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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Atto I - Tantalos *** Capitolo 2: *** Atto II/Parte I - Verità sepolte. *** Capitolo 3: *** Atto II/Parte II - Ossimoro *** Capitolo 4: *** Atto III/Parte I - Nascosto in piena vista. *** Capitolo 5: *** Atto III/Parte II - Il professore sopravvissuto. *** Capitolo 6: *** Atto IV/Parte I - Il gioiello di Luigi XIV. *** Capitolo 7: *** Atto IV/Parte II - L'inizio della fine. *** Capitolo 8: *** Atto V - Di errori e autorità. *** Capitolo 9: *** Atto VI - Scena I & Scena II *** Capitolo 10: *** Atto VII - Il Destino della Cicatrice *** Capitolo 11: *** Atto VIII - I fantasmi del passato. *** Capitolo 12: *** Atto IX - Parte I/ Do ut des. *** Capitolo 13: *** Atto IX - Parte II/ Il morso dell'aspide. *** Capitolo 14: *** Atto IX - Parte III/ Il Trionfo di Bacco ed Hermione *** Capitolo 15: *** Atto X - Parte I/ Seconde Possibilità. *** Capitolo 16: *** Atto X - Parte II/ Di pozioni e incantesimi *** Capitolo 17: *** Atto XI - Parte I/ Immortali nella mortalità *** Capitolo 18: *** Atto XI - Parte I/ Il Guardiano della Roma d'Oriente *** Capitolo 19: *** Atto XII - Parte I/ Il mostro sotto al letto. *** Capitolo 20: *** Atto XII - Parte II/ Il rimpianto del padre *** Capitolo 21: *** Atto XIII- Parte I/ Il Paese delle Meraviglie *** Capitolo 22: *** Atto XIII - Parte II/ La Bella addormentata *** Capitolo 23: *** Atto XIV/ Ragione e Sentimento *** Capitolo 24: *** Atto XV - La fine del Mondo. *** Capitolo 25: *** Atto XVI - Parte I/ Cantami o Diva *** Capitolo 26: *** Atto XVI - Parte II/ Virtute e Canoscenza *** Capitolo 27: *** Atto XVI - Parte III/ Più mirabile dell'uomo *** Capitolo 28: *** Atto XVI - Parte IV/ Aristos Achaion *** Capitolo 29: *** Atto XVI - Parte V/ Gloria della Madre *** Capitolo 30: *** Atto XVII - Parte I/ L'Arazzo dimenticato *** Capitolo 31: *** Atto XVII - Parte II/ Il Nemico nascosto *** Capitolo 32: *** Atto XVIII - L’uomo che volle essere Re *** Capitolo 33: *** Epilogo - All was well ***
Operazione Tantalos: Battuta d’arresto al Governo Shacklebolt?
Hermione Granger mise da
parte il giornale, sbuffando spazientita. Era il terzo articolo in meno di una
settimana che Rita Skeeter pubblicava, andando
spudoratamente contro la politica che il Ministero stava supportando negli
ultimi anni. Già al primo lei aveva provato a far valere l’antica minaccia di
rivelare il suo essere Animagus, vedendosi però
sbattere in faccia una lettera di garanzia da parte del Ministro in persona.
Ecco cosa si ottiene, quando
si scende a patti con il diavolo.
Il suo caffè si stava
velocemente raffreddando a causa del clima rigido che sferzava Londra in quel
periodo. In pochi minuti sarebbe diventato a dir poco imbevibile, ma,
sinceramente, Hermione sentiva lo stomaco completamente chiuso. Non aveva
necessità di leggere l’articolo, sapeva bene che sarebbe stato uguale agli
altri due: speculazioni sull’operato del Ministero, indizi su possibili talpe,
dubbi sull’operato generale di Shacklebolt.
«Fra tre minuti sarai
ufficialmente in ritardo, sicura di voler distruggere il tuo record?» le chiese
una voce roca, vagamente rasposa, un attimo prima che
il suo migliore amico si accomodasse davanti a lei, con gli occhi iniettati di
sangue ed i capelli ancora più incolti della barba. «JerryStamp, dell’Ufficio per la Cooperazione Magica
Internazionale, non aspetta altro che l’occasione di riprendersi il suo vecchio
titolo»
La giovane alzò gli occhi in
quelli verdi dell’uomo, inarcando le sopracciglia. «Oggi inizio un’ora dopo, il
Signor Hicklebottom è impegnato ad una riunione
privata, prima» gli disse, nascondendo malamente un sorriso. «JerryStamp ormai ha perso il suo
primato, non ha saputo ordinare bene le sue priorità» aggiunse, ridendo sotto i
baffi, poggiando le spalle allo schienale della sedia di ferro della
caffetteria.
Harry rise, allungando la
mano per prendere la tazza di caffè ancora intatta. «Ha fatto tardi perché sua
moglie era in travaglio, Herm. Forse sei tu che devi
rivedere le tue priorità» le disse, divertito, prima di bere un sorso dalla
tazza e mandare giù il liquido con una smorfia terrificante. «Per il
perizoma maculato di Godric! Cos’è questa robaccia?» le domandò,
restituendole la tazza come se all’improvviso fosse diventata l’incarnazione di
Satana.
«Ah, sai com’è. Amo il
caffè proprio come amo i miei uomini…» gli rispose, sibillina, facendogli
un occhiolino complice, prima di riappropriarsi del suo carburante mattutino.
Assaggiando, si rese conto di quanto effettivamente fosse nauseabondo. Dovevano
aver sbagliato miscela.
«Tiepidi e con la capacità di
intossicare il resto della tua vita?» continuò il Capo Potter, facendo ancora
le smorfie come un bambino. Poi alzò la mano per richiamare l’attenzione della
vecchia cameriera. «Milly, per favore, un caffè ristretto, amaro come il
veleno» chiese quindi, sorridendo quando la donna gli soffiò un bacio, sparendo
all’interno.
Harry Potter, con la fine
della guerra, aveva perso l’aria da bambino sperduto ed aveva iniziato a
mietere vittime nell’altro sesso con una ritrovata sicurezza. Naturalmente, la
vecchia Milly era soltanto intenerita da quei suoi occhi verdi e dall’aria
trasandata, ma molte altre non facevano che buttarsi ai suoi piedi, a
prescindere dall’età.
Fra queste, non c’era
Hermione Granger, che lo conosceva più di quanto si conoscesse lui stesso. Caffè amaro poteva significare soltanto che il Signor
Potter stesse sopportando i postumi di una terrificante sbornia. Cosa che
spiegava anche il colorito tutt’altro che sano, barba
e capelli da senzatetto e gli occhi iniettati di sangue.
«A che ora hai smesso di
bere?» gli chiese, mettendo su il suo peggior cipiglio severo, quello che da
ragazzi sapeva costringere lui e Ronald a studiare. Incrociò le braccia al
petto, con uno sbuffo scontento. «Gin ti ha visto?»
Colpevole, Harry si grattò
distrattamente il mento. Il modo in cui evitava lo sguardo dell’amica era
un’implicita ammissione di colpevolezza. «Ho finito il turno alle tre. Gin è uscita
di casa alle sei. Non ci siamo incrociati» mormorò, accettando con un sorriso
la tazza che la vecchia cameriera gli stava porgendo. «Non guardarmi così,
Hermione, non ho bisogno del tuo biasimo. Non sarei riuscito a dormire, quindi
meglio ubriaco che impazzito per gli incubi» sbottò, prendendo poi una lunga
sorsata. «Ha messo lo zucchero, come temevo. Quella donna mi tratta come se
fossi un bambino»
Hermione non perse lo sguardo
carico di disapprovazione, nonostante si fosse velato di una certa apprensione.
Accavallò le gambe, restando poggiata allo schienale, nella posizione che
solitamente assumeva durante i processi, quando toccava a lei fare le domande.
«Quanti ne hai persi, ieri?»
L’Ex Bambino Sopravvissuto
scosse il capo, sospirando. Le smorfie continuavano a deformargli il viso, man
mano che beveva il suo caffè. «Non è morto nessuno,
ma ci sono andati vicino» disse, posando la tazza vuota a metà. «Ormai succede
ogni volta che mi agito molto e, considerato il mio lavoro…»
Hermione si accigliò. «Da
quanto tempo non dormi come si deve, Harry?» gli chiese, piegando il capo nel
tentativo disperato di incrociare il suo sguardo sfuggente.
Potter strinse le labbra,
infossandosi di più nella sedia di ferro. Il lungo cappotto nero oscurava
parzialmente il suo viso, ma non abbastanza e, sicuramente, non ad Hermione.
«Che giorno è oggi?» rispose, retorico, sospirando e rialzandosi quando l’altra
lo fulminò. «Herm, non lo so, ok?
Per adesso riesco a tenere tutto sotto controllo, non devi preoccuparti».
«Un Capo Auror con i riflessi
distrutti dal sonno non è utile. Soprattutto non adesso, con questo processo
che pende come una Spada di Damocle su tutti noi» lo
riprese la donna, seria, allungando la mano per afferrare quella dell’amico.
«Devi andare a farti visitare da un Guaritore, Harry, non puoi continuare
così».
Potter sbuffò, come quando
era ragazzino. «Ti ho detto che ho tutto sotto controllo, va bene? Non è niente
di grave, davvero» tentò di rassicurarla, con un sorriso stiracchiato. La
rigidità dei suoi muscoli urlava proprio il contrario, Harry Potter non aveva
mai imparato a mentire. Non con lei.
«Sta peggiorando» lo riprese
lei, incrociando nuovamente le braccia la petto. «Prima ti capitava
saltuariamente quando perdevi qualcuno in missione. Adesso ti capita almeno due
volte alla settimana. La frequenza è aumentata e non puoi negarlo».
Il Bambino Sopravvissuto
abbassò per un attimo lo sguardo smeraldino, rialzandolo poi con fare nervoso e
sconfitto. «Sto perdendo molte più persone in missione. Sono il più giovane
Capo Auror della storia, sento molto la pressione. Con gli articoli della Skeeter, oltretutto…»
Hermione espirò pesantemente
dal naso, spingendo verso l’amico il giornale. «Ne ha scritto un altro. Questa
volta se l’è presa con WinstonHeautcourt,
il Presidente del Winzegamot» spiegò, a denti stretti. I suoi occhi scuri
lanciavano scintille, cosa che fece sorridere l’Auror.
«Coraggio, almeno non ce l’ha
più con te» provò a rassicurarla, nonostante neppure lui fosse pienamente
convinto. «Ci ha dedicato tutto il primo articolo. Come ci aveva chiamati?»
domandò, retorico, alzando gli occhi al cielo alla ricerca della risposta. «Ah,
sì! Progenie di un governo Corrotto».
Hermione chiuse gli occhi,
presa dalla stizza. «Quell’insulsa Banshee marcia, sapevo che sarebbe tornata
alla ribalta. Come si permette?» sibilò, stringendo le mani a pugno. «Se solo
riuscissi a scovare un qualche collegamento con le indagini… Neppure il
lasciapassare del Ministro potrebbe aiutarla» aggiunse, con un ringhio,
sbattendo il pugno sul tavolo, così forte da attirare l’attenzione di alcuni
babbani che facevano colazione.
«Miss Granger?»
La vocina delicata e
spaventata che interruppe lo sproloquio della giovane donna arrivò dalle sue
spalle, facendola balzare per lo spavento. Con un colpo della mano, fece cadere
la tazza di caffè gelido – Harry aveva prontamente salvato la sua, stupidi
riflessi da Auror – che si rovesciò sul suo nuovo tailleur. L’unico bianco
nella lunga schiera di abiti da lavoro.
Meraviglioso.
«Daisy, per Merlino!
Ti sembra il modo di arrivare?» le domandò, nervosa, afferrando una manciata di
fazzoletti dal dispenser sul tavolino, cercando di
salvare il salvabile. L’occhiata divertita che Harry le lanciò, sorseggiando il
caffè salvato, le fece fortunatamente realizzare il tono che aveva usato.
Voltandosi, si rese conto di aver terrorizzato la ragazza. «Scusami, Daisy, mi
hai solo presa di sorpresa. Cosa succede? Dimmi tutto» le domandò, pacata,
imponendosi una calma che Rita Skeeter le aveva
sottratto a forza.
«Il Ministro vuole vederla,
Miss. Dice che è una questione della massima importanza» pigolò la segretaria,
una donnina sulla trentina, così posata e docile da sembrare uscita da una
pubblicità sessista degli anni sessanta. Parlandole, non la guardava negli
occhi, concentrandosi sul torturarsi le mani perfettamente curate. «Mi ha detto
di dirle che riguarda Tantalos».
L’attenzione di Hermione era
stata catturata con quella semplice parola. Per un attimo aveva temuto si
trattasse ancora di sciocche carte da firmare, invece… «Vado subito da lui»
disse, balzando in piedi, prendendo la borsa per pagare il suo caffè.
«Va’ pure, faccio io» la
rassicurò Harry, apparentemente tranquillo. In realtà, i suoi occhi vincolavano
quel caffè offerto ad un successivo resoconto dell’incontro, nonostante
dubitasse che, se fosse stato qualcosa di pericolo, Kingsley
non sarebbe andato direttamente da lui.
Hermione gli sorrise
leggermente, ringraziandolo con un cenno. «Ci vediamo dopo» salutò, toccandogli
la spalla mentre gli passava accanto, seguita dalla silenziosa Daisy.
La donna la tallonava come
un’ombra, ma era evidente il suo disagio. La giovane
donna, comunque, poteva dirsi soddisfatta: solitamente la segretaria tremava,
incontrando altri impiegati. Il Ministro le aveva spiegato che fosse tutto a
causa di un incidente di guerra, però non le aveva mai spiegato cosa, di
preciso, e lei non se l’era mai sentita di indagare. Tutti avevano cicatrici,
che fossero più o meno profonde era poco rilevante.
Giunte davanti alla cabina
telefonica per l’ingresso visitatori, Daisy si fermò sul posto, sgranando gli
occhi. Hermione la vide distintamente torturarsi le dita dal nervoso. «Miss…
temo di non poterla seguire da questo ingresso» esalò, impallidendo. «Non… non
potremmo smaterializzarci?» propose quindi, incrociando per un momento lo
sguardo dell’altra strega e distogliendolo subito, spaventata. Quegli occhi
fantasma, così chiari da sembrare bianchi, trasmettevano un’angoscia
indescrivibile.
Mossa da un istinto
irrefrenabile, Hermione allungò la mano per sfiorarle la spalla, ma lei arretrò
di scatto, trattenendo il respiro. «Va bene, Daisy, non preoccuparti. Possiamo
andare in quel vicolo laggiù» dicendo questo, indicò un vicolo cieco a pochi
metri di distanza. «e smaterializzarci. Non è un problema» la rassicurò,
accennando un lieve sorriso. Il modo in cui si era ritirata l’aveva preoccupata
molto.
«Grazie, Miss» le rispose,
emettendo un lieve sospiro di sollievo. «Sono mortificata, Miss, davvero.
Soffro di vertigini, l’ultima volta che sono passata dall’ingresso visitatori
ho dato di stomaco. I custodi temo abbiano una mia foto appesa nel loro
ufficio, per perseguitarmi» confessò, abbassando il capo per fissarsi le
graziose scarpette a punta, di un bianco così immacolato da far invidia al
tailleur di Hermione prima dell’incidente col caffè.
Quell’immagine la fece
sorridere, più tranquillamente di prima. «Un po’ come Gazza, il custode di
Hogwarts» le disse, alzando gli occhi al cielo, mentre la precedeva verso il
vicolo appartato. «Conoscevo dei ragazzi, sai. Avevano un cassetto interamente
dedicato alle loro malefatte» raccontò, sentendo il cuore pesante al pensiero
di Fred e del modo in cui era stato strappato alla sua famiglia. Quella stessa
famiglia che poi aveva rifiutato anche lei.
«Mi dispiace, Miss, non so di
cosa parla» si scusò la segretaria, dispiaciuta. «Io non ho frequentato la
scuola, i miei genitori mi hanno fatta studiare da privatista» spiegò,
stringendo le labbra rosa acceso, senza smettere di torturarsi le mani. «Qui
possiamo smaterializzarci» comunicò quindi, nascondendosi all’ombra del vicolo,
il nasino arricciato a causa della puzza che aleggiava in quello spazio non
arieggiato.
Prima che Hermione potesse
dire alcunché, la donna scomparve in un pop leggero. Sparita lei, fu
come se un peso si fosse sollevato dallo stomaco della giovane strega,
facendole finalmente riprendere fiato. Una volta un Guaritore le aveva detto
che coloro che avevano subito profonde ferite riuscivano a far innervosire chi
stava loro intorno, senza dire una parola. La loro stessa anima conteneva così
tanto dolore e disperazione da intaccare quelle degli altri. Lei, inizialmente,
aveva liquidato la faccenda come fandonie da psicologi, ma in quel momento non
riusciva più ad esserne certa.
Qualcosa aveva distrutto
l’anima di Daisy Bellefleur. O forse era stato
qualcuno.
Sei inutile, Hermione! Cosa
credi di fare? Sei niente, senza di noi.
No, non era il momento di
rivangare il passato. Erano trascorsi sei mesi dal giorno infame. Sei mesi e quasi
trecento galeoni d’oro in sedute psichiatriche, decisamente non poteva
permettersi di soffermarvisi ancora di più. Il suo conto alla Gringott non era ancora abbastanza solido, se proprio
doveva essere sincera con se stessa.
Doveva raggiungere il Ministro,
ecco qual era il suo compito. Doveva fare l’unica cosa che le riusciva
perfettamente, cioè il suo lavoro.
Chiuse gli occhi, sospirò e,
con un pop, sentì il solito strappo all’ombelico tirarla verso un luogo
completamente diverso. Dai cassonetti rovesciati e dalla puzza d’urina, passò
all’affollato Ingresso profumato di carta e inchiostro, sballottata avanti ed
indietro dagli impiegati ritardatari.
L’unico luogo in cui, ormai,
riuscisse a sentirsi a casa.
Il rumore dei suoi tacchi –
definirli tacchi, in realtà, sarebbe stato un eufemismo – si confuse
nell’accozzaglia dell’ampia sala, il calore del cappotto, confortante quando
esposta al terribile clima londinese, cominciò a soffocarla. Prima di entrare
in ascensore le sovvenne quanto Kingsley fosse freddoloso:
non avrebbe potuto nascondere in alcun modo l’orribile macchia di caffè che
deturpava il tailleur bianco. Poco male, avrebbe avuto tutto il tempo di usare
un incantesimo, prima di essere ricevuta. Doveva soltanto raggiungere un luogo
abbastanza libero dalla calca da poter tirare fuori la bacchetta senza accecare
nessuno.
Harry l’aveva fatto, durante
i suoi primi mesi al Ministero. Troppo imbarazzo da sopportare, per lei che non
era una “Bambina Sopravvissuta”.
«Buongiorno, Hermione»
Entrata nell’affollato
ascensore, la strega venne accolta dal saluto gentile di un mago dai capelli
rossi e con tondi occhiali di corno. Per un attimo pensò di aver incrociato
Arthur Weasley, a causa della stessa leggera calvizie, ma le spalle troppo
magre e l’assenza di rughe le impedirono, fortunatamente, di trasalire.
«Buongiorno, Percy. Credevo
avessi la giornata libera» rispose allora, con un leggero sorriso, spingendo il
pulsante per il Primo Livello. Il terzogenito dei Weasley lavorava nell’Ufficio
per l’Applicazione della legge sulla magia, nella sezione Amministrativa. Tutti
credevano aspirasse a qualcosa di più, ma Hermione, con il resto della sua
famiglia, sapeva bene che la Guerra lo aveva sconvolto così tanto da non voler
più raggiungere le vette più alte. Il potere non era adatto a lui, se concesso
con troppa rapidità.
Il mago si strinse nelle
spalle, spingendosi sul naso gli occhiali. «Devo solo consegnare dei documenti.
Oggi c’è la festa di Dominique, la figlia di Bill» le disse, vagamente
imbarazzato. Alle loro spalle, dei maghi mugugnarono riguardo il caldo che
faceva in quello spazio ristretto. «Credo ti abbiano mandato un… un invito»
aggiunse, grattandosi la tempia. Le orecchie erano diventate rosse più dei
capelli, come accadeva a tutti i membri della sua famiglia se colti in fallo.
Hermione aveva ricevuto, in
effetti, un invito. Ma le era bastato leggere Weasley nel frontespizio per
decidere di buttarlo direttamente nell’immondizia.
«Fai i miei auguri alla
bambina» gli rispose, fissando in modo vacuo le porte dorate dell’ascensore.
Dentro di sé non faceva che ripetersi il mantra
insegnato dallo psicologo: tu sei abbastanza forte, tu sei abbastanza forte,
tu sei abbastanza forte… «Manderò un regalo, questa sera, non appena finirà
il mio turno»
Al suo fianco, Percy Weasley
sospirò. «Ho provato a convincere mia madre che non fosse il caso, ma lei non
ne ha voluto sapere nulla. Mi dispiace che quelle sue attenzioni ti turbino»
Hermione gli lanciò soltanto
un’occhiata in tralice, stringendosi la borsa al fianco, pur di tenere le mani
occupate. «Molly Weasley non si lascia convincere neppure dall’evidenza»
Percy aprì e chiuse la bocca
un paio di volte, come un pesce fuor d’acqua. Fra tutti, lui era l’ultimo che
lei avrebbe voluto mettere in difficoltà, visto il supporto che le aveva dato.
Ma non poteva proprio farne a meno.
«Hermione…»
“Primo Livello, Ufficio del Ministro della Magia” disse la voce
meccanica, salvando entrambi i giovani impiegati da una discussione tutt’altro che proficua.
Hermione si affrettò ad
uscire, voltandosi soltanto un attimo per assicurarsi che lui non la seguisse.
«Buona giornata, Percy. Fai i migliori auguri alla bambina»
Le porte dorate si chiusero
sullo sguardo azzurro del terzo Weasley, sconfitto e mortificato. Hermione
cercò di non pensare a quante fatiche le sarebbero state risparmiate, nel caso
in cui quegli stessi occhi fossero appartenuti ad un altro fratello.
«Miss Granger! Miss!»
la vocina stridula di Daisy la raggiunse un minuto prima che le sue dita dalle
unghie perfettamente curate le artigliassero il braccio, strattonandola con
violenza verso l’ingresso dell’Ufficio. Era decisamente più forte di quanto il
suo metro e sessanta non lasciasse intendere. «Il Ministro non fa che
sbraitare, deve vederla immediatamente!»
Nel silenzio del piano – Kingsley era un ex auror in tutto e per tutto, odiava la
confusione – i tacchi delle donne facevano un rumore paragonabile agli spari di
un cannone. Un paio di impiegati le osservarono, mentre una trascinava l’altra,
ma si limitarono a sorridere sotto i baffi e tornare al proprio lavoro. La
stessa Hermione, col fiato corto per quella corsa fuori programma, sapeva bene
quanto il Ministro facesse correre i suoi sottoposti, Daisy più di tutti.
Quella non doveva essere una scena così fuori dal normale.
«Non si spaventi se lo sente
urlare, Miss» le disse la segretaria, correndo, senza avere neppure un accenno
di fiatone. «Il suo ospite lo ha fatto molto innervosire, potrebbe volerci un
po’ prima che riesca a recuperare la calma» aggiunse, fermandosi davanti alla
grande porta in legno intarsiato, con inciso “K. Shacklebolt – Ministro della
magia”. Mollata la presa sulle braccia della ragazza, le tirò via il cappotto
senza troppe cerimonie e, con un’ultima occhiata che doveva essere incoraggiante,
socchiuse l’entrata. «Miss Granger, Ministro»
Hermione era troppo sconvolta
da quella dimostrazione di forza, per reagire. Si limitò quindi a fissare il
retro del suo vestitino rosa, la bocca spalancata, imponendosi il minimo di
contegno necessario per non fare la figura dell’idiota davanti al Ministro ed
al suo ospite, quando l’assistente la spinse dentro, senza tante cerimonie.
«Bella macchia, Granger.
Fammi indovinare, è una moda babbana?»
Un brivido corse lungo la
spina dorsale di Hermione, sentendo quella voce. I suoi occhi si posarono
lentamente dapprima su un paio di scarpe nere, eleganti, più costose di sei
anni di terapia dallo psicologo, poi su gambe lunghe e sottili, fasciate da
pantaloni di un completo più costoso delle scarpe, infine, dopo un torace magro
ma non più scheletrico, arrivarono ad un viso affilato ma non troppo, coperto
da un filo di barba bionda come i capelli perfettamente ordinati, e a degli
occhi di diamante.
«Malfoy, cosa accidenti fai
qui?» ringhiò, stringendo i pugni ai fianchi, prima di ricordarsi della
terribile macchia di caffè sul completo. Allora incrociò le braccia al petto,
nel tentativo di salvare il salvabile.
L’uomo sorrise – un accenno
di movimento delle labbra, un lieve piegarsi che lei interpretò come un sorriso
di scherno, ma che sarebbe potuto essere qualsiasi cosa – mentre la squadrava.
I suoi occhi indugiarono su tutta la sua figura, per poi soffermarsi sul suo
viso. «Anche per me è un piacere, Granger, sono estasiato all’idea di lavorare
insieme».
Hermione fu tentata di scoprire i denti come
un gatto infuriato, ma le ultime parole del giovane la fecero immobilizzare.
Lavorare insieme?
Il Ministro dovette percepire
la sua tensione, perché si schiarì la voce. «Signor Malfoy, la contatterò non
appena avremo maggiori dettagli» disse, alzandosi in piedi e porgendo la mano
all’ex Serpeverde, in un chiarissimo invito a levarsi dai piedi. «Al momento,
l’appuntamento resta fissato per venerdì dieci settembre alle otto»
Malfoy, impeccabile, si
rialzò, abbottonandosi la giacca elegante, da vero gentiluomo.
Spostando solo allora gli occhi da Hermione, strinse la mano al Ministro e
disse qualche parola di commiato, che la strega non riuscì ad udire, tanto
forte era il rumore del battito cardiaco nelle orecchie. Con la sua cadenza
elegante, la fronteggiò e, estraendo la bacchetta dalla manica, con un gesto
così veloce che lei faticò quasi a scorgerlo, gliela puntò contro, mormorando «Tergeo».
Insieme alla macchia,
Hermione sentì sparire anche tutto il sangue dal suo cervello.
«A venerdì, Mezzosangue»
la salutò quindi il mago, con lo stesso sorrisino sottile, superandola ed
uscendo dall’Ufficio, chiudendosi delicatamente la porta alle spalle.
Gli occhi scuri della strega,
così asciutti da bruciarle, si puntarono allora sul Ministro, tornato a sedere
dietro la sua massiccia scrivania di legno. Shacklebolt ebbe il buongusto di
mostrarsi imbarazzato, mentre le indicava la poltroncina accanto a quella che
era stata occupata fino a quel momento da Malfoy.
«Stava scherzando, giusto?»
«Il signor Malfoy sarà il tuo
collega e consulente nelle indagini, iniziate venerdì alle dieci»
Non stava scherzando.
*** *** *** ***
»Marnie’s Corner
Questa è una storia di
supporto a Draco Malfoy. Fai un’opera buona ed adotta
anche tu un povero Serpeverde Incompreso.
Prima
di tutto, coordinate generali:
»
Ci troviamo a sei anni di distanza dalla Battaglia di Hogwarts, naturalmente
i primi sette anni scolastici hanno seguito il loro corso esattamente come previsto dai
libri.
»
Hermione ed Harry lavorano al Ministero, lei è sottosegretario alla Sezione
Inquisitoria (L’ho inventata io, non preoccupatevi se non la ricordate, si
occupa di svolgere le Indagini per i processi più importanti) del Winzegamot,
lui, invece, è un Capo Auror.
»
Se amate Ron Weasley, mi dispiace, avete sbagliato totalmente fan fiction.
Ancora non è stato detto nulla, ma la Donnola avrà una parte importante,
andando avanti. E no, non in senso positivo. Perdonatemi, ma io non lo posso
soffrire.
»
Ci sarà la comparsa di vari personaggi presenti nella saga, sia Harry che Ginny
avranno ruoli fondamentali. Quanto agli altri, sono i miei bambini.
Grazie
infinite se siete arrivati fin qui, per me significa molto.
Mi
rendo conto che sia un incipit trito e ritrito, la solita Dramione
che inizia con loro che si detestano ma devono lavorare insieme e tante belle
cose. Sono caduta nel clichè, lo ammetto. Ma ci sono tante altre cose che spero di poter trasmettere, andando avanti.
Vi
chiedo una possibilità, tutto qui. Fatemi sapere cosa ne pensate ed io mi
prostrerò ai vostri consigli, con tutta l’umiltà possibile.
Come
ho già detto, questa è una storia nata per esprimere il mio amore per il povero
Draco, che però non sarà mai trattato con i guanti.
Hermione è una donna con attributi, non si fa mettere i piedi in testa da
nessun Malfoy.
Capitolo 2 *** Atto II/Parte I - Verità sepolte. ***
«Scherzava, vero
Lo Specchio delle
Anime.
Truth is singular.
Lies are words, words, words.
[Madam Vastra, Doctor
Who – The Snowmen S07E06]
Atto II – Parte I
Verità sepolte.
«Scherzava, vero?»
Il Bambino Sopravvissuto a
Colui Che Non Deve Essere Nominato rischiava di non sopravvivere a quel brutto
colpo basso giocato dal Ministro della Magia.
Una volta uscita dall’Ufficio
del suo superiore, circa quattro ore dopo lo shock, Hermione si era affrettata
a spedire un gufo all’amico e chiedergli di vedersi per pranzo, nel ristorante
più babbano e isolato di cui fossero stati a conoscenza. Lì, come facevano
sempre da quando la Tana aveva chiuso loro la porta in faccia, avrebbero avuto
modo di scambiarsi le notizie di cui erano stati messi a conoscenza e lavorare
come una squadra. Come parte della
squadra, quella sopravvissuta all’incidente.
Hermione scosse leggermente
il capo, osservando quasi con disgusto la zuppa di pesce che aveva ordinato.
Aveva preso qualcosa soltanto per non destare sospetti, ma il suo stomaco
sembrava non voler collaborare.
«A quanto pare, Malfoy è uno stimato e rispettabile collaboratore del
Ministero, con tutta la fiducia del Ministro in persona, oltre che di una
lunga schiera di pezzi grossi del Governo» gli spiegò, spostando col cucchiaio
il contenuto del suo piatto. Alzò gli occhi sull’amico, trovandolo intento a
fissare corrucciato la pinta di birra scura che aveva davanti, ancora intatta. «Dobbiamo
iniziare venerdì».
Potter fece una smorfia,
scuotendo il capo. «Potrebbe aver corrotto i pezzi grossi, ma Kingsley…» espirò dal naso, avvicinandosi ad Hermione. Il
suo modo di gesticolare era nervoso, tradiva malamente le sue emozioni. Un
temperamento che nessun buon Auror avrebbe dovuto e potuto permettersi. «No,
lui non è stato corrotto. Crede seriamenteche Malfoy sia… utile» sbottò,
afferrando il bicchiere e bevendo d’un fiato almeno metà del contenuto,
pulendosi poi le labbra con la manica del maglione nero.
Hermione lo fulminò con lo
sguardo, intimandogli con un gesto di non continuare. «Hai avuto i postumi
della sbornia per tutta la mattina, Harry. Non credo sia il caso di continuare
ulteriormente» sibilò. «Non costringermi a parlarne di nuovo con Ginny,
l’ultima volta è stata malissimo»
Harry fece una smorfia. «Anche
il mio naso. Il guaritore non è riuscito a farlo tornare dritto come prima del
suo pugno» borbottò, trattenendo a stento un sorriso. Mise giù il bicchiere,
spingendolo verso la compagna in un chiaro invito a finire per lui. «Ma non
distrarti. Dimmi di questa missione e del ruolo di Malfoy»
-Non distrarti, Hermione.
-Lasciami andare.
Con un sospiro, la donna
spostò la birra nel tavolo affianco, senza accennare ad assaggiarne neppure una
goccia. Ignorò tranquillamente il tentativo di protesta dell’altro, zittendolo
con un gesto. «Dei Mangiamorte catturati hanno confessato qualcosa di molto
vago su degli oggetti antichi in mano ai pochi rimasti liberi» cominciò a
spiegare. «Il mio compito è scoprire di che oggetti si tratta, il piano e le
persone coinvolte»
«Ed in tutto questo cosa
c’entra Malfoy?» domandò l’Auror, accigliato, staccando un pezzo enorme dal suo
panino, con un morso che avrebbe fatto piangere di gioia un basilisco. Hermione
fu tentata di riprenderlo per quel comportamento al limite della decenza umana,
ma, infondo, non le dispiaceva poi così tanto.
«A detta di Kingsley, è diventato uno degli esperti in artefatti
antichi più rinomato d’Europa»
Harry inarcò le sopracciglia.
«Puttanate»
Hermione ridacchiò, scuotendo
il capo. «Oh, no, ho controllato. Negli ultimi cinque anni ha pubblicato più di
sei libri su manufatti antichi e maledizioni. I folletti della Gringott, che già veneravano la sua famiglia, stendono il
tappeto rosso ogni volta che fa ritorno da uno dei suoi viaggi all’estero»
spiegò, divertita. Lo shock negli occhi dell’amico rispecchiava perfettamente
quello che lei aveva visto nello specchio, un paio di ore prima, leggendo la
firma del “Dottor D. Malfoy”.
«Accipicchia» commentò alla
fine il Capo Auror, annuendo fra sé e sé, mettendo da parte il suo panino
orribilmente pieno di schifezze. Da sorpreso, il suo viso attraversò una serie
di emozioni, velocemente, soffermandosi poi sulla preoccupazione. «Sei sicura
di voler lavorare con lui, Herm? Non sono sicuro sia
una buona idea» mormorò, indeciso, arretrando fino a poggiare le spalle allo
schienale della sedia di legno. «Dopo…»
Lei lo fermò con un gesto
della mano, sentendo un improvviso gelo alle ossa. Quel pensiero l’aveva tormentata
nelle ultime ore, costringendola anche ad una telefonata d’emergenza all’unico
uomo sulla faccia della terra capace di aiutarla. Non era il momento di tirare
fuori vecchi incubi, nessuno di loro poteva permetterselo.
«Non ho una scelta, da questa
missione dipende la mia carriera, oltre che il destino del Ministero» provò a
rassicurarlo, consapevole di non avere l’espressione di qualcuno nella
posizione di tranquillizzare un qualsiasi essere dotato di occhi per vedere la
sua espressione. Sospirò, raccogliendo tutto il suo coraggio. Era una Grifondoro, per l’amor di Dio. «Ascolta,
io… non potrò per sempre rifiutare incarichi solo perché non voglio un collega.
Voglio andare avanti e questa è la scelta migliore che ho»
«Ma Hermione… è Malfoy. Se dovesse scoprire qualcosa,
non perderebbe l’occasione di umiliarti e… Merlino!
Cos’altro potrebbe dire o fare, solo per distruggerti?» esalò, cercando di
farle comprendere il suo punto di vista. «Non puoi lavorare con lui. È un Mangiamorte».
«Era un Mangiamorte» lo fermò immediatamente lei, cupa. «Non
dimenticare che avrebbe potuto venderci a sua zia e non l’ha fatto. Quantomeno,
non finché gli è stato possibile negare»
«Solo perché è un vigliacco.
Resta comunque un Mangiamorte che doveva uccidere Silente»
«Ma non l’ha fatto, Harry. Lo stesso Winzegamot ha riconosciuto che
il suo ruolo è stato semplicemente quello di marionetta…»
«Hermione, è Malfoy» sbottò alla fine, dando un pugno
al tavolo.
I pochi avventori del
ristorante si voltarono a fissarlo, sconvolti da tanta irruenza, per poi
iniziare a bisbigliare furiosamente fra loro. Hermione sperò vivamente che non
ci fosse alcun mago, soprattutto non uno dalla lingua lunga. La sua missione
era segreta ed il Bambino Sopravvissuto che sibilava il nome di un ex
Mangiamorte, parlando con un sottosegretario giovane del Winzegamot, poteva
essere un succulento pettegolezzo.
«Harry»
Il Capo Auror chiuse gli
occhi, pizzicandosi con due dita la radice del naso. Il suo sguardo sofferente
spezzò il cuore dell’amica. Il dolore fisico si era sommato all’ansia per la
sua sicurezza, il risultato lo stava distruggendo.
«Perdonami, sto esagerando»
si scusò, con voce debole. Allungò la mano per prendere quella dell’amica,
stringendola leggermente. «Dopo quello che è successo, dopo… quello, ho paura all’idea di quello che
potrebbe succederti. Potrei non arrivare in tempo questa volta, Hermione. Se
Ron è riuscito a… e quello è Malfoy»
«Ed io sono Hermione Granger.
L’ho schiaffeggiato una volta, posso farlo ancora»
***
Il minuscolo studio del
Dottor N. Crave si trovava in un meraviglioso angolo
di Piccadilly, proprio affacciato su Hyde Park. Era una stanzetta che sarebbe sembrata
angustiante e soffocante a chiunque, per via delle grandi finestre perennemente
chiuse e delle grandissime cataste di libri polverosi sparse un po’ ovunque,
oltre che per le piantine sospette sparse per tutta la stanza.
Ma Hermione Granger non era chiunque e non smetteva di ringraziare
la sua buona stella per aver portato sulla sua strada un dottore amante dei
libri quasi quanto lei. Quell’ambiente chiuso non la irritava, al contrario: la
faceva sentire rilassata come non poteva essere neppure a casa sua. Il conforto
che molti avrebbero trovato nell’aria fresca e profumata di fiori, lei l’aveva
dalla polvere e dall’odore di libro antico.
«Spero ci sia un motivo più
che valido per questa visita… come hai detto alla mia segretaria? D’emergenza» iniziò lo psicologo,
entrando nella stanza ed aggirandola, senza darle la mano, per poi accomodarsi
nella sua solita, vecchia e polverosa poltrona. La scrutò attentamente da sopra
gli occhialini tondi, assottigliano per un momento lo sguardo. «Ebbene? Cosa
può aver turbato la mia paziente più reattiva al punto da richiedere nuove
sedute?»
Hermione dovette ripetere a
se stessa il solito mantra, quello che le aveva
concesso di aprirsi a quell’uomo senza farsi prima soffocare dai pregiudizi.
Ho bisogno di aiuto. Ho bisogno di aiuto. Ho bisogno di aiuto. Lui può
aiutarmi.
«Un… un incarico di lavoro.
Il mio Capo ha deciso di darmi fiducia e affidarmi un incarico della massima
importanza e massima segretezza» iniziò, senza guardarlo in viso. Il cuore
batteva così forte, nel suo petto, da farle venire la nausea. «Sono molto
onorata»
Sentì un grugnito, così si
decise ad alzare gli occhi sul medico, trovandolo accigliato in maniera quasi
comica.
Il dottor Newton Crave era un rinomato psicologo nel mondo babbano, ma un
altrettanto rinomato Guaritore nel mondo dei maghi, nonostante i motivi della
sua fama variassero di caso in caso. Per i babbani – le babbane, piuttosto – era un
avvenente studioso sulla cinquantina, amante dei metodi poco ortodossi ma così
affascinante da arsi perdonare tutto. Per i maghi, invece, era un eccentrico
senza rimedio, incapace di guarire il corpo invece che lo spirito e con un
caratteraccio tale da non poter restare presso un ospedale o una clinica
qualunque più di una settimana.
Per Hermione, era il
miscuglio perfetto dei due mondi. L’unico capace di capirla davvero. L’unico
capace di…
«Per Merlino, ragazza, che porcherie hai fumato?»
…essere abbastanza schietto da farla ragionare in modo lucido.
Lo fissò, quasi interdetta,
chiedendosi come sempre se stesse buttando altri trenta galeoni dalla sua
camera blindata. Come sempre, non trovò una risposta.
«Mi scusi?»
Con una risata di scherno, il
dottore allungò la mano verso una scatola poco lontana, estraendone delle
cartine ed un po’ di tabacco dall’aria sospetta. Doveva essere anche alticcio,
visto il vago colorito sulle guance lievemente barbute.
«Ti offrono un lavoro, uno
d’enorme importanza, e tu vieni da me?»
le chiese, esasperato, rollando la sua sigaretta. «Perdonami, mia cara, ma
credevo che il tuo scopo fosse proprio quello di fare carriera e dimostrare a
tutti di essere abbastanza forte. Ottenere il risultato sperato ti ha costretta
a tornare in terapia. Se non fossi così sicuro di me, comincerei a dubitare
della mia bravura».
Hermione strinse le labbra,
imponendosi di trattenere i commenti velenosi. L’ultima volta che aveva
risposto con vago tono da maestrina, l’uomo l’aveva
costretta a rivangare tutti gli episodi più umilianti della sua adolescenza,
comunicandole, solo infine, che fossero stati utili solo al suo personale
diletto.
«Il problema non è il lavoro»
gli disse invece, con un sospiro cupo. «Il mio Capo mi ha dato un compagno».
Le sopracciglia scure del
dottore raggiunsero l’attaccatura dei capelli brizzolati, tanto scattarono in
alto. La sigaretta perfettamente rollata attendeva fra le sue labbra di essere
accesa. «Ed il problema sarebbe? Se non sbaglio, abbiamo superato l’ostacolo
del rapporto con esponenti del gentil
sesso due mesi dopo l’inizio delle sedute» domandò, sinceramente confuso,
afferrando la bacchetta dalla tasca interna della giacca ed evocando una
minuscola fiammella. In pochi secondi, la puzza dolciastra del tabacco speciale del dottore invase la
stanza.
«Per caso sta fumando erba,
dottore?» gli domandò, allibita, la strega, chiedendosi se davvero l’uomo fosse
arrivato a quel punto, nel mese e mezzo in cui non si erano incontrati. «Si
rende conto di quante regole sta infrangendo? Se si venisse a sapere la
radierebbero dall’albo! È… è una cosa così immorale
che io-»
«Oh, per l’amor di Merlino! Silencio»
La voce di Hermione
semplicemente sparì nel nulla, esattamente come la sua tolleranza.
Ma che razza di…
«Non sforzarti,
Fior di Loto, tanto non posso
sentirti. E se ti stai chiedendo che razza di psicologo sia quello che non ti fa parlare dei tuoi problemi, ti
rispondo immediatamente dicendo: uno
psicologo con un terribile post-sbornia» le disse, aspirando una boccata
dalla sigaretta e lasciando uscire il fumo dalle narici, come un vecchio drago
brontolone. «Venendo al tuo problema, immagino ci sia un problema proprio con
il compagno in questione» mugugnò, accavallando le gambe con una tale virilità
da sembrare un modello a riposo.
Come diceva
la medimaga? Se
solo non fosse un bastardo, non ci penserei due volte…
Non potendo
rispondere direttamente alla domanda, Hermione si limitò ad annuire.
«Lo
conosci?»
Altro cenno
affermativo.
«Era un tuo
compagno di scuola?»
Alzando gli
occhi al cielo, nervosa, Hermione annuì.
«Lo odiavi?»
Quella era
una gran bella domanda, la strega dovette ammetterlo a se stessa. Senza
pensarci due volte, cominciò a parlare, dimenticando completamente
l’incantesimo che l’aveva colpita.
- Il mio rapporto con lui è sempre stato
conflittuale, mi odiava, ma io ho sempre pensato…
«Hermione»
la riprese il dottore, duramente, fermando quel fiume in piena. Il suo sguardo,
per quanto arrossato dal fumo e dai postumi della sbronza, era diventato duro,
fermo, uno sguardo che non ammetteva repliche. «Tralasciando l’assenza di voce,
che può non rappresentare un problema per me, ti ho spiegato più volte come
funzionano i nostri incontri»
-Io faccio le domande, tu rispondi con una sola
parola.
Nervosa,
sbuffò, allargando le braccia con fare esasperato. Dal suo punto di vista, era
impossibile trovare una parola per spiegare il rapporto che la legava al suo
futuro compagno. Oltretutto, non era lui
nello specifico il problema, come avrebbe voluto far capire anche al dottore.
Che fosse o meno Malfoy, per lei, non era così rilevante.
Essendo
ancora senza voce, ma consapevole che lui potesse leggerle le labbra, si limitò
a mimare ciò che passava per la sua mente al momento.
- Non posso.
«Esiste
sempre una sola parola per rispondere ad una domanda. La verità è una, le bugie sono parole, parole, parole*…» le disse,
serio, raddrizzandosi sulla poltrona. «Ed io sono consapevole che tu ricordi la
mia prima spiegazione, tu ricordi sempre ogni cosa. Devo dedurre, quindi, che
questa persona ti renda molto nervosa»
- No.
«Sei sicura,
Fior di Loto?»
Hermione
esitò, indecisa. Dopotutto, Draco Malfoy l’aveva sempre resa nervosa.
-No.
Il dottore annuì fra sé e sé, sbuffando un po’ di fumo. I
suoi occhi arrossati si puntarono ancora una volta sulla strega, fissandola
come se avessero voluto e potuto leggerle l’anima.
«Lo odiavi,
durante la scuola?»
- Sì.
«Lo odi
adesso?»
Hermione si
morse il labbro, sospirando.
- No.
«Era cattivo
con te, durante la scuola?»
- Razzista.
Il dottore
annuì leggermente, spegnendo la sigaretta nel vecchio posacenere che teneva sul
bracciolo della poltrona. Era pieno fino all’orlo di vecchi mozziconi, così
come gli altri dieci in giro per la stanza. Newton Crave
era il prototipo d’uomo che invece di svuotare un cestino per la spazzatura, ne
comprava altri dieci, cosa che Hermione non riusciva a sopportare.
«Ma adesso
hai smesso di odiarlo. Perché?»
Non sapendo
come rispondere, la giovane si limitò a scrollare le spalle. Poteva valere come
una parola, dal suo personalissimo punto di vista. Non aveva la più pallida
idea del motivo per cui aveva smesso di odiarlo.
«Concentrati,
Fior di Loto»
Gli sguardi
scuri – quello confuso della giovane e quello curioso del dottore – si
incrociarono e si squadrarono per parecchi minuti. Hermione credeva che non ci
fosse alcun motivo, il dottore, invece, sapeva bene di poterne trovare almeno
uno. Alla fine, fu lei a cedere.
- Pietà.
«Provi pietà
per lui»
- Sì.
Il dottore
la fissò per qualche momento, gli occhi ridotti a due fessure. La strega sembrò
scorgere un lampo di divertimento, in lui, ma sparì troppo velocemente per
assicurarselo. Lui, semplicemente, si alzò in piedi per recuperare un nuovo
posacenere da dentro un cassetto.
«In questo
caso, Hermione, lavorare insieme è la cosa migliore che potesse capitarti.
Torna per farmi sapere com’è andata» le disse, tornando al suo posto. Notando
che lei non sembrasse intenzionata ad alzarsi, però, allargò le braccia. «Cosa
c’è, ancora? Non ti chiedo di tornare per pura curiosità, ma perché ritengo che
serva alla tua terapia» sbuffò, accigliato.
- La voce, dottore.
«Ah, giusto. Finite Incantatem»
«Grazie» sospirò lei, rialzandosi e
riassettandosi il tailleur bianco, tornato immacolato dopo l’intervento del suo
nuovo collega. «Dica la verità, zittire i suoi pazienti le piace da morire, per
questo vieta sempre di portare bacchette qui dentro, vero?» gli chiese poi,
incrociando le braccia e guardandolo con aria esasperata.
L’uomo rise – una risata così roca e
sensuale da far venire i brividi a qualunque essere dotato di ormoni
funzionanti – mentre rollava un’altra sigaretta. Hermione lo osservò passare la
lingua sulla cartina, chiedendosi se ci fosse qualcosa di irrimediabilmente
storto, in lei, non riuscendo a trovare niente di minimamente sensuale in quel
movimento. Sapeva di pazienti arrivate al punto di spendere centinaia di
galeoni, per il puro gusto di sedurlo.
Conoscendolo, dubitava lui si fosse fatto
pregare più di tanto.
«No, so come impedire a qualcuno di
spezzare i miei incantesimi silenziatori. Li ho perfezionati negli anni di
tirocinio al San Mungo» ammise, divertito, mettendosi la sigaretta fra le
labbra per avere le mani libere e potersi slacciare il polsino sinistro della
camicia. Sollevata questa, Hermione vide chiaramente una brutta cicatrice
deturpare tutto l’avambraccio del dottore. «Questa,» disse, togliendosi la
sigaretta dalle labbra «me l’ha fatta un paziente, quattro anni fa. Non tutti
amano sentirsi dire chiaro e tondo qual è il loro problema. Da quel giorno gli
ho vietato la bacchetta, ma per amor di coerenza ho preferito vietarla a
tutti».
Hermione ridacchiò, afferrando il proprio
cappotto dal retro della poltrona. «Immagino gli abbia caldamente consigliato
un nuovo specialista» disse, divertita, cominciando ad avviarsi alla porta.
Sapeva benissimo che il dottore non l’avrebbe accompagnata per puro spirito di
cavalleria. Dopotutto, non poteva far colpo su di lei.
«In realtà no» rispose l’uomo, con il suo
miglior sorriso enigmatico. «Ho appuntamento con lui questo pomeriggio alle diciassette».
*** *** *** ***
»Marnie’s Corner
Il servizio adozioni per
Giovani Malfoy Maltrattati è attivo e funzionante.
Ed
eccomi qui, con il secondo capitolo. Come avrete notato, è stato un po’ un
capitolo di passaggio, come temo che sarà il prossimo. Vi giuro che sono
fondamentali per la storia, abbiate un po’ di pazienza. Oltretutto, ho
presentato il Professor Crave, il primo dei miei OC.
Veniamo
ai punti importanti:
»
Prima di tutto, la citazione contrassegnata dall’asterisco. Si tratta della
stessa citazione all’inizio del Capitolo, presa da DoctorWho. Forse il Dottor Crave
è un fan della serie, chi lo sa!
»
Il titolo della Prima Parte riprende un film (Verità Sepolte, appunto) che però
io non ho guardato. L’ho scoperto per caso, immagino sia giusto specificarlo!
»
Io AMO Newton Crave e, almeno lo spero, dal prossimo
capitolo lo amerete anche voi. Lui ha aiutato Hermione negli ultimi sei mesi,
facendola riprendere dal misterioso incidente
che riguarda anche Ronald. Già dalla prossima pubblicazione dovreste capire perché lo reputo importante per la
narrazione.
»
Per amor di chiarezza: Harry sta davvero male e vi assicuro che andando avanti
non migliorerà.
Grazie infinite a tutti
coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia
ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di
pubblicare ancora. Grazie, davvero.
Il
Club “Donnola Impagliata” attende con impazienza altri membri per sparlare e
maledire Ronald. Unitevi al lato oscuro, abbiamo biscottini, bei ragazzi ed i
soldi dei Malfoy!
Oneof
the most difficult things to think about in life is one’s regrets.
Something will happen to you, and you
will do the wrong thing,
and for years afterward you will wish
you had done something different.
[Lemony Snicket – Horseradish]
Atto II – Parte II
Ossimoro.
Dicasi Ossimoro la figura retorica che consiste nell’accostamento di
termini in antitesi fra loro. Ossimoro
poteva essere l’accostamento calda neve,
oppure dolce veleno. Meglio ancora,
ossimoro era l’accostamento Granger-Malfoy,
che al Ministro della Magia era sembrato così vincente.
«Se me l’avessi raccontato…
diciamo otto anni fa, avrei dato per scontato che qualcuno ti avesse scagliato
un Confundus, sai?» rise il mago
stravaccato sull’elegante divano stile Luigi XIV.Il velluto rosso dei cuscini si sposava
meravigliosamente col verde del suo maglione, quasi avesse scelto i suoi abiti
proprio per quel pezzo di mobilio.
«Nessun Confundus, posso assicurartelo» disse lui, con una risata secca,
osservando con cupo piacere le sfumature ramate che il suo Whisky incendiario
assumeva riflettendo le fiamme dell’enorme camino di marmo. «Shacklebolt si è
detto entusiasta, questa mattina.
Secondo il suo modesto parere, la mezzosangue
non si sarebbe certo rifiutata di collaborare con me e, unendo le nostre immense capacità, potremmo ottenere
abbastanza risposte da mettere fine a questa combutta infinita contro lui e
contro tutto il nuovo Governo».
Blaise Zabini scoppiò in una
risata assolutamente inarrestabile, ad un passo dal mettersi a piangere. Il suo
migliore amico lo fissò per tutti i tre minuti che gli servirono per smetterla
di chiocciare come una gallina e ritrovare quel minimo di dignità che gli
consentisse di rapportarsi con lui o, più in generale, con qualunque essere
umano.
«Immagino che la Granger
fosse estasiata all’idea, vero?» gli
domandò, con la voce ancora tremolante, le labbra strette per tentare invano di
contenersi. «Secondo te lo ha schiantato? Oppure è arrivata subito ad una
Maledizione Senza Perdono?».
Malfoy alzò gli occhi al
cielo, liquidando il piccolo elfo che tentava invano di fargli mangiare dei
biscottini alla cannella. Anni addietro l’avrebbe schiantato, dopo la terza
offerta, ma aveva perso interesse nella sofferenza delle creature più deboli.
- Eri tu il debole, quella volta, non è vero?
«Quando sono andato via, era
troppo sotto shock per avere delle reazioni vere e proprie. Ma il suo sguardo è
stato impagabile» ammise, con un ghigno. I suoi occhi di ghiaccio si posarono
nuovamente sul contenuto del bicchiere. «Avresti dovuto vedere la sua faccia,
Blaise. Boccheggiava come un pesciolino fuor d’acqua».
Il giovane uomo davanti a lui
si raddrizzò sul divano, fissandolo accigliato. «Da quando paragoni la Granger
ad un pesciolino?» chiese, allibito,
per poi sbuffare. «Non rispondere, non mi interessa. Chiedevo soltanto per amor
di pathos».
Draco alzò gli occhi al
cielo, incurante del commento fatto dall’amico. «Non è per questo che ti ho
chiesto di venire, lo sai» sbuffò quindi, lanciandogli uno sguardo storto, per
poi sollevare leggermente il braccio destro. Il dolore era aumentato al punto
da non farlo dormire per due notti di seguito, stava iniziando a risentirne.
Il lavoro stava iniziando a risentirne.
Blaise fece una smorfia
preoccupata, alzandosi svogliatamente dal divano e facendo segno all’altro di
raggiungerlo nell’unica poltrona vicina alla borsa da Guaritore poggiata sul
tavolino. Sembrava molto leggera, nonostante fosse piena di pozioni e scorte
medicinali di ogni tipo, legali o meno.
«Non dovresti aspettare di
raggiungere livelli critici, lo sai» lo rimproverò Zabini. «Serve sempre una
dose maggiore ed io potrei non procurarmela tanto facilmente»
Draco lo guardò sconcertato,
prima di tirare fuori il migliore fra i suoi sorrisini soddisfatti. «Amico,
contrabbandi pozioni fin dal terzo anno di Hogwarts. Negli ultimi anni le più
assurde sembrano arrivare prima nelle tue scorte che nelle farmacie».
«Questo è perché io, mio
caro, ho intenzione di sposare questa
mia passione per le pozioni» ammise l’altro, con un sorriso ancora più
enigmatico. Tirate fuori un paio di boccette dalla borsa, gli fece cenno di
avvicinarsi, l’ilarità quasi completamente sparita dal suo viso. «Quando ha
ricominciato a far male?».
Il biondo si strinse nelle
spalle, iniziando a sollevare la manica della camicia. Come sempre, quel
semplice gesto gli provocò delle fitte così dolorose da fargli quasi lacrimare
gli occhi. Se non avesse sopportato di peggio, nella sua giovane vita, non
avrebbe retto quelle sensazioni. Non avrebbe retto alla vista di quel simbolo.
Dove un tempo la pelle era
immacolata e bianca come il latte, da oltre otto anni viveva – perché era vivo, Draco non aveva il minimo dubbio al
riguardo – il marchio della vita che per poco non aveva rovinato tutta la sua
esistenza, quella vita che era stata scelta per lui e che, alla fine, lui si
era deciso a mettere da parte.
Il marchio nero.
Blaise emise un fischio
sconcertato, notando il serpente d’inchiostro muoversi come in agonia. La pelle
tutt’intorno sembrava ustionata, completamente
coperta di vesciche e carne viva.
«Deve farti un male
dell’Inferno. Mi chiedo ancora per quale motivo tu non sia andato al San Mungo»
sbottò il Guaritore, stringendo le labbra con disapprovazione. Le sue dita
abili sfiorarono la ferita con una delicatezza quasi incredibile, considerata
la stazza dell’uomo, ma il dolore che l’altro provò fu comunque inimmaginabile.
«Al San Mungo quelli come me
finiscono fra le mani degli inetti» sbuffò Malfoy, sospirando quando la presa
sulla ferita si allentò. «L’ultima volta che Goyle ha
provato a farsi curare un braccio rotto, ne è uscito con tre litri di sangue in
meno» spiegò, mogio, accomodandosi sulla poltrona quando cominciò a sentire le
gambe tremare. «Piuttosto, quanta di questa robaccia credi di potermi
procurare? Non ho la più pallida idea di quanto possa durare questa missione»
Blaise fece una smorfia,
iniziando a far cadere qualche goccia di pozione puzzolente sul braccio
dell’amico. «Te ne farò avere un bauletto, pomeriggio» gli disse, tutt’altro che contento. «Ripetere quanto ritengo stupido
tutto questo non ha senso, giusto?».
«Ti ripeterei soltanto di non
avere altra scelta» Draco allungò il braccio sano per afferrare la bottiglia di
Whisky sul tavolino. Bevve una lunga sorsata, nel disperato tentativo di
diminuire il male che stava provando. «Questo è il prezzo da pagare»
«Per cosa?»
«Per il rimpianto, Blaise. Per il rimpianto»
***
C’era una puzza soffocante di
erba, quel pomeriggio. Avrebbe dovuto
convincere la segretaria del dottore a lasciare la porta aperta, fra un
appuntamento e l’altro, così da far cambiare un po’ l’aria lì dentro. Alcune
persone avrebbero potuto non sopportare quella cappa.
«Sigaretta, Draco?»
«Sì, grazie»
Non che a lui importasse più di tanto, in realtà.
«Allora…» iniziò il dottore,
passandogli una sigaretta appena rollata ed una scatola di fiammiferi.
Raramente tirava fuori la bacchetta, quando c’era lui in giro. Draco non poteva
dargli tutti i torti. «Cos’è successo di nuovo, nell’ultima settimana?»
Il giovane mago sprofondò
nella poltrona, dopo aver acceso la sigaretta. Il fumo dolciastro gli fece
bruciare gli occhi, ma la terribile emicrania che l’aveva preso dopo l’incontro
con Blaise si alleviò un po’, facendogli tirare un sospiro di sollievo. Dal
tavolino accanto a lui, afferrò lo stesso libro che aveva iniziato nella scorsa
seduta, ritrovando addirittura il segnalibro – l’involucro di una caramella mou – che lui stesso vi aveva lasciato.
«Mi è stato proposto un nuovo
lavoro. Questa volta dai piani più alti» gli disse alla fine, dopo aver fatto
un paio di tiri. Guardò l’uomo, quando lo sentì ridacchiare come una vecchia
comare, ma decise di non approfondire. Non dubitava che quel tizio avesse
problemi ben più grossi dei suoi, ma era grazie a lui se era riuscito a rifarsi
una vita, dopo la guerra.
«Da solo?» chiese quello,
allora, fissandolo con la coda dell’occhio mentre sistemava dei fogli su un
mucchietto preesistente. «Oppure ti hanno dato compagnia, questa volta?».
Draco si accigliò. «Perché me
lo chiede?»
Il dottor Crave
si strinse nelle spalle, con un’aria incurante fasulla quanto i capelli rossi
della sua segretaria. «Solitamente non tiri in ballo il tuo lavoro fin quando
non l’hai portato a termine. Ho dedotto sia cambiato qualcosa e, visto che
stimi così tanto la tua solitudine, ho optato per la compagnia forzata» spiegò,
con un sorrisino rilassato. «Ho ragione, vero?»
Dal canto suo, il giovane non
era affatto convinto di quella spiegazione, ma se la fece bastare. Non era il
medico quello in cura e non era lui a tirar fuori trenta galeoni d’oro alla
settimana. Per questo, si limitò ad un gesto vago della mano, accavallando
elegantemente le gambe. «Non mi chiede come mi sento al riguardo?»
Il dottore lo guardò da sopra
le piccole lenti rotonde, le sopracciglia così sollevate da raggiungere
l’attaccatura dei capelli. «Sembri smanioso di raccontarmelo. Come mai?»
«Perché lei mi spaventa» ammise lui, tranquillo, guardandosi le unghie
perfettamente curate della mano sinistra. «Rappresenta tutto ciò da cui sono
scappato e da cui avrei preferito continuare a scappare, nonostante non sia
possibile»
«Perché impossibile?» il
dottor Crave sembrò improvvisamente incuriosito dalle
sue parole. Fin dalla prima volta in cui si erano incontrati, Malfoy non aveva
fatto altro che sbandierare il suo essere capace di realizzare qualsiasi cosa. «Non
eri tu quello del “Impossibile è il mio
secondo nome”?» aggiunse infatti, ironico.
«Uno dei tanti, in realtà»
convenne Draco, stringendosi nelle spalle, dopo aver aspirato un altro po’ di
fumo. «Draco Impossibile InfallibileLucius Malfoy» si vantò, nonostante fosse evidente l’ironia
nelle sue parole. C’era stato un tempo, anni addietro, in cui avrebbe creduto
ciecamente nella realtà di quegli appellativi. Ma quel tempo era passato,
cancellato da una maschera bianca riposta nel più piccolo, vecchio ed
inaccessibile baule del Manor.
«E questa infallibilità da
cosa dipenderebbe? Illuminami»
Il giovane ghignò,
raddrizzandosi leggermente sulla poltrona. «Un nomignolo che si è diffuso fra
le mie numerose amanti, prima, e poi nel mio ambiente lavorativo. Sa, io non
fallisco mai un colpo» si pavoneggiò,
prima di sospirare, sarcastico. «Naturalmente, queste persone non sapevano
nulla del mio fallimento più grande»
«L’assassinio del Preside?»
tentò l’uomo, assottigliando lo sguardo. Spesso anche lui trovava difficile
seguire il filo dei pensieri di quel giovane, che tante pene aveva avuto nel
suo passato. Da quando gli aveva raccontato l’episodio in questione – dietro un
voto infrangibile, tanto era terrorizzato – lui non aveva fatto altro che
tentare di riportarlo a galla. Solo in quel modo, infatti, credeva di poterlo
aiutare ad affrontare i suoi fantasmi.
E forse esorcizzare anche i
suoi.
«No. Ma non voglio parlarne»
Non che Malfoy collaborasse, ovviamente.
«Vuoi dirmi perché è
impossibile continuare a scappare, secondo te?» gli domandò allora, afferrando
una penna a sfera dalla scrivania vicina, scribacchiando qualcosa sul suo
taccuino. «Dopotutto, è da questo che siamo partiti. Un amante delle sfide che
si da per vinto deve avere una ragione molto più che buona, non credi anche
tu?»
Il giovane fissò con aria
torva il tavolino che aveva davanti ed il dottore si ritrovò a ringraziare di
avergli vietato la bacchetta. Continuando su quella strada, avrebbe fatto
saltare in aria qualcosa per il solo piacere di infastidirlo.
«Non posso scappare dal mio
passato. Tornerà sempre a farmi visita» ammise controvoglia, tornando a
stravaccarsi sulla poltrona, improvvisamente dimentico di ogni buona maniera
insegnatagli da sua madre. «Non che io possa permettermi di sperare in qualcosa
di diverso. Ho una ricordella ancorata al braccio»
sbuffò, sollevando svogliatamente il braccio destro, su cui, sotto la camicia
bianca, spiccava una fasciatura molto recente.
Newton Crave
si accigliò, improvvisamente preoccupato. «Ha ricominciato a far male? Credevo
avesse smesso, dopo l’incantesimo di cura» disse, raddrizzandosi.
La sua preoccupazione era più
che altro legata al fatto che lui stesso avesse partecipato alla preparazione
di quell’incanto, capace di far sbiadire il Marchio Oscuro con una
somministrazione regolare nell’arco di sei settimane. Tutti i pazienti –
Mangiamorte di Azkaban, Mangiamorte pentiti –
sembravano aver reagito positivamente al trattamento, arrivando alla guarigione
completa anche in tempi più brevi rispetto a quelli previsti.
Draco fece un altro tiro,
inspirando il fumo. Poi, con uno sbuffo, alzò gli occhi in quelli del suo
psicologo. «Con me non ha mai funzionato, dottore» ammise. «Il mio Marchio si è
ribellato, si è rifiutato di andare via. Ancora oggi non fa che distruggermi
dall’interno, una lotta senza fine fra ciò che sono e ciò che ero»
Il dottor Crave
lo fissò, sconvolto, per poi massaggiarsi gli occhi con pollice e indice della
mano destra. Sembrava improvvisamente stanco, deluso. Draco non sapeva se
l’ultima emozione fosse riservata a se stesso o a lui.
«Dottore?»
«Questo significa che non
sono serviti a niente» ammise alla fine, cupo, alzandosi in piedi per afferrare
una bottiglia di Rum da sopra la mensola del camino. Non si disturbò a prendere
un bicchiere, bevendo direttamente da lì. «Tutti i nostri incontri… sono stati
assolutamente inutili».
«Cosa vuole dire?»
«Voglio dire, Malfoy, che il
mio compito era quello di farti accettare te stesso, per farti andare avanti.
Ma tu…» sospirò ancora, nervoso. «Tu non sei cambiato. Ti sei semplicemente rassegnato» sbottò, guardandolo come se
gli avesse assassinato il gatto.
Gatto che, giusto per
chiarezza, adorava Draco. Anche in
quel momento, il vecchio blu di Russia – chiamato Schopenhauer, nome che Malfoy
proprio non riusciva a comprendere – si trovava fra i suoi piedi, piuttosto che
sotto la poltrona del suo padrone, dove risiedeva durante tutte le sedute. Era
una bestiola di oltre quindici anni, a detta del medico, magro come un asticello ma pigro come un bradipo. Draco sospettava che
avesse inalato così tanti fumi alternativi
da essere diventato stupido. Oppure un drogato cronico.
O magari entrambi.
«Cosa sta cercando di dirmi,
dottore?» domandò alla fine, non avendo il minimo interesse a fare il solito
giochino per indovinare cosa stesse passando per la mente di quell’uomo. «Abbiamo
solo un’ora, se vuole passarla fissandomi in cagnesco posso togliere subito il
disturbo. Mi basta andare a trovare mio padre, per questo»
Il medico digrignò i denti,
fissandolo malamente. «Tu non ti rendi proprio conto, vero?» gli domandò, con
un sibilo, per poi passarsi una mano fra i capelli e sospirare. «Bene, non
importa. Non esiste il tempo perso, solo quello speso in modo alternativo. Risolveremo tutto, in
qualche modo».
Draco inarcò le sopracciglia.
«Tempo alternativo? Ha inventato questa definizione per giustificare la
pigrizia?».
«No, l’ho trovata quando
passato i pomeriggi in compagnia,
piuttosto che studiare per i miei esami».
Si guardarono entrambi con un
ghigno complice, stemperando ancora di più la tensione che si era creata nella
stanza. C’era così tanto testosterone, fra quelle quattro mura, da far venire
il mal di testa a qualunque animale dotato di un fiuto più affilato del
normale. Tranne per Schopenhauer, lui era ridotto troppo male per poter sentire
qualunque cosa.
«Quindi l’incantesimo su te
non ha mai fatto effetto, dico bene?» chiese lo psicologo, riaccomodandosi
sulla sua vecchia poltrona e fissando il suo paziente da sopra le piccole lenti
rotonde. Quel suo sguardo inquisitore aveva sempre infastidito l’altro, che
però era riuscito, col tempo, ad abituarsi. Il dottor Crrave
aspettò che annuisse, prima di continuare. «Certo, un caso più unico che raro.
Ha sempre funzionato. Ma tu mi sembri
tranquillo, come mai?»
Draco emise una risatina
sarcastica, sollevando appena gli occhi di ghiaccio sul suo psicologo. «Come ho
detto, niente è impossibile, per me. Non c’era modo che l’incantesimo fallisse?
Beh, io ho dovuto confermare il
contrario» disse, tornando a guardare le pagine del libro che aveva preso ma
non ancora iniziato a leggere. Aveva dimenticato di aver scelto una storia
babbana, un certo Macbeth, costretto dalla moglie ad
andare contro le più basilari regole della società per ottenere potere e fama.
Senza sapere perché, Draco
sperò che quel tipo avesse ottenuto un lieto fine.
«Non prendermi in giro,
Malfoy. Sono quattro anni che sopporto te ed il tuo insopportabile sarcasmo,
dacci un taglio» lo rimproverò l’uomo. «Non costringermi a toglierti la voce e
farti rispondere con una sola parola. Non saresti il primo» minacciò poi,
puntandogli contro il dito.
Il gatto, dalle gambe del
giovane, sgusciò via e si rifugiò sul vecchio poggiapiedi, grattando un po’ il
cuscino con le unghiette, per poi rilassarsi ed
iniziare a ronfare.
«Sa, dovrebbe farlo vedere ad
uno specialista. Non è normale che si addormenti così velocemente… sembra
morto».
«Non cambiare discorso,
ragazzo».
Draco alzò gli occhi al
cielo, sbuffando sonoramente.
«Ho una teoria» ammise
soltanto, scorrendo un altro paio di righe nel libro. «Ma non ho voglia di
parlarne adesso. Diciamo soltanto che, se ho ragione, probabilmente convivrò
con questo dolore finché l’universo non mi farà un favore e mi manderà
nell’inferno che mi merito».
Il dottore non gli staccò gli
occhi di dosso, increspando leggermente le labbra. Nei suoi occhi, Draco
riusciva a notare tutte le macchinazioni che quel suo bizzarro cervello stava
elaborando. Continuò in quel modo per almeno due minuti interi e, alla fine, si
voltò per afferrare due bicchieri dal tavolino alle sue spalle. Ne porse uno al
ragazzo e, un momento dopo, appellò una nuova bottiglia di Scotch.
«Non dirmi nulla, d’accordo»
disse alla fine, riempiendo di liquido ambrato entrambi i calici. «Se non vuoi
parlarmene, è inutile insistere. Inizieresti a mentire come sempre e perderemmo
tempo prezioso».
Il giovane si accigliò. «Rinuncia?
Davvero?» chiese, sinceramente confuso. «L’ultima volta che non ho risposto
alla sua domanda ha minacciato di mettermi il veritaserum
nello-» si fermò, abbassando gli occhi sullo Scotch che aveva già assaggiato. «Sta
cercando di avvelenarmi di nuovo? Non
avevamo detto basta a questi trucchi da Auror?» sbottò, irritato, spingendo di
alto il bicchiere.
Il dottore scoppiò in una
risata allegra, per poi alzare gli occhi al cielo. «Bevi e prova a dire una
bugia, ma posso assicurarti che stavolta non ti ho avvelenato. Voglio soltanto
andare avanti con le sedute, senza perdere tempo».
Naturalmente, Draco non si
fidò. C’era una foto di Newton Crave nei sotterranei,
lo stesso Piton aveva spesso confermato quanto
quell’uomo fosse stato d’esempio per i veri
Serpeverde: studente modello, Prefetto e pure Caposcuola, senza mai perdere
fascino o il primato nella vita sociale di Hogwarts.
Mantenendo lo sguardo
corrucciato, sorseggiò ancora un po’ di liquore, per poi guardare il medico
negli occhi. «Io ritengo che lei sia un grande mago ed un gentiluomo
impeccabile… è vero, non mi ha avvelenato» constatò, mentre l’altro gli
lanciava un’occhiataccia. «Ma io ancora non mi spiego per quale motivo ha
deciso di lasciar perdere. Non è da lei» assottigliò lo sguardo. «Cos’è,
l’andropausa sta iniziando a colpire? Crisi di mezz’età che lo rende meno
paziente? Oppure ha un appuntamento galante con qualcuna delle sue prostitute e vuole raggiungerla prima?
Le fa un buon prezzo?».
Se lo scopo del giovane era
quello di provocare l’altro, non sarebbe servito un genio per comprendere che non
l’avesse avuta vinta. Il dottore si limitò ad inarcare le sopracciglia, con un
ghignò compiaciuto, e bevve d’un colpo tutto il contenuto del bicchiere. «Posso
giurare di non aver mai pagato per avere compagnia. Di solito sono loro a
pagare me»
Il giovane rise, gettando il
capo indietro. «Mi sta dicendo di aver fatto la prostituta, dottore?».
L’uomo si strinse nelle
spalle, noncurante. «Mi annoiavo facilmente, da giovane. Ed ho mantenuto gusti
costosi anche dopo esser stato cacciato di casa».
«Dottore!»
Crave alzò le mani, arretrando contro lo schienale della poltrona. «Ero una
sgualdrina d’alta società, solo le migliori signore purosangue potevano
permettersi il sottoscritto».
Dopo quell’affermazione,
entrambi restarono in silenzio per qualche istante, squadrandosi a vicenda.
Infine, fu il dottore stesso a cedere, con un sospiro.
«Tu e questa tua nuova
collega… quando inizierete?» domandò, accavallando le gambe elegantemente.
«Venerdì inizieremo il
programma, abbiamo una visita da fare. Dovremo girare un bel po’ per trovare la
soluzione giusta» rispose il giovane, con un ghigno. «Una parte di me è
terrorizzata all’idea, l’altra, invece, non vede l’ora».
«Come mai?»
«Ah, dottore… ho passato i
sei anni della mia formazione scolastica a tentare di infastidire quella donna.
Immagini la faccia che potrebbe fare, dall’alto della sua carriera al
Ministero, scoprendo di essere lei la
mia assistente e non l’opposto» si
pavoneggiò, con un ghigno sardonico.
«Potrebbe anche metterti i
bastoni fra le ruote, non credi?»
Draco si strinse nelle
spalle, con l’aria soddisfatta di un gatto accanto ad una ciotola di latte. «Potrebbe,
ma sarà troppo impegnata a tentare di non uccidermi».
*** *** *** ***
»Marnie’s Corner
Bentrovati, voi che avete aspettato una settimana, e benvenuti, voi che siete
appena giunti!
Come
avevo preannunciato, anche questo è un po’ un capitolo di passaggio, ma con più
informazioni.
Prima
di tutto: sorpresa! Crave è lo psicologo di entrambi! Non è curioso?
Vi
assicuro che lui adora questa cosa.
Punti
importanti:
» La
citazione è di LemonySnicket,
autore che io adoro. Il fatto che
riguardi il rimpianto non merita spiegazioni, credo. Malfoy rimpiange il suo
passato e questo sembra influire sul suo presente.
» Crave è un Guaritore a dir poco geniale. Ha partecipato a questa cura, ma nessuno ospedale riesce a
tollerarlo. Diciamo pure che si considera uno spirito libero.
»
Blaise Zabini è un Medimago ad un passo dal
concludere gli studi. Draco chiama lui perché i pregiudizi verso quelli come
lui sono troppo forti per garantirgli un’assistenza adeguata.
Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri
pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei
avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.
Capitolo 4 *** Atto III/Parte I - Nascosto in piena vista. ***
Atto V – Capitolo I
LoSpecchio delle Anime.
Il posto migliore per
nascondere qualsiasi cosa è in piena vista.
[EdgarAllan Poe –
La lettera rubata]
Atto III – Parte I
Nascosto in piena vista.
Il concetto di “essere in
ritardo” era assolutamente assente nella visione del mondo che Hermione Granger
aveva sviluppato, fin dal primo giorno di cui aveva memoria. La puntualità,
negli appuntamenti così come nei compiti da consegnare, era ciò che l’aveva
sempre contraddistinta dalla massa degli sfaticati che aveva intorno.
Compreso JerryStamp, che aveva perso il suo record di puntualità
per assistere la moglie in travaglio.
Quella mattina, però,
Hermione non aveva avuto la minima intenzione di essere puntuale. Per
assicurarsi di arrivare in elegante ritardo, la sera si premurò di spegnere la
sveglia, contando sulla stanchezza e sull’istinto di autoconservazione
del suo corpo. Nella sua visione delle cose, in seguito, avrebbe fatto un bel
bagno rilassante, nutrito il gatto, fatto lei stessa una lunga e sostanziosa
colazione per poi, solo alla fine, presentarsi all’appuntamento con il suo nuovo collega.
Naturalmente, il suo piano
non funzionò.
Sveglia alle cinque del
mattino, la giovane restò a fissare le stesse fosforescenti che aveva fissato al
soffitto, considerando ogni variazione di luminescenza con l’aumentare del
chiarore fuori dalla finestra. Alle sei e quarantacinque, una volta che il sole
fece la sua comparsa oltre il muro di palazzi che le impediva di vedere
l’orizzonte, il miagolio insistente di Mittens la
costrinse ad alzarsi dal suo enorme, freddo e ruvido letto per riempirgli la
ciotola di latte.
Le lenzuola di cotone che sua
madre le aveva regalato per l’ultimo compleanno, quasi un anno addietro, erano
così fastidiose che ancora si chiedeva per quale motivo le avesse usate. Le
ricordavano moltissimo quelle che la sua prozia Jeanne
era solita propinarle quando era costretta a passare il weekend da lei, a Brighton. Sua madre le diceva sempre di non lamentarsi,
perché la prozia era anziana, sola e non accettava le critiche. Non accettava
neppure i complimenti. Sostanzialmente, non accettava nessuna manifestazione di
volontà umana, a prescindere dalla tipologia.
«Oh, per Merlino, BartyPoplar e la sua mania di
protagonismo» sbuffò, lanciando un’occhiata alla prima pagina del giornale. Il
signor Poplar era un opinionista molto famoso, quel
giorno aveva riempito il suo trafiletto con uno sproloquio sulla necessità
delle streghe di iniziare ad indossare ancora una volta i capelli a punta. Hermione
odiava tutte quelle sciocchezze.
Ovviamente, si stava trasformando nella Prozia Jeanne.
Erano le otto e quarantadue,
lei era già rimasta a mollo nella vasca per un tempo a dir poco improponibile e
stava giusto versando il suo caffè mattutino nella vecchia tazza a forma di
gufo che i suoi genitori le avevano regalato dopo aver ricevuto la lettera da
Hogwarts. Accanto a lei, sul bancone della minuscola cucina, giacevano tre
lettere, due aperte ed una ancora sigillata con ceralacca.
La prima era una lettera
babbana, una semplice bolletta della luce arrivata tramite posta; Hermione
avrebbe dovuto ridurre notevolmente l’utilizzo del phon o dei vari aggeggi che
sua madre le aveva regalato per aiutarla a tenere sotto controllo i suoi ricci
ribelli, soprattutto perché in linea generale erano inutili. La seconda era una
missiva del suo capo, il Signor Hicklebottom la
informava che tutti i suoi soliti incarichi erano stati trasferiti ad un altro
sottosegretario, così da lasciarle campo libero per le indagini. Inoltre, si
premurava di farle sapere di aver scelto un sostituto organizzato e puntuale
quasi quanto lei, così che potesse mantenere un’organizzazione quantomeno
decente fino al suo ritorno.
AdalbertHicklebottom era un uomo sulla sessantina,
molto alto e non particolarmente in carne, con un amore sfegatato per tre cose:
i suoi papillon colorati, i dolcetti babbani ed i casi proposti al suo
dipartimento risolti senza complicazioni. Si occupava della Sezione Inquisitoria
da quasi venti anni, dopo una lunga carriera dapprima come Auror e
successivamente come sottosegretario, sopravvivendo egregiamente alle due
guerre e facendosi un nome nello scenario giudiziario internazionale. Molti dei
casi di cui si era occupato erano finiti nei libri di preparazione che Hermione
aveva dovuto studiare, facendole sviluppare un’immensa ammirazione per
quell’uomo.
Ma era un tale disordinato cronico da farle venire mal di testa.
La terza lettera, quella
ancora sigillata, era di Ginny, cosa che spaventava la strega non poco.
La sua
migliore amica, che negli ultimi sei mesi era diventata molto più che una
sorella, era solita presentarsi direttamente nel suo salotto, usando la metropolvere, qualora avesse avuto una qualche notizia da comunicarle.
Le lettere erano utilizzate da entrambe soltanto in casi di particolare
urgenza, come questioni di lavoro o, più in generale, questioni del fattore P.
La P,
naturalmente, indicava Potter. Questioni riguardanti Harry James Potter, per
essere ancora più precisi, il Bambino Sopravvissuto a Voldemort ma che sembrava
non riuscir a sopravvivere al terremoto mediatico che
stava investendo il Ministero della Magia, oltre che agli incubi ed ai problemi
di evidente alcolismo non più controllato.
Per questa
ragione, Hermione aveva deciso di non aprire la lettera finché non avesse preso
il suo caffè, magari aggiungendoci una ciambellina
zuccherata che aveva acquistato la sera precedente al forno vicino.
Le servivano
zuccheri, oltre che energia.
Un miagolio
leggero le fece spostare lo sguardo dall’orologio sulla parete alla minuscola
palla di pelo che tentava disperatamente di arrampicarsi sulle sue gambe. Le unghiette erano affilatissime, nonostante Mittens non avesse più di due mesi di vita, e le calze di
nylon indossate da lei non fecero che aiutarlo a graffiarla con maggiore
facilità. Guardandolo per la prima volta, sarebbe sembrato una creaturina adorabile, con un folto pelo tendente al rosato
– forse era troppo piccolo per essere rosso? – e dei grandi occhi gialli. In
realtà era un essere crudele, che sembrava tollerare Hermione solo perché era
la mano che lo nutriva, oppure per rispetto alla memoria del defunto padre, il
caro Grattastinchi.
Hermione
ancora non si capacitava di come quel suo vecchio amico fosse riuscito a convincere una gatta a fare cuccioli.
Un cucciolo,
ad essere precisi. Un singolo cucciolo dall’aria angelica, che il padrone della
gatta le aveva consegnato dentro un guanto da forno, “Mitten”,
appunto. L’uomo, disperato, le aveva consegnato l’unico frutto di quell’amore
bizzarro, affermando che fosse troppo insopportabile per una casa rispettabile
come la sua.
Lei non si
era opposta, Grattastinchi era morto da pochissimo e
non si sentiva ancora abbastanza forte da poter vivere da sola. Per quanto
pestifero, Mittens era tutto ciò che era disposta a
sopportare fra quelle quattro mura rosa pallido.
«Cosa c’è,
mostriciattolo? Hai già finito il tuo latte?» gli domandò, con un leggero
sorriso, chinandosi per acciuffarlo da sotto il pancino
e lasciandolo andare sopra il bancone. Una parte di lei si lagnò per il pelo
che avrebbe dovuto pulire prima di uscire, così da non scordarsene, ma il resto
le ricordò che difficilmente si sarebbe messa a cucinare qualcosa, il takeaway italiano era sempre aperto per lei.
Mittens zampettò allegramente sul
bancone, decidendo, infine, di accomodarsi sulla lettera che ancora non era
stata aperta. Fissò la sua padrona con i suoi grandi occhi gialli, senza fare
più un suono. Fu come se avesse iniziato a giudicarla per quel suo
procrastinare.
Con uno
sbuffo, la ragazza sfilò la lettera da sotto il suo sederino peloso, aprendola
con degli scatti veloci delle dita. Le mani le tremarono, mentre gli occhi
scorrevano le poche linee:
Cara Hermione,
Harry è quasi andato al lavoro ubriaco, ieri.
Fortunatamente me ne sono resa conto prima che potesse farsi licenziare,
costringendolo a darsi malato. Ti scrivo perché temo che Kingsley
potrebbe chiederti conferma delle sue condizioni di salute e vorrei che tu ci
reggessi il gioco. Come sempre.
Ho già informato il mio ragazzo che la prossima
volta che succederà verrò a dormire a casa tua, ordinando a Kreacher
di tormentarlo.
Tranquilla, oggi non è ubriaco e non credo avrà
modo di esserlo, ho requisito tutte le bottiglie ed ho ordinato all’elfo di non
farlo uscire di casa.
Ti aspetto per il tè, questo pomeriggio,
Ginny.
Hermione
sospirò, mettendo da parte la lettera. Ancora una volta, il suo migliore amico
aveva fatto prevalere il suo lato oscuro. Forse avrebbe fatto bene a parlare
con qualche collega, per scoprire quanto fosse stata dura l’ultima missione. In
base al numero di morti, avrebbe potuto prevedere quanto tempo Harry avrebbe
impiegato a riprendersi.
Sperò
qualche giorno fosse sufficiente.
“Appuntamento al Kensington
Cafè, ore nove” canticchiò l’orologio che
aveva al polso, un gentilissimo regalo di Harry stesso. Era dorato, molto fine,
parlava con una voce che somigliava a quella della strega, ma molto più snob.
Lui le aveva detto di averlo scelto per
ridere. Hermione lo detestava.
«Ho capito,
sto andando» sbuffò, con una smorfia, avvicinandosi all’uscita per osservarsi
al grande specchio ovale accanto alla porta. La sua camicetta azzurra la faceva
sembrare grassa ed i suoi capelli sembravano pronti a scappare dalla crocchia
strettissima.
“Farai tardi”
insistette la voce, pedante.
«Lo scopo
era quello».
***
Victoria Sponge, dolcissima pasta morbida e
spugnosa con ripieno di crema e confettura di lamponi, servita con lamponi
freschi e zucchero a velo.
Hermione odiava i lamponi.
Ancora si chiedeva per quale motivo avesse ordinato proprio quel dolce,
considerata l’enorme scelta che le cinque pagine di menù offrivano. Avrebbe
potuto prendere i bigné alla crema, oppure i biscotti al miele. Il crumble di mele sarebbe stata la sua prima scelta, ne era
assolutamente convinta, ma…
«Signori, una fetta di
Victoria ed un crumble di mele» disse la giovane
cameriera, posando i due piatti davanti a loro e lanciando uno sguardo di fuoco
al giovane mago, che però sembrava troppo preso dal contemplare il suo
squadernino di pelle nera.
L’aveva preso lui, il maledetto crumble.
«Grazie» sibilò la strega,
alla fine, quando la ragazza non sembrò interessata a lasciarli in pace. Le
dedicò anche un’occhiataccia – una di quelle che in ufficio aveva fatto tremare
molti novellini – e fece un gesto imperioso della mano per convincerla ad
alzare i tacchi.
Non le erano mai piaciute le
smorfiose.
«Mezzosangue, per Merlino,
avresti potuto lanciarle direttamente una Cruciatus, saresti sembrata più
magnanima» la riprese l’uomo, senza alzare gli occhi dal suo quadernino. Il
solito sorriso sardonico non si mosse dalle sue labbra, facendola innervosire
ancora di più.
«Dobbiamo parlare di lavoro, furetto» gli sibilò, incrociando le
braccia al petto. «Il fatto stesso che tu abbia spostato l’appuntamento qui,
quando doveva essere nel mio ufficio, è già inaccettabile di per sé, che tu
addirittura lasci una ragazzina a sbavarti sulle scarpe mentre fingi di
ignorare non solo lei, ma anche me, è
addirittura vergognoso».
Malfoy alzò gli occhi dal suo
quadernino solo per un secondo, prima di sospirare – come se lei lo stesse annoiando – e riporlo nella tasca
interna della sua giacca, raddrizzandosi sulla sedia. Con un gesto elegante,
intrecciò le dita sul tavolo, piegando leggermente il capo mentre osservava la
sua collega come se le avesse fatto un enorme favore.
«Bene, Mezzosangue. Adesso
hai tutta la mia attenzione, sei contenta?» le domandò, sfrontato, tirando
fuori lo stesso strano sorriso che le aveva dedicato durante il loro primo
incontro, al Ministero. Quel sorrisino capace di far rabbrividire Hermione per
lo sdegno.
«Tu, insulso…»
Lui la fermò, alzando la mano
per intimarle il silenzio. «Sì, lo so. Insulso furetto, maledetto egocentrico,
Purosangue dei miei stivali. Queste deliziose
parole d’amore le ho già lette nei sei gufi che mi hai mandato quando ti ho
chiesto di incontrarci qui» le disse, esasperato. «Devo dire che sei
ripetitiva, Granger» aggiunse, divertito. «Domandami il perché di questa
scelta, invece di insultarmi. Non l’hai fatto nelle lettere, nonostante io
credessi che sarebbe stata la prima cosa a venirti in mente».
Effettivamente, quella era stata la prima domanda a passare per
la mente di Hermione. Aveva proprio voglia di chiedergli spiegazioni, ma temeva
che lui…
«So per certo che avresti
scritto qualche bugia» gli disse, raddrizzando le spalle ed incrociando le
braccia al petto. «Ho preferito farti sapere subito cosa penso di te, così da
impedirti di prendermi per i fondelli. Cosa che, faccia a faccia, sarà molto
più difficile da fare» gli rispose, cercando di mantenere un atteggiamento il
più orgoglioso ed elegante possibile.
Eleganza che semplicemente
moriva, davanti al portamento del dannato Purosangue.
«E come mai ritieni di essere
abbastanza brava da comprendere se sto mentendo, Mezzosangue? Vuoi usare la legilimanzia?» le
domandò lui, divertito, osservandola col capo piegato di lato. Ridusse gli
occhi grigi a due fessure, il sorrisino nuovamente evidente. «Oppure è qualcuna
di quelle stronzatebabbane
sul guardare le persone negli occhi?».
Hermione accennò un sorriso,
sentendosi improvvisamente più sicura di sé. «Interrogare le persone e capire
se sono sinceri è il mio lavoro, Malfoy. Non hai idea di quanti siano immuni al
Veritaserum o Occlumanti
capaci» gli disse, orgogliosa. «Tu non puoi essere più complicato da capire».
Anche se su questo aveva i suoi dubbi.
«Su questo ho i miei dubbi,
Granger». Draco sorrise, grattandosi il profilo della mascella. Aveva un velo
di barba, forse aveva evitato di radersi per qualche giorno. «Comunque non c’è
bisogno di mentire, il motivo è molto semplice e credo tu lo sappia, nel
profondo del tuo cuoricino di Mezzosangue» disse poi, stringendosi un momento
nelle spalle. «Al Ministero c’è una talpa, vista la gravità della nostra
missione è il posto meno sicuro in assoluto» spiegò, prendendo in mano il suo
cucchiaino ed immergendolo nella piccola coppa con il suo dolce. «Oltretutto,
qui fanno il crumble migliore di tutto il sud
dell’Inghilterra. La prossima volta dovresti provarlo».
Hermione serrò i denti,
irritata. Negare che ci fosse una talpa sarebbe stato ingenuo, da parte sua, ma
sentirselo sbattere in faccia così, soprattutto da lui, l’aveva fatta innervosire come mai.
Oppure era stata la storia
del crumble, non lo sapeva.
«Bene, la tua motivazione
regge, per quanto avrei ritenuto più accettabile un qualsiasi altro luogo
appartato, vista la delicatezza dell’argomento» gli rispose, socchiudendo gli
occhi per tentare disperatamente di darsi una calmata. La fetta di torta che
aveva davanti le sembrò improvvisamente disgustosa. Il rosso dei lamponi nella
crema sembrava sangue. Sangue su delle
lenzuola.
«Ah, Mezzosangue. Nascosti in piena vista, non l’hai
capito? Quale modo migliore per seminare una talpa, che restare in un luogo
pubblico, dove nessuna persona di buon senso discuterebbe una missione così
fondamentale?»
Maledizione, Malfoy 1 – Granger 0.
«Stai implicitamente
affermando di non essere una persona di buon senso, Malfoy?» gli domandò, forse
sperando di sembrare intelligente. La necessità di denigrarlo per tenerlo sotto
controllo era diventata impellente.
«Certo che no, Mezzosangue, non implicitamente. Quale
ex Mangiamorte di buon senso accetterebbe di lavorare con te? La migliore amica
di Potter?» disse, divertito, portandosi un cucchiaio di dolce alle labbra.
Hermione dovette sbattere un paio di volte le palpebre, sorprendendosi a
fissare quel gesto. Probabilmente il movimento elegante l’aveva incantata. «Mi
sorprende che lui o la Donnola non siano venuti a farti da scorta» aggiunse poi
lui, con il suo solito ghigno.
Lei si irrigidì, quando lo
sentì fare riferimento a Ronald. La ferita nella sua anima cominciò a pulsare,
come succedeva ogni volta, ma ormai era diventato un dolore sopportabile.
«Non ho bisogno di guardie
del corpo, Malfoy. Adesso, per piacere, possiamo parlare della missione?»
«Come la signora desidera».
***
«SpeculumAnimarum» lesse Malfoy, allontanando
leggermente il suo quadernino. «Noto volgarmente come Specchio delle Anime,
nonostante non siano molti i popolani a sapere qualcosa della sua esistenza»
strinse un momento le labbra, alzando gli occhi verso Hermione. «Quantomeno,
non con quel nome, viste le varie storie in cui è apparso».
«Principalmente favole,
oppure romanzi epici, lo so» aggiunse lei, con un gesto annoiato della mano.
«Ma i più illustri ricercatori sostengono che si tratti solo di una leggenda.
Se davvero questo specchio è esistito, dovrebbe avere molto più di duemila
anni, oltre ad aver girato tutto il Vecchio Continente» protestò,
accigliandosi. Rischiò di arrabbiarsi, quando notò lo sguardo divertito ed il
sorriso compiaciuto dell’altro, ma decise di soprassedere. I loro guai erano
ben altri. «Non possiamo fidarci delle parole di quei detenuti, soprattutto
perché la confessione è stata fatta senza veritaserum
e davanti dei comunissimi Auror, non Inquisitori».
Malfoy inarcò le
sopracciglia. «Potter è a conoscenza della considerazione che porti alla sua
squadra?» le chiese, tornando quasi immediatamente a concentrarsi sul suo
quadernino. Sfogliava le pagine con disinvoltura, probabilmente cercando solo
qualche parola chiave. «Comunque,
l’interrogatorio è più che accettabile, considerando le conferme raccolte da
uno studioso estremamente competente».
«E chi sarebbe?» domandò lei,
noncurante, essendo certa di non aver trascurato nessuno degli esperti più
importanti. Con molti di loro aveva intrattenuto una breve corrispondenza, nella
settimana trascorsa in attesa di quell’appuntamento. Tutti avevano concordato
nel non considerare valida la teoria dell’esistenza dello specchio. Chiunque
Malfoy avesse contattato, si sarebbe dimostrato facilmente uno sciocco.
«Io, Mezzosangue».
Le sopracciglia di Hermione
non sarebbero potute andare più in alto, senza schizzare via dalla fronte. Una
parte di lei fu tentata di scoppiare a ridere, l’altra, semplicemente, pensò
che sarebbe stato più saggio dargli un altro cazzotto per pretendere un minimo
di serietà. Poi, però, si rese conto che fosse assolutamente serio, quindi si
limitò ad aprire la bocca per rispondergli, senza tuttavia riuscire ad emettere
un suono.
Quell’insopportabile…
«Non guardarmi in quel modo,
Mezzosangue» la riprese Malfoy, dedicandole solo uno sguardo veloce. «Sono
certo tu abbia già verificato le mie credenziali. E non c’è bisogno di
specificare che, diversamente da tutti gli studiosi che ti sei premurata di
contattare, sono in possesso di contatti molto
più affidabili».
«Contatti affidabili?» lo
scimmiottò la strega, le sopracciglia inarcate ed un sorriso di scherno sulle
labbra. «Modo carino per parlare di delinquenti, Mangiamorte non esattamente
pentiti e… e…» non riuscendo a trovare appellativi peggiori di quelli già usati,
gonfiò leggermente le guance. «Insomma, gentaglia
inaffidabile».
Con uno sbuffo divertito,
Malfoy mise da parte il suo quadernino, concentrandosi nuovamente sul suo dolce
di mele. «Gentaglia di cui ho fatto parte, Mezzosangue. Non è carino da parte
tua» le disse, pacato, mescolando il contenuto del suo piatto con la punta del
cucchiaino, l’aria da principe elegantemente annoiato. «E comunque, parlo di
gente tutt’altro che inaffidabile. Fra le mie
conoscenze ci sono collezionisti d’arte di tutto il mondo, studiosi delle
migliori università… L’uomo con cui abbiamo appuntamento questo pomeriggio, ad
essere precisi, è AugustusRochester,
ordinario alla St. Andrews,
esperto in Arte Medievale ed Arte Esoterica» le spiegò, passandole da sopra il
tavolo un fascicoletto estratto dalla tasca interna della giacca.
Hermione era ammirata,
inutile negarlo. Ammirata ed un po’ imbarazzata, per essere precisi. Il suo non
era stato davvero un tentativo di sminuirlo, associandolo a quel gruppo tutt’altro che ammirabile, però non era riuscita a far
diversamente.
- Non sminuirti Hermione. Hai sofferto, ma non sei una stupida.
No, non doveva pensarci.
Avrebbe avuto modo di parlare con il dottor Crave nel
giro di qualche giorno, nel suo appuntamento settimanale. Non poteva permettersi
di mostrarsi debole. Non davanti a Malfoy.
Cercando di distrarsi, la
giovane afferrò il fascicolo, scorrendo velocemente le poche pagine. Notò che i
caratteri fossero più grandi del normale, probabilmente per lo stesso motivo
che costringeva Malfoy ad allontanare il quadernino per leggere chiaramente.
Era ipermetrope, lo spocchioso bastardo. Probabilmente non voleva che degli
occhiali rovinassero il suo aspetto da principino delle fiabe.
Un principino verde e argento
capace di far morire le principesse,
piuttosto che svegliarle.
«Ha studiato alla Sorbonne» disse, ammirata, scorrendo la lunga lista di
meriti del professore. «Massimo dei voti, tre dottorati… Ufficiale dell’Ordine
Nazionale al Merito in Francia, Ordine dell’Impero Britannico… Ha pubblicato
oltre centotrenta saggi!»
«Possiamo quindi concordare
sul fatto che sia estremamente affidabile, non è vero?» le chiese lui,
malizioso, portandosi alle labbra un altro cucchiaino di crumble.
Per un attimo, Hermione pensò che l’avesse fissata ad occhi socchiusi per
provocarla, poi si rese conto che, semplicemente, fosse impossibile.
«Come vuoi, sì» gli disse
lei, con un gesto della mano, posando nuovamente gli occhi sui fogli. Sentì un
calore sospetto al collo e sperò sinceramente di non essere arrossita. Avrebbe
fatto bene a portarsi sempre dietro un foulard, quel giovane aveva la capacità
di farle andare il sangue alla testa per la stizza. «Dice di avere delle
informazioni per noi, ma non ha scritto nulla. Non poteva farci risparmiare un
po’ di tempo?».
«Mezzosangue?» chiamò Malfoy,
distraendola. Quando si voltò, pronta a dirgli di non disturbarla, lui le
infilò di prepotenza un cucchiaino di torta fra le labbra, facendola spaventare
a morte. «La tua torta stava andando a male. Comunque, come noterai questo
pomeriggio, il Professore è un po’… prudente»
Mandato giù il boccone, solo
per non rischiare di soffocare, Hermione si tolse il cucchiaino dalle labbra e
lo fulminò. Fu solo per amore della missione che non lo uccise con una
Maledizione.
«Cosa vuol dire prudente?»
Malfoy ridacchiò, afferrando
il Times
abbandonato sul tavolo accanto. Si chinò leggermenteverso di lei, come se avesse voluto rivelarle
un segreto importantissimo. «Con prudente
intendo che, se messo a confronto, Malocchio Moody,
che riposi in pace nel suo inferno personale, era un allegro giovanotto dalla
testa calda»
La mascella di Hermione
rischiò di sfracellarsi per lo shock.
«Il male è sempre in agguato!» recitò lui, proprio mentre lei
leggeva l’ultima riga della lettera che il professore aveva inviato al suo
compagno.
Il male è sempre in agguato, nascosto in piena vista.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Questa settimana, ho deciso di aggiornare un po’ prima. Non so il perché,
forse la notizia di dover rimandare il mio esame di oltre dieci giorni mi ha
stordita al punto di non voler aspettare per altre cose. Ha senso? Per me
neppure rimandare un esame ce l’ha.
Scusatemi, sono solo stanca, pedante ed in una brutta crisi di “Grangerite”.
Punti importanti:
» La citazione è di EdgarAllan
Poe, poiché è proprio a lui che ho pensato, scegliendo il titolo. In
particolare, il mio pensiero è andato al racconto “Il cuore rivelatore”,
nonostante non ci sia effettivamente un collegamento logico. Semplicemente, è
uno dei miei preferiti.
» Il Signor Hicklebottom è un altro dei miei
OC, non credo che farà un’apparizione prima della fine della fanfiction o, comunque, qualche presenza momentanea qui e
lì. È un uomo di grande conoscenza e cultura, cui è stato anche proposto di
fare il Ministro, prima di ricorrere a Caramell
(nonostante nessuno l’abbia mai saputo). Hermione lo stima molto ed il
sentimento è reciproco.
» Rochester farà la sua apparizione nel prossimo
capitolo, portando molte notizie e, forse, un bel po’ di azione. Finalmente, mi
verrebbe da dire.
Grazie infinite a tutti coloro che hanno
commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi
non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie,
davvero.
Grazie ancora a chiunque leggerà, ci
becchiamo lunedì (o nel weekend!) prossimo,
Capitolo 5 *** Atto III/Parte II - Il professore sopravvissuto. ***
L’Università che sorgeva nel cuore di St
LoSpecchio delleAnime.
Fear is the main source of superstition, and one of
the main sources of cruelty.
To conquer fear is the beginning of wisdom.
[BertrandRussel]
Atto III – Parte II
Il Professore sopravvissuto.
L’Università che sorgeva nel
cuore di St. Andrews, in
Scozia, era un adorabile scenario da cartolina, che Hermione avrebbe volentieri
immortalato in una fotografia da mostrare a sua madre, quando avesse trovato
abbastanza tempo da farle visita.
Bugiarda.
L’odore di terra umida e mura
antiche – non c’era altro modo per identificare quel profumo particolare, che
l’aveva sempre incantata tanto – le solleticò le narici, mentre si avviava
velocemente lungo il viale principale. Intorno a lei, la vita dell’Università
continuava come sempre, indisturbata, fra lamenti e risate.
Sembrava di essere ad
Hogwarts, senza la paura della guerra.
L’assistente del Professor Rochester era immobile davanti al portone d’ingresso, con i
capelli impomatati praticamente incollati alla testa, dei grossi occhiali che
continuavano a scivolargli sul naso e l’aria di qualcuno decisamente infelice
del compito che gli era stato affidato.
«Ginger e Malfy?» disse, non appena lo
raggiunsero, squadrandoli dall’alto in basso nonostante non superasse il metro
e mezzo d’altezza. Quando la strega fece per correggerlo, lui alzò la mano per
impedirle di aprire bocca. «Lui vi aspetta nel suo ufficio» comunicò, dando
loro le spalle e risalendo i pochi gradini, senza neppure curarsi che lo stessero
seguendo.
Il mago e la strega si
guardarono, lei corrucciata per esser stata zittita e lui accigliato per quello
strano modo di comportarsi.
Nel frattempo, l’assistente
senza nome era già arrivato alla fine del salone d’ingresso, se non si fossero
sbrigati li avrebbe semplicemente abbandonati lì. Per quanto l’idea fosse
stimolante, vista l’antichità della struttura, decisamente non c’era il tempo
per fare i turisti.
«Ginger, dopo di te» commentò Malfoy, con le sopracciglia inarcate, facendole
cenno elegantemente di precederlo. Il fatto stesso che avesse deciso di
soprassedere a quella storpiatura del suo nome aveva lasciato la giovane
totalmente basita.
«Grazie, Malfy».
Seguirono l’ombra del giovane
assistente lungo un paio di corridoi affollati, oltre delle scalinate e,
infine, lungo un corridoio dalle infinite porte. Quando lo raggiunsero, lui li
squadrò ancora una volta con i suoi occhietti scuri, per poi dar loro le
spalle, bussare tre volte e spalancare la porta.
Sul legno chiaro, incisa
sopra una placca d’oro, c’era l’iscrizione “Professor
A. Rochester – Storia dell’arte Medievale”,
accompagnata da un post-it che invitava chiunque a
non disturbare.
«Sono arrivati, professore.
Avverto il Suo sostituto che è
impegnato e non potrà raggiungerlo» disse il giovane, chinando leggermente il
capo,prima di uscire e far cenno ai due
ospiti di accomodarsi. Dall’interno della stanza non era arrivato alcun suono,
forse il professore si era limitato ad un cenno.
«Mezzosangue» le sibilò Malfoy, richiamando la sua attenzione prima
che lei potesse irrompere nella stanza. «Qualunque cosa succeda, non fissargli
le gambe e non cedere alle sue provocazioni» l’avvisò, serio, indicando con un
cenno l’interno della stanza. «È un tipo un po’ suscettibile».
Hermione si accigliò. «Cosa
vuoi dire?» ebbe appena il tempo di sussurrare, prima di essere malamente
spinta all’interno.
Bastò uno sguardo per capire
cosa intendesse Malfoy.
Il professor AugustusRochester era un uomo
che aveva abbondantemente superato la sessantina, senza capelli e con il viso
estremamente rugoso. I suoi occhi erano piccoli e azzurri, si muovevano
nervosamente per la stanza, tornando molte volte alle finestre. Ma ad attirare
l’attenzione erano le sue gambe o, per essere ancora più precisi, ciò che restava delle sue gambe. La
destra era irrimediabilmente storta, contorta su se stessa come se qualcuno
l’avesse tenuta ferma dopo aver fatto ruotare tutto il corpo; alla sinistra
mancava il piede, sostituito da una protesi, ed era piegata in modo tutt’altro che naturale.
Se Malfoy non l’avesse
avvisata, Hermione si sarebbe ritrovata a fissarlo senza il minimo ritegno.
Invece, spostando immediatamente gli occhi sul suo viso, riuscì a cogliere
perfettamente la sua espressione contrariata. Lui voleva che lei lo fissasse. Voleva
trovare una scusa per aggredirla e farla sentire a disagio: per quel motivo
non si era nascosto dietro la scrivania, preferendo accomodarsi accanto al
camino acceso.
Vecchio bastardo.
«Tornerò fra un’ora per il
tè, professore» disse, pedante, l’assistente, chiudendo la porta con tale
violenza da far quasi inciampare Malfoy, non ancora entrato. Il giovane si
voltò e dedicò al legno uno sguardo irritato, senza tuttavia aprire bocca.
«Draco Malfoy» chiamò il
Professore, dedicandogli uno sguardo che avrebbe dovuto essere di benvenuto, ma
che, in realtà, non fece altro che trasmettere stizza. «Credevo non saresti
venuto, considerato il terribile ritardo» commentò, voltando poi gli occhi
verso la strega, con un sorriso affilato. «E voi dovete essere la Signorina
Granger. Molto piacere di conoscerla».
Con un riflesso
incondizionato, Hermione gli porse la mano, che però lui non strinse,
fissandola come se avesse avuto paura che potesse rivoltarsi contro di lui e
bruciarlo. Solo dopo vari secondi, imbarazzata, si ritirò, raccogliendo le mani
in grembo.
L’uomo sorrise, assolutamente
non imbarazzato. «Perdonatemi, Signorina, ma io non tocco mai nessuno» spiegò,
con tranquillità. «Inoltre, pregherei entrambi di lasciare le bacchette magiche
e tutte le possibili armi sulla mia scrivania, dove nessuno potrà raggiungerle»
nel dirlo, indicò il tavolo alle sue spalle. I suoi occhietti chiari
indugiarono su Hermione finché lei non fu costretta ad alzarsi e riporre la
bacchetta, ricevendo in cambio solo un cenno stizzito ed un cenno ad
accomodarsi su una delle due poltrone, disposte il più lontano possibile dalla
sedia a rotelle e dalla scrivania. Subito dopo, gli occhi dell’uomo si posarono
sul giovane mago, ma, una volta che lui ebbe deposto la bacchetta, non fece
altro che inarcare le sopracciglia. «Tutte le armi, Malfoy, non credere che non
abbia visto il resto» sibilò quindi
il vecchio, con crudeltà.
Hermione si accigliò e fece
per intervenire, ma, in quel momento, Malfoy ridacchiò, tirando fuori dalle
tasche quelli che avevano proprio l’aria di essere diversi coltellini svizzeri,
oltre che strumenti mai visti prima d’allora.
Posato l’ultimo oggetto nelle
sue tasche, il giovane mago si accomodò accanto alla collega, accavallando
elegantemente le gambe sotto lo sguardo compiaciuto ma ancora preoccupato del
Professore.
«Benissimo» mugugnò il
vecchio, soddisfatto, prendendo a fissarli entrambi con maggiore
interessamento, una volta completamente disarmati. Il punto in cui erano
seduti, così lontani da lui e dalle bacchette, avrebbe impedito qualsiasi
movimento imprevisto. «Beh? Devo anche farmi le domande da solo?» sbottò
quindi, con tono antipatico, allargando le mani come se tutto il tempo perso
fino a quel momento fosse stato esclusivamente causa loro.
Il primo a riprendersi fu
Malfoy. «Ci stavamo semplicemente sottoponendo al vostro esame, professor Rochester» disse, sarcastico. «Non vorremmo mai che le
sfuggisse uno stuzzicadenti nascosto sotto la suola delle scarpe, potremmo
tentare di accecarla» aggiunse, alzando gli occhi al cielo, mentre Hermione, al
suo fianco, tentava disperatamente di intimargli il silenzio.
«Siamo spiacenti del ritardo,
signore, ma siamo stati trattenuti» si scusò immediatamente, con un sorriso
gentile.
«È stato lei a dirci di
venire, Professore. Sa cosa ci interessa, prima parlerà e prima potremo
togliere il disturbo, non crede?».
«Malfoy».
Il professore rise – una
risata roca, graffiante e fastidiosa – impedendole con un cenno di continuare.
«Lo lasci stare, Signorina Granger. Sono abituato a questi modi prepotenti, lui
non è diverso dagli altri studiosi alle prime armi che si presentano alla mia
porta, credendo di conoscere tutto» la rassicurò, mentre il giovane commentava
con un verso sprezzante. «E lei non grugnisca, non è certo un maiale» aggiunse,
divertito. I suoi occhi sembrarono brillare, per un singolo momento. «Siete qui
per lo Specchio delle Anime, se non sbaglio. Il gioiello di Luigi XIV o, com’era conosciuto altrove, l’Occhio di
Dio».
«I suoi appunti sono stati
sufficienti a convincere la mia scettica collega» Malfoy indicò Hermione, con
un cenno del capo. «Ma, adesso, dobbiamo sapere tutto. Non bastano informazioni
estrapolate qui e lì. Avremmo preferito saper tutto via lettera, ma, poiché
ormai siamo qui, immagino che pretendere tutte le informazioni che sono in
vostro possesso non sia così irrazionale».
L’uomo grugnì, probabilmente
non notando l’aria ancora scettica assunta dalla strega. «Il male è nascosto in
piena vista, Signor Malfoy. Dovevo assicurarmi che le informazioni giungessero
a voi ed a nessun altro. Per questo vi chiedo di non divulgare quello che
scoprirete, so bene che al vostro Ministero c’è una talpa non ancora
individuata» borbottò, fermandosi a causa di un brutto colpo di tosse. Estrasse
un fazzoletto dal taschino, asciugandosi un po’ di sangue dall’angolo delle
labbra.
Hermione fu tentata di
chiedergli se si sentisse bene, ma un’occhiata del collega la bloccò sul posto.
Non aspetta altro che una scusa per trattarti male – sembrava voler dire, con quell’occhiata. – Non dargli una scusa per massacrarci di sensi di colpa.
«Stando alle
mie ricerche, lo Specchio delle Anime ha fatto la sua prima comparsa in alcuni geroglifici
egizi, in una piramide minore di Menfi» cominciò l’uomo, indicando il primo
plico di fogli che aveva posizionato davanti a lui, su un grazioso tavolino da
salotto. Sporgendosi, Hermione riuscì appena a notare dei simboli che, però,
non erano comprensibili a lei.
Conosceva
l’antica lingua celtica, conosceva il latino ed il greco. Ma i Geroglifici
restavano ancora un mistero, per lei.
«Era chiamato Occhio di Osiride» continuò il
professore. «Delle iscrizioni riportano che l’Occhio era utilizzato dai Sommi Sacerdoti per conoscere l’avvenire
e la volontà degli Spiriti del Passato. Sembrava, infatti, che lo specchio
riuscisse a mostrare la volontà dei Morti, tenuti, naturalmente, in altissima
considerazione dal grande popolo» sorrise, sarcastico. «Alcuni passaggi dei
papiri ritrovati appartenevano a dei nobili, convinti che i consigli dei Saggi
fossero dei trucchi»
«Cosa ovviamente reale»
convenne Malfoy, divertito. «Anche i bambini sanno che non bisogna fidarsi
delle anime perdute. Se sono buone, allora si arrabbieranno per essere state
disturbate, se, invece, sono crudeli, faranno di tutto per restare in contatto
con il mondo umano e distruggere le vite dei mortali».
«Sta zitto» sibilò Hermione,
con un’occhiataccia. «La prego professore, continui».
L’uomo annuì, scosso da un
altro piccolo colpo di tosse.
«Ebbene, sembra che lo
specchio sia rimasto nei Palazzi Reali d’Egitto fino all’Età d’Oro di Atene,
quando un banale ladro di tombe la consegnò a Pericle» continuò, indicando il
secondo plico. «Lì, lo Specchio venne chiamato Porta dell’Ade e divenne uno dei simboli del Potere Divino tenuti
in maggior riguardo e maggior riservatezza. Sono state trovate pochissime
iscrizioni che vi fanno riferimento e tutte sono zeppe di spergiuri».
«I Greci rispettavano il Dio
Ade» intervenne Hermione, quando notò che Malfoy avesse già aperto la bocca.
Qualcosa, dentro di lei, sembrava volerla riportare ai tempi della scuola. «Ma,
pur rispettandolo come fratello di Zeus, tremavano all’idea di entrare in
contatto con lui. Chi si avvicina all’Oltretomba, di solito ne viene
risucchiato».
Come se non se ne fosse quasi
reso conto, il Professore si portò le prime tre dita della mano destra al
cuore, come se avesse voluto artigliarsi il petto. Hermione riconobbe quel
gesto come un modo per allontanare il malocchio, usato proprio nell’Antica Grecia*.
«Ha ragione, Signorina
Granger, e si può dire che avessero ragione nel volerlo tenere nascosto. Come
accaduto in Egitto, dopo i primi anni di saggi consigli e bellezza, la storia
sembrò ripetersi e lo specchio condusse Atene sull’orlo del collasso. Almeno,
finché non venne condotto, nel 336 prima di Cristo, presso la corte di
Alessandro il Macedone».
Un altro colpo di tosse gli
fece interrompere il racconto e, allora, Hermione non riuscì più a impedirsi di
avvicinarsi per assicurarsi che stesse bene.
L’uomo, però, sembrò stare
meglio di quanto lei pensasse, vista la velocità con cui estrasse una pistola
da dietro le sue spalle, puntandola contro la strega.
Con un gesto brusco, Malfoy
afferrò Hermione per la giacca e la tirò al suo posto, fulminandola malamente
con lo sguardo. La pistola del professore, allora, piuttosto che abbassarsi si
posò su di lui.
«Non ho bisogno del vostro
aiuto, Mostri» sibilò, pallido,
mentre l’arma tremava nella sua fragile mano. I suoi occhietti erano sgranati,
animati da una furia cieca. C’era un terrore tale, nel suo viso, da far tremare
anche l’animo della giovane strega che per prima era stata minacciata. «Se ho
accettato di farvi entrare è stato solo perché sono stato costretto. Ma credetemi, non ho nulla da perdere. Un solo movimento
e sarò felicissimo di macchiare la mia preziosa moquette con il vostro sangue».
Hermione era atterrita.
Pallida, contro lo schienale
della poltrona, si sentì improvvisamente debole.
-Il tuo stupido sangue… credi mi faccia schifo?
«Non facciamoci prendere dal
panico, adesso» con una calma che quasi stonava in quella situazione, Malfoy
alzò la mano destra verso il Professore, guardandolo dritto negli occhi.
L’altra mano, invece, si strinse al braccio della sua collega, tenendola più
indietro possibile. «Vogliamo soltanto le nostre informazioni, professore.
Finisca di raccontare, ci consegni il fascicolo e toglieremo il disturbo» provò
a dire, pacato, stringendo la presa sul braccio di Hermione quando la sentì
tremare.
«Creature infide, voi maghi. Volevate prendermi in
giro, eh? Qual era il suo intento? Eliminare l’unico testimone? Io non dimenticherò» ringhiò il vecchio,
con la mano tremante ancora puntato verso i due. Un rivolo di sangue colava dal
suo naso, ma lui sembrava non volersene curare.
«Tutto ciò che Miss Granger
voleva fare era aiutarla, infido vecchio che non è altro» gli sibilò contro
l’ex Serpeverde, probabilmente rimpiangendo il momento in cui aveva deciso di partecipare
a quell’incontro. «Siamo disarmati e la mia collega non è decisamente capace di far del male a qualcuno, soprattutto non un
vecchio paraplegico. Ho ragione, Granger?».
Dal canto suo, Hermione sentì
di concordare con lui, pur non avendo la forza di aprire bocca. Si limitò ad
annuire nervosamente, infossandosi nella poltrona. Si sentiva colta da un
freddo gelido alle ossa, il petto stretto in una morsa. Tutto ciò che avrebbe
voluto fare, in quel momento, era rannicchiarsi su se stessa e mettersi a
piangere.
Maledizione, non davanti a Malfoy.
«Non ho bisogno dell’aiuto di
quelli come voi» ringhiò il
professore, con l’espressione di qualcuno che avrebbe volentieri sputato loro
contro, se ne avesse avuta la forza. Poi, con disprezzo, abbassò l’arma, indicando
i fogli sul tavolino. «Alessandro Magno tenne di gran conto lo specchio, ci
sono numerosi reperti che fanno pensare al fatto che lo portasse sempre con sé,
ma durante la spedizione in Asia qualcosa
andò storto».
Il modo in cui aveva
semplicemente ricominciato a raccontare fu quasi preoccupante. Parlava
velocemente, mangiandosi delle parole, ma stando bene attento a farsi
comprendere. Non voleva essere accusato di averli ostacolati, forse? Oppure non
voleva che tornassero a disturbarlo, dopo?
«Gli uomini improvvisamente
si stancarono di combattere e Alessandro iniziò a decadere» continuò,
imperterrito il professore, con la pistola ancora bene in vista, sulle sue
gambe. I suoi occhietti saettavano dalla posa ancora difensiva di Malfoy a
quella terrorizzata di Hermione. Non era intenzionato a tranquillizzarsi.
«Alcuni testi rinvenuti nell’Altopiano del Gange fecero pensare che avesse
lasciato lo Specchio in India, dove passò di Principato in Principato. Da quel
momento in poi, la storia è estremamente confusa.
Si pensa sia passato in Italia, forse in Germania. L’ultimo luogo certo in cui
è stato individuato è stato Parigi. Versailles, per essere precisi, alla corte
di Luigi XIV prima e, infine, presso Luigi XVI e Maria
Antonietta d’Austria, nel 1789».
«Fatemi indovinare, è andato
perduto dopo la Rivoluzione?» tentò il Mago, probabilmente tentato di alzare
gli occhi al cielo. «Non ci sono altre notizie?»
Il professore assottigliò lo
sguardo, negando leggermente. «Niente di certo, ma vi dirò una cosa… ovunque
sia stato, lo Specchio ha lasciato una traccia. E la traccia è sempre un indizio».
«Un indizio su cosa?»
«Un indizio sul luogo in cui
si trovava prima di giungere nel
nuovo nido. Lo specchio lascia sempre una traccia. Seguitela
e giungerete alla fonte» disse l’uomo, serio. «Le leggende vogliono che esista
un collegamento, fra la fonte e lo Specchio… andate lì e saprete dove si trova
lo specchio».
«L’avete detto anche a loro?» chiese, all’improvviso, Malfoy,
serio. La sua mano era stretta a pugno, il nervosismo evidente nella postura
delle spalle.
Loro?
Il vecchio ghignò. «Certo che
no. Loro hanno
già lo specchio, hanno soltanto bisogno della prima luna d’inverno per
farlo funzionare. Adesso, per piacere, uscite dal mio ufficio».
«Cosa intende con-?»
«Uscite!»
***
Ciò che più attrae, nei resoconti che sono stati tramandati al
riguardo, è l’attenzione maniacale che è stata posta nello specificare la
negatività che derivava dall’uso [dello specchio].
Nell’Antico Egitto si parlava della Maledizione di Osiride, in Grecia
della Furia dell’Ade. Alcuni storici arrivarono ad ipotizzare che la stessa
Rivoluzione Francese fosse stata una conseguenza dell’uso smodato che dello
specchio fecero i Borboni.
Dalle infinite Ricchezze alle piaghe della carestia, l’Oggetto seminò
distruzione in tutto il Vecchio Continente, portando con sé il nefasto
consiglio dell’Aldilà. I più autorevoli conoscitori dell’Epoca, suggerirono che
non potesse viaggiare per mare, poiché il riflesso di un riflesso avrebbe
imprigionato le anime in fuga in un oblio senza fine.
Quanto alle descrizioni, nessuno conosce con certezza la sua forma
originaria. Gli egizi parlavano di una Sfera Riflettente che riversava sul
Mondo la Saggezza di Osiride, i Greci parlavano di uno scudo dalla lucentezza
mai vista, capace di mostrare le anime sfuggite dall’Ade, ancora gli Artisti
Rinascimentali Italiani parlavano di uno specchio riccamente decorato, con la
cornice incisa dagli angeli.
Nonostante il dubbio sulla forma materiale, tutte le fonti si guardano
bene dal consigliarne la ricerca. Grandi cose, sembra abbia fatto, chiunque ne
sia entrato in possesso. I segreti della Vita e del Trapasso, aperti a costui
come le pagine di un manuale, la Gloria Eterna una promessa ad un passo
dall’essere mantenuta, crollarono tutti con la fragilità del volo di un
pettirosso ferito e fu Disgrazia su loro e su quelli che li seguirono.
Perché nulla vuole la morte, se non Morte stessa.
TheodoreF.Witherspoon, Anima Mundi – Il Mondo Occulto;
Edizione Originale 1939.
***
Ebbene, erano ben poche le
cose capaci di irritare a morte Hermione Granger.
La prima era l’ignoranza
gratuita. Hermione detestava con tutta se stessa le espressioni della
cosiddetta beata ignoranza che la
maggior parte dei suoi amici e colleghi tollerava con graziosa benevolenza.
Naturalmente, Hermione non incolpava nessuno per i propri deficit di
educazione, lei stessa era ben consapevole di peccare in molti ambiti e di non
poter risolvere tutte queste mancanze nel tempo che la vita umana le metteva a
disposizioni. Ma l’esaltazione dell’ignoranza in quanto tale, la presunzione di conoscenza senza alcuna
base razionale… quella era la prima delle poche cose che irritavano Hermione.
-Io lo so che è stato il tuo stupido gatto a mangiare Crosta!
La seconda era la crudeltà
gratuita verso gli esseri più deboli ed indifesi. Dall’essere lei stessa una
creatura che necessitava protezione, aveva acquisito abbastanza conoscenze da
poter agire contro chiunque usasse la prepotenza per vincere. Il C.R.E.P.A. era stato la sua più grande conquista, il suo
più grande vanto. Niente la infastidiva più del vedere un piccolo elfo
domestico costretto a torturarsi per piacere altrui.
-Stupido idiota, dovremmo ordinargli di chiudersi le dita nel forno.
La terza cosa, una novità che
aveva appena scoperto, era il mutismo ostinato in cui Draco Malfoy si
rinchiudeva quando rifletteva su qualcosa di più complesso di un brano di Rune
da principianti.
«Malfoy» chiamò, per
l’ennesima volta, cercando di ottenere l’attenzione del collega, senza il
minimo successo. Il biondo era rimasto chino sul plico di fogli ottenuti dal
professor Rochester dal momento in cui si erano
accomodati nell’angolo più sperduto della biblioteca universitaria, per poterli
studiare.
Di positivo c’era che avesse
lasciato leggere prima lei.
«Malfoy» provò ancora,
spazientita, cominciando a battere leggermente l’indice sulla superficie del
tavolo.
Il biondo si limitò ad un
grugnito ed a qualcosa di simile ad un “shh”.
Ad Hermione andò il sangue al
cervello.
«Malfoy» disse alla fine, a voce alta, sbattendo il pugno sul tavolo
con tutta la forza che aveva in corpo e cercando di metterci dentro tutta la
rabbia accumulata negli ultimi venti minuti.
Proprio quando lui alzò gli
occhi dal plico, con la migliore fra le espressioni atterrite, arrivò il
richiamo furioso della bibliotecaria, che le intimò il silenzio.
«Si comporti bene, signorina,
o dovrò chiederle di uscire! Questa è una biblioteca, faccia come il suo
amico!» le ringhiò contro, fulminandola dall’alto dei suoi occhialini dal bordo
coperto di strass, indicando poi il biondo come se fosse stato un’apparizione
miracolosa.
Per la prima volta in vita
sua, forse a causa della stizza per il rimprovero o forse per la considerazione
di Malfoy come qualcuno degno di stima, Hermione fu tentata di fare la
linguaccia alla nuca di un rappresentate dell’istituzione scolastica.
«Mezzosangue, contieniti» le sussurrò Malfoy, ancora con
l’espressione da nobile principe cui qualcuno aveva sgualcito il mantello.
«Siamo in una biblioteca, non credevo che proprio
tu potessi essere così indisciplinata» la rimproverò, senza tuttavia
nascondere un sorriso sarcastico. «Ah, dev’essere
colpa di Potter e Weasley, ho sempre pensato che fossero una pessima compagnia,
con la loro mania di protagonismo e quel loro essere così… pezzenti».
Fu solo lo spettro del
rimprovero appena subito che le impedì di mettersi a urlare un’altra volta. Si
limitò a stringere i denti, lasciandone uscire un sibilo minaccioso.
«Non parlare così di Harry,
Malfoy. Ricordati che ti ha salvato la vita» gli sibilò contro, godendo nel
vederlo irrigidirsi. Si vergognò subito di quell’emozione, ma non ebbe tempo
per pensare di scusarsi.
«E la donnola? » le chiese, con l’intenzione
manifesta di metterla in difficoltà. «Perché non difendi lui? C’era, nella Stanza delle Necessità».
«Lui è così
abituato ai tuoi insulti sciocchi da non aver più bisogno di essere difeso»
liquidò in fretta la questione, incrociando le braccia al petto. «Adesso che ho
la tua attenzione, ti dispiace dirmi come sei arrivato al Professore e cosa accidentaccio gli è successo? Stava per spararmi» sbottò, a bassa voce, sentendo
perfettamente gli occhietti scuri della bibliotecarie sulla schiena.
Malfoy inarcò
le sopracciglia, poggiandosi allo schienale della scomoda sedia di legno.
«Ignorerò,
per questa volta, il tuo terribile tentativo di cambiare discorso, Granger»
commentò, esasperato, prima di riavvicinarsi a lei, per evitare che potessero
sentirlo ed invitandola a fare lo stesso. Se lei lo accontentò, fu solo perché
sapeva di non poter fare altrimenti. La vicinanza a quell’uomo le metteva
ancora i brividi, nonostante conoscesse bene la sua storia. «AugustusRochester è l’unico
Babbano sopravvissuto alle torture di mia zia» la informò.
L’immagine
di Bellatrix fece capolino nella mente di Hermione,
lasciandole un fastidioso senso di nausea.
«Lo hanno
catturato qualche mese prima della caduta del Sign-»
si fermò, scuotendo lievemente il capo. «Di Tu-Sai-Chi.
Lui temeva per la propria sopravvivenza e voleva lo specchio. A quanto pare, il
maggiore esperto era proprio Rochester» spiegò,
velocemente, guardandosi nervosamente intorno. «È stato il Ministro a
convocarlo, su mia indicazione. Sapevo il motivo per cui era stato condotto da
noi e sapevo che mia zia l’aveva risparmiato, perché poteva esser loro utile».
«Tu non hai
assistito?» gli domandò Hermione, nervosa.
«No, lui non
si fidava di me» disse, per poi sorridere, sarcastico. «Non possiamo dargli
tutti i torti, dopotutto, no?» aggiunse, con un divertimento apparente che però
non contagiò il suo sguardo. «Alla fine della guerra ho continuato a tener
d’occhio il professore, ma non mi sono avvicinato. Ha troppa paura di chiunque,
come hai potuto notare»
«Possiamo
fidarci?»
«Dobbiamo, Mezzosangue» sospirò lui, scuotendo
lievemente il capo. «Loro hanno lo specchio, ma soltanto al primo plenilunio
d’Inverno potranno utilizzarlo. Se riusciremo a trovare la fonte, allora
troveremo loro e li fermeremo».
Hermione strinse
le labbra, puntando gli occhi sul plico di fogli che si trovava fra lei e
Malfoy. Qualcosa non quadrava.
«Perché
hanno aspettato oltre sei anni, per usarlo? Cosa credono di fare?».
«Questo non
posso dirtelo, Mezzosangue» le
rispose, raddrizzandosi sulla sedia. «Ma credo che un viaggio in Francia non ce
lo risparmierà nessuno» aggiunse, con un ghigno divertito e complice. «Stando
agli appunti del Professore, l’ultimo
avvistamento dello specchio risale alla Rivoluzione Francese…»
«Vuoi
andare a cercare la Traccia? A Versailles?»
«Tira
fuori il vestito della festa, Granger, dobbiamo andare a palazzo».
»Marnie’s Corner
Bentrovatie bentornati,
cari amici di EFP!
Come ogni lunedì, rieccomi su efp
per presentarvi un altro capitolo di delirio. Sono sempre più felice ed
emozionata, notando il modo in cui il numero di preferiti/seguiti/ricordati
aumenta.
Grazie, davvero.
A questo punto, però, mi sembra opportuno chiedere: vi piace come si sta
evolvendo la storia? Banale? Complicata? Sono aperta a tutte le critiche.
Punti importanti:
» * Questo gesto
scaramantico appartiene davvero alla
cultura della Grecia classica. Inizialmente credevo fosse frutto dell’ingegno
dell’autore di Percy Jackson, ma ho fatto le mie ricerche e l’ho trovato in più
fonti. Quindi, eccovi serviti! Il professore ha paura
della morte, ma, infondo, di cosa non
ha paura?
» Il professor Rochester
è un mio OC, come al solito, vedete di non metterlo in mezzo senza avermi
avvisata! Come avrete notato, il vecchietto non mi sta affatto simpatico. Diciamo che, dal mio personale punto di vista,
credo che Bellatrix non l’abbia ucciso per dispetto,
vincolandolo ad un’esistenza di dolore. Lui vuole
morire, ma ne ha paura. Diciamo che è
un po’ fuori di zucca.
»Prossima tappa, Versailles! Il prossimo
sarà un capitolo carico di azione (almeno spero), quindi no disperate, la noia
non sarà eterna.
Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato,
i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure
se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.
Grazie ancora a chiunque leggerà, ci
becchiamo lunedì (o nel weekend!) prossimo,
Capitolo 6 *** Atto IV/Parte I - Il gioiello di Luigi XIV. ***
Stando alle cronache del Tempo, lo Specchio possiede una carica magica
pari ad altri grandi manufatti della storia, come il Labirinto di Minosse o
l’Arca dell’Alleanza
LoSpecchiodelleAnime.
Per la sua luce, che illumina i corpi celesti
che lo circondano come una corte,
per i suoi raggi, che distribuisce equamente a tutti,
per il bene che porta in ogni luogo, generando vita, gioia, azione,
per la sua costanza che non muta mai,
io scelgo il sole come l’immagine che può più
magnificamente rappresentare un grande condottiero.
[Luigi XIV]
Atto IV – Parte I
Il gioiello di Luigi XIV.
Stando alle cronache del Tempo, lo Specchio possiede una carica magica
pari ad altri grandi manufatti della storia, come il Labirinto di Minosse o
l’Arca dell’Alleanza. Molteplici, infatti, sono state le testimonianze di
eventi inspiegabili nei luoghi e nei Tempi di cui lo Specchio è stato
protagonista. L’avvertimento che ne deriva è sempre lo stesso, un monito al
futuro ed a coloro che ne desiderano il potere. La Morte protegge se stessa,
suo interesse è preservarsi nel Tempo e preservare il suo dominio.
Cercarlo conduce alla rovina, antica è la Magia che lo protegge.
Perché niente può vedere la Morte, se non Morte stessa.
TheodoreF.Witherspoon, Anima Mundi – Il Mondo Occulto;
Edizione Originale 1939.
***
Quel giorno, lo studio puzzava
di gardenie, il che, per Hermione, fu un immenso miglioramento.
Il dottor Crave
era stravaccato sulla sua poltrona, quando lei entrò, e non la degnò del minimo
sguardo, tanto sembrava preso dalla lettera che aveva fra le mani.
«Buongiorno, dottore» salutò
allora la strega, sperando di essere educata e convincerlo a dedicarle un
minimo d’attenzione. «Spero di non essere arrivata troppo presto» si scusò poi,
con un leggero sorriso, nonostante il suo tono fosse tutt’altro
che dispiaciuto.
«Non scusarti, se in realtà
sei convinta di aver ragione» la riprese infatti il dottore, sollevando lo
sguardo dal suo foglio solo un momento, per poi indicarle la poltrona. «Trovo
che la falsa educazione sia più insopportabile del falso buonismo».
«Immagino sia per questo che
si sforza tanto di essere un terribile padrone di casa» ribatté lei, alzando
gli occhi al cielo ed accomodandosi, senza sembrare intenzionata a
lasciargliela passare liscia. A dirla tutta, le sembrava di aver infierito
poco. «Non le sembrerebbe più corretto mettere da parte le sue cose, ora che
sono qui? Non sono in anticipo e pago sempre l’ora completa, immagino sia
quantomeno giusto, da parte sua, fare il
suo lavoro, come ogni persona degna di questo nome» sputò infatti,
velenosa, incrociando le braccia al petto e fissando ostentatamente il camino
spento.
Dietro le sue carte, il
dottore sospirò.
«Dimmi un
po’, mia Fior di Loto… com’è andato
il tuo primo incontro di lavoro con il nuovo collega?» le domandò, mettendo da
parte i documento per lanciarle una lunga occhiata inquisitrice. Sembrava
annoiato da lei, o, per essere più precisi, più annoiato del solito. «Immagino
che tu ti senta molto felice, non è
così?»
Hermione
avrebbe voluto intavolare una discussione adulta, seria, basata su presupposti
oggettivi ed innegabili.
«Quel
dannato furetto!».
Ma non ci
riuscì.
«Naturalmente
no, hai qualcosa di cui lamentarti» sospirò il dottore, mettendo da parte i
suoi poveri documenti per dedicarle tutta la sua attenzione. Non sembrava
affascinato, probabilmente perché consapevole che lei non avrebbe fatto altro
che lamentarsi, lamentarsi e lamentarsi.
«Qual è stato il problema?» chiese infine, scoraggiato.
«Non mi
guardi come se fossi una bambina viziata, dottor Crave»
lo riprese la strega, incrociando le braccia al petto. Era così nervosa che se
avesse avuto Malfoy fra le mani lo avrebbe volentieri ridotto ad una poltiglia
gelatinosa. «Quell’incommensurabile idiota
mi ha quasi fatta uccidere, durante la missione! E tutto perché non se l’era
sentita di raccontarmi la verità,
come invece avrebbe fatto ogni persona dotata di buon senso, etica del lavoro
e-».
Con un gesto
brusco, Crave la fermò. «Dimmi la verità, mia cara…
al suo posto, tu ti saresti avvisata?» le chiese, accigliato. I suoi occhi
scuri brillavano di ilarità. «Mi hai detto che siete stati a scuola insieme,
non è così?» le chiese allora, forse nel tentativo di aggirare il discorso.
«Cosa
c’entra questo? Eravamo bambini, anni
fa non mi rendevo conto…».
«Silencio!» sbottò il medico, muovendo appena la
bacchetta, estratta dalla tasca senza che la strega riuscisse anche solo a
rendersene conto. «Devo farlo subito, la settimana prossima. Mi risparmierò un
gran mal di testa, non lo credi anche tu?» le disse poi, allegro, nonostante
lei stesse mimando delle minacce abbastanza chiare e coincise. «Adesso,
rispondi pure alla mia domanda».
Con una
faccia scura degna della Professoressa McGranitt, Hermione si limitò ad
annuire.
«Benissimo,
benissimo… eravate compagni di scuola e lui era un razzista purosangue, esatto?».
Annuì ancora
una volta, più arrabbiata di prima.
«Quindi si
può dire che abbia patito, come tutta la scuola, la maledizione della compagna so-tutto-io,
esatto?».
Un ostinato
silenzio fu l’unica risposta che ottenne da Hermione.
«Non
biasimarlo, Fior di loto, non puoi
avere la certezza che al suo posto non ti saresti comportata in quel modo.
Tutto, pur di avere un vantaggio. È sempre così, quando esistono vecchi scontri
mai risolti» le disse il dottore, con un sorrisino enigmatico.
-Scontri?
Per un
attimo, Crave sembrò sulle spine, come se avesse
rivelato qualcosache sarebbe stato
molto meglio tenere per sé. Poi, con un sorriso ed un sorso dal bicchiere che
aveva poggiato sul tavolino, si riprese. «Mia cara, come potresti non aver
avuto scontri? Eravate a scuola insieme, lui era un purosangue razzista e tu
una Nata Babbana che di certo non ha paura a far valere le sue opinioni»
spiegò, inarcando le sopracciglia. «Non esiste nessuna giustificazione al mondo
che mi farà ricredere sul fatto che, come minimo, gli avrai assestato un
cazzotto sul naso».
Vagamente
compiaciuta di se stessa, Hermione alzò l’indice.
«Una volta
sola, eh? Secondo me lo ricorda alla perfezione» ridacchiando, l’uomo la indicò
con un cenno del capo. «Quelle mani sono abituate a sollevare libri
pesantissimi, come minimo gli avrai lasciato un segno».
Il
compiacimento di Hermione aumentò a dismisura.
«Quindi ti
hanno quasi uccisa?».
-Sparato.
«Insolito
che un mago voglia usare una pistola» commentò il dottore, stingendosi nelle
spalle. «Ma non mi interessa davvero, volevo solo capire se ti fossi calmata un
po’» la fermò, con un gesto elegante. «Voglio sapere… cosa pensi, ora, del tuo
collega?».
Hermione non
dovette riflettere molto, sulla risposta.
-Borioso.
Il dottore
sorrise, come se concordasse. «E poi?».
-Presuntuoso.
«E poi?».
Questa
volta, Hermione si fermò per qualche istante, riflettendo su come le fosse
apparso Malfoy. Infine, accigliata, puntò lo sguardo sul dottore.
-Solo. Debole.
«Non lo sei
pure tu, dopotutto?».
***
Uno dei sogni che
Hermione Granger non era ancora riuscita a realizzare era quello di poter
viaggiare per il mondo. Certamente, grazie al lavoro le occasioni non erano
mancate: aveva visitato il Ministero francese, quello tedesco, quello Bulgaro.
Anche Ronald, nei pochi anni di tranquillità, l’aveva portata fuori: a casa dei
genitori di Fleur per il compleanno di Victoire, a casa di Charlie per il suo
fallito fidanzamento con una strega rumena, in una prigione belga per pagargli
la cauzione dopo un’ubriacatura molesta all’addio al celibato di George.
In poche parole, Hermione Granger aveva girato il mondo.
Ma non a modo suo.
Perché, sì, forse era un po’ un clichè, ma lei desiderava
davvero visitare i tipici centri di attrazione delle città storiche, tutte quelle
località più adatte ad un manuale di storia piuttosto che ad una brochure da
agenzia immobiliare.
E Versailles – oh, Versailles!
– era la prima fra quelle località. Niente le avrebbe potuto rovinare
quell’esperienza, neppure le orde di turisti che soffocavano il castello per
tutto il giorno. Sarebbero stati solo lei, i quadri, i giardini e…
«Granger, ti avevo detto di prendere il vestito della festa! Non ti avevo detto certo di
svaligiare l’armadio di tua nonna!».
E Malfoy.
Una vena iniziò a pulsarle nella tempia destra, mentre il
biondo le girava attorno con il suo elegantissimo completo dall’aria
straordinariamente babbana, fissando
il suo semplice vestito rosa come se fosse stato cucito unendo insieme
brandelli di carne umana ancora sanguinanti.
«Il mio vestito non ha niente che non vada» provò a
dirgli, con una calma che, davvero, non le apparteneva, incrociando le braccia
al petto e ringraziando di avere ancora addosso il cappotto. Sotto quello
sguardo accusatore, pur essendo davvero
convinta che il vestito andasse bene, le sembrava di non valere più di uno zellino.
«Per il club del libro, magari» ribatté Malfoy, con una
smorfia. «E questo colore, Granger!
Sei forse diventata pazza, oltre che cieca?» continuò, con una smorfia,
fermandosi davanti a lei per guardarsi intorno ed assicurarsi che nessuno li
stesse fissando. «Mi aspettavo qualcosa di meglio, dal modello di riferimento delle giovani streghe di oggi…».
«Malfoy» il suo
tono sfiorò note particolarmente minacciose, con quel singolo avvertimento.
«No, non va assolutamente bene, Granger. Dobbiamo andare sotto copertura, in una festa cui
parteciperà la vecchia nobiltà di sangue e di portafogli di mezz’Europa, con
questo vestito ti scambieranno per una cameriera» stava dicendo intanto lui,
scuotendo ancora la testa, sempre più corrucciato. Le sue dita sfiorarono per
un attimo la leggera gonna rosa, facendo frusciare il tessuto certamente non
degno delle mura del castello.
«Non avevo niente
di più elegante, d’accordo? Non sono un tipo che va alle feste e… e… » strinse
le labbra, piena di stizza. «Mi hai detto della festa solo poche ore fa, non ho
avuto modo di organizzarmi» ammise, con un sospiro sconfitto, pronta a ricevere
la valanga di derisioni che, sicuramente, ne sarebbe seguito.
«Granger…» Malfoy la fissò come se fosse impazzita. Il
cuore della strega precipitò fra i suoi piedi, assolutamente impreparato
all’umiliazione.
-Sei una stupida,
sciocca ragazza… Cosa vali, senza di me? Nulla…
«Granger, sei una strega o cosa?» disse invece Malfoy,
inarcando le sopracciglia, prima di sollevare la bacchetta e puntargliela
contro. «Direi che il color pervinca ti dona di più. E chiffon, non quel… coso» rifletté ad alta voce, mentre lei
lo fissava senza saper cosa dire. Semplicemente, era troppo sconvolta anche
solo per pensare.
Un gesto della bacchetta di lui, ed il suo vestito si
trasfigurò in una riproduzione quasi perfetta dell’abito che lei stessa aveva
indossato al ballo del ceppo, quasi dieci anni prima.
«Molto meglio, Granger. Ho scelto l’unico abito decente
che tu abbia mai indossato in mia presenza, non prendertela se suona
ripetitivo» le spiegò, raddrizzando le spalle, incurante degli occhi ancora
spiritati di lei. «Adesso, ricorda: io sono Bryce Morgersten
e tu sei la mia fidanzata, Margot Sinclair. Comportati come un’ereditiera degna
di questo nome e nessuno ci scoprirà» la avvertì, afferrandole la mano sinistra
per far scivolare un anello all’anulare, mentre, davanti a loro, le porte
scelte come ingresso per quella serata venivano spalancate. Prima di voltarsi,
le prese il braccio, gonfiando il petto. «Calati nella parte, Granger».
Come riscuotendosi all’improvviso, Hermione lo fissò,
indignata, puntandogli contro l’indice della mano destra. «Io non mi spaccerò
per la tua stupida fidanzata, Malfoy! Quando hai ideato questa copertura?
Perché ci serve una copertura?»
sbottò, irritata, girandosi per fissarlo come se le avesse appena assassinato
il gattino.
Anche se con ogni
probabilità sarebbe stato il gattino ad uccidere lui.
Malfoy la fissò con disprezzo per qualche istante, prima
di sospirare. «Quanto credi ci metteranno a scoprire che il Ministero trama
qualcosa, se ti presenterai ad una festa in cui ovviamente non c’entri nulla?» le disse, con tono di prepotente
superiorità. «Non ci sono maghi, questa sera, ma qualcuno di loro potrebbe
avere familiari invischiati nel nostro mondo… Hermione Granger e Draco Malfoy
non sono nomi che si dimenticano facilmente» spiegò, come se lo stesso fatto
che lei avesse chiesto fosse stato un insulto. «Oltretutto, Granger, di certo
non puoi spacciarti per mia sorella,
non credi? Ed è più facile giustificare l’improvvisa sparizione di una coppia
di fidanzati, specialmente in un castello come questo». Assottigliò lo sguardo,
fissandola con divertimento e malizia. «Tu e la donnola siete stati insieme per
anni, possibile che non vi siate mai defilati da una festa?».
Hermione si irrigidì, fissando il vuoto oltre il capo
biondissimo di lui. «Chi ti dice che non lo facciamo ancora?» gli chiese,
stizzita, nascondendo i pugni fra le pieghe dell’abito. Non avevano mai
annunciato pubblicamente la separazione, proprio per evitare domande e
curiosità. Motivo per cui Molly Weasley si sentiva ancora autorizzata ad
invitarla alle riunioni di famiglia.
«Non sono stupido, Mezzosangue»
le disse lui, divertito, prendendole la mano sinistra su cui brillava l’anello.
«Primo punto, non è apparso per minacciarmi di comportarmi bene, è solo
arrivata una lettera di Potter ed un bigliettino amichevole della sua ragazza Weasley» cominciò, mantenendo il suo
ghigno sardonico. «Oltretutto, qualche anno fa tutti i giornali hanno
proclamato il vostro fidanzamento, mentre qui, a questo bel ditino, non ho mai
visto alcun anello. E non solo oggi. Quindi, per piacere, non insultare la mia
intelligenza e neppure la tua. Se finalmente hai capito di aver sempre avuto a
che fare con un pezzente, buon per te».
Detto questo, sollevò la mano sinistra di lei, lasciandole
un bacio leggero all’altezza dell’anello.
Hermione lo fissò, prima di guardarsi la mano. Il
solitario era almeno due volte grande quello che Ron le aveva scelto, più di
tre anni prima, e lei non era neppure certa che fosse falso. «Non è piccolo,
per essere il solitario di un’ereditiera?» domandò quindi, con la voce ridotta
ad un pigolio.
«Adesso sì che mi piaci, Granger».
***
La Sala degli Specchi si sviluppava davanti ai suoi occhi,
come un lungo corridoio affollato. Uomini e donne dagli accenti stranieri si
accalcavano negli angoli, ballando qui e lì e fissandosi l’un l’altro con reciproco
interesse e disprezzo. Le candele donavano all’ambiente una barocca sfumatura
dorata, gli specchi riflettevano fra loro le fiammelle come mille e mille soli,
mentre un leggero valzer danzava nell’aria.
Per un momento, Hermione pensò davvero di essere nella
Parigi del Re Sole.
Erano arrivati alla festa da poco più di due ore, eppure
lei non era riuscita a scorgere nessuna delle bellezze del palazzo. La strada
per il salone era stata praticamente oscurata, lasciando che fossero
maggiordomi con candelabri ad aprire la via. Delusa, non era riuscita a far
altro che accettare i cocktail leggeri serviti da giovani cameriere e fingere
di interessarsi al chiacchiericcio che li circondava.
Ma la noia durò soltanto finché non raggiunsero il centro
della Sala, dov’era raccolta la creme de la creme dei partecipanti.
«Ah, il caro
Lord Morgerstern!» chiocciò una donna estremamente
grassa ed incredibilmente truccata, scansando giovani ballerini colpendoli
alternativamente con pancia o sedere. I gioielli che indossava – a partire
dalla collana con zaffiro fino alla tiara intonata – dimostravano con assoluta
chiarezza quanto importante fosse la sua pozione in una qualche monarchia
europea. Il suo accento faceva pensare al mondo germanico, ma Hermione non
l’avrebbe giurato. «Mio caro, mio caro… credevo non sareste più arrivato, ja» continuò,
piazzandosi davanti a loro con un gran sorriso incoraggiante.
