastidio, ma sono dieci minuti che cerca di arrampicarsi sulla coperta, la sta sfilacciando».

La palla di pelo, che Draco comprese essere un gatto, cominciò a zampettare in giro come se ritenesse d’essere il padrone del mondo, per poi puntare gli occhietti gialli su di lui. Sembrò squadrarlo per qualche istante, poi dovette decidere che la sua presenza non gli dispiacesse particolarmente, perché gli si avvicinò, annusandolo.

Lo sguardo di Hermione, se possibile, fu ancora più sorpreso di prima. «Non ti ha morso» gli fece notare, mentre la bestiolina si accoccolava sul suo stomaco, rilassato come se fosse stato perfettamente normale. All’occhiata confusa di Malfoy, rispose stringendosi nelle spalle. «Odia chiunque. Di solito odia anche me» spiegò allora.

Draco sorrise. «Ho sempre avuto un bel rapporto con i gatti. Da piccolo avevo uno Kneezle, ma mio padre era allergico, ce ne siamo dovuti liberare» spiegò, vagamente intristito. «Mi piaceva avere un gatto, era affettuoso con me».

La Mezzosangue sorrise, mormorando qualcosa come “gatti affettuosi” estremamente sarcastico. Poi, quasi qualcuno le avesse ricordato qualcosa di importante. «Non ho ancora controllato la Traccia, se te la senti possiamo cercare di capirla insieme» propose, vagamente imbarazzata, indicando uno specchietto poggiato sul comodino accanto a lui.

Draco se lo ricordò, rivivendo gli ultimi istanti di lucidità.

Occhi di cristallo, un’espressione dispiaciuta.

«Mezzosangue» la fermò subito, raddrizzandosi a fatica sui cuscini. «Qualcuno ci ha traditi! Mi stavano aspettando, nella caverna… non ho idea di chi fosse, non riesco a ricordarne il volto, ma sono abbastanza certo che-».

«Lo so» lo tranquillizzò, con sguardo cupo. «Ho visto le impronte, ho anche ragione di credere che a tradirci sia stato qualcuno dell’Ufficio di Shacklebolt» si fermò un momento, stringendo le labbra con aria incredibilmente delusa e preoccupata. «Se non lui stesso».

Quella sofferenza nelle sue parole lo fece incupire. Non era tornato per sentirla così spaventata. «Non era lui, nella caverna. A meno che all’improvviso non gli siano diventati azzurri gli occhi» specificò, con una smorfia. «Certo, lui potrebbe essere il mandante. Non posso negare che il Ministro sia diventato parecchio strano, negli ultimi mesi» convenne, cupo. Il gattino, placidamente addormentato su suo stomaco, ronfò tranquillo.

Hermione sospirò, delusa. Draco non ebbe difficoltà nel credere che fosse perché la sua fiducia in quell’uomo era appena stata ridotta all’osso. Avevano combattuto fianco a fianco, sei anni prima. L’idea di dover lottare contro di lui non doveva certo entusiasmarla.

«Ho già avvisato Seamus. Lui e la sua ragazza, con Dean, cercheranno di indagare» gli disse, stanca. «Tranquillo, sono sicurissima che loro non siano coinvolti. Avrebbero potuto uccidere sia me che Harry più di un mese fa».  

Draco ridacchiò, senza riuscire a trattenersi. «Dubito fortemente che mia cugina vorrebbe essere definita come fidanzata di Finnigan, soprattutto perché non stanno davvero insieme» le disse, rispondendo al suo sguardo interrogativo. «Non ancora, almeno» specificò. Con un cenno, le ricordò lo specchio. «Coraggio Granger, prendi quella roba, meglio sbrigarci… non appena mi riprenderò, dovremo ripartire. Adesso non è soltanto una corsa contro il tempo, ma anche una corsa contro le nostre talpe».

Anche se vagamente accigliata, Hermione lo accontentò, avvicinandogli la Traccia. «Tu hai idea di come si dica “rivelati in urdu?» gli domandò, accigliata. «In questi due giorni di incoscienza, ho cercato in ogni modo di farlo funzionare, ma non ci sono riuscita».

Il sorrisino malizioso che Draco le dedicò avrebbe fatto arrossire il peggiore dei peccatori, fra i quali, di certo, non rientrava Hermione.

«Cos’è quella faccia?».

«Granger, ai tempi di Alessandro Magno non esisteva l’urdu» le fece notare, divertito. «E tecnicamente non è al Pakistan che devi guardare. Lo specchio è arrivato lì, ma è partito da-».

«Dalla Grecia!³» arrabbiata con se stessa, Hermione balzò in piedi, alzando le braccia al cielo. «Incredibile davvero, come ho fatto a non pensarci? Prima Dante Alighieri, adesso il tentativo di usare una lingua completamente sbagliata…» sbottò, con un verso esasperato, passandosi una mano fra i capelli. «Maledizione, Malfoy, possibile che tu mi tolga la ragione così facilmente?».

Il silenzio che seguì quell’affermazione fu carico di imbarazzo, da parte di lei, e di soddisfazione da parte di lui. Evidentemente la Mezzosangue non era proprio giunta a patti con quello che provava.

Senza farsi scoraggiare, Draco sorrise. «πιφανου» disse, guardandola. «Questa è la parola che devi usare per accedere alla Traccia». Si guardò intorno, alla ricerca della bacchetta. «Hai idea di dove sia finita la mia…?».

Imbarazzata, la Mezzosangue si guardò intorno, quasi fosse alla ricerca di una giustificazione. Alla fine, sconfitta, tornò a fissarlo. «Il mostro l’ha rotta. L’ho trovata accanto al tuo corpo. In questo momento è da Ollivander, dice di poterla riparare facilmente. Andrò a riprenderla domani mattina».

Il sollievo provato a quelle parole fece sospirare Draco. «Siamo stati fortunati, allora» disse, tranquillo, sorridendo all’occhiata preoccupata che lei gli lanciò. «Per Merlino, Mezzosangue! Credi forse che potrei fartene una colpa? Mi hai salvato la vita, possiamo dire!» sbottò, scuotendo il capo. «Ho appena finito di dirti che mi sto struggendo dal desiderio e di avere tantissime altre cose da dirti, a tempo debito. Potrei mai arrabbiarmi per una cosa simile?».

Qualcosa di incredibilmente caldo si diffuse negli occhi color cioccolato della strega, mentre un leggero rossore le colorava le guance.

Non ora, Granger. Ancora sono troppo debole.

«Sarà bene dare un’occhiata a questa, allora» disse lei infine, poggiando la Traccia sul letto, la bacchetta pronta ad essere utilizzata. «Dopo potremo… parlare».

«Sì» concordò Draco, con un leggero sorriso. «Dopo potremo parlare».

 

***

 

Era stato facile trovare la loro nuova meta. Quale città avrebbe potuto concedere la sua gloria ad Alessandro Magno, se non la meravigliosa Atene? Entrambi erano stati parecchio soddisfatti, avevano molte conoscenze utili e sarebbero sicuramente riusciti a concludere il tutto molto più velocemente, avendo deciso di non dare notizie al Ministero, fingendo di non aver trovato il collegamento successivo.

Non erano abbastanza stupidi da continuare a concedere notizie alla Talpa, chiunque fosse. Soprattutto non quando un piccolo gruppo di Auror fidati aveva iniziato a ricercare possibili sospettati.

Era stato facile organizzarsi, davvero.

Non altrettanto lo era stato reggere lo sguardo che Malfoy le aveva dedicato, la mattina seguente.

Si era addormentata accanto a lui, quando era crollato a causa della troppa stanchezza. Non era stata una decisione razionale, naturalmente: non dormiva da due giorni ed il suo letto le era sempre sembrato orribilmente comodo. La mattina seguente, si era risvegliata con la sua mano sulla coscia ed il viso a pochissima distanza dal suo.

Per baciarlo sarebbe stato sufficiente allungarsi un po’.

Naturalmente, Hermione non l’aveva fatto. Non sapeva come avrebbe reagito, non sapeva se quella promessa lasciata in sospeso la sera prima sarebbe stata ancora valida, quel giorno. Per quel motivo era scivolata via, silenziosa, e si era diretta in cucina, per prepararsi una tazza di caffè e per cercare di mettere un freno al movimento indisciplinato di tutti i suoi organi interni.

Sembrava quasi che tutto il suo stomaco si fosse fuso in un ammasso incandescente.

La sua tranquillità non durò molto. Aveva appena portato la tazza alle labbra, quando lui apparve sulla porta, i capelli completamente stravolti e l’espressione di qualcuno che avesse fatto il pisolino migliore del mondo, seguito tuttavia dal peggior risveglio.

«Per un momento ho temuto che te ne fossi andata» le confessò, avanzando lentamente e puntando dritto verso la sua tazza di caffè, togliendogliela dalle mani senza la minima esitazione. «Poi mi sono reso conto che questa è casa tua e non l’avresti mai lasciata alla mercè di un banale ladruncolo come me».

L’unica cosa che lui avrebbe potuto rubare, lì dentro, era il suo povero cuore confuso.

«Non credo ci sia nulla che valga abbastanza, per te» gli disse, forse con un po’ troppo trasporto, dandogli le spalle pur di non osservarlo bere dalla sua tazza. La stessa che lei aveva appena utilizzato. Non che fosse schizzinosa, tutt’altro. Non riusciva a capacitarsi del fatto che quella semplice azione le fosse sembrata sensuale. «Vuoi fare colazione? Oltre ai cereali al cioccolato non credo di avere molto. A causa della missione non sono ancora riuscita a fare la spesa come si deve» continuò, trafficando fra gli scaffali alla ricerca di una tazza di riserva che era certa di avere. Se non ricordava male, era un imbarazzante souvenir che Ginny le aveva portato dopo gli ultimi Mondiali di Quidditch, direttamente dal Venezuela.

La presa delle mani di lui sui suoi fianchi la fece trasalire, facendola voltare di scatto.

Era dietro di lei, lo sguardo sensuale ma di una dolcezza che Hermione non credeva avrebbe mai più incrociato. Lui era lì, la stringeva per impedirle di allontanarsi e la guardava come se fosse stata il centro gravitazionale di tutto un universo.

Di tutto il suo universo.

«Malfoy?» esalò, trattenendosi a stento dal deglutire quello che pensava potesse essere il suo cuore, schizzato via dal petto e pronto a prendere il volo, tanto veloci erano i battiti. Le sue mani, tremanti, si posarono sugli avambracci di lui, indecisi fra il respingerlo ed il trattenerlo lì, ad una distanza che, forse, poteva ancora essere considerata di sicurezza.

«No, non chiamarmi così» le ordinò lui, scuotendo leggermente il capo, prima di avvicinarsi e sfiorarle la guancia arrossata con la punta del naso freddo. Quell’intimità inaspettata le fece piegare le ginocchia. «Non posso essere Malfoy, non ora» aggiunse, con un tono meno perentorio, molto più simile ad una supplica. La presa delle sue mani si rafforzò, lasciando bene intendere che tipo di situazione intendesse con ora.

«Draco» concesse allora lei, esitante, mentre un’ondata di calore si sprigionava in tutto il suo corpo, a partire dal basso ventre. Non accadeva da anni, forse non era mai accaduto. «Io non… non sono certa che sia una cosa sensata, questa» continuò, per quanto le stesse costando ogni briciola di autocontrollo.

La risata di lui le solleticò lievemente l’orecchio, facendole venire la pelle d’oca. «Avevamo detto che avremmo parlato, non è vero? È esattamente quello che stiamo facendo» le mormorò, dolcemente, continuando ad accarezzarle i fianchi da sopra il tessuto dell’imbarazzante pigiama che aveva indossato la sera prima. «Stiamo parlando».

Lui le aveva sorriso, vedendolo, e le aveva detto che un giorno gliene avrebbe regalato uno rosa con gli ippogrifi.

In quel momento, quella promessa le sembrò carica di un significato ben più profondo.

«Questo non è parlare» provò a ribattere allora lei, aumentando la presa sulle sue braccia. Il mobile della cucina, dietro di lei,  le impedì di poter pensare di arretrare. Non che, in realtà, l’avesse voluto davvero. Lui rise, attirandosela di più contro. «Questo decisamente non è parlare, Malfoy».

«Adesso ti dirò cosa succederà» fu la pronta risposta dell’uomo, mentre le sue mani cominciavano ad avventurarsi sotto la maglia del pigiama. Le sue dita erano fredde, quasi un sollievo per la pelle congestionata di Hermione. Quasi, perché il suo sangue era lava e quella frescura sembrava non esser sufficiente. «Adesso io ti bacerò, Hermione. E tu risponderai al mio bacio» iniziò, sensuale, lasciandole un piccolo bacio dietro l’orecchio.

«E dopo?» domandò allora lei, in un pigolio, artigliandogli le braccia. Non erano state quelle le parole che aveva in mente, decisamente. Non era quello il tono di voce che avrebbe voluto utilizzare. Ma il suo sangue bruciava e la sua ragione stava ardendo sotto il fuoco dei sentimenti che le si agitavano nel petto.

«Dopo, mia bellissima Hermione» continuò lui, afferrandola per il retro delle cosce e sollevandola, fino a farla sedere sul piccolo bancone della cucina. «sarai tu a decidere» mormorò, lasciando piccoli baci sul collo bianco, avvicinandosi alla piccola scollatura che il pigiama lasciava intravedere.

«Cosa… cosa devo decidere?» domandò, ansiosa, sentendo una smania sconosciuta crescere dentro di lei, come se avesse piantato radici nel suo ventre e si fosse sviluppata lungo tutte le sue terminazioni nervose. Improvvisamente comprese perché le sue amiche si fossero sempre sdilinguite sul sesso. Comprese perché erano sempre così sconvolte dalla sua mancanza di interesse. Hermione non aveva mai provato quelle emozioni.

Draco le lasciò un piccolo morso sulla pelle candida del petto, senza farle male. «Puoi decidere di respingermi, allora io mi farò da parte ed aspetterò i tuoi tempi» iniziò, senza guardarla. «Oppure puoi lasciare che ti faccia mia, Hermione. Ed io sarò tuo, più di quanto io già non sia». Quando rialzò lo sguardo, le sembrò di annegare in un mare in tempesta, senza alcuna possibilità di essere salvata.

Le aveva dato una scelta e lei non metteva in dubbio che avrebbe rispettato ogni sua decisione. Non poteva metterlo in dubbio, non quando ogni suo gesto sembrava misurato, volontariamente contenuto per non metterle fretta, per non spaventarla.

Una scelta, quella che Ronald non le aveva dato.

Quella volta, però, Hermione non sentiva di volere una scelta. Non ne aveva bisogno. Probabilmente, scegliere l’avrebbe fatta morire dal desiderio, consumandola come un fiammifero lasciato a se stesso.

«Sto aspettando la tua risposta» le sussurrò lui, strofinando il naso contro la pelle del suo collo. La sua voce era roca, sensuale, come se fosse giunta direttamente da una parte di lui rimasta nascosta ai suoi occhi inconsapevoli, fino a quel momento. «Oh, Merlino, quanto amo il tuo profumo. Mi sta facendo diventare matto» sbottò poi, in un ringhio che gli fece stringere gli occhi, come se fosse stato troppo doloroso guardarla senza poterla toccare. Si stava trattenendo, perché era lei a dover scegliere.

A quel punto, la decisione era stata presa.

Con un gemito, Hermione gli portò una mano fra i capelli e lo costrinse a sollevare il viso, quasi assalendolo con la forza del suo bacio.

La reazione di Malfoy l’avrebbe fatta morire per anni ed anni a venire, lo sapeva. Il modo in cui si arrese al bacio, la ferma dolcezza con cui la attirò fra le sue braccia, spostandosi verso la camera da letto, sarebbero rimasti con lei per sempre, come marchiati a fuoco nelle pareti del suo cuore.

Non fu un’esperienza minimamente paragonabile a quelle che Hermione aveva vissuto nel suo passato. Non c’era nulla che potesse essere paragonato, non quando a lui sembrò bastare guardarla negli occhi per trasmetterle, senza parole, ciò che lei sapeva si stesse agitando anche nel profondo della sua anima.

Non c’era bisogno di parlare. Non c’era bisogno di dire quel ti amo ad alta voce. Bastarono i loro baci, bastarono i movimenti lenti ma decisi con cui divennero, per la prima volta, un solo corpo. Bastò il sorriso che si scambiarono, fra un bacio e l’altro, mentre il loro mondo veniva sconvolto dalla forza più antica del mondo, mentre i loro universi cambiavano, estendendosi e fondendosi in uno solo, inondato da una luce che non avrebbero mai trovato in un posto diverso dalle labbra dell’altro.

Hermione, per la prima volta, si lasciò davvero andare. Non c’era bisogno di nascondersi, non c’era più bisogno di vergognarsi di se stessa e di ciò che le era successo.

Non era stata colpa sua. Lei non l’aveva meritato. Non le importava più.

Non c’era spazio, fra i suoi pensieri o fra le sue parole, perché tutto sembrava ruotare intorno a lui. Tutto era occupato da lui.

Puoi lasciare che ti faccia mia. Ed io diventerò tuo.

Non c’era più spazio, non c’era più tempo.

C’era solo lui.

«Draco».

 

 

Quando si svegliò, il sole era alto nel cielo. Quell’alba di fuoco che aveva accompagnato la loro unione era ormai sparita dietro il chiarore della consapevolezza.

Non si sentì diversa, stranamente. Una parte di lei, prima di cadere nuovamente nell’incoscienza, aveva temuto che tutto il suo mondo sarebbe stato ribaltato a testa in giù, una volta che l’illusione si fosse dissipata. Aveva temuto che il senso di colpa sarebbe tornato a farle visita, angosciandola con il rimpianto per quanto era successo.

Ma non accadde.

Come poteva rimpiangere ciò che era successo, se il solo osservare il profilo addormentato di Draco la faceva sentire in pace con tutto l’universo? Come poteva pentirsi, se le sue mani erano ancora tiepide contro la sua schiena e se il suo viso era dolcemente poggiato al suo petto?

«Come fai a ragionare in modo così rumoroso, appena sveglia?» le domandò proprio lui, con gli occhi ancora socchiusi ma un sorriso malandrino ad incurvargli le labbra eleganti. Lentamente, le sue palpebre si sollevarono ed Hermione venne accecata da due meravigliosi e limpidi diamanti.

La tempesta era passata…

«Stavo cercando di capire se, per caso, mi fossi pentita di ciò che è successo» gli spiegò, con tono gentile, accarezzandogli con la punta delle dita un ciuffo biondo che era ricaduto sul suo viso. I cristalli si raffreddarono, divenendo ghiaccio.

… ma ancora incombeva all’orizzonte, minacciosa.

«Hai trovato una risposta a questa tua domanda?» sbottò allora lui, nervoso,  rotolando di fianco fino ad essere parzialmente su di lei, senza pesarle troppo contro. Era nervoso, ma non arrabbiato. L’atteggiamento sicuro di un Malfoy, unito però alla paura di un innamorato.

Hermione sorrise, accarezzandogli delicatamente il viso con la punta delle dita. «Non ho trovato una risposta, ma solo perché non c’è stato neppure bisogno di porre la domanda» gli disse, sentendo il cuore scaldarsi per il modo in cui quelle parole sembrarono rischiarargli l’animo. Si voltò leggermente, lasciandole un piccolo bacio sul palmo della mano.

«Per favore, la prossima volta evita quelle espressioni cupe, allora» le mormorò, rotolando nuovamente al suo posto ma trascinandola di più contro il suo petto. Erano entrambi nudi, ma non c’era spazio per la vergogna. Non dopo ciò che avevano condiviso. Non quando sapevano che ci sarebbe stato molto altro da condividere. «Mi hai fatto spaventare da morire, credevo di dover mettere in dubbio le mie doti d’amante e corteggiatore».

Hermione gli dedicò uno sguardo scettico, assestandogli un pizzicotto sul fianco. «Non hai dovuto faticare molto, per ottenere ciò che volevi» gli fece notare, sospirando divertita. «Avrei dovuto fare la preziosa, in questo modo ti ho dato agio di darti tante arie».

Lui rise e le vibrazioni del suo petto furono un paradiso per Hermione. «Sono un Malfoy, darmi arie è la mia specialità» le rispose, lasciandole poi un piccolo bacio sulla fronte. «Anche se, devo ammettere, tu sei capace di togliermi fino all’ultima delle mie certezze. L’hai sempre fatto, anche quando eravamo ragazzini» aggiunse, con sguardo improvvisamente più pensieroso, più cupo. «Dovremo davvero parlare di molte cose, lo sai, vero?».

Naturalmente lo sapeva. Per quanto orribile le sembrasse l’idea di aprirsi a lui e mostrargli le sue debolezze passate, sapeva bene di non avere altra scelta.

Un rapporto basato sulle bugie non avrebbe mai avuto futuro, l’aveva imparato a sue spese.

«Lo faremo, ma non adesso» convenne, con un sospiro. «Abbiamo meno di venti giorni per ritrovare lo Specchio e salvare il mondo. Il resto dovrà aspettare».

Draco sorrise, annuendo leggermente, per poi chinarsi e baciarla sulle labbra, con dolcezza. «Non tutto deve aspettare però» le mormorò poi, sensuale, mentre le sue mani sembrarono voler riesplorare tutti i percorsi che avevano attraversato quella stessa mattina, con una sicurezza che era tutta nuova, perché nuova era la consapevolezza del loro rapporto. «Dopotutto, io sono ancora convalescente, sai. Credo di meritare una giornata di riposo». 

 

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

Avevo promesso belle cose, il risultato spero sia stato quantomeno decente!

 

Come ho detto a chi ha perso due minuti per lasciare un commento (GRAZIE, davvero), ho preferito non cambiare il rating della storia, mantenendomi sul vago. Probabilmente pubblicherò una One-Shot un po’ più piccante in settimana, tenete d’occhio Facebook per le comunicazioni! Mercoledì ho quel famoso esame, quindi sicuramente arriverà o quel pomeriggio o addirittura entro un paio di giorni dopo.

Abbiate pazienza, la sessione estiva uccide.

 

Punti importanti:

 

» 1 – “Le braccia dell’oceano di trasportavano/ così dolci, così fredde/ e tutta questa devozione che non avevo mai conosciuto/fra le pressioni del Cielo, per una peccatrice liberata/ Ma le braccia dell’Oceano mi hanno portata a destinazione/Non lasciarmi andare ”.

 

» 2 – Si tratta del libro di fiabe che stava leggendo la sera prima.

 

» 3 – Ovviamente so che Alessandro Magno era della Macedonia e non greco, ma in questo caso ho fatto riferimento alla Grecia perché è che lo Specchio è stato trovato. Oltretutto, la madre di Alessandro era greca e lui è stato istruito da Aristotele, ho immaginato che la versione Greca fosse più credibile.

 

» Il termine greco è stato modificato, grazie sia a Cribonnie che ad ElectraDuPre per avermi corretta! Le pecche del liceo scientifico si fanno sentire, ogni tanto!

 

» Draco ed Hermione, finalmente, hanno concluso. Ci sono tante cose da dire, soprattutto da parte di Hermione, ed il tempo inizia a scarseggiare. Posso solo assicurarvi che non ho la minima intenzione di far fare loro qualche assurdo tira e molla, soprattutto perché Draco ha deciso che sposerà quella signorina, anche se dovesse rivelargli di aver avuto un passato da escort di lusso o da trafficante di algabranchia. E ve lo sto dicendo perché il mio interesse non è semplicemente quello di farli mettere insieme, la mia trama non avrebbe giovamento da drammi da fidanzatini adolescenti (ovviamente, perché non è previsto il dramma. Se ben strutturato, ha perfettamente senso!)

 

» Mi sembra opportuno dare delle coordinate temporali: siamo arrivati ai primi giorni di dicembre, ormai, e la loro scadenza è il 21. Harry è in coma da più di un mese e, lentamente, sembra sempre più morto che vivo. Se è sparito dalla circolazione è solo perché, per adesso, non ha ragione di presentarsi. Tornerò a parlare di lui e Ginny, molto presto!

 

 

Adesso voglio ringraziare anche qui Cioccolatoconpanna, che ha fatto un meraviglioso banner, che io ADORO. Sto attualmente cercando di capire come inserirlo nel primo capitolo (le mie competenze informatiche stanno arretrando ad ogni libro di diritto che mi passa davanti agli occhi, abbiate pietà, ce la farò), nel frattempo potrete vederlo come Copertina della mia pagina facebook (link sopra) o a questo link http://oi64.tinypic.com/24g0dxw.jpg

 

Piccola comunicazione di servizio: Ho pubblicato lunedì perché, come ho anticipato qui e lì, il mio esame è stato rimandato a mercoledì, quindi martedì sarò rinchiusa in clausura totale. La One-Shot dovrebbe arrivare da mercoledì sera in poi, tenete d’occhio facebook!

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 24
*** Atto XV - La fine del Mondo. ***


Lo Specchio delle Anime.

 

 

 Turning and turning in the widening gyre
The falcon cannot hear the falconer;
Things fall apart; the centre cannot hold;
Mere anarchy is loosed upon the world,
The blood-dimmed tide is loosed, and everywhere
The ceremony of innocence is drowned;
The best lack all conviction, while the worst
Are full of passionate intensity.1

 

 [William B. Yeats – The Second Coming

        

 

 

Atto XV

La fine del Mondo.

 

 

 

«Cosa possiamo fare?».

La voce della giovane recluta tremava, nonostante stesse cercando di mostrarsi forte davanti al suo superiore. Ma Seamus aveva vissuto la guerra, aveva vissuto la resistenza di Hogwarts, riusciva a riconoscere la paura anche negli occhi del più coraggioso dei combattenti.

«Adesso, Mahoney?» gli chiese allora, passandosi una mano fra i corti capelli biondi e sospirando. «Non c’è molto che possiamo fare» mormorò, mentre, davanti a loro, il fumo continuava a sollevarsi in ondate nere e puzzolenti di morte. «Per caso sei religioso?» gli chiese poi, osservandolo con la coda dell’occhio.

La recluta sembrò riuscire a mettere sotto controllo l’ansia, per un istante, quando gli lanciò un’occhiata curiosa. «Non molto, signore. Ma mia madre è ebrea. Perché me lo chiede?» gli domandò, spostando nervosamente il peso da un piede all’altro. La mano che reggeva la bacchetta tremava, ma non tantissimo.

«Io sono cattolico2, sai» gli disse allora Seamus, poggiando le spalle al muro. «Mia madre mi ha sempre detto di pregare, in questi casi, così che la magia non possa tradirmi e abbandonarmi nel momento del bisogno». Con un cenno, indicò il gruppo di Guaritori che correvano tra le macerie. «Oppure mi diceva di pregare per le anime di chi non ce l’aveva fatta». Sentendo lo sguardo della recluta su di lui, Seamus si voltò a guardarlo. «Immagino che adesso dovremmo pregare, sempre che tu non abbia capacità da Negromante nascoste».

Il mugugno che ottenne in risposta valse più di mille parole.

«Raggiungi gli altri, William» gli ordinò allora, con un cenno del capo. «Resto io a controllare questo disastro».

Quando Seamus Finnigan era andato a dormire, la sera prima, aveva programmato di svegliarsi presto, fare colazione e passare dal fioraio vicino al Ministero per prendere un mazzo di calle da portare alla futura ed inconsapevole madre dei suoi figli, che avrebbe risposto con una smorfia di disappunto senza tuttavia rifiutare il suo regalo.

Invece era stata proprio lei a svegliarlo, tempestando di pugni la porta del suo piccolo appartamento nel centro di Dublino. Il suo viso pallido era coperto di polvere, gli occhi sgranati e colmi di un gran terrore.

C’è stato un attentato, gli aveva detto, tremando. Hanno colpito Diagon Alley.

Merry aveva avuto il turno di notte, era stata fra i primi ad intervenire quando la notizia era giunta al Ministero. Un gruppo di simpatizzanti Mangiamorte aveva tentato di assaltare la Gringott e, quando non c’era riuscito, si era riversato per le strade, lanciando Avada Kedavra e sterminando chiunque fosse stato a portata d’incantesimo.

Li avevano arrestati quasi tutti, alla fine. Uno era morto, lo aveva ucciso Merrick quando l’aveva visto afferrare una bambina per i capelli. Un altro era scappato, probabilmente si trattava del capo.

Il numero di morti continuava a crescere di ora in ora, le urla tuttavia si erano interrotte.

C’era solo il silenzio, a Diagon Alley, quella mattina. Un silenzio fatto di morte, di dolore e di paura.

«Gli Inquisitori ti vogliono al Ministero, amico». Apparso dal nulla al suo fianco, Dean gli poggiò la mano sulla spalla, porgendogli una bottiglietta scura. «Dicono di essere già abbastanza svantaggiati, senza Hermione, la presenza del Capo Auror è quantomeno dovuta» aggiunse, mentre lui beveva.

Gli aveva portato del Whisky, il titolo di migliore amico era più che meritato.

«Sappiamo tutti e due che la mia presenza lì sarebbe soltanto un ostacolo» mormorò, con voce stanca. «Ho fatto del mio meglio per tirare fuori i feriti dalle macerie, ma in tanti non riuscivano più neppure ad urlare per lo spavento. Andare al Ministero e guardare in faccia quei bastardi… non credo che resisterei molto, prima di ricorrere a mezzi poco ortodossi». Restò in silenzio per qualche istante, osservando cupamente lo scenario di desolazione che si apriva davanti ai suoi occhi. «Ho avuto i migliori maestri, al riguardo».

L’immagine di Amycus ed Alecto Carrow era ancora stampata a fuoco nella sua memoria. Sì, erano decisamente stati i migliori insegnanti possibili, riguardo i mezzi da usare per portare le persone all’esasperazione e costringerle a confessare cose che, in realtà, non avevano neppure pensato di fare. Seamus aveva imparato bene, così come avevano imparato molti altri della squadra.

Era quello il motivo per cui Harry si era sempre ostinato a tenerli bene alla larga dagli interrogatori. E Seamus non si sarebbe messo a contraddire il suo capo in quel momento.

Dean comprese subito cosa volesse dire ed annuì, poggiando a sua volta le spalle al muro. «Merry come sta? I ragazzi mi hanno detto che ha dovuto far fuori uno dei Mangiamorte» chiese poi, tirando fuori un pacchetto di sigarette e portandosene una alle labbra. Non ne offrì all’amico, consapevole che avesse scelto di smettere da un bel po’ di tempo.

«L’ho mandata a riposare, ma credo stia bene». Seamus strinse i denti in un moto di fastidio. «La raggiungerò non appena questo caos si sarà calmato un po’, ma credo che se la caverà. Ha imparato da tempo a dividere la famiglia da quei mostri» mormorò, sentendo un nodo all’altezza dello stomaco. «Se non avesse imparato, Harry non le avrebbe permesso di concludere l’accademia. Lei è abbastanza forte».

L’Auror annuì, dando una pacca sul braccio del migliore amico. «Dubito, comunque, che qualche membro della sua famiglia3 avrebbe preso parte a quell’azione sconsiderata. C’erano anche dei Nati Babbani e Mezzosangue, fra loro».

Nati Babbani e Mezzosangue?

«Che cazzo significa?» sbottò, stizzito, Seamus, fronteggiando il collega. «Nati Babbani fra i Mangiamorte? E da quando?» continuò, per poi scuotere il capo. Il Whisky che aveva bevuto gli bruciava ancora lo stomaco. «Incredibile. La prossima cosa sarà, uhm? Un Irlandese si metterà a cantare Dio salvi la Regina e proporrà il ritorno del paese sotto il dominio inglese2?».

Dean si strinse nelle spalle, senza sapere cosa dire. «Ne so quanto te, dico davvero» gli spiegò, cupo. «La cosa peggiore è che alcuni di loro hanno anche perso parenti ed amici nella guerra». Improvvisamente sembrò nervoso, quasi non riuscisse a capacitarsi di quanto stesse per dire. «Uno di loro era Dennis Canon, Seamus. Il fratello di Colin».

L’imprecazione che sfuggì dalle labbra si Seamus avrebbe fatto piegare le ginocchia al prete del suo paese ed avrebbe fatto cadere il crocifisso della sua Chiesa. «Canon? Non è possibile, mi rifiuto di crederlo» sbottò, furioso, allontanandosi di un passo dal muro e passandosi una mano fra i capelli. «Colin è morto combattendo, Dennis lo sa bene. Siete sicuri che sia lui? Che non sia sotto Imperius?».

Quando Dean annuì, Seamus ripeté l’imprecazione, aggiungendovi qualche altro colorato epiteto in irlandese.

«Cosa sta succedendo, per Merlino?» chiese alla fine, esasperato. «Dennis Canon che diventa un Mangiamorte, altri Mezzosangue che iniziano a seminare il panico per il mondo magico…».

«E solo diciotto giorni prima che Tu-Sai-Chi torni a passeggiare per le strade del mondo».

 

***

 

La campagna greca era un tripudio di colori, intorno a loro. L’azzurro del mare incontrava i colori accesi della terra e degli ulivi che finivano a strapiombo sul mare, l’aria era profumata di erbe aromatiche ed i raggi del sole le riscaldavano il viso nonostante l’inverno fosse ormai giunto alle porte. Non era un clima cui Hermione era abituata, naturalmente. Il freddo inglese era infossato nelle sue ossa, come se fosse stato parte delle stesse. L’assenza della solita puzza di umido sotto al naso le sembrava quasi strana, innaturale, ma non per questo pensò mai di lamentarsene4.

Erano arrivati in Grecia poche ore dopo l’alba, quando la notizia dell’attentato a Diagon Alley era appena stata diffusa con edizioni speciali della Gazzetta del Profeta. Nessuno di loro due era stato particolarmente sconvolto, alla notizia: era solo questione di tempo prima che le varie forze sostenitrici del vecchio Regime tornassero a farsi sentire.

Era successo durante il Torneo Tremaghi, stava succedendo in quel momento. Quella volta, però, non c’erano solo i vecchi purosangue a cercare un ritorno alle origini. Fra loro, infatti, c’erano gli stessi che avevano perso affetti, che avevano perso parte delle loro vite in quella che era stata una delle guerre più sanguinose della storia del Mondo Magico.

Era incredibile. Era assurdo.

Stava accadendo davvero.

«Dovrebbe esserci un passaggio» mormorò Draco, parlando per la prima volta dal momento in cui erano giunti a destinazione. Non era stato molto turbato dall’attacco in sé, ma dalla notizia che sua cugina – che Hermione aveva capito essere l’Agente Rosier – fosse stata coinvolta nelle azioni immediatamente successive all’attentato, a capo della Squadra d’Intervento.

Molti Mangiamorte sono nostri parenti, per quanto non ci siano rapporti è sempre difficile, per noi.

«Stiamo attraversando l’Acropoli, Malfoy, non credo ci sia un solo angolino di questo posto che non sia già stato esaminato da cima a fondo» gli rispose lei, alzando gli occhi al cielo. Allungò la mano per stringergli il braccio, intimandogli la calma. Gli aveva proposto di rimandare, gli aveva detto che si sarebbe recata in Grecia da sola ed avrebbe iniziato le ricerche, lasciandogli il tempo di andare a controllare che Merrick stesse bene. Lei ce l’avrebbe fatta.

Mia cugina ha fronteggiato demoni peggiori, era stata la sua unica risposta. Io non ce la farei a lasciarti qui.

Era stato con la morte nel cuore che erano partiti, alla fine. Sempre con la morte del cuore si erano diretti all’Acropoli, cercando qualcosa che potesse dar loro un indizio sulla strada da seguire.

Erano lì da ore, ma non avevano ancora trovato nulla.

«Noi dobbiamo trovare qualcosa» insistette quindi il mago, con uno sbuffo irritato, tirando fuori dalla tasca un'altra sigaretta, che accese con un gesto brusco. «Siamo il mago e la strega più brillanti della nostra generazione5, se c’è qualcosa, noi dobbiamo trovarla».

Con un gesto veloce, Hermione gli tolse la sigaretta dalle labbra, lanciandogli uno sguardo di fuoco. «Questa è la quinta in poco più di un’ora, Draco, stai esagerando» lo rimproverò, seccamente. «Troveremo qualcosa soltanto quando ti deciderai a darti una calmata». Quando notò l’occhiata sperduta con cui lui reagì, non riuscì ad impedirsi di fermarsi e posargli la mano sul braccio, proprio sopra il segno che il Marchio Nero aveva lasciato. «Ce la faremo, va bene? Devi credermi, ce la faremo. E impediremo che questa catastrofe arrivi alla fine».

«E se non ce la faremo?». Strapparsi quelle parole di bocca dovette risultargli difficile come se ogni parola fosse stata un arto tirato via con violenza. Strinse i denti, rifiutandosi di incrociare lo sguardo di Hermione. «Cosa succederà, se Tu-Sai-Chi tornerà dal regno dei morti? Non è più una questione di pochi, hai visto anche tu i Mezzosangue che si sono uniti alla sua causa… se dovesse farcela, sarebbe la fine» esalò, terrorizzato, posandole le mani sulle spalle e scuotendola leggermente. Poi, con un sospiro, si chinò a poggiare la fronte contro la sua. «Sono solo molto nervoso, scusami».

Sentendosi un peso sul cuore, Hermione gli accarezzò lievemente i capelli, incurante dei sorrisini inteneriti che i turisti intorno a loro avevano iniziato a dedicargli. Nessuno poteva aver sentito la discussione, ma immaginava che sembrassero piuttosto carini, visti da occhi esterni.

«Non c’è nulla di cui scusarsi. Hai paura, così come ho paura io. Solo che, per la prima volta, sei dalla parte giusta della scacchiera» lo tranquillizzò, gentile. «Imparerai a convivere con questa emozione, come tutti noi».

Draco sospirò, risollevandosi. «Per la prima volta, comincio a provare pietà per Potter e per ciò che deve aver passato, durante la scuola» ammise, raddrizzando le spalle e sistemandosi il bavero della giacca. «Allora, le tue ricerche a cosa ti hanno portato? Ricominciamo da capo» aggiunse, guardandosi intorno. «Merlino, non era così che volevo farti visitare Atene, Granger».

Hermione non riuscì ad impedirsi di sorridere leggermente, dandogli un buffetto sulla mano. «Un papiro ritrovato ad Alessandria d’Egitto, si ritiene sia opera di uno degli scribi personali del sovrano» spiegò per l’ennesima volta, ripescando dalla borsa un blocchetto d’appunti. «Dice che Alessandro dovette fronteggiare le sue peggiori paure, prima di trovare la grandezza del passato che sarebbe appartenuta al futuro» recitò, indicando con un cenno la traduzione che si era appuntata. «Abbiamo dedotto che abbia trovato lo specchio, ma non dice dove».

Sempre guardandosi intorno, Draco si accigliò. «Sai, Mezzosangue» iniziò, cercando qualcosa nella tasca della giacca, «un paio di anni fa ho dovuto recuperare un complesso marmoreo dalla villa di un vecchio duca greco-».

«Rubare» rettificò Hermione, lanciandogli un’occhiata tetra. «Hai rubato un complesso marmoreo. Non abbiamo ancora parlato di questa tua professione, Malfoy, ma-». Lui le impedì di continuare, lasciandole un piccolo bacio sulle labbra. Era certamente il miglior modo possibile per zittirla, Hermione dovette dargliene atto.

«Come desideri, poi ne parleremo. Quella sceneggiata di Lord Morgerstern e Lady Sinclair è molto affascinante, mi farebbe comodo una partner» le disse, con un enorme sorriso incoraggiante, impedendole tuttavia di rispondergli con l’imprecazione che avrebbe voluto. «Quel gruppo marmoreo, comunque, avrebbe dovuto rappresentare i Dioscuri, Castore e Polluce, ma alla fine si dimostrò essere una rappresentazione di Phobos e Deimos, i figli del dio della guerra».

«Le divinità della Paura e del Terrore, certo» intervenne lei, accigliata. «Strano, credevo non ci fossero molte loro riproduzioni, i Greci erano un popolo parecchio superstizioso». Accigliata, ricordò con incredibile chiarezza la lezione di storia antica fatta con il professor Ruf, al primo anno. «Se non sbaglio, molti gruppi marmorei erano infusi di magia potentissima, legata alle personalità cui si rifacevano. Ci sono tracce di statue di Zeus capaci di scagliare fulmini dagli occhi. Pensi che Alessandro possa aver affrontato una loro statua? O comunque qualcosa legato a loro ed al dio Ares?».

Draco annuì, continuando tuttavia a guardarsi intorno. «Queste statue infondevano una paura irrazionale in chiuque le fissasse per troppo tempo. Il proprietario babbano aveva iniziato a sfruttare il loro potere, senza rendersi conto che avesse iniziato lui stesso ad essere spaventato della sua stessa ombra». Con un sorriso di trionfo, indicò con un cenno qualcosa alla loro destra. «Non ci sono dei santuari dedicati ad Ares, nell’Acropoli, ma un Mago, un archeologo morto prima della Seconda Guerra Mondiale, ha scoperto delle gallerie sotterranee che collegano la parte alta della città al vecchio porto. Riteneva fossero delle vie usate per il trasporto dei prigionieri di guerra, in modo che questi soffrissero e si preparassero a collaborare» spiegò, con un leggero sorriso di trionfo. «Mezzosangue, tu sei un Inquisitore e sai meglio di me a cosa mi riferisco. Se qualcuno non vuole parlare, cosa serve per convincerlo?» le domandò poi, tornando, finalmente, a guardarla negli occhi. C’era una tale soddisfazione nel suo sguardo, che per un attimo Hermione se ne sentì pervasa.

Quando capì, si portò la mano a coprire le labbra.

«La paura. Si usa la paura».

«Atene era una potenza, la culla della democrazia, ma aveva comunque bisogno di qualcosa di oscuro, alla base, per mantenere la sua forza. Qualcosa che lo stesso Pericle deve aver usato, per giungere a quel picco di magnificenza» spiegò Malfoy, iniziando a trascinarla. «La forza arriva dalla conoscenza, la conoscenza proveniva dai prigionieri».

«E i prigionieri erano talmente terrorizzati da collaborare senza opporre resistenza» concluse lei, quasi come se le sue parole fossero state un complimento. Si trattava di un ragionamento contorto, ma aveva senso. Se davvero avessero trovato l’ingresso a quei tunnel, avrebbero potuto scontrarsi con quelle stesse paure che Alessandro aveva fronteggiato, durante la sua conquista di Atene6, prima di ottenere lo Specchio.

A quel punto, l’unico problema restava trovare le fantomatiche vie nascoste.

«Andiamo, Hermione. Phobos e Deimos ci aspettano».

 

***

 

«Avrei preferito mille volte avventurarmi fra i resti di Sparta» le disse, dopo quasi un’ora di scarpinata lungo le colline greche. Aveva immediatamente affermato di conoscere una strada più veloce della discesa al vecchio porto, così da poter ritrovare immediatamente l’ingresso, ma da quando si erano messi in marcia a lei era sembrato ad ogni istante più confuso. «Conosco un sacco di archeologi che avrebbero potuto darci una mano a trovare l’accesso. Qui, invece, con tutti questi stupidi turisti…».

«Non parlare male dei turisti, ho intenzione di diventarlo anche io non appena sistemeremo questa terribile situazione» lo ammonì allora Hermione, con una risatina, guardandosi intorno alla ricerca di un qualche segnale. La campagna greca era perfetta ed immutabile nella sua tranquillità, i colori autunnali sembravano ancora voler mantenere una parvenza di calore che nelle regioni nordiche era già sparita. «Oltretutto, qui non ci sono turisti, siamo soli nel bel mezzo del nulla perché tu conoscevi la strada. Praticamente siamo finiti alla fine del Mondo, Malfoy».

«Io conosco la strada!» sbottò Draco, allargando le braccia con aria sconfitta. «Solo perché sembra che siamo arrivati alla fine del mondo, non significa che lo siamo davvero. Semplicemente, dobbiamo trovare il posto giusto…» mugugnò poi, tirando fuori il suo quadernino e strizzando gli occhi per leggere bene i suoi stessi appunti. «Maledizione, Granger, dai un’occhiata tu, io non ho portato i miei occhiali» si lagnò alla fine, porgendole il blocchetto ed indicandole un punto imprecisato.

Lei gli sorrise, tentata di alzare gli occhi al cielo. In realtà era molto deliziata da quel gesto: aveva sognato di mettere le mani sugli appunti di Malfoy dal primo giorno in cui li aveva tirati fuori in sua presenza. «Hai ricopiato fedelmente le memorie di Stephen McKenzie? Non potevi fare una fotocopia?» gli domandò, confusa, zittendo ogni possibile protesta con un gesto. «Qui dice che l’ingresso al tunnel si trova dove un tempo sorgeva l’agorà7 dei giusti. Che cos’è l’Agorà dei giusti, Malfoy?».

«Era un’agorà separata per coloro che la popolazione riteneva giusti, ovviamente» fu la pronta risposta di lui, accompagnata da un sopracciglio inarcato. «Merlino, Mezzosangue, davvero non ti ricordi quella lezione di Ruf? Mi sorprendi» le fece notare, divertito, prima di mettersi le mani in tasca e dondolare leggermente sul posto.

«Allora?» incalzò allora lei, con un pizzico di stizza, tentata di sbattere il piede a terra e fargli rimangiare quel maledettissimo sorriso sornione.

«Scusa, ma sto vivendo il mio sogno adolescenziale: conoscere più cose di Hermione Granger» si rallegrò, per un attimo, Draco, per poi scuotere leggermente il capo. «I Giusti in Grecia erano i maghi purosangue più anziani. Erano considerati i più saggi, gli unici con abbastanza potere da poter garantire la sopravvivenza della Polis». Con un gesto vago indicò la campagna che li circondava. «Più o meno qui dovrebbero esserci i resti dell’agorà dedicata a loro e lì troveremo il nostro ingresso. Si tratta di un luogo magico, protetto dagli occhi dei babbani». Sospirò, allargando le braccia. «Per questo maledettissimo motivo siamo alla fine del mondo ed io non riesco ad orientarmi».

«Questo è un posto non disegnabile8» si complimentò allora lei, sentendo un moto di eccitazione crescerle dalla base dello stomaco. «Significa che sono pochissimi anche i maghi che hanno avuto modo di visitarlo! È una cosa incredibile, per l’amor di Merlino… se riuscissimo a trovarlo potremmo darne segnalazione al Ministero e…».

«E magari andare dalla Talpa, darle qualche pacca sulla spalla e consegnarci entrambi, che ne dici?» le chiese quindi lui, accigliato, prima di picchiettare nuovamente sulle pagine dell’agenda. «Forza, Granger, continua a leggere. Non abbiamo tempo per i tuoi sogni da piccola archeologa, ora… non quando non abbiamo la più pallida idea di chi stia tentando di ostacolarci».

Quella puntualizzazione fece arrossire Hermione. Naturalmente, Malfoy aveva ragione e la cosa a lei dava un profondo fastidio. Solo perché aveva accettato di provare qualcosa per lui, non significava certo che fosse pronta a mettere da parte l’orgoglio. «Fa riferimento ad un albero sacro perennemente in fiore, il simbolo della conoscenza di cui i Giusti sono portatori… un albero d’ulivo? Oppure d’alloro?» azzardò quindi, confusa, guardandosi intorno con sempre maggiore esasperazione. La campagna greca era piena di quel tipo d’alberi. Piena.

«L’albero sacro per i maghi è la vite, Mezzosangue» le fece notare lui, scuotendo il capo. «Ma non mi aspetto che tu lo sappia, sono informazioni segrete che vengono tramandate tra le più antiche famiglie purosangue, fra cui la mia. Quasi tutti abbiamo almeno un viticcio nei nostri giardini, perché si ritiene che sappia incanalare la nostra magia e renderla più forte».

«Questa è una sciocchezza, lo sai anche tu» sbottò allora lei, alzando gli occhi al cielo. «Il legno di vite potrebbe avere degli effetti parlando di fabbricazione delle bacchette, ma addirittura stimolare la magia…».

Draco non sembrò particolarmente preoccupato dalle sue parole. Si strinse nelle spalle e continuò a guardarsi intorno. «Potrebbe essere come dici tu, oppure…» con un sorrisino vittorioso, le posò le mani sulle spalle e la fece girare verso destra, mettendola di fronte ad un piccolo viticcio dall’aria incredibilmente sana – nonostante il vento gelido – e dalle foglie di uno strano viola acceso. Si trovava al centro di una piccola radura circolare, con l’erba verde ed immacolata, capace di riflettere la luce come se fosse stata coperta di tantissimi cristalli. Il profumo di primavera che giunse alle loro narici, quando una piccola folata di vento tiepido si sollevò da quella direzione, era completamente innaturale, nonostante fosse piacevole.

«Maledetto bastardo» fu tutto ciò che Hermione riuscì a dire, stringendo fra le dita sottili il quadernino di Malfoy. La risatina di scherno e soddisfazione che lui le dedicò, in risposta, le fece scuotere il capo. Poi, sconfitta, tornò a cercare altre informazioni. «L’ingresso si trova dove il sole incontra il mare e la pianta sacra è posta a corona dei saggi».

Non attesero oltre, dirigendosi immediatamente verso la radura. Ad ogni passo sembrava quasi che il calore volesse aumentare, come se le stagioni avessero iniziato ad invertirsi. Il sole era più caldo, i colori più accesi, i profumi più intensi. E più i sensi si accentuavano, più la confusione aumentava, quasi come se le loro coordinate fossero state completamente sconvolte, come se il nord stesse diventando sud e l’est stesse diventando ovest.

Hermione si voltò a guardare Draco, consapevole di essere accigliata. «Cosa succede?» gli chiese, o quantomeno pensò di averglielo chiesto. I colori sembravano pulsare, danzavano con le sue pupille. Il calore stava diventando insopportabile, l’erba sotto ai suoi piedi era troppo morbida e troppo, troppo vicina, poi troppo lontana.

Le venne voglia di piangere, all’improvviso, ma non seppe se per paura o per un’improvvisa e incontenibile gioia. La natura intorno a lei stava cantando una canzone che non poteva comprendere ma che credeva di conoscere, una canzone cui ogni cellula del suo corpo aveva iniziato a rispondere con improvvisa foga, facendo aumentare i battiti del suo povero cuore e facendole tremare le mani.

«Tieniti a me», le disse all’improvviso Draco, la voce morbida ma carica di premura. Tenersi a lui, aveva detto, eppure il suo corpo le appariva troppo lontano per poter essere afferrato. Troppo lontano, troppo…

Poi il mondo finì, precipitando intorno a loro come fiocchi di una neve bollente. Tutto iniziò a cadere, tutto iniziò a sciogliersi, i colori divennero pura luce e la luce si oscurò, la terra iniziò a tremare ed infine si spezzettò in un milione di frammenti.

 

***

 

Quando Hermione si svegliò, sentì qualcosa di incredibilmente morbido accarezzarle la punta del naso. Per un istante, pensò si trattasse di Mittens, riuscito in qualche modo a salire sul letto, ed intenzionato a strusciare il suo sederino peloso su tutto il suo viso. Poi, con la realizzazione che a toccarla fosse un dito, ricordò le circostanze in cui aveva perso conoscenza e come il mondo, all’improvviso, avesse iniziato a decadere.

«Buongiorno, dormigliona».

Aperti gli occhi, Hermione pensò di essere ancora svenuta e di esser persa in uno dei pochi sogni erotici che avevano affollato la sua prima adolescenza. Ebbene, mentre le sue compagne leggevano giornaletti come “Il dissennatore e la bella senz’anima9, del Settimanale delle Streghe, lei era tutta presa da molti racconti della mitologia greca, fra cui il terribile Amore e Psiche.

L’idea della giovane dall’aspetto meraviglioso costretta a sposare un mostro che in realtà si era dimostrato essere il Dio dell’Amore… in poche parole, se le sue compagne avessero immaginato il contenuto di alcuni sogni di Hermione, non l’avrebbero considerata poi così innocente. Di certo non l’avrebbero guardata allo stesso modo.

E davanti a lei, in quel momento, c’era una personificazione di Amore che niente aveva da invidiare a quella che la giovane si era immaginata a quindici anni. I capelli biondi incorniciavano il viso perfetto, pallido, con gli occhi di cristallo carichi di malizia e le labbra perfette piegate in un sorriso furbo. Il corpo snello ma forte, invece, era coperto da un chitone, blu come le profondità della notte e dai bordi dell’argento più puro10.

C’era una divinità, davanti a lei.

«So di essere bellissimo, ma se non ti contieni ci affogherai tutti nella tua bava».

Oppure c’era soltanto un Malfoy molto, molto soddisfatto delle sue reazioni e stranamente vestito in modo diverso da ciò che lei ricordava.

Anche Hermione aveva cambiato abiti, se ne rese conto solo un attimo dopo, quando lui le sfiorò il braccio nudo con la punta delle dita. La sua tunica era smanicata ed era stretta sotto il seno, di un porpora intenso e dai bordi d’oro. Non era la prima volta che aveva un’immagine di sé proiettata nei tempi antichi: l’ultima volta era stato Bacco a mostrarle se stessa nell’Antica Roma. Ma era stata un’illusione, quella.

«Credo sia un incantesimo gettato sul luogo, simile a quello che abbiamo visto in Germania» le spiegò Malfoy, indicando con un cenno ciò che li circondava. «Ha riconosciuto la magia e si è ricostruito. McKenzie parlava di un’agorà ben conservata, ma non pensavo che fosse così ben conservata».

Guardandosi intorno, Hermione comprese cosa stesse intendendo. Si trovavano all’interno di un tempio dalle mura di marmo bianco, pulito e perfetto nella sua grandezza, con grandi lanterne appese al soffitto e viticci intrecciati alle colonne, tutti dello stesso colore di quello che cresceva proprio al centro, lo stesso che i due avevano visto poco prima. A circondare quella vite c’erano sette scranni d’oro e su ognuno di questi delle corone intarsiate di pietre preziose.

«Benvenuti nell’Agorà dei Giusti, vi stavamo aspettando». 

 

 

 

 


»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

Ritorniamo all’azione!

 

Ho scritto questo capitolo il giorno dopo il terribile attentato di Nizza, quindi mi dispiace se risulterà un po’ sconclusionato, ma anche le mie emozioni lo erano e lo sono. Oltretutto, dopo il tentato colpo di stato in Turchia, è sembrato quasi che il mondo fosse sul punto di implodere. Abbiate pietà di me, sono ansiosa e facilmente impressionabile.

 

Punti importanti:

 

» 1 – “Girando e girando nella spirale che si allarga/ il falco non può udire il falconiere/ Le cose crollano; il centro non può reggere/ Mera anarchia è scatenata sul mondo/ La corrente torbida di sangue è scatenata, ovunque/ Il rito dell'innocenza è sommerso/ Ai migliori manca ogni convinzione, mentre i peggiori/ Sono pieni di appassionata intensità. Questa poesia è di W. B. Yeats, un autore Irlandese dei primi del ‘900. Io sono molto legata sia a quest’opera (che fa riferimento alla fine del mondo, parlando del modo in cui quest’ultima si presenta. Emblematici gli ultimi versi: chi ha cattive intenzioni – quindi i Mangiamorte – è motivato, mentre i buoni – gli Auror, Draco – sono scoraggiati) che all’autore in generale. Se proprio vogliamo essere pignoli (e se volete sapere i fatti miei), The Second Coming è stata una delle opere in lingua che ho inserito nella mia tesina della maturità (che parlava dell’Apocalisse, ero strana anche anni fa), insieme a vari riferimenti alla lotta per l’Indipendenza Irlandese, un tema molto caro sia a Yeats che a me. Io amo l’Irlanda.

 

» 2 – Sempre dalla serie “Marne ama follemente l’Irlanda”, abbiamo “Marne ama gli irlandesi, in particolare Seamus”. Sfortunatamente, questo mio amore per gli Irlandesi mi ha spinta a stereotipare un po’ il mio povero Finnigan. Non è vero che gli irlandesi sono tutti cattolici (se devo essere sincera, quasi tutte le chiese principali di Dublino sono anglicane!), ma è verissimo che per la maggior parte hanno un odio smisurato verso l’Inghilterra. Parlando con un amico irlandese, mi sono sentita dire “ci hanno rubato un pezzo d’isola, per forza non li sopportiamo”. Se poi aggiungiamo le stragi fatte dall’esercito britannico, soprattutto durante la ribellione di Pasqua del 1916… (al riguardo, vi consiglio la serie tv The Rebellion, su Netflix! Io l’ho vista ed è bellissima, molto accurata).

Per quella storia della religione: la Rowling ha detto che i maghi hanno religioni, semplicemente ha evitato la discussione nei libri. Quindi, Seamus è cattolico.

