Un'estate da ricordare di HadleyTheImpossibleGirl (/viewuser.php?uid=80884)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Arrivano! ***
Capitolo 3: *** Di cene e disturbatori della quiete ***
Capitolo 4: *** Uscite e incontri ***
Capitolo 5: *** Un giorno di pioggia ***
Capitolo 6: *** Discorsi sull'amore ***
Capitolo 7: *** Rabbia e attesa ***
Capitolo 8: *** Giro di boa ***
Capitolo 9: *** Festa del raccolto ***
Capitolo 10: *** Tempesta in arrivo ***
Capitolo 11: *** Cadute provvidenziali ***
Capitolo 1 *** Introduzione ***
Il
suono
familiare delle dita di un elfo domestico che bussavano alla sua porta
per
svegliarla fecero aprire gli occhi azzurri della giovane Cassandra
Floral. La
ragazza ci mise qualche secondo a materializzare che giorno era, ma
quando la
sua mente realizzò che era il primo Luglio, le sue labbra si
distesero in un
sorriso furbetto.
Eccitata
come una
bambina la mattina di Natale scalciò le coperte ai piedi del
letto,
guadagnandosi un’occhiataccia dal suo Kneazle che, fino a
quel momento, dormiva
beatamente.
Si
alzò
allegramente e spalancò la porta della sua camera. Ancora
con indosso solo la
camicia da notte di lino bianco fece per correre ma si
bloccò alla vista di
Pebbles, il Crup che un tempo era appartenuto a suo fratello e che
stazionava
quasi sempre davanti a quella che era stata la camera da letto di
Vincent
Floral ma che era chiusa a chiave dal giorno in cui lui era scappato
per
sposarsi con una Nata Babbana e la sua famiglia aveva deciso di
dimenticarlo,
di fare come se non fosse mai esistito. Eccetto per Pebbles, lui era
rimasto. Paradossale
come due persone potessero amare un animale più del loro
stesso figlio.
“Vieni
Pebbles,
andiamo a svegliare Agatha!” lo incitò la giovane
e fece qualche passo o meglio
qualche saltello allegro verso la camera della primogenita di casa.
L’animale
le
trotterellò dietro e la seguì fino a dentro la
camera della sorella, dove
Cassandra entrò senza nemmeno bussare.
La
grande stanza
era immersa nell’oscurità a causa delle tende
tirate. La bionda dormiva ancora
profondamente, non sentì neanche quando la sorellina si
arrampicò sul suo
letto.
Cassandra
fece
dondolare i lunghi capelli biondo chiaro fino a sfiorare il viso di
Agatha, che
si svegliò e si tirò su a sedere di scatto.
“Cassie!
Vuoi
farmi morire per caso?”
“Sia
mai
sorellina mia!” ridacchiò Cassie sobbalzando sul
letto “Ti rendi conto? Oggi
arrivano gli ospiti!”
“Gli
ospiti
arrivano nel pomeriggio, Cassie” le rammentò
Agatha buttandosi di nuovo lunga
sul letto. Cassie seguì l’esempio e si stese
accanto alla sorella.
Cassandra
rivolse
gli occhi verso l’altra. “Non sei felice che arrivi
altra gente? Abbiamo
passato le ultime estati sempre da sole!”
Agatha
sospirò,
girandosi su un fianco per poter guardare in faccia la sorellina.
“Sai perché
papà ha invitato i suoi amici…” non
sapeva se terminare la frase e spiegare a
Cassandra che il loro caro paparino non vedeva l’ora che una
delle figlie si
sposasse o lasciare la sorellina all’oscuro, nella beata
innocenza dei suoi
diciotto anni.
Salve gente, per chi non mi
conosce mi
chiamo Hadley e sono una drogata di interattive (e ora tutti in coro:
Ciao
Hadley).
Questa è ormai la mia
quarta interattiva,
e potete stare certi che farò il possibile per portarla
avanti. Ora ne ho 3 in
corso, di cui una arrivata quasi alla fine, e non potevo restare certo
buona e
tranquilla, no?
Tralasciando la mia
follia…
Siamo in piena Inghilterra
(più
precisamente Scozia) vittoriana. La storia tratterà di una
riunione di famiglie
purosangue della media/alta borghesia e dei loro figli. Ci saranno
amicizie,
storie d’amore e tutto ciò che ci può
stare.
Per ora conosciamo solo le due
ragazza
Floral…Agatha è stata creata da
un’amica che ringrazio profondamente.
Ho solo alcune semplici regole.
- I
vostri OC devono avere un’età compresa tra 18 e 30
anni. Potete creare massimo
2 OC di sesso e famiglia diversa, non possono essere né
fidanzati né parenti
(tanto i purosangue sono tutti parenti tra loro anche se alla larga)
né amici.
I giochi li faccio io (disse con un sorrisetto sadico).
- Le
iscrizioni sono aperte fino al 30/9. Le schede devono essere inviate
entro il
30/9 ore 18 complete in TUTTE le parti (solo quelle con
l’asterisco sono
facoltative) e devono seguire lo schema sotto.
- Potrei
eventualmente accettare un Lupo Mannaro.
- Le
famiglie disponibili sono: Holmes, Dashwood, Storm e Turner
Nome completo:
Età e data di
nascita:
*Ex-scuola (se non
è Hogwarts):
Ex-casa:
Descrizione fisica:
Prestavolto (no link):
Descrizione caratteriale:
Storia del personaggio:
Cosa ama:
Cosa odia:
Punti di
forza/abilità particolari:
Punti di debolezza/paure:
Amicizie (il tipo di
persone):
Inimicizie (il tipo di
persone):
Relazione (tipo di
persona e tipo di
relazione):
*Bacchetta:
*Amortentia:
Vi presento:
Agatha Floral (25 anni)
Cassandra Floral (18
anni)
Se mi viene in mente altro lo
aggiungerò
A presto
H.
|
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Capitolo 2 *** Arrivano! ***
Lo sferragliare di un paio
di carrozze condotte apparentemente dal nulla attirò
l’attenzione delle giovani
Floral, che si precipitarono alla finestra.
Gli occhi grigi di Agatha
si spalancarono nel riconoscere una delle carrozze.
“Sono i Dashwood!” esclamò
lei tutta contenta.
Le due ragazze si recarono
quasi correndo verso la porta ma vennero subito frenate da
un’occhiataccia
della madre.
Lady Kathrine Floral era
una donna abbastanza dolce ma se c’era una cosa che non
ammetteva era la
confusione in casa sua, infatti cercava in tutti i modi di controllare
le
proprie figlie.
La donna si recò dritta
verso lo studio per chiamare suo marito e avvisarlo che i primi ospiti
stavano
arrivando.
L’intera famiglia Floral
attese l’arrivo delle carrozze ai piedi della grande
scalinata di pietra che
conduceva all’interno della loro villa.
Dalla prima carrozza scese
un uomo abbastanza alto, sul cui viso spiccavano due grandi occhi
verdi. Lord
Albert Dashwood aiutò poi sua moglie a scendere.
Dalla carrozza dietro scese
prima un ragazzo alto, dalla pelle lattea che contrastava con i capelli
e occhi
scuri. Aveva l’aria annoiata, quasi infastidita.
Alexander Dashwood sorrise
solo mentre porgeva la mano a sua sorella maggiore, aiutandola a
scendere lo
scalino.
La ragazza ebbe a malapena
il tempo di togliere la mano da quella del fratello e di sollevare gli
occhi
identici a quelli del padre che venne travolta dall’abbraccio
della sua
migliore amica, che le corse incontro fregandosene del galateo.
“MARY! BEN ARRIVATA!” gridò
Agatha mentre le due si stritolavano in un abbraccio. Le due erano
amiche da
una vita, erano praticamente cresciute insieme diventando anche
compagne di
stanza a Hogwarts. Negli anni della scuola erano state praticamente
come
sorelle.
“Amico mio, benvenuto!”
salutò cordialmente Lord Fitzwilliam Floral andando a
stringere la mano
all’altro uomo.
“Accomodatevi, fate come se
foste a casa vostra. I nostri elfi sono a vostra completa disposizione.
Cara,
conducili alle loro stanze.”
L’uomo si rivolse alla
moglie, mentre il suo sguardo saettava su un altro paio di carrozze che
si
avvicinavano e che lui riconobbe come quelle dei Turner.
James Turner era stato il
suo migliore amico ai tempi della scuola quindi non esitò un
attimo ad andare a
salutare calorosamente lui e sua moglie Victoria.
I loro figli nel frattempo
si guardavano intorno. Christopher si presentò in modo
tranquillo ed educato
mentre Evelyn diede l’impressione di essere una persona
più fredda.
Le due famiglie vennero
accolte nel salottino color pesca, venne offerto loro il tè
e gli adulti scambiarono
quattro chiacchiere. Mary e Agatha si erano isolate per scambiarsi
confidenze
come facevano di solito mentre Alexander Dashwood e Christopher Turner
si erano
uniti agli uomini nelle loro chiacchiere. La giovane Turner invece
aveva
preferito ritirarsi nelle sue stanze.
Cassandra se ne stava
seduta sul divanetto, lisciandosi le pieghe del vestito azzurro
sentendosi un
po’ a disagio. Non conosceva nessuno dei loro ospiti,
conosceva solo di vista
la più piccola della famiglia Storm.
Gioì in effetti quando
un’ora più tardi arrivò
un’altra carrozza. Sapeva che la famiglia Storm era
piuttosto numerosa ma solo tre dei loro figli sarebbero stati presenti.
Il primo a scendere fu un
ragazzo piuttosto muscoloso, con un gran sorriso stampato sulle labbra.
Agatha
lo riconobbe come Jamie Storm, divenuto abbastanza popolare a scuola
per un
corteggiamento con la famosa Emily Ollivander, corteggiamento che
però era
finito in malo modo.
Dopo di lui scese un
ragazzo con gli occhi chiusi. Agatha aveva sentito anche la storia di
Markus,
l’erede di casa Storm, si diceva che la sua cecità
fosse dovuta a un incidente
con magia oscura e che non fosse una semplice condizione fisica.
Il sorriso sulle labbra di
Cassie si ampliò quando vide scendere l’unica
faccia familiare. Sebbene lei e Alice
avessero la stessa età, le due si conoscevano a malapena.
Avevano frequentato
scuole diverse e si erano conosciute solo quando avevano fatto insieme
il
debutto in società.
Gli ultimi ospiti ad arrivare,
poco prima del tramonto furono gli Holmes. I primi a scendere furono
Lord
Charles e Lady Elizabeth Holmes mentre dalla seconda carrozza discese
Carlton
Holmes. Il ragazzo era la fotocopia di suo padre, con quei capelli del
colore
del grano e gli occhi azzurri. Fu subito seguito da quello che Cassie
immaginò
essere una specie di valletto, dato che era vestito in modo decisamente
più
spartano.
Erano finalmente arrivati
tutti. Al momento erano tutti separati, sparsi per la grande tenuta
della
famiglia Floral ma a cena si sarebbero trovati tutti insieme. Si
sarebbero
prospettati due mesi decisamente interessanti…
Buonasera a tutti!
Devo dire che riuscire a
scegliere poche schede tra la trentina che ho letto è stato
davvero davvero difficile. Per dare maggiore possibilità di
partecipazione ho cercato di non scegliere più di un OC per
autore ma ne erano comunque tanti quelli che mi piacevano. Ho scelto
quindi di tenermi una rosa di 3 OC "di riserva" che potrei inserire
più avanti nella storia, anche in caso che qualche
personaggio dovesse sparire a seguito della sparizione del suo autore.
Ora vi lascio l'elenco degli OC
scelti:
Marianne "Mary"
Dashwood
Alexander
Dashwood
Christopher
Turner
Evelyn
Turner
Markus
Storm
Jamison
"Jamie" Storm
Alice
Storm
Carlton
Holmes
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Capitolo 3 *** Di cene e disturbatori della quiete ***
Carlton Holmes era seduto
sulla poltroncina davanti alla finestra, fumando un sigaro e godendosi
il
silenzio e la calma della sua camera. Non aveva minimamente voglia di
scendere
a cena, non perché aveva fame, anzi aveva parecchia fame ma
il pensiero di stare
tra tutta quella gente, tutti quei sconosciuti, gli metteva
incredibilmente
ansia.
Non poteva però sottrarsi a
quell’impegno, come non si era potuto sottrarre a quella
rimpatriata. Era
l’erede della famiglia Holmes e come tale suo padre gli aveva
imposto di
partecipare.
Anche sua madre Elizabeth
aveva insistito ma adducendo al fatto che così avrebbe
potuto fare amicizia e
magari trovare l’amore. Quella donna dolcissima continuava a
ignorare il fatto
che lui amava trascorrere il suo tempo da solo e non credeva
minimamente in
quella cosa chiamata amore.
Sapeva che prima o poi si
sarebbe dovuto sposare e già compativa quella poveretta che
sarebbe stata
spinta a convolare a nozze con lui.
Fortunatamente aveva ancora
un po’ di tempo per rilassarsi e scendere a patti con la
questione. Sarebbe
stato costretto a scendere a patti con la sua agorafobia e a
presenziare almeno
ai pasti e gli altri eventi “ufficiali”.
In una delle ampie camere
da letto al primo piano dove, oltre la famiglia Floral alloggiavano le
ragazze,
ce n’erano tre che si stavano preparando per la cena.
Agatha era già pronta,
fasciata nel suo abito verde e si era ritrovata con sua sorella e la
sua
migliore amica in camera.
Era una tradizione per lei
e Cassandra prepararsi insieme quando c’era un evento a casa
loro. Lei non
amava particolarmente il caos che accompagnava le feste, anche se
quelle in
campagna erano completamente diverse. Si prospettavano due mesi
piuttosto
intensi sotto quel punto di vista, tra compleanni, ricevimenti e la
famosa festa
d’Estate e quella cena era solo l’inizio.
Mentre un’elfa domestica
acconciava i capelli di Cassandra seduta alla toeletta, Agatha tirava
le
stringhe del corsetto di un’insofferente Marianne.
“Mary, se stai ferma riesco
a tirarlo ancora un po’” disse la bionda
all’amica che non sembrava voler stare
ferma.
Marianne guardò Agatha
attraverso lo specchio. “Posso ricordarti che vorrei anche
respirare?”
L’altra le riservò lo
sguardo più serio che riuscì a fare.
“Non lo sa, signorina Dashwood, che
respirare è considerata un’attività
superflua per noi donne?”
Jamie si sistemò la
giacca.
Ci aveva messo poco tempo a prepararsi ma era comunque soddisfatto del
risultato. Non si considerava un ragazzo particolarmente bello, che
faceva
colpo sulle giovani donzelle che frequentavano gli ambienti che la sua
famiglia
gli aveva imposto di frequentare. Dopo la brutta esperienza che aveva
avuto con
l’unica ragazza che aveva fatto breccia nel suo cuore sperava
che quei mesi lì,
con tutte quelle giovani donne, avrebbe potuto rappresentare un nuovo
inizio.
Uscì dalla sua stanza per
bussare a quella accanto dove anche suo fratello era ormai pronto per
scendere
a cena. Markus era cieco ma lo era ormai da diversi anni e col tempo il
suo
orgoglio lo aveva spinto a diventare praticamente autonomo.
Ciò che traspariva
all’esterno era che Markus era una persona quasi normale,
solo lui e sua
sorella sapevano quanto in realtà quella menomazione fisica
gli pesasse.
“Va tutto bene?” chiese al
ragazzo seduto sul letto, il quale annuì in modo tranquillo.
“Vogliamo andare?”
Markus si voltò, come
sempre ad occhi chiusi, verso la fonte della voce.
“Sai se Alice è pronta?”
“Mmmm” iniziò a fare Jamie
facendo finta di pensare. I due fratelli esclamarono allo stesso
momento
“Assolutamente no!” prima di scoppiare a ridere.
Jamie si avviò al piano di
sotto, domandandosi in quale stanza si trovasse Alice. Quando
sentì la
familiare voce di sua madre non ebbe dubbi su dove trovare la
sorellina. Bussò
alla porta.
“Chi è?” domandò
un’irritata voce femminile proveniente dall’interno.
“Jamie” rispose lui,
cercando di trattenere una risatina. Immaginava quasi la scena che si
stava
verificando dietro quella pesante porta di legno.
“Entra pure” la stessa voce
si era fatta improvvisamente più calma.
Aprì appena la porta e già
dal primo spiraglio riusciva a scorgere sua madre che cercava di
acconciare i
capelli a quella che era praticamente la sua versione più
giovane.
Le due avevano in comune i
capelli biondi e i vispi occhi azzurri. Non poteva giurarlo ma aveva il
sentore
che anche sua madre da giovane fosse stata pestifera come Alice.
“Tesoro, sei splendido”
“Grazie mamma” rispose lui
prima di spostare l’attenzione sulla sorellina.
“Sei splendida…vuoi farti fare
la corte da tutti gli uomini presenti in sala?”
Alice lo fulminò con lo
sguardo. “Io non voglio nessun uomo!”
esclamò ribadendo un concetto che
ripeteva da anni: la ferma intenzione di non sposarsi.
“Morditi la lingua,
signorina” la ammonì la madre “Un giorno
ti sposerai come…”
“…come tutte le tue
sorelle” completò la cantilena Alice, che non
aveva intenzione di essere come
le sue due sorelle maggiori, una caduta ai piedi di un bellimbusto
arrogante e
pieno di sé e l’altra che per tutta la vita non
aveva fatto altro che
desiderare il matrimonio ed aveva accettato la corte del primo giovane
di buona
famiglia che aveva posato gli occhi su di lei.
No, lei voleva essere
diversa. Non voleva fare la moglie
di…
Più o meno era della
stessa
opinione anche la ragazza appoggiata all’angolo del camino
mentre tutti nel
salottino aspettavano di accomodarsi a cena.
Evelyn Turner osservava tutte
quelle persone all’interno della sala, la maggior parte delle
facce erano
familiari. Anche se non c’era nessun suo coetaneo ma si
ricordava di alcuni grazie
alle feste che aveva frequentato.
Erano cinque ragazze in
tutto e sembravano già essersi formate due coppie: la prima
formata da Agatha
Floral e Mary Dashwood, che sapeva essere migliori amiche da
praticamente tutta
la vita mentre le due piccole del gruppo si stavano dirigendo verso la
sala da
pranzo ridacchiando tra loro.
Non era mai stata una
persona socievole lei, faceva fatica a buttarsi nella mischia. Mai come
in quel
momento le mancavano le sue migliori amiche!
Da quello che vide una
volta accomodatasi a cena, non era l’unica a rifuggire dalla
socializzazione,
anzi, un paio di ragazzi sembravano tutt’altro che felici di
essere lì.
Non conosceva personalmente
quello che sembrava più in crisi di tutti, ma sapeva essere
l’unico figlio
degli Holmes.
Per fortuna suo fratello
intervallava la sua conversazione con il primogenito degli Storm per
chiacchierare con lei. Come al solito si preoccupava troppo.
Dopo la cena tornarono
tutti nel salone dove, accompagnati da una lenta e dolce musica, i suoi
genitori avevano iniziato a ballare così come Lord e Lady
Storm, che tutti
guardavano con occhi quasi trasognanti. Si vedeva lontano un miglio che
quella
fosse la coppia meglio assortita e più innamorata tra quelle
presenti.
Nel frattempo vide
Christopher avvicinarsi alla maggiore delle ragazze Floral e invitarla
a
ballare.
Il ragazzo si avvicinò in
tutta la sua altezza ad Agatha e la ragazza accettò con un
sorriso gentile ma
di circostanza.
Non si trattava di un lento
ma di una musica allegra e movimentata che rese quel ballo davvero
divertente.
Il sorriso sul viso di entrambi lo testimoniava.
“Siete una bravissima
ballerina, miss Agatha” si complimentò Christopher.
“Vi ringrazio” sorrise lei
facendo un piccolo inchino.