A quella distanza, quella donna le ricordò incredibilmente
lo zio di Harry. Stesso collo taurino, grossi occhi sporgenti ed il naso più
simile a muso di un porcello che ad una qualche appendice umana. Anche la mano
che porse a Malfoy, affinché lui la baciasse, sembrò più simile ad una zampa
che ad un arto.
«Mia cara contessa VonHarrach» la salutò lui, professandosi in un inchino con
baciamano degno della miglior educazione purosangue. «Vi trovo strabiliante, questa sera. Da togliere
il fiato» la adulò, con un sorriso delizioso.
Il modo in cui lei arrossì fece venire la nausea alla
povera Hermione.
«Non ci vediamo dalla festa di Baronessa De Berger… brutto mascalzone, scommetto che tu è andato via
con la figlia dell’arcivescovo, ja? Mentre tutti
si spaventavano per ladro!» lo rimproverò, bonaria, dandogli delle pacche
compiacenti sulla mano che ancora non gli aveva mollato. Allora, come se
l’avesse appena notata, puntò gli occhi su Hermione, sgranandoli. «Ma dico… tu
sei forse venuto con fidanzata? Perché non me l’hai detto, io non voleva
metterti nei pasticci…» disse, sbattendo le sopracciglia con l’aria di qualcuno
che fosse davvero tanto dispiaciuto
di aver fatto un guaio.
Che stronza.
«Contessa, mi permetta di presentarle la mia fidanzata,
Lady Margot Sinclair» presentò, indicando la giovane strega con un cenno
elegante della mano, il sorriso affabile per nulla intaccato. «Tesoro mio, ti presento la Contessa HildegardeVonHarrach, di Vienna» continuò, facendo un cenno ad Hermione
affinché anche lei sorridesse e rispondesse alla vigorosa stretta di mano della
vecchia grassona.
Le mani
sudaticce, che orrore.
La donna non si curò di lei più di tanto. Ritirata la
mano, guardò nuovamente Malfoy, riporgendola a lui
affinché la baciasse nuovamente. «Io devo andare, ospiti stanno aspettando, voi
mi scusate» disse, parlando al plurale pur ignorando la giovane strega. Allora,
senza attendere oltre, sparì nuovamente fra la piccola folla, spingendo qui e
lì i poveri partecipanti.
Uno strano silenzio sconvolto aleggiò fra Hermione e
Malfoy, mentre entrambi fissavano il vuoto lasciato dal sederone
bardato di seta e chiffon della Contessa. Poi, senza poterne fare a meno, lei
scoppiò a ridere, tentando disperatamente di nascondersi dietro la mano per non
essere additata come stracciona e poveraccia.
Fortunatamente, Malfoy non sembrò sorpreso da quella
reazione. Anche lui, senza pensarci due volte, si sciolse in un sorrisino
divertito.
«Andiamo a ballare, Granger, fermi qui potremmo farle
credere di voler ancora parlare» le disse, afferrandola per un braccio e
trascinandola, seppur delicatamente, fra il piccolo gruppo danzante. Non le chiese
se fosse capace, non le chiese il permesso: semplicemente, Malfoy decise di
ballare e lei non poté far altro che assecondarlo.
Se solo non avesse avuto così tante domande per la testa,
non gli avrebbe di certo permesso di comportarsi in modo tanto villano e
presuntuoso. Poteva fingere di essere una sciocca ereditiera fidanzata con un
campione di salta fra le lenzuola –
come un giorno sua madre aveva definito un attore famoso – ma restava comunque
Hermione Granger.
Oppure – le suggerì una
voce nella sua testa, terribilmente simile a quella del dottor Crave – stava morendo
dalla voglia di ballare come una vera principessa francese e neppure il fatto
che il suo accompagnatore fosse Malfoy
avrebbe potuto scoraggiarla.
«Ti conosceva già come Lord Morgernstern,
com’è possibile?» gli chiese a voce bassa, dopo essersi integrati perfettamente
nel gruppo danzante.I suoi occhi
corsero velocemente alle persone intorno a loro, disinteressati come non
sarebbero mai potuti essere, se effettivamente la presenza di entrambi fosse
stata inaspettata. «E non tergiversare, Malfoy, ricordati che io so quando menti».
Il giovane rampollo Malfoy sorrise, facendola volteggiare
in quella sala come se avesse avuto la scopa sotto i piedi. «Il mio lavoro mi
ha portato spesso ad usare quel particolare pseudonimo» rispose, dopo qualche
istante, gli occhi fissi nei suoi. Lui
non aveva bisogno di guardarsi intorno o di guardarsi i piedi, non aveva paura
di investire con altre coppie o, peggio, pestarle i piedi.
Dannato Malfoy.
«Sei un esperto d’arte» ragionò lei, accigliata. «Per
quale motivo hai dovuto inventarti uno pseudonimo? Se solitamente recuperi arte
magica antica, allora il nome dei Malfoy avrebbe potuto soltanto giovarti»
aggiunse, guardandolo in viso abbastanza a lungo da notare, con curiosità, il
formarsi di una piccola ruga fra gli occhi.
Non le piacque quell’espressione contrariata, le venne
un’insopportabile voglia di allungare la mano per spianare le pieghe e farla
sparire. Fortunatamente fin da ragazza aveva imparato che il controllo di se
stessa fosse l’unica strada per sopravvivere in situazioni emotivamente e
psicologicamente stressanti.
E Draco Malfoy
era estremamente stressante.
«Generalmente devo recuperare artefatti magici dai babbani
e, per loro, il nome dei Malfoy non rappresenta nulla, non abbiamo più un
titolo nobiliare dalla fine dell’Ottocento» le disse, mantenendo
quell’irritante espressione. Questa, anzi, peggiorò, prima di essere sostituita
da un sorriso sarcastico. «Quanto ai maghi… dubito di ottenere più di qualche
porta in faccia ed una sequela di insulti, Mezzosangue,
dopo quello che è successo».
Dopo la guerra.
Dopo essere stati salvati dalla prigione grazie all’intervento di Harry.
Imbarazzata, Hermione decise di non continuare su quella strada.
Ricordare a lui ed a se stessa il passato da cui stavano tentando
disperatamente di fuggire non avrebbe risolto molto, lasciandoli semplicemente
in preda al rimpianto ed al dispiacere.
Si schiarì la voce, volteggiando con lui lungo la sala.
«La figlia di un arcivescovo,
Malfoy?» chiese allora, inarcando le sopracciglia. Era stato uno dei quesiti
che la contessa aveva sollevato e, in quel momento, sembrava l’unico
relativamente innocuo.
Lui si accigliò, fissandola come se avesse appena chiesto
una sciocchezza. Poi, decidendo forse che non ne valesse la pena, si strinse
nelle spalle. «MarygoldMiller,
figlia illegittima dell’arcivescovo di Canterbury» spiegò, tranquillo. «Una
ragazza scialba, senza alcun interesse particolare e con la sfera emotiva di un cucchiaino» disse, separandosi
dalla stretta per far girare Hermione su se stessa.
Lei, tornata al suo posto, lo fissò fra l’irritato ed il
confuso. «Una babbana, per lo più insignificante»
iniziò, con il tono di voce più dispregiativo – verso lui, naturalmente – di
cui fosse in possesso. «Per quale motivo ti saresti allontanato con lei?».
Questa volta, Malfoy la guardò con sincera
delusione, come se quelle domande, alle sue orecchie, fossero suonate
assolutamente inappropriate. «Il fatto che fosse babbana non mi avrebbe
fermato, se fosse stata interessante. Un vecchio amico ha già provveduto ad
istruirmi al riguardo» le disse, accigliato. «Era così scialba che nulla mi
avrebbe spinto ad allontanarmi con lei, quella sera, se non per accompagnarla
alla sua auto e far sì che tornasse a casa sana, salva e vestita».
«Ma la Contessa sostiene che tu sia sparito nel nulla»
ribatté lei, bene intenzionata a non farsi prendere per i fondelli. Per quanto
le sembrasse assurdo, pareva proprio che Malfoy volesse farsi bello ai suoi
occhi, mostrandosi come il gentiluomo che certamente non era.
A quel punto, lui scoppiò a riderle in faccia. «Ah, Mezzosangue, devo dire che per essere la
strega più brillante della nostra generazione a volte sei decisamente tonta» le disse, zittendola quando la
vide gonfiare le guance per ribattere. Sembrò anche sul punto di spiegarle il
motivo, ma il suo orologio da taschino vibrò leggermente, facendoli trasalire
entrambi. «Sono le undici, Mezzosangue» la
avvertì allora, danzando verso il bordo dello spazio lasciato ai ballerini.
Fermatasi, lei lo guardò accigliata. «E allora?».
«Gli ospiti sono abbastanza ubriachi da notare la nostra
fuga ma non così tanto da dimenticarsi di averci visto insieme. Se tutto andrà
come previsto, crederanno in una nostra fuga romantica in qualcuna delle
stanze» le disse, velocemente, prendendola per mano e trascinandola dietro una
colonna, sorridendo poi malizioso ai curiosi lì intorno.
Il modo in cui annuirono e si allontanarono convinse
Hermione che quell’allontanamento fosse procedura consueta per le coppiette
altolocate.
«E adesso?» gli chiese, nervosa.
«Adesso farai quello che ti dirò e, forse,
riusciremo a completare la missione senza farci ammazzare o, peggio,
arrestare».
O peggio, arrestare? Quell’uomo doveva decisamente
riordinare le sue priorità.
***
Vai nella camera
della Regina, io andrò in quella del Re.
Così le aveva detto quello spocchioso idiota,
accompagnandola fuori dalla Sala degli Specchi. Doveva cercare tracce dello
specchio nella camera di Maria Antonietta, mentre lui
si sarebbe dedicato a quella appartenuta a Luigi XIV. Erano loro due, infatti,
i migliori candidati al possesso del peggior strumento nella storia
dell’umanità.
Il sovrano che
visto risplendere la Francia, la Regina che l’aveva vista cadere.
A rigor di logica, uno di loro avrebbe dovuto possedere
l’artefatto maledetto, tenendolo, come avrebbe fatto chiunque, nel luogo più
intimo e più inviolabile possibile. Per quanto affollate, le camere da letto
reali erano come dei sanctasanctorum.
Quantomeno, quella era stata l’opinione di Malfoy, prima
che si smaterializzasse con un po’, forse senza neppure accertarsi se qualcuno
fosse a portata d’occhio e potesse scoprirlo.
Fra la Sala degli Specchi e la camera della Regina, c’era
la Sala della Pace, completamente al buio, silenziosa, un vuoto fra il nulla
assoluto delle stanze chiuse al pubblico e la festa rumorosa. Una parte di
Hermione – quella più coraggiosa – le intimò di correre, di trovare la porta e
recarsi immediatamente nel luogo indicato. L’altra – quella vigliacca che, per
tutta la durata della guerra, aveva fatto sentire la sua vocina nei momenti
meno opportuni – le ordinò di andare piano ed utilizzare l’incanto Lumos, per essere certa di non inciampare.
Fu quest’ultima a vincere. Dopotutto, nessuno degli ospiti
si sarebbe avventurato lì o avrebbe potuto scorgerla, viste le tende pesanti
che separavano gli ambienti.
Un movimento del polso, e la luce azzurrognola che scaturì
dalla bacchetta illuminò l’intera stanza come se fosse stato pieno giorno.
Ciò che vide, fece tremare le ginocchia alla strega.
Le decorazioni in oro rilucevano di uno splendore antico,
meraviglioso, i visi dipinti sembrarono vibrare di vita. La storia racchiusa
fra quelle quattro mura quasi la soffocò.
Se avesse potuto, Hermione Granger si sarebbe sciolta in
un mare di lacrime.
«Mezzosangue».
Rettificando: se avesse potuto, Hermione Granger avrebbe
ucciso Draco Malfoy con incredibile efferatezza ed utilizzando esclusivamente
le proprie mani.
«Sei forse impazzito?»
gli sibilò contro, dandogli un pugno sulla spalla e portandosi poi la mano al
cuore. «Se avessi avuto problemi di cuore, probabilmente sarei morta, dopo lo
spavento che mi hai fatto prendere! È normale, questo tuo apparire alle spalle
delle persone? Non hai nulla da fare? Hai già controllato le stanze del Re? Io
non sono riuscita neppure ad arrivare in quella della Regina» sbottò,
borbottando le domande una dopo l’altra, senza quasi riprendere fiato.
Per qualche motivo, si sentì in colpa.
Diversamente da quanto si sarebbe immaginata, Malfoy la
fissò preoccupato, allungando la mano per fermarle il braccio. In silenzio, la
fissò per qualche istante, avvicinandosi al suo viso per avere una migliore
visuale dei suoi occhi. Dovette notare qualcosa di preoccupante, perché le posò
anche l’altra mano sulla spalla.
«Hermione, io sono stato via per oltre un’ora e tu sei nella stanza della Regina».
Qualcosa, dentro di lei, scattò sentendo quelle parole.
Più di un’ora. Ma
lei era rimasta da sola soltanto pochi minuti, no? No?
«Cosa sono questi?» le chiese Malfoy, abbassando gli occhi
sul suo braccio scoperto. Seguendo il suo sguardo, Hermione vide chiaramente
una linea rossa fatta col rossetto che teneva sempre nella borsa. Rossetto che,
in quel momento, giaceva accanto ai suoi piedi. «Mezzosangue? Devi forse dirmi qualcosa?» tentò ancora Malfoy,
decisamente più preoccupato, stringendo la presa sulle sue braccia.
Il cervello cominciò a ronzarle a tutta velocità, le
informazioni che si accavallavano fra loro e si consumavano nel nulla, come se
qualcosa le stesse impedendo di ricordare.
«Hai detto di non essere andato via con la figlia
dell’arcivescovo» disse invece, alzando gli occhi in quelli del mago. Era
confusa ed arrabbiata perché non riusciva a comprendere cosa le stesse
sfuggendo, concentrarsi su altro l’avrebbe soltanto aiutata.
Probabilmente preoccupato per la sua salute mentale,
Malfoy annuì.
«Però sei sparito nel nulla, mentre gli altri si
preoccupavano per il ladro».
Con un sorrisino, Malfoy annuì nuovamente.
Hermione si accigliò. «Ho motivo di credere che il ladro
non sia mai stato trovato?» chiese, sperando dentro di sé di sbagliarsi
completamente e di aver semplicemente scelto una delle tante teorie assurde che
ronzavano per la sua mente.
Ma il sorriso di Malfoy parlò per lui.
«Sei tu!» sbottò
allora lei, gli occhi sgranati per l’orrore e l’indignazione. Si separò dalla
sua stretta, facendo un balzo indietro, la bacchetta ancora illuminata puntata
contro il suo petto. «Brutto… brutto mascalzone! È per questo che sei qui? Vuoi
rubare lo specchio?» gli chiese, con
un balbettio nervoso, trattenendo l’istinto di schiantarlo e calpestarlo
ripetutamente con i tacchi a spillo. «Tu… tu… tu sei un ladro! Draco Malfoy, il riccastro dei miei stivali, che ruba manufatti! Devo avvertire il
Ministro! Non ti permetterò di ostacolare la missione!».
Lui sembrò divertito da quella reazione. «Sono uno
studioso d’arte, Mezzosangue, ed il Ministro sa benissimo qual è il mio lavoro. Per questo motivo mi ha assunto» le
disse, allegro come una comare impicciona. «Quanti babbani sarebbero disposti a
cedere manufatti antichissimi, altrimenti? E, prima che tu possa iniziare con
la tua inutile diatriba, sappi che generalmente lavoro proprio per conto del
Governo, per recuperare tesori perduti, non sono un banale ladruncolo da
quattro zellini!».
Il Ministro
sapeva.
«Mi stai prendendo in giro?» gli sussurrò in risposta,
arretrando di un altro passo. «Perché mai il Ministero dovrebbe chiedere aiuto
ad uno come te?».
Malfoy sorrise. «Perché, mia cara Mezzosangue, sono quelli
come me che consentono a quelli come te
di restare comodamente seduti alle proprie scrivanie, senza preoccuparsi di un
babbano improvvisamente maledetto o di un castello infestato da un oggetto
demoniaco» spiegò, alzando la mano per impedirle di ribattere.
Hermione era intenzionata ad ignorarlo, davvero, ma poi i
suoi occhi si sgranarono e quella stessa mano indicò qualcosa alle sue spalle.
Ed allora Hermione ricordò.
A guardia della Traccia lasciata dallo specchio c’era una
creatura quasi sconosciuta, pur essendo una delle peggiori mai esistite.
Il verme della
memoria.
***
Che Draco Malfoy non avesse mai amato le lezioni di Cura
delle Creature Magiche non era mai stato un mistero. Dall’incidente con quello stupido
ippogrifo, i suoi rapporti con gli animali erano stati limitati a qualche
cagnolino di tanto in tanto ed ai pavoni albini di Villa Malfoy.
Quello che aveva davanti non era sicuramente un cane.
Alto il doppio di una persona normale, grosso quando una
mucca, il verme della memoria li fissava facendo sibilare le tenaglie che aveva
ai lati della bocca. Era verde, viscido e silenzioso come poche cose al mondo.
Doveva esserlo,
per attaccare le sue vittime alle spalle e cibarsi dei ricordi.
«Granger… cosa facciamo?» domandò alla strega, ancora
impalata davanti a lui, la bacchetta alta. La osservò tremare leggermente ed
arretrare, mantenendo però il contatto visivo con la bestiaccia.
«Il verme della paura attacca alle spalle» gli rispose
lei, con voce tremante. «Oppure quando non lo si guarda. Se gli terrò gli occhi
puntati addosso, tu potresti arrivare alla Traccia» propose, nonostante non
sembrasse molto convinta.
«Potresti distrarti un attimo e farti divorare, Granger.
Ed io potrei benissimo lasciarti qui e darmela a gambe, lo sai?» mormorò lui, cominciando
tuttavia ad aggirare la bestia. Forse tenerla impegnata avrebbe aiutato
entrambi ad uscirne vivi. «Ti fidi di me a tal punto, Mezzosangue?» le domandò quindi, osservandola con la coda
dell’occhio.
La vide tremare leggermente, ma mantenere lo sguardo
fisso. Per evitare di cedere alla tentazione di sbattere le palpebre, ne
chiudeva prima uno e poi l’altro.
«Non mi fido di te, Malfoy» gli rispose, con voce ferma ma
carica di terrore. «Ma, in questo momento, sei l’unica speranza che ho per
sopravvivere. Quindi, maledizione,
prendi quella Traccia e scappiamo» aggiunse, con un sibilo, tenendo la
bacchetta immobile fra i grandi occhi rossi della creatura.
Draco si chiese, in quell’istante, se fosse stata così
coraggiosa anche durante la guerra. Non era forse stata così, quando Bellatrix l’aveva torturata davanti ad i suoi occhi,
lasciando gocciolare quel suo sangue impuro sul vecchio tappeto della bisnonna
Malfoy?
La macchia non era andata via per settimane.
«Touchè, Mezzosangue» ribatté lui, con un sorriso nervoso, aggirando la
creatura per osservare l’alcova da cui era appena uscito.
Nascosta sotto al baldacchino, una piccola cornice a forma
di sole d’oro – il sole che era il
simbolo del grande Re -quasi si
confondeva con gli ornamenti floreali del letto appartenuto a Maria Antonietta. Era ricoperto di ragnatele e polvere per
almeno trecento anni, segno che nessuno l’avesse più avvicinato dopo la
Rivoluzione Francese.
Questo – pensò Malfoy – dimostra che il vecchio antenato Napoleone
abbia fatto tutto da solo.
Un buon motivo per essere orgoglioso della stirpe dei
Malfoy, discendenti diretti del grande condottiero. Discendenti che avevano
onorato la tradizione di famiglia, raggiungendo la cima della catena sociale
purosangue, prima di crollare giù come un castello di carte.
«Malfoy, sbrigati»
agitata, la voce della Granger arrivò insieme ad un movimento nervoso della
creatura. Forse la sua resistenza stava iniziando a cedere, forse la bestia, per
quanto affamata, non sarebbe stata tanto semplice da aggirare. Suo compito non
era, forse, proteggere la Traccia?
«Resisti, Granger» le rispose lui, secco, scavalcando
agilmente il muretto che separava il letto dal resto della camera. La bacchetta
della strega illuminava malamente il luogo, ma lui se lo sarebbe fatto bastare,
la sua sarebbe servita per liberare l’oggetto dalle catene che il tempo aveva
creato.
Le ragnatele, infatti, erano ben più resistenti di quanto
lui avesse prospettato: dure, appiccicose, di una consistenza ben più densa
delle ragnatele normali. Quelle, decisamente, non erano frutto di un ragno come
tanti.
Ed il ticchettio proveniente dalle sue spalle lo confermò.
Acromantula.
«Granger! Non muoverti!» avvisò, nervoso, voltandosi giusto
in tempo per notare la strega completamente accerchiata. Il suo sangue freddo
fu vitale, in quel momento. Non tutti
avrebbero mantenuto la piena immobilità, con un ragno grosso quanto un drago
appostato alle spalle. Il suo veleno gocciolava dalle piccole zanne, gli occhi
rossi erano tutti puntati su di lei.
«È colpa della luce» gli sussurrò Hermione, cercando di
mantenere la sua immobilità. «Hagrid… Hagrid mi ha detto che spesso, se tenuti in cattività,
perdono quasi completamente l’uso di vista ed olfatto. Prendi la Traccia,
adesso, a loro ci penso io» tentò di ordinargli, nonostante la voce non
sembrasse particolarmente sicura.
Come darle torto?
«Hermione» era
la seconda volta che Draco la chiamava per nome, rischiava di diventare una
pessima abitudine. «Non fare la sciocca grifondoro, adesso, d’accordo? Io mi
occupo dell’acromantula, tu del verme. Se saremo
abbastanza veloci…».
Lei scosse leggermente il capo, causando un movimento di
riflesso nelle due creature. «Potremmo distruggerli, certo, ma chi ci assicura
che faremo in tempo a liberare la Traccia? L’acromantula
avrà usato le sue ragnatele quasi indistruttibili. Uccidendoli, non avremo il
tempo di liberarlo, senza far precipitare qui metà della nobiltà babbana
europea» spiegò, espirando poi lentamente. «Quindi, adesso, tu prendi la traccia e la prendi in fretta, così potremo avere qualche speranza di non fallire la
missione».
Draco strinse i denti, assolutamente non convinto di quel
piano. Per quel motivo non amava lavorare
in squadra.
«Se senti di non farcela più, avvertimi per tempo e faremo
fuori queste bestiacce» la minacciò, arrendendosi, nonostante il suo tono
avesse mantenuto l’inflessione di un ordine. «Non farmi incazzare,
mezzosangue, perché ti assicuro che
Draco Malfoy infuriato non è uno spettacolo delizioso» aggiunse, con un
borbottio, tornando a concentrarsi sul piccolo specchietto sulle coperte.
Dalle sue spalle, giunse una risatina nervosa.
«Quando mai Draco Malfoy è stato uno spettacolo
delizioso?».
Dannati
Grifondoro – pensò il mago, dedicandole solo un’occhiata in tralice,
mentre cominciava ad eliminare i fili resistenti della ragnatela – Sono sempre incapaci di restare seri davanti
al pericolo.
«Diffindo»
sussurrò, osservando con cupa soddisfazione il modo con cui quel tessuto
maledetto cedeva alla magia, rilasciando un liquido verde dall’aria decisamente
non salutare. Continuò con le altre catene, velocemente ma prestando
attenzione, l’orecchio pronto a registrare ogni movimento.
«Malfoy» esalò la Granger, decisamente più preoccupata di
prima. «Comincio a non sentire il braccio, sbrigati» gli intimò, mentre le due
creature sibilavano, nervose per quei movimenti non abbastanza pronunciati da
lasciare loro il via libera per l’attacco.
«Resisti».
Mancava poco, così
poco.
Ancora due catene.
Una catena.
Sì!
«Granger, adesso! AraniaExumai!»
«Bombarda!»
Tutto ciò che Draco riuscì a comprendere,
poi, fu una sostanza lattiginosa e puzzolente spalmata su tutto il suo corpo,
un attimo prima di perdere i sensi.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Poiché domani sarò impegnata quasi tutto il giorno, ho deciso di anticipare
la pubblicazione a questa sera. Questo capitolo è stato un parto. Sembrava quasi che io non finissi mai di scrivere! Ho anche pensato
di dividerlo in due parti, ma non credo che avrebbe avuto lo stesso effetto.
Finalmente Malfy e Ginger hanno avuto il loro
primo momento di vera azione, che continuerà nelle prossime tappe. Spero
davvero di non aver deluso le aspettative di nessuno!
Punti importanti:
» Morgerstern è un cognome preso
direttamente dalla serie di libri Shadowhunters, di
Cassandra Clare. Mi è sembrato un nome molto regale,
considerando che Malfoy si stia spacciando per un qualche nobile inglese.
» Margot Sinclair, invece, è ispirato al mio OC nel fandom
di Black Friars. La adoro al punto di aver deciso di
dare il suo nome ad Hermione. A livello caratteriale, comunque, le due non
potrebbero essere più diverse.
» Ronald, Ronald... fa sempre guai, anche quando non c’è. Provo un certo
piacere nel non rilevare cosa realmente il rosso preferito abbia combinato. Si vedrà, prima o poi.
» Il dottor Crave, naturalmente, sa benissimo del passato che Hermione e
Draco condividono. Draco è stato molto dettagliato, con lui. Quel furbacchione,
a quanto pare, li shippa quasi quanto me. Oppure no?
Non fatevi ingannare, quei riferimenti al passato di Hermione (e di Malfoy) che
sembra indovinare, in realtà sono informazioni ottenute da tutti e due. Non è un uomo adorabile?
Grazie infinite a tutti coloro che hanno
commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi
non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie,
davvero.
Grazie ancora a chiunque leggerà, ci
becchiamo lunedì (o nel weekend!) prossimo,
Capitolo 7 *** Atto IV/Parte II - L'inizio della fine. ***
Il Bambino Sopravvissuto, sembrava non poter più sopravvivere
LoSpecchio delleAnime.
La Dignità e l’Amore non si mischiano
bene,
e nemmeno vanno a lungo d’accordo.
[Ovidio]
Atto IV – Parte II
L’inizio della fine.
«Malfoy… Malfoy, maledizione! Draco!»
Quando riprese conoscenza, probabilmente non più di due o
tre minuti dopo, la Mezzosangue era china verso di lui, gli occhi colmi di
terrore. Stava chiamando il suo nome come se avesse davvero temuto che non ce l’avesse fatta.
«Rilassati, Granger, ci vuole ben altro per far fuori un
Malfoy» la rassicurò, cercando di sollevarsi a sedere. Quel movimento gli
provocò un dolore atroce al busto, che però sopportò da vero uomo: lamentandosi
e facendo smorfie. «Mi hai fatto la respirazione bocca a bocca?» le domandò
poi, una volta seduto, dedicandole un sorrisino malizioso che la fece arrossire
fino alla radice dei capelli.
Se avesse saputo che per metterla in difficoltà sarebbe
bastato fare lo splendido, ci avrebbe provato già ai tempi della scuola.
«Va’ al diavolo» fu la delicata risposta della strega,
accompagnata da un doloroso cazzotto al braccio, capace di fargli lacrimare gli
occhi.
«Maledizione, Granger, ammettilo che ti piace farmi del
male!» le sibilò in risposta, cupo, massaggiandosi la parte lesa. «Credo di
avere qualche costola incrinata. Cos’è successo?» aggiunse poi, confuso,
rendendosi conto di non essere a Versailles, ma nascosto fra i giardini intorno
al castello.
La Mezzosangue
ebbe la decenza di mostrarsi almeno un po’ imbarazzata. «Forse sono stata
troppo entusiasta» smozzicò,
abbassando lo sguardo. «L’onda d’urto dell’esplosione ti ha sbalzato contro il
muro, hai sbattuto la testa e sei rimasto svenuto per un po’».
Colpito, Draco inarcò le sopracciglia. «Dimmi la verità,
Granger… da quant’era che non usavi incantesimi del
genere?» le chiese, divertito, trattenendosi a stento dal farle i complimenti.
Non era da tutti
usare una tale forza nell’incanto Bombarda.
Lei si strinse nelle spalle, nascondendo malamente un
sorriso. «Da un po’. Ho sempre chiesto al mio capo di non partecipare alle
perquisizioni, meglio il lavoro d’ufficio» gli disse, stringendo le labbra. I
suoi occhi brillavano di entusiasmo, nonostante cercasse di limitarsi con le
parole.
Le era piaciuto.
«E perché mai l’avresti fatto?» le chiese quindi, confuso,
piegando leggermente il capo di lato. «Non fingere che non ti importi, si nota
lontano un miglio quanto tu ti sia divertita».
Troppo tardi Draco si rese conto di aver sbagliato domanda.
Vide chiaramente i suoi occhi spegnersi e le mani stringersi a pugno sull’erba
gelida sotto di loro.
«Diciamo che Ron si preoccupava molto per la mia
incolumità. Non volevo dargli preoccupazioni» sussurrò, vagamente insicura
delle sue stesse parole. Il modo in cui spostò lo sguardo fra gli alberi fece
intendere quanto l’argomento non le piacesse.
Meglio non
infierire.
«Ma ora il pezzente non c’è più e, te lo assicuro, io non ho la minima intenzione di limitarti, quindi
potrai sbizzarrirti a tuo piacimento. Nel frattempo…» disse, mettendo la mano
nella tasca interna della giacca. «Meglio concentrarsi su questo».
E tirò fuori la Traccia.
***
Il Bambino Sopravvissuto,
sembrava non poter più sopravvivere.
Ginevra Weasley, non ancora futura Signora Potter,
fissava con aria contrita il corpo quasi esanime del fidanzato, abbandonato al
centro del letto e attorcigliato alle lenzuola stropicciate. I capelli neri
erano ancora più disordinati del solito e la barba lunga lo stava facendo
somigliare, giorno dopo giorno, ad un esemplare poco nutrito di castoro.
Non poteva continuare così.
Hermione Granger, al fianco
della suddetta signorina Weasley, aveva l’espressione di qualcuno che avrebbe
volentieri dato di stomaco in un angolo, piuttosto che restare lì un momento in
più. Avrebbe fatto di tutto, pur di non essere costretta a sentire quella puzza
nauseante di alcol e solo Merlino sapeva cos’altro.
«Non va bene, Gin» disse alla
fine, senza riuscire ad impedirsi di sventolare la mano davanti al viso, nel
tentativo disperato di prendere un po’ d’aria. «Possibile che tu non sia
riuscita a fermarlo, stanotte? Qui dentro c’è un’aria viziata che farebbe
invidia ad una distilleria» .
Ginny grugnì – una fedele
interpretazione del grugnito made in Weasley
che di solito faceva venire i brividi ad Hermione – e le indicò le grandi
finestre della camera. «Le abbiamo tenute aperte tutto il giorno, Kreacher è disperato. Credo sia andato a consultarsi con
altri elfi per trovare una soluzione a questa puzza nauseante» le rispose,
cupa, lanciando un ultimo sguardo al giovane uomo incosciente, prima di
voltargli le spalle ed uscire dalla camera. «Vieni, altri cinque minuti qui e
saremo ubriache come lui».
Abbandonando la camera
padronale di GrimmaulPlace,
Hermione sentì un moto di angoscia opprimerle il petto. In quella stanza, ai
tempi dell’ordine, aveva riposato Fierobecco. In quel
momento, invece, vi dormiva Harry Potter, l’ex Salvatore del Mondo che si era
ridotto ad una creatura ben più incivile dell’ippogrifo.
L’ambiente un tempo sporco e
polveroso della vecchia casa, che aveva ospitato il cuore della ribellione
contro Voldemort, era diventato caldo ed accogliente, un perfetto nido d’amore.
Per Hermione, era come assistere alla bugia che era diventata la loro vita.
Tutta la perfezione promessa dalla vittoria era stata spazzata via, lasciandosi
alle spalle uomini e donne distrutti dal dolore e dalle perdite.
Sospirò, perché era tutto ciò
che il suo cuore sembrò consentirle. Un tempo avrebbe fatto irruzione nella
stanza ed avrebbe tirato via il suo migliore amico, ma, dopo gli ultimi mesi,
non credeva di essere abbastanza forte. La cosa, naturalmente, la faceva
sentire malissimo: Harry le era sempre rimasto accanto, dopo quello che le era
successo.
Ma lei non era Harry Potter. Se
qualcosa lo stava turbando a tal punto, chi le assicurava che non avrebbe
lasciato lei completamente interdetta?
«La zia di Harry ci ha
mandato dei biscotti» le disse Ginny, interrompendo le sue elucubrazioni mentre
entravano nella piccola ma oramai accogliente cucina. Indicò un contenitore
metallico al centro del tavolo, proveniente da una pasticceria a lei
sconosciuta. «Sono deliziosi con il tè» aggiunse, con un sorriso, facendole
cenno di accomodarsi.
Dal canto suo, Hermione si
era fermata alle parole “zia di Harry”.
«Quale zia? Credevo che lui
fosse l’ultimo Potter» le chiese, confusa, sedendosi ed allungando le mani
verso i biscotti. Ce n’erano di vari gusti, molti alle nocciole o coperti da
cioccolato. Trovarne uno che fosse semplicissimo fu un’impresa, ma Hermione ci
riuscì. «Sono deliziosi» esalò, dopo
aver dato un morso. «Non ne mangiavo di così buoni da…» dall’ultima volta che era stata alla Tana. «…da mesi».
Ginny, che le dava le spalle,
non diede cenno di essersi innervosita. Diversamente da lei, sembrava aver
accettato con tranquillità devastante quella nuova situazione. «Infatti è l’ultimo Potter» le rispose,
tranquilla, voltandosi per accomodarsi davanti a lei. Il bollitore era stato
messo sul fuoco, ma non c’era bisogno di controllarlo: Ginny Weasley era un
talento con gli incantesimi domestici. «Quelli li ha mandati sua zia Petunia, la sorella di sua madre».
«Petunia?» il biscotto, forse sbigottito quanto lei, decise di
prendere la strada per i polmoni, piuttosto che quella per lo stomaco. Le
briciole tentarono di soffocarla, mentre il respiro le si mozzava. Dovette
cambiare colore in modo preoccupante, vista la rapidità con cui l’altra le
procurò un bicchiere d’acqua.
«Per le mutande a fiori di Merlino!» sbottò la rossa, dandole delle
pacche sulla schiena, mentre bevevo. «Si può sapere cosa ti è passato per la
testa, Granger? Vuoi forse completare l’opera che Tu-Sai-Chi
non è riuscito a portare a termine?».
Hermione non se la sentì di
risponderle subito, preferendo assicurarsi di non morire in modo totalmente
assurdo. Solo quando le molliche vagabonde ritrovarono la loro strada ed il suo
colorito tornò ad essere quantomeno umano,
si decise ad alzare gli occhi sull’amica.
«Petunia Dursley vi ha mandato dei biscotti?» le
chiese, scandalizzata, accettando la tazza di tè che le stava porgendo solo
perché temeva di farsi andare ancora qualcosa di traverso. «La stessa Petunia Dursley che a Natale dell’anno scorso vi ha mandato un terrificante quadro dai grandi
magazzini?» insistette, fissando l’amica come se avesse paura di esser presa
per i fondelli.
Ginny sorrise, serafica. «Proprio
quella Petunia Dursley,
sì» confermò, cinguettando ed allungando la mano verso la scatola dei biscotti,
pescandone due al cioccolato e mangiandone uno sotto lo sguardo sempre più
allibito di Hermione. «Oh, insomma!»sbottò, esasperata. «Non c’è bisogno di
reagire così, dopotutto è sua zia».
Le sopracciglia di Hermione
raggiunsero l’attaccatura dei capelli. «L’ultima volta che vi ha scritto, la
casa sembrava infestata da un poltergeist! Non posso
credere che vi abbia mandato dei biscotti
buonissimi senza che… non so… senza
che a Kreacher spuntasse un’altra testa!» sbottò,
scuotendo il capo. Il suo sguardo si fece improvvisamente più attento. «Cosa
c’è sotto, Gin?» chiese quindi, piegando leggermente il capo di lato.
La rossa rise, mescolando il
proprio tè. «Hai presente la figlia di Dudley, Jane?»
iniziò, posando il cucchiaino al lato del piattino ed osservando di sottecchi
l’amica.
Hermione annuì, accigliata. «Se
non sbaglio ha fatto tre anni, poco tempo fa. Perché me lo chiedi?» domandò,
curiosa, prima che un pensiero la fulminasse.
Se Malfoy poteva essere un ladro, la figlia di DudleyDursley poteva benissimo essere…
«Ha fatto levitare i suoi
giochi per tutta la stanza, a Petunia è venuto un colpo» rispose Ginny,
allegramente, per poi sorseggiare il suo tè. «E così il nipotino strambo è diventato l’unico capace di
aiutarla. I casi della vita sono fantastici, non credi?»
«Come Malfoy diventato un
ladro».
Quella volta, fu Ginny a
strozzarsi.
***
«Davvero, Gin» ammonì ancora
una volta Hermione, guardando l’amica con severità. «Nessuno deve venire a
saperlo».
Il modo in cui le labbra le
tremarono, pronunciando quelle parole, avrebbero rischiato di rovinare la
portata di quell’ordine. Da quando era tornata dalla Francia, due giorni prima,
non era riuscita a smettere di ridacchiare all’idea di Draco Malfoy nei panni
di un moderno ed aristocratico Lupin.
Ginny mise un leggero
broncio, gli occhi illuminati d’entusiasmo. «Neppure ad Harry? Sono sicura che
lui si farebbe delle sane risate» propose, indicando con un cenno del capo il
piano di sopra. Prese un altro biscotto dalla scatola inviata da Petunia,
osservandolo come se fosse stato il centro delle loro discussioni. «Malfoy un
ladro. Posso dirglielo? Ti prego».
Hermione scosse il capo,
cercando di mantenere la serietà. «Non devi dirlo a nessuno. Soprattutto ad Harry!» disse, stringendo
le labbra in una fedele imitazione della professoressa McGranitt nel pieno di
una dimostrazione d’irritazione. «Se lo sapesse, cercherebbe di mettersi in
mezzo alla missione, dicendo in giro che Malfoy sia un banale ladruncolo pronto
a vendermi alla prima occasione».
La rossa aprì la bocca,
probabilmente per ribattere a quella sua affermazione. Prima di farlo, però,
sembrò ripensarci, limitandosi a stringersi nelle spalle. «D’accordo, immagino
tu abbia ragione. È stato il primo pensiero che ho avuto anch’io». I suoi occhi
si puntarono in quelli scuri dell’amica. «Ma tu ti sei fidata. Perché?»
domandò, curiosa, spingendo verso l’altra i biscotti.
Se credeva che facendola
mangiare avrebbe ottenuto risposte migliori, aveva assolutamente ragione.
Con un sospiro, Hermione
afferrò un altro dolcetto, cercando la risposta adatta. «L’altra mia opzione era
scappare via come una ladra e lasciarlo morire» mormorò, accigliata. Qualcosa,
dentro di lei, si opponeva a quella confessione. «Sono una Grifondoro, non
posso semplicemente abbandonare qualcuno».
Le bugie sono parole, parole, parole.
Ginny non si preoccupò,
annuendo leggermente. «Sì, questo è un comportamento da te» concordò,
tranquilla. «Neppure lui ti ha abbandonata, però, e questa è una vera sorpresa, non credi?»-
Dubbiosa, Hermione si limitò
a scuotere le spalle. «Forse, oppure no. La guerra ci
ha cambiati tutti, immagino che non volesse avere anche me sulla coscienza»
mormorò, fissando il tè che ancora non aveva bevuto.Il colorito troppo chiaro lasciava intendere
la quantità di limone che dovesse avervi infuso, senza neppure rendersene
conto. «Oltretutto, io gli servo».
Ginny annuì, sorseggiando il
contenuto della sua tazza. «Gli hai salvato il regale fondoschiena, me lo stavi
giusto accennando» concordò, vagamente accigliata. «Davvero era ricoperto da
interiora di verme? Puzzava come si dice in giro?» chiese, con una risatina,
allungandosi per afferrare un pacchetto di sigarette dal mobile alle sue
spalle.
Hermione annuì, con una
risatina. «Era completamente ricoperto, dalla punta dei suoi capelli da biondo
principino fino alla punta delle scarpe firmate» fece una smorfia. «E la puzza…
Gin, davvero, sembrava di essere entrati nel deposito di caccabombe
che Gazza teneva al castello!».
Ginny scoppiò a ridere,
facendole l’occhiolino. «Ah, mia cara, io non
dovrei sapere nulla di quel deposito, sai? Non sono stata nominata prefetto,
non avevo il permesso di conoscere quel postaccio» spiegò, porgendole una
sigaretta e l’accendino.
Una risatina scosse Hermione,
mentre accettava l’offerta. «Potrei chiederti come mai tu ne sia a conoscenza,
ma sarebbe stupido, oltre che una perdita di tempo» commentò, tranquilla,
avvicinandosi affinché l’altra potesse farle accendere la sigaretta. «Potrei,
ma non ne ho intenzione. Il mio animo da Caposcuola insorgerebbe e tenterei di
toglierti punti».
Le giovani si guardarono per
qualche istante, scoppiando a ridere.
«Comunque» Hermione si asciugò una lacrima sfuggita al controllo,
raddrizzandosi sulla sedia, per poi portare la sigaretta alle labbra ed
aspirare un po’ di fumo. «Sono appena riuscita a pulire tutto e tirarci entrambi
fuori dai guai, non ho neppure pensato a controllare che ci fosse la Traccia»
rilassò le spalle, espirando una boccata di fumo. «Per fortuna Malfoy ha avuto
i riflessi pronti, o non avremmo saputo dove andare».
«E dove dovrete andare,
stavolta?»
«Allora,
Mezzosangue?»
Ancora
una volta, Malfoy le pungolò la spalla, cercando di spiare oltre l’ammasso di
capelli ormai libero dalle forcine. Erano passati solo dieci minuti da quando
avevano comunemente deciso che lei avrebbe capito il funzionamento della Traccia, ma lui sembrava essersi
già stancato.
«Malfoy,
per favore, sto tentando di comprendere qualcosa» gli rispose, pacata, per
l’ennesima volta. Il suo proposito di non strangolarlo – sarebbe stato
ipocrita, dopo avergli salvato la vita – sfumava secondo dopo secondo, in
favore di un fastidioso tic all’occhio. Se avesse continuato, Hermione non
avrebbe risposto di sé.
Il
purosangue sbuff, come un cavallo nervoso. La strega
lo sentì distintamente armeggiare con qualcosa, prima che una scintilla
illuminasse per un attimo gli alberi ed uno strano odore di cannella si
diffondesse nell’aria.
Quando,
confusa, si voltò, trovò il giovane intento a fumare una strana sigaretta dal
colore scuro, con lo sguardo perso verso il profilo illuminato di Versailles.
«Cosa
accidenti stai fumando, Furetto?»
gli chiese, curiosa, tornando tuttavia a controllare la piccola superficie
riflettente che aveva davanti.
Lo
specchietto – un piccolo sole che rientrava perfettamente nel palmo della mano
della strega – era poggiato sull’erba, poiché nessuno di loro aveva avuto il
coraggio di tenerlo in mano durante i tentativi di azionamento. Non sapevano
cosa sarebbe successo e, di certo, non avrebbero rischiato di essere inceneriti
per scoprirlo.
«Sono
sigarette aromatizzate, Granger» le rispose lui, alzando gli occhi al cielo,
l’espressione quasi disgustata. «Possibile che tu sia così ignorante sul mondo
magico? Sono la soluzione migliore per poter ottenere tutti i vantaggi del
fumo, escludendo il peggiore fra gli effetti collaterali».
«Il
cancro ai polmoni?» azzardò la strega, sentendo in un altro sperduto della
propria testa la voce di sua madre, in un lamentoso memento
della fine che lei stessa avrebbe fatto,
se avesse continuato su quella strada.
«Certo
che no» scandalizzato, Malfoy le dedicò un verso sprezzante. «I veri Purosangue
non si ammalano, noi ci limitiamo a diminuire lo standard ottimale della nostra
salute e decidiamo quando porre fine alle nostre sofferenze» rispose,
tranquillo, aspirando un’altra boccata di fumo.
Confusa,
Hermione si voltò a fissarlo. «Mi stai forse dicendo che per i Purosangue è
prassi affermata l’eliminazione fisica degli ammalati? È un atteggiamento da barbari!» sbottò, scandalizzata. «Se il Ministero
sapesse… praticamente fate dell’eutanasia! È disgustoso!» continuò, furiosa,
sentendo l’indole da paladina della legge insorgere nel proprio petto, insieme
ad una sequela di insulti che una signorina non avrebbe mai dovuto proferire.
Malfoy,
dal canto suo, non fece una piega. «Io definirei disgustoso privare una persona
della dignità, Granger» le rispose, glaciale. «Ho visto come i babbani trattano
i loro malati senza speranza. Quell’abbandono… quello non è disgustoso?» le chiese, senza sembrare particolarmente
interessato. «Pensala come vuoi, Granger, ma i Purosangue, piuttosto che
trascorrere mesi o anni in un letto,
preferiscono prendere una pozione e morire da veri signori».
Hermione
scosse il capo, ancora sconvolta. «Voi purosangue! La considerazione che avete
di ciò che non è perfettoè il riflesso della considerazione che avete della vita»
sbottò, con un borbottio, tornando a concentrarsi sulla Traccia. «Se solo
aveste-» si fermò, trattenendo bruscamente il respiro.
Alle
sue spalle, Malfoy si fece improvvisamente più attento, buttando di lato la
sigaretta ed inginocchiandosi al suo fianco. Entrambi fissarono, interdetti, la
leggera cornice d’oro. Al centro, la superficie riflettente era mutata, ora
sciogliendosi ed oraaddensandosi,
trasformandosi in nebbia sotto i loro occhi.
«Come
hai fatto, Mezzosangue?» le domandò, sottovoce, senza staccare gli occhi dalla
meraviglia che si stava realizzando davanti a loro.
La
strega si strinse leggermente nelle spalle, confusa. «Credo sia stata la parola
riflesso. Mi sembra di aver letto di oggetti magici che rispondono
a diversi comandi, in base al diverso luogo ed al tempo in cui vengono
ritrovati. Riflesso è simile al francese réflexion, probabilmente per questo ce l’ho fatta.
Ero così irritata da aver usato magia accidentale» spiegò, sempre con lo stesso
tono di voce, osservando affascinata il movimento delle nebbie davanti a lei.
Sembrava volessero comunicare, danzando e creando ombre dalle forme quasi
antropomorfe.
Malfoy
non era più così rapito dallo spettacolo, i suoi occhi grigi erano fermi su di
lei, stupiti. «Sei riuscita a risolvere un problema che altrimenti sarebbe
stato irrisolvibile, il
tutto mentre tentavi di far valere le tue idee incomprensibili con me» disse,
ammirato. «Sei una fonte di sorprese, Granger, dico davvero» borbottò,
incurante della rigidità che colpì l’altra.
«Potrai
farmi pervenire i tuoi complimenti sottoforma di un mazzo di fiori recapitati
al mio ufficio» gli rispose, con uno sbuffo irritato. «Abbiamo attivato la
nebbia, ma adesso cosa dobbiamo fare? Il professore ha parlato di un
collegamento con la Traccia precedente, ma…» Hermione assottigliò lo sguardo,
sospirando.
«Come
accidenti facciamo a trovare il collegamento? Non ne ho idea» disse lui,
stringendosi nelle spalle. «Prova con un incantesimo di rivelazione, uno di
quelli semplici» propose, indicando con un cenno la bacchetta che lei ancora
teneva in mano. «Hai presente, Revelio» tentò ancora, quando la vide esitare.
Lo
sguardo che Hermione gli dedicò lo fece ridere, ma soltanto per qualche
istante. Quando lei eseguì l’incantesimo, la tensione fu troppa per mantenere
il tono leggero dell’ilarità.
All’inizio
non cambiò nulla.
Poi,
come se la nebbia avesse acquistato consapevolezza della loro disperazione,
sette minuscole figure si formarono dalla materia inconsistente, ruotando
intorno ad una figura centrale, più grande. Le figurine ruotarono e la centrale
cadde. Le figurine si fermarono e si unirono alla centrale, disegnando la forma
di un altro specchio, all’apparenza ben più maestoso, sormontato da una corona.
Infine,
lo specchio si ruppe ed il suono ovattato del vetro infranto dilagò fra gli
alberi, facendo venire la pelle d’oca ai due maghi che, impotenti, avevano
assistito allo spettacolo.
Restarono
in silenzio per qualche secondo, fissando la bruciatura nel terreno dove, fino
a poco prima, era stato lo specchietto. Poi, lentamente, Malfoy si voltò a
guardarla.
«Cosa cazzo significa, Granger?» chiese, mantenendo il
tono di voce soave.
«Sette
piccole persone ed una grande» ragionò lei, ad alta voce. «La piccola persona
cade ed uno specchio è alla base di tutto. Uno specchio coronato» continuò,
stringendo le labbra.
«Perfetto,
sarà sempre così? Dovremo sperare nel colpo di fortuna ogni
maledetta volta?» sbottò Malfoy,
sedendosi per terra con l’espressione di qualcuno che aveva voglia di prendere
a pugni il primo albero disponibile. «Tanto vale morire qui! Sarà più veloce ed
indolore, come addormentarci».
Come addormentarci.
Hermione
spalancò gli occhi, voltandosi verso il collega. C’era una certezza, nel suo
sguardo, capace di far impallidire anche Lord Voldemort nei suoi tempi d’oro.
«Mezzosangue?»
«So
dove dobbiamo andare».
***
«In Germania? Come
hai fatto a collegare la Germania?» domandò Ginny, accigliata, spegnendo la
sigaretta nel posacenere vicino. Raramente Ginevra Weasley ne fumava una
intera: le piaceva credere di poter
controllare la dipendenza. Almeno, era quello che ripeteva a chiunque le
chiedesse informazioni al riguardo.
Hermione sorrise,
sbuffando il fumo verso il pavimento, per non colpire in viso l’amica. «Mai
sentito parlare di Biancaneve ed i sette nani, Gin?» le domandò, retorica,
avendo già potuto accertare, con Malfoy, che i purosangue non conoscessero la
fiaba. «La Regina Cattiva usa uno
specchio per realizzare i suoi piani malvagi» spiegò subito, con un
sorriso. «E la storia è stata scritta dai fratelli Grimm,
che vivevano in Germania» si strinse nelle spalle. «Ho ipotizzato si fossero ispirati
ad una storia vera».
Ginny annuì,
vagamente soddisfatta. «Quindi tu e Malfoy state per addentrarvi in una fiaba
babbana, eh? Avete lo specchio ed immagino che troverete la strega cattiva a
guardia» mormorò, con le sopracciglia inarcate e l’espressione maliziosa. «Chi
di voi sarà la principessa e chi il principe azzurro?» chiese, in un
cinguettio.
Hermione sorrise,
facendo l’occhiolino alla migliore amica.«Naturalmente io sono il
principe».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Ormai la storia è entrata nel pieno dell’azione! Il primo indovinello è
stato risolto, ma i prossimi? Hermione ha dimostrato ancora una volta di essere
una Grifondoro in piena regola, coraggiosa e pronta ad aiutare gli altri. Qualcosa
le ha impedito di esprimersi al massimo, negli anni precedenti, e la colpa
sembra essere di Ronald. Caso strano, eh?
Questo capitolo ed il prossimo mancano un po’ d’azione, me ne rendo conto,
ma sono fondamentali. Nel prossimo ci
sarà il ritorno del caro Dottor Crave, che scoprirà
un po’ delle sue carte, ma non anticipo altro!
Per la comprensione della citazione, faccio riferimento in uno dei punti
sotto! Ho evidenziato l’inizio, per renderlo facilmente individuabile!
Avviso: La settimana entrante ho esami, quindi potrei non avere modo di portarmi
avanti con la scrittura ed il capitolo potrebbe
slittare un po’. Per favore, pregate per me se credete in qualsiasi entità
superiore, oppure tenetemi nei vostri pensieri. Sono terrorizzata.
Punti importanti:
» Il titolo è stato scelto sia in relazione
alla loro avventura, che ha davvero inizio con il ritrovamento della prima
Traccia, sia in relazione alle condizioni di Harry.
» La squadra di cui fa parte Hermione – gli Inquisitori – ha sia una sezione d’ufficio che una d’Inchiesta, che
si occupa di ricercare le prove e, spesso, catturare i fuggitivi. Non
confondeteli con gli Auror, il loro scopo è arrivare ad un processo, non
buttare la gente in prigione. Semplicemente, le prove
spesso non possono essere ottenute con le buone.
» Harry, Harry, cosa ti sta succedendo? Le
condizioni del Bambino Sopravvissuto sembrano proprio non voler migliorare! Che
sia stress post traumatico? Chi lo sa! La povera Ginny fa di tutto per
aiutarlo, ma sembra non essere sufficiente.
» Ebbene, la figlia di Dudley
è una strega. JK Rowling ha detto di aver pensato a
questa possibilità, ritenendo impossibile che un gene magico possa sopravvivere
allo scontro con il DNA di VernonDursley.
Io non sono d’accordo. Dopotutto, in queste ultime settimane ho avuto la
certezza che la cara Jo abbia iniziato a sparare
baggianate, spinte soltanto dal fanservice. Perché non
posso essere felice con qualcosa di comprensibile?
I Dursley faranno una comparsa? Non credo, ma non si
può mai sapere.
Se proprio vogliamo essere pignoli, l’idea
di dare una nipote strega a Petunia è tornata a galla grazie alla fanfiction di PoisonSpring, “Gli eredi del Crepuscolo”. Ve la consiglio, è favolosa.
» La
discussione di Draco ed Hermione sull’eutanasia e sul diritto al suicidio
forse è stata un azzardo, me ne rendo conto. In un certo senso, è una questione
molto attuale e ho pensato di trattarla, seppur in modo estremamente superficiale. Qual è il mio punto di vista? Ah, non
credo di doverlo dire, non vorrei influenzare nessuno. Comunque il discorso non
si concluderà qui, la questione si ripresenterà già a partire dal prossimo
capitolo. La citazione ad inizio
capitolo riguarda quelle che si ritengono essere le due fazioni di questo
scontro: l’Amore che impedisce di lasciar andare il malato e la Dignità di
quest’ultimo, che viene messa a rischio dalla sua condizione. Oppure l’Amore
che consente alla famiglia di lasciar andare il malato e la Dignità che viene a
mancare quando si toglie il primo valore indisponibile, la vita.
» Prossima tappa, Germania! È stato un
azzardo, secondo voi? Fatemi sapere! Non vedevo l’ora di usare Biancaneve nella
storia! Parlando di specchi e magia non era forse ovvio?
Grazie infinite a tutti coloro che hanno
commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi
non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.
Grazie ancora a chiunque leggerà, ci
becchiamo lunedì (o più avanti!) prossimo,
Il dottor Crave, quel giorno, non sembrava intenzionato a parlare
LoSpecchio delle Anime.
Ci si chiede qual è la differenza tra un
leader ed un capo.
Un leader guida, un capo dirige.
[TheodoreRoosevelt]
Atto V
Di errori e autorità.
Il dottor Crave, quel giorno,
non sembrava intenzionato a parlare.
Aveva ascoltato tutto il
racconto di Draco, sorridendo qui e lì ogni qualvolta lui avesse fatto
riferimento alla sua collega, ma non si era espresso neppure una volta e
neppure con un semplice grugnito. Semplicemente, Newton Crave si era limitato a
fissare il suo paziente, scribacchiare qualcosa sul suo quadernino ed
accarezzare il suo povero ed apparentemente svenuto gatto.
Quel silenzio stava facendo
innervosire Draco oltre ogni immaginazione. Il desiderio di alzarsi in piedi e
lanciare il libro in testa al dottore era quasi fastidioso, tanto era forte
dentro di lui. Non sborsava certo trenta galeoni alla settimana per osservarlo
farsi i fatti suoi.
Aspettò un minuto, sperando
che parlasse.
Due minuti.
Tre minuti.
Cinque.
Il libro venne sbattuto con
violenza sul tavolo, ma l’uomo si limitò soltanto a lanciargli un’occhiata
esasperata, le sopracciglia inarcate.
«Hai bisogno di qualcosa,
Draco?» gli domandò l’uomo, serafico, tornando ad abbassare gli occhi sui suoi
appunti, il viso nuovamente rilassato. «Sembri alquanto nervoso, oggi, non è da
te» aggiunse, pacato.
Draco non apprezzò
quell’affermazione. Per niente, davvero. La apprezzò così poco da alzarsi in
piedi come una furia ed avviarsi alla porta, intenzionato a non prendere alcun
appuntamento per la settimana successiva. Aveva trascorso anni a farsi spillare
soldi da quel cialtrone e lui stesso aveva ammesso che le condizioni del suo
braccio testimoniassero che non fosse guarito.
Nessuno poteva prendersi gioco di un Malfoy.
La porta dello studio, però,
non si aprì. A prescindere da quanti tentativi stesse facendo, Draco non riuscì
ad abbassare la maniglia neppure di un millimetro, lasciando che l’irritazione
crescesse, crescesse all’infinito, come un fuoco sul punto di mangiargli le
viscere.
«Apra questa dannata porta!»
sbottò alla fine, voltandosi verso il medico e trovandolo con la bacchetta
ancora puntata nella sua direzione. Aveva sigillato la porta per impedirgli di
uscire, il bastardo. «Se non ha intenzione di staccarsi da quegli appunti, per
quale motivo dovrei restare qui a perdere tempo con lei?» chiese alla fine,
stizzito, quando l’altro non accennò a volerlo accontentare. Avrebbe sbattuto
il piede per terra, se non avesse avuto un briciolo d’amore per il suo
orgoglio.
Crave inarcò un sopracciglio,
fissandolo con l’aria più sarcastica che il giovane mago avesse mai visto in
faccia a qualcuno che non fosse un Malfoy.
«E sentiamo…» iniziò il
dottore «dov’è che vorresti andare, una volta lasciato il mio studio? Pensi che
qualcun altro possa aiutarti più di me?» chiese, piegando la testa di lato,
come se si stesse interessando ad una qualche bestiola curiosa.
L’immagine di se stesso con
una coda da pavone fece rabbrividire Malfoy, impedendogli di sputare la
risposta velenosa che aveva sulla punta della lingua. Persa l’occasione,
deglutì e si sforzò di non far fuggire la lunga sequela di imprecazioni che
scorreva nella sua mente.
«Ha detto lei stesso di non
poter fare nulla per me. A questo punto, risparmierò i galeoni e vedrò di
parlare davanti allo specchio. Probabilmente otterrei più reazioni» mugugnò
quindi, risentito, incrociando le braccia al petto per resistere alla
tentazione di cercare la bacchetta nelle tasche.
Ancora una volta, Crave aveva
dimostrato d’essere un passo avanti a lui. Sapeva che presto o tardi la
tentazione di incendiargli lo studio l’avrebbe colto di nuovo, quindi si era
premurato di vietargli la bacchetta a tutti gli incontri.
Bastardo.
«E da quando Draco Malfoy si
preoccupa dei soldi?» chiese il dottore, ironico, sghignazzando nel notare un
vago rossore colorare le orecchie dell’altro mago. Gli impedì di parlare,
quando fece per rispondergli. «Lo so che non è per i galeoni, Malfoy, non sono
un idiota. E, poiché non credo lo sia tu, mi farebbe davvero piacere se ti
sedessi e la smettessi di comportarti da bambino viziato» disse allora, alzando
gli occhi al cielo e mettendo da parte il suo quadernino, mentre il suo
paziente, tornato pallido come un cadavere, si accomodava nuovamente sulla
poltrona.
I due si guardarono, come a
squadrarsi a vicenda.
«Perché ha aspettato che io
provassi ad andarmene, prima di intervenire? Era un test?» domandò Malfoy, gli
occhi ridotti a due lame argentee fra le ciglia. Indicò con un cenno la porta.
«Ha messo del veleno sulla maniglia? Veritaserum che
fa effetto grazie al tatto?» disse allora, sempre più accigliato. «Sul serio, dottore, se sta
ancora tentando di usarmi per i suoi esperimenti…».
Crave sbuffò, stravaccandosi nella poltrona. «Non
voglio avvelenarti, Malfoy. Da come ne parli, sembra quasi che io non faccia
altro che usarti per i miei esperimenti. Quante volte posso averlo fatto? Una o due…»
Malfoy assottigliò di più lo sguardo. «Dieci, dottore».
«Dieci? Davvero?» chiese, con un’espressione fra l’ammirato ed il divertito.
«Significa che le tue reazioni mi sono sembrate affidabili. Comunque non
temere, non ho messo del veleno sulla maniglia. Non ne avrei avuto motivo» lo
tranquillizzò, con un gesto vago della mano.
Malfoy non seppe se
credergli oppure no, ma a quel punto sentì di non avere molta scelta.
«Ebbene? Sono rimasto
per consentirle di fissarmi in silenzio un altro po’?» gli chiese, dopo altri
minuti di calma opprimente. «Faccia il suo lavoro, per Merlino!».
«Cosa vuoi che ti dica,
Draco?» disse il dottore, apparentemente tranquillo. «Mi hai raccontato i fatti
con una dovizia di particolari invidiabile al migliore fra i cantastorie… devi
essere tu a indicarmi da dove vorresti far iniziare la nostra discussione. Se
iniziassi io, probabilmente decideresti di non volerne parlare per pura
ripicca».
Draco avrebbe voluto
negare, ma non seppe cosa dire. Dopotutto, il dottore aveva ragione. Per
questo, si strinse nelle spalle e diede uno sguardo ai libri che lo
circondavano, cercando uno spunto per parlare di qualunque cosa tranne quella
che, davvero, lo stava assillando.
«Sputa il rospo, Malfoy,
si vede lontano un miglio quanto tu stia cercando di evitare un argomento, pur
volendo disperatamente aprirti con me» gli disse il dottore, esasperato. Un
sorrisino gli curvò le labbra. «Naturalmente, nel tuo caso dubito che aprirsi a me possa essere interpretato
alla lettera».
«Dottore!»
Crave rise, elegante
come un felino. «Non scandalizzarti Malfoy, dubito che qualche baldo giovane
non si sia proposto a te, come succede a me ancora oggi. Ai tempi della scuola
era decisamente frequente, ma, dopotutto, ero uno spirito molto libero…» gli
rispose, allegro come una comare impicciona. Il suo sorriso da gatto si fece
più ampio quando vide un leggero colore tornare sulle guance del biondo.
«Lei è una vergogna per
tutta la categoria dei guaritori, lo sa?» ribatté il giovane, mettendo il broncio
quando il dottore rispose con una risata. «Mi faccia una domanda ed io
risponderò sinceramente, lo giuro. Sarebbe inutile girare intorno alla
questione» si arrese alla fine, con un sospiro rassegnato.
Prima ancora che Crave
parlasse, Draco aveva intuito quale sarebbe stata la sua domanda.
«Per quale ragione ti
sei impegnato tanto per salvarla, Draco?».
«Perchè anni fa avrei
dovuto farlo e non ci sono riuscito» ammise lui, tirandosi le parole dalla
bocca come se fossero state incastrate fra i suoi denti. «Perché quel giorno
lei mi ha salvato ed io adesso devo ripagare quel favore».
Il dottore annuì fra sé e sé,
grattandosi distrattamente il mento barbuto. Draco lo vide scribacchiare
qualcosa sul quadernino, ma non gli sembrò intenzionato a chiedere qualcos’altro.
Alla fine, lo vide rilassarsi
contro lo schienale, con un sospiro stanco. «Perché credi che lei ti abbia
salvato la vita, Draco?» gli chiese, accavallando le gambe. «Dopotutto, l’hai
sempre trattata male. Avrebbe potuto lasciarti lì, da solo» spiegò, inarcando
le sopracciglia. Allungò la mano per afferrare il bicchiere di scotch sul
tavolino, così da portarselo alle labbra.
Malfoy si accigliò, confuso.
«Lei non è mai stata crudele, dottore» mormorò, infossandosi di più nella
poltrona. «Non si dimentichi chi era l’idiota, in tutta questa storia»
aggiunse, con un sorriso ironico. «Immagino che avrebbe potuto lasciarmi lì,
così che gli altri mi scoprissero, ma dubito sarebbe stata bene con la sua
coscienza, dopo».
«Ma tu» cominciò Crave, gli
occhi scuri ridotti a due fessure. «Tu
ci saresti riuscito, eppure hai detto che l’hai salvata per ripagare un debito,
nonostante… beh, diciamo il tuo curriculum»
sorrise leggermente, ironico. «Perché proprio lei, Draco? Perché hai sentito di dover pareggiare i conti? I tuoi
genitori si sono addossati molte colpe per proteggerti, eppure insisti a non
volerli incontrare» disse infine, puntando gli occhi sul fondo del bicchiere,
ormai vuoto.
Draco si irrigidì,
improvvisamente sulle spine. «Io non ho alcun problema con mia madre, dottore.
L’ho incontrata non più di tre giorni fa ed intratteniamo una fitta
corrispondenza. Non le permetto di insinuare che io non abbia rispetto per lei»
sbottò, raddrizzandosi sulla poltrona, come se qualcuno avesse trasformato i morbidi
cuscini in spine e frammenti di vetro.
«E tuo padre? Non mi pare che
lui sia mai stato presente agli incontri con la signora Malfoy» ribatté,
pacato, il dottore, appellando con un gesto la bottiglia di Scotch rimasta
nell’angolo per riempirsi il bicchiere. Non accennò ad offrirne un bicchiere al
ragazzo, forse perché consapevole che, se lasciato a se stesso, Draco l’avrebbe
prosciugata nel giro di pochi minuti.
Il giovane strinse i denti,
nervoso. «Per quanto mi riguarda, mio padre ha tirato le cuoia il giorno della
Battaglia di Hogwarts» sibilò, mostrando i denti. «Se vogliamo essere pignoli, mio padre ci ha
tragicamente lasciati il giorno in cui è stato rinchiuso ad Azkaban. L’uomo che ha
accettato la mia nomina a Mangiamorte e che io uccidessi Silente non potrebbe
mai essere considerato un padre degno di questo nome».
Qualcosa – qualcosa di
oscuro, di pericoloso – apparve per un momento negli occhi del dottore e la
difficoltà a scacciarlo fu evidente anche a Draco, che non era mai stato bravo
a leggere e comprendere le persone.
«Un padre, spesso, fa
qualcosa che ritiene sia giusta, sbagliandosi» gli disse semplicemente,
riempiendo ancora una volta il bicchiere fino all’orlo. Sembrava fosse
affascinato dai riflessi che il liquore assumeva, a contatto con la luce del
camino. «Sbagliare non significa non potersi pentire. Io proverei a parlare con
lui, fossi in te» sorrise leggermente, ma senza allegria. «Fare un tentativo
non costa nulla».
Draco assottigliò lo sguardo,
confuso. «Stiamo ancora parlando di mio padre, dottore?» chiese, piegando
leggermente la testa di lato, come se, da quella prospettiva, fosse più
semplice comprenderlo. «Spero non stia usando me per farsi i passare i sensi di
colpa verso suo padre» disse, senza riuscire a trattenere l’ironia. «Isaac
Crave, dico bene? Era un grande guaritore, decisamente più benvoluto di lei»
aggiunse, incrociando le braccia al petto e rilassandosi di nuovo contro lo
schienale.
Il dottore non si lasciò
abbindolare. «Mio padre, che riposi in pace, non ha mai avuto nulla da dirmi,
dopo avermi tanto gentilmente cacciato di casa. Ed io non posso portargli
rancore, so bene di aver meritato tutto» gli rispose, calmo. Poi gli dedicò uno
sguardo intenso. «Non so se sentirmi lusingato o offeso dal fatto che tu non abbia
pensato che potessi essere io il
padre».
Quella era una rivelazione che Draco non si aspettava.
«Mi prende in giro?» chiese,
allibito.
Il dottore sorrise,
malinconico, indicando una fotografia solitaria sulla mensola del camino. Una
ragazza, non avrebbe potuto avere più di sedici anni, sorrideva all’obiettivo, scuotendo la mano in un
saluto allegro. I grandi occhi azzurri certamente non appartenevano al dottore,
ma i capelli scuri e l’espressione esasperata erano esattamente le stesse.
La figlia del dottore.
«Rosemary Crave, la mia unica
figlia» disse l’uomo, senza tuttavia voltarsi a guardare la fotografia. «Quella
foto risale ai tempi della scuola. Ha frequentato il quinto anno, quando c’è
stata la battaglia» spiegò, sfiorano il bicchiere con la punta delle dita.
Una terribile sensazione fece
gelare il petto di Draco, quando il sospetto si insinuò sotto la sua pelle come
tanti, fastidiosi spilli.
Che fosse…
«È morta, dottore?» chiese,
mostrando una delicatezza ed un tatto che non credeva di possedere. Il terrore
di aver raccontato gli errori del suo passato al padre di una delle vittime di
coloro che aveva considerato famiglia
gli impediva di mantenere l’atteggiamento da sbruffone.
Crave espirò dal naso,
bevendo metà del contenuto del bicchiere. «No, non è morta» chiarì, senza
tuttavia mostrarsi abbastanza tranquillo da risollevare il morale di Draco. «In
un certo senso, è sana come un pesce» continuò, sempre con la stessa
espressione. «Fatta eccezione per le occasionali emorragie interne, l’incapacità
di camminare ed il fatto che sia stata usata come cavia da laboratorio per
oltre due mesi. Sono sciocchezze»
sibilò infine, con una smorfia. Le nocche della mano con cui teneva il
bicchiere erano sbiancate, tanto forte era la pressione.
«Cavia da laboratorio?»
chiese il giovane, raddrizzandosi. Provò a
ricordare se i Mangiamorte avessero mai parlato di esperimenti in sua presenza,
ma senza alcun successo. Forse non avrebbe dovuto addossare a suo padre
un’altra colpa. Forse non avrebbe avuto quel dolore sulla coscienza.
«I Mangiamorte stavano
sperimentando nuove pozioni» disse invece in dottore, distruggendo in un
momento ogni sua speranza. «Mi chiesero di aiutarli ed io rifiutai» bevve un
altro sorso di scotch, riempiendo nuovamente il bicchiere. «Ho scoperto cosa le
avevano fatto soltanto dopo mesi, quando l’Ordine della Fenice l’ha salvata. Oltre due mesi senza che io mi rendessi
conto di cosa le avessero fatto. Oltre due mesi senza ricevere notizie, ma io
quasi non me ne resi conto».
In quel momento, Draco
immaginò per quale motivo la questione del perdono e dei padri gli stesse a
cuore. Lui era un padre che doveva
essere perdonato.
«Non poteva sapere che
se la sarebbero presa con lei» provò a rassicurarlo, senza esser certo di avere
buoni risultati. Non era bravo con le persone. «Ha evitato di aiutare degli
assassini, sua figlia non può davvero biasimarla».
Crave emise uno sbuffo
di risata, nonostante sembrasse particolarmente furioso con se stesso. «Mia
figlia non mi odia, Signor Malfoy» lo rassicurò, sarcastico. «Lei non mi
rinfaccia assolutamente nulla, anzi, sembra quasi che la prigionia l’abbia
convinta a volermi ancora più bene».
Draco si accigliò.
«Allora…?».
«Io non mi sono perdonato, Malfoy, e non credo che potrò mai farlo»
sputò infine il dottore, mettendo da parte il bicchiere. «Se potessi tornare
indietro aiuterei i Mangiamorte, anche a costo di resuscitare personalmente
Voldemort» ringhiò, balzando in piedi e fronteggiando, per la prima volta, la
fotografia. «Farei qualunque cosa,
per impedire che la mia Rose possa esser presa di mira. Qualunque cosa, Malfoy, pur di vederla camminare ancora una volta e
per sentirla minacciarmi di dare il mio nome al suo primogenito» esalò, con la
voce improvvisamente tremante.
Draco non alzò lo
sguardo, preoccupato all’idea di cosa avrebbe visto. La cicatrice al braccio
gli faceva abbastanza male senza trovarsi davanti gli occhi di un padre
distrutto dal dolore. «Non si può fare nulla, per lei?» chiese quindi, sperando
di poter aiutare, in un qualsiasi modo. Nonostante non l’avesse mai conosciuta,
la ragazza era comunque la figlia dell’uomo che lo aveva aiutato a superare
quei sei anni. Glielo doveva.
Crave, gli occhi ancora
puntati sulla foto della sorridente figlia, rise senza la minima allegria.
«Sono il miglior guaritore degli ultimi anni, Malfoy, credi che se ci fosse
stato un antidoto io non l’avrei già trovato?» domandò, sarcastico, per poi
passarsi la mano fra i capelli. «Non c’è più nulla che io o chiunque altro
possa fare per Rosemary. Nulla mi consentirà di guardare negli occhi mia figlia
e non provare l’istinto di uccidermi» continuò, la voce ridotta ad un sibilo
carico di odio e ribrezzo per se stesso. «Se ti ho chiesto di parlare con tuo
padre, Malfoy, non è perché credo che tu
abbia bisogno di perdonarlo, ma perché sono certo che lui abbia bisogno di perdonare se
stesso, prima di morire».
Colpito da quelle ultime
parole, Draco strinse i braccioli della poltrona così forte da farsi quasi del
male. «Lei come lo sa? Siamo stati bene attenti a non diffondere la verità
sulle sue condizioni» domandò, nervoso, ripetendosi l’elenco di tutte le
persone che avrebbero potuto davvero tradirli.
«Sono il migliore,
Malfoy, te l’ho detto» gli rispose il dottore, sospirando. «Tua madre si è
subito rivolta a me, quando hanno scoperto la malattia» disse, lanciandogli uno
sguardo in tralice.
Il giovane deglutì,
sforzandosi di far uscire le parole con un tono che non sembrasse troppo
preoccupato o interessato. «E cosa ha scoperto, nella visita?» domandò, con la
voce ridotta a poco più di un sussurro.
Crave sospirò,
dedicandogli un sincero sguardo di commiserazione. «Va’ a parlare con tuo
padre, Draco, concedi almeno a lui di morire con l’anima in pace. Dubito vedrà
l’anno nuovo».
***
«Si rende conto dei danni che
avete causato?».
Ancora una volta, Kinglsley Shacklebolt sbatté il pugno sul tavolo,
trattenendosi dall’urlare soltanto per evitare di far diffondere troppo la
notizia. Aveva gli occhi spalancati in modo quasi anormale, il viso coperto da
tante goccioline di sudore. Hermione non ne era assolutamente certa, ma le
sembrò di poter scorgere l’arteria sul collo pulsare furiosamente.
Il ministro si era infuriato.
«Mi rendo conto, ma…» tentò,
ancora una volta, ritrovandosi interrotta da un altro pugno sulla scrivania.
Quella volta, almeno, non trasalì. «Ministro, mi rendo conto che i danni siano
stati particolarmente gravi, ma se esaminasse il rapporto…» continuò, testarda,
allungando la mano per poter indicare il punto preciso in cui l’uomo avrebbe
potuto trovare la spiegazione dettagliata di ciò che erano stati costretti a
fare pur di portare a casa la Traccia e, soprattutto, la pelle.
«Tu non ti rendi conto, signorina Granger» le sibilò contro l’uomo, con
una smorfia furiosa. «Il Ministro della Magia francese mi alita sul collo, li
avevo avvertiti che ci sarebbero potuti essere problemi, ma non… non questo» aggiunse, furioso. «Hanno
chiesto i danni per quello che avete combinato e il Governo non ha abbastanza
fondi per permettersi queste sciocchezze».
Ad Hermione la parola sciocchezze non piacque affatto.
L’irritazione crebbe dentro di lei come un fiume in piena, riportandole alla
memoria tutto ciò che di orribile aveva visto negli anni di fedele servizio al
Ministero. Ogni sciocchezza, ogni quisquilia che aveva pensato semplicemente di
scordare per amore della pace comune… ricordò tutto.
«Questa è una sciocchezza, Ministro?» sbottò allora, incrociando le
braccia al petto. «Distruggere creature pericolosissime, nascoste fra i
babbani, per recuperare un artefatto di fondamentale importanza ed evitare che Voldemort torni in vita è una sciocchezza?» sibilò ancora, alzandosi
in piedi, l’indice puntato contro il petto dell’uomo. «Vuole sapere una vera sciocchezza, Ministro? I regali
assurdamente costosi fatti ai Capi di Stato stranieri, quelli sono sciocchi!
Oppure le cene di lusso! Oppure le interviste con il Profeta che il Governo finanzia, per coprire un po’
lo schifo generale!» iniziò a sbraitare, sentendo la rabbia infiammarle il
viso. Avrebbe voluto tirar fuori la bacchetta, puntargliela contro e fargli
rimpiangere l’ultima mezzora di rimproveri che era stata costretta a
sopportare. Ma lui era il Ministro, lei non poteva permettersi certe libertà.
«Signorina Granger, queste non
sono questioni che…».
«Non mi dica signorina Granger!» sbottò ancora,
furiosa. «Ci ha dato una missione e noi l’abbiamo portata a termine! Cosa vuole
di più? Stiamo già facendo il lavoro di cui lei
dovrebbe occuparsi, Ministro» sputò l’ultima parola come se fosse stata un
insulto. «Posso accettare che il nostro modo di gestire la situazione non sia
stato dei migliori. Posso accettare l’ammonimento a stare più attenti, la
prossima volta» si fermò un momento, abbassando il dito e sospirando, nel
tentativo di recuperare la calma. «Ma non può accusarci di mandare in
bancarotta il Ministero, Signore. Non siamo noi a dissipare tutto per mantenere
l’illusione che vada tutto bene. Non
siamo noi gli incapaci».
Si rese conto di aver
esagerato un istante troppo tardi, quando notò la rabbia tornare
prepotentemente ad affacciarsi negli occhi scuri dell’uomo, dove un attimo
prima sembrava voler vincere la vergogna.
L’avrebbe fatta arrestare?
Shacklebolt aveva
l’espressione di un lupo affamato cui era stata malamente sottratta la preda.
Puntò il dito contro il rapporto che la giovane gli aveva consegnato quella
mattina, colpendolo più volte. Se avesse usato più forza, avrebbe lasciato un
buco nel legno.
«Ho sbagliato la prima volta
a coprire le spalle a lei ed a Malfoy» le sibilò, mostrando i denti. «Non
sbaglierò più. Il Ministero, da oggi in poi, si limiterà a tirarvi fuori di
prigione, qualora fosse necessario. Si ricordi che tutta la sua carriera
dipende da questa missione, Granger, e che sono io il vero capo della missione» con fare minaccioso, girò intorno
alla scrivania, fronteggiandola. «La prossima volta che mi metterete in
imbarazzo davanti ai Ministeri stranieri, non esisterà bettola del mondo magico
pronta a darle un lavoro» si fermò, ma solo per riprendere fiato. «Quanto a
Malfoy, gli ricordi chi è che gli copre le spalle» aggiunse infatti, indicando
nuovamente i fogli. «Trovate quello Specchio e state bene attenti, se il
Ministero non paga, i responsabili sarete voi».
L’istinto ribelle che
Hermione non sapeva neppure di possedere insorse. «E se non volessimo
continuare la missione?» domandò, impertinente. «Chi altri vorrebbe mandare,
eh? Chi potrebbe avere più esperienza di noi?»
sbottò, forse peccando un po’ di egoismo. «Voldemort è una minaccia ben più
importante della caduta del Governo e mi rifiuto di credere che proprio tu non
te ne renda conto, Kingsley»
disse infine, cercando di ergersi in tutta la sua modesta altezza.
L’uomo non si fece
intimidire, tutt’altro. Il fatto che lei si fosse
presa quella confidenza, come se fossero stati ancora nell’Ordine, doveva
averlo irritato ancora di più.
«Non mancarmi di rispetto,
signorina Granger. Sono io che
impedisco alle autorità babbane di arrivare al tuo
collega» minacciò, lasciando bene intendere che l’attività illecita di Malfoy
fosse, in un certo senso, appesa al filo di un rasoio.
Nonostante l’istinto le
ordinasse di tacere, poiché quella minaccia era sufficiente a mettere a
repentaglio la missione, qualcosa la spinse a ribellarsi ancora.
Nessuno l’avrebbe più sottomessa.
«Beh, questo potrebbe fermare
Malfoy. Senza di me, lui non potrebbe portare a termine un bel niente» ribatté
quindi, l’espressione vincente.
Kingsley sorrise.
«Quanto credi che durerebbe
il tuo amico Potter, se si venisse a sapere dei suoi problemi con l’alcol?» le
disse, le sopracciglia inarcate ed un sorriso di trionfo stampato in viso. Lui sapeva che niente le avrebbe impedito di
aiutare Harry. Sapeva che leifosse ben
più che consapevole del fatto che l’amico, lasciato a se stesso, non avrebbe
resistito molto.
Con le spalle al muro,
Hermione capitolò.
***
«Beva questo, Miss» con voce
gentile, Daisy le porse una tazza fumante di tè. «Ho messo un bel po’ di
zucchero, è così pallida che sicuramente ne avrà bisogno» aggiunse, dolcemente,
aggirando la scrivania del Ministro per sistemare i documenti sparsi un po’
ovunque.
Dopo averle dato
quell’ultimatum, Shacklebolt era praticamente scappato dal suo ufficio,
abbandonando la giovane strega a tutti i suoi pensieri. Doveva essere
totalmente fuori di sé, altrimenti non avrebbe mai lasciato tutto quel
disordine sulla scrivania. Era stato un Auror, l’ordine era un modo di essere.
Hermione, da quando la porta
si era chiusa violentemente alle sue spalle, si era limitata ad accomodarsi in
una delle sedie davanti alla scrivania. Non era neppure riuscita a sentire
Daisy, prima che le mettesse davanti la tazza.
Doveva ringraziarla, era
stata gentile, nonostante nessuno la stesse obbligando. Di certo il Ministro
non le aveva chiesto di portarle il tè.
«Grazie, Daisy» mormorò,
schiarendosi la voce per eliminare il tremore fastidioso. «Tolgo subito il
disturbo, mi dispiace di non essere andata via immediatamente» si scusò,
imbarazzata, mescolando leggermente il contenuto della tazza. Il colore rosato
del liquido le fece venire i brividi: era la stessa qualità che Dolores Umbridgebeveva ad Hogwarts.
Qualcosa di irrazionale, dentro di lei, le urlò di non bere, per evitare di
diventare a sua volta una rospa in rosa.
La giovane assistente
sorrise, tranquilla, senza tuttavia sollevare lo sguardo dai documenti. Il
rapporto che con tanta cura Hermione aveva preparato era quasi totalmente
stropicciato. «Non si preoccupi, Miss Granger, so bene quanto il Ministro possa
spaventare» mormorò in risposta, con tono leggero e tranquillo. Le sue dita
fragili erano velocissime nel rassettare i fogli.
Hermione si sentì punta da
quell’osservazione. «Io non ho paura di lui» disse quindi, accigliata,
raddrizzando le spalle per recuperare un po’ dell’orgoglio che temeva di aver
perso. Era un’eroina di guerra, nessuno avrebbe potuto più spaventarla davvero.
Più o meno.
Daisy sorrise di più,
comprensiva, sollevando un attimo lo sguardo per rassicurare l’altra strega.
«Naturalmente, Miss» mormorò, pacata. «Intendevo dire che so bene quanto il
Ministro possa perdere le staffe, quando qualcuno gli fa notare i suoi errori»
strinse per un momento le labbra dipinte di rosa chiaro, indicando una delle
finestre – magia, naturalmente, si trovavano sottoterra – alle sue spalle. Il
vetro dell’infisso in questione era leggermente diverso dagli altri, come se
fosse stato sostituito da poco. «Almeno questa volta non è stato violento».
Hermione si accigliò di più,
cercando di far conciliare l’immagine del Kingsley
che lei aveva conosciuto durante la guerra con quella del Ministro Shacklebolt,
sommerso da critiche, debiti ed incapace di reagire con calma.
Non ci riuscì.
«Daisy, ti ha mai fatto del
male?» domandò all’improvviso la più giovane, colta da un orribile dubbio.
Aveva detto di averlo visto nei suoi momenti peggiori, aveva detto che spesso
era stato violento. Possibile che la sua follia fosse arrivata a quel punto? «Non preoccuparti, puoi
dirmelo…» aggiunse, temendo che la bionda avesse paura ad aprirsi a causa delle
possibili ritorsioni.
Il suo sguardo sconvolto fu
sufficiente a dissipare tutte le preoccupazioni di Hermione.
«Oh, no, Miss! Il Ministro è
sempre molto gentile con me» assicurò Daisy, portandosi una mano a coprire le
labbra. La sorpresa nel suo sguardo era genuina, fortunatamente. Hermione
dubitava che stesse mentendo: dopotutto, scovare i bugiardi era il suo lavoro.
«È molto suscettibile, ma di solito si sfoga lanciando cose contro il muro e si
interrompe sempre quando si accorge di me» le spiegò ancora l’assistente. «Una
volta, per paura di avermi spaventata troppo, mi ha dato dei giorni di riposo
ed ha mandato dei fiori con un biglietto di scuse».
Ecco – pensò Hermione – quello era un comportamento degno del Kingsley Shacklebolt che aveva conosciuto.
Sollevata, la strega più
giovane annuì. «D’accordo, Daisy, scusa se ti sono sembrata inopportuna» le
disse, con un sorriso, sorseggiando il suo tè. La dolcezza la colpì allo
stomaco come un pugno. «Mi rendo conto che il Ministro sia molto stressato,
volevo essere certa che fossi al sicuro».
Daisy sorrise, ma qualcosa di
oscuro, di triste, le annebbiò lo sguardo solitamente limpido. «Non si
preoccupi, Miss, con il Ministro io sono perfettamente
al sicuro» la rassicurò, mettendo a posto anche l’ultimo foglio. Intrecciò le
dita, guardandosi intorno con aria leggermente imbarazzata. «Quindi avete
trovato la prima Traccia, giusto?» chiese alla fine, mascherando malamente una
certa curiosità.
Hermione si accigliò,
osservandola con vaga curiosità. «Ci hai per caso spiati, Daisy?» le domandò
infatti, preoccupandosi leggermente di aver fatto sapere a tutto il Ministero
che ci fossero dissapori fra lei ed il Ministro.
La giovane assistente
arrossì, sbrigandosi a negare. «Oh, no! Certo, che no, Miss… ma tutti i
documenti per il Ministro passano prima da me… ho letto qualcosa della sua
relazione e ne sono rimasta affascinata. È stata davvero molto intelligente e
coraggiosa, Miss» spiegò, imbarazzata, abbassando lo sguardo sul plico di fogli
che ancora aveva davanti. «Ha davvero un sangue freddo invidiabile».
A quel punto, fu Hermione ad
arrossire. «Oh… scusami ancora, è naturale che tu controlli i documenti» disse,
scuotendo il capo, con un sorriso imbarazzato. «Ti ringrazio, ma più che
coraggiosa sono stata umana. In certi
casi, l’istinto di sopravvivenza ha la meglio» spiegò, con un sorriso di
circostanza, finendo di sorseggiare il tè ormai tiepido. «Dovevamo prendere
quella Traccia, non avevamo scelta. Ho solo fatto il mio dovere».
Daisy annuì, con uno sguardo
perso in pensieri troppo gravi e troppo cupi per un viso dolce e fresco come il
suo. La sensazione di oppressione che Hermione provava in sua compagnia si fece
ancora più insopportabile del solito.
«Quindi dovete andare in
Germania, adesso?» chiese allora l’assistente, prendendo la tazza vuota che
Hermione teneva ancora fra le mani, dopo averle chiesto con un cenno se avesse
finito. «Non mi sembra ci siano state vere indicazioni geografiche, come
saprete dove cercare?».
«Quello che lo specchio ha
mostrato è stata la fiaba di Biancaneve» rispose Hermione, pratica. Notando lo
sguardo confuso della strega e rammentando il suo essere purosangue, sorrise.
«È una fiaba babbana che parla di una ragazza vittima della sua matrigna strega
che possedeva uno specchio magico» spiegò. «Immagino che quello specchio sia
proprio ciò che cerchiamo noi e che i Fratelli Grimm
abbiano trascritto qualcosa a cui devono aver assistito personalmente. Mi sono
ricordata di una ricerca di alcuni studiosi di Cambridge* e della loro
convinzione che la fiaba di Biancaneve si sia tenuta nelle foreste intorno il
loro luogo natale, così…» si strinse nelle spalle, trattenendosi a stento dal
complimentarsi con se stessa. Era stata davvero geniale a fare quel
collegamento.
Daisy si accigliò. «E qual è
il loro luogo natale?» chiese, apparendo sinceramente curiosa.
«Hanau,
nel nord dell’Assia».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Avrei dovuto aggiornare direttamente lunedì, ma ho preferito anticipare. Ho
praticamente scritto un capitolo in poco più di quarantotto ore e, per me, è
davvero una conquista. Dopo aver finito gli esami ed aver ripreso un po’ di
fiato – avrei potuto iniziare a scrivere già sabato e, forse, postare in tempo,
ma ero davvero troppo sconvolta. Ho avuto bisogno di tempo per me, ma sono
tornata!
Grazie a chiunque mi abbia tenuto nei suoi pensieri, la settimana scorsa.
Punti importanti:
» I miei titoli stanno diventando banali,
me ne rendo conto. Perdonatemi, mi sto ancora riprendendo.
» Ta-daaaaan,
il dottor Crave è tornato con il botto! Il rapimento di sua figlia non è stato
notato da Draco ed Hermione perché, naturalmente, erano via da Hogwarts in quel
periodo. Draco, oltretutto, non sapeva nulla di quel reparto di ricerca dei Mangiamorte, perché,
naturalmente, i pezzi grossi non si
fidavano dei Malfoy. E ne avevano tutte le ragioni.
» Ho esagerato con Kingsley?
Mi dispiace, ma vi assicuro che tutto
ha un senso.
» Daisy è tornata ed ha tranquillizzato Hermione,
almeno in parte. Un capitolo di ritorni, non vi pare?
»* Non esiste alcuna ricerca degli studiosi
di Cambridge, ovviamente. Diciamo che ho dovuto lavorare un po’ di fantasia.
Mi sembra giusto, a questo punto, ricordare due fra i migliori scrittori al
mondo, entrambi fondamentali per la mia formazione culturale ed entrambi
scomparsi di recente. Sto parlando di Harper Lee –
autrice de “Il buio oltre la siepe” – e di Umberto Eco, autore di così tante
opere da richiedere un capitolo intero. Questo 2016 sta facendo una strage.
Grazie infinite a tutti coloro che hanno
commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi
non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie,
davvero.
Grazie ancora a chiunque leggerà, ci
becchiamo lunedì (o più avanti!) prossimo,
Harry Potter si era sempre considerato un uomo dal sangue freddo
LoSpecchio delle Anime.
Atto VI – Scena I
Requiem for a
dream.
Morire, dormire… nient’altro,
e con un sonno dire che poniamo fine al dolore del cuore e ai
mille tumulti naturali di cui è erede la carne:
è una conclusione da desiderarsi devotamente.
Morire, dormire.
Dormire, forse sognare.
Sì, qui è l’ostacolo, perché in quel sonno di morte quali sogni
possano venire dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale deve
farci riflettere.
[W.Shakespeare, Amleto
– Atto III, Scena I]
Harry Potter si era sempre
considerato un uomo dal sangue freddo.
Fin da ragazzo, era riuscito
a mantenere la calma in situazioni che sarebbero state ingestibili per
qualsiasi adulto dotato di un minimo di buonsenso. Aveva visto morire Raptor fra le sue mani, aveva sconfitto un serpente più
grande di un drago ed aveva spesso e volentieri salvato l’intera comunità
magica.
Naturalmente, sapeva bene di
non essere perfetto. Ricordava alla perfezione come si era sentito dopo la
morte di Cedric o quando la Umbridge
lo aveva sottoposto ad ogni genere di tortura psicologica pur di piegarlo. E
ricordava quanto era stato male dopo la morte di Sirius.
E poi Lupin, Tonks, Dobby,
Fred…
Però era sempre riuscito a
riprendersi. Sempre. Cosa che lo
aveva convinto di poter sopportare tutto, di essere abbastanza forte per
sopportare tutto.
Evidentemente si era sbagliato.
Il corpo senza vita di Ginny
giaceva al centro della loro camera da letto, riverso per metà sulla poltrona
che proprio lei aveva preteso di spostare dal soggiorno. I capelli rossi,
solitamente lucenti e morbidi, sembravano steppa arida. Gli occhi erano ancora
spalancati, il castano solitamente caldo e confortante era diventato gelido,
spaventoso, colmo d’accuse.
Era colpa sua.
«Sensi di colpa, Harry?» come sempre, la voce sembrò giungere
direttamente da dentro la sua testa, quasi avesse iniziato improvvisamente a
parlare con se stesso. Ma Harry sapeva che non fosse così e gli bastò voltare
leggermente la testa per trovarsi faccia a faccia con il proprietario di quel
sussurro. «Non sei riuscito a salvarla,
come tutti gli altri…».
A parlare era stata una
creatura scheletrica, con la pelle sottile ed irritata come se avesse
strisciato sul cemento grezzo. I grandi occhi neri erano illuminati
dall’entusiasmo, la voce quasi incrinata dall’aspettativa.
Era tornato.
«No, mio caro, non sono tornato» rise ancora la creatura,
artigliandosi più forte alle sue spalle. «Ma
sto tornando… e verrò a prendere tutti coloro che ami».
No, non l’avrebbe permesso.
Non avrebbe più toccato la sua famiglia.
La creatura rise ed Harry
sentì la sua lingua biforcuta sfiorargli la nuca. Se non fosse stato
pietrificato dalla paura, avrebbe tremato. L’istinto gli suggeriva di scappare
via, la razionalità gli rammentava che dovesse necessariamente essere un altro
dei suoi sogni.
Gli occhi di Ginny gli
perforavano l’anima, consumandolo.
«Ah, ormai è tardi, è quasi fatta… mancano poco più di due mesi… nulla,
per me. Io posso aspettare in eterno»
gli disse la creatura, aumentando ancora la presa sulle sue spalle.
Il dolore delle unghie contro
la pelle lo spinse a stringere i pugni per reprimere la tentazione di
scrollarsi di dosso quel mostro.
Sapeva che sarebbe stato
perfettamente inutile. Non si può toccare uno spirito.
«Inizi a capire, giovane Harry» la creatura rise. «Non combattere, non serve più. Per cosa
dovresti farlo? Guarda, guarda la tua fidanzata! Lei sarà la prima a cadere, lo
sai. Ed il tuo amico… Ronald, non è vero? Dov’è lui?» chiese, crudelmente,
lasciando strisciare una delle mani ad artiglio sulla gola del giovane uomo,
soffocandolo.
Harry lottò, si divincolò, ma
ebbe alcuna speranza di liberarsi.
«Ah, Ronald non c’è più, non è vero? Non sarà con te… e quali saranno le
tue speranze? Il trio non esiste più, i tuoi amici sono tutti condannati…».
Accanto al cadavere di Ginny,
ne apparvero molti altri.
Hermione, Teddy, tutti i colleghi che aveva
perso in quegli anni come Auror.
«Sai di non avere speranze, Harry» cantilenò la creatura, aumentando
la presa sul suo collo.
Harry lo sapeva.
«Sai di non poter più combattere».
Harry si sentì
improvvisamente esausto, come se gli occhi di Ginny avessero iniziato a
succhiargli via ogni forza, ogni respiro stentato.
«Arrenditi» ordinò la voce, perentoria, stringendo ancora di più la
presa sul suo collo.
Sfinito, Harry si arrese.
«Harry! Harry svegliati! HARRY!»
***
Atto VI – Scena II
Lo specchio e la Regina.
C'era
una volta una deliziosa principessina chiamata Biancaneve.
La sua vanitosa e perfida matrigna, la Regina,
temeva
che un giorno la bellezza di Biancaneve potesse offuscare la sua.
Perciò
vestì di stracci la Principessina e la costrinse ai servizi più umili.
Ogni
giorno la vanitosa regina consultava il suo specchio magico:
«Specchio, servo delle mie brame: Chi è la più
bella del reame?»
e sinché lo specchio
rispose "Tu sei la più bella",
la gelosia crudele della Regina risparmiò
Biancaneve.
Il castello appariva molto più diroccato di quanto
Hermione avesse mai sperato.
Le mura erano spoglie, scure, in più punti ridotte ad un
banale cumulo di macerie. C’erano enormi buchi nel tetto, gli infissi avevano
perso le vetrate, lasciando entrare il vento nelle stanze, così che fischiasse
tutto il suo disappunto per il macabro destino toccato ad una struttura un
tempo tanto meravigliosa.
Malfoy sembrava affascinato: i suoi occhi chiari
osservavano ogni minimo dettaglio come se lui fosse stato un guaritore e quelle
mura una ferita. Stranamente, Hermione percepì lo stomaco contrarsi. Le piaceva
quello sguardo, lo faceva sembrare umano.
E l’umanità era proprio ciò che lei non aveva mai voluto scorgere dietro quelle
iridi di ghiaccio. Non avrebbe potuto affrontarlo, altrimenti.
Ma lei non c’era
mai riuscita.
«Sono rovine del tardo dodicesimo secolo» commentò l’uomo,
avvicinandosi al muro diroccato più vicino. «È incredibile che si sia conservato in questo stato, pur essendo
stato abbandonato a se stesso per almeno…» si fermò, osservando il calcinaccio
raccolto da terra. «Direi più di duecento anni, sì».
L’indole saccente di Hermione insorse, senza che lei
potesse far nulla per fermarla. «Stando alle mie ricerche al Ministero tedesco,
il castello è appartenuto alla famiglia VonTeufel fino alla fine del diciannovesimo secolo, quando GertrutVonTeufel
morì senza eredi, bruciata sul rogo dalle famiglie magiche del luogo per aver
assassinato la principessa» spiegò, con il tono da prima della classe che le
avrebbe fatto guadagnare un’occhiataccia da Harry. «Duecento anni all’abbandono
raramente portano a queste condizioni, Malfoy. Reperti molto più antichi hanno
resistito senza restauro per ben più tempo».
Draco le lanciò un’occhiata con la coda dell’occhio, senza
nascondere un ghigno compiaciuto. «Vedo che la mia cara Mezzosangue ha fatto i
compiti» disse, malizioso, accosciandosi davanti al muro. «I luoghi protetti da
antica magia tendono a dissolversi molto prima degli altri. Secondo i miei
calcoli, non sarebbe dovuto sopravvivere che qualche brandello di muro» le
comunicò, senza guardarla, ma facendole cenno di avvicinarsi ed osservare a sua
volta. «La magia a protezione del castello si è dissolta con la morte
dell’ultima proprietaria… eppure, qualcosa ha impedito che le mura si
sgretolassero del tutto».
Hermione ricordò improvvisamente ciò che era rimasto della
casa dei Potter a Godric’sHollow.
Certo, aveva dato la colpa della rovina all’esplosione causata da Voldemort, ma
il resto non era stato forse troppo
abbandonato, essendo passati solamente sedici anni?
«Quel calcinaccio sta forse brillando?» domandò al suo
collega, accigliata, fissando il frammento di muro che aveva preso a luccicare
fra le mani dell’altro. Quando lo sentì imprecare, si voltò a fissarlo. «Malfoy?
Che accidenti…?»-
«A terra!».
Senza sapere come o perché, Hermione si ritrovò con le
spalle sull’erba ed il corpo di Malfoy sopra il suo, come se avesse voluto
farle da scudo.
Ma da cosa?
Prima che potesse chiedere spiegazioni o urlargli contro
le peggiori maledizioni, i frammenti di muro alle loro spalle iniziarono a
sfrecciare velocemente sopra le loro teste, volando verso le rovine del
castello con una violenza tale da poterli uccidere entrambi, se Malfoy non
fosse stato pronto a spingerli al suolo.
«Incantesimo di Renovatio» le urlò lui all’orecchio, per tentare di
sovrastare il caos davanti a loro. «Avrei dovuto pensarci prima! Tutti i
castelli ne hanno uno, ha riconosciuto la presenza di maghi e si è attivato» sbottò
quindi, incurante di essere praticamente sdraiato sopra la giovane, con le mani
ad un passo dal suo corpo ed il viso a pochi centimetri dal suo.
Possibile che
solo lei si sentisse a disagio?
Forse si trattava di pura stizza. Dopotutto –
razionalmente parlando – sapeva bene che lui si fosse avvicinato solo per
evitare ad entrambi una brutta e dolorosa morte. Doveva sentirsi così nervosa
perché non aveva la più pallida idea di quale accidenti di incantesimo lui
stesse parlando. E non esistevano incantesimi che lei non avesse studiato,
prima o dopo la scuola.
«Incanto che cosa?»
sbottò, spostando il viso di lato per osservare la velocissima ricostruzione
del castello. Era strabiliante come
si stesse ricostruendo, mattone dopo mattone. Sembrava di assistere alla sua
decadenza accelerata, ma al contrario.
«Renovatio»
ripeté Malfoy, vagamente divertito. «Non preoccuparti, è più che normale che tu
non lo conosca. Si tratta di un incanto segreto che viene tramandato nelle
migliori famiglie purosangue, per salvaguardare il Maniero» spiegò, voltando il
viso abbastanza da poter notare l’andamento della ricostruzione. «Serve a far
tornare le abitazioni allo splendore in cui erano al momento della morte
dell’ultimo proprietario, così da essere adeguate ad accogliere il nuovo erede».
«Ma noi non siamo gli eredi, Malfoy» sbottò allora lei,
seguendo il percorso di una finestra dal piano terra all’infisso vuoto
dell’ultimo piano. «Non ha senso!».
Lui rise, divertito. «Parla per te, Granger. Non hai
ancora capito che i purosangue d’Europa sono tutti imparentati?».
***
Il castello sembrava appena uscito da un romanzo horror,
in perfetto stile Mary Shelley. Hermione ricordò la
descrizione del castello di Frankenstein che aveva letto
da ragazzina e, all’improvviso, temette di doversi guardare le spalle da uno
zombie con delle viti infilate nelle tempie.
«Accogliente» commentò invece Malfoy, sarcastico,
indicando le teste di cinghiali, orsi e – strano a dirlo – anche procioni appese
alla parete dell’ingresso. «Le teste impagliate sono fuori moda dalla fine del
diciottesimo secolo, immagino che la vecchia antenata Gertrut
non sia mai stata una appassionata delle mode» aggiunse, con una smorfia
nauseata, muovendo la bacchetta in direzione del grande lampadario che
sovrastava la scala centrale.
Nonostante fossero ridotte ad un cumulo di cera sciolta –
come aveva potuto mantenersi tanto a lungo? – si accesero contemporaneamente,
rischiarando la vista sull’ampio salone. Se la luce del sole era riuscita
appena a mostrare la grandiosità della scalinata centrale, in quel momento alla
strega sembrò davvero di essere stata proiettata indietro nel tempo di almeno
duecento anni. I tappeti erano perfettamente puliti e spazzolati, non c’era una
singola ragnatela sui quadri vuoti e non c’era una sola finestra col vetro
incrinato.
Quadri vuoti?
«Malfoy, dove sono i quadri?» domandò, cauta, tenendo la
bacchetta alzata per paura di doversi difendere all’improvviso. L’esperienza di
Versailles l’aveva segnata più di quanto avesse voluto ammettere. Aveva sempre
paura di essere attaccata… e desiderava ardentemente tornare in azione.
Lui si strinse nelle spalle, calmo ma non rilassato. «Avranno
doppioni in molti altri Manor, in oltre duecento anni
si saranno annoiati» le rispose, avvicinandosi ad una cornice vuota. «Questo
risale al tardo quindicesimo secolo, intarsi d’oro» commentò, vagamente
ammirato, sfiorando il decoro con la punta delle dita. «Alta classe, non c’è
che dire. Ne avevamo alcuni al Manor, ma mia madre li
riteneva altamente detestabili».
Hermione lo fissò per qualche istante, indecisa se
sorridere di quella scena quasi assurda o sentirsi ammirata. Malfoy era davvero un conoscitore dell’arte,
difficilmente avrebbe potuto metterlo in dubbio. E lei era quasi ignorante al
riguardo, sempre che non le si chiedessero informazioni sul trasferimento dei
beni di valore tramite testamenti e cessioni onerose.
«Non siamo qui per commentare i quadri, Malfoy» lo riprese
alla fine, indicando le scale con un cenno della bacchetta. «Credi che dovremmo
separarci ancora una volta? È già pomeriggio inoltrato e preferirei non restare
qui totalmente al buio, sai» ammise, con una smorfia preoccupata, lanciandosi
uno sguardo alle spalle. «Per quanto impressionante, questo posto mi mette i
brividi».
Malfoy la osservò in silenzio, prima di seguirla ed
avviarsi verso la grande scala centrale. Il fatto che non si fosse lamentato e
non l’avesse presa per i fondelli la fece accigliare.
«Malfoy?» chiese quindi, crucciata, raggiungendolo ed
afferrandolo per il braccio, tentando di ottenere la sua attenzione. Se quello
era un trucco per farle abbassare le armi, di certo lei non si sarebbe fatta
abbindolare. Era molto più intelligente di così.
Oltretutto, quel luogo era così inquietante da farla sentir male al solo pensiero di doverla
attraversare da sola. Se lui le avesse giocato qualche tiro mancino,
probabilmente si sarebbe nascosta nel primo angolo disponibile, incapace anche
di smaterializzarsi. Era come se qualcosa – o qualcuno – fosse stato con il fiato
sul suo collo dal momento stesso in cui aveva messo piede nell’androne.
«Granger» il tono di Malfoy era serio, forse addirittura
nervoso. «Se tu sei spaventata di un
vecchio castello, significa che deve esserci qualcosa di davvero inquietante»
le disse, fermandosi ad un passo dalla scala per lanciare un’occhiata tutt’intorno. Aveva la mascella contratta e le spalle tese
quasi quanto quelle di Hermione. «Se devo essere sincero, anch’io sento puzza
di guai. Dobbiamo sbrigarci» aggiunse, fissandola negli occhi come se si
aspettasse qualcosa da lei.
«Cosa?»
Vederlo alzare gli occhi al cielo le fece venire mal di
stomaco. «Dove dobbiamo andare,
Granger? Sei tu l’esperta in fiabe babbane, io non
saprei come muovermi in questo postaccio».
«Oh!» dandosi dell’idiota, Hermione si prese il labbro
inferiore fra i denti, alzando lo sguardo verso l’alto soffitto. C’erano molte
opzioni ma non aveva la più pallida idea di quale potesse essere quella giusta.
«Le diverse versioni sono contrastanti al riguardo» iniziò a spiegare, nervosa.
«Alcuni ritenevano che la strega avesse lo specchio al sicuro nelle proprie
stanze, altri ritenevano che fosse nei sotterranei, al sicuro dallo sguardo del
marito babbano» nel dirlo, colse appena la smorfia fatta da lui. «Qualcosa non
va?» domandò, tentata terribilmente di assumere lo stesso cipiglio che era
solita rivolgere ad Harry.
«Una mia antenata sposata con un babbano? Impossibile» le
rispose lui, dandole le spalle ed avviandosi a passo di marcia verso una porta
laterale, seminascosta dietro un enorme arazzo. Un arazzo raffigurante un
albero di mele con un solo frutto visibile. Ironico.
«Dove accidenti stai andando, adesso?» gli chiese allora,
inseguendolo di corsa nel tentativo di non essere lasciata indietro. «Cosa
c’entra in tutto questo il marito babbano?».
Lui si strinse nelle spalle, tirando fuori dalla giacca
degli strani strumenti appuntiti ed iniziato ad usarli sulla serratura della
porta nascosta. «Il marito? Nulla,
naturalmente. Sono solo sconvolto dal fatto che una purosangue del diciottesimo
secolo avesse pensato di tradire la sua dinastia» le spiegò, senza degnarla di
uno sguardo. «Quanto alla prima domanda, Mezzosangue,
è risaputo che i maghi tengono tutto ciò che esiste di valore nei loro
sotterranei» le spiegò, vagamente allegro.
Nei sotterranei, come i Dormitori Serpeverde.
Che bastardo.
Hermione decise di ignorarlo, non erano nel luogo adatto
per delle schermaglie da bambini. «Il marito babbano era un nobile, Malfoy. Immagino abbia ritenuto
quel matrimonio un sacrificio necessario per il potere» disse, sprezzante,
raddrizzando le spalle e tirando su il naso, come se avesse voluto lanciare un
guanto di sfida proprio alla strega.
Malfoy si irrigidì, dedicandole un verso di scherno. «Perché
un Serpeverde non può certo sposarsi per amore, eh, Granger?» le chiese,
ironico, lanciandole un solo sguardo affilato prima di spalancare la piccola
porta su un corridoio lungo, stretto e buio. «Da qui si va direttamente ai
quartieri dei domestici e, da qualche parte, dovremmo riuscire a trovare le
scale per i sotterranei» aggiunse, tranquillo, raddrizzandosi e riponendo i
suoi attrezzi nella tasca interna della giacca.
Hermione era rimasta a fissarlo completamente atterrita
dalla vergogna. Naturalmente lei non
credeva davvero che i purosangue non fossero capaci di sposarsi per amore.
Alcuni certamente l’avevano fatto, come i signori Weasley. Naturalmente, non
potevano proprio essere considerati fra i migliori purosangue in circolazione,
ma, insomma…
Anche lei era una
razzista.
«Malfoy, io…» iniziò, allungando la mano per afferrargli
il braccio. Lui non glielo lasciò fare, continuando verso l’oscurità appena
illuminata dalla bacchetta. «Aspettami!».
Quando lo raggiunse, notò che lui sembrasse sul punto di
sorridere. «Non scusarti con me, Granger, nessuno potrebbe capire meglio cosa
significa realizzare improvvisamente di credere in qualcosa di sbagliato» le
disse – forse per rassicurarla? – indicando con un cenno la piccola scala che
si intravedeva alla fine del lungo e retto corridoio. «Da lì arriveremo di
sotto, cerca di tenerti pronta. Non possiamo sapere cosa ci sarà a guardia
della Traccia».
Lei si limitò ad annuire, bacchetta in mano e sensi
all’erta. Dietro ognuna delle porte che superavano sembravano agitarsi delle
ombre inquiete, con scricchiolii improvvisi e sussurri inspiegabili.
L’inquietudine di Hermione crebbe a dismisura. Era come se la cosa che l’aveva seguita fino a quel
momento si fosse moltiplicata, nascondendosi nelle zone buie, pronta ad
attaccare.
Un momento troppo tardi, si rese conto di avere ragione.
***
Bluatsauger, creatura
umanoide dalla pelle diafana tendente al grigio, profondi occhi scuri, corpo
solitamente esile ma dalle movenze attraenti.
E con una
dentatura capace di far perdere i sensi a qualsiasi dentista dotato di
buonsenso.
La creatura che li osservava dal grande trono di pietra ed
ossa era rimasta immobile, non sembrava neppure aver preso un respiro. Il lungo
abito di pizzo nero le cadeva sul corpo esile con una studiata eleganza, come
se fosse stata una delle meravigliose statue del Bernini.
Lei era reale – i brividi che percorrevano la schiena della strega al solo
osservarla non lasciavano spazio ai dubbi – eppure sembrava non essere lì, come se fosse un’opera d’arte.
Malfoy stava ancora tentando di riprendere fiato, piegato
in due dopo il colpo ricevuto a tradimento da uno dei servi della creatura. Lei
non aveva visto l’attacco – era troppo buio ed era stato troppo veloce – ma
considerata la sua espressione, non c’era dubbio che stesse temendo per la
futura discendenza dei Malfoy.
Gli schiavi, legati i polsi dei prigionieri, si
inginocchiarono davanti alla loro meravigliosa regina, il capo chino fin quasi
al pavimento. Erano sette, nessuno di loro più alto di cinquanta centimetri,
con folte barbe brizzolate e cattivi occhi neri.
Ebbene, Hermione aveva guardato spesso Biancaneve ed i
sette nani, eppure non ricordava che qualcuno di loro sembrasse appena uscito
da un film dell’orrore.
«Si stavano dirigendo da voi, Maestà» parlarono insieme, come una sola persona, le vocine
gracchianti e perfettamente coordinate echeggiarono fra le pareti spoglie del
sotterraneo. «Abbiamo pensato di aiutarli».
La Regina non sembrò essere impressionata. Si limitò ad un
leggero movimento del capo, così aggraziato da far lacrimare gli occhi della
strega, tornando alla sua immobilità immortale.
«Vostra Maestà desidera altro dai suoi umili servitori?»
quella volta, a parlare fu il più vecchio del gruppo, l’unico la cui barba
sfiorava il terreno e tendeva più al bianco che al nero. Dentro di sé, Hermione
lo inquadrò come il Dotto della situazione, trattenendosi a stento dal sentirsi
male all’idea dei bambini costretti a guardare un film con quei protagonisti.
«Preparate l’uomo».
Se non l’avesse vista aprire la bocca, Hermione avrebbe
pensato che a parlare fosse stato un angelo del Cielo. Non era nulla di umano,
nulla di vivo: la perfezione di mille campanellini in un’orchestra voluta da
Dio in persona. Si ritrovò incantata a fissarla, implorandola mentalmente
affinché parlasse ancora e ancora e ancora. Se gliel’avesse chiesto, si sarebbe
buttata da un ponte per lei.
Fortunatamente, Malfoy, accecato dal dolore, non era dello
stesso avviso. «Granger, la Traccia» le
sibilò, mentre due nani lo afferravano per le braccia e lo trascinavano via,
come se non pesasse più di un giunco di bambù. Probabilmente preso dallo
sconcerto per la mancanza di reazioni della strega, prima di esser troppo
lontano le assestò un calcio nello stinco.
Fu come riprendere fiato dopo averlo trattenuto per oltre
un minuto. La vista tornò limpida, nonostante Hermione non si fosse resa conto
di averla appannata, il controllo su braccia e gambe fu nuovamente suo. Tornata
in possesso della sua razionalità, vide la creatura per quella che era.
Era stata bella, non c’erano dubbi al riguardo. La
struttura ossea lasciava intendere che un tempo dovesse essere stata una di una
bellezza pari a quella di una divinità. Ma era quello il punto, la sua struttura ossea era fin troppo distinguibile. Dove un attimo prima Hermione aveva visto
guance morbide, c’era solo un teschio coperto da un sottile strato di pelle.
Gli occhi, luminosi nella loro oscurità, erano diventati pozzi senza fondo,
ammalianti come quelli di un serpente. I denti erano ben visibili fra ciò che
restava di quelle che dovevano essere meravigliose labbra.
Vampiro.
Prima che realizzasse cosa stesse succedendo, la creatura
si portò alle sue spalle, le mani ad artiglio piantate sulla sua gola per
limitarle i movimenti. Stretta in quell’inquietante abbraccio, la strega sentì
ogni calore defluire dal suo corpo. L’avrebbe morsa? L’avrebbe uccisa?
«L’odore del tuo sangue mi disgusta, strega» le disse
all’orecchio, con un sussurro glaciale che le fece accapponare la pelle. «Sei della
mia discendenza, non posso toccarti» aggiunse, quasi arrabbiata, stringendo la
presa su di lei. «Ma, fortunatamente, ho già uno spuntino ad attendermi».
La lasciò andare con una velocità che di umano non aveva
nulla, scaraventandola ai piedi del trono. Quando Hermione si voltò, la vide
china su Malfoy, il volto glaciale sconvolto dall’impazienza e dalla fame. Se
lo avesse morso, lo avrebbe forse trasformato? Lei non ricordava molto di
quella lezione seguita durante i primi anni al Ministero, quando il professor VanHelsing – discendente di quelVanHelsing – aveva trattato superficialmente dei vampiri nati
da una maledizione.
Gertrut non era stata
morsa, aveva semplicemente maledetto se stessa prima di essere bruciata dagli
altri maghi. Cosa le impediva di dannare anche Malfoy?
Doveva fare
qualcosa. Ma cosa? Come avrebbe potuto impedire ad una creatura
ultracentenaria di consumare un pasto che doveva aver atteso per così tanto tempo? Come poteva, lei, impedirle
di realizzare il suo piano, rovinando non solo l’esistenza di Malfoy ma,
soprattutto, l’intera riuscita della loro missione?
Fu allora che lo vide, come se avesse risposto al suo
richiamo disperato con uno scintillio d’emergenza.
Nascosto dietro un pesante tendaggio oscuro, lo Specchio
attendeva soltanto di essere consultato. La decorazione barocca splendeva quasi
di luce propria, la superficie centrale rifletteva un’oscurità che non
apparteneva al mondo dei vivi. La stava chiamando, Hermione non aveva dubbi al
riguardo. Era come se delle gelide dita di nebbia si fossero aggrappate al suo
collo per trascinarla lì, al cospetto di una magia che mai nessuno avrebbe posseduto. Nessuno tranne lei, se solo si fosse
donata ad essa con tutta l’anima.
Specchio,
specchio delle mie Brame…
Nessuno le impedì di avvicinarsi, nessuno la fermò quando allungò
la mano e scostò il pesante panneggio nero, fronteggiando il nulla dell’abisso.
E lì, nascosti fra le ombre, Hermione vide volti, vide mondi nascere e
crollare, vide la conoscenza umana sorgere e raggiungere il suo picco. E vide
se stessa, circondata da tutto quel sapere, protetta da tutti i mali del mondo.
Lei era la conoscenza, lei era il sapere e nessuno avrebbe più
potuto farle del male.
Chi è la più
bella del Reame?
Ma, ecco, un altro volto accanto al suo, gli occhi coperti
da un mantello dello stesso colore della notte, le braccia nude strette intorno
a lei. Un marchio nero bruciava sulla sua pelle candida, a contatto con il suo
cuore di Mezzosangue. Stringeva
forte, ma lei non sentiva nulla. Stringeva e la conoscenza intorno a lei si
faceva più fitta, soffocante. Mondi nascevano e crollavano, il fuoco
distruggeva l’universo, eppure l’uomo col tatuaggio restava lì, impedendole di
crollare con tutto ciò che la circondava.
Aiutami, Hermione.
La conoscenza svanì. Restò solo il riflesso di Hermione,
circondato dal nulla dell’oscurità, nonostante intorno a lei le candele
stessero bruciando tutta la loro luce. Un uomo vestito di una lunga toga rossa
apparve dal nulla, il sorriso accennato ed il capo cinto d’alloro.
“Distruggi lo
specchio, ragazza” le intimò, bonario, occhieggiando a qualcosa alle sue
spalle, come se lo specchio fosse diventato un portale. “Gertrut ha abusato del potere per troppo tempo ormai. È ora che paghi per ciò
che ha fatto in misura pari all’entità dei danni che ha causato”.
Hermione trattenne bruscamente il respiro, sentendo quelle
parole. Gli occhi dell’uomo non la rassicuravano, quasi avesse causato egli
stesso infinite pene a molte, moltissime persone. Ma il vampiro aveva la
precedenza su tutto. Doveva distruggerla, o lei avrebbe distrutto Malfoy.
«Lo specchio ti sta parlando,
nipote?» come un’ombra, Gertrut aveva abbandonato la
sua vittima ed era tornata da lei, posandole le dita ossute sulle spalle. Non
l’aveva uccisa, non l’aveva allontanata: era felice che fosse arrivata allo specchio. «Dimmi se ti sta
parlando!» insistette, improvvisamente nervosa, scuotendola con violenza.
Possibile che lei non sentisse? Che lei non vedesse?
Il sorriso macabro dell’uomo confermò la sua teoria. Gertrut aveva perso l’abilità di parlare con il suo
Specchio da molto, moltissimo tempo.
“Distruggi lo
Specchio, strega”.
Con un sorriso di circostanza, Hermione si voltò per un
momento verso la sua ava, mostrandosi incantata come se fosse ancora stata
posta sotto il dominio dell’illusione.
«Sì, ho sentito lo Specchio» le rispose, gentilmente. La
sua mano sfiorò la cornice d’oro, quasi fosse stata persa in contemplazione.
«Cosa ti ha detto? Chiedi come tornare in vita, presto!»
le intimò il vampiro, fremente d’eccitazione ed incurante delle imprecazioni
che, alle loro spalle, Malfoy stava urlando nonostante i colpi dei nani da
compagnia.
«Lo Specchio dice che devi pagare, Gertrut»
il sorriso si allargò, la presa della mano sulla cornice si strinse. «E pagherai
tutto».
Lo schianto del vetro infranto risuonò per tutto il
sotterraneo, facendo tremare le fondamenta. Gertrut
urlò, si scagliò contro Hermione e con le unghie affilate le lacerò la pelle
all’altezza dello stomaco, snudando i canini per nutrirsi di lei, nonostante
avesse ella stessa affermato di non trovare appetitoso l’odore del suo sangue.
Ma lo Spirito dello Specchio la fermò prima che potesse
mettere in atto il suo piano.
“Così s’osserva in
me lo contrappasso” recitò la creatura, avanzando lentamente verso la
Vampira, crollata in ginocchio alla sua sola vista. Improvvisamente tornò alla
sua originaria bellezza, l’orrore dipinto su degli occhi scuri, ma non più
immortali.
Non ci fu pietà per lei, esattamente come lei non ne ebbe
per le sue vittime. Il suo urlo si unì a quelli dei suoi servitori,
pietrificati e ridotti lentamente in cenere mentre ancora i loro occhietti neri
si muovevano nervosi nelle orbite.
Della Regina Cattiva e dei suoi sette nani non restò che
polvere e, fra la polvere, otto piccoli semi.
Semi di mela, notò Hermione
con ironia.
«Mezzosangue» Malfoy era comparso al suo fianco, il viso
pallido ma fortunatamente illeso. Sembrava preoccupato, nonostante Hermione non
riuscisse a comprendere il perché.
«Prendi la Traccia, Malfoy» gli rispose, secca, indicando
la piccola cornice nascosta dietro lo specchio più grande. «Perché mi stai
guardando così, maledizione? Prendi la
Traccia!».
Lui non la prese, limitandosi ad inginocchiarsi davanti a
lei. «Hermione, stai sanguinando» le
disse, mortalmente pallido, indicando lo squarcio che Gertrut
aveva aperto nel suo stomaco. «Adesso ti porto al San Mungo, va bene? Ma tu non devi agitarti» aggiunse, deglutendo.
«Hai la bacchetta? La mia è stata spezzata da quei nani maledetti».
Abbassato lo sguardo, Hermione si rese finalmente conto di
quanto grave fosse la sua ferita. Non
sentiva alcun dolore, ma sapeva con certezza che un altro centimetro di
profondità e la vampira avrebbe potuto saltare la corda con le sue budella.
Confusa, alzò gli occhi sul mago, indicando la bacchetta che le era caduta
durante l’attacco. Osservò Malfoy prenderla, lo fissò mentre mormorava
incantesimi per fermare l’emorragia. Forse le avrebbe salvato la vita, forse
avrebbe solo ritardato la sua morte.
«Dobbiamo andare al San Mungo» le comunicò, stringendo i
denti con rabbia, portandole un braccio sotto le ginocchia e l’altro dietro le
spalle, per sollevarla. «Non preoccuparti, ci penserò io» tentò ancora di
rassicurarla, nonostante lei fosse tutto tranne che preoccupata per se stessa.
Probabilmente era colpa dello shock.
«La Traccia…».
«Questa la prendiamo noi, mia cara».
Una voce maschile, cavernosa ma elegante, li fece
immobilizzare.
Immobilizzare letteralmente.
«Incantesimo della Pastoia, Manuale degli Incantesimi del
primo anno» aggiunse la stessa voce, con una risata macabra, un attimo prima
che un uomo mascherato sbucasse dalla porta di accesso al sotterraneo, con la
bacchetta ancora alzata. La tunica era risalita lungo il braccio, mostrando
chiaramente un tatuaggio sulla parte interna.
Il Marchio Nero.
Chi era? Cosa voleva da loro? Erano tante le domande che
Hermione avrebbe voluto porre. L’emorragia non rispondeva all’incantesimo, il
sangue continuava a colare fuori da lei, rendendola sempre più debole, sempre
meno legata alla vita.
Il Mangiamorte rise più forte. «Non provare a
riconoscermi, Malfoy, non potresti. Io ero nulla
per quelli come te» disse, allegro, avvicinandosi al piccolo specchio ed
allungando la mano per staccarlo dal muro. «Siete stati bravi, l’altra volta.
Non avevamo idea che sareste arrivati così lontano
con la vostra ricerca» aggiunse, prendendo lo specchietto e nascondendolo nella
tasca interna del mantello.
Uno sguardo allarmato fu tutto ciò che ricevette in
risposta.
«Adesso non potrete più ostacolarci. Il Padrone
conquisterà il suo corpo mortale e tornerà fra noi» comunicò infine il
Mangiamorte, stringendosi nelle spalle. «Granger, quella ferita sembra davvero
brutta. Spero sinceramente che tu muoia senza troppo dolore, non eri una
cattiva ragazza» rise più forte, indicando il sangue per terra. «Sì, insomma…
pur essendo una Mezzosangue».
Intorno a loro risuonò un boato, le mura iniziarono a
tremare.
«Beh, ragazzi, buona fortuna» si congedò il Mangiamorte,
tirando fuori la bacchetta. «Con il crollo, intendo».
E si smaterializzò.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Vi sto scrivendo praticamente dormendo! Questa notte, come credo sappiate,
c’è stata la cerimonia degli Oscar ed io dovevo
assolutamente assistere. Questo è stato l’anno del mio adorato Leo, se non
avesse vinto non so cos’avrei fatto.
Oltretutto è stata una notte importantissima per il Maestro Morricone, un vero orgoglio italiano, dovremmo esserne
fieri.
Comunque, per chiudere la parentesi, ho dormito solo tre ore e sento il
cervello galleggiare nella scatola cranica, abbiate pietà.
Punti importanti:
» In questo capitolo ci sono due scene,
quindi, due titoli. Requiem for a dream è il titolo
di un film dei primi anni duemila che io, sfortunatamente, non ho ancora visto.
Essenzialmente, traducendo, è “funerale per un sogno” ed ho ipotizzato che
fosse perfetto per Harry. Quanto al secondo titolo, immagino non servano grandi
spiegazioni!
» Harry, Harry, cosa ci combini? Cosa ti è successo? Il signor Potter è
ufficialmente fuori dai giochi? Quanto è grave la sua condizione? Chi lo sa...
» La strega cattiva non è mai morta ed i
nani erano i suoi servetti! I fratelli Grimm si staranno rivoltando nella tomba, ma questa
versione mi attirava decisamente di più. Hermione voleva tanto fare il principe
azzurro, ma ho idea che ci sia riuscita solo in parte. Dopotutto, non è stato
Draco a venir affettato come un salame.
» Chi sarà mai l’uomo con il tatuaggio ed
il mantello nero? Qualcosa, nella psiche di Hermione, comincia davvero a
muoversi!
» I nostri eroi hanno perso la traccia, ed ora? Chi era il Mangiamorte
apparso dal nulla? Come ha fatto a conoscere i loro piani? E, soprattutto, i
nostri giovanotti sopravvivranno al crollo del castello?
Piccola comunicazione di servizio: Ho intenzione di pubblicare al massimo
questo venerdì, se riuscirò, perché nel weekend dovrò sottopormi ad un piccolo
intervento chirurgico (help!) e non avrò proprio modo di pubblicare. Portate
pazienza, vi assicuro che eviterei volentieri!
Grazie infinite a tutti coloro che hanno
commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi
non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.
Capitolo 10 *** Atto VII - Il Destino della Cicatrice ***
Sua madre era china sul Settimanale delle Streghe, lo sguardo rapito da
qualche articolo così zeppo di termini magici da essere, probabilmente,
incomprensibile
LoSpecchio delle Anime.
Dirgli che la notte che Lord Voldemort cercò di
ucciderlo e Lily interpose la propria vita tra di loro come uno scudo,
l'Anatema che Uccide gli rimbalzò addosso: un frammento dell'anima di Voldemort
fu violentemente separato e si agganciò alla sola anima vivente rimasta nella
casa che crollava. [...]
E finché quel frammento di anima, di cui Voldemort non
sente la mancanza, resta aggrappato a Harry e da lui protetto, Lord Voldemort
non può morire.
[Albus Silente – Harry Potter e i Doni della
Morte]
Atto VII.
Il Destino della Cicatrice.
Sua madre era china sul Settimanale delle Streghe, lo
sguardo rapito da qualche articolo così zeppo di termini magici da essere,
probabilmente, incomprensibile. La fronte leggermente aggrottata lasciava
trasparire una curiosità che Hermione conosceva fin troppo bene – la stessa
espressione che assumeva lei davanti ad un nuovo libro – ma la piega delle
labbra mostrava quanto se la stesse spassando.
«Mamma?» chiamò lei, confusa, cercando di allungare la
mano per attirare la sua attenzione. Sapeva bene quanto Guinevere
Granger fosse difficile da distrarre, quando presa dalla lettura. Quella volta,
comunque, la sua reazione fu pronta.
Pessimo segno.
«Hermione, tesoro, finalmente ti sei svegliata! Frederick! Fred!
Vieni!» balzò subito la donna, voltandosi verso la porta per richiamare il
Signor Granger. Le accarezzò il viso ed improvvisamente la giovane realizzò di
sentire molto freddo. Sua madre se ne accorse e, con un gesto gentile, le
rimboccò le coperte. «Ci hai fatto preoccupare così tanto…» le mormorò, dolcemente,
mentre anche suo padre irrompeva nella stanza, il volto immensamente sollevato.
E, dietro di lui, con degli occhiali da vista, c’era nientemeno che Malfoy.
Draco Malfoy, che
era in ospedale per lei ed attendeva
fuori insieme a suo padre, un babbano.
Malfoy il purosangue.
Malfoy il Mangiamorte.
«Hermione, non farci mai più uno scherzo simile! Il
dottore ha detto che ti sei salvata per un pelo» la rimproverò Fred Granger,
avvicinandosi per lasciarle un piccolo bacio sulla fronte. Le accarezzò i
capelli, spostandole un riccio ribelle dietro l’orecchio. «Ci hai fatti
preoccupare così tanto».
Stordita, lei accennò un leggero sorriso. «Mi dispiace,
io… in realtà non ricordo molto» si voltò verso Malfoy, rimasto nell’angolo più
lontano dal letto con l’espressione neutrale di un critico d’arte preso dal
proprio lavoro. «Per quanto tempo sono stata senza sensi?» chiese allora,
quando da lui ricevette soltanto un’alzata di sopracciglia.
Sua madre sospirò, chiudendo la rivista con un gesto
brusco e riponendola sul comodino. «Per tre giorni, Hermione! Tre giorni!» le disse, furiosa. «Come
hai fatto a ridurti in quel modo? Avevi lo stomaco nelle condizioni di un
arrosto il giorno di Natale!» praticamente le urlò contro, incrociando le
braccia al petto. I suoi capelli, così diversi da quelli della figlia, erano
raccolti in una crocchia stretta, dandole un’aria molto più severa del solito.
Hermione si sentì ancora una bambina scoperta con le mani
nella marmellata.
«Mi dispiace molto, davvero» si scusò, con gli occhi
bassi. «Non volevo farvi preoccupare, sono i rischi del mestiere» smozzicò,
stringendo la mano che sua madre le aveva posato sul braccio. Per un attimo le
sembrò di rivivere i primi tempi dopo la guerra, quando i Signori Granger erano
tornati dall’Australia in preda all’ansia ed alla furia.
«Per fortuna c’era questo bravo giovanotto con te!» le
rispose sua madre, con un tono improvvisamente più mite, lanciando un’occhiata
colma di gratitudine e benevolenza verso Malfoy, rimasto ancora nel suo angolo,
con l’espressione divisa fra il curioso e lo sconcertato. «È stato lui a farci
chiamare! Se fosse stato per i tuoi medici, non saremmo neppure entrati in
questo curioso ospedale» aggiunse, perdendo qualsivoglia dolcezza nel tono
della voce e sostituendolo con astio ed apprensione.
Naturalmente, i
Babbani non erano ammessi al San Mungo. Malfoy
li aveva fatti entrare?
«Forse è il caso che li lasciamo parlare, Gwen cara» intervenne il signor Granger, probabilmente
notando il modo in cui la figlia avesse iniziato a fissare il collega. Nella
sua inconsapevolezza, avrebbe potuto vedere di tutto in quello sguardo. Cose
che non ci sarebbero mai state, a giudicare dal sorrisino divertito che dedicò
alla figlia, dopo aver preso la moglie per le spalle. Si chinò proprio verso
Hermione, lasciandole un bacio sulla fronte. «Noi aspettiamo fuori» le
comunicò, facendole un occhiolino complice per poi sparire oltre la porta.
I due rimasti si guardarono in silenzio per un lungo
momento, poi, Hermione sbuffò.
«Davvero li hai fatti entrare tu?» gli chiese, con le
sopracciglia aggrottate. «Perché?» aggiunse, piegando la testa di lato. Si
sentiva nervosa, non le piaceva essere costretta ad osservarlo attraverso quei
maledetti occhiali. Era come aggiungere un ulteriore schermo fra lei e la
verità delle sue parole.
Lui si strinse nelle spalle, tranquillo. «Sono i tuoi
genitori, è ridicolo che non possano vederti» le rispose, pacato. Prima di
indicarla. «Come va la ferita? Sei rimasta senza sensi per giorni, i Guaritori
temevano che non riuscissi a svegliarti più» aggiunse, passandosi una mano fra
i capelli. «Credevano fossi stata avvelenata».
Un morso alla
mela e la ragazza avrebbe dormito per sempre in un sonno simile alla morte.
Malfoy la fissò come se, improvvisamente, fosse diventata pazza.
«Granger, per quale motivo sorridi in quel modo? Ti ho detto che hai rischiato
la morte per giorni e tu ridi? Fai
sul serio?» le domandò, accigliato, allontanandosi dal suo angolino per
raggiungere la sedia accanto al letto, dove fino a pochi istanti prima c’era
stata la signora Granger.
La strega scosse lentamente il capo, lasciandosi andare
contro i morbidi cuscini. Prima non se n’era resa conto, ma le fodere erano
quelle che sua madre le aveva comprato prima che andasse a vivere da sola.
Doveva averle cambiate per aiutarla a sentirsi più a suo agio.
«Non è nulla di importante» spiegò, sistemando le pieghe
del lenzuolo con la punta delle dita. «La fiaba… quella scritta dai fratelli Grimm, hai presente?» chiese, lanciandogli un’occhiata di
traverso per giudicare, in base alla sua espressione, se la ritenesse pazza o
semplicemente sotto shock. «La principessa viene avvelenata da una mela e giace
come morta finché il suo principe azzurro non arriva per darle il bacio del
vero amore e salvarla» spiegò, pacata. «A quanto pare, ho fatto la fine di
Biancaneve e non quella del principe».
La risata di Malfoy la fece accigliare e, per un istante,
si chiese se avesse detto qualcosa di sinceramente assurdo senza rendersene
conto.
«Sta’ tranquilla, Mezzosangue» la rassicurò invece,
accavallando le gambe con una grazia che Hermione gli invidiò. «Nessuno ha
provato a baciarti mentre eri incosciente».
Purtroppo.
Il pensiero la fulminò, paralizzandola. Cosa significava purtroppo? Cosa le stava passando per la
mente? Che cosa purtroppo? Un attacco
di nausea non avrebbe saputo stringerle lo stomaco come l’ansia che la prese in
quel momento. Voleva essere baciata
da qualcuno? Era pronta a lasciare che qualcuno le prendesse il viso fra le
mani e controllasse tutti i suoi movimenti? Era quello che desiderava inconsciamente?
No, naturalmente no, la sola idea di mettere se stessa
nelle mani di qualcuno la fece
rabbrividire. Ma peggiore fu la realizzazione che lei non avesse mai pensato a qualcuno di generale, ma, piuttosto, ad
un soggetto molto più che specifico.
«Granger?» la mano di Malfoy era gelida contro la sua
pelle bollente. Il suo polso sembrava così minuscolo, in quella stretta, da
sparire. Ma le sue mani erano delicate, fragili. Erano mani d’artista, non mani
d’Auror.
«Scusa, Malfoy, sono ancora un po’ intontita» si scusò,
scuotendo leggermente il capo e tirando fuori un sorriso di scuse che lui, a
giudicare dall’occhiata scettica, non apprezzò. «Non guardarmi così! Piuttosto,
dimmi, in questi giorni hai cercato informazioni? Siamo praticamente punto e da
capo, con la nostra missione» cambiò
immediatamente discorso, con le labbra strette in una smorfia contrariata.
Improvvisamente, il ricordo di quel Mangiamorte aveva
spazzato via tutti gli imbarazzi e tutti i dubbi. Erano stati gabbati ed
avevano perso l’unica possibilità di seguire il filo conduttore fino alla
Fonte. Non avrebbero avuto modo di impedire il ritorno di Voldemort.
«Dici sul serio, Mezzosangue?» domandò, sinceramente
confuso, piegando lievemente il capo come se avesse temuto di non aver sentito
bene. «Dici sul serio?» aggiunse,
prima di restare qualche secondo in silenzio e, infine, in una mossa che fece
trasalire Hermione dallo shock, scoppiare a riderle in faccia, come se lei
avesse appena rivelato la barzelletta del secolo.
Se avesse potuto, lei lo avrebbe arrostito come una
patatina al forno.
«Puoi condividere il motivo di tanta ilarità o è qualche
stupida ragione da purosangue che non consente a noi poveri mortali di
comprendere?» sbottò allora, a denti stretti, trattenendosi a stento dal dargli
un pugno in faccia per la stizza. L’aveva già fatto una volta ed aveva capito
di non trarre grande soddisfazione dalla violenza. Molto meglio trascinare la
fonte della propria ira in tribunale e distruggerla tassello dopo tassello,
fino a lasciare davanti ai propri occhi un verme ricoperto di colpe.
Hermione amava
davvero tanto il suo lavoro.
Malfoy non si fece influenzare dalla sua aura negativa.
Lasciò, infatti, che le risate si esaurissero naturalmente, fluendo da lui con
tranquillità e naturalezza, per poi rilassarsi di più contro lo schienale della
sedia e fissare la collega come se fosse stata qualcosa di estremamente raro,
buffo e prezioso.
In un certo senso, Malfoy la stava guardando come lei avrebbe
guardato un cucciolo di panda dello zoo rotolare giù da uno scivolo.
«Ebbene?» gli sibilò quindi, stringendo le dita sul
lenzuolo per placare il proprio desiderio di affondargliele nel collo e
stringere fino a fargli implorare pietà. «Se preferisci posso farti un
incantesimo della tranquillità, non vorrei mai che a forza di sogghignare come
una iena ridens tu lasciassi libertà alle viscere»
aggiunse, sperando di suonare almeno lontanamente minacciosa e sarcastica
com’era suonata la stessa frase nella sua mente. Le speranze non erano molte.
Il biondo inarcò un sopracciglio, guardandola ancora una
volta divertito. «Farmela sotto per le troppe risate? Ti piace così poco
divertirti, Mezzosangue, da non voler concedere neppure agli altri di farsi
quattro risate?» le domandò, ironico, facendole cenno di non rispondere con un
gesto della mano. «Non scomodarti ad insultarmi, temo tu abbia finito il
repertorio ed odierei doverti accusare di essere ripetitiva. Vuoi sapere perché
sto ridendo?».
La rabbia di Hermione, a quel punto, era assai difficile
da controllare. Se riuscì a non afferrare il vaso di fiori al suo fianco – qualcuno
le aveva portato delle pervinche – e scagliarglielo contro fu soltanto per
amore degli elfi che avrebbero dovuto ripulire i cocci ed il sangue dal
pavimento.
«Se sua maestà lo desidera» gli rispose allora, in un
sibilo furioso, praticamente mostrando i denti in un ringhio che avrebbe fatto
miagolare di orgoglio il defunto Grattastinchi. «Malfoy,
io sono ancora convalescente, non dovresti giocare così con i miei nervi» lo
ammonì poi, ricordando la propria condizione grazie al pulsare fastidioso della
ferita quasi totalmente guarita. Fortunatamente avevano usato la magia, su di
lei, altrimenti avrebbe passato mesi preziosi ancorata al dannato letto.
Il giovane mago, ancora ghignante, scosse il capo, gli
occhi al cielo. «Mezzosangue, sei tu
la babbana della situazione. Possibile tu non abbia riconosciuto l’entità nello
Specchio?» le domandò, quasi incredulo. Non ottenendo risposta, scoppiò in
un’altra breve risata. «Ah, Granger! Si tratta di cultura babbana… immagino tu
non abbia avuto modo di approfondire, tanto presa dalla magia» le disse allora,
infilando la mano nella tasca interna della giacca e tirandone fuori il suo
vecchio taccuino. Sfogliò un paio di pagine, prima di porgerglielo. «Da’
un’occhiata. Mi rifiuto di credere che tu davvero
non lo conosca. Preferisco dar la colpa allo shock» aggiunse, divertito.
Confusa e, sì, imbarazzata da quella pecca che non aveva
mai capito d’avere, Hermione guardò il piccolo ritratto che era stato
magicamente incollato alle pagine. Lo stesso uomo incontrato nello specchio la
fissava immobile, cosa non assurda considerando che quella fosse la replica di
una rappresentazione babbana. La tunica rossa era identica a quella della
visione, così come l’alloro nei capelli ed il curioso naso adunco. Sotto i suoi
piedi, infine, vi era l’indicazione della sua identità.
Per lo shock e la vergogna, per poco Hermione non lasciò
cadere il taccuino di Malfoy. Resistere alla tentazione di nascondersi il viso
dietro le mani fu difficile quasi quanto lo era stato non prenderlo a pugni.
Seppe di essere arrossita quando sentì l’altro sogghignare.
«Già, Granger, Dante
Alighieri» le confermò, ridacchiando, pronunciando il nome del Sommo Poeta
con un accento italiano impressionante, tanto simile all’originale.
Naturalmente, Malfoy doveva parlare perfettamente quella lingua, come ogni
bravo purosangue capace di ostentare la propria ricchezza e le proprie
parentele internazionali. «Naturalmente non possiamo averne la conferma, ma è
comunque qualcosa da cui partire, no?» disse, facendole cenno di voltare
pagina. «In questi giorni mi sono informato un po’» le spiegò, mentre lei
osservava le tre pagine di appunti fittissimi ed ordinati che aveva raccolto in
quei giorni. C’erano moltissime citazioni in italiano che Hermione faticò a
comprendere. «A quanto pare ci sono riferimenti ad uno specchio».
Annuendo leggermente, la strega continuò a tentare di
districare qualche parola da quell’ammasso di lettere confuse ed in più lingue
che si era trovata davanti. Una parte di lei provava una certa stizza all’idea
di esser costretta a richiedere l’aiuto di Malfoy per interpretare un testo, quando era stata lei stessa a fare da
tramite fra i suoi amici ed il mondo della cultura. Un’altra parte, invece, era
incredibilmente ammirata.
«In un certo senso, Dio stesso, nella concezione Dantesca,
è riflesso della sua Creazione»
concordò Hermione, annuendo leggermente. «Ma immagino sia più un’idea
metafisica che un riferimento ad un vero e proprio specchio, tu non credi?» gli
domandò, sinceramente interessata alla sua opinione. Per la prima volta – forse
a causa degli occhiali – vide oltre
il biondo dei suoi capelli e l’espressione spavalda.
Draco era un suo
collega, qualcuno al suo livello.
Il mago annuì, alzandosi in piedi ed avvicinandosi, così
da poter vedere a sua volta gli appunti presi in quei giorni. La spalla della
strega praticamente gli toccò il petto e, per un istante, lei si sentì mancare
il fiato.
Ma non era il
momento adatto.
«Nel sedicesimo canto del Paradiso, Adamo rivela a Dante
che la realtà si riflette in Dio, ma non è capace di rifletterlo completamente»
le disse, indicando i versi in italiano che erano stati riportati fra gli
appunti. «Il Riflesso della realtà è parziale, non riesce a coprire tutta
l’immensità del Creatore» spiegò meglio, allontanandosi nuovamente per
guardarla negli occhi. «Naturalmente è stato tutto interpretato in chiave
filosofica, come un monito all’umiltà e non alla superbia. Io, tuttavia, credo
di potervi scorgere qualcosa in più» disse, indicando l’ultima pagina degli
appunti, piena di date e riferimenti storici.
Hermione non dovette leggere molto, prima di potersi
sentire nuovamente pronta a rientrare in gioco e farsi valere. Lui poteva
averla spiazzata a causa della lingua, ma la storia babbana era il suo forte.
«In effetti, la questione dell’umiltà e della superbia
potrebbe tornarci molto, molto utile»
ragionò, scorrendo velocemente le date che erano state segnate. «Dante fu uno
dei più acerrimi oppositori di uno dei papi più contestati della storia, Bonifacio VIII» gli disse, raddrizzando la schiena e
continuando a controllare gli appunti.
«Uno dei più contestati ed uno dei più forti, Mezzosangue» specificò Malfoy, annuendo
leggermente. Con un gesto secco spinse gli occhiali sul naso, provocando una
serie di reazioni contrastanti nella sua collega ancora incredibilmente provata
dall’incidente.
Doveva essere
tutta colpa delle pozioni.
«Fammi indovinare… anche lui era un Purosangue?» azzardò
quindi lei, inarcando le sopracciglia. Lui aveva tirato fuori la stessa
espressione compiaciuta di quando, una volta scoperta la seconda meta, le aveva
rivelato che il Re Sole fosse stato fra gli antenati dei Malfoy. Lui,
Napoleone, solo Merlino sapeva quanti altri personaggi storici! Quanti altri
suoi antenati avrebbero incontrato nel loro viaggio? Quante volta l’avrebbe
dovuto sentire vantarsi di parentele difficili da provare?
Poi,
l’illuminazione.
«Mezzosangue, perché sorridi in quel modo?».
Hermione ridacchiò, guardandolo con la coda dell’occhio. «A
quanto pare, Malfoy, non è grazie a te se il Castello ha reagito» gli comunicò,
forse vantandosi un po’ troppo. Dopotutto, quale orgoglio c’era nell’avere, fra
gli antenati, una strega psicopatica e non-morta? «Gertrut
ha detto chiaramente di non poter bere il mio sangue perché eravamo imparentate» spiegò, comunque,
incrociando le braccia al petto. «Quindi, se fossi in te eviterei di vantarmi
tanto. Potrebbero essere molto più parenti miei che tuoi».
Un lampo indefinito attraversò gli occhi grigi di Malfoy
e, per un istante, le sembrò quasi che volesse dirle qualcosa. Poi, come se
nulla fosse, si strinse nelle spalle.
«Essere sua nipote ti ha quasi uccisa, Mezzosangue. Se
fossi in te non mi vanterei molto» le
disse, ironico, accennando alla lunga schiera di pozioni che, sul tavolino,
attendevano solo di essere somministrate. «Comunque sì, era un purosangue, ma
non eravamo imparentati» le spiegò, allegro. «Sono imparentato con i suoi
discendenti, se proprio vuoi saperlo, ma non credo potrebbero esserci molto
utili».
Naturalmente era
imparentato con i discendenti di Bonifacio VIII.
«Sappiamo che Dante non lo ha mai apprezzato» continuò
quindi lei, preferendo non soffermarsi su questioni familiari. «Lo ha inserito
nell’Inferno, nel Canto dei Simoniaci, ritenendo che la sua elezione fosse
stata comprata».
Malfoy annuì, indicando un altro passaggio dei propri
appunti. «Il Gran Rifiuto di
Celestino V sembra capitato fin troppo a fagiolo, non credi, Granger? Un
attacco di viltà da parte dell’uomo che, in quel periodo, poteva
tranquillamente affermare di gestire le sorti di tutta l’Europa. Gli uomini
davano l’anima per raggiungere quell’obiettivo ma Celestino decise di
rifiutarlo» ragionò, passandosi una mano fra i capelli. «Non ti sembra strano
che dopo di lui sia stato eletto un personaggio tanto controverso e con tale
desiderio di grandezza? Nessuno lo apprezzò mai sinceramente, neppure a quei
tempi».