 

» 3 – Merrick è una Rosier, quindi è figlia/sorella/cugina/amica di Mangiamorte, come Draco. Il fatto che sia Auror è da ricollegare alla volontà di colpire coloro che l’hanno tradita e ferita. Storia lunga, verrà spiegata più avanti, non temete. Vi basti sapere che per quanto odi Voldemort, l’idea di affrontare parenti non le piace particolarmente.

 

» 4 – Non sono mai stata in Grecia – ho intenzione di rimediare – ed ho pensato di ispirarmi alla mia campagna nel periodo autunnale. Dopotutto, il profondo sud d’Italia è la Magna Grecia, no?

 

» 5- Per quanto mi riguarda, Draco è geniale praticamente quanto Hermione, forse giusto un po’ meno. Dopotutto, dal sesto libro si capisce che abbia ottenuto un bel po’ di GUFO. Ed ha riparato da solo l’armadio. Non toccatemi il cervello di Draco Malfoy.

 

» 6 – Più o meno verso il 336-334 AC. Mi ero appuntata delle date più precise, ma ho perso gli appunti e non ho il tempo di andare a cercare di nuovo! Comunque siamo dopo la morte di Filippo il Macedone e prima delle sue altre spedizioni.

 

» 7 – L’Agorà è la piazza centrale della polis, in cui si discuteva delle questioni più importanti della società. L’idea che ci fosse un concilio separato per i purosangue mi ha sempre stuzzicata. Atene, per quanto avanzata e democratica, era essenzialmente basata su questi privilegi. (Donne escluse, schiavitù normalissima e altro. Per certi versi, Sparta era più avanzata).

 

» 8 – Come Hogwarts, l’Agorà non può essere rappresentata su mappe o simili, per questo motivo è nascosta un po’ a chiunque.

 

» 9 – Mi sono ispirata ai giornaletti Harmony, abbiate pazienza! Nessuno mi farà credere che le streghette non abbiano certi giornaletti sconci per le mani. E la nostra piccola Hermione non è stata immune all’ormone adolescenziale ;)

 

» 10 – Malfoy con una tunica greca, sì. Anche io ho gli ormoni, fatemi causa.

 

» Chi è che li ha accolti nell’Agorà?

 

 

Perdonatemi, la one-shot arriverà presto, così come le altre cose promesse. Ho preso un paio di giorni di vacanza, dopo l’esame, ed ora sto cercando di trovare un minimo di organizzazione. Per chi non l’avesse capito: sono un tipo ansioso, senza organizzazione non funziono!

 

Piccola comunicazione di servizio: L’aggiornamento dovrebbe arrivare tranquillamente lunedì prossimo, in caso contrario vi avviserò!

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 25
*** Atto XVI - Parte I/ Cantami o Diva ***


Lo Specchio delle Anime.

 

 

 “E Patroclo si slanciò sui Troiani meditando rovina,

si slanciò per tre volte, simile ad Ares ardente,

paurosamente gridando: tre volte ammazzò nove uomini.

Ma quando alla quarta balzò, che un nume pareva,

allora, Patroclo, apparve la fine della tua vita.1"

 [Omero, Iliade (XVI, 783-787)

        

 

 

Atto XVI – Parte I

Cantami o Diva.

 

 

Davanti a loro, in una splendente tunica del colore dell’oro, c’era un giovane uomo che non avrebbe potuto avere più di trent’anni, con fluenti capelli scuri ed occhi dello stesso colore dell’erba primaverile. Aveva un sorriso gentile, la voce garbata completamente priva d’accento. Hermione pensò che, chiunque fosse, dovesse aver vissuto una vita particolarmente agiata2, i suoi modi erano quasi più regali di quelli di Malfoy.

«Benvenuti» ripeté ancora, facendo un grazioso passo avanti ed allargando le braccia per indicare tutto il tempio che li circondava. «Spero che gli abiti siano di vostro gradimento. Ho pensato che quei colori avrebbero incontrato i vostri gusti».

Più parole avevano lasciato le sue labbra, più la strega si era ritrovata a fissarlo, incantata.

Era un bell’uomo, non poteva negarlo, ma non era bellissimo, così come non era il suo tipo. Semplicemente, ogni suono che aveva articolato le era sembrato incredibile, ricoperto di uno splendore che doveva esser andato perduto da secoli.

Draco, ancora inginocchiato accanto a lei, le diede un buffetto sulla mano, come a voler richiamare la sua attenzione. Poi, scuotendo il capo, si rialzò, tirandola con sé.

«Stai per metterti a sbavare, Mezzosangue» le fece notare, con un pizzico di stizza. «Non mi sembra il caso, davanti a qualcuno che potrebbe tranquillamente averci rapiti e sottoposti a qualunque genere di sevizia, durante la nostra incoscienza» aggiunse, però voltandosi verso l’uomo in questione, che aveva continuato ad osservarli con curioso divertimento.

«Vi farà piacere sapere che non ho abusato di voi» disse proprio lui, congiungendo le mani all’altezza dello stomaco e continuando a sorridere. «Anche se volessi, non potrei certo farvi del male. Il mio compito è quello di accogliervi, non certo di ferirvi». Gli occhi smeraldini sembrarono soffermarsi con particolare interesse su Draco, velati di qualcosa che Hermione pensò di catalogare come interesse. «Questi colori vi stanno davvero bene, non ho perso il mio occhio» mormorò quindi, lasciando che il suo sorriso si ampliasse.

Confuso, Malfoy le posò la mano sul braccio, come a volerla trattenere. Lei non apprezzò quel gesto di apparente protezione e si liberò dalla stretta dedicandogli un’occhiataccia, cui lui rispose con un’espressione esasperata.

Lo sconosciuto, rimasto sempre a parecchi passi di distanza, li guardò entrambi con sempre maggiore divertimento, lasciandosi andare ad una risata assolutamente deliziosa.

«Dovete perdonarmi» si scusò, quando entrambi lo fulminarono con gli occhi. «Mi rendo conto di dovervi sembrare orribilmente sgarbato, ma queste schermaglie mi riportano alla memoria vecchi episodi di gioventù. Dopotutto, l’amore è immortale, no?» disse, prima di avanzare di un paio di passi, incurante della velocità con cui loro arretrarono, preoccupati. «Oh, non dovete certo avere paura di me. Se avessi voluto ferirvi, vi avrei tolto le bacchette, non credete anche voi?».

Solo in quel momento, Hermione si rese conto del leggero e rassicurante peso della sua bacchetta contro il fianco. Quella sua tunica aveva una tasca apposita, perfettamente mimetizzata ma, al tempo stesso, incredibilmente comoda in caso di necessità improvvisa d’estrarre l’arma. Anche Malfoy ne aveva una, però lui doveva averla trovata già da qualche istante, avendo puntato la bacchetta contro il loro gentile ospite.

«Adesso puoi dirci chi accidenti sei» disse infatti, serio. La tunica smanicata aveva lasciato scoperto il suo braccio martoriato, ma non sembrava più preoccuparsene più di tanto. Dopotutto, Hermione l’aveva già visto e gli aveva chiaramente detto che non avrebbe più dovuto nasconderlo: era parte di lui, non poteva vergognarsene per sempre. «Mezzosangue, occhi aperti» la ammonì, quando notò che lei non avesse dato segno di prepararsi ad una possibile fuga.

«Non credo ci sia pericolo, Draco» gli fece notare allora lei, tranquilla, incrociando le braccia al petto. «Eravamo svenuti e non ci ha fatto del male. Che senso avrebbe sfidarci ora? Siamo entrambi coscienti e armati».

Lo sconosciuto sorrise, spostando gli occhi smeraldini fra entrambi e lasciando, infine, che si posassero su Hermione. «Ah, è snervante, non è vero mia cara? Avere a che fare con chi ha il complesso dell’eroe…» borbottò quindi, scuotendo il capo. I ricci scuri gli dondolarono sulle spalle in modo innaturale, con una perfezione davvero poco umana. «Soprattutto perché spesso ti costringono a diventarlo a tua volta, per quanto usare il cervello sia una scelta sempre migliore». Le sue labbra delicate si strinsero in una linea sottile, osservando Draco come se fosse stato un cucciolo particolarmente discolo.

«Se proprio vogliamo esser pignoli, signor Sconosciuto» lo interruppe Malfoy, gli occhi ridotti a due lame di affilato argento, «l’eroe della coppia è lei. Io preferisco salvarmi la pelle, quando non mi costringe a fare l’intrepido per salvarle la vita». Si voltò verso di lei, dedicandole la migliore fra le sue occhiate disperate. «Per quanto il tuo ragionamento fili, mia cara, non mi sembra il caso di essere spericolati proprio ora. Per quello che ne sappiamo noi, questo tizio potrebbe essere una trappola per distrarci».

«Ha ragione, sai» anche lo sconosciuto gli diede corda, annuendo leggermente. «Comunque, tranquilli, non ho davvero intenzione di farvi del male. Sono qui, come ho già detto, per accogliervi nell’Agorà dei Giusti. Voi siete Hermione Granger e Draco Malfoy, se non sbaglio».

Il silenzio confuso che seguì quell’affermazione fu alquanto carico di tensione.

«Come fai a conoscere i nostri nomi?» domandò Hermione, osservandolo con curiosità. C’era qualcosa, in lui, che la tranquillizzava. Non era una reazione logica, non era una reazione giustificabile: semplicemente, lei voleva fidarsi e accettare qualunque cosa le avrebbe detto come se fosse stata pura e semplice verità scientifica.

Era un incantesimo?

Lo sconosciuto sorrise, indicando un enorme arazzo sulla parete sinistra, che né lei o Malfoy avevano notato. «Il vostro arrivo è stato previsto da tempi immemori» spiegò, tranquillo, incrociando le braccia al petto. «Non ne ero assolutamente certo, temevo di aver perso il conto dei secoli, ad un certo punto. Fortunatamente non è stato così, non credete anche voi?».

Vagamente preoccupata, Hermione si voltò a guardare Draco, trovandolo con la stessa espressione di pacato panico stampata in viso.

Aveva detto secoli.

«Cosa sta succedendo? Chi sei tu?» domandò quindi lei, questa volta tirando fuori la bacchetta e puntandola contro colui che avrebbe potuto essere sia il loro aggressore che il loro salvatore. «In che senso perso il conto dei secoli? Quanti anni hai? Che cosa sei?» aggiunse, così velocemente da arrivare quasi a balbettare.

La calma è la virtù dell’Inquisitore, si ripeté, sentendo la voce del suo Capo rimbombare per gli angoli più sperduti del suo cervello. Le aveva ripetuto quelle parole fino alla nausea, quando si era avvicinata per la prima volta all’Ufficio Inquisitori, ancora troppo inesperta e troppo ansiosa di fare qualcosa di buono per poter comprendere il vero scopo del suo lavoro.

Lo sconosciuto sembrò divertito da lei, ma ancora di più sembrò intenerito nel notare come Draco si fosse immediatamente fatto avanti per proteggerla, nonostante le sue proteste iniziali.

«Avevi ragione, ragazzo» disse quindi, dolcemente. «L’eroe è lei, pronta a tutto ma così incosciente da aver bisogno che tu le guardi le spalle…» mormorò, lasciando che un’eco di qualcosa – era dolore? – aggiungesse alle sue parole un retrogusto amaro. Poi, come se si fosse improvvisamente reso conto dello sguardo confuso dei due, scosse il capo e sorrise, nuovamente tranquillo. «Scusatemi ancora. Mi capita spesso di perdermi nel passato, non è una cosa razionale… l’amore non lo è mai». Si schiarì la voce, sollevando il mento e raddrizzando le spalle. Una cicatrice, che Hermione non aveva notato prima, gli attraversava tutto il fianco, come se qualcuno avesse usato un coltello per aprirlo in due3.

O una lancia.

«Chi sei?» chiese ancora, improvvisamente più curiosa che preoccupata. La presa di Draco sul suo braccio si irrigidì, ma lei non si scostò, limitandosi a posare la mano libera su quella di lui e dargli un buffetto delicato. «Non sei come noi. Non sei un mortale» aggiunse, gli occhi ormai ridotti a delle fessure scure.

«Non sono un mortale» confermò, gentile, lo sconosciuto. «Il mio nome è Patroclo, figlio di Menezio».

L’espressione di colorita incredulità che lasciò la labbra di Malfoy avrebbe fatto tremare le gambe alla professoressa McGranitt, con buone probabilità, ma Hermione non si scandalizzò. Non avrebbe potuto, considerando che lei stessa fosse stata sul punto di fare un’uscita molto simile, se non addirittura peggiore. Il suo silenzio, probabilmente, era dipeso dall’indecisione. Ebbene, se la parte più razionale del suo cervello era perfettamente certa che lo sconosciuto stesse mentendo, la restante gli credeva ciecamente. E questa era la parte più forte, senza orma di dubbio.

Il suo iniziale sconcerto, infatti, si era velocemente trasformato in incredula meraviglia.

«Patroclo» ripeté infatti lei, gli occhi così sgranati da sembrare sul punto di rotolare via. «Quel Patroclo? Quello di Achille? Dell’Iliade?» esalò, sentendosi sul punto di svenire per l’eccitazione da un istante all’altro.

Lo sconosciuto sorrise leggermente, quasi fosse stato timido. «Non ho idea di cosa sia questa Iliade4 di cui parli, ma se ti riferisci alla Guerra di Troia, in cui sono stato ucciso, allora sì, sono io» le confermò, voltandosi poi a guardare Draco. «Credo che il tuo compagno non abbia preso la notizia altrettanto bene, mia cara. Forse sarebbe meglio se si sedesse».

In effetti, quando anche lei si voltò ad osservarlo poté notare il colorito tutt’altro che sano assunto dalle sue guance. Malfoy non sembrava particolarmente eccitato, all’idea di essere davanti ad una figura a dir poco leggendaria, ma non sembrava neppure che non gli credesse.

Era spaventato.

«Draco?».

«Tu sei un Dàimon». 

 

***

 

L’uomo sorrise, dopo la dichiarazione di Draco, quasi fosse stato entusiasta della velocità con cui lui aveva realizzato la verità. «Sono lieto di constatare che la tradizione sia stata tramandata. L’ultimo visitatore non è stato altrettanto bravo» si complimentò, allegro, indicando con un cenno lo stesso arazzo che aveva mostrato poco prima.

Confusa, Hermione fissò prima lui e poi Malfoy, che sembrava sempre ad un passo dal dare di stomaco per lo spavento. Una gocciolina di sudore gli stava colando giù dalla tempia, nonostante non facesse abbastanza caldo in quel luogo. Se lei si preoccupò fu per la sua reazione, piuttosto che per vero pericolo. In cerca di risposte, quindi assottigliò lo sguardo e cercò di decifrare la tela che già due volte le era stata mostrata.

Di dimensioni incredibili, era intessuta di tutti i colori conosciuti all’uomo. Dalla base nera come il carbone, schiariva lentamente ed attraversava milioni e milioni di sfumature. Non c’erano raffigurazioni, non una figura umana o animale. Tutta la superficie era quasi totalmente ricoperta da un testo in lingua sconosciuta, ricamato in filo d’oro con una premura da lasciar credere dovesse essere stato fatto a mano. Senza comprendere perché, Hermione sentì d’essere sul punto di piangere dalla commozione.

«Questo è l’Arazzo della conoscenza» la informò l’uomo, con un sorriso gentile. «Contiene tutte le verità di questo mondo e del mondo oltre. Qualsiasi domanda che sia mai stata posta o che verrà pensata, troverà qui la sua risposta».

«E nessuno può leggere da quell’arazzo. Nessuno potrebbe neppure avvicinarsi» si intromise Draco, cupo, tirando Hermione indietro di un paio di passi.

Lei, sempre più confusa, non staccò gli occhi dalla meraviglia che le era stata presentata. «Cos’è di preciso? E perché non potremmo leggere?» chiese, scuotendo il capo per riacquistare un minimo di concentrazione. Si voltò verso Draco, confusa, ma guardò per un istante anche il loro accompagnatore. «E cos’è un Dàimon? Volete spiegarmi cosa sta succedendo?».

L’uomo – Patroclo? – le lanciò uno sguardo carico di dolcezza e rimpianto. «Tu somigli davvero tanto a lui. Stesso impeto, stessa voglia di fare qualcosa» mormorò, accennando poi una risatina. «Stessa testa calda».

«Un Dàimon, Hermione,» iniziò Draco, cupo, continuando a tirarla indietro, «è una creatura leggendaria, non sono mai state raccolte prove della sua esistenza che potessero esser considerate scientificamente valide. Alcune tracce sono state tramandate oralmente… Socrate, il filosofo, parlava del Dàimon5 come un principio divino presente in ogni uomo, una sorta di voce interiore che impediva al suo animo di restare pacato». Preoccupato, puntò gli occhi argentei sull’uomo. «Naturalmente, questa è la versione nota ai babbani. La nostra tradizione dice che il Dàimon è una creatura ibrida, un mago o strega il cui spirito è rimasto bloccato fra due mondi, costretto a torturare le anime di uomini e donne così sfortunati da incrociare il suo cammino».

«Come un fantasma, intendi?».

«Non proprio, mia cara». Divertito, l’uomo li osservò entrambi con un sopracciglio inarcato, tentato, probabilmente, di scoppiare a ridergli in faccia. Hermione non avrebbe potuto biasimarlo, naturalmente: Malfoy sembrava aver appena incrociato suo nonno in mutande appena uscito dalla tomba per fumare una sigaretta. «Un Dàimon è, sì, uno spirito bloccato fra la vita e la morte, come i fantasmi, ma non ha come scopo quello di torturare i vivi. Come il buon vecchio Socrate tramandava, il nostro compito è quello di stimolare l’anima umana, di costringere voi mortali ad affrontare le varie sfide che la vita vi presenta» spiegò, camminando velocemente verso i sette troni al centro del tempio, su cui riposavano le sette corone d’oro. «Siamo proiezioni di voi stessi, manifestazioni della vostra volontà di crescere e conoscervi. Abbiamo ottenuto l’immortalità perché l’umanità ci ha identificati con un’emozione, con una sensazione, impedendo alla nostra memoria di sparire» allargò le braccia, tranquillo. «Siamo stati chiamati Giusti, perché costringevamo i nostri visitatori a fronteggiare la propria coscienza, il proprio spirito. Siamo stati chiamati Demoni per lo stesso motivo. Siamo i guardiani della conoscenza eterna, perché solo noi possiamo assistere al manifestarsi dell’anima, senza impazzire».

Draco era rimasto in silenzio, durante quella spiegazioni, ma la sua presa si era leggermente allentata sul braccio di Hermione. Osservava quell’uomo con una strana curiosità, una sorta di naturale fiducia che anche lei aveva immediatamente percepito. Voleva credergli. Forse non riusciva ad evitare di credergli, per quanto quella realtà fosse assurda.

«Come?» domandò alla fine, la voce ridotta ad un sussurro. «Com’è possibile che io non riesca a non evitare? Come puoi essere davvero tu?».

Patroclo sorrise leggermente, indicando l’arazzo. «In questo luogo non è possibile mentire. A noi Daimones non è possibile mentire, poiché siamo proiezioni dell’anima di ciascuno6». Si avvicinò all’enorme tela, sfiorandola con la punta delle dita. «Non posso spiegarvi come sono diventato ciò che sono adesso, ormai non ricordo neppure tutti i dettagli della mia vita prima di diventare così. Ma so che il mio compito è accogliervi e guidarvi come ho fatto dal giorno della mia morte in poi» continuò, tornando a fronteggiarli.

Hermione annuì, accettando ciò che le veniva rivelato come semplice verità. Non c’era motivo di mettere in dubbio le sue parole, non c’era menzogna nei suoi occhi e lei, con l’esperienza maturata durante gli anni di fedele servizio al Ministero, non ebbe motivo di dubitare.

«L’Arazzo sembra sia stato intessuto di conoscenza pura, plasmato dalla magia del Mondo Antico ormai andata perduta. La stessa Magia che ha creato lo Specchio, Mezzosangue» si intromise Draco, cercando di non fissare la tela in questione. «Nessuno lo comprende, perché nessuno vuole comprenderlo. Se l’uomo potesse trovare risposta ad ogni sua domanda, impazzirebbe. Le nostre leggende dicono che i Dàimones usano questa conoscenza per torturare le loro vittime, facendogli perdere il senso della ragione».

Patroclo annuì. «Diciamo che è vero, più o meno» disse, tranquillo. «Quando ancora venivamo regolarmente interpellati, eravamo soliti consentire a chi avesse superato le prove di trovare sull’Arazzo la risposta ad una sola delle sue domande. Spesso queste domande erano troppo profonde per la semplice comprensione umana, cosa che portava alla follia. Ma non siamo mai stati noi a farli impazzire. Non è il nostro compito».

«Quanti siete?» chiese allora Hermione, guardando i troni. «Sette?» aggiunse, dopo aver fatto un breve conto dei seggi presenti.

Sette era un numero magico molto forte, pensò, quasi a voler confermare la propria teoria.

«Noi siamo tantissimi, sparsi un po’ ovunque» negò invece lui, scuotendo il capo. «Non tutti, però, hanno accesso all’Arazzo. Non tutti sono abbastanza… importanti» spiegò, tranquillo. «Sette sono i Dàimones Superiori, quelli incaricati di mettere alla prova chi si presenta da noi con una domanda. Sette diverse prove, ognuna delle quali affronta un aspetto diverso dell’animo umano. A volte si tratta di un’emozione, altre un sentimento, qualcosa che si tende sempre a mettere da parte, quando si fanno i conti con se stessi».

«Tu sei uno dei sette?» chiese allora Draco, accigliato. «Sei qui, sei a conoscenza dell’Arazzo ed hai detto di aver vissuto qui per secoli, eppure non ti stai includendo fra i sette maggiori».

L’uomo rise, questa volta sinceramente divertito. «Io non sono uno dei Sette, ma sono un Dàimon Superiore, sì. Io rappresento la devozione, la volontà di mettersi al servizio degli altri. Non mi occupo di testare chi si presenta, perché già avere una richiesta implica l’aver accettato di portare a termine una missione dal risultato potenzialmente nefasto».

«Come hai fatto tu, prendendo il posto di Achille» convenne Hermione, con un leggero sorriso. «Hai indossato la sua armatura e sei sceso sul campo di battaglia, anche se sapevi che saresti morto» continuò, con tono ammirato ed evidente stima nello sguardo. «Ti sei sacrificato per aiutare gli Achei a vincere la guerra».

Patroclo scosse il capo, un sorriso triste ad incurvargli le labbra. «Non l’ho fatto per il mio popolo. Non solo, quantomeno» spiegò, avvicinandosi a loro con passi lenti e cauti, quasi temesse che potessero ancora spaventarsi. «Io l’ho fatto per devozione verso di lui. L’ho fatto perché lo amavo e sapevo che senza il mio sacrificio non sarebbe riuscito a realizzare il suo destino». Il suo sguardo smeraldino si rischiarò all’improvviso, quasi fosse diventato un’altra persona, all’improvviso. Quegli sbalzi d’umore erano alquanto preoccupanti. «Ma non è per parlare di me che siete venuti qui. Voi avete una domanda».

Inquietata, Hermione si voltò ad osservare Draco, in quel momento intento a fissare con sconcerto il Dàimon.

«Noi abbiamo una domanda?» chiese quindi a sua volta, confuso. Il suo viso, poi, si illuminò. «Noi abbiamo una domanda!» ripeté, voltandosi verso Hermione ed afferrandola per le spalle. «Non capisci, Granger? Potremmo chiedere dov’è lo Specchio! Trovando subito la fonte, potremmo distruggere ogni possibilità che Tu-Sai-Chi ritorni! Non dovremmo più andare a ritroso all’infinito…» spiegò, tornando ad osservare Patroclo. «Ho ragione, vero? Se noi superiamo le vostre prove, l’Arazzo potrà rispondere al nostro quesito».

L’uomo annuì, tornando serio. «Dovete però comprendere quanto gravi potrebbero essere le conseguenze» li ammonì, facendosi avanti di qualche passo e fermandosi giusto a mezzo metro da loro due, abbastanza vicino da permettere che Hermione potesse notare altri dettagli di quel corpo immortale. Oltre alla cicatrice sul fianco, infatti, ce n’erano molte altre. Ferite seguite a dieci anni di guerra. «Il tempo scorre in modo diverso nel Tempio, se volete davvero che la risposta dell’Arazzo serva a qualcosa non avrete che tre giorni per completare le vostre sette sfide e tornare qui, insieme agli altri miei fratelli e sorelle». Allungò la mano verso Hermione, che la prese immediatamente. Era tiepida, troppo morbida per essere reale. «Solo tre giorni, altrimenti il solstizio d’inverno passerà e non potrete più salvare la vostra gente».

Tre giorni non erano molti.

«Se non volessimo porre la domanda? Sappiamo che lo Specchio era qui, non potremmo limitarci a cercare la Traccia?» gli chiese, guardandosi intorno. «Alessandro Magno l’ha trovato in questo luogo, dopo aver affrontato le sue paure».

Patroclo annuì, ma non sembrò particolarmente incoraggiante. «Potreste avventurarvi nei tunnel sotterranei, ma dubito che tornereste vivi. Grandi orrori si sono riversati in quei luoghi, quando la Magia Antica ha smesso di correre liberamente per il mondo7. Quando Alessandro Magno pose definitivamente fine alla storia di Atene, superò le nostre prove e chiese all’Arazzo come rendere la sua gloria immortale. Ottenne lo Specchio, ma ottenne anche che la memoria di questo luogo andasse perduta nei secoli, così che nessun altro potesse estirpare ciò che era stato suo» spiegò, stringendo le labbra in una linea sottile. «Quantomeno, non utilizzando l’Arazzo».

«Quindi voi siete stati dimenticati perché lui ha chiesto così?» domandò Draco, accigliato. «Non credo di aver compreso il nesso logico».

«Alessandro ha fatto in modo che noi fossimo dimenticati, perché altrimenti altri guerrieri avrebbero interrogato l’Arazzo per capire come distruggere il suo regno. Non posso dirvi come sia riuscito nel suo intento, così come non posso dirvi come avremmo potuto ostacolarlo nella gloria» fu la pronta risposta dell’uomo, che poi sospirò. Il suo umore era nuovamente cambiato, somigliava ad un vecchio troppo stanco per continuare a vivere. «Sta a voi, adesso. Potete accettare il rischio di perdere voi stessi nel superare le prove, trovando tuttavia la risposta alla vostra domanda. Oppure…» con un gesto elegante, indicò un’apertura nella parete che fino a quel momento Hermione non aveva notato, «potreste decidere di avventurarvi nei tunnel sotterranei e cercare la vecchia sede dello Specchio, con la certezza, tuttavia, che almeno uno di voi non potrà uscirne vivo8».

Draco, una mano ancora poggiata sulla spalla di Hermione, non sembrò dover riflettere molto sulle loro possibilità.

«Dove si affrontano le prove?».

 

***

 

Andate lungo il tunnel, saranno le prove a venire da voi.

Draco ancora non era riuscito a capacitarsi di aver incontrato e parlato proprio quel Patroclo. Quello dell’Iliade. Quel Patroclo che aveva combattuto al fianco del grande Achille nella Guerra di Troia ed era morto indossando la sua armatura. Aveva provato a non credergli, davvero. Aveva fatto il possibile per catalogare le sue parole come viscide bugie e cercare una via di fuga a quella situazione a dir poco assurda.

Non ci era riuscito ed in quel momento si stava avventurando lungo un corridoio buio con la sola bacchetta ad illuminargli la strada.

Meraviglioso.

«Quantomeno abbiamo scoperto che le teorie sono vere» commentò Hermione, dandogli un colpetto col gomito. Aveva un sorrisino divertito ad incurvarle le belle labbra, l’espressione preoccupata leggermente illuminata da un vago compiacimento. «Mi riferisco a lui ed Achille, sai».

Draco si accigliò, osservandola ed inclinando leggermente il capo. «Cosa intendi dire? Lo sanno tutti che Patroclo è morto per aver preso il posto del suo sovrano».

Lei scosse il capo, tenendo la bacchetta alta.

C’erano dei disegni dall’aria neolitica su quelle maledettissime pareti. Se non avessero avuto i giorni contati e non ci fosse stato il rischio di una catastrofe imminente, si sarebbe volentieri fermato per analizzarli tutti. Avrebbe potuto fotografarli, portare le foto al Ministero e veder aumentare a dismisura il suo patrimonio.

Invece doveva affrontare delle prove e sperare di non impazzire.

«Molti studiosi ritenevano che Achille e Patroclo fossero innamorati, ma non c’erano prove» gli disse, guardandosi intorno con aria affascinata. «L’Iliade non è stata molto chiara, al riguardo… non è da biasimare, naturalmente! Nell’Antica Grecia i rapporti omosessuali erano assolutamente normali e non c’era bisogno di specificare, nulla di inconcepibile, come invece lo è oggi per molti».

«Non è assurdo, neppure oggi» si lagnò Draco, sentendosi stranamente punto sul vivo. «Ma comprendo ciò che dici. Se io fossi stato omosessuale, dubito che mio padre si sarebbe preoccupato più di tanto della mia salute o della mia sicurezza».

Hermione strinse le labbra, ma non negò. «Ti avrebbe voluto bene comunque, Draco. Sarebbe solo stato un rapporto più complicato di quanto non lo sia già» mormorò, con un sospiro. «Pensa in positivo, i tuoi genitori non si sono ancora presentati a casa tua per chiederti come è andata a finire con quel biondino tanto affascinante» aggiunse, arrossendo fino alla punta dei capelli quando lui si voltò a fissarla, la bocca spalancata. «Ti prego, non guardarmi in questo modo».

«In quale modo, Granger?» le chiese allora lui, particolarmente allegro. La notizia che i genitori di lei lo considerassero affascinante lo aveva improvvisamente risollevato. Non si era ancora posto il problema delle famiglie, dando per scontato che tutti si sarebbero semplicemente adeguati alle loro decisioni. Quando però lei aveva aperto quella discussione, un piccolo dubbio gli aveva offuscato il cuore. I babbani avrebbero potuto non volere che loro figlia avesse una vita con un ex Mangiamorte, ritenendo che lei potesse mirare più in alto. Avrebbero potuto pensare qualsiasi cosa di lui. Qualsiasi cattiveria.

Però l’avevano definito affascinante.

«In quel modo, come se ti avessero appena consegnato il Nobel per la pace!» sbottò lei, alzando gli occhi al cielo… o al soffitto del tunnel. «Guardati! Hai già tirato fuori quel sorrisino da marpione» si lagnò ancora, non riuscendo tuttavia a nascondere un sorrisino compiaciuto. «E comunque, mio padre sarà un osso duro da conquistare, puoi starne certo».

Divertito, Draco le passò il braccio libero intorno alle spalle. «Quale padre non lo sarebbe, Mezzosangue? Quando avremo una figlia nostra, probabilmente la rinchiuderò in casa e la farò studiare da privatista finché non compirà trentacinque anni e sarà pronta a sposare l’uomo che io sceglierò per lei. Probabilmente il figlio di Blaise» le disse, tranquillissimo, sentendosi leggermente un idiota a sputtanare in quel modo i programmi che aveva iniziato a fare nell’istante stesso in cui si era risvegliato dall’illusione del Djinn. «E non ho la più pallida idea del motivo per cui te l’ho detto tanto chiaramente».

Hermione, sghignazzando come una paperella, gli diede un colpetto allo stomaco con il gomito. «Hai scordato cosa ci ha detto Patroclo? Qui si dice solo la verità» gli ricordò, compiaciuta. «E, per quanto io mi senta in imbarazzo nel parlare già di bambini, puoi star certo che i miei figli frequenteranno Hogwarts e avranno tutte le libertà che la loro età gli consentirà» aggiunse, arrossendo a chiazze per tutto il viso. «E di certo non verranno forzati fra le braccia di nessuno».

Il tono nervoso che usò nel pronunciare quelle ultime parole fece preoccupare Draco.

«Tu sei stata forzata fra le braccia di Weasley, Hermione?».

Alla stessa velocità con cui era arrossita, la strega impallidì. «Più o meno» rispose, agitata. «Ti prego, non chiedermi nulla al riguardo. Voglio parlartene solo quando sarò pronta, non spinta da un incantesimo che mi impedisce di mentire. Non mentre siamo in missione» aggiunse, in un sussurro.

Il modo in cui rabbrividì fece chiudere lo stomaco a Draco.

Qualcosa non quadrava.

«Quindi… Patroclo e Achille innamorati, uhm? Abbiamo trovato risposta ad un quesito che gli storici ritenevano irrisolvibile» disse invece, tornando a concentrarsi sul pavimento di marmo bianchissimo. «Anche se, devi ammetterlo, l’Iliade è abbastanza chiara al riguardo. Quantomeno lo è per chi la legge con mente aperta» aggiunse, annuendo fra sé e sé. «L’hai mai letta per intero, Mezzosangue?».

Evidentemente sollevata da quel cambio d’argomento, Hermione annuì, con un sorriso. «Certamente, era una delle letture consigliate al secondo anno, per Storia della Magia» gli rispose lei, tranquilla. «Immagino tu ti stia riferendo alla reazione di Achille dopo la morte di Patroclo. Le sue urla e la paura degli altri che potesse tagliarsi la gola per il dolore…» sospirò, intenerita. «Quello, per me, è stato il più grande indizio, non mi importavano neppure le spiegazioni aggiunte alle note, secondo cui era per via del loro legame di amicizia».

Vagamente ammirato, Draco annuì. «Anche quella parte, sì. Ma è già il proemio ad aprire gli occhi, non credi? L’ira di Achille che ha portato infiniti lutti al suo popolo… un orgoglio così grande da renderlo cieco davanti alla morte di centinaia e centinaia di uomini del suo esercito, che però si estingue alla morte di uno solo di loro, che non era neppure un vero Mirmidone» spiegò, con un leggero sorriso. «Dimmi, quale versione hai letto? Fra i testi consigliati ce n’erano un paio che approfondivano la questione dell’amore omossessuale fra Patroclo e Achille».

Lei strinse le labbra, pensierosa. C’erano ottime probabilità che avesse letto così tanti libri da non riuscire a ricollegare con assoluta certezza il titolo all’autore. Alla fine, annuì e gli sorrise. «Ho letto quella con il commento di Ignatius Amantis».

Draco scosse il capo, sorridendole. «Hai scelto il commento più complicato e bigotto, Granger! Amantis, l’esperto di testi antichi, quello che ha analizzato i grandi poemi alla ricerca dei segnali di Maghi e Streghe sotto mentite spoglie… è un po’ che non lo vedo, devo proprio mandargli un gufo per invitarlo a cena» mormorò, scoppiando a ridere quando lei gli dedicò uno sguardo sconvolto. «Mon ange, imparerai presto che stare con me significa avere rapporti con i più grandi esperti di Storia dell’Arte Magica e di Storia della Magia in generale. Sono sicuro che ti divertirai un mondo, alla prossima festa di Theresa Lovecraft-Pittsburg, l’autrice di-».

«Di “Incanti e Pozioni nell’Antico Egitto”» intervenne una terza voce, profonda e vagamente divertita, da un angolo scuro alla loro sinistra. Lo spavento che entrambi si presero li fece trasalire, le loro bacchette si puntarono direttamente nella direzione da cui il suono sembrava giungere. «Posate quelle bacchette, non offendete la vostra intelligenza».

Sdraiato su quello che sembrava essere un lettino reclinabile da psicologo, un uomo dai corti capelli brizzolati e dalla folta barba scura li osservava con divertita superiorità. Le braccia sottili – ma più muscolose di quelle di Patroclo – erano piegate dietro la testa, le gambe pigramente incrociate. Sembrava annoiato e pronto a tutto pur di trovare qualcosa da fare.

Draco, stizzito, fu sul punto di sibilare qualche insulto estremamente colorito in direzione del loro disturbatore, ma la reazione imprevista della Mezzosangue gli impedì di aprire bocca. Eccitata come una scolaretta, Hermione aveva iniziato a riempigli il petto di colpi, saltellando sul posto quasi avesse appena incontrato il cantante delle Sorelle Stravagarie9.

«Hermione?».

L’uomo, il cui divertimento sembrava aumentato in modo proporzionale alla gioia della strega, si tirò a sedere sul lettino e si alzò in piedi, stiracchiandosi. Indossava una felpa dell’università di Harvard, pantaloni al ginocchio color cachi e infradito dalla fantasia floreale10. A Draco ricordò molti studenti universitari che aveva incontrato negli Stati Uniti, durante la sua ultima visita. Non aveva la più pallida idea di chi potesse essere quel tizio.

«Per tutte le vecchie mutande sporche di Merlino! Non ci posso credere!».

Evidentemente Hermione non condivideva i suoi dubbi.

«Puoi essere un po’ più chiara? Sto iniziando a innervosirmi» le fece notare allora, con un sibilo, bloccandole il polso così che evitasse di tempestarlo di colpi anche parecchio dolorosi. «Mezzosangue!».

«Non arrabbiarti con lei, a quanto pare faccio questo effetto alle signorine dotate di un buon cervello» si pavoneggiò l’uomo, lanciando un sorriso da conquistatore alla sua futura moglie. «Devo dire, mia cara, che tu mi hai addirittura sorpreso! Hai impiegato un istante per riconoscermi… un cervello davvero da invidiare».

Il modo in cui Hermione arrossì fece salire un fiotto di bile a Draco. Doveva proprio conoscere quel tizio, così da poter incidere personalmente il suo nome sulla lapide che gli sarebbe servita a breve.

«Dice davvero?» pigolò la strega, trattenendosi a stento dal mettersi nuovamente a saltellare sul posto. «Oh, signore, è un così tale onore… quando abbiamo incontrato Patroclo non ho potuto fare a meno di sperare che anche lei… oh, lei non può immaginare quante volte ho sperato di poterle parlare!» aggiunse, squittendo come un topolino agitato, incurante del colorito verdognolo assunto dal mago al suo fianco.

Colorito che lo sconosciuto, invece, notò immediatamente.

«Non preoccuparti, ragazzo, non ho alcuna mira verso la tua accompagnatrice» lo tranquillizzò, pur tirando fuori un sorriso che sembrava intendere tutto l’opposto. «Sono un uomo molto fedele, oltre che orribilmente geloso di mia moglie» continuò, osservandosi distrattamente le unghie della mano sinistra, su cui svettava una fede nuziale. «Quando si dice fare una strage per la gelosia, nel mio caso non si intende una semplice iperbole».

Quelle parole fecero scattare un campanello d’allarme nella mente di Draco.

Strage per gelosia, la Mezzosangue in brodo di giuggiole…

«Draco» disse proprio lei, schiarendosi la voce per darsi un contegno, «ho il piacere di presentarti Ulisse, Re di Itaca e una delle menti più geniali mai passate per questa terra».

 

 

 

 


 

 


»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Sono una masochista appassionata di mitologia.

 

 

Prima di tutto: ho finalmente pubblicato la one-shot rossa! Chi non se ne fosse accorto, può trovarla qui: A thousand kisses – Lo Specchio delle Anime.

 

Con questo capitolo ha inizio la fase finale della fanfiction! Come ha detto Patroclo (ommioddio, proprio lui!), avranno solo tre giorni in quel luogo, prima che all’esterno arrivi il solstizio d’inverno.

Wow.

 

Punti importanti:

 

» 1 – L’estratto dell’Iliade riguarda la morte di Patroclo, appunto, quando – complice Apollo – è stato ucciso da Ettore. A questo punto vi devo delle spiegazioni. Io amo la mitologia greca. Amo tutto dell’Antica Grecia. Non potevo non mettere in mezzo i personaggi dell’Iliade e delle altre leggende, perché io li adoro. Ma più di tutti io amo Achille e Patroclo. Dovevo tirarli in ballo. È stato più forte di me. Spero soltanto che non riterrete questo insieme di informazioni troppo assurdo, anche parlando di una fanfiction.

 

» 2 – Patroclo è un principe, figlio di Re Menezio (secondo una interpretazione. Oltretutto la sua terra d’origine è nella Locride, ad uno sputo da casa mia!). Considerando queste sue origini, ho dato per scontato che fosse un filino più raffinato della media. Piccolo avviso: nella descrizione di Patroclo, in alcune sue affermazioni e in future dichiarazioni mi sono rifatta apertamente al libro “La canzone di Achille”, che io adoro.

 

» 3 – Hermione ha visto la ferita mortale inflitta da Ettore, principe di Troia, quando ha scambiato Patroclo per Achille. Lui, dopo secoli, ha ancora il segno di quella morte violenta.

 

» 4 – Diversamente da alcuni dei prossimi Dàimones, Patroclo non ha la minima idea di cosa sia l’Iliade e di come sia diventato il mondo al di fuori del Tempio.

 

» 5- Tasto dolente, non è vero? Filosofia è sempre stata una materia incredibilmente affascinante, nonostante io non sia mai riuscita a dare davvero il massimo, a scuola. Socrate, in particolare, è stato uno dei miei preferiti. Il suo Dàimon è, in poche parole, la vocina della coscienza che ci spinge ad interrogarci sempre. (Spiegazione molto spicciola, me ne rendo conto, ma ho dovuto manipolare un po’ le cose per farle quadrare, abbiate pazienza).

 

» 6 – Veniamo ai miei Dàimones. Prima di tutto, spero di aver coniugato il plurale in modo corretto. Come ho già detto, non ho la minima idea di come funzioni la lingua greca. Per quanto riguarda queste creature, poi, dovrei fare un discorso pieno di trip mentali assurdi, ma sarò breve. In pratica, quando questi disgraziati sono morti (o comunque quando si è diffusa la leggenda della loro vita, nel mondo antico, alcuni non sono esistiti davvero) la coscienza collettiva (chiamiamola cultura di massa, magia di gruppo, come volete! In pratica l’insieme della magia di tutti, quel potere che unisce tutte le persone) ha plasmato il loro ricordo/spirito in forma umanoide, realizzando delle immagini che rappresentano un aspetto specifico dell’animo che li ha resi famosi. Per Patroclo, per esempio, a dichiarare la fama è stata la devozione verso Achille e verso il suo popolo. Per Ulisse, ovviamente, la logica/intelligenza. Gli altri (non vi dico chi sono gli altri sei :D) sarà un altro carattere particolare.

I Dàimones sono stati creati per guidare l’uomo e per impedire che l’Arazzo (oggetto magico antichissimo, della stessa natura dello Specchio) possa cadere in mani sbagliate e seminare follia per l’umanità.

Diciamo che i Dàimones sono l’antifurto che la Magia ha creato per questo Arazzo (un grosso libro delle risposte). Solo chi è in pace con la sua coscienza ed ha capito i suoi limiti può avvicinarsi.

Se ci sono dubbi, chiedete. Non sono brava con le spiegazioni generali, ma con domande dettagliate posso essere molto più chiara.

 

» 7 – La Magia Antica, altro trip mentale. Diciamo che ho ripreso varie teorie che appartengono a diverse religioni mistiche. In pratica, all’inizio dei tempi la magia scorrazzava libera per il mondo, senza restrizioni di alcun genere. Era la Magia ad avere una coscienza, cosa che ha portato alla nascita misteriosa di oggetti come lo Specchio delle Anime e l’Arazzo della Conoscenza. Quando, però, l’uomo ha iniziato a sviluppare la propria coscienza, quando ha iniziato a controllare la magia con regole e bacchette, questa si è lasciata morire, è collassata su se stessa e quell’immenso potere si è esaurito. Tutto ciò che resta oggi sono questi oggetti incredibili (ce ne sono altri, oltre allo Specchio ed all’Arazzo, ma non ci servono qui) e qualche manifestazione assurda qui e lì.

 

» 8 –Come fa Patroclo a sapere che uno di loro due morirà, se decideranno di cercare nel tunnel sotterraneo? Vi siete dimenticati del grosso Arazzo pieno di risposte che ha a sua disposizione? Lui può fare tutte le domande che vuole. Probabilmente sa già se loro porteranno a termine la missione, se sopravvivranno, se riusciranno a sposarsi e a fare trenta bambini (come vorrebbe Draco).

 

» 9 – Il cantante, maschile, perché nel quarto film le Sorelle sono tutti uomini. Mi affascina l’idea del nome al femminile per un gruppo di maschietti, un po’ come i Queen che non hanno alcuna Queen (ma avevano un King!).

 

» 10 – Come vedrete, tutti e sette i Dàimones Superiori rispecchieranno la visione contemporanea che si ha della loro categoria. Ulisse è un cervellone, un genio, quindi si veste come un universitario rilassato della migliore università al mondo. È un po’ una versione alla Percy Jackson che ho di questi soggetti, abbiate pietà, sono un tipo strano.

 

» Sono consapevole di aver dato fondo alla follia, intraprendendo questa strada. Sono consapevole di aver tirato fuori questioni assurde che meriterebbero capitoli e capitoli per essere discusse da sole. Spero comunque che non mi giudicherete una psicopatica! Io dovevo davvero mettere in mezzo anche loro (con dovute correzioni per farli integrare meglio).

 

» Quale sarà la prima prova? Chi saranno gli altri personaggi mitici che i nostri eroi dovranno incontrare? Marne si merita un colpo in testa e un calcio nel sedere?

 

 

Ho esagerato, lo so. Ma Patroclo con personalità multiple e Ulisse universitario con le infradito mi avrebbero torturato la notte, se non li avessi inseriti.

E non avete idea di come (e chi) saranno gli altri sei.

  

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 26
*** Atto XVI - Parte II/ Virtute e Canoscenza ***


Lo Specchio delle Anime.

 

 

 “Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza"1

 

 [Dante Alighieri – Inferno, Canto XXVI (vv 118-120)]

        

 

 

Atto XVI – Parte II

Virtute e canoscenza1.

 

 

 

 

Ulisse, il re di Itaca.

«Quindi tu saresti il genio che ha condannato a morte migliaia di innocenti troiani» disse Draco, con uno sguardo che non sembrava poi così tanto ammirato. «Quello che è tornato a casa da sua moglie solo per poter ripartire subito dopo e morire durante l’ennesimo viaggio» continuò, con un verso sprezzante. Si voltò a guardare Hermione, le sopracciglia corrugate. «Davvero mi stai facendo intendere che ti importa qualcosa di questo tizio? Mezzosangue, da te mi aspettavo di più».

Come se qualcuno le avesse appena dato una pugnalata allo stomaco, Hermione spalancò le labbra e fissò il suo accompagnatore con sdegno. Lui era l’ultimo che poteva farle ramanzine sulla moralità dei suoi idoli.

«Prima di tutto, la Guerra di Troia in qualche modo doveva pur finire! Quelle persone sarebbero morte comunque, in un modo o nell’altro» gli disse, stizzita, mentre una parte della sua coscienza le faceva notare come, in effetti, non fosse stato un comportamento proprio corretto, quello del suo idolo. «E comunque, Ulisse è il simbolo di tutti gli amanti della scoperta. La sua sete di conoscenza è da invidiare!».

Draco scosse il capo, incredulo. «Non posso crederci… ma ti stai ascoltando, Granger? Invidiabile? Non hai capito che è proprio questa volontà di conoscere tutto che lo ha portato alla morte? È lo stesso motivo per cui l’Arazzo va tenuto nascosto all’umanità. Non puoi credere davvero in ciò che dici».

Per quanto fosse doloroso ammetterlo, Hermione ci credeva e si vergognava profondamente. Malfoy aveva ragione – stava succedendo un po’ troppo spesso – e lei si era sempre nascosta dietro un’illusione.

Ulisse non era una brava persona.

«Ah, ho sempre adorato gli ammiratori indecisi» disse proprio lui, allegro, mettendosi le mani in tasca e dondolando leggermente sui talloni. «Non puoi negare che la mia storia ti abbia affascinato, ragazzo, ma mi sembra di capire che tu non abbia apprezzato molto le mie scelte» aggiunse, stringendosi nelle spalle. «Fra tutte le mie malefatte hai indicato solo lo sterminio di Troia e il secondo abbandono di Itaca. Devo dedurre che hai sofferto a causa di una guerra insensata e che hai parecchi problemi di famiglia». Non era stata una domanda, la sua, eppure sembrava comunque in attesa di una conferma.

Con orrore, Hermione capì cosa volesse davvero, perché anche lei aveva mantenuto lo stesso atteggiamento, più di una volta.

Voleva sentirsi dire di aver indovinato, di aver avuto ragione.

Che bastardo.

«Siamo stati entrambi vittime di una guerra assurda, anche se eravamo in fazioni contrapposte» Draco rispose immediatamente, ma il suo sguardo lasciava bene intendere che la risposta fosse dettata più dall’incantesimo della verità che gravava su quel luogo, piuttosto che da una reale volontà di rispondere. «E per quanto riguarda la famiglia… tua moglie ti ha atteso per vent’anni, tuo figlio ha sempre avuto fede nel tuo ritorno… addirittura il tuo cane è morto dalla gioia!2 Non ti bastava tutto quello che avevi? Perché hai dovuto mandare tutto a puttane?».

E Malfoy aveva segnato un altro punto a favore, offuscando sempre di più l’idilliaca immagine che Hermione si era creata di quell’uomo.

Ulisse si strinse nelle spalle, tornando a sedersi sul suo lettino da psicologo. «Immagino di aver passato troppo tempo lontano da casa. Quando desideri qualcosa con tutto te stesso, alla fine te ne crei una visione così deviata dalla realtà da non poterti rassegnare a ciò che hai davvero. Non ero più fatto per la vita in quella piccola isola, non dopo aver subito dieci anni di peripezie». I suoi curiosi occhi scuri si soffermarono sui suoi interlocutori, per qualche istante, per poi chiudersi. «Siete qui per la prova, immagino».

Seppur ancora estremamente delusa da se stessa, Hermione si ritrovò ad annuire. Il suo entusiasmo era stato violentemente smorzato da una realtà che si era sempre rifiutata di accettare: anche gli eroi avevano un lato oscuro. Eppure era stata proprio lei, considerando ciò che le era successo, a costringere altri ad accettare quella realtà. Era stata lei ad accettare per prima che Ronald non fosse più il vecchio Ron e che Harry avesse perso quella luce interiore che per tante battaglie lo aveva accompagnato.

Forse quegli eroi – gli eroi della mitologia, gli eroi dei libri – erano rimasti l’unico baluardo di salvezza in uno scenario di generale decadenza dei valori. Erano stati gli unici miraggi di perfezione che in quel momento le erano stati negati.

«Cosa dobbiamo fare?» aveva chiesto Malfoy, cupo, la bacchetta ancora stretta in mano, quasi avesse temuto di esser attaccato da un momento all’altro. «Le sarei grato se si sbrigasse, Vostra Maestà, perché noi abbiamo solo due giorni e dieci3 ore di tempo per concludere sette prove e tornare indietro, altrimenti il nostro mondo morirà e non avremo neppure il tempo di costruire un cavallino di legno come il suo» aggiunse, con stizza, usando un tono così tanto petulante da sembrare sul punto di sbattere il piede per terra e piagnucolare.

Ulisse, divertito, aveva fatto loro segno di avvicinarsi alle due poltrone vicine al suo lettino, l’aria annoiata tornata ancora una volta sul suo viso. Sembrava che loro due avessero improvvisamente perso di attrattiva.

«Certo, un po’ di finta allegria non guasterebbe» si sentì dire lei, sorprendendosi di se stessa. «Sono anni che non viene nessuno, per quanto ti faccia schifo la nostra compagnia non potrai certo negare che sia molto meglio della solitudine» aggiunse con una smorfia, dimenticando tutta la sua buona educazione ma tuttavia seguendo le indicazioni ed accomodandosi.

«Non prendertela, Mezzosangue» la tranquillizzò Malfoy, con una risatina. «Probabilmente non ha apprezzato la velocità con cui ti ho riportata con i piedi per terra. Le grandi menti vogliono sempre essere esaltate».

Ulisse non negò, tranquillo. «Tutti vogliono essere esaltati, in realtà. Per quanto si possa esser timidi, in fondo al cuore si sarà sempre felici di aver ricevuto un complimento, o semplicemente di aver qualcuno fiero di noi» spiegò, indicando ancora le poltrone. «Muovetevi, prima iniziamo e prima potrò tornare ai miei libri».

«Quali libri?» domandò Hermione, curiosa, guardandosi intorno mentre si accomodava. Il marmo bianco li circondava totalmente, non c’era traccia di una libreria o anche solo di un libro. C’erano solo i tre pezzi di mobilio su cui erano seduti, nulla di più e nulla di meno. La voce della strega, comunque, aveva tradito una certa aspettativa: una mente come quella di Ulisse richiedeva tanti libri. Davvero tanti.

Hermione non vedeva l’ora.

«Non eccitarti troppo, ragazza» fu la risposta divertita dell’eroe. «I miei libri sono ben lontani dalla strada che voi dovrete intraprendere. Se non avessi avuto solo tre giorni, forse avrei potuto mostrarteli, anche perché è raro trovare qualcuno così interessato».

Nascondere la delusione fu molto complicato, soprattutto non essendole possibile mentire.

«Allora, questo test?» correndo in suo soccorso, Draco si accomodò al suo fianco e posò la mano sulla sua, rassicurante. Probabilmente aveva notato i suoi occhi lucidi.

Era assurdo quanto le bugie potessero aiutare a regolare l’umore.

«Cominciamo subito» disse Ulisse, osservandoli entrambi con la coda dell’occhio. «Vi avverto, sarà un test molto complicato, in pochi potrebbero superarlo. Alcuni sono impazziti nel tentativo».

«Siamo pronti a tutto» fu la risposta di lei, immediata. Il terrore di non essere sufficientemente bravi, di non avere le capacità per portare a termine quella prova, le fece quasi fermare il cuore nel petto.

«Siamo pronti» confermò Draco, annuendo leggermente. Cercò per un istante lo sguardo di Hermione, quasi a volerla rassicurare. Ce l’avrebbero fatta.

«Ditemi…» 

 

***

 

«Cos’è che la mattina cammina su quattro zampe, il pomeriggio su due e la sera su tre?».

La serietà con cui pose quella domanda impedì ad Hermione di scoppiare a ridergli in faccia come in realtà avrebbe voluto fare.

«Sta scherzando, vero?» domandò Draco, accigliato. «Questo è un indovinello talmente trito e ritrito che probabilmente anche un idiota saprebbe trovare la risposta corretta!» aggiunse, scuotendo leggermente il capo. «Se crede che noi abbiamo il tempo di scherzare, si sbaglia di grosso. Il mondo potrebbe finire da un momento all’altro, non possiamo certo fare dello spirito inutile!».

Ulisse, per nulla impressionato, si strinse nelle spalle. «Senti, amico, sono rimasto per oltre vent’anni su una nave e, una volta morto, mi hanno rinchiuso in questo luogo dimenticato dagli dei per fare domande ad idioti con manie di grandezza. Io non ho tempo da perdere con voi, non l’opposto, quindi se sapete la risposta ditemela e levatevi dai piedi» sbottò, irritato, incrociando le braccia al petto. «Allora?».

«L’uomo» rispose allora Hermione, seppur parecchio delusa. «L’uomo cammina a quattro zampe da bambino, a due da adulto e con un bastone, quindi a tre, da anziano» spiegò, forse per far sembrare la risposta un po’ più intelligente.

Insomma, era davanti all’uomo più geniale mai passato per la terra.

Doveva mostrarsi intelligente a sua volta.

«Avete ragione, andate pure» fu tutto ciò che ottennero come risposta, mentre svogliatamente indicava il tunnel da cui si erano allontanati. «Se continuerete ad andare in quella direzione, probabilmente arriverete alla prossima prova in pochissimo tempo» li informò, tirandosi a sedere sul suo lettino.

Draco si voltò verso di lei, confuso. La domanda nei suoi occhi era implicita.

Dobbiamo fidarci?

La risposta di lei, racchiusa in una smorfia, fu altrettanto chiara.

Non abbiamo altra scelta.

«Beh, non è stato assolutamente un piacere, signor Ulisse» disse quindi Malfoy, chinando leggermente il capo nella brutta copia di un inchino. «Se mai riuscirà ad andare oltre, porti i miei saluti alle centinaia di bambini morti per causa sua, durante la guerra. Sono abbastanza sicuro che li troverà tutti lì ad accoglierla» aggiunse, forse con un po’ troppa cattiveria, prendendo la mano di Hermione. «Forza, Mezzosangue, non abbiamo tempo da perdere».

Dal canto suo, Hermione non era assolutamente convinta da tutta quella situazione. Doveva essere un trucco, per forza. Si rifiutava di credere che uno dei suoi eroi d’infanzia fosse realmente così annoiato, menefreghista e…

Questo non è normale.

Troppo preoccupata nell’osservare Ulisse, Hermione non aveva osservato ciò che li circondava. Aveva, naturalmente, guardato le poltrone e le mura intorno a loro, ma non si era preoccupata più di tanto, dando per scontato che il suo vero interesse dovesse concentrarsi sull’uomo con cui stavano intrattenendo quella discussione. Era stato con la coda dell’occhio, prima di seguire Malfoy verso il corridoio, che si era resa conto che ci fosse qualcosa di strano con una delle ombre.