Lui la guardò mentre si
allontanava, graziosa e sicura di sé. Muovendo appena la
testa, si distolse dai
suoi pensieri e andò verso la sorellina.
“Prima a cena ho sentito
che hanno dei cavalli splendidi…ti va di andare a fare un
giro domani?”
“E me lo chiedi?” sorrise
Evelyn contenta di avere qualcosa da fare per il giorno dopo.
La mattina dopo fu la
pioggia che batteva sui vetri a svegliare gli ospiti di Villa Floral,
pioggia
che rendeva impossibile uscire. Alexander guardò le gocce
oltre il vetro.
Quello era proprio il tempo adatto a starsene a leggere qualcosa,
magari il
romanzo babbano che si era portato dietro, o per mettersi a suonare un
po’ il
pianoforte.
La sera, alla cena, aveva
fatto la conoscenza di tutti. Aveva visto gli sguardi delle ragazze,
sembravano
tutte ammaliate dalla sua naturale eleganza. Era sempre stato
così, erano tutte
affascinate da lui o dai suoi soldi.
Non aveva socializzato con
qualcuno in particolare ma si era manifestato cortese ed educato,
suscitando
una generale ammirazione.
“Signore, la colazione è
quasi terminata” gli ricordò un piccolo elfo
domestico che nel frattempo stava
rassettando la stanza.
“Decido io quando fare
colazione” rispose lui in modo piuttosto burbero.
Alexander uscì dalla sua
stanza poco più tardi per esplorare quell’enorme
villa. Aveva sempre provato
una certa attrazione per il lusso e quei corridoi con la moquette rossa
e le
pareti di un delicato color crema su cui spiccavano delle luci che
illuminavano
tutto l’ambiente. Emanavano più luce delle
semplici candele e non poteva fare a
meno di chiedersi di cosa si trattasse.
Si ritrovò in poco tempo
all’interno di un’enorme biblioteca suddivisa in
tante piccole salette, in ognuna
c’erano un paio di poltroncine verde smeraldo ed un tavolino
di ebano. Sorpassò
il salottino occupato da uno degli altri ospiti e si sistemò
in quello dalla
cui finestra si poteva scorgere il bosco che si estendeva dietro la
villa.
Era immerso nella lettura
quando la sua quiete venne disturbata da un paio di voci, tra cui
quella
familiare di sua sorella. Non passò più di
qualche secondo prima che vide
spuntare Marianne e Agatha provenienti dall’altro capo della
biblioteca.
Stavano chiacchierando come
se non si trovassero in un luogo che presupponeva un certo silenzio,
evidentemente Agatha Floral era abituata a fare quello che voleva in
casa sua.
Mary si bloccò non appena
lo vide. “Alex!” lo chiamò.
Il ragazzo alzò sulle due i
suoi occhi scuri e si alzò immediatamente porgendo i suoi
rispetti.
“Mary…miss Agatha” salutò.
“Cosa stai leggendo?”
chiese la bruna avvicinandosi al fratello minore per sottrargli il
libro dalle
mani. La ragazza diede un’occhiata al tomo, sfogliando alcune
pagine e
riconoscendo il nome di un certo Charles
Dickens, poi lanciò uno sguardo di intesa ad Alex.
Nel frattempo la bionda si
era congedata dicendo che nel frattempo sarebbe andata a cercare il
libro di
cui aveva parlato alla sua migliore amica.
Mary si rivolse al
fratello. “Me lo presti quando hai finito?” gli
chiese.
I due si scambiavano libri
babbani da anni ormai, avevano iniziato ai tempi della scuola. Avevano
questa
passione che li accomunava e ne era nata una sorta di
complicità dato che a Lady
Fay Dashwood sarebbe venuta una sincope se avesse saputo che i suoi
preziosi
figli purosangue leggevano libri che con il mondo magico non avevano
nulla a
che fare.
Agatha stava percorrendo la
biblioteca in tutta la sua lunghezza. Non ci passava molto tempo
lì dentro, per
quanto amasse leggere preferiva, quando il tempo era clemente, prendere
un
libro e portarselo all’esterno. Aveva l’opinione
che, nonostante le finestre
aperte ogni mattina dagli elfi domestici, quei locali avessero un
aspetto
troppo cupo e che l’aria al loro interno fosse sempre
piuttosto viziata.
Quando entrò nella saletta
che le interessava, il ragazzo presente all’interno si
alzò immediatamente
rivolgendole un piccolo inchino.
“Buongiorno miss Agatha”
“Buongiorno” rispose lei
messa leggermente a disagio da quegli occhi azzurri che la guardavano
poi
iniziò a setacciare gli scaffali con un preciso obiettivo in
mente. Scorse il
dorso dei libri con il dito ma non riusciva proprio a trovare quello
che stava
cercando.
“Dove può essere finito?”
domandò a se stessa. Era sicura di aver visto quel volume
pochi giorni prima!
Solitamente Carlton non si
sarebbe mai mischiato in affari che non gli riguardavano ma per un
attimo gli
era balenato il pensiero che quella ragazza avesse qualche problema,
dato che
la sua domanda non era evidentemente rivolta a lui.
“Cercate qualcosa in
particolare?” le chiese.
Agatha spostò l’attenzione
sul ragazzo. Un attimo dopo rispose “Sì,
quello!” indicando il libro che
Carlton Holmes teneva in mano.
Sua madre l’avrebbe
cruciata se l’avesse sentita rivolgersi con quel tono
irriverente a un ospite
ma le era scappato senza volerlo. Non era abituata ad avere
così tanti estranei
in giro per casa e aveva dovuto tenere un comportamento impeccabile,
durante la
ricerca del libro si era però dimenticata di quella presenza
silenziosa.
“E credete sia buona
educazione voler sottrarre a un ospite il suo diletto?”
chiese lui con una
punta di arroganza.
“E volerlo negare ad una
donna?” fece lei alzando le sopracciglia in modo eloquente.
“Non credete che in quanto
padrona di casa io abbia più diritto di voi a prendere
ciò che è mio?” fece di
nuovo Agatha.
“Non siete voi la padrona
di casa” puntualizzò Carlton che nel frattempo non
aveva staccato gli occhi
dalle pagine, come se ciò che gli accadesse intorno non
fosse di suo interesse.
“Prego?”
“Vostro padre e vostra
madre sono i padroni di casa e se voi o vostra sorella non avrete un
erede
prima della scomparsa di vostro padre, le sue proprietà
passeranno a vostro
cugino, o sbaglio?”
Agatha lo guardò con gli
occhi ridotti a due fessure e le labbra piegate in una smorfia di pura
offesa.
Fece un piccolo verso di sdegno e si recò verso
l’uscita a passo di marcia.
Markus era andato a dormire
con un forte mal di testa la sera prima. Quella festa a cui si era
sentito
obbligato a partecipare in quanto erede di casa Storm aveva mandato in
tilt il
suo cervello e gli incantesimi che usava solitamente per spostarsi. La
confusione gli faceva sempre quell’effetto. Gli ci era voluta
tutta la mattina
per riprendersi.
Si sentiva molto meglio
quel pomeriggio mentre camminava nel corridoio semi deserto, facendo
scorrere
il suo bastone appena oltre il bordo del tappeto.
Una leggera musica suonata
al pianoforte gli arrivò alle orecchie, era calma e
avvolgente come una specie
di poesia. Più camminava lungo il corridoio più
sentiva la musica in modo
nitido fino a quando arrivò davanti alla stanza da cui
proveniva quel dolce
suono.
Si lasciò cullare e
distrattamente si appoggiò alla porta, si riscosse quando la
musica si
interruppe bruscamente.
“Scusate” disse. Era
evidente che chi suonava si era accorto della sua presenza e non gli
era andata
giù più di tanto.
“Non fa niente…” balbettò
una voce femminile che non riuscì ad identificare
propriamente.
“Entrate pure” lo invitò
lei mentre ricominciava a suonare.
Furono proprio quei suoni a
guidare Markus fino a che non si fermò accanto al pianoforte.
“Siete davvero molto brava,
miss…” e si interruppe realizzando che non aveva
idea di quale delle giovani
presenti avesse davanti.
“Cassandra è più che
sufficiente” ridacchiò cristallina lei.
Non disse una parola per
tutta la durata del brano per poi chiedere al suo osservatore.
“Suonate, signor
Storm?”
“Chiamatemi Markus per
favore” disse lui nel cercare di contraccambiare il tentativo
di lei di
metterlo a suo agio. Finora era stata una delle poche persone a
metterlo a suo
agio. Sapeva quello che dicevano le malelingue su di lui e sul suo
incidente.
Anche se tutto era stato messo a tacere e lui non prestava attenzione
alle
chiacchiere che ancora circolavano, la gente lo evitava, considerandolo
piuttosto strano.
“Dunque…suonate, Markus?”
domandò di nuovo la giovane mettendo particolare enfasi sul
suo nome.
“Non bene quanto voi”
rispose lui che in effetti suonava discretamente ma non benissimo.
Suonare il
pianoforte era stata per lui un’attività
fondamentale quando aveva perso la
vista, lo aveva aiutato a prendere coscienza di misure e spazi, poi
aveva
continuato a suonare ma solo quei pochi brani che conosceva a memoria.
“Accomodatevi” propose
Cassie. Markus sentì il frusciare del vestito della ragazza
che si spostava
leggermente, così si sedette accanto a lei sullo sgabello
del pianoforte.
“Conoscete qualcosa da
suonare a quattro mani, Schubert magari?”
“Sì qualcosa sì”
mormorò
lui. Adesso iniziava a sentirsi un po’ in imbarazzo, non
aveva molti contatti
con persone dell’altro sesso. Nessuna era particolarmente
attratta da un
ragazzo cieco e se si avvicinava a lui era solo per i soldi.
“Ecco, credo sia meglio
cominciate da qui” fece Cassandra prendendo una di quelle
mani grandi con le
sue e posandola sui tasti bianchi.
Il tocco di quelle dita
sottili e affusolate fece sorridere spontaneamente Markus prima di
iniziare
lentamente a suonare insieme a quella ragazza che, mai come in quel
momento, si
rammaricava di non poter vedere.
Il sole che era tornato a
splendere prepotentemente quel lunedì aveva asciugato il
terreno, spingendo
quasi tutti ad uscire. Lionel aveva visto come quella gente si muoveva,
nella
sua piccola bolla di perfezione, aveva visto gli uomini adulti partire
per
andare a caccia e le donne seguirli per il semplice piacere di restare
ad
ammirare i loro mariti che ammazzavano creature innocenti.
Vide anche i loro figli
seduti a fare la colazione in veranda. Vide da lontano quei ragazzi e
quelle
ragazza nei loro abiti eleganti che ridevano e parlavano tra loro,
probabilmente organizzavano la loro giornata, giornata di svago
perché loro
potevano permetterselo.
Lionel era lì, accanto alle
scuderie, ad osservare quel mondo da fuori, come aveva sempre fatto.
Fin da
piccolo avrebbe voluto essere come loro, in tutto e per tutto.
Erano così simili…lui era
un Holmes, ma il fatto che fosse il figlio bastardo che Charles Holmes
aveva
avuto con una ballerina metteva un oceano tra lui e quel gruppo di
ragazzi che
stava osservando con gli occhi chiari pieni di invidia.
Salve gente!
Scusate se vi ho fatto
attendere più del previsto ma per me è difficile
iniziare a lavorare con un
gruppo di OC totalmente nuovi e quindi ci metto un po’ anche
perché ho sempre
le schede aperte!
Il capitolo non
è molto lungo,
ma mi è servito più che altro per introdurre i
personaggi ed iniziare a farli
interagire tra loro.
Ad ogni modo, in questo
capitolo viene introdotto Lionel, il bastardo degli Holmes,
nonché loro
scudiero (sarebbe il ragazzo che era uscito dalla carrozza insieme a
Carlton)
Mi scuso per non aver
risposto ai vostri commenti sullo scorso capitolo ma è stata
una settimana
piuttosto difficile tra tesi, computer che fa le bizze e giorni e
giorni di
pioggia incessante che mi fanno venire solo voglia di dormire.
Spero di riuscire ad
aggiornare presto, anche se aggiornerò prima
l’altra storia.
Baci
H.
|
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Capitolo 4 *** Uscite e incontri ***
Quel giorno il tempo
sembrava essere migliorato. Il sole era tornato a splendere e, dopo
l’alba, la
bruma si era sollevata e la temperatura era tornata ad essere piacevole.
Era ancora presto e Villa
Floral sembrava immersa nella calma mentre i suoi abitanti si
svegliavano. Carlton
si era alzato da poco. Era in piedi davanti alla finestra che dava sul
retro
della casa. Con quel bel tempo avrebbero optato tutti per passare la
giornata
all’esterno. Per fortuna, almeno avrebbe avuto un
po’ di calma e quiete in biblioteca
o in una delle stanze.
Vide Lionel uscire dagli
alloggi al piano terra, quelli che erano riservati alla
servitù, tranquillo e
libero nei suoi pantaloni beige un po’ scoloriti e nella sua
camicia bianca.
Mentre camminava lungo il
prato, il ragazzo sembrò sentirsi osservato e
alzò lo sguardo verso quella
finestra.
Carlton ricambiò,
sollevando appena la mano, il saluto del fratello. In fondo
l’aveva sempre
considerato suo fratello. Si toglievano solo due anni ed erano
cresciuti
praticamente insieme, per quanto sua madre avesse tentato di
allontanare quel
bambino nato da suo padre e una strega dai facili costumi e
l’identità ignota.
Pochi istanti dopo vide un
animale, un Crup, uscire dalla casa e una ragazza dai capelli castano
dorati
corrergli dietro.
Come al solito Cassie era
piombata in camera sua per svegliarla anche quella mattina, giusto il
tempo di
romperle un po’ le scatole poi se ne era andata. Alla fine
Agatha si era alzata
sbuffando e si era seduta davanti alla toeletta nel tentativo di
sistemarsi i
capelli poi si era tolta la veste da notte in favore di un semplice
quanto
comodo abito verde oliva con dei fori sul retro attraverso cui dovevano
passare
dei nastri che andavano a chiudere il vestito. Mandò a
chiamare la sua elfa
domestica, ma di quella piccola creatura non ce n’era neanche
l’ombra.
Evidentemente stava aiutando sua madre o sua sorella così,
spazientita, provò a
fare da sola. Ci mise un bel po’ a sistemare il primo nastro,
le iniziarono a
fare anche male le braccia, ma con quelli dopo fu più
facile. Era arrivata al
terzo quando Pebbles saltò sullo sgabello e prese il nastro
col muso, per poi
saltare giù.
“Pebbles! Pebbles, dammi
quel nastro” ordinò all’animale che
sembrava non ascoltarla minimamente. Era
inutile, aveva obbedito sempre e solo a Vincent.
La bestiola scappò via
dalla stanza attraverso lo spiraglio della porta. Senza pensarci lei
prese a
corrergli dietro, come avrebbe fatto normalmente.
Si accorse del madornale
errore fatto solo quando, giunta all’esterno della casa,
sentì l’erba sotto i
piedi scalzi e, alzando gli occhi, vide un altro paio di occhi chiari
che la
guardavano perplessi.
“Credo che questo sia
vostro” fece Lionel raccogliendo da terra il nastro che era
caduto dal muso del
Crup.
La ragazza sorrise
leggermente imbarazzata nel pensare a come era conciata. Doveva avere
un
aspetto buffo o quantomeno strano.
“Grazie” si limitò a dire,
prendendo in mano quello che lui le porgeva.
Appena Agatha si girò per
tornare indietro lui, notando il suo vestito allacciato solo a
metà chiese “Vi
serve per caso una mano col vestito?”
Lei assottigliò lo sguardo
nel rivolgersi a lui. “Voi siete lo scudiero degli Holmes,
vero?” chiese
tagliente.
Lionel si limitò ad
annuire.
“Bene. Credo allora che il
vostro compito sia quello di preparare i cavalli. Io e le mie amiche
vorremmo
cavalcare.”
Il tono di voce che Agatha
aveva usato era un supponente. Il suo scopo era rimettere al suo posto
quell’adone dal fisico scolpito e i penetranti occhi azzurri.
Quel ragazzo era
decisamente troppo insolente, come il suo fratellastro.
Markus era seduto su una
delle panchine di pietra che cingevano il perimetro di Villa Floral.
Jamie
aveva insistito per passare la mattinata all’aria aperta, a
fare quello che lui
sapeva fare meglio, cioè scrivere poesie. Jamie si divertiva
a scrivere poesie
e poi costringeva il fratello a stare ad ascoltare per aiutarlo a
scegliere le
parole giuste. Jamie
faceva finta di
supplicarlo e Markus faceva finta di cedere ma in realtà il
maggiore aveva
sempre avuto la sensazione che Jamie facesse quello che faceva
perché il
fratello gli faceva pena e per coinvolgerlo in una qualche
attività che potesse
fare anche senza la vista.
Il ragazzo sentì dei passi
frettolosi avvicinarsi. Riusciva a distinguere chiaramente due paia di
passi
diversi ma entrambi piuttosto leggeri e quindi femminili.
“Buongiorno ragazzi” salutò
allegra Alice.
“Buongiorno signorine”
salutò Jamie, sollevando gli occhi dai suoi fogli
“Volete sedervi qui con noi?”
Cassandra sorrise
timidamente, non le sembrava poi un’idea così
malvagia ma Alice si sbrigò a
rispondere: “A sentire te che declami poesie che non
dedicherai mai a nessuna?
No, grazie. Noi andiamo nel bosco”
“A fare cosa?” chiese di
nuovo Jamie.
“Andiamo solo a raccogliere
delle more selvatiche” rispose Cassie. In quel momento, ora
che aveva
finalmente parlato, Markus identificò Cassandra come il
secondo paio di passi
che aveva sentito poco prima.
“Non lo dite alla mamma,
per favore” li pregò la giovane Storm.
I due fratelli capirono
subito che Alice non sarebbe andata a fare una semplice passeggiata nel
bosco,
anzi era molto probabile che avrebbe fatto qualcosa che la signora
Storm non
avrebbe approvato.
“Devo andare ad avvertire
anche Agatha…” fece Cassandra.
“Andiamo”
Mentre le due ragazze si
allontanarono Markus ebbe il coraggio di chiedere a suo fratello di
fargli una
descrizione della giovane Floral.
Alle parole di Jamie cercò
di immaginarsela: minuta, con lunghi capelli biondi e occhi del colore
del
cielo. Non sapeva neanche lui perché ma si immaginava una
specie di fatina.
“Perché ti interessa?”
chiese Jamie allusivo.
Christopher ed Evelyn
avevano fatto colazione insieme per poi andare a cavallo, come avevano
concordato la sera prima. Chris sapeva che presto o tardi le loro
strade si
sarebbero divise e quindi approfittava di ogni momento che poteva
passare con
sua sorella.
Stavano percorrendo a
braccetto il prato fino alle scuderie quando videro uscire da
lì un ragazzo che
sapevano essere il bastardo dei Holmes, seguito da Agatha Floral e
Marianne
Dashwood.
Le due ragazze
trascinavano, tenuti per le briglie, un paio di cavalli dal mantello
baio. Mary
sorrise istintivamente nel vedere i due che si avvicinavano.
“Venite anche voi a
cavallo?” chiese allegramente.
Christopher stava per
annuire quando venne bloccato dalla voce un po’ scocciata di
Lionel “Temo che
ci sia solo un altro cavallo sellato”
“Sì, c’è solo Missy pronta:
doveva prenderla mia sorella ma ha cambiato programmi” disse
Agatha.
Dalle labbra rosee di
Evelyn sfuggì un “Oh” che celava un
minimo di delusione. Christopher non ebbe
dubbi su cosa fare.
“Perché non vai tu?”
sussurrò Chris alla sorella avvicinandosi al suo orecchio.
Mary doveva aver intuito
qualcosa perché fu lei a proporre con un sorriso
“Evelyn, perché non venite con
noi? Sempre che vostro fratello non si offenda…”
“Ok, grazie” si limitò a
rispondere l’altra. Solitamente Evelyn rimaneva piuttosto
fredda e rispondeva a
monosillabi alle persona che conosceva poco.