Hermione annuì, fissando le pagine con aria assente. I
collegamenti che si susseguivano nella sua testa erano veloci, spesso non
razionali, ma dopotutto era difficile trovare logica nel Trecento Europeo,
soprattutto negli scontro fra Papato ed Impero.
«Un potere smisurato, che poi, con la sua morte, è
declinato terribilmente» ragionò, cercando di ricordare le vicende successive
alla morte del Papa. «Un Pontificato di appena otto mesi e poi il trasferimento
ad Avignone. Con la morte di Bonifacio VIII la Chiesa
Cattolica ha conosciuto uno dei momenti di maggior divisione» mormorò, per poi
fermarsi un secondo. «Come…»
«Come Gertrut, passata
dall’essere Regina dei maghi e delle streghe del suo piccolo Regno all’essere
completamente dimenticata, bloccata in un limbo fra la vita e la morte»
continuò subito Malfoy, avendo compreso il filone dei suoi pensieri. «E come la
Francia del Re Sole».
I due si guardarono, leggendo negli occhi dell’altro la
stessa speranza.
«Bonifacio VIII aveva lo
Specchio e Dante, durante il periodo di prigionia precedente all’esilio, è
riuscito a scovarlo, facendo riferimenti continui nella Commedia.» disse infine
lei, distogliendo lo sguardo e puntandolo sul quadernino. «Deve averlo
considerato un dono di Dio da usare con umiltà, mentre il Papa, evidentemente,
ne stava abusando. Da qui l’accusa di simonia… ha comprato la carica barattando
la propria anima» aggiunse, tornando per un momento ad osservare il collega,
con una nuova determinazione nella voce. «A Roma troveremo la Traccia».
Con un sorriso soddisfatto, Malfoy si sollevò e riprese
possesso dei suoi appunti. «Tu continua a riposare, i Guaritori dicono che
entro pochi giorni potrai tornare a casa» le comunicò, avvicinandosi
all’appendiabiti per prendere il proprio cappotto. «Nel frattempo, io
organizzerò una visita guidata nei luoghi più importanti per Bonifacio, sperando di trovare qualcosa di utile» le
comunicò, avvicinandosi alla porta.
Hermione si limitò ad annuire, voltando nuovamente lo
sguardo verso i fiori. Allora, prima che lui potesse uscire, un pensiero la
fulminò.
Non c’erano
girasoli, Ginny ed Harry non erano andati a trovarla.
Il timore rischiò di farla strozzare con il proprio cuore
e, quando si voltò a fissare Malfoy, il suo orrore dovette essere così chiaro
da far preoccupare anche qualcuno disinteressato alla sua salute mentale come
lui. Si avvicinò velocemente, piegandosi per essere alla sua stessa altezza, e
le poggiò le mani sulle spalle, per costringerla a guardarlo.
«Granger! Che accidenti ti prende? Sei diventata pallida
come uno spettro…» esalò, controllandola come se avesse temuto che qualcuno le
avesse fatto il malocchio.
Lei lo guardò in silenzio per qualche istante, mentre il
terrore continuava a farsi strada nel suo corpo come se, lentamente, qualcuno
avesse provato ad immergerla in una vasca di cubetti di ghiaccio. Alla fine,
con il magone, palesò i propri dubbi.
«Dov’è Harry?»
***
Le era bastato vedere il colore defluire dalle guance già
pallide di Malfoy per capire che qualcosa fosse andato terribilmente storto. Fu
evidente che avesse tentato in tutti i modi di tenerla impegnata per evitare la
questione “Harry” ma, come lui stesso ammise, una volta amica dello Sfregiato
era impossibile non percepire la puzza di guai intorno a lui anche a distanza.
Aveva preteso di accompagnarla personalmente nel reparto
di lunga degenza, non fidandosi delle sue precarie
condizioni fisiche e mentali, ma Hermione aveva preferito mandarlo al
diavolo e chiedergli di cominciare subito le ricerche. In realtà, la sua
compagnia non le avrebbe dato davvero fastidio, tutt’altro.
Ma non sapeva bene cos’avrebbe trovato, una volta raggiunto il migliore amico,
e l’idea di avere un crollo davanti a lui non le sembrava particolarmente
allettante. Oltretutto, Harry e Ginny avrebbero potuto reagire male alla sua
presenza.
Dopotutto era un
Mangiamorte.
L’infermiera che si era decisa ad accompagnarla – Hermione
sentiva puzza di minaccia da parte del Signor Malfoy – aveva rivelato soltanto qualcosa delle condizioni di Harry.
Aveva accennato ad uno stato fortemente confusionale ed alla preoccupazione dei
medici, ma era stata così vaga da inquietare terribilmente la giovane.
La presenza del Dottor Crave, davanti alla piccola vetrata
che consentiva di tenere sotto controllo il paziente senza tuttavia
disturbarlo, fu l’ennesima conferma che le condizioni del suo migliore amico
fossero ben più gravi di quanto l’infermiera non avesse tentato di farle
credere.
«Dottore?» sfuggita al controllo della sua
accompagnatrice, Hermione aumentò il passo e raggiunse il suo psicologo,
distogliendolo dalla contemplazione del paziente. Lei non si avvicinò troppo
alla vetrata, non era certa di essere già in grado di guardare le condizioni di
Harry. Meglio essere preparata, prima.
Per la prima volta, Newton Crave trasmise alla sua
paziente una forte sensazione di ansia. Naturalmente, il suo sguardo si calmò,
quando si rese conto di chi l’avesse
chiamato.
«Hermione, cara, credevo dovessi stare a riposo» le disse,
facendo un paio di passi nella sua direzione e congedando l’infermiera-mastino
con un gesto della mano. La giovane non si sarebbe sorpresa se, voltandosi,
avesse notato uno sguardo d’invidia dell’infermiera verso la mano che il medico
le aveva poggiato sul braccio. «Ho parlato con i tuoi Guaritori, hanno detto
che hai rischiato tantissimo».
Lei liquidò la propria situazione con un gesto del capo,
indicando piuttosto la vetrata. Dalla sua posizione, poteva scorgere soltanto
un angolo della stanza buia. Le fu sufficiente, il cuore iniziò a palpitare
come se avesse già compreso di dover fronteggiare una situazione mai vissuta
prima.
«È qui per Harry?» domandò all’uomo, che nel frattempo
aveva a sua volta voltato lo sguardo sulla stanza. Non le piaceva quella ruga
preoccupata fra i suoi occhi. Non le piaceva il modo in cui stringeva i denti
prima di risponderle. «Dottore, cos’ha?».
«È stato ricoverato il tuo stesso giorno» la informò,
passandosi una mano sul mento ispido. «Io ero qui per…» esitò, forse cercando
le parole adatte. «per questioni personali. Mentre andavo via ho visto un
capannello di Guaritori ed uno di loro mi ha riconosciuto, eravamo insieme al
corso di formazione. Mi hanno chiesto di visitarlo, ma io non ho potuto far
altro che confermare una condizione momentaneamente irreversibile» le spiegò,
afferrandola poi per un braccio, con una presa infinitamente delicata. «Guarda
con i tuoi occhi, negare non ti servirà a nulla» le disse infine, tirando leggermente
e costringendola a fronteggiare la realtà.
I suoi occhi impiegarono qualche istante ad abituarsi alla
semioscurità della stanzetta. In un primo momento, grazie alla tenue luce di
una piccola lampada, riuscì a riconoscere il profilo addormentato di Ginny, con
i lunghi capelli rossi raccolti in una treccia quasi totalmente disfatta e dei
profondi cerchi scuri intorno agli occhi. Era raggomitolata su se stessa, il
viso abbandonato contro lo schienale della poltrona. Al suo fianco c’era una
ragazza che Hermione non conosceva, con capelli scuri ed espressione
preoccupata. Era un cipiglio familiare, nonostante la strega fosse certa di non
averla mai incontrata prima.
Solo alla fine, probabilmente a causa di un meccanismo di
difesa azionato involontariamente, la strega iniziò a distinguere i tratti tesi
e la pelle pallida e sudata dell’uomo disteso sul lettino al centro della
stanza. I capelli, di norma sparati in tutte le direzioni, erano stati rasati
quasi a zero, la barba incolta era sparita. Nonostante stesse dormendo, le sue
occhiaie erano paragonabili a quelle della fidanzata e le sue membra di
muovevano a scatti, impedendogli di trovare pace.
Di Harry Potter sembrava non esser rimasto più nulla.
«Cos’è successo ai suoi capelli?» chiese Hermione, senza
trovare la forza di staccare gli occhi da quel corpo in agonia ma, tuttavia,
senza neppure trovare il coraggio per porre la domanda che davvero necessitava
di una risposta. Per la prima volta, la strega più brillante aveva paura di
conoscere la verità.
Il medico sospirò, esitando un momento prima di passarle
un braccio intorno alle spalle. Lei non si chiese come avesse fatto a capire
che lei avesse bisogno di sostegno. Dopotutto, era lo psicologo più famoso di
tutto il mondo magico.
«Hanno dovuto tagliarli, continuava a strapparseli» la
informò, stringendo leggermente la presa. «Stando a quello che ho potuto
riscontrare, sembra che qualcosa l’abbia attirato in uno stato di trance
perpetua. Il signor Potter, da tre giorni, è intrappolato in un incubo che non
gli permette di fuggire in alcun modo. Abbiamo provato di tutto per entrare nei
suoi sogni e liberarlo, ma…» scosse il capo, sospirando. «Credo sia qualcosa
che vada ben oltre i limiti della mente umana» ammise infine, mentre Ginny,
improvvisamente sveglia, asciugava il viso del suo fidanzato con una pezzuola
e, poi, sorrideva gentilmente alla giovane al suo fianco.
Hermione era troppo piena d’orrore per poter davvero
comprendere la situazione. Le informazioni si accumulavano nella sua mente, ma
lei non riusciva a decifrarle davvero. Se riuscì ad annuire ed a mettere
insieme una domanda razionale, fu solo grazie ad un sangue freddo che non
credeva di possedere.
«Cosa intende dire, dottore?» domandò infatti, incrociando
le braccia al petto. Il dolore allo stomaco aveva iniziato a farsi sentire nel
momento esatto in cui si era rialzata dal letto, ma, in quel momento, le sembrò
una cosa così insignificante da non meritare più di un pensiero. «Oltre la
mente umana?».
Crave annuì, mostrando tutta la sua preoccupazione. «Io
sono il massimo esperto sulle malattie della mente, Hermione, eppure non sono
riuscito a comprendere cosa stia
torturando il tuo amico. Per questo credo che l’infezione sia andata oltre e abbia colpito qualcosa di ben più
profondo» spiegò, seguendo con lo sguardo il percorso che la giovane dai
capelli scuri stava facendo nella stanza. Hermione si rese conto solo in quel
momento che fosse seduta su una sedia a rotelle spinta da un vecchio elfo
dall’aria burbera.
«Che cosa?».
Separandosi dalla stretta, Crave la costrinse a guardarlo
negli occhi, come se avesse temuto che la notizia potesse stravolgerla al punto
da causarle un trauma. «Credo che qualcosa abbia intaccato l’anima del Signor
Potter, Hermione. E, non vorrei causare allarmismi, entrambi sappiamo bene
quanto siano state gravi le vicende
in cui l’anima del nostro Capo Auror è stata coinvolta».
La realizzazione del pericolo fece tremare Hermione. Se
non fosse stata tanto terrorizzata, si sarebbe chiesta quanto il dottore comprendesse il rischio che stavano correndo,
considerando che lei non avesse mai parlato espressamente dello specchio.
Il sorriso inquietante del Mangiamorte che per poco non
aveva ucciso sia lei che Malfoy fece capolino nella sua mente.
Il Padrone
conquisterà il suo corpo mortale e tornerà fra noi.
«Hermione?» il tono con cui il Dottor Crave pronunciò il
suo nome era carico di ansia, come se avesse scorto qualcosa, nel suo sguardo,
di così terribile da farlo sinceramente temere per la sua salute. Alle sue
spalle, la ragazza con i capelli scuri era stata sul punto di salutarla, ma si
era improvvisamente zittita ed aveva fatto cenno all’elfo di arretrare un po’.
«Mi scusi, Dottore, credo di dover raggiungere i miei
migliori amici» si scusò invece Hermione, arretrando di un passo. «Spero non le
dispiacerà confermare il mio solito appuntamento del venerdì mattina» aggiunse
poi, allungando la mano affinché lui la stringesse. «Arrivederci, Dottore» si
congedò quindi, senza sorridere, voltandosi per entrare nella stanza.
Doveva parlare
con Malfoy. Il tempo stava davvero per scadere.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, perdonatemi per i possibili errori. Ho pubblicato senza
rileggere, perché riesco a stare seduta al pc
solamente per poco tempo a causa della recente operazione. Proprio per questo
motivo, i prossimi aggiornamenti potrebbero ancora ritardare. Sono mortificata,
farò il possibile, ma la salute prima di tutto!
Punti importanti:
» BOOM, fantasia portami via! Avevo
avvisato che ci sarebbe stata una rivisitazione storica da mettere i brividi. Perdonatemi,
una mia cuginetta sta studiando la Commedia ed io ero
a portata d’orecchio, i ricordi di scuola si sono fatti sentire!
» Hermione è viva e sta bene, almeno
fisicamente. Si inizia a comprendere QUANTO è grave la condizione del povero
Harry?
» Il dottore mostra un po’ di cuore con
Hermione, ma solo per dirle che non c’è stato nulla da fare. È davvero finita?
» Guinevere e Frederick sono due nomi che, al tempo stesso, mi piacciono
e non mi piacciono, perfetti per dei dentisti, che ne dite? Draco è riuscito ad
essere civile con loro, in quei giorni in cui Hermione è stata fuori
combattimento. Non merita forse un premio?
Perdonatemi ancora per i
possibili errori dovuti ad una mancata rilettura e portate pazienza se i
capitoli tarderanno ad arrivare (non è detto), ma vi assicuro che sto facendo
del mio meglio.
Grazie infinite a tutti coloro che hanno
commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi
non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.
Capitolo 11 *** Atto VIII - I fantasmi del passato. ***
Laurie Jones aveva odiato poche persone, nella sua giovane vita, e Draco
aveva sempre saputo di essere fra queste
LoSpecchio delle Anime.
Ognuno ha il proprio passato
chiuso dentro di sé come le pagine di un libro imparato a memoria.
[Virginia Woolf]
Atto VIII.
I fantasmi del passato.
Le tapparelle erano quasi
completamente calate, solo poche luci rischiaravano il letto e la poltrona
vuota accanto. Il corpo immobile al centro della stanza non somigliava a quello
di Lucius Malfoy.
Non al Lucius che Draco
aveva conosciuto per tutta la vita.
Suo padre era invecchiato
incredibilmente negli anni in cui non aveva voluto incontrarlo, i capelli
biondi erano diventati grigi e stopposi, tagliati molto più corti di quanto non
fossero mai stati, probabilmente per comodità degli infermieri, e la pelle si
era raggrinzita in rughe sparse per tutto il viso.
Dormiva, quando suo figlio
gli si avvicinò. Naturalmente doveva essere stato sedato, nessuno aveva mai
avuto il sonno leggero come lui. Quando era bambino, Draco non era mai riuscito
a sgattaiolare nella stanza dei suoi genitori senza prima svegliarlo ed essere
colto di sorpresa. In quel momento, invece, riuscì ad avvicinarsi al letto,
fissarlo e addirittura inspirare rumorosamente senza ottenere una reazione
degna di quel nome.
«Ciao».
Per la paura, mancò poco
che Draco balzasse via da suo padre come un gatto. Quando si voltò a guardare
l’intrusa, sentiva il cuore battere nel petto come quando si era ritrovato
davanti l’Acromantula a Parigi. Si sentì un po’ sciocco, in realtà, quando si
ritrovò davanti ad una ragazza che probabilmente non avrebbe potuto superare i
quaranta chili di peso. Era seduta su una sedia a rotelle e un elfo, alle sue
spalle, osservava Draco come se fosse stato disgustato dalla sua presenza.
«Ho detto, ciao» ripeté le ragazza, piegando la
testa di lato ed osservandolo con aria divertita, come se quella sua reazione
fosse stata inconcepibile. Nella penombra, gli occhi chiari erano appena
visibili e luccicavano di curiosità e, forse, di un pizzico di divertimento.
«Chi accidenti dovresti essere, tu?» le chiese quindi Malfoy, ripresosi
dallo shock, assottigliando lo sguardo e puntandole contro il dito. «Questa è
una stanza privata, signorina, non dovresti essere qui» le comunicò quindi,
occhieggiando in modo significativo la porta della stanza, in un chiaro invito
ad andarsene.
La ragazza non si fece
scoraggiare dal suo tono, il suo sorriso si allargò. «Tu come puoi averne la
certezza, se non sei mai venuto qui? Io sono frequentatrice abituale» ribatté,
allegra, congedando l’elfo e spingendosi più vicina al letto. «Io ho tutti i
diritti di entrare, tu, invece, chi credi di essere?».
Chi sei tu, Draco Malfoy?
Un brivido attraversò
l’uomo, sentendosi porre quella domanda. Qualcosa, nel suo cervello, gli disse
di prestare attenzione alla sensazione sgradevole che si diramava nelle sue
ossa, ma non riuscì a spiegarsene il motivo. Di conseguenza, agì com’era solito
fare: ignorò l’istinto.
«Io sono suo figlio» le
disse, fissandola attraverso le ciglia. «Ma noto di dovermi ripetere. Tu chi diavolo sei?» domandò ancora, incrociando
le braccia al petto ed alzando leggermente il tono di voce. Da suo padre non
arrivarono risposte, cosa che lo fece inquietare molto di più.
«Mi chiamo Rose» si
presentò lei, allegra, allungando la mano verso di lui. «Tanto piacere di
conoscerti, suo figlio» aggiunse,
allegramente, indicando con un cenno l’uscita. «Io abito dall’altra parte della
corsia. Vengo sempre a fare compagnia al signor Malfoy» gli spiegò, mentre
Draco allungava a sua volta la mano e la stringeva.
La ragazza aveva una mano
sottilissima, con delle ossa che sembravano appartenere ad un uccellino e non
ad una giovane donna. Al tempo stesso, però, la sua stretta era forte,
apparentemente sana. Se non fosse stata così magra e pallida – anche solo alla
luce dei pochi lumi – Draco si sarebbe chiesto il motivo della sua permanenza
in ospedale.
«Di solito è sveglio,
quindi?» le chiese, arretrando di un passo per permettere alla carrozzina di
avvicinarsi. Scacciarla, in quel momento, non gli sembrò un’idea geniale. In un
certo senso lei aveva ragione.
Chi gli dava la sicurezza di essere il benvenuto?
«Oh, sì» stringendo le
labbra, Rose occhieggiò il profilo di Malfoy padre. «Lo lasciano sveglio solo
poche ore al giorno, il dolore è troppo forte e non possono sempre imbottirlo
di antidolorifici» gli spiegò, con un sospiro, mentre l’elfo si sistemava al
suo fianco, guardandola come se avesse temuto che potesse sentirsi male da un
momento all’altro.
Draco fissò suo padre
senza sapere cosa dire. Una parte di lui si convinse che quella fosse una fine
più che giusta per qualcuno come lui, come punizione per quello che aveva fatto
a lui ed a molti altri. Un’altra, invece, rivide in quei tratti sofferenti lo
stesso uomo che, a quattro anni, lo aveva fatto sedere per la prima volta su
una scopa giocattolo. Il cuore sembrò stringerglisi in un macigno nel centro
del petto, pesante e freddo. Il braccio gli doleva ancora più del solito,
sarebbe dovuto andare a fare quattro chiacchiere con Blaise, subito dopo l’ospedale.
«Mia madre riesce a
vederlo sveglio, ogni tanto?» chiese, pensando all’angoscia che era trapelata
dall’ultima lettera della donna, solamente il giorno prima. Le aveva scritto
per le cortesie di rito, ma lasciando trasparire solo un pizzico del senso di
colpa che il dottor Crave gli aveva instillato, durante il loro ultimo incontro.
Quella speranza con cui lei gli aveva nuovamente richiesto di andare in
ospedale era stato più doloroso del marchio nero.
Rose annuì, con un leggero
sorriso. «Ma certo, loro lo svegliano proprio quando arriva lei» lo rassicurò,
tranquilla. «Credo che qualche volta vengano anche dei vecchi amici, ma non
posso dirlo con certezza, non ci sono mai in quei momenti» aggiunse,
imbarazzata.
Draco si accigliò,
accomodandosi nella poltrona. Stava ancora risentendo molto delle botte prese
durante l’incontro con Gertrut ed i suoi nani
malefici, stare troppo tempo in piedi non faceva che peggiorare il suo dolore
alla schiena.
«Credevo che tu venissi a
trovarlo tutti i giorni» disse, curioso, osservandola con il capo leggermente
piegato di lato. Qualcosa in lei lo
spingeva a parlare, qualcosa che non riusciva ad identificare. «Cosa fai, mi
prendi in giro, ragazzina?» domandò allora, divertito, ammirando la freddezza
con cui lei era riuscita a farlo sentire in colpa in una semplice battuta,
oltretutto non fondata sulla verità.
Rose sorrise, scuotendo la
testa. I capelli scuri, raccolti in una treccia morbida, sfuggivano alle
forcine, ricadendole intorno al viso in piccole ciocche disordinate. Nonostante
tutto, sembrava mantenere un aspetto formale, affidabile.
Lo stile fa parte del mio corredo genetico, Malfoy. Sarei
affascinante anche in pigiama.
«Anche io ricevo delle
visite, signor Malfoy» spiegò, abbassando un momento lo sguardo. «Ho poche ore
per vedere mio padre, voglio passare tutto il mio tempo con lui» il suo sguardo
chiaro si soffermò nuovamente su Malfoy padre, improvvisamente cupa. «Oltretutto,
lui non apprezzerebbe queste mie visite a suo padre. Si arrabbierebbe molto, se
lo sapesse».
Draco annuì, fissandola
con aria sempre più curiosa e confusa. «Perché vieni qui, se lui dorme?».
Rose si strinse nelle
spalle, tranquilla. «Nessuno dovrebbe passare così tanto tempo da solo,
soltanto perché dorme non significa che non senta nulla» spiegò, tranquilla. «Io
sono stata senza sensi per settimane, ma ricordo il silenzio e…» strinse le
labbra, la voce improvvisamente bassa e tremula. I suoi occhi erano nascosti
alla vista di Draco, ma lui non ebbe bisogno di osservarli per sapere che li avrebbe
trovati lucidi. «Ricordo mio padre. I suoi lamenti, le sue scuse» si morse il
labbro inferiore, come a trattenere un singhiozzo. «Nessun altro deve sentire
quella colpa, quella solitudine. Neppure tuo padre, signor Malfoy. Venire qui e
raccontargli un po’ della mia giornata non mi costa nulla e può aiutarlo a…»
fece un cenno vago con la mano, cercando la parola giusta. «Diciamo a far
passare il tempo. Il silenzio può essere molto, molto difficile da sopportare».
Le sue scuse.
«Tu sei Rosemary Crave» si
illuminò improvvisamente Draco, spalancando gli occhi come se qualcuno gli
avesse dato un pugno. «Tu sei la figlia del mio psicologo».
Improvvisamente, tutte
quelle somiglianze ebbero un senso. Lo sguardo, l’espressione del viso,
l’atteggiamento di ostentata eleganza.
Lei sorrise, annuendo
leggermente. «Mio padre mi ha parlato molto di te» gli disse, intrecciando le
dita. «Spero tu non te la prenda con lui per avermi rivelato dei dettagli delle
vostre sedute» aggiunse, vagamente imbarazzata. «Non ho molto da fare, papà
dice sempre che i miei consigli lo aiutano molto nel suo lavoro» si piegò in
avanti, una mano accanto alle labbra, come se avesse voluto sussurrargli un
segreto. «In realtà so che lo dice solo per farmi sentire importante, ma lo
accetto lo stesso, è divertente».
Draco si accigliò,
lanciando solo uno sguardo storto al padre. «Divertente conoscere i problemi
degli altri… di un mangiamorte» disse,
accigliandosi e sentendosi improvvisamente in difficoltà. «E vieni a trovare
uno dei più vicini a Tu-Sai-Chi…». Come se qualcuno glieli avessi indicati,
tutti i problemi di salute che quella ragazza stesse soffrendo divennero
evidenti per lui.
Era troppo pallida. Il
fazzolettino nella tasca del suo pigiama era sporco di sangue – aveva emorragie, il dottore lo aveva
avvertito – e lo sguardo del suo elfo da compagnia non era semplicemente
ansioso, ma decisamente terrorizzato.
Era stata usata come cavia per settimane.
«Credo di doverti
raccontare la mia storia, Signor Malfoy» gli disse lei, con un sorriso gentile.
«Faresti meglio a rilassarti, potrebbe volerci un po’».
***
«Capisco» disse per
l’ennesima volta, annuendo leggermente quando lei diede segno di aver finito il
proprio racconto. La vide asciugarsi una lacrima con il dorso della mano, non fece
nulla per aiutarla. Farlo notare sarebbe stato una mancanza di tatto e, se lei
fosse stata almeno un po’ simile a suo padre, non avrebbe apprezzato.
«Non dirai nulla a mio
padre, vero?» gli chiese Rose, con voce debole tuttavia ferma, indicando con un
cenno il corpo inerme di Lucius Malfoy. «Quello che ho fatto è stato solo per
il suo bene, altrimenti non si sarebbe mai perdonato».
Draco annuì, cercando di
sorridere con gentilezza. Era un gesto che non gli veniva naturale, vista la
rarità con cui era richiesto. «Tu dovresti dirgli la verità, però. Non credo
cambi molto, vista la considerazione che, nonostante tutto, ha di se stesso» le
disse, alzandosi in piedi e sgranchendosi le gambe, rimaste immobili per un
tempo lungo, seppur non determinato.
Gli occhi chiari di
Rosemary Crave brillarono come due piccole pietre preziose, alla luce dei
piccoli lumi. Erano gli occhi di una guerriera che stava ancora combattendo la
più dura delle battaglie ma, al tempo stesso, erano gli occhi di una ragazza
poco più che ventenne che aveva visto sfumare la propria vita per il progetto
assurdo ed incomprensibile di un gruppo di folli.
Folli di cui Draco aveva
fatto parte, come gli ricordava il perenne dolore al braccio.
Folli di cui aveva fatto
parte Lucius Malfoy, che però, con la coscienza di poi, aveva pagato il suo
debito e, forse, meritava un po’ più di considerazione da parte del suo unico
figlio.
«Mi accompagneresti in
camera mia, signor Malfoy?» gli chiese lei, dopo un attimo di silenzio,
indicando con un gesto l’unica porta della camera. «Il mio elfo è sicuramente
andato a sistemare il letto, se dovessi chiamarlo si precipiterebbe qui ed
avrebbe un attacco di panico» aggiunse, con un sorriso divertito. «Sa,
Downey è vecchio ed è ossessionato all’idea che io possa morire prima di lui.
Non credo che lo sopporterebbe».
Neppure il Dottore ce la farebbe, si ritrovò a pensare
Draco, provando un brivido sinistro lungo la spina dorsale all’idea di cosa
sarebbe successo a quell’uomo se avesse davvero perso la figlia in età così
giovane.
«Ti accompagno io, non
preoccuparti» la rassicurò, prontamente, girandole intorno ed afferrando la
sedia a rotelle, iniziando a spingerla verso l’uscita. Nel farlo, lanciò solo
un’occhiata a suo padre, ripromettendosi di tornare durante l’ora di visita e,
finalmente, poter parlare faccia a faccia. «La tua camera che numero è?» le
domandò, uscendo dalla stanza ed osservando la lunga fila di porte chiuse che
costellava il corridoio.
Quell’ala del San Mungo
era stata inaugurata dopo la Battaglia di Hogwarts, quando il numero di malati
senza speranza era aumentato in modo esponenziale. Avevano delle esigenze
diverse e non tutti erano adatti a restare in una sala come quella già adibita
ai ricoverati di lunga degenza. Sei anni dopo, molte di quelle stanze erano
state convertite a camere di degenza private o ricoveri per maghi e streghe che
venivano considerati un pericolo o un peso per la società.
Rosemary non era certo un
pericolo, ma non era neppure un peso.
«La tredici» rispose la
giovane, indicando l’unica stanza con la porta socchiusa, praticamente a pochi
passi da quella di Lucius. «Numero infelice, non trovi? Ma mio padre dice
sempre che la nostra è una famiglia di casi infelici e che il nostro talento è
sempre stato quello di trarre il meglio da ogni situazione» spiegò, prima di
ridacchiare. «Forse spera che stando lì un colpo di fortuna possa aiutarmi a
guarire. Secondo lui non mi sono mai resa conto di tutte le Felix Felicis
o pozioni varie che mi ha fatto scivolare nel tè».
L’immagine del dottore
chino su un calderone, gli occhi iniettati di sangue ed il cuore colmo di
speranza gli fece tremare le ginocchia.
Credi che se ci fosse stato un antidoto io non l’avrei già
trovato?
«Non puoi biasimarlo» le
rispose Draco, schiarendosi la voce nel tentativo di mantenere una tono freddo
e distaccato. «Sei la sua unica figlia, è naturale che voglia fare di tutto per
aiutarti».
Lei scosse leggermente il
capo, allungando la mano per spalancare la porta della sua camera. Come
previsto, il vecchio elfo stava giusto finendo di sistemare le lenzuola. Quando
la vide, sgranò gli occhi per la sorpresa e si affrettò a mettersi fra lei e
Draco stesso, dedicando a quest’ultimo uno sguardo furioso.
«Preferirei che mio padre
impiegasse il suo tempo restando con me, piuttosto che inseguendo un unicorno
rosa» confessò la ragazza, stringendo le labbra in una smorfia delusa, mentre
veniva sollevata dalla magia dell’elfo e depositata sul letto. «Diversamente da
lui, io ho già accettato di non avere molto tempo davanti e preferirei passarlo
in famiglia».
Quella confessione fece
abbassare lo sguardo a Malfoy. Anche lui, per alcune settimane, era stato
convinto di non avere che mesi da vivere, nulla di più, eppure non era mai
stato così tranquillo nei confronti del suo futuro.
Non si era mai rassegnato.
«Non si è rassegnato, non
dovresti prendertela con lui» le rispose, infilando le mani in tasca, non
sapendo più dove tenerle. «È tuo padre, l’idea di perderti dev’essere
terrificante, per lui. Sta facendo il possibile affinché tu possa vivere»
aggiunse, guardandosi intorno e sorprendendosi di quanto quella stanza fosse
diversa da quella di Lucius.
Probabilmente a causa
della lunga degenza, Rosemary aveva personalizzato al massimo quei tre metri
quadrati che le erano toccati. Le mura erano di un tenue verde pastello,
intonate alle tende colorate ed alle lenzuola di cotone. C’erano tantissimi
libri accatastati in ogni angolo e fiori colorati qui e lì, alcuni avevano un
aspetto così esotico che Draco dubitò fossero originari della cara, vecchia
Inghilterra. Qui e lì, nascosti da appunti svolazzanti, erano appesi disegni di
tantissime creature magiche ed un Ippogrifo dall’aria orribilmente familiare
ammiccava da una fotografia sul comodino vicino al letto.
Il ricordo dell’aggressione
del maledetto pollo di Hagrid gli fece fare una
smorfia.
«Credo sia ora che io
vada» disse quindi, schiarendosi la voce e distogliendo gli occhi dalla foto,
per posarli su quella ragazza. «Ho molti impegni di lavoro, sai» aggiunse,
quasi credesse di doversi giustificare. In un certo senso, era vero:
abbandonarla in quel modo, dopo che lei gli aveva raccontato così tanto di se
stessa, gli sembrava una cattiveria.
Rosemary, comunque, non se
la prese, anzi, il suo viso si illuminò. «Oh, sì! Mio padre mi ha detto della
missione… è così avvincente, non è
vero? Seguire degli indizi e salvare il mondo… io non avrei potuto farlo, non
così in segreto!» disse, allegra, scuotendo il capo.
«Beh… sì, non è facile»
concordò Malfoy, annuendo. «Ma io non ho molte persone con cui parlare, non è
così complicato» ammise, stringendosi nelle spalle. In realtà, la sua non era
stata proprio un’uscita felice. Riflettendoci a mente fredda, probabilmente si
sarebbe dato dello stupido per aver ammesso una cosa del genere. Ma aveva
sentito troppe storie, aveva provato troppe emozioni, la sua anima aveva
semplicemente deciso di rifiutare qualunque altro shock, positivo o negativo
che fosse.
Il sorriso della signorina
Crave si allargò a dismisura. «Adesso puoi venire a parlare con me! Neanche io
ho qualcuno con cui chiacchierare, potremo non
parlarne insieme».
Lo sguardo che gli dedicò
fu così simile a quello carico di entusiasmo che il dottore gli dedicava i
primi tempi che, per un secondo, Draco si chiese se davvero quella ragazza
avesse avuto una madre o se il dottore si fosse semplicemente limitato a
clonare se stesso.
«D’accordo, tornerò a fare
quattro chiacchiere».
***
«So che non mi reputerai
sincero, ma… come sta?» quando pose quella domanda, Draco sentì l’impulso di
non credere alle proprie parole. Se qualcuno gli avesse detto, ai tempi della
scuola, che si sarebbe sinceramente informato sulla salute di Harry Potter, si
sarebbe messo a ridere ed avrebbe liquidato tutto con la speranza di vederlo
finalmente sparire dalla faccia della terra.
«Mi prendi in giro,
Malfoy?».
Evidentemente, Hermione
Granger la pensava come la sua versione adolescente. Ma Hermione Granger era
una donna adulta, con un cipiglio da guerriera ed un coraggio che Draco sapeva
di non avere neppure in quel momento.
Per quanto pallida, per
quanto debole e con i capelli simili ad un cespuglio, la giovane strega
trasmetteva una sensazione di determinatezza e forza capace di incoraggiare
chiunque.
«Non prendertela con me se
sei nervosa per fatti tuoi, Granger, sto solo tentando di essere gentile» le
rispose, forse più scontroso di quanto non avesse voluto, incrociando le
braccia la petto ed osservandola con la coda dell’occhio. Avrebbe voluto
allontanarsi da quella vetrata, allontanarsi dal corpo sofferente del Salvatore
del Mondo Magico, ma non lo avrebbe mai imposto a lei.
Potter era il suo migliore
amico, lui non era nessuno per tenerla lontana da lui. Non gliel’avrebbe mai
chiesto.
Era un figlio di puttana, ma aveva una decenza.
La Granger sembrò colpita
dalla sua risposta nervosa e, come se qualcuno l’avesse infilzata con uno
spillo, sospirò, sgonfiandosi di tutta l’irritazione e la forza. Si voltò a
guardarlo, con le labbra strette, e scosse il capo.
«Perdonami, questa notte
sono rimasta sveglia per controllare Harry. Ho preferito mandare Ginny a casa»
si giustificò, indicando la Rossa Weasley seduta nell’angolo della stanza, con
il viso decisamente meno sconvolto dell’ultima volta in cui Draco l’aveva
vista. Teneva fra le mani un quadernino, probabilmente appunti sul suo prossimo
articolo.
Ginevra Weasley, nonostante tutto, non aveva messo da parte il
suo lavoro.
Un’altra forza della
natura, un’altra donna coraggiosa che, oltre la Granger, aveva deciso di
ronzare intorno a Potter. Forse anche Draco avrebbe dovuto iniziare a
comportarsi come un irritante miracolato, così da attirare brave ragazze come
miele per le mosche. Gli unici esempi di donne che aveva conosciuto ed erano
state degne di nota, oltre sua madre, si riducevano a sua zia Andromeda ed a
Laurie, la fidanzata di Blaise.
Ma Laurie lo detestava
apertamente, quindi, in un certo senso, gli stava vicino solo per amore del suo
fidanzato. E Draco, tentando d’essere razionale, sapeva bene di non poterle
dare torto.
«Non avresti dovuto
stancarti così» le disse lui, sinceramente preoccupato nonostante il tono
ironico. «Sei ancora convalescente, Granger, e non credo che Potter ti vorrebbe
così stanca, se fosse capace di intendere e di volere» aggiunse, quando si rese
conto che lei lo stesse fissando con le sopracciglia aggrottate in
un’espressione confusa.
Lei si strinse nelle
spalle, tornando a fissare il migliore amico. «Non è una cosa carina da dire. I
Guaritori credono che lui senta tutto ma che non riesca a riprendere possesso
del proprio corpo. Quindi, in un certo senso, è capace di intendere e di
volere» gli disse, stringendosi le braccia al petto.
«Immagino che questa sia
una definizione amichevole e non giuridica» contestò lui, accennando un sorriso
«Giuridicamente parlando è poco più di un vegetale e sai bene che lo dico
perché è vero, non solo per darti fastidio» aggiunse, stringendosi nelle
spalle. «Prendila in positivo, piuttosto che incapace di intendere e di volere avrei potuto dire che Potter sia
incapace di pulirsi da solo il fondoschiena».
Hermione accennò un
sorriso, osservandolo con la coda dell’occhio. La sua stanchezza era evidente
dal fatto che non si fosse scatenata come una furia contro di lui.
«E tu, Malfoy?» gli
chiese, senza nascondere l’ilarità nel tono.
«Io cosa?».
«Tu te lo pulisci da solo
il fondoschiena? Oppure hai un elfo preposto proprio a quella mansione?».
Il silenzio cadde fra loro
due, con la strega intenta a fissare i suoi migliori amici nella stanza e lui
preso a fissare lei, la bocca spalancata in shock.
Poi, simultaneamente,
iniziarono a ridacchiare come ragazzini.
«Granger, misericordia! Ti sembrano battute adatte
ad una signorina?» sbottò, fingendosi più scandalizzato di quanto non fosse in
realtà. Gli occhi lucidi della sua collega rendevano ben chiaro quanto fosse
bisognosa di quel momento di leggerezza. Restare chiusa in quell’ospedale la
stava facendo impazzire di preoccupazione.
Per quanto avesse scelto
una vita d’ufficio, Hermione Granger aveva bisogno d’azione per non perdere la
ragione.
«Non sono come le
signorine d’alta classe cui tu sei abituato, Malfoy, ricordatelo» gli disse,
tornando a concentrarsi sull’interno della stanza. Lui concordò, ma evitò di
confermare.
«Devo dire, Granger, che
come Margot Sinclair non sei stata affatto male» le disse invece, con un mezzo
sorriso. «Regale al punto, giusto, davvero. Immagino che potrai tirarla fuori
ancora una volta, per il nostro viaggio in Italia».
Quel riferimento attirò
l’attenzione della donna, che si voltò completamente verso di lui. La stanchezza
sul suo viso era evidente, ma in quel momento oscurata dal desiderio d’agire.
«Hai sistemato le cose? Ci
sono indizi?» gli chiese, nervosa, tormentandosi le dita. «Avresti dovuto
parlarmene subito, senza lasciarmi qui… è il corpo ad essere affaticato, non la
mia mente» lo rimproverò, nervosa, portandosi una ciocca di capelli dietro
l’orecchio. Quella, riccia com’era, non si fece domare e continuò a ricaderle
davanti al viso.
«Non dire sciocchezze,
Granger» liquidò tutto con un gesto della mano. «I medici sono stati chiari,
dovresti riposare per un’altra settimana» le comunicò, dando un’occhiata
all’orologio d’oro che portava al polso da quando aveva diciassette anni. La
vide aprire la bocca per ribattere, ma la fermò prima che potesse iniziare la
sua invettiva. «Ma siamo già a fine ottobre e fra non molto tempo quegli
esaltati avranno modo di usare lo specchio e far tornare Tu-Sai-Chi dal regno
dei Morti, uccidendo il nostro Golden Boy».
Lei si mostrò sorpresa, ma
si riprese in un attimo ed annuì. «Quindi? Novità?».
«Ho ottenuto un invito per
una festa in una Villa nelle campagne romane» le disse, tirando fuori dalla
giacca il suo quadernino ed aprendolo agli ultimi appunti presi. «A quanto
pare, Villa Aura era una delle residenze preferite del vecchio Bonifacio e lì
potremo trovare degli indizi sulla nuova traccia» spiegò, mostrandole una
riproduzione della villa che avrebbero visitato entro qualche giorno. «Naturalmente,
dovremo tirar fuori la nostra vecchia copertura, se per te non è un dispiacere
troppo grande».
Hermione scosse il capo,
osservando gli appunti. «Va bene, finché tu non avrai intenzione di rubare
qualcosa che non sia la Traccia».
Draco ridacchiò. «Peccato,
c’è un arazzo meraviglioso nella sala principale…».
«Malfoy!».
Si guardarono per qualche
istante, poi tornarono a fissare gli occupanti della piccola stanza. Potter
sembrava più debole ogni minuto che passava, la Weasley sempre più disperata.
Se non si fossero sbrigati a risolvere quella situazione, Harry Potter avrebbe
perso la sua guerra e, con lui, sarebbero morte tutte le loro speranze.
«Partiremo fra tre giorni,
Granger» le disse alla fine, arretrando di un passo. «Tira fuori l’anello, non
ne ho molti a disposizione, nella camera blindata». Aggiunse, con un vago
sorriso divertito, riponendo nel taschino interno della giacca il taccuino.
Lo sguardo che lei gli
lanciò in quel momento lo fecero sentire improvvisamente leggero, tranquillo
come poche volte prima d’allora. «Mi stai facendo capire che quello non era un
anello falso, Malfoy?» gli domandò, curiosa, mostrando abbastanza evidentemente
lo scetticismo nei suoi occhi. «Non l’avresti mai fatto…».
Lui le lanciò un altro
guardo condiscendente, iniziando ad arretrare lentamente.
«Ti consiglio di stare
attenta, Granger, mia nonna ha lasciato solamente un anello in eredità, è dei
Malfoy da almeno duecento anni».
L’imprecazione con cui lei
lo salutò gli fece lasciare l’ospedale con un gran sorriso.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Sono tornata, sana
e salva! Perdonatemi per queste settimane di morte e risurrezione (per restare
in tema!), ma non credevo che l’operazione mi avrebbe lasciato tanto
destabilizzata. Vi chiedo scusa per l’attesa, spero di non arrivare mai più a
ritardi così imperdonabili.
Grazie per
la pazienza che avete avuto! E Buona Pasqua!
Punti importanti:
» Questo è un
capitolo un po’ fiacco, me ne rendo conto, ma era assolutamente necessario. Dal
prossimo capitolo ricominceranno le missioni! Prossima tappa, casa nostra!
» Rosemary Crave ha un passato sconosciuto a suo padre, ma di cui fa
parte LuciusMalfoy. Cos’è
successo? Soltanto Rosemary e Draco lo sanno e, per
un po’, sarà così.
» Le condizioni
della ragazza sono davvero tragiche, non fatevi ingannare dal carattere allegro
e dalla sua intraprendenza, il dottore presto chiarirà quanto realmente la sua bambina stia male e
quanto questa cosa faccia soffrire anche lui.
»Soltanto perché, da
qui in poi, Hermione si rimboccherà le maniche e si concentrerà sul lavoro, non
dovete pensare che si sia dimenticata di Harry. Hermione non sarà egoista e non
penserà solo al lavoro, ma non potrà neppure sedersi in un angolo e battersi
pugni sul petto al pensiero delle pessime condizioni di salute dell’amico. È troppo
intelligente per farlo.
Il prossimo
capitolo sarà parecchio lungo, quindi ho dovuto dividerlo in due parti! Ci sarà
il ritorno di un personaggio assente da un bel po’ ed una bella vacanza romana!
Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri
sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto
il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.
In ogni situazione ciascuno assume un
contegno ed un atteggiamento esterno per sembrare come vuole che lo si creda.
Perciò si può dire che il mondo è
composto soltanto da maschere.
[François de La Rochefoucauld]
Atto IX –
Parte I
Do ut des.
«Sono
rimasta venti minuti chiusa in un camerino con una donna che non conosce la
differenza fra mettere due gocce di profumo dietro l’orecchio e usarlo al posto
dell’acqua per il bagno» si lamentò per l’ennesima volta, osservando con
disgusto la vetrina del negozio d’alta moda da cui era uscita solo dopo ore ed
ore di torture.
Avrebbero dovuto assumere quelle donne ad Azkaban al posto
dei Dissennatore. Stesso effetto ma con meno implicazioni a livello etico.
Avrebbero succhiato via l’anima dei condannati uno spillo alla volta, tailleur
griffato dopo tailleur griffato.
«Non puoi certo negare la sua competenza, Granger, suvvia»
la rimbeccò il biondo, con una risatina appena accennata, osservandola da sopra
le lenti che era stato costretto ad indossare per leggere il menù microscopico
del ristorante. «Ti ha proposto degli abiti perfetti per te, sia dal punto di
vista del colore che del taglio. Servono così poche modifiche da rendere
addirittura inutile un aiutino da parte dei miei elfi per averli domani
mattina».
I suoi elfi,
naturalmente.
«I tuoi elfi fanno anche i sarti, adesso?» gli domandò,
sarcastica, scorrendo velocemente i nomi dei piatti fra cui scegliere. Erano
così tanti e di così tante nazionalità diverse da farle quasi girare la testa.
Non avrebbe trovato un piatto di pesce e patatine neppure se l’avesse esaminato
da cima a fondo.
Malfoy la guardò come se fosse impazzita. «Ovviamente fanno anche i sarti,
Mezzosangue. Mi credi forse così incivile da scomodare gli stilisti per ogni
microscopica modifica ai miei vestiti? Dovrei essere uno schiavista, davvero!»
sbottò, sinceramente sconvolto, azzardandosi addirittura ad alzare gli occhi al
cielo quando lei lo fulminò. «Davvero, Mezzosangue, non capisco che educazione
devi aver avuto, fra i babbani».
Un colpo di tosse improvviso impedì alla strega di sputare
fuori la sequela di insulti e minacce che, ormai, scorreva liberamente nel suo
cervello ogni volta in cui era costretta a rapportarsi con quello spocchioso ereditiere.
Lo sguardo del giovane in questione – divertito ma curioso
– anticipò di una frazione di secondo l’arrivo di una giovane coppia che lei
credeva di non aver mai visto prima ma che, evidentemente, doveva conoscere
abbastanza bene sia lei che il suo collega.
L’uomo era molto alto, pelle scura ed occhi neri, con il
portamento distinto di un gentiluomo consumato ed il sorriso da mascalzone che,
più di una volta, Hermione aveva visto anche sul viso di Malfoy. La donna,
invece, era il suo esatto opposto. Pallida, bassa e con penetranti occhi verdi,
sembrava preferire l’incontro con dei dissennatore piuttosto che con loro due.
«Cosa ci fate qui?» sbottò Malfoy, senza alzarsi in piedi
ma, comunque, mantenendo un tono al limite del cordiale, una novità per lui.
Dovevano essere suoi amici.
«Non preoccuparti, Malfoy, non ti stiamo pedinando».
L’uomo doveva essere
suo amico, lei sembrava condividere la stizza di Hermione.
Draco sorrise, divertito. «È un piacere rivederti, Laurie»
salutò, piegando leggermente il capo, per poi voltarsi ancora una volta verso
l’uomo. «Blaise? A cosa devo questa visita? Tu detesti questo ristorante» aggiunse, con le sopracciglia inarcate
ed un ghigno appena accennato. Hermione riconobbe quella tattica: non inventare bugie, so che sei qui per me.
Un momento più tardi, anche lei riconobbe l’uomo: Blaise
Zabini, ex Serpeverde ed amico di Malfoy, attualmente uno degli apprendisti
Guaritori più promettenti del San Mungo. Al suo fianco, di conseguenza, doveva
esservi Lauren Jones, sua fidanzata ed alchimista molto competente.
Una coppia
talentuosa, senza orma di dubbio.
«Prima di tutto, Draco, lasciami salutare la tua
accompagnatrice. Io non sono un cafone come te» rispose Zabini, alzando gli
occhi al cielo prima di votarsi verso Hermione. Le porse la mano, da vero
gentiluomo, e le sorrise quando lei la strinse. «È un piacere rivederti, Miss
Granger. Ti trovo in splendida forma» le disse, quando la lasciò andare, per
poi voltarsi verso l’altra donna, rimasta in silenzio dietro di lui, con gli
occhi che sembravano pronti a sputare fiamme. «Le presento la mia fidanzata,
Laurie». Lauren Jones non sembrò interessata a stringerle la mano o a fare
qualunque gesto nei suoi confronti, oltre ad un lieve cenno del capo. «La
perdoni, non è un tipo di molte parole».
Divertito, Draco ridacchiò, attirando su di sé lo sguardo
furioso della donna.
«Dagli quello che gli serve, Blaise, facciamo tardi al
pranzo con mia madre» rispose le invece, tornando a concentrarsi sul suo
fidanzato, poggiandogli la mano sul braccio per attirare la sua attenzione.
All’anulare le brillava un solitario abbastanza grande da fare invidia a quello
che Hermione aveva lasciato a casa, ben nascosto nella cassaforte dal momento
in cui ne aveva scoperta la vera origine.
Non era per il possibile valore affettivo che il gioiello
avrebbe potuto portare con sé, naturalmente, ma per una questione di pura
razionalità. Si era sempre considerata una donna intelligente, farsi rubare
un’inestimabile pezzo di geologia da sotto al naso sarebbe stato troppo per
chiunque.
Quella riflessione aveva distratto Hermione per un tempo
sufficientemente lungo da impedirle di vedere l’oggetto di tanta fretta, ma non
abbastanza da non notare lo sguardo nervoso che Malfoy dedicò all’amico.
Qualunque cosa fosse, Hermione non avrebbe dovuto saperne
nulla.
«Il nostro lavoro qui è concluso» annunciò Blaise, un
momento prima che lei potesse sguinzagliare la lingua e riempirli di domande.
Dedicò un cenno del capo all’amico ed un sorriso alla donna, prima di liquidarsi
con fidanzata al seguito. Lei, in particolare, dedicò un’occhiata colma d’astio
proprio ad Hermione, ignorando completamente Malfoy. Lei ne restò così
sconvolta da fissare il punto in cui si era dileguata con aria vaga per almeno
tre minuti.
«Non prendertela, Laurie ce l’ha con il mondo intero.
L’unico immune alla sua furia è il suo fidanzato» le disse il mago, scuotendo
la testa e mascherando lo sguardo allarmato dietro un sorriso divertito.
«Oltretutto, credo tu le stia particolarmente antipatica».
Hermione si accigliò. «Per quale motivo?» domandò,
ringraziando il cameriere per averle portato la sua tanto attesa tazza di
caffè. Prese un sorso e fece una smorfia, avevano dimenticato di aggiungere la
panna liquida.
«Perché tutti i
Corvonero ti odiavano, Granger» le rispose Malfoy, guardandola come se le fosse
improvvisamente uscita un’altra testa. «Tu eri la migliore in tutto» aggiunse, sperando, forse, di chiarire il suo punto di
vista. Senza che lei dicesse nulla, oltretutto, le avvicinò lo zucchero.
Doveva aver notato la sua smorfia.
«Non riesco a comprendere, davvero» il suo cipiglio
peggiorò, mentre riversava due abbondanti cucchiaiate di dolcificante nel suo
caffè. «Non ho mai parlato con lei, non ricordo di aver mai fatto più che
incrociarla… qual è il problema?».
Malfoy ridacchiò in un modo così naturale ed inconsapevole
da far venire la pelle d’oca ad Hermione.
Naturalmente, si trattava certamente di una reazione
nervosa. Quel suo modo di fare la innervosiva terribilmente, il solo guardarlo
in faccia le faceva venire la nausea.
Ed una insopportabile sensazione di calore alla bocca
dello stomaco.
«Quanto sei…
Grifondoro» le rispose lui, mantenendo l’espressione divertita ed alzando
gli occhi al cielo. Disse quella parola come se fosse stato il peggiore fra
tutti gli insulti. «Ricordi il periodo in cui Potter ti rubò il titolo di migliore della classe in Pozioni?
Ricordi la sensazione provata in quel periodo?» le domandò, fermandola con un
gesto prima che potesse ribattere. «So benissimo che ti ha infastidita
tantissimo, Granger, non mentire».
Hermione strinse le labbra, picchiettando nervosamente il
piede al suolo. Lei non era mai stata gelosa
di Harry. Assolutamente no.
«Harry è sempre stato il migliore in Difesa, non mi sembra
ci sia mai stato un lamento da parte mia. Oltretutto, la sua bravura ha salvato
il mondo magico più di una volta» rispose, secca, sorseggiando il suo caffè
senza osare alzare gli occhi sul collega. Sapeva benissimo dove sarebbe andato a parare, ma senza guardarlo in faccia
sarebbe riuscita a mantenere un minimo di contegno.
«Non metto certo in dubbio la bravura di Potter nel
salvarsi il deretano, Granger. E tu stai evitando la mia domanda» le disse, con
una risata nella voce. La strega lo vide allungare la mano verso il bicchiere
di vino rosso che il cameriere aveva consegnato insieme al caffè ma che lui non
aveva ancora toccato. «Potter ha un talento naturale per Difesa, è risaputo. Ma
riguardo al resto, tu sei sempre stata imbattibile. Sempre, tranne quell’anno».
Il piede della strega batté il terreno con più forza.
«Sono questioni che non ti riguardano, Malfoy. Non ti
permetto di sputare sentenze su cose che non conosci, non quando tu, proprio
quell’anno…».
Il mago le impedì di continuare, alzando la mano. I suoi
occhi erano chiari, tranquilli, nonostante l’argomento che lei avesse tentato
di opporgli. Era una calma rassegnata, una calma che Hermione non aveva mai
conosciuto.
La calma che il
dottor Crave aveva sempre tentato di instillarle.
«Non voglio sapere perché
Potter era più bravo di te. Voglio solo sentirti dire quanto questa cosa ti abbia infastidita. E, forse, farti capire
perché gli altri cervelloni della scuola ce l’hanno tanto con te. Non è bello
sapere di non essere mai abbastanza,
di avere sempre qualcuno sopra di te»
le disse, pacato, sorseggiando poi il suo vino. Quelle parole sembrarono
risvegliare qualcosa, in lui, qualcosa di oscuro ma sufficientemente lontano da
non fargli perdere la testa.
«Quindi la fidanzata di Blaise mi odia perché sono sempre
stata la migliore?» chiese lei, schiarendosi la voce. Meglio allontanarsi dal
campo minato.
«Laurie, non fidanzata
di Blaise» la corresse Malfoy, con una risata. «Odia essere definita in
quel modo. Blaise, invece, adora quando
lei lo chiama futuro signor Jones»
aggiunse, rendendo ben chiaro quanto trovasse ridicola tutta quella
sceneggiata. «Comunque sì, Granger. Lei è la migliore alchimista dai tempi di
Isaac Burke, eppure tu sei sempre stata un passo avanti a lei ed a tutti gli
altri. Alcune persone non prendono bene la sconfitta e tu dovresti saperlo
bene, considerando quello che hai fatto alla Donnola».
Io ti rovinerò,
fosse l’ultima cosa che faccio.
Hermione si irrigidì. Che lui sapesse qualcosa? Che avesse
scoperto il segreto che si era premurata di rendere inaccessibile a chiunque
non fosse direttamente coinvolto?
«Cosa intendi dire?».
Lui si accigliò, notando la sua reazione. «Hai portato McLaggen alla festa di Lumacorno,
al sesto anno. Non vorrai dirmi di averlo fatto per reale interesse e non per
far un dispetto a lui, spero!».
Il sospiro di sollievo che premeva sul suo petto venne
fermato appena in tempo. Non gli avrebbe mai rivelato nulla, non avrebbe mai
alimentato i sospetti che sapeva bene lui avesse.
Mai.
«La sconfitta è dura da accettare, te lo concedo, ed io
non amo non ottenere ciò che voglio» ammise, cupa, indicando la tasca dentro
cui lui aveva fatto sparire la pozione consegnata da Zabini. «Per questo motivo
dovrai concedermi qualcosa, per evitare che io ti torturi per scoprire cosa
vuoi tenermi nascosto».
Gli occhi di Malfoy sembrarono mandare fiamme. «Chi ti
dice che io ti stia nascondendo qualcosa, Granger?» le domandò, senza tuttavia
mostrarsi troppo convinto delle proprie parole.
Bastò che lei sollevasse le sopracciglia per rendere
chiaro il suo pensiero al riguardo. «Il mio lavoro è capire quando qualcuno ha
un segreto. Ed ho lavorato con gli Inquisitori per un tempo sufficientemente
lungo da sapere bene di non poter ottenere una risposta da te, oggi. Quindi
devo essere ripagata, do ut des».
Lui sorrise, alzando gli occhi al cielo. «Va bene,
Mezzosangue, ti devo un favore».
«Ovviamente, il discorso è solamente rimandato. Scoprirò
cosa mi stai nascondendo» lo avvertì, con un sorriso malandrino, sollevando la
tazza di caffè come a voler proporre un brindisi.
Malfoy non si fece scoraggiare, naturalmente. Alzò anche
il suo bicchiere di vino, facendolo scontrare con la tazza.
«L’intento è reciproco, Mezzosangue. Non credere di poter
tenere i tuoi segreti solo per te».
***
«Granger, per l’amor di Merlino, vai piano».
L’urlo angosciato di Draco Malfoy fu musica per le
orecchie di Hermione, nervosa e carica di rabbia repressa dopo il ricovero forzato
in ospedale. Scoprire che non solo lui non avesse la minima idea di come si
guidasse un’auto, ma che fosse assolutamente terrorizzato da queste l’aveva immediatamente riempita di gioia
infinita.
Era un atteggiamento meschino, probabilmente. Sfruttare le
insicurezze e le paure di qualcun altro – soprattutto di un alleato – per
ottenerne un qualche piacere personale era decisamente un comportamento non da
brava Grifondoro e, sicuramente, non da brava Inquisitrice.
Perseguire la giustizia non significava perseguitare le
persone, era una lezione che il suo Capo le aveva impartito il primo giorno in
cui avevano lavorato insieme.
«Granger!».
Ma il tono allarmato di Malfoy valeva ogni futuro senso di
colpa.
«Non essere così piagnone» lo riprese per l’ennesima
volta, decelerando leggermente così da evitargli un attacco di panico. «Ti ho
già detto che so guidare benissimo, non c’è bisogno di allarmarsi in questo
modo» aggiunse, con una risata sadica, mentre la campagna romana sfrecciava
dietro di loro con i suoi mille e mille colori diversi.
Erano partiti quella mattina presto da Londra, con
l’intendo di smaterializzarsi direttamente a pochi metri da Villa Aura.
Naturalmente, Hermione aveva saputo come giocarsi le sue carte e, soprattutto,
come ottenere una vendetta adeguata al supplizio che era stata costretta a
sopportare il giorno precedente.
Quindi, lei era riuscita ad ottenere l’arrivo in auto. Una
Lamborghini rossa, la stessa che Ronald, quando ancora era Ron, aveva criticato tanto aspramente, facendola sentire una
ragazzina viziata per aver anche solo pensato di affittarla per il matrimonio.
Malfoy non si era lamentato della spesa eccessiva,
assolutamente no.
Malfoy si era
lamentato perché lei aveva rifiutato l’autista.
«Stai sbandando come un’ubriaca, Granger! E non mi piace
il rumore che questo trabiccolo sta facendo» mugugnò ancora il purosangue, con
un tono così infantile che, se fosse stato in piedi, sarebbe stato accompagnato
da un piede pestato con forza.
«Sei incredibile! Preferisci viaggiare su di un manico di
scopa, piuttosto che su una delle migliori auto in circolazione! Non vi capirò
mai, voi maghi!» sbottò lei in risposta, con una risata di cuore che la fece
sentire leggera come non accadeva da tantissimo tempo. Era così libera, in quell’istante, da non
percepire neppure l’occhiata penetrante che il biondo le aveva dedicato,
sentendola. «Secondo il navigatore satellitare, manca poco alla Villa… sei
sicuro che ci stanno aspettando?» chiese quindi, voltandosi a guardarlo solo
per un attimo, prima che lui impallidisse e le urlasse di tenere sott’occhio la
strada.
«Posso sopportare che tu rinunci alla bellezza del mio
viso, Mezzosangue, a patto che tu faccia in modo di non farci sfracellare
sull’asfalto come gli idioti convinti di poter cavalcare i draghi!» il tono di
Malfoy doveva essere ironico, ma, improvvisamente, sembrò ricordarsi qualcosa.
«Naturalmente, si dice in giro che tu sia un’esperta in quest’ultima attività».
Hermione sorrise, maliziosa. «Non saprei, Malfoy» iniziò a
dire, osservando con la coda dell’occhio il ghigno vittorioso spuntato sul suo
viso. Credeva che la fuga dalla Gringott fosse una
montatura, eh? «Non ci siamo sfracellati sull’asfalto, abbiamo deciso di
saltare dentro un lago» specificò quindi, ridacchiando. «E tu non hai risposto
alla mia domanda. Ci stanno aspettando o dobbiamo imbucarci?».
Lui scosse il capo, stringendo la presa sulla cintura di
sicurezza che aveva indossato in fretta e furia pochi secondi dopo la partenza.
«Abbiamo un invito. Lord Morgerstern non ha bisogno
di imbucarsi, di solito mettono il tappeto rosso» la guardò male per un
istante, indicando il solitario che le brillava all’anulare. «E stanno tutti
morendo dalla voglia di conoscere la fortunata… o sfortunata».
«Non passerò per l’allegra cornuta di turno, Malfoy,
sappilo» lo ammonì, cominciando a scorgere, in lontananza, una villa a dir poco
strepitosa. «Che sia reale o finta,
la nostra relazione dovrà essere basata sul reciproco rispetto» aggiunse, con
un tono ben più serio di quanto la situazione stesse richiedendo. Dopotutto era una finzione, nessuno conosceva
Hermione Granger e Draco Malfoy e, nel caso qualcuno avesse conosciuto quei
nomi, non avrebbe potuto mai collegarli alla giovane e ricca coppia in procinto
di celebrare un matrimonio.
Ma la ferita era
troppo profonda e fingere non le era più possibile.
«E questo cosa significa, Mezzosangue?».
«Che se tu credi di poter fare lo splendido con le signore
presenti, niente mi impedirà di fare altrettanto con i gentiluomini».
Il modo in cui Malfoy digrignò di denti l’avrebbe fatta
accigliare, in una situazione normale, ma in quel momento diede la colpa alla
curva stretta che aveva appena percorso a velocità sorprendentemente alta.
«Siamo arrivati, questa è Villa Aura».
***
L’edificio era di pianta quadrata, magnifico nel suo
genere, circondato da giardini e vigneti che in nessun angolo d’Inghilterra
sarebbe stato possibile riprodurre. I colori caldi della campagna romana si
riflettevano in ogni aspetto della Villa, così che questa potesse entrare in
armonia con l’atmosfera e sembrare appena uscita da un libro di fiabe.
Appena arrivati, avevano consegnato l’auto ad un valletto
in livrea bianca, impeccabile nell’espressione e nella posa rigida delle
spalle, non avevano lasciato una mancia e Malfoy le aveva lanciato un’occhiata
storta quando lo aveva ringraziato con un sorriso.
«Siamo nell’alta società, Mezzosangue» l’aveva ammonita,
allontanandola dallo sguardo sconvolto del giovane. «Qui non si dice grazie a qualcuno
pagato per fare il suo lavoro. Tutto ti è dovuto, tutto dev’essere naturale.
Lord Morgerstern si vanta d’essere uno degli uomini
più facoltosi d’Inghilterra, è impensabile che la sua fidanzata abbia degli
standard più bassi».
Lei l’aveva guardato con sfida, stringendo le labbra. «Lord
Morgerstern o Lord Malfoy? Il confine mi sembra davvero
sottile, sai? Perché io sono costretta a recitare, mentre tu puoi sentirti
perfettamente a tuo agio per tutto il tempo?».
Lui scosse il capo, afferrandole la mano così da poterla
prendere a braccetto in modo più naturale ed affettuoso. Erano una coppia, non
dei colleghi. «Credimi, Lord Morgerstern è
completamente diverso da Lord Malfoy. La mia carriera è basata su una finzione
continua» le disse, sorridendo con aria che Fleur avrebbe definito charmant ad alcune signore in abito
pomposo ed elegante.
«Ad esempio?» chiese Hermione, ignorando l’istinto di far
smorfie a dette nobildonne e ricambiando, invece, la loro occhiata curiosa con
una benevolente.
«Lord Morgersternadora passare il suo tempo con questi
boriosi, esagerati, banali babbani nobili» fu la risposta, accompagnata da un
sorriso tanto falso quanto convincente. Sembrava avesse fatto un complimento
agli altri ospiti. «Soprattutto quando le frustrate donnine di mezza età fanno
cadere accidentalmente la loro mano grassoccia e sudata sulla mia coscia».
Quelle parole, quasi fosse stato fatto di proposito,
vennero accompagnate dall’occhiolino che una donna pesantemente truccata,
adornata di pellicce e gioielli e con almeno ottanta chili di troppo dedicò al
giovane Malfoy. Hermione rabbrividì e strinse leggermente la mano del suo
accompagnatore.
«Hai ragione, forse posso fingermi un po’ più snob».
«Ti ringrazio».
Avviandosi lungo il corridoio profumato di fiori e vino,
incrociarono molte persone dall’aria distinta ed elegante, molte delle quali
sembrarono sul punto di avvicinarsi per chiacchierare, nonostante Malfoy non
avesse accennato a fermarsi più di un secondo.
Dovevano prima
presentarsi alla padrona di casa, le aveva detto,
altrimenti avrebbero fatto la figura dei cafoni.
In un certo senso, quella era una regola abbastanza
sensata se presa in se stessa. Ma considerando le dimensioni della villa e la
posizione remota in cui avrebbero potuto trovare la proprietaria le sembrò
tutto un po’ troppo forzato. Non che avesse sinceramente voluto fermarsi a
chiacchierare con qualcuno, dubitava che quelle persone fossero più simpatiche
dei nobili incontrati a Versailles.
«Il cuore dell’edificio è la zona sud, dall’altra parte
del cortile» le disse lui, trascinandola lungo un salone a dir poco
meraviglioso, adornato di affreschi e statue probabilmente più antiche di molti
degli edifici visitati dalla strega stessa. «Quella era la vera residenza del
vecchio Papa, prima che venisse ampliata dai suoi discendenti. Questa zona è
stata costruita nel periodo Rinascimentale…» le indicò un quadro raffigurante
una Madonna con Bambino, meraviglioso nella sua semplicità e nella perfezione
dei suoi colori. «Quello è di Michelangelo, lo stesso autore dell’affresco alla
Cappella Sistina… immagino tu la conosca, no?» le domandò, tranquillo,
strappandola immediatamente allo spettacolo cui l’aveva appena introdotta.
Per Draco Malfoy non era una gran cosa, l’essere posto
dinnanzi ad un quadro quasi sconosciuto del Maestro Buonarroti.
«L’ho vista su dei libri, ma non l’ho mai visitata» ammise
lei, sentendo una morsa al petto. «Avevo intenzione di fare un viaggio per
visitare Roma, un po’ di tempo fa, ma ho preferito cambiare meta» spiegò, senza
dare via troppi dettagli.
Il viaggio in questione doveva essere una prova generale
per il viaggio di nozze, giusto pochi giorni per festeggiare la proposta tanto
attesa.
«Dove sei andata, alla fine?» le domandò lui,
probabilmente inconsapevole di aver rigirato il dito in una piaga ancora molto,
molto dolorosa. «Venezia? Firenze? Oppure hai cambiato proprio stato?»
aggiunse, tranquillo, come se stesse riflettendo su qualcosa di particolarmente
difficile. «In Spagna ci sono monumenti e chiese a dir poco mozzafiato, oltre
che musei incredibili. Ma niente vale la bellezza di Roma, dopotutto è Caput Mundi da oltre duemila anni».
Hermione si sentì morire, rendendosi conto di voler rispondere alla domanda. Di volergli dire cos’era stato del suo
intento, nonostante fosse consapevole che, così facendo, avrebbe rivelato
qualcosa del suo passato, del suo segreto, che aveva ripromesso a se stessa di
tenere nascosto.
«No, sono andata in Galles. C’era la partita dei Cannoni
di Chudley» ammise, sentendo freddo a livello dello
sterno. Era un freddo diverso dal solito provato nel ripensare al periodo
trascorso con Ronald, quando era ancora pronta a tutto per far funzionare il
loro rapporto.
Non era tristezza e non era risentimento.
Era vergogna.
Si stava vergognando orribilmente della sua debolezza
passata, dell’essere stata così sottomessa da non voler far valere le proprie
idee e le proprie opinioni.
E temeva che Malfoy avrebbe preso la palla al balzo.
«Se riusciamo a finire velocemente qui» disse invece lui,
tranquillo, come se lei gli avesse appena rivelato una motivazione
incredibilmente seria riguardo quel cambio di direzione inaspettato. «possiamo
fare un salto in città. Non credo di poterti mostrare tutta Roma in un
pomeriggio, ma almeno le tappe più importanti…».
Se non l’avesse visto parlare, Hermione non avrebbe
creduto alle sue orecchie.
«Vuoi portarmi a visitare Roma, Malfoy?» chiese, allibita,
mentre lui continuava a trascinarla fuori dal salone, in un cortile dall’aria
meravigliosamente curata, al cui centro svettava un tendone bianco in cui
veniva servito un leggero aperitivo.
Lui le dedicò uno sguardo confuso. «Naturalmente, Granger.
Io sono uno dei migliori esperti d’arte del mondo magico, è inaccettabile che
la mia collega non conosca le bellezze di Roma».
La risposta di Hermione venne fermata da un fulmine in
bianco precipitato quasi in braccio a Draco, squittendo in quello che lei
credeva fosse italiano e spingendola via con una mano adorna di anelli di
brillanti e bracciali preziosi.
Il fulmine in bianco si rivelò essere una donna sulla
trentina, bionda, perfetta in ogni minimo particolare, con degli occhi azzurri
incantevoli ed un sorriso da vipera. Baciò sulle guance Malfoy, scambiando con
lui qualche frase in italiano, e sembrò non rendersi conto di averla spinta via
malamente.
Fu Malfoy ad allontanarsi di un passo dalla bionda,
dedicando ad Hermione uno sguardo che all’apparenza era gioviale ma che, in
realtà, sembrava nascondere un orrore profondo. «Mia cara, lascia che ti
presenti la mia fidanzata, Miss Margot Sinclair» disse, in inglese, affiancando
la sua accompagnatrice. «Tesoro, lei è Beatrice Caetani,
la padrona di casa».
Lo sguardo che le lanciò la bionda avrebbe fatto
impallidire qualunque donna con problemi d’autostima. Fortunatamente, non era
il caso di Hermione Granger. Per quanto potesse essere bella ed elegante, la
Signora non avrebbe mai avuto nel suo curriculum l’aver salvato il Mondo
Magico.
«Incantata, signora Caetani. La
sua Villa è incredibile» salutò quindi la strega, con un sorriso falso quasi
quanto quello di Malfoy. Ma come presentazione non bastava, doveva integrarsi
all’ambiente. «E adoro il suo vestito».
La donna sembrò illuminarsi all’ultimo commento. «Fatto su
misura, naturalmente» disse, con un accento molto forte. Le si addiceva, non
stonava con l’aria da nobile abituata al lusso con cui si era presentata. «Mi
auguro che resterete per cena! Ho intenzione di chiedere a Lord Morgerstern di esaminare alcune opere entrate in mio
possesso… la Baronessa Duclaise mi ha raccontato che
siete un incantevole critico».
Hermione e Draco si guardarono per un istante, come a
cercare un punto d’accordo per rifiutare la gentilissima offerta. Ma non ne
ebbero il tempo.
«Meraviglioso!»
si esaltò subito Beatrice, battendo allegramente le mani e voltandosi verso un
uomo decisamente più vecchio di lei ma con l’aria ancora parecchio avvenente.
«Augusto, tesoro, accompagna il signor Morgerstern
alla galleria, io intratterrò la sua adorabile fidanzata!».
Prima che potesse dire qualunque cosa, Hermione si ritrovò
coinvolta in un’assurda conversazione su gioielli, uomini ed eredità macchiate
di sangue.
Per l’ennesima volta si sentì male all’idea di esser stata
separata da Malfoy.
***
«Non sono mai stata più felice di vederti» sbottò quando,
dopo ore ed ore di insulse chiacchiere, si ritrovò nella stessa stanza di
Malfoy. Che fosse una camera da letto era irrilevante. Semplicemente, lei era
contenta di avere davanti un viso conosciuto.
Con uno sbuffo di risata, lui si sedette sul letto,
allentando il nodo alla cravatta. Aveva l’aria distrutta, i capelli non erano
più perfettamente sistemati. Sembrava che avesse passato il pomeriggio a
zappare, piuttosto che ad ammirare opere d’arte.
«Granger, posso dire lo stesso, per quanto sembri assurdo»
disse, con voce roca, lanciandole un’occhiata in tralice. «Quel folle di
Augusto Caetani mi ha trascinato per tutta la
galleria e poi si è convinto che avrei trovato il suo vigneto avvincente» spiegò, allungandosi sul
letto con uno sbuffo. «Mi ha fatto rovinare le scarpe nuove, quell’idiota».
Curiosa, Hermione gettò un’occhiata alle scarpe in
questione, trovandole, effettivamente, coperte di polvere e terra. Si ricordò
di quanto fossero costate le sue scarpe
e si rese conto che quelle di lui non dovessero distare così tanto da quella
fascia di prezzo. Si sentì quasi male all’idea.
«Avrei preferito rovinare le scarpe che sentire tutti quei
fastidiosi discorsi» ribatté Hermione, con un sospiro stanco. «Non credevo che
potessero essere tutte così
superficiali. Eppure fra loro c’erano tantissime laureate con lode alle
migliori università europee» rifletté ad alta voce. «Alcune di loro hanno detto
di essere ingegneri chimici e nucleari».
Malfoy sorrise, rialzandosi e sfilandosi dal collo la
cravatta. «Ti ho già detto di non fare la razzista, Mezzosangue. Per
esperienza, posso assicurarti che non porta mai a nulla di buono. Queste donne
sono costrette a fingersi delle idiote per tenere buoni i mariti e sopravvivere
in quest’ambiente. Per vincere bisogna conoscere le debolezze. Per conoscere le
debolezze, bisogna conoscere i segreti».
«E i segreti vengono rivelati esclusivamente se si crede
che le altre siano troppo stupide per capire» concluse Hermione, annuendo
leggermente. «Hai ragione. Dopotutto, è una tecnica che usiamo anche in
ufficio. Sono riuscita a sventare un attentato facendo credere al terrorista di
essere anch’io una Mangiamorte nostalgica del passato».
Lo sguardo che Malfoy le lanciò la fece arrossire senza
che potesse avere neppure il tempo di rendersene conto. «Sorvolando
sull’evidente ignoranza del soggetto in questione, devi essere stata
incredibilmente convincente. Mi sorprendi, Granger, non credevo fossi così
brava a mentire» ammise, avvicinandosi alla finestra della camera e spalancando
i battenti sul giardino.
Dal piano di sotto arrivavano i rumori del salone che
veniva allestito per la cena, borbottii dei camerieri vestiti di bianco tutti
presi nel trasportare piatti e bicchieri dall’aria incredibilmente preziosa. Ad
illuminare lo spazio erano solo le lanterne che – a detta della signora
Beatrice – davano all’intera proprietà un’apparenza di incredibile
magnificenza, il profumo della campagna si univa alla brezza fresca che entrava
dalla finestra aperta, inondando la stanza del suo aroma particolare e
rilassante.
Draco Malfoy le sembrò molto più affascinante di quanto
non fosse mai stato.
Doveva essere colpa del vino… che non aveva bevuto.
«Non sottovalutarmi, te l’ho già detto. Il mio non è un
lavoro per molti e di certo non lo è la mia carriera scolastica. Ricordi al
primo anno, quella storia del Troll?» gli chiese, schiarendosi la voce e
cercando di darsi un tono. Si alzò dalla poltrona, spostandosi verso il lato
opposto della stanza. Aveva tolto le scarpe, il freddo pavimento di pietra
contro la pianta nuda del piede sembrò ridarle lucidità.
Lui annuì leggermente, allungandosi per afferrare un
pacchetto di sigarette dal mobile vicino. Beatrice le aveva detto, in effetti,
di aver convinto il suo fidanzato a fermarsi per la notte e di averlo già
accompagnato in camera da letto per posare i loro bagagli.
Che questi bagagli fossero solo due valigie vuote – fatta
eccezione per gli strumenti da lavoro
di Malfoy – era irrilevante. Probabilmente lui si era messo a suo agio, prima
di partire per la scampagnata nella vigna.
«Quando hai pensato di andare a caccia e ti sei fatta
salvare dal magico duo, no?» chiese conferma, offrendole il pacchetto più per
cortesia che per altro. Quando lei accettò una sigaretta si mostrò sorpreso, ma
seppe mascherare il tutto dietro un’espressione neutra.
«In realtà ero in bagno a…» non gli avrebbe mai detto di
essere andata a piangere, meglio la morte. «A fare quello che generalmente
viene fatto in bagno. Harry e Ron sapevano che sarei stata da sola e sono
venuti ad avvisarmi. Se non avessi mentito alla McGranitt, probabilmente la
loro carriera scolastica sarebbe davvero iniziata
col botto» raccontò, con un sorrisino divertito.
Malfoy ghignò nella sua direzione, mentre si accendeva la
sigaretta. «Mentire alla Vecchia a soli undici anni… devi essere stata un vero
talento precoce, Granger» la scimmiottò, facendole cenno di avvicinarsi così da
accendere anche la sua. «Ma io ti ho già vista all’opera, non c’è bisogno di
rivangare il passato».
Ma certo, ricordò Hermione, al quinto anno aveva convinto la Umbridge di conoscere l’arma segreta di Albus
Silente.
Lo stesso anno in cui si erano davvero trovati ai capi
opposti di una stessa battaglia. L’anno in cui erano state gettate le basi
degli schieramenti che, nei due anni successivi, avevano spinto lei a diventare
un’eroina di guerra e lui un pentito redento solo parzialmente.
«Comunque ho qualche notizia che potrebbe interessarti»
comunicò, avvicinandosi a sua volta alla finestra, accomodandosi sul davanzale.
Quel momento di sbandamento sembrava passato, non aveva più i brividi al solo
guardarlo.
Si rese conto di aver calcolato male l’influenza che lui
aveva sul suo corpo nel momento stesso in cui lo osservò espirare il fumo. La
curva presa dalle sue labbra attirò tutta la sua attenzione, costringendolo a
richiamarla un paio di volte prima di farla uscire da quella trans in cui era
caduta.
«Se sei stanca puoi riposare un po’, Mezzosangue» le
disse, accigliato, indicando il letto con un cenno del capo. «Mancano due ore
alla cena e tu sei appena stata dimessa dall’ospedale» aggiunse, vagamente
preoccupato.
«No, sto bene, ero solo…» si scusò lei, schiarendosi la
voce. Non continuò, non avendo la più pallida idea di cosa accidenti avrebbe
potuto dire per discolparsi. Non avrebbe mai ammesso la verità.
«Come desideri» si arrese lui, nonostante non sembrasse
affatto convinto. «Cos’hai scoperto?».
«Una marchesa mi ha raccontato che esiste un’ala della
casa che è perennemente chiusa al pubblico. I padroni di casa lasciano sempre
delle guardie per controllare che nessun ospite si avventuri da quelle parti»
spiegò, indicando l’altra parte del cortile, nella zona più vecchia della
villa. «Sembra che i Caetani si rechino lì ogni
notte. Molti credono che si tratti della cappella di famiglia, ma…».
Malfoy annuì, puntando gli occhi nella direzione da lei
indicata. «Neppure a me sembrano tipi particolarmente devoti. Stanno
nascondendo qualcosa» concordò, per poi lanciarle un’occhiata divertita mentre
aspirava un’altra boccata di fumo. «Hai visto? Fare la sciocca ci ha aiutati
nella ricerca».
Hermione rise, poggiandosi al davanzale ed avvicinandosi,
seppur impercettibilmente, a lui. «Qui ti sbagli, mio caro» gli rispose,
mantenendo un sorriso affascinante. «Lei è rimasta affascinata dal mio acume ed
ha ritenuto che io potessi aiutarla a risolvere il mistero. Il mio cervello
riesce ad affascinare le persone, visto?».
Malfoy si accigliò, accostandosi ulteriormente e
prendendole delicatamente il mento fra pollice e indice. «Non ho mai detto il
contrario, mia cara» le sussurrò, a
pochi centimetri dal viso, abbastanza vicino da farle percepire il profumo
delle sue sigarette tanto particolari ed un vago sentore di vino.
Hermione voleva morire e non per la vergogna o per la
stizza, quella volta non avrebbe potuto trovare una giustificazione per se
stessa.
Ron non si era mai avvicinato a lei in quel modo. Ron non
era mai stato tanto delicato e, al tempo stesso, affascinante, con lei.
Non potrai mai avere
di meglio. Io sono tutto ciò cui potrai mai aspirare.
Hermione, per la prima volta, stava provando del reale desiderio. Ed era merito di Draco
Malfoy, l’ultima persona in tutto in mondo con cui lei avrebbe mai voluto
trovarsi in quella situazione.
Non poteva permetterlo. Non poteva sopportarlo.
«Raggiungo gli altri uomini nella sala da biliardo» disse
improvvisamente Malfoy, allontanandosi da lei ed avvicinandosi alla porta. «Tu
riposati, tornerò a prenderti per la cena. Una volta che andranno tutti a
dormire, dovremo pedinare i nostri ospiti» le disse, tranquillo, uscendo.
Hermione, semplicemente, restò a fissarlo in silenzio. Ed
il silenzio riguardava anche la mente, non soltanto la lingua. Non riusciva a
pensare a nulla di coerente, quindi si limitò ad annuire.
«Mezzosangue…» disse infine, con un sorriso appena
accennato, indicando qualcosa che lei teneva in mano. «La tua sigaretta si è
consumata, se non stai attenta rischi di bruciarti con la cenere. Prenditene
un’altra, ti aiuterà a rilassarti».
Quando lui si chiuse la porta alle spalle, la cenere le
cadde sul piede nudo, bruciandola e risvegliandola dallo shock in cui era
caduta.
Aveva già provato una morsa allo stomaco come quella che
percepiva in quel momento, ma il contesto era totalmente diverso.
Non hai bisogno di
nessuno, solo di me. Non vedrai nessuno.
Non era più paura.
Non ho mai detto il
contrario, mia cara.
Hermione Granger era davvero in un mare di guai.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Come ho
anticipato l’ultima volta, questo capitolo
non finisce mai. Avevo deciso di dividerlo in due parti, com’è già successo
altre volte, ma credo proprio che ce ne sarà una terza.
Troppi
avvenimenti in un capitolo solo non vanno bene, confondono le idee!
La prossima
parte, vi avverto, sarà un po’ particolare.
Punti
importanti:
» Blaise è
tornato e, con lui, la sua fidanzata. Lei è presente anche nella mia “Danse Macabre”, che naturalmente fa parte dello stesso
universo e che si è appena classificata PRIMA
nel contest Sette Colori di erzsi sul forum di EFP.
So che si tratta di autocelebrazione inutile, ma sono
troppo felice!
» Laurieodia
Hermione ed io, per quanto possa amare la nostra genietta,
non posso che condividere il suo sentimento. Anche io l’avrei odiata, se mi
avesse rubato ogni possibilità di brillare in classe.
» Hermione
Granger pirata della strada! Ronald le toglieva la gioia vivere, farle rinunciare
a Roma per una partita di Quidditch... imperdonabile! Forse sono troppo dura
con lui? Ma temo che questa sia la realtà del loro rapporto, almeno dal mio punto
di vista. Hermione è sprecata con uno come lui.
»Beatrice ed Augusto fanno la loro
prima comparsa, ma nel prossimo capitolo giocheranno un ruolo fondamentale.
» Il muro
fra i nostri due eroi inizia a crollare, io non dico altro.
Ho già fatto
questa domanda in un’altra fanfiction, ma credo sia
opportuno chiedere qui. Sarebbe preferibile una pagina facebook
per eventuali comunicazioni e/o anticipazioni? Ditemi voi, potrebbe essere
inutile. Dopo la malattia, però, ho capito che non avere un modo per contattare
tutti e giustificare il ritardo potrebbe essere un problema. Fatemi sapere!
Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri
pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei
avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.
Capitolo 13 *** Atto IX - Parte II/ Il morso dell'aspide. ***
Draco Malfoy era sempre stato una persona sicura di sé
LoSpecchio delle Anime.
Vieni, vieni, mortifera creatura:
sciogli di colpo, coi tuoi denti
aguzzi, l’aggrovigliato nodo di mia vita.
Povero velenoso stupidello,
accanisciti, sbrigati a spacciarmi!
[Cleopatra, Atto
V, Scena II – W.Shakespeare,
Antonio e Cleopatra]
Atto IX – Parte II
Il morso
dell’aspide.
Draco Malfoy era
sempre stato una persona sicura di sé.
Anche quando il suo
mondo era stato capovolto e la sua vita era stata gettata in pasto ai lupi, lui
non aveva mai smesso di mostrarsi sicuro della propria strada e sicuro delle
proprie capacità.
Esisteva solamente una
persona capace di togliergli quel controllo che tanto faticosamente tentava di
imporre a se stesso. Ed era la stessa persona che lui era stato sul punto di baciare non più di quindici minuti
prima.
Baciare Hermione Granger, che cosa assurda.
Com’era potuto passargli per la mente? Il dottor Crave si sarebbe messo a
ridere ed avrebbe citato le teorie di un qualche filosofo morto fissato con il
voler avere relazioni sessuali con sua madre*. Avrebbe trovato da solo una qualche ragione
difficilmente comprensibile per spiegare quell’improvvisa attrazione.
No, non era davvero inspiegabile.
Se non fossero stati da
sempre su fronti opposti, Hermione Granger l’avrebbe affascinato fin dai tempi
della scuola. In un certo senso l’aveva fatto, durante il primo viaggio verso
Hogwarts. L’aveva affascinato, per poi spingerlo ad allontanarsi con poche e
semplici parole.
I tuoi genitori sono maghi, vero?
No, sono dentisti.
All’epoca la sola idea
di avere rapporti con una bambina Mezzosangue gli faceva ribrezzo. All’epoca,
era abituato a difendere in qualunque modo ed a qualunque costo gli stessi
ideali assurdi che gli erano stati impartiti nella prima infanzia.
Non era inspiegabile,
soltanto impossibile.
Impossibile è il mio secondo nome.
Draco si trattenne a
stento dal mettersi ad imprecare. Colpito ed affondato dalle sue stesse
vanterie.
Per quanto gli
dispiacesse ammetterlo, l’impossibilità non era tale con Hermione Granger. Non
se avesse saputo giocare a dovere le sue carte.
Non se avesse deciso a rinunciare completamente al proprio
passato.
La voce di Augusto Caetani lo fece balzare, vagamente spaventato. Gli occhi
scuri dell’uomo sembrarono attraversarlo, come fosse fatto di semplice carta
trasparente.
Per un istante, Draco
si sentì davvero insignificante, una sensazione del tutto nuova per lui. Gli
sembrò d’esser improvvisamente diventato leggerissimo, le ossa ridotte a
semplice cenere intrappolata fra i suoi muscoli, il battito cardiaco veloce
nelle vene, il fiato intrappolato nella sua gola.
Era ansia.
E la fonte erano gli occhi verdi dell’uomo che aveva di
fronte.
«Mi dispiace» si
scusò, quando si rese conto che l’altro avesse parlato e che fosse giunto il
momento di rientrare in possesso delle proprie facoltà mentali. «Ero
soprappensiero, non mi sono accorto della sua presenza, altrimenti mi sarei
fermato».
Il sorriso comprensivo
ma stranamente divertito dell’uomo l’avrebbero fatto accigliare, se non si
fosse reso conto del rischio che avrebbe corso, inimicandoselo. Doveva
mantenere la sua copertura, per non attirare troppo l’attenzione e mandare
all’aria il lavoro di quelle settimane.
«Non si preoccupi, non
si preoccupi» con ungesto elegante della
mano, l’uomo gli fece cenno di seguirlo in quello che, Draco se ne accorse in
quel momento, doveva essere il suo studio. Senza sapere bene come, era giunto
davanti alla sua porta e lì si era fermato, come una mosca attirata dal miele.
«Venga con me, credo le farebbe bene un bel bicchiere di prosecco. Viene
direttamente dalle mie vigne, una
delizia» aggiunse, esprimendo l’ultimo commento in italiano.
Augusto Caetani, nato Malatesta, era un
uomo sgradevole, all’apparenza troppo alto e troppo muscoloso rispetto alla
testa piccola, tonda e quasi completamente pelata. Aveva sposato Beatrice quasi
dieci anni prima, assumendo il controllo delle proprietà di famiglia ed i vari
titoli nobiliari a quelle annessi, diventando, grazie anche al tesoro che la sua famiglia portava con sé, uno degli
uomini più ricchi ed influenti d’Europa. Tutti erano rimasti molto sorpresi che
avesse scelto di prendere il cognome della moglie, ma la sorpresa era svanita
quando lo scandalo sui suoi fratelli era venuto allo scoperto.
Fratello e sorella, un amore proibito ed una famiglia
distrutta.
Lo studio in cui lo
guidò aveva le pareti quasi interamente coperte da dipinti.
Dipinti erotici.
Draco non aveva mai
avuto problemi con la sua sessualità o con le varie sfumature che questa aveva
nelle altre persone. Non avrebbe potuto, vivendo a stretto contatto con degli
adolescenti per sei anni della sua vita e trascorrendo i successivi con critici
d’arte più o meno espansivi al riguardo. Aveva ammirato opere d’arte di ogni
risma, aveva studiato nudi appartenenti ad ogni epoca. Aveva addirittura
sperimentato buona parte delle posizioni illustrate in quel libricino indiano
che tanto faceva parlare i babbani!
Ma quei dipinti
riuscirono a fargli sentire una stretta allo stomaco a causa del disagio.
«Ah, sta ammirando la
nostra collezione» commentò Augusto, con un sorriso, accomodandosi alla sua
scrivania ed indicando a Draco la poltroncina libera, davanti a lui. «Mia
moglie preteso di esporla qui, sa. Io ritenevo che fosse un po’ troppo spinta
per uno studio, considerando il via vai di uomini d’affari ed ecclesiastici che
passano fra queste quattro mura, ma lei ha insistito».
Per una qualche
ragione, Draco non riuscì a credere che stesse mentendo. Beatrice Caetani aveva proprio l’aria di qualcuno appassionato a
quel genere d’arte. Nonostante le parvenze d’angelo, la sua reputazione nella
buona società la precedeva ovunque si recasse.
Bella come un angelo, ma incline al peccato come Satana in
persona.
«Sono dell’idea che
ognuno abbia il sacrosanto diritto di esporre ciò che desidera, in casa sua»
gli disse quindi il giovane, accomodandosi ed accennando un sorriso gentile. I
muscoli delle sue spalle erano stranamente tesi, come se parte di lui stesse
percependo un pericolo che il resto, invece, non riusciva a comprendere.
Qualcosa gli stava urlando di scappare, mentre altro lo supplicava di restare.
Quella tensione stava diventando sempre più insopportabile.
«Sono lieto che
condividiamo lo stesso pensiero» si complimentò Caetani,
annuendo leggermente mentre preparava due flute e si allungava per tirar fuori
da un mobiletto – probabilmente nascosto sotto la scrivania – una bottiglia di
vino bianco. «Questa è una delle migliori annate. Sono certo che la farà impazzire».
La tensione alle
spalle stava uccidendo Draco, lentamente e con parecchio dolore.
«Non sono un grande
amante del vino, purtroppo» si scusò in anticipo, allungando comunque la mano
per afferrare il bicchiere che gli era stato porto. Mai rifiutare, diceva l’etichetta, nonostante non provasse il
minimo desiderio di avvicinare le labbra al cristallo immacolato. Annusò
leggermente il profumo del liquido, sentendo le narici pizzicare. Era
insolitamente dolce, ma, dopotutto, lui davvero
non ne sapeva molto, soprattutto non di vino bianco.
«Lo assaggi, Morgerstern» insistette l’uomo, senza tuttavia accennare a
prendere il suo bicchiere. «Le prometto che non è avvelenato!» aggiunse, con
una risata divertita ed estremamente genuina, come se avvelenare qualcuno fosse
stato uno scherzo. Come se la sola idea fosse stata assurda.
Come se qualcuno non avesse già tentato di avvelenare
Draco. Più di una volta.
Il sapore, esattamente
come il profumo, era incredibilmente dolce. Così dolce da far dolere i denti di
Draco e fargli stringere la gola in una morsa, quasi come se il suo stesso
corpo si stesse rifiutando di assorbire quella sostanza. Era forse veleno? No,
Blaise gli aveva insegnato a riconoscere i sintomi immediatamente seguenti
all’ingestione di sostanze tossiche e lui non sentiva formicolio alla lingua o
dita fredde. E comunque sapeva bene che molti vini erano caratterizzati da una
dolcezza fuori dal comune.
Forse era solo troppo ansioso e prevenuto nei confronti di
quell’uomo.
«Ha un buon sapore,
glielo concedo» disse infine, con un vago sorriso, raddrizzandosi contro lo
schienale della poltrona. «Ma continuo a preferire il whisky».
Augusto scoppiò a
ridere, rilassandosi a sua volta. «Voi inglesi avete una predilezione per quel
particolare liquore, dico bene? Noi italiani, invece, siamo legati al nostro
vino» gli spiegò, prendendo il bicchiere ma solo per far oscillare il contenuto
al suo interno. Alla luce del grande lampadario, sembrava aver assunto un
colorito rosato, decisamente più scuro di quanto Draco avesse visto poco prima.
Per sicurezza, sollevò
anche il suo calice, notando quella strana colorazione.
Forse non aveva guardato bene, la prima volta, troppo
spaventato all’idea di esser avvelenato per l’ennesima volta.
Prese un ulteriore
sorso, chiedendosi se sarebbe stato ancora tanto sgradevolmente dolce.
La risposta fu
positiva, naturalmente. La dolcezza,
forse, era addirittura aumentata.
«Immagino sia una
questione di culture diverse» gli disse, forse per impedire a se stesso di fare
smorfie proprio davanti al proprietario della vigna. «Il vino fa parte della
vostra tradizione, mentre per noi è comunque qualcosa di estraneo, di
importato. Siamo famosi per una bevanda molto meno…» si accigliò, cercando la
parola adatta. «Diciamo meno eleganti».
Augusto sorrise,
annuendo leggermente. «Ah, sì, non posso darle torto» concordò, posando
nuovamente il bicchiere e rilassandosi contro lo schienale della sua poltrona.
«Il vino è bevanda degli dei, dopotutto, e Roma è stata la casa delle più grandi
divinità. Bacco ne è stato l’inventore».
«A detta del mito» precisò
subito Draco, con un ghigno. «Probabilmente Bacco
era solo un contadino annoiato ed amante degli esperimenti. Ma immagino che,
oggi, sia giusto ricordare la sua memoria in modo più divino» scherzò, alzando gli occhi al cielo.
Vide, comunque, lo
sguardo irritato del padrone di casa, un attimo prima che si rilassasse
nuovamente e tornasse a puntare gli occhi scuri su di lui.
Guai.
«Il mito, naturalmente» concordò, nonostante non
sembrasse poi così convinto. «Bacco è stato accolto fra le divinità, grazie al
suo talento. Ma quel mondo ultraterreno non gli è mai appartenuto
particolarmente. Preferiva passare il suo tempo sulla terra, con i suoi
seguaci, godendo di quei piaceri che nel Regno Celeste gli erano preclusi».
Puntò i suoi occhi su Draco, improvvisamente divertito. «Immagino lei ne abbia
sentito parlare».
«Naturalmente»
confermò, vagamente preoccupato. «Le baccanti ed i loro rituali, sono in pochi
a non conoscerli. Attraversavano le campagne organizzando rituali depravati che
mettevano al centro il piacere dei sensi, sessuale e non solo». Restò in
silenzio per quale istante, improvvisamente indeciso su come comportarsi.
«Hanno rappresentato un bel grattacapo, in Grecia».
«Non soltanto in
Grecia» Augusto indicò la scena erotica dipinta alle sue spalle. C’erano tante
donne con maschere ed in posizioni promiscue, al centro un uomo con un mantello
di leopardo. «Anche a Roma si diffuse il culto, naturalmente, ma gli adepti si
mostrarono molto più intelligenti»
disse quella parola come se fosse stato tutto merito suo. «Dopo il Senatusconsultum de Bacchanalibus** il culto venne abolito ufficialmente,
ma gli adepti non si dimenticarono della loro religione. Evitarono di dare troppo nell’occhio e fecero in modo che la
conoscenza si tramandasse di genitori in figli e così per anni ed anni».
Le dita di Draco
sembrarono improvvisamente troppo fredde. «Interessante. Immagino abbia le
prove di quest’affermazione… sono certo che molti studiosi pagherebbero
dell’oro sonante per poter scrivere qualcosa al riguardo».
«Diciamo che ho i miei
agganci» lo rassicurò l’uomo, sfiorando con la punta del dito il bordo del suo
calice rimasto intonso. «Mi piacciono le sfide, signor Morgerstern»
disse, poggiando i gomiti al tavolo e congiungendo le punte delle dita poco
sotto al mento. La sua espressione era feroce, quasi come quella di un lupo a
caccia, ma, stranamente, Draco non riuscì a preoccuparsene. «E sono certo che
lei sarà un’aggiunta incredibile alla nostra collezione».
Quelle parole
avrebbero dovuto turbarlo, ma non ci riuscirono. La consapevolezza di quella
sua anormale rilassatezza lo fece irrigidire leggermente, ma nulla di più.
«Signor Caetani?».
«Dopo cena, venga
nell’ala vecchia» gli disse, alzandosi in piedi, in un chiaro invito a lasciare
il suo studio. «Naturalmente, la sua fidanzata potrà aspettarla in camera, non
credo sarà un grande dispiacere, per lei. Non con la reputazione che si porta
dietro, Signor Morgerstern».
Il lord inglese capace di affascinare ogni donna nell’arco
di un chilometro, incapace di essere fedele alla sua innocente fidanzata.
«Naturalmente» fu
tutto ciò che disse, mentre una parte di lui – molto debole, ma anche
estremamente testarda – combatteva per ribellarsi a quel torpore forzato. C’era
un pericolo in agguato, ma lui non riusciva ad inquadrarlo. E non gli piaceva
affatto. «Immagino che ci vedremo a cena» disse poi, rialzandosi e sforzandosi
di apparire meno rilassato di quanto fosse in realtà. Era un mondo di rigidità,
quello, non c’era spazio per i sorrisi.
«Non credo, signor Morgerstern» gli rispose il padrone di casa, con un sorriso
malandrino. «Io ho degli impegni improrogabili, ma sono certo che ci vedremo
dopo» il sorriso si allargò, inquietante. «Nell’ala vecchia, dopo cena. Si
assicuri di mettere a cuccia la sua fidanzata, non vogliamo certo che rovini la
nostra serata, con tutte le sue domande inopportune».
«No, certo che non lo
vogliamo».
Mantenendo la postura
il più rigida possibile, Draco diede le spalle al padrone di casa ed uscì dalla
stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Fu in quel momento che
la lingua iniziò a pizzicare.
***
Che ci fosse qualcosa
di orribilmente sbagliato, in lui, Hermione l’aveva capito nel momento stesso
in cui si era accomodato al suo fianco, poco prima che venisse servita la cena.
Era più bianco del solito, fatta eccezione per le guance accese di un rosa tutt’altro che naturale, ed aveva le mani sudaticce. Quando
si chinò verso di lei per dirle qualcosa, si irrigidì e si allontanò, restando
poi in un silenzio di tomba.
«Per Merlino, vuoi
dirmi cosa ti succede?» gli chiese, nella pausa fra il primo e l’insalata. Si
riavvicinò a lui, stando bene attenta a non farsi sentire dagli altri ospiti
seduti al loro stesso tavolo. Il gran numero di persone presenti lasciava
intendere che la festa si fosse estesa a molti degli invitati del mattino,
seppur non a tutti. «Se continuerai a stringere quella forchetta fra le mani
rischierai di rovinarla e dovremo ripagare l’intero servizio ai Caetani».
Lui non la guardò e
non accennò neppure a rilassarsi, tutt’altro. I suoi
occhi guizzarono verso Beatrice, attorniata da ragazzi anche più giovani di
loro, tutti presi nel decantare le sue lodi, e poi scattarono verso la porta
d’ingresso alla Sala, quasi avesse voluto cercare una via di fuga. Lei, allora,
gli posò la mano sul braccio, con l’intenzione di tenerlo fermo fin quando non
si fosse deciso a parlare.
«Mia cara» la voce
preoccupata di una vecchietta seduta con loro la fece voltare nella sua
direzione, tirando fuori il sorriso falso più convincente di cui fosse in
possesso. «Il suo fidanzato si sente bene? Sembra accaldato».
In effetti, nel
momento stesso in cui l’aveva toccato, Hermione aveva sentito un fiotto di
calore superare anche i due strati di pesante stoffa con cui il suo braccio era
coperto, come se qualcuno gli avesse acceso un fuocherello
sotto al sedere e lui avesse iniziato a cuocersi come un tacchino al forno.
Non era il più gentile dei paragoni, in effetti.
«Ho assaggiato del
peperoncino» disse Malfoy, impedendo ad Hermione di far sentire quella orribile
bugia che il suo povero cervello aveva iniziato a mettere insieme. «Non sono
abituato, perdonatemi» aggiunse, cercando di suonare il più rassicurante
possibile. La presa di Hermione si strinse sul suo braccio, ma lui si irrigidì
di più. «Credo che tornerò in camera nostra, mi sento particolarmente
indisposto» aggiunse, deglutendo con l’aria più preoccupata e ansiosa che
Hermione aveva mai visto sul suo viso. «Tu resta pure a finire la cena, tesoro,
non preoccuparti per me».
Non muoverti da qui, Granger.
Controbattere, davanti
a tutte quelle persone, era certamente fuori discussione, lei lo sapeva bene.
Se lasciò andare la presa sul braccio del suo accompagnatore e si limitò a
fulminarlo con un’occhiata, fu solo per non mandare al diavolo la copertura che
aveva funzionato tanto bene fino a quel momento. Osservò Malfoy rialzarsi in
piedi e sistemarsi la giacca con aria particolarmente impacciata, voltandosi
velocemente per dirigersi fuori dalla sala, ignorato da tutti.
Quasi tutti. Beatrice Caetani
seguì la sua figura come se lui fosse stato un uccellino e lei un gatto
affamato. Hermione sentì qualcosa di gelido nello stomaco, ma non osò pensarci
più di tanto. Non era il momento e non era certo il luogo per cominciare a
sputar cattiverie sulla padrona di casa.
Non quando c’era il quasi fondato sospetto che lei ed il
marito trafficassero con magia arcana ben al di sopra della loro comprensione.
Restare seduta per il
resto della cena fu straziante, per i nervi della strega. Passò dal non
riuscire ad ingerire neppure una foglia di insalata o un pezzetto di carne allo
spazzolare via una decina di dolcetti alla crema e vari assaggi di almeno sette
torte diverse. La vecchietta seduta al suo stesso tavolo le fece addirittura i
complimenti per il modo in cui riusciva a mantenere la sua linea, mangiando in
quel modo.
Lei non aveva idea delle pozioni per bruciare i grassi in
eccesso che non uscivano mai dalla borsetta di Hermione.
Quando molti degli
ospiti si alzarono dai propri posti, chi per tornare a casa e chi per
raggiungere la camera da letto che i padroni di casa avevano generosamente
offerto, anche lei si sentì finalmente libera di scappare via e torturare
Malfoy finché non le avesse detto la verità.
I suoi tacchi
ticchettavano contro il pavimento di immacolato marmo, ma nessuno le prestò
attenzione, mentre si dirigeva di corsa al piano di sopra. Molti degli ospiti,
però, le lanciarono occhiatine divertite, quasi di pietà. Che fosse buffa, con
quel vestito elegante e truccata come se fosse stata invitata a cena dalla
Regina d’Inghilterra? Che fosse evidentemente come un pesce fuor d’acqua, in
quel mondo di belletto e lustrini?
Francamente, non le
importava. Tutto ciò che voleva era aprire la porta della camera – come fece –
e trovare Malfoy, per tirargli fuori ogni minima cosa che avesse pensato di
nasconderle.
Quando entrò, si rese
conto che Malfoy non stesse nascondendo poi molto.
Draco Malfoy, l’uomo
di ghiaccio che per anni aveva meritato un posto d’onore nella classifica delle
dieci persone che le stavano più antipatiche, era in piedi, nell’angolo della
stanza più lontano dalla porta, con gli occhi sgranati e lucidi e le guance
rosse.
Ed era quasi
completamente nudo.
Solo un asciugamano a separarla da una visuale da
giornaletto pornografico.
Mostrando una calma che,
davvero, Hermione aveva sempre creduto di non possedere, chiuse la porta e vi
poggiò contro le spalle, restando per qualche istante a fissare il suo collega
in quelle condizioni a dir poco sconvenienti. Diversamente da quanto avrebbe
pensato lei stessa, non lo fissava per desiderio o lussuria.
Era soltanto sotto shock.
«Granger… va’ via» la
ammonì lui, cercando di farsi ancora più piccolo nell’angolo della stanza, le
guance sempre più rosse e gli occhi sempre più sgranati.
Aveva l’aria di
qualcuno che si era divertito parecchio, fino a quel momento. E fu proprio
quell’aria a far insorgere in Hermione la peggiore delle emozioni.
La gelosia.
«Chi diavolo c’era qui
con te, Malfoy?» gli chiese, furiosa, incrociando le braccia al petto. «Credevo
di essere stata chiara! Non ho intenzione di passare per la cornuta contenta,
neppure per finta! Cosa accidenti ti è saltato in mente, eh?» gli sibilò
contro, avanzando di un paio di passi. Sentiva una vena pulsare in modo
sinistro nella sua tempia, ma non vi prestò molta attenzione. Erano ben altri i
pensieri che la torturavano, in quel momento. L’idea che Malfoy se la fosse
spassata mentre lei, al piano di sotto, si preoccupava per la sua condizione…
«Non c’è nessuno,
Granger, e faresti bene ad andartene subito»
le ripeté lui, con un tono preoccupato, ma anche oscurato da qualcosa che lei
non riusciva a comprendere. «Nasconditi e, quando nei corridoi non ci sarà
nessuno, raggiungi l’ala vecchia. Renditi invisibile, se necessario. Se non
credi di poter prendere lo specchio, smaterializzati
via. Questa gente è pericolosa».
L’urgenza nel suo tono
la preoccupò non poco.
«Cosa ti hanno fatto?»
chiese, in un sussurro preoccupato, iniziando seriamente a credere che qualcosa
di molto importante le stesse sfuggendo da sotto al naso. «Malfoy?» chiamò,
quando lui chiuse gli occhi, come se qualcuno gli avesse appena dato un pugno
nello stomaco. Non ottenne risposta e la sua preoccupazione schizzò alle
stelle. «Draco?».
Si rese conto di aver
detto la cosa sbagliata quando lui rialzò la testa di scatto, puntandole
addosso gli occhi d’argento puro, molto più scuri di quanto non fossero
solitamente.
Hermione sentì un
brivido lungo la spina dorsale e, non c’erano dubbi al riguardo, non era un
brivido causato dalla paura.
«Augusto mi ha dato un
potentissimo afrodisiaco, Granger» le
disse, con la voce resa roca da qualcosa che Hermione ancora non riusciva –
oppure non voleva? – comprendere. «Credo che lui e sua moglie siano adepti al
culto… al culto di Dioniso» spiegò, a fatica, senza staccarle gli occhi di
dosso. Sembrava facesse fatica anche a respirare.
Un afrodisiaco.
«Ti senti male? Posso…
posso fare qualcosa per aiutarti? Io…» in difficoltà, Hermione si guadò
intorno. Tutto, pur di non fissare lui. Tutto, pur di non cedere alla
tentazione. Tutto. Non si rese
neppure conto di aver chiesto ad un uomo sotto l’effetto di quel genere di pozione se si sentisse
male. «Se vuoi andiamo via. Sono certa che al San Mungo sapranno come
aiutarti».
Malfoy strinse gli
occhi, ormai ridotti a due fessure di argento liquido e denso. «Sto troppo bene, Granger, ma grazie per
l’interessamento» la disse, sarcastico. «Non hai sentito cosa ti ho detto? Quei
due sono come due fottutebaccanti, Granger. Hai capito?».
L’improvviso ricordo
di alcuni racconti piccanti letti durante un’estate parecchio calda le
tornarono alla mente. A lei erano sempre piaciuti i racconti dell’antica
Grecia, quindi leggere di riti orgiastici non era poi così difficile.
«Ma sono discendenti
di un Papa».
Malfoy riaprì gli
occhi, vagamente sconvolto. Il calore sulle sue guance non sembrava voler
diminuire, tutt’altro. «Granger, buona parte dei
nobili italiani discende da qualche Papa, questo non credo possa fermarli» le
disse, con voce roca, attraente. «Smettila di sconcertarti per cose così
ridicole, fai quello che devi. Devi trovare lo Specchio e ricordare dov’è
collocato, domani mattina torneremo per rubarlo. Quei due saranno troppo
sconvolti dalle emozioni della serata».
«Tu non sarai troppo
sconvolto?» gli chiese lei, dandosi mentalmente dell’idiota. Porgendo
quell’involontaria domanda, aveva condannato se stessa ad immaginare cosa avrebbe fatto Malfoy, per
sopportare quella smania che, com’era evidente, lo stava torturando al punto da
farlo spogliare e da non riuscire a trattenere i sospiri davanti a lei.
Idiota, Hermione, ricordati perché hai giurato di non
avere mai più un uomo nella tua vita!
Ricordarsi del passato
l’aiutò a ritornare in se stessa per qualche momento, un brivido di orrore ad
offuscare l’immagine di devastato tormento sessuale che Malfoy stava
trasmettendo. Un brivido per ricordarle chi era lei, chi era lui e ciò che, in
fazioni opposte, avevano vissuto.
«Io starò bene, ma
devi assicurarti di essere al sicuro a tua volta» le disse, trattenendo a
stento un sorriso. «Ricorda, sii invisibile e scappa via una volta vista la
Traccia. Probabilmente loro non saranno lontani. Cerca…» dovette fermarsi, come
se qualcosa lo avesse colpito nuovamente allo stomaco. Con la coscienza chiara,
Hermione si rese conto che non fosse proprio allo stomaco, il fastidio. «Cerca di non scandalizzarti e scappa
via, velocemente. Io ti raggiungerò a Londra domani mattina, non sono in
condizione di… di viaggiare, adesso».
Il suo tono sembrava
non ammettere repliche, ma lei era Hermione
Granger e non avrebbe mai preso ordini da lui.
«Troverò la Traccia e
la prenderò, poi ti raggiungerò e ti smaterializzerò via di qui. Cerca solo di
resistere fino al mio ritorno, poi potrò anche sedarti» ribatté infatti, fiera.
«Non preoccuparti, non sono così stupida da mettere in pericolo la mia vita. Se
mi renderò conto di non potercela fare, tornerò qui e ce ne andremo via».
«Granger…» Malfoy fece
per protestare, poi chiuse gli occhi e sospirò, un’emozione indecifrabile negli
occhi. «Cerca solo di non farti scoprire, non mi piacerebbe saperti violentata
quando avremmo dovuto lavorare insieme» si raccomandò, passandosi una mano fra
i capelli sconvolti. «Ma non tornare a prendermi, davvero… io sto esaurendo il
mio controllo» ammise poi, deglutendo rumorosamente. «Va’ via di qui, adesso, e
resta intera».
Sentendo la pelle
d’oca, Hermione si limitò ad annuire e dargli le spalle, pronta ad uscire.
Fece in tempo a
mettere la mano sulla maniglia della porta, prima di sentire un’imprecazione ed
il rumore dei passi veloci alle sue spalle.
Un momento dopo, si
rese conto che Draco Malfoy la stesse baciando.
Un bacio appassionato,
un contrasto di labbra, denti e lingua cui lei non era assolutamente preparata
ed a cui sapeva di non aver dato alcun consenso. Sentì le mani di lui fra i
capelli, sciolti mentre tornava in camera, e la pressione del suo desiderio
contro il ventre.
E, così com’era
iniziato, tutto finì. Lui si allontanò da lei, continuando tuttavia a guardarla
negli occhi, sconvolti quanto probabilmente erano anche i suoi.
Come il morso
dell’aspide, il veleno di quel bacio si irradiò in tutto il suo corpo.
Si fissarono sotto
shock, per qualche secondo, ognuno immaginando ciò che probabilmente stava
attraversando la mente dell’altro.
Mi hai baciata.
Tu hai risposto.
«Vai, Granger» la voce
di Malfoy era più roca di prima, quando fece un passo indietro. «Sto per
perdere tutto il mio autocontrollo e
questo non è il modo in cui avrei
voluto baciarti per la prima volta» le disse, dandole le spalle e mettendo in
bella mostra il fondoschiena che madre natura ed una frequente attività fisica
intensa gli avevano donato.
Hermione, sotto shock,
si rese conto solamente di due cose.
Il modo in cui avrei voluto baciarti.
Malfoy era nudo.
Lasciò la stanza il
più velocemente possibile, sbattendo la porta alle proprie spalle e poggiandosi
contro il legno per riprendere fiato. Sentiva la testa in fiamme ed il cuore
non aveva mai battuto così velocemente.
Neppure durante la sua prima volta, con Ron.
Neppure durante la proposta di matrimonio.
Quando si diresse
nell’ala vecchia, era ancora così sconvolta da non aver realizzato la cosa più
importante di tutte.
Malfoy aveva il braccio destro bendato.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una paginafacebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti! [NB: è ancora in fase di allestimento, non
è proprio perfetta!]. Presto aggiungerò anche un’anteprima del
prossimo capitolo!
BOOOOOOOOM! E NON DICO ALTRO! Ho dovuto
tagliare il capitolo qui, non potevo certo perdere l’occasione di tenervi tutti
col fiato sospeso!
Punti importanti:
» *Draco
sta facendo un riferimento a Freud. Il Dottor Crave è
anche esperto in psicologia babbana, come credo di aver precisato.
» **La delibera del Senato Romano in questione esiste davvero,
risale al 186 a.C. (Scusate, ma sono una giurista, non potevo permettermi di
ignorare il Senato).
» I Caetani sono persone strane, io ve l’avevo detto.
Non me ne vogliano possibili soggetti imparentati con le famiglie che ho
citato, si tratta di nobili e, come Malfoy ha sottolineato, quasi tutti
discendono da Papi. Non scandalizziamoci, suvvia.
» I fratelli di Augusto sono
stati scoperti in flagranza d’incesto. Diciamo, però, che i due erano adepti
allo stesso culto del fratello e che non hanno saputo mascherare le prove. Oppure
Augusto li ha fatti scoprire per tenere tutta l’eredità per sé, quando i due si
sono suicidati per la vergogna? Impossibile saperlo!
» Il povero Draco viene ancora una
volta avvelenato.
Immagino che quando lo racconterà al Dottor Crave anche lui si farà una bella
risata. Draco Malfoy è la nuova cavia di laboratorio! Essere in condizione imbarazzante davanti a tutti deve essere
stato molto traumatico, per lui.
» Hermione, Hermione, ti piace proprio mettere
il dito nella piaga, vero? Quel poverette sta già male di suo, tu che lo chiami per nome e fai la preoccupata di
certo non aiuti!
» Sia il titolo che la citazione fanno
riferimento al momento del bacio, ovviamente. Perché il veleno?
Perché questo bacio porterà parecchi danni, anche se non immediatamente.
Dopotutto, lui l’ha baciata mentre era sotto l’effetto di un potente
afrodisiaco. E comunque, Hermione è rimasta totalmente paralizzata! Cleopatra
che vuole farsi mordere rispecchia un
po’ le emozioni di Hermione, che avrebbe fatto volentieri un altro giro sulla
giostra, chi vuol capire che capisca.
» Per evitare dubbi, i Caetani
non sono magici. Quello che il marito ha rifilato a Draco è un
afrodisiaco babbano, magari un concentrato di viagra,
ostriche e cioccolato (che cosa disgustosa!).
Il prossimo capitolo sarà molto HermioneCentrico, ci saranno nuovi dettagli riguardo ciò
che è successo fra lei e Ron. Per varie informazioni, immagini e altro rimando
alla pagina Facebook! (Ancora non c’è nulla, è un po’ sciocco visto che non
l’ha ancora vista nessuno!).
Grazie infinite a tutti
coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia
ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di
pubblicare ancora. Grazie, davvero.
Capitolo 14 *** Atto IX - Parte III/ Il Trionfo di Bacco ed Hermione ***
Superato il primo momento di shock, ad impedirle di crollare in un
angolo del corridoio alla ricerca disperata di ossigeno fu l’improvvisa
vibrazione del cellulare che teneva nascosto nella giarrettiera, ridotto in
modo da non essere subito riconoscibile
LoSpecchio delle Anime.
Quant’è bella giovichezza,
che si fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman
non c’è certezza.
[Il Trionfo di Bacco e Arianna – Lorenzo de Medici]
Atto IX – Parte III
Il Trionfo di
Bacco ed Hermione.
Superato il primo
momento di shock, ad impedirle di crollare in un angolo del corridoio alla
ricerca disperata di ossigeno fu l’improvvisa vibrazione del cellulare che
teneva nascosto nella giarrettiera, ridotto in modo da non essere subito
riconoscibile.
Lo spavento fu tanto
che per poco non si mise ad urlare, mandando all’aria tutta la sua copertura.
Dovette fare più di un tentativo, prima di riuscire a recitare l’incantesimo e
farlo tornare delle giuste dimensioni.
Ginny.
Il terrore che fosse
successo qualcosa ad Harry, che le sue condizioni fossero improvvisamente
peggiorate, le fece tremare le ginocchia, allontanando definitivamente quello
strano miscuglio emotivo provato a causa di Malfoy.
«Cos’è successo?». Non
c’era tempo per i saluti e decisamente non c’era tempo per nascondere la
preoccupazione dietro una falsa tranquillità. «Ginny, come sta? È successo
qualcosa di grave? Se mi hai chiamata durante la missione…».
«Oh,Hermione cara».
Si fermò, sentendo il
sangue improvvisamente ghiacciato nelle vene. Non era Ginny, al telefono.
Era la signora Weasley.
«Cosa vuole? Dov’è
Ginny?» le sibilò, guardandosi per un momento intorno e trovando il
nascondiglio perfetto dietro una statua dall’aria incredibilmente antica. «Cosa
accidenti crede di fare?» aggiunse,
trattenendosi a stento dal mettersi ad urlare come un’isterica.
Al mondo esistevano
poche cose capace di ridurla in quello stato. Fra queste, le prime erano Ronald
Weasley e sua madre.
Soprattutto sua madre.
«Oh, cara… sono venuta a trovare Harry, naturalmente!» il tono della
donna era melenso, carico di una preoccupazione che sarebbe suonata sincera
alle orecchie di qualcuno che non l’avesse conosciuta prima della Guerra. Ma
non ad Hermione, che riconobbe ogni inflessione forzata. «Ginevra è andata in bagno, così ho pensato di chiamarti…».
«Ginny lo sa che lei è lì?» le chiese quindi,
presa da un dubbio. Conosceva troppo bene la sua migliore amica, difficilmente
avrebbe voltato le spalle a lei o ad Harry in quel modo. Non dopo che sua madre
l’aveva trattata in quel modo.
Un silenzio assoluto
seguì alla sua domanda, confermando la sua teoria. Che quella donna avesse
intenzione di fare qualcosa? Che avesse un piano? Forse avrebbe potuto
sfruttare il momento di debolezza di Ginny per farle un incantesimo e
modificarle la memoria. Oppure avrebbe ucciso Harry, arrivando nel momento migliore per far vedere alla sua
ultimogenita quanto fosse pentita del
suo stesso comportamento.
No, si disse Hermione. I
malati di mente non possono pianificare così bene.
«Si allontani
immediatamente da quella stanza, lasci stare Harry e Ginny» sibilò al telefono,
cominciando a calcolare quanto tempo avrebbe impiegato per smaterializzarsi a
Londra, cacciarla personalmente e tornare indietro per continuare la missione.
«Diversamente da te, io non abbandono i membri della mia famiglia!»
le rispose la donna, con voce stridula – la stessa voce che aveva usato quel giorno – ansimando alla cornetta
come se qualcuno l’avesse costretta a correre una maratona. «Per questo ti ho chiamata! Presto lui
tornerà e si aspetterà di trovarti… devi tornare indietro!».
Quelle parole fecero
defluire tutto il sangue dalla sua testa, rischiando di farla svenire in mezzo
al corridoio.
Lui tornerà.
No, era impossibile.
Harry se ne era occupato personalmente, lui non sarebbe mai più tornato in
Inghilterra e non l’avrebbe più avvicinata. Mai.
«Ronald non tornerà e
certamente non avrà modo di parlare con me» le rispose, schiarendosi la voce
per impedire a se stessa di suonare troppo debole. «Io non ho alcun motivo per
tornare indietro».
La signora Weasley
rise, dall’altra parte della cornetta.
«Ah, così ingenua! Chi mai potrebbe volerti? Ron è l’unico, l’unico! Nessuno vorrà mai avere a che fare con te!»
la sua voce era crudele, come l’ultima volta che le aveva rivolto la parola.
Una voce crudele che non somigliava affatto a quella della donna che, per anni,
era stata una seconda madre sia per lei che per Harry.
Molly Weasley era
morta e ciò che era rimasto di lei svaniva dietro una malattia mentale che la
stava consumando.
Il ricordo di ciò che
era successo poco prima, in camera da letto, aiutò Hermione a non cadere nel
vortice dell’autocommiserazione, come invece era successo anni prima, quando
soltanto il dottor Crave era riuscito ad impedirle di sparire in un’ombra che
proveniva dall’interno del suo cuore.
«Meglio sola che con
Ronald» le rispose, secca, pronta a continuare con la sua invettiva, ma
un’altra voce, furiosa, le impedì di continuare.
«Cosa cazzo credi di fare? Dammi il mio
telefono e sparisci!». Ginny era tornata e, come previsto, non era stata
affatto felice di aver trovato sua madre lì. «Hermione? Oh, tesoro! Ti ha infastidita? Ti ha disturbata, eri in
missione…».
Il sollievo sembrò
liberarle il petto da un peso che neppure aveva compreso di sentire.
«Va tutto bene, Gin.
Tua madre non può più farmi soffrire». Si rese conto quanto fossero vere,
quelle parole, soltanto quando le pronunciò. Quel peso sul petto era rimasto
con lei per tanto, tantissimo tempo, ed una volta sparito era riuscita a
comprendere quanto l’avesse fatta stare male.
Non era sciocca,
sapeva benissimo che presto o tardi la ferita si sarebbe riaperta.
Ma non in quel
momento.
Non quando aveva una
missione da compiere.
«L’ho mandata via. Ho chiesto all’infermiera di impedirle di tornare in
questa parte dell’ospedale. Non temere, non si avvicinerà a nessuno di noi».
Hermione sospirò,
pizzicandosi la radice del naso con la punta delle dita. «Non preoccuparti, va
tutto bene. Adesso io vado, ho del lavoro da fare» le disse, raddrizzando le
spalle. La consapevolezza del luogo in cui si trovasse, del rischio che
stessero correndo sia lei che Malfoy, le fece tremare le ginocchia.
«Naturalmente. Buona fortuna, Herm».
«Verrò a trovarti
presto, non temere».
***
Quando aveva imparato
l’incantesimo di Disillusione, si era stranamente convinta che fosse l’unico
modo per rendersi parzialmente invisibili senza l’aiuto di un mantello
dell’invisibilità. Probabilmente era stato a causa di Harry e del regalo di suo
padre se non si era mai impegnata al riguardo, ma, fortunatamente, si era
ritrovata con le spalle al muro più di una volta, dovendo ricorrere a libri
particolarmente complicati ed antichi per trovare una soluzione a quel problema
che tanto la angustiava.
Un mantello dell’invisibilità
comune avrebbe potuto sparire sotto la pressione di un qualsiasi Incanto di
Rivelazione, le serviva qualcosa di più forte.
Incanto Tenebrae.
La sensazione che
provò la fece rabbrividire. Pronunciare quell’incantesimo le ricordava
moltissimo il gelo seguito all’immersione in una vasca piena di ghiaccio. Era
un freddo secco, penetrante, capace di raggiungere il nucleo delle ossa e
renderle un ammasso di ghiaccio morto.
L’abbraccio della tenebra, il buio dell’inesistenza.
Camminare con la
consapevolezza di essere diventata nulla
le riuscì incredibilmente facile, quasi non se ne rese conto. La prima volta in
cui l’incantesimo aveva avvolto il suo corpo, aveva dato di stomaco e si era
accasciata al suolo, incapace di muovere un solo muscolo finché non era stata
messa alla magia. Sentirsi nulla, un’anima e nulla di più, era qualcosa che
pochi riuscivano ad accettare e sopportare.
In quel momento, dopo
essere stata nulla per mesi, Hermione
non aveva più paura.
I corridoi della nuova
ala della villa erano quasi totalmente deserti, meravigliosi nelle loro
decorazioni antiche e nella bellezza dei lampadari lucenti. Ad Hermione
ricordarono molto le abitazioni di molti dei Mangiamorte sotto copertura che
aveva interrogato negli anni precedenti, così perfette da far quasi male agli
occhi. La perfezione di una vita che era solo una copertura, il sorriso dietro
cui si celavano gli orrori accantonati nei bui sotterranei.
Casa sua non sarebbe mai stata così perfetta.
Villa Aura non aveva
dei sotterranei, però. Hermione non dovette scendere delle scale di pietra,
sentendo il freddo aumentare ad ogni passo verso l’oscurità dell’ignoto. Lei
continuò a camminare lungo il corridoio, osservando i quadri rinascimentali
diventare degli arazzi di fine trecento e quelli, a loro vota, vasi di ceramica
risalenti ad un’era in cui l’Italia, potenza mondiale, era culla della più
grande fra le civiltà. I lampadari di cristalli sparirono, la strada venne
illuminata soltanto da candelabri antichi. Il fresco profumo dell’autunno, che aveva
pervaso le nuove stanze grazie alle finestre spalancate, stava cedendo il passo
ad un odore forte, di incenso e vino unito all’inconfondibile aroma tipico
delle antiche dimore.
Qualcosa di primitivo
esisteva in quell’ala della casa. Qualcosa che stonava terribilmente con la
vita che continuava a fluire fuori dalle mura.
Era come esser stati
catapultati in un’altra era. Un’era in cui giusto e sbagliato si confondevano
dietro l’apparente ordine delle divinità che camminavano fra gli uomini, in cui
niente era impossibile e la magia era libera di fluire per il mondo senza
doversi nascondere.
I primi rumori
giunsero quando svoltò per la terza volta a sinistra. Qualcuno stava suonando
uno strumento a corde – un’arpa, forse? – e qualcun altro dei flauti, un paio
di donne cantavano in una lingua che Hermione aveva già sentito, ma che non riusciva
ad identificare, non a quella distanza. L’odore di incenso ed alcol si fece più
forte.
Dopo aver svoltato per
altre due volte a destra, seguendo la musica, i rumori divennero più semplici
da distinguere. Non erano due donne, a cantare, ma una sola accompagnata da un
uomo. Il tono di quest’ultimo era troppo alto ed Hermione ricordò,
improvvisamente, l’usanza di evirare i giovani affinché potessero mantenere una
voce candida e pura per il resto della loro vita. Usanza barbara, forse, ma
comprensibile nell’ottica di un mondo in cui la persona spariva dietro la
necessità di esaltare il Bello e la Perfezione delle divinità.
Insieme al canto,
però, c’erano anche altre voci ben distinguibili, da quella distanza minima.
Lingue diverse si
intrecciavano fra loro, sussurri sensuali che strisciarono sulla pelle della
strega come le carezze di un amante capace, ansimi e gemiti le riempirono le
orecchie, facendola arrossire.
Baccanti, aveva detto Malfoy.
La fama li precedeva,
naturalmente. Adepti del dio greco Dioniso, erano pronti a rinunciare a
qualunque freno inibitore per festeggiare
le gioie della vita con il loro protettore immortale. Le storie narravano
di riti orgiastici conclusi con il sangue, di vergini private della virtù e del
senno per osannare il dio della follia.
Voltato l’ultimo
angolo e trovandosi davanti all’unica Sala Grande dell’Ala antica – specchio di
quella che era la Sala da Pranzo nella zona più recente – Hermione comprese
quanto fossero stati accurati i vecchi miti, parlando di scenari da bolgia
infermale.
Dopotutto, era da scene simili che il Sommo Poeta doveva
aver preso spunto.
La stanza era molto
ampia, senza finestre, con muri di pietra decorati dagli affreschi più antichi
che Hermione avesse mai visto in vita sua. Scene erotiche incredibilmente
dettagliate erano riprodotte in sequenza, come se, osservando i muri da
sinistra verso destra, fosse stato possibile individuare una storia diversa
rispetto alla semplice esaltazione dei sensi.
Ma le raffigurazioni erano nulla, rispetto ciò che stava
accadendo nella stanza.
Decine di persone – se
quei corpi nudi avvinghiati fra loro potessero esser ancora definiti come tali
– erano riverse al suolo, animati solo dagli scatti nervosi degli amplessi che
venivano consumati. C’erano maschere sugli stessi visi che Hermione, poco più
di un’ora prima, aveva visto durante la cena, animati da modi perfetti e
dall’arroganza che solo la nobiltà di sangue sapeva portare.
Non c’era arroganza,
in quella stanza. Non c’erano nobili, plebei o divinità.
Dalla sua posizione di
spettatrice, ancora invisibile ed ancora fuori dalla sfera di luce proiettata
dai bracieri della stanza, la strega comprese perché certi rituali fossero sempre
stati visti con diffidenza, nell’antichità.
Non si trattava del
sesso, naturalmente. La visione degli antichi, al riguardo, era sempre stata
molto più liberale rispetto a quella moderna.
Non si trattava
neppure degli alcolici, che riempivano coppe d’oro adornate di gioielli
preziosi e si riversavano sui corpi già sudati, aumentandole la lucentezza alla
luce del fuoco.
Era la follia.
Senza neppure
avvicinarsi, Hermione percepì il brivido dell’incoscienza attraversarle la
spina dorsale, l’adrenalina liberarsi nel sangue, il battito accelerato del
cuore. Tutti i suoi dolori iniziarono a svanire, la vista le si appannò come se
il suo cervello avesse iniziato a bollire e sciogliersi nella scatola cranica.
Seppe con certezza che
se avesse messo un solo piede in quella stanza, avrebbe perso tutti i suoi
freni inibitori e si sarebbe unita a quella follia devastante fatta di corpi,
gemiti e musica.
La musica.
Spinta da un ultimo
impulso di razionalità, Hermione sollevò lo sguardo dal pavimento della stanza
e puntò gli occhi sui musicisti. Un giovane uomo dai capelli scuri teneva fra
le mani un meraviglioso strumento a corda – una lira, probabilmente – e, al suo
fianco, un altro ragazzo dai folti capelli biondi suonava un flauto di Pan. In
un angolo sedevano i due cantanti, perfetti nella loro nudità, così presi dal
loro compito da non sembrare minimamente consapevoli di cosa stesse succedendo
ai loro piedi.
La Traccia.
Si trovava proprio
davanti a lei, nel muro opposto all’entrata, al centro. Una grande cornice
d’oro circondava uno specchio rettangolare, molto simile a quello già visto in
Germania, ma più rozzo, più antico. Corpi nudi decoravano i due estremi, atti
sensuali che si riproducevano dai muri alla realtà.
La superficie non
rifletteva nulla, si rese conto Hermione. Esattamente com’era successo in
Germania, lo Specchio non si stava comportando come tale, rimandando l’immagine
di un uomo che, lei lo sapeva, non c’era realmente nella Stanza.
Che fosse come con
Dante? Avrebbe dovuto avvicinarsi per parlargli, nonostante vi fosse il rischio
di perdere la ragione? La sua paura era abbastanza forte da impedirle di fare
il suo lavoro?
«Avvicinati, ragazza».
L’uomo nello specchio
le parlò, ma Hermione non vide la sua bocca muoversi. La voce provenne
direttamente da qualche parte dentro di lei, come se fosse stata la sua
coscienza. Improvvisamente riuscì a distinguerlo con incredibile nitidezza,
nonostante la distanza che la separava dallo Specchio.
I suoi capelli erano
ricci, lunghi, dello stesso colore dell’uva matura, adornati da tralci di vite
ed oro. I suoi occhi erano profondi, dello stesso colore delle ametiste più
pure. Le sue spalle erano larghe, il suo petto nudo muscoloso e perfetto.
Le ginocchia di
Hermione tremarono.
C’era un Dio davanti a lei.
«Vieni da me, ragazza». L’uomo allungò la mano, invitandola ancora
una volta ad avvicinarsi. La sua voce, ancora nella mente di lei, suonò chiara,
perentoria, ma incredibilmente sensuale. Una voce per cui lei avrebbe fatto
follie.
Hermione fece un
passo, poi un altro.
Infine, senza neppure
rendersene conto, si ritrovò al centro di quella bolgia infernale,
l’incantesimo di Tenebra completamente dissolto, ma lei non se ne curò.
I corpi si
attorcigliavano ai suoi piedi, qualcuno le sfiorò la caviglia, qualcun altro le
chiese di unirsi a loro. Ansimavano tutti, gemevano tutti. La follia dilagava
fra quegli esseri che erano diventati una sola carne, strisciava su di loro
come se fossero stati dei semplici fili per la trasmissione dell’energia.
Ma Hermione non aveva
occhi che per l’uomo nello Specchio.
«Vieni, bambina, vieni
da me».
Quella volta, la voce
arrivò dalla figura stessa, non da una parte remota della sua mente. Lei riuscì
a scorgere il movimento delle labbra, il sensuale brillio degli occhi
chiarissimi e dal colore impossibile. La bellezza dei suoi tratti le sembrò
ancora più ultraterrena, da quella distanza.
Dioniso o Bacco, non cambiava la sua natura. Padrone del
vino, dell’illusionee della follia.
Un passo, un altro
ancora.
Senza rendersene conto,
Hermione si ritrovò davanti allo Specchio, gli occhi spalancati nel desiderio
di poter assorbire la magnificenza di quell’immagine che le veniva donata.
L’uomo allungò la mano
verso di lei, attraversando il confine fra la realtà in cui lei stava vivendo e
quel mondo superiore da cui lui doveva provenire. Era una mano delicata,
perfetta, quasi puerile nella sua gentilezza. Non era la mano di un guerriero o
di un uomo forgiato da mille difficoltà. Era la mano di chi avrebbe preferito
l’amore alla guerra, un bicchiere di vino allo spargimento di sangue.
«Vieni, bambina,
lasciati andare».
Lasciati andare, piccola. Lo sai anche tu, sai bene di
volerlo.
Gelida, più di quanto
non fosse stato l’Incanto, la ragione tornò prepotente e prese possesso di ciò
che quella creatura aveva tentato di sottrarle. Arretrò di un passo, respirando
bruscamente e prendendo finalmente consapevolezza di cosa stesse effettivamente
succedendo.
I rumori della stanza
non erano neppure lontanamente invitanti come le era sembrato all’inizio, i
suoni che dipendevano dagli accoppiamenti furiosi erano disturbanti, i loro
versi disgustosi. Hermione si sentì male all’idea di aver camminato fra loro e
di esser stata toccata. Avrebbe dovuto farsi un bagno eterno, per pulirsi da
quel sudiciume.
L’uomo, però, restava
la creatura più bella su cui Hermione avesse mai poggiato lo sguardo. Ed anche
la più letale.
«Non ti piace perderti
nella follia, ragazza?» le chiese, divertito, osservandola mentre arretrava di
un passo, così da allontanarsi da lui, ma senza avvicinarsi troppo a lui. «Eppure
le persone venivano da me proprio per questo… per la pace».
«Questa non è pace»
disse Hermione, raddrizzando le spalle, dopo essersi schiarita la voce. Tornare
in se stessa le aveva mostrato quanto quell’ambiente avesse addormentato i suoi
sensi. Forse era stata la musica, forse l’incenso, ma qualcosa aveva alterato
le sue percezioni. Se la creatura non avesse fatto un passo falso, lei sarebbe
caduta vittima di un incantesimo sconosciuto. «Questa è solo un’illusione».
Una risata scosse la
creatura, prima che sparisse dal suo mondo nascosto nello specchio e
riapparisse al di fuori, reale come Hermione e tutti gli altri. «E cosa c’è di
male, nell’illusione della pace?» le domandò, girandole attorno.
Quando alzò nuovamente
la mano perfetta, il mondo di Hermione si oscurò per un attimo e lei si ritrovò
in un luogo dalla bellezza eccezionale.
Le mura di pietra
erano sparite, così come i corpi e la puzza soffocante di sudore, alcol ed
incenso. Era sola con quella creatura, improvvisamente vestita – come lui – di
drappi d’oro ed avorio, i capelli adorni di foglie di vite e gioielli al collo
e sulle braccia. Intorno a lei c’era tantissima luce, c’erano triclini coperti
di velluto, piatti colmi delle migliori prelibatezze.
Era un’illusione, nulla di più.
«Molto emozionante,
davvero, ma non riuscirai ad incantarmi ancora» gli rispose, con un po’ troppa
impertinenza, incrociando le braccia al petto. Forse si sentiva così tranquilla
perché poteva ancora percepire la pressione della bacchetta contro la coscia.
Forse era soltanto l’adrenalina ancora in circolo. In quel momento, avrebbe
affrontato qualunque ostacolo.
La creatura sorrise,
camminandole intorno come se fosse stato un leopardo pronto a lanciasi sulla
preda. In effetti, sulle spalle aveva drappeggiata proprio la pelle di
quell’animale, come un tragico memorandum della sua vera natura.
«Forse potrei rendere
questo mondo più appetibile, per te» propose quindi lui, sorridendo in modo
inquietante.
Un battito di ciglia e
davanti a lei si presentò Ronald Weasley in persona, nei suoi abiti migliori,
con un sorriso splendido e gli occhi colmi di speranza. A lei venne
improvvisamente da vomitare.
«Perché lui? Cosa
speri di ottenere? Ti assicuro che non provo alcun tipo di attrazione per
Ronald Weasley da anni» sbottò, seguendo tuttavia il giovane uomo con la coda
dell’occhio. La pressione alla bocca dello stomaco, quell’orrore
incommensurabile per ciò che le era stato fatto, le premevano sul cuore come
cemento. «Tutto ciò che voglio è farti a pezzi, ora più di prima».
La creatura con il
viso di Ronald rise, crudele. «Esattamente,
mia cara. Furia, passione… sono tutte facce della follia. Lasciati andare,
Hermione, sfoga le tue emozioni più profonde» disse, allungando una mano per
sfiorarle il viso, ma lei si spostò. «Pensa a ciò che ti ha fatto. Quanto tempo
è durata? Due, tre giorni? Oh, no, una settimana intera… una settimana-».
«Basta!».
Veloce, la bacchetta
di lei si ritrovò puntata alla gola della creatura dagli inconfondibili capelli
rossi. Aveva il respiro corto, il cuore che batteva all’impazzata. Sentiva il
sangue pompare in modo furioso nelle vene, un dolore lancinante alla testa. Si
era morsa il labbro, nel tentativo di resistere all’orrore, ed in quel momento
poteva sentire il sapore metallico sfiorarle la lingua.
«Così delicata,
Hermione» sussurrò lui, con dolcezza. «Non sei riuscita a reagire allora, cosa
credi che ti farebbe reagire, adesso?».
Nulla, avrebbe voluto rispondere lei. Se non era stata abbastanza forte quasi otto mesi prima, poteva sperare
di esserlo in quel momento, senza Harry?
«Stai lontano da me,
Mostro».
«L’hai detto anche a
lui, vero?» la creatura continuò a girarle intorno, gli occhi di Ronald
illuminati dalla stessa follia dei giorni dell’incidente. «Gli hai chiesto di
fermarsi, di smetterla… se lui non l’ha fatto, perché dovrei farlo io?».
Il primo colpo le sembrò quasi di averlo meritato.
L’ultimo la fece piangere di terrore.
Ronald Weasley era
stato tutta la sua vita, eppure non era stato sufficiente, per lui. Lei non era mai stata nulla, se non una
risorsa, una scusa. Un capro espiatorio.
Niente più di un cervello ingombrante, inadatto alla sua visione del futuro, in
cui lui sarebbe stato l’eroe. Niente
più che un bel faccino da presentare alla famiglia, all’occorrenza.
Era davvero soltanto
quello?
Il mio cervello riesce ad affascinare le persone, visto?
Non ho mai detto il contrario, mia cara.
Lei non era soltanto
un bel faccino, non era qualcosa di ingombrante.
Tutti i Corvonero ti odiavano, Granger. Tu eri la migliore
in tutto.
Non aveva bisogno che
lui fosse il suo eroe, che lui controllasse la sua vita. Il suo ego ferito non
l’avrebbe più toccata. Hermione non era da sola.
Questo non è il modo in cui avrei voluto baciarti per la
prima volta.
«Perché io non ho paura di te».
Fece un passo avanti,
fronteggiando nuovamente la creatura. Gli occhi azzurri di Ronald sembrarono
brillare di qualcosa di innaturale, rivelando, a causa della sorpresa, uno
stralcio della natura dell’essere che aveva rubato la loro forma.
«Sciocchezze» anche la voce cambiò, prendendo un tono stranamente
sibilante. La creatura non sembrò curarsene, nonostante i capelli rossi
avessero iniziato a ritirarsi verso il cranio e la pelle del viso, prima rosea,
avesse assunto un colorito bluastro. «Tutti
credono in me, tutti vedono in me la più grande delle loro follie». Il viso
dai lineamenti spigolosi si sciolse, lasciando un capo serpentino fatto di
carne in putrefazione e sangue nero. I vestiti sparirono, così come braccia e
gambe, lasciando un corpo ben lontano dalle fattezze umane assunte fino a quel
momento.
«Io non credo in te» lo sfidò Hermione momento.
ontano dalle fattezze umane un corpo da ino fatto di carne in
putrefazione e sangue nero. l viso, . «Ho creduto tu esistessi, non posso negarlo»
confessò quindi, con un sorriso quasi dolce, cominciando a camminare intorno
alla bestia, non più spaventata. «Così perfetto, così simile ai miti antichi,
capace di instillare la follia nelle persone e far vivere tutti in un’illusione,
proprio come Dioniso».
«Io sono un Dio!» sibilò ancora la bestia, arretrando come se avesse
voluto prendere la rincorsa ed attaccarla. «Io
sono Dioniso! Io sono Bacco!».
«No, non lo sei» gli
rispose lei, con una risata. «Ma hai giocato per così tanto tempo questo ruolo
da non riuscire più a distinguere la realtà dalle tue illusioni. Te l’ho detto,
eri riuscito a prenderti gioco anche di me, all’inizio, ma…» Hermione piegò la
testa di lato, osservandolo. «Non hai considerato una cosa importante».
«Io sono un Dio! Io considero qualunque cosa sia degna di esser
considerata!»
«Questo è il
problema». Lei allargò le braccia, come se avesse voluto dimostrare qualcosa di
ovvio. «È sempre così, non è vero? Ronald sottovalutava la mia intelligenza,
convinto di essere migliore di me. Tu hai sottovalutato la mia forza, vedendo
in me solo una sciocca ragazza. Ma io sono Hermione Granger e non ho paura di voi».
Con un sibilo furioso,
la creatura si accasciò su se stessa, in agonia. Assunse tante forme, quasi
fosse stata un Molliccio confuso. Da serpente divenne licantropo, da licantropo
divenne un Inferius, poi ancora un ragno ed un cadavere dalla familiare
cicatrice a forma di saetta. Infine divenne un mostro, enorme ed orribile,
grande come un troll di montagna ma incredibilmente
più spaventoso.
«Cosa mi stai facendo, stupida umana? Cosa sono io?».
«È curioso che tu me
lo stia chiedendo, in effetti». Hermione sorrise, alzando la bacchetta. «Se non
avessi usato Ronald, io non avrei mai compreso quanto tu fossi legato alla mia
psiche. Se non avessi tentato di attaccare me,
non avresti mai prodotto magie così forti».
La bacchetta iniziò a
risplendere di una luce violacea, simile a quella che aveva illuminato gli
occhi del dio Dioniso.
«No, no!».
«Tu sei un Tulpa, sei
stato posto a guardia della Traccia ed hai sfruttato la fede cieca dei seguaci
di Dioniso, nutrendo la loro follia ed aumentando il tuo potere sulla loro
forza psichica. Ma poi sono arrivata io ed io sono geniale». Sorrise, pronunciando quella parola. Finalmente l’aveva
capito, finalmente l’aveva accettato. Lei era incredibile. «La mia energia psichica è stata troppo, per te. Hai
esagerato con il potere ed io hocapito chi sei».
La creatura la fissò
con degli occhi vuoti, gli stessi occhi del troll
che, quando aveva undici anni, tentò di ucciderla.
Il primo ostacolo. La
prima volta che la sua genialità venne messa al servizio degli altri.
«No! Lasciami andare, strega! Non puoi…».
«Ti sbagli» la voce di
Hermione divenne fredda, calcolatrice. La voce di una guerriera. «Io posso. Perché tu sei un Tulpa, esisti
perché io ti sto permettendo di
esistere. Ma adesso io penso che per
ucciderti basterà uno schiantesimo».
«No! Fermati! Tu non sai con chi hai a che fare!».
«Stupeficium!».
Una nuvola di fumo fu
tutto ciò che restò della creatura che per secoli si era nutrita dei
discendenti delle menadi romane. Come quell’essere, anche l’illusione sparì ed
Hermione si ritrovò da sola a fronteggiare uno specchio vuoto, incapace di
riflettere la realtà ma non più popolato da mostri. Intorno a lei era sceso il
silenzio, tutti coloro che avevano partecipato a quello strano rituale erano al
suolo, privi di sensi per aver nutrito con la propria energia un essere
millenario.
Avranno un gran mal di testa, domani.
«Reducio»
pronunciò allora lei, consapevole di non poter essere scoperta, puntando la
bacchetta contro la Traccia e portandola alle dimensioni uno specchietto da
borsa. Lo staccò dalla parete e lo tenne stretto al petto, incamminandosi
immediatamente fuori dalla stanza per raggiungere Malfoy e lasciare quel posto
maledetto prima che fosse troppo tardi.
La sensazione di pura
esaltazione che aveva provato nell’eliminare il Tulpa non la abbandonò neppure
per un istante, così come il suo ritrovato orgoglio.
Perché lei era Hermione Granger, era un’eroina di guerra e
nessuno l’avrebbe mai più fatta sentire inferiore
senza il suo permesso.
Si fermò non appena
mise un piede fuori dalla stanza, osservando quell’ammasso di corpi nudi e
sporchi.
«Qualsiasi cosa tu
abbia fatto, Granger» disse Malfoy, apparso improvvisamente al suo fianco,
vestito di tutto punto ma con le guance ancora di un bel rosa intenso. «Non
credo che loro ti ringrazierebbero». Si voltò ad osservarla, accennando alla
piccola Traccia che teneva ancora stretta. «Mi sono disintossicato e sono corso
qui, credevo potessi aver bisogno di aiuto, ma mi sbagliavo. Non che ci fossero
dubbi, con quel cervello metteresti nel sacco anche Bacco stesso!».
Lei sorrise,
gongolando leggermente all’idea che lui avesse trovato un modo per raggiungerla
ed aiutarla, nonostante le sue precarie condizioni. «In effetti ho incontrato
Bacco. O, quantomeno, la creatura che si spacciava per lui».
Lo sguardo confuso di
Malfoy la divertì, ma mai quanto
l’occhiata di disprezzo che poi dedicò alle persone presenti nella stanza. «Mi
spiegherai tutto dopo, ormai è quasi l’alba e credo proprio di conoscere un
luogo perfetto per fare colazione. C’è una visuale del Vaticano che è
assolutamente favolosa» le disse, stringendosi nelle spalle. «Dopotutto,
dobbiamo scoprire cosa nasconde quell’oggettino che hai recuperato con tanta
fatica».