Prima di tutto, era sbagliata. Non c’era una cosa che andasse bene, nella figura umanoide che si stagliava sul muro. Prima di tutto, la sua posizione era errata, considerando che l’unica fonte di luce fosse la candela che fluttuava accanto al lettino, e le proporzioni erano assolutamente senza senso. Poi – ed era la parte peggiore – l’ombra dell’eroe greco, nonostante lui si fosse sdraiato nuovamente, era ancora in posizione eretta, tranquillamente accomodata sul bordo del lettino come se non avesse mosso un muscolo.

Illusione.

Accigliata, Hermione guardò attentamente Ulisse, cercando di paragonare la sua figura a quella di Patroclo. Sembrava reale, umano nonostante tutto, eppure c’era qualcosa di sbagliato, in lui, qualcosa che lo rendeva strano in modo diverso dalla pacata e regale bellezza ultraterrena di Patroclo.

«Tu non hai mai sbattuto le palpebre!» sbottò, sottraendosi alla presa di Draco con uno strattone e tornando indietro per fronteggiare Ulisse, in quel momento intento a fissarsi le unghie della mano sinistra. «Tu non hai sbattuto le palpebre, non hai mai deglutito… non credo di averti visto respirare!» continuò, totalmente presa dalla sua teoria. I pezzi avevano iniziato a congiungersi, seppur lentamente.

«Hermione, non è un essere umano» le fece notare Draco, vagamente imbarazzato. «Probabilmente non ha bisogno di fare tutte quelle cose che a noi vengono naturali». Provò a tirarla nuovamente via, con gentilezza. «Coraggio, mi rendo conto che tu sia delusa, ma non possiamo permetterci di perdere tempo…».

«No!» testarda, lei puntò i piedi per terra, trascinandolo verso l’eroe. «Non hai osservato Patroclo, prima? Era perfettamente normale, respirava, sospirava, l’ho visto sbattere le palpebre! Lui non l’ha mai fatto» insistette, per poi indicare le ombre. «Guarda! È diversa, è sbagliata».

Una risata divertita si diffuse per il corridoio, pur non provenendo da nessuno dei presenti. Ulisse, in particolare, sembrò preoccupato nel sentire quel suono.

Quando Hermione vide arrivare qualcun altro dal corridoio buio alle loro spalle, comprese perché.

Una versione in giacca e cravatta dell’eroe, senza infradito, aveva appena fatto il suo ingresso, le mani in tasca e dei curiosi occhiali sul naso. Aveva l’aria rilassata di qualcuno che si fosse goduto un meraviglioso spettacolo, non sembrava annoiato o deluso, come la versione universitaria che li aveva accolti.

«Devo dire, mia cara, che per un attimo ho temuto di aver esagerato» disse, facendosi avanti ed allungando la mano verso Hermione. «Ma tu, proprio come avevo sperato, mi hai dimostrato di essere abbastanza sveglia da poterti confrontare con la mia prova» continuò, esibendosi in un elegantissimo baciamano, prima di voltarsi verso Malfoy. «Tu c’eri vicino, probabilmente te ne saresti reso conto troppo tardi. Ma, dopotutto, questo era un test pensato proprio per lei, non certo per te».

Lo sguardo di fuoco che Draco gli dedicò avrebbe fatto ridere Hermione, se non fosse stata troppo affascinata da quel nuovo Ulisse. Le sembrava di esser stata presentata al professore universitario sexy su cui tutti, almeno una volta lungo tutta la carriera accademica, avevano fantasticato4. Il professorino sexy di almeno una trentina di diversi romanzetti che sua madre era solita leggere5.

Decisamente un passo avanti, dopo la felpa ed i pantaloncini color cachi.

«In che senso test per lei?» domandò Malfoy, accigliato, cercando di frapporsi all’eroe ed Hermione, senza tuttavia riuscirci. Lei era fin troppo intrigata per prestargli attenzione. «E se lei è Ulisse, quel tipo chi è?» aggiunse, indicando con un cenno l’universitario, ancora seduto sul lettino, con sguardo preoccupato e aria assente. «E per quale motivo sembra diventato improvvisamente scemo?».

Con un sorriso gentile, Ulisse fece un cenno ad Hermione. «Vuoi rispondergli tu, mia cara?» le domandò, portandola ad un passo dal mettersi a sospirare sognante.

Le sembrava di essere di nuovo la dodicenne alla prima lezione di Allock.

«Quello è un fantoccio, Draco» spiegò allora, allontanandosi dai due per avvicinarsi al terzo uomo. «Una grossa bambola animata, per intenderci. La sua ombra non si muove con il resto del corpo, perché non è un’ombra» continuò, posando la mano sul muro e ritirandola sporca di polvere nera. «Non me ne sono resa conto finché non mi sono concentrata. Questa non si è mai mossa, perché i fantocci non proiettano alcun tipo di ombra, vengono completamente attraversati dalla luce. È stato programmato per fingersi Ulisse, per quanto sia impossibile una copia identica». Con un enorme sorriso, si voltò a guardare il suo accompagnatore.

Draco stava lentamente diventando verde per la gelosia.

«Oh, Malfoy, solo perché lo trovo affascinante non significa che bidonerò te per lui!» gli disse quindi, esasperata, ormai completamente arresa all’impossibilità di trattenere i pensieri per se stessa. «E comunque, non credo che potrei piacergli più di tanto. Nessuno regge il confronto con Penelope».

«La tua fidanzata ha ragione, ragazzo mio» si intromise Ulisse, ridacchiando. «Per quanto carina ed intelligente, non potrebbe mai reggere il confronto con mia moglie. A tal proposito» i suoi occhietti vispi si strinsero, quando sorrise, «ti farà piacere sapere che io sono tornato a casa, da lei, e sono morto lì, pacificamente, circondato dalla mia famiglia. Sono ripartito con la certezza che non sarei morto in mare e che avrei rivisto la mia famiglia6».

Draco restò in silenzio, nonostante un muscolo delle sue labbra si fosse contratto in modo strano, quasi avesse voluto sorridere. «Devo dire che è un sollievo, quella era la peggiore delle macchie sulla sua reputazione, ai miei occhi» gli disse, apparentemente tranquillo. «In che senso il test era per lei? Non dovremmo risolvere i problemi insieme?».

Ulisse scosse il capo, per poi grattarsi la guancia barbuta. «Più o meno» gli rispose. «Solo una persona può portare avanti la prova. Potete collaborare, certamente, ma è per uno di voi che la prova è stata pensata. D’ora in avanti sarà ancora più difficile, quindi fareste bene a prepararvi. Sono dei test che devono farvi riflettere su voi stessi, farvi affrontare gli angoli più nascosti della vostra anima… se vi sembra troppo facile, allora è la strada sbagliata».

«Io ho dovuto accettare che tutti gli eroi hanno un lato oscuro» si intromise Hermione, con un sorriso triste. «Ho dovuto ripetere a me stessa che esser dalla parte del bene non significa essere giusti». Si riavvicinò a Draco, prendendolo per mano. «Coraggio, adesso dobbiamo andare. Come hai detto tu, non abbiamo molto tempo».

Lui la osservò per un lungo istante, quasi indeciso su come comportarsi, poi, con un sospiro, si voltò verso Ulisse. «Dove dobbiamo andare? Immagino che il corridoio non sia la via giusta».

Con un sorrisino, l’eroe indicò una scala a chiocciola che nessuno aveva notato, proprio dietro le due poltrone. «Continuando per il tunnel tornereste qui. Da questa parte, invece, incontrerete una delle mie sorelle». Gentile, li oltrepassò entrambi, avvicinandosi al suo confuso fantoccio. «Se non vi dispiace, io adesso devo portare il mio piccolo amico a riposare. Lo avete messo a dura prova, con tutte quelle domande» continuo, posando le mani sulle spalle del suo sosia, che trasalì. «Buona fortuna!».

Un attimo dopo, svanì nel nulla.

 

***

 

«Gli hai fatto gli occhi dolci dal momento esatto in cui è apparso, Mezzosangue» sbottò, quando lei gli chiese perché fosse tanto cupo. «Devo forse preoccuparmi ogni volta che incroceremo un bell’uomo?».

«Per l’amor di Merlino, Malfoy, fino ad ora ti sei sdilinguito sui nostri ipotetici futuri figli ed ora ti fai prendere dal panico perché sono stata affascinata da un uomo leggendario?» sbottò lei in risposta, portandosi una mano agli occhi per sottolineare il suo sconforto. «Non posso mentire, qui, quindi piantala di farti problemi. Non ti tradirei con nessuno, neppure con Adone in persona!» aggiunse, prima di accigliarsi. «Beh, spero di non incontrarlo. Su che razza di problemi dovrebbe far riflettere un tipo rinchiuso in una scatola ed utilizzato come giocattolino sessuale da due dee?7».

Senza riuscire ad evitarlo, Draco ghignò. «Non so se potrebbe farmi riflettere su qualcosa, ma credo che potrei domandargli una o due cosucce. Per aver soddisfatto due divinità, deve conoscere parecchi trucchetti» disse, schivando per un pelo il colpo che lei aveva provato ad assestargli. «Coraggio, Hermione, vuoi dirmi che tu non apprezzeresti?».

Il rossore che le colorò le guance lo fece ridacchiare.

Sempre così innocente, la sua bella Mezzosangue.

«Non cambiare discorso, comunque! Questa tua gelosia è irr-».

«Scusate? C’è qualcuno?».

Dall’oscurità, come un fantasma, emerse una donna completamente vestita di bianco, con i capelli biondi intrecciati e gli occhi chiari colmi di terrore. Quando li vide, il suo sollievo fu tale da far sorridere istintivamente anche Hermione, che allungò la mano nella sua direzione.

«Va tutto bene, sta tranquilla» le disse, cercando di essere incoraggiante. «Cosa ti è successo? Chi sei?» chiese ancora, preoccupata, notando gli abiti in stile greco che anche lei stava indossando. Avrebbe potuto essere un Dàimon, naturalmente. Ulisse li aveva avvisati che avrebbero presto incontrato una delle sue sorelle. Tuttavia, Hermione esitò a convincersi: dubitava fortemente che creature onniscienti, vecchie di migliaia di anni, potessero davvero avere quello sguardo sperduto.

«Io mi chiamo Dory8» fu la risposta della giovane, che le strinse la mano e si fece più vicina. «Io… io non lo so perché sono qui. Non so come ci sono arrivata… stavo cercando mio marito e…» la sua voce ebbe un cedimento, le mani le corsero alla gola, quasi avesse fatto fatica a respirare. «Io non mi ricordo… l’ho perso… ho perso mio marito… non lo troverò mai più!» pianse, coprendosi quindi gli occhi inondati di lacrime. Draco riuscì ad afferrarla per le spalle, prima che precipitasse al suolo. La sua pena era terribile, insopportabile.

«Malfoy» chiamò quindi Hermione, mentre lui aiutava la donna a sedersi per terra. «Credi che sia un trucco? Potrebbe essere una Dàimon?» gli domandò, accigliata. «A me non sembra neppure lontanamente simile al fantoccio di Ulisse».

Stringendo le labbra, lui scosse il capo. «Neppure a me… ma se non lo è, che diavolo ci fa qui? Come ci è arrivata? Patroclo è stato chiaro, siamo i primi visitatori dopo secoli» mormorò, confuso. «Ricordi quando hai perso tuo marito?» chiese poi, accosciandosi accanto alla donna e cercando di usare il suo tono più persuasivo. Lo stesso che, tante volte, aveva usato con la sua stessa compagna.

Hermione, preoccupata, lo imitò. Con gentilezza, sfiorò la spalla della sconosciuta, sentendola incredibilmente fredda al tatto. Lei, come in reazione a quel contatto, scattò e le afferrò il polso in una stretta incredibile.

«Non toccarmi» le sibilò contro, spaventata. Il bellissimo viso sembrava quasi trasfigurato, in quell’istante, ma la strega cercò di non preoccuparsene: era una povera donna, era sola e spaventata.

Anche lei sarebbe stata un po’ irascibile, al suo posto.

«Scusami, non volevo farti paura» la rassicurò allora, con un leggero sorriso. «Sta tranquilla, ti aiuteremo noi. Devi soltanto dirci dove hai lasciato tuo marito e da quanto tempo sei bloccata qui… così potremo capire come fare».

La donna, vagamente più tranquilla, lasciò la presa ma continuò a guardarli come un animale braccato. «Mi dispiace, io non ricordo nulla. Ho sempre sofferto di perdite di memoria… non ho idea da quanto tempo io stia cercando. Non ricordo neppure il viso di mio marito» la sua voce si spezzò di nuovo, ma sembrò riprendere immediatamente il controllo. «Non lo troverò mai più, non c’è più speranza» si lagnò, tirando su col naso. «Non troverò mai più la mia famiglia… forse sono rimasta qui dentro per anni!».

«Diciamo pure secoli» puntualizzò Draco, con una smorfia, incurante dei latrati disperati della creatura accasciata davanti a lui, per poi esser colpito dalla strega. «Ehi! Non guardarmi in quel modo, Mezzosangue, se davvero è entrata qui prima di noi, probabilmente è dai tempi dell’Antica Grecia che passeggia per questi corridoi. L’ha detto Patroclo, il tempo passa in modo diverso, qui… ed oltretutto soffre di perdita di memoria! Ci credo che è senza speranza» borbottò, massaggiandosi il braccio dolorante ed aggiungendo qualcosa sulle Mezzosangue irrispettose.

«Niente speranza… niente speranza…» continuava nel frattempo a piangere la donna, tirandosi i capelli per manifestare tutto il suo dolore e piangendo lacrime infinite. Sembrava quasi non rendersi conto della loro presenza, tanto presa dal suo orrore.

«Povera creatura…» mormorò Hermione, stringendo le labbra in una linea sottile. «Prova a pensare a quanti orrori deve aver vissuto, in questo luogo…sola e sperduta, senza neppure una bacchetta per farsi luce…» scosse il capo, sospirando. «Quanti mostri, quanti mali…» continuò, cupa, prima di paralizzarsi.

Mostri.

Orrori.

Tutti i mali del mondo, cui seguì la speranza.

«Hermione?» chiamò Malfoy, preoccupato, posandole una mano sulla spalla. «Che ti prende? Perché hai fatto quella faccia? Ti sei fatta male?» domandò, ansioso, cominciando a toccarle il braccio, il viso, il collo. «Ti prego, dimmi che non ti è appena iniziato il ciclo mestruale, perché decisamente non è il momento per una capatina in bagno!9» aggiunse, decisamente preoccupato.

Quella sua espressione l’avrebbe fatta ridere, in un altro momento, ma non quando…

«Dory, ascoltami» ignorandolo, lei si inginocchiò accanto alla donna, cercando il suo sguardo. «Tu per caso hai… hai una scatola, con te? Un cofanetto, magari. Qualcosa che non avresti dovuto aprire?» domandò, gentile, sentendo il cuore battere furiosamente nel petto.

Abbiamo affrontato la logica, adesso potrebbe toccare alla

Improvvisamente accigliata, la giovane annuì. «Io… sì, ho una scatola» mormorò, infilando la mano in una piega nascosta dell’abito e tirandone fuori quello che aveva tutta l’aria di essere un portagioie incredibilmente prezioso. «Non ricordo se l’ho aperta, ma…» si accigliò, osservando il coperchio sollevato. «No, no… io ricordo di averla aperta, anche se non avrei dovuto. Forse è per questo che non troverò mai più mio marito» piagnucolò, ricominciando a lacrimare come una fontanella. «Non c’è più speranza… non c’è più speranza…».

«Mezzosangue?». Malfoy sembrava sempre più confuso, mentre spostava lo sguardo fra lei e la donna. «Che diavolo significa quella scatoletta?».

«Non è vero che non c’è più speranza, Dory» cercò di tranquillizzarla allora Hermione, ignorando completamente il suo accompagnatore. «C’è sempre speranza. Sono sicura che ritroveremo tuo marito e che tornerai da lui, davvero» aggiunse, in una spinta di coraggio e ottimismo che non credeva di possedere. In quel momento comprese quanto quel buio l’avesse oppressa. Anche lei si era lentamente fatta prendere dal panico, per quanto avesse cercato di nasconderlo anche a se stessa. Ma la paura andava bene, a patto che non fosse così forte da impedirle di continuare ad avere speranza. «Credimi, Dory, ce la faremo. Ti faremo uscire di qui e anche noi ne usciremo, così potremo salvare anche i nostri amici».

La giovane, che sembrava pendere dalle sue labbra, accennò un leggero sorriso. «Davvero lo credi? Me lo prometti?» le domandò, con un tono tremolante che però non sembrò più spaventato. I suoi occhi erano enormi, ma non più per l’orrore.

«Te lo giuro, Dory. Ma tu non devi perdere la speranza».

Con il sorriso che la sconosciuta le dedicò, una lacrima solitaria lasciò il suo occhio, solidificandosi lungo il percorso della sua guancia e cadendo, come un diamante perfetto, nel portagioie che aveva ancora fra le mani, il quale si richiuse con uno scatto.

«La speranza è l’ultima a morire» le disse allora la donna, gentile, mentre il suo viso si trasfigurava e la sua bellezza aumentava esponenzialmente. Da minuscola creatura tremante, Dory si trasformò in un essere fuori dal tempo, splendido nella sua forza e nella sua immortalità. «La più alta fra le virtù, ciò che davvero può salvare un’anima».

Malfoy, a quel punto, aveva necessariamente compreso. «L’ultima a lasciare il tuo vaso è anche la prima a ritornare, a quanto pare» disse, con una risatina esasperata. «Pandora, eh? Pensavo avresti rappresentato la curiosità o qualcosa del genere» fece notare, aiutando Hermione a rialzarsi.

La donna scosse il capo, lasciando che i lunghi capelli biondi le dondolassero sulle spalle. «Oh, la curiosità difficilmente vi spinge ad interrogare voi stessi, mentre per trovare la speranza è spesso necessario un piccolo sforzo, una promessa a se stessi» spiegò, sorridendo in direzione di Hermione. «Il mio non è stato un duro lavoro, devo ammetterlo. Voi due siete così speranzosi per il futuro. Avete tantissimi progetti da realizzare, non vi farete certo scoraggiare da una prova un po’ più difficile» si complimentò poi, divertita. I suoi occhi chiari si puntarono su Draco. «Tu, in particolare… sei incredibilmente fiducioso nelle tue abilità, non è vero?».

Tranquillo, lui si strinse nelle spalle. «Ho un obiettivo da raggiungere. Ho fatto una promessa che devo mantenere a tutti i costi10».

Pandora annuì, tranquilla, prima di allungare il cofanetto ad Hermione. «Questo è per te, mia cara, un piccolo regalo da parte mia» disse, con vago sorriso di scuse. «Vi salverà la vita, quando sarete davvero a rischio, ma dovrai aprirlo soltanto quando sarà necessario».

Hermione si accigliò, accettando il dono. «Quando sarà necessario?» chiese, quindi, anche se non particolarmente convinta.

«Posso solo dirti che non ci sarà alcuna necessità, mentre sosterrete le nostre prove. Ma dopo…» Pandora scosse il capo, pallida e preoccupata. «Un pizzico di speranza in più non può far male, non trovi anche tu?».

«Decisamente» rispose Draco, vagamente ironico. «Grazie, qualsiasi aiuto è bene accetto» aggiunse, mentre lei rimpiccioliva il portagioie e lo nascondeva nella piccola tasca della bacchetta, così da non perderlo.

«Grazie» ripeté quindi lei, allungando la mano per prendere quella del Dàimon. «Adesso… puoi dirci qual è la direzione giusta? Il nostro tempo si riduce sempre di più».

Con un cenno elegante, la donna indicò una porta apparsa dal nulla alla loro sinistra. Non aveva l’aria particolarmente affidabile, perdendosi nell’oscurità, ma le loro scelte erano orribilmente limitate. «Da quella parte troverete il vostro prossimo ostacolo» mormorò, con un sorriso gentile, prendendo la mano che Hermione aveva offerto e sorridendo ad entrambi. «Vi faccio i miei migliori auguri, miei cari… spero che possiate trovare le risposte che cercate senza impazzire».

«Lo spero anche io» borbottò Draco, senza tuttavia alcun astio. Quella donna era troppo deliziosa per esser fonte di alcun tipo di cattiveria. Un dono degli dei ad Epimeteo, un trucco per vendicarsi del genere umano. «Per quello che vale, è stato un piacere aiutarti, Dory» aggiunse, divertito, prendendo Hermione per mano e tirandola leggermente verso la porta. «Coraggio, Mezzosangue».

«Grazie» ribadì Hermione, cominciando ad avviarsi a sua volta, un piccolo sorriso sulle labbra.

«Per quello che vale,» disse il Dàimon, sollevando la mano libera in un leggero saluto, mentre le ombre la avvolgevano come a volerla inghiottire, «spero sinceramente che voi ce la facciate. E, Malfoy?» chiamò quindi, divertita. Attese che lui si voltasse a guardarla, prima di continuare. «Sono piuttosto sicura che a lei quel nome piacerà tantissimo11».

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Sono una masochista appassionata di mitologia. Lo ripeto perché forse non è chiaro quanto io mi stia divertendo.

 

Ebbene, alla fine ci son capitati sia Ulisse (quel burlone) che Pandora! Lei, oltretutto, è solo la prima delle eroine della mitologia che incontreremo. Le prossime saranno anche più interessanti! (Spero!)

 

 

Punti importanti:

 

» 1 – Avrei potuto far riferimento all’Iliade o all’Odissea, essendo il capitolo incentrato soprattutto su Ulisse, ma io adoro quel canto dell’Inferno! Oltretutto, parlando anche di Pandora e della virtù della Speranza (una delle virtù Teologali), ho ritenuto fosse migliore il riferimento della Commedia.

 

» 2 – Io sono una groupie per Ulisse. Io amo Ulisse, non mi importa cosa ha fatto. Stando all’Odissea, quando finalmente riuscì a tornare a casa, il suo vecchissimo cane, Argo, morì di crepacuore. Non è una cosa dolcissima?

 

» 3 – Riferimento temporale: sono trascorse oltre quattordici ore da quando il viaggio è iniziato, ormai restano poco più di due giorni, prima che il loro tempo scada e il mondo precipiti nell’orrore. Come fanno a saperlo? Sono maghi, avranno qualche incantesimo per misurare il passare delle ore!

 

» 4 – Non so se tutti gli universitari hanno avuto la fortuna di avere un professore su cui fantasticare, ma io. Dovete capire che io studio giurisprudenza, i miei professori hanno un’età media di duecento anni, quando me n’è capitato uno sotto i quaranta è stato un sogno. Non ho mai seguito delle lezioni con maggiore interesse. L’idea di Ulisse professorino sexy mi ha uccisa, non potevo non metterlo.

 

» 5 – Altro riferimento agli Harmony. Hermione è perseguitata da sti giornaletti!

 

» 6 – Alloooora. Qui si fa riferimento alla decisione di Ulisse – alla fine dell’Odissea – di riprendere il mare, dopo aver scacciato i Proci da Itaca. Durante il suo viaggio di ritorno, infatti, lo spirito del Veggente Tiresia gli aveva predetto che una volta scacciati gli invasori avrebbe continuato a viaggiare finché qualcuno non gli avesse offerto una pala per il suo remo, per poi tornare a casa e morire in pace di vecchiaia. È una morte diversa da quella prospettata da Dante (secondo cui Ulisse è morto per esser andato oltre le Colonne d’Ercole), diversa da quella che Draco ritiene essere quella reale. Pur non essendoci certezza, per me Ulisse è morto a casa sua, dopo aver girato un po’ l’ignoto. A casa, con la fedele Penelope.

 

» 7 – Piccolo riassunto del mito di Adone: Figlio di un rapporto incestuoso fra Mirra e suo padre, quando la mamma venne trasformata in albero (di mirra, appunto) venne estratto direttamente dal suo tronco ed allevato dalle ninfe. Divenuto un giovane bellissimo, divenne l’amante di Afrodite (che era stata anche la causa dell’amore incestuoso, btw). Afrodite, che era un tipo strano, per proteggerlo lo chiuse in una cassa di legno e lo affidò alla dea Persefone, che, aperto il pacco regalo pur non essendo autorizzata, si innamorò a sua volta e lo prese come amante. Ovviamente non finì bene.

 

» 8 –Non ho resistito, soprattutto perché ho visto da poco Finding Dory e sono ancora in pieno Hype.

 

» 9 – Draco è vagamente terrorizzato all’idea, sì. Non perché gli faccia schifo o simili, non è certo un maschio idiota come tanti, ma piuttosto perché è consapevole che sia un periodo in cui Hermione ha bisogno di condizioni igieniche migliori, rispetto a quelle offerte dai Dàimones. Mica può lasciare che la futura madre dei suoi figli si ammali, scusate.

 

» 10 – Riferimento alla promessa fatta a Rosemary. Draco ha giurato che avrebbe salvato il dottore, dandogli una nipotina da coccolare e su cui sfogare l’istinto paterno represso.

 

» Pandora è la seconda Dàimon che i nostri eroi incontrano nel loro viaggio. Perché non ricorda nulla? Non lo so, magari ho dato per scontato che avesse dimenticato di non poter aprire il suo vaso, oppure perché lo shock di aver liberato tutti i mali del mondo l’ha mandata fuori di testa. Fate voi. Pandora come Dory, però, è parecchio adorabile, dal mio punto di vista!

Breve riassunto del mito: il marito di Pandora è il fratello di Prometeo (quello che ha dato il fuoco agli uomini, rubandolo agli dei). Lei è stata creata da Efesto con grazia e bellezza (ma anche una grande curiosità, donata da Hermes) per far sì che il genere umano pagasse quel regalo fatto contro la volontà di Zeus. Lui, infatti, consapevole della curiosità di Pandora le ha regalato una scatola, ordinandole di non aprirla. Lei, ovviamente, l’ha aperta ed ha liberato sulla terra tutti i mali (vecchiaia, malattia, vizi…), mettendo fine al genere umano. Poi, però, ha risollevato il coperchio ed ha fatto uscire la speranza, che non era riuscita a fuggire la prima volta. Una volta liberata la speranza, il genere umano è stato di nuovo salvo.

 

» Pandora ha regalato il suo vaso ad Hermione, probabilmente perché il lupo perde il pelo ma non il vizio. Lei non può scoprire cosa c’è davvero dentro finché non ne avranno davvero necessità, il costo altrimenti potrebbe essere altissimo. In un certo senso, la disgraziata di una Pandora ha dato ad Hermione un’altra prova. La nostra eroina ce la farà a resistere alla tentazione di aprirla prima?

 

» 11 – Pandora sa benissimo che Hermione adorerà l’idea di chiamare Rosemary anche sua figlia, in onore della signorina Crave che tanto ha aiutato il suo Draco e che era tanto cara al dottore.

 

 

 

Comunicazione di servizio: Essendo finalmente in vacanza anche io, la settimana prossima non ci sarà alcun aggiornamento! Ma vi aspetto tutti la settimana dopo ancora, abbiamo altre prove da superare ed altri personaggi da scoprire!

  

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 27
*** Atto XVI - Parte III/ Più mirabile dell'uomo ***


Edit: Sono una persona stupida, per sbaglio ho completamente mandato a quel paese l’html di questo capitolo (pubblicato sabato) e, non pensando di poter semplicemente ricopiare quello del file originale, ho cancellato tutto. Perché io sono stupida. Perdonatemi, soprattutto se avete lasciato una recensione cui io non avevo ancora risposto o simili. Faccio schifo.

 

Lo Specchio delle Anime.

 

 

 “E un uomo, fosse sangue mio, ma pieno d'odio per lo Stato, non lo vorrei con me.

Sono convinto!

Stato significa sicuro porto; se naviga diritto noi, gente imbarcata, sentiamo d'appartenerci tra di noi, solidali.

Con queste regole farò grande Tebe, io”1

 

 [Sofocle, Antigone – Creonte]

 

“V'abbaglia, potenti di Tebe, la scena di me sola sopravvissuta dei re che soffro, da che gente, e che cose:

io che a sacro gesto consacrai me stessa”. 1

 

[Sofocle, Antigone – Antigone]

        

 

 

 

Atto XVI – Parte III

Più mirabile dell’uomo2.

 

 

 

Quando Narcissa Malfoy entrò nella camera di suo marito, quel giorno, vi trovò una persona che non credeva avrebbe mai avuto il coraggio di fronteggiare, nonostante l’avesse affrontata moltissime volte, in tutti i suoi incubi peggiori.

Con i lunghi capelli rossi raccolti in una coda disordinata ed il viso stanco di qualcuno che avesse dimenticato cosa fosse una buona notte di sonno, Ginevra Weasley osservava il corpo inanimato di Lucius senza trasmettere alcun tipo di emozione. Quando si voltò verso di lei, quasi sembrò non notarla, tanto impassibile fu il suo sguardo.

«Signorina Weasley» fu tutto ciò che la donna riuscì a dire, girando intorno al letto per avvicinarsi di più al marito. Quando gli posò la mano sul braccio e sentì ancora il calore della sua pelle, tirò un sospiro di sollievo. Non che avesse creduto possibile che la giovane – una Weasley – potesse davvero uccidere qualcuno di indifeso, per quanto questo qualcuno fosse Lucius Malfoy, ma la sicurezza non era mai troppa.

Dopotutto, si disse, erano giorni molto strani.

«Lei sa che la mia migliore amica e suo figlio sono colleghi da mesi, ormai» le disse invece la rossa, apatica, poggiando le spalle allo schienale della poltrona su cui era seduta, gli occhi scuri ancora puntati sul corpo dell’uomo. «Recentemente sono diventati qualcosa di più» aggiunse, quando la vide annuire, accennando un sorrisino quando notò lo sconcerto sul suo viso.

Qualcosa in più, aveva detto. Narcissa non era particolarmente sorpresa, in tutta sincerità, soprattutto perché Draco era stato molto chiaro riguardo ai suoi propositi, quando si era deciso a far ritorno a casa, quasi un paio di settimane prima3. Così chiaro che, per un attimo, sua madre aveva pensato che avesse già ottenuto qualcosa.

Evidentemente il suo istinto non si era sbagliato.

«Non mi sembra molto sconvolta, signora Malfoy» disse la Weasley, vagamente accigliata e, forse, con un leggero disappunto stampato in viso. Sembrava essersi aspettata una qualche reazione esagerata, da parte sua. «L’idea che suo figlio si porti a letto una sanguesporco non la disgusta? Dopotutto, era contro questi abomini che avete lottato per tutta la vita».

Quel suo tono velenoso, per un attimo, fece irrigidire Narcissa, ma non avrebbe mai mostrato nulla, non a quella ragazza, non quando era piuttosto evidente che lei stesse aspettando solo un suo segnale di stizza, per esplodere.

Era sempre stata la più diplomatica fra le sue sorelle, lei. Sempre la prima a farsi avanti come paciere ed a fare da rappresentante per i parenti un po’ meno dotati nel parlare ma decisamente più forti quando si trattava di venire alle armi. Difficilmente quella ragazzina tanto impertinente le avrebbe fatto perdere la calma.

«Se davvero l’idea mi disgustasse ancora, Miss Weasley,» iniziò quindi, accomodandosi a sua volta nell’ultima poltrona libera della stanza, quella che aveva fatto portare una volta che le visite di Draco a suo padre erano diventate regolari, dopo la morte della figlia del dottor Crave, «probabilmente non accoglierei in casa mia Andromeda, mia sorella, ed il suo adorabile nipotino. Credo che lei conosca bene il giovane Teddy, non è forse il figlioccio del suo fidanzato?» le fece notare, secca, accennando un piccolo sorriso di cortesia. «La reputo molto più intelligente di così, Miss. Non può credere davvero che io potrei avere problemi con chiunque mio figlio decidesse di sposare. Perché immagino lei sappia che la sua storia con Miss Granger non possa che essere seria».

Quella sua risposta pacata dovette non piacere alla rossa, perché strinse i pugni.

«Io non credo che lei avrebbe problemi con Hermione, no» ammise infine, sollevando gli occhi nei suoi per un solo istante. «Probabilmente sarà fin troppo gentile con lei, abbastanza da farla sentire molto a disagio, per i primi tempi» accennò un sorriso amaro, scuotendo il capo. «Credo proprio che, alla fine, potrebbe addirittura piacerle molto più di quanto non le sia mai piaciuta mia madre. Lei non mi sembra un tipo molto invadente».

Era un complimento? Narcissa non lo sapeva. Dopotutto, qualcosa aveva spinto la più giovane Weasley ad allontanarsi dal nido familiare, insieme al fidanzato ed alla signorina Granger.

«Se non crede che io avrei problemi con lei, perché è qui?» domandò allora la donna, accigliata, sfiorando amorevolmente le dita immobili del marito. Lucius aveva sempre adorato quei lievi contatti, lo aiutavano a sopportare le angherie che quella vita che gli avevano imposto e che aveva portato, alla fine, alla quasi totale distruzione della loro famiglia.

«Lei non avrebbe problemi e, infondo, potrebbe anche meritare una nuora come Hermione. Harry mi ha raccontato cosa ha fatto per lui ed io so che ha sempre cercato di difendere suo figlio, Andromeda è stata sempre molto chiara al riguardo» ammise Ginevra, per poi fare una smorfia. «Ma lui non merita Hermione. Non merita nulla».

La cattiveria con cui parlò di suo marito le fece gelare il sangue nelle vene. Erano anni che qualcuno non parlava così brutalmente di lui, provando pietà, probabilmente, per un povero disgraziato bloccato in soli trenta minuti di coscienza ogni giorno.

Ma Ginny Weasley non provava pietà.

«Cosa vuole da mio marito, signorina?» chiese quindi, sentendo una certa inquietudine nascerle nel petto. Forse il suo primo pensiero non era stato poi così lontano dalla verità. Quella ragazza si era ritrovata completamente sola, con l’amore della sua vita in bilico fra vita e morte e per cause completamente sconosciute. Il desiderio di vendetta si sarebbe potuto manifestare in qualunque modo, in lei, portandola a scegliere una vittima ideale, secondo un macabro senso di giustizia divina che i disperati soltanto potevano avere.

«Sa, a causa di suo marito io sono stata il burattino di Voldemort, durante il mio primo anno» le disse, con una tranquillità che, per un istante, suonò inquietante. «Un anno trascorso senza sapere cosa mi stesse succedendo, persa nell’incoscienza, con le mani sporche di sangue di cui non conoscevo la provenienza» continuò, apatica. Il suo viso pallido sembrò simile a quello di una banshee, agli occhi di Narcissa, facendole stringere il petto in una morsa. «Lo volevo morto, signora Malfoy. La morte è ciò che merita per tutti i mali che ha causato».

«La nostra legge vieta l’omicidio come punizione, signorina Weasley» le fece notare allora, con un filo di voce, raggiungendo la bacchetta con la mano libera e cercando di ricordare tutti gli incantesimi di difesa imparati durante gli anni scolastici. L’attacco era da escludere, ma, forse, avrebbe potuto guadagnare un po’ di tempo.

«La legge, spesso, è diversa dalla giustizia, signora» le fece notare la rossa, tornando ad osservarla con pacata tranquillità. «E suo marito merita di morire».

 

***

 

Camminarono per quelle che sembrarono delle ore, cominciando a percepire la stanchezza come un dolore sordo alle ossa. Non erano davvero stanchi, era come se la necessità del sonno fosse stata completamente estirpata dai loro corpi. Eppure, al tempo stesso, faticavano a muovere più di una decina di passi al minuto, come se il loro istinto si stesse scagliando contro la loro decisione di continuare il viaggio.

Hermione era stata la prima a risentire dello stress, Draco l’aveva notato immediatamente. Il suo viso era stato presto percorso da piccole gocce di sudore, i suoi occhi avevano iniziato a faticare nel restare aperti e vigili.

Ovviamente, aveva pensato lui, lei è la più razionale.

Si erano riposati, quando le loro ginocchia avevano iniziato a cedere. Si erano accoccolati in un angolo del corridoio ed avevano iniziato a parlare per tenere la mente impegnata. Lei gli aveva raccontato della sua infanzia, del lavoro dei suoi genitori e del giorno in cui aveva ricevuto la lettera per Hogwarts. Lui, invece, le aveva raccontato dei pomeriggi trascorsi in riva al fiume, mentre sua madre prendeva il tè e lui giocava con le sue scope per bambini, poi di alcune delle sue missioni lontano dall’Inghilterra, dove nessuno sapeva del suo passato e della cicatrice che gli deturpava il braccio.

Parlare con lei era stato bello, Draco lo aveva ammesso immediatamente con se stesso. Forse, una vola che avesse deciso di aprirsi riguardo gli anni della guerra, avrebbe avuto modo di rivelarle cose che neppure il Dottore era riuscito ad estorcergli.

Naturalmente, la loro pace non fu duratura. Il tempo incalzava ed il primo giorno era ormai terminato, avevano ancora altre quattro prove da superare e dubitava fortemente che sarebbero state veloci come quelle di Ulisse e Pandora.

Il pensiero della scatoletta che Hermione teneva in tasca gli fece provare un brivido. Lui non si fidava di quell’aiuto tanto importante e non si fidava della sua curiosità. Cosa sarebbe successo se l’avessero aperta prima del dovuto?

«Ho come la sensazione che siamo arrivati» gli disse, improvvisamente, la Granger, posandogli la mano sul braccio ed indicando qualcosa che si stagliava davanti a loro. «Sembra un portone di marmo, Draco, non c’è bisogno di sforzarti così» aggiunse, quando notò quanto difficoltoso fosse per lui comprendere di cosa stesse parlando. Avendo lasciato gli occhiali a casa e complice quello strano buio che li circondava, per lui era molto complicato distinguere le forme lontane4.

Avrebbe fatto bene a seguire il consiglio di Laurie, una volta tornato a casa, e comprare quelle strane lenti a contratto.

«Non prendermi in giro, Mezzosangue, vorrei vedere te al mio posto» si lagnò allora lui, iniziando ad avanzare nella direzione indicata, finché i dettagli del portone non furono chiari anche ai suoi poveri occhi.

Si trattava, in effetti, di un grande portone di marmo, ma il particolare più importante si stagliava in cima ad esso, in una iscrizione che a Draco fece venire i brividi.

Lex vincit omnia5.

«Questa è la porta di un tribunale, Granger» le disse, cupo, quando lei si girò a guardarlo con la sua solita espressione di preoccupata curiosità. L’impossibilità di mentire, in quel luogo, gli impediva di controllare le proprie emozioni. «Se proprio vogliamo esser pignoli, la porta del tribunale speciale che il Ministero ha istituito sotto Londra per processare i Mangiamorte, dopo la guerra6».

«La Legge vince su tutto» tradusse quindi lei, annuendo leggermente. «Ho sempre pensato che fosse una frase piuttosto rassicurante, tu no? Chi ha sbagliato e non è giustificato, deve pagare, così che la legge possa essere davvero uguale per tutti».

Draco non riuscì a trattenere la stizza nella sua voce. «La Legge non può essere sempre uguale per tutti, Mezzosangue. Dov’è la giustizia, in una legge sempre e comunque fedele a se stessa?».

«Questo è esattamente il mio pensiero» una voce di donna, dalle profondità del buio dietro di loro, li fece sobbalzare. Una giovane, con lunghi capelli color dell’ebano e profondi occhi scuri, avanzò fra le ombre, recando in mano quella che sembrava essere una bilancia d’oro. «La legge è umana, la giustizia viene dagli dei. Chi siamo, noi, per decidere di andare contro la loro volontà?».

«La legge è ciò che consente ad una civiltà di prosperare. Senza delle regole, il mondo sarebbe stato perduto millenni fa» ribatté immediatamente Hermione, non riuscendo a resistere alla tentazione di far valere la propria posizione. «La Legge deve essere giusta, ma la giustizia senza legge sarebbe solo anarchia».

«Quindi, mia cara, stai dicendo che la giustizia deve essere asservita alla legge e non il contrario» ribatté la donna, avanzando ancora verso di loro e mostrando un meraviglioso abito del colore del cielo al tramonto. «La giustizia, quindi, dipenderà solo dalla volontà umana, perché è la regola a dettare la struttura del mondo».

Hermione si accigliò, guardando Draco come in cerca di un sostegno che, purtroppo, non avrebbe ricevuto da lui. Non quella volta. «Non è quello che ho detto, non è vero? Io… perché mi guardi così, Malfoy?» gli domandò alla fine, come esasperata.

«Ragioni come un avvocato, Granger» fu tutto ciò che le disse, voltandosi verso la donna. «Immagino di star parlando con Antigone, non ho ragione? La principessa di Tebe, figlia di Re Edipo» aggiunse quindi, chinando il capo in un gesto rispettoso. «Sono un grande ammiratore del modo in cui hai mandato al diavolo tuo zio per fare ciò che ritenevi giusto».

«Ammiri qualcuno pronto a sfidare il mondo per puro egoismo, ragazzo».

Una nuova voce, questa volta maschile, li raggiunse nuovamente dal folto delle ombre alla loro sinistra. Dalla stessa direzione, un attimo dopo, giunse un uomo con indosso una meravigliosa toga purpurea ed in mano delle pergamene, probabilmente delle leggi.

«Il suo non è stato egoismo, Re Creonte» gli rispose allora Draco, avendo immediatamente compreso chi li stesse fronteggiando. «Ha dato sepoltura a suo fratello, lo stesso cui tu volevi negare quel minimo segno di rispetto».

«Non sono stato io a deciderlo, ma la legge» ribatté Creonte, voltandosi verso Hermione. «Tu cosa avresti fatto, mia cara? La legge imponeva di punire il colpevole e lui lo era, aveva scatenato una guerra civile e l’aveva persa, io ho solo fatto il mio dovere, a malincuore. Si trattava di mio nipote, dopotutto».

«Dare una degna sepoltura è un diritto che non può essere negato a nessuno» insistette Draco, a denti stretti, rammentando tuttavia l’orrore con cui in molti si erano opposti al ricovero di suo padre, quando la malattia l’aveva ridotto ad un vegetale.

«Non è della sepoltura che stiamo parlando, Draco» intervenne Hermione, stranamente seria e pallida. «Praticamente è ciò che è successo a Barty Crouch e suo figlio, ricordi? L’ha condannato, pur essendo suo figlio. Se avesse rispettato la legge, se non avesse cercato di fare la cosa giusta, per lui, allora lui non sarebbe scappato e forse Voldemort non sarebbe mai risorto. Tutto è successo perché lui non si è saputo attenere alla legge». 

«Se si fossero sempre attenuti alla legge, il professor Lupin non avrebbe ricevuto l’Ordine di Merlino e mia cugina Ninfadora non avrebbe potuto sposarlo. I licantropi non erano considerati esseri umani, quindi tutte le leggi che riguardano il matrimonio non potrebbero essere applicate… Teddy sarebbe poco più di un bastardo, grazie alla tua legge» ribatté quindi lui, cupo, resistendo a stento all’istinto di allontanarsi da lei.

Dietro di loro, Antigone e Creonte li osservavano in silenzio, finché non si fecero avanti ed indicarono le grandi porte.

«Tu verrai con me, Draco» disse l’uomo, indicando la parte sinistra della grande apertura nel muro. «Mentre tu, Hermione, andrai con mia nipote Antigone» aggiunse, mentre la donna indicava la parte destra.

«Datevi un bacio» aggiunse proprio lei, dolcemente. «Potreste non rivedervi più come siete adesso… potreste addirittura non rivedervi proprio».

 

***

 

Quando si ritrovò in un’aula di Tribunale, Hermione si sentì improvvisamente spaesata. Antigone era sparita e le persone che la circondavano erano stranamente familiari.

Comprese di trovarsi in una versione distorta del suo mondo quando vide il suo capo, Adalbert Hicklebottom7, raggiungerla con il peggiore fra i suoi sguardi seri e si rese poi conto di indossare, a sua volta, la toga da Inquisitore.

Si trovava ad un processo in cui era lei a dover condurre l’accusa.

«Hermione, mia cara, spero tu abbia portato gli appunti» le disse il suo superiore, «io ho perso i miei e non ho avuto modo di riscriverli».

Lei si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo. Era sempre così, con quell’uomo: sarebbe stato capace di perdere la testa, se non fosse stata attaccata al resto del corpo, ma non dimenticava neppure una virgola della storia dei suoi indagati.

«Credo di essere fornita, signore, non si preoccupi» gli rispose lei, prendendo posto al tavolo dell’interrogatorio. L’indagato aveva il viso coperto, stranamente, ma lei non si preoccupò. Il fatto che fosse un uomo o una donna sarebbe stato superfluo da verificare. Importanti erano solamente i delitti commessi, nulla di più.

«Allora possiamo iniziare» si rallegrò il Capo dell’Ufficio Inquisitori, accomodandosi al suo fianco e congiungendo pacificamente le mani davanti a sé. Aveva l’espressione improvvisamente stanca, triste, come ogni volta che sapeva di dover accusare qualcuno.

L’unico uomo che avrebbe preferito poter perdonare tutti era lo stesso che aveva il potere ed il dovere di condannarli.

«L’imputato è un Mangiamorte riconosciuto, il possesso del Tatuaggio certifica la sua appartenenza alla cerchia più ristretta di Lord Voldemort» lesse Hermione, direttamente dal suo fascicolo. «A quanto pare, l’imputato ha approfittato della propria posizione per introdurre illegalmente dei Mangiamorte in luogo protetto, ha attentato alla vita di tre diversi maghi residenti in suddetto luogo, di cui uno, oltretutto il più importante, effettivamente deceduto, ed ha attivamente preso parte alla Battaglia di Hogwarts». La lista di precedenti era ammirevole, nonostante non ci fossero tantissimi omicidi sulla sua fedina penale era comunque un curriculum di tutto rispetto. Gli avrebbe fatto guadagnare un bel po’ di anni ad Azkaban.

«Oltretutto è stato trovato in possesso di cimeli oscuri dal potere incommensurabile. Le ricordo che si trova sotto Veritaserum, ogni tentativo di mentire risulterà in una verità possibilmente più dolorosa, per lei» si intromise il suo capo, con sguardo grave. «Nega queste accuse?».

Lentamente, come se quel gesto gli costasse tantissimo, l’imputato scosse il capo.

«In base alla legge vigente nel territorio delle Isole Britanniche, sottoposte alla guida del provvisorio governo Shacklebolt, lei verrà condannato alla pena massima» continuò quindi Hicklebottom, accennando poi ad Hermione. «Proceda, Inquisitore».

Improvvisamente ansiosa, Hermione puntò la bacchetta contro l’imputato, immaginando che da un istante all’altro sarebbero arrivati degli Auror per poterlo via. L’aver sentito parlare di governo provvisorio le aveva fatto comprendere di doversi trovare davanti ad uno degli imputati del Tribunale di Hogwarts6, creato per giudicare i responsabili della Seconda Guerra Magica. Era stato un tribunale molto criticato, poiché vi avevano preso parte tantissimi giudici stranieri, essendo tantissimi quelli inglesi chiamati in giudizio.

E lei era diventata uno di loro.

Quando, dalla grande porta alle spalle del soggetto incappucciato, uscì un Dissennatore, Hermione si sentì gelare il sangue nelle vene.

«Ma Signore, i Dissennatori non sono più utilizzati per l’esecuzione delle pene!» insorse immediatamente, tentando di balzare in piedi ma ritrovandosi disgraziatamente bloccata sulla sua sedia. Cercò lo sguardo del suo capo, immaginando che anche lui sarebbe stato sconvolto, ma ottenne soltanto un’occhiata confusa. «Signor Hicklebottom, non possiamo permetterlo! Il Ministro Shacklebolt l’ha vietato subito dopo esser stato nominato!».

«La legge non è cambiata, Hermione cara» le fece notare l’uomo, infinitamente triste e carico di compassione. «E noi dobbiamo applicare la legge. Neanche a me piace, ma dura lex, sed lex8» ammise, cupo, voltandosi nuovamente verso l’indiziato. «Il nostro compito è, semplicemente, quello di collegare la pena al reato, nulla più».

Hermione si irrigidì. «Lei mi ha sempre detto che il nostro compito è quello di misurare la colpevolezza e giudicare in base a quella ed al senso di giustizia, oltre che in base alla legge» mormorò, sentendo la pelle d’oca aumentare man mano che la creatura oscura si avvicinava. L’imputato era sempre più rigido, ma sembrava aver accettato la sua condanna.

Non c’era speranza, se la legge non poteva esser piegata.

Un dubbio improvviso la colse, giusto un attimo prima che le mani scheletriche del mostro raggiungessero il cappuccio dell’imputato. Un dubbio che l’avrebbe uccisa, se il suo cuore non le avesse urlato di dover reagire ad ogni costo, per impedire che quell’incubo divenisse realtà.

Quando gli occhi grigi di Draco si posarono su di lei, percepì il proprio petto accartocciarsi in un singolo punto, come se tutto il suo essere fosse stato risucchiato in un solo buco nero. Avrebbe pianto, se avesse potuto. Avrebbe urlato, se ne avesse avuto la forza.

Ma il Dissennatore si avvicinava e Draco era bloccato dalle sue mani scheletriche, senza alcuna via di fuga, gli occhi argentei puntati su di lei senza alcun tipo di accusa, senza rimpianto.

Solo amore. Amore per lei, che l’aveva condannato.

«No! Signore, non possiamo… ci sono prove, lui… lui non è colpevole!» provò ad urlare, cercando in ogni modo di afferrare per il braccio l’inquisitore che l’affiancava. «Lui è stato costretto, non…».

Il Dissennatore sembrava muoversi al rallentatore, per nulla intenzionato a fermarsi. Il cuore di Hermione batteva così forte da sembrare sul punto di sfuggirle dal petto per poterlo raggiungere.

«Mi dispiace, Hermione, ma ti sbagli» le disse Hicklebottom, accigliato. «Lui ha ammesso i suoi crimini, quindi è colpevole, lo dice la nostra legge. Non esistono scusanti».

Il Dissennatore si chinò su Draco, Hermione provò ancora a ribellarsi ma si ritrovò sempre più bloccata contro la poltrona.

«Dobbiamo fare qualcosa, non è giusto!» urlò allora, tentando inutilmente di divincolarsi. «Non è giusto! Non possiamo farlo morire così, no! Non è umano, lei me l’ha sempre detto! Noi possiamo cambiare la sentenza!» continuò, con le lacrime agli occhi, imponendo a se stessa di sbarrarli e voltare il capo, pur di non vedere. Non era un comportamento da Grifondoro, ma non poteva far altrimenti. La vista del bacio sarebbe stata troppo, per lei.

Sarebbe impazzita.

Improvvisamente, il suo capo fu alle sue spalle, le mani ai lati del viso per costringerla a guardare davanti a sé. «Apri gli occhi, ragazza. Non puoi permetterti debolezza, la legge non lo consente. Noi dobbiamo applicarla, senza pensare a chi abbiamo davanti. Guarda, Hermione».

«No!».

«Guarda».

Quando alzò lo sguardo su Draco, riuscì a cogliere l’ultimo sguardo innamorato che le avrebbe mai lanciato, un attimo prima che la sua anima, così bianca e luminosa da non poter essere colpevole, venisse risucchiata via dal Dissennatore, lasciando che lui si accasciasse, vuoto e spento.

Le mani di Hicklebottom, allora, si trasformarono, divenendo delicate mani di donna. La sua stretta ferrea divenne un abbraccio dolce, carico di un affetto e di una comprensione commoventi.

«La legge senza la Giustizia non esiste, mia cara. Adesso anche tu sai di dover essere grata per l’umanità mostrata da altri».

 

***

 

«Tu meriti di morire».

La certezza che quella non fosse la vera Rosemary non lo aiutò ad elaborare con maggiore facilità il significato di quelle terribili parole.

Incatenato ad una sedia all’angolo della grande Sala, Draco sentì le ginocchia tremare e ringraziò di non poter più perdere l’equilibrio. La giovane era esattamente come l’aveva vista nel suo sogno indotto dal Djinn, bellissima e felice, realizzata in quel futuro che in realtà non avrebbe mai potuto ottenere. Stava camminando intorno ad un uomo, lui non poteva scorgerne il viso, e sembrava intenzionata a realizzare quella promessa di morte fatta poco prima con le sue stesse mani.

«Lo sai benissimo, non è vero? Meriti di morire, perché, infondo, è solo colpa tua se io sono morta» continuò la ragazza, ignorando completamente Draco. Girava intorno alla sua vittima come un leone intorno alla sua preda. In quel momento, il giovane ebbe davvero paura. Doveva esser successo qualcosa di orribile, se proprio lei era arrivata a dimostrare tutto quell’odio. «Sarei potuta diventare grande. Sarei diventata la migliore, lo sai» aggiunse, dando un calcio ad una gamba dell’uomo, che non emise alcun suono. «Ma io non ero abbastanza, per te, non è vero?».

Abbastanza.

Una campanella d’allarme si attivò sul fondo della coscienza di Draco, un sospetto terribile ad assillarlo.

Che fosse il Dottor Crave? Dopotutto, lui stesso non aveva fatto altro che professare la sua colpevolezza per la morte della figlia, nonostante non potesse – non dovesse – averne alcuna responsabilità. Quell’uomo amava profondamente la figlia e da lei era sempre stato ricambiato, possibile che, in fondo al suo cuore, Rose serbasse tanto rancore?

Qualunque fosse la ragione di ciò cui stava assistendo, Draco non aveva intenzione di restarsene con le mani in mano.

«Rosemary» chiamò, fermo, cercando di divincolarsi con tutte le sue forze. «Rose, fermati! Lascialo stare, sai bene che non è davvero colpa sua» continuò, guardandosi intorno alla ricerca di una qualunque cosa che potesse aiutarlo a liberarsi.

Lei, come se si fosse resa conto della sua presenza solo in quel momento, si voltò nella sua direzione e sorrise in modo macabro, facendogli venire la pelle d’oca.

«Non è stata colpa sua? Tutto è stato colpa sua» gli rispose, con un verso sprezzante, avvicinandosi a Draco velocemente – troppo velocemente ­– e portando il viso a pochi centimetri dal suo, quasi avesse voluto baciarlo. Abbastanza vicino da consentirgli di notare quanto innaturale fosse il pallore del suo viso e l’assenza della pupilla nei suoi occhi. Non c’era niente di umano, in lei, e la cosa lo terrorizzò.

Spettro9, pensò la parte più razionale della sua mente, mentre il resto di lui tentava di scovare una via d’uscita, osservando freneticamente i dintorni. Non ricordava molto delle lezioni di Difesa, nonostante Piton avesse tentato di insistere, conscio che con la guerra imminente sarebbero stati tantissimi gli spiriti vendicativi pronti ad aggirarsi per la terra dei viventi. Erano un po’ come i fantasmi, ma animati da un incontrollabile desiderio di morte e distruzione, capaci di portare i responsabili della loro morte alla follia nel modo più atroce e doloroso possibile.

Che quella sua visione non fosse semplicemente frutto della magia dei Dàimones? Che lo spettro di Rosemary stesse realmente perseguitando il Dottore, impedendogli di accettare il lutto e spingendolo a chiudersi in se stesso?

Quella possibilità gli fece gelare il sangue.

«Rose, lui non avrebbe mai voluto questo per te. Ha fatto di tutto per aiutarti» provò a farla ragionare, allora, nonostante fosse ben cosciente di non poter far nulla. Gli spettri erano fatti solo di rabbia, non c’era spazio per la ragione in loro. «Ti prego, io so che non puoi essere davvero così decisa a fargli del male. Ricorda la promessa che mi hai fatto fare. Ricorda quanto lo amavi» continuò, disperato, dimenandosi senza sosta nella speranza di potersi liberare dalla presa delle catene.

Come fulminato, lo spettro di Rosemary si allontanò di qualche centimetro, osservandolo confusa. «Tu credi che io stia perseguitando mio padre?» gli chiese, sembrando improvvisamente più umana, gli occhi senza pupilla inondati da lacrime di sangue. «Il mio povero papà, che sta perdendo se stesso per il rimorso di aver perso me?» continuò, portandosi una mano al petto. L’espressione triste cambiò velocemente, trasformandosi in una smorfia furiosa. «Non osare nominare mio padre! Lui ha già sofferto troppo!» urlò, riavvicinandosi con violenza e piantandogli le mani gelide sul collo, come a volerlo soffocare. Con un gesto brusco, poi, indicò l’uomo nascosto fra le ombre, rimasto in silenzio fino a quel momento.

Con orrore, Draco riconobbe improvvisamente il profilo elegante ed i capelli biondi, ormai tendenti al bianchi, della vera vittima di quella persecuzione.