“Non preoccupatevi,
signorine. Ne approfitterò per fare una passeggiate e
esplorare i dintorni.”
Mentre Christopher si
allontanava, Evelyn montò a cavallo e partì
insieme alle altre due ragazze per
una passeggiata verso la scogliera.
Ci mise un po’ ad
ambientarsi ma alla fine dovette ammettere che quelle ragazze la
facevano
sentire abbastanza a suo agio.
Cavalcarono per circa una
mezz’ora fino ad arrivare proprio sopra alla scogliera, dove
il vento sembrava
particolarmente forte, ma qualche previdente elfo domestico aveva
ancorato al
terreno una specie di gazebo. Sotto a quel gazebo in legno di bianco
c’era una
specie di banchetto ad attendere le tre giovani, con tè che
rimaneva
magicamente caldo e stuzzichini di ogni genere.
Mangiucchiarono qualcosa
mentre chiacchieravano allegramente senza rendersi neanche conto di
come erano
arrivate all’argomento primo bacio.
Agatha raccontò di quando
al sesto anno, mentre festeggiavano la vittoria della Coppa di
Quidditch da
parte dei Corvonero, le labbra di Albert McMillian si erano incollate
alle sue.
Pensandoci col senno di poi era stato un momento assurdo e
incredibilmente
divertente perché quel ragazzo non era assolutamente
interessato a lei, anzi
era piuttosto alticcio.
Mary ancora rideva di quell’episodio.
“E tu?” chiese ad Evelyn.
L’interessata arrossì
appena mentre abbassava gli occhi fissando il contenuto della sua
tazza. Non
era una cosa su cui si apriva.
“Ecco…io veramente non ho
mai…” balbettò in imbarazzo
“cioè mia madre mi ha presentato tanti ragazzi,
talmente tanti che mi è venuta la nausea!”
“E tu?” Agatha lanciò uno
sguardo eloquente alla sua migliore amica “Questa storia
manca alla pila di
cose che so di Marianne Dashwood.”
Mary fece un sorriso
furbetto e addentando una fragola disse. “Vincent”
La bocca di Agatha si aprì
in una O di stupore. “Cosa?
Quando? E
soprattutto perché io non ne sapevo niente?”
“Beh…è una cosa che non è
mai venuta fuori…non vado fiera del fatto di aver avuto una
cotta per un
ragazzo più piccolo di me e soprattutto che è il
fratello della mia migliore
amica”
“Non sapevo che avessi un
fratello” buttò lì Evelyn anche se
ricordava vagamente un altro Floral, ma non
lo aveva minimamente collegato a quel ramo della famiglia.
“Non ho un fratello. Avevo
un fratello” dichiarò Agatha nella speranza di
chiudere il discorso.
Christopher aveva fatto una
passeggiata intorno alla villa poi aveva deciso di recarsi in quel
bosco che c’era
sul retro e che sembrava estendersi per chilometri e andare ad
infittirsi
sempre di più. Evidentemente nessuno si addentrava nelle sue
profondità.
Anni di viaggi lo avevano
fatto diventare un tipo piuttosto curioso, sempre pronto a scoprire
cose nuove
quindi l’idea di esplorare quel posto non gli dispiacque
affatto.
Cominciò a camminare sul
sentiero, con le mani infilate nelle tasche ma due concitate voci
femminili lo
attirarono da un’altra parte.
Non dovette percorrere più
di una ventina di metri prima di intravedere una scenetta alquanto
divertente.
Ai piedi di un albero vi era la minore delle sorelle Floral che stava
cercando
di motivare Alice Storm a scendere dal ramo su cui si trovava.
La giovane Storm era in
piedi su un ramo, stringendosi al tronco stesso dell’albero e
sembrava non
avere la minima intenzione di scendere.
Lui non riuscì a trattenere
un sorriso. Il ramo non era particolarmente alto o almeno non lo era
per il suo
metro di giudizio, ma lui era una specie di gigante rispetto alle due
signorine
quindi il suo metro di giudizio era completamente sbilanciato.
“Signorine, posso esservi d’aiuto?”
chiese annunciando il suo arrivo.
Entrambe rivolsero a lui i
loro occhi azzurri accompagnati da un sorriso sollevato.
“Alice non riesce a
scendere…” cercò di spiegare Cassandra.
“Adesso ricordo
perfettamente perché odio volare…”
“Posso ricordarti che l’idea
di arrampicarsi su quella pianta è stata tua?”
fece di nuovo Cassie rivolgendo
all’amica uno sguardo stizzito. Quando Alice aveva proposto
una delle sue tante
follie lei aveva accettato volentieri di partecipare, ma non ne sapeva
niente
del fastidio dell’amica per le altezze!
Christopher fece per
avvicinarsi ma Alice mise una mano avanti.
“Non vi avvicinate! Indosso
una gonna!”
L’uomo scoppiò a ridere
fragorosamente. “Questa mi mancava! Non riuscite a scendere
eppure rifiutate un
aiuto perché siete terrorizzata dall’idea che io
possa vedere cosa celate sotto
la vostra sottana?”
Christopher ignorò la
smorfia della ragazza e si avvicinò di più.
“Coraggio, datemi la mano.”
Alice si piegò in avanti
per prendere la mano che lui le porgeva, ma nel farlo si
sbilanciò. Un attimo
dopo, quando riaprì gli occhi si ritrovò per
terra con il giovane Christopher
Turner sotto di lei e la risatina di Cassie nelle orecchie.
“Beh, almeno sei scesa!”
disse all’amica mentre lei si rialzava.
“State bene?” chiese
Christopher osservando il vestito di lei sporco di terra e con uno
strappo sul
gomito.
“Sì, sì grazie”
Lui si scrollò via la terra
e le foglie dei pantaloni prima di proporre “Posso avere
l’onore di
accompagnarvi a casa?”
Quando il terzetto
arrivò
nei pressi della villa, Jamie non poté fare a meno di
ridacchiare.
“Cosa ti è successo
sorellina?”
Alice lo fulminò con lo
sguardo.
“Dai, ti faccio da palo
mentre te la fili a cambiarti, prima che ti veda la mamma!” e
le fece l’occhiolino.
I due si allontanarono e anche Christopher se ne andò con il
pretesto di andare
a cambiarsi.
Cassie si avvicinò e si
sedette accanto a Markus, sul posto lasciato libero da Jamison.
“Vi piacciono le more,
Markus?”
“Sì, certo” rispose lui.
La ragazza allora gli
appoggiò il piccolo cestino sulle gambe prima di prenderne
una e portarsela
alla bocca. “Le abbiamo raccolte io e Alice”
spiegò la bionda.
Notando che l’uomo
tentennava aggiunse “Coraggio, mangiatene qualcuna insieme a
me”
“Oh no, Alice non me lo
perdonerebbe mai.” Markus sorrise pensando a come ci sarebbe
rimasta male la
sua pestifera sorellina se qualcuno le avesse mangiato tutte le more.
“Ma ne mangeremo solo
qualcuna…e Alice non lo saprà.”
Se Markus avesse avuto
ancora la vista avrebbe potuto vedere il sorriso malandrino dipinto sul
volto
di Cassandra Floral.
Avevano da poco finito di
cenare e Alexander aveva deciso di rintanarsi in uno dei salottini. Si
era
seduto su una delle poltroncine vicino alla finestra da cui filtrava la
luce
della luna che splendeva nel cielo stellato e aveva aperto il suo libro
babbano. Quel libro lo aveva proprio catturato e in più Mary
gli stava mettendo
pressione perché anche lei lo voleva leggere.
La candela al suo fianco si
era consumata quasi del tutto quando un timoroso elfo domestico
comparì nella
stanza.
“Vostro padre desidera
vedervi nello studio di Lord Floral, mio signore.”
Alexander si infilò
velocemente il piccolo volume nella tasca interna della giacca e senza
dire una
parola seguì la piccola creatura lungo i corridoi che lo
condussero verso lo
studio di Lord Floral.
Il ragazzo bussò e appena
ebbe il permesso entrò in quella lussuosa stanza finemente
decorata. Lo
sorprese il fatto di trovare suo padre seduto dietro la scrivania in
mogano,
come avrebbe fatto normalmente il padrone di caso.
L’uomo non l’aveva
minimamente guardato, teneva i gomiti appoggiati sulla superficie del
mobile e
la testa appoggiata sulle mani. Solo quando sentì suo figlio
accomodarsi sulla
poltroncina davanti a lui alzò lo sguardo ma Alexander
notò subito che c’era
qualcosa di cupo nei suoi occhi.
“Alex, devo parlarti”
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Capitolo 5 *** Un giorno di pioggia ***
Fu una notte piuttosto tormentata
a Villa
Floral. Alexander non fu l’unico a non chiudere occhio,
Agatha venne svegliata
a notte fonda da un’elfa domestica.
La ragazza scattò in piedi come una molla,
gettando le coperte da una parte. Indossò una vestaglia di
pesante cotone color
porpora e si precipitò verso le stalle.
Quando entrò l’ambiente era fievolmente
illuminato. Non c’era nessuno eccetto Lionel Holmes chinato
davanti a l’unico
box aperto.
“Come sta?” chiese Agatha mentre si
avvicinava con passo svelto e la vestaglia frusciava sul pavimento
coperto di
fieno e sporco. La giovane rivolse uno sguardo a Dawn, la puledra che
era stata
di Vincent e di cui lei si era occupava di qualche anno, ormai la
considerava
sua.
“Benino…il parto dovrebbe andare bene”
rispose
Lionel mentre si allungava per accarezzare leggermente la cavalla.
“Non dovreste essere qui” aggiunse poi
senza nemmeno guardarla.
“Ho chiesto io di mandarmi a chiamare
quando sarebbe arrivato il momento” affermò
convinta lei mentre si chinava al
suo fianco. L’idea di vedere una cavalla partorire un
po’ la schifava ma la
volontà di assicurarsi che Dawn stesse bene aveva avuto il
sopravvento.
Dopotutto quella puledra e Pebbles erano tutto ciò che
restava in quella casa
del passaggio di Vincent, il segno che era stato reale, che i suoi
erano
ricordi veri e non sogni.
Non seppe dire quanto tempo era passato,
sicuramente qualche ora, e nel frattempo aveva visto come il giovane
irriverente del giorno prima aveva lasciato il posto a un uomo maturo
che con mani
esperte aveva aiutato la nascita di un minuscolo puledro completamente
nero.
Quando fu pulito dovette ammettere che era
davvero carino e le venne da sorridere a pensare a quanto sarebbe
piaciuto a
Vincent.
Come se le avesse letto nel pensiero, un
Lionel sfinito e appoggiato con la schiena alla porticina di un altro
box disse
“Conoscevo vostro fratello”.
“Io non ho un fratello” rispose Agatha
automaticamente. Negli ultimi anni aveva imparato a ripetere quella
frase,
all’inizio era doloroso poi la sua voce era diventata sempre
più atona fin
quando quelle parole sembravano aver perso ogni significato. Si
trattava solo
di una frase ripetuta a mo’ di pappagallo.
“Io e Vincent frequentavamo la stessa
casa. Era un bravissimo ragazzo…non capisco come abbiate
potuto…”
“Come i miei genitori abbiano potuto…”
lo
corresse con una stilla di risentimento. Lei non avrebbe mai eliminato
completamente suo fratello dalla sua vita solo perché aveva
voluto sposare una
nata-babbana.
“Non credi sia ingiusto che ora lui non
faccia parte della famiglia, non ha fatto nulla di male”
“No…ma è così che
funziona”
Agatha non ebbe il coraggio di guarda
Lionel mentre diceva quelle parole. Sapeva che non era colpa sua se era
il
figlio bastardo degli Holmes e che la sua posizione non doveva essere
facile ma
dal tono che aveva usato sembrava che lui volesse essere trattato come
Carlton
quando non ne aveva nessun diritto, anzi doveva ritenersi fortunato per
la vita
che conduceva.
“Non per forza” rispose lui.
Una forza, come una specie di calamita,
attrasse la giovane Floral che si sedette accanto a quel ragazzo
dall’aspetto
così duro ma i cui occhi azzurri tradivano una certa
sofferenza.
“Non avete idea di come ci senta, a
osservarvi sempre da fuori, come se ci fosse un muro invisibile a
separarvi
dalla gente come me, dalla gente normale.”
“La nostra vita non è così perfetta
come
sembra. È una gabbia dorata, ma pur sempre una gabbia. Voi
siete più libero,
non avete qualcuno che programma la vostra vita in ogni dettaglio,
potete fare
ciò che volete”
Lionel sembrò pensarci un po’, mentre i
suoi occhi rimanevano a fissare quella madre che leccava e si prendeva
cura del
suo piccolo…una cosa che a lui era sempre mancata.
“Credete davvero che io possa fare ciò che
voglio?” chiese voltandosi verso Agatha ma la ragazza si era
appisolata con il
capo poggiato ad un cumulo di fieno.
Senza quella smorfia di disapprovazione che
sembrava perennemente dipinta sul suo viso, doveva ammettere che Agatha
Floral era
davvero bella, con i boccoli color oro che ricadevano in modo
disordinato sulla
pelle rosea.
Oh ma cosa diavolo andava a pensare? Non
poteva minimamente avvicinarsi a lei…era come se lei fosse
di un altro pianeta!
Avrebbe dovuto svegliarla, dirle di
tornare a dormire in casa ma chissà perché aveva
l’impressione che sotto quella
faccia d’angelo si nascondesse una bestia che
l’avrebbe divorato se avesse
osato svegliarla!
Decise quindi di non fare nulla, nulla
eccetto restare lì a guardarla. Non chiuse gli occhi nemmeno
per un minuto, era
come ipnotizzato dal petto della ragazza che si sollevava ritmicamente
ad ogni
suo respiro, era così perfetta, molto più
semplice di tante altre ragazze che
aveva visto….gli suscitava certe sensazioni…era
meglio cercare di non pensarci!
Quando fuori ormai iniziava ad albeggiare
si alzò per iniziare a prendersi cura dei cavalli, come
faceva ogni mattina da
quando era un ragazzino. La vide poco più tardi
stiracchiarsi e aprire gli
occhi, stupefatta.
Si alzò di scatto e Lionel la vide
dirigersi verso di lui come una tempesta. “Perché
non mi avete svegliata?”
domandò, irata. Fortunatamente era ancora presto, quindi non
c’era pericolo che
Cassie fosse già andata in camera sua per svegliarla.
“Non sono la vostra balia” replicò lui,
mentre si puliva le mani in un catino di acqua fresca.
Gli occhi di Agatha si assottigliarono in
un moto di stizza e Lionel si ritrovò a pensare che sembrava
quasi una bambina
con quel cipiglio arrabbiato.
“Voi dovevate svegliarmi! Avete idea di
quanto sia disdicevole dormire per terra come un animale? E cosa
direbbe la mia
famiglia se scoprisse che ho passato la notte fuori casa?
Chissà cosa
penseranno di…” la frase, detta da Agatha a
velocità impressionante venne
bloccata da un paio di labbra ruvide che si posarono sulle sue.
All’inizio spalancò gli occhi ma ben
presto lo stupore lasciò spazio ad una sensazione
decisamente più piacevole. Un
senso di calore che si irradiava dalla bocca, dal cuore e dal basso
ventre la
travolse e Agatha si abbandonò a quelle braccia tornite che
la avvolgevano.
Riaprì di nuovo gli occhi quando Lionel si
scostò all’improvviso.
“Scusate” disse serio e all’improvviso la
bionda si
sentì avvampare. Uno stalliere l’aveva appena
baciata e lei aveva ricambiato e
se lui non si fosse tirato indietro merlino sa dove sarebbero andati a
finire,
che vergogna!
“Devo tornare a casa” fece lei
rivolgendosi più a sé stessa che al ragazzo che
aveva davanti. Lo disse ma non
fece un singolo movimento per farlo.
“Dovete tornare a casa” concordò Lionel
“ma
mi piacerebbe rivedervi” aggiunse prendendole una mano. Quel
tocco così
diverso, così nuovo… le risultò quasi
familiare, sicuro.
Un rumore infranse quell’istante, spaventando
Agatha e Lionel. Il ragazzo le lasciò velocemente la mano e
lei si voltò per
andarsene, non senza aver detto “Domani
pomeriggio…qui…saranno tutti fuori per
la caccia.”
Mentre si dirigeva verso la villa Agatha
stessa non poteva credere a quello che aveva appena fatto.
Rientrò in casa di
trafugo, cercando di sfuggire a occhi indiscreti.
Si infilò sotto le coperte, nel suo letto.
Fissava il soffitto cercando di togliersi dalla faccia quel sorriso
ebete, altrimenti
chiunque avrebbe scoperto che c’era qualcosa che non andava
guardandola!
Quando sentì il rumore della porta che si
apriva fece finta di dormire, per fortuna era una brava attrice. Sua
sorella le
fece qualche domanda sul fatto che aveva le guance arrossate, le
sentì
addirittura la fronte per verificare se per caso avesse la febbre ma
per
fortuna Cassie non sospettò nulla.
Un bussare alla porta distrasse
Mary
mentre si pettinava i capelli. Doveva ancora finire di prepararsi per
scendere
a colazione, chi diamine poteva essere?
“Avanti” disse e, attraverso lo specchio,
vide suo fratello Alexander entrare nella stanza con una faccia da
funerale.
“Alex”. Mary era a dir poco sorpresa di
vederlo. Difficilmente suo fratello entrava in camera sua, da piccoli
stavano
spesso insieme ma da quando erano cresciuti la loro madre gli aveva
imposto di
non passare così tanto tempo l’uno in camera
dell’altro, lo trovava piuttosto
sconveniente.
Il ragazzo entrò e si lasciò quasi cadere
seduto sul letto.
“Spara” disse Mary. Lei lo conosceva
meglio di chiunque altro quindi aveva intuito subito che
c’era qualcosa che non
andava.
Alex cercò di usare il tono più acido che
gli uscì. “Il nostro caro paparino mi ha
incastrato in un matrimonio combinato.”
La ragazza si voltò di scatto per fissare
il fratello.
“Cosa?” chiese con un tono di voce
leggermente più alto del normale.
Sapeva che una delle cose che Alexander
Dashwood odiava di più al mondo erano i matrimoni truccati.
Non era minimamente
interessato alle ragazze, non dopo quello che aveva passato.
Aveva sofferto così tanto che non mostrava
più il suo carattere dolce a nessuno eccetto lei. Non era
pronto per una
relazione d’amore, figurarsi per una combinata.
“Tu odi i matrimoni combinati!” gli
ricordò. Perché diavolo si era fatto incastrare?
Suo fratello sospirò. “Il mio matrimonio
è
una questione di affari” sputò fuori con
acidità. Gli veniva quasi la nausea a
dire quelle parole.
“Sei tu quello che erediterà
tutto…”
A lui sfuggì una risatina sarcastica. “Non
erediterò un bel niente, non se ne non farò
questo matrimonio. La nostra
famiglia è in crisi, Mary. Il mio matrimonio serve per
ripagare i debiti di
papà o saremo presto rovinati. Non avrei accettato per
nessun altro motivo.”
Mentre parlava era diventato serio ma poi,
tornando sarcastico come prima aggiunse “Valgo ben
quattromila galeoni.”
“Così tanto?” chiese lei “Con
chi può
avere un debito così elevato papà?”
Jamie guardava con una smorfia il
cielo
plumbeo, sicuramente tra poco sarebbe cominciato a piovere. Lui odiava
la
pioggia in genere ma quel giorno la amava: se avesse continuato a
piovere la
battuta di caccia sarebbe sicuramente stata rinviata.