Hermione sorrise,
alzando gli occhi al cielo. «Ma come, Malfoy, ti disturba la vista di corpi
nudi? Ti facevo più disinibito!».
Lui le dedicò
un’occhiata esasperata, posandole una mano dietro la schiena e spingendola
verso l’uscita. «Non mi da fastidio la vista di corpi nudi, anche se alcuni di
loro dovrebbero davvero fare più attività fisica» borbottò. «Ma non vorrei
esser qui quando si sveglieranno e non troveranno più questo bel pezzo di
arredamento».
Lei si voltò a
guardarli per l’ultima volta. «Non so per quale motivo, ma credo che
continueranno comunque ad esercitare questo strano culto. Immagino si divertano
comunque… chi potrebbe mai criticarli?» disse, mentre lo seguiva fuori dalla
stanza.
Malfoy ridacchiò,
alzando gli occhi al cielo. «Queste ninfe ed altre genti sono
allegre tuttavia. Chi vuol esser lieto, sia: di doman
non c'è» recitò,
in italiano. «Non hanno nulla da perdere e tutto da guadagnare. Vuoi dar loro
torto?».
Nulla da perdere e tutto da guadagnare.
Hermione sorrise, sentendosi
finalmente se stessa.
«No, non posso dar loro torto».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto,ho una paginafacebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Bentornata a casa, Hermione Granger!
Punti importanti:
» Questo è un capitolo concentrato quasi
completamente su Hermione e sulla sua riconquista personale. Ho pensato fosse
giunto il momento di mettere da parte, almeno parzialmente, i suoi traumi. Basta
essere salvata, il suo cervello ha fatto tutto il lavoro!
» La
signora Weasley è davvero fuori di cocuzza.
Non fatevi ingannare, quella donna è diventata psicotica dopo la guerra. Io la
adoro, nei libri, senza orma di dubbio! Ma qui, in questo universo, la perdita
di Fred l’ha stordita un bel po’. E diciamo che la questione Ron/Hermione non
ha aiutato. Lei, diversamente dal figlio, è malata,
non stronza.
» Hermione, Hermione... cosa ti avrà fatto
mai, questo Ronald? Dovremmo ringraziarlo, in realtà, perché senza i suoi guai
non sarebbe riuscita a sconfiggere il Tulpa! Ho dato qualche altro indizio su
ciò che c’è stato fra loro, ma mi rendo conto di non aver spiegato ancora
abbastanza!
» Il Tulpa è ripreso direttamente da Supernatural, uno dei miei telefilm preferiti. Sfortunatamente
non ricordo con esattezza la puntata, ma se qualcuno la conoscesse potrebbe
tranquillamente dirmelo!
» Ho fatto due volte riferimento a “Il
trionfo di Bacco e Arianna”, perché ho ritenuto fosse incredibilmente
pertinente, voi no?
Piccola informazione: il capitolo di lunedì
25 slitterà di una settimana, per vari impegni personali che mi impediranno di
scrivere in questi giorni! Probabilmente darò maggiori dettagli su facebook!
Grazie infinite a tutti
coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia
ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di
pubblicare ancora. Grazie, davvero.
Capitolo 15 *** Atto X - Parte I/ Seconde Possibilità. ***
Rosemary Crave somigliava incredibilmente a suo padre
LoSpecchio delle Anime.
Hotter than friction, subtle as sound There’ll be no forgiveness when you come around Oh these days, oh these days get heavy I get older and life fades But you remain Open up again, I believe in second chances
[SecondChances
– Immagine Dragons]
Atto X – Parte I
Seconde
possibilità.
Rosemary
Crave somigliava incredibilmente a suo padre. Se anche non avesse saputo del
loro legame, Draco non avrebbe impiegato molto tempo a notare la stessa
scintilla nello sguardo o, per esser precisi, lo stesso macabro sorriso nel
vederlo spuntare oltre la porta.
Gli
sembrava sempre di esser un agnellino condotto all’altare sacrificale.
«Sei
andato a trovare tuo padre?» gli chiese, non appena entrò, senza neppure dargli
il tempo di salutarla, come avrebbe fatto ogni persona con un minimo di
educazione. «Dovresti andare, a breve potrebbe arrivare tua madre ed avresti
modo di parlargli un po’» aggiunse, il tono speranzoso di chi non doveva avere
molte cose cui pensare, durante il giorno.
Draco
si sentì un po’ un bastardo, quando si rese conto di aver accusato una povera
ragazza malata di essere un’impicciona. Davvero
non doveva avere nulla di meglio da fare e non era di certo una sua scelta. Se
non fosse stato per quelli come lui, per i
Mangiamorte, Rosemary sarebbe stata libera di vivere la sua vita al meglio,
come tutte le ventenni del mondo.
«Non
credo proprio che andrò a trovarlo» ammise, togliendosi il cappotto ed
accomodandosi nell’unica poltrona della camera. «Sono certo che mia madre ha
molto cari quei pochi minuti che le sono concessi con lui. Non vorrei mai
sottrarglieli».
«Io
credo che lei sarebbe molto felice di perdere quei minuti, per darti a te» gli
rispose immediatamente la ragazza, portandosi una ciocca di capelli scuri
dietro l’orecchio. Gli occhi azzurri erano ridotti a delle fessure cariche di
sarcasmo. «Ma immagino che tu abbia troppa paura per accettare quel piccolo
regalo, non è vero? Dev’essere difficile andare oltre
tutti quei pregiudizi che ti sei costruito contro di lui…» il suo sorriso si
allargò, crudele. «Continuare ad incolparlo per un futuro che ti sarebbe
toccato comunque è più semplice, immagino. Meno sensi di colpa?».
Lui
si ritrovò a ghignare, alzando gli occhi al cielo. «Sai, ci sono momenti in cui
mi sembra di dimenticare chi sia tuo padre. Tu sei incredibilmente brava a
ricordarmelo» le disse, allegro. Allungò le gambe davanti a sé, rilassando i
muscoli delle cosce. Dopo esser stato avvelenato, pochi giorni prima, ed aver
fatto ricorso alla pozione rilassante che aveva trovato nella scatola
regalatagli da Blaise, gli era risultato alquanto complicato camminare per
lunghi tratti senza sentire affaticamento ai muscoli.
Capace di calmare un cavallo, gli aveva detto il
suo amico.
Sarebbe
stato carino, da parte sua, avvisarlo degli effetti collaterali.
Rosemary
rise, stringendosi nelle spalle. «Diversamente da te, io sono molto fiera del
mio papà». I suoi occhi si assottigliarono nuovamente, lasciando che le ciglia
scure inquinassero quell’azzurro perfetto. «Non hai risposto alla mia domanda,
però. Hai paura di parlare con tuo padre? Sei troppo vigliacco per accettare le
conseguenze che quelle rivelazioni avrebbero per te?».
Anche
Draco rise, esasperato. «Mi dispiace deluderti, Crave, ma io ero un Serpeverde,
non un idiota Grifondoro. Non siamo
noi quelli fissati con l’onore e con il desiderio di apparire più coraggiosi di
quello che in realtà non siamo». Le fece l’occhiolino, passandosi una mano fra
i capelli. «Non mi spingerai ad andare da mio padre tentando di farmi passare
per vigliacco, non funziona così per me».
La
ragazza annuì, come se avesse già sostenuto quella discussione più di una
volta. «Ah, siete tutti uguali, fissati con questa storia dei Grifondoro
accecati dal desiderio di gloria ed avventura». Sbuffò, poggiandosi nuovamente
ai guanciali che il suo elfo le aveva sistemato alle spalle. «Soltanto perché
ero una Grifondoro non significa certo che io non possa capire come vi
sentite».
«Siamo
troppo diversi, non esistono punti d’incontro». La risposta fu molto più aspra
di quanto lui avesse voluto, come se qualcosa, in lui, avesse iniziato a
sputare veleno. «Grifondoro e Serpeverde, come il giorno e la notte».
«Anche
il giorno e la notte si incontrano, per ben due volte in una giornata» gli fece
notare la ragazza, con un gran sorriso, alzando due dita per rendere più chiaro
il concetto. «Alba e tramonto sono i momenti che più preferisco, i più
romantici». La sua voce divenne improvvisamente più interessata, più calda. «Ma
tu sembri molto convinto di quello che dici. Hai avuto recente motivo di
discordia con un Grifondoro, forse?». Si fermò per un momento, come se avesse
voluto dare il giusto peso alle sue parole successive. «Oppure con una Grifondoro?».
Era caduto in una trappola.
«Non
giocare con me, Rosemary Crave» la ammonì, lanciandole un’occhiata storta.
Restò in silenzio per qualche istante, valutando le reazioni di lei – quel
sorrisino non sembrava voler svanire – e, soprattutto, ciò che aveva iniziato
ad agitarglisi nello stomaco. Lui voleva parlare. «Come hai fatto a
capirlo? Non ho ancora parlato con tuo padre».
Lei
si strinse nelle spalle, noncurante. «Solo perché ho trascorso gli ultimi sei
anni chiusa in un ospedale, non significa che io non abbia il sesto senso
femminile di tutte le altre» gli disse, tranquilla. «So bene che stai lavorando
ad un caso con Hermione Granger e mi ricordo fin troppo bene che durante il mio
primo anno lei ti ha schiaffeggiato».
Draco
si accigliò, trattenendo a stento un sorriso. «Oltre ad essere curioso sul perché tu conosca quell’infausto
episodio, mi sembra abbastanza strano che tu lo consideri una giustificazione
per questo mio… problema». Si piegò
in avanti, come se fosse sul punto di rivelarle un segreto. «Dimmi la verità…
tu e tuo padre mi avete fatto spiare? Oltre ad avvelenarmi, adesso tenta anche
di pedinarmi?».
La
risata che scosse la ragazza la fece tossire e, con orrore, Draco scorse del
sangue sulle sue labbra, nonostante la velocità con cui lei lo pulì via.
Avrebbe dovuto star attento, il dottore l’avrebbe ucciso se si fosse sentita
male in sua presenza o, peggio ancora, per colpa sua.
«Papà
mi ha raccontato qualcosa dei suoi esperimenti su di te» ammise, ancora scossa
da qualche tremito. «Ritiene che tu abbia delle reazioni molto singolari,
perfette per esser registrate. Dopotutto, è uno scienziato, sperimentare e
registrare sono parte del suo normale modo di fare». I suoi occhi indugiarono
sul tavolo alla sua sinistra, ricolmo di libri e fogli ricoperti da appunti.
«Quando ero bambina e veniva a trovarmi a casa dei nonni, mi metteva davanti a
dei libri sugli animali e mi diceva di studiarli, così da grande sarei
diventata una ricercatrice come lui». Abbassò lo sguardo, un sorriso triste ad
incurvarle le belle labbra pallide. «Credeva fossi troppo spericolata per
studiare Medimagia ma troppo amante della biologia
per abbandonare del tutto, così ha optato per la Magizoologia».
Draco
accennò una risata. «Tutto quel parlare di libertà e volontà, poi ha tentato di
costringere sua figlia a seguire una strada stabilita da lui» alzò gli occhi
chiari su di lei, trovandola con un’espressione divertita stampata in viso. «Un
comportamento tutt’altro che coerente, non credi
anche tu?».
Lei
scosse il capo. «Lui ha soltanto capito qual era la mia strada» spiegò,
indicando l’enorme quantità di foto di animali alle sue spalle. «Io volevo diventare esperta di creature,
lui non ha fatto altro che assecondarmi. Mi ha anche portata a conoscere NewtScamandro, sai? Avevo
tredici anni». Si allungò di lato, prendendo in mano una copia di Animali Fantastici. «Papà gli ha chiesto
di darmi delle lezioni private, ma lui ha detto che sarebbe stato più
intelligente aspettare la fine di Hogwarts, per avere più tempo…» la sua voce
si incrinò per un istante soltanto. «Evidentemente non era destino che
succedesse. Non a me».
Se
fosse stato un altro, Draco sarebbe rimasto in religioso silenzio ed avrebbe
fatto di tutto per non guardarla in viso, non dopo un’affermazione simile.
«Puoi
ancora studiare, anche se non…» fece un gesto vago, incapace di trovare le
parole adatte a rappresentare la vastità delle opportunità che le erano
precluse. «Puoi comunque conoscere le creature, non credi? Puoi aggirare il
destino».
Rosemary
gli puntò contro gli occhi chiarissimi. «Predichi bene e razzoli male, Malfoy? Tu non puoi combattere questo
fantomatico destino? Non ho dimenticato la mia domanda, devi ancora parlarmi
dei tuoi problemi di cuore».
«Non
sono problemi di cuore» la sua stizza fu evidente nel tono della voce. «Io non
provo nulla che riguarda il cuore, non verso di lei».
«Non
la ritieni alla tua altezza, forse? Eppure credevo avessi superato la tua fase
da stronzo razzista» sdegnata, lei gli lanciò contro
uno dei mille piccoli cuscini che le erano stati sistemati dietro le spalle per
aiutarla a mantenere una posizione il più rigida possibile. «Andiamo, non puoi
davvero credere-».
«Non
è così, sciocca ragazzina che non sei altra» la interruppe, forse un po’ troppo
bruscamente, alzandosi in piedi con uno scatto nervoso. Si passò la mano fra i
capelli, fortunatamente non più pieni di quella disgustosa gelatina
appiccicosa. «Io non credo che lei sia inferiore a me, forse l’opposto». Le
lanciò un’occhiataccia. «Tu questo lo sai, non è vero? Tuo padre te l’avrà già
detto. Sì, soffro di uno stupido complesso di inferiorità. Non ho bisogno della predica!».
Lo
sguardo che Rosemary gli dedicò avrebbe fatto applaudire d’orgoglio la
professoressa McGranitt. «Non hai bisogno di una predica, avresti bisogno di una sculacciata!» sbottò, sinceramente
infastidita. «Che razza di modi sono, questi? Sono certa che tua madre ti avrà
insegnato a parlare con una ragazza, soprattutto una sulla sedia a rotelle!».
Draco
non si fece intimidire, quell’atteggiamento era troppo simile a quello del
dottore per spaventarlo. Fu un po’ come aver lui davanti, sprovvisto di barba,
pizzetto e baffi. E con un visino molto più delicato e gradevole.
«In
questo momento non sei sulla sedia a rotelle, Rosemary, quindi non puoi farmi
sentire in colpa!».
«Se
proprio lo vuoi posso chiedere a Downey di farmici sedere!».
Si
guardarono in cagnesco per qualche istante, prima che un sorriso identico
spuntasse sulle labbra di entrambi.
«Non
volevo farti la predica, solo… non capisco per quale motivo non credi di
poterti permettere sentimenti verso di lei. Sei un bell’uomo,
sei molto più gentile di quanto tu non sia mai stato a scuola…» piegò la testa
di lato, confusa. «Non dico che tu sia il partito ideale, ma soltanto una donna
cieca non ci farebbe un pensierino».
Draco
accennò un sorriso, tornando a sedersi e rilassandosi contro lo schienale.
«Sono molto più che un bell’uomo e molte delle
purosangue d’alta classe mi considerano il partito ideale, nonostante i
trascorsi della mia famiglia» rettificò, ignorando l’espressione esasperata
della ragazza. «Ma non lei. Lei non
riuscirebbe mai ad andare oltre il mio passato. Dopotutto, sono il nipote della
donna che l’ha torturata».
«Anche
il figlioccio di Harry Potter lo è, vero?» gli fece notare Rosemary. «Ted
Lupin, credo si chiami così. Mio padre ha aiutato sua nonna poco dopo la
Guerra. La signora Tonks è la sorella di tua madre e
di BellatrixLestrange,
no?».
Lui
annuì, senza riuscire ad impedire a se stesso di sorridere leggermente. «Sì, Andromeda è mia zia, abbiamo riallacciato i rapporti dopo…»
si fermò un momento, grattandosi la punta del naso. «Diciamo dopo la Battaglia
di Hogwarts. Non è stata una riappacificazione veloce, ma immagino che la
relativa dipartita di mio padre abbia aiutato moltissimo. Dubito che, con lui
presente, quel bambino tanto strano sarebbe entrato in casa nostra».
«Bambino tanto strano…» il tono della
ragazza si ammorbidì incredibilmente, ripetendo quelle parole. «Sai, per
qualche momento ho temuto che, nel profondo del tuo cuore, tu non fossi
cambiato davvero. Temevo che fossi rimasto lo stesso idiota fissato con il
sangue».
Draco
si accigliò. «Ed ora hai cambiato idea? Cos’ho fatto?».
«Avresti
davvero definito un mezzosangue e mezzo-licantropo come un bambino tanto strano? Pensaci bene, prima di rispondermi. Avresti davvero usato quell’appellativo?».
No,
Draco non dovette riflettere per realizzare che non sarebbero state quelle le
sue parole.
Mostro.
Scherzo della natura.
Bestia immonda.
«Comunque
è un ragazzino molto fastidioso. Non fa che attaccarsi alle mie gambe e
chiedermi di mostrargli cose» si limitò a dire, incrociando le braccia al
petto. «Davvero irritante».
«Probabilmente
significa che sei la persona più interessante che abbia vicino» Rosemary
sorrise, facendogli l’occhiolino. «Più interessante di Harry Potter».
Contrariamente
a quanto chiunque si sarebbe aspettato, Draco non si mostrò felice di
quell’osservazione, tutt’altro. «Mai abbastanza
interessante per Hermione Granger, a quanto pare». Alzò gli occhi sulla
ragazza, inspirando e trattenendo il respiro per qualche istante. Poi, come se
si fosse deciso, si sgonfiò. «L’ho baciata, l’ultima volta».
Gli
occhi chiari di Rosemary si assottigliarono pericolosamente. «Ma sei ancora
vivo, quindi lei non ha reagito male, no?».
Draco
scosse il capo, con un sospiro. «Non ha reagito affatto. Non dico di aver sperato in una reazione immediata, anche
perché ero sotto l’effetto di un afrodisiaco e non sarei stato in me… ma lei
non ha fatto assolutamente nulla,
capisci? Nulla. Mi ha dato le spalle
ed è uscita. Quando mi sono ripreso… non ha accennato a quello che era
successo, si è limitata a fare il suo lavoro ed andare via. Nulla di più».
Strinse le labbra, per poi alzarsi in piedi. «È stata molto chiara. Lavoro e basta,
come è giusto che sia. Devo essermi fatto trascinare da qualche strano impulso
romantico che non credevo di avere».
«Oppure,
brutto presuntuoso che non sei altro»
la voce del Dottor Crave arrivò direttamente dalle sue spalle, un attimo prima
che l’uomo chiudesse la porta della camera e lo fulminasse con i suoi occhi
scuri. «potrebbe aver ritenuto quel bacio come il logico effetto di un
afrodisiaco, piuttosto che manifestazione della tua volontà. Ho idea che tu non
abbia spiegato quanto sia stato intenzionale quel gesto».
Draco
squadrò il suo psicologo con attenzione, mente lui si avvicinava alla figlia
per accarezzarle il viso e sfiorarle la tempia con un bacio. C’era una
delicatezza, in quei gesti, che per un attimo gli strinse le stomaco in una
morsa. Ogni singolo movimento di quell’uomo trasmetteva una devozione ed un
terrore immensi. Sembrava quasi che temesse di veder sparire in una nuvola di
fumo il suo tesoro più grande.
In un certo senso, il suo timore era
reale.
«Avrebbe
potuto parlarmene. Chiedermi cosa ne pensassi al riguardo». Il tono di Draco
era acido, ma improvvisamente più dubbioso. Che il dottore avesse trovato il
modo di farlo davvero riflettere?
«Non
sopravvalutare la paura del rifiuto. Dalle una seconda possibilità, Malfoy, e
magari riuscirai ad ottenere la reazione che tanto desideri».
«Stavo appunto per dirglielo» Rosemary sorrise
al padre, voltandosi subito verso Draco. «Anch’io avrei fatto finta di nulla,
se fossi stata certa di non esser ricambiata. Eri stato avvelenato, probabilmente saresti saltato addosso alla prima
banshee in circolazione! Prova a fare un altro passo avanti, datti un’altra
possibilità, e magari…».
«Rose» il tono del dottore era secco,
duro, i suoi occhi improvvisamente severi. «Non nominare quelle creature, lo
sai che non mi piace» la riprese, togliendosi la giacca e fronteggiando Malfoy.
«Quanto a te… ti consiglio di raggiungere tua madre nell’altra stanza o di
trovarti qualcosa da fare, preferirei restare da solo con mia figlia. Ti vedrò
domani pomeriggio, nel nostro appuntamento settimanale».
In poche parole, levati dalle palle.
«Sei
sgarbato, papà» la ragazza fulminò suo padre, alzando gli occhi al cielo.
«Scusalo, ma non gli piace sentirmi nominare quelle creature. La nonna era irlandese, lui è un po’ traumatizzato al
riguardo. Spero comunque che tornerai a trovarmi!» aggiunse, notando come Draco
si fosse sbrigato ad avvicinarsi alla porta per uscire.
«Magari
dopo la prossima missione» concordò Malfoy, con un leggero sorriso verso la
ragazza. «Domani ne parlerò ancora con lei, dottore, e ascolterò con attenzione
le sue ipotesi al riguardo. Dopotutto è per questo motivo che la pago
profumatamente».
«Dove
sarà la prossima missione?» domandò Crave, sedendosi nella poltrona occupata
fino a quel momento da Draco. Fra le mani aveva un libro dall’aria consumata e
molto, molto pesante.
«Istanbul».
***
«Istanbul?».
Gli
occhi di Ginny erano arrossati dalla stanchezza, ma lei sembrava sopportare
quel peso con impeccabile stoicità. Aveva trascorso
la notte in ospedale, con Harry, ma era stata ben lieta di lasciare il posto a Dean, giunto quella mattina subito dopo aver finito il suo
turno. Lui e gli altri Auror della squadra erano stati di grandissimo aiuto per
la ragazza, consentendole di riposare nelle pause fra il lavoro e le visite al
fidanzato.
Anche
in quel momento un paio di loro si aggiravano come fantasmi stanchi per le
stanze di GrimmauldPlace,
alcuni in pigiama ed altri con la divisa, pronti a raggiungere le rispettive
destinazioni.
Era
stato il sostituto di Harry, Seamus, a decidere che
dovesse sempre esserci qualcuno con
Ginny, ovunque si trovasse. Dal suo punto di vista, ciò che era successo al
vecchio amico era un attacco non troppo velato alla sua vita e doveva essere
trattato come tale. Nonostante l’opposizione inspiegabile del Ministero, era
riuscito ad organizzare dei turni di controllo clandestini così da tenere sott’occhio
sia Harry che Ginny. Aveva tentato di imporre la scorta anche ad Hermione, ma
lei era stata molto più decisa nel rifiutare. Dopotutto, era un’Inquisitrice ed
aveva una posizione ben superiore a quella dell’irlandese nella gerarchia del
Ministero.
«Bel
posticino, ci sono stato un paio di anni fa» fu proprio Seamus
a parlare, passandosi una mano fra i capelli color sabbia prima di soffocare
malamente uno sbadiglio. Aveva avuto il turno di notte ma si era comunque
presentato a Casa Potter per conoscere le ultime notizie su Harry.
Probabilmente sarebbe rimasto con Ginny per il resto della mattinata. «Un sacco
di edifici decorati, non sono proprio il mio genere».
«Il
tuo genere è una birreria, Seamus» gli rispose
Hermione, con una risatina, ignorando i commenti indignati dell’altro su quanto
gli inglesi fossero prevenuti nei confronti degli irlandesi. «Comunque sì,
Istanbul. L’indizio della Traccia è stato abbastanza chiaro».
Aveva
raccontato della missione al nuovo Capo poco dopo esser tornata dall’Italia,
convinta che un aiuto da parte sua sarebbe stato particolarmente utile. Si
fidava di lui come di pochissime persone. Negli ultimi mesi era stato una
presenza rassicurante per lei ed Harry, aiutando quest’ultimo a risolvere la questione Ronald con la massima
discrezione. Oltretutto, essendo momentaneamente a capo di tutto l’Ufficio
Auror, avrebbe potuto aver bisogno del suo intervento in veste ufficiale.
«Cos’avete
visto?» le chiese Ginny, mescolando distrattamente la sua tazza di tè, mentre
sondava il contenuto della scatola di biscotti che AndromedaTonks aveva mandato quella mattina. C’era anche un
disegno da parte di Teddy che Hermione aveva visto
appuntato al muro. Quelle linee pasticciate – non aveva preso nulla dell’ordine
maniacale del padre – le avevano scaldato il cuore, ricordandole il motivo per
cui tutte le loro sofferenze avevano un senso.
Quei bambini dovevano avere un mondo
migliore.
«All’inizio
è stato tutto molto confuso» mormorò lei, poggiando le spalle alla sedia. «La
solita nuvola di fumo oscuro. Poi si è…
plasmata, è diventata un’aquila. E l’aquila si è divisa in due uccellini e
l’uccellino di destra è caduto».
«Uccellini». Il tono di Seamus era incredulo, mentre seppelliva il viso dietro una
tazza di caffè. «E dagli uccellini sei arrivata ad Istanbul, Hermione? Sei più
eccezionale di quanto credessi».
Ginny
lo zittì assestandogli un pugno sulla spalla. «Sta’ zitto, idiota. Solo perché
tu sei un imbecille, non significa che siano tutti come te».
«Oh,
certo, perché tu hai capito, non è vero?».
«Questo
è irrilevante».
Hermione
li osservò in silenzio per qualche istante, sentendo una morsa al cuore. Era
cose trovarsi davanti Ginny e Ron adolescenti, presi dai loro battibecchi tra
fratelli. Ma Seamus non era Ronald e Ginny non era
più una bambina.
Era cambiato tutto.
«L’uccellino
superstite era debole, ma resisteva, cresceva. E allora anche l’altro uccellino
tornò in vita, ma era un’aquila a due teste e provò a mangiare il suo
avversario» riprese a raccontare, gli occhi puntati nel vuoto, totalmente presa
dai ricordi. «Però l’uccellino sfuggì al suo predatore e continuò a volare,
lontano da noi, finché entrambi caddero e si dissolsero come nebbia».
«A
costo di essere ripetitivo… come hai collegato gli uccellini ad Istanbul?» Seamus era sempre più sconvolto, la tazza di caffè ancora
intatta. «Davvero, Hermione, hai praticamente collegato i Troll
alle banane!».
«Questa
volta sono d’accordo con lui» anche Ginny appariva confusa, le braccia
incrociate al petto. «Credevo ci fossero più indizi, come hai fatto a
ricollegare degli uccellini ad Istanbul?».
«È
la storia dell’Impero Romano, non è evidente?».
Una
voce dal forte accento scozzese fece voltare i tre occupanti della cucina verso
l’ingresso. Lì, con ancora indosso una vestaglia di flanella, stava una giovane
donna dai lunghi capelli neri e con profondi occhi scuri. Hermione dovette
riflettere qualche istante prima di riconoscere MerrickRosier, una degli Auror di Harry.
Il
terrore che avesse sentito o capito più di quanto fosse lecito la fece
sbiancare.
«Non
preoccuparti, Hermione, lei sa tutto». Imbarazzato, Seamus
si passò la mano fra i capelli, guardando storto la vecchia compagna di scuola.
«Merry è la legilimante del
gruppo, non esiste segreto che si possa tenere con lei».
Lo
sguardo confuso della strega fece ridere la nuova arrivata.
«Non
uso la legilimanzia su tutti, Miss Granger, non si
preoccupi» la rassicurò, girando intorno al tavolo per prendere posto accanto a
Seamus. «Devo addestrarlo, è una delle condizioni per
la sua promozione. Il Capo Potter era un asso, mentre lui…» lasciò in sospeso
la frase, lanciando un’occhiata significativa al sostituto di Harry, che
arrossì.
«Sii
sincera, Merry» tutto rosso in viso, Seamus le lanciò un’occhiata storta. «Ti piace usare la legilimanzia su di me, così puoi dare un’occhiata a tutti i
pensieri sconci che faccio su di te».
«Per
quello basterebbe guardarti in faccia mentre mi fissi, Finnegan»
ribatté lei, con uno sbuffo divertito. «Comunque stava parlando dell’Impero
Romano, vero, Miss Granger? L’aquila era l’emblema, immagino che gli uccellini
rappresentino la separazione in Oriente ed Occidente».
I
suoi occhi scuri erano curiosi, ma impenetrabili. Per una qualche ragione,
Hermione sentì di potersi fidare, come se esistesse qualcosa che le
accomunasse, qualcosa che riuscisse a renderle incredibilmente simili. Poteva
fidarsi di una sua simile.
L’Inquisitrice
annuì. «Quella è la mia teoria. L’uccellino superstite immagino sia stato
l’Impero d’Oriente, quello rinato dev’essere
l’Occidente carolingio. Dopo la separazione c’è stato
un solo momento in cui sono quasi riusciti a toccarsi, prima di separarsi
nuovamente, ed è stato quando il Papa tentò di organizzare il matrimonio fra
Carlo Magno e l’Imperatrice Irene d’Atene, sovrana dell’Impero d’Oriente».
«Le
trattative non sono mai state concluse». Merrick
piegò il capo di lato, accigliata. «Irene era una strega, non accettò la
proposta del Papa di abbandonare la magia per diventare sovrana di tutto
l’Impero. In una lettera confidò a sua cugina di non riuscire a sacrificare
quella parte di sé per avere tutto il potere. Immagino che avesse ottenuto
abbastanza, fino a quel momento. La morte del marito, il colpo di stato… è un
peccato che sia finito tutto tanto velocemente».
Quel
particolare catturò l’attenzione di Ginny. «Velocemente, dici?» i suoi occhi
scuri si puntarono su Hermione. «Qual era l’effetto dello Specchio? Grande
potere…».
«E
veloce disgrazia» concluse Hermione, annuendo. «Ritengo che Irene abbia tenuto
con sé lo specchio, prima di cederlo a Carlo Magno durante le trattative per il
matrimonio. Ma lui era un babbano, bigotto riguardo la magia. Probabilmente
l’ha ceduto al Papa e da lì…».
«Da
lì dev’essere rimasto nascosto fino a Bonifacio VIII, stando a quello che mi hai detto». Ginny
sorrise, con uno sguardo ammirato. «Tutto torna, non credi anche tu?» guardò Merrick, che annuì. «Sai, Herm,
la signorina Rosier è un’appassionata di storia della
Magia, ancora mi chiedo cosa ci faccia nell’Ufficio Auror».
«Non
è ovvio?» Seamus sorrise, facendo l’occhiolino alla
storica in questione. «Si è unita a noi per passare più tempo con me!». Tre
versi sprezzanti accolsero quella sua affermazione, facendolo arrossire fino
alla radice dei capelli color sabbia. «Comunque, Istanbul è una grande città.
Come saprete da dove iniziare?» chiese, schiarendosi la voce. «Gli uccellini
hanno suggerito qualcosa?».
Hermione
scosse il capo, con un sospiro. «Malfoy crede di saper trovare una via» spiegò,
stringendosi nelle spalle. «Vedremo se ci riuscirà».
«Ti
fidi di lui». Il tono di Seamus lasciava bene
intendere che la sua non fosse una domanda. Era certo di ciò che aveva detto.
«Questo è un gran cambiamento. Meno di una settimana fa non gli avresti
affidato una caramella, oggi gli affidi la riuscita della missione».
«Alcune
persone meritano una seconda possibilità». Afferrò un biscotto dalla scatola,
senza tuttavia mangiarlo. Si ritrovò incredibilmente affascinata dall’intricata
decorazione. «Se si possono cancellare, allora alcuni errori possono essere
riparati. Non esiste il perdono, ma… seconde possibilità».
«Stai
parlando di lui, oppure stai parlando di te?» gli occhi di Merrick
sembrarono sondarle l’anima, tanto erano profondi ed impenetrabili.
Hermione
sorrise, sostenendo il suo sguardo.
«Forse
sto parlando di entrambi».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto,ho una paginafacebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Buon sangue non mente, evidentemente Draco adora parlare con i Crave!
Punti importanti:
» Io adoro
Rosemary ed amo vederla interagire con suo padre. Il loro è un rapporto
incredibilmente profondo, segnato da molta sofferenza. Con nessuno lui si comporterebbe in quel modo. La loro mente ragiona
allo stesso modo, entrambi sono affascinati da Draco. Magari riusciranno a
farlo comportare come una persona seria!
» La Banshee, come credo si sappia, è una creatura della mitologia
irlandese considerata un’annunciatrice della morte. Secondo le leggende, quando
un esponente di una famiglia (irlandese) muore, la banshee di fiducia lancia un
urlo terrificante. Il dottore è un uomo di cultura, ma il terrore di sentire
quell’urlo gli rende insopportabile anche la sola idea di sentir nominare
quelle creature.
» Seamus è Capo Auror in attesa di Harry e, come tale, si occupa di gestire
i turni. Avendo imparato la lezione il quinto anno, ha capito che è sempre
meglio un po’ di sicurezza in più che in meno, mettendo sia Ginny che Harry
sotto scorta. Gli Auror in questione, però, sono solo quelli non in servizio,
così da non informare il Ministero. Che Seamus sia
diventato un po’ come Malocchio Moody, fissato con la
vigilanza costante? Forse, ma io non
posso dargli torto.
» MerrickRosier è il mio ennesimo OC, l’ho inserita in questo
capitolo perché dovevo un po’ vederla interagire.
Quasi sicuramente apparirà in una fanfiction che ho
intenzione di scrivere per un concorso sul forum (The DarknessWithin). Posso anticipare che sarà parecchio
catastrofico come setting.
» La storia degli uccellini è
stata assolutamente improvvisata, mi rendo conto che il mio ragionamento sia
stato praticamente assurdo. Perdonatemi,
ma non è per niente facile elaborare questi stupidi indizi.
» Quanto a Carlo Magno e Irene d’Atene,
il loro matrimonio fallito è esistito davvero. È stato un tentativo del Papa di
riunire Oriente ed Occidente, ma non ha avuto seguito, soprattutto perché Irene
è stata deposta dopo poco tempo.
Ho deciso di pubblicare oggi, avendo già
ritardato la settimana scorsa! Il prossimo capitolo arriverà verso la fine
della settimana prossima, altrimenti lunedì 9! Ma spero davvero di riuscire ad
anticipare, così da non perdere altro tempo.
Grazie infinite a tutti
coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia
ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di
pubblicare ancora. Grazie, davvero.
Capitolo 16 *** Atto X - Parte II/ Di pozioni e incantesimi ***
«Mittens, per l’amor di Merlino
LoSpecchio delle Anime.
I put a spell on you
‘cause you’re mine.
[Annie
Lennox – I put a spell on you]
Atto X – Parte II
Di pozioni e
incantesimi.
«Blaise, per l’amor di Merlino, ma devi portartela dietro
ovunque tu vada?».
Lo sguardo che la giovane donna gli dedicò avrebbe fatto
raggelare chiunque, ma il rampollo Malfoy era cresciuto con SeverusPiton come padrino: niente lo avrebbe mai fatto
pietrificare. Di certo non un metro e mezzo di mezzosangue con evidenti
problemi di autocontrollo.
Il suo migliore amico – poteva essere definito tale, dopo
tutti quegli anni? – gli dedicò un’occhiata estremamente sardonica, per poi
sorridere alla futura moglie. «Dove vado io, la mia signora è libera di venire»
disse, pomposo, baciandole il dorso della mano sinistra, su cui svettava
l’anello di fidanzamento.
Draco lasciò andare un grugnito incredulo. «Sottomesso in
modo così disgustoso e ancora non capisco come. Ti ha forse avvelenato? Le sue
qualità da pozionista edalchimista sono innegabili. Da ragazzini ti
ha fatto bere qualcosa di strano?».
La giovane non rispose, limitandosi ad assestare un calcio
ben piazzato nello stinco del biondo, per poi rifugiarsi accanto al fidanzato,
lo sguardo truce ancora fermo nella sua decisione.
«Merlino! Come
può una cosa così piccola calciare così forte?».
«Ah, sai com’è, bevo molto latte, ho le ossa forti» gli
rispose Laurie, facendogli una smorfia. Blaise le
aveva amorevolmente passato un braccio intorno alle spalle, senza rimanerne
fulminato. «Evita di parlare di me come se fossi una bestia selvatica, Malfoy,
senza me e Blaise dubito che riusciresti a stare in piedi per più di quindici
minuti alla volta».
«Laurie, amore, non credo sia necessario ricordarglielo. Dopotutto, Draco ci
ha prestato molti libri che appartengono ai Malfoy da generazioni» le disse il
moro, dandole dei colpetti sulla mano, con un tono bonario che fece
rabbrividire l’amico.
«Tu davvero fai sesso con quella… cosa?» gli domandò, nauseato, buttando giù d’un sol colpo il
contenuto del proprio bicchiere. Whisky incendiario risalente al 1789, annata
terribile per i reali d’Europa ma perfetta per gli alcolici invecchiati. Doveva
essere una delle bottiglie migliori di Madama Rosmerta,
Blaise aveva fatto in modo che dovesse sborsare una bella cifra per quella
serata in amichevole compagnia.
Tipico.
Il moro, in risposa, alzò il suo bicchiere come se avesse
voluto proporre un brindisi. «Merlino piacendo, amico mio, me la sposerò fra un
paio di mesi e farò un sacco di bei bambini, carismatici come il padre ed
intelligenti come la madre».
«Incrocio fra uomo e rottweiler, dev’essere
interessante. Credo di aver letto qualcosa in delle vecchie leggende…» azzardò
Malfoy, schivando per un pelo l’ennesimo calcio. «Quando sei permalosa, Jones. Non è Blaise a darti del cane, ogni giorno?».
«Io la chiamo piccola
rottweiler in modo affettuoso, non è certo un’offesa alla sua persona e
neppure un riferimento poco gratificante alle qualità legate generalmente ai
cani di sesso femminile*» si affrettò a spiegare Blaise, accigliato, stringendo
la presa sulle spalle della compagna. Per una qualche ragione, Draco si
convinse che lui la stesse trattenendo dal saltargli alla gola.
Pericolosa.
«Non è per discutere della vostra curiosa vita sessuale
che siamo qui, comunque. Lei non è invitata nella conversazione» si sbrigò a
specificare, schiarendosi la voce e versandosi un altro bicchiere di whisky.
Era il terzo? Il quarto? Non gli importava più di tanto. Lo scopo della serata
era ubriacarsi e dimenticare tutti i pensieri che gli affollavano il cervello.
Dopo averne discusso con Blaise, naturalmente.
«Hai ragione, non ho interesse nell’ascoltare i tuoi
lamenti da principino» concordò lei, annuendo ed alzandosi in piedi. «Vado a
parlare con JuniperHiggins,
la responsabile di un gruppo di ricerca al Ministero, è interessata ad alcune
mie combinazioni». Diede un bacio a stampo al fidanzato, mormorandogli qualcosa
che lo fece sorridere così dolcemente da far stringere lo stomaco di Draco.
In quel momento, avrebbe voluto essere al posto di Blaise.
Non perché provasse una qualche attrazione per quella sottospecie di piccolo troll di montagna, ma quell’intimità, quell’affetto
innegabile… Draco non aveva mai avuto nulla di simile e, per la prima volta, lo
desiderò ardentemente, con ogni fibra del suo essere.
Salutata la fidanzata, Blaise abbassò gli occhi sul
platinato amico. «Allora, cos’hai? Hai fatto fuori mezza bottiglia di Whisky in
meno di un’ora. Non succedeva da quella volta in cui non sapevi se accettare il
tuo primo lavoro, ergo, stiamo
parlando di una questione di particolare importanza per il tuo futuro. Di cosa
si tratta?» domandò, poggiando la schiena al divanetto ed accavallando le gambe
con la sua solita aria da principe annoiato. Lui non aveva bevuto più di un
bicchiere, cosa alquanto strana, ma Draco non se ne preoccupò più di tanto.
«Sono… indeciso»
confessò lui, stringendo le labbra, prima di prendere un altro sorso. «Ancora
una volta, non so se fare la cosa giusta o…» si accigliò, non sapendo come
continuare.
«Oppure?».
Draco posò il bicchiere, sospirando. «Oppure la cosa corretta. Avrei voluto dire sbagliata, ma in realtà non credo che lo
sia. Non esiste giusto o sbagliato, riguardo certe cose» ammise, senza avere il
coraggio di guardare in faccia l’amico. Ciò che disse dopo non avrebbe avuto
molto senso, per Blaise, ma lui non riuscì a trattenersi. «Come… come hai fatto
a finire con Laurie? Cosa vi siete detti? Come…» fece
un cenno vago con la mano, non sapendo bene come continuare. «Come hai fatto a
capire di volerla solo per te?».
Diversamente da quanto lui si sarebbe aspettato, Blaise
non lo guardò come se fosse pazzo. Lo osservò con occhi curiosi, quello sì, ma
nulla di più. «Mi aspettavo questa domanda, sai? Ma credevo che ci saresti
arrivato fra un po’ di tempo, magari alla fine di tutti questi guai con la
missione».
Punto sul vivo, Draco scattò come se qualcosa l’avesse
punto. «Cosa vuoi dire? Io non… tu… non sono certo curioso riguardo la vostra…
la tua…».
«Non agitarti, Draco, non ho intenzione di dire in giro
che il nostro scapolo d’oro sta pensando di accasarsi» lo calmò, alzando la
mano per impedirgli di continuare. «Lo so che non sei ancora arrivato a quel
punto, rilassati. Ma non puoi negare che certi pensierini ti siano passati per
la testa».
Malfoy restò in silenzio per qualche istante, ripensando
alla discussione avuta con i Crave quella mattina.
Poteva negare di aver pensato a qualcosa di un po’ più
duraturo di un bacio, dopo aver lasciato quella stanza d’ospedale?
No, non poteva. Non dopo aver realizzato di avere il
dovere morale di vivere la vita che quella ragazza non avrebbe mai vissuto ma
che aveva fatto di tutto affinché lui potesse. Se avesse buttato alle ortiche
quella possibilità, Rosemary Crave sarebbe uscita dall’ospedale per ucciderlo
con le proprie delicate manine di fata.
«Non posso negarlo» ammise, come se lui lo avesse
costretto ad ammettere di aver ucciso un gattino indifeso. Riempì nuovamente il
suo bicchiere, buttandolo giù tutto d’un colpo. «Allora? Vuoi rispondere alla
mia domanda? Io non ho la più pallida idea di come voi due siate finiti
insieme. Una mattina ti ho semplicemente visto spuntare mano nella mano con
quella bestiola selvatica».
Blaise rise, scuotendo il capo. «Storia lunga, piena di
rabbia, lacrime, tensione sessuale e capelli rosa» spiegò, ignorando l’occhiata
confusa dell’amico. «Ma posso dire con certezza che tutto abbia avuto inizio da
una pozione. L’ho sfruttata per capire se lei avrebbe accettato la mia… corte. Come penso tu abbia capito, la
mia Laurie ha un gran bel caratterino».
Draco grugnì, partecipe, bevendo un altro bicchiere di
Whisky. «Bel caratterino è proprio un eufemismo, questo lo sai» gli disse,
nascondendo a stento un sorrisino. «Quindi… una pozione?».
Blaise annuì. «Grazie a quella abbiamo iniziato a
conoscerci, a parlare… grazie ad una pozione, oltretutto, siamo riusciti a
modificare la memoria dei genitori del suo patrigno, riuscendo a farla passare
per mezzosangue e non sanguesporco, durante la
Guerra». Tutt’altro che felice di quel ricordo,
Blaise digrignò i denti. «E con un’altra pozione, mesi dopo, sono riuscito ad
avvicinarla di nuovo ed a tornare insieme».
Malfoy si accigliò. «Vi eravate separati? Credevo fosse
stati sempre insieme, anche durante la guerra».
«Io sono andato ad Hogwarts, lei no.
Essendo del settimo anno, non era obbligata a tornare e… abbiamo preferito
evitare guai. Ma la lontananza è stata difficile da sopportare e, con tutto
quello che è successo, abbiamo preferito fermarci».
Draco si accigliò, confuso. «Tu non ti saresti deciso a lasciarla per nessuna ragione al mondo
e, per quanto non mi piaccia ammetterlo, lei è troppo innamorata e troppo
testarda per cedere alla gelosia della lontananza» disse, piegando il capo di
lato. «Cos’è successo?».
Blaise sospirò, accennando un sorriso triste. «Aveva paura
per me. Se qualcuno avesse scoperto l’imbroglio, anche io sarei stato messo in
mezzo e… era un rischio che non se la sentiva di correre. L’ho sempre detto, se
non fosse finita a Corvonero sarebbe stata una Grifondoro eccellente».
Esattamente come la
Granger sarebbe stata una perfetta Corvonero.
Ancora una volta, lui e Blaise avevano dimostrato d’essere
due facce della stessa medaglia. Entrambi Serpeverde, ma uno aveva scelto di
ignorare il pregiudizio per amore, mentre l’altro lo aveva coltivato per
rispetto del dovere. Blaise aveva trovato l’amore in una Corvonero con
atteggiamento da Grifondoro, mentre Draco…
«Una pozione, hai detto?».
«Una pozione, esat- Draco? Dove
stai andando?».
Malfoy sorrise, alzandosi dal divanetto in cui si era
lasciato cadere e lasciando una manciata di galeoni sul tavolo. Era decisamente
ubriaco, ma non per questo meno determinato.
«Vado a cercare la mia conferma, Blaise».
***
«Mittens, per l’amor di
Merlino!» sbraitò, acciuffando per un pelo il gattino fuggitivo che aveva
tentato di lanciarsi dal bancone della cucina. Cosa spingesse quella bestiola a
mantenere atteggiamenti suicidi, lei non riusciva proprio a capirlo. Era appena
tornata da casa Potter, dopo aver passato ore intense con il dottor Crave, e
prima aveva dovuto impedirgli di nascondersi sotto al divano, in quel momento,
invece, gli aveva impedito di fare il kamikaze.
Grattastinchi non era mai stato così
fastidioso.
Oppure lo era, ma
lei era più giovane e più paziente.
«Dovresti insegnare l’educazione a quella tua bestiola,
Granger. Quando sono arrivato ha tentato di assassinarmi».
In quel momento, Hermione rischiò seriamente l’infarto.
Voltatasi di scatto, si trovò davanti Draco Malfoy, con un
maglione dall’aria estremamente babbana e delle terribili occhiaie sotto agli
occhi. Del principino viziato con tendenze alla Indiana Jones
con cui aveva avuto il piacere di
lavorare in quel periodo non sembrava esser rimasto assolutamente nulla.
«Malfoy, cosa cazzo fai a casa
mia?» gli domandò, sconvolta, arretrando di colpo ed estraendo la bacchetta.
Gliela puntò contro, nonostante non avesse davvero intenzione di fargli del
male. Si trattava comunque del suo collega, per quanto fosse un idiota
presuntuoso.
«Non ho fatto che ragionarci tutta la notte, Granger»
ammise lui, la voce rasposa, facendo un paio di passi
avanti. Il suo petto sfiorò la bacchetta, senza paura, quasi come se avesse
voluto sfidarla. Ma non c’era alcuna presunzione, nei suoi occhi, e le mani gli
tremavano come se fosse spaventato.
Hermione sentì una morsa allo stomaco, come se quei pozzi
di diamanti avessero iniziato a scioglierle qualcosa nelle viscere. Sentì
caldo, molto caldo, e per un attimo temette di essere sul punto di sentirsi
male.
Quando lui la fissò in viso, lei sentì le gambe tremare e
comprese che non era di una malattia che doveva aver paura. Il problema era
molto più radicato dentro di lei. Un problema biologico, per essere precisi.
Ormonale, suggerì una vocina nella
profondità del suo animo.
«Su cosa hai ragionato, Malfoy? Ed è normale, secondo te,
presentarti qui alle cinque del mattino? E cosa ti è successo? Sei ubriaco?
Drogato? Merlino, Malfoy, hai fumato
dell’algabranchia? Assurdo! Sei un impiegato Ministeriale, te ne rendi conto? Lavori per conto del Ministero della Magia!»
sputò, ad una velocità quasi sovrumana, il cuore che batteva così furiosamente
nel suo petto da sembrare sul punto di balzare fuori.
«Troppe domande, Granger. Sei forse nervosa?». Il sorriso
malandrino che lui le dedicò fece peggiorare quella terribile sensazione allo
stomaco e, in reazione, la sua bacchetta mandò scintille dorate, bruciacchiando
la maglia dell’uomo. «Rilassati, Hermione, non ho intenzione di farti del male.
Se avessi voluto ferirti, avrei avuto mille possibilità da quando sei
rientrata».
Hermione si accigliò. «Da quanto tempo sei nascosto a casa mia, stupido di un Malfoy? Questa
si chiama violazione di domicilio!
Potrei denunciarti, potrei… potrei farti arrestare da Seamus
senza perdere tempo dietro alle scartoffie!» sbottò, senza abbassare la
bacchetta. Lo sdegno nella sua voce sembrava falso, posticcio. Se fosse stata
un’imputata, dubitava che un qualunque inquisitore con un minimo di competenza
le avrebbe creduto. Lei non avrebbe di certo creduto a se stessa.
«Mi vuoi far credere, Granger» disse lui, inarcando le
sopracciglia «che saresti pronta ad aggirare le regole che hai sempre amato
così tanto, pur di farmi un dispetto?».
Lei ebbe il buongusto di mostrarsi costernata. «Assurdo!
Come ti permetti? Io non agirei mai
per farti un dispetto, altrimenti avrei potuto sfruttare tutte quelle occasioni
che mi si sono presentate davanti». Il suo sguardo scuro si infiammò di sdegno.
«Come osi? Io sono un’Inquisitrice!».
«Io non ho mai dimenticato chi sei, Granger» la voce di
Malfoy era dura, il viso trasformato in una maschera di ghiaccio. Sembrava che
qualcuno gli avesse dato un pugno, ma quella volta non era di certo stata lei.
«Mi ricordo chi sei ogni mattina, appena mi sveglio. Me lo ricordo ogni volta
che incrocio il tuo sguardo e ricordo quello che mia zia ti ha fatto». Qualcosa
incrinò il ferro dei suoi occhi, come se avesse perso la decisione che l’aveva
motivato fino a quel momento, però non si allontanò. «So benissimo chi sei ed
ho combattuto con me stesso per tenerlo a mente, in queste settimane».
La sensazione di calore allo stomaco aumentò, ma, Hermione
ne era certa, tutto il suo sangue era risalito per inondarle il cervello. Era
abbastanza certa di non riuscire più a sentire le gambe, ma non avrebbe potuto
giurarlo. Non c’era una sola sicurezza in lei, in quel momento.
«Cosa vuoi, Malfoy?» esalò alla fine, deglutendo il cuore
e, forse, una mangiata di ormoni fuoriusciti dalle sue ghiandole. Più lui la
guardava, più lei si sentiva male.
Avrebbe dovuto
aprire la finestra e far cambiare l’aria. C’era poco ossigeno.
La decisione tornò prepotentemente ad oscurargli lo
sguardo. «Sono stanco di combattere, Granger» ammise, raddrizzando le spalle.
Un gesto della mano e scansò la bacchetta di lei. Un passo avanti e si ritrovò
a poca distanza dal suo corpo.
Draco Malfoy la
stava baciando, di nuovo.
Quel bacio non aveva nulla a che fare con quello
dell’altra volta. Non c’era l’ansia provocata dall’afrodisiaco, non c’era il
timore di non riuscire a portare a termine la missione. Malfoy la stava
baciando perché l’aveva deciso.
Stava baciando lei.
Hermione Granger.
E lei stava rispondendo al bacio.
Ancora una volta.
Le mani di Draco erano delicate, ma non erano fragili come
le erano sembrate la prima volta. La leggera ruvidezza dei polpastrelli le
sfregava contro i fianchi scoperti dalla maglia del pigiama che aveva appena
indossato, i fianchi sottili premevano contro i suoi, stringendola fra il suo
corpo ed il mobile della cucina.
Una parte della sua mente – una parte remota, debole – si
chiese che fine avesse fatto Mittens, rimproverandola
per quel comportamento tanto disdicevole. Il gattino era ancora un cuccioletto,
avrebbe potuto traumatizzarlo per il resto della sua esistenza. Avrebbe potuto
provocarle un trauma.
La restante parte, tuttavia… quella era fin troppo
distratta da ciò che stava accadendo e se ne vergognava, ma…
Oh, Merlino, cosa
aveva appena fatto con quella maledetta lingua da serpe?
«Malfoy…» esalò, con voce ben più debole di quanto avrebbe
voluto. Si fermò, tuttavia, perché usare quell’appellativo le sembrò sbagliato,
al momento. Lui le aveva appena infilato una mano nei pantaloni del pigiama, davvero non era il caso. «Draco… cosa stai facendo?» gli chiese,
senza poter impedire a se stessa di sospirare e passargli una mano fra i
capelli.
Quegli stessi capelli biondi che tante volte aveva sognato
di strappargli via, uno per uno. Anche in quel momento non riuscì ad impedire a
se stessa di negare quanto le sarebbe piaciuto, pochi mesi prima, vederlo
soffrire come un cane sotto le sue mani.
Soffrire come lui aveva fatto soffrire lei.
Come Bellatrix l’aveva fatta
soffrire, con la sua tortura.
«Sto facendo quello che desidero, Granger… quello che
anche tu desideri» le rispose, le
labbra a pochi centimetri dall’orecchio, che poi le morse delicatamente.
Quel gesto fu sufficiente affinché lei perdesse quel
minimo di controllo che era riuscita a mantenere fino a quel momento.
Bastò un sospiro, un ansito in più rispetto a quelli che
aveva già fatto sfuggire dalle sue labbra, e Draco seppe di aver vinto la sua
battaglia. Le mani di Hermione, febbrili, corsero al suo maglione, tirandolo
via un momento prima che lui facesse lo stesso con la maglia del suo pigiama.
«Non ti farò del male, Granger» le promise lui,
all’improvviso, mentre la afferrava per i fianchi e la faceva sedere sul bancone
della cucina, intrufolandosi fra le sue gambe e premendo, in modo
inequivocabile, il suo desiderio contro quello di lei.
Non le avrebbe fatto
male.
Non era Ronald, lui era…
«Draco».
In quel momento, Hermione si svegliò.
L’insieme di caotiche emozioni che le si agitavano nel
petto la confusero, dandole la nausea. L’ultima volta che era stata così
sconvolta, non era finita bene. L’ultima volta, Ronald l’aveva portata alla
distruzione, perché lei gliel’aveva concesso.
Si alzò, andando in bagno per sciacquarsi il viso ma
finendo col fare una doccia gelida, ancora con il pigiama addosso. Una parte di
lei avrebbe voluto sentirsi sporca, nauseata da quelle immagini.
Ma non era successo e lei non riusciva a schiarirsi le
idee.
Era come se qualcuno le avesse fatto un incantesimo,
nonostante non fosse assolutamente possibile. Nessuno avrebbe potuto e,
certamente, non Malfoy.
Stava impazzendo?
***
Quando Draco aprì gli occhi, un sorriso malandrino curvava
le sue belle labbra da nobile, facendolo sembrare un amante soddisfatto
piuttosto che un mascalzone reduce da una sbronza colossale e distrutto dalla
potente magia cui aveva appena fatto ricorso. Si sentiva ancora parecchio agitato dal sogno appena finito, ma non
dubitava affatto di poter trovare una soluzione.
Dopotutto, la
Granger avrebbe potuto dargli un aiutino, al riguardo.
Un secondo dopo aver pensato di poter trovare compagnia
nella sua giovane ed affascinante collega, Draco si rese conto che qualcuno
avesse iniziato a bussare insistentemente alla porta di casa sua.
Casa, come se quel
buco d’appartamento potesse esser considerato tale.
Si alzò, stiracchiandosi come un gatto pigro, raggiungendo
con tutta calma la porta. Erano le sei del mattino, chiunque fosse andato a
trovarlo avrebbe dovuto avere la pazienza di attendere. Era assolutamente da
maleducati presentarsi senza invito, prima di colazione ed addirittura senza
avere il buongusto di smettere di bussare.
Doveva trattarsi di qualcuno estremamente fastidioso e maleducato.
Quando aprì, Draco comprese di trovarsi davanti ad una
persona che, sì, era fastidiosa, ma non poteva certo definirsi maleducata.
Sarebbe stato controproducente, considerando che avessero avuto una formazione
identica, da bambini.
«Buongiorno, Meribelle» salutò, osservando la giovane Auror con ancora la
mano alzata dopo aver tartassato di colpi la porta.
MerrickRosier
– Meribell,
come erano soliti chiamarla i nonni – era rimasta la stessa, dalla sera prima.
I suoi capelli dello stesso colore dell’ebano, naturalmente, erano ancora
perfettamente acconciati, gli occhi nascosti da dei grandi occhiali da sole, il
corpo fasciato da un tubino d’alta sartoria.
Sarebbe stata perfetta, se non avesse avuto un’espressione
degna di una regina cui era appena stato tolto il trono da sotto il
fondoschiena.
Espressione che si estese anche al suo sguardo, quando
tolse gli occhiali da sole e fulminò Draco, quasi fosse stato lui l’autore del
colpo di stato. Entrò a passo di marcia nell’appartamento, guardandosi intorno
come se avesse iniziato a pensare di buttare giù i muri per far costruire la
sua nuova sala del trono.
Forse stava
esagerando con le metafore.
La osservò posare la borsetta sull’affollato tavolo della
cucina, sempre con quella sua ostentata aria di nauseata superiorità, poi
chiuse la porta di casa e si avvicinò, a braccia incrociate.
«Cosa posso fare per te, Meribelle?» le chiese, nascondendo a stento uno sbadiglio. «So già che la
missione che ti ho affidato è andata a buon fine, quindi mi chiedo cosa tu possa
volere da me» le disse, puntando la bacchetta contro un bicchiere d’acqua e
trasfigurandola in caffè.
Il modo in cui lei gli colpì la mano, impedendogli di
prendere quel suo nettare prelibato, gli fece tornare in mente degli oscuri
momenti del suo passato, in cui sua nonna lo rimproverava di essere troppo
precipitoso.
«Mi hai detto di farle bere la pozione ed io l’ho fatto,
perché mi hai giurato che non fosse
veleno» gli disse, a denti stretti, puntandogli contro il dito ancora guantato di nero.
Draco inarcò le sopracciglia. «Non hai verificato? Non
posso crederci, hai imparato a
fidarti di me, Meribelle?» le domandò, sorpreso,
riuscendo a schivare per un pelo il ceffone che lei provò ad assestargli.
«Naturalmente ho verificato che non fosse veleno, non sono
certo stupida!» ribatté lei, sconvolta che lui avesse soltanto proposto l’idea.
«Ho smesso di fidarmi di te il giorno in cui hai rotto il vaso della zia
Berenice e mi hai dato la colpa, Malfoy, imparo dai miei errori».
«Avevamo cinque anni,
Meribelle! Porti rancore per così tanto?» le domandò,
fingendosi ferito, allungando la mano ed afferrando la tazza di caffè.
«Comunque, non preoccuparti. Non ho intenzione di avvelenare la Granger. Quella
pozione è servita soltanto per ottenere una conferma».
«Conferma di cosa, per Merlino? Lei è amica del mio capo,
Draco. Se dovesse saltar fuori che ti ho fatto questo favore, la mia carriera
sarebbe rovinata» minacciò la strega,
mantenendo l’occhiata di puro fuoco puntata su di lui.
Draco sbuffò. «Oh, andiamo! Lo sanno tutti che se
chiedessi a Finnigan di mettersi a saltare su un
piede solo ed abbaiare lui lo farebbe e ti ringrazierebbe» ribatté, alzando gli
occhi al cielo. «Non hai fatto niente di male, te lo giuro. Hai soltanto dato
una mano ad un pover’uomo senza speranze» la
rassicurò, tirando fuori il migliore dei suoi sorrisi.
La donna lo guardò male, incrociando le braccia. «Ti sei
fatto l’incantesimo dei Sogni Legati
da solo? Sei un masochista, tutto per sapere cosa passa per la testa della
Granger. Chiedere era troppo normale, per te?».
Draco scoppiò a ridere, allegro come se gli avessero
appena regalato un nuovo set per pulire la scopa. «Non avrebbe mai detto la
verità e, inoltre, così ho avuto modo di manipolarla un po’. La sua espressione
quando ci rivedremo, domani, sarà impagabile».
Merrick lo guardò come se fosse
impazzito, prima di sospirare e prendergli la tazza di caffè dalle mani. «Se
lei starà male, Malfoy, verrò io stessa ad arrestarti» sbottò, sorseggiando un
po’ del liquido scuro, facendo una smorfia. «Dovresti prendere il tè, da bravo
ragazzo, non questa porcheria trasfigurata. Fa schifo» commentò, posando la
tazza sul tavolo ed allontanandosi di un paio di passi, recuperando la
borsetta. «Se non starà male, comunque, non credere che questo mi spingerà ad
aiutarti di nuovo. Ti dovevo un favore ed ora ho pagato il mio debito»
concluse, secca, avvicinandosi a passo di marcia alla porta.
Draco si trattenne a stento dal riderle in faccia,
consapevole di quanto poco veritiere fossero quelle parole. «Il motto dei
Malfoy non è forse Famiglia e Onore?
Anche tu sei una Malfoy, seppur a metà» le disse, prima che sparisse oltre
l’uscio.
Lei si voltò e gli dedicò un’occhiata gelida. «Mia madre era una Malfoy, io sono una Rosier, cugino» specificò, sollevando il mento ed assumendo
la posizione che Berenice Malfoy – nonna di Draco e zia di Merrick
– le aveva insegnato personalmente. «Ed il motto dei Rosier
è Memento Vindicare.
Rovinami la vita e non troverai un buco abbastanza profondo da nasconderti alla
mia ira».
«Anche io ti adoro, Meribelle».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto,ho una paginafacebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Temevo di non riuscire a pubblicare, ma ce
l’ho fatta! È stata una domenica passata davanti al pc e non sono affatto soddisfatta, spero comunque che a voi
piacerà almeno un po’.
Sono riuscita ad illudervi almeno un po’,
con quella storia del sogno?
Punti importanti:
» In
questo capitolo torna la coppia d’oro! Giusto per rinfrescare la memoria:
Blaise è un medimago, la sua fidanzata un’alchimista.
Tutti e due riforniscono Draco di pozioni antidolorifiche, in modo che il
marchio non gli impedisca di vivere.
» * sì,
insomma, solo perché la chiama Rottweiler non le sta certo dando della cagna.
Blaise ha una venerazione allucinante per la sua fidanzata, soprattutto dopo
averla quasi persa durante la guerra.
» Il rapporto di Draco e Laurie
è...particolare. Si
fanno a pezzi, si uccidono verbalmente ogni volta che si incrociano, ma posso
assicurarvi che nessuno dei due permetterebbe che all’altro venisse fatto del
male. All’inizio era solo per Blaise, si tutelavano a vicenda per non ferire
lui, ma adesso, anche se non lo ammetterebbero mai, sono finiti col “piacersi” a vicenda.
»Perdonatemi,
ma ho dovuto mettere in mezzo quel sogno manipolato. Non ho
approfondito, ho tentato di tenere tutto il più light possibile, ma vi assicuro
che servirà. Diciamo che, nell’ottica di Draco, se non avesse assaggiato un
pezzetto di formaggio, Hermione non avrebbe mai comprato la forma intera
(pessima metafora). Draco si è comportato da bastardo manipolatore? È un
Malfoy, il lupo perde il pelo ma non il vizio ;)
» Merrick è
tornata, avevo bisogno di rimetterla in mezzo, perdonatemi. Quella
povera ragazza ha avuto un estenuante turno di notte, ma è stata costretta a
collaborare con Draco, per via di un favore dovuto da anni.
» Merrick è una Malfoy a metà, in che
senso? Suo padre è un Rosier (figlio di Mangiamorte,
fratello di Mangiamorte, probabilmente Mangiamorte pure lui), ma sua madre era Alhena Malfoy, sorella del nonno di Draco. Merrick è l’ultima figlia di un ultimo figlio, ho fatto dei
calcoli e funzionano. Lucius è figlio unico, non potevo certo
inventare una sorella, no?
» Ho inventato i motti di famiglia, naturalmente. Quello dei
Malfoy è chiaro, mentre quello dei Rosier significa
“Ricordati di vendicare” o, almeno, spero significhi quello. Il mio latino è
orribilmente arrugginito, se qualcuno nota un errore, che me lo faccia notare!
Provvederò subito a modificare!
Questa settimana sono riuscita a pubblicare
in tempo, ma non faccio promesse per la prossima, purtroppo. Il
mio esame si avvicina ed è il più pesante del mio corso di studi, vi prego di
avere pazienza. Vi prometto che farò del mio meglio!
Per qualsiasi aggiornamento, tenete sotto
controllo Facebook!
Grazie infinite a tutti
coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia
ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di
pubblicare ancora. Grazie, davvero.
Capitolo 17 *** Atto XI - Parte I/ Immortali nella mortalità ***
Quando Hermione aveva incrociato il suo sguardo, aveva sentito
nuovamente quella disgustosa fitta alla bocca dello stomaco, vergognandosene
come una ladra
LoSpecchiodelleAnime.
They
say we are what we are,
But we don't have to be.
I'm bad behaviour but I do it in the best way.
I'll be the watcher of the eternal flame,
I'll be the guard dog of all your fever dreams.
We could be
Immortals.
[Fall
Out Boys – Immortals]
Atto XI – Parte I
Immortali nella
mortalità.
Quando Hermione aveva
incrociato il suo sguardo, aveva sentito nuovamente quella disgustosa fitta
alla bocca dello stomaco, vergognandosene come una ladra. Ebbene, seppur
immediatamente dopo essersi svegliata avesse contemplato l’idea di lasciarsi
andare, una buona notte insonne le aveva portato consiglio, convincendola che
quello fosse stato un sogno ammonitore mandato dalla sua psiche.
Si era lasciata andare
con i pensieri e stava per ricadere nel baratro in cui Ronald l’aveva
trascinata la prima volta. Non sarebbe più dovuto accadere. Non a lei.
Non con lui.
«Sei nervosa,
Granger?» le chiese Malfoy, da bravo squalo, camminando al suo fianco come se
le strade di Istanbul fossero state sue. Il ghigno che gli curvava le labbra la
infastidì terribilmente, le sembrò quasi di trovarsi davanti allo stesso
ragazzino viziato cui aveva dato un pugno al terzo anno.
Quel paragone la aiutò
a riprendere il controllo del suo corpo, ripristinando la naturale avversione
che lei avrebbe dovuto provare per lui. Senza rendersene conto, il suo
collega le aveva ricordato di chiamarsi Malfoy
e non solo Draco.
Avrebbe dovuto
ringraziarlo mandandogli un mazzo di fiori maledetto.
«Non sono
assolutamente nervosa» gli rispose, rilassando le spalle ed aumentando
leggermente il passo. Il sole di Istanbul picchiava sulle sue spalle coperte
dalla camicia nera, ricordandole l’infelice scelta di vestiario fatta quella
mattina. Colori scuri in una città come quella, per quanto fosse inverno, le
avevano garantito un bagno di sudore.
Per fortuna conosceva incantesimi antitraspiranti…
«Granger, hai detto
tre parole da quando siamo arrivati!» ribatté, sempre più divertito, fissandola
da sopra gli occhiali da sole che aveva tirato fuori dalla tasca non appena si
erano materializzati in un vicolo della città. Contrariamente a lei, Malfoy
aveva ben pensato di vestirsi in modo appropriato, evitando di attirare più
calore del necessario.
Maledetto bastardo.
«Stavo pensando alla
Traccia» mentì spudoratamente la strega. «Hai detto che avremmo cercato alla
residenza degli Imperatori d’Oriente*, ma non ne è
rimasto nulla» aggiunse, per rendere più credibile quella ridicola bugia. In
realtà non aveva mai messo in dubbio che ci fosse un modo per accedere alla
parte più antica. «Il tuo aggancio può darci un aiuto serio o ci manderà a
spasso per la città?».
Il ghigno di Malfoy si
ampliò e lei lo vide chiaramente alzare gli occhi al cielo. «Sei troppo
ansiosa, Granger. Rilassati, ho tutto sotto controllo» la tranquillizzò,
indicando un negozio di spezie alla loro sinistra, dall’altra parte della
strada. «Il mio aggancio ci spiegherà come raggiungere il cuore del palazzo e
gli scavi».
«Scavi?» Hermione si fermò nel bel mezzo del marciapiede, le braccia
incrociate. «Malfoy, non vorrai metterti a fare l’archeologo adesso! Capisco tu voglia essere una
specie di spocchioso Indiana Jones, ma così-».
Lui, che era andato
avanti di qualche passo, tornò indietro e la raggiunse, accigliato. «Indiana
chi?» le chiese, curioso, per poi scrollare le spalle. Probabilmente non era
interessato a conoscere qualcosa della cultura babbana. Non era nulla di interessante, per lui. «Te l’ho detto,
ti stai preoccupando troppo. Molte delle stanze sono state demolite e
ricostruite, ma i quartieri privati dell’Imperatore, le tombe e parte delle
prigioni sono venute fuori. Immagino che la Traccia si troverà lì».
Possibile, si disse Hermione, ricordando qualche
stralcio di informazione letta nei libri sullo Specchio. «La Traccia difende se
stessa, non può essere deteriorata o distrutta. Nessuno l’ha vista a Parigi,
non è crollato niente sulla testa dell’immortale Gertrut
e la parte antica di Villa Aura era fin troppo stabile e ben conservata, per
essere così vecchia» borbottò, riprendendo a camminare accanto al biondo.
Lui annuì, senza
perdere l’espressione sorniona. «Se la mia teoria è corretta, troveremo la
Traccia nella zona sopravvissuta del castello. Avrà salvaguardato se stessa,
impedendo che quella parte di palazzo fosse demolita» concordò, facendole poi
cenno di attraversare la strada. Evidentemente, il suo aggancio li attendeva
nel negozio di spezie dall’aria incredibilmente chic.
Troppo chic, in
realtà, per essere un negozio di spezie. Ad Istanbul.
Sono pregiudizi, questi? È 2004 anche in Turchia, per
Merlino!
«Sei sicuro che questo aggancio ci
aiuterà?» gli domandò per l’ennesima volta, tallonandolo senza tuttavia
avvicinarsi troppo. Aveva messo a tacere le sensazioni pericolose, ma non
poteva escludere che non potessero tornare. «Ti avverto, se ci manderà a casa,
ridendoci in faccia, io non risponderò di me!».
Quell’affermazione lo fece sorridere di
più, un attimo prima che si fermasse davanti alla porta d’ingresso. «Per quanto
io non voglia altro che farti perdere il controllo, Granger» iniziò, malizioso «non
credo che sarà questo il caso. Io e il nostro aggancio abbiamo un passato in
comune, mi deve un favore. Sarà entusiasta di aiutarci».
***
Effettivamente, era entusiasta di incontrarli.
Nonostante la prima
persona con cui fossero entrati in contatto fosse stato un vecchio mezzo sordo
con evidenti problemi di alitosi, non era lui il loro aggancio. Sarebbe stato
troppo semplice, per i nervi di Hermione.
No, doveva essere
un’avvenente signorina con meravigliosi capelli corvini e profondi occhi verdi,
delicata come un fiore e bella come un sogno. A dirla tutta, Hermione pensò che
avrebbe dovuto rivedere alcune scelte di vita, perché per un sorriso di quella
donna avrebbe volentieri cambiato sponda. Senza alcun dubbio, uno come Seamus o, peggio ancora, uno come Dean,
sarebbe caduto ai suoi piedi senza pensarci più di tre minuti.
Si chiamava RanyaGoldsmith, purosangue con
madre turca e padre inglese. Malfoy non l’avrebbe mai ammesso, ma Hermione
ricordava benissimo di aver letto quello stesso cognome fra i documenti
riguardanti un trafficante di pozioni altamente pericolose.
Era ovvio che non avrebbero ricevuto alcun
aiuto da parte di un onesto archeologo o esperto d’arte, non finché Malfoy
avesse avuto campo libero. Hermione avrebbe davvero dovuto prendere in mano la
missione, lasciargli così tanto spazio li avrebbe messi nei guai, senza alcuna
possibilità di salvezza.
E se c’era una cosa a
cui Hermione teneva tantissimo, subito dopo i suoi migliori amici e la sua
famiglia, era il suo lavoro.
Non avrebbe mai
lasciato che un ricco idiota glielo togliesse da sotto il naso.
«Non è possibile
materializzarsi o smaterializzarsi nella zona antica, dovrete entrare dalla
porta principale» stava dicendo Ranya, versando il tè
nelle delicate tazze di porcellana. Era un servizio francese, Hermione avrebbe
potuto mettere la mano sul fuoco: sua madre ne aveva visto uno uguale a Limoges e si era lamentata per tutto il viaggio perché non
gliel’avevano fatto acquistare. Col senno di poi, comunque, anche la Signora
Granger aveva concordato che spendere più di duemila sterline per quattro
tazzine ed una teiera sarebbe stato un po’ troppo, per le loro finanze
domestiche.
Quella donna non
doveva aver fatto il suo stesso ragionamento.
Malfoy non sembrava
preoccupato del piccolo intoppo. «Possiamo spacciarci per turisti, non sarà
difficile allontanarci dal gruppo e sgattaiolare fra gli scavi, no?» le chiese,
allungando la mano per prendere un biscottino al sesamo. «Com’è la
sorveglianza?».
La donna sorrise,
benevola, quasi come se Malfoy fosse stato un bambino innocente e non la serpe
infida che in realtà era sempre stato. «Non riuscireste mai a sgattaiolare via, ci sono guardie ovunque. Fortunatamente
siete venuti da me». Gli occhi da gatta si puntarono su Hermione, quasi
illuminandosi. «Sai, io sono a capo della sezione romana del nostro museo» le
disse, sbattendo le ciglia con aria civettuola. «Le guardie ormai sono così
abituate a vedere me ed i miei assistenti da non chiederci neppure spiegazioni.
Vi basterà presentarvi con un mio lasciapassare e riuscirete ad avere un
accesso illimitato a tutte le sezioni».
Confusa da quello
strano atteggiamento, Hermione annuì, lanciando un’occhiata storta a Malfoy.
Che quella donna stesse tentando di aggraziarsi lei per ottenere i favori di lui? Avrebbe dovuto dirle di cambiare
tattica, Malfoy non avrebbe fatto alcuna scenata di fronte a lei.
«Grazie, Ranie» con un sorriso amichevole, strano sulle sue
peccaminose labbra, Malfoy allungò la mano verso la sua tazzina e la sollevò
come a chiedere un brindisi. «Come al solito, mi sei d’enorme aiuto. Ma
immagino che tu ritenga di non aver ancora ripagato il debito, non è vero?»
aggiunse, divertito, sorseggiando un po’ di tè, con una smorfia.
In quel momento,
Hermione avrebbe voluto lanciargli uno sguardo di comprensione. Quella brodaglia
verde era decisamente troppo forte per i suoi gusti, nulla a che vedere con il
suo meraviglioso Prince of Wales**. Riuscì comunque a
contenersi, raddrizzando le spalle e costringendosi a pensare a qualcosa di
diverso rispetto all’ultima volta in cui aveva bevuto una tazza del suo tè
preferito.
Era troppo sconvolta dal sogno, dubitava che qualcos’altro
l’avrebbe calmata.
«No, non ho ancora
ripagato il debito» confermò lei, con una risata divertita. «Dubito che ci
riuscirò mai, se devo esser sincera. Dovresti esserne felice, potrai sfruttare
le mie conoscenze per un bel po’ di tempo. Non ho certo dimenticato i cinque
ringraziamenti ufficiali che mi hai dedicato, nei tuoi discorsi ai musei».
«Sei» rettificò Malfoy, scuotendo leggermente il capo. «L’ultimo è
stato al Museo di Scienze Naturali di New York, sei mesi fa».
Ringraziamenti? Debiti?
«Scusate se vi
interrompo» si intromise Hermione, raddrizzandosi sulla sedia. «Posso chiederci
di cosa state parlando?».
Ranya le dedicò un sorriso
immenso, allungandosi per poggiarle una mano sul braccio. Un gesto molto
intimo, considerando che si conoscessero da poco più di mezz’ora. «Hai ragione,
mia cara, siamo stati dei maleducati ad escluderti dalla conversazione» le
disse, con dolcezza. «Vedi, qualche anno fa Draco ed io abbiamo collaborato in
una spedizione in Cina» iniziò a spiegare, volgendo lo sguardo su Malfoy, che
alzò gli occhi al cielo. «Lui era il più giovane del gruppo, ma è stato anche
l’unico a riconoscere la maledizione che ha colpito me ed un paio degli altri
colleghi… senza di lui, probabilmente io, mio fratello Selim
ed il nostro amico Joachin saremmo morti fra atroci
dolori».
Malfoy sbuffò. «Sciocchezze,
Ranie. Avresti capito anche tu come cavartela,
avresti solo perso un po’ più tempo» le disse, quasi imbarazzato – emozione nuova per lui, probabilmente – e senza
guardare Hermione.
«Non è vero, lo
sappiamo entrambi» la donna tornò a sfiorare la spalla dell’altra. «Ci ha
salvati tutti ed io gli devo tre vite. Per ripagare un po’ questo debito, cerco
di aiutarlo quando posso, soprattutto se è sufficiente metterlo in contatto con
alcuni colleghi in varie parti del mondo».
Hermione annuì,
facendo del suo meglio per nascondere la sorpresa. «Capisco. È comunque
gentile, da parte tua, aiutare anche me» ringraziò, cercando di mostrarsi
gentile. Il modo in cui l’altra si illuminò la fece arrossire leggermente, ma
non si preoccupò più di tanto. «Sarà sufficiente mostrare i documenti,
quindi?».
Ranya annuì, allontanando
la mano ed alzandosi in piedi. «Esatto» confermò, sistemando delle inesistenti
pieghe sulla gonna. «Ho lasciato tutto nelle mani dello zio Mustafa,
una volta finito il tè potrete andare direttamente al castello» disse loro,
sollevando il braccio per controllare l’ora. «L’entrata sarà libera per ancora un’ora,
non c’è assolutamente fretta. Una volta dentro non avrete limiti, l’uscita è
vicinissima agli scavi».
Comprendendo che lei
fosse sul punto di andarsene, sia Hermione che Draco si alzarono in piedi, per
salutarla. Malfoy le sorrise e le fece un perfetto baciamano ma, prima che
Hermione potesse farsi avanti, fu proprio Ranya a
voltarsi verso di lei e stringerla in un abbraccio delicato, baciandole la
guancia.
«Grazie ancora per il
tuo aiuto, Ran» salutò lui osservandola uscire con la
grazia di una ballerina. «La prossima volta ti manderò un mazzo di fiori!» le
urlò dietro, ricevendo in risposta una risata perfetta come un coro di
campanellini. Allora, con un ghigno, si voltò verso Hermione, che aveva ancora
una mano sulla guancia. «Un po’ intraprendente, vero?».
Lei si riprese un
attimo dopo, scuotendo la testa. «Non più di molti altri» gli rispose, secca,
cercando di riprendere un minimo del suo controllo. «Immagino che sia un uso
tipico di questo paese, io non sono certo un’esperta e non posso certo
permettermi di… uhm… lamentarmi».
La risata di Malfoy
riempì il piccolo retrobottega in cui erano rintanati. «Un uso turco? Mi
dispiace deluderti, Granger, ma stanno addirittura parlando di rendere illegali
i baci in pubblico, sicuramente non è un uso tipico» iniziò a spiegarle,
avvicinandosi con fare cospiratorio. «Diciamo che la vecchia Ran ha un debole per le brunette intelligenti».
Senza sapere come
reagire, Hermione restò immobile, assorbendo quelle parole.
Un debole per le brunette intelligenti.
«Vuoi dire che lei…»
iniziò, accigliata, prima di pietrificarsi ed arrossire miseramente. Non le era
neppure passato per la mente che una donna come quella potesse avere un debole per una come lei. «Ma è assurdo!».
Malfoy scosse il capo,
allungandosi per prendere un altro biscottino al sesamo. «Perché mai, Granger?
Mi sorprendi! Non sei tu che dai a me del
bigotto? Ed ora ti sorprendi tanto perché ti ho presentato una donna che
preferisce la compagnia d’altre donne?» le domandò, con disappunto ed
un’evidente confusione in viso.
Vagamente
scandalizzata, lei gli assestò un pugno sul braccio. «Sei forse impazzito? Naturalmente non mi riferivo
al fatto che fosse lesbica! Per quale motivo dovrei esserne scandalizzata?» gli
chiese, retorica, per poi alzare gli occhi al cielo. «Mi ha solo sorpresa che avesse
interesse per me. Lei è favolosa,
mentre io…».
Malfoy non esitò un
momento ad interromperla. «Tu sei un genio e sei anche parecchio affascinante,
Granger» le disse, facendole un occhiolino complice. «Smettila di
sottovalutarti e vedrai che riuscirai a vedere quanto interesse riesci ad attirare. Ci sono momenti in cui temo tu
sia ipermetrope***».
La risposta che
Hermione aveva pensato di dargli le restò bloccata in gola perché, in quel preciso
istante, delle voci davvero poco amichevoli giunsero dall’interno del negozio.
«Prendete il vecchio, loro devono essere ancora qui da qualche parte».
Malfoy si irrigidì,
perdendo quel minimo di colore che era riuscito a guadagnare grazie al calore della
piccola stanza. Facendo cenno ad Hermione di stare in silenzio, si avvicinò
alla tenda che separava il retrobottega dal vero e proprio locale. Seguendolo,
anche lei riuscì a scorgere perfettamente le tre figure ammantate e mascherate
che avevano fatto irruzione nel piccolo negozio, bacchetta alla mano e cattive
intenzioni chiare nella postura fiera.
I Mangiamorte li avevano trovati.
***
Nessuno di loro era lo
stesso che li aveva incontrati in Germania, Draco ne fu immediatamente certo.
Per quanto avesse raccontato alla Granger di non avere la minima idea di chi
diavolo fosse quello spostato, in realtà era riuscito immediatamente a
riconoscerne la voce.
TerenceHiggs,
che Draco stesso aveva sempre trattato come fosse meno che spazzatura.
Lo stesso che Draco aveva fatto cacciare dalla squadra,
comprandosi il ruolo di cercatore.
«Cosa facciamo? Il
vecchio non ci potrà certo coprire!» sussurrò Hermione, preoccupata, sbirciando
l’interno del negozio da un angolino di tenda sollevata. Era naturalmente preoccupata,
ma, diversamente da lui, temeva per la salute del vecchio zio.
Dal punto di vista di
Draco, quell’uomo aveva vissuto la sua vita, quindi la sua morte sarebbe stata
molto meno rilevante rispetto a quella di due giovani come loro. Ma,
naturalmente, Draco non era certo autorizzato a far presente quel pensiero,
altrimenti lei si sarebbe arrabbiata e la sua minuscola possibilità di
conquistarla del tutto avrebbe fatto la fine di un cristallo nelle mani di suo
cugino Teddy.
Non poteva
permetterselo, neppure sul letto di morte.
«I ingilizcebilmeyen»
stava dicendo il vecchio, nel frattempo. Non
parlo inglese. Stava mentendo, era ovvio, Draco l’aveva sentito chiaramente
borbottare qualcosa sugli inglesi impertinenti e su quanto fosse stato felice
di tornare nella sua amata Istanbul. C’era da ammirare la sua prontezza di
spirito, oltre che le sue innegabili doti recitative.
«Non ho capito un accidenti, stupido vecchio!» l’imprecazione del
Mangiamorte venne accompagnata da un colpo violento a vecchio bancone, che
scricchiolò. La Granger, lì accanto, si irrigidì.
Conoscendola,
probabilmente avrebbe mandato tutto all’aria per poter uscire e combattere, se
dalla missione non fosse dipesa la salute di Potter, oltre che la salvezza del
Mondo Magico.
« I ingilizcebilmeyen»
ripeté l’uomo, cocciuto, mantenendo sempre lo stesso tono di implacabile noia.
Draco ebbe il sospetto che avrebbe continuato all’infinito, se quei tre
l’avessero lasciato fare.
La sua ammirazione per
il vecchietto crebbe a dismisura quando il Mangiamorte lo afferrò per il bavero
della tunica, sollevandolo di qualche centimetro da terra, ma lui non fece che
ripetere, imperterrito, quella singola frase.
«Non possiamo
lasciarlo lì» gemette la Mezzosangue, preoccupata, fremendo in modo ancora più
evidente al pensiero di averlo abbandonato a se stesso contro quei tre. Era
improbabile che proprio lei non riuscisse a cogliere la tranquillità dello zio
ma, almeno secondo Draco, quell’ansia doveva esser frutto della sua naturale
condizione di Grifondoro.
Eroi a qualunque costo.
«Dobbiamo darcela a
gambe, Granger» le rispose lui, cercando di mantenere il tono più basso
possibile. «Se restiamo qui, rischiamo di perdere l’occasione e non poter
entrare al palazzo. Sai bene quanto me che non abbiamo tempo da perdere».
Lei non fu d’accordo
ed ebbe la bontà d’animo di dimostrarglielo immediatamente ed in modo pratico.
Quella folle raddrizzò le spalle e spalancò la tenda,
mostrandosi ai loro persecutori.
Prima di seguirla,
Draco imprecò.
«Lasciate andare quell’uomo,
è noi che volete» sbottò la donna,
con la bacchetta ben alta e puntata sul Mangiamorte che teneva lo zio
sollevato. L’occhiata esasperata che proprio lui le dedicò avrebbe fatto ridere
il povero Malfoy, se gli altri due brutti ceffi non avessero alzato a loro
volta le armi, godendo di quell’evidente vantaggio. «Lasciatelo andare!».
«Altrimenti cosa
farai, Granger?». Il Mangiamorte sulla sinistra, quello più magro, parlò per la
prima volta. La sua voce era profonda, ma estremamente giovane: Draco non gli
avrebbe dato più di vent’anni. «Ucciderai lui per poi
farti uccidere da noi?» minacciò, con una risatina capace di far accapponare la
pelle.
«Hermione, sta’ calma»
Draco si limitò a sussurrare, ma non coltivò alcuna speranza che quei tre non
l’avessero sentito. Non era il momento di fare gli eroi, si trovavano in
svantaggio numerico e non solo. Diversamente dai Mangiamorte, loro non avevano
un ostaggio parecchio avanti con l’età e con una faccia da schiaffi
invidiabile. «Il vecchio non c’entra nulla in tutto questo, se volete noi,
dovreste prendervela solo con noi»
aggiunse quindi, ad alta voce, sperando di trovarsi davanti agli esemplari più
sciocchi delle nuove schiere dei Mangiamorte.
Il vecchio zio sbuffò,
prima di ripetere la sua solita frase in turco. Stava diventato un po’
snervante.
«Lasciarlo andare
senza prima disarmarvi? Dovete averci preso per stupidi» sbottò il Mangiamorte
al centro, che doveva essere il capo, tenendo ancora la bacchetta su Hermione. «Forza,
lasciate cadere le armi e forse questo vecchietto avrà salva la vita.
Diversamente da quanto potete credere voi, non vogliamo fare stragi
d’innocenti».
Quella era una novità, Draco dovette ammetterlo. I Mangiamorte
che non volevano far strage d’innocenti? Loro,
che avevano innalzato a scopo ultimo della loro esistenza la possibilità di
eliminare i babbani dalla faccia della Terra?
C’era qualcosa di
sbagliato, qualcosa di diverso.
«Questa è una sciocchezza!». Evidentemente, Hermione
la pensava esattamente come lui. «Da quando in qua i Mangiamorte non uccidono
innocenti? Non metteremo giù le nostre bacchette finché non avremo la certezza
che non farete del male a quel pover’uomo!».
Il Mangiamorte che
teneva sollevato lo zio rise, come se l’affermazione della Granger fosse stata
assolutamente inconcepibile. «Per chi ci avete presi, eh? Per degli sciocchi?
Non siamo come voi, non uccideremo nessuno per il solo piacere di farlo.
Abbiamo detto che non gli faremo del male, se vi arrenderete. Se, però,
insistete nel non voler cedere…».
Ad ogni risposta di
qualcuno di quei tre, Draco si sentiva sempre più confuso. Era diventato bravo
nel riconoscere quando qualcuno stesse dicendo o meno la verità, era un’abilità
che aveva imparato ben presto nel suo lavoro, poiché erano ben pochi i collezionisti
disposti ad ammettere l’illecita provenienza di taluno dei propri gioielli.
Quei tre non stavano
mentendo.
«Dite di non essere
sciocchi, eppure volete riportare indietro Voldemort» sbottò allora Malfoy,
innervosito da tutti i dubbi che lo stavano assillando. «Non è forse una mossa
da idioti, questa? Chi vorrebbe quello psicopatico ancora in giro per il mondo?».
«Noi non vogliamo lui, razza di idiota» rise,
malignamente, il mangiamorte sulla destra. «Vogliamo soltanto la sua immortal-» quello al centro gli impedì di continuare,
assestandogli una gomitata. «Sei forse impazzito?
Tanto li uccideremo comunque, non andranno a raccontarlo ai quattro venti!».
«Stupido Sanguesporco che non sei altro» gli rispose allora quello
al centro, senza staccare gli occhi da Draco ed Hermione. Era il più
intelligente dei tre, nessun dubbio che fosse lui il capo, nonostante non
brillasse affatto a sua volta. «I Maghi con faccende in sospeso diventano
fantasmi ed i fantasmi parlano».
Il modo in cui la
Granger si irrigidì confermò a Draco che anche lei avesse conto gli indizi di
quella conversazione.
Sanguesporco, aveva detto. I Mangiamorte non avevano mai accettato
persone che non avessero almeno uno
dei genitori purosangue.
Immortalità, aveva quasi rivelato l’idiota. Ma Voldemort
non era mai stato immortale, con immensa fortuna di tutto il mondo magico,
altrimenti Potter non sarebbe mai riuscito a cancellarlo dalla faccia della
terra.
«Adesso basta!». Il tizio sulla sinistra strinse la presa
sul collo del vecchio zio, che emise un rantolo di protesta. «Gettate quelle
dannate bacchette o morirete tutti e tre!».
Sarebbe stata una
minaccia efficace, davvero, se in quel momento un boato non avesse fatto
saltare in aria i tre Mangiamorte e buona parte del negozio, facendo volare
indietro di un metro anche Hermione e Draco, che atterrarono dolorosamente sul
fondoschiena.
«Granger! Granger, sei
stata tu? Stai bene?» ansioso, Draco era stato il primo a rimettersi in piedi,
tossendo e lacrimando a causa dell’enorme polverone di spezie che si era
sollevato. Non riusciva a distinguere nulla che fosse più lontano di un paio di
centimetri dal suo naso, ma, fortunatamente, altri colpi di tosse lì vicino lo
rassicurarono riguardo la salute della sua collega.
«Sono tutta intera,
credo» sbottò lei, muovendosi dietro quella coltre di polveri come un’ombra
estremamente goffa. Lui non provò a porgerle una mano, era ben consapevole che
lei non l’avrebbe accettata. «Sei stato tu a far saltare tutto? Sei forse impazzito?» gli chiese, una vota tornata
in piedi, avvicinandosi fino a fronteggiarlo in tutta la sua furia
scarmigliata. «Ci stavano raccontando il loro piano! Non avresti potuto
aspettare ancora qualche dannatissimo minuto?».
«Io pensavo fossi
stata tu!» le rispose lui, indignato
per quell’ingiustificata cattiveria, sentendo lo stranissimo impulso di pestare
il piede per terra. Se non lo fece, fu solo a causa di uno starnuto che lo
lasciò tremante e lacrimante. «Chi è stato?» domandò invece, sentendo
l’impellente necessità di soffiarsi il naso. Quell’aria era diventata davvero
irrespirabile.
Lei non riuscì a
rispondere, perché qualcuno, a pochi passi di distanza, mugugnò «Tergeo» e, in
pochi secondi, tutto il polverone venne risucchiato via, lasciando l’aria
nuovamente limpida come poco prima dell’esplosione.
Davanti a loro,
riversi al suolo, stavano i tre Mangiamorte, le maschere storte sul visi privi
di conoscenza e i corpi ammucchiati a causa dell’onda d’urto dell’esplosione.
Su di loro, mugugnando incantesimi di memoria, c’era proprio il vecchio zio,
con un’aria decisamente più sveglia di quanto non fosse stata fino a quel
momento.
«Voi inglesi siete
troppo calmo» mugugnò, alzando gli
occhi al cielo ed avvicinandosi a loro due, sorridendo delle loro espressioni
sconvolte. «Io sono MustafaBaydar,
ero capo di Ufficio Auror turco, venti anni fa» si presentò, stringendo la mano
ad entrambi.
La Granger aveva
un’espressione così sconvolta che, se la situazione non fosse stata così seria,
avrebbe fatto morire Draco dalle risate. «Lei
poteva difendersi? Per quale ragione non l’ha fatto subito?» gli domandò, riponendo la bacchetta ed incrociando le
braccia la petto. Aveva sostituito la sorpresa con la stizza, le sue emozioni
cambiavano velocemente.
Mustafa si strinse nelle
spalle, tornando dietro al bancone e recuperando un plico di fogli. «Non
sembravano intelligenti» spiegò, tranquillo. «Loro hanno rivelato piano, non è
importante?».
«Se li avesse lasciati
parlare ancora, probabilmente avrebbero detto altro» gli fece notare allora
Draco, accigliato. «Avremmo potuto legarli e interrogarli».
Mustafa scosse il capo. «Avevano
dente finto con veleno, vecchio trucco di anni quaranta» spiegò,
riavvicinandosi ai tre e togliendo la maschera a quello più grosso, che l’aveva
tenuto sollevato. Si trattava di un ragazzo molto giovane, totalmente
sconosciuto a Draco e, quindi, probabilmente non appartenente a qualche
famiglia purosangue inglese.
«Quello è ColinBurton» sbottò invece la
Granger, avvicinandosi di qualche passo mentre il vecchio Auror spalancava la
bocca della sua vittima e tirava via quello che aveva tutta l’aria di essere un
dente finto. «Era un Corvonero, due anni più giovane di noi. Un Mezzosangue, se
non sbaglio».
«Sia lui che l’altro»
specificò allora Malfoy, indicando il Mangiamorte che era stato sulla destra,
mentre, risistemata la maschera, Mustafa si alzava e
faceva vedere loro il dente. «Non credevo che ce ne sarebbero mai stati, fra i
Mangiamorte».
«Interessi sono
diversi ora, è evidente» concordò il vecchio, prima di sventolargli sotto al
naso il suo tesoro. Quel dente, apparentemente normalissimo, era in realtà
fatto di vetro bianco, con una decorazione che recitava: Immortali nella mortalità. Bastò una semplice pressione ed un
liquido nero colò fra le dita dell’uomo. «Questo è veleno. Se noi li avessimo
interrogati, loro avrebbero bevuto questo».
«È un trucco che
veniva usato spesso durante la Seconda Guerra Mondiale» mormorò la Granger,
confusa ma affascinata. «È evidente che non vogliano rischiare una fuga di
notizie».
«Ed è evidente che si
fidino ciecamente della convinzione di questi nuovi Mangiamorte» aggiunse
Draco, confuso. «Io non direi a qualcuno di prendere del veleno, se non avessi
la certezza che quell’altro lo farebbe senza problemi».
«Oppure confidano nel
fatto che niente potrebbe essere più spaventoso che diventare dei reietti per
il loro nuovo gruppo di pazzi».
Un silenzio
meditabondo restò fra i tre, mentre osservavano il liquido nero gocciolare al
suolo.
Alla fine, Mustafa allungò loro le carte, con un sospiro. «Voi andate,
io rimando questi tre a casa» comunicò, accennando col capo ai Mangiamorte
svenuti. «Tempo sta per scadere e voi avete missione da compiere».
Draco annuì, prendendo
i fogli. «La ringrazio, signor Baydar. Probabilmente
ci ha salvati tutti, oltre ad averci fatto fare qualche passo avanti con le
indagini» gli disse, abbassando il capo con rispetto. Quell’uomo aveva causato
un’esplosione senza neppure far uso della propria bacchetta, sfruttando un’arte
magica praticamente sconosciuta in Inghilterra. «Come potremo sdebitarci?».
L’uomo sorrise,
tranquillo. «Tu hai aiutato miei nipoti, giovane Malfoy» disse, dando loro le
spalle ed avvicinandosi alle sue vittime. «Ranya ti
doveva tre vite ed ora io ne ho ripagate due. Il suo debito è parzialmente
saldato, ora».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto,ho una paginafacebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Lo scorso capitolo è stato tragico, non è
vero? Mi dispiace davvero tanto, sono troppo stressata ed il mio modo di
scrivere ne risente tantissimo.
Sono riuscita a pubblicare, questa
settimana, e spero di riuscirci anche la prossima, considerando che l’esame è
stato rimandato di pochi giorni. Pregate per me!
Punti importanti:
» *Palazzo
Imperiale Bizantino, assorbito dal Palazzo Topkapı, oggi è ridotto ad un cumulo di scavi, poiché quasi
tutte le stanze sono state eliminate. Io ho dovuto “modificare” il contenuto
degli scavi, includendo alcuni ambienti privati dell’Imperatore, perché sarebbe
stato ridicolo pensare di trovare la Traccia in quelle che erano le prigioni. Qui troverete la
pagina Wikipedia con tutte le informazioni.
Perdonatemi se ho lavorato e se lavorerò ancora di fantasia, ma, purtroppo, non
ho visitato questi luoghi e quindi non ho altra possibilità.
» **
Questa tipologia di tè esiste davvero, ho pensato fosse molto inglese, perfetto
per la nostra patriottica Hermione.
» *** Disturbo di chi non riesce a vedere da
vicino. Ovviamente, Draco sta facendo riferimento a se stesso.
»Come
credo sia evidente, Hermione non è affatto contenta del risultato dell’incantesimo
di Draco. Mentre lui tenta di farsi avanti e far capire il suo interesse, forte
di quella reazione involontaria della strega, lei fa di tutto per resistergli. In
pratica, no, non sono arrivati al culmine del corteggiamento.
»Ranya e Draco
fanno praticamente lo stesso lavoro, soltanto che lei ha preferito restare nell’ambito
della legalità. Sono rimasti amici, dopo la missione cui
lei ha fatto riferimento, e, anche se non è stato espressamente detto, lei lo
ha più volte accompagnato in delle spedizioni di ricerca, guadagnandosi non
solo dei ringraziamenti ma anche regalini parecchio costosi.
»I
primi nodi vengono al pettine! Adesso inizia a spiegarsi come mai Hermione non
avesse riconosciuto il famoso Mangiamorte tedesco! Il loro intento è stato
parzialmente svelato e, nonostante tutti i timori di Draco ed Hermione, non
vogliono semplicemente sguinzagliare Voldemort sulla terra. Vogliono sfruttarlo. Questo li rende meno
pericolosi? Più pericolosi? Non è dato saperlo.
» Zio Mustafa è un grande, lo adoro. Il
vecchio non si è immediatamente fatto notare dai due (quando sono arrivati in
negozio), per puro divertimento. Le sue intenzioni erano quelle di “tornare in
vita” dallo stato catatonico un attimo prima che Draco ed Hermione lasciassero
il locale, ma, (s)fortunatamente, ha avuto occasione di far capire quanto vale.
Un vecchietto arzillo, insomma.
» Il trucchetto del dente ripieno
di veleno (cianuro, nella realtà storica) viene direttamente dal film Captain America. Ho cercato di renderlo un uso storico,
anche se non sono certa si usasse davvero. Insomma, passatemelo, mi sembrava
una cosa carina.
Perdonatemi per la porcheria che è stata il
capitolo scorso e per la scarsità concettuale di quest’ultimo. L’esame mi sta
togliendo la voglia di vivere.
Per qualsiasi aggiornamento, tenete sotto
controllo Facebook!
Grazie infinite a tutti
coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione,
senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora.
Grazie, davvero.
Capitolo 18 *** Atto XI - Parte I/ Il Guardiano della Roma d'Oriente ***
Del palazzo non era rimasto che un cumulo di macerie, più o meno
conservate
LoSpecchiodelleAnime.
Colui che teme di essere conquistato
è sicuro della sconfitta.
[Napoleone Bonaparte
– Aforismi e pensieri politici, morali e filosofici]
Atto XI – Parte II
Il
Guardiano della Roma d’Oriente.
Del palazzo non era rimasto che un cumulo di macerie, più
o meno conservate. L’odore di muffa stonava orribilmente col il calore
asfissiante che avevano sopportato lungo la strada verso gli scavi, soprattutto
perché, in effetti, sembrava non esserci sufficiente umidità affinché quella
sostanza nerastra avviluppasse i muri in quel modo.
Draco storse il naso, ricordando la spedizione in
Guatemala di un paio di anni addietro. Era stato costretto a strisciare fra le
mura di un vecchio tempio Maya che si trovava proprio accanto ad una cascata,
alla fine aveva dovuto bruciare i suoi abiti a causa della puzza di muffa ed
altri odori disturbanti che emanavano.
Se non errava, era stata una pozione di Laurie a togliergli quello stesso mix micidiale dai
capelli. Probabilmente quello era stato il momento in cui lui l’aveva accettata
nella famiglia. Salvare i suoi
adorati capelli era stato il gesto più bello che avrebbe mai potuto
rivolgergli, sempre che non avesse deciso di dare il suo nome al primogenito
suo e di Blaise.
In quel caso avrebbe davvero dovuto pensare di trattarla
con più dolcezza.
Un rumore soffocato proveniente dalle sue spalle lo fece
immobilizzare e voltare verso la sua accompagnatrice, trovandola con una mano
davanti al viso e l’altra impegnata a cercare qualcosa nella tasca.
«Mezzosangue, stai bene?» le domandò, confuso, piegando la
testa di lato mentre la osservava tirar fuori un pacchetto di fazzolettini di
carta. «Non potevi semplicemente appellarli, invece di perdere tutto questo
tempo?».
L’occhiata furiosa che gli lanciò lo fece sorridere: aveva
implicitamente confermato di non aver pensato di usare la bacchetta. La Granger
odiava quando erano gli altri a farle notare le scorciatoie che la magia poteva
concedere a quelli come loro.
«Diversamente dal tuo viziato sedere purosangue, Malfoy»
gli ringhiò contro, cercando di apparire minacciosa ma senza riuscirci più di
tanto, non con il naso ancora tutto rosso «io sono cresciuta senza usare la
magia per ogni sciocchezza. Non ti farebbe male provare a non usarla per un
po’, sai? Ne otterresti maggiore soddisfazione. Dimmi, la usi anche per legarti
i lacci delle scarpe?».
Draco ghignò, facendole l’occhiolino. «Oh, Granger,
possibile tu debba essere sempre così babbana?
A volte mi sorprendo che tu sia riuscita a diplomarti con il massimo dei voti.
A questo punto, mi chiedo se tu non abbia provato ad usare dei fiammiferi per
accendere il fuoco, durante i MAGO» le disse, divertito, alludendo
all’incantesimo Incendio che veniva
chiesto a tutti gli studenti dell’ultimo anno, affinché potessero dimostrare di
saper controllare la magia ed accendere un fuocherello
sotto un bollitore, piuttosto che incendiare l’intero tavolo.
La Mezzosangue strinse le labbra, arrossendo leggermente.
«Devi essere molto stanco, Malfoy» borbottò, con la faccia più seria che riuscì
a tirar fuori.
Quel brusco cambiamento di direzione fece accigliare
Draco, che non fece nulla per nascondere la sua sorpresa.
«Chiedo scusa?».
«Ho detto che devi essere molto stanco» ripeté Hermione,
inumidendosi le labbra. Sembrò lottare contro se stessa per non scoppiare a
ridere. «Mi rifiuto di credere che essere così stronzo
ti venga naturale, devi sforzarti davvero tantissimo per essere continuamente
così insopportabile».
Un silenzio attonito fu tutto ciò che Hermione ottenne in
risposta. Silenzio ed uno sguardo carico di sorpresa, shock e, seppur molto
infondo, un bel po’ di divertimento.
«Non abbiamo tempo da perdere, Malfoy» riprese allora lei,
raddrizzando le spalle, nuovamente piena di orgoglio – fastidiosissimo orgoglio
Grifondoro – e di una sicurezza che, agli occhi di Draco, la faceva apparire
ancora più insopportabilmente attraente. «Vorrei risolvere questa storia prima
dell’ora di cena».
Prima dell’ora di
cena. Quelle
parole fecero nascere qualcosa di oscuro in Draco.
«Cosa devi fare all’ora di cena, Granger?» domandò quindi,
ricominciando a camminare e facendo il possibile per mostrarsi assolutamente
impassibile alla notizia. Non le avrebbe dato la soddisfazione di farle vedere
la sua gelosia. Almeno, non in modo troppo spudorato.
«Non sono affari tuoi» ribatté lei, secca, sollevando la
bacchetta per illuminare il corridoio buio e ammuffito. «Comunque, considerando
che arriveresti a torturarmi pur di saperlo, devo andare da Harry. Ho promesso
a Gin che le avrei fatto compagnia nel turno di notte» fece una piccola
smorfia, che Draco trovò tanto corrucciata quanto affascinante. «Non mi piace
saperla da sola in quella stanza».
«Ma non è da sola» fu la puntualizzazione che lui non
riuscì a trattenere. «Potter è ancora vivo, nonostante tutto. Sono sicuro che non
le dispiacerà moltissimo poter restare al suo fianco tutta la notte. Non a
tutti i parenti dei malati è concesso».
Non era concesso a
sua madre, pensò,
sentendo un certo fastidio alla bocca dello stomaco. Narcissa
Malfoy poteva parlare con suo marito soltanto per un’ora ogni giorno, mentre
agli amici ed ai parenti di Harry Potter era stata lasciata libertà assoluta di
visita.
Non era concesso
neppure al Dottor Crave, si rese conto un attimo dopo, ricordando di aver visto più di una
volta la figlia del dottore da sola, presa dalla lettura di un vecchio libro in
attesa che arrivasse l’orario di visite e che suo padre potesse farle
compagnia.
«Per quanto il suo cuore stia battendo, Harry non è lì»
mormorò Hermione, gli occhi bassi e le spalle improvvisamente rigide. Quella
confessione dovette costarle moltissimo. «Le permettono di restare perché
credono che la vicinanza possa aiutarlo a tornare indietro… ma non io non credo
che sia sufficiente. Non può esserlo, perché Harry non è lì».
«Hai parlato dei tuoi sospetti con i Guaritori?» domandò
allora Draco, nonostante una parte di sé gli stesse facendo notare che lui, al
posto della donna, non avrebbe neppure preso in considerazione l’idea di
aprirsi con lui al riguardo.
«No, troppo rischioso. Potrebbero smettere di cercare di
aiutarlo». Naturalmente, Hermione Granger non era Draco Malfoy. Lei non era
maliziosa, non era crudele. «Stanno facendo di tutto perché lui è Harry Potter,» continuò, cupa, «se io
dovessi dire loro che Harry Potter
non è più in quel corpo, allora lo lascerebbero morire prima che io possa avere
il tempo di trovare una soluzione».
Draco si accigliò. «Tu, Mezzosangue? Pensi di riuscire
dove i migliori medici del mondo magico hanno fallito?».
La Granger accennò un sorriso, fermandosi in mezzo a ciò
che restava del vecchio corridoio. «Ho parlato con il migliore fra tutti i medimaghi» gli
rivelò. «Lui concorda nel credere che se riusciremo ad impedire il ritorno di
Voldemort, allora Harry riuscirà a tornare indietro».
Senza riuscire a impedirlo a se stesso, Draco pensò al
Dottor Crave, scuotendo immediatamente il capo per abbandonare l’idea.
No, se avessero
collaborato davvero, il Dottore lo avrebbe avvertito di sicuro.
«Indietro da dove?» chiese allora, mentre si avvicinavano
ad un bivio.
Hermione gli fece cenno di andare a destra, mentre lei,
evidentemente, sarebbe andata a sinistra. Aveva deciso che si sarebbero divisi
e, data l’intensità del suo sguardo, Draco non provò neppure a dissuaderla,
consapevole che non ci sarebbe mai riuscito. Semplicemente, la seguì ed ignorò
le proteste.
«Dal limbo in cui sta combattendo contro Voldemort».
***
Si resero conto che ci fosse qualcosa di terribilmente
sbagliato solo al terzo corridoio, quando Hermione si sentì mancare il fiato e
le gambe tremare come se avesse scalato a piedi il Monte Everest.
«Malfoy?» chiamò, portandosi la mano al petto, cercando di
inalare più ossigeno, ma sentendo tuttavia le ginocchia cedere e la vista
appannarsi sempre di più. Fortunatamente, lui riuscì ad afferrarla prima che
toccasse il suolo.
«Granger, che ti prende?» preoccupato, lui l’aveva fatta
sedere con le spalle poggiate al muro, sfiorandole la fronte con le dita
gelide. «Non potevi avvertirmi prima? Ci saremmo fermati a riposare» aggiunse,
con uno strano tremore nella voce.
Quando lei riuscì a schiarirsi la vista, comprese il
perché di quel tono tanto debole. Malfoy era pallido, con delle profonde
occhiaie violacee e sudore nonostante fosse gelido come la morte. Più che il
meraviglioso giovane uomo che sapeva fare strage di cuori, ad Hermione ricordò
moltissimo quei piccoli bambini licantropi che avevano scovato una volta
arrestato Greyback, sul fondo di una caverna fredda e
buia.
«Io avrei dovuto
avvertirti? Malfoy, tu sembri sul punto di collassare!»
quasi si mise ad urlare, tanto quella faccia la spaventò. Senza voler sentire
ragioni, lo trascinò accanto a sé, riuscendoci con particolare facilità. Il
gemito dolorante che gli sentì emettere confermò la gravità delle sue
condizioni.
«Mi sembra quasi di avere la febbre» mormorò Malfoy,
passandosi la mano sugli occhi infossati. «È come avere un peso continuo sul
petto, hai presente? Non è possibile che siamo passati davanti a dei dissennatori senza rendercene conto?».
Quella domanda fece accigliare la strega, che si voltò a
fissarlo, confusa. «Perché mi chiedi questo? Come… come hai collegato i dissennatori?»
Lui fece una smorfia, poggiando il capo contro il muro ed
impallidendo ancora di più, proprio quando Hermione si era abituata a quel
colorito già anormale di suo. «Questa era la sensazione che provavo sempre,
quando quelle bestiacce pattugliavano il Manor»
disse, passandosi la mano sinistra sul braccio destro, come a volerlo
nascondere. «Non siete stati gli unici ad avere delle balie indesiderate,
Granger».
Il ricordo di quel periodo fece stringere lo stomaco ad
Hermione. Ricordava fin troppo bene com’era stato quel periodo e, soprattutto,
ricordava perfettamente il Manor. L’istinto di
nascondere ancora di più il braccio su cui lei sapeva esserci stata la
cicatrice lasciatale da Bellatrix la assalì
prepotentemente, ma riuscì a controllarsi. Dopotutto, era riuscita a farla
sparire nei primi anni seguenti alla guerra, con giusto qualche incantesimo
estetico. Nonostante tutto, Bellatrix non aveva usato
la magia nera, per procurargliela.
Ma per il Marchio
Nero era necessaria.
L’improvvisa consapevolezza di cosa lui stesse nascondendo la fece voltare dalla sua parte, una
mano a coprirle la bocca per non mostrare in modo troppo spudorato quanto fosse
spalancata per la sorpresa. Il ricordo della sera in cui lui l’aveva baciata –
perché spinto dall’afrodisiaco di Augusto Caetani,
sicuramente – riapparve come un flash, permettendole di riportare alla mente la
fasciatura che copriva il suo braccio destro.
Come aveva fatto a non rendersene conto prima? Era l’unico
pezzo di stoffa che lui aveva addosso, era davvero possibile che le fosse
semplicemente sfuggito?
Sì, certo che era
possibile, si
rispose, dandosi dell’idiota.
Lui era nudo, c’era
molto altro cui prestare attenzione.
Stava diventando una maniaca.
«Granger, perché mi stai fissando in quel modo? Mi è
spuntato un terzo occhio? Sanguino? Mi è uscito un brufolo?» sbottò lui, portandosi le mani sul viso e tastando i propri
lineamenti alla ricerca di qualcosa di sbagliato. Quell’ultima ipotesi elencata
sembrava preoccuparlo più delle prime due. «Per Salazar, Mezzosangue, mi stai
facendo preoccupare!».
Certo che si stava
preoccupando, erano senza forze per ragioni sconosciute e totalmente da soli
contro qualsiasi pericolo si stagliasse sulla loro via.
Non era il momento di farsi prendere dallo sconcerto,
Malfoy non era certo l’unico Mangiamorte pentito con cui lei era entrato in
contatto.
Ma non aveva mai
creduto che lui fosse effettivamente stato uno di loro, neppure quando Harry le
aveva raccontato l’incidente della Torre di Astronomia.
La verità era che la speranza che in realtà non fosse
stato coinvolto fino a quel punto le aveva sempre permesso di guardare con maggiore
umanità ai suoi familiari. Ripetersi che Narcissa e
Lucius non avrebbero mai venduto in modo così spudorato il loro unico figlio le
aveva permesso di considerare tutti i Mangiamorte come umani, seppur deviati e
crudeli.
Se Harry le aveva detto la verità, allora quell’oscuro
tatuaggio gli era stato imposto ad appena sedici anni, insieme al fardello di
dover salvare tutta la sua famiglia dalla rovina.
Non aveva mai avuto
una scelta, così come non l’aveva avuta neanche Harry.
Ma lei, in quel momento, la possibilità di scegliere ce
l’aveva.
«Hai detto Dissennatore, ma non c’è traccia del freddo che
li caratterizza. Ho pensato ad un’altra creatura che potrebbe avere lo stesso
effetto».
Scelse di rimandare quella discussione, semplicemente. Non
era il momento e non era neppure il luogo per rivangare un passato che sapeva
avrebbe fatto soffrire entrambi. E, comunque, aveva davvero immaginato quale
creatura potesse averli attaccati.
Lui, naturalmente, la fissò come se fosse impazzita. «E
c’è bisogno di reagire in quel modo?» le domandò, accigliato, prima di
irrigidirsi leggermente. «È una creatura molto pericolosa? Classificazione?» le
chiese quindi, riducendo gli occhi a due lame sottilissime.
Hermione scosse il capo. «Non sono ancora stati
classificati, nessuno ha mai avuto il piacere di incontrarne uno dal vivo. Si
tratta più che altro di leggende» iniziò a spiegare, cercando di tirarsi a
sedere ed allungando le mani verso il colletto della camicia di lui.
«Slaccialo» ordinò brevemente, quando constatò di non avere abbastanza forza da
protendersi in avanti e concentrarsi contemporaneamente nella semplice azione
di rimuovere i bottoni dalle asole.
Quando lui tirò fuori un sorrisino compiaciuto, le venne
voglia di picchiarlo.
«Granger! Non ti facevo così intraprendente… normalmente
non mi sottrarrei a certe iniziative, ma davvero non mi pare il caso…» provò a
dirle, con un tono che – fortunatamente per lui – era inevitabilmente
scherzoso, mentre obbediva a quel bislacco ordine. «Cosa speri di trovare, sotto
la mia camicia? Credo tu abbia avuto modo di constatare di persona che io abbia
solamente due capezzoli e muscoli non troppo defin-porca puttana».
L’imprecazione con cui interruppe quel suo sproloqui fu la
stessa che Hermione urlò nella propria mente, nel momento in cui i suoi occhi
si posarono sull’impronta di un morso dalla forma umana ma decisamente troppo
grande, proprio sulla spalla di Malfoy. La ferita era abbastanza profonda, ma
doveva aver smesso di sanguinare da almeno un’ora, forse meno grazie alla
strana patina verdastra che la ricopriva.
Presa dal panico, Hermione non si ribellò quando Malfoy
allungò velocemente le mani per allentare anche la sua camicia, scoprendo un
morso praticamente identico anche sulla propria spalla, coperto dalla stessa
porcheria verde.
«Hermione, cosa cazzo significa?» le domandò, con un filo di voce,
sollevando lo sguardo dalle loro ferite per portarlo al viso di lei. Il pallore
non era più dettato soltanto dalla debolezza. «Io non conosco nulla che possa
fare una cosa del genere, soprattutto senza lasciare alcun ricordo».
«Io sì» mormorò lei, guardandosi intorno, sentendo come
se, all’improvviso, ogni ombra potesse celare il loro nemico. «Si chiama Ubir, è un mostro
della mitologia Turca» gli spiegò, cercando con tutte le sue forze di
deglutire. «Prova ad immaginare cosa succederebbe se un vampiro ed un
dissennatore avessero un figlio».
La smorfia che le dedicò valse più di mille risposte.
«Qualche dettaglio in più non sarebbe male, Granger».
«Forma umanoide, grossi denti aguzzi, succhia via la linfa
vitale da qualsiasi essere, come un vampiro, ma è più una questione d’anima che
di vita vera e propria» cercò di sintetizzare, nervosa. «Quantomeno, questo è
tutto ciò che dicono le leggende. Sembra sia impossibile vederlo e
sopravvivere, immagino che abbia un meccanismo di difesa che narcotizza le sue
vittime, così che queste muoiano senza lamentarsi o, comunque, vadano via senza
ricordare».
«Un po’ come il verme di Versailles, questo mi stai
dicendo?» azzardò lui, rialzandosi in piedi a fatica e cercando di rilassare le
spalle. Restare accovacciati stava danneggiando i loro muscoli deboli, anche
Hermione poteva sentire i suoi lamentarsi. «Come possiamo ucciderlo?» chiese
poi, allungandole la mano per aiutarla.
Considerato il pallore, probabilmente quello fu più un
gesto di cortesia che di vero aiuto.
«Non come il Verme della Memoria, no» spiegò,
risollevandosi senza approfittare troppo di quella mano offerta tanto
gentilmente. «Quello succhia via i ricordi, questo ti rende completamente
incosciente. Te l’ho detto, un incrocio fra un dissennatore ed un vampiro.
Immagino che non abbiamo alcuna memoria perché il trauma è stato così forte da
impedirci di realizzare l’accaduto. Alcune volte la mente difende se stessa».
Non preoccuparti se
con il passare del tempo avrai dei flash, fino ad ora la tua mente ha protetto
se stessa dall’accaduto.
Quasi come se l’avesse sentita, Malfoy rabbrividì.
«Qualcuno mi ha detto una cosa simile, una volta» spiegò,
notando il suo sguardo curioso. «Non è una persona particolarmente gentile,
sentirti dire quelle parole mi ha fatto una certa impressione».
Non una persona
particolarmente gentile.
Un dubbio nacque spontaneamente in Hermione, ma lei si
impose di ignorarlo. Non era assolutamente il momento per certe cose, dovevano
trovare un modo per sopravvivere.
Dopo, si disse.
Dopo avrebbero
parlato di un bel po’ di cose.
«Fermo un attimo» intimò al suo accompagnatore,
schiarendosi la voce. Fortunatamente, il miglior professore di Difesa che avesse
mai avuto – migliore anche di Harry, nonostante non avesse mai osato dirglielo
– le aveva insegnato una tecnica infallibile per recuperare le forze. Questa
volta non perse tempo e, con un colpo di bacchetta, appellò dalla propria
borsetta una barretta di cioccolata, scartandola velocemente e dividendola in
due parti uguali. «Mangiane un po’, ti farà bene».
Accettando l’offerta, Malfoy le lanciò un’occhiata
divertita. «Mi è sembrato di vedere Lupin, lo sai? Stessa espressione
rassicurante» le disse, scuotendo il capo ed addentando la sua cioccolata. «Hai
mai pensato di fare l’insegnante? Hai sempre avuto l’aria da maestrina».
Hermione strinse le labbra, sentendo quelle parole. Sì,
aveva pensato di intraprendere la carriera accademica e, quando la professoressa
McGranitt le aveva proposto di prendere il suo posto come insegnante di
Trasfigurazione, lei aveva rifiutato immediatamente.
Cosa avrebbe fatto
Ron, se lei fosse andata via per così tanto tempo?
«Non credo vada bene per me» rispose invece. «Troppa poca
azione e troppi ragazzini, potrei perdere facilmente la pazienza».
«Soprattutto se dovesse capitarti un piccolo principino
rompiscatole com’ero io, giusto?» ribatté Malfoy, con una risatina. «Merlino,
Mezzosangue, ancora mi fa male la mascella, se penso a quel ceffone che mi hai
dato al terzo anno!».
Divertita, imbarazzata ma soprattutto curiosa, Hermione lo
guardò con la coda dell’occhio. «Non credevo ricordassi quell’episodio. Io ho
smesso di pensarci da un bel po’ di tempo. Non ti ho colpito così forte».
Malfoy si accigliò, toccandosi l’osso in questione, come
se il colpo fosse stato recentissimo. «Se devo esser sincero, ho cercato più
volte di dimenticare ma il mondo ha fatto di tutto per ricordarmelo. È stato un
ceffone così forte da restare nella storia, Granger! Una ragazza più giovane di
noi me l’ha rinfacciato proprio qualche giorno fa».
Hermione si trattenne a stento dal rivelargli che la torre
Grifondoro fosse solita festeggiare quel suo gesto come se, da solo, fosse
stato sufficiente a consegnare loro la Coppa del Quidditch. Era stato Harry a
raccontarlo in giro, quando Malfoy stesso aveva spifferato alla Skeeter le bugie su una loro ipotetica storia d’amore,
peggiorando tutta la situazione con Ron.
Fece per rispondergli, chiedendogli di smetterla di
lamentarsi come un bambinone, ma qualcosa le impedì di parlare. Qualcosa che
aveva sembrava essere un uomo, ma che la sua mente si rifiutava di registrare
come tale. Un guscio vuoto, con il petto squarciato ed il cuore che era stato
violentemente strappato via e spremuto come un frutto troppo maturo. Il sangue
sporcava gli abiti identici a quelli che le guardie dell’ingresso indossavano,
gli occhi erano spalancati e vitrei, spenti come quelli di un qualsiasi
cadavere, nonostante quella creatura non sembrasse davvero morta.
Non secondo la comune concezione di quel termine,
comunque.
«Resta qui, Hermione» la ammonì Malfoy, freddo, tirandola
indietro mentre lui avanzava, con la bacchetta tesa. Lei si sarebbe ribellata,
se lui l’avesse fatto solo per farla sentire debole, ma considerando la nausea
insopportabile che quella vista le diede preferì fare come le era stato
chiesto.
Aveva imparato a sue spese di non dover mai attraversare i
propri limiti.
Osservò il suo collega esaminare il cadavere, spostando
arti e brandelli d’abito con la magia, pur di non sporcarsi con sangue o altra
sostanza gelatinosa. Alla fine, quando si voltò verso di lei, c’era un certo
allarme nel suo sguardo.
«Credo sia morto poco tempo fa, è ancora tiepido. Chiamami
folle, ma temo che la bestiola non sia poi tanto lontana da qui» le disse,
allontanandosi dal cadavere. «Considerando che questa è una strada che noi
abbiamo certamente percorso, credo che inizialmente abbia tentato di attaccare
noi, per poi concentrarsi su questo povero malcapitato e lasciarci stare,
nonostante io non la ritenga una strategia molto sensata».
«Sempre che non abbia deciso di lasciarci andare per il
puro piacere di inseguirci» sussurrò lei in risposta, sentendo il cuore in
gola. Le ombre erano sempre più minacciose e sempre più pericolose, alle sue
spalle. Stava calando la notte, era un pessimo, pessimo segno. In cerca di una qualche risposta, allora, Hermione
notò una scia di sangue sul pavimento che conduceva verso il corridoio di
sinistra. Con il cuore in gola e la bacchetta alta, fece qualche passo nella
direzione, illuminando con un Lumos un altro cadavere e, poco più in là, almeno altri due.
«Malfoy, credo ci abbia lasciati andare perché aveva trovato altro…
intrattenimento».
Lui l’aveva già raggiunta, facendo con lei la macabra
scoperta. «Ho idea che quelli armati gli piacciano di più».
Sentendo quelle parole, Hermione ricordò un piccolo
aneddoto che MerrickRosier
le aveva raccontato, parlando della storia che circondava il Palazzo e la sua
caduta.
«Affilati sono i
suoi denti, infinita il suo desiderio di Morte. Finché il Guardiano della Roma
d’Oriente vivrà, i suoi Sovrani non temeranno alcun nemico» recitò allora,
sentendo il cuore perdere qualche battito. Si voltò verso Malfoy, con gli occhi
enormi. «Le guardie erano una minaccia più grande di noi, perché noi non
vogliamo distruggere nulla. Noi non siamo nemici dell’Impero».
«Di cosa diavolo
stai blaterando, Granger?» le domandò lui, ansioso. «Mi sembra di sentir
parlare la mia prozia Alhena*!» aggiunse, voltandosi
per controllare che niente – o nessuno – bloccasse
la loro unica via di fuga.
«Una leggenda vuole che a guardia dell’Impero d’Oriente ci
fosse una creatura mostruosa, la stessa che ha divorato Irene, prima che questa
potesse sposarsi con Carlo Magno e porre fine alla storica separazione» iniziò
a raccontare, percependo tuttavia uno strano e fastidioso prurito al collo.
«Gli Imperatori lo chiamavano Guardiano
della Roma d’Oriente. Si dice che sia caduto insieme a Costantinopoli, nel
1453, durante-».
«La conquista della città, lo so» la interruppe il biondo,
esasperato. «Mezzosangue, sono un archeologo ed un collezionista, conosco
abbastanza bene i fatti della storia». I suoi occhi grigi saettarono, nervosi,
da un capo all’altro del corridoio. «Come hanno fatto a controllarlo, mi
chiedo. Evidentemente non è morto nell’assedio».
Merrick le aveva detto qualcosa, al
riguardo, qualcosa che lei non riusciva a ricordare. Forse aveva esagerato con
il drink che la stessa Auror le aveva messo davanti**.
La sensazione di qualcosa di freddo e umido sul collo le
impedì di parlare. Semplicemente, allungò il braccio per afferrare quello di
Malfoy.
Il modo in cui lui la guardò e sgranò gli occhi avrebbe
fatto morire di paura anche il più coraggioso dei Grifondoro.
Bastò uno sguardo d’intesa ed Hermione si gettò a terra,
mentre un lampo di luce verde colpiva in pieno la creatura alle sue spalle,
riuscendo soltanto a scalfirla.
Naturalmente, si disse lei, mentre Malfoy la
aiutava a fatica a rialzarsi ed iniziava a correre lungo il corridoio gelido, era una creatura vissuta per secoli e
secoli, un’Avada Kedavra non l’avrebbe di certo
uccisa.
«Cosa dobbiamo fare, Granger?» le chiese Draco, mentre
scavalcavano a fatica una lunga scia di cadaveri. «Quella bestia ha mangiato
parecchie anime, ma sembra piuttosto ingorda» aggiunse, con un cipiglio
particolarmente preoccupato.
Hermione, nel frattempo, aveva impedito a se stessa di
vedere qualcosa in più che dei semplici sacchi di carne nelle carcasse ai suoi
piedi. Non sarebbe riuscita a scavalcarli o calpestarli, altrimenti. Osservare
la creatura – un’animale dalle fattezze quasi umane, ma molto più grosso, con
il corpo coperto di squame nere, una lunga lingua blu e dei grandi occhi rossi
– era stato sufficiente per i suoi nervi, non ce l’avrebbe fatta a reggere
altro.
Non se doveva ricordare cosa le aveva detto Merrick.
Si dice che Maometto
II abbia usato un’arma abbastanza forte da contrastare il potere della
creatura. Un potere uguale ma diverso.
La creatura doveva essersi presentata con la partenza
dello Specchio, per poi rivoltarsi contro la sua stessa creatrice. Si era
eletta a protettrice dell’Impero, sfruttando il desiderio di distruzione che
aveva sempre accompagnato i nemici di quest’ultimo.
Ma Maometto II non
voleva distruggere.
Voleva conquistare,
non difendersi da una conquista.
Improvvisamente conscia di ciò che avrebbe dovuto fare,
Hermione si fermò e si voltò a fronteggiare il loro inseguitore, sorda dei
richiami di Malfoy e dei suoi deboli tentativi di trascinarla via. Non ce
l’avrebbe fatta a restare immobile, in effetti, se non fosse stata animata da
quella convinzione.
Quando la bestia fu a pochi centimetri da lei e si fermò
per spiccare il balzo, lei alzò la bacchetta e pronunciò una Maledizione Senza
Perdono, ma non la stessa che Malfoy aveva provato ad usare.
«Imperio».
«Ancora mi chiedo come facciamo ad essere vivi, Granger»
sbottò per l’ennesima volta Malfoy, lasciando che il Medimago
gli sistemasse una piccola benda sulla spalla.
Hermione era già stata curata, ma aveva preferito
aspettare per assicurarsi che anche lui stesse bene. Dopotutto, il suo nuovo amichetto non aveva preso bene il fatto
che lui avesse tentato di strappargliela dalle zampe, sballottandolo un po’ per
la stanza.
«Quella è una creatura fatta d’anime, non può morire» gli
spiegò, con un sorrisino compiaciuto. «Non potendo morire, però, può comunque
essere controllata. Ed è ciò che ho fatto io… e ciò che ha fatto Maometto II
nel 1253, quando l’Imperatore gliel’ha sguinzagliato contro».
«Quello che ha fatto
lei» sbottò Malfoy, con una smorfia. «Come se fosse stata una cosa
normalissima, vero? Usare un Imperius… avrebbe
potuto ucciderci tutti e due, lo sai?».
«Ma non l’ha fatto! Ed ora continuerà a proteggere gli
scavi dai malintenzionati… senza uccidere nessuno» ribatté lei, particolarmente
fiera di se stessa. «Fuffy
ci ha anche aiutati a trovare quello che
ci serviva, Malfoy, non essere irriconoscente» aggiunse, alludendo allo
specchietto che, in quel momento, giaceva in pezzi nella sua borsetta.
«Fuffy?» sbottò allora Malfoy, ricevendo
un’occhiataccia dal Guaritore. «Hai dato un nome
a quella cosa infernale?» le domandò,
passandosi la mano libera fra i capelli scompigliati. «Davvero, Granger,
secondo me hai passato troppo tempo con Hagrid».
Hermione ridacchiò, ripensando al cane a tre teste che
aveva incontrato il suo primo anno. E al drago. E all’Ippogrifo. Aragog non l’aveva conosciuto, ma valeva comunque.
«Diciamo che sono andata alla vera natura di quella povera
creatura indifesa» gli rispose, tranquilla. In quel momento, borbottando di una
pozione sbagliata, il Guaritore si congedò, lasciandoli soli. «Fatti
controllare per bene, domani mattina dovremo partire per Jhelum».
Con una faccia ancora parecchio contrariata, lui annuì.
«Sei sicura che sia quella la meta? Non che mi dispiaccia, il Pakistan è
meraviglioso, ma l’antica India è molto grande. Hai visto un elefante ed una
donna con tante braccia? Non c’era una cartina geografica».
«Ho visto un destriero cadere proprio in mezzo ad un
fiume. Un cavallo dalla grande testa incoronata. Dici di conoscere la storia,
possibile che tu non sappia della fine di Bucefalo e, soprattutto, del declino
di Alessandro Magno?» lo scimmiottò, alzando gli occhi al cielo. Poi,
agilmente, balzò giù dal tavolino su cui si era seduta. «Ci vediamo domani
mattina davanti casa mia, Malfoy, questa volta ho io un buon aggancio».
«Dove stai andando, adesso? Ancora non è arrivata la tua
amica Weasley» le chiese, confuso, senza tuttavia obiettare sul piano. Avevano
discusso più che a sufficienza nel tragitto da Istanbul all’Ospedale.
Con un sospiro, Hermione gli lanciò un’occhiataccia da
sopra la spalla. «Vado a scambiare quattro chiacchiere con il Dottor Crave,
Malfoy. Credo che il nostro
psicanalista mi debba un bel po’ di spiegazioni».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto,ho una paginafacebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
CE L’HO FATTA.
Sono sparita per due settimane e vi ho
propinato dei capitoli terrificanti, ma finalmente quel brutto esame cattivo è
sparito ed ora posso dedicarmi un po’ di più alla scrittura. Naturalmente dovrò
prepararne altri, ma non credo proprio che saranno stressanti come
quest’ultimo. Grazie a chiunque mi abbia pensata!
Punti importanti:
» Prima di tutto, la citazione. La paura di
esser conquistati (o mangiati) avrebbe decretato la fine di quei due, perché,
naturalmente, avrebbero reagito per difendersi da morte certa, senza riuscire
ad uccidere. Conquistare, invece, avrebbe significato controllare la mente del
mostro. Per conquistare (quindi, per usare l’Imperius)
serve convinzione. Senza convinzione, l’incantesimo non funziona.
» * La prozia Alhena è la madre di Merrick. Avendo Hermione ripetuto una frase della stessa
cugina, è naturale che abbia imitato, involontariamente, una Malfoy.
» **Fa riferimento alla bevanda con cui, due capitoli fa, Merrick stessa l’ha fatta cadere nella trappola di Malfoy.
»La belva cui si fa riferimento esiste
davvero nella mitologia turca, ma io l’ho interpretata un po’ a modo mio. Come
sempre, abbiate pazienza, sono una che non sa attenersi alle regole. Ho
lavorato parecchio di fantasia, ma spero che almeno un po’ il mio ragionamento
sul “funzionamento” psicologico della creatura abbia funzionato.
»Ho lavorato MOLTO
di fantasia riguardo i fatti successi fra la caduta di Irene e quella
dell’Impero d’Oriente. Storici ed esperti, perdonatemi. Fans di Maometto II, spero di non aver offeso la vostra
sensibilità. Dopo il Re Sole, la Strega di Biancaneve, Dante e Bonifacio VIII, infangare la memoria di tre Imperatori è
ancora più orribile. Perdono.
»Naturalmente, l’Assedio di Costantinopoli del 1453 è realtà storica.
Non ho intenzione di fare la maestrina al riguardo,
ma si tratta dell’anno in cui ha avuto ufficialmente fine l’Impero Romano
d’Oriente.
» Hermione ha collegato parecchi punti, in questo capitolo!
Credo proprio che il dottor Crave avrà un bel po’ di guai. Questo succede
quando si riciclano le stesse frasi per diversi pazienti, caro mio!
»Prossima tappa, Pakistan! Avevo intenzione di spedirli a Mumbay, ma mi sono resa conto dell’impossibilità della
cosa. Dopotutto, devono seguire le orme di Alessandro Magno! Lui, infatti,
oltre ad essere nella top 3 dei miei personaggi storici preferiti è stato il
primo imperatore greco a spingersi verso i confini dell’Oriente, concludendo il
suo viaggio con la battaglia dell’Idaspe (le truppe
si rifiutarono improvvisamente di continuare) e fondando, proprio lì, la città
di Alessandria Bucefala, oggi Jhelum.
Perdonatemi se l’indizio è disgustosamente ignorante, ma non sapevo come
renderlo. Il nome della città, infatti, deriva dall’episodio della morte
dell’amato cavallo di Alessandro, che si chiamava Bucefalo.
Non credevo di poter pubblicare in tempo,
ma ce l’ho fatta! Alla settimana prossima con l’incontro Hermione/Dottor Crave!
Grazie infinite a tutti
coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia
ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di
pubblicare ancora. Grazie, davvero.
Capitolo 19 *** Atto XII - Parte I/ Il mostro sotto al letto. ***
LoSpecchio delle Anime.
Mileaftermile, above, beneath,
Onehas a smile and onehasteeth,
Though the man abovemightsay hello,
Expect no love from the beastbelow.
[DoctorWho
– La bestia di sotto s5e02]
Atto XII – Parte I
Il mostro sotto al letto.
«Mi chiedevo quanto avresti impiegato a capire.
Devo dire di essere deluso, Hermione, ho lasciato andare indizi da quando avete
iniziato a lavorare insieme» disse il Dottore, non appena lei fece irruzione
nel suo studio, senza neppure voltarsi per guardarla.
Dalla sua posizione, Hermione riusciva a scorgere
soltanto le sue spalle ed i capelli lievemente brizzolati. Il tono era
divertito, ma le sembrò troppo rigido, anche rispetto i suoi standard. Il gatto
dall’aria svampita, che solitamente non usciva da sotto il divano, le si
avvicinò e si strusciò contro le sue gambe, quasi volesse esser preso in
braccio.
Strano.
Vagamente preoccupata, ma ferma nel suo proposito,
Hermione marciò lungo tutto lo studio, fino a fronteggiarlo. Allora, nonostante
lui fosse impegnato con dei documenti, gli si posizionò davanti a gambe larghe
e mani sui fianchi, sbattendo il piede per terra per richiamare la sua
attenzione.
Non avendo successo, si decise a parlare.
«Avrebbe dovuto avvertirmi, dottore. Questo è
conflitto di interessi, lo sai?» gli disse, irritata. «Sapevo che lei era il
medico con la peggior etica del lavoro cui ci si potesse rivolgere, ma
addirittura questo!» aggiunse, con
uno sbuffo, iniziando a camminare per lo studio. «Io le ho confidato i miei
pensieri e lei, nel frattempo, faceva il doppiogioco».
Come se fosse stanco, il dottor Crave sospirò e
sollevò lo sguardo verso di lei, togliendosi gli occhiali da vista.
Hermione, in quel momento, gelò sul posto.
«Dottore?» esalò, spaventata, avvicinandosi di un
passo ed allungando la mano, quasi avesse voluto accertarsi che quello sguardo
distrutto e quelle borse scure fossero soltanto le conseguenze di una delle sue
solite notti brave. Qualcosa le disse che no, quella volta era diverso, non si
trattava di una sciocchezza. Non poteva. «Dottore, va tutto bene?».
«Non preoccuparti, Hermione, va tutto benissimo»
la rassicurò, accennando un lieve sorriso. «Solo dei piccoli problemi di
famiglia, nulla che tu possa risolvere o che riguardi il nostro rapporto» le disse quindi,
raddrizzandosi sulla sua poltrona. «Quanto alle tue velate accuse, come ti ho
già detto, ho provato a darti qualche indizio, ma tu mi sei sembrata più sorda
del solito, al riguardo. Sei sicura di non aver voluto capire?» le domandò, con quel solito tono impertinente che
lei aveva imparato a gestire ormai da qualche mese.
Naturalmente Hermione non si fece incantare da
quella scenata, leggere le emozioni delle persone era il suo lavoro e, per
quanto lui fosse difficile da decifrare, lei era davvero brava in quello che
faceva. Quella preoccupazione andava ben oltre i piccoli problemi, doveva esser successo qualcosa di orribilmente
grave, capace di togliergli il sonno.
Ma non
poteva far nulla, non quando era lei ad aver bisogno di lui.
«Perché non avrei voluto capire?» gli domandò
allora, accigliata, lasciandosi andare sulla sua solita poltrona. «Avrei potuto
sfruttarla per ottenere informazioni su Malfoy, no?».
Il dottore emise un grugnito che avrebbe dovuto
fungere da risata di scherno. «Non l’avresti mai fatto, così come non avresti
rinunciato ai nostri incontri. Tu hai bisogno di me, ma anche lui. Non posso
mandarvi via, entrambi siete in un momento troppo delicato della vostra
terapia».
Con un sospiro, Hermione annuì. Il dottore aveva
ragione, non avrebbe mai tentato di approfittare di una debolezza di Malfoy.
Non era quel tipo di persona.
«Lui lo sa?» gli domandò allora, vagamente
rassegnata, lasciando correre lo sguardo sui documenti che affollavano il
tavolino che li divideva. Avevano tutti lo stemma del San Mungo, probabilmente
si trattava di varie collaborazioni cui lui aveva preso parte. Per quanto
nessuno riuscisse a controllarlo, avevano bisogno del suo aiuto, almeno ogni
tanto.
«Naturalmente no, non ho neppure tentato di
farglielo capire» le rispose, poggiando le spalle allo schienale e
rilassandosi, nonostante sembrasse sempre sul punto di balzare in piedi alla
prima avvisaglia di pericolo.
Che qualcuno lo avesse minacciato?
«Perché no?» gli chiese allora, ricordando
l’infelice uscita con cui l’aveva salutato, all’ospedale. Se davvero il dottore
non gliel’aveva detto, allora l’aveva fatto lei, come un’idiota.
«Perché lui non è te, Hermione» ammise il Dottore,
con un sorriso divertito. «Per quanto io creda che non farà mai nulla di male
contro di te, dubito che non avrebbe cercato di estorcermi informazioni per
manipolarti».
L’espressione di Hermione dovette rivelare più di
quanto lei avrebbe voluto, perché il dottore alzò gli occhi al cielo e sospirò.
«Ero sinceramente convinta che lo sapesse già, mi
dispiace di aver dubitato della sua integrità professionale, dottor Crave»
ammise alla fine, mortificata, cominciando ad immaginare tutti i mille e mille
modi con cui Malfoy l’avrebbe torturata per estorcerle il motivo delle sue
visite.
Quanto a lui, non c’era bisogno di un genio. Era
stato costretto a diventare un Mangiamorte, suo padre giaceva in punto di morte
ormai da mesi ed il suo braccio destro era ancora marchiato a vita, nonostante
fosse sicura che il dottore gli avesse fatto prendere la stessa pozione che lei
stessa aveva fatto bere ai mangiamorte pentiti.
Non era guarito, quindi qualcosa era andato
storto.
«Non preoccuparti, mia cara, manterrò il tuo
segreto» la rassicurò allora il medico, con un sorriso gentile che era raro,
sulle sue labbra, come la cattiveria negli occhi di Hermione. Lei si preoccupò
ancora di più: quell’espressione non aveva fatto che sottolineare la stanchezza
dei suoi tratti. «Al riguardo, non mi hai più parlato dei tuoi incubi. Sono
ancora gli stessi?».
Come punta da uno spillo, Hermione raddrizzò le
spalle ed arrossì.
No,
decisamente i suoi incubi erano parzialmente cambiati.
«Hermione, ti ho già detto che non esistono tabù
in questa stanza» le rispose il dottore, con un accenno di sorriso stanco.
Avevano già affrontato quell’argomento, durante le prime sedute. Data la natura
della disgrazia che le era successa, essere timidi non avrebbe fatto del bene a
nessuno dei due.
Lei era stata concorde, per quanto difficile. Gli
aveva raccontato un po’ tutto quello che era successo o che le era passato per
la mente.
Ma quello
no, non gliel’avrebbe detto.
«Non è vergogna» si difese allora, schiarendosi la
voce. «I miei sogni sono cambiati, credo siano più normali adesso. Ma…» abbassò
lo sguardo, con un sospiro sconfitto. Non avrebbe voluto ammettere quell’altra,
orribile verità, ma si rese conto che fosse giunto il momento. Aveva deciso di
riprendersi, di guardare avanti: avrebbe dovuto affrontare quel suo ultimo
mostro sotto al letto.
«Ma?» il Dottore, come se avesse compreso la
gravità di ciò che lei stesse per raccontargli, allungò la mano per prendere
una delle sue strane sigarette casalinghe. Quando gliene offrì una e lei
accettò, le dedicò un’occhiata estremamente sorpresa. «Sei pronta a lasciar
andare il tuo fardello, non è vero, mia cara?» le domandò allora, senza
riuscire a nascondere la soddisfazione, tenendo la sigaretta fra le labbra ed
allungandosi per afferrare la bacchetta, abbandonata sul tavolino.
Hermione si avvicinò, permettendogli di accendere
la sua, per poi rilassarsi sulla poltrona e portare gli occhi al cielo. Voleva
raccontare, ma non poteva farlo guardandolo negli occhi. «Mi prenderà per
stupida, una volta che avrò finito. Non è poi così spaventoso» ammise alla
fine, inspirando lentamente e sentendo il naso pizzicare. Non aveva idea di cosa stesse effettivamente fumando, ma
non le importò.
«Non temere, non sono qui per giudicare» la
rassicurò lui, con un sorriso ben chiaro nella voce. Era incoraggiante, molto
più del solito, ma c’era sempre quella strana nota di stanchezza che stonava
con l’uomo con cui Hermione era solita battibeccare. «Qual è quest’incubo
ricorrente?».
Non è il
momento di pensare a lui.
«Il sogno è sempre lo stesso, ogni notte». Tranne una. «Io mi sto guardando allo
specchio, sono seduta sul letto della casa che io e Ron* dividevamo» iniziò,
sentendo un noto stringerle la gola. «Ogni notte c’è sempre un dettaglio
diverso, sa? Una volta le coperte sono rosse, altre volte blu. Oppure cambiano
i fiori nel vaso all’angolo della stanza. C’è sempre un dettaglio diverso».
Il dottore grugnì, facendole capire che fosse in
ascolto. Hermione lo vide alzarsi in piedi e dirigersi alle sue spalle, con le
maniche della camicia arrotolate. Lei sapeva cosa sarebbe successo a breve, ma
temeva il confronto. Era un metodo che lei non amava, durante i mesi precedenti
aveva preferito evitare, per quanto possibile.
Ma il medico era lui.
«Sei pronta?» le domandò, secco, mentre le puntava
la bacchetta sulla nuca, in una leggerissima pressione, l’altra mano si posò
sulla spalla di lei, delicata, come a volerla rassicurare.
«Non potrei mai essere più pronta di così,
Dottore» gli disse, tesa, chiudendo gli occhi. Nonostante la sua evidente
paura, era stata sincera. Non sarebbe mai stata più certa come in quel momento.
Un momento dopo, il gelo di quell’oblio forzato le
oscurò la vista e le rese pesanti le membra.
***
La prima volta in cui il dottor Crave l’aveva sottoposta al sonno forzato, lei aveva
paragonato l’esperienza alla prima volta in cui aveva utilizzato un Pensatoio.
Era come essere trascinati in un ricordo, assistendo come spettatori impotenti.
Anche quella volta, Hermione si ritrovò ad
osservare la versione peggiore di se stessa: gracile, pallida, raggomitolata su
se stessa in un angolo di quello che era stato il letto suo e di Ron per un
tempo che, col senno di poi, le sembrava sempre vergognosamente lungo.
Il Dottore, naturalmente, era al suo fianco,
freddo nella sua professionalità, con ancora la sigaretta fra le labbra. Lei la
sua non l’aveva portata nel sogno, probabilmente l’aveva poggiata sul
posacenere vicino prima di perdere conoscenza. Sperò davvero di esserci
riuscita, perché altrimenti a svegliarla sarebbe stata la puzza di bruciato.
«Questa volta il copriletto è verde e ci sono dei
gigli nel vaso» le fece notare l’uomo, guardandosi intorno, mentre la sua piuma
continuava a prendere appunti da sola. La ragazza del sogno, in cui Hermione
rivedeva se stessa nonostante non le piacesse affatto, sembrò non sentirli.
Ovviamente, pensò,
dandosi della stupida. Lei non esisteva.
«I sogni iniziano sempre così. Io mi guardo allo
specchio e la stanza sembra normalissima. All’inizio mi svegliavo convinta che
fosse la realtà, ero arrivata a non voler più chiudere occhio» spiegò,
incrociando le braccia al petto, in un gesto che le trasmise un’immediata
sicurezza. «Naturalmente, prima che venissi da lei».
Il Dottore annuì. «Comprensibile, era il tuo modo di
difenderti, prima di avere un modo per elaborare il trauma» mormorò, mentre la
ragazza del sogno si sollevava dal materasso, con una lentezza quasi
estenuante. Lui trattenne il fiato, quando, una volta in piedi, la morbida
camicia da notte lasciò intravedere una rotondità sospetta al ventre. «Questo non me l’aspettavo» ammise
allora, voltandosi verso l’Hermione reale,
in quel momento con gli occhi socchiusi.
Certo che
non se l’aspettava, non gliel’aveva mai detto.
«Non si sorprenda, Dottore» gli disse allora lei,
senza guardarlo. «L’Orrore deve ancora iniziare».
Era quello, il peggiore dei suoi segreti. Hermione
aveva giurato che nessuno avrebbe mai saputo cos’era davvero successo, in quei
giorni terribili. I suoi genitori non lo sapevano. Ginny
non lo sapeva. Il dottor Crave non lo sapeva.
Solo Harry.