Lucius Malfoy sembrava aver accettato il suo destino, placidamente abbandonato su una sedia da torture medievali che suo figlio aveva più volte notato nei sotterranei di Malfoy Manor10. Decisamente più sano e più giovane rispetto l’ultima volta in cui si erano visti, l’uomo non sembrava aver subito tutte le angherie che gli ultimi anni avevano lasciato sul suo corpo.

Quando vide Draco, accennò un sorriso.

«Sono felice che toccherà a te, farlo» gli disse, tranquillo. «Dopotutto, io devo pagare per aver tolto la figlia ad un altro padre, quindi è giusto che mio figlio uccida me. I babbani lo chiamano Karma, credo».

Mio figlio uccida me. Quelle parole sembrarono tuonare nel petto di Draco che, improvvisamente, si ritrovò davanti a lui, bacchetta in mano e puntata contro il cuore di suo padre.

Non ricordava neppure di essersi mosso.

Rosemary, alle sue spalle, rideva sguaiatamente. «Adesso Lucius Malfoy pagherà! Pagherà per quello che mi ha fatto!» cantilenò, somigliando orribilmente a Bellatrix nei suoi momenti di peggiore follia. «E sarà il suo stesso rampollo ad ucciderlo! Ah-ah!».

Raggelato, Draco tentò di voltarsi verso di lei, senza tuttavia poter distogliere gli occhi dell’uomo davanti a lui. «Rose, no! Sei stata tu stessa a dirmi che mio padre ha tentato di aiutarti… come può essere colpa sua?» le domandò, disperato. «Lui ha mandato gli Auror, me l’hai raccontato prima di morire…».

Lo spettro rise più forte, con cattiveria. «Ma è stato per colpa sua se mi hanno torturata fino a ridurmi al nulla… lui ha provato ad intercedere e Voldemort ha deciso che io non servivo più, perché lui lo aveva convinto della mia inutilità…» sbottò, in un sibilo crudele, girando intorno ad entrambi i Malfoy come se avesse dovuto decidere chi dei due sarebbe stato il primo a morire per mano sua. «E poi, gli altri colpevoli sono tutti morti, io non ho nessun altro da perseguitare, se non lui…».

«Ma non puoi! Non ha senso! Mio padre ha pagato per i suoi errori, devi trovare qualcun altro che-».

«Pagato?» lo interruppe lo spettro, posizionandosi alle spalle dell’uomo. «Lui non ha pagato nulla, non per me. Quella che tu chiami pena, io la chiamo ingiustizia. Ha ucciso, ha torturato, eppure è ancora vivo, con una famiglia che lo ama e quasi tutte le sue ricchezze» continuò, sibilando, mentre le sue mani ad artiglio graffiavano il collo pallido della sua vittima. «Io pretendo la mia giustizia, Malfoy, e tu me la darai» ordinò quindi, mostrando i denti innaturalmente appuntiti. «E poi toccherà a lei!» con un cenno, indicò un altro angolo buio, in cui Draco riuscì improvvisamente a distinguere il corpo senza sensi di Hermione.

L’orrore che lo colse gli fece venire la nausea.

«Perché anche lei? Cosa ti ha fatto?» urlò, cercando in tutti i modi di aprire le dita della mano e far cadere la bacchetta che ancora, testardamente, teneva in pugno. Non voleva uccidere suo padre, ma non aveva la minima intenzione di avvicinarsi alla sua Granger con un’arma in mano. Sicuramente non quando quell’arma avrebbe potuto ferirla, piuttosto che proteggerla.

«Non lo sai, Draco?» lo scimmiottò allora Rosemary, crudele. «Non lo sai che è stata lei a garantire l’amnistia a tuo padre, quando si è ammalato ad Azkaban? È per colpa sua se lui non è già morto».

Abbiamo avuto un aiuto inaspettato, gli aveva detto Theodore Nott, l’avvocato di famiglia, quando era uscito dall’udienza per la scarcerazione umanitaria di suo padre. Non aveva aggiunto altro, nonostante le insistenze di Narcissa.

In quel momento, Draco comprese perché.

Non avrebbe accettato mai l’aiuto di Hermione, prima.

«Hermione ha solo fatto il suo dovere, non puoi prendertela con lei!» sbottò quindi, spaventato, cercando con lo sguardo Rosemary, senza tuttavia riuscire a scovarla. «Lei ha solo fatto ciò che la legge le chiedeva!».

«La legge, che concetto banale» la voce della giovane, proveniente dalle sue spalle, lo avrebbe fatto trasalire, se avesse avuto il controllo del suo corpo. «La vendetta, invece, fa parte dell’uomo, così come la paura e la morte» continuò, allegra, passandogli le unghie affilate sul collo e costringendolo a riportare l’attenzione su Lucius, placidamente abbandonato su quella maledetta sedia delle torture. «Adesso, Draco, uccidilo».

L’immagine degli occhi di suo padre che si spegnevano lentamente non avrebbe mai abbandonato Draco, negli anni. Quel lampo di comprensione, di gratitudine, lo avrebbero perseguitato per sempre, nonostante la consapevolezza che, forse, una volta superate le prove avrebbe avuto modo di incontrarlo di nuovo, di recuperare quell’affetto che, per tutta la sua vita, credeva di non aver mai ricevuto.

«Questo è ciò che accade, se non esistono regole al mondo» la voce di Creonte, improvvisa, sembrò giungere dallo stesso punto da cui aveva sentito provenire quella di Rosemary. «L’uomo è una creatura razionale, Draco, e necessita di regole. Non è con la sola vendetta che si riporta l’equilibrio».

 

***

 

«Perché non l’hai ucciso, allora?» la voce di Narcissa era pacata, nonostante fosse ancora colma di terrore. Ginny Weasley si era alzata in piedi e si era diretta verso l’uscita, dopo averle comunicato quel verdetto sulla sorte di Lucius. «Ne avresti avuto tutto il tempo, prima del mio arrivo».

La giovane accennò un sorriso triste, osservando l’uomo privo di conoscenza. «Credo che questa condizione sia ben peggiore della morte, Signora.  Suo marito sta pagando per i suoi crimini verso di me e verso tutti gli altri» spiegò, tranquilla. «Non sta a me giudicare, il giusto senza il corretto è niente ed io non voglio innalzarmi a giudice e boia come ha fatto lui, prima e durante la guerra».

Sentendosi improvvisamente debole, per quanto sollevata, Narcissa annuì.

«Non lo perdonerà mai, non è vero?».

«Io no, ma si assicuri che suo marito, se mai dovesse recuperare le sue facoltà, riesca a farsi perdonare da Hermione. Lei non merita un suocero ingrato, non dopo quello che lei ha fatto per tutti voi» spiegò, secca, puntando gli occhi scuri in quelli della donna.

Quel dubbio, quel vecchio dubbio che per tantissimo tempo aveva torturato la signora Malfoy, tornò prepotentemente a farsi sentire, scavando fra i suoi pensieri per conquistarsi il primato.

«Lei ha garantito affinché Lucius potesse essere ricoverato, non è vero?».

«Si assicuri che lui le dimostri riconoscenza».

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Ho dato sfogo ai miei studi di filosofia del diritto, dovete perdonarmi.

Antigone e Creonte hanno rappresentato uno dei momenti migliori della preparazione dell’esame in questione, di sotto troverete una piccola spiegazione della loro storia! Spero di non avervi annoiati!

E comunque, gli ultimi due Dàimones saranno decisamente famosi ed io voglio lasciarvi due indizi, uno per ciascuno:

1)      “Non ce n’è per nessuno ormai, di tutta la Grecia è il più esaltante degli eroi!”

2)    Decisamente non è un grande fan dei sandali.

 

Per chi non l’avesse ancora saputo, ho pubblicato la one-shot rossa relativa al capitolo 23 (Ragione e Sentimento): A thousand kisses – Lo Specchio delle Anime.

 

 

 

Punti importanti:

 

» 1 – Il riferimento è sempre alla tragedia di Sofocle, l’Antigone, appunto. Breve riassunto: Antigone è figlia di Edipo (quello che credeva di aver ucciso suo padre e sposato sua madre, per capirci, e che si è ammazzato per il rimorso), quando i suoi fratelli si sono scontrati ed uccisi per il controllo di Tebe, lei ha sfidato suo zio (ed attuale Re), Creonte, perché aveva vietato che il fratello perdente fosse seppellito. Scoperta, pur essendo la nipote del re e fidanzata del figlio di quest’ultimo, è stata comunque condannata ad essere abbandonata in una caverna buia, con un minimo di cibo ed acqua per sopravvivere (Creonte ha applicato ciecamente la legge, andando contro l’umanità e la giustizia). Qual è il problema? Il figlio di Creonte si è ammazzato, così anche sua moglie e quindi lui, preso dal rimorso, è andato a ripescare sta nipote sventurata dalla grotta, trovandola però morta stecchita. Tragedia, appunto. Antigone e Creonte sono diventati i rappresentati del grande scontro filosofico che caratterizza lo studio della giurisprudenza: sono più importanti le regole o la giustizia? È un po’ una cosa alla “chi è nato prima, l’uomo o la gallina?”, quindi non starò qui ad approfondire.

 

» 2 – Sempre una citazione dall’Antigone: “Molte sono le cose mirabili, ma nulla è più mirabile dell’uomo”.

 

» 3 – Riferimento temporale esterno: mentre per Draco ed Hermione sono passati due/tre giorni da quando le cose si sono “chiarite” e lui si è risvegliato dal sonno del Djinn, all’esterno sono passate quasi due settimane. Questo vuol dire che sono più o meno al 14 dicembre e la scadenza del 21 si avvicina. Draco è andato da sua madre prima di partire per la Grecia, le ha parlato delle sue intenzioni ma non ha detto esplicitamente che lui e la signorina Granger hanno concluso qualcosa, per evitare di traumatizzare quella poveretta. Hermione, ovviamente, è andata da Ginny. Girl Power.

 

» 4 – Povero, povero Draco. Anche lui, come me, non soltanto fa schifo a legger da vicino (presbiopia), ma è anche miope. Per coloro che, benedetti dalla natura, si staranno chiedendo se è possibile una cosa simile, posso rispondere con assoluta certezza che sì, è possibilissimo. E no, non lo dico perché mia sorella è un ottico, ma perché io stessa non vedo da vicino e non vedo da lontano. Sono una talpa e Draco condivide il mio dramma. Come ha fatto a vivere tante avventure pur essendo un pochetto cieco (non ai miei livelli, per fortuna)? Si portava gli occhiali, di solito. E comunque le sue condizioni sono recentemente peggiorate a causa di vari problemi nell’ultima missione prima di Hermione. Magari lo spiegherà lui stesso.

 

» 5- Ovviamente, la frase presente in ogni tribunale è “la legge è uguale per tutti”. Ho pensato che i maghi la vedessero in modo un po’ diverso, soprattutto perché spesso davanti ai tribunali in questione si potevano presentare elfi o altre creature per le quali la legge non era uguale. Quindi, la legge vince su tutto, perché ci sono leggi diverse per ogni categoria e per ognuna deve esser sovrana. Un concetto terrificante, i possibili giuristi in ascolto (?) concorderanno con me. È un’idea terribilmente legata ai regimi autoritari.

 

» 6 – Aaah, il Tribunale di Hogwarts. L’ispirazione è arrivata direttamente dal Tribunale di Norimberga che, per chi non lo sapesse, è il tribunale creato alla fine della Seconda Guerra Mondiale per giudicare i capi nazisti e fascisti d’Europa. Questo tribunale è stato molto criticato, perché ha praticamente permesso che uno stato intero (la Germania) fosse giudicato da altri stati, oltretutto gli stati vincitori della guerra. È un concetto un po’ particolare, ma, da persona che studia legge, vi assicuro che è terrificante e sbagliato, per quanto, naturalmente, sia stato necessario. Il Tribunale di Hogwarts è stato molto simile: chi giudica, quando molti giudici sono corrotti o indagati? Sono stati chiamati giudici stranieri, da varie parti d’Europa, per aiutare i pochi ancora salvi. È un tribunale speciale, creato appositamente per giudicare i Mangiamorte e i loro affiliati. Anche i Malfoy sono stati chiamati in causa, ma l’intervento di Harry e varie prove li hanno aiutati a passarla relativamente liscia. Lucius è stato arrestato finché non si è ammalato, mentre Draco e Narcissa non sono stati coinvolti.

 

» 7 – Hicklebottom è il Capo di Hermione (compare nel primo capitolo, ma viene solo accennato) ed è, probabilmente, il più grande Inquisitore della Storia. Disordinato ai limiti dell’assurdo, ha una memoria fotografica che gli consente di non dimenticare alcun dettaglio. Un grande giudice si riconosce dalla sua conoscenza della legge e anche dalla sua umanità: quest’uomo odia dover condannare e cerca sempre il buono nelle persone, per questo le sue sentenze sono sempre considerate come giuste e corrette. Lui è il mio mito e l’eroe di Hermione.

 

» 8 – Letteralmente “legge dura, ma legge”. In pratica è ciò che Hermione ha inizialmente affermato, cioè che la legge va applicata sempre, a prescindere da quanto sembri dura o sbagliata (l’esempio di Barty Jr). Questo è un concetto che ancora oggi va applicato, ma senza dimenticare la giustizia.

 

» 9 – Ancora una volta, l’ispirazione è Supernatural, con gli Spettri Vendicatori. Draco spiega piuttosto bene cosa sono, ma lo ripeto per amor di chiarezza: come i fantasmi, anche gli spettri tornano indietro perché hanno faccende in sospeso. In questo caso, però, le loro faccende riguardano la morte e la tortura di chi considerano colpevole. Ovviamente quella non è Rosemary, anche perché lei non avrebbe mai portato rancore a Lucius. Semplicemente, il Dàimon sapeva bene che Draco avrebbe reagito di più avendo davanti lei, piuttosto che qualcun altro, esattamente come Hermione ha dovuto essere spinta dal suo capo, che per lei è simbolo di grandezza giuridica.

 

» 10 – Dai, secondo voi non c’è una sedia delle torture nei sotterranei del Manor?

 

» Alla fine dei conti, è grazie ad Hermione se il vecchio Lucius non è crepato ad Azkaban anni prima. Credete che, se si sveglierà mai, riuscirà a digerire la nuora? (Probabilmente non si sveglierà, ma non è importante ora). Lei non ha detto nulla a Draco perché, come Theodore Nott (mi piace riabilitare i Serpeverde, soprattutto dopo quello che hanno fatto al povero Theo in Cursed Child) aveva immaginato ai tempi, sapeva che lui non l’avrebbe presa bene. Forse dopo ne discuteranno e lui la ringrazierà, forse no. Chi li capisce sti due è bravo.

 

» Ginny, mia piccola e dolce guerriera. Questa ragazza ha resistito alla tentazione di far fuori la causa di tutti i suoi mali ed è pure riuscita a dire due paroline alla signora in favore di Hermione. Vi rendete conto di quante ne sta passando? Senza la famiglia alle spalle, con un lavoro da portare avanti e con Harry che ogni giorno diventa più debole. Io dico solo wow. E le sue perle di saggezza finali? Evidentemente lei ha raccolto tutto il cervello della famiglia.

 

 

In questo capitolo ho tirato fuori tutta la mia spocchiosità da futuro avvocato, lo so, spero di non aver scritto un papello troppo pesante da digerire! Vi siete addormentati tutti? No, perché i prossimi non saranno migliori. Posso anticipare che, a breve, potrebbe saltar fuori la verità su quello che Ronald ha fatto alla povera Hermione.

 

Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare in tempo! Buon Ferragosto a tutti, anche a quelli che, come me, resteranno su di un divano a godersi la calma ed il possibile fresco!  

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 28
*** Atto XVI - Parte IV/ Aristos Achaion ***


Lo Specchio delle Anime.

 

 

 “Ettore, forse credevi, mentre toglievi le armi a Patroclo,

di farla franca, non avevi paura di me che ero lontano,

sciocco! Pur lontano da lui, guerriero molto più forte

 in riserva alle navi ricurve restavo io,

che t’ho piegato i ginocchi: di te cani ed uccelli

faranno scempio, a lui sepoltura daranno gli Achei”.1

 

[Achille – Iliade, Omero (vv. 331-336)]

        

 

 

 

Atto XVI – Parte IV

Aristos Achaion2.

 

 

«Mi dispiace, Maestro».

La voce dell’apprendista tremò, mentre si inginocchiava davanti all’uomo incappucciato. Aveva temuto quel momento con tutto il cuore, sapeva che prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con i suoi fallimenti.

Semplicemente, avrebbe preferito rimandare.

«Mi avevi giurato che sarebbe stato facile» la voce fredda dell’uomo fece tremare le sue ossa. Lo vide spostarsi intorno alla scrivania e si sentì morire.

Era giunta la fine della sua misera vita?

«Ho fatto ciò che ho potuto, Maestro, ma la Granger-» tentò di giustificarsi, fermandosi sentendo il colpo di tosse del suo capo. Aveva voglia di piangere, ma sarebbe stato poco utile e poco dignitoso. «Credo abbia notato le mie tracce».

«Non abbiamo molto tempo, allora. Da quanto tempo non ci sono notizie di quei due?» domandò ancora lui, schiarendosi la voce. Sembrava molto più stanco di quanto non fosse mai stato. Forse era un buon segno, magari aveva contratto una qualche malattia rara ed era sul punto di morire e porre fine al suo terrore.

«Due settimane, Maestro» rispose, cercando di non alzare lo sguardo su di lui. Se avesse compreso la speranza con cui aspettava la sua prematura dipartita? Aveva paura delle conseguenze. «Non sappiamo dove sono, ma dubito siano andati lontano… i nostri uomini di guardia allo Specchio non hanno ricevuto notizie. Potrebbero semplicemente essersi persi».

Il Maestro fece un verso sprezzante, intrecciando le mani davanti al viso. «Se credi che possano essersi persi, li sottovaluti così tanto da non meritare di lavorare al mio servizio. Non sottovalutare mai un Malfoy, hanno più vite di un gatto e sono più furbi delle volpi. Quanto alla Granger, in guerra è stata la mente del Golden Trio. Quella ragazza ha più sale in zucca di tutti i miei seguaci messi insieme» sbottò, tossendo ancora una volta. Era pallido, per quanto possibile. «No, non penso si siano persi. Staranno certamente tramando qualcosa. Fai aumentare la guardia allo Specchio e manda qualcun altro a cercarli».

Con una certa agitazione, l’apprendista si guardò intorno, come in cerca di aiuto. I Mangiamorte presenti – spaventosi nei loro abiti scuri e nelle loro maschere d’argento – restarono immobili, senza sembrare disposti a concedere neppure un piccolo aiuto. Li guardò con stizza, per un momento, ma cercò presto di ricomporsi. Gli occhi del Maestro non si erano spostati dal suo corpo, pronti a giudicare qualunque debolezza. «Subito, Maestro. C’è altro che posso fare, per tranquillizzarla?».

L’uomo sembrò riflettere per qualche istante, prima di sospirare. «No, va bene così. Sono assolutamente certo che non avremo ulteriori problemi, il mio piano è troppo perfetto».

No, non è vero.

Avrebbe voluto urlarglielo in faccia, ma non lo fece. Sarebbe stato soltanto un rischio in più per David, non poteva permetterlo. Che quell’uomo orribile si crogiolasse nel suo egocentrismo.

La speranza che la Granger e Malfoy riuscissero nel loro intento fece sorridere l’Apprendista. Avrebbe certamente trascorso il resto della vita ad Azkaban, se davvero li avessero scoperti, ma l’avrebbe fatto volentieri.

Tutto, pur di far sì che quell’uomo avesse il trattamento che meritava.

«Come desidera, Maestro» disse comunque, alzandosi in piedi ed inchinandosi leggermente. «Riferirò gli ordini».

Lasciata quella stanza buia, tirò un sospiro di sollievo.

Doveva farlo per David. 3

 

***

 

Il ringhio del leone la fece trasalire, se riuscì a trattenersi dall’urlare fu soltanto per orgoglio. Draco, diversamente da lei, non sembrava turbato da ciò che avevano sentito, tutt’altro. Il suo sguardo, sentendo quel suono, si era fatto ben più attento e – lei quasi non gli assestò un cazzotto, quando capì – felice.

C’era la possibilità che un leone o una creatura peggiore li attendesse nel buio del corridoio e lui aveva il coraggio di rallegrarsene.

Assurdo.

«Si può sapere cosa trovi così divertente?» gli domandò, con un sibilo ansioso, aggrappandosi al suo braccio e guardandosi intorno freneticamente. «E non provare a negare, Malfoy, lo vedo quel sorrisino sulla tua stupida faccia. Quello era un ruggito» gli fece notare, forse temendo che lui non avesse sentito bene.

Lui, incurante di essere sul punto di ricevere un pugno in faccia, rise apertamente. «Mi sorprendi, mon Ange, tu non eri forse una figlia del leone? Voi Grifondoro siete sempre così fieri del vostro simbolo… dovresti gioire all’idea di poterne incontrare uno dal vivo» le fece notare, schivando per un pelo lo schiaffo di lei. Rise più forse, dandole un buffetto gentile sul braccio. «Non prendertela, davvero. Sono tranquillo solo perché so che quello non è un vero ruggito da leone».

Accigliata, Hermione si voltò a guardarlo. «Come fai a saperlo?» gli domandò, mentre le sue sopracciglia scure si arcuavano di più. «Se stai per dirmi che da piccolo hai avuto un leone di compagnia, giuro che mi metterò a gridare» lo ammonì, sentendo una certa angoscia crescerle nel petto. Il fatto che evitò completamente la prima affermazione di lui avrebbe dovuto far suonare un qualche campanello d’allarme, ma Hermione sperò di passarla liscia.

La verità era che provava un terrore assoluto per i leoni. Fin da bambina, il solo vederne uno su National Geographic la riempiva di così tanto terrore da spingerla a nascondersi dietro il divano. Il giorno in cui aveva scoperto che il simbolo di Grifondoro fosse proprio quell’animale, sperò con tutta se stessa di essere smistata il più lontano possibile.

Naturalmente, la buona stella non l’aveva ascoltata.

Col senno di poi, non avrebbe saputo dire se fosse stato un bene oppure un male.

«Niente di tutto ciò, Malfidata-Granger» le disse, lanciandole uno sguardo storto. «Ho passato due anni in Africa, per le mie ricerche. Il ruggito dei leoni nella Savana è stato la mia sveglia per un bel po’ di tempo» spiegò, ridacchiando quando lei impallidì e deglutì. «Vuoi dirmi che ti prede? Hai affrontato un Ubir4 a sangue freddo, un leone deve essere una passeggiata. Per Merlino, è stato una passeggiata per me» aggiunse, estremamente esasperato.

Punta sul vivo, Hermione strinse le labbra ed arrossì di colpo. «Beh, Harry ha paura dei piccioni5, i leoni sono giustificabili» si difese, prima di sgranare improvvisamente gli occhi. Aveva appena detto qualcosa di orribile, il suo migliore amico non l’avrebbe mai perdonata, se l’avesse saputo. «Ti prego, non dirgli che te l’ho detto».

Dal canto suo, Draco sembrava esser rimasto bloccato alle prime parole di lei. «Piccioni?» ripeté, infatti, con le sopracciglia sollevate. «Mi stai dicendo che Potter, il Bambino Sopravvissuto, ha paura dei piccioni? Il ragazzo che ha affrontato Tu-Sai-Chi e il suo dannato serpente-».

«Beh, il serpente l’ha ucciso Neville, in realtà» gli fece notare Hermione, accigliata. «Comunque sì. Sono fobie e tu non puoi permetterti di prenderlo in giro, ok? Se mai dovesse svegliarsi, ovviamente» pronunciare le ultime parole fu difficile, per lei, nonostante avesse iniziato a venire a patti con la possibilità che avrebbe perso Harry per sempre. Era una lezione che aveva dovuto imparare, quella di non riporre troppe speranze nelle miracolose guarigioni.

Draco, probabilmente conscio delle sue emozioni contrastanti, le passò un braccio intorno alle spalle e strinse leggermente. «Non preoccuparti, non gli dirò nulla. Ho idea che io e Potter» pronunciò quel cognome con la stessa spocchia che usava da ragazzino, tirando fuori anche la smorfia abbinata6, «dovremo passare molto tempo insieme. Se voglio avere una pacifica vita coniugale, tanto vale sotterrare da parte l’ascia di guerra».

Vita coniugale. Quelle parole rimbombarono fra le pareti del cuore di Hermione come un incantesimo in una stanza piena di specchi. Avrebbe voluto tirar fuori una qualche risposta carica di sarcasmo, ma non ci riuscì. Quel maledetto luogo ed il vincolo alla verità le impedivano di mentire, anche soltanto una bugia per amor di ironia.

«Non ho ricevuto alcuna proposta e non ho accettato nulla, parlare di vita coniugale mi sembra un po’ affrettato» gli fece notare, allora, tossicchiando per schiarirsi un po’ la voce. Sentiva un calore, nel petto, che per poco non la soffocò. «Oltretutto, non sappiamo neppure se riusciremo ad uscire di qui sani e salvi» mormorò, scuotendo leggermente il capo. «Soprattutto, non sappiamo se ne verremo fuori mentalmente sani» puntualizzò, lanciandogli un’occhiata preoccupata.

«Ah, Mezzosangue, secondo me ti preoccupi troppo» ribatté lui, tranquillo. Da quando avevano lasciato il Tribunale, sembrava essersi convinto che il peggio fosse passato. Ma lei non concordava affatto: il peggio doveva ancora arrivare. «Quando usciremo di qui, ricordami di portarti in vacanza da qualche parte, così potrai rilassarti un po’. La futura madre dei miei figli non può stressarsi in questo modo».

Nonostante desiderasse dire qualcosa di molto cattivo su tutta la storia della futura madre dei suoi figli, Hermione non riuscì a dire nulla. «Sei davvero ottimista, lo sai?».

«Davvero troppo ottimista» disse qualcun altro, lo scherno nella voce, proprio dietro di loro. Quando si voltò, Hermione si convinse di aver appena incontrato l’uomo più bello mai passato per la faccia della terra.

Alto, muscoloso quanto bastava, con lunghe gambe snelle, favolosi capelli color dell’oro e profondi occhi azzurri. L’uomo – o Dàimon? – sorrise, poggiando una spalla alla parete di marmo ed incrociando le braccia al petto, mettendo involontariamente in evidenza i bicipiti ben definiti. Hermione si sentì quasi mancare, osservandolo, e dovette far leva su tutta la sua forza di volontà per non iniziare a sbavare come una sciocca.

Ulisse era bello, per carità, ma quell’uomo era l’incarnazione di Eros molto più di quanto non lo fosse Malfoy. Oltretutto non indossava la tunica greca ma degli abiti che sembravano appena usciti da una casa di alta moda.

Alla strega tremarono le gambe.

«Ho idea di conoscere già la tua identità» si lagnò proprio Draco, facendo una smorfia. «E dimmi, principe di Ftia, per quale motivo io non dovrei essere ottimista?» chiese, inarcando le sopracciglia.

Principe di Ftia, aveva detto.

Hermione fu sul punto di inspirare bruscamente, quando comprese.

Achille.

«Perché non è mai esistito un eroe che sia stato felice7» intervenne un’altra voce, questa volta dalla loro destra, con un tono ironico e carico di una tristezza profondissima e tanto, troppo dolore. Voltandosi, Hermione si trovò davanti ad un uomo davvero enorme, pieno di muscoli in luoghi in cui lei non credeva neppure ci fossero muscoli che, tuttavia, non sdiceva, apparendo proporzionato nel su strano modo. Aveva lunghi capelli rossicci ed un gran bel mento marcato. Era vestito alla greca ed aveva un mantello fatto di pelliccia che – Hermione ne era abbastanza certa – doveva esser appartenuta ad un leone.

Il leone Nemeo.

«Eracle» salutò Draco, piegando leggermente il capo. «Non hai portato la clava? Sono abbastanza deluso, pensavo fosse la tua inseparabile amica» aggiunse, divertito, senza farsi intimorire dall’occhiata cupa che l’eroe gli dedicò.

«Se vuoi vado a prenderla, piccolo umano» gli rispose allora quello, con una smorfia. Poi, seccato, alzò gli occhi su Achille. «Questo qui ti somiglia. Tutti e due biondi, fastidiosi e presuntuosi».

Achille, tranquillo, si strinse nelle spalle, incantando Hermione con quel singolo movimento. «Allora potrebbero avere qualche possibilità di sopravvivere» gli fece notare. «Un minimo di cervello, in questa missione suicida, non può che aiutarli. Agitare la clava non basterà, questa volta».

Il grugnito con cui Eracle gli rispose avrebbe fatto sorridere Hermione, se non fosse stata terrorizzata da ciò che avrebbe dovuto affrontare in breve tempo. I più grandi eroi della storia greca erano lì, davanti a lei, e dovevano presentare loro delle prove che avrebbero potuto distruggere il loro fragile equilibrio mentale.

«Un minimo di cervello, disse l’uomo dal tallone fragile, andato in guerra con i sandali».

«Era la moda dell’epoca, per l’amor di Zeus, perché devi sempre tirare fuori questa storia?».

Draco, decisamente non divertito da tutto quel battibecco, si schiarì la voce ed attirò l’attenzione dei due. «Non vorrei certo interrompervi, ma noi abbiamo più o meno ventiquattro ore per superare le vostre prove ed impedire che il mondo ci collassi sotto ai piedi. Se per voi non è un problema, gradirei conoscere il mio destino» disse, sarcastico, incrociando le braccia al petto. Lanciò uno sguardo tagliente ad Hermione, come a chiederle di mettere da parte gli ormoni e darsi una svegliata.

Dal canto suo, lei non poteva certo dargli torto. Se davanti a loro ci fossero state due ragazze belle quanto quei due, probabilmente avrebbe tenuto lo stesso atteggiamento del suo accompagnatore.

Quando era passata dal non riuscire ad avvicinare un uomo a non riuscire a togliere gli occhi di dosso ad un uomo?

Era tutta colpa di Malfoy, ne era più che certa. Avrebbe dovuto aspettare qualche settimana prima di darle un metaforico calcio nel sedere e mostrarle quanto amore potesse ancora ricevere, nonostante tutto.

«Il biondo ha ragione» convenne Eracle, con un sospiro rassegnato, avvicinandosi ai due, la pelliccia di leone che ondeggiava leggermente alle sue spalle. «Dovrete affrontare una prova, forse la peggiore di tutte, e la affronterete entrambi. Una prova che neppure i migliori sono riusciti a superare».

«Beh» Achille, punto sul vivo, lanciò uno sguardo irritato all’altro uomo. «Se proprio vogliamo essere pignoli, io la mia l’ho superata, alla fine, e sono stato anche piuttosto-».

«Oh, sì, l’hai superata benissimo. Dimmi un po’, per quanto tempo hai trascinato il corpo di Ettore come un sacco di patate?» sbottò Ercole, vagamente irritato da quella interruzione. Sbuffando, si voltò verso Hermione e Draco, cercando di placare la sua espressione bellicosa. Era spaventoso, nessuno avrebbe potuto negarlo, ma era anche terribilmente triste e lei non riusciva a non provare pena per lui. «Questa è una prova terribile e nessuno potrà mai farvi una colpa, se non la superate. State mettendo in gioco qualcosa di ben più caro della vostra vita, il fallimento sarà comunque causa di onore e gloria per voi».

«Nessuno sa che siamo qui» gli fece notare Hermione, che trovava molto più semplice parlare con lui e non con Achille, troppo bello per essere umano. «Nessuno scriverà canzoni sulle nostre gesta e nessuno costruirà monumenti. Se falliremo, il mondo saprà che abbiamo fallito, tutto qui» le parole lasciarono le sue labbra con ben più stizza di quanto lei avrebbe desiderato, cosa che fece sorridere amaramente il biondo eroe.

«Se ce la farete, però, nessuno potrà sapere cosa avete affrontato qui. Nessuno potrà sapere dell’Arazzo e di noi Dàimones. In ogni caso, la gloria sarà difficile da ottenere» le fece notare proprio lui, con un tono più adulto di quello usato fino a quell’istante. «Superare la prova potrebbe farvi perdere ciò che avete di più prezioso al mondo e allora, posso assicurartelo, la Gloria non avrà più alcuna importanza, per voi».

Sta parlando di Patroclo, realizzò Hermione, sentendo una stretta al cuore. Per vincere la guerra, Achille aveva dovuto perdere il grande amore della sua vita, morendo a sua volta in poco tempo. Si voltò quindi verso Draco, quasi a voler controllare che lui fosse ancora al suo fianco, che stesse ancora bene. Incontrare i suoi occhi grigi la tranquillizzò solo in parte: l’immagine della sua anima che gli veniva strappata a forza dal Dissennatore era ancora marchiata a fuoco nella sua memoria.

Se dovessi perderlo, dovrei salvare comunque il mondo e allora la Gloria non mi servirebbe a nulla.

«Cosa dobbiamo fare?» chiese quindi Draco, improvvisamente nervoso. Che avesse avuto lo stesso pensiero di Hermione? «Se si tratta di una prova che entrambi avete fallito, comincio sinceramente a preoccuparmi».

«Ciò che ci ha distrutti è stato il nostro difetto mortale» iniziò Eracle, una strana tensione nella voce. «Il mio difetto è stato la fiducia malriposta, il suo è stato l’orgoglio». I suoi occhi indugiarono su Hermione e Draco per un tempo che parve interminabile, poi sorrise. «Quali sono le vostre debolezze?».

«Una volta attraversata quella porta» continuò Achille, indicando i grandi battenti che si stagliavano alle loro spalle, «sarete voi due contro i vostri peggiori demoni. Ricordate che i difetti mortali non possono essere vinti. Semplicemente, dovrete accettarli per come sono ed imparare a conviverci, andare oltre. Tutti ne abbiamo almeno uno ed è quello che, in uno scenario relativamente apocalittico, conduce alla morte».

Hermione, sentendo un peso nello stomaco, annuì. Era una storia che aveva già sentito. «Ercole, tu ti sei fidato nel lasciare solo il centauro Nesso, che ha spinto tua moglie ad avvelenarti, mentre lui…» e si voltò verso Achille, intento a fissare le porte precedentemente indicate. «Mentre tu hai portato Patroclo in battaglia, troppo orgoglioso per dimenticare lo sgarbo di Agamennone». Con un sorriso triste, allora, si voltò verso Malfoy. «Il difetto di Harry, invece, è il voler fare tutto da solo. Se avesse parlato con qualcuno dei suoi sintomi prima di cadere in trance, avremmo potuto aiutarlo. Questa volta come tante altre» convenne, con un sospiro. «Sei pronto, Draco?».

Lui, che non le aveva tolto un momento gli occhi di dosso, si limitò ad annuire.

«Non abbiamo molta scelta, ormai».

 

***

 

Era stato Achille ad accompagnarli oltre la soglia, il viso da divinità contratto in una smorfia preoccupata. Hermione, naturalmente, non aveva fatto altro che lanciargli occhiate che andavano ben oltre la curiosità, con grandissimo disappunto di Draco. Nonostante non potesse darle torto – anche lui doveva ammettere che quel giovane uomo fosse assolutamente meraviglioso – non riusciva a far a meno di essere geloso. Lui non aveva mai ricevuto tante attenzioni, da lei.

Non che avessero avuto molte occasioni, da quando le cose si erano chiarite.

«Avete conosciuto Patroclo, immagino» mormorò l’eroe, dopo qualche minuto di silenziosa camminava, lanciando ad entrambi uno sguardo storto. Draco riconobbe lo scintillio in quegli occhi chiarissimi e, per un istante, dimenticò qualunque astio. Nostalgia. «Vi ha avvertiti di non prestarmi troppe attenzioni? Di solito è la prima cosa che dice ai nostri visitatori».

Con sua stessa meraviglia, Malfoy si ritrovò a sorridere. «Non ci ha detto nulla di te, in realtà. Stanotte farai bene a tirargli le orecchie, dopo millenni potrebbe aver iniziato ad averne abbastanza di te» gli disse, divertito, schivando per un pelo la gomitata che Hermione aveva tentato di assestargli. Guardandola con esasperazione, si sorprese nel notare quanto triste fosse il suo sguardo.

A chiarire i suoi dubbi fu lo stesso Achille.

«Noi non ci vediamo dalla venuta di Alessandro Magno»8 disse infatti lui, con un tono così freddo da far venire i brividi. Era figlio di una dea del mare, secondo il mito. «Non credo ne abbia abbastanza, di me, ma piuttosto che possa aver iniziato a dimenticarmi». La sofferenza, nella sua voce, era affilata come un coltello. Hermione, al suo fianco, gli strinse il braccio in una presa micidiale, come a volergliela far pagare per quel dolore evidente in ogni movimento dell’eroe.

«Non potrebbe mai dimenticarsi di te» gli disse infatti, la voce piena di dolcezza e compassione. «Siete innamorati, il vero amore non è qualcosa che il tempo può lenire, non credi anche tu? Dopotutto, è per amore che siete morti, entrambi».

«Io non sono morto per amore, mia cara». L’eroe le sorrise, un po’ più rilassato, ma con le spalle ancora molto rigide. «Ho ucciso Ettore per vendetta ed ho continuato a combattere perché, a quel punto, era l’unico modo che avevo per farla finita» ammise, scuotendo leggermente il capo. «Lui è sempre stato molto più coraggioso di me, lui è morto per amor mio e per evitare sofferenze continue ai nostri uomini. Era Patroclo il vero Aristos Achaion, il migliore di tutti i greci».

«Ma tu eri il più forte» gli fece notare Draco, cercando, forse, di essere incoraggiante. Non era mai stato il suo forte, l’incoraggiamento. Molto più facile aggirare il problema e lasciare che qualcun altro – la Granger, per esempio – se ne prendesse cura. Lei, però, sembrava un po’ troppo presa dalle emozioni e non pareva intenzionata a fare il suo lavoro. «Era destino che succedesse».

«Ah, il destino» commentò Achille, con un sorriso amaro. «Le profezie sono soltanto scherzi che le divinità giocano ai poveri mortali. Hanno rovinato molte più vite di quante non ne abbiano salvate».

Hermione, concorde, annuì. «Oltretutto, Divinazione è una branca della magia che io proprio-».

Draco.

Improvvisamente, Malfoy si fermò, le orecchie tese a captare qualunque suono potesse provenire dalle sue spalle. Aveva sentito piuttosto distintamente qualcuno chiamare il suo nome, ma, voltandosi, non aveva scorto nessuno. Fece per tornare sui suoi passi, ma il richiamo tornò, ben più chiaro di prima.

Draco, cosa stai facendo?

Lui conosceva quella voce. La conosceva e l’idea che la sua prova potesse riguardare quella persona anche solo lontanamente gli fece venire i brividi dal terrore. La nausea, sempre presente quando quella questione veniva riportata alla sua attenzione, ruggì improvvisamente dalla bocca del suo stomaco.

Sei davvero un bambino cattivo!

Era lei, non c’erano dubbi al riguardo. Come trascinato da una mano invisibile, insensibile ai richiami sempre più preoccupati di Hermione, si ritrovò a seguire il suono lungo una cavità nella parete che non era riuscito a notare prima. Il marmo bianco rifletteva la luce della sua bacchetta creando degli strani giochi sul soffitto, quasi ci fosse stata dell’acqua proprio sotto i suoi piedi.

Acque gelide di un lago in inverno, si ritrovò a realizzare sentendo l’orrore crescere in lui ad ogni battito cardiaco accelerato. Anche l’aria iniziò a cambiare, il suo respiro si condensò ed un fastidioso profumo di bosco invernale gli arrivò alle narici, mentre una luce grigiastra iniziava a circondarlo.

Il sole di una cupa mattinata d’inverno, quando la neve era ancora troppo fresca ed il ghiaccio troppo tenero.

«Draco?».

Hermione ed Achille, alle sue spalle, avevano assistito alla trasformazione di quel luogo. Da un cupo e buio corridoio, si erano ritrovato a calpestare l’immacolato manto bianco che aveva ricoperto Malfoy Manor nell’inverno del 1987. Le mura scure del palazzo sembravano meno inquietanti di quanto non fossero mai state prima, gli alberi spogli sembravano ricoperti di batuffoli di cotone e due bambini – un maschietto ed una femminuccia – giocavano allegri vicino la riva del piccolo lago ghiacciato.

«Non voglio rivederlo», fu tutto ciò che Draco si sentì di dire, sentendo delle dita gelide arpionargli la gola per impedirgli di parlare. Il suo primo istinto era stato quello di cercare una via di fuga, ma, voltandosi, non ne aveva trovate. Non c’era modo di tornare nel corridoio buio. Allora, ignorando completamente gli occhi scuri e preoccupati della donna che amava, si voltò verso l’eroe. «Ti prego, non voglio rivederlo».

Achille, il viso fermo in un freddo disappunto, si limitò a scuotere il capo. «Questa è l’unica via, Draco. Affronta il tuo più grande difetto e allora sarai libero» gli disse, indicando con un cenno la coppia di bambini. Poi, accennando un lieve sorriso, indicò Hermione. «Non devi essere da solo, però. Non questa volta».

Dal canto suo, la strega sembrava sul punto d’avere una crisi d’ansia. Si stava torturando le mani, alternando lo sguardo fra i bambini e Draco stesso, come in cerca di una qualche spiegazione.

Mi amerà, dopo aver saputo?

Il rischio era immenso, ma le conseguenze della sua codardia lo sarebbero state molto di più. Non poteva permettere che il mondo finisse nuovamente fra le mani di Lord Voldemort – o dei suoi nuovi accompagnatori – e che tutte le persone che amava tornassero a vivere nel terrore che lui e tanti altri avevano conosciuto.

Non ci sarebbero più state altre Rosemary Crave.

Senza sembrare voler dire nulla, Draco fece cenno ad Hermione di seguirlo, avviandosi verso il lago. Ogni passo gli sembrò pesantissimo, insopportabile. Il gelo della neve lo stava torturando, ma non poteva permettersi di fermarsi, altrimenti avrebbe perso tutto il suo coraggio.

«Chi sono quei bambini?» domandò quindi lei, indicando la coppia. A quella distanza, si vedeva chiaramente che la femminuccia dovesse essere un po’ più grande, anche se non di molto. Tre anni, per la precisione. «Il maschietto… sei tu» continuò lei, portandosi la mano alle labbra, una volta riconosciuta la sua versione più giovane.

«Avevo sette anni» le disse, inumidendosi poi le labbra. Non sentiva davvero freddo, ma era come se quei fiocchi di neve fossero penetrati direttamente nelle sue ossa. «Questa era la prima nevicata dell’anno, l’avevo aspettata con impazienza» le rispose, provando l’irrefrenabile desiderio di avvicinarsi al piccolo se stesso e darsi un colpo dietro la nuca un attimo prima di avere la geniale idea di provare qualcosa di nuovo.

«Eri molto carino, anche se, probabilmente, spocchioso come sei ora» gli fece notare la Mezzosangue, forse tentando di mantenere i toni leggeri, affiancandolo ed indicando la bambina. «Lei chi è? Ha qualcosa di familiare».

«Si chiamava Vega» mormorò Draco, mentre le dita gelide chiudevano di più la presa sulla sua gola. «Vega Lestrange9, la figlia di mia zia Bellatrix». Il silenzio che seguì alle sue parole l’avrebbe fatto sorridere, se non fosse stato sul punto di piangere. «Avrebbe iniziato Hogwarts a settembre, non faceva altro che parlarne. Nonostante il corredo genetico marcio, lei era solo una bambina, Mezzosangue, non puoi portarle rancore per i gesti di sua madre» le fece notare, sentendosi un po’ colpito. Sì, era figlia di Mangiamorte, ma dopotutto lo era anche lui, lo era anche Merrick e lo era Theodore Nott, che era diventato uno dei migliori avvocati della Comunità Magica.

«Non le porto rancore, è innocente» fu la risposta che ottenne da Hermione, più tranquilla di quanto avesse immaginato. «Ero solo sorpresa che qualcuno così simile a Bellatrix potesse sembrare innocuo» specificò, scuotendo il capo. «Andromeda le somiglia molto, ma lei è un po’ inquietante» aggiunse, con un leggero sorriso, per poi tornare a concentrarsi sui bambini. «Deduco che sia morta, non ho mai sentito parlare di lei».

Sentendo un peso nello stomaco, Draco annuì. Il suo doppione più giovane era appena saltato giù da un ramo ed era atterrato sulla superficie ghiacciata del ghiaccio. Anche da quella distanza, gli sembrò di sentire uno scricchiolio sinistro. Con orrore, vide Vega arrampicarsi a sua volta, incurante della pericolosità delle sue azioni.

«Ero piccolo ed ero stupido, credevo che fosse un gioco divertente» mormorò, senza riuscire a staccare gli occhi da quella scena. «Vega era più grande di me, era venuta al Manor per le vacanze di Natale e mia madre le aveva chiesto di controllarmi. “Non servono gli elfi, zia”, le aveva detto, e mi aveva trascinato fuori» con mano tremante, indicò il ramo dell’albero su cui la bambina era ormai salita, stranamente scricchiolante. «Credevamo fosse divertente» ripeté, agonizzante. In quell’istante, il ramo si spezzò e la bambina atterrò, con un tonfo, sulla superficie ghiacciata. «Il ghiaccio era troppo sottile, per reggere tutto quel peso» continuò, proprio mente una voragine si apriva sotto la rampolla di Bellatrix e Rodolphus Lestrange, priva di sensi.

«Per Merlino…» il sussurro di Hermione fu solo benzina sul fuoco del rimorso che gli ardeva nel petto. Sentire improvvisamente la sua mano nella sua, però, fu una piacevole sorpresa.

Lei ancora non sapeva.

«Sono scappato» ammise alla fine, mentre la bambina spariva sotto la coltre di ghiacci ed il suo piccolo doppione correva via, come se avesse avuto il diavolo alle calcagna. «Sono corso in casa, c’era soltanto mia nonna… non è arrivata in tempo. Quando è tornata in casa, con il corpo di Vega fra le braccia… ricordo solo di esser stato schiaffeggiato e di aver sentito, per la prima volta, la più grande fra le verità».

«Quale?».

«Sono indegno del mio nome, sono indegno del mio sangue. Avrei potuto fare qualsiasi cosa, per aiutarla, ma ho preferito scappare via, preoccupato che potessero darmi la colpa per il ramo spezzato. Non sono stato abbastanza bravo per aiutarla e mia cugina è morta». Il suo doppione stava ancora correndo verso il Manor, ma di Vega non c’era più traccia. Una strana consapevolezza aveva iniziato a nascergli nel petto, una possibilità che non aveva tenuto da conto. «Ho giurato a me stesso che avrei sempre fatto la cosa giusta¸ ma per tanto tempo ho visto il giusto nelle idee sbagliate» ammise, stringendo la presa sulla bacchetta che Ollivander gli aveva riparato. «Non sono stato abbastanza bravo neppure in quello. Non sono degno di nulla».

«Draco» la voce di Hermione era carica di urgenza, la presa della sua mano era ferrea. Gli occhi scuri lo osservarono per un lungo istante, prima di puntarsi verso il lago. «Tutti facciamo degli errori e da questi impariamo. Eri un bambino, non avresti potuto fare altro. Eri un bambino anche quando ti indicavano che strada seguire. Ma adesso sei un uomo» la determinatezza con cui pronunciò quelle parole gli fece provare un brivido. «Adesso puoi essere degno, se lo vuoi. Adesso puoi essere abbastanza. Puoi essere il migliore» continuò, indicando il lago. «Non è vero che non sei abbastanza bravo, perché ora tu puoi salvarla».

Salvarla.

L’idea della Mezzosangue era così balzana da poter effettivamente funzionare. Lui era diventato forte. Lui sapeva di esser responsabile per una vita umana, non per uno stupido ramo. Non avrebbe più dovuto vergognarsi di se stesso, se avesse rimediato ai suoi errori.

Si rese conto di aver iniziato a correre verso il lago solo quando le acque gelide gli accarezzarono le caviglie, ma non si fermò. L’abbraccio dei ghiacci fu soltanto un incentivo nel nuotare più velocemente, nel cercare meglio. Era stato un buon cercatore, anche se la vista l’aveva abbandonato, e nessuno era bravo a scorgere dei piccoli bagliori meglio di un cercatore.

Quando la sua mano si strinse sul piccolo braccio di Vega, tutti gli anni di abusi, tutti gli anni di insulti da parte dei suoi parenti e di se stesso scivolarono via, come l’acqua sul suo corpo una volta riemerso. Scivolarono via, come la vergogna che lo aveva sempre seguito come un’ombra.

Lui non era inutile, non più.

Non era indegno del suo nome.

Il sorriso che Hermione gli dedicò, quando riuscì a reinnervare la bambina, fu la conferma migliore che avesse mai potuto avere.

Lui era diventato migliore, lui meritava di esser felice, nonostante il suo passato oscuro.

Mai come in quel momento desiderò di potersi inginocchiare e chiederle di amarlo, sposarlo, renderlo padre e vivere il resto della loro meravigliosa vita insieme.

Lui era degno.

E non avrebbe permesso a nessuno Specchio di portargli via ciò che aveva appena guadagnato.

 

 

 

 


»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Achille ed Ercole vecchia coppia di sposi sono il pane della mia vita.

Immaginate il primo come una versione più figa di Brad Pitt (molto più giovane, oltretutto) e il secondo in una versione umana e grossa dell’Hercules Disney! Con un bel mento marcato.

 

 

Per chi non l’avesse ancora saputo, ho pubblicato la one-shot rossa relativa al capitolo 23 (Ragione e Sentimento): thousand kisses – Lo Specchio delle Anime.

 

 

 

Punti importanti:

 

» 1 – Ovviamente, abbiamo una citazione dell’Iliade. Perché la morte di Ettore? Ma, ovviamente, perché è il punto in cui Achille è stato il migliore, il punto in cui avrebbe dovuto sentirsi carico d’orgoglio, quando in realtà voleva soltanto vendicare l’amore perduto. Non c’è orgoglio, in una cosa simile.

 

» 2 – Viene dall’Iliade, è la versione greca di “Il migliore dei greci”. È il titolo riconosciuto ad Achille, ma, come dirà lui stesso verso la fine del capitolo, Patroclo dovrebbe meritarlo.

 

» 3 – Sono stata brava, sono fiera di me stessa, sono riuscita a mantenere le cose neutrali e non vi ho dato neppure un indizio sull’identità di Apprendista e Maestro. Ahah. E chi è questo David? Boh!

 

» 4 – Riferimento alla creatura incontrata durante il viaggio ad Istanbul, nel capitolo 18.

 

» 5- Tecnicamente è uno spoiler per Cursed Child. Chi volesse sapere altro su questa schifezza immonda considerata canon e sul mio punto di vista, può leggere “I choose you”, la mia one-shot su Scorpius e Albus. Oppure leggere solo il Marnie’s corner, che credo spieghi bene tutto!

 

» 6 – La faccia è questa. Ho cercato la gif in cui proprio c’era il sottotitolo “Potter” ma non l’ho trovata! Insomma, la conosciamo tutti quella faccina schifata :’)

 

» 7 – Citazione più o meno precisa dal libro “La canzone di Achille”, che io credo di aver già nominato in qualche nota e che ADORO. E no, non sto esagerando, io ho una vera venerazione per quel libro. La frase simile è stata detta da Achille a Patroclo, prima di promettergli di fare di tutto per diventare il primo eroe felice. Ovviamente, non ce l’ha fatta.

 

» 8 – Questa devo spiegarla. Nel capitolo introduttivo dei Dàimones, si sono visti sei troni diversi, con sei corone. Praticamente i sei Dàimones si incontrano soltanto quando qualcuno supera le prove e solo per il tempo necessario a quest’ultimo per fare la domanda all’Arazzo. Considerando che Alessandro ha impedito che altri trovassero quella strada, Achille e Patroclo non si incontrano da duemila anni. Ditemi se non è una cosa bruttissima e se anche voi mi odiate quanto mi odio io. Dalla serie: mai una gioia.

 

» 9 – Sì, un altro OC. Dopo Cursed Child *ALLARME SPOILER*, quando è saltato fuori che Voldemort ha avuto una figlia con Bellatrix (cosa raccapricciante e totalmente insensata nella saga, rimando sempre alle note dell’altra mia OS), io ho deciso che non mi andava bene e che se proprio doveva avere figli, questi dovevano essere legittimi. La cuginetta, dopo l’incarcerazione della mamma, ha vissuto con Nonna Black finché non è affogata, quindi non ha fatto danni. Bellatrix, che già era fuori di testa, è impazzita di più ed ha sempre finto che Vega non fosse mai esistita.

 

» Draco, essenzialmente, ha affrontato il suo segreto più oscuro, quello di cui neanche il dottor Crave sapeva niente, motivo per cui non è mai riuscito ad aiutarlo davvero. Draco si è sempre sentito stupido, inutile ed indegno (soprattutto indegno di Hermione), cosa che l’ha toccato tantissimo a livelli profondi della sua anima. Adesso che questo segreto è venuto a galla, che lei lo ha saputo e lo ha accettato, anche lui può davvero sentirsi degno e non più un miracolato ad ogni sguardo o attenzione della ragazza. È una psicologia alla Pavlov, lo so, ma è solo un mattoncino del muro di problemi che Draco ha avuto, fin dall’infanzia. Un simbolo, diciamo.

 

» Piccolo appunto: Eracle e non Ercole, perché? Eracle è la versione greca, che è quella che prendo da riferimento. Lui tornerà meglio nel prossimo capitolo, con un faccia a faccia con il caro ricordo di Ronald. La prossima è Hermione, gente, il momento è arrivato.

 

 

Sono stata massacrata dallo studio, la settimana scorsa, ed ho davvero temuto di non poter pubblicare in tempo. Fortunatamente, però, ce l’ho fatta!

   

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

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Capitolo 29
*** Atto XVI - Parte V/ Gloria della Madre ***


Lo Specchio delle Anime

 

Lo Specchio delle Anime.

 

 

 “Hello, it's me
I was wondering if after all these years you'd like to meet
To go over everything
They say that time's supposed to heal
ya
But I ain't done much healing
”.1

 

[Adele - Hello]

        

 

 

 ATTENZIONE: Scene leggermente crude verso la fine del capitolo, soprattutto se siete un po’ sensibili. Possibili riferimenti ad atti di violenza e aborto.

 

 

Atto XVI – Parte V

Gloria della Madre.2

 

 

 

Sapeva cosa avrebbe dovuto affrontare ben prima che Eracle arrivasse al suo fianco, il viso gentile colmo della tristezza di chi aveva subito un dramma molto simile. L’aveva saputo nell’esatto istante in cui l’avevano avvertita che avrebbe affrontato il suo difetto fatale, perché non c’era nessun altro orrore nel suo passato che fosse più grande di quello.

Che fosse più grande di Ronald.

«Ce la faremo, Hermione» le aveva detto Draco, quando avevano ricominciato a muoversi lungo il corridoio di marmo, la mano ancora stretta nella sua ed il viso ancora chiazzato di rosso dopo il salto nell’acqua gelida. I suoi occhi erano così pieni di speranza che, per un momento, lei si sentì terribilmente in colpa. Lui non aveva idea. «Insieme possiamo fare qualunque cosa».

Non ci sarebbe stato alcun insieme, una volta che il suo momento fosse giunto. Non ci sarebbe stato più un noi, probabilmente.

Rivederlo l’avrebbe uccisa.

«Come è stato?» la domanda, così improvvisa che lei stessa non realizzò immediatamente di averla posta, colse di sorpresa sia Draco che Eracle, cui lei si era rivolta. Il suo sguardo triste sembrò attraversarla, ma non le rispose.

«Di cosa stai parlando?» chiese quindi Malfoy, alternando lo sguardo fra lei e l’eroe, sempre più accigliato. Non doveva essergli piaciuto il modo in cui l’aria si era improvvisamente raggelata. Lui, diversamente da Ron, era sempre stato abbastanza bravo a captare i cambiamenti d’atmosfera. Doveva esserlo, considerando il lavoro che lo aveva impegnato in quegli anni. «Hermione?».

«Vuole sapere com’è stato uccidere la mia famiglia» rispose l’eroe, senza guardare nessuno dei due, il mento alto ma la testa quasi incavata fra le spalle in una posa quasi difensiva. Si stava difendendo dai suoi ricordi o dai fantasmi del passato che ancora lo tormentavano? «Com’è stato perdere la ragione e sterminare mia moglie ed i miei tre figli3» continuò, la voce improvvisamente rasposa, stentata.

Dolore e rimpianto lo circondavano come una seconda pelle, una troppo stretta per permettergli di respirare.