Dopo colazione si avviò con suo fratello
Markus in biblioteca. Lui si accomodò su una delle
poltroncine davanti al fuoco
acceso in occasione del peggioramento meteorologico, nel frattempo
Jamie scorse
velocemente i libri sugli scaffali ma non trovò niente in
braille per il
fratello, non se ne stupì molto visto che era un nuovo
linguaggio. Fece una
cosa che aveva fatto già molte volte, nei primi tempi in cui
Markus aveva perso
la vista e prima dell’invenzione del braille, cioè
prendere un libro e leggere
per Markus.
“Ciao, posso unirmi a voi?” chiese Cassie
sedendosi su una delle poltroncine. La giovane Floral non si era
portata da
leggere ma solo qualcosa per cucire. Non alzò gli occhi da
ago e filo mentre
Jamie leggeva, la beccò solo un paio di volte a guardare in
direzione di
Markus. Jamie sorrise nascondendo il volto dietro il libro.
Un paio d’ore più tardi, visto che il
tempo sembrava reggere, un elfo domestico venne a chiamarlo per unirsi
alla
caccia. A malincuore gli toccò ubbidire, così
poggiò il tomo su un tavolino lì
accanto e si rivolse a Markus.
“Mi dispiace fratello ma dovremo
continuare un’altra volta”
“Se volete posso continuare io” si propose
Cassie, mettendo da parte il cucito e prendendo il libro “Non
andrebbe mai
lasciato un capitolo a metà…è un tale
peccato…a meno che anche voi siate
interessato alla storia, Jamie”
Il ragazzo lanciò un’occhiata a entrambi e
sorrise, anche i suoi occhi scuri luccicavano di divertimento.
“No no, andate avanti pure senza di me…non
è il mio genere di letture”
Jamie si congedò lasciando i due da soli,
mentre usciva dalla biblioteca non riusciva a togliersi dalla faccia il
sorriso
furbetto mentre pensava a quanto suo fratello e la minore delle sorelle
Floral
sembrassero interessati l’uno all’altra. Non poteva
che essere felice per il
suo fratellone, il quale era convinto che, nonostante fosse un buon
partito,
nessuna ragazza si sarebbe mai interessata ad un uomo che non poteva
nemmeno
vederla.
Quando Cassie finì di
leggere il capitolo
alzò istintivamente lo sguardo verso l’uomo di
fronte a lei.
“Grazie Cassandra, siete stata davvero
gentile.”
“Non dovete ringraziarmi, lo faccio
volentieri. Mi sta piacendo questo libro…vi va se
continuo?” chiese
innocentemente e Markus si ritrovò a rispondere
“Certo. Avete una voce molto
delicata.”
Se avesse potuto vedere avrebbe visto le
guance della giovane di fronte a lui diventare rubizze
dall’imbarazzo.
“Mi fa piacere passare del tempo con voi”
ammise lei.
“Anche a me…” disse Markus. Rimase
qualche
istante in silenzio prima di lasciarsi sfuggire “Se solo
potessi vedere quanto
siete bella…”
Cassie diventò ancora più rossa. “Posso
chiedervi…come fate a riconoscere qualcuno?”
Il silenzio del primogenito degli Storm la
fece pentire subito di aver fatto quella domanda.
“Scusate Markus…a volte dovrei imparare a
tenere chiusa la mia boccaccia” si scusò piena di
imbarazzo.
“No, non preoccupatevi” disse lui
“Comunque
dal viso. Chi non vede impara a riconoscere il viso di una persona col
tatto, e
poi c’è il rumore dei passi, il suo
odore…”
La loro chiacchierata venne interrotta
dall’arrivo di Alice.
“Oh, sei qui! Ti ho cercata ovunque,
Cassie” sbuffò la biondina, poi si
avvicinò all’altra poltrona “Ciao
fratellone”
fece posando un leggero bacio sulla guancia di Markus.
“Sta cominciando a piovere” annunciò
Alice
“Ti va di venire a ballare sotto la pioggia?”
domandò all’amica.
Markus ridacchiò della proposta della
sorellina “Tu sei pazza…se la mamma ti scopre sei
davvero nei guai”
“Sai cos’è la mamma?”
“Mh?”
“Non qui” rispose prontamente lei, in
riferimento al fatto che tutte le signore avevano seguito mariti e
figli maschi
a caccia.
“Allora vieni?” chiese a Cassie.
“No, grazie, se prendo un raffreddore sarò
io quella ad essere nei guai.”
“Come vuoi…” fece lei prima di andarsene.
Di nuovo soli Cassie tornò a rivolgersi a
Markus “Ma voi non avete toccato il volto di nessuno degli
ospiti…”
“Non è una cosa che solitamente si fa con
gli estranei” ridacchiò Markus.
“Fatelo con me” disse lei, determinata.
Preso un attimo in contropiede Markus
pensò di aver capito male. “Cosa?”
Cassandra si alzò e si avvicinò al
ragazzo, sedendosi sul bracciolo della poltrona e gli prese una mano
“Toccate
il mio viso” lo invitò.
Markus deglutì e appoggiò una mano sul
viso della ragazza. Era impacciato mentre con le mani percorreva il
volto di
Cassandra Floral, aveva ancora il viso da bambina ma era davvero bella.
Il tempo andava rapidamente
peggiorando
quel pomeriggio. Evelyn rabbrividì quando il cielo venne
illuminato da un lampo
e l’ennesimo tuono riecheggiò in tutta la valle.
Non odiava i temporali, le
facevano semplicemente paura da quando aveva 9 anni, dal giorno in cui
un
temporale l’aveva colta alla sprovvista e aveva spaventato il
suo cavallo
talmente tanto da non fargli ritrovare neanche la strada di casa.
Non riusciva a stare ferma e non voleva
stare da sola. Si avvicinò al fratello, in piedi davanti a
una finestra del
salottino dove stavano. Lui era riuscito a non partecipare alla caccia,
odiava
troppo quel genere di torture per gli animali.
“Cosa guardi?” gli domandò.
“Nulla” rispose lui spicciolo anche se in
realtà stava osservando una testolina bionda che danzava
sotto la pioggia
battente.
“Io vado a fare una passeggiata, alla
ricerca degli scacchi magici…perché intanto non
vai nel salottino al primo
piano? So che Marianne Dashwood cercava qualcuno per giocare a
carte” la
incoraggiò il fratello.
Evelyn era sempre stata una ragazza
piuttosto solitaria ma doveva ammettere che le sue compagne di
avventura erano
davvero simpatiche, molto meno snob di tante ragazze che aveva
conosciuto.
Si diresse verso il salottino, dove Mary
stava facendo pigramente un solitario a carte.
Un po’ in imbarazzo Evelyn bussò sullo
stipite della porta “Posso?”
Mary Dashwood la accolse con un sorriso e
la invitò ad accomodarsi, proponendo una partita a
Sparaschiocco.
“Mi fa piacere avere un’amica con cui
giocare” sorrise Mary e Evelyn si sentì quasi a
casa.
Christopher uscì in
giardino ed individuò
subito Alice Storm. Proprio come il suo cognome quella ragazza doveva
essere un’amante
delle tempeste visto come sembrava divertirsi.
Non l’aveva minimamente notato ma quel
sorriso libero fece sorridere anche voi.
“Non avete paura di ammalarvi?” domandò
ma
il rumore di un tuono coprì la voce del giovane Turner.
La ragazza si voltò verso di lui e quasi
urlò “Cosa?”
“Non avete paura di ammalarvi?” ripetè
lui
a voce più alta.
Alice ridacchiò. “Secondo voi se avessi paura
di ammalarmi sarei qui, ora?”
Osservando con cipiglio scettico quel
gigante avvolto in un incantesimo impermeabile, Alice parlò
di nuovo “E voi
invece? Cos’è, vi fanno paura due gocce di
pioggia?” lo sfidò.
Christopher sorrise. Lui non era certo uno
che rinunciava ad una sfida. Si tolse l’incantesimo
Impermeabile di dosso e si
avvicinò alla bionda.
Alice vide il ragazzo inchinarsi appena
davanti a lei.
“Posso avere l’onore di questo ballo?” le
chiese porgendole la mano.
La ragazza ridacchiò, fece un piccolo
inchino e rispose “Con molto piacere”
Fu così che entrambi si ritrovarono a ridere
e ballare sotto la pioggia, completamente fradici ma felici e liberi
come erano
stati poche volte nelle loro vite.
Carlton era stato costretto da suo
padre a
partecipare alla battuta di caccia e ringraziava il cielo che essa
fosse finita
abbastanza presto, dato il brutto tempo. Lui, che odiava stare
all’aria aperta,
era stato costretto a passare ore all’aperto, con la pioggia
e il fango.
Tirò un sospiro di sollievo rientrando in
camera e si fece preparare subito un bagno caldo. Fatto il bagno decise
di
fumarsi il suo sigaro ma, dopo averlo cercato per dieci minuti,
materializzò di
averlo dimenticato nella tasca della borsa che era stata legata al suo
cavallo.
Di malavoglia si mise di nuovo i vestiti pesanti e gli stivali e si
diresse
verso le stalle, da Lionel.
Era arrivato ad una delle entrate delle
stalle e quello che vide lo lasciò senza parole: Lionel non
era solo, era con
Agatha Floral e i due si stavano baciando con trasporto, come se ne
andasse la
loro vita.
Si nascose dietro una delle colonne e
aspettò che la ragazza se ne andasse, poi si
palesò.
“Carlton” fece Lionel spalancando gli
occhi.
Lionel rimase piuttosto spiazzato quando
il fratello maggiore, o meglio il fratellastro, lo prese per il bavero
della
giacca, non avrebbe mai pensato che Carlton fosse tipo da una reazione
del
genere.
“Hai rischiato di rovinare la vita della
nostra famiglia già una volta, non ti permetterò
di farlo ancora!” urlò
Carlton.
Neanche lui si capacitava di uno scatto
del genere. Voleva bene a Lionel, in fondo erano cresciuti insieme
anche se la
loro famiglia non li aveva mai trattati allo stesso modo.
Probabilmente la sua rabbia era dovuta al
ricordo di come la scomoda presenza di un figlio illegittimo avesse
intaccato
la serenità di coppia di Mr e Mrs Holmes. Suo padre e sua
madre erano
praticamente estranei, lei gli rivolgeva a stento la parola, non gli
aveva mai
perdonato quell’avventura e anche se ci aveva provato, il
vedere Lionel
continuava a riportare alla memoria di Elizabeth Holmes il giorno in
cui suo
marito era tornato a casa col figlio avuto da una ballerina.
In che scandalo sarebbe stata coinvolta la
famiglia Holmes se si fosse venuto a sapere che il loro stalliere aveva
sedotto
una ragazza di buona famiglia?
Il vento sferzava le Isole
Shetland quella
sera, e per una questione di sicurezza tutti gli ospiti si erano
riuniti in un
salotto.
Alexander stava appoggiato con la schiena
al muro vicino al pianoforte, mentre seduta sullo sgabello, che ogni
tanto lo
guardava sorridendo, c’era sua madre.
Gli occhi scuri di Alexander si
soffermarono sul gruppo delle ragazze, tutte e cinque si erano sedute
in una
specie di cerchio su un grande tappeto davanti al camino di marmo e
sembravano
in vena di confidenze.
La sua promessa sposa sorrideva come se
nulla fosse, l’aveva a malapena guardato quella sera e non
aveva fatto una
piega, segno che nessuno le aveva ancora detto il destino che la
attendeva.
Beata innocenza.
Buonasera!
Per prima cosa chiedo
scusa per ritardo,
ma ho avuto problemi a causa del terremoto. Il mio paese ha solo un
paio di
edifici inagibili (compresa la torre simbolo della città) e
qualcuno lesionato
quindi mi ritengo molto fortunata ma sono stati comunque dieci giorni
orribili,
carichi di ansia, in cui la voglia di scrivere mi era andata a finire
sotto i
piedi ma oggi è tornata e così ho buttato
giù questo capitolo.
Ora…apriamo
le scommesse: chi sarà la
promessa sposa di Alex?
Buona serata e buona
settimana
H.
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Capitolo 6 *** Discorsi sull'amore ***
Vorrei aprire questo capitolo
con delle scuse. Vi devo delle scuse perchè non ho
pubblicato niente per molto tempo e ammetto la mia debolezza: ho avuto
un blocco. Aprivo word e non veniva fuori niente tranne i sensi di
colpa per il fatto di non riuscire a scrivere neanche la tesi. E la
tesi, al momento, ha la precedenza su tutto. L'unica cosa che mi sento
di dirvi è scusate per la lentezza e grazie per la pazienza.
Spero di riuscire a pubblicare un nuovo capitolo in tempi decenti, ma
non vi garantisco nulla. Devo stringere i denti fino a metà
febbraio, dopo di che avrò più tempo per pensare
e quindi scrivere.
Vorrei dedicare questo capitolo o meglio questa storia a tutti voi che
state leggendo ma soprattutto alla mia big sister che ogni giorno mi
supporta e mi sopporta ;)
Buona serata
H.
Agatha camminava in punta
di piedi lungo il corridoio che conduceva alla sua camera. Per fortuna
la
moquette attutiva il rumore dei passi, nessuno doveva beccarla a
rientrare di
nascosto a tarda notte.
Un piccolo fruscio
probabilmente prodotto da qualche elfo domestico la spinse a
nascondersi dietro
un’armatura. Inavvertitamente lanciò uno sguardo
fuori dalla finestra e i suoi
occhi vennero subito attirati dalla luce che spiccava nel buio della
notte.
Lionel era ancora sveglio. Era assurdo, erano stati insieme fino ad una
manciata di minuti prima e già le mancava, le mancavano
quelle mani grandi e
piene di calli dovuti al lavoro, quelle braccia possenti, quelle labbra
ruvide
e quegli occhi chiari. Ma cosa Merlino andava a pensare? Lei doveva
tornare in
camera, e doveva anche sbrigarsi! Se qualcuno l’avesse
beccata allora sì che
sarebbe stata nei guai!
Arrivata in camera sua aprì
lentamente la porta, entrò nella stanza e altrettanto piano
si chiuse la porta
alle spalle.
“Bentornata”. La voce la
scosse e la ragazza si sforzò di cercarne la provenienza.
In un angolo della stanza,
sullo sgabello davanti alla toeletta, Cassie stava seduta a braccia
conserte.
Maledizione! imprecò
Agatha. Sua sorella e il suo tempismo!
La maggiore si sentì come
una bambina beccata durante una marachella. “Da quanto sei
qui?” chiese in tono
un po’ incerto. Cassie sapeva che la sorella vedeva qualcuno
ma non sapeva chi
e al momento neanche le interessava, aveva ben altro per la testa!
“Non importa. Ti devo
parlare” rispose spiccia la minore.
“Ok…” fece titubante Agatha
mentre si dirigeva ad accendere uno dei lumi a gas che il signor Floral
aveva
fatto installare.
Appena la stanza fu avvolta
da un leggero chiarore Agatha notò che in sua sorella
c’era qualcosa di
diverso. Il suo sguardo era carico di rabbia e tristezza.
Cassie non aspettò che
l’altra chiedesse cosa era successo. Aveva bisogno di
liberarsi di quel peso così
disse subito, tutto d’un fiato “Mi sono
fidanzata”.
La mente della ragazza
corse subito a Markus Storm, aveva notato un certo avvicinamento tra
lui e la
sua sorellina ma le sembrava un po' prematuro un fidanzamento
così presto, in
fondo i loro ospiti erano lì da solo una settimana ma poi
l’atteggiamento della
minore le fece razionalizzare il tutto, non poteva certo trattarsi di
lui
altrimenti Cassie non sarebbe stata così sconvolta!
Anticipando di nuovo la
domanda di sua sorella, Cassie disse “Alexander
Dashwood”
“Oh”
Sedute una accanto
all’altra la minore spiegò “Sai che i
nostri padri collaborano...il signor
Dashwood ha avuto un affare andato male in America qualche mese fa,
nostro
padre gli aveva fatto un prestito e lui non è in grado di
restituirlo, quindi
si sono accordati perché io e Alexander ci
sposassimo.”
Agatha rimase un attimo
sovrappensiero. Ecco come andava quasi sempre, le povere figlie femmine
venivano vendute come animali da macello o come cavalli purosangue,
anche se
stavolta sembrava più che fosse stato il giovane Dashwood ad
essere venduto da
suo padre…
“Vuoi fermarti qui a
dormire?” chiese alla sorellina. Da piccole lo facevano
spesso, se c’era
qualcosa che non andava, e di solito Vincent si univa a loro. Dormivano
tutti e
tre su un solo letto facendo quello che si divertivano a chiamare
panino.
L’altra prese un respiro e
si alzò. “No grazie, non ti farei
dormire” rispose camminando verso la porta,
con la vestaglia bianca che sfiorava il pavimento.
“Sicura?” domandò Agatha.
Cassie le rivolse un
sorriso mesto. “Sì…” cercava
di sembrare convinta ma sapeva di non essere
riuscita a imbrogliare sua sorella tuttavia non le diede modo di
replicare
perché dopo aver aperto la porta la guardò da
sopra la spalla, esaminandola
dalla testa ai piedi.
“Stai attenta” le disse
semplicemente.
Tipico di Cassie, sembrava
non prestarti attenzione e invece immagazzinava e reagiva
più tardi, quando le
faceva comodo o semplicemente quando voleva.
Alexander scese a passi
veloci le scale. Era sveglio ormai da qualche ora, non riusciva a
dormire bene.
Forse era colpa del pensiero di doversi sposare con una ragazza che non
voleva?
Non poteva negare che la
giovane Cassandra Floral fosse piuttosto graziosa, come tutte le
presenti in
fondo, ma lui non era minimamente intenzionato a sposarsi.
“Buongiorno Alexander” lo
salutò l’oggetto dei suoi pensieri.
“Buongiorno Cassandra”
rispose lui con un mezzo sorriso. Entrarono insieme nel salone
allestito per la
colazione, guadagnandosi le occhiatine delle rispettive madri che
però ci
rimasero male quando i due si separarono. Alexander si
accomodò accanto a sua
sorella mentre la ragazza si sedette tra Markus e Alice Storm.
Si servì delle uova
strapazzate e un bicchiere di succo di zucca. Passò la
colazione a parlare
amabilmente con sua sorella e con Christopher ma ogni tanto
l’occhio gli cadeva
inevitabilmente sulla sua futura sposa che invece chiacchierava con il
primogenito degli Storm. Dio, quanto lo irritava! Il loro fidanzamento
sarebbe
stato reso noto nel giro di un paio di settimane, alla Festa del
Raccolto e lui
non voleva assolutamente passare come il poveraccio che si faceva
mettere le corna
dalla propria moglie. Non voleva fare la figura dell’idiota,
non di nuovo!
La risata di Cassandra lo
fece scattare e involontariamente la forchetta gli sfuggì
dalle mani,
tintinnando sul piatto. Molti si girarono verso di lui compresa la
causa del
suo nervosismo ma Alexander cercò di fare finta di nulla.
Continuò a mangiare
ma si sentiva gli occhi di Mary puntati addosso. La sua adorabile
sorellina
aveva capito che c’era qualcosa che non andava e infatti un
attimo dopo, quando
il resto della tavolata era tornata alla sua consueta
attività gli bisbigliò
all’orecchio “Non sarai mica geloso?!?”.
Mary gli rivolse un
sorrisetto. Naturalmente lei scherzava, sapeva che suo fratello e la
sorellina
della sua migliore amica avevano firmato un contratto e comunque non
c’era
partita! Non che avesse qualcosa contro Markus Storm, sembrava un bravo
ragazzo
nonostante le voci che circolavano riguardo il suo passato e il suo
“incidente”
ma suo fratello era un ragazzo d’oro, anche se il suo
giudizio era di parte!
“Cassandra, posso
parlarvi
un momento?” si sentì domandare la ragazza mentre
girava intorno al lungo
tavolo imperiale per uscire dalla stanza.
“Certamente” si accorse da
sola del tono freddo e distaccato che aveva utilizzato ma al tono
pretenzioso
di Alexander Dashwood non era riuscita a reagire in modo diverso.
Certo, lui
era sempre composto ed educato ma aveva quel modo di comportarsi, come
se tutto
gli fosse dovuto, che le dava così sui nervi!