Non
preoccuparti, tesoro, andrà tutto bene.
Il pensiero del suo migliore amico le fece venire
la nausea. Era stato molto più che un amico, molto più che un fratello. Harry
era stato ciò che le aveva impedito di togliersi la vita, quando tutto era finito. Era stato il suo unico
confessore, la parte migliore della sua anima torturata.
Harry aveva mentito
per lei. Aveva lottato per lei.
Harry era stato pronto ad uccidere per lei.
La ragazza del sogno si sfiorò quell’accenno di
pancione, sorridendogli in modo vuoto e canticchiando una strana melodia a
bassa voce. Intorno a loro, la stanza iniziò ad oscurarsi, come durante
un’eclissi. Le ombre si allungarono in modo innaturale, scurendosi,
addensandosi come pece sulle superfici.
«La guardi, dottore» disse la vera Hermione, con
una voce fredda che non le apparteneva, di solito. «Guardi quant’è stupida. Non
vede le ombre, pensa solo al suo bambino».
Il dottor Crave alternò
lo sguardo fra le due ragazze presenti, prima di concentrarsi sulle ombre che
li circondavano. Diventavano sempre più dense, sempre più tridimensionali.
Hermione non si mosse, quando qualcosa di nero e
denso come il petrolio le scivolò accanto, avvicinandosi alla sua controparte
nel sogno ed acciambellandosi ai suoi piedi.
In pochi minuti coprirono le finestre, eliminando
tutta la luce proveniente dall’esterno. La stanza era precipitata nel buio
totale, ma qualcosa non quadrava, qualcosa era sbagliato.
Senza la luce, le ombre sarebbero dovute sparire,
no? Era una legge della scienza, una di quelle leggi necessariamente vere, che
neppure la magia poteva derogare.
Eppure, le ombre erano ancora lì, ai piedi della
falsa Hermione, un corpo informe che cresceva e si innalzava alle sue spalle,
sfiorandole la pelle candida e lasciando, al loro passaggio lividi violacei e
tagli di varie dimensioni.
«Quei segni non fanno male, lo sa?» disse la vera
Hermione, senza distogliere lo sguardo da ciò che stava accadendo alla sua
controparte. «Nulla fa male, c’è troppa dolcezza, troppa bellezza per lei».
Le ombre informi assunsero una forma quasi umana,
delle mani scheletriche, scure, con dita lunghissime ed artigliate, si posarono
sulla pancia appena pronunciata. L’Hermione dell’incubo impallidì,
improvvisamente spaventata, dando per la prima volta le spalle allo specchio e
voltandosi per fronteggiare il suo nuovo nemico.
Il dottor Crave si
irrigidì, rafforzando la presa sul braccio della donna che aveva al suo fianco.
Non la guardò, quasi fosse troppo preso da quella scena.
Hermione non lo biasimò: neppure lei riusciva a
spostare lo sguardo, nonostante conoscesse fin troppo bene l’inevitabile
conclusione di quell’incubo.
Il mostro d’ombra accarezzò il viso della donna
gracile che aveva davanti, riempiendolo di tumefazioni e graffi. Il sangue
copriva quei tratti fino a quel momento delicati, unendosi alle lacrime che
avevano affollato i terrorizzati occhi castani, per poi scivolare via in una
cascata inarrestabile.
Il dottore trattenne il fiato, quando la donna del
sogno venne spinta con violenza contro lo specchio, che si ruppe in un milione
di pezzi acuminati. Delle schegge insanguinate spuntavano dalle spalle nude
della povera sventurata, mentre altri erano evidentemente incastrati fra i suoi
capelli.
Ogni frammento rifletteva la stessa immagine di
distruzione, coperta dallo stesso velo di orrore rosso sangue.
«Sei sicura di farcela?» la voce dell’uomo giunse
alle orecchie della vera Hermione come un sussurro, nonostante la presa sul suo
braccio fosse molto forte, quasi dolorosa. Il dottore temeva che lei non se la
sentisse di assistere, ma a lei non importava, non più. Vedeva quella scena
ogni notte, per una volta non vi avrebbe assistito completamente sola.
«Non è ancora finita» gli rispose lei, accennando
un sorriso senza allegria. Si voltò a guardarlo, mente la controparte onirica
veniva ancora malmenata dal mostro d’ombra. «Una volta una donna molto saggia
mi ha posto una domanda cui io ho dato risposta solo dopo l’incidente»
aggiunse, tornando ad osservare la scena.
«Chi? Quale domanda?» le domande del dottore arrivarono
veloci, concitate. Non sembrava a suo agio, in quel momento. Forse, per la
prima volta da oltre sei mesi, Hermione sentì della preoccupazione nel suo
tono.
«Quando un mostro non è un mostro?» chiese però
lei, senza rispondere alla prima domanda. Non credeva fosse il caso, non quando
la donna in questione era NarcissaMalfoy, la madre del suo collega e paziente di lui.
La creatura d’ombra non aveva smesso di
accarezzare il pancione. Il sangue aveva iniziato a macchiare in più punti la
sua veste candida, i lividi ormai coprivano tutto il suo corpo.
«Quando?» chiese quindi il dottore, in un
sussurro.
«Quando si è innamorati di lui».
In quel momento, il mostro conficcò la mano nel
pancione, squartando la giovane donna come se fosse stata fatta di sabbia.
Hermione – quella vera – osservò la sua
controparte urlare ed accasciarsi, senza muovere un muscolo. Aveva visto quella
scena troppe volte, non ne aveva più la forza di piangere o disperarsi.
«Hermione, lui
ti ha fatto questo? È tutto vero?».
Non si voltò a guardare il dottore, non fece
assolutamente nulla che potesse confermare o meno le sue parole. Si limitò a
fissare il mostro, mentre quello finiva di accanirsi sulla povera vittima ormai
senza più il suo bambino.
Fu allora che la luce ritornò, improvvisa come
un’esplosione, ed il mostro si rivelò per ciò che era davvero.
Hermione
fissò negli occhi se stesa, mentre sorrideva con crudeltà e si ripuliva le mani
sporche del sangue del suo bambino.
«Sono io il mostro, dottor Crave»
ammise alla fine, voltandosi verso il suo accompagnatore. «Non ho compreso
quanto grave fosse la situazione di Ronald finché non è stato troppo tardi. Mi
sono innamorata e quell’amore ha ucciso il mio bambino».
Allora, come se qualcuno l’avesse trascinata di
peso fuori dall’acqua un attimo prima che affogasse, si risvegliò dalla sua
trance.
***
«Non vuole chiedermi come ho fatto a convivere con
questo peso?» gli domandò, camminando senza meta per lo studio. Era scossa, ma
l’aver condiviso quel ricordo l’aveva aiutata ad accettare la parte più oscura
del suo passato. «Immagino che sia una domanda troppo ovvia per lei, non è
vero?» aggiunse, quando lui restò in silenzio.
Sulla mensola del camino c’era la foto di una
ragazzina con un grande sorriso e dei meravigliosi occhi chiari. Somigliava al
dottore, forse era una sua parente stretta.
«Non te lo chiederò, perché io so bene cosa
significa» le disse allora il dottore, affiancandola ed osservando a sua volta
la foto. «Sentirsi responsabili per il destino di un figlio, perché non si è
stati abbastanza bravi da comprendere il pericolo… è un peso che posso
comprendere» aggiunse, seccamente. La guardò, impassibile. «Ma, Hermione, devi
capire che il mostro è lui, non tu. Non puoi impedire a te stessa di amare».
«Lo so» ammise lei, accennando un sorriso. «L’ho
capito ormai da tempo, ma non sono ancora pronta».
«Non essere pronti va bene» concordò lui, annuendo
leggermente. Poi alzò la mano per sfiorare la fotografia sulla mensola. «Sai,
Hermione, ti ammiro».
Lei si accigliò, senza tuttavia guardarlo.
«Perché? Non ho fatto altro che nascondere la verità e ferire me stessa».
«Sei sopravvissuta alla perdita di un figlio ed a
tutto quello che lui ti ha fatto» le disse allora il dottore, con voce
improvvisamente roca e le mani tremanti. «Mia figlia sta morendo, ed io so con
certezza che non riuscirò a vivere un solo giorno senza di lei».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho
una pagina facebook! Seguitemi per futuri
aggiornamenti!
Ecco svelato parte del
segreto di Hermione. Naturalmente, questo non è tutto, ma rappresenta il fulcro
del suo trauma. La perdita di un figlio è la peggiore delle disgrazie, stando a
quello che raccontano i superstiti a questa tragedia, ed il Dottor Crave comprende benissimo la situazione di Hermione, perché,
sfortunatamente, anche lui sta per viverla.
Punti importanti:
» Prima
di tutto, le condizioni di Rosemary, se non si fosse compreso, sono decisamente peggiorate. I documenti che
il dottore stava studiando erano i referti della sua ultima visita. Nel
prossimo capitolo torneremo da lei e Draco,
probabilmente per il loro ultimo confronto.
»
*Hermione fa riferimento a Ron, non a Ronald, perché per lei sono due persone
diverse. Uno è il ragazzo di cui si è innamorata, l’altro è il mostro. Parlando
della loro stanza, Hermione fa
riferimento al suo Ron, quello buono.
Alla fine, invece, parlerà di Ronald.
»
Hermione rivede se stessa nel mostro, ma di certo non ritiene che sia solo colpa sua. In un certo senso, lei
ed il dottor Crave sono più simili di quanto
vorrebbero. Ma Hermione è forte, Hermione è pronta a ricominciare (anche grazie
a Draco, ma ancora non lo so), mente il Dottore è
bloccato in un limbo di colpe. Hermione ha Harry, Ginny
ed una famiglia, mentre Newton Crave ha soltanto
Rosemary e, presto, non avrà neppure lei.
»
La filastrocca ad inizio capitolo viene da DoctorWho, da una delle mie puntate preferite. In questo caso, la
bestia è sempre Hermione, ma la sua parte più nascosta, più oscura, quella che
non ha mai smesso di incolparsi per la morte del bambino e che non mostra pietà
per sé o per Ronald.
Grazie
infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo
della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio
di pubblicare ancora. Grazie, davvero.
Si rese conto ci fosse qualcosa di sbagliato quando non
venne accolto dalla solita occhiataccia dell’elfo domestico. Per il resto, la
stanza sembrava la stessa: solita penombra, soliti fiori esotici nei vasi,
soliti libri sparsi per tutta la stanza.
L’iniziale sorpresa, però, sparì velocemente e, allora,
Draco ebbe modo di notare la vera differenza.
Rosemary non lo stava guardando. In realtà, non sembrava
neppure essersi resa conto che lui fosse entrato nella stanza. Era sdraiata,
gli occhi chiari puntati nel nulla davanti a lei, molto più pallida di quanto
non fosse mai stata.
L’elfo Downey era al suo fianco,
i grandi occhioni sgranati e colmi di orrore. Non sembrò neppure scontento
dell’arrivo di Draco, anzi. Quando lo vide, si allontanò dalla sua padroncina e
lo raggiunse, prendendolo per il polso e trascinandolo accanto al letto.
«Parlatele, Padron Malfoy» gli
disse, con vocina flebile ma imperiosa. «Magari vi risponderà. Voi le piacete,
voi potete fare qualcosa…» aggiunse, angosciato. Le sue vecchie mani tremavano
di aspettativa e di paura, cosa che fece cadere un macigno sul petto di Draco.
Osservò il profilo pallido di colei che aveva imparato a
considerare una amica, senza tuttavia osare toccarla. «Da quanto tempo è così?»
domandò allora, in un sussurro. Più la guardava, più la sentiva lontana, vicina
alla morte e non alla vita.
Sbagliata, ecco com’era quella situazione.
Era sbagliato che quella ventenne fosse bloccata in un
letto, senza possibilità di fare tutte quelle cose che lui, un paio di anni
prima, non aveva voluto fare.
«Da ieri, quando il Padrone è venuto a trovarla» gli
rispose l’elfo, con le orecchie basse. «Gli ha detto che lo avrebbe aspettato,
ma quando lui è uscito…».
Il suo tono era talmente desolato che Draco rimpianse le
cattiverie con cui era stato solito accoglierlo durante le altre visite.
«Cosa dicono i medici?» chiese quindi, azzardandosi ad
allungare la mano per sfiorare il dorso di quella di Rosemary, solo con la
punta delle dita. Temeva potesse rompersi, forse. Oppure che potesse
riprendersi e chiedergli il perché di quell’orrore.
«I Guaritori dicono che le resta molto poco».
«Mesi?» la speranza era evidente nella voce del giovane
mago.
«Ore, Padrone». L’elfo era disperato, non
c’era altro modo per descrivere quel tono. «Padron
Newton ha dato un pugno al Guaritore, gli ha detto che è un incompetente e che
la nostra bambina non può morire» raccontò, infervorandosi. «Ha soltanto ventun anni».
Aveva detto nostra bambina, quasi ad ulteriore
conferma di quanto quella ragazza fosse importante per i componenti della
famiglia. A Draco sembrava impossibile immaginare il Dottor Crave talmente
furioso da perdere il controllo. Ma, dopotutto, lui cos’avrebbe fatto? Per quel
che ne sapeva, Rosemary era l’unica parente in vita del dottore ed era,
probabilmente, il suo più grande orgoglio e rimpianto. Aveva visto il suo
sguardo, quando si erano trovati nella stessa stanza. Aveva notato l’amore
incondizionato con cui lei aveva ricambiato, quel sorriso caloroso che, non era
difficile crederlo, nessuno doveva aver mai rivolto a quell’uomo.
Lussuria, forse lusinga, ma mai amore.
«Il Dottor Crave non ha trovato una cura, quindi» mormorò
allora il mago, sentendosi tuttavia estremamente stupido o inutile. Ovviamente
non c’era una cura, se anche il prezzo fosse stato la sua vita, il dottore non
avrebbe esitato un singolo istante.
L’elfo scosse il capo, poi sospirò e si riavvicinò per
accarezzare i capelli della sua padroncina.
«Ho fatto tutto il possibile, per lei» la voce di Crave,
improvvisa, fece trasalire Draco. «Il possibile non è bastato». Era roca, secca
ma disperata. Il giovane sentì un brivido lungo la spina dorsale, che divenne
terrore quando lo guardò.
Non aveva mai visto degli occhi così colmi d’orrore.
«Non può farsene una colpa, Dottore» provò a rassicurarlo
Draco, spostandosi così che lui potesse avvicinarsi alla figlia. In quel
momento, vide Hermione Granger entrare dietro di lui, gli occhi colmi di
dispiacere.
Alla fine era vero, allora. Il dottore li aveva in cura
entrambi.
Se fosse stato un altro momento, si sarebbe arrabbiato.
«Rosemary ha sempre fatto l’impossibile, per me» rispose il
dottore, senza guardare i due. «Lei era la mia bambina impossibile, ma io non
sono riuscito ad essere impossibile per lei» aggiunse, con la voce
improvvisamente ridotta ad un sussurro strozzato.
Draco ed Hermione lo osservarono crollare sulla poltrona
accanto al letto, le dita strette intorno a quelle delicate di ciò che restava
di sua figlia. Lei non sembrò reagire e l’elfo, che aveva atteso l’arrivo del
Padrone con trepidazione, si accasciò in un angolo, improvvisamente sconfitto.
La morte aleggiava su tutti loro come l’alito freddo di un
dissennatore.
«Non poteva farlo, Dottore». Mostrando quella gentilezza
d’animo che l’aveva sempre contraddistinta, Hermione si avvicinò e gli posò una
mano sulla spalla, accosciandosi accanto a lui. I suoi occhi scuri erano enormi
e lucidi. «Per quanto le sembri assurdo, adesso, capirà che era semplicemente così
che doveva andare».
Quelle parole fecero storcere il naso a Draco.
Così doveva andare.
Non era qualcosa da dire ad un padre in procinto di
perdere la figlia. Non era una cosa da dire a prescindere a qualcuno che
stesse perdendo una persona amata. La Granger doveva essere impazzita, non
c’era altra spiegazione. Se lui, che non era mai stato una personcina delicata, aveva percepito l’asprezza di quelle
parole, lei doveva aver perso la testa.
Il Dottore, però, le sorrise, come se avessero già
discusso di quella storia, come se, per lui, quella frase tanto dura da
digerire avesse avuto un senso.
Magari Draco era troppo preso dalla situazione per essere
oggettivo. Diversamente dalla Granger, lui aveva conosciuto Rosemary. Lui aveva
fatto amicizia con quella ragazzina tanto impertinente e l’idea di vederla
sparire da un secondo all’altro gli stava frantumando il cuore.
«Ha solo vent’anni, è troppo
giovane per morire» mormorò l’uomo, passandosi l’unica mano libera sul viso,
senza staccare lo sguardo dal corpo immobile della ragazza. «Ha trascorso gli
ultimi sei chiusa in questa stanza, dopo essere stata torturata per mesi.
E tutto perché io non ho saputo essere un padre quantomeno decente».
«Non dica così, lei non lo vorrebbe». Draco scattò, senza
sapere bene perché. Forse gli sembrò corretto difendere il pensiero di
Rosemary, essendo lei impossibilitata a farlo. «Parlava di lei con un amore
incondizionato, anche io sono riuscito a vederlo. Soffriva all’idea del modo in
cui si stava torturando e, lo dico per esperienza, questo accade solo quando il
padre in questione è un ottimo padre».
Hermione gli dedicò un leggero sorriso, quasi come se lo
stesse compatendo, poi tornò a concentrarsi sul dottore. Lei sapeva qualcosa.
Qualcosa da cui Draco era stato escluso.
«Rosemary è sempre stata l’unica a non vedere… la
realtà, anche quando tutti gliela sbattevano in faccia. È una ragazza
estremamente testarda, sapete» mormorò l’uomo, con un tono colmo di amore e
sofferenza al tempo stesso. «Quando è nata…» scosse il capo, espirando dal
naso. «Sapete, sua madre voleva abortire. Sono stati i miei genitori a farle
cambiare idea. A me non interessava, non ero neppure certo di essere io il vero
responsabile, considerata la fama che Victoria si portava dietro».
In un flash, Draco visualizzò Victoria Fawley
ed i suoi sorprendenti occhi di cristallo, collegando tutte quelle piccole
somiglianze che aveva ignorato fino a quel momento. Ricordò anche le parole che
sua madre gli aveva detto, quando era solo un ragazzino, per evitare che le
gironzolasse troppo intorno, nonostante gli anni di distanza.
Quella donna viene accolta in società solo grazie ai soldi
della sua famiglia, altrimenti neppure il peggiore postribolo la farebbe
entrare.
Il pensiero che Rosemary fosse figlia sua fece
rabbrividire Draco.
«Non mi sono fatto vedere durante la gravidanza, ho
lasciato che se ne occupassero i miei genitori. Mio padre è stato d’accordo,
riteneva che rischiassi di innervosire la madre di suo nipote e compromettere
la salute del nascituro» continuò a raccontare il Dottore, con disprezzo verso
se stesso. «Quando sua madre è entrata in travaglio, io mi sono rintanato in un
pub e ho meditato di ubriacarmi. Credo che ad impedirmi di farlo sia stato
l’amore per mia madre, non mi avrebbe perdonato una cosa simile».
Sua madre.
Draco ricordava vagamente la signora Crave, ma tutti ne
avevano sempre parlato benissimo. Il fatto che non si fossero mai schierati
apertamente aveva impedito che fossero esclusi ma, in realtà, tutti sapevano bene
che entrambi i coniugi avessero agito di nascosto per contrastare il Signore
Oscuro e proteggere i babbani del loro paese. Rosalyn
e Magnus Crave erano stati gli angeli custodi di
molte persone ed erano riusciti a confondersi fra i peggiori demoni del loro
mondo.
Il dottore non era stato altrettanto bravo.
«Non appena mio padre me l’ha messa in braccio, lei ha
smesso di piangere» disse ancora lui, accarezzando con il pollice il dorso
della mano di Rosemary. «Mi hanno raccontato che non si fosse calmata dal
momento in cui era nata ed i Guaritori avevano addirittura ipotizzato di darle
una pozione calmante. Ma lei ha smesso quando l’ho presa».
«Ha riconosciuto suo padre» mormorò allora Hermione,
dolcemente. «L’ha aiutata fin dai primi istanti, ha sempre fatto il possibile».
Crave scoppiò in una risata inquietante. «No, non è vero.
Le volevo bene, ma per me è sempre stata un peso, più che una gioia. Avevo
diciannove anni ed ero lo studente più brillante del mio corso di Medimagia, avere una bambina, dal mio punto di vista, era
la peggiore delle disgrazie» disse, disgustato da se stesso. Rosemary non
sembrava rispondere alla sua vicinanza. «Lei ha passato i primi sei anni della
sua vita con i miei genitori ed altri quattro in collegio, io andavo a trovarla
solo raramente e le portavo qualche libro o dei giocattoli. La consideravo una cuginetta molto rompiscatole, più che una figlia».
«Un po’ rompiscatole lo è davvero». Draco non riuscì a
frenare la lingua, accennò un lieve sorriso quando il dottore e la Granger si
voltarono a guardarlo. «Le somiglia in modo spaventoso, Dottore, quindi quelle
visite, per quanto brevi, devono aver lasciato il segno».
Crave annuì, tornando a concentrarsi sulla ragazza.
«Voleva diventare Magizoologa e secondo me ne aveva
tutte le capacità. A sei anni conosceva alla perfezione tutte le
caratteristiche dei draghi del libro che le avevo regalato durante l’ultima
visita» accennò un sorriso triste, pronunciando quelle parole. «Mi disse che
sarebbe diventata la migliore, come me. Un guaritore per tutte le creature
fantastiche». Il sorriso, veloce com’era comparso, sparì. «Quando morirono i
miei genitori…» sospirò, passandosi la mano libera fra i capelli. «Non avevo
compiuto trent’anni ed ero un imbecille. Ho passato
il giorno del funerale e quello dopo ad ubriacarmi, credevo di esser rimasto
completamente solo… finché una zia non pensò bene di andare a recuperare lei»
con un cenno indicò sua figlia, senza riuscire a trattenere una piccola smorfia
addolorata. «Mi gettò le braccia al collo e disse l’unica frase al mondo capace
di farmi riprendere da quella strana catalessi in cui ero caduto».
«Cosa…» Hermione dovette schiarirsi la voce, prima di
ricominciare a parlare. Nei minuti in cui non l’aveva guardata, Draco non era
riuscito a rendersi conto che avesse gli occhi arrossati. «Cosa le disse?».
Crave strinse le labbra per un istante, prima di
ricominciare a parlare. «Mi disse “ti
voglio bene, papà”. Una frase semplice, non trovate? Ma per me fu come un
pugno in faccia. Mi aveva sempre chiamato Newt,
magari Newtiese voleva farmi
arrabbiare, ma mai papà». Si fermò per un istante, mentre l’elfo, ancora
seduto in un angolo, si soffiava rumorosamente il naso in un angolo della sua
divisa. «Mi piace pensare che sia stato quello il momento in cui sono davvero
diventato un padre, nonostante io non sia ancora riuscito a meritare neppure
una briciola di quel titolo».
«Ha sempre avuto talento nel dire la cosa giusta al
momento giusto, allora» mormorò Draco, con un tono insolitamente gentile, senza
tuttavia riuscire ad alzare lo sguardo dalla punta delle proprie scarpe.
Ricordare l’ultimo incontro con la ragazza gli faceva male. Se non fosse stato
per lei, non avrebbe mai intrapreso quella via che era tanto determinato a
seguire.
«Dev’essere un talento di
famiglia, anche mia madre sapeva farlo» concordò il dottore, con un sospiro.
«Da quel momento è rimasta con me, per quanto permettessero i miei impegni.
Durante la scuola ero solito scriverle una volta al mese per mandarle qualche
regalino o rimproverarla per i guai in cui si cacciava» aggiunse, concludendo
con un tono insolitamente aspro. «Una volta al mese, capite? E quando le
scrivevo, non le chiedevo mai come andassero le cose con la scuola, non le
chiedevo se stesse bene… non sapevo neppure che avesse degli amici, prima di
ritrovarmi Neville Paciock in questa stanza».
Ovviamente era amica di Paciock, pensò Draco. Raccogliere
casi umani era più forte di lei.
«Non può farsene una colpa, lei è un uomo molto impegnato»
tentò di nuovo di confortarlo Hermione, nonostante non suonasse estremamente
convinta. Con ogni probabilità, la parte più nobile di lei non riusciva a
capacitarsi di che tipo di padre avesse così poco a cuore la sua unica figlia.
«Rosemary non ha mai messo in dubbio il suo amore per lei,
questo posso garantirglielo» si intromise allora Draco. «Non ha mai fatto altro
che vantarla, con me. È il miglior padre del mondo, per lei».
Il suo intervento sembrò far sprofondare il dottore in
un’angoscia ancora più nera.
«Quale padre non si preoccuperebbe, non ricevendo notizie
di sua figlia per due mesi?» sbottò, furioso contro se stesso, la
schiena ritta e le spalle rigide. «Mi sono rifiutato di aiutare i Mangiamorte e
non ho pensato di proteggere la cosa più importante che avevo al mondo»
aggiunse, in un sibilo. «Ho preferito nascondermi, ritenendo che loro
non avrebbero mai trovato qualcosa con cui ricattarmi. Mi sono nascosto
ritenendo che non ci fosse nulla di più importante della mia stessa, misera vita, da proteggere. Ho dato per
scontato che nessuno sapesse di Rose, perché io non ne avevo parlato con
nessuno, perché io ero imbarazzato da quella debolezza giovanile». La
sua mano libera si strinse a pugno contro le lenzuola del letto, mentre l’altra
non si mosse da sopra le dita della ragazza. «Lei non si è mai vergognata di
me. Lei non ha mai nascosto agli altri chi fosse suo padre» nel dirlo, allentò
il pugno ed allungò quella mano per sfiorare il viso di lei. «Rose è sempre
stata orgogliosa di me e quell’orgoglio l’ha portata dov’è ora».
«Sarebbe successo, in un modo o nell’altro». Draco si rese
conto della realtà delle proprie parole non appena le pronunciò. I Mangiamorte
si sarebbero vendicati, in un modo o nell’altro, ed avrebbero fatto pagare il
prezzo più alto possibile a quel padre, nonostante lui non se ne fosse neppure
reso conto. «Se avesse collaborato, forse la guerra non sarebbe finita e
saremmo morti tutti. Se avesse tentato di salvare subito Rosemary, loro
l’avrebbero uccisa. Ha avuto sei anni da passare con lei, è stata la migliore
fra le possibilità».
Crave fece un verso sarcastico, senza voltarsi verso di
lui. «Mia figlia è rimasta due mesi in mano a dei macellai e se gli Auror non
l’avessero trovata, per pura fortuna,
probabilmente io me ne sarei reso conto solo davanti al suo cadavere. Non
esistono possibilità migliori, Malfoy. La mia bambina sta morendo ed è tutta
colpa mia. L’hanno catturata perché io non l’ho ritenuta abbastanza meritevole
di protezione. L’hanno torturata per sessantacinque giorni perché io non ho
capito cosa fosse successo». Si voltò, fulminando i due giovani con i suoi
lucidi occhi scuri. «Sapete qual è la parte peggiore, in tutto questo?» chiese
quindi, guardandoli come se si aspettasse davvero una risposta.
Risposta che Hermione sembrava conoscere. «Lei non prova
alcun rancore. Le vuole bene come se non fosse successo nulla e lei non riesce
a sopportarlo» mormorò, con la voce rotta. C’era un dolore, in lei, che fece
spaventare Draco.
Cosa le era successo?
Crave annuì, stringendo i denti. «Ogni mattina mi sveglio
e mi chiedo cosa sarebbe stato di me, senza di lei. Forse sarei diventato un
Mangiamorte, forse mi sarei sposato ed avrei avuto altri figli. Poi mi chiedo
cosa sarò, senza di lei, e non riesco mai a trovare una risposta». La
voce del dottore ebbe un cedimento, ma lui non lo dimostrò. «Un padre resta
sempre un padre, quando perde sua figlia. Ma se un padre non è un padre? Io non
lo sono mai diventato davvero, sto ancora imparando. Cosa sarò, quando lei mi
lascerà?». Quella domanda si perse nel cupo silenzio della stanza, interrotto
solo sporadicamente dai singhiozzi dell’elfo. «Non diventerò un Mangiamorte,
non mi sposerò e non avrò altri figli. Non sarò padre, non sarò nonno, non sarò
nulla».
«Lei è un padre, Dottore» disse Draco, mentre
Hermione voltava il capo per nascondere le lacrime. Lui resisteva, nonostante
dubitasse di poter reggere ancora a lungo. «Lo è da almeno sei anni, se davvero
non riusciva a vedersi come tale prima della guerra. Lo è adesso e lo sarà
dopo, proprio come vorrebbe Rosemary. Cosa crede le direbbe, se la sentisse
dire queste sciocchezze?».
Il rumore di un fruscio fra le lenzuola impedì a chiunque
di continuare. Tre paia di occhi su puntarono su quelli chiarissimi e
affaticati della signorina Crave. «Gli… direi…» mormorò, in un sussurro debole,
ricambiando finalmente la stretta della mano di suo padre. «…che è un… vecchio
ippogrifo brontolone» continuò, fissando l’uomo con una dolcezza
indescrivibile.
Draco avrebbe voluto sentirsi sollevato, nel rivederla
cosciente. Avrebbe voluto gioire, perché forse il pericolo era stato ancora una
volta scongiurato.
Avrebbe voluto provare un briciolo di speranza in più, ma
non ci riuscì. La era sempre lì, aleggiava sulle loro spalle come una gelida
brezza invernale.
«Non devi affaticarti, bambina». Premuroso, Crave si era
alzato dalla poltrona e le aveva accarezzato la guancia pallida, cercando di
mostrarsi tranquillo e sereno. «Non preoccuparti, va tutto bene. Ti fa male
qualcosa?».
Lei, in tutta risposta, gli dedicò un sorriso che fece
singhiozzare Hermione, ormai nascosta dietro Draco per non farsi vedere. Fu
verso di lui che si voltò la ragazza, subito dopo, gli occhi affaticati e
preoccupati. «Non puoi… dire la verità. Non ora» gli ordinò, nonostante la sua
voce sembrasse sul punto di spegnersi. Lo fissò finché lui, compreso a cosa si
stesse riferendo, non annuì.
Draco ricordava bene il loro primo incontro, quella storia
che doveva restare segreta. E ricordava la promessa che lei era riuscita ad
estorcergli durante uno dei seguenti.
Va’ a trovare tuo padre.
«Non parlare, tesoro». Incurante di quello scambio quasi
silenzioso, Crave le scostò una ciocca di capelli dalla fronte, riattirando su di sé quei cristalli affaticati. «Devi
riposare, altrimenti non sarai abbastanza in forze per la tua lezione con NewtScamandro, ricordi?»
aggiunse poi, dolcemente.
Il cuore di Draco si strinse in una morsa.
Rosemary Crave aveva solamente vent’anni
ed un mucchio di sogni che non si sarebbero mai realizzati a causa di qualcuno come
lui.
L’ammasso sanguinolento sul suo braccio destro bruciò come
se Voldemort avesse iniziato a chiamarlo dall’oltretomba, ricordandogli quali
fossero i crimini di cui, anche senza volerlo davvero, si era macchiato.
«Sarebbe così bello…» sospirò Rose, accennando un sorriso
sognante. Qualcosa, in quell’istante, fece venire la pelle d’oca a Draco. Un
brivido gli corse lungo la spina dorsale quando Hermione gli afferrò la manica
della camicia e la strinse con forza, dimostrandogli che anche lei avesse
percepito qualcosa. «Sono così… stanca»
aggiunse allora la giovane, quasi in un lamento. «Non… non ce la faccio più»,
un sussurro che suonò forte come un urlo di dolore. «Posso dormire, adesso?»,
una supplica, una richiesta dolorosa come una pugnatala
al cuore.
Posso smettere di combattere, adesso?
Draco allungò la mano per coprire quella che Hermione gli
aveva stretto al braccio, trascinandola indietro mentre Newton Crave
impallidiva per l’orrore.
«Rosie?».
«Ti voglio bene, papà».
***
Successero molte cose, in quel momento, e pur a distanza
di anni Draco non riuscì mai ad essere certo di averle davvero comprese tutte.
Rosemary Crave, a poco più di vent’anni,
aveva chiuso gli occhi per l’ultima volta. Suo padre, lo stesso dottore che
molti credevano non conoscesse i sentimenti, aveva urlato il suo nome, afferrandola
per le spalle e scuotendola, perché era semplicemente impossibile,
perché era ingiusto, perché lui non l’avrebbe mai permesso.
No, Rosie, no! Rose! ROSE!
Draco ricordava di aver stretto al petto Hermione Granger,
impedendole di assistere alla caduta dell’uomo in cui entrambi avevano
confidato. Impedendole di vedere la violenza necessaria ai Guaritori per
staccarlo dal corpo di quella ragazza che non esisteva più.
Ricordava di averla condotta fuori da quella stanza,
sentendo le sue lacrime bagnargli la camicia e le proprie scendere lungo le
guance.
Ricordava l’urlo straziante con cui Newton Crave aveva
detto addio a tutto ciò che era rimasto della sua famiglia.
***
«Ti ha chiesto di non dire qualcosa».
Erano passate due ore e trentacinque minuti, da quando
Draco ed Hermione erano stati costretti a lasciare la stanza di Rosemary Crave.
C’era stato un enorme viavai di medici ed infermieri, da quando erano usciti.
Qualcuno aveva mormorato sulla possibilità di somministrare un calmante,
evidentemente al dottor Crave, oppure all’elfo. Draco non sapeva bene chi dei
due stesse reagendo peggio. Lui non era riuscito a pensare a nulla che non
fossero quegli occhi senza vita.
La Granger, evidentemente, doveva avere un modo diverso
per affrontare lo shock.
«Mi ha raccontato una storia e mi ha chiesto di non dirla
a suo padre» le rispose allora, secco. Non era stato scortese, si rese conto.
Non aveva la forza di essere scortese.
Rosemary non avrebbe voluto.
«Che storia?» domandò ancora lei, con un filo di voce. «Perché
suo padre non ne deve sapere nulla?» aggiunse, preoccupata. «In questo momento,
credo sarebbe pronto ad ascoltare qualunque cosa che riguardi la sua bambina».
La mano di Hermione si posò sul suo braccio, rassicurante.
«Puoi parlarmene?».
Poteva parlargliene? Dopotutto, Rosemary non aveva mai
posto dei limiti su di lei. Non gli aveva mai chiesto di non parlarle ad altri.
Io voglio parlarne.
Se ne rese conto all’improvviso, sentendo un brivido lungo
la spina dorsale. Non era una brutta sensazione, tutt’altro.
Gli sembrò quasi di sentire un nodo sciogliersi all’altezza dello stomaco.
«Quando è stata rapita, mio padre è stato incaricato di
sorvegliarla» iniziò a raccontare, senza guardarla ma sentendo distintamente la
sua presa irrigidirsi. «Gli avevano detto di trattarla meglio degli altri,
perché l’avrebbero usata per il riscatto. In realtà avevano già iniziato a fare
degli esperimenti».
«Il dottore ha accennato qualcosa» mormorò lei,
sospirando. «Non sapevo ci fosse una divisione di ricerca. Ma, dopotutto,
non sapevo neppure che stessero cercando lo Specchio. Il male che conosci
sembra sempre terribile, finché non viene fuori ciò che non conosci».
«Nessun esterno sapeva
degli esperimenti, neppure mio padre. Lo scoprì perché alla fine non riuscirono
più a rimetterla in sesto» ricominciò a spiegare allora lui, ricordando il
racconto con cui la ragazza aveva conquistato totalmente la sua attenzione. «Provò
a parlare con il Signore Oscuro, sai? Rosemary lo ha sentito chiedere di
lasciarla stare, perché era una giovane purosangue che sarebbe stata molto
utile alla causa, se l’avessero liberata».
«Ma Voldemort non ascoltò» si intromise ancora Hermione,
incurante dell’involontario brivido che quel nome scatenò in Draco. Resistette
alla tentazione di afferrarsi il braccio destro solo per non darle altri motivi
di provare pena per lui. Se non l’aveva ancora scoperto, non c’era bisogno che
le fosse sbattuta in faccia la verità del suo dolore.
Non poteva dirle che non sapeva come guarire.
Scosse il capo, allora, tornando alla sua storia. «Gli
disse che lei li stava già aiutando e che il suo destino era segnato. Mio padre
non riuscì a digerire quella risposta» spiegò, senza riuscire a nascondere un
leggero e triste sorriso. «Provò a farla scappare, ma Bellatrix
glielo impedì e alla fine lo rimosse dall’incarico».
«Però gli Auror l’hanno trovata, alla fine».
Draco annuì, voltandosi, finalmente, verso di lei. «Mio
padre ha fatto la spia, pur di salvarla. L’ultima volta in cui lei gli ha
parlato, lui si è scusato per non esser riuscito a salvarla prima». Espirò dal
naso, esasperato. «È stato un padre migliore per lei che per me, ci credi?
Credo sia per questo che Rose abbia deciso di non dirlo al dottore. L’avrebbe
fatto sentire un padre peggiore del più vigliacco fra i Mangiamorte».
Hermione restò in silenzio per qualche istante, assorbendo
tutte quelle informazioni. Draco non riuscì a biasimarla, anche lui stentava a
credere che il vecchio Lucius avesse davvero fatto un’azione tanto buona.
Oppure non voleva crederci, considerando che sarebbe stata l’ennesima
dimostrazione di quanto poco quell’uomo avesse mai tenuto a lui.
«Ti sei mai chiesto perché lei ti abbia rivelato questa
storia?» gli domandò alla fine, con un filo di voce, piegando leggermente il
capo per costringerlo a guardarla negli occhi. «Hai capito il perché?».
Lui si strinse nelle spalle. «L’ho trovata nella camera di
mio padre, qui in ospedale. E non fare quella faccia, so che tu sai che
è in fin di vita da un pezzo» sbottò, notando gli occhi di lei ingrandirsi. «Le
ho chiesto cosa stesse facendo lì e lei mi ha spiegato il motivo della sua
riconoscenza, tutto qui».
La Granger alzò gli occhi al cielo, poggiando le spalle
allo schienale della sedia su cui si era accomodata. «Io non conoscevo quella
ragazza, ma conosco abbastanza il Dottore da credere che fosse riuscito a
renderla più simile a lui di quanto non avesse effettivamente desiderato. Non
credo ti abbia raccontato tutto questo senza un ulteriore scopo».
Draco si voltò a guardarla, curioso, senza tuttavia dare
molto peso a quelle parole. Dentro di sé sapeva benissimo che il vero
scopo di Rosemary fosse quello di spingerlo a parlare con suo padre e
perdonarlo, se possibile. Semplicemente, aveva scelto di ignorare quella
possibilità.
«Sei più testone di Harry, adesso capisco perché era tanto
ossessionato da te» sospirò quindi lei, incrociando le braccia al petto. «Perché
credi che Lucius Malfoy l’abbia aiutata, se non per dare a lei quello che non
era riuscito a garantire a te? Entrambi siete stati messi davanti ad un cammino
prestabilito, entrambi siete stati condannati a morte senza aver commesso alcun
peccato» nel dirlo, indicò con un cenno il braccio, fasciato sotto la camicia
candida. «Non ha potuto salvarti, perché salvarti avrebbe implicato ucciderti.
Ma Rose… lei aveva qualcuno, fuori, pronto ad aiutarla. Rose avrebbe trovato
quella salvezza che lui, un Mangiamorte, non poteva garantire a suo figlio».
Lei sapeva della cicatrice.
Quello fu il primo pensiero che lo fulminò, spingendolo a
ritirarsi contro lo schienale della sedia e dedicarle un’occhiataccia da
serpente calpestato.
Lei ha ragione.
Quel pensiero arrivò un momento dopo, quando l’immagine
del viso di suo padre, posto per la prima volta faccia a faccia con il suo
marchio, gli balenò in mente.
Disgusto e orrore, non orgoglio e follia.
Non possiamo ribellarci Draco, l’altra possibilità è la
morte.
Era la sua morte, che temevano, non quella di
Lucius. Era lui che Narcissa aveva tentato di
proteggere, supplicando pietà ai piedi dell’Oscuro Signore. Era grazie a lui
se Lucius aveva tentato di salvare Rosemary, per il rimorso di non aver potuto
mai far di più ed aiutare il suo unico figlio.
Quando si alzò in piedi, la Granger non lo imitò.
«Cosa stai facendo?».
«Chiudo i conti con il passato, Mezzosangue. Vado a
trovare mio padre».
Quando lei gli sorrise, lui sentì qualcosa di caldo e
pesante posarsi sul suo stomaco.
Da qualche parte lo spirito di Rosemary Crave gli stava
sorridendo, ne era più che certo. Sperò soltanto che, un giorno, anche il
Dottore avrebbe ricevuto lo stesso conforto che lei aveva appena regalato a
Lucius.
Draco le avrebbe
restituito il favore.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto,ho
una paginafacebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Questo capitolo mi ha uccisa. Mi sto odiando, sento che
Newton Crave mi sta odiando e che Draco vorrebbe festeggiare sul mio cadavere.
Ho sofferto. Ho pianto. Mi
sono scervellata per trovare un finale diverso alla breve vita di Rose, ma non
ce l’ho fatta. Questa non sarà l’ultima volta in cui si sentirà parlare di lei,
ma sì, è morta. Caput.
Voglio morire.
Mi scuso infinitamente per il
ritardo, ma il capitolo è stato complicato e doloroso ed io martedì ho esami. Quindi,
per favore, siate clementi e pensatemi, martedì.
Se dovessi sparire, sappiate
che il Dottore e Draco sono venuti a prendermi.
Punti importanti:
» * Io amavo
questa canzone. Non credo che potrò mai più riascoltarla senza
piangere. Vi scriverò la traduzione, così che possiate farvi spezzare il cuore
da quella frase citata all’inizio del capitolo. (Il
coltello affilato di una vita giovane, beh, l’ho avuto; giusto il tempo
necessario. Quindi organizzati con i tuoi migliori amici, io indosserò le mie
perle. Ciò che non ho mai fatto, ormai è fatto)-> Non credo di doverla spiegare, ma, comunque: ho avuto una schifosissima vita breve,
giusto il tempo necessario per assaporarla. Venite tutti al mio funerale,
invece di uscire e fare i giovani. Ormai non potrò mai più fare quello che non
ho mai fatto prima.
» Rosemary è peggiorata, sì, ma non così velocemente come
potrebbe sembrare. Quando Draco l’ha conosciuta lei aveva già pochissimo da
vivere. Semplicemente, la natura ha fatto il suo corso.
» Temporalmente
parlando, ci troviamo alla sera del capitolo precedente. Dopo aver confessato
di star per perdere sua figlia, il dottore ha portato Hermione a conoscerla,
trovandoci Draco. Il resto è storia.
»Newton Crave è stato un padre di merda, passatemi il francesismo. Era assente,
si limitava a delle letterine striminzite e, quando Rose era a casa da scuola,
tendeva a lasciarla con Downey ed andarsene con belle
signore. È stato un padre di merda, ma amava sua
figlia, nonostante non riuscisse a capirlo. Rose è stata e sarà per sempre il
suo cuore, gli ha mostrato che l’amore non porta rancore.
»Scusate se insisto,
ma dovete capire che Crave adorava
sua figlia. L’ha sempre adorata. SEMPRE.
Lei lo ha salvato dalla depressione alla morte dei suoi genitori, lei è sempre
stata lì a mostrargli che qualcosa, al mondo, poteva essere buono e puro. Ma ora quel qualcosa è
sparito ed il dottore è di nuovo da solo.
»Hermione sembra fredda, in alcuni momenti, ma è soltanto perché lei
sa cosa vuol dire. Il
fatto che lei abbia avuto un aborto non la rende meno madre di quanto Crave sia
stato un padre. Alla fine, quando pone quelle domande a Draco, non è per poca
delicatezza: lei reagisce così, punto. Ha pianto, il suo cuore è a pezzi perché
ha rivissuto la sua tragedia, ma lei sa
che, se non reagirà, ripiomberà nel precipizio da cui Crave stesso l’ha
salvata. Non giudicatela male.
» Rosemary Crave era il mio personaggio
preferito ed io l’ho dovuta uccidere. Abbiate pietà.
» Per quanto contorto, c’è un vero
rammarico dietro il comportamento di Lucius. Ha salvato Rose, perché era come
salvare Draco. Non ha fatto nulla per Draco, perché – come lui stesso ha detto
al dottore – i Mangiamorte avrebbero trovato un modo peggiore per vendicarsi
del fallimento all’Ufficio Misteri. Lucius Malfoy ama suo figlio e nessuno mi
convincerà del contrario.
» Rose e Neville sono amici, lo sono
diventati quando lei ha tentato di ucciderlo per aver quasi ammazzato un
coleottero squamato che si era posato sulla sua piantina nella serra. È lui a
portarle i fiori esotici, regolarmente, ogni volta che va a trovare i suoi
genitori.
Siate in lutto con me, perché Rosemary
Crave era un’anima bellissima e suo padre è rimasto solo.
Capitolo 21 *** Atto XIII- Parte I/ Il Paese delle Meraviglie ***
Quando aprì gli occhi, Draco si rese conto che qualcosa fosse
orribilmente sbagliato
LoSpecchio delle Anime.
Se io avessi un
mondo come piace a me,
là tutto sarebbe assurdo: niente
sarebbe com'è,
perché tutto sarebbe come non è, e
viceversa!
Ciò che è non sarebbe e ciò che non è
sarebbe!
[Alice – Alice nel Paese delle Meraviglie,
Disney
1951]
Atto XIII – Parte I
Il Paese delle
Meraviglie.
Quando si svegliò, Draco si rese
conto che qualcosa fosse orribilmente sbagliato.
Prima di tutto, lui non ricordava
di essere mai andato a dormire, di certo non in un letto tanto comodo.
Considerando il terrificante motel in cui li aveva sistemati l’amico
della Granger, dubitava altamente di trovarsi proprio nel cuore del
Pakistan.Ed il profumo era troppo
buono, troppo pulito per appartenere a quella topaia.
«Tu vai a destra, io a sinistra. Il primo che trova la Traccia, lo
segnala».
«Granger, non puoi darmi ordini! Sei tu che ti cacci sempre nei guai».
Rabbrividì, rivivendo
quell’istante. Non credeva fosse passato molto tempo. Non ricordava
fosse passato molto tempo. Se era tornato a casa, dovevano aver trovato la
Traccia, no?
«Stai attento, c’è qualcosa che fa la guardia».
«Al massimo è il mostro a dover star attento a me».
No, era abbastanza certo che non
avessero trovato un accidenti, in quella stupida caverna. Concentrandosi, gli
sembrò quasi di sentire la puzza di chiuso e umido. Forse era stata
un’esperienza abbastanza traumatica da essere completamente cancellata dalla
sua memoria. Il Dottor Crave gli aveva detto una cosa simile, quando aveva rivelato
di non ricordare un accidenti della notte in cui gli avevano imposto il
Marchio.
«Ti stai rigirando come un Vermicolo. Piantala».
Il lamento giunse da qualche parte
al suo fianco, facendolo trasalire. Si rese conto di non aver ancora trovato il
coraggio di aprire gli occhi o di allargare le braccia per verificare di
trovarsi realmente nel proprio letto. Se non balzò via come un boccino, fu solo
perché la voce non gli era sembrata affatto minacciosa e decisamente non
sconosciuta.
Il suo primo pensiero fu quello di
essere finalmente riuscito a portarsi a letto Hermione Granger, accompagnato
dallo sdegno del non ricordarselo.
Il secondo pensiero che lo colpì
fu molto più pratico: era ancora vestito, non avevano fatto sesso.
Il terzo pensiero, finalmente, fu
una domanda: cosa ci faceva Hermione Granger
nel suo letto?
Con la grazia di un gufo, spalancò
gli occhi e si girò verso la fonte del rumore, trovandosi davanti quella che
sembrava essere una pecorella mora con un faccino incredibilmente assonnato e
carino. Due occhioni scuri stavano ricambiando il suo sguardo, curiosi e
stanchi, ed un broncio li accompagnava, concludendo quel quadretto adorabile
che era Hermione Granger appena sveglia.
Era tranquilla. Troppo tranquilla, considerando che quella dovesse essere la loro prima notte insieme,
per quanto non avessero fatto nulla.
«Sono dieci minuti che ti muovi»
si lamentò ancora lei, passandosi la mano destra sul viso e stropicciandosi gli
occhi. «Non eri tu quello che mi aveva ordinato di riposare?» continuò,
rotolandosi sotto le pesanti coperte per dargli le spalle. Quella sua calma lo
stava facendo innervosire. «Devi dormire, mia cara! Nelle tue
condizioni è fondamentale… bah, chi diavolo ti capisce è bravo, Malfoy» lo scimmiottò allora,
sbuffando come un treno. «Fai una cosa buona e massaggiami la schiena. Sai,
quella cosa che fai sempre con i pollici. E dobbiamo cambiare il materasso,
queste piume d’oca sono insopportabili. Questo è il nostro letto, non il tuo».
Draco non seppe se esser contento
del fatto che lei non potesse vedere la sua espressione sconvolta. Quello che
stava succedendo non aveva il minimo senso. Lei non aveva senso. Il fatto che
gli avesse chiesto quei massaggi che lui aveva imparato a fare in Indonesia non
aveva senso. “Nostro letto” non aveva senso.
«Malfoy, sbrigati!».
Quello era un tono che non
ammetteva repliche, quello che negli anni di scuola lo aveva sempre fatto
imbestialire. Stranamente, il suo primo istinto fu quello di sorridere e di
sbrigarsi ad obbedire.
Assurdo,
pensò, mentre le sue mani – proprio le sue, incredibilmente – si avvicinavano
alle spalle della Mezzosangue per farla rilassare. Incredibile, pensò ancora, quando sentì di
non voler commentare quel suo assurdo pigiama rosa con gli ippogrifi, quasi
glielo avesse regalato lui stesso.
«Ma che cazzo?» disse poi ad alta voce, notando l’anello d’oro che svettava,
principesco, al suo anulare sinistro.
Una fede.
«Draco, ma che modi sono?».
Sgusciando come un’anguilla, la Granger si voltò parzialmente verso di lui,
scoccandogli un’occhiataccia che avrebbe fatto piangere la McGranitt di
commozione. «Io non ti capisco, questa mattina. Prima fai la sardina, poi usi
questo linguaggio da NocturneAlley…
queste cose avresti dovuto farmele sapere anni fa, avrei evitato di sposarti»
aggiunse poi, sbuffando ed allungando la mano sinistra per assestargli un
buffetto sul braccio.
Braccio sinistro cui era attaccata
la mano sinistra. Al cui anulare svettava il diamante di sua nonna, insieme ad
una fede.
Porca puttana.
«Noi siamo sposati» esalò allora,
tossicchiando per migliorare un po’ la condizione della sua povera voce. Il
cuore gli batteva nel petto come un tamburo, assordandolo. Voleva suonare
naturale, ma l’assurdità di quella situazione gli impediva di fingere come
avrebbe voluto. «Va… va bene se faccio così?» chiese allora, facendo pressione
con le dita nello spazio fra le scapole di lei. Qualcosa, nel retro della sua
mente, gli suggerì di aumentare la forza e lei, immediatamente, mugolò
contenta.
Gli sembrava di sapere
cosa fare, quasi l’avesse davvero fatto per anni.
Anni di matrimonio.
Non era davvero possibile.
«Hai fatto un brutto sogno, per
caso? Non eri così sconvolto, la mattina, dai primi tempi dopo le nozze. Non dirmi
che hai ricominciato a sognare Voldemort, mi faresti perdere la scommessa con
il Dottor Crave» sbottò lei, incurante del suo shock, rilassandosi sempre di
più ad ogni secondo in cui lui continuava a massaggiare.
Incubi su Voldemort?
Improvvisamente, gli sembrò di
ricordare sogni molto confusi in cui il Signore Oscuro tentava di imporgli il
marchio, per poi esser fermato da Piton, Silente e la
Mezzosangue. Era così giovane, lei. Ed anche lui lo era.
Quelle immagini gli appartenevano,
come se le avesse davvero sognate così spesso da renderle parte del suo essere,
immutabili nel tempo.
Non le ho solo sognate, le ho vissute.
Senza neppure capire perché,
abbassò lo sguardo sul proprio braccio, trovandolo immacolato come quando era
un bambino. Seppe con certezza che quella non fosse la conseguenza della
pozione di Crave ma che non ci fosse davvero mai stato nulla lì.
«Draco, amore, mi stai
spaventando». La voce di Hermione era preoccupata, ma incredibilmente dolce.
Sfuggì alla sua presa e si girò ancora, tornando ad osservarlo in volto. I suoi
occhi scuri sembrarono scandagliare ogni minimo angolo della sua anima,
lasciando alle proprie spalle una scia di calore e conforto. Lui si meravigliò
sentendosi chiamare amore, ma non tanto come avrebbe fatto
qualche minuto prima. Per qualche motivo gli sembrò normale. «Ricordi cos’ha detto il
dottore… sono passati otto anni, ma il trauma è ancora lì. Più tardi gli
manderò un gufo e prenderò appuntamento per te, va bene?» gli chiese,
sfiorandogli i capelli con la punta delle dita.
«Mi dispiace, non voglio farti
preoccupare» ammise allora lui, afferrandole la mano per portarsela alle
labbra. Non sapeva bene da dove stesse sbucando quella cavalleria, ma non gli
importò. Poterla toccare con quella dolcezza, poter sentire il suo profumo
senza paura di sembrare uno psicopatico… erano sensazioni troppo belle per
poter essere fermate.
«Mi hai fatta preoccupare quando
mi hai urlato in faccia che Voldemort avesse intenzione di marchiarti. Mi hai
fatta preoccupare quando mi hai chiesto aiuto… di certo non adesso. Ancora oggi
mi chiedo cosa accidenti ti abbia spinto a chiedere a me, piuttosto che al professor Piton o a Silente direttamente» sospirò, alzando gli occhi
al cielo. «Immagino che il tuo stupido orgoglio purosangue abbia trovato il
male minore. Per quanto Sanguesporco, almeno non sono Albus Silente».
Quella parola lo infastidì,
nonostante lui stesso l’avesse utilizzata parecchie volte. Lei stava parlando
di richieste d’aiuto che non ricordava di aver fatto, ma che, comunque, non gli
suonavano come assurde. Parlava di confessioni che sapeva di non aver fatto, ma
che al tempo stesso ricordava.
Che fosse stato davvero tutto un sogno? Il Marchio, la Guerra… e lo
Specchio? In quel
momento gli sembrava tutto meno che un ricordo. Non c’era una cosa
del suo stupido passato che fosse certa.
«Sei davvero sconvolto» sospirò
lei, alla fine, allungandosi per lasciargli un leggero bacio sulle labbra. Per
quanto Draco fosse strabiliato dalla gentilezza di quel contatto, non gli sembrò
strano come avrebbe dovuto. Erano sposati, dopotutto, no? «Ho capito, è ora di preparare la
colazione» con uno sbuffo, si rotolò ancora fra le lenzuola e gli diede le
spalle, scostando le coperte ed alzandosi. «So cosa stai per dire, ma non ho la
minima intenzione di prendere un elfo domestico. Niente schiavi in casa mia».
«Questa è anche casa mia, Granger.
A me un elfo non dispiacerebbe» le rispose, tirandosi a sedere a sua volta. Il
sorriso divertito che gli incurvava le labbra era solo uno squarcio rispetto a
ciò che gli si stava agitando nel petto.
Lei rise, lanciandogli uno sguardo
divertito da oltre la spalla. «Non mi chiamavi Granger da un bel pezzo, mi
mancava. Però mi hai tolto la possibilità di ripeterti, per l’ennesima volta-»
«Io non sono la Signora
Malfoy, sono la signora Granger-Malfoy!» senza sapere bene come, lui la anticipò, scimmiottandola.
La risata, però, gli morì nel petto quando Hermione – indossata una vestaglia
di seta – girò intorno al letto, mettendo in mostra un pancino
dall’aria particolarmente sospetta.
Aspettavano un bambino, realizzò improvvisamente, dandosi dello sciocco per non
esserselo ricordato subito. Un maschietto che sarebbe nato a
marzo.
«Mi stai fissando in modo strano».
Lo avrebbero chiamato Alexander Lucius.
«Scusami, sono solo molto confuso.
Quel sogno era davvero brutto».
Lo sguardo dolce che lei gli
dedicò avrebbe potuto fargli passare qualsiasi dolore. La osservò girare
intorno al letto ed avvicinarsi per dargli un altro piccolo bacio sulle labbra.
«Va’ a svegliare Rosie, io preparo
i pancakes e mando un gufo al Dottore. Non
preoccuparti, sono solo brutti sogni, nessuno può farti del male, qui».
Per una ragione a lui sconosciuta,
Draco le credette. Non riuscì ad impedirsi, però, di porre a se stesso una domanda.
Chi diavolo era Rosie?
***
Venne fuori che Rosie – Rosemary Gwen Narcissa1 – altri non fosse che la sua
primogenita, una signorina di tre anni con grandi occhi scuri ed una cascata di
ricci color miele. Draco aveva sentito le gambe tremare al solo notarla nella
penombra della sua cameretta.
Naturalmente, Draco non era un
idiota. Se qualcosa era riuscito a manipolarlo fino a quel momento,
facendogli credere che lui e la Granger fossero davvero sposati e con figli, non aveva
fatto i conti con una cosa fondamentale.
Per quanto a lui piacessero gli occhi scuri di Hermione, non c’era
speranza che sua figlia li avesse come quelli. Il grigio era un marchio dei
Malfoy da generazioni, nessuno era scampato.
Ebbene, nonostante quella
consapevolezza lui non aveva la più pallida idea di dove fosse finito, di come
ci fosse arrivato o di come tornarsene alla sua realtà. La sua memoria reale
sembrava peggiorare di minuto in minuto, sostituita da quella che sembrava
essere una versione migliorata della sua vita. Per esempio, aveva iniziato a
ricordare il giorno del suo matrimonio, sentendo una stretta allo stomaco nel
realizzare quanto meravigliosa sua moglie fosse stata con l’abito da sposa.
C’era, oltretutto, qualche immagine risalente alla nascita di Rosie che lui
avrebbe preferito non ricordare.
«Papà, non arrivo» si lamentò la
bambina seduta al suo fianco, indicando la ciotola con il porridge che sua
madre le aveva piazzato davanti. La sua determinazione nel raggiungerla era
ammirevole, da vera Malfoy, ma aveva dovuto arrendersi all’evidenza delle
proprie braccia corte.
«Attenta a non sporcarti» la
ammonì, automaticamente, Draco, avvicinandole la colazione e lanciandola la
migliore fra le sue occhiate alla Lucius. Dentro di sé, l’emozione per ciò
cui stava assistendo era irrefrenabile. Osservare quella mocciosa – erano
davvero così piccoli, i bambini di tre anni? – bere il suo succo di frutta ed
aggredire quel porridge come se l’avessero lasciata a digiuno da tre giorni era
un balsamo per la sua anima. Era bellissima, era graziosa, era una vera Malfoy.
Sua figlia.
«Papà? Ma se solo le persone
cattive hanno gli elfi… allora anche nonno Lucius è cattivo? E zio Harry?».
Era anche figlia della Granger, però.
Sorrise, alzando gli occhi al
cielo ed abbassando la voce per non farsi sentire dalla donna incinta che lui sapeva
essere particolarmente vendicativa a causa della gravidanza. «Non tutte le
persone che hanno gli elfi domestici sono cattive» le spiegò, avvicinandosi
come se avesse voluto ordire una congiura. «Se proprio lo vuoi, per Natale te
ne porterò un paio».
Allettata da quella proposta,
Rosie assottigliò lo sguardo e si portò il piccolo indice al mento, sporcandosi
di porridge. Alla fine, con un grande sorriso, batté le manine. «Anche Santa Claus ha gli elfi! Se ne prendiamo uno anche noi, allora mi
potrà costruire i giocattoli tuuuuttol’anno!».
Era decisamente una Malfoy.
Pur sorridendo a sua figlia –
quantomeno lo era in quel luogo – Draco non poté non chiedersi chi accidenti
fosse quel Sandy Claws2 e perché usasse
degli elfi per costruire dei giocattoli, invece che usare la propria magia.
Forse era qualche diavoleria babbana che la Mezzosangue aveva insegnato alla
loro bambina.
Una volta tornato indietro, avrebbe fatto bene ad avvertire quella
donna che i suoi futuri figli non si sarebbero immischiati con quelle
sciocchezze.
«Cosa state confabulando, voi
due?». Preceduta da tre piatti pieni di pancake e marmellata, Hermione fece il
suo ingresso nella Sala da Pranzo. Il suo viso era incredibilmente simile alla
versione più giovane che lui aveva conosciuto, nonostante fosse illuminato ed
ammorbidito grazie alla gravidanza.
Doveva per forza essere un trucco, era troppo bello per essere vero.
In fondo, Draco sapeva bene che la
sua vita con la Mezzosangue non sarebbe mai stata tanto pacifica. Nella realtà,
lei lo avrebbe costretto ad ascoltarla lamentarsi delle caviglie gonfie,
incolpando lui e tutta la sua stirpe di razzisti, avrebbe bruciato i pancake ed
avrebbe trovato il modo di renderlo responsabile.
Quella versione era dolce, ma noiosa.
«Papà mi ha chiesto cosa voglio da
Santa Claus» mentì spudoratamente la bambina, con un
sorriso talmente innocente che, per un istante, Draco stesso le credette.
Nessuna figlia di Hermione Granger saprebbe mentire così, con lei.
Neppure io so mentire così con lei.
«Spero tu non le abbia offerto un
elfo, perché la risposta resta sempre no» tranquilla, la Mezzosangue lanciò a
suo marito uno sguardo di fuoco, cui lui rispose sorridendo. «Fra poco Rosemary
verrà a prenderla, io però devo andare a lavoro» aggiunse, versandosi una
generosissima dose di sciroppo d’acero sui pancake. «Puoi aspettarla tu?».
Come in un flash, Draco vide
Rosemary Crave prendere in braccio una Rosie appena nata e ringraziarli per
averle dato il suo nome.
Era ancora viva.
«Sì, non preoccuparti». Avrebbe aspettato comunque, pur di vederla di nuovo, viva e sana. «Cerca di non esagerare con il
lavoro, ricordati che sei in attesa del mio pupillo» aggiunse poi, d’istinto,
allungando la mano per sfiorare quel ventre ben pronunciato, in cui riposava e
cresceva il più giovane dei Malfoy.
Sarebbe bellissimo, se solo fosse vero.
Hermione alzò gli occhi al cielo, sbuffando.
«Sei assurdo. Sono incinta, non malata…» vagamente indispettita, nonostante il
sorriso, gli pizzicò leggermente il braccio. «Mi stai guardando come se temessi
di vedermi sparire da un secondo all’altro».
Lui non riuscì ad impedirsi di
abbassare lo sguardo.
«Non essere sciocca, mia cara.
Altra marmellata?».
***
Rosemary Crave3 era
seduta nel suo salotto, con una divisa in pelle rinforzata ed un enorme peluche
a forma di Ippogrifo rosa, tutto per la sua giovane figlioccia. Quando era
entrata, nonostante lo shock di Draco, lo aveva abbracciato e poi l’aveva
immediatamente oltrepassato, seguendo l’urlo belluino con cui Rosie aveva
accolto il suo arrivo.
Erano trascorsi cinque minuti,
eppure lui non era riuscito a capacitarsi che fosse proprio lei.
Aveva sempre gli stessi capelli neri e gli stessi occhi simili a cristalli,
eppure era diversa. Certo, secondo i suoi calcoli aveva quasi ventiquattro
anni e, a giudicare dal vestiario, doveva essersi addentrata parecchio nello
studio delle creature magiche, oltre ad essere perfettamente sana. Eppure,
Draco non riusciva a comprendere cosa gli stesse sfuggendo, di lei.
«Quindi… con il lavoro va tutto
bene?» le domandò allora, sondando il terreno e cercando, inutilmente, di farsi
venire in mente qualcosa di lei. Stranamente, era come se il suo cervello si
stesse rifiutando di collaborare.
Rosemary gli lanciò un’occhiata
divertita, continuando a giocare con la bambina. «Hai saputo della mia
disavventura col drago, eh?» sbottò, arrossendo leggermente. «Senti, non è
colpa mia! Gli stavo pulendo le squame superiori e mi sono dimenticata di
addormentarlo! Quando ha iniziato a sbattere le ali era troppo tardi!».
L’immagine terrificante di una
prima pagina del Profeta con Rosemary che esultava scendendo dal dorso di un
drago appena atterrato lo fece rabbrividire.
Quella psicopatica.
«Hai fatto un giro su un drago,
ragazzina» le disse, tirando fuori tutto lo sdegno purosangue di cui era in
possesso. «A tuo padre sarà venuto un colpo! Questo è l’esempio che vuoi dare a
Rosie?» aggiunse, giocandosi la carta della responsabilità paterna che lui sapeva
avrebbe funzionato. Dopotutto, per quanto si trovasse in un mondo parallelo in
cui tutti i suoi drammi passati sembravano andati miracolosamente a puttane,
lei era sempre figlia di Crave. E non c’era modo che Crave, ovunque si
trovassero, non considerasse sua figlia il suo bene più prezioso.
Il flash di un funerale, un uomo così prostrato dal dolore da dover
essere trascinato via di forza dalla bara della figlia.
Probabilmente era quello il motivo
per cui, diversamente da quanto gli stava succedendo con la Mezzosangue, non
riusciva a rivedere gli squarci del passato mai vissuto con Rose. Il trauma della
sua morte, del suo funerale, era troppo impresso nella sua mente per essere
semplicemente spazzato via da nuovi ricordi.
La giovane si imbronciò,
incrociando le braccia al petto. «Non lo vedevo così arrabbiato dal giorno in
cui ho portato Charlie4 a casa. E tu sai quanto si è arrabbiato quella
volta». Fortunatamente, non guardò Draco negli occhi, quando pronunciò quelle
parole. Lui non aveva la più pallida idea di chi – o cosa, conoscendola sarebbe
potuto essere un animale – fosse Charlie. «Non preoccuparti, comunque, ho
imparato la lezione. Troppa gente si è arrabbiata per quel giochetto, magari mi
limiterò agli ippogrifi, d’ora in poi».
Non che quell’affermazione fosse
di conforto, per Draco. Quando aveva esaminato il braccio destro, aveva trovato
la cicatrice che quello stupido pollo di Hagrid gli
aveva lasciato al terzo anno.
«Anche io voglio un ipplogrifio» si intromise la bambina, con sguardo orribilmente
deciso, voltandosi verso suo padre e sventolando il pupazzetto. «Lo possiamo
chiamare Biscottino, vero papà?» chiese, per poi imbronciarsi quando Draco la
guardò malissimo. Allora si voltò verso la sua omonima, che non aveva mai
smesso di sorriderle. «Posso, zia?».
«Certo che puoi!» ribatté allora
lei, facendo un occhiolino allo sventurato padre nella stanza, che ebbe la certezza
che un giorno avrebbe dovuto trovare il modo di impedire a quella mocciosa di
dare asilo politico a qualche ippogrifo. «Il mio ippogrifo preferito si chiama
Pasticcino!».
L’ippogrifo era ritratto in una fotografia che svettava sul comodino
dell’ospedale.
«Povera bestia» fu l’acido
commento con cui lui commentò quella sua uscita. Pasticcino. Forse si era lasciato
impressionare dal fatto che la Granger avesse chiamato il mostro di Istanbul Fuffy. Rose non poteva essere tanto psicopatica.
Il pensiero della Granger e della
sua bestiola, però, gli ricordò qualcosa che fino a quel momento aveva messo da
parte, strabiliato nel trovarsi davanti ad una versione migliorata di quella
stessa ragazza che aveva visto morire.
La Traccia. Il mostro che l’aveva catturato e intrappolato lì.
Se davvero qualcosa l’aveva preso,
probabilmente era perché lui si era avvicinato al nascondiglio della Traccia. E
se non era riuscito ad avvertirla, probabilmente la Granger era in pericolo.
Occhi azzurri come il cielo che imploravano il suo perdono, mani
fredde contro la sua tempia e poi il nulla.
Qualcuno lo aveva fatto cadere in una trappola.
«Che cos’hai?» improvvisa, la
domanda della giovane lo fece trasalire. Nonostante fosse intenta a giocare con
la sua figlioccia, Rose era totalmente concentrata su di lui, l’espressione
orribilmente identica a quella che suo padre era solito dedicargli prima di
torturarlo psicologicamente. «Qualcosa ti turba, non provare a negarlo».
Draco sorrise, esasperato. «Come
potrei negarlo? Ti intestardiresti al punto da convincermi di avere qualcosa». Il sesto
senso dei Crave era rimasto anche in quel mondo, dunque. Il sangue non era
certo acqua, nonostante lei fosse una Magizoologa.
«In realtà, avrei bisogno di un consulto specialistico» aggiunse poi,
realizzando quanto maledettamente fortunato fosse. Sì, quel mondo probabilmente
era una finzione ed era frutto dei suoi più reconditi desideri, quindi lei non era
davvero una Magizoologa. Ma, al tempo stesso, era
abbastanza sicuro di conoscere il nome della bestia e, interrogando lei,
credeva di poterlo ricordare.
«Se vuoi parlare con uno
psichiatra, mio padre sarà felice di prenderti un appuntamento» scherzò lei,
per poi farsi più attenta. «Forza, il mio tariffario è estremamente alto e tu
hai già sprecato venti secondi del mio tempo».
«Ti comprerò un mazzo di fiori»
concesse allora lui, ridendo. «Si tratta di una creatura capace di rinchiudere
le persone in realtà alternative» spiegò, raddrizzando le spalle. «Ne sai
qualcosa? Magari è un veleno…».
L’espressione che lei tirò fuori
lo fece rabbrividire. Era così identica a suo padre da essere quasi
inquietante. L’effetto di quegli occhi chiarissimi, se possibile, era ben più
terrificante di quello ottenuto da quelli scuri del dottore. «Ci sono dei Ragni
della foresta pluviale il cui morso ha effetto allucinogeno, so che li vendono
come se fossero droghe» spiegò, con una risatina. «Non che io abbia mai usato
robaccia simile, certo…».
L’immagine del gatto psicotico del
dottore si affacciò alla mente di Draco e, per qualche motivo, quell’ultima
affermazione suonò alle sue orecchie come una confessione implicita5.
«Fa’ quello che ti pare, finché
mia figlia non è coinvolta» borbottò lui, cercando di essere severo, per poi
scuotere il capo. «Non credo sia un ragno e non sono allucinazioni. In un certo
senso, è come se la vittima fosse intrappolata in un mondo diverso, senza
possibilità di capire quanto sia diverso» aggiunse poi,
cercando di spiegarsi meglio. «Un mondo in cui tutti i suoi sogni sono realtà».
L’espressione spaventata con cui
lei accolse quella specificazione lo inquietò non poco. «Allora stai parlando
dei Djinn» sbottò, scuotendo il capo. «Brutto affare, brutto davvero… al
Ministero ne avete beccato uno? Sarei entusiasta di studiarlo! E come me
tantissimi altri scienziati. Sono praticamente estinti da secoli».
Si chiamano Djinn, Malfoy.
«Come funzionano le loro capacità?
Dimmi tutto quello che sai» le domandò, schiarendosi la voce. Cominciava a
ricordare qualcosa – un avvertimento – dalla realtà da cui proveniva.
Non era una bella immagine. C’era stata preoccupazione, nella voce della
Granger.
Rosemary si accigliò. «Hanno la
capacità di imprigionare l’anima di una persona in un altro mondo. Un mondo in
cui tutti i suoi desideri più nascosti sono reali. Alcuni discutono che si
tratti solo di un’illusione… ma io non credo sia così. I corpi di chi non è
stato abbastanza forte da opporsi al Djinn si sono ridotti proprio come quelli
delle vittime del Bacio dei Dissennatori. L’anima era sparita» spigò,
stringendo poi le labbra. «È una brutta faccenda, Draco. Davvero avete di
questi problemi, all’Ufficio Misteri?».
Ufficio Misteri? Era il mio dannato sogno, da ragazzino.
«Beh, sì» mentì, alzando gli occhi
al cielo. «Ovviamente, quello che io faccio è indicibile6, Rose, lo sai benissimo»
aggiunse, come se avesse voluto rimproverarla. In realtà aveva sognato tutta la
vita di poter fare quella battuta.
Lei non apprezzò. «Merlino,
Malfoy, ormai fai gli stessi scherzi di un padre di mezz’età con la classica
pancia da birra7» gli disse, disgustata, fingendo di rabbrividire.
Draco ridacchiò. «Tuo padre è di
mezz’età, ma non ha la pancia da birra» le fece notare, mentre la bambina,
annoiata dal gioco, si arrampicava sul divano e gli si sedeva in braccio.
«Ma si tratta di mio padre, lui è
meraviglioso».
Draco non se la sentì di
controbattere. Troppe donne – in entrambe le realtà in cui aveva vissuto – non
avrebbero messo in discussione quell’affermazione.
«Quanto al Djinn… mi stai dicendo
che quella realtà esiste davvero?» domandò allora, sentendo qualcosa di molto
simile alla speranza sbocciargli nel petto. Forse poteva restare.
Rose si strinse nelle spalle, con
un sospiro. «Sì e no. Esiste per l’anima, come quello
che in molte religioni è il Paradiso, sai? Stando alle testimonianze, le
vittime arrivano ad un punto tale in cui si dimenticano del mondo da cui
provengono e, semplicemente, fanno in modo che la loro anima sopravviva nella
realtà parallela. Sono pochissimi quelli che sono riusciti a tornare».
Poteva restare e morire lì, con una famiglia che lo amava. Con degli
amici che non avrebbe mai potuto incontrare.
La scelta era stata fatta, per
quanto lo riguardava. Non c’era nulla di certo che lo attendesse, nel mondo da
cui proveniva. Quante volte aveva meditato di porre fine a tutto? Quante volte
non ne aveva avuto il coraggio?
Gli sarebbe bastato accettare
quella fortuna, per farla finita ed essere finalmente felice. Non meritava
anche lui il suo angolo di paradiso?
Occhi come il cielopieni di
orrore, una richiesta di scuse prima dell’oblio.
Qualcuno l’aveva fatto cadere in una trappola.
La Granger era in pericolo.
«Come hanno fatto a tornare
indietro?». Strapparsi quelle parole fu doloroso come se ognuna di esse fosse
stata una freccia piantata nel suo petto. Il calore della piccola Rosie,
accomodata sulle sue gambe, all’improvviso non gli sembrò sufficiente.
Stava per abbandonarla.
«Il procedimento è inverso,
possiamo dire» spiegò Rose, con una smorfia. «Se per restare nella fantasia si
deve lasciar morire l’anima nel mondo vero, allora per tornare nel mondo vero
bisogna morire nella fantasia». Sospirò, preoccupata. «Non è semplice, il
ritorno. In molti non sono più riusciti a rassegnarsi alla verità, dopo aver
vissuto l’illusione, e si sono suicidati».
Draco lanciò uno sguardo alla
bambina stretta al suo petto, ripensando alla Mezzosangue ed al bambino non
ancora nato. Non faticava a comprendere il motivo che avesse spinto quelle persone
ad un gesto tanto estremo.
«Grazie Rose. Mi sei stata di
immenso aiuto».
Doveva soltanto capire come uccidersi.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Prima
di tutto,ho una paginafacebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Ancora
non mi sono ripresa dalla morte di Rose, questo capitolo ne è la dimostrazione.
Abbiate pazienza, dovevo farlo. Dovevo vederla felice, anche solo una volta.
Il capitolo è un po’ più lungo, mi sono ritrovata ispirata e non me
la sono sentita di togliere qualcosa. Nel prossimo, rivedremo Hermione ed anche
altri amici.
Punti
importanti:
»
Prima di tutto, il Djinn è
ispirato alla serie tv Supernatural (episodi 2x20,
6x01, 6x10, 8x20 e 9x20). Si tratta di creature della tradizione islamica (il
Pakistan è uno stato di religione islamica, per questo ho scelto loro) capaci di
alterare la percezioni della realtà delle loro vittime con un solo tocco. Nella
serie tv si nutrono del sangue (o della forza vitale, non ricordo) delle loro
vittime, qui, invece, sono un po’ come i Dissennatori, solo che mandano l’anima
“in un posto migliore” e si nutrono della vita della vittima.
» 1 I tre nomi della bambina sono quelli di
Rosemary (ovviamente), della madre di Hermione e di Narcissa,
le tre donne più importanti nella vita di Draco (Gwen
perché è la madre di Hermione, ovviamente). Capisco che lui e Rose non abbiano
avuto questa amicizia duratura, ma lei ha influito su di lui molto più di amici
di vecchia data.
» 2 SandyClaws è un omaggio a NightmarebeforeChristmas, il miglior film di Halloween/Natale
mai realizzato. Se non l’avete già visto, dovete farlo.
» 3 Questa Rosemary,
ovviamente, è una proiezione dei desideri di Draco, ufficialmente è ciò che lui
avrebbe voluto per lei. Ufficiosamente, invece, io non mi sono rassegnata e,
almeno in un universo parallelo, ho dovuto darle la vita felice che merita,
piena di salute e successo lavorativo. La storia della cavalcata sul drago è
qualcosa che lei avrebbe sicuramente
fatto e non necessariamente per errore.
» 4 Questo Charlie non è un cane, ma Charlie
Weasley. Vedete, io adoro solamente due Weasley come se fossero figli miei: al
secondo posto c’è Percy (scelta improbabile, lo so, eppure…), ma al primo c’è
sicuramente Charlie. Lui ed i suoi draghi. In questo AU (di cui io mi sono
innamorata perdutamente), Charlie e Rose
si sono conosciuti durante una conferenza sui draghi e, con MOLTI PROBLEMI,
sono finiti insieme. Sì, lui è dieci anni più grande di lei, ma alla fine è un
bambinone. Il povero Newton non è stato affatto
contento. Se Draco non fosse intervenuto (con un proverbiale “e se si innamorasse di uno senza spina
dorsale?”), probabilmente il vecchio Newt avrebbe
ammazzato il secondo Weasley con le sue manine delicate. Quindi sì, la shipCharmary è nata.
Devo scrivere di loro due.
» 5Rosemary non è una drogata, state calmi. Semplicemente, è una
ragazza che conosce bene le capacità di alcuni veleni. È un po’ come se stesse
fumando erba, una volta ogni tanto. Non prendetevela. Anche perché la
sottoscritta è contraria anche alle sigarette.
» 6 Malfoy come Indicibile
è una mia fantasia. Secondo me quei tizi, nel mondo magico, sono come gli 007.
Quale maghetto non vorrebbe diventare un tizio figo, da grande?
» 7 Il classico “DadJoke”, si fa
riferimento alle battute così pessime da farti cadere il latte dalle ginocchia
ma che sembrano piacere un sacco ai papà. Stessa cosa per il riferimento alla
classica “trippa da birra”.
Mamma mia quante note,
in questo capitolo. Scusatemi, ma mi sono davvero fatta prendere la mano.
Questo universo alternativo mi ha ispirata in modo incredibile, non volevo
smettere di scrivere, pur di continuare a pensarci.
Piccola comunicazione di servizio: I prossimi due lunedì
avrò esami, quindi la pubblicazione verrà spostata al martedì! Per possibili aggiornamenti,
tenete d’occhio facebook!
Capitolo 22 *** Atto XIII - Parte II/ La Bella addormentata ***
Lo Specchio delle Anime
LoSpecchio delle Anime.
“Principessina,
se la triste profezia si avverasse, bimba mia, non per questo morirai.
Nel
sonno tu cadrai e il tuo sonno cesserà, se l'amor ti bacerà.
Sia
questo il più fulgido dei tuoi doni: che la speranza mai ti abbandoni!”
[Serenella – La Bella
addormentata nel Bosco, Disney 1959]
Atto XIII – Parte II
La Bella addormentata.
Quando, dopo due ore, non ricevette notizie di Malfoy, Hermione
iniziò a preoccuparsi.
Era una sensazione strana, in effetti. Era già stata in
ansia per lui, soprattutto durante quelle loro missioni quasi suicide, ma
solitamente il tutto si riduceva ad uno strano senso di fastidio alla bocca
dello stomaco, oppure ad uno sgradevole tic all’occhio destro.
Quella volta, invece, il disagio era diffuso in buona
parte dei suoi organi, come un veleno capace di scorrere insieme al sangue
nelle vene. Bruciava, lasciandola in uno stato perenne di ansia e nausea che
non riusciva a sopportare. Non capiva il senso di quelle emozioni. Non capiva
perché improvvisamente le importasse così tanto, perché fosse pronta a mettere
da parte l’orgoglio e l’interesse per la missione solo per poter andare a
cercarlo.
Non lo capiva.
Oppure si?
Malfoy, nei due giorni precedenti, era stato una roccia,
per lei, senza neppure chiedere spiegazioni riguardo il suo comportamento
strano. Le era rimasto accanto quando i Guaritori avevano chiesto loro di
allontanare il Dottore dal corpo di Rosemary e lui aveva urlato come se gli
avessero strappato il cuore dal petto. Era rimasto al suo fianco durante il
funerale, quando Hermione aveva assistito allo strazio che a lei era stato
risparmiato.
Il suo bambino
non aveva avuto funerale.
Malfoy era rimasto al suo fianco e lei non poteva che
essergli riconoscente. Doveva essere quella la motivazione della sua ansia: non
poteva permettere che morisse da solo, non quando era stato così gentile e
riguardoso verso di lei.
Sì, contaci.
Quando si erano separati, lui le aveva promesso che
avrebbe mandato un qualche segnale ogni ora e le aveva chiesto di fare lo
stesso.
I messaggi via patronus di
Hermione non avevano ricevuto alcuna risposta.
All’inizio si era convinta che fosse perché i Mangiamorte
– gli ex – non erano capaci di
evocare quell’incanto, poiché avevano conosciuto troppo male nella loro vita.
Riflettendoci, però, si disse che fosse una giustificazione assurda. Malfoy
avrebbe trovato un altro modo per parlarle, se avesse voluto.
Se avesse potuto.
Per quel motivo, dopo due ore, aveva deciso di lasciar
stare il suo cammino e seguire le tracce che Malfoy aveva lasciato.
Non era stato difficile, davvero. La fanghiglia che
ricopriva il fondo della caverna aveva permesso che le impronte delle sue
scarpe firmate – chi andava in missione
con le scarpe firmate? – restassero ben evidenti anche ad ore dalla loro
creazione. Lui era andato quasi sempre dritto, fermandosi ogni tanto per
osservare delle particolarità nelle pareti di roccia, molte delle quali Hermione
non aveva neppure notato. C’erano incisioni, disegni che dovevano risalire agli
uomini preistorici.
Non c’era dubbio che in quella caverna fossero passate
generazioni e generazioni di uomini e donne e che tutti avessero lasciato
un’impronta. Il valore storico ed artistico di quel luogo sembrava aumentare ad
ogni suo passo.
La meraviglia, tuttavia, si arrestò quando i disegni
divennero più comprensibili e l’orrore di quei messaggi iniziò a fare breccia
nelle emozioni di Hermione.
Una creatura enorme si stagliava sui piccoli umani
stilizzati. Impronte insanguinate ricoprivano quella roccia antica come se
fossero state appena lasciate. Doveva esser frutto di una qualche magia,
naturalmente. Era impossibile che il sangue si mantenesse così bene, a distanza
di secoli.
Era impossibile
che un cadavere con indosso un’armatura risalente al periodo greco fosse ancora
abbandonato in un angolo, perfetto come se si fosse appena addormentato.
Hermione non l’aveva visto e, per un istante, aveva temuto
di star per essere attaccata. Era bastato uno sguardo, ovviamente, per
comprendere quanto inutile fosse stata la sua preoccupazione. Il cadavere era
quasi interamente ricoperto dalle ragnatele, gli occhi sembravano l’unica parte
del corpo ad essersi deteriorata seguendo il corretto iter temporale.
Era come una marionetta degli orrori, realizzò la strega,
con raccapriccio. Morto, eppure abbastanza vivo
da spaventarla.
Conservazione del
corpo, rammentò improvvisamente, rabbrividendo ed arretrando di un paio di
passi. Erano le conseguenze del Djinn.
Il suo viaggio su quella strada non migliorò, i cadaveri
aumentarono così come la sua ansia. La sua speranza, comunque, cresceva con lo
stesso ritmo. Malfoy non era uno sprovveduto, non si sarebbe fatto prendere alle
spalle dalla creatura. Le aveva raccontato delle sue avventure, le aveva
raccontato delle maledizioni scampate per un pelo. Ce l’avrebbe fatta.
Lo pensò finché le impronte della fanghiglia non si
sdoppiarono e, a quelle leggermente a punta di Malfoy, non se ne unì un paio
troppo piccolo per appartenere al mostro. Soprattutto perché il mostro
difficilmente avrebbe indossato delle scarpe.
C’era stato
qualcuno lì.
Seguire quelle orme le sembrò improvvisamente il più arduo
dei compiti. Non voleva scoprire cosa ci sarebbe stato alla fine del tunnel. La
possibilità che qualcuno avesse colpito Malfoy alle spalle aveva reso molto più
reale il rischio che fosse stato ferito.
Qualcosa strisciò
nell’ombra, facendole gelare il sangue nelle vene.
«Malfoy?» chiamò, forse mostrandosi troppo ottimista. La
bacchetta illuminata le tremò in mano. Quel suono continuò, come se un corpo
assurdamente grosso avesse iniziato a girarle intorno, famelico. Il respiro
gelido che le accarezzò il collo le confermò che non potesse trattarsi di
Malfoy. «Io non ho paura di te» aggiunse, forse per convincere se stessa e
mostrarsi un po’ più spavalda.
Il debole non
sopravvive, le aveva detto una volta il Dottor Crave. Lei gli aveva risposto che
spesso erano i forti a morire, proprio a causa del loro coraggio.
Sopravvivere non
significa non morire, aveva aggiunto
allora lui.
Pensando a ciò che era successo a Rosemary, stando a
quello che Malfoy le aveva raccontato, Hermione non se la sentì di metterlo in
dubbio. Non più.
La creatura nell’ombra ringhiò, ma, ascoltando meglio,
Hermione percepì qualcosa di diverso, qualcosa che prima non aveva sentito.
Dolore.
Si rese conto, all’improvviso, che la paura avesse
irretito i suoi sensi. Quell’impronta di sangue che aveva visto prima era
troppo grande per appartenere ad una persona. Le tracce che aveva notato lungo
il percorso, fino a quel punto, erano di un colore troppo scuro, troppo innaturale.
Voltandosi all’improvviso, seguendo il lamento, ebbe la conferma
delle sue teorie.
Alto, grosso e ferito, il Djinn
la fissava da un angolo della caverna, raggomitolato su se stesso, con una
grossa mano artigliata a tamponare uno squarcio aperto sul suo fianco. Sangue
nero gocciolava sul pavimento ed un liquido azzurrognolo gli colava dai grandi
occhi bianchi. Ad Hermione fece tornare in mente i ricordi, nonostante fossero molto più densi e di un colore più
acceso.
Il Djinn si nutre di anime, spingendo le vittime a vivere in
un mondo parallelo.
Forse era l’anima di Malfoy, quella che lui stava
perdendo. Forse erano momenti di quel mondo mai esistito che lui stava
sperimentando in quel momento.
Di una cosa, però, era certa: Draco era stato colpito.
Il Djinn non sembrava
intenzionato a nutrirsi di lei. Non sembrava intenzionato a fare qualcosa che
non fosse morire, in quel momento, nonostante quel privilegio gli sembrasse
precluso.
Avrebbe dovuto
lasciarlo lì.
Avrebbe dovuto
scappare alla ricerca del collega.
Ma la curiosità ebbe la meglio.
Spinta da un impulso che non sapeva neppure dove avesse
origine, Hermione fece un passo avanti ed allungò la mano verso la creatura,
che non si mosse. Le sue dita, tremanti, si avvicinarono alla sostanza
azzurrognola, sfiorandola appena.
Una bambina con
bellissimi capelli color del miele.
Avrebbe dovuto staccarsi.
Occhi come
ilghiaccio, sulle labbra rosa un
sorriso felice.
Doveva staccarsi, prima che l’incanto della creatura la
catturasse nelle sue spire velenose.
Un nome.
Rose.
Quasi come se il Djinn avesse
deciso di lasciarla andare, Hermione si staccò da quella visione e prese un
profondo respiro. Gli occhi bianchi erano improvvisamente tristi, stanchi.
Aveva pagato la
sua morte con un angolo di paradiso.
Lei sentì il cuore stringersi in una morsa gelida, le
lacrime ai bordi degli occhi premevano per uscire. Sapeva che quella creatura
fosse responsabile della possibile morte di Malfoy, ma non se la sentì di esser
crudele.
Non aveva scelto di essere ciò che era. Non poteva
rinnegare se stesso.
«Mi dispiace» gli disse allora, con un sussurro. Poi,
sollevando nuovamente la bacchetta, chiuse gli occhi. Sapeva cosa fare e sapeva
come farlo, ma assistere alla morte di un essere così antico le faceva dolere
il petto. «Avada Kedavra».
Trovò la Traccia fra i resti della creatura, nascosta
negli stracci che aveva usato per coprirsi. Era uno specchietto piccolo,
semplice, con una cornice di rame leggermente decorata. La raccolse sentendo un
moto di orrore sprigionarsi nel suo petto.
Dov’era Malfoy?
Non era lì vicino, non c’era più traccia delle sue
impronte per terra. Qualcuno l’aveva seguito, non c‘erano dubbi al riguardo.
Nonostante tutto, le sembrò quasi assurdo che lui si fosse fatto incastrare
così facilmente. Non era un comportamento da Malfoy.
Morto il Djinn, la caverna le
sembrava molto meno inquietante. Era ancora buia, era ancora fredda, ma non le
sembrava più di esser seguita ad ogni passo. Il silenzio era quasi confortante,
come se le ombre avessero voluto abbracciarla e tenerla lontana da tutti gli
orrori che la aspettavano fuori da quella grotta dimenticata da Dio.
Sapeva di non poter restare. Sapeva di non poter godere di
quella pace.
Non quando Malfoy era ancora disperso o quando Harry
rischiava di esser sopraffatto dall’orrore che minacciava di divorarlo
dall’interno.
Contavano su di
lei, la pace avrebbe dovuto aspettare.
Continuò il suo viaggio con il cuore in gola, il terrore
di essere arrivata troppo tardi cresceva imperioso nel suo petto.
Quando lo vide, temette di aver fallito.
Pallido come un cadavere, placidamente abbandonatocontro la parete, Malfoy riposava su un
letto di rovi come la Bella addormentata nel bosco. Hermione aveva ucciso il
Drago cattivo, ma non credeva di poter essere davvero il principe azzurro.
Avrebbe dovuto
riposare anche lui per oltre cento anni?
«Innerva!» tentò, senza tuttavia avvicinarsi. Il terrore
che fosse troppo tardi le impediva di
ragionare lucidamente come avrebbe voluto. Se Malfoy fosse morto, lei sarebbe
stata completamente sola. Non avrebbe potuto coinvolgere nessun altro nella
ricerca, non senza perdere giorni e giorni di tempo. Il solstizio d’Inverno si
avvicinava e, con quello, anche la fine delle loro speranze.
Malfoy, ovviamente, non si riprese.
Maledizione,
Draco.
Quando si avvicinò, Hermione allungò la mano per
prendergli il polso e ricercare il battito. Il sollievo che provò sentendo quel
ticchettio regolare durò poco: era lento, affaticato, il battito di qualcuno
molto vicino alla fine della vita.
Le tremarono le ginocchia, chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare per aiutarlo.
Non c’era una cura al veleno del Djinn, doveva esser
la vittima a scegliere di salvarsi.
Come poteva
pretendere che lui tornasse, se un solo istante di quel paradiso era stato
sufficiente a spezzarle il cuore? Draco aveva avuto una vita
complessivamente peggiore della sua, aveva vissuto dolori che Hermione aveva
solo immaginato.
Lei aveva visto una bambina, perché il suo più grande
dolore era stato l’aborto.
Lui cos’aveva visto? Dov’era intrappolato?
Aveva bisogno d’aiuto, da sola non sarebbe riuscita a
salvarlo in tempo.
Con uno sforzo sovrumano, Hermione tirò a sedere il
collega, passandogli un braccio intorno al busto prima di smaterializzarsi
nell’unico posto assolutamente sicuro.
Malfoy era stato tradito, non poteva fidarsi di nessuno.
Ma non poteva
farcela da sola.
***
«Non c’è molto che possiamo fare, adesso».
Non erano
esattamente le parole che Hermione voleva sentire. Tuttavia non se
la sentì di farne una colpa a Zabini, era ben consapevole delle pochissime
informazioni che girassero sul conto dei Djinn e
dell’assenza di cure al veleno.
«Ho preparato questa, dovrebbe aiutarlo a riprendere il
controllo» si intromise Laurie, porgendole una
fialetta dorata. Si era presentata con il suo fidanzato e, sorprendentemente,
non aveva mostrato un minimo di astio verso di lei o verso Malfoy, tutt’altro. Sembrava sinceramente preoccupata, nonostante
la sua ansia dovesse esser ricondotta più alle condizioni del futuro marito che
del giovane addormentato. «Non posso far altro, questo dovrebbe mantenere la
sua anima forte per un po’ più di tempo».
Hermione annuì, senza sorridere. Fu lei stessa a far bere
quello strano liquido a Draco, assistendo impotente all’assenza di conseguenze.
Forse fu un bene, non avere effetti era molto meglio che una morte immediata.
«Sei sicura che vi abbiano traditi?» le chiese allora
Blaise, sedendosi nella poltrona accanto al letto. Il suo sguardo era
impassibile, ma le spalle erano rigide, quasi fosse pronto a scattare via. «Chi
sapeva della missione?» chiese ancora, prima di lanciarle un’occhiata gelida.
«Perché non credi che potremmo essere noi le talpe?».
Lei espirò forte dal naso, incrociando le braccia la
petto. Era la prima volta che si sentiva a disagio a casa sua. «C’erano
impronte estranee, come se qualcuno l’avesse seguito. Altrimenti non saprei
come giustificare il fatto che sia stato colpito, lui è molto più intelligente
di un Djinn» disse, stringendosi nelle spalle.
«Quanto a te, dubito fortemente che vorresti il ritorno di Voldemort» aggiunse,
indicando Laurie con un cenno del capo.
La ragazza chiamata in causa sorrise, avvicinandosi alla
poltrona ed accomodandosi sul bracciolo. «La sua logica è inoppugnabile,
Blaise. L’ultima volta hai rischiato la pelle, non credo che tu voglia farlo di
nuovo». Alzò lo sguardo su Hermione, solo per un attimo. «La vita di noi Sanguesporco non è stata facile, tu lo sai bene».
Hermione sospirò. «Al Ministero le informazioni girano
facilmente, soprattutto negli uffici del Ministro. Ho molti sospetti, ma non
posso avere certezze. Shacklebolt ha dato impiego a molti soggetti dubbi, il
mio capo gli ha più volte chiesto di lasciar perdere» spiegò, scuotendo
leggermente il capo. «Negli ultimi mesi sembra completamente impazzito, ha
fatto tutto quello che gli passava per la testa senza mai preoccuparsi delle
conseguenze».
Non poteva essere
lui, vero?
«Se stai pensando che il Ministro possa essere coinvolto,
io non posso che concordare» le disse Laurie, seria,
incrociando le braccia al petto. Sembrava minuscola accanto al suo fidanzato,
più simile ad un armadio che ad una persona. Il suo sguardo, però, faceva quasi
paura. «L’ho incontrato un paio di settimane fa, inUfficio.
Mi ha chiesto se qualcuno di noi si fosse avvicinato alla creazione di una
nuova pietra filosofale, nonostante il divieto assoluto anche solo di parlarne*». Strinse le labbra,
sospirando. «A cosa potrebbe servirgli, se non per tenere in vita qualcosa che
è stato morto per troppo tempo?».
Era assurda come
ipotesi. Kingsley Shacklebolt era l’uomo dai principi
più sani che Hermione avesse mai conosciuto in vita sua. Non c’era verso che
potesse arrivare a sostenere Voldemort.
Non quando i Mangiamorte avevano ucciso sua moglie.
Ma tutti possono
cambiare. Non lo disse ad alta voce, naturalmente. Lo sguardo che la ragazza
le stava dedicando era più che sufficiente per chiarire cosa pensasse lei di
tutta quella storia. E Blaise, che era rimasto in silenzio, probabilmente concordava.
«Non importa, adesso» disse proprio lui, alla fine, con un
sospiro. «Draco è incosciente da ore ed il suo polso è sempre più debole. Non
possiamo fare nulla, finché non deciderà di svegliarsi da solo». Lo sguardo del
giovane Guaritore era troppo preoccupato
per appartenere a qualcuno che provasse speranza. «Non credo che vorrà farlo,
comunque».
«Non puoi saperlo» sbottò immediatamente la sua fidanzata,
lanciandogli un’occhiata storta. «Malfoy è tante cose, ma non è un codardo. Non
più». Accennò un leve sorriso. «Non da quando gli ho dato un pugno,
quantomeno».
«Perché credi che preferirebbe restare in quel limbo?»
domandò allora Hermione, sentendo un peso sulla bocca dello stomaco. Forse
sapeva perché. L’aveva sperimentato.
«Perché vuoi saperlo?».
«Perchè tu lo conosci meglio di me» la sua risposta fu
immediata. Era la pura e semplice verità. Per una oscura ragione, Hermione
aveva accettato la possibilità che l’amicizia fra Malfoy e Zabini fosse un po’
come ciò che legava lei ed Harry.
Una versione Serpeverde
di lei ed Harry.
Blaise sembrò accettare quella spiegazione come se fosse
buona. Annuì leggermente, spostando lo sguardo sul corpo inanimato del migliore
amico. «Il veleno del Djinn ti regala ciò che hai
sempre desiderato. Io, probabilmente, mi vedrei così come sono» ammise, forse
con po’ troppa allegria. La sua
fidanzata gli sussurrò qualcosa come sbruffone,
ma lui non sembrò prestarvi attenzione. «Quello che intendo dire… Draco può
aver avuto una vita apparentemente perfetta, ma quello che per altri era naturale, per lui non lo è mai stato».
Sospirò, alzandosi in piedi, con le mani in tasca. «Immagina di non aver mai
avuto un vero compleanno in famiglia. Immagina di non aver mai ricevuto un
abbraccio da tuo padre. Immagina come sarebbe stata la tua vita se ogni tuo
passo fosse stato accompagnato da persone estranee, senza mai un sorriso
sincero».
«I suoi genitori lo amano» ribatté però Hermione, con le
sopracciglia inarcate. «Sua madre ha sfidato Voldemort, suo padre ha messo se
stesso a rischio per… per rimediare».
Non spiegò cosa intendesse. Il passato di Lucius Malfoy e Rosemary Crave doveva
restare un segreto.
«Non lo sto mettendo in dubbio». Blaise sospirò,
passandosi una mano fra i corti capelli scuri. «L’amore si dimostra in molti
modi diversi e spesso non viene proprio dimostrato, nonostante ci sia. Ma in
questo caso… questa è la via peggiore,
ti fa crescere credendo di essere solo e, alla fine, sei pronto a tutto pur di
non esserlo più» mormorò, includendosi, questa volta, nella cerchia dei bambini
abbandonati. «Alcuni di noi sono abbastanza fortunati da trovare una via
d’uscita» nel dirlo, prese la mano di Laurie e se la
portò alle labbra, sfiorandole delicatamente le nocche. «Altri no, allora la
vita perde ogni senso e si cercano altre vie per esprimere quell’amore che la
famiglia non può più garantire».
«È ancora giovane. L’amore… la famiglia potrà ancora
arrivare» rispose quindi la strega, sentendo una strana nota di fastidio
diffondersi come un’onda gelida a partire dal fondo del suo stomaco. Poteva
arrivare, perché, forse, lei poteva
esservi coinvolta. «Non può rinunciare alla speranza, non così velocemente».
Blaise annuì, con uno sguardo carico di compassione.
«Arriva un momento in cui la speranza non basta più, Granger. Non quando qualcosa può offrirti di meglio e subito».
Hermione sentì le ginocchia tremare. «Ma così morirà».
Dopo aver preso il proprio cappotto dallo schienale della
poltrona ed aver fatto cenno a Laurie di alzarsi,
Blaise poggiò la mano sulla spalla di Hermione.
«Ci sono destini peggiori della morte».
***
Draco aveva pensato che fare i suoi addii sarebbe stato
facile. Aveva vissuto quella giornata al massimo delle sue possibilità, giocando
con la sua bambina e baciando sua moglie ad ogni occasione buona. Era andato a
pranzo con Rosemary, aveva parlato del suo lavoro e della storia con quel
famoso Charlie, che si era risolto
essere il secondo fra tutti i Weasley.
Un Weasley, per Merlino.
Quello doveva essere un accoppiamento sensato, in qualche
oscura regione del suo cervello. Lui aveva incontrato quel tipo soltanto due
volte in tutta la sua vita ed era stato sempre un rapporto ridotto ad una
parola di cortesia ed a qualche “grazie
per aver controllato quel Drago”.
Il Dottor Crave si era mostrato contrario, stando a quello
che Rosemary gli aveva detto. Il Dottore doveva rappresentare la parte
razionale di Draco, quella che vedeva l’orrore nel costringere quell’anima pura
a convivere con un Weasley.
Probabilmente era
colpa della Granger.
Se avesse deciso di restare, Draco avrebbe potuto far
qualcosa per impedire quello scempio.
Ma non poteva e
doveva dire addio.
«Domani andiamo dal nonno, papà?» le aveva chiesto Rosie,
con un sorriso enorme, tutto fossette e gioia. Un trucco della sua mente per convincerlo a restare. «Voglio una
scopa da corsa!».
Quello era un buon modo
per convincerlo, comunque. Doveva ammettere che il sadismo della sua mente
sapeva raggiungere livelli di nauseante perfezione.
«Faremo quello che vorrai» le aveva quindi risposto lui,
chinandosi per baciarle la fronte e sistemandole le coperte intorno,
assicurandosi che fosse comoda e ben al caldo. Probabilmente era freddolosa
come lui.
In quel momento, una volta trascorse ore, l’intera casa era caduta in un sonno profondo e lui, unico
ancora cosciente, si aggirava per quelle grandi stanze come uno spirito
inquieto. Non aveva ancora deciso come morire, non avendoci mai riflettuto
particolarmente.
Avrebbe potuto usare la magia, ma chi gli assicurava che
non ci sarebbero stai effetti collaterali anche nel mondo reale? Non avrebbe
certo voluto risvegliarsi con una qualche menomazione che gli impedisse di
potare a termine la missione.
Aveva pensato di usare un coltello, piantandoselo nel
petto in una fedele imitazione di quella tragedia babbana** a cui Laurie lo aveva costretto ad assistere. Però il ricordo di
detta ragazza che insultava pesantemente i due protagonisti lo aveva fatto
desistere. Non voleva certo subire lo stesso trattamento, una volta
risvegliato.
Sono due idioti,
io guardo la commedia solo per rammentare a me stessa di non perdere la testa.
«Sai cosa devi fare, Draco».
La voce conosciuta, giunta da una parte oscura alle sue
spalle, lo fece trasalire. Quando si voltò, due occhi chiari come cristalli lo
guardarono con dolcezza e compassione. Rosemary era di nuovo lì, eppure non
sembrava la stessa che credeva di aver incontrato quella mattina. Era giovane,
pallida, con indosso un vestito bianco molto simile a quello con cui era stata
seppellita.
Non si chiese perché la sua visione della ragazza fosse
mutata così radicalmente, non gli importava.
«Non so come farlo»
ammise, allargando le braccia con aria sconfitta. «Non ho mai pensato ai mille
modi in cui una persona può togliersi la vita. È piuttosto deprimente, in
realtà».
Rose sorrise, indicando la finestra. «Puoi morire facendo
la cosa che, più di tutte, ti ha reso felice. In un certo senso, starebbe bene
con questo strano mondo che ti sei creato».
Accigliato, Malfoy la guardò con curiosità. «Vuoi dire che
dovrei morire tentando di far sesso con mia moglie sul cornicione?» domandò,
fingendosi ben più spavaldo o divertito di quanto non fosse in realtà. «Sei
intraprendente, Miss Crave».
Lei non sembrò colpita dal suo sarcasmo. Con una
tranquillità che di vivo non aveva
nulla, si avvicinò a lui, fino ad affiancare l’infisso che poco prima aveva
indicato. Poggiò allora le spalle al muro, intrecciando le dita davanti a sé.
Sembrava fosse in posa per una fotografia, tanto perfetta era la sua immagine.
«Non so se sono intraprendente» gli disse, stringendosi
leggermente nelle spalle. «Quando i miei amici scoprivano le gioie del sesso,
io scoprivo quanto velocemente i Guaritori potevano arrivare nella mia camera»
aggiunse. «Dubito, comunque, che sarei stata pudica. Mio padre mi ha insegnato
che spesso bisogna allungare la mano e prendere ciò che si desidera».
Nonostante sentisse un peso sullo stomaco, Draco annuì.
«Sembra un consiglio da Newton Crave, in effetti» commentò, accennando un
leggero sorriso. «Credi che dovrei buttarmi?» domandò allora, facendo qualche
passo avanti e gettando uno sguardo oltre la vetrata perfettamente pulita.
Rosemary gli sorrise, dolce. «Hai sempre voluto scoprire
cosa si prova a volare senza una scopa, no? Puoi farlo, adesso» disse,
indicando lo spazio davanti a lui. «Fa paura, non è vero? Ma immagino che sia
un male necessario».
Draco le lanciò un’occhiata storta. «So bene di dover
schiattare in fretta e tornare alla realtà, non mi servono promemoria» le
disse, vagamente sarcastico.
Lei scosse il capo, lasciando che qualche ciocca scura le
scivolasse dalla spalla. «Mi riferivo alla paura» spiegò, con una punta di
tristezza nella voce. «Provarla è il male necessario di chiunque sia vivo,
vero? Mi piacerebbe sentire ancora quel brivido».
Draco non riuscì ad impedire che un magone gli salisse in
gola. «Immagino che dovrei esser felice di provarla, allora. Se vuoi, posso provarne
un po’ di più in tuo onore» propose, con un tono che, in fondo, non era poi molto scherzoso.
«Ci sono molte cose che dovrai fare, in mio onore» fu la
risposta che lei gli dedicò, sorridendogli con una dolcezza ed un coraggio tali
da scaldargli il cuore. Allargò un braccio, per indicare ciò che li circonava. «Ormai sei vicino a realizzare tutto questo, non
lo capisci? Non ti serve un sogno, solo un po’ di coraggio in più».
Lui sorrise, ironico. «Noi Serpeverde non siamo mai stati
famosi per il coraggio».
Rose alzò gli occhi al cielo, girandogli intorno per
poggiarsi all’altro fianco della finestra. «Voi Serpeverde siete i primi ad
avere pregiudizi su voi stessi» gli fece notare, incrociando le braccia al
petto. «Tu e mio padre siete più simili di quello che credevo».
«E questo è un male?».
La osservò scuotere il capo, un sorriso ad incresparle le
labbra. «No» rispose, gentile. «Adesso so che tu potrai aiutarlo ad andare
avanti, in qualche modo». La sua voce sembrò tremare leggermente, a quelle parole.
«Ti sto affidando il mio papà, Malfoy, cerca di non mandare tutto a puttane,
uhm? Non costringermi a tornare dalla tomba» lo minacciò, con un sorriso che
fece più male di un fiume di lacrime.
La finestra si aprì davanti a lui senza bisogno che lui muovesse
un dito. Improvvisamente gli sembrò molto più bassa, molto più semplice da
scavalcare.
Bastava sollevare
una gamba.
«Farò del mio meglio, con lui» promise, sentendo la gola
stretta in una morsa incandescente. «Ma non sarà lo stesso, senza di te».
«Lo so» gli rispose, mostrando quella tristezza che mai,
prima di allora, lui aveva scorto sul suo viso giovane e segnato da tanto
dolore. «Ma la vita va avanti, no? Ed è compito di chi resta fare in modo che
le nostre tracce non si perdano nel nulla». Fece un passo avanti, affiancandolo
ed osservando il panorama che si stagliava davanti a loro. «Sai, è piuttosto
deprimente essere ricordati solo per la tristezza che la nostra dipartita ha
lasciato. Elimina tutto ciò che di buono abbiamo fatto, non credi?».
«Immagino sia così» ammise lui, alla fine, facendo un
passo avanti e salendo sul cornicione, le mani ancora piantate saldamente ai
bordi, per non cadere troppo presto. «Farò in modo che tu sia ricordata per
qualcosa di divertente, che ne dici?» le chiese, accennando un sorriso. «Magari
cercherò di tirar fuori una Rosie Malfoy, eh?» aggiunse, forse suonando più
ironico che speranzoso.
La risata che lei gli dedicò gli fece stringere il cuore
in una morsa. «Mio padre te ne sarebbe eternamente grato, sì. Ma temo che tua
figlia acquisirebbe un nonno in più rispetto alla norma. Uno molto insistente
ed incredibilmente appiccicoso».
Draco si strinse nelle spalle, sentendo la voglia di
piangere crescere nel petto. «Immagino che sia un rischio che sono disposto a
correre, se alla mia signora andrà bene» mormorò, realizzando, improvvisamente,
di aver immediatamente pensato alla Granger. Non se ne vergognò, però.
Era diventato un
obiettivo, non un sogno. E le sue motivazioni erano dannatamente più
convincenti di quanto non fossero mai state fino a quel momento.
Voleva lei, a prescindere da tutto.
Amava lei, a prescindere da tutto.
«Vedi, sai essere coraggioso se lo vuoi» gli disse alla
fine lei, incoraggiante. «Devi solo ricordarti che, a volte, prendere decisioni
rischiose può portare a qualcosa di meraviglioso». Improvvisamente al suo
fianco sul cornicione, Rose gli posò una mano sul braccio, incoraggiante.
«Rischia, Draco. Vivi quella vita che a me è stata preclusa. Ama, soffri… sii
sempre riconoscente per ciò che hai e vedrai che potrai affrontare qualunque
difficoltà».
Improvvisamente più fiducioso, Draco guardò l’orizzonte
con un atteggiamento tutto nuovo.
Aveva paura, ma non aveva più intenzione di permettere che
questa gli impedisse di andare avanti.
Non poteva farlo, non era giusto.
Era più forte di quanto non avesse mai creduto.
«Rose» chiamò, però, prima di lasciarsi andare. Lei era
ancora al suo fianco, come se avesse voluto assisterlo ogni istante. Come un angelo custode. «Tu sei davvero tu? Oppure tutto questo è solo frutto
della mia mente?».
Lei si lasciò andare ad una risata liberatoria, gettando
indietro la testa.
«Certo che è tutto frutto della tua mente, Draco» gli
disse, allegra. «Ma perché diavolo non dovrei essere davvero io?***».
Quando si lasciò cadere, Draco sorrise.
***
Rannicchiata sulla poltrona accanto al suo letto, Hermione
teneva fra le mani il vecchio libro di fiabe babbane
che sua nonna le aveva regalato quando era poco più di una bambina. Le aveva lette
tutte milioni di volte, eppure una, in particolare, aveva sempre rapito il suo
immaginario di bimba.
La favola della Bella che dormì per cento anni su un letto
di rovi, in attesa del suo principe.
La vecchia fata, crudele nella sua invidia, aveva trovato la
sua vendetta nella maledizione. La bella principessa sarebbe cresciuta, invero,
in grazia e bellezza, amata da chiunque avesse posato su di lei lo sguardo.
Prima, però, che il sole potesse tramontare sul suo sedicesimo compleanno, ella
si sarebbe punta il dito con il fuso di un arcolaio e la morte l’avrebbe colta.
L’aveva sempre affascinata l’idea di un
principe senza paura pronto a salvarla da un incanto malefico. Naturalmente,
quel desiderio era stato seppellito, negli anni, e l’immagine di quel salvatore
era stata sostituita da quella di un buffo giullare dai capelli rossi.
Quel giullare, in realtà, era diventato
il suo drago crudele.
Si era chiesta dove fosse il suo
principe. Se l’era chiesto così tante volte, in quei mesi, da sentire il cuore
sgretolarsi giorno dopo giorno, riducendosi ad un ammasso di polvere bruciata e
senza più speranza a riscaldarlo.
Però, forse,
il suo principe lei l’aveva trovato, alla fine. L’aveva trovato nel luogo più
assurdo di tutti, l’ultimo in cui avesse mai pensato di dover guardare.
Il suo principe non aveva i capelli come
il fuoco.
Il suo principe non aveva gli occhi
chiari e non era biondo.
Il suo principe era una principessa ed
era sempre stata lì, nascosta negli antri più oscuri del suo cuore, in attesa
che lei si decidesse a porgerle la mano ed accoglierla come davvero meritava.
Lei era il principe, non la Bella.
La fata più giovane, che non aveva ancora concesso alla
giovane principessa il suo dono, le diede ciò che la malvagità aveva rischiato
di toglierle: la speranza. Ella non sarebbe morta, ma sarebbe caduta in un
sonno profondo. Per cento anni avrebbe riposato, finché un figlio di Re
dall’animo nobile non avrebbe spezzato quel terribile maleficio, dandole il
primo bacio del vero amore.
Fu una mossa azzardata, probabilmente. Fu
una mossa stupida.
Ma
non era il vero amore ad essere stupido?
Malfoy sembrava diverso, ma forse era
solo a causa della speranza che, improvvisamente, aveva iniziato ad animare
ogni sua azione. Era il momento di realizzare la sua fiaba, prima che fosse
troppo tardi.
Quando allontanò le labbra da quelle del giovane uomo –
della sua Bella addormentata –
Hermione venne fulminata da due gemme del colore dei diamanti.
Col
primo bacio la sua bella sveglierà, poiché il vero amore tutto potrà.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto,ho una paginafacebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Giusto perché io ho superato benissimo la morte
della mia Rosie ed il dolore di suo padre, lei è di nuovo tornata a dare
coraggio al nostro piccolo Malfoy sperduto. Questa ragazza fa del bene anche da
morta.
Le fiabe sono tornate a trovarci! Dopo
Biancaneve ed Alice, questa volta tocca alla nostra Rosaspina
ed al principe Filippo (lui è il mio preferito
in assoluto). È stata una rielaborazione un po’ azzardata, ma abbiate
pietà, sono reduce da un esame.
Punti importanti:
» * Per chi non lo ricordasse
(non sono neppure sicura di averlo detto, in realtà), Laurie
è un’alchimista, una delle migliori. Il divieto di creazione di una nuova
pietra filosofale è stato imposto dell’ultimo grande capo degli alchimisti – NicholasFlames – prima di morire. Nessuno può neppure pronunciare il nome di quella pietruzza
senza essere radiato dall’albo.
» Laurie
e Blaise sono tornati, perché sono gli unici che Hermione sapeva di poter
contattare. Per esser più precisi, era consapevole di potersi rivolgere anche a
Ginny o a Seamus (e con lui i suoi Auror più fidati,
tra cui la cugina di Malfoy stesso, Merrick), ma
nessuno di loro avrebbe potuto offrirle un vero aiuto.
» Qualcuno ha tradito, ma
chi? E chi c’è dietro tutto questo? A volte la spiegazione meno ovvia è quella
corretta, altre volte è l’opposto. Fatto sta che i nostri eroi dovranno
decisamente star attenti alle informazioni che lasceranno circolare.
» **La tragedia in
questione è Romeo e Giulietta. Tragedia meravigliosa, per carità, ma io e Laurie concordiamo nel considerare i due protagonisti un
po’ affrettati. Avevano quattordici
anni, si conoscevano da due giorni e hanno comunque causato una strage perché
avevano l’ormone agitato. Passatemi il cinismo, ma lo ritengo un comportamento
assurdo.
» *** Omaggio ai Doni
della Morte, quando Silente dice praticamente la stessa cosa ad un confuso
Harry, nella stazione di King’s Cross.
Ci sarebbe da fare, al
riguardo, un discorso piuttosto profondo con risvolti religiosi sulla
possibilità che quella sia davvero
Rosemary. Se volete il mio punto di vista, il mondo creato da Djinn è un “paradiso”
per le anime, se mi passate la terminologia cristiana. Si tratta quasi di un
limbo, come quello che Harry stesso ha creato nell’ultimo racconto della Saga.
Se è davvero un luogo a metà fra due
mondi, perché mai Rosie non dovrebbe fermarsi per dare un ultimo
incoraggiamento al vecchio amico? Naturalmente, non abbiamo certezza di nulla.
Forse era lei, forse Draco l’ha immaginata lì. Chi lo sa?
» Spero di non aver
esagerato con i parallelismi con la fiaba, soprattutto perché èfra le mie preferite e mi dispiacerebbe
averla rovinata. Hermione è il principe della sua favola e Malfoy è diventato
la principessa (ma non diteglielo, i maschi sono molto fragili se viene messa
in gioco la loro virilità). Quel bacio, alla fine, potrebbe aver davvero
collaborato al risveglio del Bel Malfoy, così come potrebbe essere stato
inutile ma con un tempismo perfetto. Draco si è svegliato grazie al bacio del
vero amore? Fatto sta che Hermione di certo la penserà così.
A questo punto ho
una domanda: il prossimo capitolo potrebbe avere risvolti piccanti. Ora voglio sapere: i risvolti
in questione li volete leggere (scusando la mia orribile inesperienza e sempre
in modo abbastanza delicato) oppure
lascio solo intendere, così da evitare di dover cambiare il rating?
Piccola comunicazione di
servizio:
Anche lunedì prossimo sarò d’esami, quindi la pubblicazione dovrà slittare a
martedì. Tenetemi nei vostri pensieri, vi
prego, perché per l’esame di ieri ha funzionato ed io sono orribilmente
ansiosa.
Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti
nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 23 *** Atto XIV/ Ragione e Sentimento ***
Lo Specchio delle Anime
LoSpecchiodelleAnime.
And the
arms of the ocean are carrying me
So sweet and so cold
And all this devotion I never knew at all
In the crushes of heaven for a sinner released
But the arms of the ocean delivered me
Never let me go.¹
Almeno, Draco pensò che la sensazione fosse la stessa. I polmoni
si riempirono d’aria fresca in uno scoppio improvviso, lasciandolo
boccheggiante per un paio di istanti.
Aperti gli occhi, ciò che vide rischiò di togliergli
quello che aveva appena riguadagnato.
In pratica, per poco non ci restò secco.
Hermione Granger, con gli occhi chiusi, era china su di
lui, intenta a baciarlo come se avesse voluto risvegliarlo con la sola forza di
volontà. Draco, in realtà, pensò fosse davvero così. La sensazione di essere morto,
dopo essersi schiantato al suolo, era ancora presente nelle sue ossa, quasi le
sentisse ancora ammaccate dal colpo ricevuto. Solo quel contatto – solo
quelle labbra sulle sue, dolci come il miele ed incandescenti come il fuoco – gli
restituì quel legame con la realtà che sembrava volergli sfuggire come fumo fra
le dita.
In realtà, Draco si sentì un po’ più che vivo.
Quando Hermione arretrò leggermente, essendosi accorta dei suoi occhi
spalancati, non aspettò un solo istante per allungare le braccia e riattirarla contro il suo
petto, lasciando che le loro labbra tornassero ad incontrarsi in quel modo così
incredibilmente perfetto da non sembrargli ancora reale.
Forse sono ancora intrappolato, pensò,
lasciando che le mani si insinuassero fra quei capelli castani e
meravigliosamente ricci come aveva sognato di fare tante, tantissime volte.
Le reazioni del suo corpo erano ben più intense di quanto non avesse sperato.
Lei era così morbida, fra le sue mani. Il suo profumo era
così intenso.
Ed era anche dannatamente veloce.
Senza quasi dargli il tempo di rendersene conto, la
Granger era balzata dall’altro lato della stanza, con il fiato corto, i capelli
scompigliati e le labbra gonfie.
Era meravigliosa.
Pronto a tutto pur di concludere, Draco balzò in piedi, le
braccia protese per riacciuffarla e trascinarla di nuovo sul letto.
Il suo corpo, però, lo tradì.
Quasi come se le sue ossa fossero state tutte rotte, sentì
un dolore acutissimo in ogni angolo del suo corpo, fitte terribili che gli
mozzarono il respiro e gli fecero annebbiare la vista.
C’è qualcosa che non va.
Ebbe appena il tempo di formulare quel pensiero, prima che
l’urlo spaventato di Hermione gli riempisse le orecchie ed il pavimento si
avvicinasse ad una velocità del tutto innaturale.
Aiuto.
Un attimo dopo, sentì un colpo alla testa e tutto divenne
buio.
Si risvegliò che ormai il sole era calato, lo capì perché
dalla finestra di quella camera era possibile vedere uno scorcio di cielo buio.
Non c’erano stelle, probabilmente perché si trovava in città e l’inquinamento
luminoso era un ostacolo troppo grande.
Al Manor il cielo era
sempre stellato.
Confuso ed ancora dolorante, si guardò intorno, cercando
di comprendere dove fosse andato a finire e quanto grave fosse la sua
situazione. La stanza era molto ordinata, vagamente illuminata grazie ad un fuocherello portatile
sistemato in un vasetto di vetro. Le pareti erano di un verde pastello
delicato, i mobili bianchi.
Decisamente non era lo stile di casa sua, praticamente
scarna, o di quella di Blaise, che aveva sfogato il suo amore per il barocco su
mobili molto più costosi di molti anni di stipendio di Arthur Weasley.
Qualcuno lo aveva adagiato su un letto orribilmente
rigido, con una coperta di lana fatta a mano dai sospetti colori Grifondoro.
Pizzicava, segno che non fosse opera degli elfi. Però profumava di pulito e di
rose, gli piaceva da morire.
Era lo stesso profumo della Granger.
«Mi hai fatto prendere un brutto spavento, Malfoy» gli
disse lei, parlando dalla poltrona nell’angolo su cui si era raggomitolata.
Aveva dei brutti cerchi sotto gli occhi e Draco si sentì responsabile. Lei era
così stanca perché lui aveva perso tantissimo tempo per decidersi a morire e
tornare alla realtà. E se non fosse tornato? Lei cos’avrebbe fatto?
«Mi dispiace» ammise, sincero, cercando di risollevarsi fra
i cuscini. I muscoli gli facevano ancora un male dell’Inferno, ma era molto più
sopportabile di quanto non fosse stato prima. Si rese conto di indossare solo
una t-shirt e che il braccio martoriato fosse sprovvisto di benda. Lei
sapeva. «Ebbene, adesso sai che Potter ha sempre avuto ragione sul mio
conto» ammise, forse un po’ più acido di quanto non avrebbe voluto essere. Non
con lei, almeno.
Hermione gli sorrise, ironica. «Oh, io ho sempre saputo
che sei un biondino petulante con manie di protagonismo» gli disse,
stringendosi nelle spalle e rialzandosi. Draco la vide poggiare un libro sul comodino², ma era troppo
buio per permettergli di distinguerne il titolo. «Quanto al resto,» continuò,
sedendosi ai piedi del letto, «ho sempre pensato che Harry si fosse sbagliato
ed ora ne ho solo la certezza».
Draco si accigliò.
«Potter non pensava fossi un Mangiamorte?» domandò,
curioso, schiarendosi la voce divenuta troppo roca. Aveva la gola secca, lo
stomaco brontolava. Doveva essere rimasto incosciente per un bel po’. «Strano,
le accuse urlate in faccia mi sembravano proprio chiare, al riguardo».
La Granger alzò gli occhi al cielo, quasi divertita. «Oh,
lui pensava tu fossi un Mangiamorte, ma io sono sicurissima non sia così» spiegò,
alzando la mano per impedirgli di ribattere con un sentitissimo “eh?”. «I Mangiamorte erano tanti, fra
cui tua zia. Ma tu non eri più colpevole di Rosemary. Sei stato il prezzo per
il fallimento di tuo padre, non prenderti colpe che non ti appartengono».
Quello non se l’era aspettato.
«Questa è una sorpresa, Granger» ammise alla fine,
scuotendo leggermente il capo. «Pensavo ti saresti imbufalita e che avresti
iniziato a sperticarti in insulti». Sospirò, senza trovare il coraggio di
guardarla negli occhi. «Quelli come me ti hanno fatto del male. Mia zia
ti ha torturata ed io non ho fatto nulla per aiutarti» disse, senza vergognarsi
del modo in cui la sua voce si spezzò.
La mano di Hermione coprì la sua ed una sensazione di
calore si propagò da quel punto in tutto il resto del suo corpo.
«Non è stata colpa tua» lo tranquillizzò, con un leggero
sorriso, abbassando il viso per cercare i suoi occhi. «Ho capito che incolparsi
per qualcosa su cui non si aveva controllo è solo fonte di enorme dolore. Hai visto
anche tu come si è ridotto il dottore».
Il pensiero di Newton Crave gli fece annodare lo stomaco.
Prenditi cura del mio papà.
«Ho la mia parte di colpe, Granger» insistette comunque,
con un sospiro rassegnato. «Ricordati chi ha fatto entrare i Mangiamorte ad
Hogwarts. E quello che ho fatto a Katie Bell. E a quel tuo amico Weasley» il
fastidio, pronunciando quelle parole, fu impossibile da nascondere.
Altrettanto impossibile fu non notare il modo in cui lei
si irrigidì.
Ecco, adesso arriverà la rabbia.
«Quello che hai fatto, l’hai fatto perché sei stato
costretto. E so che Katie ti ha già perdonato, per quanto testarda sia» gli
disse, cercando di recuperare velocemente il controllo. «Non è una ragazza
stupida, se sapesse credo che ci metterebbe poco a decidere di lasciar perdere
l’astio». Si accigliò, senza notare l’occhiata divertita che lui le stava
dedicando. «Ma perché ammettere tutte queste colpe, adesso?».
Perché ti amo e voglio che tu conosca ogni orrore del mio
passato.
«La morte mi ha fatto capire che serve confessare i propri
peccati, prima che sia troppo tardi» disse invece, stringendosi nelle spalle
per quanto gli consentissero i dolori. «Sai, alcuni parlano d’inferno e
paradiso. La seconda scelta credo sia la migliore, per quanto io non me la
meriti ancora».
La Granger alzò gli occhi al cielo, per poi occhieggiare a
qualcosa poco lontano, sul pavimento. «Interessante motivazione. Fai bene,
immagino che avere la coscienza più leggera faccia bene. Io mi sentivo così,
dopo ogni seduta con il dottore».
Draco sorrise, annuendo leggermente. «Già, abbiamo lo
stesso psicanalista» disse, con un sorriso amaro. «Lo sapevi da molto?».
«No, è stata una serie di coincidenze a portarmi su quella
strada. Alla fine, lui me ne ha data la conferma». I suoi occhi scuri si
puntarono in quelli di ghiaccio di Malfoy. «Conoscevi da molto sua figlia? Mi
sei sembrato molto colpito dalla sua morte» mormorò, per poi esitare. «Sempre
se non sono troppo impicciona, se ti senti a disagio non dirmi nulla. Mi rendo
conto di non avere il diritto di chiedere certe informazioni».
«Essere curiosa è una deformazione professionale, Granger,
lo so bene» la tranquillizzò, con un leggero sorriso. «Dopotutto, io non ho
casa piena di manufatti antichi solo perché li ho… acquistati» disse,
ricambiando finalmente la stretta della sua mano. «Quanto a Rosemary, ci siamo
conosciuti un mesetto fa, lei e mio padre hanno un passato, come sai, e lei ha
sempre cercato di riportare la pecorella perduta all’ovile».
Il modo in cui lei si morse le labbra per non sorridere
gli fece smuovere qualcosa nello stomaco.
Meravigliosa.
«Perdonami, ti ho immaginato con indosso un costume da
pecorella e non sono riuscita a trattenermi» spiegò, lasciandolo senza parole.
L’immagine di se stesso con un costumino da pecorella
appena uscito da un sexy shop lo fece rabbrividire. Blaise non avrebbe mai dovuto sapere, altrimenti gli
avrebbe dato il tormento per il resto della sua vita.
E se per qualche disgraziato motivo l’avesse scoperto Laurie…
«Dai, Malfoy, non fare quella faccia! Lo so che è una cosa
raccapricciante» intervenne lei, prima che Draco potesse effettivamente dare di
stomaco. «Comunque, spero non ti dispiaccia essere rimasto qui, negli ultimi
due giorni. Casa mia mi è sembrata il luogo più sicuro».
Quindi, quella era casa sua.
Sì, si disse Draco, vagamente soddisfatto. Ha proprio
l’aspetto di una casa da Granger.
«L’avevo sospettato, quando ho notato i colori di questa
coperta» le fece notare, cercando di mostrarsi più nauseato di quanto in realtà
non fosse. «Non potevi usarne un’altra? È un affronto aver passato… due giorni,
hai detto? Due giorni sotto coperte da Grifondoro! Salazar si starà rivoltando
nella tomba».
L’occhiata scettica che lei gli dedicò per poco non lo
fece scoppiare a ridere. «Non ti ha dato fastidio, quando ti sei svegliato la
prima volta. Anzi, mi sei sembrato parecchio entusiasta» gli fece notare,
inarcando le sopracciglia.
Ecco, quell’uscita non era nei piani di Draco. Dire che
venne colto alla sprovvista sarebbe riduttivo. In pratica, mancò poco che
arrossisse come una ragazzina alla prima cotta.
«Se pensi che cercherò una scusa, cadi male, Hermione»
disse, cercando di recuperare tutto il suo orgoglio. Insomma, aveva sedotto la figlia
illegittima di un vescovo, la Mezzosangue doveva essere un giochino da ragazzi,
per lui. «Ti desideravo prima e ti desidero ora. Se non avessi la certezza che
le gambe non mi reggerebbero, probabilmente ti avrei già raggiunta per
continuare da dove avevamo interrotto».
Il modo in cui arrossì, probabilmente, rese meno credibile
la sua sicurezza. Per fortuna, Hermione sembrò non rendersene conto, troppo
presa a soffocare nella sua stessa saliva.
«Tu…» esalò, fra i colpi di tosse. «Non puoi… non puoi dire
così! Non è vero!» sbottò, rossa come un peperone, la voce gracchiante ma
ancora assurdamente irresistibile, agli occhi di Draco.
Lui sorrise, riconoscendosi, finalmente, nel sentire il
suo sorriso sensuale affacciarsi di nuovo nel suo viso. «Puoi accusarmi di
tante cose, Hermione, ma non di aver appena mentito» le disse, la voce resa
roca da ciò che gli si stava agitando nel petto. «Non mi vergogno di quello che
ho detto e ho deciso di non negare più quello che provo. Sono morto,
ormai sono pronto a tutto» continuò, serio come poche volte. Lei si irrigidì,
ma lui non riuscì a comprendere se fosse per l’emozione o per la paura. «Ci
sarà modo di discutere della questione. Per ora, sappi che l’unica cosa che mi
sta impedendo di farti mia è questa ridicola debolezza che sembra non voler
passare».
La Mezzosangue si schiarì la voce, in evidente difficoltà.
Se gli avesse detto di non provare nulla? Forse era ancora
innamorata di Weasley e l’aveva baciato perché pensava stesse per morire.
Forse provava solo lussuria, per lui.
«Abbiamo tempo per il resto» disse invece, guardandolo con
una strana luce nello sguardo. «Le conseguenze del Djinn non si sono
ancora esaurite e tu sei debole» aggiunse, alzandosi per afferrare qualcosa da
terra. «Malfoy, questo è Mittens» disse poi, mettendo sul letto una palla
di pelo rosato. «Spero non ti dia fastidio, ma sono dieci minuti che cerca di
arrampicarsi sulla coperta, la sta sfilacciando».
La palla di pelo, che Draco comprese essere un
gatto, cominciò a zampettare in giro come se ritenesse d’essere il padrone del
mondo, per poi puntare gli occhietti gialli su di lui. Sembrò squadrarlo per
qualche istante, poi dovette decidere che la sua presenza
non gli dispiacesse particolarmente, perché gli si avvicinò, annusandolo.
Lo sguardo di Hermione, se possibile, fu ancora più
sorpreso di prima. «Non ti ha morso» gli fece notare, mentre la bestiolina si accoccolava
sul suo stomaco, rilassato come se fosse stato perfettamente normale.
All’occhiata confusa di Malfoy, rispose stringendosi nelle spalle. «Odia
chiunque. Di solito odia anche me» spiegò allora.
Draco sorrise. «Ho sempre avuto un bel rapporto con i
gatti. Da piccolo avevo uno Kneezle, ma mio padre era allergico, ce ne siamo
dovuti liberare» spiegò, vagamente intristito. «Mi piaceva avere un gatto, era
affettuoso con me».
La Mezzosangue sorrise, mormorando qualcosa come “gatti
affettuosi” estremamente sarcastico. Poi, quasi qualcuno le avesse
ricordato qualcosa di importante. «Non ho ancora controllato la Traccia, se te
la senti possiamo cercare di capirla insieme» propose, vagamente imbarazzata,
indicando uno specchietto poggiato sul comodino accanto a lui.
Draco se lo ricordò, rivivendo gli ultimi istanti di
lucidità.
Occhi di cristallo, un’espressione dispiaciuta.
«Mezzosangue» la fermò subito, raddrizzandosi a fatica sui
cuscini. «Qualcuno ci ha traditi! Mi stavano aspettando, nella caverna… non ho
idea di chi fosse, non riesco a ricordarne il volto, ma sono abbastanza certo
che-».
«Lo so» lo tranquillizzò, con sguardo cupo. «Ho visto le
impronte, ho anche ragione di credere che a tradirci sia stato qualcuno
dell’Ufficio di Shacklebolt» si fermò un momento, stringendo le labbra con aria
incredibilmente delusa e preoccupata. «Se non lui stesso».
Quella sofferenza nelle sue parole lo fece incupire. Non
era tornato per sentirla così spaventata. «Non era lui, nella caverna. A meno
che all’improvviso non gli siano diventati azzurri gli occhi» specificò, con
una smorfia. «Certo, lui potrebbe essere il mandante. Non posso negare che il
Ministro sia diventato parecchio strano, negli ultimi mesi» convenne, cupo. Il
gattino, placidamente addormentato su suo stomaco, ronfò tranquillo.
Hermione sospirò, delusa. Draco non ebbe difficoltà nel
credere che fosse perché la sua fiducia in quell’uomo era appena stata ridotta
all’osso. Avevano combattuto fianco a fianco, sei anni prima. L’idea di dover
lottare contro di lui non doveva certo entusiasmarla.
«Ho già avvisato Seamus. Lui e la sua
ragazza, con Dean, cercheranno di indagare» gli disse, stanca.
«Tranquillo, sono sicurissima che loro non siano coinvolti. Avrebbero potuto
uccidere sia me che Harry più di un mese fa».
Draco ridacchiò, senza riuscire a trattenersi. «Dubito
fortemente che mia cugina vorrebbe essere definita come fidanzata di Finnigan, soprattutto
perché non stanno davvero insieme» le disse, rispondendo al suo sguardo
interrogativo. «Non ancora, almeno» specificò. Con un cenno, le ricordò lo
specchio. «Coraggio Granger, prendi quella roba, meglio sbrigarci… non appena
mi riprenderò, dovremo ripartire. Adesso non è soltanto una corsa contro il
tempo, ma anche una corsa contro le nostre talpe».
Anche se vagamente accigliata, Hermione lo accontentò,
avvicinandogli la Traccia. «Tu hai idea di come si dica “rivelati”in
urdu?» gli domandò,
accigliata. «In questi due giorni di incoscienza, ho cercato in ogni modo di
farlo funzionare, ma non ci sono riuscita».
Il sorrisino malizioso che Draco le dedicò avrebbe fatto
arrossire il peggiore dei peccatori, fra i quali, di certo, non rientrava
Hermione.
«Cos’è quella faccia?».
«Granger, ai tempi di Alessandro Magno non esisteva l’urdu» le fece notare,
divertito. «E tecnicamente non è al Pakistan che devi guardare. Lo specchio è arrivato
lì, ma è partito da-».
«Dalla Grecia!³» arrabbiata con se stessa, Hermione
balzò in piedi, alzando le braccia al cielo. «Incredibile davvero, come ho
fatto a non pensarci? Prima Dante Alighieri, adesso il tentativo di usare una
lingua completamente sbagliata…» sbottò, con un verso esasperato, passandosi
una mano fra i capelli. «Maledizione, Malfoy, possibile che tu mi tolga la
ragione così facilmente?».
Il silenzio che seguì quell’affermazione fu carico di
imbarazzo, da parte di lei, e di soddisfazione da parte di lui. Evidentemente
la Mezzosangue non era proprio giunta a patti con quello che provava.
Senza farsi scoraggiare, Draco sorrise. «ἐπιφαίνου» disse, guardandola. «Questa è la parola
che devi usare per accedere alla Traccia». Si guardò intorno, alla ricerca
della bacchetta. «Hai idea di dove sia finita la mia…?».
Imbarazzata, la Mezzosangue si guardò intorno, quasi fosse
alla ricerca di una giustificazione. Alla fine, sconfitta, tornò a fissarlo.
«Il mostro l’ha rotta. L’ho trovata accanto al tuo corpo. In questo momento è
da Ollivander, dice di poterla
riparare facilmente. Andrò a riprenderla domani mattina».
Il sollievo provato a quelle parole fece sospirare Draco.
«Siamo stati fortunati, allora» disse, tranquillo, sorridendo all’occhiata preoccupata
che lei gli lanciò. «Per Merlino, Mezzosangue! Credi forse che potrei fartene
una colpa? Mi hai salvato la vita, possiamo dire!» sbottò, scuotendo il capo.
«Ho appena finito di dirti che mi sto struggendo dal desiderio e di avere
tantissime altre cose da dirti, a tempo debito. Potrei mai arrabbiarmi
per una cosa simile?».
Qualcosa di incredibilmente caldo si diffuse negli occhi
color cioccolato della strega, mentre un leggero rossore le colorava le guance.
Non ora, Granger. Ancora sono troppo debole.
«Sarà bene dare un’occhiata a questa, allora» disse lei
infine, poggiando la Traccia sul letto, la bacchetta pronta ad essere
utilizzata. «Dopo potremo… parlare».
«Sì» concordò Draco, con un leggero sorriso. «Dopo
potremo parlare».
***
Era stato facile trovare la loro nuova meta. Quale città
avrebbe potuto concedere la sua gloria ad Alessandro Magno, se non la
meravigliosa Atene? Entrambi erano stati parecchio soddisfatti, avevano molte
conoscenze utili e sarebbero sicuramente riusciti a concludere il tutto molto
più velocemente, avendo deciso di non dare notizie al Ministero, fingendo di
non aver trovato il collegamento successivo.
Non erano abbastanza stupidi da continuare a concedere
notizie alla Talpa, chiunque fosse. Soprattutto non quando un piccolo gruppo di
Auror fidati aveva iniziato a ricercare possibili sospettati.
Era stato facile organizzarsi, davvero.
Non altrettanto lo era stato reggere lo sguardo che Malfoy
le aveva dedicato, la mattina seguente.
Si era addormentata accanto a lui, quando era crollato a
causa della troppa stanchezza. Non era stata una decisione razionale,
naturalmente: non dormiva da due giorni ed il suo letto le era sempre sembrato
orribilmente comodo. La mattina seguente, si era risvegliata con la sua mano
sulla coscia ed il viso a pochissima distanza dal suo.
Per baciarlo sarebbe stato sufficiente allungarsi un po’.
Naturalmente, Hermione non l’aveva fatto. Non sapeva come
avrebbe reagito, non sapeva se quella promessa lasciata in sospeso la sera prima
sarebbe stata ancora valida, quel giorno. Per quel motivo era scivolata via,
silenziosa, e si era diretta in cucina, per prepararsi una tazza di caffè e per
cercare di mettere un freno al movimento indisciplinato di tutti i suoi organi
interni.
Sembrava quasi che tutto il suo stomaco si fosse fuso in
un ammasso incandescente.
La sua tranquillità non durò molto. Aveva appena portato
la tazza alle labbra, quando lui apparve sulla porta, i capelli completamente
stravolti e l’espressione di qualcuno che avesse fatto il pisolino migliore del
mondo, seguito tuttavia dal peggior risveglio.
«Per un momento ho temuto che te ne fossi andata» le
confessò, avanzando lentamente e puntando dritto verso la sua tazza di caffè,
togliendogliela dalle mani senza la minima esitazione. «Poi mi sono reso conto
che questa è casa tua e non l’avresti mai lasciata alla mercè di un banale
ladruncolo come me».
L’unica cosa che lui avrebbe potuto rubare, lì dentro, era
il suo povero cuore confuso.
«Non credo ci sia nulla che valga abbastanza, per te» gli
disse, forse con un po’ troppo trasporto, dandogli le spalle pur di non
osservarlo bere dalla sua tazza. La stessa che lei aveva appena
utilizzato. Non che fosse schizzinosa, tutt’altro. Non
riusciva a capacitarsi del fatto che quella semplice azione le fosse sembrata sensuale.
«Vuoi fare colazione? Oltre ai cereali al cioccolato non credo di avere molto.
A causa della missione non sono ancora riuscita a fare la spesa come si deve»
continuò, trafficando fra gli scaffali alla ricerca di una tazza di riserva che
era certa di avere. Se non ricordava male, era un imbarazzante souvenir
che Ginny le aveva portato dopo gli ultimi Mondiali di Quidditch, direttamente
dal Venezuela.
La presa delle mani di lui sui suoi fianchi la fece trasalire,
facendola voltare di scatto.
Era dietro di lei, lo sguardo sensuale ma di una dolcezza
che Hermione non credeva avrebbe mai più incrociato. Lui era lì, la stringeva
per impedirle di allontanarsi e la guardava come se fosse stata il centro
gravitazionale di tutto un universo.
Di tutto il suo
universo.
«Malfoy?» esalò, trattenendosi a stento dal deglutire
quello che pensava potesse essere il suo cuore, schizzato via dal petto e
pronto a prendere il volo, tanto veloci erano i battiti. Le sue mani, tremanti,
si posarono sugli avambracci di lui, indecisi fra il respingerlo ed il
trattenerlo lì, ad una distanza che, forse, poteva ancora essere considerata di
sicurezza.
«No, non chiamarmi così» le ordinò lui, scuotendo
leggermente il capo, prima di avvicinarsi e sfiorarle la guancia arrossata con
la punta del naso freddo. Quell’intimità inaspettata le fece piegare le
ginocchia. «Non posso essere Malfoy, non ora» aggiunse, con un tono meno
perentorio, molto più simile ad una supplica. La presa delle sue mani si
rafforzò, lasciando bene intendere che tipo di situazione intendesse con ora.
«Draco» concesse allora lei, esitante, mentre
un’ondata di calore si sprigionava in tutto il suo corpo, a partire dal basso
ventre. Non accadeva da anni, forse non era mai accaduto. «Io non… non
sono certa che sia una cosa sensata, questa» continuò, per quanto le stesse
costando ogni briciola di autocontrollo.
La risata di lui le solleticò lievemente l’orecchio, facendole
venire la pelle d’oca. «Avevamo detto che avremmo parlato, non è vero? È
esattamente quello che stiamo facendo» le mormorò, dolcemente, continuando ad
accarezzarle i fianchi da sopra il tessuto dell’imbarazzante pigiama che aveva
indossato la sera prima. «Stiamo parlando».
Lui le aveva sorriso, vedendolo, e le aveva detto che un
giorno gliene avrebbe regalato uno rosa con gli ippogrifi.
In quel momento, quella promessa le sembrò carica di un
significato ben più profondo.
«Questo non è parlare» provò a ribattere allora lei,
aumentando la presa sulle sue braccia. Il mobile della cucina, dietro di
lei,le impedì di poter pensare
di arretrare. Non che, in realtà, l’avesse voluto davvero. Lui rise,
attirandosela di più contro. «Questo decisamente non è parlare, Malfoy».
«Adesso ti dirò cosa succederà» fu la pronta risposta
dell’uomo, mentre le sue mani cominciavano ad avventurarsi sotto la maglia del
pigiama. Le sue dita erano fredde, quasi un sollievo per la pelle congestionata
di Hermione. Quasi, perché il suo
sangue era lava e quella frescura sembrava non esser sufficiente. «Adesso io ti
bacerò, Hermione. E tu risponderai al mio bacio» iniziò, sensuale, lasciandole
un piccolo bacio dietro l’orecchio.
«E dopo?» domandò allora lei, in un pigolio, artigliandogli
le braccia. Non erano state quelle le parole che aveva in mente, decisamente.
Non era quello il tono di voce che avrebbe voluto utilizzare. Ma il suo sangue
bruciava e la sua ragione stava ardendo sotto il fuoco dei sentimenti che le si
agitavano nel petto.
«Dopo, mia bellissima Hermione» continuò lui, afferrandola
per il retro delle cosce e sollevandola, fino a farla sedere sul piccolo
bancone della cucina. «sarai tu a decidere» mormorò, lasciando piccoli baci sul
collo bianco, avvicinandosi alla piccola scollatura che il pigiama lasciava
intravedere.
«Cosa… cosa devo decidere?» domandò, ansiosa, sentendo una
smania sconosciuta crescere dentro di lei, come se avesse piantato radici nel
suo ventre e si fosse sviluppata lungo tutte le sue terminazioni nervose.
Improvvisamente comprese perché le sue amiche si fossero sempre sdilinguite sul
sesso. Comprese perché erano sempre così sconvolte dalla sua mancanza di
interesse. Hermione non aveva mai provato quelle emozioni.
Draco le lasciò un piccolo morso sulla pelle candida del
petto, senza farle male. «Puoi decidere di respingermi, allora io mi farò da
parte ed aspetterò i tuoi tempi» iniziò, senza guardarla. «Oppure puoi lasciare
che ti faccia mia, Hermione. Ed io sarò tuo, più di quanto io già non sia».
Quando rialzò lo sguardo, le sembrò di annegare in un mare in tempesta, senza
alcuna possibilità di essere salvata.
Le aveva dato una scelta e lei non metteva in dubbio che
avrebbe rispettato ogni sua decisione. Non poteva metterlo in dubbio, non quando
ogni suo gesto sembrava misurato, volontariamente contenuto per non metterle
fretta, per non spaventarla.
Una scelta, quella che Ronald non le aveva dato.
Quella volta, però, Hermione non sentiva di volere
una scelta. Non ne aveva bisogno. Probabilmente, scegliere l’avrebbe
fatta morire dal desiderio, consumandola come un fiammifero lasciato a se
stesso.
«Sto aspettando la tua risposta» le sussurrò lui,
strofinando il naso contro la pelle del suo collo. La sua voce era roca,
sensuale, come se fosse giunta direttamente da una parte di lui rimasta
nascosta ai suoi occhi inconsapevoli, fino a quel momento. «Oh, Merlino,
quanto amo il tuo profumo. Mi sta facendo diventare matto» sbottò poi, in un
ringhio che gli fece stringere gli occhi, come se fosse stato troppo doloroso
guardarla senza poterla toccare. Si stava trattenendo, perché era lei
a dover scegliere.
A quel punto, la decisione era stata presa.
Con un gemito, Hermione gli portò una mano fra i capelli e
lo costrinse a sollevare il viso, quasi assalendolo con la forza del suo bacio.
La reazione di Malfoy l’avrebbe fatta morire per anni ed
anni a venire, lo sapeva. Il modo in cui si arrese al bacio, la ferma dolcezza
con cui la attirò fra le sue braccia, spostandosi verso la camera da letto,
sarebbero rimasti con lei per sempre, come marchiati a fuoco nelle pareti del
suo cuore.
Non fu un’esperienza minimamente paragonabile a quelle che
Hermione aveva vissuto nel suo passato. Non c’era nulla che potesse essere
paragonato, non quando a lui sembrò bastare guardarla negli occhi per
trasmetterle, senza parole, ciò che lei sapeva si stesse agitando anche nel
profondo della sua anima.