Hermione conosceva bene quella sensazione, conosceva fin troppo bene l’oppressione all’altezza del cuore. Avrebbe preferito non riportare a galla certe emozioni, ma se davvero stava per cadere, voleva che qualcun altro si sentisse miserabile come lei, condividendo, forse, un po’ del dolore.

Non si sarebbe sentita meglio, una volta che anche lui si fosse ritrovato schiacciato dal peso del passato, ma la certezza di non essere sola nella pena era qualcosa cui non poteva rinunciare.

Improvvisamente preoccupato, Draco strinse la presa sulla mano di lei, tirandola automaticamente più vicina a sé. La guardò, quasi avesse voluto capire il motivo di quella sua curiosità soltanto osservandola. Hermione non se la sentì di spostare gli occhi dall’eroe, temendo di non reggere l’intensità che quelle lame argentee le avrebbero riversato addosso.

«Com’è stato?» insistette allora la strega, la voce incolore. «Ho bisogno di saperlo».

Eracle sospirò, sollevando lo sguardo verso il soffitto. Il suo bel viso era pallido, le mani improvvisamente tremanti. C’era orrore nei suoi movimenti e questo spaventò Hermione.

Erano passati millenni, ma il dolore era ancora lì. Il dottor Crave le aveva assicurato che l’avrebbe superato, prima o poi, ma in quel momento lei non ne fu più tanto sicura.

«È stato peggiore della morte» le disse, in un sussurro angosciato. «Peggiore di qualunque fatica io abbia affrontato dopo» mormorò, voltandosi a guardare entrambi i giovani maghi. «È stato come assistere alla più brutta rappresentazione tragica della storia. Io ero uno spettatore, nulla di più. Osservavo le mie mani chiudersi intorno al collo di mia moglie, la mia spada distruggere i fragili corpi dei miei bambini, l’unica mia ricchezza-» la voce gli si strozzò in gola, gli occhi gli si velarono di lacrime impossibili da trattenere. Era l’uomo più grande e forte che Hermione avesse mai conosciuto, eppure, in quel momento, gli sembrò estremamente fragile. Avrebbe voluto abbracciarlo, dirgli che sarebbe andato tutto bene.

Ma non era vero, non sarebbe mai andato tutto bene.

Non erano mai esistiti eroi felici.

«Credevo fossi impazzito e li avessi scambiati per dei mostri» si intromise Draco, il tono della voce estremamente cauto, seppur velato da una innegabile curiosità. «La leggenda è questo che dice: hai perso il senno e li hai scambiati per dei demoni».

Il sorriso amaro sul viso di Eracle fece venire la pelle d’oca ad Hermione. «Ah, capisco» mormorò, scuotendo leggermente il capo. «Mi dispiace deluderti, giovane Malfoy, ma non è stato così. Io ero lì, ero cosciente, ma non avevo potere sul mio corpo. Ero folle, sì, ma solo per il dolore di dover sopportare una tale disgrazia. Non esiste un incantesimo che possa mascherare l’amore, è l’amore che riesce a spezzare qualunque incantesimo» spiegò, stringendo i pugni lungo i fianchi. «Ho capito si trattasse delle mie mani e della mia spada solo quando tutto fu finito. Credevo davvero di star osservando il massacro da fuori. Se fossi stato più attento, se… se avessi prestato maggiore attenzione, forse sarei riuscito ad impormi e ad evitare quella strage» ammise infine, il senso di colpa che aleggiava intorno a lui come un’aura pesante e densa.

«Non avresti potuto far nulla» gli fece notare Hermione, consapevole, comunque, che quella non fosse la verità. Aveva imparato a mentire in quel luogo? 4 «Non è colpa tua».

Eracle le lanciò uno sguardo carico di compassione, mentre in fondo al corridoio sembrava essersi aperto un piccolo varco luminoso. «Come puoi dirlo a me, se poi tu non ci credi, mia cara?» le domandò, gentile. «Ricorda, in questo luogo non si può mentire, ma dire la verità a volte non basta. A volte, devi accettare di non avere altre possibilità, di essere arrivata ad un vicolo cieco».

Lei sentì un dolore sordo all’altezza del petto, come se il cuore avesse deciso di darsi alle fiamme.

«E cosa si fa, davanti ad un vicolo cieco?».

Con gentilezza, Eracle le posò le mani sulle spalle e la fece voltare, mettendola faccia a faccia con Draco, la cui espressione aveva raggiunto picchi di preoccupazione degni della signora Granger quando lei aveva raccontato le vicende della guerra. «Quando non puoi andare avanti, devi voltarti indietro e affrontare ciò che ti è stato riservato dal destino».

Un attimo dopo, l’eroe sparì nel nulla e la luce alla fine del corridoio li circondò, accecandoli per qualche istante.

 

***

 

Era quasi arrivata la primavera, eppure Londra era ancora immersa nel più profondo clima invernale. Hermione ricordava di aver assistito a più nevicate fra la fine di febbraio e l’inizio di marzo di quante non ne avesse viste nel cuore di dicembre. Non aveva mai messo da parte i suoi stivaletti da neve, quelli che aveva comprato più di due anni prima ma che l’avevano servita fedelmente per tutti gli inverni che avevano passato insieme.

Non li avrebbe più indossati.

Fu proprio il rumore delle scarpe, inconfondibile sul marciapiede alle loro spalle, che la fece voltare di scatto, in tempo per notare la se stessa di quasi nove mesi prima, completamente avviluppata in un cappotto pesantissimo e con i capelli raccolti sotto il berretto di lana che la signora Weasley le aveva regalato il Natale passato.

«Quel cappello è imbarazzante, Granger» le disse Draco, forse cercando di risollevarle il morale, mentre a sua volta osservava il doppione della giovane attraversare le trafficate vie di Londra, diretta in un luogo a lui sconosciuto. «Ti prego, non indossarlo quando uscirai con me» aggiunse, tranquillo, posandole la mano dietro la schiena, come a volerla abbracciare, senza tuttavia appiccicarsi troppo.

Lei gliene fu grata, aveva bisogno di contatto, ma non voleva sentirsi soffocata.

«Non temere» gli rispose, mentre osservava se stessa entrare in un locale babbano praticamente deserto. Le tremavano le mani, ma le nascose immediatamente incrociando le braccia al petto. Non si illuse di aver celato la sua debolezza agli occhi attenti di lui, ma non se ne preoccupò. A breve avrebbe visto ben altro, di lei. «Quel cappello l’ho buttato via. Così come tutto il resto» continuò, atona, mentre lo scenario intorno a loro cambiava e, improvvisamente, si ritrovavano davanti al tavolo occupato dal suo doppione.

Non si era tolta il cappotto, non aveva voluto mostrare a Ronald il bambino. Ricordava cosa l’aveva spinta ad agire in quel modo e, nonostante tutto, non poteva che darsi della sciocca. Forse, in quel modo, lo avrebbe mantenuto tranquillo. Forse lo avrebbe fatto ragionare.

«Non hai l’anello della donnola al dito»5 notò Draco, accigliato. «Immagino ci troviamo all’inizio di quest’anno, poco dopo la rottura del fidanzamento» constatò, accigliato e vagamente preoccupato. «Il tuo segreto è che l’hai malmenato? Se è così, mia cara, non hai motivo di tenerlo nascosto».

Hermione provò l’improvvisa voglia di mettersi a piangere, ma si trattenne. Tuttavia, preferì allontanarsi di un passo da lui, proprio mentre Ronald, gli inconfondibili capelli rossi tutti arruffati, faceva il suo ingresso nel locale, il viso pallido e l’espressione colma di disappunto. Espressione che si calmò leggermente quando la scorse già all’interno.

«Hermione, sapevo che saresti venuta» aveva detto, accomodandosi al tavolino. Il suo tono era dolce, incredibilmente dolce, tanto simile a quello che l’aveva conquistata da giovane. «Come stai? Io…».

«Starò bene quando sistemeremo questa faccenda» il tono della sua versione passata era secco, orgoglioso, l’Hermione presente provò tantissima compassione per lei. «Harry ha detto che volevi parlarmi, quindi io ti ascolto. Ti prego di sbrigarti, però, ho un appuntamento con la mia nuova padrona di casa».

Quelle parole non erano piaciute a Ronald, lei l’aveva notato immediatamente. La sua mano, veloce e forte come quella di ogni bravo portiere, era scattata ad afferrarle il braccio in una presa ferrea. A distanza di mesi, lei non riuscì a resistere all’impulso di massaggiare la parte colpita. Alle sue spalle, udì distintamente Draco masticare un’imprecazione.

Come avrebbe reagito al resto?

«Hermione, ti prego, possiamo ancora…» tentò Ronald, il tono un po’ più nervoso, mollando la presa solo quando lei gli sibilò contro. «Scusami, non volevo» aggiunse, con un’espressione così disperata che, a distanza di mesi, era riuscita a far stringere il cuore di Hermione, anche se solo un po’. Col senno di poi, naturalmente, non sarebbe più caduta nella sua trappola.

«Non volevi neppure l’altra volta6» gli fece notare infatti la ragazza del passato, ritirandosi in posizione difensiva contro lo schienale della sedia. I suoi occhi erano ancora rossi. Ricordava di aver pianto, quella mattina, e di non esser riuscita a liberarsi della sensazione di tristezza immensa che l’aveva colta. Almeno, non finché non era successo. «Ti ho chiesto cosa vuoi, Ron. Non ho tempo da perdere».

Il modo in cui lui strinse i denti avrebbe dovuto farle annusare il pericolo. Era un Inquisitore, era sempre stata brava nel riconoscere i segnali… eppure, con lui, aveva fallito.

L’amore è l’incantesimo più forte di tutti, capace di nascondere i mostri dietro visi d’angelo.

«Hermione», Draco, con urgenza nella voce, si era avvicinato a lei e le aveva poggiato la mano sul braccio, che però lei aveva subito allontanato, come scottata. Non si voltò a guardarlo, ma riuscì a sentire il calore del suo sguardo proprio sulla nuca. «Lui ti ha picchiata? Ti ha fatto del male?» chiese, infastidito e preoccupato. Aveva voglia di toccarla, ma fortunatamente si trattenne. Lei non era pronta.

«Devi venire a casa a… uhm… trovare le tue cose» aveva appena detto Ronald, accennando un sorriso nervoso. «Se proprio non vuoi tornare con me, allora non c’è altro che io possa fare».

La sua resa l’aveva sorpresa anche a quel tempo, come probabilmente si evinceva dalla piega assunta dalle sopracciglai della sua versione passata. Se fosse stato qualcun altro, lei avrebbe immaginato che qualcosa fosse sul punto di andare incredibilmente storto. Se solo avesse capito, a quel tempo… se solo avesse visto tutti i segnali!

Era stata colpa sua.

Hermione del passato sospirò, indecisa. «Non potevi mettere tutto negli scatoloni, come ti avevo chiesto?» domandò, sbuffando quando lui si strinse nelle spalle, mostrando la vecchia espressione scanzonata che l’aveva fatta innamorare tanti anni prima. «D’accordo, verrò questa mattina stessa. Ma dobbiamo sbrigarci, come ti ho già detto-».

«Sì, ti sta aspettando la tua padrona di casa» il sibilo con cui sputò quelle parole avrebbe fatto preoccupare chiunque l’avesse conosciuto fin da ragazzo, forse chiunque in generale, ma lei aveva pensato che si trattasse soltanto di stizza da separazione. Dopotutto, era sempre stato un bambinone. «Ti aspetto a casa, fai con comodo» disse poi, alzandosi in piedi con uno scatto e dirigendosi, quasi di corsa, verso la porta del locale.

Hermione del passato, allora, sospirò sconfitta. Incurante degli sguardi dei due dal futuro puntati su di lei, si asciugò gli occhi e raddrizzò le spalle, animata da una decisione che l’altra se stessa ricordava ancora benissimo.

«Volevo farla finita con lui» disse proprio lei, senza guardare Draco. «Volevo mettere fine a… a qualcosa che non sentivo più. Era la scelta migliore, ma ho sbagliato tutto».

«In che senso hai sbagliato tutto?» chiese Malfoy, che ormai sembrava aver rinunciato a porre alcun tipo di freno alla sua ansia. Era una presenza costante dietro di lei, una fonte di calore confortante ma, al tempo stesso, spaventosa: come sarebbe stato, una volta sparito? «Hermione-».

«Lo vedrai» gli rispose lei, secca, mentre la ragazza si alzava dal tavolo e si dirigeva di gran carriera fuori. Sarebbe andata a parlare con la padrona di casa immediatamente, così da non dover avere fretta. Così che nessuno potesse preoccuparsi per lei.

Che stupida era stata…

La scena intorno a loro cambiò.

L’ingresso del piccolo appartamento che lei e Ron avevano diviso per oltre tre anni era sempre stato molto ordinato, pur senza scadere nell’ossessività. Sulla sinistra c’erano i cappotti di Ron – lei aveva portato via i suoi – e sulla destra il tavolino che avevano comprato il giorno stesso in cui avevano deciso di convivere. La versione passata di Hermione aveva appena fatto il suo ingresso, naturalmente sola, naturalmente ignara del pericolo che si nascondeva proprio dietro l’angolo.

«Ron?» aveva appena chiamato, passando praticamente fra Draco e la sua controparte, iniziando a togliere la sciarpa e l’orripilante cappello. Gli stivaletti da neve squittivano contro il pavimento di finto legno, un suono che era passato dall’essere simbolo di familiarità a memento perpetuo del peggiore dei suoi incubi.

«“Cappuccetto Rosso arrivò a casa della nonna con le mani piene di fiori”» mormorò proprio la versione futura, osservando se stessa con il cuore carico di commiserazione e rabbia. «“Si sorprese nel non trovare la donnina in cucina, ma continuò comunque verso la camera da letto, convincendosi che si fosse messa a dormire a causa della malattia”».

Draco, preoccupato da quella sua improvvisa voglia di raccontare fiabe, fece qualche passo avanti, seguendo la ragazza del passato verso la camera da letto. Anche la sua accompagnatrice lo seguì, naturalmente, ma solo per la consapevolezza di dover assistere a quell’orrore. Non si preoccupò neppure del fatto che, tolto il cappotto, ormai il suo segreto fosse a portata d’occhio per lui. Lui che aveva tentato di darle una nuova speranza.

«Ron? Cosa diavolo ci fai qui?» aveva appena chiesto la ragazza, aprendo la porta della stanza per cercare l’ormai ex fidanzato. «Ron? Possibile che tu debba sempre dormire?».

«“Che grandi orecchie che hai, nonnina”, aveva chiesto Cappuccetto, una volta vista la vecchia», il tono di Hermione era diventato gelido, la preoccupazione di Draco era tangibile come se l’aria intorno a lui si fosse congelata. Non sapeva a chi dare la sua attenzione, se alla versione passata oppure a quella presente. «“È per poterti sentire meglio, nipotina mia”».

«’Mione 7, sono bloccato nella cabina armadio, mi sono caduti in testa i tuoi libri» la voce di Ronald era arrivata quasi contemporaneamente alla sua, creando una confusione fastidiosa. Hermione scorse una terribile consapevolezza nello sguardo di Draco, quando finalmente la ragazza entrò in camera da letto e, voltatasi leggermente, mise in mostra il piccolo rigonfiamento sul ventre.

Tre mesi erano tutto ciò che le era stato concesso.

«Oh, Merlino…» il tono angosciato delle sue parole le confermò che avesse visto. Draco non era un uomo stupido e di certo sapeva fare i suoi conti. Erano i primi di marzo e lei era incinta di pochi mesi, a settembre erano stati assegnati al caso e lei non aveva nessun bambino ad attenderla a casa. «Hermione, non-».

«“Che grandi denti che hai, nonnina” aveva detto ancora Cappuccetto, avvicinandosi alla vecchia» continuò invece Hermione, entrando a sua volta nella stanza mentre la ragazza passata allungava la mano verso la porta della cabina armadio.

In quell’istante, tutto fu nuovamente chiaro, rivivendolo dall’esterno. Aveva dimenticato, aveva eliminato, ma la crudeltà del passato era tornata a tormentarla in tutta la sua infinita spietatezza.

La cabina armadio era vuota, naturalmente. Ronald, invece, era apparso improvvisamente alle sue spalle, la lunga ombra ad oscurarle la luce del giorno. Quello che all’inizio era stato confuso, in quell’istante le si mostrò in tutto il suo orrore: il forte dolore e la sensazione che il mondo stesse crollando sotto i suoi piedi, Ronald con ancora in mano il vecchio candelabro che lei aveva preteso di acquistare in un mercatino dell’usato e che lui aveva sempre odiato. Il suo sangue che macchiava il pavimento, sgorgando copioso dalla ferita alla testa.

«Adesso non andrai mai più via».

«“È per poterti mangiare meglio, nipotina mia”».

 

***

 

Aveva assistito a quelle scene con uno spirito di pacato lutto. Era la morte della sua anima, quella cui stava partecipando, ed aveva intenzione di prendervi parte con tutto il contegno di cui fosse in possesso. Aveva passato il momento dell’umiliazione, aveva passato il momento della rabbia.

Voleva soltanto che tutto finisse.

Draco non era stato della sua stessa opinione. Lo aveva sentito imprecare, lo aveva sentito urlare improperi e bestemmie che non si sarebbe mai sognata di ripetere.

Non le importava. Quella storia non lo riguardava, il suo dolore non la colpiva. Quanto avrebbe potuto soffrire, in fondo? Lui non capiva. Nessuno avrebbe mai capito, se non la creatura che giaceva abbandonata, colpita da colui che era stato il grande amore della sua vita, il sangue che scorreva libero dalle sue ferite, fisiche e non,  macchiava le lenzuola candide che lei aveva scelto.

L’aveva scelto lei.

Il silenzio stava diventando insopportabile, ma Hermione non aveva alcuna voglia di spezzarlo.

La ragazza era rimasta immobile dal momento stesso in cui Ronald l’aveva ferita a tradimento. Era rimasta immobile mentre la trascinava per la stanza, bloccandola sul letto e togliendole la bacchetta, così che non potesse difendersi. Lo aveva osservato muoversi nervosamente per la stanza, ridacchiando fra sé e sé come ogni bravo psicopatico avrebbe fatto.

Si era ribellata, sì, ma solo dopo il suo risveglio confuso, quando lui l’aveva baciata con una gioia animale, quasi si fosse aspettato di averle fatto una sorpresa gradita. Allora erano arrivate le urla e, con quelle, gli altri colpi.

Sei mia, Hermione! Posso farti quello che voglio!

Quando Ronald, prima di andare via, le aveva morso il collo fino a farlo sanguinare, Hermione aveva sentito Draco imprecare ed allungare la mano per tentare di afferrare quella creatura infida per il collo8, quando gli era passato vicino. Allora, quando ormai avevano assistito a quasi tutta la violenza che quel mostro le aveva usato contro, si era accasciato in un angolo, pallido, tenendosi la testa fra le mani e badando bene a non guardare la versione futura ma esclusivamente il guscio vuoto che era rimasto incatenato sul letto.

Il silenzio era diventato insopportabile.

«Hermione». La sua voce, improvvisa, la fece trasalire. Quando si voltò, venne fulminata da due pozzi di ferro fuso, profondi e colmi d’ira. «Perché non mi hai detto nulla?» le chiese, la voce roca, tuttavia spostando gli occhi sulla poverina nell’angolo. «Perché lo hai tenuto segreto?».

Naturalmente, pensò lei, con amarezza, perché si sarebbe tenuto alla larga, se avesse saputo.

Avrebbe provato pena per lei.

«Non è qualcosa che si racconta facilmente» gli disse, con una apatia che non le apparteneva. «Perché avrei dovuto? È qualcosa che appartiene al mio passato, non riguarda nessun altro».

Draco strinse i denti, pronto a ribattere, ma in quell’istante un improvviso pop annunciò l’apparizione di qualcuno, nell’altra stanza. Lui si voltò in quella direzione, evidentemente speranzoso che fossero arrivati a salvarla, così come la ragazza del passato. I loro occhi si illuminarono allo stesso modo, ma così non fecero quelli di Hermione.

«Signora Weasley!» le parole della ragazza uscirono in un gemito, mentre la donna sulla cinquantina faceva il suo ingresso nella camera da letto, il viso pallido ma chiazzato di rosso, come se avesse appena finito di urlare, ed i capelli rossi totalmente sconvolti. Aveva un’espressione strana, assente, ma la giovane del passato non vi aveva prestato attenzione.

Quella del presente, invece, riusciva già a cogliere il germe del mostro sul fondo del suo sguardo.

«Hermione cara, quanto sei pallida» furono le prime parole che le disse, accarezzandole il viso con una gentilezza forzata. Le sue mani, poi, arrivarono al ventre della ragazza. Non un accenno al labbro che suo figlio le aveva spaccato quella mattina stessa, con un ceffone. Non un accenno all’occhio nero che le aveva causato sbattendole la testa contro la testiera del letto. Nulla. Ma la ragazza del passato era troppo speranzosa, troppo disperata, per capire. «Nelle tue condizioni dovresti riguardarti di più!».

«Cosa cazzo sta dicendo quella vecchia?» il sibilo di Draco arrivò dal suo fianco, segno che si fosse rialzato. Il suo sibilo divenne un ringhio, quando la signora Weasley scosse il capo e sollevò la maglia della ragazza, come a volerla esaminare.

«Signora… deve aiutarmi, Ron… Ron mi ha rinchiusa qui…» esalò proprio lei, disperata ed ad un passo dalle lacrime. «La prego, la prego mi faccia uscire…».

La donna le dedicò un’occhiata confusa, quasi avesse appena sentito una sciocchezza. «Ron ti ha rinchiusa qui perché tu volevi scappare, Hermione cara» le fece notare, con un sorriso bonario, abbassandole la maglietta ed iniziando a sistemare le coperte intorno a lei, come se avesse voluto rimboccargliele. «Se tu avessi fatto la brava ragazza, non te ne saresti andata e lui non avrebbe dovuto ricorrere a queste misure anticonvenzionali».

Il peso di quelle parole fece male alla Hermione del presente esattamente come ferirono quella del passato. Ancora una volta percepì il dolore della perdita e lo shock dell’abbandono, sentendosi sola ed incapace di salvarsi.

Ancora una volta avvertì nettamente la fitta al basso ventre.

«Signora Weasley… la prego… Ron è impazzito… per favore…» pregò ancora la ragazza imprigionata, le lacrime che ancora le scendevano lungo le guance pallide, toccando le labbra tumefatte. «La prego, il bambino… devo salvare il mio bambino…».

«Il tuo bambino?» il tono esasperato della donna le fece venire la pelle d’oca. Ancora una volta percepì la stretta delle coperte intorno al corpo come una ulteriore costrizione. «Mia cara, questo è il bambino di Ron. Se non ti deciderai a mettere la testa a posto, stai pur certa che non ti faremo avvicinare al nuovo, piccolo Weasley». Sentendo il singhiozzo della povera ragazza, la signora le prese il mento fra pollice ed indice, costringendola a guardarla. «Smettila di piangere, sciocca! Cos’hai da piangere? Devi essere grata che mio figlio ti voglia ancora con lui!».

«Grata che suo figlio mi abbia rapita?» urlò allora Hermione del passato, incredula, dimenandosi con sempre maggiore violenza man mano che il dolore al basso ventre aumentava. «Io non voglio stare con suo figlio! Non voglio avere niente a che fare con lui!».

Il suono dello schiaffo che la signora Weasley le diede9 risuonò per le mura della stanza, rimbalzando fra le pareti dello stomaco di Hermione. In quel momento come nove mesi prima si sentì impotente, sconfitta.

La donna che per anni aveva considerato una seconda madre aveva appena condannato il suo bambino non ancora nato. Col senno di poi, Hermione sapeva bene che se non l’avessero salvata, probabilmente Ron e sua madre l’avrebbero uccisa subito dopo la nascita del piccolo. Sapeva che la sua vita sarebbe stata comunque segnata.

«Nessuno potrebbe mai volerti, sei così insignificante» continuò la donna, lasciandola andare. «Non ti faremo andare via. Ron ed io ti terremo qui e tutto andrà bene» aggiunse, con tono di voce stranamente cantilenante. «Sì, Ron ha detto che tutto andrà bene. Saremo tutti insieme, sì, proprio tutti insieme!».

La follia nelle sue parole sembrò ancora più terrificante, a distanza di tutti quei mesi. Osservarla dall’esterno, senza i dolori del sequestro ad offuscarle i sensi, le fece tremare le ginocchia. La donna che aveva ucciso Bellatrix Lestrange si era ridotta ad un pupazzo nelle mani di suo figlio, il trauma della guerra così forte da averle completamente tolto il senno.

Molly, la donna che Hermione avrebbe conosciuto, avrebbe raggelato l’inferno prima di permettere che Ron sollevasse un solo dito su di lei. Quella bestia che, invece, si era accanita sulla creatura innocente non era nulla più di un mostro. Un mostro che aveva appena distrutto ogni sua speranza.

«Harry verrà a salvarmi!» le disse allora, disperata, dimenandosi a più non posso, soffocata dal calore delle coperte e dal dolore al ventre che sembrava volerla spezzare in due. «Harry verrà da me!».

Molly Weasley sorrise, ridacchiando in un modo che, col senno di poi, le avrebbe sempre ricordato Dolores Umbridge all’apice della sua follia. «Mia cara, nessuno verrà a salvarti. Come potrebbero, quando Ron ha detto a tutti che andrete via insieme, per sistemare il vostro rapporto? 10» le disse, scuotendo leggermente il capo ed allungandosi per darle un buffetto sulla guancia. «Sei sola con noi, se farai la brava forse ti terremo».

Quando la signora Weasley se ne andò, la ragazza del passato urlò con tutto il fiato che aveva in corpo e, a lei, si unì anche Hermione del presente. Non riuscì a trattenersi, non riuscì a calmarsi. Urlò, mentre un dolore acuto le scuoteva il ventre ormai orribilmente vuoto. Urlò, allontanando le braccia che Draco aveva provato a metterle intorno alle spalle.

Non c’era più salvezza.

Il lupo l’aveva mangiata.

 

Ronald tornò una manciata di minuti dopo che sua madre era andata via. Sorrideva, sembrava felice. Si avvicinò al corpo abbandonato sul letto per lasciargli un bacio sulla fronte.

Erano passate delle ore, ma lei non se n’era mai resa conto.

La ragazza non aveva più la forza di ribellarsi.

«So che mamma è venuta a trovarti» le disse, con un gran sorriso, sistemando dei fiori nel vaso all’angolo. Ogni giorno c’erano fiori diversi e lei li ricordava tutti. Rose, tulipani e gigli. Ogni giorno Ronald sembrava più tranquillo, quasi la situazione fosse improvvisamente tornata normale. «Ha detto che ti ha vista un po’ pallida, così ti ha preparato della zuppa. A pranzo ti imboccherò io personalmente, che ne dici? Ti piace l’idea?» le chiese ancora, dolce, tornando verso il letto per poterla osservare in viso.

La ragazza si voltò a guardarlo solo per un istante, gli occhi ormai iniettati di sangue. «Non ho intenzione di mangiare la tua stupida zuppa. Preferisco morire di fame» proferì, funerea, voltandosi per dargli le spalle. C’era una rassegnazione così forte, nelle sue parole, da far stringere il cuore. Non era apatica, no, non poteva esserlo.

Non quando i dolori al ventre la stavano dilaniando.

«Cosa stai dicendo?» sbottò allora lui, improvvisamente arrabbiato, avvicinandosi abbastanza da poterla afferrare per la spalla e costringerla a girarsi nuovamente per fronteggiarlo. «Tu mangerai quella stupida zuppa, oppure…!».

«Cosa?» chiese la ragazza, secca. «Mi picchierai? Mi terrai qui contro la mia volontà? Non c’è nulla che tu possa togliermi, ormai. Non ho nulla da perdere».

La verità nelle sue parole fece gemere Hermione, che, senza poterne fare a meno, arretrò di un paio di passi e si ritrovò improvvisamente bloccata fra le braccia di Draco. Percepiva la rigidità del suo corpo, la pesantezza del respiro era un chiaro segno della sua furia incontenibile.

Non aveva nulla da perdere. Aveva perso il suo bambino, ormai. La sensazione del sangue fra le gambe era ancora bene impressa nella sua mente.

«Sei una stupida! Una stupida che crede di essere la regina del mondo!» urlò, scuotendola con violenza. «Tu sei mia, non sei nient’altro!».

«Io non sono niente» a parlare furono entrambe le ragazze, una con tono piatto, l’altra nella disperazione del momento. Aveva perso ogni ragione di vivere, la donna del presente, e non provava più alcuna emozione. Sapeva cosa sarebbe successo, era rassegnata ad affrontarlo.

«Tu sei Hermione Granger» le sussurrò Draco, che ancora la stringeva. La sua voce aveva una intonazione strana, quasi si stesse sforzando per parlare. Forse era disgustato, lei non avrebbe potuto dargli torto.

«Sei una stupida, sciocca ragazza… cosa vali, senza di me? Nulla!» aveva urlato però Ronald, crudele. «Adesso ti faccio vedere io! Adesso vedrai… sei mia, solo mia…» la sua voce era delirante, assente, mentre lottava con lei per strappare via le coperte.

Pazzo.

Come aveva fatto a diventare in quel modo? Come aveva potuto permetterlo, lei?

Il sangue sulle lenzuola era ovunque, un disgustoso mare rosso che circondava il corpo incatenato. La terribile camicia da notte di raso che lui l’aveva costretta ad indossare era appiccicata al suo corpo, il cremisi assumeva sfumature di nero dove aveva iniziato ad asciugarsi, l’odore di ferro era così forte da far venire la nausea.

Hermione aveva rimosso i dettagli, naturalmente. Il dottor Crave le aveva detto che sarebbe successo.

Rivedere la scena, però, aveva riportato tutto a galla, ogni minima percezione che aveva dimenticato.

L’aborto non era ancora finito. Forse non era neppure davvero iniziato11.

«Ron… no, Ron» stava esalando la ragazza del passato, dimenandosi quando lo vide trafficare con i propri pantaloni, intenzionato a toglierle l’ultima cosa che le era rimasta, dopo aver perso la libertà ed il suo bambino.

L’onore.

«Il tuo stupido sangue… credi che mi faccia schifo?» le domandò lui, con un sibilo, salendo sul letto, incurante di sporcarsi in modo irrimediabile. C’era sangue, sangue ovunque, ma a lui non importava.

E a lei non importava più.

Draco ringhiò un’imprecazione così orribile che, se avesse avuto la forza di rendersene conto, avrebbe lasciato Hermione allibita. Sentì la presa delle sue mani farsi più ferrea sulle sue spalle, il suo corpo emanare puro gelo.

«Harry sta arrivando» gli disse, quasi a volerlo tranquillizzare, pur non riuscendo a provare nulla. «Harry entrerà da quella porta, lo tirerà via da me. Lo ha quasi ucciso» spiegò, apatica. Osservò Ronald tirarle via la camicia da notte, con difficoltà, ed attese il suono della smaterializzazione di Harry.

Ma Harry non arrivò.

Attese irrimediabilmente, mentre Ronald si avvicinava sempre di più alla povera creatura. Attese quell’aiuto che non sarebbe più arrivato.

Il suo cuore perse un battito, un gemito d’orrore lasciò le sue labbra.

«Al diavolo!» urlò invece Draco, alle sue spalle, partendo come una furia e lanciandosi di peso contro Ronald, che, sorprendentemente venne colpito. Ancora una volta, il passato venne modificato. Ma era troppo tardi. «Maledetto figlio di puttana!» continuò ad urlare, dimentico della bacchetta che aveva addosso, colpendolo con una violenza tale da ridurgli la faccia ad un cumulo di carne viva, il rosso del sangue di Hermione che si univa al suo in un miscuglio che mai più ci sarebbe stato.

La ragazza del passato aveva osservato la scena pietrificata, i grandi occhi scuri ed il viso tumefatto sporco del proprio sangue. Si era girata verso se stessa, disperata, ma quasi immediatamente si era dovuta voltare dalla parte opposta a Draco e Ronald per poter dare di stomaco. I suoi erano conati inutili, ovviamente, ma Hermione ricordava perfettamente quanto quel singolo gesto le fosse stato utile per uscire dal breve momento di shock.

Allora ricordò cos’era successo subito dopo, ricordò ciò che Harry le aveva impedito di fare12.

«No! No, fermati!» urlò, avvicinandosi a lei prima che riuscisse a raggiungere la scheggia di ceramica che era arrivata al suolo, quando Ron, cadendo dal letto, aveva rotto anche il vaso nell’angolo.

Aveva perso la sua dignità.

Aveva perso la libertà.

Aveva perso il suo bambino.

«Lasciami stare! Lasciami!» sbraitò la ragazza, combattendo con tutte le sue forze per liberarsi e poter concludere quel gesto orribile che aveva deciso di portare a termine. «Lasciami, io devo farlo!».

Harry le aveva tolto l’arma dalle mani e l’aveva stretta forte, senza dirle più nulla. Le aveva impedito di agire, ma quell’idea orribile era rimasta sempre nel retro della sua mente, bloccandola fino a quel momento.

«No, non devi» le disse allora Hermione, sentendo una fitta di nausea scuoterle lo stomaco. La prese per le spalle, scuotendola con delicatezza. La vista di tutti i lividi su quel corpicino scarno le stava facendo stringere il cuore.

«Perché non dovrei?» le domandò la ragazza, combattendo nonostante le poche forze a disposizione, gemendo per i dolori di quel parto arrivato dannatamente troppo presto. Era stata Madama Chips ad aiutarla, perché Harry l’aveva trascinata nell’unico luogo che sapeva essere sicuro. La professoressa McGranitt li aveva accompagnati personalmente in infermeria, mentre erano nascosti dal mantello dell’invisibilità.

Avete chiamato gli Auror?

Non li avevano chiamati. Lei non aveva voluto. Non c’era stato il tempo. Non ne aveva l’intenzione. 13

«Perché non dovrei farla finita? Io non ho più niente!» urlò ancora la ragazza, dimenandosi con violenza nella sua stretta. «Io non ho nulla, ho rovinato tutto!».

Cosa avrebbe potuto risponderle? Aveva ragione. Aveva rovinato tutto il giorno stesso in cui aveva sopportato il primo atto di violenza da parte di Ronald. Aveva rovinato tutto il giorno in cui aveva pensato di potersi liberare di lui.

«Hermione».

Draco si era rialzato da terra, la tunica greca completamente ricoperta di un sangue che lei sapeva appartenere all’uomo steso a terra. Era morto, non aveva dubbi al riguardo. Nessuno gli aveva urlato di fermarsi e, comunque, lui non l’avrebbe fatto.

Avrebbe ucciso Voldemort in persona, pur di difenderla.

«Perché non dovrei farlo?» gli domandò, realizzando improvvisamente di essere lei la vittima. Di essere lei la ragazza ricoperta di sangue, con il ventre colmo di morte e la disperazione nel cuore. Era lei quella ragazza tremante e con il viso tumefatto. Era lei. «Perché non dovrei farla finita? Ho perso tutto».

«Tu non hai perso niente» le disse lui, avvicinandosi lentamente, puntandole addosso uno sguardo fiammeggiante. «Hermione!» urlò allora, quando lei non sembrò essere intenzionata a dargli ascolto. Non allungò neppure una mano per toccarla, quando lei sussultò, prendendo un cipiglio a dir poco furioso. «Tu non hai perso, lui ha provato a toglierti tutto. Ma non ce l’ha fatta» specificò, secco, senza mostrare alcun tipo di compassione.

«Ce l’ha fatta» gli rispose, mentre la ragazza del passato si raggomitolava su se stessa, piangendo tutte le sue lacrime. «Ho perso tutto».

«Ti ho detto di no» ringhiò quindi Malfoy, facendo un passo avanti. «Tu sei Hermione Granger, sei la strega più brillante delle ultime tre generazioni, la migliore fra i giovani Inquisitori» continuò, piegandosi in avanti per poterla guardare negli occhi. «Lui non ti ha tolto te stessa. Non ti ha tolto l’anima, non c’è riuscito. Sai perché?».

La migliore della sua generazione.

La migliore inquisitrice.

Hermione Granger.

«Non c’è riuscito, perché tu sei più forte e non è colpa tua, non l’hai meritato, non l’hai provocato» le rispose, la voce improvvisamente più morbida, più dolce. «Non pensare più come la vittima, amore mio. Tu non sei una vittima, tu sei un’eroina di guerra, un Inquisitore. Tu sei Hermione Granger, inizia a pensare con la tua testa».

Pensa come Hermione Granger.

Pensa come un’eroina.

«Salva te stessa, Hermione, perché nessun altro potrà farlo. Lui ti ha tolto qualcosa che tu puoi riprenderti» le mormorò ancora, allungando le mani per accarezzarle il viso. Per un istante, memore del ricordo che aveva appena rivissuto, lei temette di star per essere colpita. Ma Draco non l’avrebbe mai fatto. Nessuno l’avrebbe più fatto. «Hai perso il tuo bambino, quella è una perdita che non potrà essere ripagata. Lo ricorderai per sempre ed è giusto che sia così. Ma hai tutto il resto, non vedi? Hai una famiglia che ti adora, degli amici che ti staranno sempre vicini…» improvvisamente incerto, strinse le labbra. «Hai me, per sempre, se mi vorrai. E ti giuro che farò di tutto per essere alla tua altezza. Perché tu meriti il meglio».

«Non è stata colpa mia». Quella rivelazione la sorprese così tanto che, per un istante, dubitò di aver parlato. Ricambiò lo sguardo di Draco per qualche istante, ricolmandosi di tutto l’amore incondizionato che leggeva in quello di lui, poi si voltò verso se stessa del passato, un guscio vuoto che la fissava dal letto. «Non è colpa tua. Non è colpa nostra. Lui è il mostro, non tu. Lui ha ucciso il nostro bambino, non tu».

«Avrei dovuto capire!» urlò la ragazza, uno scoppio d’ira e disperazione che la investì in pieno, ma non la spaventò. Non più.

«Non avresti potuto» le rispose Hermione, gentile, allungando le braccia verso di lei, stringendola al petto. Lei tremava, ma non si scoraggiò e strinse più forte. Nessuno poteva salvarla dal suo orrore, se non lei stessa. Nessuno poteva tirarla via dal baratro, se non si fosse convinta di voler essere salvata. «L’amore riesce a mascherare il peggiore fra i mostri e tu eri innamorata, tanto innamorata. Ma non devi gettare la spugna, va bene?» continuò, improvvisamente in lacrime, ma non erano più dettate dalla paura. C’era speranza, in lei. Così tanta speranza. «Avrai tanto amore nella vita e ne avrai sempre di più. Hai perso il tuo bambino, sì, ma mai come in questo momento devi farti forza. Guarda avanti, perché sei stata una madre e lo sarai ancora, se non resterai fossilizzata nel passato. Guarda sempre avanti e qualcosa arriverà da te, quando meno te lo aspetti» disse alla ragazza del passato, voltandosi per un attimo per osservare Draco, un passo dietro di lei, l’espressione che riusciva ad essere rassicurante nonostante fosse totalmente coperto di sangue non suo.

Il cadavere di Ronald non era nulla più che un cadavere. Non le importava nulla, perché nonostante sapesse che in realtà lui fosse stato soltanto mandato via – ancora vivo per quanto senza più memoria del suo passato14 -  non sarebbe stato un problema per lei.

Mai più.

«Non mollare, Hermione. Non è stata colpa tua».

«Non è colpa tua» ripeté Draco, avvicinandosi a lei per poterla stringere a sé, quasi sollevato dalla piega che la situazione, infine, aveva preso. «Tu sei libera».

Presa da un impulso irrefrenabile, gli gettò le braccia al collo, lo baciò e pianse.

Cappuccetto Rosso non avrebbe più avuto bisogno del cacciatore, per liberarsi.

Cappuccetto Rosso ce l’avrebbe fatta da sola.

Finalmente era libera.

Dopo quella realizzazione improvvisa, mentre ancora le braccia di Draco la stringevano e le loro labbra erano unite, le mura intorno a loro iniziarono a crollare, uno scoppio di luce li circondò e l’aria stantia di sangue sparì, sostituita dalla fresca brezza dell’inverno greco.

«Ci siete riusciti» disse una voce conosciuta. Patroclo. «Avete superato le prove».

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Sto organizzando il club “Gente che vuole uccidere Ronald Weasley”, i primi dieci posti sono stati occupati da Draco, io sono all’undicesimo ed Harry al dodicesimo, ma gli altri sono liberi! 

 

Per chi non l’avesse ancora saputo, ho pubblicato la one-shot rossa relativa al capitolo 23 (Ragione e Sentimento): thousand kisses – Lo Specchio delle Anime.

 

 

 

Punti importanti:

 

» 1 – Perché questa canzone? Perché Hermione sta dicendo addio ad una parte di se stessa, in un certo senso, e la musica è stata di grande ispirazione, durante la revisione, motivo per cui ho preferito inserire il link all’inizio. [Ciao, sono io. Dopo tutti questi anni ho pensato ti sarebbe piaciuto incontrarci per superare tutto. Dicono che il tempo guarisce, ma io non sono guarita molto]

 

» 2 – Il titolo è, prima di tutto, una “traduzione” del nome dell’eroe. Eracle, infatti, significa letteralmente “Gloria di Era” (sorvoliamo sull’ironia della cosa). E lei era la madre degli dei. Ergo, ho pensato di prendere due piccioni con una fava: riferimento all’eroe (cosa che ho fatto in tutti i quattro capitoli precedenti) e ad Hermione e Molly.

 

» 3 – Eracle ha sposato la figlia di Creonte (ve lo ricordate dal capitolo scorso?), Megera, di cui era innamorato. Era, particolarmente incazzosa perché lui era figlio di Zeus (simbolo delle sue eterne corna) e perché aveva ucciso il suo protetto, decise di farlo impazzire e lo spinse ad uccidere moglie e figli (che mi pare fossero tre). Distrutto dal dolore, l’eroe cercò di uccidersi ma Teseo (sì, quello là) lo convinse ad andare a Delfi per sentire l’oracolo (che poi gli affiderà le future dodici fatiche).

 

» 4 – No, non può ancora mentire. Semplicemente, quella che dice è la verità, per quanto non ne sia convinta. La verità è sempre verità, a prescindere che qualcuno ci creda o no.

 

» 5- Hermione ha lasciato Ron verso la fine di febbraio, mentre questo loro incontro è stato verso il tre marzo.

 

» 6 – L’altra volta, sì, perché Hermione lo ha lasciato quando lui le ha assestato il primo ceffone. Prima di allora c’erano stati episodi di gelosia compulsiva e crisi isteriche a livello di psicosi. Lei ha resistito per tanto tempo per amore del bambino (cosa che, purtroppo, tante donne fanno), ma quando lui ha iniziato a picchiarla ha preferito porre fine a tutto, con le conseguenze che avete letto.

 

» 7 – E niente, io odio quando la chiamano così. Giusto per farvelo sapere. Per questo motivo soltanto Ronald la chiamerà così, in tutta la storia.

 

» 8 – Come Hermione ha detto, è come trovarsi in un pensatoio. All’inizio loro stanno solo rivivendo il passato, non possono interagire, non posso fare nulla. Più avanti, invece, “l’illusione” diventerà realtà e loro potranno affrontare le reciproche prove (spiegherò meglio dopo).

 

» 9 – Non mi stancherò mai di dirlo, Molly Weasley qui è pazza. Non è una degenerazione normale, questa, lei è ha perso la testa dopo la morte di Fred. Io amo Molly Weasley, ve lo giuro, ma qui mi serviva che fosse impazzita. Lei non comprende più la differenza tra bene o male, ciò che vuole è solo mantenere unita la famiglia. E per restare uniti non possono permettere che Hermione se ne vada con il bambino. Ed è pronta a fare tutto, anche ucciderla se necessario. Dopo Fred, il sangue del suo sangue non si allontanerà.

 

» 10 – Ron è uno psicopatico, non è pazzo. Un pazzo avrebbe lasciato tutto al caso, uno psicopatico no, lui si è organizzato benissimo. Una volta capito che la padrona di casa non si fosse preoccupata per Hermione, ha cercato un modo per evitare che gli altri si interessassero, inventandosi questa storia del viaggio. Il problema qual è stato? Hermione aveva detto a Ginny della gravidanza e le aveva rivelato di avere paura di Ron. Quando suo fratello è andato da lei ed Harry per spiegargli perché lui e la sua “fidanzata” sarebbero spariti di lì a breve, la ragazza si è preoccupata ed ha mandato subito Harry. Ron è andato da loro mentre la signora era da Hermione, per questo Harry è arrivato poco dopo.

 

» 11 – Io non sono un’ostetrica, ma ho sfortunatamente conosciuto persone che hanno subito un aborto. Fra il sanguinamento e “l’espulsione” può passare molto tempo. Per il bambino non c’era nulla da fare, ma in quel momento era ancora “al suo posto”.

 

» 12 – Hermione ha cercato davvero di uccidersi, sì. In quel momento l’orrore è stato troppo per permetterle di pensare. Lo so che nei capitoli passati si è schierata contro il suicidio, ma è stato solo per “dovere”. La razionalità della legge ripudia il suicidio e lei difendeva quella posizione, nonostante nel profondo del suo cuore pensasse ancora a quella possibilità. Perché Crave non l’ha aiutata a superarla? Perché Newton non sapeva nulla del bambino, non sapeva quanto grave fosse stato il suo trauma. Quando l’ha scoperto era in procinto di perdere sua figlia, dategli tregua.

 

» 13 – Hermione non lo ha voluto denunciare. Perché? Complicato da spiegare. Forse per amore di “Ron”, forse per amore del passato. Un processo avrebbe significato rivederlo ancora ed ancora e, nonostante tutto, lei non voleva dare un altro dolore alla famiglia Weasley, dopo la morte di Fred. Gli altri fratelli non avevano fatto nulla per meritare la vergogna di un fratello mostro, non quando uno era stato sfigurato in guerra, uno aveva perso l’orecchio ed un altro era morto. In generale, Hermione non voleva più avere a che fare con lui. E qui si ricollega il suo desiderio a non voler avere a che fare con i Weasley: per Molly è come se non fosse successo nulla, Hermione fa parte della famiglia. Gli altri Weasley (tranne Ginny, ovviamente, e relativamente Percy, che ha capito il dramma ma ha preferito non allontanarsi dalla madre) non hanno avuto il coraggio di far internare Molly e chiedere scusa per Ron, ergo lei non vuole più vederli, così come Harry e Ginny.

 

» 14 – Cosa è successo a Ron, in realtà? In questa versione è morto a causa di Draco, lo avete letto, mentre in realtà (come detto da Hermione) è stato Harry a tirarlo via e riempirlo di botte. Lui non l’ha ucciso perché lei ha iniziato a dare di stomaco e, dopo averlo tramortito, ha preferito metterla al centro delle sue attenzioni. A quel punto ha chiamato Seamus (unico, oltre al dottor Crave, ai Weasley, la McGranitt e Madama Chips, a sapere cos’è successo davvero) e gli ha chiesto di prendere Ronald in custodia. Dopo aver discusso con Hermione, Ginny e Bill ed averli messi davanti al bivio (o se ne va per sempre o lo ammazzo con le mie mani), ha provveduto a cancellargli completamente la memoria e mandarlo in Australia con una identità totalmente ricostruita. Ron non tornerà mai più, soprattutto perché in Australia è stato arrestato e rinchiuso in un ospedale psichiatrico magico.

 

» Nelle note precedenti ho accennato al fatto che “entrambi” stessero sostenendo delle prove. Ebbene, per quanto possa sembrare che qui in prova sia stata solo Hermione e nel capitolo precedente solo Draco, in realtà entrambi hanno dovuto “collaborare”. Nel capitolo scorso, infatti, Hermione ha dovuto imparare a superare il suo “pregiudizio” verso i codardi, comprendendo che non sempre si può scegliere di essere coraggiosi. In questo capitolo, invece, Draco ha sia ucciso Ron (dimostrando a se stesso di poter difendere Hermione) e sia incoraggiato Hermione (dimostrando di saper essere abbastanza). Tutti hanno conquistato qualcosa, quindi!

 

 

Finalmente è venuta fuori tutta la storia di Ron ed Hermione. Spero vivamente di non aver deluso le vostre aspettative e di non essere stata troppo cruda.

   

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 30
*** Atto XVII - Parte I/ L'Arazzo dimenticato ***


 

 

Lo Specchio delle Anime.

 

 

 “La speranza è qualcosa con le ali, che dimora nell’anima e canta la melodia senza parole,

E non si ferma mai”.1

 

[Emily Dickinson]

        

 

  

 

Atto XVII – Parte I

L’Arazzo dimenticato.

 

 

 

Ginny Weasley credeva di star vivendo il peggiore fra tutti i suoi incubi. Poco distante, Blaise Zabini alternava lo sguardo fra lei e la cartellina che aveva in mano, gli occhi carichi di una compassione che non credeva avrebbe mai visto in lui.

Non credeva che fosse capace di mostrare tanta compassione.

«Quasi tre mesi2, fai ancora in tempo a…» tentò, leggermente in imbarazzo, indicando con un cenno vago tutto il suo corpo. Era evidente cosa stesse proponendo e lei non era assolutamente propensa a seguire il suo consiglio. «Senti, non è una cosa che io approvo, è inutile che mi guardi così. Se fosse successo alla mia fidanzata, non avrei perso un minuto di tempo e mi sarei dato da fare con i preparativi. Ma per te è diverso» le fece notare, con uno sbuffo, quando notò che fosse sul punto di aggredirlo.

«Diverso? È un eufemismo» ribatté lei, prendendosi la testa fra le mani in un gesto sconfitto. La nausea la stava affliggendo da così tanto tempo da essere diventata ormai una sua buona compagna d’avventure. In quel momento, tuttavia, la sensazione di oppressione al petto sembrò peggiorata di dieci volte, costringendola a prendere piccoli respiri veloci.

Era disperazione.

«Io… uhm…» Blaise sembrava sul punto di mettersi a sbattere la testa al muro. Era stato inviato da lei perché, a detta del primario, era necessario che facesse esperienza nel dare le cattive notizie. Più probabilmente, come lui stesso le aveva confessato prima di darle la notizia, nessuno dei responsabili aveva avuto il coraggio di fare l’uccello del malaugurio con la fidanzata storica del Salvatore del Mondo Magico. «Perché non… non ci dormi su? L’altra possibilità potrebbe essere la migliore, sia per te che per…» fece un altro gesto nella sua direzione, quasi non sapesse che parole usare per indicare il loro enorme problema.

«Bambino, Zabini» mugugnò quindi Ginny, sollevando il viso dalle mani per fulminarlo. «Sono incinta, non… non stiamo parlando di una verruca da togliere senza pensarci su! Stiamo parlando di aborto».

Blaise, imbarazzato, sospirò, sedendosi sull’unico sgabello libero vicino al lettino su cui lei si era sdraiata. Era evidente che avrebbe preferito qualsiasi cosa, piuttosto che discutere con lei. «Senti, Weasley, parliamoci chiaro. Te l’ho già detto, io sono generalmente contrario all’aborto. Cazzo, non vedo l’ora di avere un bambino con la mia Laurie e sono più che certo che Potter sarebbe più felice di me, ma…» si grattò la tempia, indeciso. «Non puoi negare che questa situazione sia un gran bordello. Il tuo fidanzato è bloccato in un letto d’ospedale ed ogni giorno diventa più debole. Non guardarmi così», le disse, secco, alzando la mano per impedirle di ribattere, «ti sto dicendo la verità, quella che gli altri guaritori si rifiutano di dirti».

Ginny sapeva che quelle parole fossero orribilmente vere. Lo sapeva, perché lei stessa iniziava a dubitare che avrebbe mai rivisto il suo Harry nelle stesse condizioni in cui era quando si erano innamorati. E sapeva che lui sarebbe stato al settimo cielo all’idea di avere un bambino tutto loro. Maledizione, non avevano fatto altro che provare, nei mesi precedenti alla sua malattia.

Potrebbe aiutarmi con i miei incubi, erano state le parole con cui aveva accolto quella possibilità, sorridendole come non faceva da anni. Saremmo così felici, tutti insieme.

In quel momento, però? Lui era bloccato in ospedale, non avrebbe mai potuto stringere fra le braccia il loro piccolino. L’avrebbe lasciata sola nei momenti peggiori e lei avrebbe dovuto scegliere fra prendersi cura di lui o di se stessa e del neonato.

«Inoltre…» il tono di Blaise fu improvvisamente teso, agitato. I suoi occhi erano colmi di un’ansia che lei conosceva benissimo. «Draco e la Granger sono partiti due settimane fa e domani sarà il solstizio d’inverno3. Tu sai meglio di me che, se Tu-Sai-Chi tornerà, sarà più forte di prima e nessuno di noi sarà al sicuro».

Sì, Ginny lo sapeva. Ma ricordava anche l’ultimo anno di scuola, quando lui era al sicuro, protetto dai Carrow come se la sua casa ed il suo sangue fossero stati una garanzia sufficiente.

«Io sarò in pericolo. Hermione sarà in pericolo. Tu? Non credo proprio» gli disse, sarcastica, incrociando le braccia al petto e saltando giù dal lettino, sentendo un’ondata di nausea improvvisa piegarle le ginocchia. Sarebbe caduta, se Blaise non l’avesse afferrata per le braccia ed indirizzata verso il secchio della spazzatura vicino. La sua presa era stata ferma ma gentile, simile a quella di suo fratello Bill.

Il pensiero della sua famiglia fece peggiorare il suo male, costringendola a piegarsi di più in preda ai conati.

«Coraggio, Weasley, adesso ti prendo un tonico» le disse lui, aiutandola a sdraiarsi di nuovo e mettendosi a trafficare, subito dopo, con delle ampolle conservate in un mobiletto. «Comunque ti sbagli» le fece notare, quando tornò a fronteggiarla, passandole una boccetta dal contenuto viola.

«A cosa ti riferisci, di preciso?» rispondergli le sembrò il minimo, avendole evitato di rovinare per terra ed affogare nel suo stesso vomito. Bevve velocemente il contenuto violaceo dell’ampolla, sentendo una vampata di calore infuocarle le orecchie. Poi, per fortuna, la nausea passò.

«Io non dovrei essere un obiettivo, hai ragione, ma questo non significa che sia al sicuro» le spiegò, tornando a sedersi dopo aver fatto sparire la busta del cestino dei rifiuti. «Laurel, la mia fidanzata, è una Nata Babbana4. Se Tu-Sai-Chi dovesse tornare, farei di tutto per impedire che possa metterla in pericolo. Ho rischiato di perderla, sei anni fa, non ho intenzione di permettermi di correre ancora questo pericolo. Se lei dovesse soffrire, probabilmente io ne morirei» ammise, sorridendo al suo sguardo stupefatto. «Cosa c’è, Weasley? Non credi che un Serpeverde possa innamorarsi di una Nata Babbana? Non siamo tutti razzisti, cerca di adeguarti all’idea». I suoi occhi scuri si puntarono fuori dalla finestra, per un istante. «Solo perché non abbiamo combattuto davanti a tutti e non ci siamo esposti, non significa che non abbiamo rischiato il tutto per tutto».

Il peso di quelle parole fece abbassare lo sguardo alla giovane. Blaise aveva ragione, dopotutto. Lei non era nessuno per giudicare quanto qualcuno avesse o meno sofferto durante la guerra. Il suo dolore non la autorizzava a sottovalutare quello degli altri. Harry gliel’aveva sempre detto, fin da quando era intervenuto nel processo dei Malfoy.

Il tuo dolore non può sminuire quello degli altri.

«Senti», Blaise sospirò di nuovo, grattandosi distrattamente la fronte aggrottata, «noi non siamo amici e non credo che lo saremo mai davvero. Ma tu sei importante per la Granger e lei è disgustosamente importante per Draco, quindi mi sento moralmente in obbligo di offrirti quantomeno il mio supporto».

Lo sguardo che Ginny gli dedicò, nonostante avesse gli occhi ancora lucidi per la recente crisi, valse tutto il sarcasmo che aveva in corpo. E Ginny Weasley era famosa per il suo sarcasmo.

«Quindi adesso ti stai preoccupando per me? Dieci minuti fa mi hai proposto di abortire».

Quella sua risposta lo mise in evidente difficoltà. Alla fine, sconfitto, sbuffò. «D’accordo, è stato Draco a chiedermi di prendermi cura di te, perché se tu stai male, allora Hermione sarà troppo preoccupata per pensare al loro rapporto». Si alzò in piedi, camminando nervosamente per la piccola stanza. «Weasley, quello che sto cercando di dirti è che puoi contare su di me. Noi, Laurie è prontissima ad aiutarti e quando saprà del bambino mi picchierà per averti proposto l’aborto. Non sei sola e non devi esserlo, se non lo vuoi».