Lo seguì ugualmente nel
salottino dove spesso suo padre e i suoi amici bevevano Odgen
Stravecchio e
fumavano sigari. Guardò il ragazzo in piedi di fronte a lei,
in attesa di
sapere cosa voleva.
Alex guardò l’impaziente
bionda di fronte e gli venne quasi da ridere al pensiero che ci mancava
solo
che Cassandra si mettese a braccia conserte e iniziasse a tamburellare
con il
piede!
Si ricompose e tornò serio.
“Cassandra…presto saremo marito e moglie ed, ecco,
io credo che siamo partiti
con il piede sbagliato…”
“Gentile da parte vostra
preoccuparvene” rispose lei sorridendo, leggermente
rincuorata dalle premure
del giovane ma quello che stava per sentire l’avrebbe
spiazzata.
“Dovete prendere le
distanze da Markus. Non è bene che, una volta che si sappia
in giro del nostro
matrimonio voi siate vista così vicina a lui.”
Cassie gli rivolse uno
sguardo accigliato.
“Vi proibisco di vederlo”
ordinò Alex e le labbra di lei si schiusero appena a causa
dello stupore e
dello sdegno.
“Voi non potete darmi
ordini” affermò convinta la bionda, con gli occhi
azzurri assottigliati e lo
sguardo di sfida “Non siete ancora mio marito, non siete un
mio parente né
tantomeno un mio amico, non vi permetto di parlarmi con quel
tono!”
A quel punto Alex sbottò,
con un tono di voce più alto di quello che avrebbe voluto
utilizzare “Dovete
portarmi rispetto!”
“Il mio rispetto dovete
guadagnarvelo!” ribatté Cassandra prima di
lasciare la stanza a passo svelto.
Era una giornata
terribilmente calda e molti avevano scelto di rimanere in casa per
restare al
riparo dal sole cocente. Anche Markus aveva scelto di restare in casa,
anche se
c’era più confusione di quella che avrebbe
normalmente sopportato, il suo umore
venne migliorato dall’arrivo di Cassie.
“So che è un peccato
restare al chiuso viso che il tempo è così bello
ma c’è fin troppo sole” si
scusò lui mentre Cassie si sedeva su una poltroncina davanti
a lui, con solo il
tavolino da gioco che li separava.
Ci aveva riflettuto per
qualche ora, sulle parole di Alexander e per quanto odiasse ammetterlo,
il
ragazzo aveva ragione. Una volta che la voce del loro fidanzamento si
fosse
diffusa nell’alta borghesia magica inglese la sua vicinanza a
Markus Storm
sarebbe sembrata alquanto sospetta e la cosa avrebbe danneggiato sia
lei che
Alexander; lei sarebbe apparsa come una fedifraga e lui come un
cornuto.
L’unica soluzione era la distanza; mettere un po’
di distanza tra lei e Markus
sarebbe stato un po’ doloroso, poiché si era
affezionata a quel ragazzo gentile
e credeva che il suo affetto fosse ricambiato, ma non aveva altra
scelta.
“Markus…devo dirvi una
cosa”
La voce di Cassandra gli
arrivò più cupa e greve di quello che immaginava.
“Ditemi pure” la invitò.
“Io…” la ragazza stentò a
dire quello che voleva. In fondo prima di due settimane il loro
fidanzamento
ufficiale non sarebbe stato annunciato…aveva ancora
tempo…ma il passare del
tempo avrebbe solo reso tutto più difficile.
“Io…sto per sposarmi. Mi
sono fidanzata, Markus”
E in un momento Markus
sentì come un crepaccio aprirsi sotto di lui e si
sentì sprofondare. Come era
possibile? Con chi?
Era stato uno stolto ad
aspettare a farsi avanti. Cassandra Floral era una bella ragazza e
doveva aver
destato lo sguardo di qualche altro gentiluomo. Non aveva avvertito
l’interesse
di qualcuno degli altri ragazzi verso la bionda davanti a lui ma
evidentemente
si era sbagliato.
Con suo sommo stupore si
ritrovò una mano della giovane ad accarezzargli il viso.
“Mi dispiace tanto” disse
Cassandra con voce rotta “Mio padre e il signor Dashwood
hanno stipulato un
accordo”
Markus sollevò una mano e
la appoggiò su quella di lei.
“Cassandra…”
La giovane fece un mezzo
sorriso e dopo aver raggiunto l’uomo gli posò
leggermente le labbra sulla
fronte. “Non ho scelta”
“Sì che ce l’avete, sposate
me” propose lui afferrandole entrambe le mani tra le sue.
“Markus…non sapete quanto
io sia onorata della vostra proposta ma sono costretta a declinarla. Io
e
Alexander abbiamo firmato un contratto, suo padre ha insistito
molto”
“Capisco” disse lui un po’
abbattuto. In realtà sentiva una brutta sensazione, come se
il suo cuore fosse
puntellato con uno spillo. E quel dolore faceva nascere in lui qualcosa
di
oscuro e sordido, una rabbia cieca.
Quel pomeriggio discusse
della cosa con Jamie e Alice. Aveva bisogno di parlare con qualcuno o
sarebbe
esploso. Jamie interrompeva il fratello con parecchie domande su quanto
lui
fosse innamorato di lei e su come fosse possibile il signor Floral e il
signor
Dashwood obbligassero quei due a sposarsi quando si erano a stento
parlati per
tutta la durata della vacanza. Anche se…pensandoci
bene…quella mattina li aveva
visti entrare insieme nella sala della colazione e poi lasciare la sala
sempre
insieme…che ci fosse qualcosa di tenero tra loro?
Gli occhi di Jamie si
posarono sulla bocca del fratello, piegata in un’espressione
di amarezza.
Vedeva che soffriva e gli dispiaceva molto. Era raro vedere qualcuna
che si
interessava a suo fratello e gli dispiaceva che gli fosse stata portata
via
così.
Non sapeva cosa consigliare
a Markus, lui stesso non era un esperto di ragazze o di relazioni.
Nessuna era
mai sembrata particolarmente interessata a lui.
Stranamente Alice non aveva
detto una parola, per una volta aveva tenuto la lingua a freno. Che si
fosse
resa conto che parlando avrebbe potuto dire qualcosa di sconveniente?
In realtà Alice stava
ribollendo dentro. L’idea di un matrimonio combinato la
disgustava e poi come
aveva potuto una delle sue più care amiche fidanzarsi e non
dirle niente? E
come aveva potuto rifiutare la proposta di suo fratello e prendere le
distanze
da lui?
Pff, l’amore faceva solo
danni! Uscì dalla stanza come una specie di piccolo tornado,
aveva bisogno di
sbollire, di sfogarsi. Aveva bisogno di aria aperta.
Nel frattempo Evelyn e suo
fratello si erano piazzati in un angolo del giardino, sotto la penombra
che i
faggi proiettavano aveva creato una specie di pista di terra sabbiosa
al fondo
del quale c’era un bersaglio. Non poté fare a meno
di sorridere al pensare a
quanto sua madre si sarebbe arrabbiata se l’avesse scoperti,
quasi come quella
volta in cui l’aveva beccata a prendere lezioni di scherma.
Victoria Turner
avrebbe davvero voluto che sua figlia si dedicasse ad
attività più consone ad
una persona del suo rango, quali il cucito e il pianoforte ma in questo
frangente i due fratelli Turner si assomigliavano molto. Seppur
apparentemente
più calma e dolce di suo fratello, in realtà
anche Evelyn era uno spirito
libero. La ragazza chiuse un occhio e increspò leggermente
le labbra, prendendo
la mira.
“Solleva leggermente di più
il braccio” le suggerì Chris.
Lei obbedì appena prima di
scoccare la freccia che andò a conficcarsi ad una discreta
distanza dal centro
del bersaglio. Chris non riuscì a trattenersi dal ridere
sotto i baffi
guardando il broncio della sua sorellina.
“Fammi provare ancora”
richiese lei mentre lui toglieva la freccia dal bersaglio e si
avvicinava per
restituirgliela quando i suoi occhi vennero catturati da una figura che
faceva
avanti e indietro lungo lo stesso pezzo di prato, quasi volesse
scavarvi una
fossa con i piedi.
Evelyn Turner gettò
un’occhiata alle sue spalle, non ci mise più di
qualche istante a identificare
Alice Storm. Si era accorta subito di come suo fratello guardava quella
ragazza. In effetti quella poteva essere la perfetta metà di
Christopher
Turner, era praticamente la sua versione femminile di qualche anno
prima.
Christopher era molto
tentato di andare a parlare con Alice e fu più che grato a
sua sorella quando
disse di avere sete e si avviò verso l’interno
della villa.
“Se cominciate a girare
intorno alla casa presto i Floral potrebbero avere un fossato e
riempirlo
d’acqua” disse Chris sorridendo, dopo essersi
avvicinato alla ragazza.
Per tutta risposta Alice lo
fulminò con i grandi occhi azzurri, zittendolo
all’istante.
La ragazza si fece prendere
da un momento di nervosismo, tirò fuori la bacchetta e
distrusse una fontanella
ad un paio di metri di distanza.
“Io odio i matrimoni
combinati!” sbottò gesticolando con le mani.
Ci fu un momento in cui gli
occhi di Christopher si spalancarono e il suo cuore si fermò
per la sorpresa.
“V-voi state per sposarvi?”
La reazione di Alice fu di
puro sdegno. “NO! Come vi viene in mente?”
Il ragazzo tirò subito un
sospiro di sollievo mentre si passava la mano nei capelli ma niente lo
aveva
preparato a quello che sentì dopo. “IO NON MI
SPOSERÒ MAI!”
affermò Alice quasi
ringhiando.
No, lei non si sarebbe mai
sposata. Odiava i matrimoni e soprattutto odiava i ragazzi. Erano tutti
così
tremendamente uguali, così egocentrici e stupidi! Lei non
voleva diventare una
di quelle donne tappezzeria, che esistono solo per ricevere ospiti,
sfornare
bambini e soddisfare il marito!
“Odiate il genere maschile
così tanto?”
“Voi ragazzi siete tutti
uguali!” lo accusò avvicinandosi e puntandogli il
dito contro.
Facendo la miglior faccia
da innocente possibile, Christopher spostò delicatamente la
mano della giovane.
“Mi duole contraddirvi ma
ci tengo a precisare che ormai alla mia età vengo
considerato un uomo, e non un
ragazzino e poi…quanti ragazzi avete avuto
l’ardire di frequentare per
esprimere un giudizio così aspro?”
La ragazza rimase per un
momento spiazzata. In realtà i suoi contatti con il genere
maschile non erano
mai andati oltre la semplice e disinteressata amicizia.
“Questo non importa!”
sbottò di nuovo. Non voleva certo farsi prendere in castagna
anche se in realtà
Christopher aveva capito benissimo di averla messa in
difficoltà.
Sorrise pensando a quello
che era il suo prossimo obiettivo: farle capire che la compagnia
maschile
poteva essere molto piacevole.
Appoggiata allo stipite
della porta, Evelyn lanciò un’occhiata a suo
fratello e un sorrisetto le
increspò le labbra. Il suo sarebbe stato un bicchiere
d’acqua mooolto lungo.
Dopo il pranzo Mary si fece
sellare il cavallo e andò insieme a suo fratello a fare una
passeggiata nel
bosco. Sotto l’ombra delle piante il terreno era ancora
bagnato a causa del
temporale del giorno prima e gli zoccoli dei cavalli affondavano
leggermente
nel fango.
Avevano percorso il
sentiero fino alla raduna sopra la scogliera, scesero da cavallo e si
avvicinarono al bordo quel tanto che bastava per guardare le onde sotto
di loro.
Il mare era ancora mosso,
segno che il tempo non era ancora cambiato del tutto e che da un
momento
all’altro sarebbe potuto arrivare un nuovo temporale.
Restarono lì per un po’ a
chiacchierare di tutto e di niente, del fidanzamento di Alexander e dei
loro
libri babbani, dei cavalli e di come sarebbe cambiata la loro vita.
Arrivarono di nuovo alla
villa quando il sole stava ormai tramontando. Mary scese da cavallo e
salutò
suo fratello che si era gentilmente offerto di riportare i cavalli
nella
scuderia mentre lei rientrava in casa.
Girò per un paio di
corridoi alla ricerca di suo padre, per dirgli che era rientrata, come
lui la
costringeva a fare ogni volta che usciva a cavallo, ma le stanze erano
quasi
tutte vuote. Sentiva il vociare proveniente dall’esterno,
segno che in molti
erano ancora fuori mentre altri, soprattutto le ragazze, erano
probabilmente a
cambiarsi.
Vide la luce provenire da
una delle stanze e pensò che probabilmente poteva trattarsi
di suo padre.
Albert Dashwood si nascondeva spesso da sua moglie per fumare la pipa
in santa
pace.
Entrò senza prestare molta
attenzione ma la persona che occupava la poltrona davanti ad una
scacchiera non
era suo padre ma Carlton Holmes.
“Buonsera” la salutò lui
quasi senza degnarla di uno sguardo.
“Salve” disse lei guardando
con sospetto quello che il ragazzo stava facendo. Le venne spontaneo
chiedere,
con un sorrisetto sfrontato “Vi credete così
brillante da giocare da solo?”
Carlton fece spallucce. “Lo
faccio sempre” replicò lui come se la cosa fosse
piuttosto ovvia.
La ragazza si avvicinò e,
mentre spostava una pedina, disse “E che ne dite di questa
mossa?”
Lui sorrise, punto sul
vivo. “Dico che così posso fare scacco matto al
vostro re” e dichiarò così
conclusa la partita.
Sfoggiando un’espressione
sfacciata Carlton notò gli abiti leggermente sporchi di
fango della ragazza,
soprattutto le sue scarpe. In effetti, fino a quel momento non ci aveva
fatto
caso, Marianne Dashwood indossava abiti da amazzone. Non
potè fare a meno di
notare, a quel punto, la terra sotto le unghie di lei. Provò
subito un certo
senso di disagio. Non aveva mai sopportato lo sporco, di nessun tipo,
per
questo restava quasi sempre in casa.
Mary notò subito che
Carlton era a disagio. “Avete qualcosa contro la
terra?” domandò.
“Non proprio” specificò
lui.
“Sì certo ed io sono la
maga Circe” fece lei sarcastica “Mi guardate come
se fossi una specie di
insetto…cosa c’è che non va? Avete
paura di un po’ di fango?” domandò
passandosi una mano sulla manica e poi avvicinandola a lui.
“Cosa mai potrà farvi un po’
di fango? Non morde, non graffia…è alquanto
innocuo per quello che so io”
scherzò.
“Ne riparleremo quando vi
verrà qualche malattia” borbottò lui
bloccandole il polso.
Mary si liberò dalla presa
del giovane con un piccolo strattone a cui Carlton non oppose nessuna
resistenza. “Oh, che bambino che siete!”
Quando erano andati tutti a
letto Agatha era sgattaiolata fuori. Con indosso solo una vestaglia
sopra la
camicia da notte si era diretta da Lionel. Ormai aveva imparato ad
uscire così,
almeno se incontrava qualcuno poteva dire che non riusciva a prendere
sonno ed
era andata a fare una passeggiata.
Il ragazzo la accolse
mettendole una coperta sulle spalle e donandole un leggero bacio sulle
labbra.
Sarebbe bastato anche solo quello a scaldarla nelle fresche notti
scozzesi.
Gli aveva raccontato tutto
quello che era successo per poi aggiungere “Odio questa
storia dei matrimoni
combinati. Dover sposare qualcuno che non si ama, che a stento si
conosce è
orribile.”
Lionel fece un sorrisetto
ironico. “Non siete obbligata a farlo”
commentò.
Agatha abbassò lo sguardo
verso i suoi piedi. “Non è così
semplice?”
“No? Cosa non è semplice?
Nessuno vi può obbligare a sposare qualcuno.
Fondamentalmente potete scegliere
se sposarvi o meno e con chi.”
“Ma se io scegliessi
qualcuno che la mia famiglia non approva…beh, non avrei
più una famiglia.”
Il pensiero di Agatha corse
a Vincent. Si sforzava di non considerarlo più suo fratello
ma a volte non
poteva fare a meno di sentirne la mancanza. Tutto quello che le restava
di lui
erano solo ricordi e faceva di tutto per mantenerli vivi, anche se non
doveva.
“Ci sono volte in cui può
valerne la pena”
“Vorrebbe dire fuggire”
“Fatelo. Fuggite. Con me.”
Ad Agatha venne spontaneo
ridere.
“Su, non scherzate” disse,
ma non aveva idea di quanto lui fosse serio in realtà.
Quando rientrò in casa, un
paio di ore più tardi notò subito che
c’era un gran fermento. Elfi domestici
correvano avanti e indietro lungo i corridoi. Al primo piano
individuò,
appoggiata ad un muro sua sorella che parlava con Alice Storm. Appena
Cassie la
individuò le andò incontro e la prese per un
braccio.
“Si può sapere dove eri
finita?”
Agatha si lasciò trascinare
lungo il corridoio sbuffando e chiedendo “Che è
successo?”
“Il signor Dashwood è stato
trovato morto in un corridoio della biblioteca” disse prima
di spingere sua
sorella all’interno della camera e chiudere la porta.
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Capitolo 7 *** Rabbia e attesa ***
Suo padre era morto. Non le
sembrava vero. Mary non era ancora riuscita a versare neanche una
lacrima.
Il cervello le riportò davanti
agli occhi i ricordi della sua infanzia. Quando sua padre la portava a
cavalcare, erano ore che si ritagliavano solo per loro. Lui, a
differenza di
sua madre, non l’aveva mai trattata come una bambola di
porcellana. Quando il
primo Settembre di ogni anno la accompagnava alla stazione di
King’s Cross e le
dava di trafugo una scatola dei suoi dolcetti preferiti o quando per i
suoi 18
anni le aveva permesso di andare in vacanza insieme ad Agatha a
Brighton.
Sospirò, le sarebbe mancato
terribilmente. In più le si apriva davanti un nuovo
scenario: suo fratello
aveva ufficialmente ereditato Dashwood Mansion. Se avesse voluto
avrebbe potuto
cacciare lei e sua madre. Una parte di lei era sicura che Alex non le
avrebbe
mai fatto una cosa del genere ma allo stesso le si insinuava un dubbio
nel
cervello: si sarebbe sposato presto, magari voleva una casa tutta per
lui e la
sua futura famiglia.
Si lasciò andare appoggiando la
schiena sul letto, certa che quella notte non avrebbe chiuso occhio.
Dopo aver brevemente parlato
della morte del signor Dashwood, Agatha si era offerta di andare dalla
sua
migliore amica per consolarla o comunque per starle vicino ma Cassie le
disse
che Mary aveva chiesto di non vedere nessuno.
Era omicidio? Suicidio? Morte
naturale? Nessuno sapeva niente. Il signor Floral aveva mandato a
chiamare un
Guaritore e allontanato tutti gli altri.
Rimasero un attimo in silenzio,
Agatha lanciò una rapida occhiata fuori dalla finestra,
verso il giardino.
Cassandra non si lasciò sfuggire l’occasione per
prenderla in contropiede.
“Con chi eri?” le chiese a
bruciapelo.
Agatha sgranò gli occhi sorpresa,
fece per pensare a cosa dire, a quale scusa inventare ma la sua adorabile
sorellina la interruppe “Non mi mentire” la
sfidò.
L’altra si bloccò. Doveva dirle
la verità o Cassie gliel’avrebbe tirata fuori con
le pinze.
“Mi vedo con Lionel”
La mascella di Cassandra sfiorò
quasi il pavimento. “Cosa? Quando?
Perché?” domandò a raffica.
“Frena, frena…” indecisa su cosa
dire e cosa no Agatha si limitò ad aggiungere
“È successo e basta…”
“Lo ami?””