Non c’era bisogno di parlare. Non c’era bisogno di dire
quel ti amo ad alta voce. Bastarono i loro baci, bastarono i movimenti
lenti ma decisi con cui divennero, per la prima volta, un solo corpo. Bastò il
sorriso che si scambiarono, fra un bacio e l’altro, mentre il loro mondo veniva
sconvolto dalla forza più antica del mondo, mentre i loro universi cambiavano,
estendendosi e fondendosi in uno solo, inondato da una luce che non avrebbero
mai trovato in un posto diverso dalle labbra dell’altro.
Hermione, per la prima volta, si lasciò davvero andare.
Non c’era bisogno di nascondersi, non c’era più bisogno di vergognarsi di se
stessa e di ciò che le era successo.
Non era stata colpa sua. Lei non l’aveva meritato. Non le
importava più.
Non c’era spazio, fra i suoi pensieri o fra le sue parole,
perché tutto sembrava ruotare intorno a lui. Tutto era occupato da lui.
Puoi lasciare che ti faccia mia. Ed io diventerò tuo.
Non c’era più spazio, non c’era più tempo.
C’era solo lui.
«Draco».
Quando si svegliò, il sole era alto nel cielo. Quell’alba
di fuoco che aveva accompagnato la loro unione era ormai sparita dietro il
chiarore della consapevolezza.
Non si sentì diversa, stranamente. Una parte di lei, prima
di cadere nuovamente nell’incoscienza, aveva temuto che tutto il suo mondo
sarebbe stato ribaltato a testa in giù, una volta che l’illusione si fosse dissipata.
Aveva temuto che il senso di colpa sarebbe tornato a farle visita,
angosciandola con il rimpianto per quanto era successo.
Ma non accadde.
Come poteva rimpiangere ciò che era successo, se il solo
osservare il profilo addormentato di Draco la faceva sentire in pace con tutto
l’universo? Come poteva pentirsi, se le sue mani erano ancora tiepide contro la
sua schiena e se il suo viso era dolcemente poggiato al suo petto?
«Come fai a ragionare in modo così rumoroso, appena
sveglia?» le domandò proprio lui, con gli occhi ancora socchiusi ma un sorriso
malandrino ad incurvargli le labbra eleganti. Lentamente, le sue palpebre si
sollevarono ed Hermione venne accecata da due meravigliosi e limpidi diamanti.
La tempesta era passata…
«Stavo cercando di capire se, per caso, mi fossi pentita
di ciò che è successo» gli spiegò, con tono gentile, accarezzandogli con la
punta delle dita un ciuffo biondo che era ricaduto sul suo viso. I cristalli si
raffreddarono, divenendo ghiaccio.
… ma ancora incombeva all’orizzonte, minacciosa.
«Hai trovato una risposta a questa tua domanda?» sbottò
allora lui, nervoso,rotolando di fianco
fino ad essere parzialmente su di lei, senza pesarle troppo contro. Era
nervoso, ma non arrabbiato. L’atteggiamento sicuro di un Malfoy, unito però
alla paura di un innamorato.
Hermione sorrise, accarezzandogli delicatamente il viso
con la punta delle dita. «Non ho trovato una risposta, ma solo perché non c’è
stato neppure bisogno di porre la domanda» gli disse, sentendo il cuore
scaldarsi per il modo in cui quelle parole sembrarono rischiarargli l’animo. Si
voltò leggermente, lasciandole un piccolo bacio sul palmo della mano.
«Per favore, la prossima volta evita quelle espressioni
cupe, allora» le mormorò, rotolando nuovamente al suo posto ma trascinandola di
più contro il suo petto. Erano entrambi nudi, ma non c’era spazio per la
vergogna. Non dopo ciò che avevano condiviso. Non quando sapevano che ci
sarebbe stato molto altro da condividere. «Mi hai fatto spaventare da morire,
credevo di dover mettere in dubbio le mie doti d’amante e corteggiatore».
Hermione gli dedicò uno sguardo scettico, assestandogli un
pizzicotto sul fianco. «Non hai dovuto faticare molto, per ottenere ciò che
volevi» gli fece notare, sospirando divertita. «Avrei dovuto fare la preziosa,
in questo modo ti ho dato agio di darti tante arie».
Lui rise e le vibrazioni del suo petto furono un paradiso
per Hermione. «Sono un Malfoy, darmi arie è la mia specialità» le rispose,
lasciandole poi un piccolo bacio sulla fronte. «Anche se, devo ammettere, tu
sei capace di togliermi fino all’ultima delle mie certezze. L’hai sempre fatto,
anche quando eravamo ragazzini» aggiunse, con sguardo improvvisamente più
pensieroso, più cupo. «Dovremo davvero parlare di molte cose, lo sai, vero?».
Naturalmente lo sapeva. Per quanto orribile le sembrasse
l’idea di aprirsi a lui e mostrargli le sue debolezze passate, sapeva bene di
non avere altra scelta.
Un rapporto basato sulle bugie non avrebbe mai avuto
futuro, l’aveva imparato a sue spese.
«Lo faremo, ma non adesso» convenne, con un sospiro.
«Abbiamo meno di venti giorni per ritrovare lo Specchio e salvare il mondo. Il
resto dovrà aspettare».
Draco sorrise, annuendo leggermente, per poi chinarsi e
baciarla sulle labbra, con dolcezza. «Non tutto deve aspettare però» le mormorò
poi, sensuale, mentre le sue mani sembrarono voler riesplorare tutti i percorsi
che avevano attraversato quella stessa mattina, con una sicurezza che era tutta
nuova, perché nuova era la consapevolezza del loro rapporto. «Dopotutto, io
sono ancora convalescente, sai. Credo di meritare una giornata di riposo».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati,
cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho
una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Avevo promesso belle
cose, il risultato spero sia stato quantomeno decente!
Come ho detto a chi ha
perso due minuti per lasciare un commento (GRAZIE, davvero), ho preferito non
cambiare il rating della storia, mantenendomi sul vago.
Probabilmente pubblicherò una One-Shot un po’ più piccante in settimana, tenete
d’occhio Facebook per le comunicazioni! Mercoledì ho quel famoso esame, quindi
sicuramente arriverà o quel pomeriggio o addirittura entro un paio di giorni dopo.
Abbiate pazienza, la
sessione estiva uccide.
Punti importanti:
» 1 – “Le braccia dell’oceano di trasportavano/
così dolci, così fredde/ e tutta questa devozione che non avevo mai
conosciuto/fra le pressioni del Cielo, per una peccatrice liberata/ Ma le
braccia dell’Oceano mi hanno portata a destinazione/Non lasciarmi andare ”.
»2 – Si tratta del libro di fiabe che
stava leggendo la sera prima.
»
3 – Ovviamente so che Alessandro
Magno era della Macedonia e non greco, ma in questo caso ho fatto riferimento
alla Grecia perché è lì che lo
Specchio è stato trovato. Oltretutto, la madre di Alessandro era
greca e lui è stato istruito da Aristotele, ho immaginato che la versione Greca
fosse più credibile.
» Il termine greco è
stato modificato, grazie sia a Cribonnie che ad ElectraDuPre per avermi corretta! Le pecche del liceo
scientifico si fanno sentire, ogni tanto!
» Draco ed Hermione,
finalmente, hanno concluso. Ci sono tante
cose da dire, soprattutto da parte di Hermione, ed il tempo inizia a
scarseggiare. Posso solo assicurarvi che non ho la minima intenzione di far fare
loro qualche assurdo tira e molla, soprattutto perché Draco ha deciso che sposerà quella signorina,
anche se dovesse rivelargli di aver avuto un passato da escort di lusso o da
trafficante di algabranchia. E ve lo sto dicendo perché il mio interesse non è
semplicemente quello di farli mettere insieme, la mia trama non avrebbe
giovamento da drammi da fidanzatini adolescenti (ovviamente, perché non è previsto il dramma. Se ben strutturato,
ha perfettamente senso!)
» Mi sembra opportuno
dare delle coordinate temporali: siamo arrivati ai primi giorni di dicembre,
ormai, e la loro scadenza è il 21. Harry è in coma da più di un mese e,
lentamente, sembra sempre più morto che vivo. Se è sparito dalla
circolazione è solo perché, per adesso, non ha ragione di presentarsi. Tornerò
a parlare di lui e Ginny, molto presto!
Adesso voglio ringraziare
anche qui Cioccolatoconpanna, che
ha fatto un meraviglioso banner, che
io ADORO. Sto attualmente cercando di capire come inserirlo nel primo capitolo
(le mie competenze informatiche stanno arretrando ad ogni libro di diritto che
mi passa davanti agli occhi, abbiate pietà, ce la farò), nel frattempo potrete
vederlo come Copertina della mia pagina facebook (link
sopra) o a questo linkhttp://oi64.tinypic.com/24g0dxw.jpg
Piccola comunicazione di servizio: Ho
pubblicato lunedì perché, come ho anticipato qui e lì, il mio esame è stato
rimandato a mercoledì, quindi martedì sarò rinchiusa in clausura totale.
La One-Shot dovrebbe arrivare da mercoledì sera in
poi, tenete d’occhio facebook!
Per
altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Turning and turning in the widening gyre
The falcon cannot hear the falconer;
Things fall apart; the centre cannot hold;
Mere anarchy is loosed upon the world,
The blood-dimmed tide is loosed, and everywhere
The ceremony of innocence is drowned;
The best lack all conviction, while the worst
Are full of passionate intensity.1
[William B. Yeats – The Second
Coming]
Atto XV
La fine del Mondo.
«Cosa possiamo fare?».
La voce della giovane recluta tremava, nonostante
stesse cercando di mostrarsi forte davanti al suo superiore. Ma Seamus aveva
vissuto la guerra, aveva vissuto la resistenza di Hogwarts, riusciva a riconoscere
la paura anche negli occhi del più coraggioso dei combattenti.
«Adesso, Mahoney?» gli
chiese allora, passandosi una mano fra i corti capelli biondi e sospirando.
«Non c’è molto che possiamo fare» mormorò, mentre, davanti a loro, il fumo
continuava a sollevarsi in ondate nere e puzzolenti di morte. «Per caso sei
religioso?» gli chiese poi, osservandolo con la coda dell’occhio.
La recluta sembrò riuscire a mettere sotto
controllo l’ansia, per un istante, quando gli lanciò un’occhiata curiosa. «Non
molto, signore. Ma mia madre è ebrea. Perché me lo chiede?» gli domandò,
spostando nervosamente il peso da un piede all’altro. La mano che reggeva la
bacchetta tremava, ma non tantissimo.
«Io sono cattolico2, sai» gli disse
allora Seamus, poggiando le spalle al muro. «Mia madre mi ha sempre detto di
pregare, in questi casi, così che la magia non possa tradirmi e abbandonarmi
nel momento del bisogno». Con un cenno, indicò il gruppo di Guaritori che
correvano tra le macerie. «Oppure mi diceva di pregare per le anime di chi non
ce l’aveva fatta». Sentendo lo sguardo della recluta su di lui, Seamus si voltò
a guardarlo. «Immagino che adesso dovremmo pregare, sempre che tu non abbia
capacità da Negromante nascoste».
Il mugugno che ottenne in risposta valse più di
mille parole.
«Raggiungi gli altri, William» gli ordinò allora, con
un cenno del capo. «Resto io a controllare questo disastro».
Quando Seamus Finnigan
era andato a dormire, la sera prima, aveva programmato di svegliarsi presto,
fare colazione e passare dal fioraio vicino al Ministero per prendere un mazzo
di calle da portare alla futura ed inconsapevole madre dei suoi figli, che
avrebbe risposto con una smorfia di disappunto senza tuttavia rifiutare il suo
regalo.
Invece era stata proprio lei a svegliarlo,
tempestando di pugni la porta del suo piccolo appartamento nel centro di
Dublino. Il suo viso pallido era coperto di polvere, gli occhi sgranati e colmi
di un gran terrore.
C’è stato un attentato, gli
aveva detto, tremando. Hanno colpito Diagon Alley.
Merry aveva
avuto il turno di notte, era stata fra i primi ad intervenire quando la notizia
era giunta al Ministero. Un gruppo di simpatizzanti Mangiamorte aveva tentato
di assaltare la Gringott e, quando non c’era
riuscito, si era riversato per le strade, lanciando AvadaKedavra e sterminando chiunque fosse
stato a portata d’incantesimo.
Li avevano arrestati quasi tutti, alla fine. Uno
era morto, lo aveva ucciso Merrick quando l’aveva
visto afferrare una bambina per i capelli. Un altro era scappato, probabilmente
si trattava del capo.
Il numero di morti continuava a crescere di ora in
ora, le urla tuttavia si erano interrotte.
C’era solo il silenzio, a Diagon
Alley, quella mattina. Un silenzio fatto di morte, di dolore e di paura.
«Gli Inquisitori ti vogliono al Ministero, amico».
Apparso dal nulla al suo fianco, Dean gli poggiò la mano sulla spalla,
porgendogli una bottiglietta scura. «Dicono di essere già abbastanza
svantaggiati, senza Hermione, la presenza del Capo Auror
è quantomeno dovuta» aggiunse, mentre lui beveva.
Gli aveva portato del Whisky, il titolo di
migliore amico era più che meritato.
«Sappiamo tutti e due che la mia presenza lì
sarebbe soltanto un ostacolo» mormorò, con voce stanca. «Ho fatto del mio
meglio per tirare fuori i feriti dalle macerie, ma in tanti non riuscivano più
neppure ad urlare per lo spavento. Andare al Ministero e guardare in faccia
quei bastardi… non credo che resisterei molto, prima di ricorrere a mezzi poco
ortodossi». Restò in silenzio per qualche istante, osservando cupamente lo
scenario di desolazione che si apriva davanti ai suoi occhi. «Ho avuto i
migliori maestri, al riguardo».
L’immagine di Amycus ed Alecto Carrow era ancora
stampata a fuoco nella sua memoria. Sì, erano decisamente stati i migliori
insegnanti possibili, riguardo i mezzi da usare per portare le persone
all’esasperazione e costringerle a confessare cose che, in realtà, non avevano
neppure pensato di fare. Seamus aveva imparato bene, così come avevano imparato
molti altri della squadra.
Era quello il motivo per cui Harry si era sempre
ostinato a tenerli bene alla larga dagli interrogatori. E Seamus non si sarebbe
messo a contraddire il suo capo in quel momento.
Dean comprese subito cosa volesse dire ed annuì,
poggiando a sua volta le spalle al muro. «Merry come
sta? I ragazzi mi hanno detto che ha dovuto far fuori uno dei Mangiamorte»
chiese poi, tirando fuori un pacchetto di sigarette e portandosene una alle
labbra. Non ne offrì all’amico, consapevole che avesse scelto di smettere da un
bel po’ di tempo.
«L’ho mandata a riposare, ma credo stia bene».
Seamus strinse i denti in un moto di fastidio. «La raggiungerò non appena
questo caos si sarà calmato un po’, ma credo che se la caverà. Ha imparato da
tempo a dividere la famiglia da quei mostri» mormorò, sentendo un nodo
all’altezza dello stomaco. «Se non avesse imparato, Harry non le avrebbe
permesso di concludere l’accademia. Lei è abbastanza forte».
L’Auror annuì, dando una
pacca sul braccio del migliore amico. «Dubito, comunque, che qualche membro
della sua famiglia3 avrebbe preso parte a quell’azione sconsiderata.
C’erano anche dei Nati Babbani e Mezzosangue, fra loro».
Nati Babbani e Mezzosangue?
«Che cazzo significa?» sbottò, stizzito,
Seamus, fronteggiando il collega. «Nati Babbani fra i Mangiamorte? E da
quando?» continuò, per poi scuotere il capo. Il Whisky che aveva bevuto gli
bruciava ancora lo stomaco. «Incredibile. La prossima cosa sarà, uhm? Un
Irlandese si metterà a cantare Dio salvi la Regina e proporrà il ritorno
del paese sotto il dominio inglese2?».
Dean si strinse nelle spalle, senza sapere cosa
dire. «Ne so quanto te, dico davvero» gli spiegò, cupo. «La cosa peggiore è che
alcuni di loro hanno anche perso parenti ed amici nella guerra».
Improvvisamente sembrò nervoso, quasi non riuscisse a capacitarsi di quanto
stesse per dire. «Uno di loro era Dennis Canon, Seamus. Il fratello di Colin».
L’imprecazione che sfuggì dalle labbra si Seamus
avrebbe fatto piegare le ginocchia al prete del suo paese ed avrebbe fatto cadere
il crocifisso della sua Chiesa. «Canon? Non è possibile, mi rifiuto di
crederlo» sbottò, furioso, allontanandosi di un passo dal muro e passandosi una
mano fra i capelli. «Colin è morto combattendo, Dennis lo sa bene. Siete sicuri
che sia lui? Che non sia sotto Imperius?».
Quando Dean annuì, Seamus ripeté l’imprecazione,
aggiungendovi qualche altro colorato epiteto in irlandese.
«Cosa sta succedendo, per Merlino?» chiese alla
fine, esasperato. «Dennis Canon che diventa un Mangiamorte, altri Mezzosangue
che iniziano a seminare il panico per il mondo magico…».
«E solo diciotto giorni prima che Tu-Sai-Chi torni
a passeggiare per le strade del mondo».
***
La campagna greca era un tripudio di colori,
intorno a loro. L’azzurro del mare incontrava i colori accesi della terra e
degli ulivi che finivano a strapiombo sul mare, l’aria era profumata di erbe
aromatiche ed i raggi del sole le riscaldavano il viso nonostante l’inverno
fosse ormai giunto alle porte. Non era un clima cui Hermione era abituata,
naturalmente. Il freddo inglese era infossato nelle sue ossa, come se fosse
stato parte delle stesse. L’assenza della solita puzza di umido sotto al naso
le sembrava quasi strana, innaturale, ma non per questo pensò mai di
lamentarsene4.
Erano arrivati in Grecia poche ore dopo l’alba,
quando la notizia dell’attentato a Diagon Alley era
appena stata diffusa con edizioni speciali della Gazzetta del Profeta. Nessuno
di loro due era stato particolarmente sconvolto, alla notizia: era solo
questione di tempo prima che le varie forze sostenitrici del vecchio Regime
tornassero a farsi sentire.
Era successo durante il Torneo Tremaghi,
stava succedendo in quel momento. Quella volta, però, non c’erano solo i vecchi
purosangue a cercare un ritorno alle origini. Fra loro, infatti, c’erano gli
stessi che avevano perso affetti, che avevano perso parte delle loro vite in
quella che era stata una delle guerre più sanguinose della storia del Mondo
Magico.
Era incredibile. Era assurdo.
Stava accadendo davvero.
«Dovrebbe esserci un passaggio» mormorò Draco, parlando per la prima volta dal momento in cui erano
giunti a destinazione. Non era stato molto turbato dall’attacco in sé, ma dalla
notizia che sua cugina – che Hermione aveva capito essere l’Agente Rosier – fosse stata coinvolta nelle azioni immediatamente
successive all’attentato, a capo della Squadra d’Intervento.
Molti
Mangiamorte sono nostri parenti, per quanto non ci siano rapporti è sempre
difficile, per noi.
«Stiamo attraversando l’Acropoli, Malfoy, non credo ci sia un solo angolino di questo posto
che non sia già stato esaminato da cima a fondo» gli rispose lei, alzando gli
occhi al cielo. Allungò la mano per stringergli il braccio, intimandogli la
calma. Gli aveva proposto di rimandare, gli aveva detto che si sarebbe recata
in Grecia da sola ed avrebbe iniziato le ricerche, lasciandogli il tempo di
andare a controllare che Merrick stesse bene. Lei ce
l’avrebbe fatta.
Mia
cugina ha fronteggiato demoni peggiori, era stata la sua unica
risposta. Io non ce la farei a lasciarti qui.
Era stato con la morte nel cuore che erano
partiti, alla fine. Sempre con la morte del cuore si erano diretti
all’Acropoli, cercando qualcosa che potesse dar loro un indizio sulla strada da
seguire.
Erano lì da ore, ma non avevano ancora trovato
nulla.
«Noi dobbiamo trovare qualcosa» insistette quindi
il mago, con uno sbuffo irritato, tirando fuori dalla tasca un'altra sigaretta,
che accese con un gesto brusco. «Siamo il mago e la strega più brillanti della
nostra generazione5, se c’è qualcosa, noi dobbiamo trovarla».
Con un gesto veloce, Hermione gli tolse la
sigaretta dalle labbra, lanciandogli uno sguardo di fuoco. «Questa è la quinta
in poco più di un’ora, Draco, stai esagerando» lo
rimproverò, seccamente. «Troveremo qualcosa soltanto quando ti deciderai a
darti una calmata». Quando notò l’occhiata sperduta con cui lui reagì, non
riuscì ad impedirsi di fermarsi e posargli la mano sul braccio, proprio sopra
il segno che il Marchio Nero aveva lasciato. «Ce la faremo, va bene? Devi
credermi, ce la faremo. E impediremo che questa catastrofe arrivi alla fine».
«E se non ce la faremo?». Strapparsi quelle parole
di bocca dovette risultargli difficile come se ogni parola fosse stata un arto
tirato via con violenza. Strinse i denti, rifiutandosi di incrociare lo sguardo
di Hermione. «Cosa succederà, se Tu-Sai-Chi tornerà dal regno dei morti? Non è
più una questione di pochi, hai visto anche tu i Mezzosangue che si sono uniti
alla sua causa… se dovesse farcela, sarebbe la fine» esalò, terrorizzato,
posandole le mani sulle spalle e scuotendola leggermente. Poi, con un sospiro,
si chinò a poggiare la fronte contro la sua. «Sono solo molto nervoso,
scusami».
Sentendosi un peso sul cuore, Hermione gli
accarezzò lievemente i capelli, incurante dei sorrisini inteneriti che i
turisti intorno a loro avevano iniziato a dedicargli. Nessuno poteva aver
sentito la discussione, ma immaginava che sembrassero piuttosto carini, visti
da occhi esterni.
«Non c’è nulla di cui scusarsi. Hai paura, così
come ho paura io. Solo che, per la prima volta, sei dalla parte giusta della
scacchiera» lo tranquillizzò, gentile. «Imparerai a convivere con questa
emozione, come tutti noi».
Draco sospirò,
risollevandosi. «Per la prima volta, comincio a provare pietà per Potter e per
ciò che deve aver passato, durante la scuola» ammise, raddrizzando le spalle e
sistemandosi il bavero della giacca. «Allora, le tue ricerche a cosa ti hanno
portato? Ricominciamo da capo» aggiunse, guardandosi intorno. «Merlino, non era
così che volevo farti visitare Atene, Granger».
Hermione non riuscì ad impedirsi di sorridere
leggermente, dandogli un buffetto sulla mano. «Un papiro ritrovato ad
Alessandria d’Egitto, si ritiene sia opera di uno degli scribi personali del
sovrano» spiegò per l’ennesima volta, ripescando dalla borsa un blocchetto
d’appunti. «Dice che Alessandro dovette fronteggiare le sue peggiori paure,
prima di trovare la grandezza del passato
che sarebbe appartenuta al futuro» recitò, indicando con un cenno la
traduzione che si era appuntata. «Abbiamo dedotto che abbia trovato lo
specchio, ma non dice dove».
Sempre guardandosi intorno, Draco
si accigliò. «Sai, Mezzosangue» iniziò, cercando qualcosa nella tasca della
giacca, «un paio di anni fa ho dovuto recuperare
un complesso marmoreo dalla villa di un vecchio duca greco-».
«Rubare»
rettificò Hermione, lanciandogli un’occhiata tetra. «Hai rubato un complesso
marmoreo. Non abbiamo ancora parlato di questa tua professione, Malfoy, ma-». Lui le impedì di continuare, lasciandole un
piccolo bacio sulle labbra. Era certamente il miglior modo possibile per
zittirla, Hermione dovette dargliene atto.
«Come desideri, poi ne parleremo. Quella
sceneggiata di Lord Morgerstern e Lady Sinclair è
molto affascinante, mi farebbe comodo una partner» le disse, con un enorme
sorriso incoraggiante, impedendole tuttavia di rispondergli con l’imprecazione
che avrebbe voluto. «Quel gruppo marmoreo, comunque, avrebbe dovuto
rappresentare i Dioscuri, Castore e Polluce, ma alla fine si dimostrò essere
una rappresentazione di Phobos e Deimos,
i figli del dio della guerra».
«Le divinità della Paura e del Terrore, certo»
intervenne lei, accigliata. «Strano, credevo non ci fossero molte loro
riproduzioni, i Greci erano un popolo parecchio superstizioso». Accigliata,
ricordò con incredibile chiarezza la lezione di storia antica fatta con il
professor Ruf, al primo anno. «Se non sbaglio, molti
gruppi marmorei erano infusi di magia potentissima, legata alle personalità cui
si rifacevano. Ci sono tracce di statue di Zeus capaci di scagliare fulmini
dagli occhi. Pensi che Alessandro possa aver affrontato una loro statua? O comunque
qualcosa legato a loro ed al dio Ares?».
Draco annuì,
continuando tuttavia a guardarsi intorno. «Queste statue infondevano una paura
irrazionale in chiuque le fissasse per troppo tempo.
Il proprietario babbano aveva iniziato a sfruttare il
loro potere, senza rendersi conto che avesse iniziato lui stesso ad essere
spaventato della sua stessa ombra». Con un sorriso di trionfo, indicò con un
cenno qualcosa alla loro destra. «Non ci sono dei santuari dedicati ad Ares,
nell’Acropoli, ma un Mago, un archeologo morto prima della Seconda Guerra
Mondiale, ha scoperto delle gallerie sotterranee che collegano la parte alta
della città al vecchio porto. Riteneva fossero delle vie usate per il trasporto
dei prigionieri di guerra, in modo che questi soffrissero e si preparassero a collaborare» spiegò, con un leggero
sorriso di trionfo. «Mezzosangue, tu sei un Inquisitore e sai meglio di me a
cosa mi riferisco. Se qualcuno non vuole parlare, cosa serve per convincerlo?»
le domandò poi, tornando, finalmente, a guardarla negli occhi. C’era una tale
soddisfazione nel suo sguardo, che per un attimo Hermione se ne sentì pervasa.
Quando capì, si portò la mano a coprire le labbra.
«La paura. Si
usa la paura».
«Atene era una potenza, la culla della democrazia,
ma aveva comunque bisogno di qualcosa di oscuro, alla base, per mantenere la
sua forza. Qualcosa che lo stesso Pericle deve aver usato, per giungere a quel
picco di magnificenza» spiegò Malfoy, iniziando a
trascinarla. «La forza arriva dalla conoscenza, la conoscenza proveniva dai
prigionieri».
«E i prigionieri erano talmente terrorizzati da
collaborare senza opporre resistenza» concluse lei, quasi come se le sue parole
fossero state un complimento. Si trattava di un ragionamento contorto, ma aveva
senso. Se davvero avessero trovato l’ingresso a quei tunnel, avrebbero potuto scontrarsi
con quelle stesse paure che Alessandro aveva fronteggiato, durante la sua
conquista di Atene6, prima di ottenere lo Specchio.
A quel punto, l’unico problema restava trovare le
fantomatiche vie nascoste.
«Andiamo, Hermione. Phobos
e Deimos ci aspettano».
***
«Avrei preferito mille volte avventurarmi fra i
resti di Sparta» le disse, dopo quasi un’ora di scarpinata lungo le colline
greche. Aveva immediatamente affermato di conoscere una strada più veloce della
discesa al vecchio porto, così da poter ritrovare immediatamente l’ingresso, ma
da quando si erano messi in marcia a lei era sembrato ad ogni istante più
confuso. «Conosco un sacco di archeologi che avrebbero potuto darci una mano a
trovare l’accesso. Qui, invece, con tutti questi stupidi turisti…».
«Non parlare male dei turisti, ho intenzione di
diventarlo anche io non appena sistemeremo questa terribile situazione» lo
ammonì allora Hermione, con una risatina, guardandosi intorno alla ricerca di
un qualche segnale. La campagna greca era perfetta ed immutabile nella sua
tranquillità, i colori autunnali sembravano ancora voler mantenere una parvenza
di calore che nelle regioni nordiche era già sparita. «Oltretutto, qui non ci
sono turisti, siamo soli nel bel mezzo del nulla perché tu conoscevi la strada. Praticamente siamo finiti alla fine del
Mondo, Malfoy».
«Io conosco
la strada!» sbottò Draco, allargando le braccia con
aria sconfitta. «Solo perché sembra
che siamo arrivati alla fine del mondo, non significa che lo siamo davvero.
Semplicemente, dobbiamo trovare il posto giusto…» mugugnò poi, tirando fuori il
suo quadernino e strizzando gli occhi per leggere bene i suoi stessi appunti.
«Maledizione, Granger, dai un’occhiata tu, io non ho
portato i miei occhiali» si lagnò alla fine, porgendole il blocchetto ed
indicandole un punto imprecisato.
Lei gli sorrise, tentata di alzare gli occhi al
cielo. In realtà era molto deliziata da quel gesto: aveva sognato di mettere le
mani sugli appunti di Malfoy dal primo giorno in cui
li aveva tirati fuori in sua presenza. «Hai ricopiato fedelmente le memorie di
Stephen McKenzie? Non potevi fare una fotocopia?» gli
domandò, confusa, zittendo ogni possibile protesta con un gesto. «Qui dice che
l’ingresso al tunnel si trova dove un tempo sorgeva l’agorà7 dei giusti. Che cos’è l’Agorà dei giusti, Malfoy?».
«Era un’agorà separata per coloro che la
popolazione riteneva giusti,
ovviamente» fu la pronta risposta di lui, accompagnata da un sopracciglio
inarcato. «Merlino, Mezzosangue, davvero non ti ricordi quella lezione di Ruf? Mi sorprendi» le fece notare, divertito, prima di
mettersi le mani in tasca e dondolare leggermente sul posto.
«Allora?» incalzò allora lei, con un pizzico di
stizza, tentata di sbattere il piede a terra e fargli rimangiare quel
maledettissimo sorriso sornione.
«Scusa, ma sto vivendo il mio sogno
adolescenziale: conoscere più cose di Hermione Granger»
si rallegrò, per un attimo, Draco, per poi scuotere
leggermente il capo. «I Giusti in
Grecia erano i maghi purosangue più anziani. Erano considerati i più saggi, gli
unici con abbastanza potere da poter garantire la sopravvivenza della Polis».
Con un gesto vago indicò la campagna che li circondava. «Più o meno qui
dovrebbero esserci i resti dell’agorà dedicata a loro e lì troveremo il nostro
ingresso. Si tratta di un luogo magico, protetto dagli occhi dei babbani».
Sospirò, allargando le braccia. «Per questo maledettissimo motivo siamo alla
fine del mondo ed io non riesco ad orientarmi».
«Questo è un posto non disegnabile8» si complimentò allora lei, sentendo un
moto di eccitazione crescerle dalla base dello stomaco. «Significa che sono
pochissimi anche i maghi che hanno
avuto modo di visitarlo! È una cosa incredibile, per l’amor di Merlino… se
riuscissimo a trovarlo potremmo darne segnalazione al Ministero e…».
«E magari andare dalla Talpa, darle qualche pacca
sulla spalla e consegnarci entrambi, che ne dici?» le chiese quindi lui,
accigliato, prima di picchiettare nuovamente sulle pagine dell’agenda. «Forza, Granger, continua a leggere. Non abbiamo tempo per i tuoi
sogni da piccola archeologa, ora… non quando non abbiamo la più pallida idea di
chi stia tentando di ostacolarci».
Quella puntualizzazione fece arrossire Hermione.
Naturalmente, Malfoy aveva ragione e la cosa a lei
dava un profondo fastidio. Solo perché aveva accettato di provare qualcosa per
lui, non significava certo che fosse pronta a mettere da parte l’orgoglio. «Fa
riferimento ad un albero sacro perennemente in fiore, il simbolo della
conoscenza di cui i Giusti sono
portatori… un albero d’ulivo? Oppure d’alloro?» azzardò quindi, confusa,
guardandosi intorno con sempre maggiore esasperazione. La campagna greca era piena di quel tipo d’alberi. Piena.
«L’albero sacro per i maghi è la vite,
Mezzosangue» le fece notare lui, scuotendo il capo. «Ma non mi aspetto che tu
lo sappia, sono informazioni segrete che vengono tramandate tra le più antiche
famiglie purosangue, fra cui la mia. Quasi tutti abbiamo almeno un viticcio nei
nostri giardini, perché si ritiene che sappia incanalare la nostra magia e
renderla più forte».
«Questa è una sciocchezza, lo sai anche tu» sbottò
allora lei, alzando gli occhi al cielo. «Il legno di vite potrebbe avere degli
effetti parlando di fabbricazione delle bacchette, ma addirittura stimolare la
magia…».
Draco non
sembrò particolarmente preoccupato dalle sue parole. Si strinse nelle spalle e
continuò a guardarsi intorno. «Potrebbe essere come dici tu, oppure…» con un
sorrisino vittorioso, le posò le mani sulle spalle e la fece girare verso
destra, mettendola di fronte ad un piccolo viticcio dall’aria incredibilmente
sana – nonostante il vento gelido – e dalle foglie di uno strano viola acceso.
Si trovava al centro di una piccola radura circolare, con l’erba verde ed
immacolata, capace di riflettere la luce come se fosse stata coperta di
tantissimi cristalli. Il profumo di primavera che giunse alle loro narici,
quando una piccola folata di vento tiepido si sollevò da quella direzione, era
completamente innaturale, nonostante fosse piacevole.
«Maledetto bastardo» fu tutto ciò che Hermione
riuscì a dire, stringendo fra le dita sottili il quadernino di Malfoy. La risatina di scherno e soddisfazione che lui le
dedicò, in risposta, le fece scuotere il capo. Poi, sconfitta, tornò a cercare
altre informazioni. «L’ingresso si trova
dove il sole incontra il mare e la pianta sacra è posta a corona dei saggi».
Non attesero oltre, dirigendosi immediatamente
verso la radura. Ad ogni passo sembrava quasi che il calore volesse aumentare,
come se le stagioni avessero iniziato ad invertirsi. Il sole era più caldo, i
colori più accesi, i profumi più intensi. E più i sensi si accentuavano, più la
confusione aumentava, quasi come se le loro coordinate fossero state
completamente sconvolte, come se il nord stesse diventando sud e l’est stesse
diventando ovest.
Hermione si voltò a guardare Draco,
consapevole di essere accigliata. «Cosa succede?» gli chiese, o quantomeno
pensò di averglielo chiesto. I colori sembravano pulsare, danzavano con le sue
pupille. Il calore stava diventando insopportabile, l’erba sotto ai suoi piedi
era troppo morbida e troppo, troppo vicina, poi troppo lontana.
Le venne voglia di piangere, all’improvviso, ma
non seppe se per paura o per un’improvvisa e incontenibile gioia. La natura
intorno a lei stava cantando una canzone che non poteva comprendere ma che
credeva di conoscere, una canzone cui ogni cellula del suo corpo aveva iniziato
a rispondere con improvvisa foga, facendo aumentare i battiti del suo povero
cuore e facendole tremare le mani.
«Tieniti a me», le disse all’improvviso Draco, la voce morbida ma carica di premura. Tenersi a lui,
aveva detto, eppure il suo corpo le appariva troppo lontano per poter essere afferrato.
Troppo lontano, troppo…
Poi il mondo finì, precipitando intorno a loro
come fiocchi di una neve bollente. Tutto iniziò a cadere, tutto iniziò a
sciogliersi, i colori divennero pura luce e la luce si oscurò, la terra iniziò
a tremare ed infine si spezzettò in un milione di frammenti.
***
Quando Hermione si svegliò, sentì qualcosa di
incredibilmente morbido accarezzarle la punta del naso. Per un istante, pensò
si trattasse di Mittens, riuscito in qualche modo a
salire sul letto, ed intenzionato a strusciare il suo sederino peloso su tutto
il suo viso. Poi, con la realizzazione che a toccarla fosse un dito, ricordò le
circostanze in cui aveva perso conoscenza e come il mondo, all’improvviso,
avesse iniziato a decadere.
«Buongiorno, dormigliona».
Aperti gli occhi, Hermione pensò di essere ancora
svenuta e di esser persa in uno dei pochi sogni erotici che avevano affollato
la sua prima adolescenza. Ebbene, mentre le sue compagne leggevano giornaletti
come “Il dissennatore
e la bella senz’anima9”, del
Settimanale delle Streghe, lei era tutta presa da molti racconti della
mitologia greca, fra cui il terribile
Amore e Psiche.
L’idea della giovane dall’aspetto meraviglioso
costretta a sposare un mostro che in
realtà si era dimostrato essere il Dio dell’Amore… in poche parole, se le sue
compagne avessero immaginato il
contenuto di alcuni sogni di Hermione, non l’avrebbero considerata poi così
innocente. Di certo non l’avrebbero guardata allo stesso modo.
E davanti a lei, in quel momento,
c’era una personificazione di Amore che niente aveva da invidiare a quella che
la giovane si era immaginata a quindici anni. I capelli biondi incorniciavano
il viso perfetto, pallido, con gli occhi di cristallo carichi di malizia e le
labbra perfette piegate in un sorriso furbo. Il corpo snello ma forte, invece,
era coperto da un chitone, blu come le profondità della notte e dai bordi
dell’argento più puro10.
C’era una divinità, davanti a lei.
«So di essere bellissimo, ma se non ti contieni ci
affogherai tutti nella tua bava».
Oppure c’era soltanto un Malfoy
molto, molto soddisfatto delle sue
reazioni e stranamente vestito in modo diverso da ciò che lei ricordava.
Anche Hermione aveva cambiato abiti, se ne rese
conto solo un attimo dopo, quando lui le sfiorò il braccio nudo con la punta
delle dita. La sua tunica era smanicata ed era stretta sotto il seno, di un
porpora intenso e dai bordi d’oro. Non era la prima volta che aveva un’immagine
di sé proiettata nei tempi antichi: l’ultima volta era stato Bacco a mostrarle
se stessa nell’Antica Roma. Ma era stata un’illusione, quella.
«Credo sia un incantesimo gettato sul luogo,
simile a quello che abbiamo visto in Germania» le spiegò Malfoy,
indicando con un cenno ciò che li circondava. «Ha riconosciuto la magia e si è
ricostruito. McKenzie parlava di un’agorà ben
conservata, ma non pensavo che fosse così
ben conservata».
Guardandosi intorno, Hermione comprese cosa stesse
intendendo. Si trovavano all’interno di un tempio dalle mura di marmo bianco,
pulito e perfetto nella sua grandezza, con grandi lanterne appese al soffitto e
viticci intrecciati alle colonne, tutti dello stesso colore di quello che
cresceva proprio al centro, lo stesso che i due avevano visto poco prima. A
circondare quella vite c’erano sette scranni d’oro e su ognuno di questi delle
corone intarsiate di pietre preziose.
«Benvenuti
nell’Agorà dei Giusti, vi stavamo aspettando».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho
una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Ritorniamo all’azione!
Ho scritto questo
capitolo il giorno dopo il terribile attentato di Nizza, quindi mi dispiace se
risulterà un po’ sconclusionato, ma anche le mie emozioni lo erano e lo sono.
Oltretutto, dopo il tentato colpo di stato in Turchia, è sembrato quasi che il
mondo fosse sul punto di implodere. Abbiate pietà di me, sono ansiosa e
facilmente impressionabile.
Punti importanti:
» 1 – “Girando
e girando nella spirale che si allarga/ il falco non può udire il falconiere/ Le
cose crollano; il centro non può reggere/ Mera anarchia è scatenata sul mondo/ La
corrente torbida di sangue è scatenata, ovunque/ Il rito dell'innocenza è
sommerso/ Ai migliori manca ogni convinzione, mentre i peggiori/ Sono pieni di
appassionata intensità.”Questa poesia è di W. B.
Yeats, un autore Irlandese dei primi del ‘900. Io sono molto legata sia a quest’opera
(che fa riferimento alla fine del mondo, parlando del modo in cui quest’ultima si presenta. Emblematici gli ultimi versi:
chi ha cattive intenzioni – quindi i Mangiamorte – è motivato, mentre i buoni – gli Auror, Draco – sono scoraggiati)
che all’autore in generale. Se proprio vogliamo essere pignoli (e se volete
sapere i fatti miei), The Second Coming è stata una delle opere in lingua che ho
inserito nella mia tesina della maturità (che parlava dell’Apocalisse, ero
strana anche anni fa), insieme a vari riferimenti alla lotta per l’Indipendenza
Irlandese, un tema molto caro sia a Yeats che a me. Io amo l’Irlanda.
» 2 – Sempre dalla
serie “Marne ama follemente l’Irlanda”,
abbiamo “Marne ama gli irlandesi, in
particolare Seamus”. Sfortunatamente, questo mio amore per gli Irlandesi mi
ha spinta a stereotipare un po’ il mio povero Finnigan.
Non è vero che gli irlandesi sono tutti cattolici (se devo essere sincera,
quasi tutte le chiese principali di Dublino sono anglicane!), ma è verissimo che per la maggior parte hanno
un odio smisurato verso l’Inghilterra. Parlando con un amico irlandese, mi sono
sentita dire “ci hanno rubato un pezzo d’isola,
per forza non li sopportiamo”. Se poi aggiungiamo le stragi fatte dall’esercito
britannico, soprattutto durante la ribellione di Pasqua del 1916… (al riguardo,
vi consiglio la serie tv The Rebellion, su Netflix! Io l’ho vista ed è bellissima, molto accurata).
Per quella storia della
religione: la Rowling ha detto che i maghi hanno
religioni, semplicemente ha evitato la discussione nei libri. Quindi, Seamus
è cattolico.
»
3 – Merrick è una Rosier,
quindi è figlia/sorella/cugina/amica di Mangiamorte, come Draco.
Il fatto che sia Auror è da ricollegare alla volontà
di colpire coloro che l’hanno tradita e ferita. Storia lunga, verrà spiegata
più avanti, non temete. Vi basti sapere che per quanto odi Voldemort, l’idea di
affrontare parenti non le piace particolarmente.
» 4 – Non sono mai stata
in Grecia – ho intenzione di rimediare – ed ho pensato di ispirarmi alla mia campagna nel periodo autunnale.
Dopotutto, il profondo sud d’Italia è la
Magna Grecia, no?
» 5- Per quanto mi
riguarda, Draco è geniale
praticamente quanto Hermione, forse giusto un po’ meno. Dopotutto, dal sesto
libro si capisce che abbia ottenuto un bel po’ di GUFO. Ed ha riparato da solo
l’armadio. Non toccatemi il cervello di DracoMalfoy.
» 6 – Più o meno verso il
336-334 AC. Mi ero appuntata delle date più precise, ma ho perso gli appunti e
non ho il tempo di andare a cercare di nuovo! Comunque siamo dopo la morte di
Filippo il Macedone e prima delle sue altre spedizioni.
» 7 – L’Agorà è la piazza
centrale della polis, in cui si discuteva delle questioni più importanti della
società. L’idea che ci fosse un concilio separato per i purosangue mi ha sempre
stuzzicata. Atene, per quanto avanzata e democratica, era essenzialmente basata
su questi privilegi. (Donne escluse, schiavitù normalissima e altro. Per certi
versi, Sparta era più avanzata).
»8
– Come Hogwarts, l’Agorà non può essere rappresentata su mappe o simili, per
questo motivo è nascosta un po’ a chiunque.
» 9 – Mi sono ispirata ai
giornaletti Harmony, abbiate pazienza! Nessuno mi
farà credere che le streghette non abbiano certi
giornaletti sconci per le mani. E la nostra piccola Hermione non è stata immune
all’ormone adolescenziale ;)
» 10 – Malfoy con una tunica greca, sì. Anche io ho gli ormoni, fatemi causa.
» Chi è che li ha accolti nell’Agorà?
Perdonatemi, la one-shot arriverà presto, così come le altre cose promesse.
Ho preso un paio di giorni di vacanza, dopo l’esame, ed ora sto cercando di
trovare un minimo di organizzazione. Per chi non l’avesse capito: sono un tipo
ansioso, senza organizzazione non funziono!
Piccola comunicazione di
servizio:
L’aggiornamento dovrebbe arrivare tranquillamente lunedì prossimo, in caso
contrario vi avviserò!
Per
altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 25 *** Atto XVI - Parte I/ Cantami o Diva ***
LoSpecchiodelleAnime.
“E Patroclo si slanciò sui Troiani meditando rovina,
si slanciò per tre volte, simile ad Ares ardente,
paurosamente
gridando: tre volte ammazzò nove uomini.
Ma quando alla quarta balzò, che un nume pareva,
allora,
Patroclo, apparve la fine della tua vita.1"
[Omero, Iliade (XVI, 783-787)]
Atto XVI – Parte I
Cantami o Diva.
Davanti a loro, in una splendente tunica del
colore dell’oro, c’era un giovane uomo che non avrebbe potuto avere più di
trent’anni, con fluenti capelli scuri ed occhi dello stesso colore dell’erba
primaverile. Aveva un sorriso gentile, la voce garbata completamente priva
d’accento. Hermione pensò che, chiunque fosse, dovesse aver vissuto una vita
particolarmente agiata2, i suoi modi erano quasi più regali di
quelli di Malfoy.
«Benvenuti» ripeté ancora, facendo un grazioso
passo avanti ed allargando le braccia per indicare tutto il tempio che li
circondava. «Spero che gli abiti siano di vostro gradimento. Ho pensato che
quei colori avrebbero incontrato i vostri gusti».
Più parole avevano lasciato le sue labbra, più la
strega si era ritrovata a fissarlo, incantata.
Era un bell’uomo, non poteva negarlo, ma non era bellissimo,
così come non era il suo tipo. Semplicemente, ogni suono che aveva articolato
le era sembrato incredibile, ricoperto di uno splendore che doveva esser andato
perduto da secoli.
Draco, ancora inginocchiato accanto a lei, le
diede un buffetto sulla mano, come a voler richiamare la sua attenzione. Poi,
scuotendo il capo, si rialzò, tirandola con sé.
«Stai per metterti a sbavare, Mezzosangue» le fece
notare, con un pizzico di stizza. «Non mi sembra il caso, davanti a qualcuno
che potrebbe tranquillamente averci rapiti e sottoposti a qualunque genere di
sevizia, durante la nostra incoscienza» aggiunse, però voltandosi verso l’uomo
in questione, che aveva continuato ad osservarli con curioso divertimento.
«Vi farà piacere sapere che non ho abusato di voi»
disse proprio lui, congiungendo le mani all’altezza dello stomaco e continuando
a sorridere. «Anche se volessi, non potrei certo farvi del male. Il mio compito
è quello di accogliervi, non certo di ferirvi». Gli occhi smeraldini sembrarono
soffermarsi con particolare interesse su Draco, velati di qualcosa che Hermione
pensò di catalogare come interesse. «Questi colori vi stanno davvero
bene, non ho perso il mio occhio» mormorò quindi, lasciando che il suo sorriso
si ampliasse.
Confuso, Malfoy le posò la mano sul braccio, come
a volerla trattenere. Lei non apprezzò quel gesto di apparente protezione e si
liberò dalla stretta dedicandogli un’occhiataccia, cui lui rispose con
un’espressione esasperata.
Lo sconosciuto, rimasto sempre a parecchi passi di
distanza, li guardò entrambi con sempre maggiore divertimento, lasciandosi
andare ad una risata assolutamente deliziosa.
«Dovete perdonarmi» si scusò, quando entrambi lo
fulminarono con gli occhi. «Mi rendo conto di dovervi sembrare orribilmente
sgarbato, ma queste schermaglie mi riportano alla memoria vecchi episodi di
gioventù. Dopotutto, l’amore è immortale, no?» disse, prima di avanzare di un
paio di passi, incurante della velocità con cui loro arretrarono, preoccupati.
«Oh, non dovete certo avere paura di me. Se avessi voluto ferirvi, vi avrei
tolto le bacchette, non credete anche voi?».
Solo in quel momento, Hermione si rese conto del
leggero e rassicurante peso della sua bacchetta contro il fianco. Quella sua
tunica aveva una tasca apposita, perfettamente mimetizzata ma, al tempo stesso,
incredibilmente comoda in caso di necessità improvvisa d’estrarre l’arma. Anche
Malfoy ne aveva una, però lui doveva averla trovata già da qualche istante,
avendo puntato la bacchetta contro il loro gentile ospite.
«Adesso puoi dirci chi accidenti sei» disse
infatti, serio. La tunica smanicata aveva lasciato scoperto il suo braccio
martoriato, ma non sembrava più preoccuparsene più di tanto. Dopotutto,
Hermione l’aveva già visto e gli aveva chiaramente detto che non avrebbe più
dovuto nasconderlo: era parte di lui, non poteva vergognarsene per sempre.
«Mezzosangue, occhi aperti» la ammonì, quando notò che lei non avesse dato
segno di prepararsi ad una possibile fuga.
«Non credo ci sia pericolo, Draco» gli fece notare
allora lei, tranquilla, incrociando le braccia al petto. «Eravamo svenuti e non
ci ha fatto del male. Che senso avrebbe sfidarci ora? Siamo entrambi coscienti
e armati».
Lo sconosciuto sorrise, spostando gli occhi
smeraldini fra entrambi e lasciando, infine, che si posassero su Hermione. «Ah,
è snervante, non è vero mia cara? Avere a che fare con chi ha il complesso
dell’eroe…» borbottò quindi, scuotendo il capo. I ricci scuri gli dondolarono
sulle spalle in modo innaturale, con una perfezione davvero poco umana.
«Soprattutto perché spesso ti costringono a diventarlo a tua volta, per quanto
usare il cervello sia una scelta sempre migliore». Le sue labbra delicate si
strinsero in una linea sottile, osservando Draco come se fosse stato un
cucciolo particolarmente discolo.
«Se proprio vogliamo esser pignoli, signor
Sconosciuto» lo interruppe Malfoy, gli occhi ridotti a due lame di affilato
argento, «l’eroe della coppia è lei. Io preferisco salvarmi la pelle,
quando non mi costringe a fare l’intrepido per salvarle la vita». Si voltò
verso di lei, dedicandole la migliore fra le sue occhiate disperate. «Per
quanto il tuo ragionamento fili, mia cara, non mi sembra il caso di
essere spericolati proprio ora. Per quello che ne sappiamo noi, questo tizio
potrebbe essere una trappola per distrarci».
«Ha ragione, sai» anche lo sconosciuto gli diede
corda, annuendo leggermente. «Comunque, tranquilli, non ho davvero intenzione
di farvi del male. Sono qui, come ho già detto, per accogliervi nell’Agorà dei
Giusti. Voi siete Hermione Granger e Draco Malfoy, se
non sbaglio».
Il silenzio confuso che seguì quell’affermazione
fu alquanto carico di tensione.
«Come fai a conoscere i nostri nomi?» domandò
Hermione, osservandolo con curiosità. C’era qualcosa, in lui, che la
tranquillizzava. Non era una reazione logica, non era una reazione
giustificabile: semplicemente, lei voleva fidarsi e accettare qualunque cosa le
avrebbe detto come se fosse stata pura e semplice verità scientifica.
Era un incantesimo?
Lo sconosciuto sorrise, indicando un enorme arazzo
sulla parete sinistra, che né lei o Malfoy avevano notato. «Il vostro arrivo è
stato previsto da tempi immemori» spiegò, tranquillo, incrociando le braccia al
petto. «Non ne ero assolutamente certo, temevo di aver perso il conto dei
secoli, ad un certo punto. Fortunatamente non è stato così, non credete anche
voi?».
Vagamente preoccupata, Hermione si voltò a
guardare Draco, trovandolo con la stessa espressione di pacato panico stampata
in viso.
Aveva detto secoli.
«Cosa sta succedendo? Chi sei tu?» domandò
quindi lei, questa volta tirando fuori la bacchetta e puntandola contro colui
che avrebbe potuto essere sia il loro aggressore che il loro salvatore. «In che
senso perso il conto dei secoli? Quanti anni hai? Che cosa sei?»
aggiunse, così velocemente da arrivare quasi a balbettare.
La calma è la virtù dell’Inquisitore, si
ripeté, sentendo la voce del suo Capo rimbombare per gli angoli più sperduti
del suo cervello. Le aveva ripetuto quelle parole fino alla nausea, quando si
era avvicinata per la prima volta all’Ufficio Inquisitori, ancora troppo
inesperta e troppo ansiosa di fare qualcosa di buono per poter comprendere il
vero scopo del suo lavoro.
Lo sconosciuto sembrò divertito da lei, ma ancora
di più sembrò intenerito nel notare come Draco si fosse immediatamente fatto
avanti per proteggerla, nonostante le sue proteste iniziali.
«Avevi ragione, ragazzo» disse quindi, dolcemente.
«L’eroe è lei, pronta a tutto ma così incosciente da aver bisogno che tu le
guardi le spalle…» mormorò, lasciando che un’eco di qualcosa – era dolore? –
aggiungesse alle sue parole un retrogusto amaro. Poi, come se si fosse
improvvisamente reso conto dello sguardo confuso dei due, scosse il capo e
sorrise, nuovamente tranquillo. «Scusatemi ancora. Mi capita spesso di perdermi
nel passato, non è una cosa razionale… l’amore non lo è mai». Si schiarì
la voce, sollevando il mento e raddrizzando le spalle. Una cicatrice, che
Hermione non aveva notato prima, gli attraversava tutto il fianco, come se
qualcuno avesse usato un coltello per aprirlo in due3.
O una lancia.
«Chi sei?» chiese ancora, improvvisamente più
curiosa che preoccupata. La presa di Draco sul suo braccio si irrigidì, ma lei
non si scostò, limitandosi a posare la mano libera su quella di lui e dargli un
buffetto delicato. «Non sei come noi. Non sei un mortale» aggiunse, gli occhi
ormai ridotti a delle fessure scure.
«Non sono un mortale» confermò, gentile, lo
sconosciuto. «Il mio nome è Patroclo, figlio di Menezio».
L’espressione di colorita incredulità che lasciò
la labbra di Malfoy avrebbe fatto tremare le gambe alla professoressa McGranitt, con buone probabilità, ma Hermione non si
scandalizzò. Non avrebbe potuto, considerando che lei stessa fosse stata sul
punto di fare un’uscita molto simile, se non addirittura peggiore. Il suo
silenzio, probabilmente, era dipeso dall’indecisione. Ebbene, se la parte più
razionale del suo cervello era perfettamente certa che lo sconosciuto stesse mentendo,
la restante gli credeva ciecamente. E questa era la parte più forte, senza orma
di dubbio.
Il suo iniziale sconcerto, infatti, si era
velocemente trasformato in incredula meraviglia.
«Patroclo» ripeté infatti lei, gli occhi così
sgranati da sembrare sul punto di rotolare via. «Quel Patroclo? Quello
di Achille? Dell’Iliade?» esalò, sentendosi sul punto di svenire per
l’eccitazione da un istante all’altro.
Lo sconosciuto sorrise leggermente, quasi fosse
stato timido. «Non ho idea di cosa sia questa Iliade4 di cui
parli, ma se ti riferisci alla Guerra di Troia, in cui sono stato ucciso,
allora sì, sono io» le confermò, voltandosi poi a guardare Draco. «Credo che il
tuo compagno non abbia preso la notizia altrettanto bene, mia cara. Forse
sarebbe meglio se si sedesse».
In effetti, quando anche lei si voltò ad
osservarlo poté notare il colorito tutt’altro che sano assunto dalle sue
guance. Malfoy non sembrava particolarmente eccitato, all’idea di essere
davanti ad una figura a dir poco leggendaria, ma non sembrava neppure
che non gli credesse.
Era spaventato.
«Draco?».
«Tu sei un Dàimon».
***
L’uomo sorrise, dopo la dichiarazione di Draco,
quasi fosse stato entusiasta della velocità con cui lui aveva realizzato la
verità. «Sono lieto di constatare che la tradizione sia stata tramandata.
L’ultimo visitatore non è stato altrettanto bravo» si complimentò, allegro,
indicando con un cenno lo stesso arazzo che aveva mostrato poco prima.
Confusa, Hermione fissò prima lui e poi Malfoy,
che sembrava sempre ad un passo dal dare di stomaco per lo spavento. Una
gocciolina di sudore gli stava colando giù dalla tempia, nonostante non facesse
abbastanza caldo in quel luogo. Se lei si preoccupò fu per la sua
reazione, piuttosto che per vero pericolo. In cerca di risposte, quindi
assottigliò lo sguardo e cercò di decifrare la tela che già due volte le era
stata mostrata.
Di dimensioni incredibili, era intessuta di tutti
i colori conosciuti all’uomo. Dalla base nera come il carbone, schiariva
lentamente ed attraversava milioni e milioni di sfumature. Non c’erano
raffigurazioni, non una figura umana o animale. Tutta la superficie era quasi
totalmente ricoperta da un testo in lingua sconosciuta, ricamato in filo d’oro
con una premura da lasciar credere dovesse essere stato fatto a mano. Senza
comprendere perché, Hermione sentì d’essere sul punto di piangere dalla
commozione.
«Questo è l’Arazzo della conoscenza» la
informò l’uomo, con un sorriso gentile. «Contiene tutte le verità di questo
mondo e del mondo oltre. Qualsiasi domanda che sia mai stata posta o che
verrà pensata, troverà qui la sua risposta».
«E nessuno può leggere da quell’arazzo. Nessuno
potrebbe neppure avvicinarsi» si intromise Draco, cupo, tirando Hermione
indietro di un paio di passi.
Lei, sempre più confusa, non staccò gli occhi
dalla meraviglia che le era stata presentata. «Cos’è di preciso? E perché non
potremmo leggere?» chiese, scuotendo il capo per riacquistare un minimo di
concentrazione. Si voltò verso Draco, confusa, ma guardò per un istante anche il
loro accompagnatore. «E cos’è un Dàimon? Volete spiegarmi cosa sta
succedendo?».
L’uomo – Patroclo? – le lanciò uno sguardo carico
di dolcezza e rimpianto. «Tu somigli davvero tanto a lui. Stesso impeto,
stessa voglia di fare qualcosa» mormorò, accennando poi una risatina. «Stessa
testa calda».
«Un Dàimon, Hermione,» iniziò Draco, cupo,
continuando a tirarla indietro, «è una creatura leggendaria, non sono mai state
raccolte prove della sua esistenza che potessero esser considerate scientificamente
valide. Alcune tracce sono state tramandate oralmente… Socrate, il filosofo,
parlava del Dàimon5 come un principio divino presente in ogni uomo,
una sorta di voce interiore che impediva al suo animo di restare pacato».
Preoccupato, puntò gli occhi argentei sull’uomo. «Naturalmente, questa è la
versione nota ai babbani. La nostra tradizione dice che il Dàimon è una
creatura ibrida, un mago o strega il cui spirito è rimasto bloccato fra due
mondi, costretto a torturare le anime di uomini e donne così sfortunati da
incrociare il suo cammino».
«Come un fantasma, intendi?».
«Non proprio, mia cara». Divertito, l’uomo li
osservò entrambi con un sopracciglio inarcato, tentato, probabilmente, di
scoppiare a ridergli in faccia. Hermione non avrebbe potuto biasimarlo,
naturalmente: Malfoy sembrava aver appena incrociato suo nonno in mutande
appena uscito dalla tomba per fumare una sigaretta. «Un Dàimon è, sì, uno
spirito bloccato fra la vita e la morte, come i fantasmi, ma non ha come scopo
quello di torturare i vivi. Come il buon vecchio Socrate tramandava, il
nostro compito è quello di stimolare l’anima umana, di costringere voi mortali
ad affrontare le varie sfide che la vita vi presenta» spiegò, camminando
velocemente verso i sette troni al centro del tempio, su cui riposavano le
sette corone d’oro. «Siamo proiezioni di voi stessi, manifestazioni della
vostra volontà di crescere e conoscervi. Abbiamo ottenuto l’immortalità perché l’umanità
ci ha identificati con un’emozione, con una sensazione, impedendo alla nostra memoria di sparire» allargò le braccia,
tranquillo. «Siamo stati chiamati Giusti, perché costringevamo i nostri
visitatori a fronteggiare la propria coscienza, il proprio spirito. Siamo stati
chiamati Demoni per lo stesso motivo. Siamo i guardiani della conoscenza
eterna, perché solo noi possiamo assistere al manifestarsi dell’anima, senza
impazzire».
Draco era rimasto in silenzio, durante quella
spiegazioni, ma la sua presa si era leggermente allentata sul braccio di
Hermione. Osservava quell’uomo con una strana curiosità, una sorta di naturale
fiducia che anche lei aveva immediatamente percepito. Voleva credergli. Forse
non riusciva ad evitare di credergli, per quanto quella realtà fosse
assurda.
«Come?» domandò alla fine, la voce ridotta ad un
sussurro. «Com’è possibile che io non riesca a non evitare? Come puoi essere
davvero tu?».
Patroclo sorrise leggermente, indicando l’arazzo.
«In questo luogo non è possibile mentire. A noiDaimones
non è possibile mentire, poiché siamo proiezioni dell’anima di ciascuno6».
Si avvicinò all’enorme tela, sfiorandola con la punta delle dita. «Non posso
spiegarvi come sono diventato ciò che sono adesso, ormai non ricordo neppure
tutti i dettagli della mia vita prima di diventare così. Ma so
che il mio compito è accogliervi e guidarvi come ho fatto dal giorno della mia
morte in poi» continuò, tornando a fronteggiarli.
Hermione annuì, accettando ciò che le veniva rivelato
come semplice verità. Non c’era motivo di mettere in dubbio le sue parole, non
c’era menzogna nei suoi occhi e lei, con l’esperienza maturata durante gli anni
di fedele servizio al Ministero, non ebbe motivo di dubitare.
«L’Arazzo sembra sia stato intessuto di conoscenza
pura, plasmato dalla magia del Mondo Antico ormai andata perduta. La stessa
Magia che ha creato lo Specchio, Mezzosangue» si intromise Draco, cercando di
non fissare la tela in questione. «Nessuno lo comprende, perché nessuno vuole
comprenderlo. Se l’uomo potesse trovare risposta ad ogni sua domanda,
impazzirebbe. Le nostre leggende dicono che i Dàimones usano questa conoscenza
per torturare le loro vittime, facendogli perdere il senso della ragione».
Patroclo annuì. «Diciamo che è vero, più o meno»
disse, tranquillo. «Quando ancora venivamo regolarmente interpellati, eravamo
soliti consentire a chi avesse superato le prove di trovare sull’Arazzo la
risposta ad una sola delle sue domande. Spesso queste domande erano troppo
profonde per la semplice comprensione umana, cosa che portava alla follia. Ma
non siamo mai stati noi a farli impazzire. Non è il nostro compito».
«Quanti siete?» chiese allora Hermione, guardando
i troni. «Sette?» aggiunse, dopo aver fatto un breve conto dei seggi presenti.
Sette era un numero magico molto forte, pensò,
quasi a voler confermare la propria teoria.
«Noi siamo tantissimi, sparsi un po’ ovunque» negò
invece lui, scuotendo il capo. «Non tutti, però, hanno accesso all’Arazzo. Non
tutti sono abbastanza… importanti» spiegò, tranquillo. «Sette sono i Dàimones
Superiori, quelli incaricati di mettere alla prova chi si presenta da noi con
una domanda. Sette diverse prove, ognuna delle quali affronta un aspetto
diverso dell’animo umano. A volte si tratta di un’emozione, altre un sentimento,
qualcosa che si tende sempre a mettere da parte, quando si fanno i conti con se
stessi».
«Tu sei uno dei sette?» chiese allora Draco,
accigliato. «Sei qui, sei a conoscenza dell’Arazzo ed hai detto di aver vissuto
qui per secoli, eppure non ti stai includendo fra i sette maggiori».
L’uomo rise, questa volta sinceramente divertito.
«Io non sono uno dei Sette, ma sono un Dàimon Superiore, sì. Io rappresento la
devozione, la volontà di mettersi al servizio degli altri. Non mi occupo di
testare chi si presenta, perché già avere una richiesta implica l’aver
accettato di portare a termine una missione dal risultato potenzialmente
nefasto».
«Come hai fatto tu, prendendo il posto di Achille»
convenne Hermione, con un leggero sorriso. «Hai indossato la sua armatura e sei
sceso sul campo di battaglia, anche se sapevi che saresti morto» continuò, con
tono ammirato ed evidente stima nello sguardo. «Ti sei sacrificato per aiutare
gli Achei a vincere la guerra».
Patroclo scosse il capo, un sorriso triste ad incurvargli
le labbra. «Non l’ho fatto per il mio popolo. Non solo, quantomeno» spiegò,
avvicinandosi a loro con passi lenti e cauti, quasi temesse che potessero ancora
spaventarsi. «Io l’ho fatto per devozione verso di lui. L’ho fatto
perché lo amavo e sapevo che senza il mio sacrificio non sarebbe riuscito a
realizzare il suo destino». Il suo sguardo smeraldino si rischiarò
all’improvviso, quasi fosse diventato un’altra persona, all’improvviso. Quegli
sbalzi d’umore erano alquanto preoccupanti. «Ma non è per parlare di me che
siete venuti qui. Voi avete una domanda».
Inquietata, Hermione si voltò ad osservare Draco,
in quel momento intento a fissare con sconcerto il Dàimon.
«Noi abbiamo una domanda?» chiese quindi a sua
volta, confuso. Il suo viso, poi, si illuminò. «Noi abbiamo una
domanda!» ripeté, voltandosi verso Hermione ed afferrandola per le spalle. «Non
capisci, Granger? Potremmo chiedere dov’è lo
Specchio! Trovando subito la fonte, potremmo distruggere ogni possibilità che
Tu-Sai-Chi ritorni! Non dovremmo più andare a ritroso all’infinito…» spiegò,
tornando ad osservare Patroclo. «Ho ragione, vero? Se noi superiamo le vostre
prove, l’Arazzo potrà rispondere al nostro quesito».
L’uomo annuì, tornando serio. «Dovete però
comprendere quanto gravi potrebbero essere le conseguenze» li ammonì,
facendosi avanti di qualche passo e fermandosi giusto a mezzo metro da loro
due, abbastanza vicino da permettere che Hermione potesse notare altri dettagli
di quel corpo immortale. Oltre alla cicatrice sul fianco, infatti, ce n’erano
molte altre. Ferite seguite a dieci anni di guerra. «Il tempo scorre in
modo diverso nel Tempio, se volete davvero che la risposta dell’Arazzo serva a
qualcosa non avrete che tre giorni per completare le vostre sette sfide e
tornare qui, insieme agli altri miei fratelli e sorelle». Allungò la mano verso
Hermione, che la prese immediatamente. Era tiepida, troppo morbida per essere
reale. «Solo tre giorni, altrimenti il solstizio d’inverno passerà e non
potrete più salvare la vostra gente».
Tre giorni non erano molti.
«Se non volessimo porre la domanda? Sappiamo che
lo Specchio era qui, non potremmo limitarci a cercare la Traccia?» gli chiese,
guardandosi intorno. «Alessandro Magno l’ha trovato in questo luogo, dopo aver
affrontato le sue paure».
Patroclo annuì, ma non sembrò particolarmente
incoraggiante. «Potreste avventurarvi nei tunnel sotterranei, ma dubito che
tornereste vivi. Grandi orrori si sono riversati in quei luoghi, quando
la Magia Antica ha smesso di correre liberamente per il mondo7.
Quando Alessandro Magno pose definitivamente fine alla storia di Atene, superò
le nostre prove e chiese all’Arazzo come rendere la sua gloria immortale.
Ottenne lo Specchio, ma ottenne anche che la memoria di questo luogo andasse
perduta nei secoli, così che nessun altro potesse estirpare ciò che era stato
suo» spiegò, stringendo le labbra in una linea sottile. «Quantomeno, non
utilizzando l’Arazzo».
«Quindi voi siete stati dimenticati perché lui
ha chiesto così?» domandò Draco, accigliato. «Non credo di aver compreso il
nesso logico».
«Alessandro ha fatto in modo che noi fossimo
dimenticati, perché altrimenti altri guerrieri avrebbero interrogato l’Arazzo
per capire come distruggere il suo regno. Non posso dirvi come
sia riuscito nel suo intento, così come non posso dirvi come avremmo
potuto ostacolarlo nella gloria» fu la pronta risposta dell’uomo, che poi
sospirò. Il suo umore era nuovamente cambiato, somigliava ad un vecchio troppo
stanco per continuare a vivere. «Sta a voi, adesso. Potete accettare il rischio
di perdere voi stessi nel superare le prove, trovando tuttavia la risposta alla
vostra domanda. Oppure…» con un gesto elegante, indicò un’apertura nella parete
che fino a quel momento Hermione non aveva notato, «potreste decidere di
avventurarvi nei tunnel sotterranei e cercare la vecchia sede dello Specchio,
con la certezza, tuttavia, che almeno uno di voi non potrà uscirne vivo8».
Draco, una mano ancora poggiata sulla spalla di
Hermione, non sembrò dover riflettere molto sulle loro possibilità.
«Dove si affrontano le prove?».
***
Andate lungo il tunnel, saranno le prove a venire
da voi.
Draco ancora non era riuscito a capacitarsi di
aver incontrato e parlato proprio quel Patroclo. Quello dell’Iliade.
Quel Patroclo che aveva combattuto al fianco del grande Achille nella Guerra di
Troia ed era morto indossando la sua armatura. Aveva provato a non credergli, davvero.
Aveva fatto il possibile per catalogare le sue parole come viscide bugie e
cercare una via di fuga a quella situazione a dir poco assurda.
Non ci era riuscito ed in quel momento si stava
avventurando lungo un corridoio buio con la sola bacchetta ad illuminargli la
strada.
Meraviglioso.
«Quantomeno abbiamo scoperto che le teorie sono
vere» commentò Hermione, dandogli un colpetto col gomito. Aveva un sorrisino
divertito ad incurvarle le belle labbra, l’espressione preoccupata leggermente
illuminata da un vago compiacimento. «Mi riferisco a lui ed Achille, sai».
Draco si accigliò, osservandola ed inclinando
leggermente il capo. «Cosa intendi dire? Lo sanno tutti che Patroclo è morto
per aver preso il posto del suo sovrano».
Lei scosse il capo, tenendo la bacchetta alta.
C’erano dei disegni dall’aria neolitica su
quelle maledettissime pareti. Se non avessero avuto i giorni contati e non ci
fosse stato il rischio di una catastrofe imminente, si sarebbe volentieri
fermato per analizzarli tutti. Avrebbe potuto fotografarli, portare le
foto al Ministero e veder aumentare a dismisura il suo patrimonio.
Invece doveva affrontare delle prove e sperare di
non impazzire.
«Molti studiosi ritenevano che Achille e Patroclo
fossero innamorati, ma non c’erano prove» gli disse, guardandosi intorno con
aria affascinata. «L’Iliade non è stata molto chiara, al riguardo… non è da biasimare,
naturalmente! Nell’Antica Grecia i rapporti omosessuali erano assolutamente
normali e non c’era bisogno di specificare, nulla di inconcepibile, come invece
lo è oggi per molti».
«Non è assurdo, neppure oggi» si lagnò Draco,
sentendosi stranamente punto sul vivo. «Ma comprendo ciò che dici. Se io fossi
stato omosessuale, dubito che mio padre si sarebbe preoccupato più di tanto
della mia salute o della mia sicurezza».
Hermione strinse le labbra, ma non negò. «Ti avrebbe
voluto bene comunque, Draco. Sarebbe solo stato un rapporto più complicato di
quanto non lo sia già» mormorò, con un sospiro. «Pensa in positivo, i tuoi
genitori non si sono ancora presentati a casa tua per chiederti come è
andata a finire con quel biondino tanto affascinante» aggiunse, arrossendo
fino alla punta dei capelli quando lui si voltò a fissarla, la bocca
spalancata. «Ti prego, non guardarmi in questo modo».
«In quale modo, Granger?»
le chiese allora lui, particolarmente allegro. La notizia che i genitori di lei
lo considerassero affascinante lo
aveva improvvisamente risollevato. Non si era ancora posto il problema delle
famiglie, dando per scontato che tutti si sarebbero semplicemente adeguati alle
loro decisioni. Quando però lei aveva aperto quella discussione, un piccolo
dubbio gli aveva offuscato il cuore. I babbani avrebbero potuto non volere che
loro figlia avesse una vita con un ex Mangiamorte, ritenendo che lei potesse
mirare più in alto. Avrebbero potuto pensare qualsiasi cosa di lui. Qualsiasi
cattiveria.
Però l’avevano
definito affascinante.
«In quel
modo, come se ti avessero appena consegnato il Nobel per la pace!» sbottò lei,
alzando gli occhi al cielo… o al soffitto del tunnel. «Guardati! Hai già tirato
fuori quel sorrisino da marpione» si lagnò ancora, non riuscendo tuttavia a
nascondere un sorrisino compiaciuto. «E comunque, mio padre sarà un osso duro
da conquistare, puoi starne certo».
Divertito, Draco le passò il braccio libero
intorno alle spalle. «Quale padre non lo sarebbe, Mezzosangue? Quando avremo
una figlia nostra, probabilmente la rinchiuderò in casa e la farò studiare da
privatista finché non compirà trentacinque anni e sarà pronta a sposare l’uomo
che io sceglierò per lei.
Probabilmente il figlio di Blaise» le disse,
tranquillissimo, sentendosi leggermente un idiota a sputtanare in quel modo i
programmi che aveva iniziato a fare nell’istante stesso in cui si era
risvegliato dall’illusione del Djinn. «E non ho la
più pallida idea del motivo per cui te l’ho detto tanto chiaramente».
Hermione, sghignazzando come una paperella, gli diede un colpetto allo stomaco con il
gomito. «Hai scordato cosa ci ha detto Patroclo? Qui si dice solo la verità» gli ricordò, compiaciuta. «E, per quanto
io mi senta in imbarazzo nel parlare già di bambini, puoi star certo che i miei
figli frequenteranno Hogwarts e avranno tutte le libertà che la loro età gli
consentirà» aggiunse, arrossendo a chiazze per tutto il viso. «E di certo non
verranno forzati fra le braccia di nessuno».
Il tono nervoso che usò nel pronunciare quelle
ultime parole fece preoccupare Draco.
«Tu sei stata forzata fra le braccia di Weasley,
Hermione?».
Alla stessa velocità con cui era arrossita, la
strega impallidì. «Più o meno» rispose, agitata. «Ti prego, non chiedermi nulla
al riguardo. Voglio parlartene solo quando sarò pronta, non spinta da un
incantesimo che mi impedisce di mentire. Non mentre siamo in missione»
aggiunse, in un sussurro.
Il modo in cui rabbrividì fece chiudere lo stomaco
a Draco.
Qualcosa
non quadrava.
«Quindi… Patroclo e Achille innamorati, uhm?
Abbiamo trovato risposta ad un quesito che gli storici ritenevano irrisolvibile»
disse invece, tornando a concentrarsi sul pavimento di marmo bianchissimo. «Anche
se, devi ammetterlo, l’Iliade è abbastanza chiara al riguardo. Quantomeno lo è
per chi la legge con mente aperta» aggiunse, annuendo fra sé e sé. «L’hai mai
letta per intero, Mezzosangue?».
Evidentemente sollevata da quel cambio d’argomento,
Hermione annuì, con un sorriso. «Certamente, era una delle letture consigliate
al secondo anno, per Storia della Magia» gli rispose lei, tranquilla. «Immagino
tu ti stia riferendo alla reazione di Achille dopo la morte di Patroclo. Le sue
urla e la paura degli altri che potesse tagliarsi la gola per il dolore…»
sospirò, intenerita. «Quello, per me, è stato il più grande indizio, non mi
importavano neppure le spiegazioni aggiunte alle note, secondo cui era per via
del loro legame di amicizia».
Vagamente ammirato, Draco annuì. «Anche quella
parte, sì. Ma è già il proemio ad aprire gli occhi, non credi? L’ira di Achille
che ha portato infiniti lutti al suo popolo… un orgoglio così grande da renderlo cieco davanti alla morte di centinaia e
centinaia di uomini del suo esercito, che però si estingue alla morte di uno solo di loro, che non era neppure un
vero Mirmidone» spiegò, con un leggero sorriso. «Dimmi, quale versione hai
letto? Fra i testi consigliati ce n’erano un paio che approfondivano la
questione dell’amore omossessuale fra Patroclo e Achille».
Lei strinse le labbra, pensierosa. C’erano ottime
probabilità che avesse letto così tanti
libri da non riuscire a ricollegare con assoluta certezza il titolo all’autore.
Alla fine, annuì e gli sorrise. «Ho letto quella con il commento di IgnatiusAmantis».
Draco scosse il capo, sorridendole. «Hai scelto il
commento più complicato e bigotto, Granger! Amantis, l’esperto di testi antichi, quello che ha
analizzato i grandi poemi alla ricerca dei segnali di Maghi e Streghe sotto
mentite spoglie… è un po’ che non lo vedo, devo proprio mandargli un gufo per
invitarlo a cena» mormorò, scoppiando a ridere quando lei gli dedicò uno
sguardo sconvolto. «Mon ange, imparerai presto che stare con me
significa avere rapporti con i più grandi esperti di Storia dell’Arte Magica e
di Storia della Magia in generale. Sono sicuro che ti divertirai un mondo, alla
prossima festa di Theresa Lovecraft-Pittsburg, l’autrice di-».
«Di “Incanti
e Pozioni nell’Antico Egitto”» intervenne una terza voce, profonda e
vagamente divertita, da un angolo scuro alla loro sinistra. Lo spavento che
entrambi si presero li fece trasalire, le loro bacchette si puntarono
direttamente nella direzione da cui il suono sembrava giungere. «Posate quelle
bacchette, non offendete la vostra intelligenza».
Sdraiato su quello che sembrava essere un lettino
reclinabile da psicologo, un uomo dai corti capelli brizzolati e dalla folta
barba scura li osservava con divertita superiorità. Le braccia sottili – ma più
muscolose di quelle di Patroclo – erano piegate dietro la testa, le gambe
pigramente incrociate. Sembrava annoiato e pronto a tutto pur di trovare
qualcosa da fare.
Draco, stizzito, fu sul punto di sibilare qualche
insulto estremamente colorito in direzione del loro disturbatore, ma la
reazione imprevista della Mezzosangue gli impedì di aprire bocca. Eccitata come
una scolaretta, Hermione aveva iniziato a riempigli il petto di colpi,
saltellando sul posto quasi avesse appena incontrato il cantante delle Sorelle
Stravagarie9.
«Hermione?».
L’uomo, il cui divertimento sembrava aumentato in
modo proporzionale alla gioia della strega, si tirò a sedere sul lettino e si
alzò in piedi, stiracchiandosi. Indossava una felpa dell’università di Harvard,
pantaloni al ginocchio color cachi e infradito dalla fantasia floreale10.
A Draco ricordò molti studenti universitari che aveva incontrato negli Stati
Uniti, durante la sua ultima visita. Non aveva la più pallida idea di chi
potesse essere quel tizio.
«Per tutte
le vecchie mutande sporche di Merlino! Non ci posso credere!».
Evidentemente
Hermione non condivideva i suoi dubbi.
«Puoi essere un po’ più chiara? Sto iniziando a
innervosirmi» le fece notare allora, con un sibilo, bloccandole il polso così
che evitasse di tempestarlo di colpi anche parecchio dolorosi. «Mezzosangue!».
«Non arrabbiarti con lei, a quanto pare faccio
questo effetto alle signorine dotate di un buon cervello» si pavoneggiò l’uomo,
lanciando un sorriso da conquistatore alla sua
futura moglie. «Devo dire, mia cara, che tu mi hai addirittura sorpreso! Hai impiegato un istante per
riconoscermi… un cervello davvero da invidiare».
Il modo in cui Hermione arrossì fece salire un
fiotto di bile a Draco. Doveva proprio conoscere quel tizio, così da poter
incidere personalmente il suo nome sulla lapide che gli sarebbe servita a breve.
«Dice davvero?» pigolò la strega, trattenendosi a
stento dal mettersi nuovamente a saltellare sul posto. «Oh, signore, è un così
tale onore… quando abbiamo incontrato
Patroclo non ho potuto fare a meno di sperare che anche lei… oh, lei non può
immaginare quante volte ho sperato di poterle parlare!» aggiunse, squittendo
come un topolino agitato, incurante del colorito verdognolo assunto dal mago al
suo fianco.
Colorito che lo sconosciuto, invece, notò
immediatamente.
«Non preoccuparti, ragazzo, non ho alcuna mira
verso la tua accompagnatrice» lo tranquillizzò, pur tirando fuori un sorriso
che sembrava intendere tutto l’opposto. «Sono un uomo molto fedele, oltre che
orribilmente geloso di mia moglie» continuò, osservandosi distrattamente le
unghie della mano sinistra, su cui svettava una fede nuziale. «Quando si dice fare
una strage per la gelosia, nel mio
caso non si intende una semplice iperbole».
Quelle parole fecero scattare un campanello d’allarme
nella mente di Draco.
Strage
per gelosia, la Mezzosangue in brodo di giuggiole…
«Draco» disse proprio lei, schiarendosi la voce
per darsi un contegno, «ho il piacere di presentarti Ulisse, Re di Itaca e una
delle menti più geniali mai passate per questa terra».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho
una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Con questo capitolo ha
inizio la fase finale della fanfiction! Come ha detto
Patroclo (ommioddio, proprio lui!), avranno solo tre giorni
in quel luogo, prima che all’esterno
arrivi il solstizio d’inverno.
Wow.
Punti importanti:
» 1 – L’estratto dell’Iliade
riguarda la morte di Patroclo, appunto, quando – complice Apollo – è stato
ucciso da Ettore. A questo punto vi devo delle spiegazioni. Io amo la mitologia greca. Amotutto
dell’Antica Grecia. Non potevo non mettere in mezzo i personaggi dell’Iliade e
delle altre leggende, perché io li adoro. Ma più di tutti io amo Achille e
Patroclo. Dovevo tirarli in ballo. È stato
più forte di me. Spero soltanto che non riterrete questo insieme di informazioni
troppo assurdo, anche parlando di una
fanfiction.
» 2 – Patroclo è un
principe, figlio di Re Menezio (secondo una
interpretazione. Oltretutto la sua terra d’origine è nella Locride,
ad uno sputo da casa mia!). Considerando queste sue origini, ho dato per
scontato che fosse un filino più
raffinato della media. Piccolo avviso: nella descrizione di Patroclo, in alcune
sue affermazioni e in future dichiarazioni mi sono rifatta apertamente al libro
“La canzone di Achille”, che io adoro.
»
3 – Hermione ha visto la ferita mortale inflitta da Ettore, principe di
Troia, quando ha scambiato Patroclo per Achille. Lui, dopo secoli, ha ancora il
segno di quella morte violenta.
» 4 – Diversamente da alcuni dei prossimi Dàimones, Patroclo
non ha la minima idea di cosa sia l’Iliade e di come sia diventato il mondo al
di fuori del Tempio.
» 5- Tasto dolente, non è
vero? Filosofia è sempre stata una materia incredibilmente affascinante,
nonostante io non sia mai riuscita a dare davvero il massimo, a scuola. Socrate, in particolare, è stato uno dei miei
preferiti. Il suo Dàimon è, in poche parole, la vocina della coscienza che ci
spinge ad interrogarci sempre.
(Spiegazione molto spicciola, me ne rendo conto, ma ho dovuto manipolare un po’
le cose per farle quadrare, abbiate pazienza).
» 6 – Veniamo ai miei Dàimones. Prima di tutto, spero di
aver coniugato il plurale in modo corretto. Come ho già detto, non ho la minima
idea di come funzioni la lingua greca. Per quanto riguarda queste creature,
poi, dovrei fare un discorso pieno di trip mentali assurdi, ma sarò breve. In
pratica, quando questi disgraziati sono morti (o comunque quando si è diffusa
la leggenda della loro vita, nel mondo antico, alcuni non sono esistiti davvero)
la coscienza
collettiva (chiamiamola cultura di massa, magia di gruppo, come volete!
In pratica l’insieme della magia di tutti,
quel potere che unisce tutte le persone) ha plasmato il loro ricordo/spirito in
forma umanoide, realizzando delle immagini che rappresentano un aspetto
specifico dell’animo che li ha resi famosi. Per Patroclo, per esempio, a
dichiarare la fama è stata la devozione
verso Achille e verso il suo popolo. Per Ulisse, ovviamente, la
logica/intelligenza. Gli altri (non vi dico chi sono gli altri sei :D) sarà un altro carattere
particolare.
I Dàimones sono stati
creati per guidare l’uomo e per impedire che l’Arazzo (oggetto magico antichissimo, della stessa natura dello
Specchio) possa cadere in mani sbagliate e seminare follia per l’umanità.
Diciamo che i Dàimones
sono l’antifurto che la Magia ha creato per questo Arazzo (un grosso libro
delle risposte). Solo chi è in pace con la sua coscienza ed ha capito i suoi limiti può avvicinarsi.
Se ci sono dubbi, chiedete. Non sono brava con le
spiegazioni generali, ma con domande dettagliate posso essere molto più chiara.
» 7 – La Magia Antica,
altro trip mentale. Diciamo che ho ripreso varie teorie che appartengono a diverse
religioni mistiche. In pratica, all’inizio
dei tempi la magia scorrazzava libera per il mondo, senza restrizioni di alcun
genere. Era la Magia ad avere una coscienza, cosa che ha portato alla nascita
misteriosa di oggetti come lo Specchio delle Anime e l’Arazzo della Conoscenza.
Quando, però, l’uomo ha iniziato a sviluppare la propria coscienza, quando ha iniziato a controllare la magia con
regole e bacchette, questa si è lasciata morire, è collassata su se stessa e
quell’immenso potere si è esaurito. Tutto ciò che resta oggi sono questi
oggetti incredibili (ce ne sono altri, oltre allo Specchio ed all’Arazzo, ma
non ci servono qui) e qualche manifestazione assurda qui e lì.
»8
–Come fa Patroclo a sapere che uno di loro due morirà, se decideranno di cercare
nel tunnel sotterraneo? Vi siete dimenticati del grosso Arazzo pieno di
risposte che ha a sua disposizione? Lui può fare tutte le domande che vuole.
Probabilmente sa già se loro porteranno a termine la missione, se
sopravvivranno, se riusciranno a sposarsi e a fare trenta bambini (come
vorrebbe Draco).
» 9 – Il cantante, maschile, perché nel quarto
film le Sorelle sono tutti uomini. Mi affascina l’idea del nome al femminile
per un gruppo di maschietti, un po’ come i Queen che non hanno alcuna Queen (ma
avevano un King!).
» 10 – Come vedrete,
tutti e sette i Dàimones Superiori rispecchieranno la visione contemporanea che
si ha della loro categoria. Ulisse è
un cervellone, un genio, quindi si veste come un universitario rilassato della
migliore università al mondo. È un po’ una versione alla Percy
Jackson che ho di questi soggetti, abbiate pietà, sono un tipo strano.
» Sono consapevole di
aver dato fondo alla follia, intraprendendo questa strada. Sono consapevole di
aver tirato fuori questioni assurde che meriterebbero capitoli e capitoli per
essere discusse da sole. Spero
comunque che non mi giudicherete una psicopatica! Io dovevo davvero mettere in mezzo anche loro (con
dovute correzioni per farli integrare meglio).
» Quale sarà la
prima prova? Chi saranno gli altri personaggi mitici che i nostri eroi dovranno
incontrare? Marne si merita un colpo in testa e un calcio nel sedere?
Ho esagerato, lo so. Ma
Patroclo con personalità multiple e Ulisse universitario con le infradito mi
avrebbero torturato la notte, se non li avessi inseriti.
E non avete idea di come (e chi) saranno gli altri sei.
Per
altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
«Quindi tu saresti il genio che ha condannato a
morte migliaia di innocenti troiani» disse Draco, con uno sguardo che non
sembrava poi così tanto ammirato. «Quello che è tornato a casa da sua moglie
solo per poter ripartire subito dopo e morire durante l’ennesimo viaggio»
continuò, con un verso sprezzante. Si voltò a guardare Hermione, le
sopracciglia corrugate. «Davvero mi stai facendo intendere che ti importa
qualcosa di questo tizio? Mezzosangue, da te mi aspettavo di più».
Come se qualcuno le avesse appena dato una
pugnalata allo stomaco, Hermione spalancò le labbra e fissò il suo
accompagnatore con sdegno. Lui era l’ultimo che poteva farle ramanzine sulla
moralità dei suoi idoli.
«Prima di tutto, la Guerra di Troia in qualche
modo doveva pur finire! Quelle persone sarebbero morte comunque, in un modo o
nell’altro» gli disse, stizzita, mentre una parte della sua coscienza le faceva
notare come, in effetti, non fosse stato un comportamento proprio corretto, quello del suo idolo. «E
comunque, Ulisse è il simbolo di tutti gli amanti della scoperta. La sua sete
di conoscenza è da invidiare!».
Draco scosse il capo, incredulo. «Non posso
crederci… ma ti stai ascoltando, Granger? Invidiabile? Non hai capito che è
proprio questa volontà di conoscere tutto che lo ha portato alla morte? È lo
stesso motivo per cui l’Arazzo va tenuto nascosto all’umanità. Non puoi credere
davvero in ciò che dici».
Per quanto fosse doloroso ammetterlo, Hermione ci
credeva e si vergognava profondamente. Malfoy aveva ragione – stava succedendo
un po’ troppo spesso – e lei si era sempre nascosta dietro un’illusione.
Ulisse
non era una brava persona.
«Ah, ho sempre adorato gli ammiratori indecisi»
disse proprio lui, allegro, mettendosi le mani in tasca e dondolando
leggermente sui talloni. «Non puoi negare che la mia storia ti abbia
affascinato, ragazzo, ma mi sembra di capire che tu non abbia apprezzato molto
le mie scelte» aggiunse, stringendosi nelle spalle. «Fra tutte le mie malefatte
hai indicato solo lo sterminio di Troia e il secondo abbandono di Itaca. Devo
dedurre che hai sofferto a causa di una guerra insensata e che hai parecchi
problemi di famiglia». Non era stata una domanda, la sua, eppure sembrava
comunque in attesa di una conferma.
Con orrore, Hermione capì cosa volesse davvero, perché anche lei aveva
mantenuto lo stesso atteggiamento, più di una volta.
Voleva
sentirsi dire di aver indovinato, di aver avuto ragione.
Che
bastardo.
«Siamo stati entrambi vittime di una guerra
assurda, anche se eravamo in fazioni contrapposte» Draco rispose
immediatamente, ma il suo sguardo lasciava bene intendere che la risposta fosse
dettata più dall’incantesimo della verità che gravava su quel luogo, piuttosto
che da una reale volontà di rispondere. «E per quanto riguarda la famiglia… tua
moglie ti ha atteso per vent’anni, tuo figlio ha sempre avuto fede nel tuo
ritorno… addirittura il tuo cane è morto dalla gioia!2 Non ti
bastava tutto quello che avevi? Perché hai dovuto mandare tutto a puttane?».
E Malfoy
aveva segnato un altro punto a favore, offuscando sempre di più l’idilliaca
immagine che Hermione si era creata di quell’uomo.
Ulisse si strinse nelle spalle, tornando a sedersi
sul suo lettino da psicologo. «Immagino di aver passato troppo tempo lontano da
casa. Quando desideri qualcosa con tutto te stesso, alla fine te ne crei una
visione così deviata dalla realtà da non poterti rassegnare a ciò che hai
davvero. Non ero più fatto per la vita in quella piccola isola, non dopo aver
subito dieci anni di peripezie». I suoi curiosi occhi scuri si soffermarono sui
suoi interlocutori, per qualche istante, per poi chiudersi. «Siete qui per la
prova, immagino».
Seppur ancora estremamente delusa da se stessa,
Hermione si ritrovò ad annuire. Il suo entusiasmo era stato violentemente
smorzato da una realtà che si era sempre rifiutata di accettare: anche gli eroi
avevano un lato oscuro. Eppure era stata proprio lei, considerando ciò che le
era successo, a costringere altri ad accettare quella realtà. Era stata lei ad
accettare per prima che Ronald non fosse più il vecchio Ron e che Harry avesse
perso quella luce interiore che per tante battaglie lo aveva accompagnato.
Forse quegli
eroi – gli eroi della mitologia, gli eroi dei libri – erano rimasti l’unico
baluardo di salvezza in uno scenario di generale decadenza dei valori. Erano
stati gli unici miraggi di perfezione che in quel momento le erano stati
negati.
«Cosa dobbiamo fare?» aveva chiesto Malfoy, cupo,
la bacchetta ancora stretta in mano, quasi avesse temuto di esser attaccato da
un momento all’altro. «Le sarei grato se si sbrigasse, Vostra Maestà, perché
noi abbiamo solo due giorni e dieci3 ore di tempo per concludere
sette prove e tornare indietro, altrimenti il nostro mondo morirà e non avremo
neppure il tempo di costruire un cavallino di legno come il suo» aggiunse, con
stizza, usando un tono così tanto petulante da sembrare sul punto di sbattere
il piede per terra e piagnucolare.
Ulisse, divertito, aveva fatto loro segno di
avvicinarsi alle due poltrone vicine al suo lettino, l’aria annoiata tornata
ancora una volta sul suo viso. Sembrava che loro due avessero improvvisamente
perso di attrattiva.
«Certo, un po’ di finta allegria non guasterebbe»
si sentì dire lei, sorprendendosi di se stessa. «Sono anni che non viene
nessuno, per quanto ti faccia schifo la nostra compagnia non potrai certo
negare che sia molto meglio della solitudine» aggiunse con una smorfia,
dimenticando tutta la sua buona educazione ma tuttavia seguendo le indicazioni
ed accomodandosi.
«Non prendertela, Mezzosangue» la tranquillizzò
Malfoy, con una risatina. «Probabilmente non ha apprezzato la velocità con cui
ti ho riportata con i piedi per terra. Le grandi menti vogliono sempre essere
esaltate».
Ulisse non negò, tranquillo. «Tutti vogliono
essere esaltati, in realtà. Per quanto si possa esser timidi, in fondo al cuore
si sarà sempre felici di aver ricevuto un complimento, o semplicemente di aver
qualcuno fiero di noi» spiegò, indicando ancora le poltrone. «Muovetevi, prima
iniziamo e prima potrò tornare ai miei libri».
«Quali libri?» domandò Hermione, curiosa, guardandosi
intorno mentre si accomodava. Il marmo bianco li circondava totalmente, non
c’era traccia di una libreria o anche solo di un libro. C’erano solo i tre
pezzi di mobilio su cui erano seduti, nulla di più e nulla di meno. La voce
della strega, comunque, aveva tradito una certa aspettativa: una mente come
quella di Ulisse richiedeva tanti
libri. Davvero tanti.
Hermione non vedeva l’ora.
«Non eccitarti troppo, ragazza» fu la risposta
divertita dell’eroe. «I miei libri sono ben lontani dalla strada che voi
dovrete intraprendere. Se non avessi avuto solo tre giorni, forse avrei potuto
mostrarteli, anche perché è raro trovare qualcuno così interessato».
Nascondere la delusione fu molto complicato,
soprattutto non essendole possibile mentire.
«Allora, questo test?» correndo in suo soccorso,
Draco si accomodò al suo fianco e posò la mano sulla sua, rassicurante.
Probabilmente aveva notato i suoi occhi lucidi.
Era
assurdo quanto le bugie potessero aiutare a regolare l’umore.
«Cominciamo subito» disse Ulisse, osservandoli
entrambi con la coda dell’occhio. «Vi avverto, sarà un test molto complicato,
in pochi potrebbero superarlo. Alcuni sono impazziti nel tentativo».
«Siamo pronti a tutto» fu la risposta di lei,
immediata. Il terrore di non essere sufficientemente bravi, di non avere le
capacità per portare a termine quella prova, le fece quasi fermare il cuore nel
petto.
«Siamo pronti» confermò Draco, annuendo
leggermente. Cercò per un istante lo sguardo di Hermione, quasi a volerla
rassicurare. Ce l’avrebbero fatta.
«Ditemi…»
***
«Cos’è che la mattina cammina su quattro zampe, il
pomeriggio su due e la sera su tre?».
La serietà con cui pose quella domanda impedì ad
Hermione di scoppiare a ridergli in faccia come in realtà avrebbe voluto fare.
«Sta scherzando, vero?» domandò Draco, accigliato.
«Questo è un indovinello talmente trito e ritrito che probabilmente anche un
idiota saprebbe trovare la risposta corretta!» aggiunse, scuotendo leggermente
il capo. «Se crede che noi abbiamo il tempo di scherzare, si sbaglia di grosso.
Il mondo potrebbe finire da un momento all’altro, non possiamo certo fare dello
spirito inutile!».
Ulisse, per nulla impressionato, si strinse nelle
spalle. «Senti, amico, sono rimasto per oltre vent’anni su una nave e, una volta
morto, mi hanno rinchiuso in questo luogo dimenticato dagli dei per fare
domande ad idioti con manie di grandezza. Io
non ho tempo da perdere con voi, non l’opposto, quindi se sapete la risposta
ditemela e levatevi dai piedi» sbottò, irritato, incrociando le braccia al
petto. «Allora?».
«L’uomo»
rispose allora Hermione, seppur parecchio delusa. «L’uomo cammina a quattro
zampe da bambino, a due da adulto e con un bastone, quindi a tre, da anziano»
spiegò, forse per far sembrare la risposta un po’ più intelligente.
Insomma, era davanti all’uomo più geniale mai
passato per la terra.
Doveva mostrarsi
intelligente a sua volta.
«Avete ragione, andate pure» fu tutto ciò che
ottennero come risposta, mentre svogliatamente indicava il tunnel da cui si erano
allontanati. «Se continuerete ad andare in quella direzione, probabilmente
arriverete alla prossima prova in pochissimo tempo» li informò, tirandosi a
sedere sul suo lettino.
Draco si voltò verso di lei, confuso. La domanda
nei suoi occhi era implicita.
Dobbiamo
fidarci?
La risposta di lei, racchiusa in una smorfia, fu
altrettanto chiara.
Non
abbiamo altra scelta.
«Beh, non è stato assolutamente un piacere, signor
Ulisse» disse quindi Malfoy, chinando leggermente il capo nella brutta copia di
un inchino. «Se mai riuscirà ad andare oltre, porti i miei saluti alle
centinaia di bambini morti per causa sua, durante la guerra. Sono abbastanza
sicuro che li troverà tutti lì ad accoglierla» aggiunse, forse con un po’
troppa cattiveria, prendendo la mano di Hermione. «Forza, Mezzosangue, non
abbiamo tempo da perdere».
Dal canto suo, Hermione non era assolutamente
convinta da tutta quella situazione. Doveva essere un trucco, per forza. Si rifiutava di credere che
uno dei suoi eroi d’infanzia fosse realmente così annoiato, menefreghista e…
Questo
non è normale.
Troppo preoccupata nell’osservare Ulisse, Hermione
non aveva osservato ciò che li
circondava. Aveva, naturalmente, guardato le poltrone e le mura intorno a loro,
ma non si era preoccupata più di tanto, dando per scontato che il suo vero
interesse dovesse concentrarsi sull’uomo con cui stavano intrattenendo quella
discussione. Era stato con la coda dell’occhio, prima di seguire Malfoy verso
il corridoio, che si era resa conto che ci fosse qualcosa di strano con una delle ombre.
Prima di tutto, era sbagliata. Non c’era una cosa che andasse bene, nella figura
umanoide che si stagliava sul muro. Prima di tutto, la sua posizione era
errata, considerando che l’unica fonte di luce fosse la candela che fluttuava accanto
al lettino, e le proporzioni erano assolutamente senza senso. Poi – ed era la
parte peggiore – l’ombra dell’eroe greco, nonostante lui si fosse sdraiato
nuovamente, era ancora in posizione eretta, tranquillamente accomodata sul
bordo del lettino come se non avesse mosso un muscolo.
Illusione.
Accigliata, Hermione guardò attentamente Ulisse,
cercando di paragonare la sua figura a quella di Patroclo. Sembrava reale,
umano nonostante tutto, eppure c’era qualcosa di sbagliato, in lui, qualcosa
che lo rendeva strano in modo diverso
dalla pacata e regale bellezza ultraterrena di Patroclo.
«Tu non hai mai sbattuto le palpebre!» sbottò,
sottraendosi alla presa di Draco con uno strattone e tornando indietro per
fronteggiare Ulisse, in quel momento intento a fissarsi le unghie della mano
sinistra. «Tu non hai sbattuto le palpebre, non hai mai deglutito… non credo di
averti visto respirare!» continuò,
totalmente presa dalla sua teoria. I pezzi avevano iniziato a congiungersi,
seppur lentamente.
«Hermione, non è un essere umano» le fece notare
Draco, vagamente imbarazzato. «Probabilmente non ha bisogno di fare tutte
quelle cose che a noi vengono naturali». Provò a tirarla nuovamente via, con
gentilezza. «Coraggio, mi rendo conto che tu sia delusa, ma non possiamo
permetterci di perdere tempo…».
«No!» testarda, lei puntò i piedi per terra,
trascinandolo verso l’eroe. «Non hai osservato Patroclo, prima? Era
perfettamente normale, respirava, sospirava, l’ho visto sbattere le palpebre! Lui non l’ha mai fatto» insistette, per
poi indicare le ombre. «Guarda! È diversa,
è sbagliata».
Una risata divertita si diffuse per il corridoio,
pur non provenendo da nessuno dei presenti. Ulisse, in particolare, sembrò
preoccupato nel sentire quel suono.
Quando Hermione vide arrivare qualcun altro dal
corridoio buio alle loro spalle, comprese perché.
Una versione in giacca e cravatta dell’eroe, senza
infradito, aveva appena fatto il suo ingresso, le mani in tasca e dei curiosi
occhiali sul naso. Aveva l’aria rilassata di qualcuno che si fosse goduto un
meraviglioso spettacolo, non sembrava annoiato o deluso, come la versione universitaria che li aveva accolti.
«Devo dire, mia cara, che per un attimo ho temuto
di aver esagerato» disse, facendosi avanti ed allungando la mano verso
Hermione. «Ma tu, proprio come avevo sperato, mi hai dimostrato di essere abbastanza
sveglia da poterti confrontare con la mia prova» continuò, esibendosi in un
elegantissimo baciamano, prima di voltarsi verso Malfoy. «Tu c’eri vicino,
probabilmente te ne saresti reso conto troppo tardi. Ma, dopotutto, questo era
un test pensato proprio per lei, non certo per te».
Lo sguardo di fuoco che Draco gli dedicò avrebbe
fatto ridere Hermione, se non fosse stata troppo affascinata da quel nuovo Ulisse. Le sembrava di esser stata
presentata al professore universitario sexy su cui tutti, almeno una volta
lungo tutta la carriera accademica, avevano fantasticato4. Il
professorino sexy di almeno una trentina di diversi romanzetti che sua madre
era solita leggere5.
Decisamente un passo avanti, dopo la felpa ed i
pantaloncini color cachi.
«In che senso test
per lei?» domandò Malfoy, accigliato, cercando di frapporsi all’eroe ed
Hermione, senza tuttavia riuscirci. Lei era fin troppo intrigata per prestargli
attenzione. «E se lei è Ulisse, quel tipo chi è?» aggiunse, indicando con un
cenno l’universitario, ancora seduto sul lettino, con sguardo preoccupato e
aria assente. «E per quale motivo sembra diventato improvvisamente scemo?».
Con un sorriso gentile, Ulisse fece un cenno ad
Hermione. «Vuoi rispondergli tu, mia cara?» le domandò, portandola ad un passo
dal mettersi a sospirare sognante.
Le
sembrava di essere di nuovo la dodicenne alla prima lezione di Allock.
«Quello è un fantoccio, Draco» spiegò allora,
allontanandosi dai due per avvicinarsi al terzo uomo. «Una grossa bambola
animata, per intenderci. La sua ombra non si muove con il resto del corpo,
perché non è un’ombra» continuò,
posando la mano sul muro e ritirandola sporca di polvere nera. «Non me ne sono
resa conto finché non mi sono concentrata. Questa non si è mai mossa, perché i
fantocci non proiettano alcun tipo di ombra, vengono completamente attraversati
dalla luce. È stato programmato per fingersi
Ulisse, per quanto sia impossibile una copia identica». Con un enorme
sorriso, si voltò a guardare il suo accompagnatore.
Draco stava lentamente diventando verde per la gelosia.
«Oh, Malfoy, solo perché lo trovo affascinante non
significa che bidonerò te per lui!» gli disse quindi, esasperata, ormai
completamente arresa all’impossibilità di trattenere i pensieri per se stessa.
«E comunque, non credo che potrei piacergli più di tanto. Nessuno regge il
confronto con Penelope».
«La tua fidanzata ha ragione, ragazzo mio» si
intromise Ulisse, ridacchiando. «Per quanto carina ed intelligente, non
potrebbe mai reggere il confronto con mia moglie. A tal proposito» i suoi
occhietti vispi si strinsero, quando sorrise, «ti farà piacere sapere che io sono tornato a casa, da lei, e sono
morto lì, pacificamente, circondato dalla mia famiglia. Sono ripartito con la
certezza che non sarei morto in mare e che avrei rivisto la mia famiglia6».
Draco restò in silenzio, nonostante un muscolo
delle sue labbra si fosse contratto in modo strano, quasi avesse voluto
sorridere. «Devo dire che è un sollievo, quella era la peggiore delle macchie
sulla sua reputazione, ai miei occhi» gli disse, apparentemente tranquillo. «In
che senso il test era per lei? Non
dovremmo risolvere i problemi insieme?».
Ulisse scosse il capo, per poi grattarsi la
guancia barbuta. «Più o meno» gli rispose. «Solo una persona può portare avanti la prova. Potete collaborare,
certamente, ma è per uno di voi che
la prova è stata pensata. D’ora in avanti sarà ancora più difficile, quindi
fareste bene a prepararvi. Sono dei test che devono farvi riflettere su voi
stessi, farvi affrontare gli angoli più nascosti della vostra anima… se vi
sembra troppo facile, allora è la strada sbagliata».
«Io ho dovuto accettare che tutti gli eroi hanno
un lato oscuro» si intromise Hermione, con un sorriso triste. «Ho dovuto
ripetere a me stessa che esser dalla parte del bene non significa essere giusti». Si riavvicinò a Draco,
prendendolo per mano. «Coraggio, adesso dobbiamo andare. Come hai detto tu, non
abbiamo molto tempo».
Lui la osservò per un lungo istante, quasi
indeciso su come comportarsi, poi, con un sospiro, si voltò verso Ulisse. «Dove
dobbiamo andare? Immagino che il corridoio non sia la via giusta».
Con un sorrisino, l’eroe indicò una scala a
chiocciola che nessuno aveva notato, proprio dietro le due poltrone.
«Continuando per il tunnel tornereste qui. Da questa parte, invece,
incontrerete una delle mie sorelle». Gentile, li oltrepassò entrambi,
avvicinandosi al suo confuso fantoccio. «Se non vi dispiace, io adesso devo
portare il mio piccolo amico a riposare. Lo avete messo a dura prova, con tutte
quelle domande» continuo, posando le mani sulle spalle del suo sosia, che
trasalì. «Buona fortuna!».
Un attimo dopo, svanì nel nulla.
***
«Gli hai fatto gli occhi dolci dal momento esatto
in cui è apparso, Mezzosangue» sbottò, quando lei gli chiese perché fosse tanto
cupo. «Devo forse preoccuparmi ogni volta che incroceremo un bell’uomo?».
«Per l’amor di Merlino, Malfoy, fino ad ora ti sei
sdilinguito sui nostri ipotetici futuri figli ed ora
ti fai prendere dal panico perché sono stata affascinata da un uomo leggendario?»
sbottò lei in risposta, portandosi una mano agli occhi per sottolineare il suo
sconforto. «Non posso mentire, qui, quindi piantala di farti problemi. Non ti
tradirei con nessuno, neppure con Adone in persona!» aggiunse, prima di
accigliarsi. «Beh, spero di non incontrarlo. Su che razza di problemi dovrebbe
far riflettere un tipo rinchiuso in una scatola ed utilizzato come giocattolino
sessuale da due dee?7».
Senza riuscire ad evitarlo, Draco ghignò. «Non so
se potrebbe farmi riflettere su qualcosa, ma credo che potrei domandargli una o
due cosucce. Per aver soddisfatto due divinità, deve conoscere parecchi
trucchetti» disse, schivando per un pelo il colpo che lei aveva provato ad
assestargli. «Coraggio, Hermione, vuoi dirmi che tu non apprezzeresti?».
Il rossore che le colorò le guance lo fece
ridacchiare.
Sempre
così innocente, la sua bella Mezzosangue.
«Non cambiare discorso, comunque! Questa tua
gelosia è irr-».
«Scusate?
C’è qualcuno?».
Dall’oscurità, come un fantasma, emerse una donna
completamente vestita di bianco, con i capelli biondi intrecciati e gli occhi
chiari colmi di terrore. Quando li vide, il suo sollievo fu tale da far
sorridere istintivamente anche Hermione, che allungò la mano nella sua
direzione.
«Va tutto bene, sta tranquilla» le disse, cercando
di essere incoraggiante. «Cosa ti è successo? Chi sei?» chiese ancora,
preoccupata, notando gli abiti in stile greco che anche lei stava indossando.
Avrebbe potuto essere un Dàimon, naturalmente. Ulisse li aveva avvisati che
avrebbero presto incontrato una delle sue sorelle. Tuttavia, Hermione esitò a
convincersi: dubitava fortemente che creature onniscienti, vecchie di migliaia
di anni, potessero davvero avere quello sguardo sperduto.
«Io mi chiamo Dory8» fu la risposta
della giovane, che le strinse la mano e si fece più vicina. «Io… io non lo so perché
sono qui. Non so come ci sono arrivata… stavo cercando mio marito e…» la sua
voce ebbe un cedimento, le mani le corsero alla gola, quasi avesse fatto fatica
a respirare. «Io non mi ricordo… l’ho perso… ho perso mio marito… non lo
troverò mai più!» pianse, coprendosi quindi gli occhi inondati di lacrime.
Draco riuscì ad afferrarla per le spalle, prima che precipitasse al suolo. La
sua pena era terribile, insopportabile.
«Malfoy» chiamò quindi Hermione, mentre lui
aiutava la donna a sedersi per terra. «Credi che sia un trucco? Potrebbe essere
una Dàimon?» gli domandò, accigliata. «A me non sembra neppure lontanamente
simile al fantoccio di Ulisse».
Stringendo le labbra, lui scosse il capo. «Neppure
a me… ma se non lo è, che diavolo ci fa qui? Come ci è arrivata? Patroclo è
stato chiaro, siamo i primi visitatori dopo secoli» mormorò, confuso. «Ricordi
quando hai perso tuo marito?» chiese poi, accosciandosi accanto alla donna e
cercando di usare il suo tono più persuasivo. Lo stesso che, tante volte, aveva
usato con la sua stessa compagna.
Hermione, preoccupata, lo imitò. Con gentilezza,
sfiorò la spalla della sconosciuta, sentendola incredibilmente fredda al tatto.
Lei, come in reazione a quel contatto, scattò e le afferrò il polso in una
stretta incredibile.
«Non
toccarmi» le sibilò contro, spaventata. Il bellissimo viso sembrava quasi
trasfigurato, in quell’istante, ma la strega cercò di non preoccuparsene: era
una povera donna, era sola e spaventata.
Anche lei
sarebbe stata un po’ irascibile, al suo posto.
«Scusami, non volevo farti paura» la rassicurò
allora, con un leggero sorriso. «Sta tranquilla, ti aiuteremo noi. Devi
soltanto dirci dove hai lasciato tuo marito e da quanto tempo sei bloccata qui…
così potremo capire come fare».
La donna, vagamente più tranquilla, lasciò la
presa ma continuò a guardarli come un animale braccato. «Mi dispiace, io non
ricordo nulla. Ho sempre sofferto di perdite di memoria… non ho idea da quanto
tempo io stia cercando. Non ricordo neppure il viso di mio marito» la sua voce
si spezzò di nuovo, ma sembrò riprendere immediatamente il controllo. «Non lo
troverò mai più, non c’è più speranza» si lagnò, tirando su col naso. «Non
troverò mai più la mia famiglia… forse sono rimasta qui dentro per anni!».
«Diciamo pure secoli»
puntualizzò Draco, con una smorfia, incurante dei latrati disperati della
creatura accasciata davanti a lui, per poi esser colpito dalla strega. «Ehi!
Non guardarmi in quel modo, Mezzosangue, se davvero è entrata qui prima di noi,
probabilmente è dai tempi dell’Antica Grecia che passeggia per questi corridoi.
L’ha detto Patroclo, il tempo passa in modo diverso, qui… ed oltretutto soffre
di perdita di memoria! Ci credo che è senza speranza» borbottò, massaggiandosi
il braccio dolorante ed aggiungendo qualcosa sulle Mezzosangue irrispettose.
«Niente
speranza… niente speranza…» continuava nel frattempo a piangere la donna,
tirandosi i capelli per manifestare tutto il suo dolore e piangendo lacrime
infinite. Sembrava quasi non rendersi conto della loro presenza, tanto presa
dal suo orrore.
«Povera creatura…» mormorò Hermione, stringendo le
labbra in una linea sottile. «Prova a pensare a quanti orrori deve aver
vissuto, in questo luogo…sola e sperduta, senza neppure una bacchetta per farsi
luce…» scosse il capo, sospirando. «Quanti mostri, quanti mali…» continuò,
cupa, prima di paralizzarsi.
Mostri.
Orrori.
Tutti i
mali del mondo, cui seguì la speranza.
«Hermione?» chiamò Malfoy, preoccupato, posandole
una mano sulla spalla. «Che ti prende? Perché hai fatto quella faccia? Ti sei fatta
male?» domandò, ansioso, cominciando a toccarle il braccio, il viso, il collo. «Ti
prego, dimmi che non ti è appena iniziato il ciclo mestruale, perché decisamente non è il momento per una
capatina in bagno!9» aggiunse, decisamente preoccupato.
Quella sua espressione l’avrebbe fatta ridere, in
un altro momento, ma non quando…
«Dory, ascoltami» ignorandolo, lei si inginocchiò
accanto alla donna, cercando il suo sguardo. «Tu per caso hai… hai una scatola,
con te? Un cofanetto, magari. Qualcosa che
non avresti dovuto aprire?» domandò, gentile, sentendo il cuore battere
furiosamente nel petto.
Abbiamo
affrontato la logica, adesso potrebbe toccare alla…
Improvvisamente accigliata, la giovane annuì. «Io…
sì, ho una scatola» mormorò, infilando la mano in una piega nascosta dell’abito
e tirandone fuori quello che aveva tutta l’aria di essere un portagioie
incredibilmente prezioso. «Non ricordo se l’ho aperta, ma…» si accigliò,
osservando il coperchio sollevato. «No, no… io ricordo di averla aperta, anche se non avrei dovuto. Forse è per
questo che non troverò mai più mio marito» piagnucolò, ricominciando a
lacrimare come una fontanella. «Non c’è più speranza… non c’è più speranza…».
«Mezzosangue?». Malfoy sembrava sempre più
confuso, mentre spostava lo sguardo fra lei e la donna. «Che diavolo significa
quella scatoletta?».
«Non è vero che non c’è più speranza, Dory» cercò
di tranquillizzarla allora Hermione, ignorando completamente il suo
accompagnatore. «C’è sempre speranza.
Sono sicura che ritroveremo tuo marito e che tornerai da lui, davvero»
aggiunse, in una spinta di coraggio e ottimismo che non credeva di possedere. In
quel momento comprese quanto quel buio l’avesse oppressa. Anche lei si era
lentamente fatta prendere dal panico, per quanto avesse cercato di nasconderlo
anche a se stessa. Ma la paura andava bene, a patto che non fosse così forte da
impedirle di continuare ad avere speranza. «Credimi,
Dory, ce la faremo. Ti faremo uscire di qui e anche noi ne usciremo, così
potremo salvare anche i nostri amici».
La giovane, che sembrava pendere dalle sue labbra,
accennò un leggero sorriso. «Davvero lo credi? Me lo prometti?» le domandò, con
un tono tremolante che però non sembrò più spaventato. I suoi occhi erano
enormi, ma non più per l’orrore.
«Te lo giuro, Dory. Ma tu non devi perdere la speranza».
Con il sorriso che la sconosciuta le dedicò, una
lacrima solitaria lasciò il suo occhio, solidificandosi lungo il percorso della
sua guancia e cadendo, come un diamante perfetto, nel portagioie che aveva
ancora fra le mani, il quale si richiuse con uno scatto.
«La speranza è l’ultima a morire» le disse allora
la donna, gentile, mentre il suo viso si trasfigurava e la sua bellezza
aumentava esponenzialmente. Da minuscola creatura tremante, Dory si trasformò
in un essere fuori dal tempo, splendido nella sua forza e nella sua
immortalità. «La più alta fra le virtù, ciò che davvero può salvare un’anima».
Malfoy, a quel punto, aveva necessariamente compreso. «L’ultima a lasciare il tuo vaso è anche
la prima a ritornare, a quanto pare» disse, con una risatina esasperata. «Pandora,
eh? Pensavo avresti rappresentato la curiosità o qualcosa del genere» fece
notare, aiutando Hermione a rialzarsi.
La donna scosse il capo, lasciando che i lunghi
capelli biondi le dondolassero sulle spalle. «Oh, la curiosità difficilmente vi
spinge ad interrogare voi stessi, mentre per trovare la speranza è spesso
necessario un piccolo sforzo, una promessa
a se stessi» spiegò, sorridendo in direzione di Hermione. «Il mio non è
stato un duro lavoro, devo ammetterlo. Voi due siete così speranzosi per il futuro. Avete tantissimi progetti da realizzare,
non vi farete certo scoraggiare da una prova un po’ più difficile» si
complimentò poi, divertita. I suoi occhi chiari si puntarono su Draco. «Tu, in
particolare… sei incredibilmente fiducioso nelle tue abilità, non è vero?».
Tranquillo, lui si strinse nelle spalle. «Ho un
obiettivo da raggiungere. Ho fatto una promessa che devo mantenere a tutti i
costi10».
Pandora annuì, tranquilla, prima di allungare il
cofanetto ad Hermione. «Questo è per te, mia cara, un piccolo regalo da parte
mia» disse, con vago sorriso di scuse. «Vi salverà la vita, quando sarete
davvero a rischio, ma dovrai aprirlo soltanto
quando sarà necessario».
Hermione si accigliò, accettando il dono. «Quando sarà necessario?» chiese, quindi,
anche se non particolarmente convinta.
«Posso solo dirti che non ci sarà alcuna
necessità, mentre sosterrete le nostre prove. Ma dopo…» Pandora scosse il capo,
pallida e preoccupata. «Un pizzico di speranza in più non può far male, non
trovi anche tu?».
«Decisamente» rispose Draco, vagamente ironico. «Grazie,
qualsiasi aiuto è bene accetto» aggiunse, mentre lei rimpiccioliva il
portagioie e lo nascondeva nella piccola tasca della bacchetta, così da non
perderlo.
«Grazie» ripeté quindi lei, allungando la mano per
prendere quella del Dàimon. «Adesso… puoi dirci qual è la direzione giusta? Il
nostro tempo si riduce sempre di più».
Con un cenno elegante, la donna indicò una porta
apparsa dal nulla alla loro sinistra. Non aveva l’aria particolarmente
affidabile, perdendosi nell’oscurità, ma le loro scelte erano orribilmente
limitate. «Da quella parte troverete il vostro prossimo ostacolo» mormorò, con
un sorriso gentile, prendendo la mano che Hermione aveva offerto e sorridendo
ad entrambi. «Vi faccio i miei migliori auguri, miei cari… spero che possiate
trovare le risposte che cercate senza impazzire».
«Lo spero anche io» borbottò Draco, senza tuttavia
alcun astio. Quella donna era troppo deliziosa per esser fonte di alcun tipo di
cattiveria. Un dono degli dei ad Epimeteo, un trucco per vendicarsi del genere umano. «Per
quello che vale, è stato un piacere aiutarti, Dory» aggiunse, divertito,
prendendo Hermione per mano e tirandola leggermente verso la porta. «Coraggio,
Mezzosangue».
«Grazie» ribadì Hermione, cominciando ad avviarsi
a sua volta, un piccolo sorriso sulle labbra.
«Per quello che vale,» disse il Dàimon, sollevando
la mano libera in un leggero saluto, mentre le ombre la avvolgevano come a volerla
inghiottire, «spero sinceramente che voi ce la facciate. E, Malfoy?» chiamò
quindi, divertita. Attese che lui si voltasse a guardarla, prima di continuare.
«Sono piuttosto sicura che a lei quel nome piacerà tantissimo11».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri
aggiornamenti!
Sono una masochista appassionata di mitologia. Lo ripeto perché forse non è
chiaro quanto io mi stia divertendo.
Ebbene, alla fine ci son
capitati sia Ulisse (quel burlone) che Pandora! Lei, oltretutto, è solo la
prima delle eroine della mitologia che incontreremo. Le prossime saranno anche
più interessanti! (Spero!)
Punti importanti:
» 1 – Avrei potuto far riferimento all’Iliade o all’Odissea, essendo il
capitolo incentrato soprattutto su Ulisse, ma io adoro quel canto dell’Inferno! Oltretutto, parlando anche di
Pandora e della virtù della Speranza (una delle virtù Teologali), ho ritenuto
fosse migliore il riferimento della Commedia.
» 2 – Io sono una groupie per Ulisse. Io amo Ulisse, non mi importa cosa ha
fatto. Stando all’Odissea, quando finalmente riuscì a tornare a casa, il suo
vecchissimo cane, Argo, morì di crepacuore. Non
è una cosa dolcissima?
» 3 – Riferimento temporale: sono
trascorse oltre quattordici ore da quando il viaggio è iniziato, ormai restano
poco più di due giorni, prima che il loro tempo scada e il mondo precipiti nell’orrore.
Come fanno a saperlo? Sono maghi, avranno qualche incantesimo per misurare il
passare delle ore!
» 4 – Non so se tutti gli
universitari hanno avuto la fortuna di avere un professore su cui fantasticare,
ma io sì. Dovete capire che io studio
giurisprudenza, i miei professori hanno un’età media di duecento anni, quando
me n’è capitato uno sotto i quaranta è stato un sogno. Non ho mai seguito delle lezioni con maggiore interesse.
L’idea di Ulisse professorino sexy mi ha uccisa, non potevo non metterlo.
» 5 – Altro riferimento agli Harmony. Hermione è
perseguitata da sti giornaletti!
» 6 – Alloooora.
Qui si fa riferimento alla decisione di Ulisse – alla fine dell’Odissea – di riprendere
il mare, dopo aver scacciato i Proci da Itaca. Durante il suo viaggio di
ritorno, infatti, lo spirito del Veggente Tiresia gli aveva predetto che una
volta scacciati gli invasori avrebbe continuato a viaggiare finché qualcuno non
gli avesse offerto una pala per il suo remo, per poi tornare a casa e morire in
pace di vecchiaia. È una morte diversa da quella prospettata da Dante (secondo
cui Ulisse è morto per esser andato oltre le Colonne d’Ercole), diversa da
quella che Draco ritiene essere quella reale.
Pur non essendoci certezza, per me Ulisse è morto a casa sua, dopo aver girato
un po’ l’ignoto. A casa, con la fedele Penelope.
» 7 – Piccolo riassunto del mito di Adone: Figlio di un rapporto incestuoso
fra Mirra e suo padre, quando la mamma venne trasformata in albero (di mirra,
appunto) venne estratto direttamente dal suo tronco ed allevato dalle ninfe.
Divenuto un giovane bellissimo, divenne l’amante di Afrodite (che era stata
anche la causa dell’amore incestuoso, btw). Afrodite,
che era un tipo strano, per proteggerlo lo chiuse in una cassa di legno e lo
affidò alla dea Persefone, che, aperto il pacco
regalo pur non essendo autorizzata, si innamorò a sua volta e lo prese come
amante. Ovviamente non finì bene.
»8 –Non ho resistito, soprattutto perché ho visto da poco Finding Dory e sono ancora in pieno Hype.
» 9 – Draco è vagamente
terrorizzato all’idea, sì. Non perché gli faccia schifo o simili, non è certo
un maschio idiota come tanti, ma piuttosto perché è consapevole che sia
un periodo in cui Hermione ha bisogno di condizioni igieniche migliori,
rispetto a quelle offerte dai Dàimones. Mica può lasciare che la futura madre
dei suoi figli si ammali, scusate.
» 10 – Riferimento alla promessa fatta a Rosemary. Draco ha giurato
che avrebbe salvato il dottore, dandogli una nipotina da coccolare e su cui
sfogare l’istinto paterno represso.
» Pandora è la seconda Dàimon che i nostri eroi incontrano nel loro
viaggio. Perché non ricorda nulla? Non lo so, magari ho dato per scontato che
avesse dimenticato di non poter
aprire il suo vaso, oppure perché lo shock di aver liberato tutti i mali del
mondo l’ha mandata fuori di testa. Fate voi. Pandora come Dory, però, è
parecchio adorabile, dal mio punto di vista!
Breve riassunto del mito: il marito di Pandora è il fratello di Prometeo
(quello che ha dato il fuoco agli uomini, rubandolo agli dei). Lei è stata
creata da Efesto con grazia e bellezza (ma anche una
grande curiosità, donata da Hermes) per far sì che il genere umano pagasse quel
regalo fatto contro la volontà di Zeus. Lui, infatti, consapevole della curiosità
di Pandora le ha regalato una scatola, ordinandole di non aprirla. Lei,
ovviamente, l’ha aperta ed ha liberato sulla terra tutti i mali (vecchiaia,
malattia, vizi…), mettendo fine al genere umano. Poi, però, ha risollevato il
coperchio ed ha fatto uscire la speranza,
che non era riuscita a fuggire la prima volta. Una volta liberata la speranza,
il genere umano è stato di nuovo salvo.
» Pandora ha regalato il suo vaso ad Hermione, probabilmente perché il lupo
perde il pelo ma non il vizio. Lei non può scoprire cosa c’è davvero dentro
finché non ne avranno davvero necessità, il costo altrimenti potrebbe essere
altissimo. In un certo senso, la disgraziata di una Pandora ha dato ad Hermione
un’altra prova. La nostra eroina ce la farà a resistere alla tentazione di
aprirla prima?
» 11 – Pandora sa benissimo che Hermione adorerà l’idea di chiamare
Rosemary anche sua figlia, in onore della signorina Crave
che tanto ha aiutato il suo Draco e che era tanto cara al dottore.
Comunicazione di servizio: Essendo finalmente in vacanza anche io, la settimana prossima non ci sarà
alcun aggiornamento! Ma vi aspetto tutti la settimana dopo ancora, abbiamo
altre prove da superare ed altri personaggi da scoprire!
Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti
nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 27 *** Atto XVI - Parte III/ Più mirabile dell'uomo ***
Edit: Sono una persona stupida, per sbaglio ho
completamente mandato a quel paese l’html di questo capitolo (pubblicato
sabato) e, non pensando di poter semplicemente ricopiare quello del file
originale, ho cancellato tutto. Perché io sono stupida. Perdonatemi,
soprattutto se avete lasciato una recensione cui io non avevo ancora risposto o
simili. Faccio schifo.
LoSpecchio delle Anime.
“E un uomo, fosse sangue mio, ma pieno d'odio per lo Stato, non lo
vorrei con me.
Sono convinto!
Stato significa sicuro porto; se
naviga diritto noi, gente imbarcata, sentiamo d'appartenerci tra di noi,
solidali.
Con queste regole farò grande Tebe,
io”1
[Sofocle, Antigone –
Creonte]
“V'abbaglia, potenti di Tebe, la scena di me sola
sopravvissuta dei re che soffro, da che gente, e che cose:
io che a sacro gesto consacrai me stessa”. 1
[Sofocle, Antigone –
Antigone]
Atto
XVI – Parte III
Più
mirabile dell’uomo2.
Quando Narcissa Malfoy entrò nella camera di suo
marito, quel giorno, vi trovò una persona che non credeva avrebbe mai avuto il coraggio
di fronteggiare, nonostante l’avesse affrontata moltissime volte, in tutti i
suoi incubi peggiori.
Con i lunghi capelli rossi raccolti in una coda
disordinata ed il viso stanco di qualcuno che avesse dimenticato cosa fosse una
buona notte di sonno, Ginevra Weasley osservava il corpo inanimato di Lucius
senza trasmettere alcun tipo di emozione. Quando si voltò verso di lei, quasi
sembrò non notarla, tanto impassibile fu il suo sguardo.
«Signorina Weasley» fu tutto ciò che la donna
riuscì a dire, girando intorno al letto per avvicinarsi di più al marito.
Quando gli posò la mano sul braccio e sentì ancora il calore della sua pelle,
tirò un sospiro di sollievo. Non che avesse creduto possibile che la giovane –
una Weasley – potesse davvero
uccidere qualcuno di indifeso, per quanto questo qualcuno fosse Lucius Malfoy,
ma la sicurezza non era mai troppa.
Dopotutto, si
disse, erano giorni molto strani.
«Lei sa che la mia migliore amica e suo figlio
sono colleghi da mesi, ormai» le disse invece la rossa, apatica, poggiando le
spalle allo schienale della poltrona su cui era seduta, gli occhi scuri ancora
puntati sul corpo dell’uomo. «Recentemente sono diventati qualcosa di più» aggiunse, quando la vide
annuire, accennando un sorrisino quando notò lo sconcerto sul suo viso.
Qualcosa
in più, aveva detto. Narcissa non era particolarmente sorpresa, in
tutta sincerità, soprattutto perché Draco era stato molto chiaro riguardo ai
suoi propositi, quando si era deciso a far ritorno a casa, quasi un paio di
settimane prima3. Così chiaro che, per un attimo, sua madre aveva pensato che avesse già ottenuto
qualcosa.
Evidentemente il suo istinto non si era sbagliato.
«Non mi sembra molto sconvolta, signora Malfoy»
disse la Weasley, vagamente accigliata e, forse, con un leggero disappunto
stampato in viso. Sembrava essersi aspettata una qualche reazione esagerata, da
parte sua. «L’idea che suo figlio si porti a letto una sanguesporco non la disgusta? Dopotutto, era contro questi abomini che avete lottato per tutta la vita».
Quel suo tono velenoso, per un attimo, fece
irrigidire Narcissa, ma non avrebbe mai mostrato nulla, non a quella ragazza,
non quando era piuttosto evidente che lei stesse aspettando solo un suo segnale
di stizza, per esplodere.
Era sempre stata la più diplomatica fra le sue
sorelle, lei. Sempre la prima a farsi avanti come paciere ed a fare da
rappresentante per i parenti un po’ meno dotati nel parlare ma decisamente più
forti quando si trattava di venire alle armi. Difficilmente quella ragazzina tanto
impertinente le avrebbe fatto perdere la calma.
«Se davvero l’idea mi disgustasse ancora, Miss
Weasley,» iniziò quindi, accomodandosi a sua volta nell’ultima poltrona libera
della stanza, quella che aveva fatto portare una volta che le visite di Draco a
suo padre erano diventate regolari, dopo la morte della figlia del dottor
Crave, «probabilmente non accoglierei in casa mia Andromeda, mia sorella, ed il
suo adorabile nipotino. Credo che lei conosca bene il giovane Teddy, non è
forse il figlioccio del suo fidanzato?» le fece notare, secca, accennando un
piccolo sorriso di cortesia. «La reputo molto più intelligente di così, Miss.
Non può credere davvero che io potrei avere problemi con chiunque mio figlio
decidesse di sposare. Perché immagino lei sappia
che la sua storia con Miss Granger non possa che essere seria».
Quella sua risposta pacata dovette non piacere
alla rossa, perché strinse i pugni.
«Io non credo che lei avrebbe problemi con
Hermione, no» ammise infine, sollevando gli occhi nei suoi per un solo istante.
«Probabilmente sarà fin troppo gentile con lei, abbastanza da farla sentire
molto a disagio, per i primi tempi» accennò un sorriso amaro, scuotendo il
capo. «Credo proprio che, alla fine, potrebbe addirittura piacerle molto più di
quanto non le sia mai piaciuta mia madre. Lei non mi sembra un tipo molto
invadente».
Era un
complimento? Narcissa non lo sapeva. Dopotutto, qualcosa aveva
spinto la più giovane Weasley ad allontanarsi dal nido familiare, insieme al
fidanzato ed alla signorina Granger.
«Se non crede che io avrei problemi con lei,
perché è qui?» domandò allora la donna, accigliata, sfiorando amorevolmente le
dita immobili del marito. Lucius aveva sempre adorato quei lievi contatti, lo
aiutavano a sopportare le angherie che quella vita che gli avevano imposto e
che aveva portato, alla fine, alla quasi totale distruzione della loro
famiglia.
«Lei non
avrebbe problemi e, infondo, potrebbe anche meritare una nuora come Hermione.
Harry mi ha raccontato cosa ha fatto per lui ed io so che ha sempre cercato di difendere suo figlio, Andromeda è stata
sempre molto chiara al riguardo» ammise Ginevra, per poi fare una smorfia. «Ma lui non merita Hermione. Non merita
nulla».
La cattiveria con cui parlò di suo marito le fece
gelare il sangue nelle vene. Erano anni che qualcuno non parlava così
brutalmente di lui, provando pietà, probabilmente, per un povero disgraziato
bloccato in soli trenta minuti di coscienza ogni giorno.
Ma Ginny Weasley non provava pietà.
«Cosa vuole da mio marito, signorina?» chiese
quindi, sentendo una certa inquietudine nascerle nel petto. Forse il suo primo
pensiero non era stato poi così lontano dalla verità. Quella ragazza si era
ritrovata completamente sola, con l’amore della sua vita in bilico fra vita e
morte e per cause completamente sconosciute. Il desiderio di vendetta si
sarebbe potuto manifestare in qualunque modo, in lei, portandola a scegliere
una vittima ideale, secondo un macabro senso di giustizia divina che i
disperati soltanto potevano avere.
«Sa, a causa di suo marito io sono stata il
burattino di Voldemort, durante il mio primo anno» le disse, con una
tranquillità che, per un istante, suonò inquietante. «Un anno trascorso senza
sapere cosa mi stesse succedendo, persa nell’incoscienza, con le mani sporche
di sangue di cui non conoscevo la provenienza» continuò, apatica. Il suo viso
pallido sembrò simile a quello di una banshee, agli occhi di Narcissa,
facendole stringere il petto in una morsa. «Lo volevo morto, signora Malfoy. La
morte è ciò che merita per tutti i mali che ha causato».
«La nostra legge vieta l’omicidio come punizione,
signorina Weasley» le fece notare allora, con un filo di voce, raggiungendo la
bacchetta con la mano libera e cercando di ricordare tutti gli incantesimi di
difesa imparati durante gli anni scolastici. L’attacco era da escludere, ma,
forse, avrebbe potuto guadagnare un po’ di tempo.
«La legge, spesso, è diversa dalla giustizia, signora» le fece notare la
rossa, tornando ad osservarla con pacata tranquillità. «E suo marito merita di morire».
***
Camminarono per quelle che sembrarono delle ore,
cominciando a percepire la stanchezza come un dolore sordo alle ossa. Non erano
davvero stanchi, era come se la necessità del sonno fosse stata completamente
estirpata dai loro corpi. Eppure, al tempo stesso, faticavano a muovere più di
una decina di passi al minuto, come se il loro istinto si stesse scagliando
contro la loro decisione di continuare il viaggio.
Hermione era stata la prima a risentire dello
stress, Draco l’aveva notato immediatamente. Il suo viso era stato presto
percorso da piccole gocce di sudore, i suoi occhi avevano iniziato a faticare
nel restare aperti e vigili.
Ovviamente, aveva
pensato lui, lei è la più razionale.
Si erano riposati, quando le loro ginocchia
avevano iniziato a cedere. Si erano accoccolati in un angolo del corridoio ed
avevano iniziato a parlare per tenere la mente impegnata. Lei gli aveva
raccontato della sua infanzia, del lavoro dei suoi genitori e del giorno in cui
aveva ricevuto la lettera per Hogwarts. Lui, invece, le aveva raccontato dei
pomeriggi trascorsi in riva al fiume, mentre sua madre prendeva il tè e lui
giocava con le sue scope per bambini, poi di alcune delle sue missioni lontano
dall’Inghilterra, dove nessuno sapeva del suo passato e della cicatrice che gli
deturpava il braccio.
Parlare con lei era stato bello, Draco lo aveva ammesso immediatamente con se stesso. Forse,
una vola che avesse deciso di aprirsi riguardo gli anni della guerra, avrebbe
avuto modo di rivelarle cose che neppure il Dottore era riuscito ad
estorcergli.
Naturalmente, la loro pace non fu duratura. Il
tempo incalzava ed il primo giorno era ormai terminato, avevano ancora altre
quattro prove da superare e dubitava fortemente che sarebbero state veloci come
quelle di Ulisse e Pandora.
Il pensiero della scatoletta che Hermione teneva
in tasca gli fece provare un brivido. Lui non si fidava di quell’aiuto tanto
importante e non si fidava della sua curiosità. Cosa sarebbe successo se
l’avessero aperta prima del dovuto?
«Ho come la sensazione che siamo arrivati» gli
disse, improvvisamente, la Granger, posandogli la mano sul braccio ed indicando
qualcosa che si stagliava davanti a loro. «Sembra un portone di marmo, Draco,
non c’è bisogno di sforzarti così» aggiunse, quando notò quanto difficoltoso
fosse per lui comprendere di cosa stesse parlando. Avendo lasciato gli occhiali
a casa e complice quello strano buio che li circondava, per lui era molto
complicato distinguere le forme lontane4.
Avrebbe fatto bene a seguire il consiglio di
Laurie, una volta tornato a casa, e comprare quelle strane lenti a contratto.
«Non prendermi in giro, Mezzosangue, vorrei vedere
te al mio posto» si lagnò allora lui, iniziando ad avanzare nella direzione
indicata, finché i dettagli del portone non furono chiari anche ai suoi poveri
occhi.
Si trattava, in effetti, di un grande portone di
marmo, ma il particolare più importante si stagliava in cima ad esso, in una
iscrizione che a Draco fece venire i brividi.
Lex
vincit omnia5.
«Questa è la porta di un tribunale, Granger» le
disse, cupo, quando lei si girò a guardarlo con la sua solita espressione di
preoccupata curiosità. L’impossibilità di mentire, in quel luogo, gli impediva
di controllare le proprie emozioni. «Se proprio vogliamo esser pignoli, la
porta del tribunale speciale che il Ministero ha istituito sotto Londra per
processare i Mangiamorte, dopo la guerra6».
«La Legge vince su tutto» tradusse quindi lei,
annuendo leggermente. «Ho sempre pensato che fosse una frase piuttosto
rassicurante, tu no? Chi ha sbagliato e non è giustificato, deve pagare, così
che la legge possa essere davvero uguale per tutti».
Draco non riuscì a trattenere la stizza nella sua
voce. «La Legge non può essere sempre
uguale per tutti, Mezzosangue. Dov’è la giustizia, in una legge sempre e
comunque fedele a se stessa?».
«Questo è
esattamente il mio pensiero» una voce di donna, dalle profondità del buio
dietro di loro, li fece sobbalzare. Una giovane, con lunghi capelli color
dell’ebano e profondi occhi scuri, avanzò fra le ombre, recando in mano quella
che sembrava essere una bilancia d’oro. «La legge è umana, la giustizia viene
dagli dei. Chi siamo, noi, per decidere di andare contro la loro volontà?».
«La legge è ciò che consente ad una civiltà di prosperare.
Senza delle regole, il mondo sarebbe stato perduto millenni fa» ribatté
immediatamente Hermione, non riuscendo a resistere alla tentazione di far
valere la propria posizione. «La Legge deve
essere giusta, ma la giustizia senza legge sarebbe solo anarchia».
«Quindi, mia cara, stai dicendo che la giustizia
deve essere asservita alla legge e non il contrario» ribatté la donna,
avanzando ancora verso di loro e mostrando un meraviglioso abito del colore del
cielo al tramonto. «La giustizia, quindi, dipenderà solo dalla volontà umana,
perché è la regola a dettare la struttura del mondo».
Hermione si accigliò, guardando Draco come in
cerca di un sostegno che, purtroppo, non avrebbe ricevuto da lui. Non quella
volta. «Non è quello che ho detto, non è vero? Io… perché mi guardi così,
Malfoy?» gli domandò alla fine, come esasperata.
«Ragioni come un avvocato, Granger» fu tutto ciò
che le disse, voltandosi verso la donna. «Immagino di star parlando con
Antigone, non ho ragione? La principessa di Tebe, figlia di Re Edipo» aggiunse
quindi, chinando il capo in un gesto rispettoso. «Sono un grande ammiratore del
modo in cui hai mandato al diavolo tuo zio per fare ciò che ritenevi giusto».
«Ammiri
qualcuno pronto a sfidare il mondo per puro egoismo, ragazzo».
Una nuova voce, questa volta maschile, li
raggiunse nuovamente dal folto delle ombre alla loro sinistra. Dalla stessa
direzione, un attimo dopo, giunse un uomo con indosso una meravigliosa toga
purpurea ed in mano delle pergamene, probabilmente delle leggi.
«Il suo non è stato egoismo, Re Creonte» gli
rispose allora Draco, avendo immediatamente compreso chi li stesse
fronteggiando. «Ha dato sepoltura a suo fratello, lo stesso cui tu volevi negare quel minimo segno di
rispetto».
«Non sono stato io a deciderlo, ma la legge» ribatté Creonte, voltandosi verso
Hermione. «Tu cosa avresti fatto, mia cara? La legge imponeva di punire il
colpevole e lui lo era, aveva scatenato una guerra civile e l’aveva persa, io
ho solo fatto il mio dovere, a malincuore. Si trattava di mio nipote,
dopotutto».
«Dare una degna sepoltura è un diritto che non può
essere negato a nessuno» insistette
Draco, a denti stretti, rammentando tuttavia l’orrore con cui in molti si erano
opposti al ricovero di suo padre, quando la malattia l’aveva ridotto ad un
vegetale.
«Non è della sepoltura
che stiamo parlando, Draco» intervenne Hermione, stranamente seria e pallida.
«Praticamente è ciò che è successo a Barty Crouch e suo figlio, ricordi? L’ha
condannato, pur essendo suo figlio. Se avesse rispettato la legge, se non
avesse cercato di fare la cosa giusta,
per lui, allora lui non sarebbe scappato e forse Voldemort non sarebbe mai
risorto. Tutto è successo perché lui non si è saputo attenere alla legge».
«Se si fossero sempre attenuti alla legge, il
professor Lupin non avrebbe ricevuto l’Ordine di Merlino e mia cugina Ninfadora
non avrebbe potuto sposarlo. I licantropi non erano considerati esseri umani,
quindi tutte le leggi che riguardano il matrimonio non potrebbero essere
applicate… Teddy sarebbe poco più di un bastardo, grazie alla tua legge» ribatté quindi lui, cupo,
resistendo a stento all’istinto di allontanarsi da lei.
Dietro di loro, Antigone e Creonte li osservavano
in silenzio, finché non si fecero avanti ed indicarono le grandi porte.
«Tu verrai con me, Draco» disse l’uomo, indicando
la parte sinistra della grande apertura nel muro. «Mentre tu, Hermione, andrai
con mia nipote Antigone» aggiunse, mentre la donna indicava la parte destra.
«Datevi un bacio» aggiunse proprio lei, dolcemente.
«Potreste non rivedervi più come siete adesso… potreste addirittura non
rivedervi proprio».
***
Quando si ritrovò in un’aula di Tribunale,
Hermione si sentì improvvisamente spaesata. Antigone era sparita e le persone
che la circondavano erano stranamente familiari.
Comprese di trovarsi in una versione distorta del
suo mondo quando vide il suo capo, Adalbert Hicklebottom7,
raggiungerla con il peggiore fra i suoi sguardi seri e si rese poi conto di
indossare, a sua volta, la toga da Inquisitore.
Si trovava ad un processo in cui era lei a dover condurre l’accusa.
«Hermione, mia cara, spero tu abbia portato gli
appunti» le disse il suo superiore, «io ho perso i miei e non ho avuto modo di
riscriverli».
Lei si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo.
Era sempre così, con quell’uomo: sarebbe stato capace di perdere la testa, se
non fosse stata attaccata al resto del corpo, ma non dimenticava neppure una
virgola della storia dei suoi indagati.
«Credo di essere fornita, signore, non si
preoccupi» gli rispose lei, prendendo posto al tavolo dell’interrogatorio.
L’indagato aveva il viso coperto, stranamente, ma lei non si preoccupò. Il
fatto che fosse un uomo o una donna sarebbe stato superfluo da verificare.
Importanti erano solamente i delitti commessi, nulla di più.
«Allora possiamo iniziare» si rallegrò il Capo
dell’Ufficio Inquisitori, accomodandosi al suo fianco e congiungendo
pacificamente le mani davanti a sé. Aveva l’espressione improvvisamente stanca,
triste, come ogni volta che sapeva di
dover accusare qualcuno.
L’unico
uomo che avrebbe preferito poter perdonare tutti era lo stesso che aveva il
potere ed il dovere di condannarli.
«L’imputato è un Mangiamorte riconosciuto, il
possesso del Tatuaggio certifica la sua appartenenza alla cerchia più ristretta
di Lord Voldemort» lesse Hermione, direttamente dal suo fascicolo. «A quanto
pare, l’imputato ha approfittato della propria posizione per introdurre
illegalmente dei Mangiamorte in luogo protetto, ha attentato alla vita di tre
diversi maghi residenti in suddetto luogo, di cui uno, oltretutto il più
importante, effettivamente deceduto, ed ha attivamente preso parte alla
Battaglia di Hogwarts». La lista di precedenti era ammirevole, nonostante non
ci fossero tantissimi omicidi sulla sua fedina penale era comunque un
curriculum di tutto rispetto. Gli avrebbe fatto guadagnare un bel po’ di anni
ad Azkaban.
«Oltretutto è stato trovato in possesso di cimeli
oscuri dal potere incommensurabile. Le ricordo che si trova sotto Veritaserum,
ogni tentativo di mentire risulterà in una verità possibilmente più dolorosa,
per lei» si intromise il suo capo, con sguardo grave. «Nega queste accuse?».
Lentamente, come se quel gesto gli costasse
tantissimo, l’imputato scosse il capo.
«In base alla legge vigente nel territorio delle
Isole Britanniche, sottoposte alla guida del provvisorio governo Shacklebolt,
lei verrà condannato alla pena massima» continuò quindi Hicklebottom,
accennando poi ad Hermione. «Proceda, Inquisitore».
Improvvisamente ansiosa, Hermione puntò la
bacchetta contro l’imputato, immaginando che da un istante all’altro sarebbero
arrivati degli Auror per poterlo via. L’aver sentito parlare di governo provvisorio le aveva fatto
comprendere di doversi trovare davanti ad uno degli imputati del Tribunale di
Hogwarts6, creato per giudicare i responsabili della Seconda Guerra
Magica. Era stato un tribunale molto criticato, poiché vi avevano preso parte
tantissimi giudici stranieri, essendo tantissimi quelli inglesi chiamati in
giudizio.
E lei era diventata uno di loro.
Quando, dalla grande porta alle spalle del
soggetto incappucciato, uscì un Dissennatore, Hermione si sentì gelare il
sangue nelle vene.
«Ma Signore, i Dissennatori non sono più
utilizzati per l’esecuzione delle pene!» insorse immediatamente, tentando di
balzare in piedi ma ritrovandosi disgraziatamente bloccata sulla sua sedia.
Cercò lo sguardo del suo capo, immaginando che anche lui sarebbe stato
sconvolto, ma ottenne soltanto un’occhiata confusa. «Signor Hicklebottom, non
possiamo permetterlo! Il Ministro Shacklebolt l’ha vietato subito dopo esser
stato nominato!».
«La legge non è cambiata, Hermione cara» le fece
notare l’uomo, infinitamente triste e carico di compassione. «E noi dobbiamo
applicare la legge. Neanche a me piace, ma dura
lex, sed lex8» ammise, cupo, voltandosi nuovamente verso
l’indiziato. «Il nostro compito è, semplicemente, quello di collegare la pena
al reato, nulla più».
Hermione si irrigidì. «Lei mi ha sempre detto che
il nostro compito è quello di misurare la colpevolezza e giudicare in base a
quella ed al senso di giustizia, oltre che in base alla legge» mormorò,
sentendo la pelle d’oca aumentare man mano che la creatura oscura si
avvicinava. L’imputato era sempre più rigido, ma sembrava aver accettato la sua
condanna.