La faceva facile, lui. Fu il primo pensiero che fulminò Ginny. Ovviamente era facile, per uno come Blaise Zabini, dirle di cercare sostegno di persone che non aveva neppure mai conosciuto davvero. Non poteva fidarsi così facilmente, non lei. Non in quel momento.

Non quando tutto stava per andare in malora.

Improvvisa, l’immagine di Seamus e dei suoi migliori Auror le fece venire le lacrime agli occhi. Non era davvero sola, non lo era mai stata, neppure quando Hermione era trascinata via dagli impegni di lavoro. Lui e gli altri erano sempre stati con lei, l’avevano protetta ed avevano evitato che sentisse tutti i pettegolezzi che avevano circondato la malattia di Harry. Seamus, soprattutto, era riuscito a conciliare i suoi turni orribili da Capo Auror5 con l’organizzazione della sua scorta personale, trascinandosi dietro sia Dean che Merrick.

Non era da sola.

«D’accordo» disse infine Blaise, accennando un piccolo sorriso. «Adesso tu torni a casa con il cagnolino che Finnigan ti ha affibbiato6, ti riposi, e con riposo intendo una buona notte di sonno, poi torni qui e faremo gli ultimi esami. Per ora credo sarà meglio tenere questa informazione riservata, non vorremmo la Skeeter attaccata alla tua schiena» continuò, tornando ad accomodarsi davanti a lei. I suoi occhi erano ancora pieni di agitazione, ma il suo tono era molto, molto calmo. «Convincerò gli altri guaritori che tu abbia preso la pozione per l’aborto, così anche loro non faranno ulteriori domande. Da oggi, dovrò diventare il tuo confessore, Weasley, dovrai venire da me alla prima avvisaglia di problemi con la gravidanza. Non sappiamo ancora cos’è successo a Potter, non vorrei fosse ereditario».

Ecco, quella era un’informazione che Ginny avrebbe preferito non avere. Si era sforzata di non pensare alle conseguenze che il male del suo fidanzato avrebbero potuto avere sul bambino. Si era sforzata di credere che fosse qualcosa di legato solo alla mente e non al corpo.

Ma come poteva esserne certa?

Dei leggeri colpi alla porta anticiparono di un istante l’ingresso di Merrick, l’Auror che quel giorno l’avrebbe dovuta accompagnare ovunque. Aveva il solito sguardo altero, che tuttavia si sciolse in un’ondata improvvisa di divertimento quando notò chi fosse il guaritore con cui lei aveva a che fare. «Zabini, credevo ti avessero bocciato al primo esame» gli disse, entrando e chiudendosi la porta alle spalle. «Ho notato ci stessi mettendo tanto, Ginny, così ho pensato di venire a dare un’occhiata» aggiunse, rivolta alla rossa, sorridendole con la solita, pacata gentilezza.

«Sempre un piacere rivederti, Meribell» ribatté Blaise, alzando gli occhi al cielo ed iniziando a scribacchiare qualcosa sulla sua cartellina. «Sempre deliziosa, proprio come tuo cugino» le fece notare, facendole cenno di sedersi sullo sgabello da cui lui si era nuovamente rialzato. Si poteva dire qualunque cosa di Zabini, ma non che fosse un maleducato. «Non preoccuparti, da oggi in poi mi occuperò io di lei, così potremo limitare i rischi e far dormire un po’ di più il tuo fidanzato». 

«Non è il mio fidanzato7» ribatté Merrick, lanciandogli uno sguardo di fuoco. «Ma non posso negare che sia un sollievo. Draco mi ha sempre detto che sei fra i migliori pozionisti in circolazione, oltre che una persona fidata» concordò tuttavia, annuendo leggermente. Si voltò verso Ginny, quasi avesse sentito la sua occhiata confusa. «Il ventuno sarà domani, se i Mangiamorte dovessero tornare allora tu saresti un obiettivo primario. Un Guaritore avrebbe il potere di ucciderti e farlo passare per un incidente».

«Soprattutto adesso» si intromise nuovamente Blaise, con un sospiro. «È incinta, Merrie, dovremo stare con gli occhi bene aperti, soprattutto quando comincerà a far vedere la pancia».

L’occhiata carica di compassione che Merrick le dedicò fece stringere lo stomaco di Ginny. Sentiva nuovamente la nausea tormentarla ma, quando delle braccia delicate la strinsero con dolcezza e fermezza, capì di voler semplicemente scoppiare a piangere.

«Non preoccuparti, Ginevra». Nessuno usava mai il suo nome completo. «Non sei sola. Non ti lasceremo sola. Ce la faremo, insieme».

Insieme.

In uno slancio di ottimismo e speranza, Ginny decise di crederle.

 

***

 

Sette paia di occhi li osservavano con particolare soddisfazione. C’erano tutti, a partire da Ulisse, ancora vestito come un professore universitario, il ghigno compiaciuto tutto rivolto a Draco, poi c’era Pandora, leggermente in disparte, e ancora Antigone e Creonte, in piedi ai lati opposti della lunga fila. Achille, ancora vestito come un modello, era poggiato con una spalla alla parete, il braccio intorno alle spalle di Patroclo, il quale sembrava aver recuperato tutta la sua giovinezza.

Il più vicino a loro era Eracle, la pelliccia del leone Nemeo ancora drappeggiata sulle spalle, un sorriso carico di dolcezza ed orgoglio diretto ad una ancora tremante Hermione.

«Sei stata molto coraggiosa» le disse, avanzando lentamente, quasi avesse temuto di spaventarla o di intromettersi in qualcosa di estremamente privato. «Molto più coraggiosa di me».

«Tu sei il più forte di tutti gli eroi» gli fece notare allora la ragazza, sorridendo fra le lacrime e separandosi leggermente dalla stretta di Draco, con tanta delicatezza da non fargli quasi percepire il gelo sulla pelle scoperta. La vide avvicinarsi all’uomo enorme, così piccola eppure così incredibilmente immensa. «Nessuno può essere più coraggioso di te».

«Mi permetto di dissentire» con gentilezza, anche Achille si fece avanti, accompagnato dall’immancabile Patroclo. Per un istante, Draco pensò che avrebbe iniziato a decantare il proprio coraggio e che sarebbe finito con il litigare con il povero Eracle, come aveva fatto la prima volta in cui li avevano incontrati. «Serve coraggio per affrontare delle creature mostruose, come ho fatto io e come ha fatto lui» con un cenno proprio al figlio di Zeus. «Però… serve un coraggio più grande per affrontare i propri demoni e voi due l’avete fatto».

«E l’avete fatto insieme» aggiunse Antigone, con un gran sorriso. «Perché insieme siete più forti».

«Insieme potete mantenervi sani di mente, potete non impazzire ed affrontare qualunque cosa l’Arazzo vi presenterà davanti» aggiunse Ulisse, annuendo leggermente. Il suo sguardo era ancora divertito, pieno di un’ironia verso la vita che neppure Draco avrebbe mai saputo eguagliare.

«Se non foste stati così innamorati da poter essere una persona sola, non avreste potuto affrontare queste prove e sareste periti già nel primo ostacolo» continuò Creonte, facendosi avanti fino a fronteggiarli. «Adesso, amici miei, potete rivolgere la vostra domanda all’arazzo. Ma dovrete farlo come una sola persona. Una sola domanda, un solo pensiero. Pensate a cose diverse e la risposta sarà oscura, fuorviante, potenzialmente letale».

«Buona fortuna» concluse Patroclo, con un grande sorriso, mentre Pandora, alle sue spalle, ammiccava nella loro direzione e scuoteva leggermente il capo.

Non usate la scatola, gli sembrò di sentirle dire. Non ancora.

«Non ci serve la fortuna, adesso» sbottò quindi Draco, posando la mano sulla spalla di Hermione, mentre iniziava a voltarsi verso il grande Arazzo alle loro spalle. «Ci serve soltanto un buon piano d’azione».

«Non so te, Malfoy» disse però lei, dedicando un enorme sorriso a Patroclo. «Ma io accetterò con grande piacere anche un pizzico di fortuna. Dopotutto, ci ha salvati un bel po’ di volte». La tranquillità con cui gli si rivolse gli fece stringere il cuore in un moto di dolcezza. Era diversa, pur essendo la stessa donna di cui si era innamorato. Era diversa, molto più simile alla donna che credeva d’aver sposato8. «Smettila di guardarmi come uno stoccafisso, hai la faccia da idiota».

Più o meno. Ma non si preoccupò, ci sarebbe stato tempo per renderla la perfetta signora Malfoy o, quantomeno, per insegnarle un po’ di educazione d’alta società. Sarebbe stata meravigliosa, proprio come durante la festa in Italia.

Quando lui era stato malamente drogato e l’aveva costretta a risolvere tutto da sola.

«Allora? Cosa chiediamo?» domandò quindi, passandosi una mano fra i capelli mentre tentava di concentrarsi sull’Arazzo. Tutte le parole incomprensibili che vi aveva scorto la prima volta, in quel momento sembravano intellegibili, per quanto senza alcun senso. Erano accostamenti assurdi, ma che lui sapeva avrebbero assunto un significato qualora avesse posto la fatidica richiesta.

«Stai attento» la voce di Hermione suonò improvvisamente preoccupata, mentre lo strattonava per il braccio. I suoi occhi erano ancora arrossati, tuttavia avevano perso quella debolezza che li aveva sempre caratterizzati. Erano fermi, spaventati ma pronti a tutto. «Potresti chiedere qualcosa senza volerlo e allora impazziresti, bruciando la nostra unica possibilità di avere delle risposte». Anche lei si voltò verso l’Arazzo, con un’espressione tutt’altro che felice. «Ci sono così tante domande che potremmo fare. La conoscenza di tutto il mondo è ai nostri piedi… ma abbiamo una sola possibilità».

Era dispiaciuta, Draco lo notò immediatamente. Una donna come lei, che aveva messo la conoscenza alla base di tutta una carriera, doveva necessariamente soffrire molto nell’avere tanto potere davanti, senza poterlo utilizzare9. Anche lui si sarebbe preoccupato, se solo non fosse stato nella sua natura cercare solo la scelta migliore. Era curioso, sì, ma preferiva di gran lunga sopravvivere e spendere la vita ad inseguire risposte.

Era lei ad essere un pericolo per la missione, non lui.

Le prese la mano, cercando nuovamente il suo sguardo. Se dovevano presentarsi come una sola persona, quello era un buon modo per iniziare. «Possiamo chiedere dove sia lo Specchio, come avevamo deciso» propose, attirando la sua attenzione. «Oppure potremmo chiedere l’identità del nuovo capo dei Mangiamorte. Conoscendo il nemico, sarà più facile sconfiggerlo».

Lei non sembrò molto convinta di quella sua proposta. «Potremmo, sì, ma se si tratterà di qualcuno assolutamente sconosciuto? Non avremo il tempo di fare le nostre ricerche».

Draco si accigliò. «Dovremo comunque fare le nostre ricerche, Granger! Io non ho la minima intenzione di lanciarmi alla carica senza avere un piano ben dettagliato alle spalle! E magari anche un paio di piani di riserva» sbottò, la mano libera sul fianco e la migliore fra le sue espressioni incredule.

Lei, dopo averlo osservato per qualche istante, scoppiò a ridere. «Ah, Malfoy, per un attimo mi ero illusa di potermi rapportare con te come ho sempre fatto con Harry» gli disse, scuotendo il capo. Quando lo vide accigliarsi, si affrettò a spiegare. «Non preoccuparti, non ti sto relegando al ruolo di migliore amico e non sto insinuando che fra me ed Harry ci sia mai stato qualcosa. Semplicemente, noi abbiamo trascorso mesi viaggiando e… beh, ricercando. E per più di sette anni ci siamo lanciati in battaglie assurde senza un minimo di preparazione. L’ultima volta in cui ci siamo organizzati davvero, io sono finita trasformata in un gatto» spiegò, divertita. «I piani non riescono mai. Se proprio dobbiamo morire tutti, almeno lo faremo con onore».

Draco ricordava un episodio del genere, ma all’epoca si era limitato a ridere e farsi scivolare tutto addosso, senza preoccuparsi più del dovuto. Dopotutto, la Granger non era affar suo. Non era stata affar suo finché non l’aveva sentita urlare, durante il Ballo del Ceppo10.

Ah, se solo avesse seguito il suo istinto e si fosse lanciato a massacrare Ronald in quell’occasione! Se soltanto non si lasciato fatto limitare da quegli assurdi pregiudizi che altri gli avevano inculcato…

Forse la loro storia non sarebbe stata diversa, erano molto distanti, a prescindere dal sangue e dallo schieramento durante la guerra.

Forse no.

«Allora? Chiediamo dov’è questo stupido Specchio?» sbottò, sospirando sconfitto. Non era il momento di farsi prendere dai rimorsi. Avevano una missione da portare a termine e di certo lei non l’avrebbe ringraziato, se si fosse messo a spifferare tutte quelle turbe mentali. Mai come in quel momento odiò il fatto di non poter mentire neppure a se stesso, la sua bocca sembrava diventata quella di un pappagallo senza il minimo filtro.

Come il piccolo Ted.

«Mostra un po’ di rispetto, per quanto pericoloso è comunque uno strumento magico antichissimo e potentissimo» lo riprese immediatamente la Mezzosangue, voltandosi per un istante per controllare la scena alle loro spalle. «Sono spariti tutti. Immagino abbiano finito il loro lavoro… spero che Achille e Patroclo siano ancora insieme» mormorò, con una punta di rimpianto nella voce. Draco non si voltò, sapeva di potersi fidare delle sue parole. «Mi sarebbe piaciuto salutarli».

«Ah, sono essenzialmente una proiezione della tua anima, saranno sempre con te, se lo vorrai» la confortò, con un leggero sorriso. «Ma capisco cosa vuoi dire, ho trattenuto un fottiti per Ulisse per troppo tempo. Temo che non avrò più l’occasione di sfogarmi».

«Sei troppo brusco con lui, Draco! Dovresti avere un minimo di rispetto-».

«Granger, se prendi le sue difese non me lo fai stare più simpatico» ammise, con una certa stizza, sorridendo tuttavia quando la sentì ridere di cuore. «Coraggio, Mon Ange, abbiamo una domanda da porre» disse poi, sollevando le loro mani intrecciate per baciare delicatamente le nocche di lei.

Hermione annuì, arrossendo leggermente intorno alle orecchie. Era adorabile, quando si imbarazzava. «Dove si trova lo specchio, giusto?» chiese conferma, avvicinandosi lentamente al grandissimo Arazzo che li fronteggiava. I tantissimi colori di cui era composto sembrarono brillare di luce propria, riflettendosi negli occhi scuri di lei.

Tutta la conoscenza del mondo, ma non poteva chiederne che un assaggio.

«Prima di perdere la mia sincerità non voluta, Granger» la interruppe lui, tuttavia, tirandola per un istante verso di sé per stringerla fra le braccia, «sappi che ho davvero intenzione di trascinarti all’altare e farti indossare permanentemente l’anello di mia nonna» sputò, parlando forse un po’ troppo velocemente per poter mantenere il suo contegno da principino spocchioso. «E, se vorrai, ho anche tutta l’intenzione di avere cinque figli».

Le sopracciglia scure di Hermione scattarono verso l’alto, nonostante un compiaciuto rossore le avesse arrossato le guance. «Te ne concedo tre, di cui uno adottato» rettificò, imbarazzata. «E se avremo una bambina-».

«Rosemary». Il tono di Draco, per quanto carico di un affetto che non poteva nascondere, parlando di quella ragazza, sembrò non ammettere regole. «Se avremo una bambina, dovrà chiamarsi così. L’ho promesso, non posso rimangiarmi la parola data».

Hermione annuì leggermente, con un leggero sorriso. «Rosemary. Mi piace».

Da qualche parte, la giovane Crave probabilmente stava sorridendo compiaciuta.

«Coraggio, ora. Abbiamo una domanda da porre» disse quindi, voltandosi verso l’Arazzo e chiudendo gli occhi, consapevole che lei avesse fatto lo stesso.

Dove si trova lo Specchio delle Brame?

Quando riaprì gli occhi, non trovò nulla di diverso. L’Arazzo restava bellissimo, ma incomprensibile come un pezzo d’arte proveniente da un altro mondo. Draco si accigliò, ma decise di voltarsi verso Hermione, sperando che almeno lei fosse riuscita a cogliere qualcosa.

Sarebbe stato meglio se non l’avesse fatto.

I suoi meravigliosi occhi scuri erano stati inghiottiti in un mare d’oro, la sua pelle sembrava d’avorio puro, prosciugata di ogni minima goccia di sangue. Fluttuava accanto a lui, tenendogli stretta la mano, eppure non sembrava davvero .

Draco sentì un brivido corrergli lungo la spina dorsale, sentendo quelle dita gelide intrecciate alle sue, ma non ebbe la forza di mollare la presa. Temeva di perdere quel che restava della sua Hermione, forse. Oppure temeva di perdere se stesso.

«Io sono l’Arazzo dimenticato, custode di tutta la Conoscenza» esalò la creatura, la cui voce sembrava essere senza sesso e senza età. «Ponete la vostra domanda ed io risponderò».

Era una situazione inquietante, Draco dovette ammetterlo. Avrebbe fatto parecchia fatica a guardare di nuovo Hermione negli occhi, una volta finito quel guaio. Avrebbe voluto chiedere se l’avrebbe davvero riavuta indietro, una volta posta la domanda, ma non osò: avrebbe perso l’occasione e lei lo avrebbe ucciso.

«Vogliamo sapere dove trovare lo Specchio delle Anime» rispose quindi, schiarendosi la voce per paura di apparire troppo sconvolto o spaventato. «È questa la mia domanda. Dove possiamo trovarlo?».

La creatura lo fissò per un lungo istante, prima di abbassare leggermente le palpebre. Il lieve bagliore dorato era ancora lì ad illuminare la semioscurità dell’Agorà. «Lo Specchio che collega questo Regno all’Ade ha compiuto un viaggio immensamente lungo. Tanti sono stati i luoghi baciati dalla sua Magia e altrettanti sono stati i popoli da questa maledetti» iniziò, senza trasmettere alcun tipo di emozione. «Lo Specchio si trova nelle profondità della città di Londra, dove il Grande Tesoro riposa e dove sangue reale ha macchiato la terra». Le palpebre si sollevarono e la creatura fissò Draco per qualche istante. «Buona fortuna».

Poi, all’improvviso, Hermione tornò in possesso del suo corpo e gli cadde fra le braccia, inspirando bruscamente.

«La Torre di Londra. Lo Specchio è alla Torre di Londra!».

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Scrivere questo capitolo è stato un parto, dopo lo sfogo della settimana scorsa sono stata completamente BLOCCATA. Perdonatemi se non vi piacerà, ho fatto del mio meglio.

 

Per chi non l’avesse ancora saputo, ho pubblicato la one-shot rossa relativa al capitolo 23 (Ragione e Sentimento): thousand kisses – Lo Specchio delle Anime.

 

 

 

Punti importanti:

 

» 1 – Perché questa citazione? Perché la Speranza è fondamentale in questo capitolo: Ginny ne ha bisogno e la ritroverà nei suoi amici. Draco ed Hermione, invece, hanno tante speranze per il futuro. Speranza ovunque.

 

» 2 – Non ho avuto modo di informarmi riguardo la legge inglese, soprattutto perché quella del mondo magico potrebbe essere diversa, motivo per cui mi sono basata sulla legge italiana. Ginny, non essendo ancora incinta di tre mesi, può chiedere l’aborto. Per chiarezza, è rimasta incinta poco tempo prima che Harry stesse male, quando Hermione era stata sul punto di iniziare il lavoro con Draco.

 

» 3 – Coordinate temporali: nel mondo normale è arrivato il venti dicembre, manca un solo giorno al ritorno di Voldemort. Hermione e Draco ce la faranno?

 

» 4 – In realtà (non mi pare di averlo accennato in qualche altra nota) Laurie non è una nata babbana. Suo padre è Isaac Burke, ucciso da Regulus Black prima della sua nascita (come io spiego nella mia one-shot “The serpent underneath)”. Lei e Blaise si sono fidanzati verso la metà del sesto anno, si sono separati durante il settimo anno (Laurie non è tornata a scuola grazie a vari imbrogli che non sto qui a spiegare) e sono tornati insieme, definitivamente, dopo la Guerra.

 

» 5- Giusto per chiarezza: Seamus era il vice di Harry, quando lui si è ammalato ha preso il suo posto. Non essendo un idiota, ha capito di dover tenere Ginny (ed Hermione, ma lei si è rifiutata) sotto scorta, di conseguenza ha fatto di tutto per conciliare i turni ufficiali con quelli “di cortesia”. Importante: al Ministero non sanno nulla.

 

» 6 – Blaise sa della scorta solo perché gliel’ha detto Draco, che a sua volta l’ha saputo da sua cugina Merrick, giusto per chiarezza.

 

» 7 – Merrick è estremamente testarda ed ha deciso di non voler cedere ai propri sentimenti per Seamus, non ancora almeno. Lui, al contrario, si comporta come se fossero sul punto di sposarsi, motivo per cui le porta un sacco di fiori, le porta regali a San Valentino e si preoccupa per lei molto più che per gli altri. Sono entrambi innamoratissimi, come testimoniano varie conversazioni (ad esempio “Casa nostra sarà tutta col parquet”, “Scordatelo Finnigan, io voglio il marmo”, oppure “La nostra primogenita si chiamerà Fiona”, “Non chiamerò mia figlia Fiona, Finnigan, scordatelo”).

 

» 8 – Riferimento alla realtà alternativa del Djinn. Draco era consapevole che quella non potesse essere la vera Hermione perché era troppo gentile e troppo pacata, niente a che vedere con la nostra fiera Grifondoro!

 

» 9 – Hermione parla per tutti gli amanti della Conoscenza. Io sarei morta davanti a quell’arazzo, se non avessi potuto fare tutte le domande del mondo. Lei, pur essendo una Grifondoro, ha un innato spirito Corvonero. Limitarsi è stato estremamente difficile, per lei.

 

» 10 – Forse è un passaggio troppo romantico, me ne rendo conto, ma non sono riuscita a fermarmi. Non voglio dire che Draco si sia innamorato durante il Ballo del Ceppo, sarebbe stata una cosa assolutamente disgustosa e da superficiali, proprio da Ronald, e Draco non è mai stato così. Io faccio riferimento ad una questione di tipo “cavalleresco”. Draco è stato educato come un razzista, sì, ma sua madre non era una stupida e gli ha sempre detto che le donne vanno rispettate (sì, insomma, donne intese come quelle del loro livello, avete capito). Sentire le urla di Hermione contro Ron ed Harry, ma soprattutto verso Ron, gli ha fatto partire un moto di stizza assurdo verso il rosso. Non si fanno piangere le donne quando hanno passato una giornata a prepararsi.

Narcissa raised no fool.

  

» La Torre di Londra! Come si collega alle parole dell’Arazzo? Tesoro, perché lì sono conservati i gioielli della Corona; Sangue Nobile a causa delle varie decapitazioni e morti che si sono susseguite in quel luogo.

 

 

E così lo Specchio è sempre stato in Inghilterra e li ha costretti a fare un gran bel giro, eh?

E siete pronti per il piccolo James Sirius? Io sì. Era dai primi capitoli che non vedevo l’ora di rivelare la gravidanza di Ginny!

   

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 31
*** Atto XVII - Parte II/ Il Nemico nascosto ***


Lo Specchio delle Anime.

 

 

 “La plus belle des ruses du diable est de vous persuader qu'il n'existe pas”.1

 

[Charles Baudelaire – Lo spleen di Parigi]

        

 

  

 

Atto XVII – Parte II

Il Nemico nascosto.

 

 

 

«Ho bisogno di sapere, ti prego».

«Sei pronta a tutto? Anche a rinunciare a te stessa?»

«Sì».

 

Erano riapparsi nel salotto di Hermione solo una ventina di minuti prima, quando il sole aveva appena iniziato a tramontare sul ventesimo giorno di dicembre. La sensazione di calore immediato che l’appartamento le aveva trasmesso non era riuscita a far sparire il freddo pungente di Londra nel periodo Natalizio. Sua madre aveva provveduto ad arieggiare le stanze ed innaffiare le sue piante, nelle due settimane in cui era stata via, mentre Mittens era stato momentaneamente affidato a Ginny, una dei pochi capaci di avvicinarsi a quella bestiola infernale senza essere sbranati come cosce di pollo.

Non c’era nessuno, in quella casa, eppure Hermione non era riuscita a non sentirsi sempre osservata.

Dopotutto, era stata una sua scelta.

Draco si era congedato quasi subito, stringendola leggermente e dandole appuntamento da lì a due ore in Ospedale, dove sapeva che lei si sarebbe immediatamente recata. Sarebbe andato con lei, se non avesse dovuto dimettere la tunica greca e, quantomeno, andare ad avvertire sua madre del momentaneo ritorno.

Hermione rabbrividì, stringendosi di più nella pesante sciarpa che aveva tirato fuori dall’armadio, una delle poche sopravvissute al falò in cui erano finiti tutti i regali della famiglia Weasley. L’ingresso all’ospedale era particolarmente affollato, probabilmente perché quelle erano le ore destinate alle visite dei familiari.

«Devo vedere Harry Potter, nel reparto di lungodegenza» informò il manichino, avvicinando il viso alla vetrata quando finalmente venne il suo turno. Un cenno e finalmente riuscì ad attraversare l’ingresso, trovandosi circondata dal confortante calore della Sala Principale. Come aveva sospettato, l’orario delle visite era appena iniziato e tantissimi si aggiravano con aria sperduta per i corridoi che si aprivano davanti a lei, alcuni evidentemente feriti ed in cerca del piano giusto, altri con fiori e cioccolatini fra le mani.

«Granger!» la voce concitata ed incredibilmente sollevata di Blaise Zabini la fermò prima che potesse imboccare le scale per raggiungere il primo livello sotterraneo, dove sapeva che avrebbe trovato Harry e Ginny. Il giovane guaritore l’aveva scorta da lontano, probabilmente un attimo prima di raggiungere l’uscita e tornare a casa2, ma si era avvicinato quasi di corsa prima di chiamarla, forse per evitare di attirare troppo l’attenzione. Aveva delle leggere occhiaie, ma per il resto era sempre impeccabile. «Quando siete tornati? Draco sta bene?» le chiese, in ansia. «Quell’idiota, non ha neppure preso le pozioni antidolorifiche per il braccio!».

Con un leggero sorriso, Hermione scosse il capo. Quella era stata una delle scoperte piacevoli alla fine del loro breve viaggio in Grecia. «Non credo gli serviranno più. Il Marchio è sbiadito notevolmente ed ha smesso di far male, credo che un’altra dose della pozione del dottor Crave sarà sufficiente per eliminarlo del tutto3» spiegò, impedendogli tuttavia di fare ulteriori domande. «Ne parlerai con lui, se saremo fortunati. Adesso devi venire con me ed è importante che chiami anche la signorina Jones. Se non sbaglio lei è un’alchimista, vero?» ordinò, chiedendo conferma nonostante non avesse alcun dubbio al riguardo.

L’erede dell’ultimo Maestro. La figlia perduta di Isaac Burke4.

Blaise sembrò improvvisamente riempirsi d’orgoglio. «La mia Laurie è la migliore in circolazione. Ma a cosa ti serve un’alchimista?» le domandò, accigliato. «Granger, dov’è Draco?».

«Rilassati» lo ammonì lei, facendogli cenno di abbassare la voce quando il suo tono raggiunse picchi un po’ troppo ansiosi. «Draco è a casa sua, andrà un momento da sua madre e poi ci raggiungerà qui fra due ore. Noi non abbiamo tempo da perdere, è importante che tu chiami Laurie e che le chiedi di raggiungerci da Harry senza farsi notare. Io andrò avanti e farò in modo di sgombrare l’area il più possibile».

«Sgombrare l’area?» le sopracciglia di Blaise ebbero un guizzo. «E come pensi di fare, di grazia? Soprattutto senza attirare l’attenzione!».

Hermione sorrise, infilando la mano in tasca e tirandone fuori uno strano marchingegno con il marchio dei Tiri Vispi Weasley impresso sopra. Aveva chiesto un favore all’unico rimasto parzialmente cosciente in quella famiglia, specificando la necessità della segretezza di quel piccolo compito che gli aveva affidato.

Percy Weasley era sempre stato bravo ad eseguire gli ordini.

«Quello è un FalsaVoce?5».

«Va’ a prendere Laurie Jones, Zabini. Ormai abbiamo meno di due ore».

 

Quando Ginny, Seamus e Merrick l’avevano vista entrare nella piccola stanza d’ospedale, lei non avrebbe saputo dire chi fra loro avesse avuto l’espressione più sollevata. Fu quasi un peccato, in realtà, dover stroncare sul nascere qualunque tipo di domanda o dimostrazione di gioia.

«Anche io sono felice di vedervi» si limitò a dire, accennando un sorriso ma staccandosi subito dall’abbraccio in cui Ginny l’aveva immediatamente stretta. La sua amica era pallida e tendente al verdognolo, cosa che la preoccupò, ma non ebbe modo di fermarsi a riflettere più di tanto. «Abbiamo poco tempo, purtroppo, ma non potevo rimandare» spiegò, posando la borsa in un angolo ed avvicinandosi ad Harry per poter controllare dapprima il suo battito cardiaco e poi la sclera degli occhi, quasi avesse voluto cercare un’ulteriore conferma.

«Hermione, che cazzo sta succedendo?» Seamus, che non era mai stato un tipo paziente, fece un passo avanti e la afferrò delicatamente per un braccio, cercando di attirare la sua attenzione. Forse, prima di spingerlo a quel gesto, qualcuna delle altre doveva aver già provato a chiamarla, inutilmente. «Sparisci per due settimane senza dare notizie e quando torni ti comporti come un’invasata! Dacci un minimo di spiegazione, per la miseria!».

Lei sbuffò, grattandosi nervosamente la palpebra. In momenti come quello il vecchio tic all’occhio tornava a farsi sentire, dandole incredibilmente fastidio.

«Non ho il tempo di spiegare tutto due volte, a breve arriveranno Blaise Zabini e la sua fidanzata, dovete avere un po’ di pazienza e collaborare, se possibile» spiegò, cercando di usare il suo tono più conciliante. Si voltò verso Ginny, che era tornata a sedersi accanto ad Harry fissandola senza dir nulla. «Andrà tutto bene, te lo giuro. Ma a breve dovrò chiedere a tutti voi di prepararvi ad una fuga strategica».

«Una fuga dall’ospedale?» si fece avanti Merrick, le sopracciglia corrugate in modo stranamente familiare. «Ed il Capo dovrà venire con noi?» chiese poi, sempre più confusa, indicando Harry come se avesse sperato di non aver compreso bene le sue intenzioni. «Non è possibile, lo sai… il suo cuore potrebbe non reggere!».

In quel momento, Blaise fece il suo ingresso, seguito a ruota dalla sua piccola ma battagliera fidanzata. «Per questo motivo con voi ci sarà lui» spiegò Hermione, facendo loro cenno di avvicinarsi. «Io e Merrick provvederemo a creare un buon incantesimo d’illusione, mentre voi lo porterete a Grimmauld Place» continuò, voltandosi verso l’Auror in questione. «Se non sbaglio eri una delle migliori studentesse di Vitious».

«Dopo te e dopo lei» specificò allora lei, indicando con un cenno alla fidanzata di Blaise, che accennò un lieve sorriso compiaciuto. «Ma ancora non mi hai spiegato il perché dello spostamento».

Improvvisamente indecisa, Hermione strinse le labbra. «D’accordo, vedrò di farla breve. Harry non ha una malattia sconosciuta, niente di legato al suo esser stato un Horcrux o simili» iniziò, voltandosi immediatamente verso Ginny, convinta che lei, probabilmente, sarebbe stata la più adatta a ricevere un’informazione simile. «È stato avvelenato».

«Ma è impossibile!» sbottò immediatamente Seamus, scuotendo il capo, mentre Blaise, poco distante, annuiva leggermente. «Noi Auror abbiamo provveduto subito a richiedere un controllo tossicologico, non c’è corrispondenza con alcun veleno conosciuto e non è neppure possibile che i risultati siano stati falsati, non mi sono mosso dal fianco del Guaritore che ha verificato!».

«Ha ragione, il professor Venomis è il migliore nel campo, non avrebbe sbagliato la diagnosi del Golden Boy» aggiunse Blaise, stringendosi nelle spalle.

«Perché non si tratta di un veleno normale» li corresse Hermione, allungando le mani verso la maglia del pigiama di Harry, sollevandola fino a scoprire completamente il petto dell’amico. «Il professor Venomis non ha sbagliato, ma comunque non possiamo fidarci di lui, l’ospedale è pieno di spie» aggiunse, tirando fuori la bacchetta e puntandola proprio all’altezza della bocca dello stomaco dell’incosciente. Prima che qualcuno potesse intervenire, un taglio non molto profondo ma lungo almeno una decina di centimetri aprì la pelle pallida del Capo Auror ed una sostanza nera, densa e puzzolente iniziò ad uscirne in quantità copiosa.

Un coro di imprecazioni accolse quella scoperta, mentre Ginny, assistita da uno stranamente apprensivo Blaise corse subito verso il cestino dei rifiuti all’angolo, scossa dai conati.

È incinta, Hermione lo realizzò solo in quel momento. I segnali c’erano da settimane e settimane, eppure aveva fatto di tutto per non prestarvi attenzione. Non era esattamente il momento più adatto, ma presto si sarebbe risolto tutto.

«Quello è un composto di piombo e mercurio» stupita, Laurie si era fatta avanti per esaminare lo strano liquido, tuttavia senza azzardarsi a toccarlo. «È sicuramente di origine alchemica6».

Hermione, soddisfatta, annuì. «Lo hanno avvelenato con un rito alchemico, infatti» fece un paio di passi indietro, lasciando che l’esperta esaminasse il suo migliore amico. «So cosa stai per dire: una dose così massiccia avrebbe dovuto ucciderlo sul colpo, ma non è stato così. Credo che abbia iniziato a ricevere piccole dosi già da mesi, se non da qualche anno, con un aumento di frequenza esponenziale nell’ultimo periodo, proprio in proporzione a-».

«Ai suoi incubi» si intromise Merrick, stringendo le labbra. Si voltò verso Seamus, come in cerca d’appoggio. «Era sempre più nervoso, nell’ultimo periodo, ma è da quando ha ricevuto la carica di Capo che ha iniziato a star male. Forse lo hanno avvelenato pian piano, così che i sintomi potessero essere spacciati per un esaurimento nervoso».

«Possibile» confermò Laurie, la cui espressione, tuttavia, era funerea. «Ma questo composto è praticamente sconosciuto e lo sta lentamente trascinando alla morte. Servirebbe una trasformazione alchemica di livelli altissimi, per bilanciarlo. Forse si dovrebbe ricorrere alla Panacea!7» continuò, spiegando il motivo di tanta preoccupazione.

«Panacea?» domandò Seamus, confuso, forse cercando di scorrere mentalmente la lunga lista di antidoti che Lumacorno li aveva costretti ad imparare durante il sesto anno.

«Un composto simile all’Elisir di lunga vita, alcuni ritengono si possa ottenere solo dalla Pietra Filosofale che, come penso sappiate, non può essere più prodotta. In realtà non si potrebbe neppure parlare della Pietra!» spiegò Laurie, accigliata, voltandosi verso Hermione. «Credo che il veleno sia stato creato con una deviazione dell’Elisir stesso. Possibile che ne abbiano ricreata una andando contro la Legge di Flamel?8».

«Probabile, se non sicuro. Dopotutto, l’alchimia è sempre una questione di opposti ma uguali, no? Piombo e Oro, Vita e Morte» convenne Hermione, lanciando un’occhiata preoccupata a Ginny, tornata in quel momento al suo posto ma controllata a vista da un preoccupato Blaise. «Per questo ho chiesto a Zabini di mandarti a chiamare. L’ospedale potrebbe essere pieno di spie mandate a controllare che Harry resti in trance. Mentre io e Merrick creeremo un’illusione come diversivo, Seamus e Ginny trasporteranno Harry a Grimmauld Place, tu ti occuperai dell’antidoto ed il tuo fidanzato provvederà a tenerlo in vita lontano dai macchinari del reparto».

«Ti sfugge un particolare, Granger» il tono di Laurie era incerto, quasi avesse temuto che lei potesse reagire male alle sue parole. «Io non so come fabbricare la Pietra Filosofale. Flamel ha bruciato i suoi appunti, potrei impiegare anni a trovare la giusta combinazione».

«Ce l’ho io» la interruppe subito Hermione, infilandosi la mano in tasca per tirarne fuori un pezzo di pergamena su cui aveva scribacchiato i simboli che tanto aveva faticato a ricordare e di cui non conosceva il significato. Lo sguardo che Laurie le lanciò confermò che lei, invece, sapesse fin troppo bene cosa fossero. «Segui il procedimento, dovresti impiegare qualche ora. Se saremo fortunati ed io e Draco riusciremo ad impedire che lo Specchio venga usato, allora dovremmo poter riavere il vecchio Harry».

«Granger…» Laurie scosse il capo, afferrando il bigliettino con espressione incredula. «Hermione, questa è la formula per la creazione di una Pietra Filosofale, il segreto conservato con maggior riserbo di tutta la storia. Come hai fatto ad entrarne in possesso?» le domandò, voltandosi un istante verso Blaise, quasi avesse temuto di star vivendo un’allucinazione.

Lui, fortunatamente, annuì incoraggiante, come a chiederle di fidarsi.

«Non posso dirtelo, mi dispiace. Ed è importante che subito dopo averla usata, tu elimini sia la formula che la Pietra, così che non esista più alcun tipo di prova della sua esistenza. Questa è la peggior arma di cui si potrebbe entrare in possesso».

Pallida, la ragazza annuì. «Avrò bisogno del mio kit, posso andare a prenderlo a casa» mormorò, guardando nuovamente il fidanzato. «Se vado immediatamente, posso raggiungervi a Casa Potter».

«Io penso di poterlo tenere in vita un altro po’, ma dobbiamo essere veloci nel trasferimento» aggiunse Blaise, guardando i due Auror e Ginny, che sembrava in preda a troppe emozioni contrastanti per far funzionare correttamente le sue facoltà mentali. «Avremo bisogno anche di un buon sistema di sicurezza, una volta arrivati lì… credo che l’illusione non potrà durare molto».

Hermione annuì, avvicinandosi alla migliore amica per posarle una mano sulla spalla. «Dovete sbrigarvi, altrimenti sarà tutto inutile» disse, aumentando leggermente la presa così da attirare l’attenzione della rossa e farsi guardare. «Ce la faremo e allora Harry tornerà ad essere quello di un tempo».

«D’accordo» con tono risolutivo da vero Auror, Seamus si fece avanti, guardandosi intorno per individuare il miglior piano d’azione possibile. «Ginny, tu ed io dovremo trascinarlo fino alla porta di servizio alla fine del corridoio, arrivare alla tromba delle scale e lì smaterializzarci senza far saltare gli allarmi. Zabini, tu verrai con noi ma dovrai limitarti a controllargli i segni vitali» iniziò a dire, indicando i vari soggetti. Si voltò verso le altre tre donne, passandosi una mano fra i corti capelli color sabbia. «La signorina Jones andrà a recuperare il suo kit e ci raggiungerà a Grimmauld Place, io stesso la aspetterò sulla porta per assicurarmi che non venga seguita. Merrie ed Hermione, voi provvedete all’incantesimo, poi tu» ed indicò Merrick «ci raggiungerai, usa il solito codice di riconoscimento».

Un teso mormorio d’assenso accompagnò quegli ordini. Per la prima volta, Seamus dimostrò davvero quelle capacità che Harry gli aveva riconosciuto il giorno in cui l’aveva nominato suo vice. Il giorno in cui aveva preferito lui a Ron, spingendo quest’ultimo a lasciare gli Auror per andare a lavorare con suo fratello9.

In quel momento, col senno di poi, Hermione comprese quanti segnali avesse ignorato, prima che tutto andasse allo scatafascio.

Quello, tuttavia, non era il momento di compiangere la sua cecità passata.

«Zabini, prima che andiate ho bisogno di un piccolo favore» disse, afferrando Blaise per un braccio un attimo prima che si avvicinasse ad un ancora sanguinante Harry.

«Cosa ti serve?» chiese subito lui, senza neppure riflettere qualche istante. Il suo migliore amico le avrebbe fatto il terzo grado, ipotizzando i peggiori scenari. Ma Blaise non era certo amico suo: era il migliore amico di Draco.

«Due dosi di Pozione Polisucco. E mi servono adesso».

Blaise accolse quella richiesta con una tranquillità leggermente inquietante, quasi fosse stato abituato a trattare pozioni tanto oscure e fuori dal comune mercato. Veloce, si avvicinò alla sua borsa, appellando una cassetta con tante boccette colorate, fra cui ne scelse due identiche, piccole e tozze, di un sinistro verde marcio.

Hermione preferì non indagare sulle altre: qualcosa le diceva che il signor Zabini avesse continuato a mantenere il suo traffico illegale di pozioni anche fuori dagli ambienti protetti di Hogwarts10.

Dopo avrebbero chiacchierato a quattr’occhi, ma solo una volta risolta quella incresciosa situazione.

«Ti ringrazio» si limitò a dirgli, sistemando le due ampolle in una tasca nascosta della sua giacca. Allora si voltò verso Ginny, rimasta al capezzale di Harry con qualcosa che la strega non faticò a definire come determinazione. «Gin» la chiamò, facendosi avanti per poterle sfiorare il braccio ed attirare la sua attenzione. La guardò attentamente, quando si voltò, e si sentì orribilmente in colpa notando le occhiaie che le macchiavano il viso come se non avesse dormito per giorni e giorni. «Andrà tutto bene. Lui tornerà da te e sarete tutti insieme» le mormorò quindi, cercando di mostrarsi il più incoraggiante possibile, occhieggiando al ventre leggermente rigonfio dell’amica. Essendo dimagrita così tanto, sembrava improvvisamente più evidente.

«Lo so che lui tornerà da me, mi fido di tutti loro» disse la giovane, accennando un lieve sorriso ed indicando con un cenno il gruppetto di persone che aveva iniziato ad affaccendarsi per il trasferimento. Tuttavia, non sembrò particolarmente tranquilla. «Lui tornerà, ma tu Hermione? Non credere di abbindolarmi, lo vedo nei tuoi occhi che hai paura» continuò, seria, stringendo le labbra in una fedele imitazione della Signora Weasley nei suoi momenti di gloria. Quando ancora era Molly, la mamma di chiunque ne avesse bisogno.

«Non essere sciocca, Ginny» le rispose immediatamente lei, abbracciandola forte. «Ho paura perché sto per affrontare una banda di psicopatici, non c’è molto altro. Alla fine tornerò anche io a casa e andremo insieme a comprare vestitini per il bambino» continuò, cercando di suonare il più tranquilla possibile. Molto più di quanto non fosse in realtà.

«Sai, Hermione, non bisogna mai fidarsi di un abbraccio» fu tutto ciò che lei le disse, la voce ferma nonostante il suo piccolo corpo stesse tremando. «Un abbraccio è solo un modo per nascondere il tuo viso all’altro11».

Sentendo una smorfia piegarle le labbra, Hermione non riuscì a non concordare con lei.

«Avrò bisogno del Mantello di Harry, Gin».

 

***

 

«È stata una mossa intelligente, davvero» per l’ennesima volta, Draco si complimentò con lei, continuando ad osservare di sottecchi il viavai di turisti intorno a loro. Sembravano tutti interessati ai gioielli della corona, ma Hermione non riuscì a lasciarsi prendere dall’entusiasmo. L’ansia era troppa, la paura era in agguato in un angolo del suo cuore, pronto a divorarla nel momento meno opportuno.

«Se davvero questi nuovi Mangiamorte sono radicati un po’ ovunque e non sono più solo purosangue, allora chiunque potrebbe essere una minaccia per Harry. Meglio Grimmauld Place, controllato da persone fidate e con Blaise a tenerlo in vita» gli spiegò, continuando a guardarsi ansiosamente intorno.

«Ah, sì, Potter vive nella vecchia dimora dei Black» rammentò il giovane, all’improvviso, senza riuscire a nascondere un sorrisino incredulo. «Se la vecchia prozia l’avesse saputo, avrebbe dato di matto. Ancora mi sorprende che il vecchio elfo insista nell’andargli dietro, dopotutto lui è la personificazione della rovina dei Black» continuò, scuotendo il capo.

Hermione sentì un moto di stizza partirle dalla bocca dello stomaco e dovette frenare tutti i suoi istinti primordiali per evitare di assestargli un pugno che avrebbe potuto mandarlo fuori combattimento per delle ore. «Oh, sì, la rovina dei Black è un ragazzo che ha passato l’adolescenza a combattere il Signore Oscuro… che disgrazia, vero?» sibilò, schivando per un pelo il pizzicotto che lui tentò di rifilarle sulla guancia.

«Oh, Granger, non essere così musona. Stasera potremmo morire entrambi, non è meglio percorrere la strada per l’inferno con un bel sorriso sulle labbra?» la riprese, bonario, passandole un braccio intorno alle spalle poiché era l’unico gesto d’affetto che il ridotto spazio sotto il mantello dell’invisibilità consentiva.

Hermione non riuscì a nascondere un leggero sorriso. Sembrava quasi che lui non fosse spaventato, ma il modo in cui il suo sguardo saettava per la stanza era inequivocabile. Un po’ come a Versailles, quando l’aveva trascinata a ballare, oppure in Italia, quando l’aveva convinta a godersi la festa cui potevano partecipare.

Draco Malfoy aveva imparato ad accettare tutto ciò che gli veniva offerto, senza essere troppo schizzinoso. Dopotutto, i loro momenti insieme potevano finire con la stessa velocità con cui il buon nome dei Malfoy era decaduto.

«Dai per scontato che andremo all’Inferno, Draco? Non credi che come minimo ci siamo guadagnati il nostro angolo di Paradiso?» gli chiese, divertita, puntando improvvisamente lo sguardo su una sinistra coppia appostata in un angolo.

Lui ridacchiò leggermente, occhieggiando a sua volta i due sospettati. «Io verrei accolto nei Cieli come un reietto, Mezzosangue. Mi sono meritato la salvezza per un pelo… meglio regnare all’Inferno che servire in Paradiso!12» le spiegò, apparentemente tranquillo. «Quanto a te, sarebbe scortese lasciarmi solo, dopo tutta la fatica che ho fatto per conquistarti. Tanto vale andare insieme negli Inferi e reclamare una posizione importante, no?».

Hermione non riuscì a nascondere una risatina. «Questo ragionamento non fa una piega, devo ammetterlo» disse infine, con un sospiro apparentemente rassegnato. La coppia nell’angolo sembrava in attesa dell’orario di chiusura quasi quanto lo erano loro. «Riconosci uno dei due, per caso?» chiese poi, consapevole che lui sapesse benissimo a chi si stesse riferendo.

Fortunatamente, lui annuì. «La donna è Goldine Rosier» ammise, a denti stretti, quasi quella rivelazione gli fosse costata un grande sforzo. «È la sorella maggiore di Merrick, quindi è mia cugina» borbottò, sconfitto. «Quello al suo fianco credo sia suo marito, Alphard Jenkins».

«I Rosier erano Mangiamorte anche nella Guerra» notò Hermione, stringendo le labbra. «Magari loro fanno parte della vecchia guardia, no? Tu che ne dici?».

Draco scosse il capo, tutt’altro che convinto. «Il fratello maggiore di Merrick e Goldine è stato ucciso dai Mangiamorte per evitare che venisse catturato e rivelasse dei segreti di cui solo il circolo ristretto era al corrente13. Poco dopo assassinarono anche il vecchio Rosier, il mio prozio, perché osò chiedere giustizia per suo figlio» spiegò, impedendole con un gesto di fare altre domande. «C’è una lunga storia dietro, Granger, ma sappi che nessun Rosier si potrebbe mai unire ai Mangiamorte, non più. Nella Seconda Guerra gli altri fratelli di Merrick si rifiutarono di ricevere il marchio e restarono nascosti in casa. Meribelle è diventata addirittura un Auror, tanto odiava tutta la risma. Ha ricominciato a parlarmi solo quando sono stato assolto al processo».

Seppur delusa, Hermione annuì. «Quindi non abbiamo idea se davvero facciano parte di questa risma e, nel caso, non sappiamo per quale motivo abbiano deciso di prendere parte a questa follia». Con un sospiro, si limitò a scuotere le spalle, mentre intorno a loro i custodi iniziavano a far sgomberare la sala. I due nell’angolo si nascosero, probabilmente utilizzando un incantesimo di disillusione.

Una ulteriore conferma del loro coinvolgimento.

«Cosa facciamo? Li seguiamo o prendiamo immediatamente le loro sembianze e li nascondiamo in un angolo?» chiese Draco, mentre le luci iniziavano ad esser spente intorno a loro ed il bagliore bluastro dei sistemi di sicurezza risplendeva su tutti i gioielli della Corona. «Ricordi cosa ci ha detto il vecchio Mustafà? Hanno sicuramente delle protesi dentarie con il cianuro, non possiamo in alcun caso farci scoprire».

«Non credo torneranno al Covo, Draco» gli fece notare lei, stringendo le labbra. «Sono qui di vedetta, sanno che stiamo arrivando» aggiunse, guardandosi intorno per verificare che non ci fosse nessun altro. «Possiamo usare il metodo che ha sempre funzionato quando io ed Harry eravamo giovani e prendere immediatamente le loro sembianze».

«Che metodo?» domandò Malfoy, mentre lei sollevava la bacchetta e la puntava in direzione degli inconsapevoli coniugi Jenkins, intenti a confabulare. Un movimento del polso e si ritrovarono entrambi al suolo, caduti come pere mature.

Chinatasi per strappare un capello ad entrambi, Hermione lanciò un’occhiata vagamente divertita a Draco. «Improvviseremo, naturalmente».

 

***

 

I vestiti del cugino Alphard erano di alta manifattura, Draco ne fu estremamente soddisfatto. Certo, l’idea di somigliare ad un tricheco magro e pallido non lo attirava un granché, ma avrebbe potuto decisamente andargli peggio.

Almeno Alphie non puzzava di marcio.

«Stiamo girando a vuoto per questi cortili da quaranta minuti, Hermione» le fece notare, per l’ennesima volta, mentre lei – nelle grassocce spoglie della cugina Goldine – si guardava intorno con aria sempre più confusa. «Le Polisucco di Blaise durano più del normale, ma non credo che riusciremmo ad andare oltre le due ore. Abbiamo già ispezionato tutte le aree di solito non aperte al pubblico».

«Ma deve essere per forza in questi luoghi!» sbottò lei, esasperata. «Un altro verme della memoria? Non credo che ci sia, ormai abbiamo imparato a tenere gli occhi bene aperti per quelli. Deve trovarsi in un luogo non visitato! Forse dovremmo visionare le registrazioni della sicurezza… ma dubito che non sappiano come aggirarle».

Draco sbuffò, scuotendo il capo. Avrebbe tirato fuori una qualche uscita brillante e forse un po’ troppo sarcastica per la situazione, ma il trovarsi davanti una testa mozzata gli fece perdere quel po’ di spirito che ancora gli era rimasto in corpo.

«Maledizione!» sbottò, afferrando Hermione per un braccio e tirandola bruscamente indietro, gli occhi sgranati e puntati sulla figura evanescente comparsa a pochi centimetri da lui, irrispettosa di qualunque decenza fosse in voga nei rapporti fra vivi e morti. «Chi diavolo sei tu?» chiese allora, mentre la giovane fra le sue braccia si dimenava per liberarsi da quella presa non troppo gradita.

Il fantasma – o almeno, la sua testa – lo fissò oltraggiato, la mano che non reggeva il capo mozzato portata al cuore in un gesto teatrale. Indossava una strana veste scura, i capelli erano raccolti sotto una cuffietta bianca da decapitazione. Se non fosse stata così morta, Draco avrebbe detto che fosse stata anche bellissima.

«Come osate rivolgervi a me con questo tono impudente?» esalò incredula, prima di riavvicinarsi con la velocità tipica die morti e far rabbrividire Draco per il gelo della sua presenza. «Come osate presentarvi qui, al mio cospetto, senza prima inchinarvi? Io sono la Regina!».

Come fulminata, Hermione si portò una mano a coprire le labbra, afferrando Draco per la manica della giacca nera appartenuta a Jenkins. «Draco, è Anna Bolena!» sbottò, voltandosi nuovamente verso il fantasma ed inchinandosi nel modo più aggraziato che conoscesse. «Le leggende dicono che il suo fantasma è solito aggirarsi per la torre con la testa sottobraccio… Malfoy, inchinati!».

Ecco, per un istante Draco pensò che inchinarsi sarebbe stato inutile e senza senso, considerando che quello fosse un fantasma e che, oltretutto, non fosse neppure il fantasma di una regina, essendo stata ripudiata dal marito e, oltretutto, condannata a morte per Alto Tradimento14. Riflettendo per un istante, però, ricordò le parole che il Barone Sanguinario gli aveva rivolto, quando non era altro che un bambino troppo pieno di sé.

I fantasmi hanno sempre una risposta, rispettali e loro ti aiuteranno.

«Vostra Maestà, dovete perdonarmi per la mia impudenza, sono solo un povero sciocco» si scusò, esibendosi nell’inchino che aveva conquistato i cuori di mezza nobiltà europea. «Non vi ho riconosciuta immediatamente solo perché mi siete sembrata perfino più bella di quanto dicessero le leggende» continuò, affascinante. «Se permettete, la storia non vi rende assolutamente giustizia».

La dama sembrò improvvisamente deliziata da quelle sue parole, ritirandosi di un paio di passi con un’espressione ancora contrita ma non più infuriata con loro. «Lo so che la storia non mi rende giustizia! Sono stata dipinta come un’adultera ed un’incestuosa!» urlò, emettendo un lamento da brividi.

«E noi vogliamo aiutarla a diffondere la verità, Maestà» si intromise la Granger, con il suo migliore tono conciliante. «Io lavoro per il nuovo Capo della nostra società, posso intervenire affinché il Vostro ricordo possa rispecchiare la realtà» aggiunse, con un leggero sorriso.

Draco dovette ammetterlo, per quanto quello non fosse il suo viso, Hermione sarebbe riuscita a convincere chiunque a seguirla anche all’Inferno, fintanto che avesse usato quel tono.

«Potete farlo davvero? Una donna può tanto?» il tono della Regina era stranamente ammirato, per quanto confuso. La sua immagine tremolò in modo strano, quasi la curiosità l’avesse disturbata.

«Deve credermi, Maestà» si intromise Draco, prontamente. «Questa donna potrebbe qualunque cosa, si fidi di lei e vi renderà il servizio che ha promesso».

«Certo…» la giovane strinse le labbra, dando al viso di Goldine Rosier un’aria di preoccupato dispiacere, poi alzò lo sguardo sul fantasma, improvvisamente rapito da lei. «Dovete sapere, Maestà, che prima noi dobbiamo raggiungere dei Malvagi che attentano alla stabilità del Regno. Se non riusciremo a trovarli presto, allora non ci sarà alcun suddito cui raccontare la vostra verità».

Quella prospettiva fece accigliare la Regina, che strinse le labbra, contrariata. «Non possiamo permettere che accada» sbottò, raddrizzando le spalle e sollevando la testa parlante ad altezza del petto. «Anche se questo Regno mi ha abbandonata, io sono comunque responsabile per tutti i sudditi. Descrivetemi questi malvagi attentatori ed io vi aiuterò a trovarli!».

Per un istante, Draco provò l’improvviso desiderio di baciare un fantasma. Madame Bolena era stata una donna estremamente intelligente e scaltra, sì, ma l’esser bistrattata per anni l’aveva resa incline al complimento, fragile nella psiche.

Dopotutto, un fantasma altro non era che l’impronta dell’essere passato, con caratteri accentuati ed altri diluiti. Evidentemente, la creatura che lo fronteggiava aveva mantenuto la vanità, perdendo tuttavia l’intelletto.

«Noi non li conosciamo, Vostra Maestà» mormorò la Granger, inchinandosi nuovamente. «Sappiamo solo che si trovano qui e che hanno con sé uno specchio. Uno specchio incredibilmente potente, se il dettaglio può esservi d’aiuto».

Anna Bolena li osservò entrambi, improvvisamente preoccupata. I suoi occhi da gatta erano pieni d’angoscia. «Miei cari… conosco lo Specchio di cui parlate, l’ho visto molte volte e molte volte ha tentato d’ingannarmi… oh, miei cari, miei cari» gemette il fantasma, battendosi la mano sul petto come se fosse stata intenta a recitare un mea culpa. «Vorrei davvero risparmiarvi questo strazio».