Ecco. Era arrivata la domanda
pesante come un mattone. Agatha abbassò lo sguardo,
improvvisamente in
difficoltà come poche volte era stata in vita sua. Amava
Lionel? Sicuramente
non le era indifferente. Ogni volta che lo vedeva sentiva il battito
del suo
cuore accelerare e ogni volta che le loro labbra si toccavano sembrava
come se
il mondo intorno a loro sparisse, non importa se si trovavano in una
sporca
scuderia, tra il fieno e con il pungente odore di letame che aleggiava
nell’aria.
Il poco tempo che passava insieme
a lui era poco, eppure così prezioso. Durante quelle poche
ore si sentiva libera,
senza i pensieri della purezza del sangue e degli obblighi che il suo
sesso e
il suo rango le imponevano.
Cassie piegò leggermente la testa
verso sinistra e le labbra in un mezzo sorriso. Aspettava ancora la
risposta
della sorella quando sentirono bussare alla porta che si
aprì subito dopo.
La signorina Floral entrò e
sorrise verso le figlie. “Ah siete qui, lo
sospettavo” poi spostò la sua
attenzione sulla minore. “Cassandra, indossa un vestito
nero”
Lei guardò la madre confusa.
“Perché?” chiese muovendosi comunque
verso l’armadio e tirandone fuori un lungo
abito di cotone nero che aveva indossato solo una volta, quando era
morto il
loro nonno materno.
“Alexander è il nuovo signor
Floral e tu sarai sua moglie entro la fine dell’estate. In un
momento del
genere è tuo compito stargli accanto, è pur
sempre tuo marito”
“Non è ancora suo marito”
puntualizzò Agatha in difesa della sorellina. Si
guadagnò un’occhiata di sbieco
da parte della madre.
“Mamma…io e Alexander non
siamo…”
e cercò la parola giusta “Compatibili”
concluse mentre la donna le allacciava i
bottoni dell’abito nero che aveva indossato in fretta al
posto della sua
camicia da notte.
“Non dire sciocchezze. Siete una
bellissima coppia” fece la signora Floral con aria
trasognante.
Agatha si intromise di nuovo “Ma
se neanche si conoscono!”
Kathrine non si scompose nel
ribattere alla figlia maggiore pur continuando a guardare la minore
attraverso
lo specchio “C’è molto tempo per quello
dopo le nozze.”
“Mamma, io…” provò ad
intervenire
Cassandra ma la donna la interruppe “Su, ora basta proteste e
vai da lui.”
“Cassandra” salutò
la ragazza che
era appena entrata, seguita dalla madre. Non era minimamente
dell’umore ma
dovette ammettere a se stesso che il lungo vestito nero faceva un bel
contrasto
con la pelle chiara e i capelli biondi della sua fidanza.
“Alexander” salutò lei
educatamente. Le altre due donne li guardavano come se si aspettassero
chissà
che cosa visto che i due erano, almeno formalmente, una coppia.
La bionda si avvicinò e gli posò
una mano sul braccio. “Mi dispiace per vostro padre.
È stata una notizia
devastante” mentre pronunciava quelle parole Cassie si
sentiva una sporca
bugiarda. Non che la morte del signor Dashwood fosse stato un evento
piacevole
ma quell’uomo aveva offerto a suo padre il figlio per
ripagare un debito. Era
una cosa aberrante…certo che, suo padre aveva sacrificato
lei quindi il signor
Floral non era stato questo sant’uomo…
“Grazie. Siete molto gentile.”
Le due donne li salutarono con un
“Vi lasciamo soli”. Come se loro, da soli, avessero
fatto chissà cosa….
Infatti tra i due calò un velo di
silenzio che dopo qualche minuto Cassandra interruppe chiedendo
“Avete saputo
cosa è successo di preciso a vostro padre?”
Alex si accomodò su una
poltroncina, appoggiò i gomiti alle gambe poi
buttò fuori un sospiro. “Non
ancora. Il Guaritore non se ne è ancora andato.”
“Capisco” rispose lei.
La situazione era decisamente di
disagio. Alexander non sapeva bene come rivolgersi alla sua futura
moglie, in
modo educato ma comunque freddo e distaccato come faceva con qualsiasi
ragazza
non fosse sua sorella. Non era interessato a nessuna ragazza, non dopo
quello
che era successo eppure adesso si ritrovava a essere il capofamiglia,
con una
madre che insisteva per farlo avvicinare il più possibile
alla ragazza che
avrebbe dovuto sposare in un matrimonio organizzato proprio da suo
padre.
“Oh andiamo, non puoi esserne
sicuro” sbottò Alice verso il futuro.
“Alice ha ragione” concordò Jamie
che se ne stava seduto su una poltroncina davanti al letto di suo
fratello.
Markus non proferì parola. In effetti non poteva esserne
sicuro ma il pensiero
che c’era anche solo una possibilità che potesse
essere stato lui ad ammazzare
il signor Dashwood lo torturava.
Non ricordava quello che aveva
fatto quella sera, aveva affogato i pensieri e la rabbia
nell’alcol. E ne era
tanta la rabbia.
“Io…non me lo ricordo”
sussurrò
passandosi una mano nei capelli.
Aveva sentito quel lato oscuro
rifarsi largo in lui dopo la notizia che Cassandra avrebbe sposato
Alexander,
che il padre di lui aveva proposto
quest’unione…ricordava che le mani gli
prudevano e ricordava un dolore sordo all’altezza del cuore.
In qualche modo si sentiva sporco
perché aveva pensato che se non fosse stato per
quell’uomo Cassandra e
Alexander non avrebbero stipulato un contratto matrimoniale. E se
avesse
pensato e avesse agito per eliminarlo?
Il sole era sorto non molto tempo
prima, illuminando una nuova giornata. Villa Floral era stata in
movimento per
tutta la notte ma Lionel non aveva osato avvicinarsi.
Aveva sentito gli elfi domestici
e le cameriere di casa mormorare riguardo la morte del signor Dashwood,
lui
aveva preferito non immischiarsi. Essere praticamente invisibile,
questo era il
suo vantaggio.
Stava strigliando un cavallo
quando sentì dei passi alle sue spalle e una voce familiare
chiamarlo.
“Lio”
“Cal…che ci fai qui?” domandò
al
fratellastro girando appena lo sguardo per vederlo entrare. Carlton
Holmes
odiava uscire e aveva una vera e propria fobia per lo sporco, era raro
vederlo
nelle scuderie. Doveva esserci per forza un motivo.
Carlton preferì essere diretto.
“Dov’eri ieri sera?”
“Qui! Dove sarei dovuto essere?”
domandò l’altro leggermente scocciato. Cosa stava
insinuando, che aveva ucciso
lui Mr Dashwood?
“Non eri solo vero?” lo attaccò
di nuovo l’altro. Lionel pensò per un attimo di
mentire, visto quanto si era
arrabbiato Carlton quando aveva scoperto di lui e Agatha Floral ma da
come lo
scrutavano gli occhi azzurri del fratello, identici ai suoi,
capì che lui
sapeva già la verità.
“Era l’unica che mancava quando è
stato trovato il signor Dashwood”
Un piccolo sorriso si dipinse
sulle labbra del minore al ricordo della splendida serata che aveva
passato con
la bionda.
“Sì, era qui con me e, scusa se
te lo dico, non sono cose che ti riguardano” disse, spiccio.
Carlton sbottò “Nostro padre e il
signor Floral sono amici, hai idea di cosa succederebbe se la cosa si
venisse a
sapere?”
“Francamente non sono affari
nemmeno loro”
Lionel si voltò, aveva le fiamme
negli occhi. Carlton Holmes sembrava un tipo calmo ma era uno che
rispondeva al
fuoco col fuoco.
“Non pensi minimamente a quanto
potresti mettere nei guai la nostra famiglia? Pensa a quanto potresti
mettere
nei guai lei! Se il padre lo scoprisse ti ucciderebbe!”
La risatina di Lionel venne
soffocata in una specie di sbuffo. Il signor Floral che lo uccideva?
Doveva
solo provarci!
Carlton girò intorno al cavallo e
si piazzò esattamente davanti al suo fratellastro,
squadrandolo con fare
sospetto.
“Ti sei innamorato di lei,
seriamente?” chiese con un’alzata di sopracciglio.
Lionel smise di strigliare il
manto dell’animale e abbassò lo sguardo
sospirando. Carlton vedeva tutti i
giorni il risultato di un matrimonio tra due persone che non si
amavano. Suo
padre non avrebbe mai amato sua moglie e aveva intrecciato, con una
ballerina,
la relazione da cui era nato quel figlio bastardo. Chissà se
suo padre aveva
amato la madre di Lionel? Forse se loro due fossero potuti stare
insieme, liberamente,
nonostante la loro differenza di rango…forse sarebbero
potuti essere tutti più
felici.
Sapeva già la risposta di Lionel.
Suo fratello poteva essere una persona impetuosa e a volte impulsivo ma
non era
certo uno stolto. Non si sarebbe certo arrischiato in una questione del
genere
se non fosse stata importante.
“Va bene” proclamò Carlton “Ti
coprirò, vi coprirò quando ce ne sarà
bisogno”
Si spiaccicò praticamente contro
un muro per fare in modo che l’elfo domestico non la notasse.
Voleva arrivare vicino
alla biblioteca, doveva scoprire qualcosa sulla morte del signor
Dashwood, lo
doveva fare per suo fratello. Non si era capito ancora se si trattava
di
omicidio o meno ma Markus già si era fatto tutte le sue
teorie mentali. Giurava
che se lo avesse sentito di nuovo dire qualcosa sulla sua rabbia e
fantomatici
sensi di colpa lo avrebbe ucciso lei con le sue stesse mani.
Il corridoio della biblioteca era
stranamente deserto ma sentiva le voci provenire
dall’interno, anche se non
riusciva a capire chiaramente cosa dicessero. Si avvicinò di
soppiatto, doveva
trovare un angolino nascosto, altrimenti, se qualcuno fosse uscito e
l’avesse
vista sarebbe stata decisamente nei guai.
Si appostò seduta a terra,
nascosta da un divanetto.
“È dovuto a…”
riuscì a sentire
solo quella parte di frase. Ma perché quella gente parlava a
voce così bassa?
Che stessero nascondendo chissà quale segreto?
Si sporse leggermente con la
testa per cercare di carpire qualche altra parola. A quanto pareva
qualcuno non
si capacitava di come potesse essere successo. E quel qualcuno era suo
padre,
di questo era certa.
Si era inconsapevolmente messa a
gattoni nell’avvicinarsi il più possibile alla
porta. Era completamente
concentrata ad ascoltare che si sobbalzò dalla paura quando
una voce dietro di
lei disse: “Tanto vale che entriate lì”
Si voltò e si ritrovò davanti un
Christopher Turner che quasi rideva.
“Mi avete spaventata a morte”
fece Alice fulminandolo con lo sguardo.
“Scusate ma quando vi ho vista
fare la piccola investigatrice non ho resistito alla tentazione di
seguirvi”
Lei mise su una specie di piccolo
broncio che lo fece sorridere ancora di più e pensare a
quanto fosse carina.
“State cercando di scoprire
qualcosa in più sulla morte di Mr Dashwood?”
“Scusate ma non credo che siano
affari vostri”
Christopher sfoggiò un serafico
sorriso prima di aggiungere “Peccato, altrimenti vi avrei
detto che il signor
Floral ha portato dei documenti nel suo studio un’ora fa, e
sembravano
importanti”
La bocca di lei si schiuse
leggermente dalla sorpresa cosa che fece allargare ancora di
più il sorriso del
giovane.
“Venite con me” le propose
allungando una mano che lei afferrò per tirarsi su.
I due si incamminarono lungo il
corridoio, mentre lei si guardava intorno con aria circospetta lui
camminava
con non-chalance, tranquillo.
“Se volete passare inosservata
dovete camminare come fate sempre, come se niente fosse, e gli elfi non
vi
degneranno di uno sguardo” le spiegò mentre
giravano a destra. Arrivati davanti
ad una grande porta di mogano scuro lui mise una mano avanti, con il
palmo
verso l’alto, come per invitarla ad entrare.
“Prego” fece lui dopo aver
gettato un’occhiata fugace al corridoio.
“E voi?” chiese Alice mentre
abbassava la maniglia.
“Io vi faccio da palo”
Alice entrò nel grande studio che
odorava di tabacco e di chiuso. I suoi occhi puntarono direttamente
verso la
grande scrivania, di mogano come la porta e ingombra di fogli sistemati
in pile
perfettamente ordinate. In cima ad una di queste le saltò
subito agli occhi un
foglio Autopsia di Mr. Albert Dashwood.
Voleva solo la verità. Voleva
solo sapere cosa era successo a suo padre. Perché nessuno
gli diceva niente?
Insomma era lui il signor Dashwood adesso! Doveva pur contare qualcosa!
E invece nessuno gli diceva
niente, lo trattavano come un ragazzino!
Anche se era solo primo pomeriggio
aveva bisogno di un goccio di brandy, anche più di un
goccio, così si recò verso
uno dei salottini al piano inferiore alla ricerca di un po’
di pace e
solitudine.
E invece il salottino lo trovò
occupato. C’era Markus Storm seduto su una delle poltroncine
davanti al camino
spento, intento a bere qualcosa.
“Buongiorno Markus” salutò
burbero entrando nella stanza.
“Alexander” salutò l’altro. Al
giovane Storm vennero subito un po’ di nervi nel sentire la
voce dell’altro con
quell’aria di sufficienza. Cosa voleva? Tuttavia si
sforzò di essere educato ed
aggiunse “Mi dispiace per vostro padre.
Condoglianze.”
L’altro sbuffò avvicinandosi
verso la finestra. Quel tipo non gli piaceva. Sapeva bene che il suo
passato
nascondeva una buona dose di oscurità, legata anche
all’incidente che gli aveva
tolto la vista.
“Voi dovreste essere un esperto
di questo genere di cose”
“Quali cose?” domandò Markus
sforzandosi di rimanere calmo ma già sentiva il sangue
ribollirgli nelle vene.
“Arti oscure” replicò Alexander
tagliente “Sperate che ora che mio padre non
c’è il contratto che ha firmato
con Floral non sia più valido? Beh mi dispiace per voi ma
quel contratto lo
abbiamo firmato io e la signorina Floral quindi è ancora
valido!” esclamò con
un tono di voce più elevato.
La voce del ragazzo attirò la
giovane che stava passando lungo il corridoio che avvicinandosi
sentì Dashwood
che accusava non troppo velatamente Storm di aver ucciso
l’uomo.
Cassie entrò nella stanza a passo
svelto.
“Ma come vi permettete?” tuonò
lei entrando nella stanza “Venite in casa mia e fate accuse
del genere!”
“Lui potrebbe aver ucciso mio
padre!” urlò Alexander rabbioso.
“Non dite un’altra parola”
“Oh vi ergete in difesa del
vostro amore” disse di nuovo lui acido “Prego
allora vi lascio soli”
Alexander si voltò e uscì dal
salottino seguito dalla giovane Floral che continuò a
rimproverarlo seguendolo
lungo il corridoio. “Non osate mai più parlarmi
con quel tono!”
“E voi, con questo tono da
ragazzina prepotente?!? Sarò vostro marito, dovete portarmi
rispetto!” fece lui
dopo essersi bloccato e voltato di scatto.
“Il mio rispetto ve lo dovete
guadagnare! Potrete essere mio marito ma non sarete mai mio
amico!” e decretò
chiusa la conversazione superandolo.
Alzò gli occhi al cielo quando
l’ennesimo
gufo si avvicinò alla finestra con un'altra lettera di
condoglianze nel becco.
La notizia della morte di sua padre si era diffusa in fretta.
Impressionante
come viaggiavano le notizie.
Aprì al volatile, gli diede una
leggera carezza e prese la busta nera. La ammucchiò con le
altre, non le
interessava aprirla, sapeva che c’erano scritte le solite
sterili parole. Solo
una delle lettere l’aveva colpita, era di una delle sue
più care amiche.
Anche dopo averla letta, anche
dopo aver sentito l’affetto di Delia Halmiton anche
attraverso le parole
vergate con inchiostro nero non riuscì ad addormentarsi
quella sera, e dire che
si era ritirata presto, mentre gli altri erano ancora tutti in piedi.
Mary sentì la pendola segnare la
mezzanotte e decise di alzarsi. Iniziò a camminare per la
casa come una specie
di fantasma. La luce tremula che filtrava da sotto una porta la
attirò, magari
avrebbe trovato qualcuno con cui parlare, non voleva stare sola.
Bussò e aprì piano.
“Marianne” fece Carlton sorpreso
appoggiandosi sulle gambe il libro che stava leggendo. Visto che la
biblioteca
era stata chiusa aveva ripiegato su una stanza.
Sentì un attimo il cuore
stringersi di preoccupazione vedendo quanto la ragazza era pallida e
stanca.
“St-” iniziò a dire ma Mary lo
interruppe subito.
“Vi prego, non chiedetemi come
sto. Non ne posso più di rispondere alla stessa domanda. Non
sto bene. Non sto
bene, ok? Come potrei stare bene?” chiese accorata.
Le labbra di Carlton si piegarono
leggermente e le fece cenno di accomodarsi davanti a lui. Il ragazzo
fece per
riprendere a leggere quando Mary, che aveva freddo fin dentro le ossa
chiese “Vi
dispiace se accendo il camino?”
“No, affatto” rispose educatamente.
Alzò di nuovo gli occhi dalle pagine di carta per vedere che
la giovane stava
armeggiando con della legna.
“Non era meglio con un
incantesimo”
Lei fece finta di essere
risentita mentre replicava “Lo so accendere un
fuoco!”
Notando lo sguardo perplesso di
lui le venne da sorridere come non faceva da un po’
“Non vi preoccupate non farò
troppa polvere” lo punzecchiò.
Carlton alzò gli occhi al cielo
prima di spostarli di nuovo sulla sua lettura e accorgersi che era
circa la
sesta volta che rileggeva lo stesso paragrafo. Doveva concentrarsi, non
guardare la ragazza che si era acciambellata sulla poltrona!
La porta si aprì nuovamente,
attirando il suo sguardo ed entrò Alexander Dashwood.
“Mary…finalmente ti ho
trovata…”
Lei lo guardò interrogativa così
come Carlton.
“Si tratta di papà” aggiunse Alex
“si è trattato di morte naturale”
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Capitolo 8 *** Giro di boa ***
Si sistemò il nastro nero tra i
capelli guardandosi al grande specchio da terra. Inspirò
profondamente nel
tentativo di farsi coraggio. Era arrivato il momento di tornare a casa
per
seppellire suo padre. Un leggero bussare alla porta la spinse a
voltarsi.
“Avanti” disse tornando a
guardare lo specchio. Vide la porta aprirsi lentamente e il viso di
Agatha
spuntare.
“Hey” la salutò dolcemente.
Agatha entrò e si chiuse la porta alle spalle per poi
sedersi appena sul letto
dell’amica che finiva di prepararsi. Non riusciva neanche a
immaginare quanto
fosse dura per lei visto quanto fosse stata legata a suo padre.
“Mi dispiace di non poter venire”
Mary si voltò, rivolse un mezzo
sorriso all’amica e si alzò per raggiungerla
sedendosi sul copriletto color
crema. Prese le mani di Agatha tra le proprie per tranquillizzarla.
“Tranquilla, amica mia. Sono
certa che starò bene e tra un paio di giorni sarò
di nuovo qui”
La ragazza si sforzò di
sorridere. Sarebbero stati giorni davvero pesanti e sicuramente la
vicinanza
della sua migliore amica l’avrebbe aiutata ma capiva
perfettamente che con
tutti gli adulti che partivano per il Dorset e Cassandra che andava con
loro,
lei sarebbe dovuta restare a fare da padrona di casa per il resto degli
ospiti.
Agatha si allungò per stringere
l’amica tra le sue braccia, cercando comunque di dimostrarle
la sua vicinanza.
“Ti lascio a finire di prepararti
ma passa pure a salutarmi prima di andare” le disse la bionda
prima di
congedarsi.