Non c’era speranza, se la legge non poteva esser
piegata.
Un dubbio improvviso la colse, giusto un attimo
prima che le mani scheletriche del mostro raggiungessero il cappuccio
dell’imputato. Un dubbio che l’avrebbe uccisa, se il suo cuore non le avesse
urlato di dover reagire ad ogni costo, per impedire che quell’incubo divenisse
realtà.
Quando gli occhi grigi di Draco si posarono su di
lei, percepì il proprio petto accartocciarsi in un singolo punto, come se tutto
il suo essere fosse stato risucchiato in un solo buco nero. Avrebbe pianto, se
avesse potuto. Avrebbe urlato, se ne avesse avuto la forza.
Ma il Dissennatore si avvicinava e Draco era
bloccato dalle sue mani scheletriche, senza alcuna via di fuga, gli occhi
argentei puntati su di lei senza alcun tipo di accusa, senza rimpianto.
Solo amore. Amore per lei, che l’aveva condannato.
«No! Signore, non possiamo… ci sono prove, lui…
lui non è colpevole!» provò ad
urlare, cercando in ogni modo di afferrare per il braccio l’inquisitore che
l’affiancava. «Lui è stato costretto, non…».
Il Dissennatore sembrava muoversi al rallentatore,
per nulla intenzionato a fermarsi. Il cuore di Hermione batteva così forte da
sembrare sul punto di sfuggirle dal petto per poterlo raggiungere.
«Mi dispiace, Hermione, ma ti sbagli» le disse
Hicklebottom, accigliato. «Lui ha ammesso i suoi crimini, quindi è colpevole,
lo dice la nostra legge. Non esistono scusanti».
Il Dissennatore si chinò su Draco, Hermione provò
ancora a ribellarsi ma si ritrovò sempre più bloccata contro la poltrona.
«Dobbiamo fare qualcosa, non è giusto!» urlò allora, tentando
inutilmente di divincolarsi. «Non è giusto!
Non possiamo farlo morire così, no!
Non è umano, lei me l’ha sempre detto! Noi possiamo cambiare la sentenza!»
continuò, con le lacrime agli occhi, imponendo a se stessa di sbarrarli e
voltare il capo, pur di non vedere. Non era un comportamento da Grifondoro, ma
non poteva far altrimenti. La vista del bacio
sarebbe stata troppo, per lei.
Sarebbe
impazzita.
Improvvisamente, il suo capo fu alle sue spalle,
le mani ai lati del viso per costringerla a guardare davanti a sé. «Apri gli
occhi, ragazza. Non puoi permetterti debolezza, la legge non lo consente. Noi
dobbiamo applicarla, senza pensare a chi abbiamo davanti. Guarda, Hermione».
«No!».
«Guarda».
Quando alzò lo sguardo su Draco, riuscì a cogliere
l’ultimo sguardo innamorato che le avrebbe mai lanciato, un attimo prima che la
sua anima, così bianca e luminosa da non
poter essere colpevole, venisse risucchiata via dal Dissennatore, lasciando
che lui si accasciasse, vuoto e spento.
Le mani di Hicklebottom, allora, si trasformarono,
divenendo delicate mani di donna. La sua stretta ferrea divenne un abbraccio
dolce, carico di un affetto e di una comprensione commoventi.
«La legge
senza la Giustizia non esiste, mia cara. Adesso anche tu sai di dover essere
grata per l’umanità mostrata da altri».
***
«Tu meriti di morire».
La certezza che quella non fosse la vera Rosemary non
lo aiutò ad elaborare con maggiore facilità il significato di quelle terribili
parole.
Incatenato ad una sedia all’angolo della grande
Sala, Draco sentì le ginocchia tremare e ringraziò di non poter più perdere
l’equilibrio. La giovane era esattamente come l’aveva vista nel suo sogno
indotto dal Djinn, bellissima e felice, realizzata in quel futuro che in realtà
non avrebbe mai potuto ottenere. Stava camminando intorno ad un uomo, lui non
poteva scorgerne il viso, e sembrava intenzionata a realizzare quella promessa
di morte fatta poco prima con le sue stesse mani.
«Lo sai benissimo, non è vero? Meriti di morire,
perché, infondo, è solo colpa tua se io sono morta» continuò la ragazza,
ignorando completamente Draco. Girava intorno alla sua vittima come un leone
intorno alla sua preda. In quel momento, il giovane ebbe davvero paura. Doveva
esser successo qualcosa di orribile, se proprio
lei era arrivata a dimostrare tutto quell’odio. «Sarei potuta diventare
grande. Sarei diventata la migliore,
lo sai» aggiunse, dando un calcio ad una gamba dell’uomo, che non emise alcun
suono. «Ma io non ero abbastanza, per te, non è vero?».
Abbastanza.
Una campanella d’allarme si attivò sul fondo della
coscienza di Draco, un sospetto terribile ad assillarlo.
Che fosse
il Dottor Crave? Dopotutto, lui stesso non aveva fatto altro che
professare la sua colpevolezza per la morte della figlia, nonostante non
potesse – non dovesse – averne alcuna responsabilità. Quell’uomo amava
profondamente la figlia e da lei era sempre stato ricambiato, possibile che, in
fondo al suo cuore, Rose serbasse tanto rancore?
Qualunque fosse la ragione di ciò cui stava
assistendo, Draco non aveva intenzione di restarsene con le mani in mano.
«Rosemary» chiamò, fermo, cercando di divincolarsi
con tutte le sue forze. «Rose,
fermati! Lascialo stare, sai bene che non è davvero colpa sua» continuò,
guardandosi intorno alla ricerca di una qualunque cosa che potesse aiutarlo a
liberarsi.
Lei, come se si fosse resa conto della sua
presenza solo in quel momento, si voltò nella sua direzione e sorrise in modo
macabro, facendogli venire la pelle d’oca.
«Non è stata colpa sua? Tutto è stato colpa sua» gli rispose, con un verso sprezzante,
avvicinandosi a Draco velocemente – troppo
velocemente – e portando il viso a pochi centimetri dal suo, quasi avesse
voluto baciarlo. Abbastanza vicino da consentirgli di notare quanto innaturale
fosse il pallore del suo viso e l’assenza della pupilla nei suoi occhi. Non
c’era niente di umano, in lei, e la cosa lo terrorizzò.
Spettro9, pensò
la parte più razionale della sua mente, mentre il resto di lui tentava di
scovare una via d’uscita, osservando freneticamente i dintorni. Non ricordava
molto delle lezioni di Difesa, nonostante Piton avesse tentato di insistere,
conscio che con la guerra imminente sarebbero stati tantissimi gli spiriti
vendicativi pronti ad aggirarsi per la terra dei viventi. Erano un po’ come i
fantasmi, ma animati da un incontrollabile desiderio di morte e distruzione,
capaci di portare i responsabili della loro morte alla follia nel modo più
atroce e doloroso possibile.
Che quella sua visione non fosse semplicemente
frutto della magia dei Dàimones? Che lo spettro di Rosemary stesse realmente
perseguitando il Dottore, impedendogli di accettare il lutto e spingendolo a
chiudersi in se stesso?
Quella possibilità gli fece gelare il sangue.
«Rose, lui non avrebbe mai voluto questo per te. Ha fatto di tutto per
aiutarti» provò a farla ragionare, allora, nonostante fosse ben cosciente di
non poter far nulla. Gli spettri erano
fatti solo di rabbia, non c’era spazio per la ragione in loro. «Ti prego,
io so che non puoi essere davvero
così decisa a fargli del male. Ricorda la promessa che mi hai fatto fare.
Ricorda quanto lo amavi» continuò, disperato, dimenandosi senza sosta nella
speranza di potersi liberare dalla presa delle catene.
Come fulminato, lo spettro di Rosemary si
allontanò di qualche centimetro, osservandolo confusa. «Tu credi che io stia
perseguitando mio padre?» gli chiese,
sembrando improvvisamente più umana, gli occhi senza pupilla inondati da
lacrime di sangue. «Il mio povero papà, che sta perdendo se stesso per il
rimorso di aver perso me?» continuò,
portandosi una mano al petto. L’espressione triste cambiò velocemente,
trasformandosi in una smorfia furiosa. «Non
osare nominare mio padre! Lui ha già sofferto troppo!» urlò,
riavvicinandosi con violenza e piantandogli le mani gelide sul collo, come a
volerlo soffocare. Con un gesto brusco, poi, indicò l’uomo nascosto fra le
ombre, rimasto in silenzio fino a quel momento.
Con orrore, Draco riconobbe improvvisamente il
profilo elegante ed i capelli biondi, ormai tendenti al bianchi, della vera
vittima di quella persecuzione.
Lucius Malfoy sembrava aver accettato il suo
destino, placidamente abbandonato su una sedia da torture medievali che suo
figlio aveva più volte notato nei sotterranei di Malfoy Manor10.
Decisamente più sano e più giovane rispetto l’ultima volta in cui si erano
visti, l’uomo non sembrava aver subito tutte le angherie che gli ultimi anni
avevano lasciato sul suo corpo.
Quando vide Draco, accennò un sorriso.
«Sono felice che toccherà a te, farlo» gli disse,
tranquillo. «Dopotutto, io devo pagare per aver tolto la figlia ad un altro
padre, quindi è giusto che mio figlio uccida me. I babbani lo chiamano Karma,
credo».
Mio
figlio uccida me. Quelle parole sembrarono tuonare nel petto di
Draco che, improvvisamente, si ritrovò davanti a lui, bacchetta in mano e
puntata contro il cuore di suo padre.
Non ricordava neppure di essersi mosso.
Rosemary, alle sue spalle, rideva sguaiatamente.
«Adesso Lucius Malfoy pagherà! Pagherà per quello che mi ha fatto!» cantilenò,
somigliando orribilmente a Bellatrix nei suoi momenti di peggiore follia. «E
sarà il suo stesso rampollo ad ucciderlo! Ah-ah!».
Raggelato, Draco tentò di voltarsi verso di lei,
senza tuttavia poter distogliere gli occhi dell’uomo davanti a lui. «Rose, no!
Sei stata tu stessa a dirmi che mio padre ha tentato di aiutarti… come può
essere colpa sua?» le domandò, disperato. «Lui ha mandato gli Auror, me l’hai
raccontato prima di morire…».
Lo spettro rise più forte, con cattiveria. «Ma è
stato per colpa sua se mi hanno torturata fino a ridurmi al nulla… lui ha
provato ad intercedere e Voldemort ha
deciso che io non servivo più, perché lui
lo aveva convinto della mia inutilità…» sbottò, in un sibilo crudele, girando
intorno ad entrambi i Malfoy come se avesse dovuto decidere chi dei due sarebbe
stato il primo a morire per mano sua. «E poi, gli altri colpevoli sono tutti
morti, io non ho nessun altro da perseguitare, se non lui…».
«Ma non puoi! Non ha senso! Mio padre ha pagato
per i suoi errori, devi trovare qualcun altro che-».
«Pagato?»
lo interruppe lo spettro, posizionandosi alle spalle dell’uomo. «Lui non ha
pagato nulla, non per me. Quella che tu chiami pena, io la chiamo ingiustizia. Ha ucciso, ha torturato,
eppure è ancora vivo, con una famiglia che lo ama e quasi tutte le sue
ricchezze» continuò, sibilando, mentre le sue mani ad artiglio graffiavano il
collo pallido della sua vittima. «Io pretendo
la mia giustizia, Malfoy, e tu me la darai» ordinò quindi, mostrando i denti
innaturalmente appuntiti. «E poi toccherà a lei!»
con un cenno, indicò un altro angolo buio, in cui Draco riuscì improvvisamente
a distinguere il corpo senza sensi di Hermione.
L’orrore che lo colse gli fece venire la nausea.
«Perché anche lei? Cosa ti ha fatto?» urlò,
cercando in tutti i modi di aprire le dita della mano e far cadere la bacchetta
che ancora, testardamente, teneva in pugno. Non voleva uccidere suo padre, ma
non aveva la minima intenzione di
avvicinarsi alla sua Granger con un’arma in mano. Sicuramente non quando
quell’arma avrebbe potuto ferirla, piuttosto che proteggerla.
«Non lo sai, Draco?» lo scimmiottò allora Rosemary,
crudele. «Non lo sai che è stata lei
a garantire l’amnistia a tuo padre, quando si è ammalato ad Azkaban? È per
colpa sua se lui non è già morto».
Abbiamo
avuto un aiuto inaspettato, gli aveva detto Theodore Nott, l’avvocato
di famiglia, quando era uscito dall’udienza per la scarcerazione umanitaria di
suo padre. Non aveva aggiunto altro, nonostante le insistenze di Narcissa.
In quel momento, Draco comprese perché.
Non
avrebbe accettato mai l’aiuto di Hermione, prima.
«Hermione ha solo fatto il suo dovere, non puoi
prendertela con lei!» sbottò quindi, spaventato, cercando con lo sguardo
Rosemary, senza tuttavia riuscire a scovarla. «Lei ha solo fatto ciò che la
legge le chiedeva!».
«La legge, che concetto banale» la voce della
giovane, proveniente dalle sue spalle, lo avrebbe fatto trasalire, se avesse
avuto il controllo del suo corpo. «La vendetta, invece, fa parte dell’uomo,
così come la paura e la morte»
continuò, allegra, passandogli le unghie affilate sul collo e costringendolo a
riportare l’attenzione su Lucius, placidamente abbandonato su quella maledetta
sedia delle torture. «Adesso, Draco, uccidilo».
L’immagine degli occhi di suo padre che si
spegnevano lentamente non avrebbe mai abbandonato Draco, negli anni. Quel lampo
di comprensione, di gratitudine, lo
avrebbero perseguitato per sempre, nonostante la consapevolezza che, forse, una
volta superate le prove avrebbe avuto modo di incontrarlo di nuovo, di
recuperare quell’affetto che, per tutta la sua vita, credeva di non aver mai
ricevuto.
«Questo è
ciò che accade, se non esistono regole al mondo» la voce di Creonte,
improvvisa, sembrò giungere dallo stesso punto da cui aveva sentito provenire
quella di Rosemary. «L’uomo è una
creatura razionale, Draco, e necessita di regole. Non è con la sola vendetta
che si riporta l’equilibrio».
***
«Perché non l’hai ucciso, allora?» la voce di
Narcissa era pacata, nonostante fosse ancora colma di terrore. Ginny Weasley si
era alzata in piedi e si era diretta verso l’uscita, dopo averle comunicato quel
verdetto sulla sorte di Lucius. «Ne avresti avuto tutto il tempo, prima del mio
arrivo».
La giovane accennò un sorriso triste, osservando
l’uomo privo di conoscenza. «Credo che questa condizione sia ben peggiore della
morte, Signora.Suo marito sta pagando
per i suoi crimini verso di me e verso tutti gli altri» spiegò, tranquilla.
«Non sta a me giudicare, il giusto senza il corretto
è niente ed io non voglio innalzarmi a giudice e boia come ha fatto lui, prima
e durante la guerra».
Sentendosi improvvisamente debole, per quanto
sollevata, Narcissa annuì.
«Non lo perdonerà mai, non è vero?».
«Io no, ma si assicuri che suo marito, se mai
dovesse recuperare le sue facoltà, riesca a farsi perdonare da Hermione. Lei
non merita un suocero ingrato, non dopo quello che lei ha fatto per tutti voi»
spiegò, secca, puntando gli occhi scuri in quelli della donna.
Quel dubbio, quel vecchio dubbio che per
tantissimo tempo aveva torturato la signora Malfoy, tornò prepotentemente a
farsi sentire, scavando fra i suoi pensieri per conquistarsi il primato.
«Lei ha garantito affinché Lucius potesse essere
ricoverato, non è vero?».
«Si assicuri che lui le dimostri riconoscenza».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Ho dato sfogo ai miei studi di filosofia del diritto, dovete perdonarmi.
Antigone e Creonte hanno rappresentato uno dei
momenti migliori della preparazione dell’esame in questione, di sotto troverete
una piccola spiegazione della loro storia! Spero di non avervi annoiati!
E comunque, gli ultimi due Dàimones saranno
decisamente famosi ed io voglio lasciarvi due indizi, uno per ciascuno:
1)“Non ce n’è per nessuno
ormai, di tutta la Grecia è il più esaltante degli eroi!”
» 1 – Il riferimento è sempre alla tragedia di Sofocle, l’Antigone,
appunto. Breve riassunto: Antigone è figlia di Edipo (quello che credeva di
aver ucciso suo padre e sposato sua madre, per capirci, e che si è ammazzato
per il rimorso), quando i suoi fratelli si sono scontrati ed uccisi per il
controllo di Tebe, lei ha sfidato suo zio (ed attuale Re), Creonte, perché
aveva vietato che il fratello perdente fosse seppellito. Scoperta, pur essendo
la nipote del re e fidanzata del figlio di quest’ultimo, è stata comunque
condannata ad essere abbandonata in una caverna buia, con un minimo di cibo ed
acqua per sopravvivere (Creonte ha applicato ciecamente la legge, andando
contro l’umanità e la giustizia). Qual è il problema? Il figlio di Creonte si è
ammazzato, così anche sua moglie e quindi lui, preso dal rimorso, è andato a
ripescare sta nipote sventurata dalla grotta, trovandola però morta stecchita. Tragedia, appunto. Antigone e Creonte
sono diventati i rappresentati del grande scontro filosofico che caratterizza
lo studio della giurisprudenza: sono più importanti le regole o la giustizia? È
un po’ una cosa alla “chi è nato prima, l’uomo o la gallina?”, quindi non starò
qui ad approfondire.
» 2 – Sempre una citazione dall’Antigone: “Molte sono le cose
mirabili, ma nulla è più mirabile dell’uomo”.
» 3 – Riferimento temporale esterno:
mentre per Draco ed Hermione sono passati due/tre giorni da quando le cose si
sono “chiarite” e lui si è risvegliato dal sonno del Djinn, all’esterno sono
passate quasi due settimane. Questo vuol dire che sono più o meno al 14
dicembre e la scadenza del 21 si avvicina. Draco è andato da sua madre prima di
partire per la Grecia, le ha parlato delle sue intenzioni ma non ha detto
esplicitamente che lui e la signorina Granger hanno concluso qualcosa, per
evitare di traumatizzare quella poveretta. Hermione, ovviamente, è andata da
Ginny. Girl Power.
» 4 – Povero, povero Draco. Anche
lui, come me, non soltanto fa schifo a legger da vicino (presbiopia), ma è anche miope. Per coloro che, benedetti
dalla natura, si staranno chiedendo se è possibile una cosa simile, posso
rispondere con assoluta certezza che sì,
è possibilissimo. E no, non lo dico perché mia sorella è un ottico, ma perché
io stessa non vedo da vicino e non vedo da lontano. Sono una talpa e Draco
condivide il mio dramma. Come ha fatto a vivere tante avventure pur essendo un
pochetto cieco (non ai miei livelli, per fortuna)? Si portava gli occhiali, di
solito. E comunque le sue condizioni sono recentemente peggiorate a causa di
vari problemi nell’ultima missione prima di Hermione. Magari lo spiegherà lui
stesso.
» 5- Ovviamente, la frase presente in ogni tribunale è “la legge è uguale
per tutti”. Ho pensato che i maghi la vedessero in modo un po’ diverso,
soprattutto perché spesso davanti ai tribunali in questione si potevano
presentare elfi o altre creature per le quali la legge non era uguale. Quindi, la legge vince su tutto, perché ci
sono leggi diverse per ogni categoria e per ognuna deve esser sovrana. Un concetto
terrificante, i possibili giuristi in ascolto (?) concorderanno con me. È
un’idea terribilmente legata ai regimi autoritari.
» 6 – Aaah, il Tribunale di Hogwarts. L’ispirazione è arrivata direttamente
dal Tribunale di Norimberga che, per chi non lo sapesse, è il tribunale creato
alla fine della Seconda Guerra Mondiale per giudicare i capi nazisti e fascisti
d’Europa. Questo tribunale è stato molto criticato, perché ha praticamente
permesso che uno stato intero (la
Germania) fosse giudicato da altri stati,
oltretutto gli stati vincitori della
guerra. È un concetto un po’ particolare, ma, da persona che studia legge,
vi assicuro che è terrificante e
sbagliato, per quanto, naturalmente, sia stato necessario. Il Tribunale di Hogwarts è stato molto simile: chi
giudica, quando molti giudici sono corrotti o indagati? Sono stati chiamati
giudici stranieri, da varie parti d’Europa, per aiutare i pochi ancora salvi. È
un tribunale speciale, creato appositamente per giudicare i Mangiamorte e i
loro affiliati. Anche i Malfoy sono stati chiamati in causa, ma l’intervento di
Harry e varie prove li hanno aiutati a passarla relativamente liscia. Lucius è
stato arrestato finché non si è ammalato, mentre Draco e Narcissa non sono
stati coinvolti.
» 7 – Hicklebottom è il Capo di Hermione (compare nel primo capitolo, ma
viene solo accennato) ed è, probabilmente, il più grande Inquisitore della
Storia. Disordinato ai limiti dell’assurdo, ha una memoria fotografica che gli
consente di non dimenticare alcun dettaglio. Un grande giudice si riconosce
dalla sua conoscenza della legge e anche dalla sua umanità: quest’uomo odia
dover condannare e cerca sempre il buono nelle persone, per questo le sue
sentenze sono sempre considerate come giuste e corrette. Lui è il mio mito e l’eroe
di Hermione.
»8 – Letteralmente “legge dura, ma legge”. In pratica è ciò che Hermione ha
inizialmente affermato, cioè che la legge va applicata sempre, a prescindere da
quanto sembri dura o sbagliata (l’esempio di Barty Jr). Questo è un concetto che
ancora oggi va applicato, ma senza dimenticare la giustizia.
» 9 – Ancora una volta,
l’ispirazione è Supernatural, con gli Spettri Vendicatori. Draco spiega
piuttosto bene cosa sono, ma lo ripeto per amor di chiarezza: come i fantasmi,
anche gli spettri tornano indietro perché hanno faccende in sospeso. In questo
caso, però, le loro faccende riguardano la morte e la tortura di chi
considerano colpevole. Ovviamente quella non
è Rosemary, anche perché lei non avrebbe mai portato rancore a Lucius.
Semplicemente, il Dàimon sapeva bene che Draco avrebbe reagito di più avendo
davanti lei, piuttosto che qualcun altro, esattamente come Hermione ha dovuto
essere spinta dal suo capo, che per lei è simbolo di grandezza giuridica.
» 10 – Dai, secondo voi non c’è una sedia delle torture nei
sotterranei del Manor?
» Alla fine dei conti, è grazie ad Hermione se il vecchio Lucius non è
crepato ad Azkaban anni prima. Credete che, se si sveglierà mai, riuscirà a
digerire la nuora? (Probabilmente non si sveglierà, ma non è importante ora).
Lei non ha detto nulla a Draco perché, come Theodore Nott (mi piace riabilitare
i Serpeverde, soprattutto dopo quello che hanno fatto al povero Theo in Cursed
Child) aveva immaginato ai tempi, sapeva che lui non l’avrebbe presa bene.
Forse dopo ne discuteranno e lui la ringrazierà, forse no. Chi li capisce sti
due è bravo.
» Ginny, mia piccola e dolce
guerriera. Questa ragazza ha resistito alla tentazione di far fuori la causa di
tutti i suoi mali ed è pure riuscita a dire due paroline alla signora in favore
di Hermione. Vi rendete conto di quante ne sta passando? Senza la famiglia alle
spalle, con un lavoro da portare avanti e con Harry che ogni giorno diventa più
debole. Io dico solo wow. E le sue
perle di saggezza finali? Evidentemente lei ha raccolto tutto il cervello della
famiglia.
In questo capitolo ho tirato fuori tutta la mia spocchiosità da futuro
avvocato, lo so, spero di non aver scritto un papello troppo pesante da digerire!
Vi siete addormentati tutti? No, perché i prossimi non saranno migliori. Posso anticipare che, a breve,
potrebbe saltar fuori la verità su quello che Ronald ha fatto alla povera
Hermione.
Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare in tempo! Buon Ferragosto a tutti,
anche a quelli che, come me, resteranno su di un divano a godersi la calma ed
il possibile fresco!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 28 *** Atto XVI - Parte IV/ Aristos Achaion ***
LoSpecchiodelleAnime.
“Ettore, forse credevi, mentre toglievi le armi a
Patroclo,
di farla franca, non avevi paura di me
che ero lontano,
sciocco! Pur lontano da lui, guerriero
molto più forte
in
riserva alle navi ricurve restavo io,
che t’ho piegato i ginocchi: di te
cani ed uccelli
faranno scempio, a lui sepoltura
daranno gli Achei”.1
[Achille – Iliade, Omero
(vv. 331-336)]
Atto
XVI – Parte IV
Aristos Achaion2.
«Mi dispiace, Maestro».
La voce dell’apprendista tremò, mentre si
inginocchiava davanti all’uomo incappucciato. Aveva temuto quel momento con
tutto il cuore, sapeva che prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con i suoi
fallimenti.
Semplicemente,
avrebbe preferito rimandare.
«Mi avevi
giurato che sarebbe stato facile» la voce fredda dell’uomo fece tremare le
sue ossa. Lo vide spostarsi intorno alla scrivania e si sentì morire.
Era giunta la fine della sua misera vita?
«Ho fatto ciò che ho potuto, Maestro, ma la Granger-» tentò di giustificarsi, fermandosi sentendo il
colpo di tosse del suo capo. Aveva voglia di piangere, ma sarebbe stato poco
utile e poco dignitoso. «Credo abbia notato le mie tracce».
«Non abbiamo molto tempo, allora. Da quanto tempo
non ci sono notizie di quei due?» domandò ancora lui, schiarendosi la voce.
Sembrava molto più stanco di quanto non fosse mai stato. Forse era un buon
segno, magari aveva contratto una qualche malattia rara ed era sul punto di
morire e porre fine al suo terrore.
«Due settimane, Maestro» rispose, cercando di non
alzare lo sguardo su di lui. Se avesse compreso la speranza con cui aspettava
la sua prematura dipartita? Aveva paura delle conseguenze. «Non sappiamo dove
sono, ma dubito siano andati lontano… i nostri uomini di guardia allo Specchio
non hanno ricevuto notizie. Potrebbero semplicemente essersi persi».
Il Maestro fece un verso sprezzante, intrecciando
le mani davanti al viso. «Se credi che possano essersi persi, li sottovaluti
così tanto da non meritare di lavorare al mio servizio. Non sottovalutare mai un Malfoy, hanno più vite di un
gatto e sono più furbi delle volpi. Quanto alla Granger,
in guerra è stata la mente del Golden Trio. Quella ragazza ha più sale in zucca
di tutti i miei seguaci messi insieme» sbottò, tossendo ancora una volta. Era
pallido, per quanto possibile. «No, non penso si siano persi. Staranno
certamente tramando qualcosa. Fai aumentare la guardia allo Specchio e manda
qualcun altro a cercarli».
Con una certa agitazione, l’apprendista si guardò
intorno, come in cerca di aiuto. I Mangiamorte presenti – spaventosi nei loro
abiti scuri e nelle loro maschere d’argento – restarono immobili, senza
sembrare disposti a concedere neppure un piccolo aiuto. Li guardò con stizza,
per un momento, ma cercò presto di ricomporsi. Gli occhi del Maestro non si
erano spostati dal suo corpo, pronti a giudicare qualunque debolezza. «Subito,
Maestro. C’è altro che posso fare, per tranquillizzarla?».
L’uomo sembrò riflettere per qualche istante,
prima di sospirare. «No, va bene così. Sono assolutamente certo che non avremo
ulteriori problemi, il mio piano è troppo perfetto».
No, non è
vero.
Avrebbe voluto urlarglielo in faccia, ma non lo
fece. Sarebbe stato soltanto un rischio in più per David, non poteva
permetterlo. Che quell’uomo orribile si crogiolasse nel suo egocentrismo.
La speranza che la Granger
e Malfoy riuscissero nel loro intento fece sorridere l’Apprendista. Avrebbe
certamente trascorso il resto della vita ad Azkaban, se davvero li avessero
scoperti, ma l’avrebbe fatto volentieri.
Tutto, pur di far sì che quell’uomo avesse il
trattamento che meritava.
«Come desidera, Maestro» disse comunque, alzandosi
in piedi ed inchinandosi leggermente. «Riferirò gli ordini».
Lasciata quella stanza buia, tirò un sospiro di
sollievo.
Doveva
farlo per David. 3
***
Il ringhio del leone la fece trasalire, se riuscì
a trattenersi dall’urlare fu soltanto per orgoglio. Draco, diversamente da lei,
non sembrava turbato da ciò che avevano sentito, tutt’altro. Il suo sguardo, sentendo
quel suono, si era fatto ben più attento e – lei quasi non gli assestò un
cazzotto, quando capì – felice.
C’era la possibilità che un leone o una creatura peggiore li attendesse nel buio del corridoio
e lui aveva il coraggio di rallegrarsene.
Assurdo.
«Si può sapere cosa trovi così divertente?» gli
domandò, con un sibilo ansioso, aggrappandosi al suo braccio e guardandosi
intorno freneticamente. «E non provare a negare, Malfoy, lo vedo quel sorrisino
sulla tua stupida faccia. Quello era un ruggito»
gli fece notare, forse temendo che lui non avesse sentito bene.
Lui, incurante di essere sul punto di ricevere un
pugno in faccia, rise apertamente. «Mi sorprendi, mon Ange, tu non eri forse una figlia del leone? Voi Grifondoro siete
sempre così fieri del vostro simbolo… dovresti gioire all’idea di poterne
incontrare uno dal vivo» le fece notare, schivando per un pelo lo schiaffo di
lei. Rise più forse, dandole un buffetto gentile sul braccio. «Non prendertela,
davvero. Sono tranquillo solo perché so
che quello non è un vero ruggito da leone».
Accigliata, Hermione si voltò a guardarlo. «Come
fai a saperlo?» gli domandò, mentre le sue sopracciglia scure si arcuavano di
più. «Se stai per dirmi che da piccolo hai avuto un leone di compagnia, giuro
che mi metterò a gridare» lo ammonì, sentendo una certa angoscia crescerle nel
petto. Il fatto che evitò completamente la prima affermazione di lui avrebbe
dovuto far suonare un qualche campanello d’allarme, ma Hermione sperò di
passarla liscia.
La verità era che provava un terrore assoluto per i leoni. Fin da bambina, il
solo vederne uno su National Geographic la riempiva di così tanto terrore da
spingerla a nascondersi dietro il divano. Il giorno in cui aveva scoperto che
il simbolo di Grifondoro fosse proprio quell’animale,
sperò con tutta se stessa di essere smistata il più lontano possibile.
Naturalmente, la buona stella non l’aveva
ascoltata.
Col senno di poi, non avrebbe saputo dire se fosse
stato un bene oppure un male.
«Niente di tutto ciò, Malfidata-Granger» le disse, lanciandole
uno sguardo storto. «Ho passato due anni in Africa, per le mie ricerche. Il
ruggito dei leoni nella Savana è stato la mia sveglia per un bel po’ di tempo»
spiegò, ridacchiando quando lei impallidì e deglutì. «Vuoi dirmi che ti prede?
Hai affrontato un Ubir4a
sangue freddo, un leone deve essere una passeggiata. Per Merlino, è stato una passeggiata per me» aggiunse, estremamente esasperato.
Punta sul vivo, Hermione strinse le labbra ed
arrossì di colpo. «Beh, Harry ha paura dei piccioni5, i leoni sono
giustificabili» si difese, prima di sgranare improvvisamente gli occhi. Aveva
appena detto qualcosa di orribile, il suo migliore amico non l’avrebbe mai
perdonata, se l’avesse saputo. «Ti prego, non dirgli che te l’ho detto».
Dal canto suo, Draco sembrava esser rimasto
bloccato alle prime parole di lei. «Piccioni?» ripeté, infatti, con le
sopracciglia sollevate. «Mi stai dicendo che Potter, il Bambino Sopravvissuto, ha paura dei piccioni? Il ragazzo che ha affrontato Tu-Sai-Chi e il suo dannato
serpente-».
«Beh, il serpente l’ha ucciso Neville, in realtà»
gli fece notare Hermione, accigliata. «Comunque sì. Sono fobie e tu non puoi
permetterti di prenderlo in giro, ok? Se mai dovesse svegliarsi, ovviamente»
pronunciare le ultime parole fu difficile, per lei, nonostante avesse iniziato
a venire a patti con la possibilità che avrebbe perso Harry per sempre. Era una
lezione che aveva dovuto imparare, quella di non riporre troppe speranze nelle
miracolose guarigioni.
Draco, probabilmente conscio delle sue emozioni
contrastanti, le passò un braccio intorno alle spalle e strinse leggermente.
«Non preoccuparti, non gli dirò nulla. Ho idea che io e Potter» pronunciò quel cognome con la stessa spocchia che usava da
ragazzino, tirando fuori anche la smorfia abbinata6, «dovremo
passare molto tempo insieme. Se voglio avere una pacifica vita coniugale, tanto
vale sotterrare da parte l’ascia di guerra».
Vita
coniugale. Quelle parole rimbombarono fra le pareti del cuore di Hermione
come un incantesimo in una stanza piena di specchi. Avrebbe voluto tirar fuori
una qualche risposta carica di sarcasmo, ma non ci riuscì. Quel maledetto luogo
ed il vincolo alla verità le impedivano di mentire, anche soltanto una bugia
per amor di ironia.
«Non ho ricevuto alcuna proposta e non ho
accettato nulla, parlare di vita coniugale mi sembra un po’ affrettato» gli
fece notare, allora, tossicchiando per schiarirsi un po’ la voce. Sentiva un
calore, nel petto, che per poco non la soffocò. «Oltretutto, non sappiamo
neppure se riusciremo ad uscire di qui sani e salvi» mormorò, scuotendo
leggermente il capo. «Soprattutto, non sappiamo se ne verremo fuori mentalmente sani» puntualizzò,
lanciandogli un’occhiata preoccupata.
«Ah, Mezzosangue, secondo me ti preoccupi troppo»
ribatté lui, tranquillo. Da quando avevano lasciato il Tribunale, sembrava
essersi convinto che il peggio fosse passato. Ma lei non concordava affatto: il
peggio doveva ancora arrivare. «Quando usciremo di qui, ricordami di portarti
in vacanza da qualche parte, così potrai rilassarti un po’. La futura madre dei
miei figli non può stressarsi in questo modo».
Nonostante desiderasse dire qualcosa di molto
cattivo su tutta la storia della futura
madre dei suoi figli, Hermione non riuscì a dire nulla. «Sei davvero
ottimista, lo sai?».
«Davvero
troppo ottimista» disse qualcun altro, lo scherno nella voce, proprio
dietro di loro. Quando si voltò, Hermione si convinse di aver appena incontrato
l’uomo più bello mai passato per la faccia della terra.
Alto, muscoloso quanto bastava, con lunghe gambe
snelle, favolosi capelli color dell’oro e profondi occhi azzurri. L’uomo – o Dàimon? – sorrise, poggiando una
spalla alla parete di marmo ed incrociando le braccia al petto, mettendo
involontariamente in evidenza i bicipiti ben definiti. Hermione si sentì quasi
mancare, osservandolo, e dovette far leva su tutta la sua forza di volontà per
non iniziare a sbavare come una sciocca.
Ulisse era bello, per carità, ma quell’uomo era
l’incarnazione di Eros molto più di quanto non lo fosse Malfoy. Oltretutto non
indossava la tunica greca ma degli abiti che sembravano appena usciti da una
casa di alta moda.
Alla strega tremarono le gambe.
«Ho idea di conoscere già la tua identità» si
lagnò proprio Draco, facendo una smorfia. «E dimmi, principe di Ftia, per quale motivo io non dovrei essere ottimista?»
chiese, inarcando le sopracciglia.
Principe
di Ftia, aveva detto.
Hermione fu sul punto di inspirare bruscamente,
quando comprese.
Achille.
«Perché non
è mai esistito un eroe che sia stato felice7» intervenne
un’altra voce, questa volta dalla loro destra, con un tono ironico e carico di
una tristezza profondissima e tanto, troppo dolore. Voltandosi, Hermione si
trovò davanti ad un uomo davvero enorme,
pieno di muscoli in luoghi in cui lei non credeva neppure ci fossero muscoli che, tuttavia, non sdiceva, apparendo
proporzionato nel su strano modo. Aveva lunghi capelli rossicci ed un gran bel
mento marcato. Era vestito alla greca ed aveva un mantello fatto di pelliccia
che – Hermione ne era abbastanza certa – doveva esser appartenuta ad un leone.
Il leone
Nemeo.
«Eracle» salutò Draco, piegando leggermente il
capo. «Non hai portato la clava? Sono abbastanza deluso, pensavo fosse la tua inseparabile
amica» aggiunse, divertito, senza farsi intimorire dall’occhiata cupa che
l’eroe gli dedicò.
«Se vuoi vado a prenderla, piccolo umano» gli
rispose allora quello, con una smorfia. Poi, seccato, alzò gli occhi su
Achille. «Questo qui ti somiglia. Tutti e due biondi, fastidiosi e
presuntuosi».
Achille, tranquillo, si strinse nelle spalle,
incantando Hermione con quel singolo movimento. «Allora potrebbero avere
qualche possibilità di sopravvivere» gli fece notare. «Un minimo di cervello,
in questa missione suicida, non può che aiutarli. Agitare la clava non basterà,
questa volta».
Il grugnito con cui Eracle gli rispose avrebbe
fatto sorridere Hermione, se non fosse stata terrorizzata da ciò che avrebbe
dovuto affrontare in breve tempo. I più grandi eroi della storia greca erano
lì, davanti a lei, e dovevano presentare loro delle prove che avrebbero potuto
distruggere il loro fragile equilibrio mentale.
«Un minimo
di cervello, disse l’uomo dal tallone fragile, andato in guerra con i sandali».
«Era la moda dell’epoca, per l’amor di Zeus,
perché devi sempre tirare fuori questa storia?».
Draco, decisamente non divertito da tutto quel
battibecco, si schiarì la voce ed attirò l’attenzione dei due. «Non vorrei
certo interrompervi, ma noi abbiamo più o meno ventiquattro ore per superare le
vostre prove ed impedire che il mondo ci collassi sotto ai piedi. Se per voi
non è un problema, gradirei conoscere il mio destino» disse, sarcastico,
incrociando le braccia al petto. Lanciò uno sguardo tagliente ad Hermione, come
a chiederle di mettere da parte gli ormoni e darsi una svegliata.
Dal canto suo, lei non poteva certo dargli torto.
Se davanti a loro ci fossero state due ragazze belle quanto quei due,
probabilmente avrebbe tenuto lo stesso atteggiamento del suo accompagnatore.
Quando era passata dal non riuscire ad avvicinare
un uomo a non riuscire a togliere gli
occhi di dosso ad un uomo?
Era tutta colpa di Malfoy, ne era più che certa.
Avrebbe dovuto aspettare qualche settimana prima di darle un metaforico calcio
nel sedere e mostrarle quanto amore potesse ancora ricevere, nonostante tutto.
«Il biondo ha ragione» convenne Eracle, con un
sospiro rassegnato, avvicinandosi ai due, la pelliccia di leone che ondeggiava
leggermente alle sue spalle. «Dovrete affrontare una prova, forse la peggiore
di tutte, e la affronterete entrambi. Una prova che neppure i migliori sono
riusciti a superare».
«Beh» Achille,
punto sul vivo, lanciò uno sguardo irritato all’altro uomo. «Se proprio
vogliamo essere pignoli, io la mia l’ho superata, alla fine, e sono stato anche
piuttosto-».
«Oh, sì, l’hai superata benissimo. Dimmi un po’, per quanto tempo hai trascinato il corpo
di Ettore come un sacco di patate?» sbottò Ercole, vagamente irritato da quella
interruzione. Sbuffando, si voltò verso Hermione e Draco, cercando di placare
la sua espressione bellicosa. Era spaventoso, nessuno avrebbe potuto negarlo,
ma era anche terribilmente triste e lei non riusciva a non provare pena per
lui. «Questa è una prova terribile e nessuno potrà mai farvi una colpa, se non
la superate. State mettendo in gioco qualcosa di ben più caro della vostra
vita, il fallimento sarà comunque causa di onore e gloria per voi».
«Nessuno sa che siamo qui» gli fece notare
Hermione, che trovava molto più semplice parlare con lui e non con Achille,
troppo bello per essere umano. «Nessuno scriverà canzoni sulle nostre gesta e
nessuno costruirà monumenti. Se falliremo, il mondo saprà che abbiamo fallito,
tutto qui» le parole lasciarono le sue labbra con ben più stizza di quanto lei
avrebbe desiderato, cosa che fece sorridere amaramente il biondo eroe.
«Se ce la farete, però, nessuno potrà sapere cosa
avete affrontato qui. Nessuno potrà sapere dell’Arazzo e di noi Dàimones. In
ogni caso, la gloria sarà difficile da ottenere» le fece notare proprio lui,
con un tono più adulto di quello usato fino a quell’istante. «Superare la prova
potrebbe farvi perdere ciò che avete di più prezioso al mondo e allora, posso
assicurartelo, la Gloria non avrà più alcuna importanza, per voi».
Sta
parlando di Patroclo, realizzò Hermione, sentendo una stretta al
cuore. Per vincere la guerra, Achille aveva dovuto perdere il grande amore
della sua vita, morendo a sua volta in poco tempo. Si voltò quindi verso Draco,
quasi a voler controllare che lui fosse ancora al suo fianco, che stesse ancora
bene. Incontrare i suoi occhi grigi la tranquillizzò solo in parte: l’immagine
della sua anima che gli veniva strappata a forza dal Dissennatore era ancora
marchiata a fuoco nella sua memoria.
Se
dovessi perderlo, dovrei salvare comunque il mondo e allora la Gloria non mi
servirebbe a nulla.
«Cosa dobbiamo fare?» chiese quindi Draco,
improvvisamente nervoso. Che avesse avuto lo stesso pensiero di Hermione? «Se
si tratta di una prova che entrambi avete fallito, comincio sinceramente a
preoccuparmi».
«Ciò che ci ha distrutti è stato il nostro difetto
mortale» iniziò Eracle, una strana tensione nella voce. «Il mio difetto è stato
la fiducia malriposta, il suo è stato l’orgoglio». I suoi occhi indugiarono su
Hermione e Draco per un tempo che parve interminabile, poi sorrise. «Quali sono
le vostre debolezze?».
«Una volta attraversata quella porta» continuò
Achille, indicando i grandi battenti che si stagliavano alle loro spalle,
«sarete voi due contro i vostri peggiori demoni. Ricordate che i difetti
mortali non possono essere vinti. Semplicemente, dovrete accettarli per come
sono ed imparare a conviverci, andare oltre.
Tutti ne abbiamo almeno uno ed è quello che, in uno scenario relativamente
apocalittico, conduce alla morte».
Hermione, sentendo un peso nello stomaco, annuì.
Era una storia che aveva già sentito. «Ercole, tu ti sei fidato nel lasciare
solo il centauro Nesso, che ha spinto tua moglie ad avvelenarti, mentre lui…» e
si voltò verso Achille, intento a fissare le porte precedentemente indicate.
«Mentre tu hai portato Patroclo in battaglia, troppo orgoglioso per dimenticare
lo sgarbo di Agamennone». Con un sorriso triste, allora, si voltò verso Malfoy.
«Il difetto di Harry, invece, è il voler fare tutto da solo. Se avesse parlato
con qualcuno dei suoi sintomi prima
di cadere in trance, avremmo potuto aiutarlo. Questa volta come tante altre»
convenne, con un sospiro. «Sei pronto, Draco?».
Lui, che non le aveva tolto un momento gli occhi
di dosso, si limitò ad annuire.
«Non abbiamo molta scelta, ormai».
***
Era stato Achille ad accompagnarli oltre la
soglia, il viso da divinità contratto in una smorfia preoccupata. Hermione,
naturalmente, non aveva fatto altro che lanciargli occhiate che andavano ben oltre
la curiosità, con grandissimo disappunto di Draco. Nonostante non potesse darle
torto – anche lui doveva ammettere che quel giovane uomo fosse assolutamente meraviglioso – non riusciva a far a meno
di essere geloso. Lui non aveva mai ricevuto tante attenzioni, da lei.
Non che
avessero avuto molte occasioni, da quando le cose si erano chiarite.
«Avete conosciuto Patroclo, immagino» mormorò
l’eroe, dopo qualche minuto di silenziosa camminava, lanciando ad entrambi uno
sguardo storto. Draco riconobbe lo scintillio in quegli occhi chiarissimi e,
per un istante, dimenticò qualunque astio. Nostalgia.
«Vi ha avvertiti di non prestarmi troppe attenzioni? Di solito è la prima cosa
che dice ai nostri visitatori».
Con sua stessa meraviglia, Malfoy si ritrovò a
sorridere. «Non ci ha detto nulla di te, in realtà. Stanotte farai bene a
tirargli le orecchie, dopo millenni potrebbe aver iniziato ad averne abbastanza
di te» gli disse, divertito, schivando per un pelo la gomitata che Hermione aveva
tentato di assestargli. Guardandola con esasperazione, si sorprese nel notare
quanto triste fosse il suo sguardo.
A chiarire i suoi dubbi fu lo stesso Achille.
«Noi non ci vediamo dalla venuta di Alessandro
Magno»8 disse infatti lui, con un tono così freddo da far venire i
brividi. Era figlio di una dea del mare,
secondo il mito. «Non credo ne abbia abbastanza, di me, ma piuttosto che
possa aver iniziato a dimenticarmi». La sofferenza, nella sua voce, era
affilata come un coltello. Hermione, al suo fianco, gli strinse il braccio in
una presa micidiale, come a volergliela far pagare per quel dolore evidente in
ogni movimento dell’eroe.
«Non potrebbe mai dimenticarsi di te» gli disse
infatti, la voce piena di dolcezza e compassione. «Siete innamorati, il vero
amore non è qualcosa che il tempo può lenire, non credi anche tu? Dopotutto, è
per amore che siete morti, entrambi».
«Io non sono morto per amore, mia cara». L’eroe le
sorrise, un po’ più rilassato, ma con le spalle ancora molto rigide. «Ho ucciso
Ettore per vendetta ed ho continuato a combattere perché, a quel punto, era
l’unico modo che avevo per farla finita» ammise, scuotendo leggermente il capo.
«Lui è sempre stato molto più coraggioso di me, lui è morto per amor mio e per evitare sofferenze continue ai
nostri uomini. Era Patroclo il vero AristosAchaion, il migliore di tutti i greci».
«Ma tu eri il più forte» gli fece notare Draco,
cercando, forse, di essere incoraggiante. Non era mai stato il suo forte,
l’incoraggiamento. Molto più facile aggirare il problema e lasciare che qualcun
altro – la Granger, per esempio – se ne prendesse
cura. Lei, però, sembrava un po’ troppo presa dalle emozioni e non pareva
intenzionata a fare il suo lavoro.
«Era destino che succedesse».
«Ah, il destino» commentò Achille, con un sorriso
amaro. «Le profezie sono soltanto scherzi che le divinità giocano ai poveri
mortali. Hanno rovinato molte più vite di quante non ne abbiano salvate».
Hermione, concorde, annuì. «Oltretutto,
Divinazione è una branca della magia che io proprio-».
Draco.
Improvvisamente, Malfoy si fermò, le orecchie tese
a captare qualunque suono potesse provenire dalle sue spalle. Aveva sentito
piuttosto distintamente qualcuno chiamare il suo nome, ma, voltandosi, non
aveva scorto nessuno. Fece per tornare sui suoi passi, ma il richiamo tornò,
ben più chiaro di prima.
Draco,
cosa stai facendo?
Lui conosceva quella voce. La conosceva e l’idea
che la sua prova potesse riguardare quella persona anche solo lontanamente gli
fece venire i brividi dal terrore. La nausea, sempre presente quando quella questione veniva riportata alla
sua attenzione, ruggì improvvisamente dalla bocca del suo stomaco.
Sei
davvero un bambino cattivo!
Era lei, non c’erano dubbi al riguardo. Come
trascinato da una mano invisibile, insensibile ai richiami sempre più
preoccupati di Hermione, si ritrovò a seguire il suono lungo una cavità nella
parete che non era riuscito a notare prima. Il marmo bianco rifletteva la luce
della sua bacchetta creando degli strani giochi sul soffitto, quasi ci fosse
stata dell’acqua proprio sotto i suoi piedi.
Acque
gelide di un lago in inverno, si ritrovò a realizzare
sentendo l’orrore crescere in lui ad ogni battito cardiaco accelerato. Anche
l’aria iniziò a cambiare, il suo respiro si condensò ed un fastidioso profumo
di bosco invernale gli arrivò alle narici, mentre una luce grigiastra iniziava
a circondarlo.
Il sole
di una cupa mattinata d’inverno, quando la neve era ancora troppo fresca ed il
ghiaccio troppo tenero.
«Draco?».
Hermione ed Achille, alle sue spalle, avevano
assistito alla trasformazione di quel luogo. Da un cupo e buio corridoio, si
erano ritrovato a calpestare l’immacolato manto bianco che aveva ricoperto
Malfoy Manor nell’inverno del 1987. Le mura scure del
palazzo sembravano meno inquietanti di quanto non fossero mai state prima, gli
alberi spogli sembravano ricoperti di batuffoli di cotone e due bambini – un
maschietto ed una femminuccia – giocavano allegri vicino la riva del piccolo
lago ghiacciato.
«Non voglio rivederlo», fu tutto ciò che Draco si
sentì di dire, sentendo delle dita gelide arpionargli la gola per impedirgli di
parlare. Il suo primo istinto era stato quello di cercare una via di fuga, ma,
voltandosi, non ne aveva trovate. Non c’era modo di tornare nel corridoio buio.
Allora, ignorando completamente gli occhi scuri e preoccupati della donna che
amava, si voltò verso l’eroe. «Ti prego, non voglio rivederlo».
Achille, il viso fermo in un freddo disappunto, si
limitò a scuotere il capo. «Questa è l’unica via, Draco. Affronta il tuo più
grande difetto e allora sarai libero»
gli disse, indicando con un cenno la coppia di bambini. Poi, accennando un
lieve sorriso, indicò Hermione. «Non devi essere da solo, però. Non questa
volta».
Dal canto suo, la strega sembrava sul punto
d’avere una crisi d’ansia. Si stava torturando le mani, alternando lo sguardo
fra i bambini e Draco stesso, come in cerca di una qualche spiegazione.
Mi amerà,
dopo aver saputo?
Il rischio era immenso, ma le conseguenze della
sua codardia lo sarebbero state molto di più. Non poteva permettere che il
mondo finisse nuovamente fra le mani di Lord Voldemort – o dei suoi nuovi
accompagnatori – e che tutte le persone che amava tornassero a vivere nel
terrore che lui e tanti altri avevano
conosciuto.
Non ci sarebbero
più state altre Rosemary Crave.
Senza sembrare voler dire nulla, Draco fece cenno
ad Hermione di seguirlo, avviandosi verso il lago. Ogni passo gli sembrò
pesantissimo, insopportabile. Il gelo della neve lo stava torturando, ma non
poteva permettersi di fermarsi, altrimenti avrebbe perso tutto il suo coraggio.
«Chi sono quei bambini?» domandò quindi lei,
indicando la coppia. A quella distanza, si vedeva chiaramente che la
femminuccia dovesse essere un po’ più grande, anche se non di molto. Tre anni, per la precisione. «Il
maschietto… sei tu» continuò lei,
portandosi la mano alle labbra, una volta riconosciuta la sua versione più
giovane.
«Avevo sette anni» le disse, inumidendosi poi le
labbra. Non sentiva davvero freddo, ma era come se quei fiocchi di neve fossero
penetrati direttamente nelle sue ossa. «Questa era la prima nevicata dell’anno,
l’avevo aspettata con impazienza» le rispose, provando l’irrefrenabile
desiderio di avvicinarsi al piccolo se stesso e darsi un colpo dietro la nuca
un attimo prima di avere la geniale idea di provare qualcosa di nuovo.
«Eri molto carino, anche se, probabilmente,
spocchioso come sei ora» gli fece notare la Mezzosangue, forse tentando di mantenere
i toni leggeri, affiancandolo ed indicando la bambina. «Lei chi è? Ha qualcosa
di familiare».
«Si chiamava Vega» mormorò Draco, mentre le dita
gelide chiudevano di più la presa sulla sua gola. «Vega Lestrange9,
la figlia di mia zia Bellatrix». Il silenzio che
seguì alle sue parole l’avrebbe fatto sorridere, se non fosse stato sul punto
di piangere. «Avrebbe iniziato Hogwarts a settembre, non faceva altro che
parlarne. Nonostante il corredo genetico marcio, lei era solo una bambina,
Mezzosangue, non puoi portarle rancore per i gesti di sua madre» le fece
notare, sentendosi un po’ colpito. Sì, era figlia di Mangiamorte, ma dopotutto
lo era anche lui, lo era anche Merrick e lo era
Theodore Nott, che era diventato uno dei migliori
avvocati della Comunità Magica.
«Non le porto rancore, è innocente» fu la risposta
che ottenne da Hermione, più tranquilla di quanto avesse immaginato. «Ero solo
sorpresa che qualcuno così simile a Bellatrix potesse
sembrare innocuo» specificò,
scuotendo il capo. «Andromeda le somiglia molto, ma lei è un po’ inquietante» aggiunse, con un leggero sorriso, per poi
tornare a concentrarsi sui bambini. «Deduco che sia morta, non ho mai sentito
parlare di lei».
Sentendo un peso nello stomaco, Draco annuì. Il
suo doppione più giovane era appena saltato giù da un ramo ed era atterrato
sulla superficie ghiacciata del ghiaccio. Anche da quella distanza, gli sembrò
di sentire uno scricchiolio sinistro. Con orrore, vide Vega arrampicarsi a sua
volta, incurante della pericolosità delle sue azioni.
«Ero piccolo ed ero stupido, credevo che fosse un
gioco divertente» mormorò, senza riuscire a staccare gli occhi da quella scena.
«Vega era più grande di me, era venuta al Manor per
le vacanze di Natale e mia madre le aveva chiesto di controllarmi. “Non servono gli elfi, zia”, le aveva
detto, e mi aveva trascinato fuori» con mano tremante, indicò il ramo
dell’albero su cui la bambina era ormai salita, stranamente scricchiolante.
«Credevamo fosse divertente» ripeté, agonizzante. In quell’istante, il ramo si
spezzò e la bambina atterrò, con un tonfo, sulla superficie ghiacciata. «Il
ghiaccio era troppo sottile, per reggere tutto quel peso» continuò, proprio
mente una voragine si apriva sotto la rampolla di Bellatrix
e RodolphusLestrange,
priva di sensi.
«Per Merlino…» il sussurro di Hermione fu solo
benzina sul fuoco del rimorso che gli ardeva nel petto. Sentire improvvisamente
la sua mano nella sua, però, fu una piacevole sorpresa.
Lei
ancora non sapeva.
«Sono scappato» ammise alla fine, mentre la
bambina spariva sotto la coltre di ghiacci ed il suo piccolo doppione correva
via, come se avesse avuto il diavolo alle calcagna. «Sono corso in casa, c’era
soltanto mia nonna… non è arrivata in tempo. Quando è tornata in casa, con il
corpo di Vega fra le braccia… ricordo solo di esser stato schiaffeggiato e di
aver sentito, per la prima volta, la più grande fra le verità».
«Quale?».
«Sono indegno del mio nome, sono indegno del mio
sangue. Avrei potuto fare qualsiasi cosa, per aiutarla, ma ho preferito
scappare via, preoccupato che potessero darmi la colpa per il ramo spezzato. Non sono stato abbastanza bravo per aiutarla e mia cugina è morta». Il suo
doppione stava ancora correndo verso il Manor, ma di
Vega non c’era più traccia. Una strana consapevolezza aveva iniziato a
nascergli nel petto, una possibilità che non aveva tenuto da conto. «Ho giurato
a me stesso che avrei sempre fatto la cosa giusta¸
ma per tanto tempo ho visto il giusto nelle idee sbagliate» ammise, stringendo
la presa sulla bacchetta che Ollivander gli aveva
riparato. «Non sono stato abbastanza bravo neppure in quello. Non sono degno di nulla».
«Draco» la voce di Hermione era carica di urgenza,
la presa della sua mano era ferrea. Gli occhi scuri lo osservarono per un lungo
istante, prima di puntarsi verso il lago. «Tutti facciamo degli errori e da
questi impariamo. Eri un bambino, non avresti potuto fare altro. Eri un bambino
anche quando ti indicavano che strada seguire. Ma adesso sei un uomo» la determinatezza con cui pronunciò quelle parole gli
fece provare un brivido. «Adesso puoi
essere degno, se lo vuoi. Adesso puoi
essere abbastanza. Puoi essere il
migliore» continuò, indicando il lago. «Non è vero che non sei abbastanza
bravo, perché ora tu puoi salvarla».
Salvarla.
L’idea della Mezzosangue era così balzana da poter
effettivamente funzionare. Lui era
diventato forte. Lui sapeva di esser
responsabile per una vita umana, non per uno stupido ramo. Non avrebbe più dovuto vergognarsi di se stesso, se avesse rimediato ai
suoi errori.
Si rese conto di aver iniziato a correre verso il
lago solo quando le acque gelide gli accarezzarono le caviglie, ma non si
fermò. L’abbraccio dei ghiacci fu soltanto un incentivo nel nuotare più
velocemente, nel cercare meglio. Era stato un buon cercatore, anche se la vista
l’aveva abbandonato, e nessuno era bravo a scorgere dei piccoli bagliori meglio
di un cercatore.
Quando la sua mano si strinse sul piccolo braccio
di Vega, tutti gli anni di abusi, tutti gli anni di insulti da parte dei suoi
parenti e di se stesso scivolarono via, come l’acqua sul suo corpo una volta
riemerso. Scivolarono via, come la vergogna che lo aveva sempre seguito come
un’ombra.
Lui non era inutile,
non più.
Non era indegno del suo nome.
Il sorriso che Hermione gli dedicò, quando riuscì
a reinnervare la bambina, fu la conferma migliore che
avesse mai potuto avere.
Lui era
diventato migliore, lui meritava di esser felice, nonostante il suo passato
oscuro.
Mai come in quel momento desiderò di potersi
inginocchiare e chiederle di amarlo, sposarlo, renderlo padre e vivere il resto
della loro meravigliosa vita insieme.
Lui era
degno.
E non avrebbe permesso a nessuno Specchio di
portargli via ciò che aveva appena guadagnato.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri
aggiornamenti!
Achille ed Ercole vecchia coppia di sposi
sono il pane della mia vita.
Immaginate il primo
come una versione più figa di Brad Pitt (molto più giovane, oltretutto)
e il secondo in una versione umana e grossa dell’Hercules Disney! Con un
bel mento marcato.
» 1 – Ovviamente, abbiamo una citazione dell’Iliade. Perché la morte di Ettore?
Ma, ovviamente, perché è il punto in cui Achille è stato il migliore, il punto
in cui avrebbe dovuto sentirsi carico
d’orgoglio, quando in realtà voleva soltanto vendicare l’amore perduto. Non c’è
orgoglio, in una cosa simile.
» 2 – Viene dall’Iliade, è la versione greca di “Il migliore dei
greci”. È il titolo riconosciuto ad Achille, ma, come dirà lui stesso verso la
fine del capitolo, Patroclo dovrebbe meritarlo.
» 3 – Sono stata brava, sono fiera di
me stessa, sono riuscita a mantenere le cose neutrali e non vi ho dato neppure
un indizio sull’identità di Apprendista e Maestro. Ahah.
E chi è questo David? Boh!
» 4 – Riferimento alla creatura incontrata durante il viaggio ad Istanbul,
nel capitolo 18.
» 5- Tecnicamente è uno spoiler per Cursed Child.
Chi volesse sapere altro su questa schifezza immonda considerata canon e sul mio punto di vista, può leggere “I chooseyou”, la mia one-shot su Scorpius e Albus. Oppure leggere solo il Marnie’s
corner, che credo spieghi bene tutto!
» 6 – La faccia è questa. Ho
cercato la gif in cui proprio c’era il sottotitolo
“Potter” ma non l’ho trovata! Insomma, la conosciamo tutti quella faccina schifata :’)
» 7 – Citazione più o meno precisa dal libro “La canzone di Achille”, che
io credo di aver già nominato in qualche nota e che ADORO. E no, non sto esagerando, io ho una vera venerazione per
quel libro. La frase simile è stata detta da Achille a Patroclo, prima di
promettergli di fare di tutto per diventare il primo eroe felice. Ovviamente,
non ce l’ha fatta.
»8 – Questa devo spiegarla. Nel capitolo introduttivo dei Dàimones, si sono
visti sei troni diversi, con sei corone. Praticamente i sei Dàimones si
incontrano soltanto quando qualcuno supera le prove e solo per il tempo
necessario a quest’ultimo per fare la domanda all’Arazzo. Considerando che
Alessandro ha impedito che altri trovassero quella strada, Achille e Patroclo
non si incontrano da duemila anni. Ditemi se non è una cosa bruttissima e se
anche voi mi odiate quanto mi odio io. Dalla serie: mai una gioia.
» 9 – Sì, un altro OC. Dopo Cursed Child *ALLARME SPOILER*, quando è saltato fuori che
Voldemort ha avuto una figlia con Bellatrix (cosa
raccapricciante e totalmente insensata nella saga, rimando sempre alle note
dell’altra mia OS), io ho deciso che non mi andava bene e che se proprio doveva
avere figli, questi dovevano essere legittimi. La cuginetta, dopo
l’incarcerazione della mamma, ha vissuto con Nonna Black finché non è affogata,
quindi non ha fatto danni. Bellatrix, che già era
fuori di testa, è impazzita di più ed ha sempre finto che Vega non fosse mai
esistita.
» Draco, essenzialmente, ha affrontato il suo segreto più oscuro, quello di
cui neanche il dottor Crave sapeva niente, motivo per
cui non è mai riuscito ad aiutarlo davvero. Draco si è sempre sentito stupido,
inutile ed indegno (soprattutto indegno di Hermione), cosa che l’ha toccato
tantissimo a livelli profondi della sua anima. Adesso che questo segreto è
venuto a galla, che lei lo ha saputo
e lo ha accettato, anche lui può davvero sentirsi degno e non più un miracolato
ad ogni sguardo o attenzione della ragazza. È una psicologia alla Pavlov, lo
so, ma è solo un mattoncino del muro di problemi che Draco ha avuto, fin dall’infanzia.
Un simbolo, diciamo.
» Piccolo appunto: Eracle e non Ercole, perché? Eracle è la versione greca,
che è quella che prendo da riferimento. Lui tornerà meglio nel prossimo
capitolo, con un faccia a faccia con il caro
ricordo di Ronald. La prossima è Hermione, gente, il momento è arrivato.
Sono stata massacrata dallo studio, la settimana scorsa, ed ho davvero
temuto di non poter pubblicare in tempo. Fortunatamente, però, ce l’ho fatta!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 29 *** Atto XVI - Parte V/ Gloria della Madre ***
Lo Specchio delle Anime
LoSpecchiodelleAnime.
“Hello, it's me
I was wondering if after all these years you'd like to meet
To go over everything
They say that time's supposed to heal ya
But I ain't done much healing”.1
ATTENZIONE: Scene leggermente crude verso la fine
del capitolo, soprattutto se siete un po’ sensibili. Possibili riferimenti ad
atti di violenza e aborto.
Atto
XVI – Parte V
Gloria della Madre.2
Sapeva cosa avrebbe dovuto affrontare ben prima che Eracle
arrivasse al suo fianco, il viso gentile colmo della tristezza di chi aveva
subito un dramma molto simile. L’aveva saputo nell’esatto istante in cui
l’avevano avvertita che avrebbe affrontato il suo difetto fatale, perché non
c’era nessun altro orrore nel suo passato che fosse più grande di quello.
Che fosse più grande di Ronald.
«Ce la faremo, Hermione» le aveva detto Draco, quando
avevano ricominciato a muoversi lungo il corridoio di marmo, la mano ancora
stretta nella sua ed il viso ancora chiazzato di rosso dopo il salto nell’acqua
gelida. I suoi occhi erano così pieni di speranza che, per un momento, lei si
sentì terribilmente in colpa. Lui non aveva idea. «Insieme possiamo fare
qualunque cosa».
Non ci sarebbe stato alcun insieme, una volta che
il suo momento fosse giunto. Non ci sarebbe stato più un noi,
probabilmente.
Rivederlo l’avrebbe uccisa.
«Come è stato?» la domanda, così improvvisa che lei stessa
non realizzò immediatamente di averla posta, colse di sorpresa sia Draco che
Eracle, cui lei si era rivolta. Il suo sguardo triste sembrò attraversarla, ma
non le rispose.
«Di cosa stai parlando?» chiese quindi Malfoy, alternando
lo sguardo fra lei e l’eroe, sempre più accigliato. Non doveva essergli
piaciuto il modo in cui l’aria si era improvvisamente raggelata. Lui,
diversamente da Ron, era sempre stato abbastanza bravo a captare i cambiamenti
d’atmosfera. Doveva esserlo, considerando il lavoro che lo aveva
impegnato in quegli anni. «Hermione?».
«Vuole sapere com’è stato uccidere la mia famiglia» rispose
l’eroe, senza guardare nessuno dei due, il mento alto ma la testa quasi
incavata fra le spalle in una posa quasi difensiva. Si stava difendendo dai
suoi ricordi o dai fantasmi del passato che ancora lo tormentavano? «Com’è
stato perdere la ragione e sterminare mia moglie ed i miei tre figli3» continuò, la voce improvvisamente rasposa, stentata.
Dolore e rimpianto lo circondavano come una seconda pelle,
una troppo stretta per permettergli di respirare.
Hermione conosceva bene quella sensazione, conosceva fin
troppo bene l’oppressione all’altezza del cuore. Avrebbe preferito non
riportare a galla certe emozioni, ma se davvero stava per cadere, voleva che
qualcun altro si sentisse miserabile come lei, condividendo, forse, un po’ del
dolore.
Non si sarebbe sentita meglio, una volta che anche lui si
fosse ritrovato schiacciato dal peso del passato, ma la certezza di non essere sola
nella pena era qualcosa cui non poteva rinunciare.
Improvvisamente preoccupato, Draco strinse la presa sulla
mano di lei, tirandola automaticamente più vicina a sé. La guardò, quasi avesse
voluto capire il motivo di quella sua curiosità soltanto osservandola. Hermione
non se la sentì di spostare gli occhi dall’eroe, temendo di non reggere
l’intensità che quelle lame argentee le avrebbero riversato addosso.
«Com’è stato?» insistette allora la strega, la voce
incolore. «Ho bisogno di saperlo».
Eracle sospirò, sollevando lo sguardo verso il soffitto.
Il suo bel viso era pallido, le mani improvvisamente tremanti. C’era orrore nei
suoi movimenti e questo spaventò Hermione.
Erano passati millenni, ma il dolore era ancora lì. Il dottor Crave
le aveva assicurato che l’avrebbe superato, prima o poi, ma in quel momento lei
non ne fu più tanto sicura.
«È stato peggiore della morte» le disse, in un sussurro
angosciato. «Peggiore di qualunque fatica io abbia affrontato dopo» mormorò,
voltandosi a guardare entrambi i giovani maghi. «È stato come assistere alla
più brutta rappresentazione tragica della storia. Io ero uno spettatore, nulla di
più. Osservavo le mie mani chiudersi intorno al collo di mia moglie, la mia
spada distruggere i fragili corpi dei miei bambini, l’unica mia ricchezza-» la
voce gli si strozzò in gola, gli occhi gli si velarono di lacrime impossibili
da trattenere. Era l’uomo più grande e forte che Hermione avesse mai
conosciuto, eppure, in quel momento, gli sembrò estremamente fragile.
Avrebbe voluto abbracciarlo, dirgli che sarebbe andato tutto bene.
Ma non era vero, non sarebbe mai andato tutto bene.
Non erano mai esistiti eroi felici.
«Credevo fossi impazzito e li avessi scambiati per dei
mostri» si intromise Draco, il tono della voce estremamente cauto, seppur
velato da una innegabile curiosità. «La leggenda è questo che dice: hai perso
il senno e li hai scambiati per dei demoni».
Il sorriso amaro sul viso di Eracle fece venire la pelle
d’oca ad Hermione. «Ah, capisco» mormorò, scuotendo leggermente il capo. «Mi
dispiace deluderti, giovane Malfoy, ma non è stato così. Io ero lì, ero
cosciente, ma non avevo potere sul mio corpo. Ero folle, sì, ma solo per il
dolore di dover sopportare una tale disgrazia. Non esiste un incantesimo che
possa mascherare l’amore, è l’amore che riesce a spezzare qualunque
incantesimo» spiegò, stringendo i pugni lungo i fianchi. «Ho capito si trattasse
delle mie mani e della mia spada solo quando tutto fu finito. Credevo davvero
di star osservando il massacro da fuori. Se fossi stato più attento, se… se
avessi prestato maggiore attenzione, forse sarei riuscito ad impormi e ad
evitare quella strage» ammise infine, il senso di colpa che aleggiava intorno a
lui come un’aura pesante e densa.
«Non avresti potuto far nulla» gli fece notare Hermione,
consapevole, comunque, che quella non fosse la verità. Aveva imparato a
mentire in quel luogo? 4«Non è colpa
tua».
Eracle le lanciò uno sguardo carico di compassione, mentre
in fondo al corridoio sembrava essersi aperto un piccolo varco luminoso. «Come
puoi dirlo a me, se poi tu non ci credi, mia cara?» le domandò, gentile.
«Ricorda, in questo luogo non si può mentire, ma dire la verità a volte non
basta. A volte, devi accettare di non avere altre possibilità, di essere
arrivata ad un vicolo cieco».
Lei sentì un dolore sordo all’altezza del petto, come se
il cuore avesse deciso di darsi alle fiamme.
«E cosa si fa, davanti ad un vicolo cieco?».
Con gentilezza, Eracle le posò le mani sulle spalle e la
fece voltare, mettendola faccia a faccia con Draco, la cui espressione aveva
raggiunto picchi di preoccupazione degni della signora Granger quando lei aveva
raccontato le vicende della guerra. «Quando non puoi andare avanti, devi
voltarti indietro e affrontare ciò che ti è stato riservato dal destino».
Un attimo dopo, l’eroe sparì nel nulla e la luce alla fine
del corridoio li circondò, accecandoli per qualche istante.
***
Era quasi arrivata la primavera, eppure Londra era ancora
immersa nel più profondo clima invernale. Hermione ricordava di aver assistito
a più nevicate fra la fine di febbraio e l’inizio di marzo di quante non ne avesse
viste nel cuore di dicembre. Non aveva mai messo da parte i suoi stivaletti da
neve, quelli che aveva comprato più di due anni prima ma che l’avevano servita
fedelmente per tutti gli inverni che avevano passato insieme.
Non li avrebbe più indossati.
Fu proprio il rumore delle scarpe, inconfondibile sul
marciapiede alle loro spalle, che la fece voltare di scatto, in tempo per
notare la se stessa di quasi nove mesi prima, completamente avviluppata in un
cappotto pesantissimo e con i capelli raccolti sotto il berretto di lana che la
signora Weasley le aveva regalato il Natale passato.
«Quel cappello è imbarazzante, Granger» le disse Draco,
forse cercando di risollevarle il morale, mentre a sua volta osservava il
doppione della giovane attraversare le trafficate vie di Londra, diretta in un
luogo a lui sconosciuto. «Ti prego, non indossarlo quando uscirai con me»
aggiunse, tranquillo, posandole la mano dietro la schiena, come a volerla
abbracciare, senza tuttavia appiccicarsi troppo.
Lei gliene fu grata, aveva bisogno di contatto, ma non
voleva sentirsi soffocata.
«Non temere» gli rispose, mentre osservava se stessa
entrare in un locale babbano praticamente deserto. Le tremavano le mani, ma le
nascose immediatamente incrociando le braccia al petto. Non si illuse di aver
celato la sua debolezza agli occhi attenti di lui, ma non se ne preoccupò. A
breve avrebbe visto ben altro, di lei. «Quel cappello l’ho buttato via. Così
come tutto il resto» continuò, atona, mentre lo scenario intorno a loro
cambiava e, improvvisamente, si ritrovavano davanti al tavolo occupato dal suo
doppione.
Non si era tolta il cappotto, non aveva voluto mostrare a
Ronald il bambino. Ricordava cosa l’aveva spinta ad agire in quel modo
e, nonostante tutto, non poteva che darsi della sciocca. Forse, in quel modo,
lo avrebbe mantenuto tranquillo. Forse lo avrebbe fatto ragionare.
«Non hai l’anello della donnola al dito»5 notò Draco, accigliato. «Immagino ci
troviamo all’inizio di quest’anno, poco dopo la rottura del fidanzamento»
constatò, accigliato e vagamente preoccupato. «Il tuo segreto è che l’hai
malmenato? Se è così, mia cara, non hai motivo di tenerlo nascosto».
Hermione provò l’improvvisa voglia di mettersi a piangere,
ma si trattenne. Tuttavia, preferì allontanarsi di un passo da lui, proprio
mentre Ronald, gli inconfondibili capelli rossi tutti arruffati, faceva il suo
ingresso nel locale, il viso pallido e l’espressione colma di disappunto.
Espressione che si calmò leggermente quando la scorse già all’interno.
«Hermione, sapevo che saresti venuta» aveva detto,
accomodandosi al tavolino. Il suo tono era dolce, incredibilmente dolce, tanto
simile a quello che l’aveva conquistata da giovane. «Come stai? Io…».
«Starò bene quando sistemeremo questa faccenda» il tono della sua
versione passata era secco, orgoglioso, l’Hermione presente provò tantissima
compassione per lei. «Harry ha detto che volevi parlarmi, quindi io ti
ascolto. Ti prego di sbrigarti, però, ho un appuntamento con la mia nuova
padrona di casa».
Quelle parole non erano piaciute a Ronald, lei l’aveva
notato immediatamente. La sua mano, veloce e forte come quella di ogni bravo
portiere, era scattata ad afferrarle il braccio in una presa ferrea. A distanza
di mesi, lei non riuscì a resistere all’impulso di massaggiare la parte
colpita. Alle sue spalle, udì distintamente Draco masticare un’imprecazione.
Come avrebbe reagito al resto?
«Hermione, ti prego, possiamo ancora…» tentò
Ronald, il tono un po’ più nervoso, mollando la presa solo quando lei gli
sibilò contro. «Scusami, non volevo» aggiunse, con un’espressione così
disperata che, a distanza di mesi, era riuscita a far stringere il cuore di
Hermione, anche se solo un po’. Col senno di poi, naturalmente, non sarebbe più
caduta nella sua trappola.
«Non volevi neppure l’altra volta6» gli fece notare infatti la ragazza del
passato, ritirandosi in posizione difensiva contro lo schienale della sedia. I
suoi occhi erano ancora rossi. Ricordava di aver pianto, quella mattina, e di
non esser riuscita a liberarsi della sensazione di tristezza immensa che
l’aveva colta. Almeno, non finché non era successo. «Ti ho chiesto
cosa vuoi, Ron. Non ho tempo da perdere».
Il modo in cui lui strinse i denti avrebbe dovuto farle
annusare il pericolo. Era un Inquisitore, era sempre stata brava nel
riconoscere i segnali… eppure, con lui, aveva fallito.
L’amore è l’incantesimo più forte di tutti, capace di
nascondere i mostri dietro visi d’angelo.
«Hermione», Draco, con urgenza nella voce, si era
avvicinato a lei e le aveva poggiato la mano sul braccio, che però lei aveva
subito allontanato, come scottata. Non si voltò a guardarlo, ma riuscì a
sentire il calore del suo sguardo proprio sulla nuca. «Lui ti ha picchiata? Ti
ha fatto del male?» chiese, infastidito e preoccupato. Aveva voglia di
toccarla, ma fortunatamente si trattenne. Lei non era pronta.
«Devi venire a casa a… uhm… trovare le tue cose»
aveva appena detto Ronald, accennando un sorriso nervoso. «Se proprio non
vuoi tornare con me, allora non c’è altro che io possa fare».
La sua resa l’aveva sorpresa anche a quel tempo, come
probabilmente si evinceva dalla piega assunta dalle sopracciglai della sua
versione passata. Se fosse stato qualcun altro, lei avrebbe immaginato che
qualcosa fosse sul punto di andare incredibilmente storto. Se solo avesse
capito, a quel tempo… se solo avesse visto tutti i segnali!
Era stata colpa sua.
Hermione del passato sospirò, indecisa. «Non potevi
mettere tutto negli scatoloni, come ti avevo chiesto?» domandò, sbuffando
quando lui si strinse nelle spalle, mostrando la vecchia espressione scanzonata
che l’aveva fatta innamorare tanti anni prima. «D’accordo, verrò questa
mattina stessa. Ma dobbiamo sbrigarci, come ti ho già detto-».
«Sì, ti sta aspettando la tua padrona di casa» il
sibilo con cui sputò quelle parole avrebbe fatto preoccupare chiunque l’avesse
conosciuto fin da ragazzo, forse chiunque in generale, ma lei aveva
pensato che si trattasse soltanto di stizza da separazione. Dopotutto, era
sempre stato un bambinone. «Ti aspetto a casa, fai con comodo» disse
poi, alzandosi in piedi con uno scatto e dirigendosi, quasi di corsa, verso la
porta del locale.
Hermione del passato, allora, sospirò sconfitta. Incurante
degli sguardi dei due dal futuro puntati su di lei, si asciugò gli occhi e
raddrizzò le spalle, animata da una decisione che l’altra se stessa ricordava
ancora benissimo.
«Volevo farla finita con lui» disse proprio lei, senza
guardare Draco. «Volevo mettere fine a… a qualcosa che non sentivo più. Era la
scelta migliore, ma ho sbagliato tutto».
«In che senso hai sbagliato tutto?» chiese Malfoy, che
ormai sembrava aver rinunciato a porre alcun tipo di freno alla sua ansia. Era
una presenza costante dietro di lei, una fonte di calore confortante ma, al
tempo stesso, spaventosa: come sarebbe stato, una volta sparito? «Hermione-».
«Lo vedrai» gli rispose lei, secca, mentre la ragazza si
alzava dal tavolo e si dirigeva di gran carriera fuori. Sarebbe andata a
parlare con la padrona di casa immediatamente, così da non dover avere fretta.
Così che nessuno potesse preoccuparsi per lei.
Che stupida era stata…
La scena intorno a loro cambiò.
L’ingresso del piccolo appartamento che lei e Ron avevano
diviso per oltre tre anni era sempre stato molto ordinato, pur senza scadere
nell’ossessività. Sulla sinistra c’erano i cappotti di Ron – lei aveva portato
via i suoi – e sulla destra il tavolino che avevano comprato il giorno stesso
in cui avevano deciso di convivere. La versione passata di Hermione aveva
appena fatto il suo ingresso, naturalmente sola, naturalmente ignara del
pericolo che si nascondeva proprio dietro l’angolo.
«Ron?» aveva appena chiamato, passando praticamente
fra Draco e la sua controparte, iniziando a togliere la sciarpa e l’orripilante
cappello. Gli stivaletti da neve squittivano contro il pavimento di finto
legno, un suono che era passato dall’essere simbolo di familiarità a memento
perpetuo del peggiore dei suoi incubi.
«“Cappuccetto Rosso arrivò a casa della nonna con le
mani piene di fiori”» mormorò proprio la versione futura, osservando se stessa
con il cuore carico di commiserazione e rabbia. «“Si sorprese nel non trovare
la donnina in cucina, ma continuò comunque verso la camera da letto,
convincendosi che si fosse messa a dormire a causa della malattia”».
Draco, preoccupato da quella sua improvvisa voglia di
raccontare fiabe, fece qualche passo avanti, seguendo la ragazza del passato
verso la camera da letto. Anche la sua accompagnatrice lo seguì, naturalmente,
ma solo per la consapevolezza di dover assistere a quell’orrore. Non si
preoccupò neppure del fatto che, tolto il cappotto, ormai il suo segreto fosse
a portata d’occhio per lui. Lui che aveva tentato di darle una nuova speranza.
«Ron? Cosa diavolo ci fai qui?» aveva appena
chiesto la ragazza, aprendo la porta della stanza per cercare l’ormai ex
fidanzato. «Ron? Possibile che tu debba sempre dormire?».
«“Che grandi orecchie che hai, nonnina”, aveva chiesto Cappuccetto, una volta vista
la vecchia», il tono di Hermione era diventato gelido, la preoccupazione di
Draco era tangibile come se l’aria intorno a lui si fosse congelata. Non sapeva
a chi dare la sua attenzione, se alla versione passata oppure a quella
presente. «“È per poterti sentire meglio, nipotina mia”».
«’Mione 7, sono bloccato nella cabina armadio, mi sono caduti in
testa i tuoi libri» la voce di Ronald era arrivata quasi contemporaneamente
alla sua, creando una confusione fastidiosa. Hermione scorse una terribile
consapevolezza nello sguardo di Draco, quando finalmente la ragazza entrò in
camera da letto e, voltatasi leggermente, mise in mostra il piccolo
rigonfiamento sul ventre.
Tre mesi erano tutto ciò che le era stato concesso.
«Oh, Merlino…» il tono angosciato delle sue parole le
confermò che avesse visto. Draco non era un uomo stupido e di certo
sapeva fare i suoi conti. Erano i primi di marzo e lei era incinta di pochi
mesi, a settembre erano stati assegnati al caso e lei non aveva nessun bambino
ad attenderla a casa. «Hermione, non-».
«“Che grandi denti che hai, nonnina” aveva detto ancora Cappuccetto, avvicinandosi
alla vecchia» continuò invece Hermione, entrando a sua volta nella stanza
mentre la ragazza passata allungava la mano verso la porta della cabina
armadio.
In quell’istante, tutto fu nuovamente chiaro, rivivendolo
dall’esterno. Aveva dimenticato, aveva eliminato, ma la crudeltà del passato
era tornata a tormentarla in tutta la sua infinita spietatezza.
La cabina armadio era vuota, naturalmente. Ronald, invece,
era apparso improvvisamente alle sue spalle, la lunga ombra ad oscurarle la
luce del giorno. Quello che all’inizio era stato confuso, in quell’istante le
si mostrò in tutto il suo orrore: il forte dolore e la sensazione che il mondo
stesse crollando sotto i suoi piedi, Ronald con ancora in mano il vecchio
candelabro che lei aveva preteso di acquistare in un mercatino dell’usato e che
lui aveva sempre odiato. Il suo sangue che macchiava il pavimento, sgorgando
copioso dalla ferita alla testa.
«Adesso non andrai mai più via».
«“È per poterti mangiare meglio, nipotina mia”».
***
Aveva assistito a quelle scene con uno spirito di pacato
lutto. Era la morte della sua anima, quella cui stava partecipando, ed aveva
intenzione di prendervi parte con tutto il contegno di cui fosse in possesso.
Aveva passato il momento dell’umiliazione, aveva passato il momento della
rabbia.
Voleva soltanto che tutto finisse.
Draco non era stato della sua stessa opinione. Lo aveva
sentito imprecare, lo aveva sentito urlare improperi e bestemmie che non si
sarebbe mai sognata di ripetere.
Non le importava. Quella storia non lo riguardava, il suo
dolore non la colpiva. Quanto avrebbe potuto soffrire, in fondo? Lui non capiva. Nessuno avrebbe mai capito,
se non la creatura che giaceva abbandonata, colpita da colui che era stato il
grande amore della sua vita, il sangue che scorreva libero dalle sue ferite,
fisiche e non,macchiava le lenzuola
candide che lei aveva scelto.
L’aveva scelto
lei.
Il silenzio stava diventando insopportabile, ma Hermione
non aveva alcuna voglia di spezzarlo.
La ragazza era rimasta immobile dal momento stesso in cui
Ronald l’aveva ferita a tradimento. Era rimasta immobile mentre la trascinava
per la stanza, bloccandola sul letto e togliendole la bacchetta, così che non
potesse difendersi. Lo aveva osservato muoversi nervosamente per la stanza,
ridacchiando fra sé e sé come ogni bravo psicopatico avrebbe fatto.
Si era ribellata, sì, ma solo dopo il suo risveglio
confuso, quando lui l’aveva baciata con una gioia animale, quasi si fosse
aspettato di averle fatto una sorpresa gradita. Allora erano arrivate le urla
e, con quelle, gli altri colpi.
Sei mia,
Hermione! Posso farti quello che voglio!
Quando Ronald, prima di andare via, le aveva morso il
collo fino a farlo sanguinare, Hermione aveva sentito Draco imprecare ed
allungare la mano per tentare di afferrare quella creatura infida per il collo8, quando gli era passato vicino. Allora,
quando ormai avevano assistito a quasi tutta la violenza che quel mostro le
aveva usato contro, si era accasciato in un angolo, pallido, tenendosi la testa
fra le mani e badando bene a non guardare la versione futura ma esclusivamente
il guscio vuoto che era rimasto incatenato sul letto.
Il silenzio era diventato insopportabile.
«Hermione». La sua voce, improvvisa, la fece trasalire.
Quando si voltò, venne fulminata da due pozzi di ferro fuso, profondi e colmi
d’ira. «Perché non mi hai detto nulla?» le chiese, la voce roca, tuttavia
spostando gli occhi sulla poverina nell’angolo. «Perché lo hai tenuto
segreto?».
Naturalmente, pensò lei, con amarezza, perché si
sarebbe tenuto alla larga, se avesse saputo.
Avrebbe provato
pena per lei.
«Non è qualcosa che si racconta facilmente» gli disse, con
una apatia che non le apparteneva. «Perché avrei dovuto? È qualcosa che
appartiene al mio passato, non riguarda nessun altro».
Draco strinse i denti, pronto a ribattere, ma in
quell’istante un improvviso pop annunciò l’apparizione di qualcuno,
nell’altra stanza. Lui si voltò in quella direzione, evidentemente speranzoso
che fossero arrivati a salvarla, così come la ragazza del passato. I loro occhi
si illuminarono allo stesso modo, ma così non fecero quelli di Hermione.
«Signora Weasley!» le parole della ragazza uscirono
in un gemito, mentre la donna sulla cinquantina faceva il suo ingresso nella camera
da letto, il viso pallido ma chiazzato di rosso, come se avesse appena finito
di urlare, ed i capelli rossi totalmente sconvolti. Aveva un’espressione
strana, assente, ma la giovane del passato non vi aveva prestato attenzione.
Quella del presente, invece, riusciva già a cogliere il
germe del mostro sul fondo del suo sguardo.
«Hermione cara, quanto sei pallida» furono le prime
parole che le disse, accarezzandole il viso con una gentilezza forzata. Le sue
mani, poi, arrivarono al ventre della ragazza. Non un accenno al labbro che suo
figlio le aveva spaccato quella mattina stessa, con un ceffone. Non un accenno
all’occhio nero che le aveva causato sbattendole la testa contro la testiera
del letto. Nulla. Ma la ragazza del passato era troppo speranzosa,
troppo disperata, per capire. «Nelle tue condizioni dovresti riguardarti di
più!».
«Cosa cazzo sta dicendo quella vecchia?» il sibilo
di Draco arrivò dal suo fianco, segno che si fosse rialzato. Il suo sibilo
divenne un ringhio, quando la signora Weasley scosse il capo e sollevò la
maglia della ragazza, come a volerla esaminare.
«Signora… deve aiutarmi, Ron… Ron mi ha rinchiusa qui…»
esalò proprio lei, disperata ed ad un passo dalle lacrime. «La prego, la
prego mi faccia uscire…».
La donna le dedicò un’occhiata confusa, quasi avesse
appena sentito una sciocchezza. «Ron ti
ha rinchiusa qui perché tu volevi scappare, Hermione cara» le fece notare,
con un sorriso bonario, abbassandole la maglietta ed iniziando a sistemare le
coperte intorno a lei, come se avesse voluto rimboccargliele. «Se tu avessi fatto la brava ragazza, non te
ne saresti andata e lui non avrebbe dovuto ricorrere a queste misureanticonvenzionali».
Il peso di quelle parole fece male alla Hermione del
presente esattamente come ferirono quella del passato. Ancora una volta percepì
il dolore della perdita e lo shock dell’abbandono, sentendosi sola ed incapace
di salvarsi.
Ancora una volta avvertì nettamente la fitta al basso
ventre.
«Signora Weasley… la prego… Ron è impazzito… per
favore…» pregò ancora la ragazza imprigionata, le lacrime che ancora le
scendevano lungo le guance pallide, toccando le labbra tumefatte. «La prego,
il bambino… devo salvare il mio bambino…».
«Il tuo bambino?» il tono esasperato della
donna le fece venire la pelle d’oca. Ancora una volta percepì la stretta delle
coperte intorno al corpo come una ulteriore costrizione. «Mia cara, questo è
il bambino di Ron. Se non ti deciderai a mettere la testa a posto, stai
pur certa che non ti faremo avvicinare al nuovo, piccolo Weasley». Sentendo
il singhiozzo della povera ragazza, la signora le prese il mento fra pollice ed
indice, costringendola a guardarla. «Smettila di piangere, sciocca! Cos’hai
da piangere? Devi essere grata che mio figlio ti voglia ancora con lui!».
«Grata che suo figlio mi abbia rapita?» urlò allora
Hermione del passato, incredula, dimenandosi con sempre maggiore violenza man
mano che il dolore al basso ventre aumentava. «Io non voglio stare con suo
figlio! Non voglio avere niente a che fare con lui!».
Il suono dello schiaffo che la signora Weasley le diede9 risuonò per le mura della stanza,
rimbalzando fra le pareti dello stomaco di Hermione. In quel momento come nove
mesi prima si sentì impotente, sconfitta.
La donna che per anni aveva considerato una seconda madre
aveva appena condannato il suo bambino non ancora nato. Col senno di poi,
Hermione sapeva bene che se non l’avessero salvata, probabilmente Ron e sua
madre l’avrebbero uccisa subito dopo la nascita del piccolo. Sapeva che la sua
vita sarebbe stata comunque segnata.
«Nessuno potrebbe mai volerti, sei così insignificante»
continuò la donna, lasciandola andare. «Non ti faremo andare via. Ron ed io
ti terremo qui e tutto andrà bene» aggiunse, con tono di voce stranamente
cantilenante. «Sì, Ron ha detto che tutto andrà bene. Saremo tutti insieme,
sì, proprio tutti insieme!».
La follia nelle sue parole sembrò ancora più terrificante,
a distanza di tutti quei mesi. Osservarla dall’esterno, senza i dolori del
sequestro ad offuscarle i sensi, le fece tremare le ginocchia. La donna che
aveva ucciso BellatrixLestrange si era ridotta
ad un pupazzo nelle mani di suo figlio, il trauma della guerra così forte da
averle completamente tolto il senno.
Molly, la donna che Hermione avrebbe conosciuto, avrebbe
raggelato l’inferno prima di permettere che Ron sollevasse un solo dito su di
lei. Quella bestia che, invece, si era accanita sulla creatura innocente non
era nulla più di un mostro. Un mostro che aveva appena distrutto ogni sua
speranza.
«Harry verrà a
salvarmi!» le disse allora, disperata, dimenandosi a più non posso,
soffocata dal calore delle coperte e dal dolore al ventre che sembrava volerla
spezzare in due. «Harry verrà da me!».
Molly Weasley sorrise, ridacchiando in un modo che, col
senno di poi, le avrebbe sempre ricordato Dolores Umbridge all’apice della
sua follia. «Mia cara, nessuno verrà a
salvarti. Come potrebbero, quando Ron ha detto a tutti che andrete via insieme,
per sistemare il vostro rapporto? 10» le disse,
scuotendo leggermente il capo ed allungandosi per darle un buffetto sulla
guancia. «Sei sola con noi, se farai la
brava forse ti terremo».
Quando la signora Weasley se ne andò, la ragazza del
passato urlò con tutto il fiato che aveva in corpo e, a lei, si unì anche Hermione
del presente. Non riuscì a trattenersi, non riuscì a calmarsi. Urlò, mentre un
dolore acuto le scuoteva il ventre ormai orribilmente vuoto. Urlò, allontanando
le braccia che Draco aveva provato a metterle intorno alle spalle.
Non c’era più salvezza.
Il lupo l’aveva mangiata.
Ronald tornò una manciata di minuti dopo che sua madre era
andata via. Sorrideva, sembrava felice. Si avvicinò al corpo abbandonato sul
letto per lasciargli un bacio sulla fronte.
Erano passate
delle ore, ma lei non se n’era mai resa conto.
La ragazza non aveva più la forza di ribellarsi.
«So che mamma è venuta a trovarti» le disse, con un
gran sorriso, sistemando dei fiori nel vaso all’angolo. Ogni giorno c’erano
fiori diversi e lei li ricordava tutti. Rose, tulipani e gigli. Ogni
giorno Ronald sembrava più tranquillo, quasi la situazione fosse
improvvisamente tornata normale. «Ha detto che ti ha vista un po’ pallida,
così ti ha preparato della zuppa. A pranzo ti imboccherò io personalmente, che
ne dici? Ti piace l’idea?» le chiese ancora, dolce, tornando verso il letto
per poterla osservare in viso.
La ragazza si voltò a guardarlo solo per un istante, gli
occhi ormai iniettati di sangue. «Non ho intenzione di mangiare la tua
stupida zuppa. Preferisco morire di fame» proferì, funerea, voltandosi per
dargli le spalle. C’era una rassegnazione così forte, nelle sue parole, da far
stringere il cuore. Non era apatica, no, non poteva esserlo.
Non quando i dolori al ventre la stavano dilaniando.
«Cosa stai dicendo?» sbottò allora lui,
improvvisamente arrabbiato, avvicinandosi abbastanza da poterla afferrare per
la spalla e costringerla a girarsi nuovamente per fronteggiarlo. «Tu
mangerai quella stupida zuppa, oppure…!».
«Cosa?» chiese la ragazza, secca. «Mi
picchierai? Mi terrai qui contro la mia volontà? Non c’è nulla che tu possa
togliermi, ormai. Non ho nulla da perdere».
La verità nelle sue parole fece gemere Hermione, che,
senza poterne fare a meno, arretrò di un paio di passi e si ritrovò
improvvisamente bloccata fra le braccia di Draco. Percepiva la rigidità del suo
corpo, la pesantezza del respiro era un chiaro segno della sua furia
incontenibile.
Non aveva nulla da perdere. Aveva perso il suo bambino,
ormai. La sensazione del sangue fra le gambe era ancora bene impressa nella
sua mente.
«Sei una stupida! Una stupida che crede di essere la
regina del mondo!» urlò, scuotendola con violenza. «Tu sei mia, non sei
nient’altro!».
«Io non sono niente» a parlare furono entrambe le ragazze,
una con tono piatto, l’altra nella disperazione del momento. Aveva perso ogni
ragione di vivere, la donna del presente, e non provava più alcuna emozione.
Sapeva cosa sarebbe successo, era rassegnata ad affrontarlo.
«Tu sei Hermione Granger» le sussurrò Draco, che ancora la
stringeva. La sua voce aveva una intonazione strana, quasi si stesse sforzando
per parlare. Forse era disgustato, lei non avrebbe potuto dargli torto.
«Sei una stupida, sciocca ragazza… cosa vali, senza di
me? Nulla!» aveva urlato però Ronald, crudele. «Adesso ti faccio vedere
io! Adesso vedrai… sei mia, solo mia…» la sua voce era delirante, assente,
mentre lottava con lei per strappare via le coperte.
Pazzo.
Come aveva fatto a diventare in quel modo? Come aveva
potuto permetterlo, lei?
Il sangue sulle lenzuola era ovunque, un disgustoso mare
rosso che circondava il corpo incatenato. La terribile camicia da notte di raso
che lui l’aveva costretta ad indossare era appiccicata al suo corpo, il cremisi
assumeva sfumature di nero dove aveva iniziato ad asciugarsi, l’odore di ferro
era così forte da far venire la nausea.
Hermione aveva rimosso i dettagli, naturalmente. Il dottor
Crave le aveva detto che sarebbe successo.
Rivedere la scena, però, aveva riportato tutto a galla,
ogni minima percezione che aveva dimenticato.
L’aborto non era ancora finito. Forse non era neppure
davvero iniziato11.
«Ron… no, Ron» stava esalando la ragazza del
passato, dimenandosi quando lo vide trafficare con i propri pantaloni,
intenzionato a toglierle l’ultima cosa che le era rimasta, dopo aver perso la
libertà ed il suo bambino.
L’onore.
«Il tuo stupido
sangue… credi che mi faccia schifo?» le domandò lui, con un sibilo, salendo
sul letto, incurante di sporcarsi in modo irrimediabile. C’era sangue, sangue
ovunque, ma a lui non importava.
E a lei non importava più.
Draco ringhiò un’imprecazione così orribile che, se avesse
avuto la forza di rendersene conto, avrebbe lasciato Hermione allibita. Sentì
la presa delle sue mani farsi più ferrea sulle sue spalle, il suo corpo emanare
puro gelo.
«Harry sta arrivando» gli disse, quasi a volerlo
tranquillizzare, pur non riuscendo a provare nulla. «Harry entrerà da quella
porta, lo tirerà via da me. Lo ha quasi ucciso» spiegò, apatica. Osservò Ronald
tirarle via la camicia da notte, con difficoltà, ed attese il suono della smaterializzazione di Harry.
Ma Harry non arrivò.
Attese irrimediabilmente, mentre Ronald si avvicinava
sempre di più alla povera creatura. Attese quell’aiuto che non sarebbe più
arrivato.
Il suo cuore perse un battito, un gemito d’orrore lasciò
le sue labbra.
«Al diavolo!» urlò invece Draco, alle sue spalle, partendo
come una furia e lanciandosi di peso contro Ronald, che, sorprendentemente
venne colpito. Ancora una volta, il passato venne modificato. Ma era troppo tardi. «Maledetto figlio di puttana!»
continuò ad urlare, dimentico della bacchetta che aveva addosso, colpendolo con
una violenza tale da ridurgli la faccia ad un cumulo di carne viva, il rosso
del sangue di Hermione che si univa al suo in un miscuglio che mai più
ci sarebbe stato.
La ragazza del passato aveva osservato la scena
pietrificata, i grandi occhi scuri ed il viso tumefatto sporco del proprio
sangue. Si era girata verso se stessa, disperata, ma quasi immediatamente si
era dovuta voltare dalla parte opposta a Draco e Ronald per poter dare di
stomaco. I suoi erano conati inutili, ovviamente, ma Hermione ricordava
perfettamente quanto quel singolo gesto le fosse stato utile per uscire dal
breve momento di shock.
Allora ricordò cos’era successo subito dopo, ricordò ciò
che Harry le aveva impedito di fare12.
«No! No, fermati!» urlò, avvicinandosi a lei prima che
riuscisse a raggiungere la scheggia di ceramica che era arrivata al suolo,
quando Ron, cadendo dal letto, aveva rotto anche il vaso nell’angolo.
Aveva perso la sua dignità.
Aveva perso la libertà.
Aveva perso il suo bambino.
«Lasciami stare! Lasciami!» sbraitò la ragazza,
combattendo con tutte le sue forze per liberarsi e poter concludere quel gesto
orribile che aveva deciso di portare a termine. «Lasciami, io devo farlo!».
Harry le aveva tolto l’arma dalle mani e l’aveva stretta
forte, senza dirle più nulla. Le aveva impedito di agire, ma quell’idea
orribile era rimasta sempre nel retro della sua mente, bloccandola fino a quel
momento.
«No, non devi» le disse allora Hermione, sentendo una
fitta di nausea scuoterle lo stomaco. La prese per le spalle, scuotendola con
delicatezza. La vista di tutti i lividi su quel corpicino scarno le stava
facendo stringere il cuore.
«Perché non dovrei?» le domandò la ragazza,
combattendo nonostante le poche forze a disposizione, gemendo per i dolori di
quel parto arrivato dannatamente troppo presto. Era stata Madama Chips ad aiutarla,
perché Harry l’aveva trascinata nell’unico luogo che sapeva essere sicuro. La
professoressa McGranitt li aveva accompagnati personalmente in infermeria,
mentre erano nascosti dal mantello dell’invisibilità.
Avete chiamato gli Auror?
Non li avevano chiamati. Lei non aveva voluto. Non c’era
stato il tempo. Non ne aveva l’intenzione. 13
«Perché non dovrei farla finita? Io non ho più niente!»
urlò ancora la ragazza, dimenandosi con violenza nella sua stretta. «Io
non ho nulla, ho rovinato tutto!».
Cosa avrebbe potuto risponderle? Aveva ragione. Aveva
rovinato tutto il giorno stesso in cui aveva sopportato il primo atto di
violenza da parte di Ronald. Aveva rovinato tutto il giorno in cui aveva
pensato di potersi liberare di lui.
«Hermione».
Draco si era rialzato da terra, la tunica greca
completamente ricoperta di un sangue che lei sapeva appartenere all’uomo steso
a terra. Era morto, non aveva dubbi al riguardo. Nessuno gli aveva urlato di
fermarsi e, comunque, lui non l’avrebbe fatto.
Avrebbe ucciso Voldemort in persona, pur di difenderla.
«Perché non dovrei farlo?» gli domandò, realizzando
improvvisamente di essere lei la vittima. Di essere lei la ragazza
ricoperta di sangue, con il ventre colmo di morte e la disperazione nel cuore.
Era lei quella ragazza tremante e con il viso tumefatto. Era lei.
«Perché non dovrei farla finita? Ho perso tutto».
«Tu non hai perso niente» le disse lui,
avvicinandosi lentamente, puntandole addosso uno sguardo fiammeggiante. «Hermione!»
urlò allora, quando lei non sembrò essere intenzionata a dargli ascolto. Non
allungò neppure una mano per toccarla, quando lei sussultò, prendendo un
cipiglio a dir poco furioso. «Tu non hai perso, lui ha provato a
toglierti tutto. Ma non ce l’ha fatta» specificò, secco, senza mostrare
alcun tipo di compassione.
«Ce l’ha fatta» gli rispose, mentre la ragazza del passato
si raggomitolava su se stessa, piangendo tutte le sue lacrime. «Ho perso
tutto».
«Ti ho detto di no» ringhiò quindi Malfoy, facendo un
passo avanti. «Tu sei Hermione Granger, sei la strega più brillante delle
ultime tre generazioni, la migliore fra i giovani Inquisitori» continuò,
piegandosi in avanti per poterla guardare negli occhi. «Lui non ti ha tolto te
stessa. Non ti ha tolto l’anima, non c’è riuscito. Sai perché?».
La migliore della sua generazione.
La migliore inquisitrice.
Hermione Granger.
«Non c’è riuscito, perché tu sei più forte e non è colpa
tua, non l’hai meritato, non l’hai provocato» le rispose, la voce
improvvisamente più morbida, più dolce. «Non pensare più come la vittima, amore
mio. Tu non sei una vittima, tu sei un’eroina di guerra, un Inquisitore. Tu sei
Hermione Granger, inizia a pensare con la tua testa».
Pensa come Hermione Granger.
Pensa come un’eroina.
«Salva te stessa, Hermione, perché nessun altro potrà
farlo. Lui ti ha tolto qualcosa che tu puoi riprenderti» le mormorò ancora,
allungando le mani per accarezzarle il viso. Per un istante, memore del ricordo
che aveva appena rivissuto, lei temette di star per essere colpita. Ma Draco
non l’avrebbe mai fatto. Nessuno l’avrebbe più fatto. «Hai perso il tuo
bambino, quella è una perdita che non potrà essere ripagata. Lo ricorderai per
sempre ed è giusto che sia così. Ma hai tutto il resto, non vedi? Hai
una famiglia che ti adora, degli amici che ti staranno sempre vicini…»
improvvisamente incerto, strinse le labbra. «Hai me, per sempre, se mi vorrai.
E ti giuro che farò di tutto per essere alla tua altezza. Perché tu meriti
il meglio».
«Non è stata colpa mia». Quella rivelazione la
sorprese così tanto che, per un istante, dubitò di aver parlato. Ricambiò lo
sguardo di Draco per qualche istante, ricolmandosi di tutto l’amore
incondizionato che leggeva in quello di lui, poi si voltò verso se stessa del
passato, un guscio vuoto che la fissava dal letto. «Non è colpa tua. Non è
colpa nostra. Lui è il mostro, non
tu. Lui ha ucciso il nostro bambino, non tu».
«Avrei dovuto capire!» urlò la ragazza, uno scoppio d’ira e disperazione che la investì in
pieno, ma non la spaventò. Non più.
«Non avresti potuto» le rispose Hermione, gentile,
allungando le braccia verso di lei, stringendola al petto. Lei tremava, ma non
si scoraggiò e strinse più forte. Nessuno poteva salvarla dal suo orrore, se
non lei stessa. Nessuno poteva tirarla via dal baratro, se non si fosse convinta
di voler essere salvata. «L’amore riesce a mascherare il peggiore fra i
mostri e tu eri innamorata, tanto innamorata. Ma non devi gettare la spugna, va
bene?» continuò, improvvisamente in lacrime, ma non erano più dettate dalla
paura. C’era speranza, in lei. Così tanta speranza. «Avrai tanto amore
nella vita e ne avrai sempre di più. Hai perso il tuo bambino, sì, ma mai come
in questo momento devi farti forza. Guarda avanti, perché sei stata una madre e
lo sarai ancora, se non resterai fossilizzata nel passato. Guarda sempre avanti
e qualcosa arriverà da te, quando meno te lo aspetti» disse alla ragazza del
passato, voltandosi per un attimo per osservare Draco, un passo dietro di lei,
l’espressione che riusciva ad essere rassicurante nonostante fosse totalmente
coperto di sangue non suo.
Il cadavere di Ronald non era nulla più che un cadavere.
Non le importava nulla, perché nonostante sapesse che in realtà lui fosse stato
soltanto mandato via – ancora vivo per quanto senza più memoria del suo passato14 -non sarebbe stato un problema per lei.
Mai più.
«Non mollare, Hermione. Non è stata colpa tua».
«Non è colpa tua» ripeté Draco, avvicinandosi a lei per
poterla stringere a sé, quasi sollevato dalla piega che la situazione, infine,
aveva preso. «Tu sei libera».
Presa da un impulso irrefrenabile, gli gettò le braccia al
collo, lo baciò e pianse.
Cappuccetto Rosso non
avrebbe più avuto bisogno del cacciatore, per liberarsi.
Cappuccetto Rosso ce
l’avrebbe fatta da sola.
Finalmente era libera.
Dopo quella realizzazione improvvisa, mentre ancora le
braccia di Draco la stringevano e le loro labbra erano unite, le mura intorno a
loro iniziarono a crollare, uno scoppio di luce li circondò e l’aria stantia di
sangue sparì, sostituita dalla fresca brezza dell’inverno greco.
«Ci siete riusciti» disse una voce conosciuta. Patroclo.
«Avete superato le prove».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati,
cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri
aggiornamenti!
Sto organizzando il club “Gente che vuole uccidere Ronald Weasley”,
i primi dieci posti sono stati occupati da Draco, io sono all’undicesimo ed
Harry al dodicesimo, ma gli altri sono liberi!
» 1 – Perché questa canzone? Perché Hermione sta dicendo addio ad una parte
di se stessa, in un certo senso, e la musica è stata di grande ispirazione,
durante la revisione, motivo per cui ho preferito inserire il link all’inizio. [Ciao, sono io. Dopo tutti questi anni ho pensato ti sarebbe piaciuto
incontrarci per superare tutto. Dicono che il tempo guarisce, ma io non sono
guarita molto]
» 2 – Il titolo è, prima di tutto, una “traduzione” del nome
dell’eroe. Eracle, infatti, significa letteralmente “Gloria di Era” (sorvoliamo
sull’ironia della cosa). E lei era la madre degli dei. Ergo, ho pensato di
prendere due piccioni con una fava: riferimento all’eroe (cosa che ho fatto in
tutti i quattro capitoli precedenti) e ad Hermione e Molly.
» 3 – Eracle ha sposato la figlia di
Creonte (ve lo ricordate dal capitolo scorso?), Megera, di cui era innamorato.
Era, particolarmente incazzosa perché lui era figlio di Zeus (simbolo delle sue eterne corna) e perché
aveva ucciso il suo protetto, decise di farlo impazzire e lo spinse ad uccidere
moglie e figli (che mi pare fossero
tre). Distrutto dal dolore, l’eroe cercò di uccidersi ma Teseo (sì, quello là) lo convinse ad andare a Delfi
per sentire l’oracolo (che poi gli affiderà le future dodici fatiche).
» 4 – No, non può ancora mentire. Semplicemente, quella che dice è la
verità, per quanto non ne sia convinta. La verità è sempre verità, a
prescindere che qualcuno ci creda o no.
» 5- Hermione ha lasciato Ron verso la fine di febbraio, mentre questo loro
incontro è stato verso il tre marzo.
» 6 – L’altra volta, sì, perché
Hermione lo ha lasciato quando lui le ha assestato il primo ceffone. Prima di
allora c’erano stati episodi di gelosia compulsiva e crisi isteriche a livello di psicosi. Lei ha resistito per tanto tempo
per amore del bambino (cosa che, purtroppo, tante donne fanno), ma quando lui
ha iniziato a picchiarla ha preferito porre fine a tutto, con le conseguenze
che avete letto.
» 7 – E niente, io odio quando la chiamano così. Giusto per farvelo sapere.
Per questo motivo soltanto Ronald la chiamerà così, in tutta la storia.
»8 – Come Hermione ha detto, è come trovarsi in un pensatoio. All’inizio
loro stanno solo rivivendo il passato,
non possono interagire, non posso fare nulla. Più avanti, invece, “l’illusione” diventerà realtà e loro
potranno affrontare le reciproche prove (spiegherò meglio dopo).
» 9 – Non mi stancherò mai di dirlo, Molly Weasley qui è pazza.
Non è una degenerazione normale, questa, lei è ha perso la testa dopo la morte
di Fred. Io amo Molly Weasley, ve lo giuro, ma qui mi serviva che fosse
impazzita. Lei non comprende più la differenza tra bene o male, ciò che vuole è
solo mantenere unita la famiglia. E
per restare uniti non possono permettere che Hermione se ne vada con il
bambino. Ed è pronta a fare tutto, anche ucciderla se necessario. Dopo Fred, il
sangue del suo sangue non si allontanerà.
» 10 – Ron è uno psicopatico, non
è pazzo. Un pazzo avrebbe lasciato
tutto al caso, uno psicopatico no, lui si è organizzato benissimo. Una volta
capito che la padrona di casa non si fosse preoccupata per Hermione, ha cercato
un modo per evitare che gli altri si interessassero, inventandosi questa storia
del viaggio. Il problema qual è stato? Hermione aveva detto a Ginny della gravidanza
e le aveva rivelato di avere paura di
Ron. Quando suo fratello è andato da lei ed Harry per spiegargli perché lui e la sua “fidanzata”
sarebbero spariti di lì a breve, la ragazza si è preoccupata ed ha mandato
subito Harry. Ron è andato da loro mentre la signora era da Hermione, per
questo Harry è arrivato poco dopo.
» 11 – Io non sono un’ostetrica, ma ho sfortunatamente conosciuto persone
che hanno subito un aborto. Fra il sanguinamento e “l’espulsione” può passare molto tempo. Per il bambino non c’era nulla
da fare, ma in quel momento era ancora “al suo posto”.
» 12 – Hermione ha cercato davvero di uccidersi, sì. In quel momento
l’orrore è stato troppo per permetterle di pensare. Lo so che nei capitoli
passati si è schierata contro il suicidio, ma è stato solo per “dovere”. La
razionalità della legge ripudia il suicidio e lei difendeva quella posizione,
nonostante nel profondo del suo cuore pensasse ancora a quella possibilità.
Perché Crave non l’ha aiutata a superarla? Perché Newton non sapeva nulla del bambino, non sapeva quanto grave fosse stato il suo trauma. Quando
l’ha scoperto era in procinto di perdere sua figlia, dategli tregua.
» 13 – Hermione non lo ha voluto denunciare. Perché? Complicato da
spiegare. Forse per amore di “Ron”, forse per amore del passato. Un processo
avrebbe significato rivederlo ancora ed ancora e, nonostante tutto, lei non
voleva dare un altro dolore alla famiglia Weasley, dopo la morte di Fred. Gli
altri fratelli non avevano fatto nulla per meritare la vergogna di un fratello
mostro, non quando uno era stato sfigurato in guerra, uno aveva perso
l’orecchio ed un altro era morto. In generale, Hermione non voleva più avere a
che fare con lui. E qui si ricollega il suo desiderio a non voler avere a che
fare con i Weasley: per Molly è come se non fosse successo nulla, Hermione fa
parte della famiglia. Gli altri Weasley (tranne Ginny, ovviamente, e
relativamente Percy, che ha capito il dramma ma ha preferito non allontanarsi
dalla madre) non hanno avuto il coraggio di far internare Molly e chiedere
scusa per Ron, ergo lei non vuole più vederli, così come Harry e Ginny.
» 14 – Cosa è successo a Ron, in realtà? In questa versione è morto a causa
di Draco, lo avete letto, mentre in realtà (come detto da Hermione) è stato
Harry a tirarlo via e riempirlo di botte. Lui non l’ha ucciso perché lei ha
iniziato a dare di stomaco e, dopo averlo tramortito, ha preferito metterla al
centro delle sue attenzioni. A quel punto ha chiamato Seamus (unico, oltre al dottor Crave, ai Weasley,
la McGranitt e Madama Chips, a sapere cos’è
successo davvero) e gli ha chiesto di prendere Ronald in custodia. Dopo aver
discusso con Hermione, Ginny e Bill ed averli messi davanti al bivio (o se ne va per sempre o lo ammazzo con le
mie mani), ha provveduto a cancellargli completamente la memoria e mandarlo
in Australia con una identità totalmente ricostruita. Ron non tornerà mai più,
soprattutto perché in Australia è stato arrestato e rinchiuso in un ospedale
psichiatrico magico.
» Nelle note precedenti ho accennato al fatto che “entrambi” stessero
sostenendo delle prove. Ebbene, per quanto possa sembrare che qui in prova sia
stata solo Hermione e nel capitolo precedente solo Draco, in realtà entrambi
hanno dovuto “collaborare”. Nel capitolo scorso, infatti, Hermione ha dovuto
imparare a superare il suo “pregiudizio”
verso i codardi, comprendendo che non sempre si può scegliere di essere
coraggiosi. In questo capitolo, invece, Draco ha sia ucciso Ron (dimostrando a
se stesso di poter difendere
Hermione) e sia incoraggiato Hermione (dimostrando di saper essere abbastanza). Tutti hanno conquistato qualcosa, quindi!
Finalmente è venuta fuori tutta la storia di Ron ed Hermione. Spero vivamente
di non aver deluso le vostre aspettative e di non essere stata troppo cruda.
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 30 *** Atto XVII - Parte I/ L'Arazzo dimenticato ***
LoSpecchiodelleAnime.
“La speranza è qualcosa con le ali, chedimoranell’anima e canta la melodiasenza parole,
E non siferma mai”.1
[Emily Dickinson]
Atto XVII – Parte I
L’Arazzo dimenticato.
Ginny Weasley credeva
di star vivendo il peggiore fra tutti i suoi incubi. Poco distante, BlaiseZabini alternava lo
sguardo fra lei e la cartellina che aveva in mano, gli occhi carichi di una
compassione che non credeva avrebbe mai visto in lui.
Non credeva che fosse capace di mostrare
tanta compassione.
«Quasi tre mesi2, fai ancora in tempo
a…» tentò, leggermente in imbarazzo, indicando con un cenno vago tutto il suo
corpo. Era evidente cosa stesse proponendo e lei non era assolutamente propensa
a seguire il suo consiglio. «Senti, non è una cosa che io approvo, è inutile
che mi guardi così. Se fosse successo alla mia fidanzata, non avrei perso un
minuto di tempo e mi sarei dato da fare con i preparativi. Ma per te è diverso»
le fece notare, con uno sbuffo, quando notò che fosse sul punto di aggredirlo.
«Diverso? È un eufemismo» ribatté lei, prendendosi
la testa fra le mani in un gesto sconfitto. La nausea la stava affliggendo da così
tanto tempo da essere diventata ormai una sua buona compagna d’avventure.
In quel momento, tuttavia, la sensazione di oppressione al petto sembrò
peggiorata di dieci volte, costringendola a prendere piccoli respiri veloci.
Era disperazione.
«Io… uhm…» Blaise
sembrava sul punto di mettersi a sbattere la testa al muro. Era stato inviato
da lei perché, a detta del primario, era necessario che facesse esperienza nel
dare le cattive notizie. Più probabilmente, come lui stesso le aveva confessato
prima di darle la notizia, nessuno dei responsabili aveva avuto il
coraggio di fare l’uccello del malaugurio con la fidanzata storica del
Salvatore del Mondo Magico. «Perché non… non ci dormi su? L’altra possibilità
potrebbe essere la migliore, sia per te che per…» fece un altro gesto nella sua
direzione, quasi non sapesse che parole usare per indicare il loro enorme problema.
«Bambino,Zabini»
mugugnò quindi Ginny, sollevando il viso dalle mani
per fulminarlo. «Sono incinta, non… non stiamo parlando di una verruca da
togliere senza pensarci su! Stiamo parlando di aborto».
Blaise,
imbarazzato, sospirò, sedendosi sull’unico sgabello libero vicino al lettino su
cui lei si era sdraiata. Era evidente che avrebbe preferito qualsiasi cosa,
piuttosto che discutere con lei. «Senti, Weasley, parliamoci chiaro. Te l’ho
già detto, io sono generalmente contrario all’aborto. Cazzo, non vedo
l’ora di avere un bambino con la mia Laurie e sono più che certo che Potter
sarebbe più felice di me, ma…» si grattò la tempia, indeciso. «Non puoi negare
che questa situazione sia un gran bordello. Il tuo fidanzato è bloccato in un
letto d’ospedale ed ogni giorno diventa più debole. Non guardarmi così»,
le disse, secco, alzando la mano per impedirle di ribattere, «ti sto dicendo la
verità, quella che gli altri guaritori si rifiutano di dirti».
Ginnysapeva
che quelle parole fossero orribilmente vere. Lo sapeva, perché lei stessa
iniziava a dubitare che avrebbe mai rivisto il suo Harry nelle stesse
condizioni in cui era quando si erano innamorati. E sapeva che lui sarebbe
stato al settimo cielo all’idea di avere un bambino tutto loro. Maledizione,
non avevano fatto altro che provare, nei mesi precedenti alla sua malattia.
Potrebbe aiutarmi con i miei incubi, erano
state le parole con cui aveva accolto quella possibilità, sorridendole come non
faceva da anni. Saremmo così felici, tutti insieme.
In quel momento, però? Lui era bloccato in
ospedale, non avrebbe mai potuto stringere fra le braccia il loro piccolino.
L’avrebbe lasciata sola nei momenti peggiori e lei avrebbe dovuto scegliere fra
prendersi cura di lui o di se stessa e del neonato.
«Inoltre…» il tono di Blaise
fu improvvisamente teso, agitato. I suoi occhi erano colmi di un’ansia che lei
conosceva benissimo. «Draco e la Granger sono partiti
due settimane fa e domani sarà il solstizio d’inverno3. Tu sai
meglio di me che, se Tu-Sai-Chi tornerà, sarà più forte di prima e nessuno di
noi sarà al sicuro».
Sì, Ginny lo sapeva. Ma
ricordava anche l’ultimo anno di scuola, quando lui era al sicuro,
protetto dai Carrow come se la sua casa ed il suo sangue fossero stati una
garanzia sufficiente.
«Io sarò in pericolo. Hermione sarà
in pericolo. Tu? Non credo proprio» gli disse, sarcastica, incrociando le
braccia al petto e saltando giù dal lettino, sentendo un’ondata di nausea
improvvisa piegarle le ginocchia. Sarebbe caduta, se Blaise
non l’avesse afferrata per le braccia ed indirizzata verso il secchio della
spazzatura vicino. La sua presa era stata ferma ma gentile, simile a quella di
suo fratello Bill.
Il pensiero della sua famiglia fece peggiorare il
suo male, costringendola a piegarsi di più in preda ai conati.
«Coraggio, Weasley, adesso ti prendo un tonico» le
disse lui, aiutandola a sdraiarsi di nuovo e mettendosi a trafficare, subito
dopo, con delle ampolle conservate in un mobiletto. «Comunque ti sbagli» le
fece notare, quando tornò a fronteggiarla, passandole una boccetta dal
contenuto viola.
«A cosa ti riferisci, di preciso?» rispondergli le
sembrò il minimo, avendole evitato di rovinare per terra ed affogare nel suo
stesso vomito. Bevve velocemente il contenuto violaceo dell’ampolla, sentendo
una vampata di calore infuocarle le orecchie. Poi, per fortuna, la nausea
passò.
«Io non dovrei essere un obiettivo, hai
ragione, ma questo non significa che sia al sicuro» le spiegò, tornando a
sedersi dopo aver fatto sparire la busta del cestino dei rifiuti. «Laurel, la mia fidanzata, è una Nata Babbana4.
Se Tu-Sai-Chi dovesse tornare, farei di tutto per impedire che possa metterla
in pericolo. Ho rischiato di perderla, sei anni fa, non ho intenzione di
permettermi di correre ancora questo pericolo. Se lei dovesse soffrire,
probabilmente io ne morirei» ammise, sorridendo al suo sguardo stupefatto.
«Cosa c’è, Weasley? Non credi che un Serpeverde possa innamorarsi di una Nata Babbana? Non siamo tutti razzisti, cerca di adeguarti
all’idea». I suoi occhi scuri si puntarono fuori dalla finestra, per un
istante. «Solo perché non abbiamo combattuto davanti a tutti e non ci siamo
esposti, non significa che non abbiamo rischiato il tutto per tutto».
Il peso di quelle parole fece abbassare lo sguardo
alla giovane. Blaise aveva ragione, dopotutto. Lei
non era nessuno per giudicare quanto qualcuno avesse o meno sofferto durante la
guerra. Il suo dolore non la autorizzava a sottovalutare quello degli altri.
Harry gliel’aveva sempre detto, fin da quando era intervenuto nel processo dei
Malfoy.
Il tuo dolore non può sminuire quello degli altri.
«Senti», Blaise sospirò
di nuovo, grattandosi distrattamente la fronte aggrottata, «noi non siamo amici
e non credo che lo saremo mai davvero. Ma tu sei importante per la Granger e lei è disgustosamente importante per
Draco, quindi mi sento moralmente in obbligo di offrirti quantomeno il mio
supporto».
Lo sguardo che Ginny gli
dedicò, nonostante avesse gli occhi ancora lucidi per la recente crisi, valse
tutto il sarcasmo che aveva in corpo. E Ginny Weasley
era famosa per il suo sarcasmo.
«Quindi adesso ti stai preoccupando per me? Dieci
minuti fa mi hai proposto di abortire».
Quella sua risposta lo mise in evidente difficoltà.
Alla fine, sconfitto, sbuffò. «D’accordo, è stato Draco a chiedermi di
prendermi cura di te, perché se tu stai male, allora Hermione sarà troppo
preoccupata per pensare al loro rapporto». Si alzò in piedi, camminando nervosamente
per la piccola stanza. «Weasley, quello che sto cercando di dirti è che puoi
contare su di me. Noi, Laurie è prontissima ad aiutarti e quando saprà
del bambino mi picchierà per averti proposto l’aborto. Non sei sola e non devi
esserlo, se non lo vuoi».
La faceva facile, lui. Fu il
primo pensiero che fulminò Ginny. Ovviamente era
facile, per uno come BlaiseZabini,
dirle di cercare sostegno di persone che non aveva neppure mai conosciuto
davvero. Non poteva fidarsi così facilmente, non lei. Non in quel momento.
Non quando tutto stava per andare in malora.
Improvvisa, l’immagine di Seamus e dei suoi
migliori Auror le fece venire le lacrime agli occhi.
Non era davvero sola, non lo era mai stata, neppure quando Hermione era
trascinata via dagli impegni di lavoro. Lui e gli altri erano sempre stati con
lei, l’avevano protetta ed avevano evitato che sentisse tutti i pettegolezzi
che avevano circondato la malattia di Harry. Seamus, soprattutto, era riuscito
a conciliare i suoi turni orribili da Capo Auror5 con
l’organizzazione della sua scorta personale, trascinandosi dietro sia Dean che Merrick.
Non era da sola.
«D’accordo» disse infine Blaise,
accennando un piccolo sorriso. «Adesso tu torni a casa con il cagnolino che Finnigan ti ha affibbiato6, ti riposi, e con
riposo intendo una buona notte di sonno, poi torni qui e faremo gli ultimi
esami. Per ora credo sarà meglio tenere questa informazione riservata, non
vorremmo la Skeeter attaccata alla tua schiena»
continuò, tornando ad accomodarsi davanti a lei. I suoi occhi erano ancora
pieni di agitazione, ma il suo tono era molto, molto calmo. «Convincerò
gli altri guaritori che tu abbia preso la pozione per l’aborto, così anche loro
non faranno ulteriori domande. Da oggi, dovrò diventare il tuo confessore,
Weasley, dovrai venire da me alla prima avvisaglia di problemi con la
gravidanza. Non sappiamo ancora cos’è successo a Potter, non vorrei fosse
ereditario».
Ecco, quella era un’informazione che Ginny avrebbe preferito non avere. Si era sforzata di non pensare
alle conseguenze che il male del suo fidanzato avrebbero potuto avere sul
bambino. Si era sforzata di credere che fosse qualcosa di legato solo alla
mente e non al corpo.
Ma come poteva esserne certa?
Dei leggeri colpi alla porta anticiparono di un
istante l’ingresso di Merrick, l’Auror
che quel giorno l’avrebbe dovuta accompagnare ovunque. Aveva il solito sguardo
altero, che tuttavia si sciolse in un’ondata improvvisa di divertimento quando
notò chi fosse il guaritore con cui lei aveva a che fare. «Zabini, credevo ti avessero bocciato al primo esame» gli
disse, entrando e chiudendosi la porta alle spalle. «Ho notato ci stessi
mettendo tanto, Ginny, così ho pensato di venire a
dare un’occhiata» aggiunse, rivolta alla rossa, sorridendole con la solita,
pacata gentilezza.
«Sempre un piacere rivederti, Meribell» ribatté Blaise, alzando gli occhi al cielo ed iniziando a
scribacchiare qualcosa sulla sua cartellina. «Sempre deliziosa, proprio come
tuo cugino» le fece notare, facendole cenno di sedersi sullo sgabello da cui
lui si era nuovamente rialzato. Si poteva dire qualunque cosa di Zabini, ma non che fosse un maleducato. «Non preoccuparti,
da oggi in poi mi occuperò io di lei, così potremo limitare i rischi e far
dormire un po’ di più il tuo fidanzato».
«Non è il mio fidanzato7» ribatté Merrick, lanciandogli uno sguardo di fuoco. «Ma non posso
negare che sia un sollievo. Draco mi ha sempre detto che sei fra i migliori
pozionisti in circolazione, oltre che una persona fidata» concordò tuttavia,
annuendo leggermente. Si voltò verso Ginny, quasi
avesse sentito la sua occhiata confusa. «Il ventuno sarà domani, se i
Mangiamorte dovessero tornare allora tu saresti un obiettivo primario. Un
Guaritore avrebbe il potere di ucciderti e farlo passare per un incidente».
«Soprattutto adesso» si intromise nuovamente Blaise, con un sospiro. «È incinta, Merrie,
dovremo stare con gli occhi bene aperti, soprattutto quando comincerà a far
vedere la pancia».
L’occhiata carica di compassione che Merrick le dedicò fece stringere lo stomaco di Ginny. Sentiva nuovamente la nausea tormentarla ma, quando
delle braccia delicate la strinsero con dolcezza e fermezza, capì di voler
semplicemente scoppiare a piangere.
«Non preoccuparti, Ginevra». Nessuno usava mai
il suo nome completo. «Non sei sola. Non ti lasceremo sola. Ce la faremo,
insieme».
Insieme.
In uno slancio di ottimismo e speranza, Ginny decise di crederle.
***
Sette paia di occhi li osservavano con particolare
soddisfazione. C’erano tutti, a partire da Ulisse, ancora vestito come un
professore universitario, il ghigno compiaciuto tutto rivolto a Draco, poi
c’era Pandora, leggermente in disparte, e ancora Antigone e Creonte, in piedi
ai lati opposti della lunga fila. Achille, ancora vestito come un modello, era
poggiato con una spalla alla parete, il braccio intorno alle spalle di
Patroclo, il quale sembrava aver recuperato tutta la sua giovinezza.
Il più vicino a loro era Eracle, la pelliccia del
leone Nemeo ancora drappeggiata sulle spalle, un sorriso carico di dolcezza ed
orgoglio diretto ad una ancora tremante Hermione.
«Sei stata molto coraggiosa» le disse, avanzando
lentamente, quasi avesse temuto di spaventarla o di intromettersi in qualcosa
di estremamente privato. «Molto più coraggiosa di me».
«Tu sei il più forte di tutti gli eroi» gli fece
notare allora la ragazza, sorridendo fra le lacrime e separandosi leggermente
dalla stretta di Draco, con tanta delicatezza da non fargli quasi percepire il
gelo sulla pelle scoperta. La vide avvicinarsi all’uomo enorme, così piccola
eppure così incredibilmente immensa. «Nessuno può essere più coraggioso
di te».
«Mi permetto di dissentire» con gentilezza, anche
Achille si fece avanti, accompagnato dall’immancabile Patroclo. Per un istante,
Draco pensò che avrebbe iniziato a decantare il proprio coraggio e che sarebbe
finito con il litigare con il povero Eracle, come aveva fatto la prima volta in
cui li avevano incontrati. «Serve coraggio per affrontare delle creature
mostruose, come ho fatto io e come ha fatto lui» con un cenno proprio al figlio
di Zeus. «Però… serve un coraggio più grande per affrontare i propri demoni e
voi due l’avete fatto».
«E l’avete fatto insieme» aggiunse
Antigone, con un gran sorriso. «Perché insieme siete più forti».
«Insieme potete mantenervi sani di mente, potete non impazzire ed affrontare qualunque
cosa l’Arazzo vi presenterà davanti» aggiunse Ulisse, annuendo leggermente. Il
suo sguardo era ancora divertito, pieno di un’ironia verso la vita che neppure
Draco avrebbe mai saputo eguagliare.
«Se non foste stati così innamorati da poter
essere una persona sola, non avreste potuto affrontare queste prove e
sareste periti già nel primo ostacolo» continuò Creonte, facendosi avanti fino
a fronteggiarli. «Adesso, amici miei, potete rivolgere la vostra domanda
all’arazzo. Ma dovrete farlo come una sola persona. Una sola domanda, un
solo pensiero. Pensate a cose diverse e la risposta sarà oscura, fuorviante,
potenzialmente letale».
«Buona fortuna» concluse Patroclo, con un grande
sorriso, mentre Pandora, alle sue spalle, ammiccava nella loro direzione e
scuoteva leggermente il capo.
Non usate la scatola, gli
sembrò di sentirle dire. Non ancora.
«Non ci serve la fortuna, adesso» sbottò quindi
Draco, posando la mano sulla spalla di Hermione, mentre iniziava a voltarsi
verso il grande Arazzo alle loro spalle. «Ci serve soltanto un buon piano
d’azione».
«Non so te, Malfoy» disse però lei, dedicando un
enorme sorriso a Patroclo. «Ma io accetterò con grande piacere anche un pizzico
di fortuna. Dopotutto, ci ha salvati un bel po’ di volte». La tranquillità con
cui gli si rivolse gli fece stringere il cuore in un moto di dolcezza. Era
diversa, pur essendo la stessa donna di cui si era innamorato. Era diversa,
molto più simile alla donna che credeva d’aver sposato8. «Smettila
di guardarmi come uno stoccafisso, hai la faccia da idiota».
Più o
meno.
Ma non si preoccupò, ci sarebbe stato tempo per renderla la perfetta signora
Malfoy o, quantomeno, per insegnarle un po’ di educazione d’alta società.
Sarebbe stata meravigliosa, proprio come durante la festa in Italia.
Quando
lui era stato malamente drogato e l’aveva costretta a risolvere tutto da sola.
«Allora? Cosa chiediamo?» domandò quindi,
passandosi una mano fra i capelli mentre tentava di concentrarsi sull’Arazzo.
Tutte le parole incomprensibili che vi aveva scorto la prima volta, in quel
momento sembravano intellegibili, per quanto senza alcun senso. Erano
accostamenti assurdi, ma che lui sapeva avrebbero assunto un significato
qualora avesse posto la fatidica richiesta.
«Stai attento» la voce di Hermione suonò
improvvisamente preoccupata, mentre lo strattonava per il braccio. I suoi occhi
erano ancora arrossati, tuttavia avevano perso quella debolezza che li aveva
sempre caratterizzati. Erano fermi, spaventati ma pronti a tutto. «Potresti
chiedere qualcosa senza volerlo e allora impazziresti, bruciando la nostra
unica possibilità di avere delle risposte». Anche lei si voltò verso l’Arazzo,
con un’espressione tutt’altro che felice. «Ci sono così tante domande che
potremmo fare. La conoscenza di tutto il mondo è ai nostri piedi… ma abbiamo
una sola possibilità».
Era dispiaciuta, Draco lo notò immediatamente. Una
donna come lei, che aveva messo la conoscenza alla base di tutta una carriera,
doveva necessariamente soffrire molto nell’avere tanto potere davanti, senza
poterlo utilizzare9. Anche lui si sarebbe preoccupato, se solo non
fosse stato nella sua natura cercare solo la scelta migliore. Era curioso, sì,
ma preferiva di gran lunga sopravvivere e spendere la vita ad inseguire
risposte.
Era lei
ad essere un pericolo per la missione, non lui.
Le prese la mano, cercando nuovamente il suo
sguardo. Se dovevano presentarsi come una sola persona, quello era un buon modo
per iniziare. «Possiamo chiedere dove sia lo Specchio, come avevamo deciso»
propose, attirando la sua attenzione. «Oppure potremmo chiedere l’identità del
nuovo capo dei Mangiamorte.
Conoscendo il nemico, sarà più facile sconfiggerlo».
Lei non sembrò molto convinta di quella sua
proposta. «Potremmo, sì, ma se si tratterà di qualcuno assolutamente
sconosciuto? Non avremo il tempo di fare le nostre ricerche».
Draco si accigliò. «Dovremo comunque fare le
nostre ricerche, Granger! Io non ho la minima
intenzione di lanciarmi alla carica senza avere un piano ben dettagliato alle
spalle! E magari anche un paio di piani di riserva» sbottò, la mano libera sul
fianco e la migliore fra le sue espressioni incredule.
Lei, dopo averlo osservato per qualche istante,
scoppiò a ridere. «Ah, Malfoy, per un attimo mi ero illusa di potermi
rapportare con te come ho sempre fatto con Harry» gli disse, scuotendo il capo.
Quando lo vide accigliarsi, si affrettò a spiegare. «Non preoccuparti, non ti
sto relegando al ruolo di migliore amico e non sto insinuando che fra me ed Harry
ci sia mai stato qualcosa. Semplicemente, noi abbiamo trascorso mesi viaggiando
e… beh, ricercando. E per più di sette anni ci siamo lanciati in battaglie
assurde senza un minimo di preparazione. L’ultima volta in cui ci siamo
organizzati davvero, io sono finita trasformata in un gatto» spiegò, divertita.
«I piani non riescono mai. Se proprio dobbiamo morire tutti, almeno lo faremo
con onore».
Draco ricordava un episodio del genere, ma
all’epoca si era limitato a ridere e farsi scivolare tutto addosso, senza
preoccuparsi più del dovuto. Dopotutto, la Granger
non era affar suo. Non era stata affar
suo finché non l’aveva sentita urlare, durante il Ballo del Ceppo10.
Ah, se solo avesse seguito il suo istinto e si
fosse lanciato a massacrare Ronald in quell’occasione! Se soltanto non si
lasciato fatto limitare da quegli assurdi pregiudizi che altri gli avevano
inculcato…
Forse la loro storia non sarebbe stata diversa,
erano molto distanti, a prescindere dal sangue e dallo schieramento durante la
guerra.
Forse no.
«Allora? Chiediamo dov’è questo stupido Specchio?»
sbottò, sospirando sconfitto. Non era il momento di farsi prendere dai rimorsi.
Avevano una missione da portare a termine e di certo lei non l’avrebbe
ringraziato, se si fosse messo a spifferare tutte quelle turbe mentali. Mai
come in quel momento odiò il fatto di non poter mentire neppure a se stesso, la
sua bocca sembrava diventata quella di un pappagallo senza il minimo filtro.
Come il
piccolo Ted.
«Mostra un po’ di rispetto, per quanto pericoloso
è comunque uno strumento magico antichissimo e potentissimo» lo riprese
immediatamente la Mezzosangue, voltandosi per un istante per controllare la
scena alle loro spalle. «Sono spariti tutti. Immagino abbiano finito il loro
lavoro… spero che Achille e Patroclo siano ancora insieme» mormorò, con una
punta di rimpianto nella voce. Draco non si voltò, sapeva di potersi fidare
delle sue parole. «Mi sarebbe piaciuto salutarli».
«Ah, sono essenzialmente una proiezione della tua
anima, saranno sempre con te, se lo vorrai» la confortò, con un leggero
sorriso. «Ma capisco cosa vuoi dire, ho trattenuto un fottiti per Ulisse per troppo tempo. Temo che non avrò più
l’occasione di sfogarmi».
«Sei troppo brusco con lui, Draco! Dovresti avere
un minimo di rispetto-».
«Granger, se prendi le
sue difese non me lo fai stare più simpatico» ammise, con una certa stizza,
sorridendo tuttavia quando la sentì ridere di cuore. «Coraggio, Mon Ange, abbiamo una domanda da porre»
disse poi, sollevando le loro mani intrecciate per baciare delicatamente le
nocche di lei.
Hermione annuì, arrossendo leggermente intorno
alle orecchie. Era adorabile, quando
si imbarazzava. «Dove si trova lo specchio, giusto?» chiese conferma,
avvicinandosi lentamente al grandissimo Arazzo che li fronteggiava. I
tantissimi colori di cui era composto sembrarono brillare di luce propria,
riflettendosi negli occhi scuri di lei.
Tutta la
conoscenza del mondo, ma non poteva chiederne che un assaggio.
«Prima di perdere la mia sincerità non voluta, Granger» la interruppe lui, tuttavia, tirandola per un
istante verso di sé per stringerla fra le braccia, «sappi che ho davvero
intenzione di trascinarti all’altare e farti indossare permanentemente l’anello
di mia nonna» sputò, parlando forse un po’ troppo velocemente per poter
mantenere il suo contegno da principino spocchioso. «E, se vorrai, ho anche
tutta l’intenzione di avere cinque figli».
Le sopracciglia scure di Hermione scattarono verso
l’alto, nonostante un compiaciuto rossore le avesse arrossato le guance. «Te ne
concedo tre, di cui uno adottato» rettificò, imbarazzata. «E se avremo una
bambina-».
«Rosemary».
Il tono di Draco, per quanto carico di un affetto che non poteva nascondere, parlando
di quella ragazza, sembrò non ammettere regole. «Se avremo una bambina, dovrà
chiamarsi così. L’ho promesso, non posso rimangiarmi la parola data».
Hermione annuì leggermente, con un leggero
sorriso. «Rosemary. Mi piace».
Da
qualche parte, la giovane Crave probabilmente stava
sorridendo compiaciuta.
«Coraggio, ora. Abbiamo una domanda da porre»
disse quindi, voltandosi verso l’Arazzo e chiudendo gli occhi, consapevole che
lei avesse fatto lo stesso.
Dove si
trova lo Specchio delle Brame?
Quando riaprì gli occhi, non trovò nulla di
diverso. L’Arazzo restava bellissimo, ma incomprensibile come un pezzo d’arte
proveniente da un altro mondo. Draco si accigliò, ma decise di voltarsi verso
Hermione, sperando che almeno lei fosse riuscita a cogliere qualcosa.
Sarebbe
stato meglio se non l’avesse fatto.
I suoi meravigliosi occhi scuri erano stati
inghiottiti in un mare d’oro, la sua pelle sembrava d’avorio puro, prosciugata
di ogni minima goccia di sangue. Fluttuava accanto a lui, tenendogli stretta la
mano, eppure non sembrava davvero lì.
Draco sentì un brivido corrergli lungo la spina
dorsale, sentendo quelle dita gelide intrecciate alle sue, ma non ebbe la forza
di mollare la presa. Temeva di perdere quel che restava della sua Hermione,
forse. Oppure temeva di perdere se stesso.
«Io sono
l’Arazzo dimenticato, custode di tutta la Conoscenza» esalò la creatura, la
cui voce sembrava essere senza sesso e senza età. «Ponete la vostra domanda ed io risponderò».
Era una situazione inquietante, Draco dovette ammetterlo.
Avrebbe fatto parecchia fatica a guardare di nuovo Hermione negli occhi, una
volta finito quel guaio. Avrebbe voluto chiedere se l’avrebbe davvero riavuta
indietro, una volta posta la domanda, ma non osò: avrebbe perso l’occasione e lei lo avrebbe ucciso.
«Vogliamo sapere dove trovare lo Specchio delle
Anime» rispose quindi, schiarendosi la voce per paura di apparire troppo
sconvolto o spaventato. «È questa la mia domanda. Dove possiamo trovarlo?».
La creatura lo fissò per un lungo istante, prima
di abbassare leggermente le palpebre. Il lieve bagliore dorato era ancora lì ad
illuminare la semioscurità dell’Agorà. «Lo
Specchio che collega questo Regno all’Ade ha compiuto un viaggio immensamente
lungo. Tanti sono stati i luoghi baciati dalla sua Magia e altrettanti sono
stati i popoli da questa maledetti» iniziò, senza trasmettere alcun tipo di
emozione. «Lo Specchio si trova nelle
profondità della città di Londra, dove il Grande Tesoro riposa e dove sangue reale
ha macchiato la terra». Le palpebre si sollevarono e la creatura fissò
Draco per qualche istante. «Buona
fortuna».
Poi, all’improvviso, Hermione tornò in possesso
del suo corpo e gli cadde fra le braccia, inspirando bruscamente.
«La Torre di Londra. Lo Specchio è alla Torre di
Londra!».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho
una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Scrivere
questo capitolo è stato un parto, dopo lo sfogo della settimana scorsa sono
stata completamente BLOCCATA. Perdonatemi se
non vi piacerà, ho fatto del mio meglio.
» 1 – Perché questa
citazione? Perché la Speranza è fondamentale in questo capitolo: Ginny ne ha bisogno e la ritroverà nei suoi amici. Draco ed
Hermione, invece, hanno tante speranze per il futuro. Speranza ovunque.
» 2 – Non ho avuto
modo di informarmi riguardo la legge inglese, soprattutto perché quella del
mondo magico potrebbe essere diversa, motivo per cui mi sono basata sulla legge
italiana. Ginny, non essendo ancora incinta di tre
mesi, può chiedere l’aborto. Per chiarezza, è rimasta incinta poco tempo prima
che Harry stesse male, quando Hermione era stata sul punto di iniziare il lavoro
con Draco.
»
3 – Coordinate temporali: nel mondo normale è arrivato il venti dicembre,
manca un solo giorno al ritorno di Voldemort. Hermione e Draco ce la faranno?
» 4 – In realtà (non mi
pare di averlo accennato in qualche altra nota) Laurie non è una nata babbana. Suo padre è Isaac Burke, ucciso da Regulus Black
prima della sua nascita (come io spiego nella mia one-shot
“The serpentunderneath)”. Lei e Blaise si sono
fidanzati verso la metà del sesto anno, si sono separati durante il settimo
anno (Laurie non è tornata a scuola grazie a vari imbrogli che non sto qui a
spiegare) e sono tornati insieme, definitivamente, dopo la Guerra.
» 5- Giusto per
chiarezza: Seamus era il vice di Harry, quando lui si è ammalato ha preso il suo
posto. Non essendo un idiota, ha capito di dover tenere Ginny
(ed Hermione, ma lei si è rifiutata) sotto scorta, di conseguenza ha fatto di
tutto per conciliare i turni ufficiali con quelli “di cortesia”. Importante: al
Ministero non sanno nulla.
» 6 – Blaise sa della scorta solo perché gliel’ha detto
Draco, che a sua volta l’ha saputo da sua cugina Merrick,
giusto per chiarezza.
» 7 – Merrick
è estremamente testarda ed ha deciso di non voler cedere ai propri sentimenti
per Seamus, non ancora almeno. Lui, al contrario, si comporta come se fossero
sul punto di sposarsi, motivo per cui le porta un sacco di fiori, le porta
regali a San Valentino e si preoccupa per lei molto più che per gli altri. Sono
entrambi innamoratissimi, come testimoniano varie conversazioni (ad esempio
“Casa nostra sarà tutta col parquet”, “Scordatelo Finnigan,
io voglio il marmo”, oppure “La nostra primogenita si chiamerà Fiona”, “Non
chiamerò mia figlia Fiona, Finnigan, scordatelo”).
»8
– Riferimento alla realtà alternativa del Djinn.
Draco era consapevole che quella non potesse essere la vera Hermione perché era
troppo gentile e troppo pacata, niente a che vedere con la nostra fiera
Grifondoro!
» 9 – Hermione parla per tutti gli amanti della
Conoscenza. Io sarei morta
davanti a quell’arazzo, se non avessi potuto fare tutte le domande del mondo.
Lei, pur essendo una Grifondoro, ha un innato spirito Corvonero. Limitarsi è
stato estremamente difficile, per lei.
» 10 – Forse è un
passaggio troppo romantico, me ne rendo conto, ma non sono riuscita a fermarmi.
Non voglio dire che Draco si sia innamorato durante il Ballo del Ceppo, sarebbe
stata una cosa assolutamente disgustosa e da superficiali, proprio da Ronald, e
Draco non è mai stato così. Io faccio riferimento ad una questione di tipo
“cavalleresco”. Draco è stato educato come un razzista, sì, ma sua madre non
era una stupida e gli ha sempre detto che le donne vanno rispettate (sì,
insomma, donne intese come quelle del loro livello, avete capito). Sentire le
urla di Hermione contro Ron ed Harry, ma soprattutto verso Ron, gli ha fatto
partire un moto di stizza assurdo verso il rosso. Non si fanno piangere le
donne quando hanno passato una giornata a prepararsi.
Narcissaraised no fool.
» La Torre di Londra!
Come si collega alle parole dell’Arazzo? Tesoro, perché lì sono conservati i
gioielli della Corona; Sangue Nobile a causa delle varie decapitazioni e morti
che si sono susseguite in quel luogo.
E così lo Specchio è
sempre stato in Inghilterra e li ha costretti a fare un gran bel giro, eh?
E siete pronti per il
piccolo James Sirius? Io sì. Era dai primi capitoli che non vedevo l’ora di
rivelare la gravidanza di Ginny!
Per
altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 31 *** Atto XVII - Parte II/ Il Nemico nascosto ***
LoSpecchio delle Anime.
“La plus belle des ruses du diable est de vous persuader qu'il
n'existe pas”.1
[Charles Baudelaire – Lo spleen di Parigi]
Atto
XVII – Parte II
Il
Nemico nascosto.
«Ho
bisogno di sapere, ti prego».
«Sei pronta
a tutto? Anche a rinunciare a te stessa?»
«Sì».
Erano riapparsi nel salotto di Hermione solo una
ventina di minuti prima, quando il sole aveva appena iniziato a tramontare sul
ventesimo giorno di dicembre. La sensazione di calore immediato che l’appartamento
le aveva trasmesso non era riuscita a far sparire il freddo pungente di Londra
nel periodo Natalizio. Sua madre aveva provveduto ad arieggiare le stanze ed
innaffiare le sue piante, nelle due settimane in cui era stata via, mentre
Mittens era stato momentaneamente affidato a Ginny, una dei pochi capaci di
avvicinarsi a quella bestiola infernale senza essere sbranati come cosce di
pollo.
Non c’era nessuno, in quella casa, eppure Hermione
non era riuscita a non sentirsi sempre osservata.