«Anche noi vorremmo risparmiarci quest’avventura, Maestà» la rassicurò Draco, con una smorfia partecipe. «Ma questo è l’unico modo. Le dispiace aiutarci?».

«Dovete entrare dalla maledetta porta che mi condusse al patibolo… l’ingresso è lì, proprio lì davanti. Mio marito fece costruire un tunnel nascosto, seguendo le indicazioni dei suoi predecessori» spiegò il fantasma. «Oh, miei cari… quell’uomo è spregevole, io non ho mai conosciuto una creatura così oscura! Prestate attenzione, miei diletti, poiché non è quello che sembra!».

Congedatasi con quelle parole, Anna Bolena sparì così com’era apparsa, lasciandosi alle spalle soltanto uno spiffero d’aria gelida e due espressioni confuse.

«Sta ovviamente parlando del Traitor’s Gate» convenne Hermione, afferrandolo per il braccio ed iniziando a trascinarlo via. «Edoardo I costruì quell’ingresso per avere un accesso alla Torre anche tramite il Tamigi, i prigionieri di solito usavano quell’entrata e fra questi ci sono stati sia Tommaso Moro che, appunto, Anna Bolena» spiegò, sorridendo soddisfatta quando lui le lanciò un’occhiata ammirata. «Ah, Malfoy, credevi forse di potermi sempre cogliere in fallo? Io sono la strega più brillante della mia generazione» gli fece notare, mentre si avvicinavano alla grata che nascondeva l’unico ingresso dal fiume.

«Non ho mai messo in dubbio il tuo intelletto, Granger» le fece notare allora lui, con un sorrisino, iniziando a guardarsi intorno. «Come facciamo a trovare questo tunnel segreto?» chiese, non riuscendo – ovviamente – a trovare un qualsiasi accesso utile. La fioca luce delle bacchette era già un rischio troppo grande, se avessero aumentato l’intensità dell’incanto avrebbero potuto scoprirli, per quanto fossero sotto mentite spoglie.

«Dobbiamo smaterializzarci lì dentro» fu la risposta assurda che lei gli dedicò, indicando qualcosa sul fondo dell’acqua putrida del Tamigi. Quando si avvicinò, anche Draco notò una leggera luce provenire da una insenatura delle fondamenta, per quanto poco affidabile. «Oh, Malfoy, non fare quella faccia! Cosa c’è, hai paura di bagnarti? Quelli non sono i tuoi vestiti».

Draco fece una smorfia disgustata, tentato di tapparsi il naso per non sentire la puzza di quell’acquitrino. «I vestiti non saranno i nostri, ma il corpo sì e ti assicuro che non ho la minima intenzione di beccarmi qualche malattia strana. I miei figli li voglio sani e con un padre ancora in vita per vederli vincere la loro prima Coppa del Quidditch per i Serpeverde» sbottò, con il tono più indignato di cui fosse in possesso.

La Granger gli dedicò un’occhiata scettica, incrociando le braccia al petto. «Sei un illuso se pensi che i miei figli saranno dei Serpeverde» gli disse, dandogli le spalle per osservare meglio l’apertura sotto l’acqua. «Quantomeno, non tutti» specificò un attimo dopo, facendo ridacchiare Draco. «Senti, io comunque ho intenzione di tuffarmi, quindi la scelta è tua, puoi venire con me o lasciare che la madre dei tuoi figli rischi la vita da sola».

Dato quell’ultimatum orribile, sparì con un pop e riapparì dentro l’acqua putrida.

Draco sbuffò, passandosi una mano fra i capelli corti e unti del marito di sua cugina. «Maledizione, Granger» sbottò alla fine, tappandosi il naso e girando su se stesso, per poi riapparire nelle acque gelide e sporche, accanto ad una ghignante Hermione. «Sappi che lo faccio solo per amore dei miei futuri figli».

«Coraggio, signorina Malfoy» lo prese in giro lei, nuotandogli accanto. «Dai, andiamo, ormai non abbiamo che poco meno di un’ora» aggiunse, inspirando e sparendo sotto l’acqua buia, diretta all’unica fonte di luce.

Draco fece per seguirla, naturalmente: non avrebbe mai lasciato che la madre dei suoi futuri figli si lanciasse all’avventura da sola. Non appena si immerse, tuttavia, gli sembrò che una mano l’avesse afferrato per la caviglia e tirato giù con violenza, trascinandolo, fortunatamente, verso l’unica fonte di luce.

Quando riuscì finalmente a riprendere fiato e ad aprire gli occhi, si ritrovò una bacchetta puntata in mezzo alla fronte e degli occhi azzurri estremamente familiari ed estremamente tristi puntati nei suoi.

«Mi dispiace, signor Malfoy» disse Daisy, la giovane assistente del Ministro, mentre proprio quest’ultimo li osservava con espressione vuota a pochi passi di distanza. La posizione delle braccia e delle spalle, basse ed incurvate, lasciava pensare che fosse lì come mero assistente, se non schiavo.

«Daisy, che significa tutto questo?» la voce di Hermione era ridotta ad un sibilo furioso. Voltandosi verso di lei, Draco si rese conto che fosse tornata normale*. Anche lui, sentendo la camicia tirare sul petto, capì di dover essere tornato normale. «Kingsley? Kingsley! Perché non mi risponde? Cosa gli hai fatto? Lo sapevo che eri tu la talpa!» sputò ancora, tutto d’un fiato. Quelle parole sembrarono ferire la giovane donna, che arretrò d’un passo.

«Sono mortificata, signorina Granger, ma non ho avuto altra scelta. Il Maestro sa essere molto convincente» mormorò, con un sospiro stanco, facendo poi un cenno a Kinglsey, che si spostò ubbidiente. «Andiamo, è il momento che voi lo conosciate. Il momento sta per arrivare».

Osservando l’omaccione seguirla come un cagnolino, Draco venne fulminato da un’illuminazione.

Maledizione Imperius.

«Chi è questo Maestro? Cosa vuole fare?».

«Vuole diventare Immortale. Immortale nella mortalità15».

 

 

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Mi scuso con chiunque abbia recensito lo scorso capitolo e non abbia ricevuto una risposta: il sito si è mangiato le vostre recensioni ed io non ho fatto in tempo neppure a leggerle.

 

Siamo al penultimo capitolo, gente. Chi sarà mai il Maestro?

 

 

Per chi non l’avesse ancora saputo, ho pubblicato la one-shot rossa relativa al capitolo 23 (Ragione e Sentimento): thousand kisses – Lo Specchio delle Anime.

 

 

 

Punti importanti:

 

» 1 – “Il più bel trucco del diavolo è convincerti che non esista”. Perché questa frase? Il riferimento è al male di Harry, prima di tutto: hanno escluso l’avvelenamento, solo perché era stato mascherato da crisi isterica e PTSD. Il riferimento, poi, è anche a questo Maestro, che Draco ed Hermione non sapevano neppure esistesse!

 

» 2 – Indicazioni temporali: siamo alla sera del capitolo precedente, Ginny ha appena scoperto di essere incinta. Più o meno siamo alle nove di sera.

 

» 3 – Come molti di voi avevano ipotizzato, Draco ormai ha superato il suo trauma, quindi non c’è nulla che si frappone fra lui e la guarigione. Ormai manca solo la pozione finale del Dottore ed il marchio sarà solo un brutto ricordo!

 

» 4 – Ho già accennato a questa cosa: Laurie in realtà non è una Nata Babbana ma è una Mezzosangue, poiché figlia di un purosangue. Suo padre, Isaac Burke, era un purosangue rinnegato della famiglia per aver avuto una storia con una babbana (la mamma di Laurie), poi ucciso da Regulus Black. Isaac era il miglior alchimista, l’ultimo dei Maestri, perché nessuno è più riuscito a superare le prove che l’Ordine degli Alchimisti si tramanda da secoli (spoiler, Laurie ce la farà). Per maggiori informazioni su questo ultimo Maestro, vi consiglio di leggere “The serpent underneath”, la mia one-shot.

 

» 5- Oggettino di mia creazione, consente di copiare la voce di qualcun altro. Hermione lo userà per imitare la voce del primario, facendo allontanare tutti i parenti dei ricoverati, ed ha sfruttato Percy che, come ho accennato nel primo capitolo, è l’unico oltre Ginny ad essere dalla sua parte, seppur non abbastanza forte da voltare le spalle alla madre. Li ha abbandonati una volta, non crede di farcela ancora. [Altro spoiler, quando nascerà James deciderà di andarsene come Ginny].

 

» 6 – Il mondo dell’alchimia è pieno di segreti, io sono andata ad improvvisazione basandomi sulle poche conoscenze racimolate da wikipedia. Si parla di questioni legate agli elementi ed alla spiritualità, tanti segreti, tante allegorie.

 

» 7 - Come spiegato nel testo, è un composto capace di guarire qualunque male, essenzialmente quello che Hermione vuole far bere ad Harry. Si potrebbe arrivare alla vita eterna, con questa porcheria, ma ovviamente non è lo scopo di nessuno.

 

» 8 – Legge di Flamel è una legge che riguarda l’Ordine degli Alchimisti che vieta sia di parlare che, naturalmente, di creare una nuova Pietra Filosofale (ovviamente è una legge di mia creazione). Flamel l’ha imposta prima di morire, alla fine del primo anno di Harry.

 

» 9 – Rivisitazione della motivazione canon. In realtà Ron è diventato Auror ma ha deciso che non faceva per lui, andando a lavorare con George. Per me l’ha fatto solo per vendicarsi di Harry, poiché gli ha preferito Seamus nella scelta del vice.

 

» 10 – Questa è divertente: per me, Blaise a scuola aveva creato un mercato nero di pozioni che ha mantenuto anche fuori. Grazie a questo mercato nero ha conosciuto la sua Laurie, ma è un’altra storia.

 

» 11 – Citazione da Doctor Who, stagione 8. È quello che il dottore dice a Clara quando sembrano volersi separare.

 

» 12 – Citazione dal Paradiso Perduto di Milton, è ciò che dice Satana dopo esser caduto dai Cieli ed atterrato negli Inferi. Paradise Lost è una delle mie opere preferite.

 

» 13 – L’Evan Rosier in questione è quello che viene nominato nel flashback del Calice di Fuoco, quando Karkaroff cerca di chiamarlo in causa. Evan ha l’età di Lucius, ma è il fratello maggiore di Merrick (lei è ultima figlia di un ultimo figlio, discorso complicato ma sensato, ho fatto i miei conti), si è portato via un pezzo di Malocchio Moody e, in teoria, è stato ucciso da lui. In realtà è stato ucciso da altri Mangiamorte, perché lui conosceva segreti che non dovevano essere condivisi. Il padre è Rosier dei tempi di Hogwarts di Voldemort, che qui si è arrabbiato a bestia ed ha cercato di uccidere gli assassini di suo figlio, venendo ammazzato a sua volta. Gli altri suoi figli e figlie hanno giurato di non avere nulla a che fare con i Mangiamorte, Merrick è diventata addirittura Auror (ma lei ha anche motivazioni di tipo etico, eh).

 

» 14 – Breve storia di Anna Bolena: Enrico VIII era un po’ farfallone, poiché la sua prima moglie Caterina d’Aragona non gli dava figli maschi ha iniziato a guardarsi intorno ed ha notato la bella Anna, che suo padre aveva fatto preparare tipo pavone nel periodo degli amori. Ha sedotto il Re, lo ha spinto a ripudiare la moglie ed a lasciare la Chiesa Cattolica ed è diventata regina. Quando anche lei non gli ha dato figli maschi, Enricuccio ha continuato a guardarsi intorno ed ha beccato la sua terza moglie, cercando una giustificazione per liberarsi di Anna (che è la madre di Elisabetta I, inter nos). Per togliersela davanti ha deciso di incriminarla di Tradimento e incesto con suo fratello (si discute molto al riguardo, a quanto pare ha provato davvero ad avere una storia col fratello ma solo per concepire un maschio, perché Anna non era scema ed aveva capito che il problema era di Enrico e non suo), l’ha fatta rinchiudere nella Torre e l’ha fatta decapitare. La leggenda dice davvero che il suo fantasma si aggiri con la testa in mano per la Torre di Londra.

 

» 15 – Riferimento a qualche capitolo precedente, quando i Mangiamorte catturati da zio Musty dissero proprio questa cosa.

 

» *Simile alla Cascata del ladro presente nell’ultimo libro, alla Gringott.

 

» E così, Daisy è davvero la talpa, oltre che l’Apprendista. Non sottovalutate il suo rimorso.

 

  

Mamma mia quante note. Il capitolo è il più lungo fino ad ora (quello finale è più lungo), quindi ci sono tante note, mi dispiace. La prossima volta scopriremo chi è questo fantomatico Maestro! 

 

La fine si avvicina, gente.

   

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 32
*** Atto XVIII - L’uomo che volle essere Re ***


Lo Specchio delle Anime

Lo Specchio delle Anime.

 


 

 “And oftentimes, to win us to our harm,

The instruments of darkness tell us truths,

Win us with honest trifles, to betray’s

In deepest consequence”.1

 

[William Shakespeare – MacBeth (Banquo, Atto I – Scena III]

        

 

  

 

Atto XVIII

L’uomo che volle essere Re.

 

 

 

 

Il corridoio in cui Daisy li aveva trascinati era stato scavato nella pietra, puzzava di muffa ed era interamente ricoperto di viscidume di cui sarebbe stato difficile comprendere la natura. I quadri alle pareti dovevano risalire all’epoca Tudor, rappresentavano per la maggior parte Enrico VIII nel suo periodo di massima bellezza e prestanza, alcuni raffiguravano le sue figlie e successori, Maria ed Elisabetta, nonostante della prima ce ne fossero davvero pochissimi. Stando alle lezioni del professor Rüf, Maria la Sanguinaria non era stata una grande estimatrice della Magia, essendo una Magonò2.

Anna Bolena aveva ragione, quel tunnel era stato costruito per volontà dell’ex marito e probabilmente era stato abbandonato alla morte di Elisabetta, poiché quest’ultima non aveva avuto figli cui tramandare il segreto. C’erano ottime possibilità che fosse stato uno dei fantasmi Tudor a portare questo Maestro in quel luogo, non avrebbero potuto trovarlo, altrimenti3.

«Daisy… perché?» domandò ancora una volta Hermione, mentre una forza irresistibile la trascinava lungo quel corridoio. Non riusciva a rassegnarsi all’idea che proprio lei, che era sempre stata troppo spaventata anche solo per guardarla negli occhi, avesse tradito tutti loro, vendendoli ad un mostro di cui ancora non conoscevano l’identità. «Mi ero fidata di te!».

Quelle parole sembrarono colpire profondamente la donna, che strinse le labbra rosate e sospirò. «Non credere di sapere sempre tutto, Granger. Non tutti siamo stati così fortunati da diventare eroi, in guerra» le disse, cupa, con un tono di voce che era così strano, se usato da lei, da suonare inquietante. «Mi dispiace, ma non ho avuto altra scelta».

«C’è sempre una scelta» si intromise Malfoy, che era stato affidato alle cure di Kingsley, evidentemente sotto Imperio. «E te lo sta dicendo uno che credeva di non aver mai avuto una scelta».

Il Ministro grugnì qualcosa di incomprensibile, continuando a spingere Draco. Il suo comportamento degli ultimi mesi era improvvisamente diventato chiaro. Tutti i tentativi di corruzione, tutta la confusione e l’improvvisa incapacità di governare erano frutto dell’Imperius di qualcuno che, naturalmente, non poteva avere la minima idea di cosa significasse essere un Ministro della Magia4.

Non era Shacklebolt il problema, non lo era mai stato. Lui era una vittima.

«No, Malfoy, non sempre» rispose la donna, senza guardarlo, mentre davanti a loro si apriva una luce in fondo al tunnel, una luce fredda, verdastra, molto simile a quella che Harry le aveva detto esserci nella Sala Comune dei Serpeverde. «Voi avete la stessa arroganza, anche se provenite da schieramenti diversi. Buoni o cattivi, siete stati protagonisti e vi è stato riconosciuto il diritto di scegliere, magari anche di chiedere aiuto. Per noi, invece, non è stato così».

«E allora avete pensato bene di scatenare una nuova guerra?» sbottò quindi Hermione, con il tono più disgustato di cui era in possesso, ribellandosi inutilmente alla magia che la costringeva ad avanzare. Ad ogni passo, lo strano rumore che aveva sentito non appena era sbucata nel tunnel somigliava sempre di più al suono di acqua che precipitava dall’alto, come se ci fosse stata una piccola cascata non troppo lontana. «Daisy, non potete davvero richiamare Voldemort».

La donna scosse il capo, voltandosi solo un istante a guardarla. Era terrorizzata, Hermione lo capì immediatamente, nonostante stesse cercando di mantenersi quanto più calma possibile. Lo spavento nei suoi occhi andava ben oltre quello di qualcuno che temesse per la propria vita. «Non riuscirai a farmi parlare, Granger. Io non sono uno dei tuoi indagati» le disse infine, tornando a guardare davanti a sé, mentre la luce ed il rumore si intensificavano.

«Non ancora» ringhiò allora Hermione, furiosa. Girare intorno alla questione era sempre stato il metodo più efficace per far parlare gli scagnozzi incompetenti come lei credeva fosse Daisy. Evidentemente quella donnina tanto delicata era ben più decisa di quanto non avesse immaginato.

«Se non vi fermerete, non ci sarà un domani» si intromise ancora Draco, che tuttavia sembrava preso nel controllare che Kingsley non lo strizzasse troppo forse, essendo leggermente fuori di sé. «Non vi rendete davvero di quanto grave sia il pericolo che stiamo correndo. Ovunque lo Specchio sia stato, è seguito sempre un periodo di distruzione totale. Se verrà usato per qualcosa di Malvagio, le conseguenze saranno strazianti».

«Tanto meglio» fu la risposta secca della donna. «Spero che quel dannato coso li uccida tutti».

Quando Draco ed Hermione incrociarono gli sguardi, entrambi furono tentati di stringersi nelle spalle.

Procedettero lungo il corridoio per qualche altro minuto, la puzza di rancido e muffa era stemperata da quella ancora più disgustosa di carne marcia e sangue ed il rumore era quasi diventato assordante. La fonte di quest’ultimo divenne chiara quando, guardando in un corridoio adiacente, Hermione vide una cascata infrangersi in pozzo naturale. Le acque del Tamigi erano verdastre per propria natura, ma alla luce delle lanterne magiche sembravano ancora più malate.

«Il Maestro non vede l’ora di incontrarvi» comunicò Daisy, mentre l’apertura illuminata sul fondo diventava sempre più grande e più vicina. «Siete stati una spina nel fianco più dolorosa di quanto avesse immaginato, tuttavia è solito onorare i nemici che considera degni con il migliore fra i suoi regali» aggiunse, con una smorfia.

«Sarei tentata di chiedere quale, se non fosse un problema» sputò quindi Hermione, che si sentiva così nervosa da non poter stare zitta. «Mi farebbe piacere anche sapere come mai ci avete mandati alla ricerca delle Tracce, se il vostro intento era di tenerci lontani dallo Specchio».

«Una morte veloce, naturalmente». Daisy accennò un leggero sorriso, improvvisamente orgogliosa di se stessa. «Il Maestro avrebbe preferito non coinvolgervi, ma ha convenuto con me nel realizzare che se non avessimo quantomeno finto che il Ministro fosse interessato alla situazione ci saremmo ritrovato troppo al centro dell’attenzione» spiegò, camminando tranquilla nonostante goccioline di acqua puzzolente avessero iniziato a caderle sul perfetto maglioncino rosa. «Sapete, per rassicurare gli animi».

«Ma perché noi?» domandò allora Draco, accigliato. «Siamo i migliori nel nostro campo, era ovvio che prima o poi vi avremmo trovati ed avremmo fatto di tutto per fermarvi!».

«Il Maestro sapeva che non avreste chiesto rinforzi e da soli, soprattutto contro tutti i suoi seguaci, non avreste potuto far molto», la tranquillità con cui lei aveva iniziato a rispondere preoccupava tantissimo Hermione. Non era normale quella collaborazione, non quando si era già rifiutata di parlare. Sembrava quasi che stesse partecipando a quell’operazione solo perché costretta, mentre la sua anima si opponeva a quel fine con tutta se stessa. «Naturalmente, il Maestro non conosce il vostro potenziale come chi ha assistito all’ultima guerra. Lui non sa che non esiste nessuno più scaltro di un Malfoy o più intelligente e coraggioso della Granger».

«Ma tu lo sapevi». Hermione era sempre più confusa, ma qualcosa, in lei, le diceva che continuare su quella via avrebbe giovato un po’ a tutti. «Tu sai che in qualche modo noi potremmo sabotarvi».

«Io?» l’innocenza con cui Daisy pronunciò quelle parole, mentre si avvicinavano alla fine del tunnel, fece rabbrividire Hermione. «Io sono solo una semplice segretaria».

 

***

 

Colui che si faceva chiamare Maestro era seduto su di un trono che era evidentemente appartenuto all’ultimo sovrano che aveva vissuto in quei luoghi. Coperto interamente da un mantello scuro, sembrava non avesse fatto altro che attendere il loro arrivo.

La stanza intorno a lui era circolare, interamente ricoperta da drappeggi di velluto nero, alcuni ricoperti di muffa mentre altri apparentemente sostituiti da poco, ed al centro esatto c’era l’oggetto che aveva tormentato le notti di Draco per quasi tre mesi. Lo Specchio era semplicissimo, circolare, non più alto di un metro e con una cornice fatta di pietra. La parte riflettente era stata coperta con un velo scuro, ma i suoni che provenivano dal suo interno erano abbastanza sinistri da conferirgli un’aura di indicibile malvagità.

Anche se la magia non è mai malvagia, è solo chi la usa a plasmarne la natura.

«Ah, benvenuti» la voce dell’uomo era distorta probabilmente a causa della strana maschera che gli copriva il viso. Draco la riconobbe improvvisamente come quella che nella tradizione era associata al demonio. «Avevo iniziato a sperare che foste spariti, ma naturalmente mi sbagliavo».

«Ah, lo sa pure lei, la vita è fatta di delusioni» sbottò Draco, con una smorfia. «Mi piace come ha arredato questo postaccio, lo stile horror e fatiscente sta tornando di moda, a quanto pare».

«Il signor Malfoy ama sempre scherzare» disse il Maestro, la voce distorta che sembrava improvvisamente divertita ed irritata insieme. «Shacklebolt, che ne dici di dargli uno scossone per fargli capire quanto apprezziamo il suo sarcasmo?».

Con un grugnito e più velocemente di quanto Draco non avrebbe voluto, il Ministro aumentò la presa sulle sue braccia e strinse forte, costringendo il giovane a sibilare un paio di insulti per coprire il sinistro crack che fecero le sue ossa.

Doveva avergli incrinato delle costole, il bastardo.

«Lei mi conosce, ma noi non conosciamo lei» disse allora Draco, mentre Hermione, al suo fianco, sembrava improvvisamente rapita dallo Specchio che svettava al centro della stanza. Il fatto che non avesse detto nulla, da quando erano arrivati, era leggermente preoccupante. «Non so se gliel’hanno detto, ma è davvero da maleducati non presentarsi».

«Tu mi conosci benissimo, Malfoy, così come mi conosce la tua accompagnatrice Granger» a quelle parole, Hermione si riprese improvvisamente, alzando gli occhi sul Malestro. «Ma i nomi sono così sopravvalutati… dopotutto, un uomo si è mai preoccupato di chiedere il nome a delle formiche? Voi questo siete, per me, nulla più che formiche da schiacciare».

Simpatico, l’amico.

«Credo di non averla capita» borbottò Draco, tirando fuori la migliore fra le sue espressioni impertinenti. «Sa, con la maschera e tutto quell’apparato5…».

Un cenno del Maestro e Shacklebolt assestò un altro colpo letale alle sue costole. Forse avrebbe dovuto star zitto.

«Vuole dirci chi è lei? Oppure dobbiamo tirare ad indovinare fra tutti i fedelissimi di Voldemort?» con un sibilo, Hermione si ribellò ancora alla magia che la teneva bloccata, naturalmente senza alcun successo. «Non le permetteremo di portare a termine il suo piano e farlo tornare qui, non dopo tutto quello che abbiamo perso per liberarci di lui!».

«Riportare Voldemort indietro? Io non voglio avere nulla a che fare con lui» rise il Maestro, muovendosi a scatti sul suo vecchio trono. In quel momento, Draco notò una corona dall’aria antica sul suo capo, una corona che era sicuro di aver notato da qualche altra parte. «Non si esalti troppo, Miss Granger, non ho intenzione di rivelarvi il mio piano senza prima assicurarmi che non possiate scappare. Morirete entrambi entro l’alba di domattina, ma quantomeno meritate di morire informati riguardo cosa vi lascerete alle spalle». Un suo cenno del capo e Daisy, seppur con l’espressione di qualcuno che avrebbe preferito fare un balzo nell’acido, tolse loro le bacchette, appellandole e, con un gesto secco, spezzandole in due.

Quello era un danno che neppure Ollivander avrebbe risolto. La bacchetta di Draco era appena stata riparata, maledizione.

Senza le loro armi, le speranze di sopravvivere avevano iniziato ad abbassarsi fino a sfiorare lo zero, ma lui non si sarebbe arreso, non quando aveva così tanti piani per il futuro e non quando aveva fatto una promessa tanto importante.

Ti sto affidando il mio papà, Malfoy.

Doveva esserci un modo. C’era sempre un modo, per quanto la situazione potesse sembrare complicata o disperata, era una cosa che lui era stato costretto ad accettare da tantissimo tempo, ormai.

Prima di tutto, però, doveva comprendere quanto grave fosse il guaio in cui erano andati a finire e, soprattutto, chi fosse il cosiddetto Maestro.

«Se non vuole avere a che fare con lui, perché lo Specchio? Perché i Mangiamorte? Cos’è che vuole?». Hermione non sembrava intenzionata ad utilizzare i soliti giochetti che agli Inquisitori piacevano tanto. Anche lei era strana, nervosa, quasi quella situazione avesse tirato fuori il lato più vigliacco del suo carattere, sempre che lei ne avesse mai avuto uno. Era spaventata, comprensibilmente, ma il modo con cui si guardava intorno, il pallore del suo viso… qualcosa non quadrava.

«Anche Potter che sta male… se non è a causa di Voldemort, perché?» si intromise comunque il mago, scuotendo il capo per allontanare momentaneamente i timori per la salute della fidanzata. Non era il momento di pensare a lei, se non avesse impedito che la situazione precipitasse probabilmente non ci sarebbe stato un domani su cui fare progetti su progetti. Si trattava di priorità, i Serpeverde erano bravi con quelle, di solito.

Stranamente, Hermione ammutolì, impallidendo ancora di più nonostante il lieve sorriso di trionfo che le incurvò le labbra.

«Ah, il signor Potter… è stata una mossa geniale, dovete concordare con me» disse il Maestro, con una risatina crudele, mentre il suo capo incappucciato si scuoteva leggermente, facendo dondolare l’antica corona.

L’aveva vista da qualche parte, ma dove?

«È collegato ai Mangiamorte, immagino. Ed alle indagini che ci avete spinti a fare, nonostante fosse contro il vostro interesse» convenne la strega, improvvisamente accigliata. Doveva sapere qualcosa che Draco ancora ignorava, per forza. Lei non aveva mai tollerato l’idea di non sapere. «Era tutto un trucco?» chiese ancora, a labbra strette, voltandosi finalmente verso di lui per potergli spiegare quell’anello mancante nella ricostruzione del quadro generale. «Harry non sta male a causa di Voldemort. È stato avvelenato».

«Che cosa?» se avesse potuto, Draco avrebbe lasciato cadere le spalle con fare sconfitto. Tanto tempo ad arrovellarsi il cervello con il Dottore per scoprire cosa accidenti fosse preso al cervello dello Sfregiato e poi? Avvelenamento. Ma come avevano fatto, i guaritori, a non rendersene conto? Dopotutto era monitorato notte e giorno! Ed i suoi disturbi erano presenti da mesi prima della crisi finale. «E tu come accidenti fai a sapere che l’hanno avvelenato, Granger?» chiese ancora, mettendo da parte tutte le altre domande. Quella gli premeva di più, perché avrebbe potuto implicare che lei avesse sempre saputo e gli avesse mentito per tutto quel tempo, nonostante tutto ciò che avevano affrontato insieme.

«Deduzione» fu una risposta troppo veloce, quella di lei, ma non c’era tempo per discutere fra loro e glielo fece capire molto chiaramente quando tornò a concentrarsi sul Maestro, rimasto in divertito silenzio ad osservarli. «Allora? Ha promesso di farci morire informati, si sbrighi a parlare. E magari si tolga quella maschera, voglio guardare negli occhi il mio assassino».

Quello era un atteggiamento da vera Corvonero, più che da Grifondoro. Un desiderio di conoscenza che andava oltre la volontà di vivere era coerente con Hermione Granger. Per esser precisi, lo sarebbe stata se le loro vite fossero state le uniche in gioco, non anche quelle di tutte le persone cui poteva aver mai voluto bene.

Non era normale.

«Se vi rivelassi subito chi sono, dove sarebbe il divertimento, Miss Granger?» disse il Maestro, tranquillo, mentre intorno a lui iniziavano a radunarsi tanti uomini e donne mascherati e coperti da lunghe tuniche nere. Ricordavano i Mangiamorte, ma soltanto vagamente: c’erano una disperazione ed una sottomissione, in loro, che Draco non aveva mai visto nei suoi ex compagni, neppure nel periodo di massimo potere del Signore Oscuro. «Ottima deduzione, però. Avvelenare lentamente il signor Potter, fondare il mio esercito basandomi su quello di Voldemort, spargere false notizie sul suo ritorno… un ottimo modo per non attirare l’attenzione sul mio vero intento, non è vero? Chi si sarebbe messo ad interrogare un povero Mezzosangue? Chi avrebbe fatto caso a documenti spariti dagli archivi del Ministero, se questi non avessero avuto nulla a che fare con la guerra appena conclusa?» la voce dell’uomo era colma di una soddisfazione quasi fastidiosa. Rise, facendo venire i brividi a Draco. «Il mio è un piano perfetto, elaborato in oltre sei anni di sofferenze indescrivibili».

Oltre sei anni. Doveva aver iniziato a progettare tutto nel periodo della Guerra, probabilmente quando il Signore Oscuro era ancora vivo e vegeto.

«Ma se non vuole riportare Voldemort, cosa vuole fare con lo Specchio? Si tratta di Magia potentissima, più antica dei maghi stessi, probabilmente!» il tono della strega era di sdegnata confusione. «Cos’è che vuole? Ci è stato sempre ripetuto immortali nella mortalità, ma nessuno ha ancora avuto il coraggio di parlare».

«Ah, questi giovani d’oggi, non hanno alcun amore per la cultura, per la storia!» sbottò il Maestro, scuotendo ancora il capo. Un campanello d’allarme iniziò a trillare nella mentre di Draco, ma lui riuscì a zittirlo, almeno per il momento. La corona antica continuava ad attirare il suo sguardo, quasi avesse voluto esser riconosciuta. «Immortale nella mortalità è una formula usata dall’antico popolo vichingo poco prima di un sacrificio propiziatorio6» spiegò, mentre Daisy, ormai lontana da Hermione, girava intorno allo spiazzo centrale per mantenere la massima distanza dallo Specchio e poter comunque raggiungere il fianco dell’uomo. «Chi diventa immortale, dopo la morte, se non le persone importanti? Se non chi ha lasciato un’impronta nella storia?» chiese, retorico, indicando con un cenno la trentina di persone che l’aveva raggiunto. «Noi vogliamo questo. Vogliamo essere ricordati per qualcosa di immenso, poiché fino ad oggi nessuno si è mai curato di noi».

«Siamo stati lasciati da parte, come pedine in un gioco già concluso» una voce giovane, a Draco sconosciuta, provenne dalla piccola folla che si era appena radunata. Un attimo dopo, un giovane con lunghi capelli colo topo si fece avanti, togliendosi la maschera e rivelandosi ai loro occhi. «Vittime della Guerra ma non abbastanza importanti da meritare attenzione. Dopotutto, noi non eravamo Potter o Weasley o Malfoy».

«Dennis7» la voce di Hermione improvvisamente sembrò tremare, come se fosse stata nel panico. «Dennis, cosa stai facendo? Tuo fratello è morto per combattere una guerra e tu-».

«Ed io combatto affinché anche il mio nome non venga cancellato e dimenticato, com’è successo a lui» la risposta velenosa del giovane la zittì, quasi fosse stata bruciata. «Hermione Granger… mio fratello parlava di te come una persona di gran cuore, eppure non hai mai detto una parola in sua memoria, oppure in memoria di tutte le altre vittime. Ma loro non erano importanti, vero? Noi non eravamo importanti. Non abbiamo ricevuto targhe, non abbiamo ricevuto aiuto… alcuni di noi hanno lottato ad Hogwarts con voi altri, eppure non siamo stati chiamati eroi».

«Siamo tutti eroi, Dennis» Hermione sembrò volerlo supplicare, tanto docile era stata la sua voce. Draco si voltò appena in tempo per osservare un singola lacrima scendere lungo la sua guancia, il viso contorto in una smorfia disperata. «Nessuno potrebbe mai esser dimenticato».

«Se tutti siamo eroi, allora sarebbe come dire che non lo è nessuno» le fece notare il giovane dai capelli color topo, con una risatina. «No, non funziona così, non potrà mai funzionare così, finché ci sarete voi ad oscurarci. Ci avete messi da parte non appena non avete avuto bisogno di noi… ed ora noi vi metteremo da parte, definitivamente».

«Dov’erano i grandi Mangiamorte, quando mio fratello veniva ucciso dai suoi stessi amici?». Un’altra voce, questa volta femminile, si sollevò dal coro. Draco riconobbe subito la cugina Goldine, accompagnata dal marito. «Dov’erano gli stessi fedeli che avrebbero seguito mio padre in capo al mondo, quando anche lui venne ucciso per aver chiesto vendetta? Evan Rosier era stato uno dei fondatori dell’esercito, eppure nessuno si preoccupò di restituirci il suo corpo, perché, ormai, lui non era più importante» aggiunse, con un sibilo ferito che fece tremare le gambe a Draco. Ricordava quando Merrick aveva rivolto quelle stesse domande alla sua famiglia e ricordava il silenzio con cui suo padre aveva risposto.

«Vedete?» la voce del Maestro sembrò improvvisamente compiaciuta. «Il vostro voler salvare il mondo non ha fatto altro che portarvi qui, davanti a tutte le vittime dimenticate di una guerra che non è mai finita davvero» continuò, allargando le braccia per indicare chi lo circondava. «Ed ora, le vostre vittime chiedono giustizia. La giustizia che arriverà soltanto quando io riporterò l’equilibrio fra bene e male, fra sacro e profano».

Profano.

Profano.

Questa è la corona indossata da Enrico VIII il giorno in cui fondò la sua nuova fede, divenendone il capo spirituale ed eliminando il profano dal mondo.

L’improvvisa immagine di dipinto del sovrano Tudor gli tornò alla mente, facendolo irrigidire. Si trattava di un originale risalente agli ultimi anni di vita del Re in questione, un ritratto che Draco era sempre stato convinto dovesse essere stato toccato dalla magia, poiché più volte era stato convinto di averlo visto ammiccare. 3

Un ritratto che lui aveva visto in un ufficio da professore universitario.

All’università St. Andrews.

Voi maghi siete la rappresentazione vivente del concetto di profano, Malfoy.

«Rochester!».

 

***

 

Quando il Maestro si tolse la maschera, rivelando il volto grinzoso dello stesso professore universitario che Draco aveva incontrato tante volte, negli anni precedenti, un brivido d’orrore attraversò le spine dorsali dei due prigionieri, spingendo Hermione a trattenere bruscamente il respiro e lui, che già credeva di aver espresso tutto il suo sdegno pronunciando il suo nome, ad imprecare con una tale convinzione da far invidia allo scaricatore di porto della nave più malfamata dell’intera Londra.

«Lei? Come… com’è possibile? Come ha potuto…» la Granger sembrava aver completamente perso la capacità di parola, mentre fissava sbalordita il vecchio storpio che, mesi prima, aveva fornito loro le prime informazioni sullo Specchio, cacciandoli in malo modo per paura che potessero fargli del male.

Menzogne, tutte menzogne.

«Ah, Miss, sono riuscito a sorprenderti alla fine» rise il professore, raddrizzando le spalle ma senza muovere le gambe. Solo in quel momento l’immobilità innaturale dei suoi arti inferiori risaltò agli occhi di Draco. «Immagino che per una ragazza come te, tanto votata alla giustizia ed all’equilibrio, l’idea che una vittima possa farsi giustizia da sola debba essere assolutamente inconcepibile» continuò, divertito, mentre i suoi scagnozzi restavano immobili, senza dimostrare alcun sentimento. «Sì, sono stato io ad architettare tutto, fin dal giorno in cui il vostro Voldemort ha reso evidente ai miei occhi l’esistenza della magia, torturandomi fino a rendermi uno storpio».

«Ma come? Come ha fatto a reclutare tutti loro? Come ha fatto a mettere sotto incantesimo il Ministro?» lo sdegno di Hermione era palpabile nell’aria, come se ogni sua parola fosse stata accompagnata da una vampata di fuoco e ghiaccio insieme. Se avesse usato quel tono con lui, Draco probabilmente avrebbe chiesto scusa anche per qualcosa di cui avrebbe potuto non avere idea. «Cosa vuole?».

«Tutto al suo tempo, mia cara, tutto al suo tempo» la redarguì il professore, la voce macchiata da una punta di severità. Sembrava quasi che Hermione fosse stata una studentessa un po’ troppo impaziente durante una lezione. «Vedete, Voldemort oltre a mettermi davanti alla innegabile esistenza della magia, ebbe modo di confermarmi l’esistenza dello Specchio e del suo inestimabile potenziale. Lo desiderava, così da poter sfruttare la conoscenza dei defunti e ottenere la vita eterna».

«Ma non è quello che vuoi tu» sbottò ancora la strega, con un sibilo. «Hai già la Pietra Filosofale, non è vero?».

Il professore sembrò stupito da quella sua intuizione ed un attimo dopo lo confermò, battendo allegramente le mani come a farle un complimenti. «Chapeau, mia cara. Cosa è stato a tradirmi?» le domandò, incurante di rivelare le proprie intenzioni tanto quanto di star tenendo un comportamento inadatto alla situazione. Quella non era un’aula accademica ed in gioco non c’era soltanto il rendimento scolastico della Mezzosangue.

«Se il veleno di Harry non è stato trovato con i criteri normali e se delle dosi giornaliere non l’hanno reso immune, deve trattarsi per forza di un veleno alchemico di incredibile forza, probabilmente figlio di una deviazione della Panacea» la spiegazione di Hermione arrivò immediata, quasi lei avesse saputo che prima o poi qualcuno le avrebbe posto la fatidica domanda. Messa sotto quella luce, la situazione di Potter sembrò così banale, a Draco, da spingerlo a chiedersi come avesse fatto a non rendersene immediatamente conto.

«Eccellente davvero!» l’allegria con cui il professore acclamò quella sua scoperta ricordò molto l’entusiasmo di Silente quando Potter era solito tornare vivo da una delle sue missioni suicide ed assolutamente contro il regolamento. Aveva la stessa faccia del vecchiaccio prima di dare ventimila punti immotivati a Grifondoro. «Hai ragione, Miss Granger, io ho già la Pietra e, se l’avessi voluto, avrei già potuto recuperare la funzionalità delle gambe, oltre ad ottenere l’immortalità».

«Ma non è quello che lei vuole, non è vero?» fu Draco a parlare, quella volta, sentendo che tutti i pezzi del puzzle avessero finalmente iniziato a trovare il loro posto. «Guarire vorrebbe dire dimenticare e lei non lo desidera. L’immortalità è inutile, se non può avere la vendetta. È lo stesso motivo per cui il Signore Oscuro si è sempre rifiutato di cercare attivamente lo Specchio, voleva prima uccidere Potter e vendicarsi, per potersi godere l’Immortalità».

«Voldemort ed io condividevamo molte idee, sì» convenne il professore, con un vago sorriso. Tornò a voltarsi verso Hermione, probabilmente poiché riteneva che lei fosse l’allieva migliore. «Adesso comprendi, Miss Granger? Non mi serve la Pietra, non finché non avrò utilizzato lo Specchio per avere la mia vendetta. Non finché non avrò raso al suolo la vostra razza e tutta la civiltà umana, riemergendo poi come l’unico vero potente».

«La nostra razza?» il panico nella voce della strega non poté essere mascherato, nonostante lei avesse tentato. «Vuole uccidere tutti i maghi?».

«Ma certo che no, mia cara» il tono carezzevole dell’uomo fu viscido come la carezza di una lingua di serpente sulla pelle. «Non tutti. Qualcuno dovrà pur mantenere l’ordine, nel mio nuovo mondo».

La risata folle del professore rimbalzò per le mura della stanza, facendo tremare tutte le ossa del corpo di Draco.

«Lei è un dannato folle!» sbottò Hermione, con un urlo isterico. «Non può farlo, non… per l’amor di Dio, tutti voi! Volevate diventare qualcuno ma siete pronti ad uccidere le vostre famiglie, per farlo? Cosa vi rende diversi da Voldemort?».

«Non credo riuscirà a convincerli, Miss Granger» la fermò il professore, tranquillo, facendo un cenno ad un uomo affinché scoprisse il collo. Quando ubbidì, Draco vide chiaramente un piccolo tatuaggio a forma di rosa8, abbastanza piccolo da poter essere facilmente coperto. Un simbolo che lui aveva già visto. «Questo è stato un prestito di sua Maestà Enrico VIII, un simbolo d’altissimo potere magico capace di imbrigliare la volontà umana. La mia cara Apprendista mi ha gentilmente fatto la cortesia di prendersi cura del lato magico della questione» nel dire quella parola indicò Daisy, che abbassò il capo come se si stesse vergognando di se stessa «Tutti loro sono miei, anche se non se ne rendono conto! E lo saranno sempre, fedeli come i più devoti sudditi, pronti a lanciarsi nelle fiamme per me9» il sorriso del vecchio si allargò. «Oppure a tagliarsi le vene, come faranno adesso».

«Cosa?» a parlare era stata proprio la bionda segretaria, il bel viso contratto in una smorfia di disappunto. «Non erano questi gli accordi!» aggiunse, sdegnata, facendo un passo avanti quasi avesse voluto fronteggiare il suo Maestro.

«Gli accordi sono cambiati, Daisy» la tranquillità con cui le rispose non aveva nulla dell’uomo nevrotico che Draco credeva d’aver conosciuto. Erano state tutte bugie. «Devo ricordarti il grandissimo favore che ti ho concesso? Non costringermi a rimangiarmi la parola, mia cara, sai bene che lo farei volentieri e per il tuo piccolo David sarebbe la fine».

Quelle parole frenarono la donna, i due la videro gelarsi sul posto e poi arretrare, gli occhi bassi e le mani strette in pugni tremanti lungo i fianchi. Lei non aveva il tatuaggio, probabilmente era quello il motivo della ribellione.

Era costretta a partecipare.

«Daisy, non devi starlo a sentire» tentò quindi Draco, un moto di speranza ad animargli il petto. Forse avrebbe potuto confonderla al punto di farle cambiare idea. «Puoi ancora risolvere tutto! Basta distruggere lo Specchio ed interrompere l’incantesimo su tutti loro… Daisy, tu puoi scegliere».

«No, non posso» il tono risolutivo della giovane donna lo interruppe, i suoi occhi chiarissimi lo fulminarono sul posto. «Io non ho altre possibilità, il mio bambino non ha altre possibilità».

«Andate, il vostro momento è finalmente giunto» disse, tranquillo, il professore, facendo un cenno al gruppo in modo che raggiungesse il centro della stanza. «Andate, donate voi stessi come sacrificio e allora sarete anche voi immortali nella mortalità».

Nel silenzio sbigottito di Draco ed Hermione, tutti i maghi e le streghe presenti estrassero un pugnale dalle loro vesti e, uno alla volta, si avvicinarono allo specchio, recidendosi di netto la gola. Non emisero un fiato, non si lamentarono, semplicemente posero fine alle loro vite poiché così era stato richiesto da una volontà molto più forte della loro, oltre che incredibilmente più crudele.

Voltandosi verso Daisy, Draco la trovò in lacrime, presa da una disperazione che nessuno avrebbe mai potuto comprendere.

Era tutta colpa sua.

«Adesso tocca a voi» con una gentilezza che era agghiacciante in quello scenario di dolore, il professore si voltò verso Draco ed Hermione, sorridendo. «Vedete, quello che i miei predecessori non sapevano, riguardo lo specchio, è che questo ha bisogno di sangue vivo per esser davvero controllato. Ha bisogno di un sacrificio, affinché il suo potere possa essere incanalato e non generare distruzione una volta finito il suo compito».

«Ha bisogno di un contenitore?» fu l’immediata domanda di Hermione, stranamente ansiosa oltre che incredibilmente immediata, anche per qualcuno con un’abilità nel ragionamento pari alla sua. «Lo Specchio ha bisogno di un tramite».

«Esattamente, mia cara, esattamente!» la gioia del professore sembrò incontenibile. «I morti vogliono tornare a vivere, quindi quale potrebbe essere un modo migliore di controllarli, se non offrendo loro tanti gusci vuoti ed uno ancora caldo per incanalare la magia?».

Sarebbero morti tutti.

Era una certezza, a quel punto. Il professore li aveva privati di qualsiasi difesa ed a breve li avrebbe usati da contenitore per gli spiriti magici più saggi mai esistiti. Li avrebbe resi un collegamento vivente fra i due mondi.

«Naturalmente, avrò bisogno soltanto di uno di voi» continuò l’uomo, voltandosi finalmente verso Draco. «E tu, Malfoy, non mi servi».

Un attimo dopo, Kingsley lo scagliò violentemente contro un muro, facendogli perdere i sensi.

 

***

 

Il velo sopra lo specchio aveva iniziato a tremare nel momento stesso in cui il primo fra i fedeli si era reciso la gola, le voci erano aumentate a dismisura, un coro che reclamava una libertà che mai avrebbe dovuto ottenere.

Hermione aveva paura, ma non più per se stessa. La morte era già stata messa in conto, non era un concetto che la spaventava, per quanto ritenesse ingiusto doversi separare da tutti i suoi affetti dopo così poco tempo dalla sua ripresa. Non avrebbe avuto modo di stringere il bambino di Ginny ed Harry e non avrebbe mai stretto i suoi bambini. Non avrebbe abbracciato mai più il suo migliore amico e non avrebbe mai più rivisto i suoi genitori.

Non avrebbe più baciato Draco.

Era ingiusto il suo destino, ma lei lo aveva accettato. Tuttavia, la possibilità di diventare un portale fra due mondi metteva tutto sotto un’altra prospettiva. Non poteva semplicemente morire. Non in quel modo.

La sua unica speranza, in quel momento, era la donna disperata accanto al professore.

«Daisy» la chiamò, con urgenza. «Daisy, ti prego, tu non vuoi tutto questo!» la supplicò, tentando inutilmente di ribellarsi contro la magia che ancora le impediva di muoversi. Ogni istante era un passo forzato più vicino a quell’oggetto maledetto. Ogni istante era un istante in meno per far sì che il mondo venisse salvato. «Non so cosa ti abbia promesso, ma pensi davvero di poterti fidare di lui?  Ha ucciso i suoi seguaci e probabilmente ha risparmiato te solo perché è la tua magia a tenerci tutti sotto controllo».

«Non darle ascolto, ragazza. Presto il nostro piano arriverà a compimento e tu sarai al mio fianco nel nuovo mondo che governerò. Tu e David, insieme e felici, ancora una volta» il professore intervenne con un tono stranamente ansioso, mostrandosi forse un po’ troppo affettuoso rispetto a quanto non avesse fatto fino a quel momento. «Ricorda perché hai fatto tutto questo! Ricorda chi deve davvero essere salvato!».

Daisy era terrorizzata, i suoi occhi chiari saettavano confusi da Hermione all’uomo, mentre si allontanava da entrambi con passi incerti. Ancora una volta, la strega sentì quel brivido che solo la sofferenza incredibile sapeva portare con sé. Miss Stumplevill aveva patito le pene dell’inferno e quella sua indecisione altro non era che la lotta fra il dolore della vittima e la possibilità di divenire finalmente un carnefice. Hermione aveva provato quella stessa indecisione, quando Harry le aveva chiesto cosa fare di Ronald.

Ma lei non era un mostro e non aveva voluto ucciderlo. E lo stesso poteva dirsi di Daisy, ne era assolutamente certa.

«Lui può riportare indietro mio figlio, Miss» la voce della donna era spezzata, affranta, disperata quasi quanto lo era il suo sguardo. «Lui può ridarmi il mio David, me lo ha promesso… io non posso rinunciare a lui» esalò, arretrando di un paio di passi. Lo Specchio copertò tremò, quasi le anime avessero voluto ruggire la loro approvazione. Le avrebbero ridato il suo bambino, ma ne avrebbero presi tanti altri. «Mi dispiace, io… io non posso rinunciare a lui».

Improvviso, il ricordo di un articolo di giornale di quasi sette anni fa fulminò Hermione sul posto. Un bambino, un bambino di appena un anno, era stato sbranato vivo da Greyback durante un attacco a Diagon Alley. Un bambino innocente, la cui madre era stata ricoverata al San Mungo per mesi, a causa dello shock.

David Stumplevill.

Tutto, in quel momento, ebbe finalmente senso agli occhi di Hermione. La paura di Daisy durante gli incontri con i rappresentanti delle Creature Magiche, il suo strano comportamento l’unica volta in cui aveva incontrato Teddy, quando Harry lo aveva portato con sé al lavoro, e la velocità con cui Kingsley si era sbrigato a giustificarla, facendola allontanare. Il professore doveva averla avvicinata nel periodo in cui erano stati entrambi al San Mungo10, incantandola con le sue chiacchiere riguardo un potere così immenso da poter riportare indietro chiunque e realizzare qualunque desiderio.

Hermione capì il perché del suo tormento: se le avessero proposto di riportare indietro il suo bambino mai nato, fin dove si sarebbe spinta?

«Daisy» tentò allora, stringendo per un attimo le labbra per paura di dire qualcosa di orribilmente sbagliato. «Daisy, lo so che stai soffrendo, io ti capisco. Anche io ho perso il mio bambino a causa di un uomo orribile» le mormorò, dolcemente. «Non è questo il modo migliore per riaverlo indietro, però».

«Non ci sono altre possibilità!» esalò la donna, arretrando ancora finché le sue spalle non si ritrovarono bloccate contro il muro. Era pallida, le lacrime avevano fatto sciogliere il trucco perfetto che l’aveva sempre caratterizzata. Per la prima volta si mostrò debole com’era sempre stata, come tutti l’avevano percepita sotto le mentite spoglie di ragazza perfetta. «Solo lui può riportare il mio David indietro».

«Chi ti assicura che lo farà? Hai visto cos’ha fatto! Potrebbe fare lo stesso con te!» la dolcezza di Hermione stava lentamente scadendo nell’isteria. Lo Specchio tremava, davanti a lei, ed i centimetri che li separavano diminuivano sempre di più.

Non c’era tempo.

«Io rispetterò la parola data, Granger» si intromise il professore, con un ghigno sardonico. «Diversamente da voi, dal vostro Ministero, io voglio davvero mantenere la mia promessa, non la lascerò mai più sola». Allungò la mano verso Daisy, come a chiederle di unirsi a lui e fare fronte unico contro la loro vittima. «E nel nuovo mondo, libero dalla Magia se non quella che io terrò per me, David potrà tornare a vivere insieme a sua madre!».

«E quanti bambini innocenti dovranno morire, per permettergli di realizzare questo piano folle?» la domanda di Hermione fu rivolta direttamente alla giovane donna, che la fissò con orrore. «Chiediti se sei pronta ad avere milioni e milioni di bambini sulla coscienza, Daisy, perché non avrai altre possibilità! È quello il mondo in cui vorresti crescere tuo figlio? Vuoi davvero che sua madre diventi complice della più grande strage della storia?» continuò, alzando sempre di più la voce. «Daisy, tu puoi salvarli tutti!» urlò alla fine, esasperata, quando la donna sembrò non riuscire più a sentire le sue parole.

«Daisy» la voce stanca e sofferente di Draco li fece voltare tutti verso l’angolo in cui si era accasciato dopo che Kingsley, ancora sotto incantesimo, lo aveva ripetutamente fatto sbattere contro il muro. Aveva una brutta ferita alla testa, il viso completamente tumefatto e gli abiti sporchi di sangue proprio e dei fedelissimi che si erano già uccisi. «Credimi, il senso di colpa non passerà mai. Anche quando penserai di esser felice, di aver ottenuto ciò che volevi… il senso di colpa ti perseguiterà» le disse, cercando di rimettersi in piedi, con incredibile fatica. «Saranno tutti lì ad aspettarti, ogni volta che chiuderai gli occhi. Tutte le vite che avrai collaborato a concludere… tutti i bambini senza genitori, tutti i genitori senza più figli. Saranno tutti lì e ti tormenteranno. Non fare a te stessa quello che io ho fatto a me, tu puoi cambiare le cose».

«Non starli a sentire» il professore non sembrava minimamente toccato dai loro tentativi, così sicuro di vincere da avere il coraggio di ridere loro in faccia. «Sappiamo entrambi che questo è l’unico modo per ottenere ciò che vuoi. Nessuno ti ridarà tuo figlio e nessuno pagherà perché ti è stato tolto. Questa è l’unica via affinché David non venga dimenticato».

La giovane donna sembrava divisa tra due fuochi fra i quali le sembrava impossibile scegliere il meno doloroso.  I suoi occhi quasi trasparenti si posarono sul Maestro, poi su Draco, infine su Hermione. Quando parlò, la sua voce era ridotta a poco più che un pigolio. «Fa male» le disse, tremando. «Fa così male che la mattina spero sempre di non svegliarmi. Sono passati anni, eppure mi sembra sempre di averlo appena perso».

«Continuerà a far male» fu la pronta risposta di Hermione, che sentiva di condividere almeno in parte quella pena terribile che doveva agitarsi nel suo petto. Anche lei si svegliava la mattina con la sensazione di star ancora sanguinando e probabilmente avrebbe continuato ad avere degli incubi per tantissimo tempo ancora, se la sua vita non fosse stata ad un passo dall’essere spezzata per sempre. «Farà male per sempre, ma è un male necessario, Daisy. Solo così potrai tenere il suo ricordo sempre con te. Solo così saprai sempre quale sarà la scelta migliore da fare» prese un respiro profondo, imponendo a se stessa di non piangere. «Se andrai avanti lungo questa strada, tantissime madri perderanno i loro figli a causa di un mostro impossibile da combattere e tu, Daisy, tu sarai il mostro».

I loro occhi si incontrarono per un lungo istante, dopo quelle parole. Il professore rideva, convinto che non ci sarebbe stato alcun pericolo per lui, che per sei anni aveva mosso i fili della volontà della donna praticamente indisturbato, spingendola a manipolare tutto il Ministero. Draco, con qualche lamento, era riuscito a rimettersi in piedi e stava tentando di avanzare, nonostante le diverse costole rotte ed il viso completamente distrutto.

Hermione e Daisy si fissarono, marrone nell’azzurro, e ritrovarono l’una nell’altra quel dolore che nessun uomo avrebbe mai potuto capire davvero. Non erano sole, non lo sarebbero mai state, ma avrebbero potuto impedire che altre madri innocenti provassero il loro stesso dolore.

«Cosa stai facendo?» quando la donna fece i primi passi avanti, diretta allo Specchio, ed Hermione venne improvvisamente rilasciata dagli incantesimi restrittivi, il professore si raddrizzò sul suo trono e mostrò i primi segnali di ansia. Dietro di lei, Hermione sentì distintamente il suono di Kingsley che cadeva al suolo e, finalmente libero da un’Imperius di lunghissima durata, imprecava senza alcun ritegno. «Daisy, torna indietro!».

«No» la sua risposta fu secca, ma non si voltò a guardarlo così come non prestò attenzione ai cadaveri intorno a lei. Il sangue aveva formato una grande pozza intorno allo Specchio, che sembrava avervi trasmesso la propria vita. Ribolliva, mentre l’odore disgustoso del ferro si diffondeva per quel corridoio. «Ho collaborato fin troppo con te, non ho intenzione di continuare» gli disse, con un ringhio.

«Così non rivedrai mai più tuo figlio» minacciò il vecchio, muovendosi nervosamente sul trono, impossibilitato a muoversi o intervenire. «Non fare la stupida, puoi salvarlo!».