A qualche stanza di distanza
anche Cassandra si stava cambiando. Era quasi pronta per partire, non
che ne
avesse molta voglia. Il pensiero di passare tutte quelle ore in
carrozza, da
sola con Alexander non la entusiasmava affatto. Le dava così
sui nervi…anche la
sera prima le aveva praticamente dato degli ordini! Non lo sopportava!
E non sopportava sua madre che la
teneva ferma acconciandola come una bambola di porcellana.
Al suo ennesimo sbuffo la
signorina Floral si spazientì.
“Si può sapere cosa c’è che
non
va?” domandò alla figlia minore.
“C’è che io odio Alexander!”
sbottò lei incrociando le braccia come una bambina.
La donna la fulminò con uno
sguardo carico di rabbia. “Non dire così, non lo
conosci” la rimproverò.
“No, è proprio perché un po’
l’ho
conosciuto che lo trovo irritante! Che razza di famiglia o di
matrimonio può
esserci tra due persone che non si amano?” disse in un misto
di rabbia e
disperazione.
“L’amore arriva solo dopo il
matrimonio, mia cara. Ci sarà tanto tempo dopo…
anche io e tuo padre non
eravamo innamorati prima del matrimonio, eppure è diventato
il compagno della
mia vita e mi ha dato due splendide figlie” fece la donna
dopo aver appoggiato
entrambe le mani sulle spalle esili della figlia.
Lo sguardo di Cassie si indurì e
la sua voce si fece più fredda quando pronunciò
“Tre figli”.
Non le era mai andato giù come i
loro genitori avevano cacciato Vincent di casa e avevano preteso che le
figlie
facessero come se lui non fosse mai esistito. Lo avevano mandato via
quando lei
era a scuola e non aveva avuto nemmeno la possibilità di
salutarlo.
“In ogni caso, se sei fortunata,
dovrai giacere con lui una sola volta. Quando avrà un erede
sarà tutto molto
più tranquillo.”
A quel pensiero per un attimo
Cassie si bloccò. Non aveva minimamente pensato a quella
parte del matrimonio e
un brivido le percorse tutta la schiena mentre sua madre faceva
levitare una
collana di perle dal portagioie al suo collo.
Finita la colazione Carlton
ripiegò su se stesso il giornale e lo appoggiò
sulla tovaglia di lino bianco
prima di alzarsi e dirigersi verso la porta. Giusto
nell’ingresso i suoi occhi
catturarono una delicata figura femminile, in piedi accanto al portone
e
vestita di nero.
Come se avesse avvertito la sua
presenza la ragazza si voltò.
“Carlton” lo salutò piegando
leggermente la testa con un cenno di rispetto.
“Marianne…buongiorno”
“Buongiorno” rispose lei sforzandosi di abbozzare
un
sorriso “Queste carrozze… non arrivano mai quando
dovrebbero” cercò di
ironizzare mentre batteva un piede sulla moquette in un gesto di
impazienza.
“Siete in partenza dunque…”
buttò lì senza sapere cosa
dire precisamente. Lui non era certo la persona più empatica
dell’universo e si
sentiva sempre un po’ fuori posto in quel genere di
situazioni. Quelle frasi
consolatorie gli sembravano tutte così sterili e scontate.
“Già ma preferirei non esserlo”
Ovvio. Ora si sentiva un completo idiota. Per fortuna
l’espressione di Mary gli suggerì che non era
risentita per quella domanda
inopportuna ma la ragazza non fece in tempo ad aggiungere altro
poiché il suo
sguardo venne catturato da una coppia a braccetto che scendeva le scale
fino ad
arrivare all’entrata.
“Siamo pronti ad andare” dichiarò
Alexander lasciando il
braccio di Cassandra.
“Arrivederci Carlton” salutò Marianne
seguendo suo
fratello fuori dall’edificio.
“Signor Holmes” salutò Cassie superando
il ragazzo.
Dopo parecchio tempo Alice riuscì
finalmente a trovare
suo fratello. Markus era in piedi davanti a una delle finestre che
davano sul
davanti della villa, con le orecchie tese per un udire lo scricchiolio
delle
ruote delle carrozze sul selciato.
“Ah eccoti” sorrise entrando nella stanza.
“Ciao Alice” la salutò lui con tono cupo
senza muoversi
minimamente. Notata la passività del fratello Alice non
poté fare a meno di
rimbeccarlo “Ti fa male stare lì a rimuginare, a
pensare che lei sta partendo
con lui”
Vedendo che Markus non reagiva alla fine confessò.
“Cassie
mi ha raccontato dello scontro con Dashwood”
All’udire quelle parole una parte di lui si sentì
in
qualche modo rincuorata dalle attenzioni che la giovane Floral
continuava a
riservargli ma un’altra, la parte che premeva per
prevaricare, era furiosa. L’aveva
rifiutato, come se non valesse nulla e adesso, si preoccupava per lui?
Non
poteva semplicemente lasciarlo in pace?
Alice reagì al silenzio del fratello avvicinandosi e
incitandolo. “Non è colpa tua, hanno detto che si
tratta di morte naturale” nel
parlargli lei fece per sfiorargli il braccio ma indietreggiò
quando Markus si
voltò arrabbiato.
“Mi ero innamorato di lei! E Dashwood me l’ha
portata
via! Pensavo che mi avrebbe salvato da me stesso e invece mi ha
spezzato il
cuore!” urlò.
Sembrava quasi un animale ferito, cosa che fece stringere
il cuore ad Alice. Lo abbracciò di slancio nonostante la
differenza di altezza
e lo strinse più forte che poté.
“Non ne hai bisogno, vai benissimo così. Non sei
solo.
Non lasciare che la rabbia offuschi chi sei diventato”
Già, era diventato una persona diversa, dopo
l’incidente.
Tutte quelle conoscenze riguardo le Arti Oscure che aveva accumulato ai
tempi
di Durmstrang le stava usando proprio per contrastare le Arti Oscure.
Non
poteva tornare indietro. Quella non doveva essere una strada a doppio
senso.
Il viaggio verso il sud dell’Inghilterra
era lungo e, in quella
carrozza, particolarmente silenzioso. Mentre la signora Dashwood era
salita in
carrozza con i signori Floral, e tutti gli altri adulti avevano
occupato le
rispettive carrozze di famiglia la carrozza dei Dashwood era stata
ceduta ad
Alexander, sua sorella Mary e Cassie.
Per sua fortuna Cassie si assopì a circa metà del
viaggio
e Alex ricominciò a parlare in modo del tutto naturale e
tranquillo, come era
abituato a fare.
“Non mi dimostra minimamente il suo rispetto”
sbuffò lui
accavallando le gambe.
Mary abbozzò un sorriso guardando la sorella della sua
migliora amica che dormiva placidamente con la testa appoggiata al
finestrino
accanto a suo fratello.
“Forse…se tu fossi un peletto più
gentile” disse lei
mimando un piccolo spazio racchiuso tra il pollice e l’indice
della mano
destra.
Alexander incrociò le braccia e guardò fuori e
sua
sorella si ritrovò a pensare che sembrava proprio come un
bambino capriccioso.
Sapeva benissimo che lei aveva ragione ma non lo avrebbe ammesso mai e
poi mai.
“Non succederà di nuovo”
affermò la ragazza e lui si
voltò leggermente perplesso.
“Cosa?” domandò Alex alzando un
sopracciglio prima di
sentire una mano che si appoggiava leggermente sul suo ginocchio.
Mary si sporse in avanti e guardò suo fratello
intensamente “Non succederà di nuovo”
ripeté convinta “Non tutte le ragazze
sono come Sophie Hamilton”
I cervelli di entrambi corsero subito alla rossa che era
stata il grande amore di Alex e che l’aveva ferito come mai
nessun altro.
Eppure quando andava tutto bene chiunque avrebbe giurata che si
amavano, che
erano destinati a stare insieme e invece…l’unica
cosa a cui voleva essere
destinata lei era il patrimonio dei Dashwood. E intanto amava
trascorrere il
suo tempo con altri giovani. Mary ricordava bene come ci era rimasto male
suo
fratello e quanto avesse perso fiducia nell’intero genere
femminile.
Lionel gli aveva lanciato un sassolino contro la finestra per
attirare la sua attenzione. Gli sembrò un gesto alquanto
bizzarro e mosso
soprattutto dalla curiosità Carlton decise di infilarsi gli
stivali e
raggiungere il fratello nelle scuderie.
Appena sentì il rumore dei passi sul terriccio Lionel si
voltò, distogliendo lo sguardo dal cavallo che stava
sellando.
“Buongiorno fratellino” lo salutò
sorridendo.
Carlton ricambiò poco convinto. “Che
vuoi?”
“Sempre dritto al punto vedo” fece Lionel con un
sorrisetto. Prima di replicare tornò a guardare serio quegli
occhi uguali ai
suoi, in cui sapeva leggere ogni minima emozione, da quando erano
bambini.
“Ho bisogno di un favore, un favore piuttosto
grosso”
specificò.
Carlton incrociò le braccia al petto e tirò fuori
un
leggero sbuffo “Di che si tratta?”
domandò anche se aveva il sentore di sapere
già la risposta. Tutti i genitori se ne erano andati e ad
Agatha Floral era
stato lasciato il compiti di avere cura degli ospiti rimasti. Che
avesse voluto
aver cura di qualcuno in particolare?
“Sai che se ne sono andati quasi tutti”
iniziò a dire il
minore ma l’altro gli fece un rapido cenno con la mano, una
specie di rotazione,
come ad invitarlo ad andare avanti e non dire cose che lui non avesse
già saputo.
“Ho bisogno che tu copra me e Agatha oggi. Voglio
portarla fuori.”
A quelle parole gli occhi di Carlton si illuminarono con
una scintilla di puro interesse. Lionel poteva quasi vederlo
strofinarsi le
mani compiaciuto.
“Fuori dove?” domandò.
“A cavallo, a fare un picnic nella radura dopo il
laghetto”
Naturalmente Carlton non capì dove si trovava quel luogo
visto che non aveva mai avuto il minimo interesse ad addentrarsi nel
bosco ma
si soffermò sulla frase nella sua interezza.
“Oh la la, da quando sei diventato un romanticone
fratellino?”
Lionel era abituato a quelle frecciatine quindi non si
scompose minimamente e contrattaccò “Dovresti
provarci anche tu sai? Un giorno
il maniero degli Holmes avrà bisogno della sua
signora”
Carlton incassò il colpo con un mezzo sorriso. “E
sia.
Dimmi cosa vuoi che faccia.”
Agatha seguiva piuttosto perplessa Carlton Holmes
lungo i
corridoi. L’aveva avvicinata poco dopo colazione e
l’aveva pregata di seguirlo
senza tante spiegazioni e, anche se poco convinta, lo aveva fatto e ora
si
ritrovava a piano terra, quasi nelle cucine. Ma dove diavolo la stava
portando?
Solo quando arrivò all’esterno della villa
materializzò
dove erano diretti. Le scuderie.
Oh
mio dio si ritrovò a pensare che
Carlton sappia?
Era già pronta al peggio. Se Carlton sapeva allora
sì che
erano tutti nei guai!
Venne smentita dal caldo sorriso di Lionel che la accolse
appena entrò nel grande edificio.
“Buongiorno Agatha” la salutò
avvicinandosi con grandi
falcate. Lei contraccambiò il sorriso un po’
timidamente. Si ritrovò con gli
occhi sbarrati quando le labbra di Lionel si poggiarono sulle sue. Ed
ecco,
capitava ogni volta. Ogni volta che lui la baciava sembrava come se
tutto
intorno a loro sparisse. Come se fossero loro due in una piccola bolla
di
felicità.
Si staccarono solo quando la voce di Carlton li
interruppe “A questo punto io me ne andrei”
Rimasti soli Agatha rivolse al giovane di fronte a lei
uno sguardo interrogativo e allo stesso tempo divertito.
“Cos’è questa
novità?”
Lionel ridacchiò, intrecciando le dita con le sue e
glissando sulla cosa. “Visto che non c’è
quasi nessuno avrei pensato di andare
a fare una passeggiata”
La ragazza sembrò piuttosto sorpresa ma in modo
piacevole. I cavalli erano sellati, pronti. In breve tempo erano
già a cavalcare
nel bel mezzo del bosco, immersi nella più totale
tranquillità, con il
cinguettare degli uccellini intorno e, per la prima volta, senza la
paura di
essere scoperti.
Si sentiva libera, davvero, e si sentì ancora più
libera
quando, usciti dal bosco iniziarono a galoppare lungo il profilo della
scogliera.
Scesero e legarono i cavalli a due alberi nelle vicinanze
poi si avvicinarono al bordo della scogliera per guardare il mare e
respirare a
fondo quel pungente odore di salsedine. Lionel si voltò a
guardarla e pensò che
con quei capelli mossi dal vento e con quel sorriso puro e semplice era
bellissima. Non era mai stata così bella.
La prese per mano e la condusse verso la radura dove
aveva steso una grande coperta con un cesto di vimini con qualche
panino, una
bottiglia di vino rosso e per concludere quello che sapeva essere il
dolce preferito
di Agatha: biscotti al limone e miele. Semplici e dolci ma con quel
retrogusto
aspro che ci stava alla perfezione.
Fu tutto perfetto. Aveva già frequentato qualche ragazzo,
solitamente imposto dai suoi genitori ma erano sempre tutti
così impostati,
così noiosi. E invece quella volta era tutto così
splendido, per quanto
semplice e fin troppo romantico per i suoi gusti.
Forse
è davvero così l’amore.
Lionel la guardò sorridendo e avvicinandosi a quella
bocca che l’aveva stregato. “Ancora uno”
la pregò.
Agatha ridacchiò “Sì sì,
dici sempre così” ma non oppose
alcuna resistenza quando lui la baciò mentre piccolissime
gocce di pioggia
iniziavano a bagnare la loro pelle.
Era primo pomeriggio e la leggera pioggerellina
che
vedeva infrangersi contro i vetri smerigliati aveva spinto gli ospiti
rimanenti
a non passare il pomeriggio fuori. Christopher decise di fare un breve
giro in
biblioteca, un paio di giorni aveva notato un libro sulle piante
tropicali.
Appoggiò quel librone sul tavolo e iniziò a
sfogliare le
pesanti pagine, riconoscendo in quelle illustrazioni alcune delle
piante e dei
fiori che aveva ammirato una decina di anni prima nel suo viaggio in
Asia.
In un gesto del tutto automatico e involontario alzò la
testa quando Alice Storm gli passò davanti, non ci diede
troppo peso finché lei
non la vide passargli alle spalle e poi di nuovo davanti, tanto che
arrivò a
chiudere il libro e chiedere “Posso esservi d’aiuto
Alice?”
Lei gli rivolse uno sguardo accigliato “Mi sto
annoiando”
Un sorrisetto furbo si dipinse sulle labbra del giovane “Bene
bene bene” poi si alzò e aggiunse
“Seguitemi”
Non aveva dubbi su dove portarla. La condusse in giardino
e poi verso la grande struttura di vetro che ospitava la serra. Quando
varcò la
soglia Alice rimase interdetta dalla meravigliosa gamma di colori che
era
sprigionata dai fiori davanti e intorno a lei.
Si soffermò davanti a un vaso che conteneva un fiore
particolare, che non aveva mai visto ma che le trasmetteva un senso di
eleganza.
“Questa è un’orchidea proveniente
dalla Thailandia,
cresce lungo le sponde di un fiume…” le
spiegò Christopher una volta che si fu
affiancato, poi facendo un cenno con la mano gliene mostrò
un’altra, di una
delicata sfumatura di rosa.
“Questa invece si trova solo in Cina”
spiegò di nuovo. La
guardò muoversi incantata tra quei fiori e la
trovò bellissima con gli occhi
illuminati dalla curiosità. Le si piazzò davanti
con un gran sorriso ebete
mentre accarezzava le foglie di una delicata pianta da tè
proveniente dalle
Indie e poi di nuovo tornò al suo fianco mentre lo invitava
ad odorare un
particolare fiore di ibisco. Christopher si chinò e quando
si tirò su trovò il
viso della giovane straordinariamente vicino, troppo vicino, tanto che
non si
spiegò minimante il gesto che fece: la baciò.
Alice spalancò gli occhi e dopo aver materializzato cosa
stava succedendo arretrò di un passo, si voltò e
corse via. Christopher rimase
lì, come un baccalà…ma cosa diamine
aveva combinato?
La carrozza rallentò per passare
attraverso un alto
cancello in ferro battuto e imboccare il vialetto che conduceva verso
l’ingresso
del maniero dei Dashwood. Alexander fu il primo a scendere
dall’abitacolo e poi
porse la mano alla futura moglie e alla sorella per aiutarle a
scendere. Avanzò
davanti a tutti, dato che formalmente era il capo famiglia.
Straordinario come
in un attimo era diventato superiore a sua madre e agli amici dei loro
genitori.
Mary seguiva il fratello con accanto Cassie, appena
varcarono la soglia dell’ingresso vide gli occhi chiari della
ragazzina essere
catturati dalla magnificenza dell’ambiente, scuro a causa del
marmo nero del
pavimento e del granito delle colonne. Capitava così a tutti
gli ospiti.
“Benvenuta a casa” le disse in tono incoraggiante Mary.
L’altra, che era distratta nel guardarsi intorno la
guardò confusa. “Cosa?”
“Questa sarà presto casa vostra” le fece
notare.
“Già” replicò Cassie ancora
distretta. Le ragazze
camminavano lungo le scale dove, in cima, le aspettava Alex quando la
bionda
notò quasi involontariamente “Sembra piuttosto
cupo e triste questo ambiente”
“Cosa?” domandò Alex che era a portata
d’orecchio. Aveva
sentito benissimo cosa lei aveva detto, infatti quella domanda voleva
risultare
più una sfida a ripetere.
“Niente” replicò secca lei fulminandolo
con lo sguardo.
Aveva passato due interminabili ore quella sera ad
ascoltare i discorsi dei suoi zii su come si sarebbe dovuto comportare,
su come
avrebbe dovuto amministrare le proprietà di famiglia o come
avrebbe dovuto
affidare alcuni compiti da donna a sua madre e poi a sua moglie quando si fosse
sposato.
La maggior parte della loro parole erano parole vane, tutte cose che
sapeva già
o che avrebbe potuto intuire facilmente. Oh andiamo, come poteva non
sapere che
cose come il personale e le provviste dovevano essere compito delle
donne? Ma
per chi lo prendevano?
Lo trattavano come un ragazzino, non come un loro pari!
Avrebbero dovuto portargli rispetto! Avrebbe dovuto dirgli qualcosa,
cacciarli
se necessario!
Nella foga batté il bicchiere di liquore contro la
superficie della scrivania facendo muovere il liquido ambrato, di cui
alcune
gocce gli bagnarono il polso scoperto dalla camicia bianca che aveva
dovuto
arrotolare fino al gomito visto quanto gli elfi domestici erano stati
zelanti
nel riscaldare l’ambiente.
Si passò una mano tra i capelli mentre continuava a
guardare i documenti sull’impresa di famiglia. Quelli
sì che erano difficili e
su quelli nessuno gli aveva dato alcun suggerimento! L’unica
cosa che era
riuscito a capire è che avevano diversi debiti. Almeno con
il contratto
stipulato con i Floral ne aveva ripagato uno, probabilmente non sarebbe
andato
a finire tutto a catafascio nel giro di qualche giorno.
Non riusciva a dormire Cassie, in quel letto che non era
il suo, in quella stanza degli ospiti così grande. Aveva
calciato via le
coperte perché era caldo eppure quella stanza non
trasmetteva minimante un
senso di calore.
Si rigirò nel letto per un tempo interminabile
finché non
decise di alzarsi. Andare in esplorazione sarebbe stato
senz’altro più
interessante che stare lì ad annoiarsi.
Più camminava più realizzava quanto fosse grande
quella casa.
Sembrava almeno il doppio di Villa Floral anche se, da quello che aveva
visto,
non aveva la stessa quantità di terreno intorno. Per fortuna
era vicino al
mare, non avrebbe sopportato di vivere in città dopo
un’infanzia trascorsa
nella campagna scozzese.