Dopotutto,
era stata una sua scelta.
Draco si era congedato quasi subito, stringendola
leggermente e dandole appuntamento da lì a due ore in Ospedale, dove sapeva che
lei si sarebbe immediatamente recata. Sarebbe andato con lei, se non avesse
dovuto dimettere la tunica greca e, quantomeno, andare ad avvertire sua madre
del momentaneo ritorno.
Hermione rabbrividì, stringendosi di più nella
pesante sciarpa che aveva tirato fuori dall’armadio, una delle poche
sopravvissute al falò in cui erano finiti tutti i regali della famiglia
Weasley. L’ingresso all’ospedale era particolarmente affollato, probabilmente
perché quelle erano le ore destinate alle visite dei familiari.
«Devo vedere Harry Potter, nel reparto di
lungodegenza» informò il manichino, avvicinando il viso alla vetrata quando
finalmente venne il suo turno. Un cenno e finalmente riuscì ad attraversare
l’ingresso, trovandosi circondata dal confortante calore della Sala Principale.
Come aveva sospettato, l’orario delle visite era appena iniziato e tantissimi si
aggiravano con aria sperduta per i corridoi che si aprivano davanti a lei,
alcuni evidentemente feriti ed in cerca del piano giusto, altri con fiori e
cioccolatini fra le mani.
«Granger!» la voce concitata ed incredibilmente
sollevata di Blaise Zabini la fermò prima che potesse imboccare le scale per
raggiungere il primo livello sotterraneo, dove sapeva che avrebbe trovato Harry
e Ginny. Il giovane guaritore l’aveva scorta da lontano, probabilmente un
attimo prima di raggiungere l’uscita e tornare a casa2, ma si era
avvicinato quasi di corsa prima di chiamarla, forse per evitare di attirare
troppo l’attenzione. Aveva delle leggere occhiaie, ma per il resto era sempre
impeccabile. «Quando siete tornati? Draco sta bene?» le chiese, in ansia.
«Quell’idiota, non ha neppure preso le pozioni antidolorifiche per il
braccio!».
Con un leggero sorriso, Hermione scosse il capo.
Quella era stata una delle scoperte piacevoli alla fine del loro breve viaggio
in Grecia. «Non credo gli serviranno più. Il Marchio è sbiadito notevolmente ed
ha smesso di far male, credo che un’altra dose della pozione del dottor Crave
sarà sufficiente per eliminarlo del tutto3» spiegò, impedendogli
tuttavia di fare ulteriori domande. «Ne parlerai con lui, se saremo fortunati.
Adesso devi venire con me ed è importante che chiami anche la signorina Jones.
Se non sbaglio lei è un’alchimista, vero?» ordinò, chiedendo conferma
nonostante non avesse alcun dubbio al riguardo.
L’erede
dell’ultimo Maestro. La figlia perduta di Isaac Burke4.
Blaise sembrò improvvisamente riempirsi
d’orgoglio. «La mia Laurie è la migliore in circolazione. Ma a cosa ti serve
un’alchimista?» le domandò, accigliato. «Granger, dov’è Draco?».
«Rilassati» lo ammonì lei, facendogli cenno di
abbassare la voce quando il suo tono raggiunse picchi un po’ troppo ansiosi.
«Draco è a casa sua, andrà un momento da sua madre e poi ci raggiungerà qui fra
due ore. Noi non abbiamo tempo da perdere, è importante che tu chiami Laurie e
che le chiedi di raggiungerci da Harry senza farsi notare. Io andrò avanti e
farò in modo di sgombrare l’area il più possibile».
«Sgombrare l’area?» le sopracciglia di Blaise
ebbero un guizzo. «E come pensi di fare, di grazia? Soprattutto senza attirare
l’attenzione!».
Hermione sorrise, infilando la mano in tasca e
tirandone fuori uno strano marchingegno con il marchio dei Tiri Vispi Weasley
impresso sopra. Aveva chiesto un favore all’unico rimasto parzialmente
cosciente in quella famiglia, specificando la necessità della segretezza di
quel piccolo compito che gli aveva affidato.
Percy
Weasley era sempre stato bravo ad eseguire gli ordini.
«Quello è un FalsaVoce?5».
«Va’ a prendere Laurie Jones, Zabini. Ormai
abbiamo meno di due ore».
Quando Ginny, Seamus e Merrick l’avevano vista
entrare nella piccola stanza d’ospedale, lei non avrebbe saputo dire chi fra
loro avesse avuto l’espressione più sollevata. Fu quasi un peccato, in realtà,
dover stroncare sul nascere qualunque tipo di domanda o dimostrazione di gioia.
«Anche io sono felice di vedervi» si limitò a
dire, accennando un sorriso ma staccandosi subito dall’abbraccio in cui Ginny
l’aveva immediatamente stretta. La sua amica era pallida e tendente al
verdognolo, cosa che la preoccupò, ma non ebbe modo di fermarsi a riflettere
più di tanto. «Abbiamo poco tempo, purtroppo, ma non potevo rimandare» spiegò,
posando la borsa in un angolo ed avvicinandosi ad Harry per poter controllare
dapprima il suo battito cardiaco e poi la sclera degli occhi, quasi avesse
voluto cercare un’ulteriore conferma.
«Hermione, che cazzo
sta succedendo?» Seamus, che non era mai stato un tipo paziente, fece un passo
avanti e la afferrò delicatamente per un braccio, cercando di attirare la sua
attenzione. Forse, prima di spingerlo a quel gesto, qualcuna delle altre doveva
aver già provato a chiamarla, inutilmente. «Sparisci per due settimane senza
dare notizie e quando torni ti comporti come un’invasata! Dacci un minimo di
spiegazione, per la miseria!».
Lei sbuffò, grattandosi nervosamente la palpebra.
In momenti come quello il vecchio tic all’occhio tornava a farsi sentire,
dandole incredibilmente fastidio.
«Non ho il tempo di spiegare tutto due volte, a
breve arriveranno Blaise Zabini e la sua fidanzata, dovete avere un po’ di
pazienza e collaborare, se possibile» spiegò, cercando di usare il suo tono più
conciliante. Si voltò verso Ginny, che era tornata a sedersi accanto ad Harry
fissandola senza dir nulla. «Andrà tutto bene, te lo giuro. Ma a breve dovrò
chiedere a tutti voi di prepararvi ad una fuga strategica».
«Una fuga dall’ospedale?» si fece avanti Merrick,
le sopracciglia corrugate in modo stranamente familiare. «Ed il Capo dovrà
venire con noi?» chiese poi, sempre
più confusa, indicando Harry come se avesse sperato di non aver compreso bene
le sue intenzioni. «Non è possibile, lo sai… il suo cuore potrebbe non
reggere!».
In quel momento, Blaise fece il suo ingresso,
seguito a ruota dalla sua piccola ma battagliera fidanzata. «Per questo motivo
con voi ci sarà lui» spiegò Hermione, facendo loro cenno di avvicinarsi. «Io e
Merrick provvederemo a creare un buon incantesimo d’illusione, mentre voi lo
porterete a Grimmauld Place» continuò, voltandosi verso l’Auror in questione.
«Se non sbaglio eri una delle migliori studentesse di Vitious».
«Dopo te e dopo lei» specificò allora lei,
indicando con un cenno alla fidanzata di Blaise, che accennò un lieve sorriso
compiaciuto. «Ma ancora non mi hai spiegato il perché dello spostamento».
Improvvisamente indecisa, Hermione strinse le
labbra. «D’accordo, vedrò di farla breve. Harry non ha una malattia
sconosciuta, niente di legato al suo esser stato un Horcrux o simili» iniziò,
voltandosi immediatamente verso Ginny, convinta che lei, probabilmente, sarebbe
stata la più adatta a ricevere un’informazione simile. «È stato avvelenato».
«Ma è impossibile!» sbottò immediatamente Seamus,
scuotendo il capo, mentre Blaise, poco distante, annuiva leggermente. «Noi
Auror abbiamo provveduto subito a richiedere un controllo tossicologico, non
c’è corrispondenza con alcun veleno conosciuto e non è neppure possibile che i
risultati siano stati falsati, non mi sono mosso dal fianco del Guaritore che
ha verificato!».
«Ha ragione, il professor Venomis è il migliore
nel campo, non avrebbe sbagliato la diagnosi del Golden Boy» aggiunse Blaise, stringendosi nelle spalle.
«Perché non si tratta di un veleno normale» li
corresse Hermione, allungando le mani verso la maglia del pigiama di Harry,
sollevandola fino a scoprire completamente il petto dell’amico. «Il professor
Venomis non ha sbagliato, ma comunque non possiamo fidarci di lui, l’ospedale è
pieno di spie» aggiunse, tirando fuori la bacchetta e puntandola proprio
all’altezza della bocca dello stomaco dell’incosciente. Prima che qualcuno
potesse intervenire, un taglio non molto profondo ma lungo almeno una decina di
centimetri aprì la pelle pallida del Capo Auror ed una sostanza nera, densa e
puzzolente iniziò ad uscirne in quantità copiosa.
Un coro di imprecazioni accolse quella scoperta,
mentre Ginny, assistita da uno stranamente apprensivo Blaise corse subito verso
il cestino dei rifiuti all’angolo, scossa dai conati.
È incinta,
Hermione lo realizzò solo in quel momento. I segnali c’erano da settimane e
settimane, eppure aveva fatto di tutto per non prestarvi attenzione. Non era
esattamente il momento più adatto, ma presto si sarebbe risolto tutto.
«Quello è un composto di piombo e mercurio»
stupita, Laurie si era fatta avanti per esaminare lo strano liquido, tuttavia
senza azzardarsi a toccarlo. «È sicuramente di origine alchemica6».
Hermione, soddisfatta, annuì. «Lo hanno avvelenato
con un rito alchemico, infatti» fece un paio di passi indietro, lasciando che
l’esperta esaminasse il suo migliore amico. «So cosa stai per dire: una dose
così massiccia avrebbe dovuto ucciderlo sul colpo, ma non è stato così. Credo
che abbia iniziato a ricevere piccole dosi già da mesi, se non da qualche anno,
con un aumento di frequenza esponenziale nell’ultimo periodo, proprio in
proporzione a-».
«Ai suoi incubi» si intromise Merrick, stringendo
le labbra. Si voltò verso Seamus, come in cerca d’appoggio. «Era sempre più
nervoso, nell’ultimo periodo, ma è da quando ha ricevuto la carica di Capo che
ha iniziato a star male. Forse lo hanno avvelenato pian piano, così che i
sintomi potessero essere spacciati per un esaurimento nervoso».
«Possibile» confermò Laurie, la cui espressione,
tuttavia, era funerea. «Ma questo composto è praticamente sconosciuto e lo sta
lentamente trascinando alla morte. Servirebbe una trasformazione alchemica di
livelli altissimi, per bilanciarlo. Forse si dovrebbe ricorrere alla Panacea!7» continuò,
spiegando il motivo di tanta preoccupazione.
«Panacea?» domandò Seamus, confuso, forse cercando
di scorrere mentalmente la lunga lista di antidoti che Lumacorno li aveva
costretti ad imparare durante il sesto anno.
«Un composto simile all’Elisir di lunga vita, alcuni ritengono si possa ottenere solo dalla
Pietra Filosofale che, come penso sappiate, non può essere più prodotta. In
realtà non si potrebbe neppure parlare
della Pietra!» spiegò Laurie, accigliata, voltandosi verso Hermione. «Credo che
il veleno sia stato creato con una deviazione dell’Elisir stesso. Possibile che
ne abbiano ricreata una andando contro la Legge di Flamel?8».
«Probabile, se non sicuro. Dopotutto, l’alchimia è
sempre una questione di opposti ma uguali, no? Piombo e Oro, Vita e Morte»
convenne Hermione, lanciando un’occhiata preoccupata a Ginny, tornata in quel
momento al suo posto ma controllata a vista da un preoccupato Blaise. «Per
questo ho chiesto a Zabini di mandarti a chiamare. L’ospedale potrebbe essere
pieno di spie mandate a controllare che Harry resti in trance. Mentre io e
Merrick creeremo un’illusione come diversivo, Seamus e Ginny trasporteranno
Harry a Grimmauld Place, tu ti occuperai dell’antidoto ed il tuo fidanzato
provvederà a tenerlo in vita lontano dai macchinari del reparto».
«Ti sfugge un particolare, Granger» il tono di
Laurie era incerto, quasi avesse temuto che lei potesse reagire male alle sue
parole. «Io non so come fabbricare la Pietra Filosofale. Flamel ha bruciato i
suoi appunti, potrei impiegare anni a
trovare la giusta combinazione».
«Ce l’ho io» la interruppe subito Hermione,
infilandosi la mano in tasca per tirarne fuori un pezzo di pergamena su cui
aveva scribacchiato i simboli che tanto aveva faticato a ricordare e di cui non
conosceva il significato. Lo sguardo che Laurie le lanciò confermò che lei,
invece, sapesse fin troppo bene cosa fossero. «Segui il procedimento, dovresti
impiegare qualche ora. Se saremo fortunati ed io e Draco riusciremo ad impedire
che lo Specchio venga usato, allora dovremmo poter riavere il vecchio Harry».
«Granger…» Laurie scosse il capo, afferrando il
bigliettino con espressione incredula. «Hermione,
questa è la formula per la creazione di una Pietra Filosofale, il segreto
conservato con maggior riserbo di tutta
la storia. Come hai fatto ad entrarne in possesso?» le domandò, voltandosi
un istante verso Blaise, quasi avesse temuto di star vivendo un’allucinazione.
Lui, fortunatamente, annuì incoraggiante, come a
chiederle di fidarsi.
«Non posso dirtelo, mi dispiace. Ed è importante
che subito dopo averla usata, tu elimini sia la formula che la Pietra, così che
non esista più alcun tipo di prova della sua esistenza. Questa è la peggior
arma di cui si potrebbe entrare in possesso».
Pallida, la ragazza annuì. «Avrò bisogno del mio
kit, posso andare a prenderlo a casa» mormorò, guardando nuovamente il
fidanzato. «Se vado immediatamente, posso raggiungervi a Casa Potter».
«Io penso di poterlo tenere in vita un altro po’, ma
dobbiamo essere veloci nel trasferimento» aggiunse Blaise, guardando i due
Auror e Ginny, che sembrava in preda a troppe emozioni contrastanti per far
funzionare correttamente le sue facoltà mentali. «Avremo bisogno anche di un
buon sistema di sicurezza, una volta arrivati lì… credo che l’illusione non
potrà durare molto».
Hermione annuì, avvicinandosi alla migliore amica
per posarle una mano sulla spalla. «Dovete sbrigarvi, altrimenti sarà tutto
inutile» disse, aumentando leggermente la presa così da attirare l’attenzione
della rossa e farsi guardare. «Ce la faremo e allora Harry tornerà ad essere
quello di un tempo».
«D’accordo» con tono risolutivo da vero Auror,
Seamus si fece avanti, guardandosi intorno per individuare il miglior piano
d’azione possibile. «Ginny, tu ed io dovremo trascinarlo fino alla porta di
servizio alla fine del corridoio, arrivare alla tromba delle scale e lì
smaterializzarci senza far saltare gli allarmi. Zabini, tu verrai con noi ma
dovrai limitarti a controllargli i segni vitali» iniziò a dire, indicando i vari
soggetti. Si voltò verso le altre tre donne, passandosi una mano fra i corti
capelli color sabbia. «La signorina Jones andrà a recuperare il suo kit e ci
raggiungerà a Grimmauld Place, io stesso la aspetterò sulla porta per
assicurarmi che non venga seguita. Merrie ed Hermione, voi provvedete
all’incantesimo, poi tu» ed indicò Merrick «ci raggiungerai, usa il solito
codice di riconoscimento».
Un teso mormorio d’assenso accompagnò quegli
ordini. Per la prima volta, Seamus dimostrò davvero quelle capacità che Harry
gli aveva riconosciuto il giorno in cui l’aveva nominato suo vice. Il giorno in
cui aveva preferito lui a Ron, spingendo quest’ultimo a lasciare gli Auror per
andare a lavorare con suo fratello9.
In quel momento, col senno di poi, Hermione
comprese quanti segnali avesse ignorato, prima che tutto andasse allo
scatafascio.
Quello, tuttavia, non era il momento di
compiangere la sua cecità passata.
«Zabini, prima che andiate ho bisogno di un
piccolo favore» disse, afferrando Blaise per un braccio un attimo prima che si
avvicinasse ad un ancora sanguinante
Harry.
«Cosa ti serve?» chiese subito lui, senza neppure
riflettere qualche istante. Il suo
migliore amico le avrebbe fatto il terzo grado, ipotizzando i peggiori scenari.
Ma Blaise non era certo amico suo: era il migliore amico di Draco.
«Due dosi di Pozione Polisucco. E mi servono
adesso».
Blaise accolse quella richiesta con una
tranquillità leggermente inquietante, quasi fosse stato abituato a trattare
pozioni tanto oscure e fuori dal comune mercato. Veloce, si avvicinò alla sua
borsa, appellando una cassetta con tante boccette colorate, fra cui ne scelse
due identiche, piccole e tozze, di un sinistro verde marcio.
Hermione preferì non indagare sulle altre:
qualcosa le diceva che il signor Zabini avesse continuato a mantenere il suo
traffico illegale di pozioni anche fuori dagli ambienti protetti di Hogwarts10.
Dopo
avrebbero chiacchierato a quattr’occhi, ma solo una volta risolta quella
incresciosa situazione.
«Ti ringrazio» si limitò a dirgli, sistemando le
due ampolle in una tasca nascosta della sua giacca. Allora si voltò verso
Ginny, rimasta al capezzale di Harry con qualcosa che la strega non faticò a
definire come determinazione. «Gin»
la chiamò, facendosi avanti per poterle sfiorare il braccio ed attirare la sua
attenzione. La guardò attentamente, quando si voltò, e si sentì orribilmente in
colpa notando le occhiaie che le macchiavano il viso come se non avesse dormito
per giorni e giorni. «Andrà tutto bene. Lui tornerà da te e sarete tutti
insieme» le mormorò quindi, cercando di mostrarsi il più incoraggiante
possibile, occhieggiando al ventre leggermente rigonfio dell’amica. Essendo dimagrita
così tanto, sembrava improvvisamente più evidente.
«Lo so che lui
tornerà da me, mi fido di tutti loro» disse la giovane, accennando un lieve
sorriso ed indicando con un cenno il gruppetto di persone che aveva iniziato ad
affaccendarsi per il trasferimento. Tuttavia, non sembrò particolarmente
tranquilla. «Lui tornerà, ma tu Hermione? Non credere di abbindolarmi, lo vedo
nei tuoi occhi che hai paura» continuò, seria, stringendo le labbra in una
fedele imitazione della Signora Weasley nei suoi momenti di gloria. Quando
ancora era Molly, la mamma di chiunque ne avesse bisogno.
«Non essere sciocca, Ginny» le rispose
immediatamente lei, abbracciandola forte. «Ho paura perché sto per affrontare
una banda di psicopatici, non c’è molto altro. Alla fine tornerò anche io a
casa e andremo insieme a comprare vestitini per il bambino» continuò, cercando
di suonare il più tranquilla possibile. Molto più di quanto non fosse in
realtà.
«Sai, Hermione, non bisogna mai fidarsi di un
abbraccio» fu tutto ciò che lei le disse, la voce ferma nonostante il suo
piccolo corpo stesse tremando. «Un abbraccio è solo un modo per nascondere il
tuo viso all’altro11».
Sentendo una smorfia piegarle le labbra, Hermione
non riuscì a non concordare con lei.
«Avrò bisogno del Mantello di Harry, Gin».
***
«È stata una mossa intelligente, davvero» per
l’ennesima volta, Draco si complimentò con lei, continuando ad osservare di
sottecchi il viavai di turisti intorno a loro. Sembravano tutti interessati ai
gioielli della corona, ma Hermione non riuscì a lasciarsi prendere
dall’entusiasmo. L’ansia era troppa, la paura era in agguato in un angolo del
suo cuore, pronto a divorarla nel momento meno opportuno.
«Se davvero questi nuovi Mangiamorte sono radicati un po’ ovunque e non sono più solo
purosangue, allora chiunque potrebbe essere una minaccia per Harry. Meglio
Grimmauld Place, controllato da persone fidate e con Blaise a tenerlo in vita»
gli spiegò, continuando a guardarsi ansiosamente intorno.
«Ah, sì, Potter vive nella vecchia dimora dei
Black» rammentò il giovane, all’improvviso, senza riuscire a nascondere un
sorrisino incredulo. «Se la vecchia prozia l’avesse saputo, avrebbe dato di
matto. Ancora mi sorprende che il vecchio elfo insista nell’andargli dietro,
dopotutto lui è la personificazione della rovina dei Black» continuò, scuotendo
il capo.
Hermione sentì un moto di stizza partirle dalla
bocca dello stomaco e dovette frenare tutti i suoi istinti primordiali per
evitare di assestargli un pugno che avrebbe potuto mandarlo fuori combattimento
per delle ore. «Oh, sì, la rovina dei Black è un ragazzo che ha passato
l’adolescenza a combattere il Signore Oscuro… che disgrazia, vero?» sibilò,
schivando per un pelo il pizzicotto che lui tentò di rifilarle sulla guancia.
«Oh, Granger, non essere così musona. Stasera
potremmo morire entrambi, non è meglio percorrere la strada per l’inferno con
un bel sorriso sulle labbra?» la riprese, bonario, passandole un braccio
intorno alle spalle poiché era l’unico gesto d’affetto che il ridotto spazio
sotto il mantello dell’invisibilità consentiva.
Hermione non riuscì a nascondere un leggero
sorriso. Sembrava quasi che lui non fosse spaventato, ma il modo in cui il suo
sguardo saettava per la stanza era inequivocabile. Un po’ come a Versailles,
quando l’aveva trascinata a ballare, oppure in Italia, quando l’aveva convinta
a godersi la festa cui potevano partecipare.
Draco Malfoy aveva imparato ad accettare tutto ciò
che gli veniva offerto, senza essere troppo schizzinoso. Dopotutto, i loro
momenti insieme potevano finire con la stessa velocità con cui il buon nome dei Malfoy era decaduto.
«Dai per scontato che andremo all’Inferno, Draco?
Non credi che come minimo ci siamo guadagnati il nostro angolo di Paradiso?»
gli chiese, divertita, puntando improvvisamente lo sguardo su una sinistra
coppia appostata in un angolo.
Lui ridacchiò leggermente,
occhieggiando a sua volta i due sospettati. «Io verrei accolto nei Cieli come
un reietto, Mezzosangue. Mi sono meritato la salvezza per un pelo… meglio regnare all’Inferno che servire in
Paradiso!12» le spiegò, apparentemente tranquillo. «Quanto a te,
sarebbe scortese lasciarmi solo, dopo tutta la fatica che ho fatto per
conquistarti. Tanto vale andare insieme negli Inferi e reclamare una posizione
importante, no?».
Hermione non riuscì a nascondere una risatina.
«Questo ragionamento non fa una piega, devo ammetterlo» disse infine, con un
sospiro apparentemente rassegnato. La coppia nell’angolo sembrava in attesa
dell’orario di chiusura quasi quanto lo erano loro. «Riconosci uno dei due, per
caso?» chiese poi, consapevole che lui sapesse benissimo a chi si stesse
riferendo.
Fortunatamente, lui annuì. «La donna è Goldine
Rosier» ammise, a denti stretti, quasi quella rivelazione gli fosse costata un
grande sforzo. «È la sorella maggiore di Merrick, quindi è mia cugina»
borbottò, sconfitto. «Quello al suo fianco credo sia suo marito, Alphard
Jenkins».
«I Rosier erano Mangiamorte anche nella Guerra»
notò Hermione, stringendo le labbra. «Magari loro fanno parte della vecchia
guardia, no? Tu che ne dici?».
Draco scosse il capo, tutt’altro che convinto. «Il
fratello maggiore di Merrick e Goldine è stato ucciso dai Mangiamorte per
evitare che venisse catturato e rivelasse dei segreti di cui solo il circolo
ristretto era al corrente13. Poco dopo assassinarono anche il vecchio Rosier, il mio prozio, perché
osò chiedere giustizia per suo
figlio» spiegò, impedendole con un gesto di fare altre domande. «C’è una lunga
storia dietro, Granger, ma sappi che nessun
Rosier si potrebbe mai unire ai Mangiamorte, non più. Nella Seconda Guerra
gli altri fratelli di Merrick si rifiutarono di ricevere il marchio e restarono
nascosti in casa. Meribelle è
diventata addirittura un Auror, tanto odiava tutta la risma. Ha ricominciato a
parlarmi solo quando sono stato assolto al processo».
Seppur delusa, Hermione annuì. «Quindi non abbiamo
idea se davvero facciano parte di questa risma e, nel caso, non sappiamo per
quale motivo abbiano deciso di prendere parte a questa follia». Con un sospiro,
si limitò a scuotere le spalle, mentre intorno a loro i custodi iniziavano a
far sgomberare la sala. I due nell’angolo si nascosero, probabilmente
utilizzando un incantesimo di disillusione.
Una ulteriore conferma del loro coinvolgimento.
«Cosa facciamo? Li seguiamo o prendiamo
immediatamente le loro sembianze e li nascondiamo in un angolo?» chiese Draco,
mentre le luci iniziavano ad esser spente intorno a loro ed il bagliore
bluastro dei sistemi di sicurezza risplendeva su tutti i gioielli della Corona.
«Ricordi cosa ci ha detto il vecchio Mustafà? Hanno sicuramente delle protesi
dentarie con il cianuro, non possiamo in alcun caso farci scoprire».
«Non credo torneranno al Covo, Draco» gli fece
notare lei, stringendo le labbra. «Sono qui di vedetta, sanno che stiamo
arrivando» aggiunse, guardandosi intorno per verificare che non ci fosse nessun
altro. «Possiamo usare il metodo che ha sempre funzionato quando io ed Harry
eravamo giovani e prendere immediatamente le loro sembianze».
«Che metodo?» domandò Malfoy, mentre lei sollevava
la bacchetta e la puntava in direzione degli inconsapevoli coniugi Jenkins,
intenti a confabulare. Un movimento del polso e si ritrovarono entrambi al
suolo, caduti come pere mature.
Chinatasi per strappare un capello ad entrambi,
Hermione lanciò un’occhiata vagamente divertita a Draco. «Improvviseremo, naturalmente».
***
I vestiti del cugino Alphard erano di alta
manifattura, Draco ne fu estremamente soddisfatto. Certo, l’idea di somigliare
ad un tricheco magro e pallido non lo attirava un granché, ma avrebbe potuto
decisamente andargli peggio.
Almeno Alphie non puzzava di marcio.
«Stiamo girando a vuoto per questi cortili da quaranta minuti, Hermione» le fece
notare, per l’ennesima volta, mentre lei – nelle grassocce spoglie della cugina
Goldine – si guardava intorno con aria sempre più confusa. «Le Polisucco di
Blaise durano più del normale, ma non credo che riusciremmo ad andare oltre le
due ore. Abbiamo già ispezionato tutte le aree di solito non aperte al
pubblico».
«Ma deve essere per forza in questi luoghi!»
sbottò lei, esasperata. «Un altro verme della memoria? Non credo che ci sia,
ormai abbiamo imparato a tenere gli occhi bene aperti per quelli. Deve trovarsi in un luogo non visitato!
Forse dovremmo visionare le registrazioni della sicurezza… ma dubito che non sappiano
come aggirarle».
Draco sbuffò, scuotendo il capo. Avrebbe tirato
fuori una qualche uscita brillante e forse un po’ troppo sarcastica per la
situazione, ma il trovarsi davanti una testa mozzata gli fece perdere quel po’
di spirito che ancora gli era rimasto in corpo.
«Maledizione!»
sbottò, afferrando Hermione per un braccio e tirandola bruscamente
indietro, gli occhi sgranati e puntati sulla figura evanescente comparsa a
pochi centimetri da lui, irrispettosa di qualunque decenza fosse in voga nei
rapporti fra vivi e morti. «Chi diavolo sei tu?» chiese allora, mentre la
giovane fra le sue braccia si dimenava per liberarsi da quella presa non troppo
gradita.
Il fantasma – o almeno, la sua testa – lo fissò
oltraggiato, la mano che non reggeva il capo mozzato portata al cuore in un
gesto teatrale. Indossava una strana veste scura, i capelli erano raccolti
sotto una cuffietta bianca da decapitazione. Se non fosse stata così morta,
Draco avrebbe detto che fosse stata anche bellissima.
«Come osate
rivolgervi a me con questo tono impudente?» esalò incredula, prima di
riavvicinarsi con la velocità tipica die morti e far rabbrividire Draco per il
gelo della sua presenza. «Come osate
presentarvi qui, al mio cospetto, senza prima inchinarvi? Io sono la Regina!».
Come fulminata, Hermione si portò una mano a
coprire le labbra, afferrando Draco per la manica della giacca nera appartenuta
a Jenkins. «Draco, è Anna Bolena!» sbottò,
voltandosi nuovamente verso il fantasma ed inchinandosi nel modo più aggraziato
che conoscesse. «Le leggende dicono che il suo fantasma è solito aggirarsi per
la torre con la testa sottobraccio… Malfoy, inchinati!».
Ecco, per un istante Draco pensò che inchinarsi
sarebbe stato inutile e senza senso, considerando che quello fosse un fantasma
e che, oltretutto, non fosse neppure il fantasma di una regina, essendo stata
ripudiata dal marito e, oltretutto, condannata a morte per Alto Tradimento14.
Riflettendo per un istante, però, ricordò le parole che il Barone Sanguinario
gli aveva rivolto, quando non era altro che un bambino troppo pieno di sé.
I
fantasmi hanno sempre una risposta, rispettali e loro ti aiuteranno.
«Vostra Maestà, dovete perdonarmi per la mia impudenza,
sono solo un povero sciocco» si scusò, esibendosi nell’inchino che aveva
conquistato i cuori di mezza nobiltà europea. «Non vi ho riconosciuta
immediatamente solo perché mi siete sembrata perfino più bella di quanto
dicessero le leggende» continuò, affascinante. «Se permettete, la storia non vi
rende assolutamente giustizia».
La dama sembrò improvvisamente deliziata da quelle
sue parole, ritirandosi di un paio di passi con un’espressione ancora contrita
ma non più infuriata con loro. «Lo so che
la storia non mi rende giustizia! Sono stata dipinta come un’adultera ed
un’incestuosa!» urlò, emettendo un lamento da brividi.
«E noi vogliamo aiutarla a diffondere la verità,
Maestà» si intromise la Granger, con il suo migliore tono conciliante. «Io
lavoro per il nuovo Capo della nostra società, posso intervenire affinché il
Vostro ricordo possa rispecchiare la realtà» aggiunse, con un leggero sorriso.
Draco dovette ammetterlo, per quanto quello non
fosse il suo viso, Hermione sarebbe riuscita a convincere chiunque a seguirla anche
all’Inferno, fintanto che avesse usato quel tono.
«Potete
farlo davvero? Una donna può tanto?» il tono della Regina era stranamente
ammirato, per quanto confuso. La sua immagine tremolò in modo strano, quasi la
curiosità l’avesse disturbata.
«Deve credermi, Maestà» si intromise Draco,
prontamente. «Questa donna potrebbe qualunque cosa, si fidi di lei e vi renderà
il servizio che ha promesso».
«Certo…» la giovane strinse le labbra, dando al
viso di Goldine Rosier un’aria di preoccupato dispiacere, poi alzò lo sguardo
sul fantasma, improvvisamente rapito da lei. «Dovete sapere, Maestà, che prima noi
dobbiamo raggiungere dei Malvagi che attentano alla stabilità del Regno. Se non
riusciremo a trovarli presto, allora non ci sarà alcun suddito cui raccontare
la vostra verità».
Quella prospettiva fece accigliare la Regina, che
strinse le labbra, contrariata. «Non
possiamo permettere che accada» sbottò, raddrizzando le spalle e sollevando
la testa parlante ad altezza del petto. «Anche
se questo Regno mi ha abbandonata, io sono comunque responsabile per tutti i
sudditi. Descrivetemi questi malvagi attentatori ed io vi aiuterò a trovarli!».
Per un istante, Draco provò l’improvviso desiderio
di baciare un fantasma. Madame Bolena
era stata una donna estremamente intelligente e scaltra, sì, ma l’esser
bistrattata per anni l’aveva resa incline al complimento, fragile nella psiche.
Dopotutto, un fantasma altro non era che l’impronta dell’essere passato, con
caratteri accentuati ed altri diluiti. Evidentemente, la creatura che lo
fronteggiava aveva mantenuto la vanità, perdendo tuttavia l’intelletto.
«Noi non li conosciamo, Vostra Maestà» mormorò la
Granger, inchinandosi nuovamente. «Sappiamo solo che si trovano qui e che hanno
con sé uno specchio. Uno specchio incredibilmente potente, se il dettaglio può
esservi d’aiuto».
Anna Bolena li osservò entrambi, improvvisamente
preoccupata. I suoi occhi da gatta erano pieni d’angoscia. «Miei cari… conosco lo Specchio di cui
parlate, l’ho visto molte volte e molte volte ha tentato d’ingannarmi… oh, miei
cari, miei cari» gemette il fantasma, battendosi la mano sul petto come se
fosse stata intenta a recitare un mea
culpa. «Vorrei davvero risparmiarvi
questo strazio».
«Anche noi vorremmo risparmiarci quest’avventura,
Maestà» la rassicurò Draco, con una smorfia partecipe. «Ma questo è l’unico
modo. Le dispiace aiutarci?».
«Dovete
entrare dalla maledetta porta che mi condusse al patibolo… l’ingresso è lì,
proprio lì davanti. Mio marito fece costruire un tunnel nascosto, seguendo le
indicazioni dei suoi predecessori» spiegò il fantasma. «Oh, miei cari… quell’uomo è spregevole, io
non ho mai conosciuto una creatura così oscura! Prestate attenzione, miei
diletti, poiché non è quello che sembra!».
Congedatasi con quelle parole, Anna Bolena sparì
così com’era apparsa, lasciandosi alle spalle soltanto uno spiffero d’aria
gelida e due espressioni confuse.
«Sta ovviamente parlando del Traitor’s Gate» convenne Hermione, afferrandolo per il braccio ed
iniziando a trascinarlo via. «Edoardo I costruì quell’ingresso per avere un
accesso alla Torre anche tramite il Tamigi, i prigionieri di solito usavano
quell’entrata e fra questi ci sono stati sia Tommaso Moro che, appunto, Anna
Bolena» spiegò, sorridendo soddisfatta quando lui le lanciò un’occhiata
ammirata. «Ah, Malfoy, credevi forse di potermi sempre cogliere in fallo? Io
sono la strega più brillante della mia generazione» gli fece notare, mentre si
avvicinavano alla grata che nascondeva l’unico ingresso dal fiume.
«Non ho mai messo in dubbio il tuo intelletto,
Granger» le fece notare allora lui, con un sorrisino, iniziando a guardarsi
intorno. «Come facciamo a trovare questo tunnel segreto?» chiese, non riuscendo
– ovviamente – a trovare un qualsiasi accesso utile. La fioca luce delle
bacchette era già un rischio troppo grande, se avessero aumentato l’intensità
dell’incanto avrebbero potuto scoprirli, per quanto fossero sotto mentite
spoglie.
«Dobbiamo smaterializzarci lì dentro» fu la
risposta assurda che lei gli dedicò, indicando qualcosa sul fondo dell’acqua
putrida del Tamigi. Quando si avvicinò, anche Draco notò una leggera luce
provenire da una insenatura delle fondamenta, per quanto poco affidabile. «Oh,
Malfoy, non fare quella faccia! Cosa c’è, hai paura di bagnarti? Quelli non
sono i tuoi vestiti».
Draco fece una smorfia disgustata, tentato di
tapparsi il naso per non sentire la puzza di quell’acquitrino. «I vestiti non
saranno i nostri, ma il corpo sì e ti assicuro che non ho la minima intenzione
di beccarmi qualche malattia strana. I miei figli li voglio sani e con un padre
ancora in vita per vederli vincere la loro prima Coppa del Quidditch per i
Serpeverde» sbottò, con il tono più indignato di cui fosse in possesso.
La Granger gli dedicò un’occhiata scettica, incrociando
le braccia al petto. «Sei un illuso se pensi che i miei figli saranno dei
Serpeverde» gli disse, dandogli le spalle per osservare meglio l’apertura sotto
l’acqua. «Quantomeno, non tutti» specificò un attimo dopo, facendo ridacchiare
Draco. «Senti, io comunque ho intenzione di tuffarmi, quindi la scelta è tua,
puoi venire con me o lasciare che la madre dei tuoi figli rischi la vita da
sola».
Dato quell’ultimatum orribile, sparì con un pop e riapparì dentro l’acqua putrida.
Draco sbuffò, passandosi una mano fra i capelli
corti e unti del marito di sua cugina. «Maledizione, Granger» sbottò alla fine,
tappandosi il naso e girando su se stesso, per poi riapparire nelle acque
gelide e sporche, accanto ad una ghignante Hermione. «Sappi che lo faccio solo
per amore dei miei futuri figli».
«Coraggio, signorina
Malfoy» lo prese in giro lei, nuotandogli accanto. «Dai, andiamo, ormai non
abbiamo che poco meno di un’ora» aggiunse, inspirando e sparendo sotto l’acqua
buia, diretta all’unica fonte di luce.
Draco fece per seguirla, naturalmente: non avrebbe
mai lasciato che la madre dei suoi futuri figli si lanciasse all’avventura da
sola. Non appena si immerse, tuttavia, gli sembrò che una mano l’avesse
afferrato per la caviglia e tirato giù con violenza, trascinandolo,
fortunatamente, verso l’unica fonte di luce.
Quando riuscì finalmente a riprendere fiato e ad
aprire gli occhi, si ritrovò una bacchetta puntata in mezzo alla fronte e degli
occhi azzurri estremamente familiari ed estremamente tristi puntati nei suoi.
«Mi dispiace, signor Malfoy» disse Daisy, la
giovane assistente del Ministro, mentre proprio quest’ultimo li osservava con
espressione vuota a pochi passi di distanza. La posizione delle braccia e delle
spalle, basse ed incurvate, lasciava pensare che fosse lì come mero assistente,
se non schiavo.
«Daisy, che significa tutto questo?» la voce di
Hermione era ridotta ad un sibilo furioso. Voltandosi verso di lei, Draco si
rese conto che fosse tornata normale*. Anche lui, sentendo la camicia tirare
sul petto, capì di dover essere tornato normale. «Kingsley? Kingsley! Perché non mi risponde? Cosa
gli hai fatto? Lo sapevo che eri tu la
talpa!» sputò ancora, tutto d’un fiato. Quelle parole sembrarono ferire la
giovane donna, che arretrò d’un passo.
«Sono mortificata, signorina Granger, ma non ho avuto
altra scelta. Il Maestro sa essere molto convincente» mormorò, con un sospiro
stanco, facendo poi un cenno a Kinglsey, che si spostò ubbidiente. «Andiamo, è
il momento che voi lo conosciate. Il momento sta per arrivare».
Osservando l’omaccione seguirla come un cagnolino,
Draco venne fulminato da un’illuminazione.
Maledizione
Imperius.
«Chi è questo Maestro? Cosa vuole fare?».
«Vuole diventare Immortale. Immortale nella mortalità15».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Mi scuso con chiunque abbia recensito lo
scorso capitolo e non abbia ricevuto una risposta: il sito si è mangiato le
vostre recensioni ed io non ho fatto in tempo neppure a leggerle.
Siamo al penultimo capitolo, gente. Chi
sarà mai il Maestro?
» 1 – “Il più bel trucco del diavolo è convincerti che non esista”. Perché
questa frase? Il riferimento è al male di Harry, prima di tutto: hanno escluso
l’avvelenamento, solo perché era stato mascherato da crisi isterica e PTSD. Il
riferimento, poi, è anche a questo Maestro, che Draco ed Hermione non sapevano
neppure esistesse!
» 2 – Indicazioni temporali: siamo alla sera del capitolo precedente,
Ginny ha appena scoperto di essere incinta. Più o meno siamo alle nove di sera.
» 3 – Come molti di voi avevano
ipotizzato, Draco ormai ha superato il suo trauma, quindi non c’è nulla che si
frappone fra lui e la guarigione. Ormai manca solo la pozione finale del Dottore
ed il marchio sarà solo un brutto ricordo!
» 4 – Ho già accennato a questa cosa: Laurie in realtà non è una Nata
Babbana ma è una Mezzosangue, poiché figlia di un purosangue. Suo padre, Isaac Burke, era un purosangue rinnegato della famiglia per aver
avuto una storia con una babbana (la mamma di Laurie), poi ucciso da Regulus
Black. Isaac era il miglior alchimista, l’ultimo dei Maestri, perché nessuno è
più riuscito a superare le prove che l’Ordine degli Alchimisti si tramanda da
secoli (spoiler, Laurie ce la farà). Per maggiori informazioni su questo ultimo
Maestro, vi consiglio di leggere “The serpent
underneath”, la mia one-shot.
» 5- Oggettino di mia creazione, consente di copiare la voce di qualcun
altro. Hermione lo userà per imitare la voce del primario, facendo allontanare
tutti i parenti dei ricoverati, ed ha sfruttato Percy che, come ho accennato
nel primo capitolo, è l’unico oltre Ginny ad essere dalla sua parte, seppur non
abbastanza forte da voltare le spalle alla madre. Li ha abbandonati una volta,
non crede di farcela ancora. [Altro spoiler, quando nascerà James deciderà di
andarsene come Ginny].
» 6 – Il mondo dell’alchimia è pieno di segreti, io sono andata ad
improvvisazione basandomi sulle poche conoscenze racimolate da wikipedia. Si
parla di questioni legate agli elementi ed alla spiritualità, tanti segreti,
tante allegorie.
» 7 - Come spiegato nel testo, è un composto capace di guarire qualunque
male, essenzialmente quello che Hermione vuole far bere ad Harry. Si potrebbe
arrivare alla vita eterna, con questa porcheria, ma ovviamente non è lo scopo
di nessuno.
»8 – Legge di Flamel è una legge che riguarda l’Ordine degli Alchimisti che
vieta sia di parlare che, naturalmente, di creare una nuova Pietra Filosofale
(ovviamente è una legge di mia creazione). Flamel l’ha imposta prima di morire,
alla fine del primo anno di Harry.
» 9 – Rivisitazione della motivazione canon. In realtà Ron è diventato
Auror ma ha deciso che non faceva per lui, andando a lavorare con George. Per
me l’ha fatto solo per vendicarsi di Harry, poiché gli ha preferito Seamus
nella scelta del vice.
» 10 – Questa è divertente: per me, Blaise a scuola aveva creato un mercato
nero di pozioni che ha mantenuto anche fuori. Grazie a questo mercato nero ha
conosciuto la sua Laurie, ma è un’altra storia.
» 11 – Citazione da Doctor Who, stagione 8. È quello che il dottore dice a
Clara quando sembrano volersi separare.
» 12 – Citazione dal Paradiso Perduto di Milton, è ciò che dice Satana dopo
esser caduto dai Cieli ed atterrato negli Inferi. Paradise Lost è una delle mie
opere preferite.
» 13 – L’Evan Rosier in questione è quello che viene nominato nel flashback
del Calice di Fuoco, quando Karkaroff cerca di chiamarlo in causa. Evan ha
l’età di Lucius, ma è il fratello maggiore di Merrick (lei è ultima figlia di
un ultimo figlio, discorso complicato ma sensato, ho fatto i miei conti), si è
portato via un pezzo di Malocchio Moody e, in teoria, è stato ucciso da lui. In
realtà è stato ucciso da altri Mangiamorte, perché lui conosceva segreti che non dovevano essere condivisi. Il padre
è Rosier dei tempi di Hogwarts di Voldemort, che qui si è arrabbiato a bestia
ed ha cercato di uccidere gli assassini di suo figlio, venendo ammazzato a sua
volta. Gli altri suoi figli e figlie hanno giurato di non avere nulla a che
fare con i Mangiamorte, Merrick è diventata addirittura Auror (ma lei ha anche
motivazioni di tipo etico, eh).
» 14 – Breve storia di Anna Bolena: Enrico VIII era un po’ farfallone,
poiché la sua prima moglie Caterina d’Aragona non gli dava figli maschi ha
iniziato a guardarsi intorno ed ha notato la bella Anna, che suo padre aveva
fatto preparare tipo pavone nel periodo degli amori. Ha sedotto il Re, lo ha
spinto a ripudiare la moglie ed a lasciare la Chiesa Cattolica ed è diventata
regina. Quando anche lei non gli ha dato figli maschi, Enricuccio ha continuato
a guardarsi intorno ed ha beccato la sua terza
moglie, cercando una giustificazione per liberarsi di Anna (che è la madre
di Elisabetta I, inter nos). Per togliersela davanti ha deciso di incriminarla
di Tradimento e incesto con suo fratello (si discute molto al riguardo, a
quanto pare ha provato davvero ad avere una storia col fratello ma solo per
concepire un maschio, perché Anna non era scema ed aveva capito che il problema
era di Enrico e non suo), l’ha fatta rinchiudere nella Torre e l’ha fatta
decapitare. La leggenda dice davvero che il suo fantasma si aggiri con la testa
in mano per la Torre di Londra.
» 15 – Riferimento a qualche capitolo precedente, quando i Mangiamorte
catturati da zio Musty dissero proprio questa cosa.
» *Simile alla Cascata del ladro presente nell’ultimo libro, alla Gringott.
» E così, Daisy è davvero la talpa, oltre che l’Apprendista. Non
sottovalutate il suo rimorso.
Mamma mia quante note. Il
capitolo è il più lungo fino ad ora (quello finale è più lungo), quindi ci sono tante note, mi dispiace. La prossima
volta scopriremo chi è questo fantomatico Maestro!
La fine si avvicina, gente.
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 32 *** Atto XVIII - L’uomo che volle essere Re ***
Lo Specchio delle Anime
LoSpecchiodelleAnime.
“And oftentimes, to win us to our harm,
The instruments of darkness tell us truths,
Win us with honest trifles, to betray’s
In deepest consequence”.1
[William
Shakespeare – MacBeth (Banquo, Atto
I – Scena III]
Atto
XVIII
L’uomo che volle essere Re.
Il corridoio in
cui Daisy li aveva trascinati era stato scavato nella pietra, puzzava di muffa
ed era interamente ricoperto di viscidume di cui sarebbe stato difficile
comprendere la natura. I quadri alle pareti dovevano risalire all’epoca Tudor, rappresentavano per la maggior parte Enrico VIII nel
suo periodo di massima bellezza e prestanza, alcuni raffiguravano le sue figlie
e successori, Maria ed Elisabetta, nonostante della
prima ce ne fossero davvero pochissimi. Stando alle lezioni del professor Rüf, Maria la Sanguinaria non era
stata una grande estimatrice della Magia, essendo una Magonò2.
Anna Bolena
aveva ragione, quel tunnel era stato costruito per volontà dell’ex marito e
probabilmente era stato abbandonato alla morte di Elisabetta, poiché
quest’ultima non aveva avuto figli cui tramandare il segreto. C’erano ottime
possibilità che fosse stato uno dei fantasmi Tudor a
portare questo Maestro in quel luogo,
non avrebbero potuto trovarlo, altrimenti3.
«Daisy… perché?» domandò ancora una volta
Hermione, mentre una forza irresistibile la trascinava lungo quel corridoio.
Non riusciva a rassegnarsi all’idea che proprio lei, che era sempre stata
troppo spaventata anche solo per guardarla negli occhi, avesse tradito tutti
loro, vendendoli ad un mostro di cui ancora non conoscevano l’identità. «Mi ero
fidata di te!».
Quelle parole sembrarono colpire
profondamente la donna, che strinse le labbra rosate e sospirò. «Non credere di
sapere sempre tutto, Granger. Non tutti siamo stati così fortunati da diventare
eroi, in guerra» le disse, cupa, con un tono di voce che era così strano, se
usato da lei, da suonare inquietante. «Mi dispiace, ma non ho avuto altra
scelta».
«C’è sempre una scelta» si intromise Malfoy,
che era stato affidato alle cure di Kingsley,
evidentemente sotto Imperio. «E te lo sta dicendo uno che credeva di non aver mai avuto una scelta».
Il Ministro grugnì qualcosa di
incomprensibile, continuando a spingere Draco. Il suo comportamento degli
ultimi mesi era improvvisamente diventato chiaro. Tutti i tentativi di
corruzione, tutta la confusione e l’improvvisa incapacità di governare erano
frutto dell’Imperius
di qualcuno che, naturalmente, non poteva avere la minima idea di cosa
significasse essere un Ministro della Magia4.
Non era Shacklebolt il problema, non lo
era mai stato. Lui era una vittima.
«No, Malfoy, non sempre» rispose la donna, senza guardarlo, mentre davanti a loro si
apriva una luce in fondo al tunnel, una luce fredda, verdastra, molto simile a
quella che Harry le aveva detto esserci nella Sala Comune dei Serpeverde. «Voi
avete la stessa arroganza, anche se provenite da schieramenti diversi. Buoni o
cattivi, siete stati protagonisti e vi è stato riconosciuto il diritto di scegliere,
magari anche di chiedere aiuto. Per noi, invece, non è stato così».
«E allora avete pensato bene di scatenare
una nuova guerra?» sbottò quindi
Hermione, con il tono più disgustato di cui era in possesso, ribellandosi
inutilmente alla magia che la costringeva ad avanzare. Ad ogni passo, lo strano
rumore che aveva sentito non appena era sbucata nel tunnel somigliava sempre di
più al suono di acqua che precipitava dall’alto, come se ci fosse stata una
piccola cascata non troppo lontana. «Daisy, non potete davvero richiamare Voldemort».
La donna scosse il capo, voltandosi solo
un istante a guardarla. Era terrorizzata, Hermione lo capì immediatamente,
nonostante stesse cercando di mantenersi quanto più calma possibile. Lo
spavento nei suoi occhi andava ben oltre quello di qualcuno che temesse per la
propria vita. «Non riuscirai a farmi parlare, Granger. Io non sono uno dei tuoi
indagati» le disse infine, tornando a guardare davanti a sé, mentre la luce ed
il rumore si intensificavano.
«Non
ancora» ringhiò allora Hermione, furiosa. Girare intorno alla questione era
sempre stato il metodo più efficace per far parlare gli scagnozzi incompetenti
come lei credeva fosse Daisy. Evidentemente quella donnina tanto delicata era
ben più decisa di quanto non avesse immaginato.
«Se non vi fermerete, non ci sarà un
domani» si intromise ancora Draco, che tuttavia sembrava preso nel controllare
che Kingsley non lo strizzasse troppo forse, essendo
leggermente fuori di sé. «Non vi rendete davvero di quanto grave sia il pericolo
che stiamo correndo. Ovunque lo Specchio sia stato, è seguito sempre un periodo
di distruzione totale. Se verrà usato per qualcosa di Malvagio, le conseguenze
saranno strazianti».
«Tanto meglio» fu la risposta secca della
donna. «Spero che quel dannato coso li
uccida tutti».
Quando Draco ed Hermione incrociarono gli
sguardi, entrambi furono tentati di stringersi nelle spalle.
Procedettero lungo il corridoio per
qualche altro minuto, la puzza di rancido e muffa era stemperata da quella
ancora più disgustosa di carne marcia e sangue ed il rumore era quasi diventato
assordante. La fonte di quest’ultimo divenne chiara quando, guardando in un
corridoio adiacente, Hermione vide una cascata infrangersi in pozzo naturale.
Le acque del Tamigi erano verdastre per propria natura, ma alla luce delle
lanterne magiche sembravano ancora più malate.
«Il Maestro non vede l’ora di
incontrarvi» comunicò Daisy, mentre l’apertura illuminata sul fondo diventava
sempre più grande e più vicina. «Siete stati una spina nel fianco più dolorosa
di quanto avesse immaginato, tuttavia è solito onorare i nemici che considera
degni con il migliore fra i suoi regali» aggiunse, con una smorfia.
«Sarei tentata di chiedere quale, se non
fosse un problema» sputò quindi Hermione, che si sentiva così nervosa da non poter stare zitta. «Mi farebbe
piacere anche sapere come mai ci avete mandati alla ricerca delle Tracce, se il
vostro intento era di tenerci lontani dallo Specchio».
«Una morte veloce, naturalmente». Daisy
accennò un leggero sorriso, improvvisamente orgogliosa di se stessa. «Il
Maestro avrebbe preferito non coinvolgervi, ma ha convenuto con me nel
realizzare che se non avessimo quantomeno finto
che il Ministro fosse interessato alla situazione ci saremmo ritrovato troppo
al centro dell’attenzione» spiegò, camminando tranquilla nonostante goccioline
di acqua puzzolente avessero iniziato a caderle sul perfetto maglioncino rosa. «Sapete, per rassicurare gli animi».
«Ma perché noi?» domandò allora Draco,
accigliato. «Siamo i migliori nel nostro campo, era ovvio che prima o poi vi avremmo trovati ed avremmo fatto di tutto
per fermarvi!».
«Il Maestro sapeva che non avreste
chiesto rinforzi e da soli, soprattutto contro tutti i suoi seguaci, non
avreste potuto far molto», la tranquillità con cui lei aveva iniziato a
rispondere preoccupava tantissimo Hermione. Non era normale quella
collaborazione, non quando si era già rifiutata di parlare. Sembrava quasi che
stesse partecipando a quell’operazione solo perché costretta, mentre la sua anima
si opponeva a quel fine con tutta se stessa. «Naturalmente, il Maestro non
conosce il vostro potenziale come chi ha assistito all’ultima guerra. Lui non
sa che non esiste nessuno più scaltro di un Malfoy o più intelligente e
coraggioso della Granger».
«Ma tu
lo sapevi». Hermione era sempre più confusa, ma qualcosa, in lei, le diceva che
continuare su quella via avrebbe giovato un po’ a tutti. «Tu sai che in qualche modo noi potremmo
sabotarvi».
«Io?» l’innocenza con cui Daisy pronunciò
quelle parole, mentre si avvicinavano alla fine del tunnel, fece rabbrividire
Hermione. «Io sono solo una semplice segretaria».
***
Colui che si faceva chiamare Maestro era
seduto su di un trono che era evidentemente appartenuto all’ultimo sovrano che
aveva vissuto in quei luoghi. Coperto interamente da un mantello scuro,
sembrava non avesse fatto altro che attendere il loro arrivo.
La stanza intorno a lui era circolare,
interamente ricoperta da drappeggi di velluto nero, alcuni ricoperti di muffa
mentre altri apparentemente sostituiti da poco, ed al centro esatto c’era
l’oggetto che aveva tormentato le notti di Draco per quasi tre mesi. Lo
Specchio era semplicissimo, circolare, non più alto di un metro e con una
cornice fatta di pietra. La parte riflettente era stata coperta con un velo
scuro, ma i suoni che provenivano dal suo interno erano abbastanza sinistri da
conferirgli un’aura di indicibile malvagità.
Anche
se la magia non è mai malvagia, è solo chi la usa a plasmarne la natura.
«Ah, benvenuti» la voce dell’uomo era
distorta probabilmente a causa della strana maschera che gli copriva il viso.
Draco la riconobbe improvvisamente come quella che nella tradizione era
associata al demonio. «Avevo iniziato a sperare che foste spariti, ma
naturalmente mi sbagliavo».
«Ah, lo sa pure lei, la vita è fatta di
delusioni» sbottò Draco, con una smorfia. «Mi piace come ha arredato questo
postaccio, lo stile horrore fatiscente sta tornando di moda, a
quanto pare».
«Il signor Malfoy ama sempre scherzare»
disse il Maestro, la voce distorta che sembrava improvvisamente divertita ed
irritata insieme. «Shacklebolt, che ne dici di dargli uno scossone per fargli
capire quanto apprezziamo il suo
sarcasmo?».
Con un grugnito e più velocemente di
quanto Draco non avrebbe voluto, il Ministro aumentò la presa sulle sue braccia
e strinse forte, costringendo il giovane a sibilare un paio di insulti per
coprire il sinistro crack che fecero
le sue ossa.
Doveva
avergli incrinato delle costole, il bastardo.
«Lei mi conosce, ma noi non conosciamo
lei» disse allora Draco, mentre Hermione, al suo fianco, sembrava
improvvisamente rapita dallo Specchio che svettava al centro della stanza. Il
fatto che non avesse detto nulla, da quando erano arrivati, era leggermente preoccupante.
«Non so se gliel’hanno detto, ma è davvero da maleducati non presentarsi».
«Tu mi conosci benissimo, Malfoy, così
come mi conosce la tua accompagnatrice Granger» a quelle parole, Hermione si
riprese improvvisamente, alzando gli occhi sul Malestro. «Ma i nomi sono così
sopravvalutati… dopotutto, un uomo si è mai preoccupato di chiedere il nome a
delle formiche? Voi questo siete, per me, nulla più che formiche da
schiacciare».
Simpatico,
l’amico.
«Credo di non averla capita» borbottò
Draco, tirando fuori la migliore fra le sue espressioni impertinenti. «Sa, con
la maschera e tutto quell’apparato5…».
Un cenno del Maestro e Shacklebolt
assestò un altro colpo letale alle sue costole. Forse avrebbe dovuto star
zitto.
«Vuole dirci chi è lei? Oppure dobbiamo
tirare ad indovinare fra tutti i fedelissimi di Voldemort?» con un sibilo,
Hermione si ribellò ancora alla magia che la teneva bloccata, naturalmente
senza alcun successo. «Non le permetteremo di portare a termine il suo piano e
farlo tornare qui, non dopo tutto quello che abbiamo perso per liberarci di
lui!».
«Riportare
Voldemort indietro? Io non voglio avere nulla a che fare con lui» rise il
Maestro, muovendosi a scatti sul suo vecchio trono. In quel momento, Draco notò
una corona dall’aria antica sul suo capo, una corona che era sicuro di aver notato da qualche altra
parte. «Non si esalti troppo, Miss Granger, non ho intenzione di rivelarvi il
mio piano senza prima assicurarmi che non possiate scappare. Morirete entrambi
entro l’alba di domattina, ma quantomeno meritate di morire informati riguardo
cosa vi lascerete alle spalle». Un suo cenno del capo e Daisy, seppur con
l’espressione di qualcuno che avrebbe preferito fare un balzo nell’acido, tolse
loro le bacchette, appellandole e, con un gesto secco, spezzandole in due.
Quello era un danno che neppure Ollivander avrebbe risolto. La bacchetta di Draco era
appena stata riparata, maledizione.
Senza le loro armi, le speranze di
sopravvivere avevano iniziato ad abbassarsi fino a sfiorare lo zero, ma lui non
si sarebbe arreso, non quando aveva così tanti piani per il futuro e non quando
aveva fatto una promessa tanto importante.
Ti
sto affidando il mio papà, Malfoy.
Doveva esserci un modo. C’era sempre un
modo, per quanto la situazione potesse sembrare complicata o disperata, era una
cosa che lui era stato costretto ad accettare da tantissimo tempo, ormai.
Prima di tutto, però, doveva comprendere
quanto grave fosse il guaio in cui erano andati a finire e, soprattutto, chi
fosse il cosiddetto Maestro.
«Se non vuole avere a che fare con lui,
perché lo Specchio? Perché i Mangiamorte? Cos’è
che vuole?». Hermione non sembrava intenzionata ad utilizzare i soliti
giochetti che agli Inquisitori piacevano tanto. Anche lei era strana, nervosa,
quasi quella situazione avesse tirato fuori il lato più vigliacco del suo
carattere, sempre che lei ne avesse mai avuto uno. Era spaventata,
comprensibilmente, ma il modo con cui si guardava intorno, il pallore del suo
viso… qualcosa non quadrava.
«Anche Potter che sta male… se non è a
causa di Voldemort, perché?» si intromise comunque il mago, scuotendo il capo
per allontanare momentaneamente i timori per la salute della fidanzata. Non era
il momento di pensare a lei, se non avesse impedito che la situazione
precipitasse probabilmente non ci sarebbe stato un domani su cui fare progetti su progetti. Si trattava di priorità, i
Serpeverde erano bravi con quelle, di solito.
Stranamente, Hermione ammutolì,
impallidendo ancora di più nonostante il lieve sorriso di trionfo che le
incurvò le labbra.
«Ah, il signor Potter… è stata una mossa
geniale, dovete concordare con me» disse il Maestro, con una risatina crudele,
mentre il suo capo incappucciato si scuoteva leggermente, facendo dondolare
l’antica corona.
L’aveva
vista da qualche parte, ma dove?
«È collegato ai Mangiamorte, immagino. Ed
alle indagini che ci avete spinti a fare, nonostante fosse contro il vostro
interesse» convenne la strega, improvvisamente accigliata. Doveva sapere
qualcosa che Draco ancora ignorava, per forza. Lei non aveva mai tollerato
l’idea di non sapere. «Era tutto un
trucco?» chiese ancora, a labbra strette, voltandosi finalmente verso di lui
per potergli spiegare quell’anello mancante nella ricostruzione del quadro
generale. «Harry non sta male a causa di Voldemort. È stato avvelenato».
«Che
cosa?» se avesse potuto, Draco avrebbe lasciato cadere le spalle con fare
sconfitto. Tanto tempo ad arrovellarsi il cervello con il Dottore per scoprire
cosa accidenti fosse preso al
cervello dello Sfregiato e poi? Avvelenamento. Ma come avevano fatto, i
guaritori, a non rendersene conto? Dopotutto era monitorato notte e giorno! Ed
i suoi disturbi erano presenti da mesi
prima della crisi finale. «E tu come accidenti fai a sapere che l’hanno
avvelenato, Granger?» chiese ancora, mettendo da parte tutte le altre domande.
Quella gli premeva di più, perché avrebbe potuto implicare che lei avesse
sempre saputo e gli avesse mentito per tutto quel tempo, nonostante tutto ciò
che avevano affrontato insieme.
«Deduzione» fu una risposta troppo
veloce, quella di lei, ma non c’era tempo per discutere fra loro e glielo fece
capire molto chiaramente quando tornò a concentrarsi sul Maestro, rimasto in
divertito silenzio ad osservarli. «Allora? Ha promesso di farci morire
informati, si sbrighi a parlare. E magari si tolga quella maschera, voglio
guardare negli occhi il mio assassino».
Quello era un
atteggiamento da vera Corvonero, più che da Grifondoro. Un desiderio di
conoscenza che andava oltre la volontà di vivere era coerente con Hermione Granger. Per esser precisi, lo sarebbe stata
se le loro vite fossero state le uniche in gioco, non anche quelle di tutte le
persone cui poteva aver mai voluto bene.
Non
era normale.
«Se vi rivelassi subito chi sono, dove
sarebbe il divertimento, Miss Granger?» disse il Maestro, tranquillo, mentre
intorno a lui iniziavano a radunarsi tanti uomini e donne mascherati e coperti
da lunghe tuniche nere. Ricordavano i Mangiamorte, ma soltanto vagamente:
c’erano una disperazione ed una sottomissione, in loro, che Draco non aveva mai
visto nei suoi ex compagni, neppure
nel periodo di massimo potere del Signore Oscuro. «Ottima deduzione, però.
Avvelenare lentamente il signor Potter, fondare il mio esercito basandomi su
quello di Voldemort, spargere false notizie sul suo ritorno… un ottimo modo per
non attirare l’attenzione sul mio vero intento, non è vero? Chi si sarebbe
messo ad interrogare un povero Mezzosangue? Chi avrebbe fatto caso a documenti
spariti dagli archivi del Ministero, se questi non avessero avuto nulla a che
fare con la guerra appena conclusa?» la voce dell’uomo era colma di una
soddisfazione quasi fastidiosa. Rise, facendo venire i brividi a Draco. «Il mio
è un piano perfetto, elaborato in oltre sei anni di sofferenze indescrivibili».
Oltre
sei anni. Doveva aver iniziato a progettare tutto nel periodo della Guerra,
probabilmente quando il Signore Oscuro era ancora vivo e vegeto.
«Ma se non vuole riportare Voldemort,
cosa vuole fare con lo Specchio? Si tratta di Magia potentissima, più antica
dei maghi stessi, probabilmente!» il tono della strega era di sdegnata
confusione. «Cos’è che vuole? Ci è
stato sempre ripetuto immortali nella
mortalità, ma nessuno ha ancora avuto il coraggio di parlare».
«Ah, questi giovani d’oggi, non hanno alcun
amore per la cultura, per la storia!» sbottò il Maestro, scuotendo ancora il
capo. Un campanello d’allarme iniziò a trillare nella mentre di Draco, ma lui
riuscì a zittirlo, almeno per il momento. La corona antica continuava ad
attirare il suo sguardo, quasi avesse voluto
esser riconosciuta. «Immortale nella
mortalità è una formula usata dall’antico popolo vichingo poco prima di un
sacrificio propiziatorio6» spiegò, mentre Daisy, ormai lontana da
Hermione, girava intorno allo spiazzo centrale per mantenere la massima
distanza dallo Specchio e poter comunque raggiungere il fianco dell’uomo. «Chi
diventa immortale, dopo la morte, se non le persone importanti? Se non chi ha
lasciato un’impronta nella storia?» chiese, retorico, indicando con un cenno la
trentina di persone che l’aveva raggiunto. «Noi vogliamo questo. Vogliamo essere ricordati per qualcosa di immenso, poiché
fino ad oggi nessuno si è mai curato di noi».
«Siamo stati lasciati da parte, come
pedine in un gioco già concluso» una voce giovane, a Draco sconosciuta,
provenne dalla piccola folla che si era appena radunata. Un attimo dopo, un
giovane con lunghi capelli colo topo si fece avanti, togliendosi la maschera e
rivelandosi ai loro occhi. «Vittime della Guerra ma non abbastanza importanti
da meritare attenzione. Dopotutto, noi non eravamo Potter o Weasley o Malfoy».
«Dennis7» la voce di Hermione
improvvisamente sembrò tremare, come se fosse stata nel panico. «Dennis, cosa stai facendo? Tuo fratello è morto per
combattere una guerra e tu-».
«Ed io combatto affinché anche il mio
nome non venga cancellato e dimenticato, com’è successo a lui» la risposta
velenosa del giovane la zittì, quasi fosse stata bruciata. «Hermione Granger…
mio fratello parlava di te come una persona di gran cuore, eppure non hai mai
detto una parola in sua memoria, oppure in memoria di tutte le altre vittime.
Ma loro non erano importanti, vero? Noi
non eravamo importanti. Non abbiamo ricevuto targhe, non abbiamo ricevuto
aiuto… alcuni di noi hanno lottato ad Hogwarts con voi altri, eppure non siamo
stati chiamati eroi».
«Siamo tutti eroi, Dennis»
Hermione sembrò volerlo supplicare, tanto docile era stata la sua voce. Draco
si voltò appena in tempo per osservare un singola lacrima scendere lungo la sua
guancia, il viso contorto in una smorfia disperata. «Nessuno potrebbe mai esser
dimenticato».
«Se tutti siamo eroi, allora sarebbe come
dire che non lo è nessuno» le fece notare il giovane dai capelli color topo,
con una risatina. «No, non funziona così, non potrà mai funzionare così, finché
ci sarete voi ad oscurarci. Ci avete
messi da parte non appena non avete avuto bisogno di noi… ed ora noi vi metteremo da parte,
definitivamente».
«Dov’erano i grandi Mangiamorte, quando
mio fratello veniva ucciso dai suoi stessi amici?». Un’altra voce, questa volta
femminile, si sollevò dal coro. Draco riconobbe subito la cugina Goldine, accompagnata dal marito. «Dov’erano gli stessi fedeli che avrebbero seguito mio padre
in capo al mondo, quando anche lui venne ucciso per aver chiesto vendetta?EvanRosier era stato uno dei fondatori dell’esercito,
eppure nessuno si preoccupò di restituirci il suo corpo, perché, ormai, lui non
era più importante» aggiunse, con un
sibilo ferito che fece tremare le gambe a Draco. Ricordava quando Merrick aveva rivolto quelle stesse domande alla sua
famiglia e ricordava il silenzio con cui suo padre aveva risposto.
«Vedete?» la voce del Maestro sembrò
improvvisamente compiaciuta. «Il vostro voler salvare il mondo non ha fatto altro che portarvi qui, davanti a
tutte le vittime dimenticate di una guerra che non è mai finita davvero»
continuò, allargando le braccia per indicare chi lo circondava. «Ed ora, le
vostre vittime chiedono giustizia. La giustizia che arriverà soltanto quando io riporterò l’equilibrio fra bene e
male, fra sacro e profano».
Profano.
Profano.
Questa
è la corona indossata da Enrico VIII il giorno in cui fondò la sua nuova fede,
divenendone il capo spirituale ed eliminando il profano dal mondo.
L’improvvisa immagine di dipinto del
sovrano Tudor gli tornò alla mente, facendolo
irrigidire. Si trattava di un originale risalente agli ultimi anni di vita del
Re in questione, un ritratto che Draco era sempre stato convinto dovesse essere
stato toccato dalla magia, poiché più
volte era stato convinto di averlo visto ammiccare. 3
Un ritratto che lui aveva visto in un
ufficio da professore universitario.
All’università St.
Andrews.
Voi
maghi siete la rappresentazione vivente del concetto di profano, Malfoy.
«Rochester!».
***
Quando il Maestro si tolse la maschera,
rivelando il volto grinzoso dello stesso professore universitario che Draco
aveva incontrato tante volte, negli anni precedenti, un brivido d’orrore
attraversò le spine dorsali dei due prigionieri, spingendo Hermione a
trattenere bruscamente il respiro e lui, che già credeva di aver espresso tutto
il suo sdegno pronunciando il suo nome, ad imprecare con una tale convinzione
da far invidia allo scaricatore di porto della nave più malfamata dell’intera
Londra.
«Lei? Come… com’è possibile? Come ha
potuto…» la Granger sembrava aver completamente perso la capacità di parola,
mentre fissava sbalordita il vecchio storpio che, mesi prima, aveva fornito
loro le prime informazioni sullo Specchio, cacciandoli in malo modo per paura
che potessero fargli del male.
Menzogne,
tutte menzogne.
«Ah, Miss, sono riuscito a sorprenderti
alla fine» rise il professore, raddrizzando le spalle ma senza muovere le
gambe. Solo in quel momento l’immobilità innaturale dei suoi arti inferiori
risaltò agli occhi di Draco. «Immagino che per una ragazza come te, tanto
votata alla giustizia ed all’equilibrio, l’idea che una vittima possa farsi
giustizia da sola debba essere assolutamente inconcepibile» continuò,
divertito, mentre i suoi scagnozzi restavano immobili, senza dimostrare alcun
sentimento. «Sì, sono stato io ad architettare tutto, fin dal giorno in cui il
vostro Voldemort ha reso evidente ai
miei occhi l’esistenza della magia, torturandomi fino a rendermi uno storpio».
«Ma come?
Come ha fatto a reclutare tutti loro? Come ha fatto a mettere sotto
incantesimo il Ministro?» lo sdegno
di Hermione era palpabile nell’aria, come se ogni sua parola fosse stata
accompagnata da una vampata di fuoco e ghiaccio insieme. Se avesse usato quel
tono con lui, Draco probabilmente
avrebbe chiesto scusa anche per qualcosa di cui avrebbe potuto non avere idea.
«Cosa vuole?».
«Tutto al suo tempo, mia cara, tutto al
suo tempo» la redarguì il professore, la voce macchiata da una punta di severità.
Sembrava quasi che Hermione fosse stata una studentessa un po’ troppo
impaziente durante una lezione. «Vedete, Voldemort oltre a mettermi davanti
alla innegabile esistenza della magia, ebbe modo di confermarmi l’esistenza
dello Specchio e del suo inestimabile potenziale. Lo desiderava, così da poter
sfruttare la conoscenza dei defunti e ottenere la vita eterna».
«Ma non è quello che vuoi tu» sbottò
ancora la strega, con un sibilo. «Hai già la Pietra Filosofale, non è vero?».
Il professore sembrò stupito da quella
sua intuizione ed un attimo dopo lo confermò, battendo allegramente le mani
come a farle un complimenti. «Chapeau,
mia cara. Cosa è stato a tradirmi?» le domandò, incurante di rivelare le
proprie intenzioni tanto quanto di star tenendo un comportamento inadatto alla
situazione. Quella non era un’aula accademica ed in gioco non c’era soltanto il
rendimento scolastico della Mezzosangue.
«Se il veleno di Harry non è stato
trovato con i criteri normali e se delle dosi giornaliere non l’hanno reso
immune, deve trattarsi per forza di un veleno alchemico di incredibile forza,
probabilmente figlio di una deviazione della Panacea» la spiegazione di
Hermione arrivò immediata, quasi lei avesse saputo
che prima o poi qualcuno le avrebbe posto la fatidica domanda. Messa sotto
quella luce, la situazione di Potter sembrò così banale, a Draco, da spingerlo
a chiedersi come avesse fatto a non rendersene immediatamente conto.
«Eccellente davvero!» l’allegria con cui
il professore acclamò quella sua scoperta ricordò molto l’entusiasmo di Silente
quando Potter era solito tornare vivo da una delle sue missioni suicide ed
assolutamente contro il regolamento. Aveva la stessa faccia del vecchiaccio
prima di dare ventimila punti immotivati a Grifondoro. «Hai ragione, Miss
Granger, io ho già la Pietra e, se l’avessi voluto, avrei già potuto recuperare
la funzionalità delle gambe, oltre ad ottenere l’immortalità».
«Ma non è quello che lei vuole, non è
vero?» fu Draco a parlare, quella volta, sentendo che tutti i pezzi del puzzle
avessero finalmente iniziato a trovare il loro posto. «Guarire vorrebbe dire dimenticare e lei non lo desidera.
L’immortalità è inutile, se non può avere la vendetta. È lo stesso motivo per
cui il Signore Oscuro si è sempre rifiutato di cercare attivamente lo Specchio, voleva prima uccidere Potter e
vendicarsi, per potersi godere l’Immortalità».
«Voldemort ed io condividevamo molte
idee, sì» convenne il professore, con un vago sorriso. Tornò a voltarsi verso
Hermione, probabilmente poiché riteneva che lei fosse l’allieva migliore. «Adesso comprendi, Miss
Granger? Non mi serve la Pietra, non finché non avrò utilizzato lo Specchio per
avere la mia vendetta. Non finché non avrò raso al suolo la vostra razza e
tutta la civiltà umana, riemergendo poi come l’unico vero potente».
«La nostra razza?» il panico nella voce
della strega non poté essere mascherato, nonostante lei avesse tentato. «Vuole
uccidere tutti i maghi?».
«Ma certo che no, mia cara» il tono
carezzevole dell’uomo fu viscido come la carezza di una lingua di serpente
sulla pelle. «Non tutti. Qualcuno
dovrà pur mantenere l’ordine, nel mio nuovo mondo».
La risata folle del professore rimbalzò
per le mura della stanza, facendo tremare tutte le ossa del corpo di Draco.
«Lei è un dannato folle!» sbottò
Hermione, con un urlo isterico. «Non può farlo, non… per l’amor di Dio, tutti
voi! Volevate diventare qualcuno ma siete pronti ad uccidere le vostre famiglie, per farlo? Cosa vi
rende diversi da Voldemort?».
«Non credo riuscirà a convincerli, Miss
Granger» la fermò il professore, tranquillo, facendo un cenno ad un uomo
affinché scoprisse il collo. Quando ubbidì, Draco vide chiaramente un piccolo
tatuaggio a forma di rosa8, abbastanza piccolo da poter essere
facilmente coperto. Un simbolo che lui aveva già visto. «Questo è stato un
prestito di sua Maestà Enrico VIII, un simbolo d’altissimo potere magico capace
di imbrigliare la volontà umana. La mia cara Apprendista mi ha gentilmente
fatto la cortesia di prendersi cura del lato magico della questione» nel dire quella parola indicò Daisy, che
abbassò il capo come se si stesse vergognando di se stessa «Tutti loro sono miei, anche se non se ne rendono conto!
E lo saranno sempre, fedeli come i più devoti sudditi, pronti a lanciarsi nelle
fiamme per me9» il sorriso del vecchio si allargò. «Oppure a
tagliarsi le vene, come faranno adesso».
«Cosa?» a parlare era stata proprio la
bionda segretaria, il bel viso contratto in una smorfia di disappunto. «Non
erano questi gli accordi!» aggiunse, sdegnata, facendo un passo avanti quasi
avesse voluto fronteggiare il suo Maestro.
«Gli accordi sono cambiati, Daisy» la
tranquillità con cui le rispose non aveva nulla dell’uomo nevrotico che Draco
credeva d’aver conosciuto. Erano state
tutte bugie. «Devo ricordarti il grandissimo favore che ti ho concesso? Non
costringermi a rimangiarmi la parola, mia cara, sai bene che lo farei
volentieri e per il tuo piccolo David sarebbe la fine».
Quelle parole frenarono la donna, i due
la videro gelarsi sul posto e poi arretrare, gli occhi bassi e le mani strette
in pugni tremanti lungo i fianchi. Lei non aveva il tatuaggio, probabilmente
era quello il motivo della ribellione.
Era
costretta a partecipare.
«Daisy, non devi starlo a sentire» tentò
quindi Draco, un moto di speranza ad animargli il petto. Forse avrebbe potuto
confonderla al punto di farle cambiare idea. «Puoi ancora risolvere tutto!
Basta distruggere lo Specchio ed interrompere l’incantesimo su tutti loro…
Daisy, tu puoi scegliere».
«No, non posso» il tono risolutivo della
giovane donna lo interruppe, i suoi occhi chiarissimi lo fulminarono sul posto.
«Io non ho altre possibilità, il mio bambino non ha altre possibilità».
«Andate, il vostro momento è finalmente
giunto» disse, tranquillo, il professore, facendo un cenno al gruppo in modo
che raggiungesse il centro della stanza. «Andate, donate voi stessi come
sacrificio e allora sarete anche voi immortali
nella mortalità».
Nel silenzio sbigottito di Draco ed
Hermione, tutti i maghi e le streghe presenti estrassero un pugnale dalle loro
vesti e, uno alla volta, si avvicinarono allo specchio, recidendosi di netto la
gola. Non emisero un fiato, non si lamentarono, semplicemente posero fine alle
loro vite poiché così era stato richiesto da una volontà molto più forte della
loro, oltre che incredibilmente più crudele.
Voltandosi verso Daisy, Draco la trovò in
lacrime, presa da una disperazione che nessuno avrebbe mai potuto comprendere.
Era
tutta colpa sua.
«Adesso tocca a voi» con una gentilezza che era agghiacciante in quello scenario di
dolore, il professore si voltò verso Draco ed Hermione, sorridendo. «Vedete,
quello che i miei predecessori non sapevano, riguardo lo specchio, è che questo
ha bisogno di sangue vivo per esser
davvero controllato. Ha bisogno di un sacrificio, affinché il suo potere possa
essere incanalato e non generare distruzione una volta finito il suo compito».
«Ha bisogno di un contenitore?» fu
l’immediata domanda di Hermione, stranamente ansiosa oltre che incredibilmente
immediata, anche per qualcuno con un’abilità nel ragionamento pari alla sua. «Lo Specchio ha bisogno di un tramite».
«Esattamente, mia cara, esattamente!» la
gioia del professore sembrò incontenibile. «I morti vogliono tornare a vivere,
quindi quale potrebbe essere un modo migliore di controllarli, se non offrendo
loro tanti gusci vuoti ed uno ancora caldo
per incanalare la magia?».
Sarebbero
morti tutti.
Era una certezza, a quel punto. Il
professore li aveva privati di qualsiasi difesa ed a breve li avrebbe usati da
contenitore per gli spiriti magici più saggi mai esistiti. Li avrebbe resi un
collegamento vivente fra i due mondi.
«Naturalmente, avrò bisogno soltanto di uno di voi» continuò l’uomo, voltandosi
finalmente verso Draco. «E tu, Malfoy, non mi servi».
Un attimo dopo, Kingsley
lo scagliò violentemente contro un muro, facendogli perdere i sensi.
***
Il velo sopra lo specchio aveva iniziato
a tremare nel momento stesso in cui il primo fra i fedeli si era reciso la gola, le voci erano aumentate a dismisura,
un coro che reclamava una libertà che mai avrebbe dovuto ottenere.
Hermione aveva paura, ma non più per se
stessa. La morte era già stata messa in conto, non era un concetto che la
spaventava, per quanto ritenesse ingiusto doversi separare da tutti i suoi
affetti dopo così poco tempo dalla sua ripresa. Non avrebbe avuto modo di
stringere il bambino di Ginny ed Harry e non avrebbe mai stretto i suoi bambini. Non avrebbe abbracciato
mai più il suo migliore amico e non avrebbe mai più rivisto i suoi genitori.
Non
avrebbe più baciato Draco.
Era ingiusto il suo destino, ma lei lo
aveva accettato. Tuttavia, la possibilità di diventare un portale fra due mondi
metteva tutto sotto un’altra prospettiva. Non poteva semplicemente morire. Non in quel modo.
La sua unica speranza, in quel momento,
era la donna disperata accanto al professore.
«Daisy» la chiamò, con
urgenza. «Daisy, ti prego, tu non vuoi tutto questo!» la supplicò, tentando
inutilmente di ribellarsi contro la magia che ancora le impediva di muoversi.
Ogni istante era un passo forzato più vicino a quell’oggetto maledetto. Ogni
istante era un istante in meno per far sì che il mondo venisse salvato. «Non so
cosa ti abbia promesso, ma pensi davvero di poterti fidare di lui?Ha ucciso i suoi seguaci e probabilmente ha
risparmiato te solo perché è la tua magia a tenerci tutti sotto controllo».
«Non darle ascolto, ragazza. Presto il
nostro piano arriverà a compimento e tu sarai al mio fianco nel nuovo mondo che
governerò. Tu e David, insieme e felici, ancora una volta» il professore
intervenne con un tono stranamente ansioso, mostrandosi forse un po’ troppo affettuoso rispetto a quanto non avesse
fatto fino a quel momento. «Ricorda perché hai fatto tutto questo! Ricorda chi deve davvero essere salvato!».
Daisy era terrorizzata, i suoi occhi
chiari saettavano confusi da Hermione all’uomo, mentre si allontanava da
entrambi con passi incerti. Ancora una volta, la strega sentì quel brivido che
solo la sofferenza incredibile sapeva portare con sé. Miss Stumplevill
aveva patito le pene dell’inferno e quella sua indecisione altro non era che la
lotta fra il dolore della vittima e la possibilità di divenire finalmente un
carnefice. Hermione aveva provato quella stessa indecisione, quando Harry le
aveva chiesto cosa fare di Ronald.
Ma lei non era un mostro e non aveva
voluto ucciderlo. E lo stesso poteva dirsi di Daisy, ne era assolutamente
certa.
«Lui può riportare indietro mio figlio,
Miss» la voce della donna era spezzata, affranta, disperata quasi quanto lo era
il suo sguardo. «Lui può ridarmi il mio David, me lo ha promesso… io non posso
rinunciare a lui» esalò, arretrando di un paio di passi. Lo Specchio copertò tremò, quasi le anime avessero voluto ruggire la
loro approvazione. Le avrebbero ridato il
suo bambino, ma ne avrebbero presi tanti altri. «Mi dispiace, io… io non
posso rinunciare a lui».
Improvviso, il ricordo di un articolo di
giornale di quasi sette anni fa fulminò Hermione sul posto. Un bambino, un bambino
di appena un anno, era stato sbranato vivo da Greyback
durante un attacco a DiagonAlley.
Un bambino innocente, la cui madre era stata ricoverata al San Mungo per mesi,
a causa dello shock.
David
Stumplevill.
Tutto, in quel momento, ebbe finalmente senso
agli occhi di Hermione. La paura di Daisy durante gli incontri con i
rappresentanti delle Creature Magiche, il suo strano comportamento l’unica
volta in cui aveva incontrato Teddy, quando Harry lo
aveva portato con sé al lavoro, e la velocità con cui Kingsley
si era sbrigato a giustificarla, facendola allontanare. Il professore doveva
averla avvicinata nel periodo in cui erano stati entrambi al San Mungo10,
incantandola con le sue chiacchiere riguardo un potere così immenso da poter
riportare indietro chiunque e realizzare qualunque desiderio.
Hermione capì il perché del suo tormento:
se le avessero proposto di riportare indietro il suo bambino mai nato, fin dove
si sarebbe spinta?
«Daisy» tentò allora, stringendo per un
attimo le labbra per paura di dire qualcosa di orribilmente sbagliato. «Daisy,
lo so che stai soffrendo, io ti capisco. Anche io ho perso il mio bambino a
causa di un uomo orribile» le mormorò, dolcemente. «Non è questo il modo
migliore per riaverlo indietro, però».
«Non ci sono altre possibilità!» esalò la
donna, arretrando ancora finché le sue spalle non si ritrovarono bloccate
contro il muro. Era pallida, le lacrime avevano fatto sciogliere il trucco
perfetto che l’aveva sempre caratterizzata. Per la prima volta si mostrò debole
com’era sempre stata, come tutti l’avevano percepita sotto le mentite spoglie
di ragazza perfetta. «Solo lui può riportare il mio David indietro».
«Chi ti assicura che lo farà? Hai visto
cos’ha fatto! Potrebbe fare lo stesso con te!» la dolcezza di Hermione stava
lentamente scadendo nell’isteria. Lo Specchio tremava, davanti a lei, ed i
centimetri che li separavano diminuivano sempre di più.
Non
c’era tempo.
«Io rispetterò la parola data, Granger»
si intromise il professore, con un ghigno sardonico. «Diversamente da voi, dal
vostro Ministero, io voglio davvero mantenere la mia promessa, non la lascerò
mai più sola». Allungò la mano verso Daisy, come a chiederle di unirsi a lui e
fare fronte unico contro la loro vittima. «E nel nuovo mondo, libero dalla
Magia se non quella che io terrò per me, David potrà tornare a vivere insieme a
sua madre!».
«E quanti bambini innocenti dovranno
morire, per permettergli di realizzare questo piano folle?» la domanda di
Hermione fu rivolta direttamente alla giovane donna, che la fissò con orrore.
«Chiediti se sei pronta ad avere milioni e milioni di bambini sulla coscienza,
Daisy, perché non avrai altre possibilità! È quello il mondo in cui vorresti crescere tuo figlio? Vuoi davvero
che sua madre diventi complice della più grande strage della storia?» continuò,
alzando sempre di più la voce. «Daisy, tu
puoi salvarli tutti!» urlò alla fine, esasperata, quando la donna sembrò
non riuscire più a sentire le sue parole.
«Daisy» la voce stanca e sofferente di
Draco li fece voltare tutti verso l’angolo in cui si era accasciato dopo che Kingsley, ancora sotto incantesimo, lo aveva ripetutamente
fatto sbattere contro il muro. Aveva una brutta ferita alla testa, il viso
completamente tumefatto e gli abiti sporchi di sangue proprio e dei fedelissimi
che si erano già uccisi. «Credimi, il senso di colpa non passerà mai. Anche quando penserai di esser
felice, di aver ottenuto ciò che volevi… il
senso di colpa ti perseguiterà» le disse, cercando di rimettersi in piedi,
con incredibile fatica. «Saranno tutti lì ad aspettarti, ogni volta che
chiuderai gli occhi. Tutte le vite che avrai collaborato a concludere… tutti i
bambini senza genitori, tutti i genitori senza più figli. Saranno tutti lì e ti tormenteranno. Non fare a te stessa quello
che io ho fatto a me, tu puoi cambiare le
cose».
«Non starli a sentire» il professore non
sembrava minimamente toccato dai loro tentativi, così sicuro di vincere da
avere il coraggio di ridere loro in faccia. «Sappiamo entrambi che questo è
l’unico modo per ottenere ciò che vuoi. Nessuno ti ridarà tuo figlio e nessuno
pagherà perché ti è stato tolto. Questa è l’unica via affinché David non venga
dimenticato».
La giovane donna sembrava divisa tra due
fuochi fra i quali le sembrava impossibile scegliere il meno doloroso.I suoi occhi quasi trasparenti si posarono
sul Maestro, poi su Draco, infine su Hermione. Quando parlò, la sua voce era
ridotta a poco più che un pigolio. «Fa male»
le disse, tremando. «Fa così male che la mattina spero sempre di non
svegliarmi. Sono passati anni, eppure mi sembra sempre di averlo appena perso».
«Continuerà a far male» fu la pronta
risposta di Hermione, che sentiva di condividere almeno in parte quella pena
terribile che doveva agitarsi nel suo petto. Anche lei si svegliava la mattina
con la sensazione di star ancora sanguinando e probabilmente avrebbe continuato
ad avere degli incubi per tantissimo tempo ancora, se la sua vita non fosse
stata ad un passo dall’essere spezzata per sempre. «Farà male per sempre, ma è
un male necessario, Daisy. Solo così
potrai tenere il suo ricordo sempre con te. Solo così saprai sempre quale sarà
la scelta migliore da fare» prese un respiro profondo, imponendo a se stessa di
non piangere. «Se andrai avanti lungo questa strada, tantissime madri perderanno
i loro figli a causa di un mostro impossibile da combattere e tu,Daisy, tu sarai il mostro».
I loro occhi si incontrarono per un lungo
istante, dopo quelle parole. Il professore rideva, convinto che non ci sarebbe
stato alcun pericolo per lui, che per sei anni aveva mosso i fili della volontà
della donna praticamente indisturbato, spingendola a manipolare tutto il
Ministero. Draco, con qualche lamento, era riuscito a rimettersi in piedi e
stava tentando di avanzare, nonostante le diverse costole rotte ed il viso
completamente distrutto.
Hermione e Daisy si fissarono, marrone
nell’azzurro, e ritrovarono l’una nell’altra quel dolore che nessun uomo
avrebbe mai potuto capire davvero. Non erano sole, non lo sarebbero mai state,
ma avrebbero potuto impedire che altre madri innocenti provassero il loro
stesso dolore.
«Cosa stai facendo?» quando la donna fece
i primi passi avanti, diretta allo Specchio, ed Hermione venne improvvisamente
rilasciata dagli incantesimi restrittivi, il professore si raddrizzò sul suo
trono e mostrò i primi segnali di ansia. Dietro di lei, Hermione sentì
distintamente il suono di Kingsley che cadeva al
suolo e, finalmente libero da un’Imperius di
lunghissima durata, imprecava senza alcun ritegno. «Daisy, torna indietro!».
«No» la sua risposta fu secca, ma non si
voltò a guardarlo così come non prestò attenzione ai cadaveri intorno a lei. Il
sangue aveva formato una grande pozza intorno allo Specchio, che sembrava
avervi trasmesso la propria vita. Ribolliva, mentre l’odore disgustoso del
ferro si diffondeva per quel corridoio. «Ho collaborato fin troppo con te, non
ho intenzione di continuare» gli disse, con un ringhio.
«Così non rivedrai mai più tuo figlio»
minacciò il vecchio, muovendosi nervosamente sul trono, impossibilitato a
muoversi o intervenire. «Non fare la stupida, puoi salvarlo!».
«Lui è
già salvo. Ed è al sicuro». Daisy si voltò per un solo istante verso di
lui, il bel viso macchiato di lacrime per la prima volta fermo e deciso. «Ed io
metterò al sicuro tutti gli altri bambini!».
Prima che qualcuno potesse fermarla, si
avvicinò allo Specchio e spinse in avanti, facendolo cadere al suolo con un
fragore di vetri infranti.
Un attimo dopo, si scatenò l’Inferno.
***
Draco non credeva d’aver mai visto nulla
di simile, in oltre ventiquattro anni di vita. Era scappato da millenarie
trappole egizie, era sopravvissuto alle maledizioni dei Templi Inca11,
eppure quello scenario che gli si presentò davanti alla rottura dello Specchio
gli fece tremare le ginocchia per il terrore, costringendolo a reggersi al muro
per non cadere. Al suo fianco, il Ministro era ancora intento a proclamare una
serie infinita di imprecazioni, poiché probabilmente erano tutto ciò che la sua
mente era stata in grado di produrre una volta libera dall’Incantesimo.
Poverino, si ritrovò a
pensare, guardandolo. Dopo mesi e mesi si
ritrova improvvisamente al centro dell’Inferno.
Nel momento stesso in cui lo Specchio
aveva toccato il suolo, infatti, il sangue dei cadaveri si era sollevato in un
turbinio bordeaux, vorticando come un tornado impazzito nella piccola stanza
circolare. Urla di migliaia e migliaia di anime scoppiarono in un istante solo,
assordandoli tutti con la propria rabbia e il ringhio di giubilo per l’ottenuta
libertà.
Daisy ed Hermione, che l’onda d’urto
aveva fatto finire in un angolo poco lontano da Draco, si tirarono con
difficoltà a sedere, guardandosi intorno con l’orrore negli occhi. La
Mezzosangue la stava confortato, dicendole qualcosa come “hai fatto la scelta giusta”, ma lui non avrebbe saputo dirlo con
certezza, il rumore era troppo e l’oscurità sembrava volersi fare ogni istante
più fitta.
Il turbine di sangue ed urla vorticava
per la stanza, senza una meta, tirando al suo interno qualsiasi cosa non fosse
stata ancorata alle pareti. I quattro maghi presenti furono costretti a cercare
un appiglio al muro, ma qualcun altro non fu altrettanto rapido o fortunato:
con un urlo straziante, il professor Rochester venne
strappato via dal suo trono, insieme alla corona appartenuta ad Enrico VIII che
aveva sempre tenuto in un angolo del suo ufficio, dimenticata da tutti ma non
dal massimo conoscitore di Storia dell’Arte in circolazione.
Così, come se fosse diventato egli stesso
puro sangue, venne inghiottito dal tornado, sparendo dalla loro vista.
Fu in quel momento che la terra tremò ed
un’esplosione di luce, improvvisa quanto potente, accecò tutti i presenti,
mettendo fine al coro straziante delle urla dei defunti che si erano ritrovati
intrappolati nello Specchio stesso.
Dal canto suo, Draco si rese conto di
aver momentaneamente perso i sensi solo quando il Ministro, fortunatamente con
delicatezza, iniziò a scuoterlo, riportandolo alla coscienza. «Malfoy!» lo
chiamò, con urgenza. «Hermione, è ancora vivo» disse poi, rassicurando la giovane,
quando lo vide aprire un occhio con una certa difficoltà. «Coraggio ragazzo,
tirati a sedere».
Dolorante, Malfoy accettò l’aiuto di
Shacklebolt, sbattendo le palpebre per poter individuare immediatamente la sua
Mezzosangue, seduta a pochi passi di distanza e china verso Daisy, altrettanto
viva ma decisamente più spaventata. «È finita? Cos’è successo a Rochester?» domandò, quando lei si voltò a sorridergli,
decisamente più sollevato. Il sangue intorno a loro era sparito e con quello
anche i cadaveri.
Tutti tranne uno.
«Ha avuto ciò che meritava» sputò Daisy
stessa, con cattiveria, osservando detto corpo con tutto lo sdegno di cui
doveva essere in possesso. Si rialzò in piedi, con l’aiuto di una stranamente
taciturna Hermione, e si diresse verso i due uomini. «Per quello che vale, mi
dispiace. Accetterò qualunque condanna il Tribunale vorrà riconoscermi»
mormorò, a testa bassa, voltandosi per un istante verso il Ministro. «Mi
dispiace, signore. Lei si è fidato di me ed io…».
Shacklebolt, dimostrando un sangue freddo
che Draco non credeva avrebbe potuto dimostrare, nella sua stessa situazione,
alzò la mano per impedirle di continuare. «Lasciamo che la giustizia faccia il
suo corso. Io ti ho vista rischiare tutto per porre fine a questo orrore, sono
certo che anche il Winzegamot saprà fare le scelte giuste».
«Lo hanno fatto anche con gente molto più
colpevole di te» intervenne Draco, tornato in piedi grazie all’aiuto del
Ministro. Il riferimento a se stesso e, soprattutto, a suo padre era implicito
nelle sue parole. «In un certo senso, hai messo fine a questo orrore».
«Io
non ne sarei tanto sicuro, al posto vostro» una voce agghiacciante, che di
certo non apparteneva ad alcuno dei quattro maghi, fece venire la pelle d’oca a
Draco. Nell’esatto istante in cui comprese che la fonte fosse il cadavere di Rochester, questo si librò in aria e si raddrizzò,
lasciando che due profondi occhi neri si puntassero su di loro. «Ah, Daisy… sapevo che mi avresti liberato,
in qualche modo» si complimentò la creatura – lo Specchio? – guardando in direzione della giovane donna, che
trattenne bruscamente il respiro. «Ho
sempre pensato che Rochester sarebbe stato perfetto,
come contenitore. E tu mi hai liberato!» una risata agghiacciante,
terribilmente simile al rumore di unghie sulla lavagna, costrinse i quattro a
coprirsi le orecchie.
«Io… io non lo sapevo…» disperata, la
giovale afferrò Draco per un braccio, non riuscendo tuttavia a staccare gli
occhi dal mostro. «Dovete credermi, io... non
lo sapevo».
«Lo Specchio è un esperto manipolatore,
non potevi saperlo» la rassicurò immediatamente Hermione, che fra tutti
sembrava la meno sorpresa da quell’improvvisa resurrezione. Che se lo fosse
aspettato? «Immagino tu ti sia fatto trovare da quell’uomo di proposito, non è
vero?» chiese alla creatura, una smorfia disgustata sul viso. «Sapevi che Daisy
non sarebbe arrivata fino in fondo ed avrebbe spezzato lo Specchio, liberandoti
dalla tua prigione».
«Prigione?» Draco non sapeva se essere
più confuso o spaventato. I suoi occhi grigi saettavano da Hermione a Rochester, senza poter decidere chi, fra i due, meritasse
maggiore attenzione. «Hermione, di cosa diavolo stai parlando?».
«Del
diavolo, naturalmente» gli rispose lei, immediatamente, facendo un passo
avanti. «Di tutti i mali del mondo,
se vuoi usare un’altra definizione» continuò, così tranquilla da far quasi
paura, facendo un altro passo avanti. Draco, spaventato, la afferrò per un
braccio e tentò di tirarla indietro, senza riuscirci. Quando lei si voltò a
guardarlo, la sua pelle era pallida come l’alabastro ed i suoi occhi dei pozzi
d’oro.
Non
era Hermione. Era l’Arazzo.
«Cosa cazzo sta succedendo?» domandò
allora lui, sentendo la terra tremargli sotto ai piedi. Kingsley
e Daisy, che dovevano aver colto la sua debolezza, si fecero avanti e lo
afferrarono un braccio per uno, rendendolo nuovamente stabile. «Perché sei qui?
Cos’hai fatto ad Hermione?» continuò, sentendo il panico prendere possesso di
lui con la stessa velocità con cui le forze volevano abbandonarlo. Se non
svenne fu solo per forza di volontà.
«La tua Hermione non ha resistito alla
tentazione ed ha posto un’altra domanda» gli rispose la creatura davanti a lui,
che diventava più eterea ad ogni secondo. «Mi ha chiesto dello Specchio, mi ha
chiesto come eliminarlo, ha accettato di dare se stessa, pur di porre fine a
quest’orrore» spiegò, tornando a voltarsi verso Rochester,
che non aveva smesso un momento di ghignare.
«Lo Specchio non è mai stato un Portale,
ma una prigione» disse proprio la creatura nel professore, con una risatina
inquietante. «Una prigione per tutti i mali del mondo, gli stessi che si dice
fossero contenuti nel vaso di Pandora»
continuò, allegro, fluttuando verso di loro. «Ho tentato di fuggire dall’alba
dei tempi, ho corrotto, ho devastato… ma nessuno è mai stato abbastanza sciocco
da liberarmi, fino ad ora» nel pronunciare quelle parole, ammiccò in direzione
di Daisy, che emise un gemito disperato. «E non c’è più nulla che tu» indicò il
corpo di Hermione, in quel momento ancora ben ancorato al suolo, «o chiunque
altro possa fare per fermarmi. «Siete deboli».
«Ed è qui che ti sbagli, fratello» gli rispose l’Arazzo,
separandosi definitivamente dalla presa di Draco per fluttuare a sua volta
verso Rochester. Occhi negli occhi, Specchio ed
Arazzo si fronteggiarono per la prima volta dall’Alba dei Tempi. «La Magia è
fatta di opposti, di male e bene, di distruzione» nel dirlo lo indicò, «e di
conoscenza». Si voltò verso i tre maghi, accennando un piccolo sorriso.
«Hermione è stata molto coraggiosa ed ha scelto di rinunciare a tutto pur di
dare una possibilità a tutti voi. Soltanto io posso intrappolarlo di nuovo, ma
voi dovrete scappare il più lontano possibile, o verrete risucchiati insieme a
lui».
Draco, sentendo quelle parole, ritrovò
sufficiente forza da raddrizzare le spalle. «Io non me ne andrò di qui senza
Hermione!» urlò, con la disperazione artigliata al suo cuore già sanguinante.
«Ho lottato tutta la vita per diventare degno di lei. Non puoi portarmela via,
non così!».
«Oh, che carino» lo sbeffeggiò lo
Specchio, con una risatina crudele. «Mi fa quasi più pena di te, fratello» aggiunse, ammiccando verso
Hermione. «Lui non ha ancora capito che, per far spazio a te, la ragazza è già
morta da un pezzo, mentre tu… tu sei così sciocco da credere di essere
abbastanza forte da distruggermi!».
Draco, senza riuscire a trattenersi,
emise un rantolo disperato, le ginocchia ormai prive di qualsiasi volontà di
reggere il suo peso. Quando Kingsley lo afferrò, per
evitargli di cadere, le costole rotte emisero un urlo di protesta, che tuttavia
lui silenziò. Quel dolore non era nulla,
rispetto ciò che gli si stava agitando nel petto.
Hermione,
la sua Hermione.
«Non sono abbastanza forte da
distruggerti, hai ragione» concordò l’Arazzo, dando le spalle ai tre maghi e
togliendo a Draco l’unica possibilità di poter ancora osservare il viso
dell’amore della sua vita, che non poteva
esser davvero morta. Non lei. «Ma non hai sentito ciò che ti ho detto prima? Io
non ho mai parlato di distruggere. Non potrei, il male è necessario affinché la
Magia possa continuare ad esistere».
«Tendo a non ascoltarti, ti fa sentire
intelligente e rischio di incoraggiarti a continuare» sbottò Rochester, con una risatina maligna, liquidando l’altra
creatura con un gesto della mano. La sua attenzione era tutta per Malfoy,
naturalmente. L’unico a soffrire davvero, in quel momento. «Guardalo, guarda
come l’hai reso miserabile… sicuro di rappresentare il bene e la conoscenza,
fratellino? Credo tu l’abbia ferito molto più di quanto non abbia fatto io.
Sono invidioso» aggiunse, ridacchiando.
Draco, dal canto suo, non sentì neppure
il desiderio di ribattere qualcosa. Se l’avessero lasciato morire lì, in quel
momento, non avrebbe mosso una singola protesta.
Non
le aveva detto addio.
«Draco sa che la scelta è stata di
Hermione e che è stata una scelta consapevole12» furono le parole
dell’Arazzo, che tuttavia non si voltò verso il diretto interessato. «Se
davvero l’amava, allora lui sa che il
bene, in qualche modo, riesce sempre a vincere. Anche quando non sembra esserci
alcuna via, la speranza trionferà»
continuò, ma la sua voce era diversa sia da quella neutrale che lui aveva già
sentito in Grecia sia da quella che apparteneva ad Hermione e di cui lui si era
innamorato. Era una voce conosciuta, una che era stata con lui in tutti i
momenti di oscurità.
«Rosemary?» chiese, alzando gli occhi al
cielo solo per essere fulminato da un lampo azzurro come il cielo. L’Arazzo era
ancora Hermione, ma era al tempo stesso Rosemary, quasi come se le immagini
fossero state sovrapposte. Oltre lei, Draco vide altri visi, altri sguardi,
alcuni conosciuti ed altri no. «Chi siete?».
«Il
bene è forte perché non giunge mai da solo» disse la creatura, che aveva un
solo corpo ma tante, tante anime, allargando le braccia come se avesse voluto
stringere Rochester in un abbraccio. «Ed il bene trionfa sempre. Cos’è la morte,
davanti al vero amore? Che sia per un uomo» quell’ultima parola risuonò
come se a pronunciarla fosse stata solo Hermione, «un padre» la voce di Rosemary, «oppure
un familiare o un amico» tante voci insieme, alcune femminili ed altre
maschili, tutte unite in un unico coro di speranza. «Il bene trova sempre il modo di trionfare». Riabbassato un braccio,
l’Arazzo portò la mano nella tasca della giacca di Hermione, tirandone fuori
una scatola dall’aria familiare.
Il
vaso di Pandora.
«Cos’è quello?» ringhiò lo Specchio,
allarmato, la sua voce rimasta singola, solo più rasposa
e forte rispetto a quella del debole professor Rochester.
«Non ti permetterò di intrappolarmi di nuovo!».
Quando il vaso venne aperto, lingue di
fuoco del colore dell’oro, simili a catene, si librarono nell’aria, incendiando
ciò che il sangue non aveva già attirato e stringendosi intorno al Professore,
per immobilizzarlo. Le pareti di roccia iniziarono a tremare, il boato che
preannunciava un crollo iniziò a risuonare per il lungo corridoio. Gocce
d’acqua, fredde quanto putride, si fecero largo lungo le insenature che quel
terremoto aveva causato, anticipando l’invasione del Tamigi, che scorreva sopra
di loro.
«Dovete
andare via, adesso» ordinò, con un urlo, l’Arazzo, voltandosi per un
istante verso i tre maghi. «Andate via di
qui, altrimenti non potrete più scappare».
«Io non me ne vado senza Hermione! Meglio
morire con lei che tornare indietro da solo!» fu la risposta di Draco, furiosa,
simile al ringhio sofferente di un leone messo all’angolo da una morte
inevitabile. Non l’avrebbe mai lasciata da sola. Non avrebbe mai consentito che
morisse da sola. Avrebbero regnato
all’Inferno, se quel mondo non era adatto a loro, ma l’avrebbero fatto insieme.
«No,
lei non lo desiderava e neanch’io» gli rispose la
Creatura, mentre Rochester, avvolto nelle fiamme,
veniva lentamente trascinato verso il vaso, emettendo urla agghiaccianti e
imprecazioni irripetibili. La sua voce stava cambiando e, per un istante, Draco
pensò di aver sentito Voldemort in persona. «Vai, Draco, e ricorda che il bene vince sempre, anche quando tutto
sembra perduto. Abbi fede».
«No! No, Hermione…».
«Hai sentito, ragazzo» Kingsley, con la sua presa ferrea, lo agguantò per le
braccia e lo costrinse a guardarlo. «Hermione desidera che tu sopravvivi. Si
sta sacrificando anche per te ed io non permetterò che tu mandi al diavolo ciò
che ha fatto, non per puro egoismo! Andiamo
via».
Fu Daisy a smaterializzarli via, al
sicuro sull’altra sponda del Tamigi, mentre ancora avevano negli occhi le
fiamme dorate che inghiottivano, in un lampo, entrambi i corpi sospesi per aria
ed il sanctasanctorum di
Enrico VIII che crollava, portandosi via i suoi segreti e le prove del
sacrificio che era stato compiuto per salvare il mondo.
Tutto ciò che Draco riuscì a fare, prima
di perdere i sensi, fu urlare un nome, lo stesso che avrebbe ripetuto in
continuazione fino al giorno della sua morte, che non sarebbe mai giunta
abbastanza in fretta.
«Hermione!».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati,
cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Ragazzi, non uccidetemi, io sono solo un
veicolo, la storia si è scritta da sola!
Rimane solo l’Epilogo, io praticamente non
riesco a crederci.
Ah, ho pubblicato una one-shot sulla coppia
James/Lily, che credo proprio sarà il “prequel” per
la mia prossima long. Vi lascio qui il link:L’estate eterna.
Punti importanti:
» 1 – “Spesso
gli strumenti della Tenebra per trarci alla rovina si servono di piccole verità,
dei più innocenti trucchi, per poi tradirci in più serio malanno”. Io adoro Macbeth, come credo di aver già accennato qui e lì. Macbeth in questo caso è Rochester,
tratto in inganno dallo Specchio come il Re scozzese dalle tre streghe.
» 2 – Enrico VIII ha avuto tre figli “legittimi”, Maria
la Sanguinaria è la sua primogenita, figlia di Caterina d’Aragona, definita
sanguinaria a causa delle violente ritorsioni contro di protestanti. Dal mio
punto di vista, la Regina era una Magonò che quindi
ha perseguitato anche la popolazione magica. Elisabetta, d’altro canto, è stata
una grandissima sovrana sia per i protestanti che per i maghi. Io adoro la
storia della famiglia Tudor.
» 3 – Doppio riferimento, in questo
caso. Quando ha scoperto dell’esistenza della Magia, il professore ha chiesto
l’aiuto di Daisy per raggiungere il tunnel, trovando lì il quadro, che Draco ha
visto nel suo ufficio, e la corona. Il quadro è davvero magico, anche se non si
muoveva in presenza di estranei, e non ha fatto altro che avvelenare la mente
di Rochester, sotto l’impulso dello Specchio. Dov’era
lo Specchio? Nessuno lo sa, Rochester è il massimo
esperto, nessuno meglio di lui avrebbe potuto rintracciare la sua ultima
posizione. La sua influenza lo ha spinto a diventare più psicopatico di quanto
già non fosse e non gli ha fatto vedere quanto, in realtà, fosse lui vittima.
» 4 – Daisy ha messo il Ministro sotto Imperius
circa un anno prima degli eventi trattati nella storia. Lei non ha conoscenze
sul governo e, scusate se è poco, tenere sempre sotto incantesimo un omone come
Kingsley non è di certo semplice. Non portatele
rancore, alla fine si è redenta.
» 5- “Citazione” da Star Wars, Episodio VII. Per
chi, come me, è ossessionato, il riferimento è alla conversazione fra Poe e KyloRen, quando il primo viene
catturato e interrogato. Draco, in questa situazione, è decisamente ispirato a Poe, con tutta quell’impertinenza.
» 6 – Una stronzata, lo so, ma tanto ne ho
dette troppe scemenze storiche, una in più o una in meno non ucciderà nessuno.
Ovviamente non è qualcosa che i vichinghi erano soliti dire, semplicemente ho
dovuto giustificare in qualche modo.
» 7 – DennisCanon, il
fratello di Colin. Come accennato nel capitolo 24
(Atto XV – La fine del mondo), Dennis ha partecipato
all’attentato di DiagonAlley
ed è sfuggito alla cattura da parte degli Auror (fra cui c’era DeanThomas).
»8 – Altro riferimento – questa volta oscuro
– a Star Wars. Per chi di voi abbia qualche
conoscenza al riguardo: esattamente come il microchip impiantato nella testa
dei cloni li ha spinti a tradire i Jedi e fare strage
(Ordine 66, Episodio III). Per chi non avesse idea: il tatuaggio serve per
controllare la mente delle persone, in questa versione è stato inventato da
Enrico VIII e migliorato dalla figlia Elisabetta per assicurarsi la fedeltà
assoluta della loro corte. Il quadro ne ha parlato a Rochester
e lui a costretto Daisy ad imporlo agli altri. Lei ovviamente non ce l’ha
perché non può imporlo a se stessa. I “Mangiamorte” hanno scelto di farsi fare
il tatuaggio, ma non avevano idea delle conseguenze.
» 9 – Essenzialmente è come un Imperius
perenne che richiede il consenso. Il Ministro non ne ha uno perché lui non lo
avrebbe mai accettato
volontariamente, quindi si sono dovuti accontentare.
» 10 – Verso la fine della Guerra, Rochester è
stato salvato e ricoverato al San Mungo, perché le sue erano ferite derivanti
da magia oscura. Qui ha conosciuto Daisy, ricoverata a causa del forte shock per
la morte del figlio. Avendo sfruttato la sua debolezza, Rochester
è riuscito ad assicurarsi la sua fedeltà. Nei cinque anni successivi alla fine
della guerra, Daisy ha collaborato portandogli informazioni e fungendo da
bacchetta umana. Solo nell’anno precedente ha avuto inizio la parte “pratica”.
» 11 – Non dimentichiamoci che Draco Malfoy è la controparte magica di
Indiana Jones. Non gli ho mai chiesto se anche lui ha
un fedora ed una frusta…
» 12 – Cosa è successo? Nel capitolo in cui Malfoy incontra l’Arazzo,
questo prende possesso di Hermione e gli rivela dove si trova lo Specchio.
Quello che lui non sa, però, è che Hermione non ha resistito alla tentazione ed
ha chiesto sia cosa accidenti sia successo ad Harry (e come aiutarlo) e sia
come distruggere lo Specchio. Al riguardo, l’unica possibilità era concedere al
potere opposto a quello crudele dello Specchio (poi spiegherò meglio), quindi
l’Arazzo, un contenitore umano per poterlo nuovamente intrappolare in un luogo
da cui non avrebbe potuto più fuggire (il Vaso di Pandora). Hermione ha
accettato di sacrificare la sua vita per fare da tramite, motivo per cui sa di
essere sempre “seguita” dalla magia dell’Arazzo e sa bene come aiutare il suo
migliore amico (ecco perché aveva la formula della Pietra Filosofale).
» Hermione, quindi, ha ospitato l’Arazzo, annullando se stessa. Fino ad ora
è sempre stato detto che la Magia non è buona e non è cattiva, tutto dipende da
chi la usa: ecco, non è propriamente vero. La Magia, come tutto in natura, è
composta da due opposti: Magia buona e Magia cattiva, Conoscenza e Potere. Lo
Specchio è la fonte della Magia oscura, la fonte di tutti i mali diciamo, ed ha
sempre cercato di trovare il modo di fuggire alla sua prigione (lo specchio,
appunto) per dominare nel mondo. Ha cercato per tutta la sua esistenza i
personaggi più potenti ed è riuscito a diffondere dolore e disperazione fra di
loro, senza mai poter essere liberato (Tutti questi personaggi – Alessandro
Magno, Gertrut il vampiro, Maria
Antonietta e gli altri – sono riusciti a limitarne il potere e non si sono
fatti controllare perché non erano deboli
come Rochester). L’Arazzo, bloccato per secoli e
secoli nell’Agorà (colpa di Alessandro Magno, che aveva ascoltato la voce del
Male, convinto di poter impedire che altri raggiungessero la sua grandezza ma
praticamente impedendo al Bene di proteggere l’umanità) ha trovato in Hermione
il canale per lasciare la sua prigione ed intrappolare il Male per sempre.
» Non odiatemi, la scelta è stata di Hermione, non mia. Io sono innocente.
Signori, questo era l’ultimo
capitolo. La storia è finita, il dado è tratto, ormai manca solo l’epilogo. Non
inizierò il papello commovente adesso, anche perché
probabilmente tutti vorrete farmi la
pelle. Io vi adoro.
Il bene trova sempre il modo di
trionfare.
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
“Do you hear the people sing
Lost in the valley of the night?
It is the music of a people Who are climbing to the light.
For the wretched of the earth
There is a flame that never dies.
Even the darkest night will end
And the sun will rise.”.1
[Les Miserables - Epilogue]
Epilogo.
Draco Malfoy non era mai stato un grande
estimatore dei cimiteri. Fin da bambino aveva sempre cercato di limitare le
visite al vecchio mausoleo di famiglia, convinto che tutti i dipinti al suo
interno fossero lì semplicemente allo scopo di fargli paura e costringerlo a
farsela sotto come un moccioso. Quando poi si era verificato l’incidente con Vega, il suo spavento
era diventato puro terrore.
Eppure, nell’ultimo mese, era diventato il
frequentatore più assiduo di quel piccolo cimitero magico fuori da Hogsmeade.
Molte volte era stato trovato davanti ad una recente tomba di marmo bianco,
spesso semplicemente seduto in silenzio, altre volte preso da un monologo che
nessuno avrebbe osato interrompere. Gli piaceva andare lì, sentiva di poter
essere se stesso e di poter sfogare tutte le angosce e le paure che il mondo
reale non gli permetteva di esprimere.
Per quel motivo, quella mattina di gennaio, si
presentò al solito posto con in mano un mazzo dei più bei girasoli che si
potessero ottenere in quel periodo ed un leggero sorriso ad incurvargli le
labbra. Non aveva molto tempo a disposizione, ma ogni minuto sarebbe stato
speso bene, lo sapeva.
Il sorriso della giovane nella fotografia gli
scaldò il cuore, ma gli provocò anche un moto di terribile tristezza. Era
trascorso un mese da quando aveva preso l’abitudine di andare da lei, tuttavia
il dolore era sempre lo stesso, non sembrava destinato a scemare.
«Ti ho portato i girasoli, oggi» disse, quasi lei
fosse stata lì, pronta a rispondergli. «Ho chiesto in giro, a quanto pare erano
i tuoi preferiti. Non ho mai avuto modo di scoprirlo da solo, purtroppo»
mugugnò, muovendo la bacchetta in circolo per poter far evaporare abbastanza
neve da potersi sedere per terra, davanti a lei. Cambiò i fiori nel vaso –
erano altri girasoli, dovevano averglieli portati il giorno prima – e sospirò,
tornando a ricambiare lo sguardo vuoto del soggetto in foto. «Sono andato da Crave, stamattina. Sono riuscito a convincerlo ad uscire di
casa. Credo proprio che prima o poi si riprenderà, se saremo fortunati».
Naturalmente, la ragazza in foto si limitò a
sorridere. A lui bastò, aveva imparato a leggere molto di più dietro alla sua
solita espressione lieta. Era molto più giovane rispetto a quando era morta, ma
lui riusciva già a cogliere in quei tratti quasi infantili la bellezza della
giovane donna che aveva conosciuto.
«Credo che verrà con me in ospedale, prima o poi.
Non potrebbe che fargli bene rivedere quegli ambienti che lo hanno fatto tanto
soffrire… magari lo aiuterà anche a tornare allo studio no? Te l’ho già
raccontato, Laurie è riuscita a svegliare Potter, ma a lui farebbe davvero
comodo un bravo psicologo. Ha passato quasi due mesi bloccato in un limbo
d’orrore e quando si è svegliato ha ritrovato la sua fidanzata incita e la sua
migliore amica…» la voce gli si spezzò, senza che potesse far nulla per
impedirlo. Era passato solo poco più di un mese.
Hermione!
Hermione!
«Non è per questo che sono qui, comunque» si
riprese alla fine, tossicchiando. «Non te l’ho ancora detto, ma Shacklebolt mi
ha offerto un lavoro al Ministero. Nell’Ufficio Misteri hanno proprio bisogno
di un esperto d’arte che si occupi di alcuni artefatti magici e lui ha pensato
che io avessi maturato abbastanza esperienza al riguardo. Sono ufficialmente
diventato un Indicibile, ci
crederesti?» disse, cercando di mostrarsi allegro. «Oh, ho anche convinto il
dottor Crave a sganciare la pozione per il mio
braccio. Sono stato ufficialmente riabilitato ormai, ho la fedina penale pulita
quasi quanto quella di Potter!» si vantò, sentendo quasi l’eco di una risatina
allegra seguire la sua.
Non si preoccupò. Aveva imparato che essere
scettico non sarebbe servito a molto. Accettò quella risata in quanto tale,
sentendosi più vicino alla ragazza in foto. O, quantomeno, più vicino al suo
spirito.
«Blaise si sposerà il
mese prossimo» riprese, con un sospiro. «Mi ha chiesto di essere il suo
testimone, spero soltanto che non decida di rendermi il suo pupazzetto
personale… non sarebbe la prima volta» si lamentò, scuotendo il capo. «Forse Merrick si deciderà e si porterà dietro Finnigan,
così lui la smetterà di sembrare un cane affamato». Il suo orologio iniziò a
sbraitare dal suo taschino, urlandogli di essere già in ritardo per il suo
appuntamento. Draco sbuffò, rialzandosi in piedi. «Devo andare, l’orario delle
visite inizierà fra poco ed io non posso permettermi di arrivare in ritardo,
non oggi. I medici hanno detto che finalmente si sveglierà» spiegò,
acquattandosi per essere allo stesso livello della foto. «Tornerò la settimana
prossima, non preoccuparti. E farò di tutto per convincere tuo padre a venire
con me, così non spaventerà più il custode facendosi trovare subito dietro la
sua porta, all’alba» borbottò, mentre la ragazza dagli occhi di diamante
continuava a sorridergli, incurante di tutto. «Ho intenzione di mantenere la
mia promessa, Rose. Mi prenderò cura di lui»2.
***
Quando il tunnel era crollato, tutta Londra si era
svegliata convinta che un terremoto avesse scosso la città, provocando qualche
danno ma, soprattutto, tanto spavento. Tutta Londra, però, era presto tornata a
dormire, non avendo notato alcun tipo di conseguenza strana o non essendosi
proprio preoccupata delle reali motivazioni di quelle vibrazioni. Tutta Londra,
tranne Draco Malfoy.
Aveva urlato il nome dell’amore della sua vita per
ore, si sarebbe gettato nel Tamigi con l’intento di tornare indietro e spostare
fino all’ultima pietra pur di ritrovarla, anche rischiando la propria vita, se
necessario.
Non
gliel’avevano permesso.
Il Ministro e Daisy, di certo molto più razionali
di lui, l’avevano tenuto per le braccia e l’avevano trascinato via,
terrorizzati che potesse decidere di compiere un folle gesto.
Poi
l’aveva vista.
Abbandonata sulla riva del Tamigi, Hermione
sembrava essersi addormentata pacificamente, completamente bagnata e infangata,
quasi fosse stata un detrito portato direttamente dal fiume. Per un momento,
lui pensò addirittura di avere le allucinazioni. Poi pensò che fosse il suo
cadavere, trascinato dalla forza dell’acqua.
Ministro,
Malfoy! È viva! È viva!
La corsa in ospedale era stata folle, anche se lui
non ne ricordava molto. Qualche ora dopo, sua madre gli aveva raccontato che
lui era stato ricoverato a causa delle diverse fratture ma che presto si
sarebbe ripreso, mentre Hermione, il cui male non sembrava voler essere
identificato, era caduta in un sonno profondo. I medici l’avevano rassicurata,
tuttavia: ad ogni ora il suo stato migliorava e ritenevano che presto si
sarebbe svegliata.
Presto,
evidentemente, era arrivato dopo un mese.
Draco non si era separato da lei neppure un
istante, nei primi giorni. Erano stati Potter e la Weasley a costringerlo ad
alzare il sedere dalla sedia e tornare a casa, alla fine, promettendogli che
sarebbero stati con lei e che l’avrebbero chiamato qualora fosse successo
qualcosa. Lui, allora, si era deciso a cercare una risposta per ciò che era
successo, ritrovandosi infine ad accettare la stessa spiegazione che l’Arazzo,
poco tempo prima, gli aveva dato.
Il bene
vince sempre, in un modo o nell’altro.
«Hai una faccia davvero orribile, Malfoy».
Preso nei suoi pensieri, lui non si rese quasi
conto che lei avesse aperto gli occhi, puntandoglieli addosso. Quando sentì la
sua voce sussultò, accennando poi un lieve sorriso che sparì velocemente.
«Ti sei vista allo specchio, Granger?
Io ho provato a convincere la Weasley a far venire un’estetista per farti dare
una sistemata, ma lei mi ha chiamato insensibile ed ha minacciato di spezzarmi
le ossa rimaste intere» le fece notare, con una smorfia, stringendole la mano
fra le sue. La sua emozione era evidente nel lieve tremore che l’aveva scosso,
ma cercò di controllarsi il più possibile.
«Sempre un cavaliere, eh?» sbottò lei, sarcastica,
abbassando gli occhi sulla propria mano sinistra. «Non hai avuto modo di
mandare un’estetista ma ti sei premurato di mettermi l’anello di tua nonna al
dito? Le priorità sono queste, evidentemente»3 aggiunse, divertita,
dedicandogli il migliore fra i suoi sorrisi confusi. Aveva il viso di qualcuno
che avesse fatto il più bel sonnellino del mondo e, per un momento, Draco la
invidiò. Fortunatamente anche lui sarebbe riuscito a riposare decentemente,
presto o tardi.
«A dire il vero è stata una necessità. Non mi
avrebbero permesso di restare qui con te, se non avessi dimostrato… uhm… il
nostro legame» spiegò poi, lievemente
imbarazzato. «Non preoccuparti, Granger, ho
intenzione di fare le cose come si deve, non appena lascerai l’ospedale. Tuo
padre è stato molto chiaro, al riguardo».
Lo sguardo confuso che lei gli dedicò lo fece
sorridere. «Hai parlato con mio padre?» gli chiese, confusa, guardandosi
intorno per mettere a fuoco il luogo in cui si trovava. Avrebbe trovato
fotografie sul comodino e tanti libri, molti dei quali Draco stesso aveva
letto, negli interminabili pomeriggi al suo fianco. «Ho dormito parecchio,
vero?».
Lui annuì, accarezzandole i capelli con una sola
mano. «Un mese, più o meno. I medici mi hanno assicurato che fossi più forte di
giorno in giorno, ma devo ammettere di esser sempre stato in ansia» ammise,
scuotendo il capo. «E sì, ho parlato con tuo padre. Non è questa la tradizione,
dopotutto?» aggiunse, con una leggera risata. «Te l’ho detto, voglio fare le
cose per bene, prima di portarti all’altare ed iniziare a lavorare alla nuova
generazione di Malfoy».
Hermione rise di gusto, quasi avesse trattenuto
quell’ilarità per tutto il mese di sonno forzato. «Immagino di non aver scelta,
a questo punto. Tu hai già deciso tutto, non è vero?» gli domandò, alzando gli
occhi al cielo.
«Non tutto. L’abito da sposa lo lascio a te,
voglio godermi la sorpresa».
Lo sbuffo divertito con cui lei gli rispose li
fece sorridere entrambi. Sembrava quasi che gli orrori trascorsi da così poso
tempo fossero lontani, nulla più di un ricordo remoto. Non era vero,
naturalmente, e presto avrebbero dovuto affrontare tutte le conseguenze che li
attendevano dietro l’angolo. Se i giornalisti non si erano ancora precipitati
ad attaccarli era solo grazie all’influenza che Potter e la Weasley sapevano
avere sul Profeta.
«Come sta Harry? E Ginny?
E tutti gli altri?» domandò, ansiosa, realizzando improvvisamente che non
fossero soli al mondo e che il resto dei loro amici avesse necessariamente
continuato a vivere, in quel mese di cui lei non sapeva nulla. «L’Arazzo mi ha
spiegato la condizione di Harry, ma io non so…».
«Potter sta benissimo» la interruppe Draco,
tranquillo, accarezzandole i ricci scuri. «Si è svegliato poche ore dopo,
quando Laurie ha realizzato l’antidoto, ed è stato più che felice di sapere
della gravidanza della sua fidanzata. Si sposeranno fra un paio di mesi, Blaise ha preteso di essere il primo» la rassicurò,
tranquillo. «Quanto agli altri, stanno tutti benissimo, sono solo molto
preoccupati per te».
Il sorriso di Hermione gli scaldò il cuore. «È
andato tutto bene, alla fine» mormorò, felice.
Draco si chinò a baciarla, con un sorriso enorme.
«È andato
tutto bene».
Bonus: Allwaswell.
Nonostante fossero sposati da soli cinque anni,
Hermione e Draco Malfoy avevano già organizzato tutte le feste comandate,
quelle natalizie fra tutte, in modo da accontentare i diversi parenti e non
costringere nessuno a soffrire per incontri scomodi. La Vigilia, infatti, era
riservata ai Granger, in modo che il piccolo Alex – Alexander Draco, il loro primogenito –
potesse passare del tempo con i parenti babbani, mentre il Venticinque era
riservato ai Malfoy, che li attendevano nel loro enorme maniero nel Wiltshire.
Lì, com’era successo ogni anno dalla nascita di Alex, l’ex Mangiamorte Lucius4
avrebbe rapito l’ultimo nato della famiglia e lo avrebbe accompagnato per la
campagna, mostrandogli il regno che
avrebbe ereditato, un giorno molto lontano, mentre Narcissa
si sarebbe complimentata con la nuora per i suoi recenti successi lavorativi e
si sarebbe dedicata all’organizzazione del pranzo, così che ai giovani sposi
potesse esser garantita quella breve calma che il figlioletto era solito negare
loro con grande premura.
Conclusi i due giorni di festeggiamenti intensi,
la famigliola avrebbe trascorso un paio di giorni in Irlanda5, dove
il loro ex psicologo – attualmente
conosciuto come Nonno Newt
- li avrebbe privati, ancora una
volta, della presenza del bambino, facendosi trascinare in lungo ed in largo
nella riserva di Draghi che si era installata da qualche anno nella contea di
Cork.
Sarebbe giunto infine il Capodanno, la festa riservata
agli amici, in cui sarebbero stati letteralmente trascinati nella residenza di
campagna di BlaiseZabini e
della sua signora per partecipare alla rituale festa, in cui avrebbero
incontrato i Potter – era ridicolo il
legame d’amicizia che si era venuto a creare tra Blaise
e Ginevra – ed i Finnigan, sposati a loro volta
giusto da un paio di anni.
Ebbene, quella Vigilia i loro piani erano stati
miracolosamente scombinati e tutti i soggetti che avrebbero dovuto incontrare
in più di una settimana si erano ritrovati nella stanzetta privata della più
lussuosa ala del San Mungo. Hermione, infatti, con ben cinque giorni di
ritardo, aveva felicemente comunicato al suo ansioso marito che la loro
secondogenita avesse finalmente deciso di lasciare il nido materno e fare la
sua comparsa in pubblico.
«In elegante ritardo, da brava Malfoy» aveva
appena commentato Lucius, seduto come un Re sul trono
nella saletta d’aspetto, il bastone da passeggio in mano ed ancora il cappotto
di pelliccia drappeggiato sulle spalle. Da quando Laurie aveva proposto di
usare su di lui la Pietra Filosofale, prima di distruggerla, sembrava esser
rinato. Era sempre uno spocchioso purosangue che non aveva grande
considerazione dei babbani ed amava esaltare la propria ricchezza, ma sembrava
aver deciso di non voler sprecare più il suo tempo facendosi detestare dalla
famiglia. Si era dimostrato cortesemente distaccato con Hermione finché lei non
aveva dato alla luce il bambino che, in quel momento, giocava sul pavimento con
James: nell’istante stesso in cui Alex era stato posato fra le sue braccia,
Malfoy Senior aveva accettato la nuora senza riserve, arrivando addirittura ad
estremi come mia cara, quando era di
buon umore.
Naturalmente, i più felici erano stati il figlio e
la moglie: quest’ultima, seduta al suo fianco, stringeva fra le mani un
ippogrifo rosa ed era in evidente trepidazione all’idea di incontrare la
nipotina.
I signori Granger, in
quel momento, non erano presenti. Proprio l’anno in cui Hermione li aveva
costretti a fare una bella vacanza romantica, la bambina aveva deciso di venire
al mondo. Sarebbero arrivati il giorno dopo, in serata, non potendo viaggiare
con i mezzi veloci dei maghi.
«Se avesse aspettato un altro po’, avrebbero
dovuto tirarla fuori con la forza, cugino Lucius»
notò Merrick, dondolando leggermente il bambino che
aveva fra le braccia. Liam Evan6. «Hermione era
convinta che sarebbe nata in anticipo, come Alex, ma evidentemente lei aveva
dei programmi diversi».
«Da vera Malfoy» ribadì Lucius,
orgoglioso come un pavone che faceva la ruota. «È nata esattamente quando
intendeva nascere».
«Anche James è nato in ritardo» notò Harry,
allungando una caramella al suo secondogenito, Albus.
Il bambino, di quasi tre anni, non aveva alcun interesse nel condividere i
giocattoli del fratello e dell’amichetto, essendo tutto preso dal dolcetto e
dalle smorfie che Seamus aveva iniziato a fargli. «Era così grosso che Gin è
rimasta in travaglio quasi tre giorni».
Gin era in
sala parto, naturalmente, insieme alla puerpera ed al paparino ansioso. Anche
lei era incinta, ma avrebbe dovuto aspettare qualche mese per poter abbracciare
la piccola Lily.
«Attento a quello che dici, Potter. Mia figlia non
è grossa» intervenne Malfoy, sbucando
con Ginny dalla porta che tutti avevano preso a
fissare con ansia. Sorridevano entrambi, ma lui era evidentemente estasiato. «Tre chili e dei polmoni da vera
aristocratica, non c’è mai stata una piccolina più bella».
Un coro di congratulazioni ed un estasiato “Papàà!” accolsero
il suo arrivo. Alex, abbandonato il suo drago per terra, era corso da lui,
facendosi sollevare e chiedendo insistentemente di
poter vedere la mamma e la sua nuova sorellina.
«Andiamo subito, campione» lo rassicurò Draco,
lasciandogli un bacio sulla fronte. Osservandolo con attenzione, chiunque
avrebbe potuto notare i suoi occhi ancora lucidi. «Potete entrare due alla
volta, ma…» i suoi occhi scrutarono la piccola sala d’attesa, individuando
immediatamente l’oggetto della sua ricerca. «Hermione vuole vederti prima degli
altri, vuole presentarti qualcuno».
Il dottor Crave, rimasto
in un angolo della stanza, si accigliò, occhieggiando immediatamente a Potter
ed ai Malfoy, quasi avesse temuto di non aver sentito bene. «Vuole vedere prima
me?».
«Ah, Dottore, dice sempre di avere un effetto
devastante sulle donne e poi si sorprende se mia moglie decide di darle la
precedenza?» gli disse, ironico, Draco, accennando all’ingresso della camera.
«Coraggio, qualcuno ti sta aspettando».
La più giovane Malfoy era pacificamente poggiata
al petto della madre, la testa completamente pelata e due grandi occhi
azzurrognoli* sul punto di chiudersi sotto il peso della necessità di un
pisolino rigenerante. Hermione era visibilmente provata dallo sforzo fatto, ma
sembrava a dir poco radiosa. Quando
vide Newton Crave entrare dietro Draco, gli dedicò un
sorriso a dir poco abbagliante.
«Temevo non saresti venuto» gli disse,
visibilmente sollevata. «Mi rendo conto tu abbia tanti impegni, quindi ti
ringrazio».
Lui, perdendo momentaneamente l’espressione
burbera, le sorrise. «Ah, non mi sarei perso quest’evento. Ho lasciato Audrey7
allo studio, è in buone mani» le disse, tranquillo, avanzando molto più
lentamente di quanto non avessero fatto Draco ed Alex, già montato sul letto
della madre per dare un’occhiata alla nuova arrivata. «Ti somiglia, per quanto
sia difficile esserne certi, adesso».
Draco scosse il capo, ridacchiando. «Le somiglia
un po’, sì, ma ha l’atteggiamento di una Malfoy e…» scosse il capo, il divertimento
diventato tenerezza. «È molto curiosa, sa? È nata con gli occhi aperti».
Crave scosse
il capo. «La figlia di Hermione Grangerdeve essere curiosa. Non credo sia possibile
qualcosa di diverso» gli fece notare, allungando il collo per osservare la
bambina. «È davvero graziosa, ragazzi, è una dei miei risultati migliori8»
aggiunse, guardando entrambi i genitori con aria soddisfatta.
«Tuoi
risultati?» gli chiese Draco, le sopracciglia corrugate. «Devi dirmi qualcosa, Mon Ange?» aggiunse poi, rivolto ad
Hermione, che gli rispose con un sorriso incredibile e con un pizzicotto. «Non
preoccuparti cara, è pelata come tutti i Malfoy appena nati, non ci sono
dubbi».
Divertita, la puerpera alzò gli occhi al cielo,
allungando le braccia verso il Dottore. «Prendila, coraggio» gli disse,
gentile. Attese che lui le togliesse la piccola dalle mani, prima di parlare.
«Newton Crave, ti presento Rosemary» presentò,
sfiorando il visino della figlia con la punta del dito. Alzò gli occhi su di
lui, prima di continuare, dedicandogli un grande sorriso. «Rosie, ti presento
il tuo padrino».
Se avessero usato l’AvadaKedavra su di un unicorno, lui non avrebbe fatto
quell’espressione. Per un terribile istante, Draco temette che fosse sul punto
di svenire, ma la lucidità improvvisa dei suoi occhi lo rassicurò: per la prima
volta dopo sei anni, le sue lacrime esprimevano gioia e non tormento.
Con una delicatezza che nessuno gli aveva mai
riconosciuto, allungò la mano verso il viso della bambina, accarezzandole la
guancia morbida. Il suo sorriso era leggero, quasi nascosto, ma la sua felicità
era impossibile da nascondere.
«L’avete chiamata come la mia bambina» disse, dopo
qualche istante, una volta trovata la voce per poter parlare. Non staccò gli
occhi dalla piccola, stregato, e Draco non riuscì a dargli torto: sua figlia
era meravigliosa. «Lei ne sarebbe stata felice, ne sono certo».
«Lei è felice,
Doc» gli disse proprio lui, sentendo nuovamente la solita morsa artigliargli il
cuore. Non era gelida e dolorosa, come i primi tempi. Dopotutto, le aveva
promesso che l’avrebbe ricordata per le cose belle. Sua figlia era la più bella
del mondo. «In questo momento starà prendendo in giro tutti quanti per questa
scena da pappemolli».
Senza riuscire a nascondere una piccola lacrima, Crave rise. «Hai ragione, si starà facendo una bella risata
alle nostre spalle» concordò, tornando a concentrarsi sulla bambina. «Rosemary
Malfoy, la mia figlioccia… Merlino,
ti vizierò da far schifo».
I due genitori risero, felici, mentre Alex
oltrepassava la madre per poter dare un’altra occhiata alla sorellina.
Naturalmente, anche lui ne era assolutamente affascinato, complici i mesi di
preparazione psicologica cui era stato sottoposto.
Preso da un impeto di gioia, Draco si chinò e
baciò sua moglie, sentendo il cuore scoppiare non appena lei ricambiò, con
dolcezza.
«Hai visto? È andato tutto bene» gli disse,
felice.
«Sì. È andato tutto bene».
»Marnie’s Corner
Spuntare la casella
“Completa” è traumatico.
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Mio Dio, è finita.
Io non so ancora bene come prendere questa cosa, sono troppo confusa dalle mie
stesse emozioni. Questa è stata la mia prima long in assoluto, non ero mai
riuscita a portare avanti un progetto del genere ed andare oltre i tre capitoli
(non mi riferisco alle raccolte, ovviamente).
Posso dirvi solo grazie. Solo
questo. Se sono arrivata a questo punto è solo grazie al supporto che mi avete
sempre dimostrato, riempiendomi di complimenti per la maggior parte immeritati
e mostrandomi i miei errori, così che io potessi correggermi. Mi avete aiutata
col greco, con gli errori grammaticali, con i periodi di pochissima
ispirazione, accompagnandomi fra i vari esami e mantenendo il mio morale alto
dopo la piccola operazione chirurgica che verso marzo mi ha davvero sconfortata
un sacco.
Grazie a tutti, davvero.
Questa storia è stata una gravidanza, la sua stesura ha richiesto nove
mesi. Nove mesi per realizzare qualcosa a cui, per quanto mi riguarda, avete
collaborato tutti.
Non mi stancherò mai di dirvi grazie. Mai.
A questo punto, ho qualche ringraziamento
particolare da fare:
- Kasumi_89: devo ringraziarti separatamente, tu
mi sei venuta dietro fin dal primo capitolo. Quando temevo di non leggere
neppure un parere, arrivavi sempre tu a darmi conforto. Grazie, ci sono giorni
in cui penso che avrei mollato al secondo capitolo, senza di te.
- Cioccolataconpanna:
tu hai realizzato la FANTASTICA cover per la mia storia, mi hai fatto sentire
un moto di orgoglio e soddisfazione che le mie storie non mi avevano mai
regalato. Ti ho già detto quanto mi è piaciuta e non smetterò mai di ripeterlo,
la adoro.(Per chi volesse
vederla, basta andare nella mia pagina Facebook e
cercare nell’immagine di copertina. È favolosa).
- Allyenne: tu hai
realizzato il mio sogno nel cassetto, cioè quello di avere una storia segnalata
per le Scelte del sito. Non credevo che sarebbe mai successo, quindi… wow.
Non so se alla fine sarà fra le Scelte o no, ma non mi importa, io sono
comunque felicissima. E spero di averti fatta felice, con questo
capitolo!
- pervertsoul90: tu mi hai salvato da tanti
orrori grammaticali, il mio amor proprio ti deve tantissimo.
Tutti voi altri, non pensate neppure per un
istante che io non vi adori tutti allo stesso modo o che non mi ricordi di voi.
Io mi ricordo di tutti (sembra una minaccia, lo so), ma se dovessi
ringraziarvi uno per uno non finirei mai! Vi adoro, non dimenticatelo vai. Scegliete il vostro capitolo preferito,
state pur certi che io ve l’abbia dedicato.
Io non so più cosa dire, mi sta venendo da
piangere. Adesso vi do qualche comunicazione tecnica, ci risentiamo alla fine.
Ah, ho pubblicato una one-shot sulla
coppia James/Lily, che credo proprio sarà il “prequel” per la mia prossima
long. Vi lascio qui illink:L’estate eterna.]
Punti importanti:
» 1 – “Senti la gente che canta/ persa nella valle della notte?/
È la canzone di un popolo/ che sta tornando verso la luce./ Per i disgraziati
della terra/ c’è una fiamma che non muore mai./ Anche la notte più oscura
finirà/ ed il sole risorgerà”. Io amo i Miserabili. Questa canzone mi fa
sempre piangere.
» 2 – Vi ho fatto venire un poco di strizza, eh? Ma secondo voi avrei
mai potuto uccidere Hermione? La mia Hermione? Draco mi avrebbe uccisa
lentamente e con molto dolore. Il signor Malfoy ha scoperto che parlare con
Rose, anche solo con la sua tomba, gli è di grandissimo conforto. Va a trovarla
quasi tutti i giorni, da quando è stato dimesso dall’ospedale, e le racconta la
sua giornata. Dopotutto, il dottor Crave è ancora in
lutto ed ha appena iniziato ad aprirsi, lui ha bisogno di raccontare le sue
cose a qualcuno.
» 3 – L’anello in questione è in
possesso di Hermione dalla prima caccia a Versailles. Si tratta dell’anello di
nonna Malfoy, ora è ufficialmente della nostra bella Granger.
Si tratta di un animale d’anello, grosso tipo come una castagna.
» 4 – Allora, Lucius. Il signorino in questione
era malato terminale, come sapete, e neppure Crave
era riuscito a salvarlo. Blaise ha pensato di usare
la Pietra, come avevano fatto con Harry, ben pensando che anche lui meritasse
una seconda occasione.
» 5 – La madre del dottor Crave è irlandese, come
ha detto Rosemary nel capitolo “Seconde Possibilità” (credo), e lui si è
ritirato lì per affrontare il lutto. Dopo il risveglio di Hermione sono
diventati tutti molto amici, lui ha essenzialmente preso Alexander sotto la sua
ala, trasformandolo in un Magizoologo in miniatura,
come avrebbe voluto fare con la sua bambina. Con la sua figlioccia, Rose
Malfoy, neanche vi sto a dire come si comporterà. Un terzo nonno particolarmente invadente, dalla serie: No, se lei
va ad Hogwarts ci vado pure io.
» 6 – EvanRosier
era il padre di Merrick, era un vecchio Mangiamorte
ma lei lo adorava. La famiglia è famiglia.
» *Tutti i bambini hanno gli occhi azzurri, appena nati, tranne pochi casi.
I piccoli Malfoy avranno entrambi gli occhi grigi, è praticamente una maledizione!
» 7 – Audrey, la moglie di Percy, è la
segretaria del dottor Crave. Tre anni prima si è
sposata e si è messa a studiare per diventare psicologa a sua volta,
collaborando con il dottore.
»8 – Nel senso: senza di me non vi sareste neppure messi insieme, quindi lei
e l’altro sono merito mio.
Cosa è successo dopo l’epilogo?
» Hermione e Draco si sono sposati un anno dopo il risveglio di lei, nel
frattempo hanno fatto qualche altra missione
di recupero oggetti magici sotto le spoglie di Lord Morgestern
e Miss Sinclair. Esattamente nove mesi dopo il matrimonio è nato il piccolo
Alexander Draco, che ha quattro anni alla nascita della sorellina Rose.
Hermione penserà di adottare un terzo bambino, ma, senza programmarlo, resterà
incinta e darà alla luce un’altra bambina, Vivian. Alex diventerà un Corvonero,
Rose una Serpeverde (con gioia immensa di Draco e di Crave),
mentre Vivian andrà a Grifondoro (con orrore di tutti i Malfoy. Inutile dirlo,
Draco sosterrà che Grifondoro sia migliorata incredibilmente solo grazie a sua figlia).
» Harry e Ginny si sono sposati due mesi dopo
l’epilogo. Al matrimonio c’era Percy come unico
rappresentate dei Weasley, mentre per Harry si sono presentati Petunia, Dudley,
sua moglie e sua figlia, Jane (ufficialmente solo per consentire alla bambina
di avvicinarsi al mondo magico, essendo anche lei una strega). Ovviamente loro
hanno avuto tre figli: James (Grifondoro), Albus
(Serpeverde) e Lily (Grifondoro). Harry si è ripreso, anche se ha avuto bisogno
di molto tempo e di tante cure, soprattutto una volta guarito il dottor Crave.
» Blaise e Laurie si sono sposati un mese dopo,
hanno avuto una sola figlia, Victoria (qualche mese più giovane di James), che
diventerà Serpeverde (ed avrà una relazione con James stesso, shhh). Blaise è diventato
responsabile del reparto Malattie Infettive, mentre Laurie è diventata un Gran
Maestro dell’ordine degli Alchimisti, come suo padre (di cui lei scoprirà
l’identità grazie ad Hermione).
» Merrick, alla fine, ha ceduto alla corte di
Seamus ed ha accettato di sposarlo dopo altri quattro anni di corte sfacciata. Avranno tre maschi: Liam, Max ed Aaron (Serpeverde,
Grifondoro e Grifondoro).
» Shacklebolt è stato reintegrato, ha spiegato la situazione ed ha
sistemato tutti i casini dell’anno precedente. Daisy è stata processata ed assolta,
si è rifatta una vita in Australia, ben lontana dai luoghi che l’hanno fatta
soffrire.
» Newton Crave ha sofferto come un cane per anni,
riuscendo ad uscire dal tunnel di depressione solo grazie a Draco ed Hermione
prima e poi grazie al piccolo Alex, che essenzialmente lo ha adottato come
terzo nonno. Ha ricominciato a svolgere le sue solite occupazioni solo un anno
dopo la morte di Rose ed ha deciso di donare una enorme somma di denaro alla
riserva di draghi irlandese, che è stata intitolata a Rosemary Crave.
» Molly Weasley è morta due anni dopo l’epilogo, gettandosi dalla finestra
dopo aver visto Fred. I suoi figli l’hanno pianta molto ma non si sono comunque
riappacificati con Ginny. Percy,
un mese e mezzo dopo l’epilogo, ha deciso di averne abbastanza e si è
allontanato a sua volta, raggiungendo Ginny. È stato
lui ad accompagnarla all’altare e lei, quando Crave
ha ricominciato a lavorare, gli ha presentato sua moglie Audrey. Loro avranno
due figlie, come sapete: Molly e Lucy (Grifondoro, Tassorosso).
» Spettegoliamo sul futuro: Teddy Lupin non avrà una relazione con Victoire (non essendoci rapporti di Harry con i Weasley è
improbabile diventino amici) ma sarà il fidanzato di Jane Dursley
(entrambi saranno Tassorosso). Immaginate come dev’essere felice Vernon, nella
sua tomba (è morto pochi mesi prima che Dudley si sposasse, un annetto dopo
l’ultimo libro), sapendo che sua nipote è fidanzata con un mago, metamorfomagus e mezzo licantropo. Ah, il karma.
Signori, abbiamo ufficialmente finito. Ho pianto, ho sofferto ed ho riso
per nove mesi, scrivendo questa storia, ed ora ho paura che non riuscirò mai
più a fare qualcosa si nuovo.
Ci proverò, questo ve lo prometto (o vi minaccio…).
Molto
presto.
Grazie a tutti, di cuore.
Vi adoro.
Marnie*
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!