«Lui è già salvo. Ed è al sicuro». Daisy si voltò per un solo istante verso di lui, il bel viso macchiato di lacrime per la prima volta fermo e deciso. «Ed io metterò al sicuro tutti gli altri bambini!».

Prima che qualcuno potesse fermarla, si avvicinò allo Specchio e spinse in avanti, facendolo cadere al suolo con un fragore di vetri infranti.

Un attimo dopo, si scatenò l’Inferno.

 

***

 

Draco non credeva d’aver mai visto nulla di simile, in oltre ventiquattro anni di vita. Era scappato da millenarie trappole egizie, era sopravvissuto alle maledizioni dei Templi Inca11, eppure quello scenario che gli si presentò davanti alla rottura dello Specchio gli fece tremare le ginocchia per il terrore, costringendolo a reggersi al muro per non cadere. Al suo fianco, il Ministro era ancora intento a proclamare una serie infinita di imprecazioni, poiché probabilmente erano tutto ciò che la sua mente era stata in grado di produrre una volta libera dall’Incantesimo.

Poverino, si ritrovò a pensare, guardandolo. Dopo mesi e mesi si ritrova improvvisamente al centro dell’Inferno.

Nel momento stesso in cui lo Specchio aveva toccato il suolo, infatti, il sangue dei cadaveri si era sollevato in un turbinio bordeaux, vorticando come un tornado impazzito nella piccola stanza circolare. Urla di migliaia e migliaia di anime scoppiarono in un istante solo, assordandoli tutti con la propria rabbia e il ringhio di giubilo per l’ottenuta libertà.

Daisy ed Hermione, che l’onda d’urto aveva fatto finire in un angolo poco lontano da Draco, si tirarono con difficoltà a sedere, guardandosi intorno con l’orrore negli occhi. La Mezzosangue la stava confortato, dicendole qualcosa come “hai fatto la scelta giusta”, ma lui non avrebbe saputo dirlo con certezza, il rumore era troppo e l’oscurità sembrava volersi fare ogni istante più fitta.

Il turbine di sangue ed urla vorticava per la stanza, senza una meta, tirando al suo interno qualsiasi cosa non fosse stata ancorata alle pareti. I quattro maghi presenti furono costretti a cercare un appiglio al muro, ma qualcun altro non fu altrettanto rapido o fortunato: con un urlo straziante, il professor Rochester venne strappato via dal suo trono, insieme alla corona appartenuta ad Enrico VIII che aveva sempre tenuto in un angolo del suo ufficio, dimenticata da tutti ma non dal massimo conoscitore di Storia dell’Arte in circolazione.

Così, come se fosse diventato egli stesso puro sangue, venne inghiottito dal tornado, sparendo dalla loro vista.

Fu in quel momento che la terra tremò ed un’esplosione di luce, improvvisa quanto potente, accecò tutti i presenti, mettendo fine al coro straziante delle urla dei defunti che si erano ritrovati intrappolati nello Specchio stesso.

Dal canto suo, Draco si rese conto di aver momentaneamente perso i sensi solo quando il Ministro, fortunatamente con delicatezza, iniziò a scuoterlo, riportandolo alla coscienza. «Malfoy!» lo chiamò, con urgenza. «Hermione, è ancora vivo» disse poi, rassicurando la giovane, quando lo vide aprire un occhio con una certa difficoltà. «Coraggio ragazzo, tirati a sedere».

Dolorante, Malfoy accettò l’aiuto di Shacklebolt, sbattendo le palpebre per poter individuare immediatamente la sua Mezzosangue, seduta a pochi passi di distanza e china verso Daisy, altrettanto viva ma decisamente più spaventata. «È finita? Cos’è successo a Rochester?» domandò, quando lei si voltò a sorridergli, decisamente più sollevato. Il sangue intorno a loro era sparito e con quello anche i cadaveri.

Tutti tranne uno.

«Ha avuto ciò che meritava» sputò Daisy stessa, con cattiveria, osservando detto corpo con tutto lo sdegno di cui doveva essere in possesso. Si rialzò in piedi, con l’aiuto di una stranamente taciturna Hermione, e si diresse verso i due uomini. «Per quello che vale, mi dispiace. Accetterò qualunque condanna il Tribunale vorrà riconoscermi» mormorò, a testa bassa, voltandosi per un istante verso il Ministro. «Mi dispiace, signore. Lei si è fidato di me ed io…».

Shacklebolt, dimostrando un sangue freddo che Draco non credeva avrebbe potuto dimostrare, nella sua stessa situazione, alzò la mano per impedirle di continuare. «Lasciamo che la giustizia faccia il suo corso. Io ti ho vista rischiare tutto per porre fine a questo orrore, sono certo che anche il Winzegamot saprà fare le scelte giuste».

«Lo hanno fatto anche con gente molto più colpevole di te» intervenne Draco, tornato in piedi grazie all’aiuto del Ministro. Il riferimento a se stesso e, soprattutto, a suo padre era implicito nelle sue parole. «In un certo senso, hai messo fine a questo orrore».

«Io non ne sarei tanto sicuro, al posto vostro» una voce agghiacciante, che di certo non apparteneva ad alcuno dei quattro maghi, fece venire la pelle d’oca a Draco. Nell’esatto istante in cui comprese che la fonte fosse il cadavere di Rochester, questo si librò in aria e si raddrizzò, lasciando che due profondi occhi neri si puntassero su di loro. «Ah, Daisy… sapevo che mi avresti liberato, in qualche modo» si complimentò la creatura – lo Specchio? – guardando in direzione della giovane donna, che trattenne bruscamente il respiro. «Ho sempre pensato che Rochester sarebbe stato perfetto, come contenitore. E tu mi hai liberato!» una risata agghiacciante, terribilmente simile al rumore di unghie sulla lavagna, costrinse i quattro a coprirsi le orecchie.

«Io… io non lo sapevo…» disperata, la giovale afferrò Draco per un braccio, non riuscendo tuttavia a staccare gli occhi dal mostro. «Dovete credermi, io... non lo sapevo».

«Lo Specchio è un esperto manipolatore, non potevi saperlo» la rassicurò immediatamente Hermione, che fra tutti sembrava la meno sorpresa da quell’improvvisa resurrezione. Che se lo fosse aspettato? «Immagino tu ti sia fatto trovare da quell’uomo di proposito, non è vero?» chiese alla creatura, una smorfia disgustata sul viso. «Sapevi che Daisy non sarebbe arrivata fino in fondo ed avrebbe spezzato lo Specchio, liberandoti dalla tua prigione».

«Prigione?» Draco non sapeva se essere più confuso o spaventato. I suoi occhi grigi saettavano da Hermione a Rochester, senza poter decidere chi, fra i due, meritasse maggiore attenzione. «Hermione, di cosa diavolo stai parlando?».

«Del diavolo, naturalmente» gli rispose lei, immediatamente, facendo un passo avanti. «Di tutti i mali del mondo, se vuoi usare un’altra definizione» continuò, così tranquilla da far quasi paura, facendo un altro passo avanti. Draco, spaventato, la afferrò per un braccio e tentò di tirarla indietro, senza riuscirci. Quando lei si voltò a guardarlo, la sua pelle era pallida come l’alabastro ed i suoi occhi dei pozzi d’oro.

Non era Hermione. Era l’Arazzo.

«Cosa cazzo sta succedendo?» domandò allora lui, sentendo la terra tremargli sotto ai piedi. Kingsley e Daisy, che dovevano aver colto la sua debolezza, si fecero avanti e lo afferrarono un braccio per uno, rendendolo nuovamente stabile. «Perché sei qui? Cos’hai fatto ad Hermione?» continuò, sentendo il panico prendere possesso di lui con la stessa velocità con cui le forze volevano abbandonarlo. Se non svenne fu solo per forza di volontà.

«La tua Hermione non ha resistito alla tentazione ed ha posto un’altra domanda» gli rispose la creatura davanti a lui, che diventava più eterea ad ogni secondo. «Mi ha chiesto dello Specchio, mi ha chiesto come eliminarlo, ha accettato di dare se stessa, pur di porre fine a quest’orrore» spiegò, tornando a voltarsi verso Rochester, che non aveva smesso un momento di ghignare.

«Lo Specchio non è mai stato un Portale, ma una prigione» disse proprio la creatura nel professore, con una risatina inquietante. «Una prigione per tutti i mali del mondo, gli stessi che si dice fossero contenuti nel vaso di Pandora» continuò, allegro, fluttuando verso di loro. «Ho tentato di fuggire dall’alba dei tempi, ho corrotto, ho devastato… ma nessuno è mai stato abbastanza sciocco da liberarmi, fino ad ora» nel pronunciare quelle parole, ammiccò in direzione di Daisy, che emise un gemito disperato. «E non c’è più nulla che tu» indicò il corpo di Hermione, in quel momento ancora ben ancorato al suolo, «o chiunque altro possa fare per fermarmi. «Siete deboli».

«Ed è qui che ti sbagli, fratello» gli rispose l’Arazzo, separandosi definitivamente dalla presa di Draco per fluttuare a sua volta verso Rochester. Occhi negli occhi, Specchio ed Arazzo si fronteggiarono per la prima volta dall’Alba dei Tempi. «La Magia è fatta di opposti, di male e bene, di distruzione» nel dirlo lo indicò, «e di conoscenza». Si voltò verso i tre maghi, accennando un piccolo sorriso. «Hermione è stata molto coraggiosa ed ha scelto di rinunciare a tutto pur di dare una possibilità a tutti voi. Soltanto io posso intrappolarlo di nuovo, ma voi dovrete scappare il più lontano possibile, o verrete risucchiati insieme a lui».

Draco, sentendo quelle parole, ritrovò sufficiente forza da raddrizzare le spalle. «Io non me ne andrò di qui senza Hermione!» urlò, con la disperazione artigliata al suo cuore già sanguinante. «Ho lottato tutta la vita per diventare degno di lei. Non puoi portarmela via, non così!».

«Oh, che carino» lo sbeffeggiò lo Specchio, con una risatina crudele. «Mi fa quasi più pena di te, fratello» aggiunse, ammiccando verso Hermione. «Lui non ha ancora capito che, per far spazio a te, la ragazza è già morta da un pezzo, mentre tu… tu sei così sciocco da credere di essere abbastanza forte da distruggermi!».

Draco, senza riuscire a trattenersi, emise un rantolo disperato, le ginocchia ormai prive di qualsiasi volontà di reggere il suo peso. Quando Kingsley lo afferrò, per evitargli di cadere, le costole rotte emisero un urlo di protesta, che tuttavia lui silenziò. Quel dolore non era nulla, rispetto ciò che gli si stava agitando nel petto.

Hermione, la sua Hermione.

«Non sono abbastanza forte da distruggerti, hai ragione» concordò l’Arazzo, dando le spalle ai tre maghi e togliendo a Draco l’unica possibilità di poter ancora osservare il viso dell’amore della sua vita, che non poteva esser davvero morta. Non lei. «Ma non hai sentito ciò che ti ho detto prima? Io non ho mai parlato di distruggere. Non potrei, il male è necessario affinché la Magia possa continuare ad esistere».

«Tendo a non ascoltarti, ti fa sentire intelligente e rischio di incoraggiarti a continuare» sbottò Rochester, con una risatina maligna, liquidando l’altra creatura con un gesto della mano. La sua attenzione era tutta per Malfoy, naturalmente. L’unico a soffrire davvero, in quel momento. «Guardalo, guarda come l’hai reso miserabile… sicuro di rappresentare il bene e la conoscenza, fratellino? Credo tu l’abbia ferito molto più di quanto non abbia fatto io. Sono invidioso» aggiunse, ridacchiando.

Draco, dal canto suo, non sentì neppure il desiderio di ribattere qualcosa. Se l’avessero lasciato morire lì, in quel momento, non avrebbe mosso una singola protesta.

Non le aveva detto addio.

«Draco sa che la scelta è stata di Hermione e che è stata una scelta consapevole12» furono le parole dell’Arazzo, che tuttavia non si voltò verso il diretto interessato. «Se davvero l’amava, allora lui sa che il bene, in qualche modo, riesce sempre a vincere. Anche quando non sembra esserci alcuna via, la speranza trionferà» continuò, ma la sua voce era diversa sia da quella neutrale che lui aveva già sentito in Grecia sia da quella che apparteneva ad Hermione e di cui lui si era innamorato. Era una voce conosciuta, una che era stata con lui in tutti i momenti di oscurità.

«Rosemary?» chiese, alzando gli occhi al cielo solo per essere fulminato da un lampo azzurro come il cielo. L’Arazzo era ancora Hermione, ma era al tempo stesso Rosemary, quasi come se le immagini fossero state sovrapposte. Oltre lei, Draco vide altri visi, altri sguardi, alcuni conosciuti ed altri no. «Chi siete?».

«Il bene è forte perché non giunge mai da solo» disse la creatura, che aveva un solo corpo ma tante, tante anime, allargando le braccia come se avesse voluto stringere Rochester in un abbraccio. «Ed il bene trionfa sempre. Cos’è la morte, davanti al vero amore? Che sia per un uomo» quell’ultima parola risuonò come se a pronunciarla fosse stata solo Hermione, «un padre» la voce di Rosemary, «oppure un familiare o un amico» tante voci insieme, alcune femminili ed altre maschili, tutte unite in un unico coro di speranza. «Il bene trova sempre il modo di trionfare». Riabbassato un braccio, l’Arazzo portò la mano nella tasca della giacca di Hermione, tirandone fuori una scatola dall’aria familiare.

Il vaso di Pandora.

«Cos’è quello?» ringhiò lo Specchio, allarmato, la sua voce rimasta singola, solo più rasposa e forte rispetto a quella del debole professor Rochester. «Non ti permetterò di intrappolarmi di nuovo!».

Quando il vaso venne aperto, lingue di fuoco del colore dell’oro, simili a catene, si librarono nell’aria, incendiando ciò che il sangue non aveva già attirato e stringendosi intorno al Professore, per immobilizzarlo. Le pareti di roccia iniziarono a tremare, il boato che preannunciava un crollo iniziò a risuonare per il lungo corridoio. Gocce d’acqua, fredde quanto putride, si fecero largo lungo le insenature che quel terremoto aveva causato, anticipando l’invasione del Tamigi, che scorreva sopra di loro.

«Dovete andare via, adesso» ordinò, con un urlo, l’Arazzo, voltandosi per un istante verso i tre maghi. «Andate via di qui, altrimenti non potrete più scappare».

«Io non me ne vado senza Hermione! Meglio morire con lei che tornare indietro da solo!» fu la risposta di Draco, furiosa, simile al ringhio sofferente di un leone messo all’angolo da una morte inevitabile. Non l’avrebbe mai lasciata da sola. Non avrebbe mai consentito che morisse da sola. Avrebbero regnato all’Inferno, se quel mondo non era adatto a loro, ma l’avrebbero fatto insieme.

«No, lei non lo desiderava e neanch’io» gli rispose la Creatura, mentre Rochester, avvolto nelle fiamme, veniva lentamente trascinato verso il vaso, emettendo urla agghiaccianti e imprecazioni irripetibili. La sua voce stava cambiando e, per un istante, Draco pensò di aver sentito Voldemort in persona. «Vai, Draco, e ricorda che il bene vince sempre, anche quando tutto sembra perduto. Abbi fede».

«No! No, Hermione…».

«Hai sentito, ragazzo» Kingsley, con la sua presa ferrea, lo agguantò per le braccia e lo costrinse a guardarlo. «Hermione desidera che tu sopravvivi. Si sta sacrificando anche per te ed io non permetterò che tu mandi al diavolo ciò che ha fatto, non per puro egoismo! Andiamo via».

 

Fu Daisy a smaterializzarli via, al sicuro sull’altra sponda del Tamigi, mentre ancora avevano negli occhi le fiamme dorate che inghiottivano, in un lampo, entrambi i corpi sospesi per aria ed il sancta sanctorum di Enrico VIII che crollava, portandosi via i suoi segreti e le prove del sacrificio che era stato compiuto per salvare il mondo.

Tutto ciò che Draco riuscì a fare, prima di perdere i sensi, fu urlare un nome, lo stesso che avrebbe ripetuto in continuazione fino al giorno della sua morte, che non sarebbe mai giunta abbastanza in fretta.

«Hermione!».

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Ragazzi, non uccidetemi, io sono solo un veicolo, la storia si è scritta da sola!

 

Rimane solo l’Epilogo, io praticamente non riesco a crederci.

 

 

Per chi non l’avesse ancora saputo, ho pubblicato la one-shot rossa relativa al capitolo 23 (Ragione e Sentimento): thousand kisses – Lo Specchio delle Anime.

 

 

Ah, ho pubblicato una one-shot sulla coppia James/Lily, che credo proprio sarà il “prequel” per la mia prossima long. Vi lascio qui il link: L’estate eterna.

 

 

Punti importanti:

 

» 1 – “Spesso gli strumenti della Tenebra per trarci alla rovina si servono di piccole verità, dei più innocenti trucchi, per poi tradirci in più serio malanno”. Io adoro Macbeth, come credo di aver già accennato qui e lì. Macbeth in questo caso è Rochester, tratto in inganno dallo Specchio come il Re scozzese dalle tre streghe.

 

» 2 – Enrico VIII ha avuto tre figli “legittimi”, Maria la Sanguinaria è la sua primogenita, figlia di Caterina d’Aragona, definita sanguinaria a causa delle violente ritorsioni contro di protestanti. Dal mio punto di vista, la Regina era una Magonò che quindi ha perseguitato anche la popolazione magica. Elisabetta, d’altro canto, è stata una grandissima sovrana sia per i protestanti che per i maghi. Io adoro la storia della famiglia Tudor.

 

» 3 – Doppio riferimento, in questo caso. Quando ha scoperto dell’esistenza della Magia, il professore ha chiesto l’aiuto di Daisy per raggiungere il tunnel, trovando lì il quadro, che Draco ha visto nel suo ufficio, e la corona. Il quadro è davvero magico, anche se non si muoveva in presenza di estranei, e non ha fatto altro che avvelenare la mente di Rochester, sotto l’impulso dello Specchio. Dov’era lo Specchio? Nessuno lo sa, Rochester è il massimo esperto, nessuno meglio di lui avrebbe potuto rintracciare la sua ultima posizione. La sua influenza lo ha spinto a diventare più psicopatico di quanto già non fosse e non gli ha fatto vedere quanto, in realtà, fosse lui vittima.

 

» 4 – Daisy ha messo il Ministro sotto Imperius circa un anno prima degli eventi trattati nella storia. Lei non ha conoscenze sul governo e, scusate se è poco, tenere sempre sotto incantesimo un omone come Kingsley non è di certo semplice. Non portatele rancore, alla fine si è redenta.

 

» 5- “Citazione” da Star Wars, Episodio VII. Per chi, come me, è ossessionato, il riferimento è alla conversazione fra Poe e Kylo Ren, quando il primo viene catturato e interrogato. Draco, in questa situazione, è decisamente ispirato a Poe, con tutta quell’impertinenza.

 

» 6 – Una stronzata, lo so, ma tanto ne ho dette troppe scemenze storiche, una in più o una in meno non ucciderà nessuno. Ovviamente non è qualcosa che i vichinghi erano soliti dire, semplicemente ho dovuto giustificare in qualche modo.

 

» 7 – Dennis Canon, il fratello di Colin. Come accennato nel capitolo 24 (Atto XV – La fine del mondo), Dennis ha partecipato all’attentato di Diagon Alley ed è sfuggito alla cattura da parte degli Auror (fra cui c’era Dean Thomas).

 

» 8 – Altro riferimento – questa volta oscuro – a Star Wars. Per chi di voi abbia qualche conoscenza al riguardo: esattamente come il microchip impiantato nella testa dei cloni li ha spinti a tradire i Jedi e fare strage (Ordine 66, Episodio III). Per chi non avesse idea: il tatuaggio serve per controllare la mente delle persone, in questa versione è stato inventato da Enrico VIII e migliorato dalla figlia Elisabetta per assicurarsi la fedeltà assoluta della loro corte. Il quadro ne ha parlato a Rochester e lui a costretto Daisy ad imporlo agli altri. Lei ovviamente non ce l’ha perché non può imporlo a se stessa. I “Mangiamorte” hanno scelto di farsi fare il tatuaggio, ma non avevano idea delle conseguenze.

 

» 9 – Essenzialmente è come un Imperius perenne che richiede il consenso. Il Ministro non ne ha uno perché lui non lo avrebbe mai accettato volontariamente, quindi si sono dovuti accontentare.

 

» 10 – Verso la fine della Guerra, Rochester è stato salvato e ricoverato al San Mungo, perché le sue erano ferite derivanti da magia oscura. Qui ha conosciuto Daisy, ricoverata a causa del forte shock per la morte del figlio. Avendo sfruttato la sua debolezza, Rochester è riuscito ad assicurarsi la sua fedeltà. Nei cinque anni successivi alla fine della guerra, Daisy ha collaborato portandogli informazioni e fungendo da bacchetta umana. Solo nell’anno precedente ha avuto inizio la parte “pratica”.

 

» 11 – Non dimentichiamoci che Draco Malfoy è la controparte magica di Indiana Jones. Non gli ho mai chiesto se anche lui ha un fedora ed una frusta…

 

» 12 – Cosa è successo? Nel capitolo in cui Malfoy incontra l’Arazzo, questo prende possesso di Hermione e gli rivela dove si trova lo Specchio. Quello che lui non sa, però, è che Hermione non ha resistito alla tentazione ed ha chiesto sia cosa accidenti sia successo ad Harry (e come aiutarlo) e sia come distruggere lo Specchio. Al riguardo, l’unica possibilità era concedere al potere opposto a quello crudele dello Specchio (poi spiegherò meglio), quindi l’Arazzo, un contenitore umano per poterlo nuovamente intrappolare in un luogo da cui non avrebbe potuto più fuggire (il Vaso di Pandora). Hermione ha accettato di sacrificare la sua vita per fare da tramite, motivo per cui sa di essere sempre “seguita” dalla magia dell’Arazzo e sa bene come aiutare il suo migliore amico (ecco perché aveva la formula della Pietra Filosofale).

 

» Hermione, quindi, ha ospitato l’Arazzo, annullando se stessa. Fino ad ora è sempre stato detto che la Magia non è buona e non è cattiva, tutto dipende da chi la usa: ecco, non è propriamente vero. La Magia, come tutto in natura, è composta da due opposti: Magia buona e Magia cattiva, Conoscenza e Potere. Lo Specchio è la fonte della Magia oscura, la fonte di tutti i mali diciamo, ed ha sempre cercato di trovare il modo di fuggire alla sua prigione (lo specchio, appunto) per dominare nel mondo. Ha cercato per tutta la sua esistenza i personaggi più potenti ed è riuscito a diffondere dolore e disperazione fra di loro, senza mai poter essere liberato (Tutti questi personaggi – Alessandro Magno, Gertrut il vampiro, Maria Antonietta e gli altri – sono riusciti a limitarne il potere e non si sono fatti controllare perché non erano deboli come Rochester). L’Arazzo, bloccato per secoli e secoli nell’Agorà (colpa di Alessandro Magno, che aveva ascoltato la voce del Male, convinto di poter impedire che altri raggiungessero la sua grandezza ma praticamente impedendo al Bene di proteggere l’umanità) ha trovato in Hermione il canale per lasciare la sua prigione ed intrappolare il Male per sempre.

 

» Non odiatemi, la scelta è stata di Hermione, non mia. Io sono innocente.

 

 

  

Signori, questo era l’ultimo capitolo. La storia è finita, il dado è tratto, ormai manca solo l’epilogo. Non inizierò il papello commovente adesso, anche perché probabilmente tutti vorrete farmi la pelle. Io vi adoro. 

 

Il bene trova sempre il modo di trionfare.

   

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

 

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Capitolo 33
*** Epilogo - All was well ***


Lo Specchio delle Anime.

 


 

 “Do you hear the people sing
Lost in the valley of the night?
It is the music of a people
Who are climbing to the light.
For the wretched of the earth
There is a flame that never dies.
Even the darkest night will end
And the sun will rise.”.
1

 

[Les Miserables - Epilogue]

        

 

  

 

Epilogo.

 

 

Draco Malfoy non era mai stato un grande estimatore dei cimiteri. Fin da bambino aveva sempre cercato di limitare le visite al vecchio mausoleo di famiglia, convinto che tutti i dipinti al suo interno fossero lì semplicemente allo scopo di fargli paura e costringerlo a farsela sotto come un moccioso. Quando poi si era verificato l’incidente con Vega, il suo spavento era diventato puro terrore.

Eppure, nell’ultimo mese, era diventato il frequentatore più assiduo di quel piccolo cimitero magico fuori da Hogsmeade. Molte volte era stato trovato davanti ad una recente tomba di marmo bianco, spesso semplicemente seduto in silenzio, altre volte preso da un monologo che nessuno avrebbe osato interrompere. Gli piaceva andare lì, sentiva di poter essere se stesso e di poter sfogare tutte le angosce e le paure che il mondo reale non gli permetteva di esprimere.

Per quel motivo, quella mattina di gennaio, si presentò al solito posto con in mano un mazzo dei più bei girasoli che si potessero ottenere in quel periodo ed un leggero sorriso ad incurvargli le labbra. Non aveva molto tempo a disposizione, ma ogni minuto sarebbe stato speso bene, lo sapeva.

Il sorriso della giovane nella fotografia gli scaldò il cuore, ma gli provocò anche un moto di terribile tristezza. Era trascorso un mese da quando aveva preso l’abitudine di andare da lei, tuttavia il dolore era sempre lo stesso, non sembrava destinato a scemare.

«Ti ho portato i girasoli, oggi» disse, quasi lei fosse stata lì, pronta a rispondergli. «Ho chiesto in giro, a quanto pare erano i tuoi preferiti. Non ho mai avuto modo di scoprirlo da solo, purtroppo» mugugnò, muovendo la bacchetta in circolo per poter far evaporare abbastanza neve da potersi sedere per terra, davanti a lei. Cambiò i fiori nel vaso – erano altri girasoli, dovevano averglieli portati il giorno prima – e sospirò, tornando a ricambiare lo sguardo vuoto del soggetto in foto. «Sono andato da Crave, stamattina. Sono riuscito a convincerlo ad uscire di casa. Credo proprio che prima o poi si riprenderà, se saremo fortunati».

Naturalmente, la ragazza in foto si limitò a sorridere. A lui bastò, aveva imparato a leggere molto di più dietro alla sua solita espressione lieta. Era molto più giovane rispetto a quando era morta, ma lui riusciva già a cogliere in quei tratti quasi infantili la bellezza della giovane donna che aveva conosciuto.

«Credo che verrà con me in ospedale, prima o poi. Non potrebbe che fargli bene rivedere quegli ambienti che lo hanno fatto tanto soffrire… magari lo aiuterà anche a tornare allo studio no? Te l’ho già raccontato, Laurie è riuscita a svegliare Potter, ma a lui farebbe davvero comodo un bravo psicologo. Ha passato quasi due mesi bloccato in un limbo d’orrore e quando si è svegliato ha ritrovato la sua fidanzata incita e la sua migliore amica…» la voce gli si spezzò, senza che potesse far nulla per impedirlo. Era passato solo poco più di un mese.

Hermione! Hermione!

«Non è per questo che sono qui, comunque» si riprese alla fine, tossicchiando. «Non te l’ho ancora detto, ma Shacklebolt mi ha offerto un lavoro al Ministero. Nell’Ufficio Misteri hanno proprio bisogno di un esperto d’arte che si occupi di alcuni artefatti magici e lui ha pensato che io avessi maturato abbastanza esperienza al riguardo. Sono ufficialmente diventato un Indicibile, ci crederesti?» disse, cercando di mostrarsi allegro. «Oh, ho anche convinto il dottor Crave a sganciare la pozione per il mio braccio. Sono stato ufficialmente riabilitato ormai, ho la fedina penale pulita quasi quanto quella di Potter!» si vantò, sentendo quasi l’eco di una risatina allegra seguire la sua.

Non si preoccupò. Aveva imparato che essere scettico non sarebbe servito a molto. Accettò quella risata in quanto tale, sentendosi più vicino alla ragazza in foto. O, quantomeno, più vicino al suo spirito.

«Blaise si sposerà il mese prossimo» riprese, con un sospiro. «Mi ha chiesto di essere il suo testimone, spero soltanto che non decida di rendermi il suo pupazzetto personale… non sarebbe la prima volta» si lamentò, scuotendo il capo. «Forse Merrick si deciderà e si porterà dietro Finnigan, così lui la smetterà di sembrare un cane affamato». Il suo orologio iniziò a sbraitare dal suo taschino, urlandogli di essere già in ritardo per il suo appuntamento. Draco sbuffò, rialzandosi in piedi. «Devo andare, l’orario delle visite inizierà fra poco ed io non posso permettermi di arrivare in ritardo, non oggi. I medici hanno detto che finalmente si sveglierà» spiegò, acquattandosi per essere allo stesso livello della foto. «Tornerò la settimana prossima, non preoccuparti. E farò di tutto per convincere tuo padre a venire con me, così non spaventerà più il custode facendosi trovare subito dietro la sua porta, all’alba» borbottò, mentre la ragazza dagli occhi di diamante continuava a sorridergli, incurante di tutto. «Ho intenzione di mantenere la mia promessa, Rose. Mi prenderò cura di lui»2.

 

***

 

Quando il tunnel era crollato, tutta Londra si era svegliata convinta che un terremoto avesse scosso la città, provocando qualche danno ma, soprattutto, tanto spavento. Tutta Londra, però, era presto tornata a dormire, non avendo notato alcun tipo di conseguenza strana o non essendosi proprio preoccupata delle reali motivazioni di quelle vibrazioni. Tutta Londra, tranne Draco Malfoy.

Aveva urlato il nome dell’amore della sua vita per ore, si sarebbe gettato nel Tamigi con l’intento di tornare indietro e spostare fino all’ultima pietra pur di ritrovarla, anche rischiando la propria vita, se necessario.

Non gliel’avevano permesso.

Il Ministro e Daisy, di certo molto più razionali di lui, l’avevano tenuto per le braccia e l’avevano trascinato via, terrorizzati che potesse decidere di compiere un folle gesto.

Poi l’aveva vista.

Abbandonata sulla riva del Tamigi, Hermione sembrava essersi addormentata pacificamente, completamente bagnata e infangata, quasi fosse stata un detrito portato direttamente dal fiume. Per un momento, lui pensò addirittura di avere le allucinazioni. Poi pensò che fosse il suo cadavere, trascinato dalla forza dell’acqua.

Ministro, Malfoy! È viva! È viva!

La corsa in ospedale era stata folle, anche se lui non ne ricordava molto. Qualche ora dopo, sua madre gli aveva raccontato che lui era stato ricoverato a causa delle diverse fratture ma che presto si sarebbe ripreso, mentre Hermione, il cui male non sembrava voler essere identificato, era caduta in un sonno profondo. I medici l’avevano rassicurata, tuttavia: ad ogni ora il suo stato migliorava e ritenevano che presto si sarebbe svegliata.

Presto, evidentemente, era arrivato dopo un mese.

Draco non si era separato da lei neppure un istante, nei primi giorni. Erano stati Potter e la Weasley a costringerlo ad alzare il sedere dalla sedia e tornare a casa, alla fine, promettendogli che sarebbero stati con lei e che l’avrebbero chiamato qualora fosse successo qualcosa. Lui, allora, si era deciso a cercare una risposta per ciò che era successo, ritrovandosi infine ad accettare la stessa spiegazione che l’Arazzo, poco tempo prima, gli aveva dato.

Il bene vince sempre, in un modo o nell’altro.

«Hai una faccia davvero orribile, Malfoy».

Preso nei suoi pensieri, lui non si rese quasi conto che lei avesse aperto gli occhi, puntandoglieli addosso. Quando sentì la sua voce sussultò, accennando poi un lieve sorriso che sparì velocemente.

«Ti sei vista allo specchio, Granger? Io ho provato a convincere la Weasley a far venire un’estetista per farti dare una sistemata, ma lei mi ha chiamato insensibile ed ha minacciato di spezzarmi le ossa rimaste intere» le fece notare, con una smorfia, stringendole la mano fra le sue. La sua emozione era evidente nel lieve tremore che l’aveva scosso, ma cercò di controllarsi il più possibile.

«Sempre un cavaliere, eh?» sbottò lei, sarcastica, abbassando gli occhi sulla propria mano sinistra. «Non hai avuto modo di mandare un’estetista ma ti sei premurato di mettermi l’anello di tua nonna al dito? Le priorità sono queste, evidentemente»3 aggiunse, divertita, dedicandogli il migliore fra i suoi sorrisi confusi. Aveva il viso di qualcuno che avesse fatto il più bel sonnellino del mondo e, per un momento, Draco la invidiò. Fortunatamente anche lui sarebbe riuscito a riposare decentemente, presto o tardi.

«A dire il vero è stata una necessità. Non mi avrebbero permesso di restare qui con te, se non avessi dimostrato… uhm… il nostro legame» spiegò poi, lievemente imbarazzato. «Non preoccuparti, Granger, ho intenzione di fare le cose come si deve, non appena lascerai l’ospedale. Tuo padre è stato molto chiaro, al riguardo».

Lo sguardo confuso che lei gli dedicò lo fece sorridere. «Hai parlato con mio padre?» gli chiese, confusa, guardandosi intorno per mettere a fuoco il luogo in cui si trovava. Avrebbe trovato fotografie sul comodino e tanti libri, molti dei quali Draco stesso aveva letto, negli interminabili pomeriggi al suo fianco. «Ho dormito parecchio, vero?».

Lui annuì, accarezzandole i capelli con una sola mano. «Un mese, più o meno. I medici mi hanno assicurato che fossi più forte di giorno in giorno, ma devo ammettere di esser sempre stato in ansia» ammise, scuotendo il capo. «E sì, ho parlato con tuo padre. Non è questa la tradizione, dopotutto?» aggiunse, con una leggera risata. «Te l’ho detto, voglio fare le cose per bene, prima di portarti all’altare ed iniziare a lavorare alla nuova generazione di Malfoy».

Hermione rise di gusto, quasi avesse trattenuto quell’ilarità per tutto il mese di sonno forzato. «Immagino di non aver scelta, a questo punto. Tu hai già deciso tutto, non è vero?» gli domandò, alzando gli occhi al cielo.

«Non tutto. L’abito da sposa lo lascio a te, voglio godermi la sorpresa».

Lo sbuffo divertito con cui lei gli rispose li fece sorridere entrambi. Sembrava quasi che gli orrori trascorsi da così poso tempo fossero lontani, nulla più di un ricordo remoto. Non era vero, naturalmente, e presto avrebbero dovuto affrontare tutte le conseguenze che li attendevano dietro l’angolo. Se i giornalisti non si erano ancora precipitati ad attaccarli era solo grazie all’influenza che Potter e la Weasley sapevano avere sul Profeta.

«Come sta Harry? E Ginny? E tutti gli altri?» domandò, ansiosa, realizzando improvvisamente che non fossero soli al mondo e che il resto dei loro amici avesse necessariamente continuato a vivere, in quel mese di cui lei non sapeva nulla. «L’Arazzo mi ha spiegato la condizione di Harry, ma io non so…».

«Potter sta benissimo» la interruppe Draco, tranquillo, accarezzandole i ricci scuri. «Si è svegliato poche ore dopo, quando Laurie ha realizzato l’antidoto, ed è stato più che felice di sapere della gravidanza della sua fidanzata. Si sposeranno fra un paio di mesi, Blaise ha preteso di essere il primo» la rassicurò, tranquillo. «Quanto agli altri, stanno tutti benissimo, sono solo molto preoccupati per te».

Il sorriso di Hermione gli scaldò il cuore. «È andato tutto bene, alla fine» mormorò, felice.

Draco si chinò a baciarla, con un sorriso enorme.

«È andato tutto bene».

 

 

 

 

Bonus: All was well.

 

 

Nonostante fossero sposati da soli cinque anni, Hermione e Draco Malfoy avevano già organizzato tutte le feste comandate, quelle natalizie fra tutte, in modo da accontentare i diversi parenti e non costringere nessuno a soffrire per incontri scomodi. La Vigilia, infatti, era riservata ai Granger, in modo che il piccolo Alex – Alexander Draco, il loro primogenito – potesse passare del tempo con i parenti babbani, mentre il Venticinque era riservato ai Malfoy, che li attendevano nel loro enorme maniero nel Wiltshire. Lì, com’era successo ogni anno dalla nascita di Alex, l’ex Mangiamorte Lucius4 avrebbe rapito l’ultimo nato della famiglia e lo avrebbe accompagnato per la campagna, mostrandogli il regno che avrebbe ereditato, un giorno molto lontano, mentre Narcissa si sarebbe complimentata con la nuora per i suoi recenti successi lavorativi e si sarebbe dedicata all’organizzazione del pranzo, così che ai giovani sposi potesse esser garantita quella breve calma che il figlioletto era solito negare loro con grande premura.

Conclusi i due giorni di festeggiamenti intensi, la famigliola avrebbe trascorso un paio di giorni in Irlanda5, dove il loro ex psicologo – attualmente conosciuto come Nonno Newt -  li avrebbe privati, ancora una volta, della presenza del bambino, facendosi trascinare in lungo ed in largo nella riserva di Draghi che si era installata da qualche anno nella contea di Cork.

Sarebbe giunto infine il Capodanno, la festa riservata agli amici, in cui sarebbero stati letteralmente trascinati nella residenza di campagna di Blaise Zabini e della sua signora per partecipare alla rituale festa, in cui avrebbero incontrato i Potter – era ridicolo il legame d’amicizia che si era venuto a creare tra Blaise e Ginevra – ed i Finnigan, sposati a loro volta giusto da un paio di anni.

Ebbene, quella Vigilia i loro piani erano stati miracolosamente scombinati e tutti i soggetti che avrebbero dovuto incontrare in più di una settimana si erano ritrovati nella stanzetta privata della più lussuosa ala del San Mungo. Hermione, infatti, con ben cinque giorni di ritardo, aveva felicemente comunicato al suo ansioso marito che la loro secondogenita avesse finalmente deciso di lasciare il nido materno e fare la sua comparsa in pubblico.

«In elegante ritardo, da brava Malfoy» aveva appena commentato Lucius, seduto come un Re sul trono nella saletta d’aspetto, il bastone da passeggio in mano ed ancora il cappotto di pelliccia drappeggiato sulle spalle. Da quando Laurie aveva proposto di usare su di lui la Pietra Filosofale, prima di distruggerla, sembrava esser rinato. Era sempre uno spocchioso purosangue che non aveva grande considerazione dei babbani ed amava esaltare la propria ricchezza, ma sembrava aver deciso di non voler sprecare più il suo tempo facendosi detestare dalla famiglia. Si era dimostrato cortesemente distaccato con Hermione finché lei non aveva dato alla luce il bambino che, in quel momento, giocava sul pavimento con James: nell’istante stesso in cui Alex era stato posato fra le sue braccia, Malfoy Senior aveva accettato la nuora senza riserve, arrivando addirittura ad estremi come mia cara, quando era di buon umore.

Naturalmente, i più felici erano stati il figlio e la moglie: quest’ultima, seduta al suo fianco, stringeva fra le mani un ippogrifo rosa ed era in evidente trepidazione all’idea di incontrare la nipotina.

I signori Granger, in quel momento, non erano presenti. Proprio l’anno in cui Hermione li aveva costretti a fare una bella vacanza romantica, la bambina aveva deciso di venire al mondo. Sarebbero arrivati il giorno dopo, in serata, non potendo viaggiare con i mezzi veloci dei maghi.

«Se avesse aspettato un altro po’, avrebbero dovuto tirarla fuori con la forza, cugino Lucius» notò Merrick, dondolando leggermente il bambino che aveva fra le braccia. Liam Evan6. «Hermione era convinta che sarebbe nata in anticipo, come Alex, ma evidentemente lei aveva dei programmi diversi».

«Da vera Malfoy» ribadì Lucius, orgoglioso come un pavone che faceva la ruota. «È nata esattamente quando intendeva nascere».

«Anche James è nato in ritardo» notò Harry, allungando una caramella al suo secondogenito, Albus. Il bambino, di quasi tre anni, non aveva alcun interesse nel condividere i giocattoli del fratello e dell’amichetto, essendo tutto preso dal dolcetto e dalle smorfie che Seamus aveva iniziato a fargli. «Era così grosso che Gin è rimasta in travaglio quasi tre giorni».

Gin era in sala parto, naturalmente, insieme alla puerpera ed al paparino ansioso. Anche lei era incinta, ma avrebbe dovuto aspettare qualche mese per poter abbracciare la piccola Lily.

«Attento a quello che dici, Potter. Mia figlia non è grossa» intervenne Malfoy, sbucando con Ginny dalla porta che tutti avevano preso a fissare con ansia. Sorridevano entrambi, ma lui era evidentemente estasiato. «Tre chili e dei polmoni da vera aristocratica, non c’è mai stata una piccolina più bella».

Un coro di congratulazioni ed un estasiato Papàà!” accolsero il suo arrivo. Alex, abbandonato il suo drago per terra, era corso da lui, facendosi sollevare e chiedendo insistentemente di poter vedere la mamma e la sua nuova sorellina.

«Andiamo subito, campione» lo rassicurò Draco, lasciandogli un bacio sulla fronte. Osservandolo con attenzione, chiunque avrebbe potuto notare i suoi occhi ancora lucidi. «Potete entrare due alla volta, ma…» i suoi occhi scrutarono la piccola sala d’attesa, individuando immediatamente l’oggetto della sua ricerca. «Hermione vuole vederti prima degli altri, vuole presentarti qualcuno».

Il dottor Crave, rimasto in un angolo della stanza, si accigliò, occhieggiando immediatamente a Potter ed ai Malfoy, quasi avesse temuto di non aver sentito bene. «Vuole vedere prima me?».

«Ah, Dottore, dice sempre di avere un effetto devastante sulle donne e poi si sorprende se mia moglie decide di darle la precedenza?» gli disse, ironico, Draco, accennando all’ingresso della camera. «Coraggio, qualcuno ti sta aspettando».

 

La più giovane Malfoy era pacificamente poggiata al petto della madre, la testa completamente pelata e due grandi occhi azzurrognoli* sul punto di chiudersi sotto il peso della necessità di un pisolino rigenerante. Hermione era visibilmente provata dallo sforzo fatto, ma sembrava a dir poco radiosa. Quando vide Newton Crave entrare dietro Draco, gli dedicò un sorriso a dir poco abbagliante.

«Temevo non saresti venuto» gli disse, visibilmente sollevata. «Mi rendo conto tu abbia tanti impegni, quindi ti ringrazio».

Lui, perdendo momentaneamente l’espressione burbera, le sorrise. «Ah, non mi sarei perso quest’evento. Ho lasciato Audrey7 allo studio, è in buone mani» le disse, tranquillo, avanzando molto più lentamente di quanto non avessero fatto Draco ed Alex, già montato sul letto della madre per dare un’occhiata alla nuova arrivata. «Ti somiglia, per quanto sia difficile esserne certi, adesso».

Draco scosse il capo, ridacchiando. «Le somiglia un po’, sì, ma ha l’atteggiamento di una Malfoy e…» scosse il capo, il divertimento diventato tenerezza. «È molto curiosa, sa? È nata con gli occhi aperti».

Crave scosse il capo. «La figlia di Hermione Granger deve essere curiosa. Non credo sia possibile qualcosa di diverso» gli fece notare, allungando il collo per osservare la bambina. «È davvero graziosa, ragazzi, è una dei miei risultati migliori8» aggiunse, guardando entrambi i genitori con aria soddisfatta.

«Tuoi risultati?» gli chiese Draco, le sopracciglia corrugate. «Devi dirmi qualcosa, Mon Ange?» aggiunse poi, rivolto ad Hermione, che gli rispose con un sorriso incredibile e con un pizzicotto. «Non preoccuparti cara, è pelata come tutti i Malfoy appena nati, non ci sono dubbi».

Divertita, la puerpera alzò gli occhi al cielo, allungando le braccia verso il Dottore. «Prendila, coraggio» gli disse, gentile. Attese che lui le togliesse la piccola dalle mani, prima di parlare. «Newton Crave, ti presento Rosemary» presentò, sfiorando il visino della figlia con la punta del dito. Alzò gli occhi su di lui, prima di continuare, dedicandogli un grande sorriso. «Rosie, ti presento il tuo padrino».

Se avessero usato l’Avada Kedavra su di un unicorno, lui non avrebbe fatto quell’espressione. Per un terribile istante, Draco temette che fosse sul punto di svenire, ma la lucidità improvvisa dei suoi occhi lo rassicurò: per la prima volta dopo sei anni, le sue lacrime esprimevano gioia e non tormento.

Con una delicatezza che nessuno gli aveva mai riconosciuto, allungò la mano verso il viso della bambina, accarezzandole la guancia morbida. Il suo sorriso era leggero, quasi nascosto, ma la sua felicità era impossibile da nascondere.

«L’avete chiamata come la mia bambina» disse, dopo qualche istante, una volta trovata la voce per poter parlare. Non staccò gli occhi dalla piccola, stregato, e Draco non riuscì a dargli torto: sua figlia era meravigliosa. «Lei ne sarebbe stata felice, ne sono certo».

«Lei è felice, Doc» gli disse proprio lui, sentendo nuovamente la solita morsa artigliargli il cuore. Non era gelida e dolorosa, come i primi tempi. Dopotutto, le aveva promesso che l’avrebbe ricordata per le cose belle. Sua figlia era la più bella del mondo. «In questo momento starà prendendo in giro tutti quanti per questa scena da pappemolli».

Senza riuscire a nascondere una piccola lacrima, Crave rise. «Hai ragione, si starà facendo una bella risata alle nostre spalle» concordò, tornando a concentrarsi sulla bambina. «Rosemary Malfoy, la mia figlioccia… Merlino, ti vizierò da far schifo».

I due genitori risero, felici, mentre Alex oltrepassava la madre per poter dare un’altra occhiata alla sorellina. Naturalmente, anche lui ne era assolutamente affascinato, complici i mesi di preparazione psicologica cui era stato sottoposto.

Preso da un impeto di gioia, Draco si chinò e baciò sua moglie, sentendo il cuore scoppiare non appena lei ricambiò, con dolcezza.

«Hai visto? È andato tutto bene» gli disse, felice.

«Sì. È andato tutto bene».

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Spuntare la casella “Completa” è traumatico.

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Mio Dio, è finita.

 

Io non so ancora bene come prendere questa cosa, sono troppo confusa dalle mie stesse emozioni. Questa è stata la mia prima long in assoluto, non ero mai riuscita a portare avanti un progetto del genere ed andare oltre i tre capitoli (non mi riferisco alle raccolte, ovviamente).

Posso dirvi solo grazie. Solo questo. Se sono arrivata a questo punto è solo grazie al supporto che mi avete sempre dimostrato, riempiendomi di complimenti per la maggior parte immeritati e mostrandomi i miei errori, così che io potessi correggermi. Mi avete aiutata col greco, con gli errori grammaticali, con i periodi di pochissima ispirazione, accompagnandomi fra i vari esami e mantenendo il mio morale alto dopo la piccola operazione chirurgica che verso marzo mi ha davvero sconfortata un sacco.

Grazie a tutti, davvero.

Questa storia è stata una gravidanza, la sua stesura ha richiesto nove mesi. Nove mesi per realizzare qualcosa a cui, per quanto mi riguarda, avete collaborato tutti.

Non mi stancherò mai di dirvi grazie. Mai.

 

A questo punto, ho qualche ringraziamento particolare da fare:

- Kasumi_89: devo ringraziarti separatamente, tu mi sei venuta dietro fin dal primo capitolo. Quando temevo di non leggere neppure un parere, arrivavi sempre tu a darmi conforto. Grazie, ci sono giorni in cui penso che avrei mollato al secondo capitolo, senza di te.

 

- Cioccolataconpanna: tu hai realizzato la FANTASTICA cover per la mia storia, mi hai fatto sentire un moto di orgoglio e soddisfazione che le mie storie non mi avevano mai regalato. Ti ho già detto quanto mi è piaciuta e non smetterò mai di ripeterlo, la adoro.  (Per chi volesse vederla, basta andare nella mia pagina Facebook e cercare nell’immagine di copertina. È favolosa).

 

- Allyenne: tu hai realizzato il mio sogno nel cassetto, cioè quello di avere una storia segnalata per le Scelte del sito. Non credevo che sarebbe mai successo, quindi… wow. Non so se alla fine sarà fra le Scelte o no, ma non mi importa, io sono comunque felicissima. E spero di averti fatta felice, con questo capitolo!

 

- pervertsoul90: tu mi hai salvato da tanti orrori grammaticali, il mio amor proprio ti deve tantissimo.

 

Tutti voi altri, non pensate neppure per un istante che io non vi adori tutti allo stesso modo o che non mi ricordi di voi. Io mi ricordo di tutti (sembra una minaccia, lo so), ma se dovessi ringraziarvi uno per uno non finirei mai! Vi adoro, non dimenticatelo vai. Scegliete il vostro capitolo preferito, state pur certi che io ve l’abbia dedicato. 

 

Io non so più cosa dire, mi sta venendo da piangere. Adesso vi do qualche comunicazione tecnica, ci risentiamo alla fine.

 

 

[Per chi non l’avesse ancora saputo, ho pubblicato la one-shot rossa relativa al capitolo 23 (Ragione e Sentimento): thousand kisses – Lo Specchio delle Anime.

 

Ah, ho pubblicato una one-shot sulla coppia James/Lily, che credo proprio sarà il “prequel” per la mia prossima long. Vi lascio qui illink: L’estate eterna.]

 

 

Punti importanti:

 

» 1 – “Senti la gente che canta/ persa nella valle della notte?/ È la canzone di un popolo/ che sta tornando verso la luce./ Per i disgraziati della terra/ c’è una fiamma che non muore mai./ Anche la notte più oscura finirà/ ed il sole risorgerà”. Io amo i Miserabili. Questa canzone mi fa sempre piangere.

 

» 2 – Vi ho fatto venire un poco di strizza, eh? Ma secondo voi avrei mai potuto uccidere Hermione? La mia Hermione? Draco mi avrebbe uccisa lentamente e con molto dolore. Il signor Malfoy ha scoperto che parlare con Rose, anche solo con la sua tomba, gli è di grandissimo conforto. Va a trovarla quasi tutti i giorni, da quando è stato dimesso dall’ospedale, e le racconta la sua giornata. Dopotutto, il dottor Crave è ancora in lutto ed ha appena iniziato ad aprirsi, lui ha bisogno di raccontare le sue cose a qualcuno.

 

» 3 – L’anello in questione è in possesso di Hermione dalla prima caccia a Versailles. Si tratta dell’anello di nonna Malfoy, ora è ufficialmente della nostra bella Granger. Si tratta di un animale d’anello, grosso tipo come una castagna.

 

» 4 – Allora, Lucius. Il signorino in questione era malato terminale, come sapete, e neppure Crave era riuscito a salvarlo. Blaise ha pensato di usare la Pietra, come avevano fatto con Harry, ben pensando che anche lui meritasse una seconda occasione.

 

» 5 – La madre del dottor Crave è irlandese, come ha detto Rosemary nel capitolo “Seconde Possibilità” (credo), e lui si è ritirato lì per affrontare il lutto. Dopo il risveglio di Hermione sono diventati tutti molto amici, lui ha essenzialmente preso Alexander sotto la sua ala, trasformandolo in un Magizoologo in miniatura, come avrebbe voluto fare con la sua bambina. Con la sua figlioccia, Rose Malfoy, neanche vi sto a dire come si comporterà. Un terzo nonno particolarmente invadente, dalla serie: No, se lei va ad Hogwarts ci vado pure io.

 

» 6 – Evan Rosier era il padre di Merrick, era un vecchio Mangiamorte ma lei lo adorava. La famiglia è famiglia.

 

» *Tutti i bambini hanno gli occhi azzurri, appena nati, tranne pochi casi. I piccoli Malfoy avranno entrambi gli occhi grigi, è praticamente una maledizione!

 

» 7 – Audrey, la moglie di Percy, è la segretaria del dottor Crave. Tre anni prima si è sposata e si è messa a studiare per diventare psicologa a sua volta, collaborando con il dottore.

 

» 8 – Nel senso: senza di me non vi sareste neppure messi insieme, quindi lei e l’altro sono merito mio.

 

Cosa è successo dopo l’epilogo?

 

» Hermione e Draco si sono sposati un anno dopo il risveglio di lei, nel frattempo hanno fatto qualche altra missione di recupero oggetti magici sotto le spoglie di Lord Morgestern e Miss Sinclair. Esattamente nove mesi dopo il matrimonio è nato il piccolo Alexander Draco, che ha quattro anni alla nascita della sorellina Rose. Hermione penserà di adottare un terzo bambino, ma, senza programmarlo, resterà incinta e darà alla luce un’altra bambina, Vivian. Alex diventerà un Corvonero, Rose una Serpeverde (con gioia immensa di Draco e di Crave), mentre Vivian andrà a Grifondoro (con orrore di tutti i Malfoy. Inutile dirlo, Draco sosterrà che Grifondoro sia migliorata incredibilmente solo grazie a sua figlia).

 

» Harry e Ginny si sono sposati due mesi dopo l’epilogo. Al matrimonio c’era Percy come unico rappresentate dei Weasley, mentre per Harry si sono presentati Petunia, Dudley, sua moglie e sua figlia, Jane (ufficialmente solo per consentire alla bambina di avvicinarsi al mondo magico, essendo anche lei una strega). Ovviamente loro hanno avuto tre figli: James (Grifondoro), Albus (Serpeverde) e Lily (Grifondoro). Harry si è ripreso, anche se ha avuto bisogno di molto tempo e di tante cure, soprattutto una volta guarito il dottor Crave.

 

» Blaise e Laurie si sono sposati un mese dopo, hanno avuto una sola figlia, Victoria (qualche mese più giovane di James), che diventerà Serpeverde (ed avrà una relazione con James stesso, shhh). Blaise è diventato responsabile del reparto Malattie Infettive, mentre Laurie è diventata un Gran Maestro dell’ordine degli Alchimisti, come suo padre (di cui lei scoprirà l’identità grazie ad Hermione).

 

» Merrick, alla fine, ha ceduto alla corte di Seamus ed ha accettato di sposarlo dopo altri quattro anni di corte sfacciata. Avranno tre maschi: Liam, Max ed Aaron (Serpeverde, Grifondoro e Grifondoro).

 

» Shacklebolt è stato reintegrato, ha spiegato la situazione ed ha sistemato tutti i casini dell’anno precedente. Daisy è stata processata ed assolta, si è rifatta una vita in Australia, ben lontana dai luoghi che l’hanno fatta soffrire.

 

» Newton Crave ha sofferto come un cane per anni, riuscendo ad uscire dal tunnel di depressione solo grazie a Draco ed Hermione prima e poi grazie al piccolo Alex, che essenzialmente lo ha adottato come terzo nonno. Ha ricominciato a svolgere le sue solite occupazioni solo un anno dopo la morte di Rose ed ha deciso di donare una enorme somma di denaro alla riserva di draghi irlandese, che è stata intitolata a Rosemary Crave.

 

» Molly Weasley è morta due anni dopo l’epilogo, gettandosi dalla finestra dopo aver visto Fred. I suoi figli l’hanno pianta molto ma non si sono comunque riappacificati con Ginny. Percy, un mese e mezzo dopo l’epilogo, ha deciso di averne abbastanza e si è allontanato a sua volta, raggiungendo Ginny. È stato lui ad accompagnarla all’altare e lei, quando Crave ha ricominciato a lavorare, gli ha presentato sua moglie Audrey. Loro avranno due figlie, come sapete: Molly e Lucy (Grifondoro, Tassorosso).

 

» Spettegoliamo sul futuro: Teddy Lupin non avrà una relazione con Victoire (non essendoci rapporti di Harry con i Weasley è improbabile diventino amici) ma sarà il fidanzato di Jane Dursley (entrambi saranno Tassorosso). Immaginate come dev’essere felice Vernon, nella sua tomba (è morto pochi mesi prima che Dudley si sposasse, un annetto dopo l’ultimo libro), sapendo che sua nipote è fidanzata con un mago, metamorfomagus e mezzo licantropo. Ah, il karma.

 

  

Signori, abbiamo ufficialmente finito. Ho pianto, ho sofferto ed ho riso per nove mesi, scrivendo questa storia, ed ora ho paura che non riuscirò mai più a fare qualcosa si nuovo.

Ci proverò, questo ve lo prometto (o vi minaccio…).

Molto presto.  

 

 

Grazie a tutti, di cuore.

Vi adoro.

Marnie*

   

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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