Camminava tranquillamente al secondo piano quando un
frusciare di carte attirò la sua attenzione. Proveniva da
una stanza illuminata
e con la porta aperta. Si affacciò e vide quello che in
futuro sarebbe dovuto
essere suo marito che appallottolava un foglio e lo lanciava senza
guardare
minimamente dove infatti Cassie lo evitò per un soffio.
“Alexander” lo chiamò.
Alex sollevò la testa per guardare la giovane in
vestaglia con un piccolo candelabro in mano, poi tornò su
quei dannati numeri.
Non riusciva neanche più a distinguerli!
Cassie si avvicinò di qualche passo e lo vide sbuffare di
nuovo. Non sembrava minimamente il ragazzo composto e tutto
d’un pezzo che
aveva visto fino a poco prima.
“Alexander…va tutto bene?” chiese un
po’ intimorita.
“Mi chiedete se va tutto bene? Certo che va bene! Va
sempre bene!” dichiarò quasi ridendo, con quel
tono che Cassandra riconobbe
come alticcio, come quando suo padre tornava tardi dopo che era stato a
scommettere sui cavalli. Gli occhi lucidi e leggermente arrossati e la
pelle
sudaticcia di Alexander non fecero altro che confermare le sue teorie.
“Siete ubriaco?” domandò in mondo
retorico accostandosi
alla scrivania.
Lui scoppiò a ridere, le afferrò il polso e la
attirò a
sé.
“Voi che dite?” domandò.
Quando aprì gli occhi, quella mattina,
Alex non riuscì
subito a mettere a fuoco ciò che lo circondava. Sapeva solo
che la luce che gli
arrivava gli dava terribilmente fastidio. Si schermò gli
occhi con la mano
cercando di guardarsi intorno. Non ci mise molto a capire che non si
trovava assolutamente
in camera sua. Era in una delle camere per gli ospiti. Di questo era
certo.
Solo una decina di minuti più tardi riuscì ad
alzarsi, leggermente più cosciente di quello che era prima e
capì
subito di chi era quella camera. Riconobbe uno dei vestiti appesi
all’anta dell’armadio.
Era di Cassandra. Della giovane non vi era traccia.
Si alzò, si rimise gli stivali, la cintura e si
precipitò
in camera sua. Non poteva certo scendere senza cambiarsi visto che quel
giorno
avrebbero seppellito suo padre!
Quando entrò nella sala della colazione e i suoi occhi
scuri incrociarono un paio molto più chiari e limpidi vide
per la prima volta
Cassandra Floral sorridergli.
Bonsoir
miei cari!
Chi non muore si rivede!
Avrei voluto pubblicare prima ma
non ce l’ho fatta proprio, chiedo umilmente scusa. Mi
dispiace anche di non
aver risposto alle ultime recensioni ma mi è completamente
passato di mente.
Dunque…spero
che il capitolo vi sia piaciuto e che non ci
siano troppi errori (non sono proprio in condizioni di rileggerlo ora).
Prossimamente ci
sarà la festa del raccolto, se avete in
mente un vestito per i vostri OC mandatemi pure qualche info
Buonanotte
H.
|
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Capitolo 9 *** Festa del raccolto ***
Avevano seppellito il
signor Dashwood solo il giorno
prima e già Mary si trovava a dover preparare di nuovo i
suoi bagagli. Quel
sabato ci sarebbe stata la famosa festa del raccolto a casa Floral e in
quell’occasione sarebbe stato ufficialmente annunciato il
matrimonio tra suo
fratello e Cassandra, tutta la buona società magica era
stata invitata quindi
era vietato mancare, anche se non aveva la minima voglia di partecipare
a un
ballo.
Chiuse il baule e scese per la colazione. Si sentì quasi
sollevata nel vedere la sala semivuota, la sera prima il parentado
aveva
finalmente levate le tende e ora la casa era più tranquilla.
Si accomodò
accanto al fratello, lo aveva visto piuttosto strano in quei giorni ma
d’altra
parte era normale. Si era ritrovato di punto in bianco a doversi
accollare un
peso non indifferente. Si servì un croissant che
iniziò a sbocconcellare con le
mani.
“Mary” la chiamò e lei si
voltò con un boccone di brioche
ancora in bocca che si sbrigò a mandar giù.
Con un impercettibile movimento delle sopracciglia lo
invitò a continuare.
“Ti dispiacerebbe fare il viaggio di ritorno in carrozza
con nostra madre? Vorrei restare da solo con Cassandra se non ti
spiace”
“Che cosa vuoi fare?”
“Nulla” disse Alex facendo
l’espressione più angelica che
gli riuscì ma sapeva di non essere riuscito a convincerla
visto che lei alzò un
sopracciglio con aria scettica.
“E va bene” acconsentì Mary, non senza
qualche sospetto.
Dopo la colazione tutti si prepararono per ripartire alla
volta delle isole Shetland, le carrozze vennero fatte preparare nel
grande
piazzale davanti al maniero dei Dashwood in modo che gli elfi domestici
potessero caricare tutti i bagagli. Cassie fu la prima a salire in
carrozza
mentre Mary ammiccò al fratello prima di fare altrettanto.
“Vostra sorella non si unisce a noi?”
domandò Cassie
quando Alexander chiuse la porta della carrozza.
Mentre si sedette lui rispose “No, ha preferito viaggiare
con nostra madre, per non farla sentire troppo sola”
“Comprendo…” sorrise Cassie.
La carrozza iniziò a muoversi e a percorrere la breve
strada sterrata che conduceva al cancello e quindi al limitare della
proprietà.
Cassie si sporse verso il finestrino alla vista del cane che inseguiva
la
vettura.
“Sono i cani da caccia di mio padre, o meglio lo
erano”
Avrebbe voluto essere più seria e sfoggiare
un’espressione compassionevole ma quando uno dei cani fece un
salto tale da
arrivare all’altezza del finestrino, Cassie non
riuscì a non farsi scappare una
risata.
Quella risatina, quel suono cristallino risvegliò un ricordo
nella mente di Alexander, un ricordo legato alla sera precedente.
“E
così mi ha detto che non ero
all’altezza” aveva raccontato mentre Cassie lo
faceva mettere seduto sul letto e si chinava per togliergli gli stivali.
“Deve
essere una donna di una statura considerevole”
affermò lei con la massima
serietà. Alzando lo sguardo sul ragazzo vide che lui era
rimasto come bloccato.
E guardandosi a vicenda scoppiarono a ridere nello stesso identico
momento.
Non poteva crederci di averle raccontato del suo
passato,
in preda ai fumi dell’alcol. E lei si era limitata a
scherzarci, a ridere
sopra, lasciando volare via la cosa con la leggerezza che la
contraddistingueva.
Il viaggio proseguì in modo piuttosto tranquillo. Non
parlarono molto ma il clima sembrava più disteso rispetto a
quello del viaggio
di andata. Alex non l’aveva nemmeno rimproverata per quel
modo scomposto di
sedersi, visto che non li vedeva nessuno.
Si fermarono dopo il primo giorno di viaggio per riposare
e a quel punto non riuscì a non fulminarla con lo sguardo
quando convinse anche
Mary a togliersi le scarpe e a bagnarsi i piedi nell’acqua
fredda del fiume che
scorreva nel paese dove avevano deciso di sostare per la notte.
Era seduto su un tronco spezzato poco distante dalle due
giovani perciò udì, anche se solo flebilmente,
Cassandra dire “Vostro fratello
ci sta guardando come se stessimo facendo di inappropriato” e
in effetti era
vero ma gli scappò subito un sorriso.
“In effetti per i canoni della nostra famiglia noi stiamo
facendo qualcosa di decisamente inappropriato”
ridacchiò lei sottolineando le
ultime due parole. Forse una ventata di novità avrebbe fatto
bene al suo
fratellino.
A Villa Floral fervevano i preparativi per la
Festa del
Raccolto, la serata che attirava decine e decine di ospiti illustri,
ancora di
più quest’anno che si sarebbe festeggiata
l’unione di due famiglie.
Dirigere la casa e gli elfi domestici, scegliere
tovagliati e centrotavola fu una sottospecie di tortura per Agatha
tanto che si
domandò come faceva sua madre a farlo tutti i giorni.
Anche se il più era stato fatto tirò un sospiro
di
sollievo quando, quel sabato mattina, un piccolo gruppo di carrozze
riattraversò i cancelli di Villa Floral e sua madre
poté riprendere le redini
della casa. Non aveva la minima voglia di accogliere gli ospiti che
sarebbero
arrivati lo stesso pomeriggio, e in più doveva ancora
decidere come vestirsi!
Un piano più su Alice osservava il vestito color avorio
appoggiato sul letto. Sua madre l’aveva pregata di mettere un
costoso e
opulento abito verde smeraldo ma lei aveva deciso di indossare invece
il suo
preferito, più semplice e comodo.
Si vestì, si truccò e si acconciò i
capelli per poi
guardarsi allo specchio e, soddisfatta del suo lavoro, scendere al
piano terra.
Era in cima alle scale quando vide di sotto Christopher
che attraversava l’atrio, allora si nascose dietro
l’angolo. Lo evitava da
qualche giorno, da quando lui l’aveva baciata. Certo era
stato piacevole, le
aveva trasmesso una strana sensazione di formicolio, come una piccola
scossa
elettrica che le attraversava tutto il corpo. Ma cosa andava pensando?
Lei non
era minimamente interessata ai ragazzi! Anche se doveva ammettere che
Christopher era più un uomo che un ragazzo…no,
non aveva bisogno di nessun
uomo!
Entrata nel salone i suoi occhi corsero subito alla
poltroncina dove c’era suo fratello, seduto che fumava un
sigaro. Sapeva che
non sarebbe stata una serata facile per Markus perché le
feste lo disturbavano,
quella in particolare.
“Va tutto bene?” gli domandò
accomodandosi sul divanetto
lì accanto.
Markus non si voltò minimamente verso la fonte della voce
e si limitò ad annuire. Avrebbe voluto dirgli qualcosa ma
vennero interrotti
dal chiassoso arrivo delle altre due sorelle Storm.
Il salone da ballo si riempì ben presto
di ospiti. Evelyn
se ne stava appoggiata ad un colonna, non era particolarmente
entusiasta
all’idea di ballare con qualcuno, infatti declinò
l’invito di un paio di
giovani a danzare. Riuscì anche a sfuggire ad un ragazzo che
sua madre voleva
presentarle ma ormai annoiata si avvicinò ad un cameriere
che serviva da bere.
Prese un bicchiere e fece un giro per la sala, zigzagando tra qualche
conoscente salutato rapidamente e altri membri di aristocratiche
famiglie
purosangue riuscì a raggiungere la saletta accanto, dove il
chiacchiericcio non
era così forte, anzi era la musica ad avere la prevalenza.
Fu lì che individuò la
sua migliore amica Victoria Foster, che danzava con un quello che
sapeva essere
il primogenito dei McMillan, uno dei migliori partiti presenti sul
“mercato”.
Vicky la individuò durante un giro di valzer e la raggiunse
appena la musica
cessò.
“Vedo che hai messo gli occhi sul premio più
ambito della
sala” la prese in giro.
Victoria ridacchiò poi si voltò di nuovo verso
l’uomo che
si era allontanato “Con quel fisico è un tale
peccato che sia così stupido”
“Non essere sciocca, è semplicemente un
uomo” sibilò
Evelyn.
“Il giorno in cui ti innamorerai non parlerai più
con
toni così aspri” commentò
l’altra prima che il giovane McMillan si avvicinasse
di nuovo per invitarla a danzare.
Attraversò la sala gettando una rapida occhiata a Mary
che danzava con un uomo visibilmente più grande di lei e che
non sembrava
gioire minimamente di quell’accoppiata.
“Signorina Turner”
La ragazza si scosse e spalancò gli occhi quando un
ragazzo le si affiancò. Un sorriso leggermente irritato si
dipinse sulle sue
labbra nel riconoscerlo ma le buone maniere le imposero di fare un
piccolo
inchino e salutarlo con rispetto
“Signor Murray”
Lui si schiarì brevemente la voce. “Posso dire che
siete
incantevole questa sera? L’aria di campagna vi dona”
“Si tratta senz’altro di aria più pulita
rispetto a
quella che si respira in città”
commentò alludendo alla loro comune
provenienza.
“Ma di certo la compagnia non è così
interessante visto
che siete fuori dal mondo” aggiunse lui mentre la seguiva
verso un corridoio
esterno alla sala.
Evelyn sperava di liberarsi di lui in fretta vista come
era finita l’ultima volta che si erano visti. Aveva rifiutato
il suo
corteggiamento già varie volte, ritenendolo di base un uomo
grottesco che
credeva di poter comprare tutto in forza della rendita che possedeva.
Come aveva fatto anni prima lui si avvicinò fin troppo
alla giovane e, esattamente come qualche anno prima, Evelyn perse il
controllo
e quando lui afferrò un lembo della sua sottana tra due dita
le venne spontaneo
lanciargli addosso il contenuto del suo bicchiere. Ancora scossa lo
vide andar
via.
“Sprecare questo delizioso vino elfico in un tal modo
è
un vero peccato” commentò qualcuno alle sue spalle.
Evelyn si voltò e incrociò gli occhi divertiti di
un
ragazzo che non le era poi così familiare ma che sapeva
appartenere alla
famiglia Black. Non riuscì a fare a meno di sorridergli
divertita ma con una
punta di orgoglio.
Il giovane si avvicinò e accostò il suo bicchiere
a
quello di lei. Il gesto che fece la lasciò incapace di
proferir parola; lui
inclinò il suo bicchiere versando un po’ del
liquido rosso scuro in quello di
lei.
“Ecco, ora potete tornare a godervi la serata” le
suggerì
prima di allontanarsi mentre Evelyn lo guardava rapita.
Carlton si sentiva un pesce fuor d’acqua
a quelle feste.
Non amava tutta quella confusione e la profusione di giovani donne che
starnazzavano come oche anche se visto come si comportavano sembravano
più
pavoni imbellettati e ingioiellati.
Molte di loro se ne stavano sedute sulle sedie addossate
alla parete guardando i giovani scapoli come se questi ultimi fossero
succulente bistecche.
Lui non si sentiva particolarmente osservato, forse il
suo carattere schivo gli aveva procurato una pessima fama tra le
ragazze ed era
piuttosto soddisfatto della cosa.
Aveva passato la maggior parte della serata confondendosi
nella mischia ma i canapè che erano stati serviti si erano
rivelati più sapidi
del previsto e ad un certo punto si trovò costretto ad
avventurarsi alla
ricerca di un po’ d’acqua.
Mentre attraversava il salone principale una strana
sensazione si irradiò in lui, sentì come una
specie di prurito dietro al collo,
come se si sentisse osservato. Si girò alla ricerca della
fonte di quella
sensazione e non ci mise molto a individuare Marianne Dashwood che,
accortasi
che finalmente il suo sguardo era ricambiato e alle spalle del suo
cavaliere,
gli mimò senza voce “Aiutatemi, vi prego”
Carlton si guardò intorno per accertarsi che Mary stesse
parlando proprio con lui ma visto che non c’era nessuno di
sua conoscenza nei
paraggi si arrese all’evidenza. In effetti la giovane
sembrava piuttosto in
difficoltà e per sottrarla al suo cavaliere c’era
un unico modo. Non appena la
musica si interruppe, Carlton prese un bel respiro e si
avvicinò. Si schiarì
appena la voce ed il cavaliere di Mary si voltò curioso
verso di lui ma Cal lo
ignorò e rivolse la sua attenzione direttamente su di lei.
“Signorina Dashwood, mi chiedevo se foste disposta a
concedermi il prossimo ballo…”
Prima che Carlton o l’altro uomo potessero aggiungere
altro Mary si affrettò a rispondere che accettava con
piacere.
“I miei piedi ringraziano sentitamente”
sospirò Mary
mentre Carlton posava in modo molto leggero la mano dietro la schiena
di lei.
“Non sono molto bravo a ballare. Non considero la danza
un diletto adatto a me” si giustificò Carlton, per
una volta imbarazzato.
Dopo i primi movimenti impacciati Carlton si accorse che
aveva iniziato a muoversi con maggiore sicurezza e aveva rafforzato la
presa
sul corpo di Mary, lasciandosi avvolgere dalla musica e dal dolce
profumo di
lei. E doveva ammettere che lei, avvolta in quell’abito di
quel colore che non
sapeva se definire bordeaux o marrone era davvero meravigliosa.
Improvvisamente
ballare era diventato piacevole.
Alex si
allacciò gli ultimi bottoni della camicia e si
preparò ad uscire dalla camera. Sapeva che la festa era in
pieno svolgimento ed
era quindi il momento di scendere ad annunciare il fidanzamento e
prendere
parte ai festeggiamenti.
Uscì nel corridoio e in cima alle scale attese
l’arrivo
della sua futura sposa. La vide uscire poco dopo. Qualche uccellino
doveva aver
rivelato a Cassandra che il verde smeraldo era il suo colore preferito,
dato
che indossava un abito proprio di quel colore. La gonna ampia la faceva
sembrare ancora più piccola di quello che era in
realtà ma doveva ammettere
che, con i capelli raccolti e le labbra dipinte di rosso aveva un che
di
magnetico.
Cassie si avvicinò e sorrise mentre Alex prendeva e
baciava la mano che lei gli aveva porto.
La esaminò velocemente con lo sguardo e le ordinò
“Troppi
gioielli, toglili”
Quella frase ferì appena Cassie, non per il contenuto,
anche lei aveva giudicato quei gioielli come troppi e troppo
appariscenti ma
sua aveva insistito. A ferire Cassie fu il tono usato dal fidanzato, un
tono
che la faceva sentire piccola e insignificante.
Nonostante ciò prese tornò in camera, si tolse
tutti quei
ninnoli e indossò un semplice paio di orecchini e
tornò fuori, stampandosi
addosso un sorriso.
“Siete pronta?” le domandò Alex.
Cassie annuì e i due scesero a braccetto le scale per poi
venire annunciati ed entrare nel salone dove tutti gli si attorniarono
per congratularsi,
primi fra tutti Agatha, i signori Floral e la signora Dashwood.
Dopo un breve ballo il lungo cerimoniale di saluti
continuò senza sosta, un continuo susseguirsi di saluti e
congratulazioni che
durò ore.
Non conoscevano la maggior parte di loro ma tutti
conoscevano loro o meglio i loro genitori. Ad un certo punto si
separarono per
continuare a parlare con i singoli ospiti.
Agatha scivolò dietro una delle tende
e, attraverso una
porta finestra laterale, uscì sul grande terrazzo che si
affacciava sul
giardino. Non ne poteva più di ballare con perfetti
sconosciuti che si
adoperavano in salamelecchi vari. Almeno era riuscita a togliersi di
dosso
Frederick Shafiq nascondendosi lì. In un gesto del tutto
naturale i suoi occhi
puntarono verso le scuderie ma notò con rammarico che tutte
le luci erano spente,
probabilmente, vista l’ora, anche Lionel era andato a letto.
Sospirò delusa,
appoggiandosi alla balaustra di marmo chiaro. Poi la vide. Una figura
in piedi,
nascosta dietro la fontana nel bel mezzo del giardino che sembrava
guardare in
direzione dei grandi finestroni della sala da ballo. Era sicura che
fosse lui.
Lo avrebbe riconosciuto anche a occhi chiusi.
Scese le scale piano. Lionel era ancora intento a
guardare verso il finestrone principale come in trepidante attesa di
vederla
dietro una di quei vetri. Non si aspettava la sua voce che lo chiamava
dal suo
stesso livello, lontano dal lusso e dalla festa.
“Lionel…”
Il ragazzo si voltò e i suoi occhi si illuminare nel
vedere quanto era bella Agatha con quel lungo abito color panna,
tagliato
appena sotto il seno e con il corpetto tempestato di pietre che
luccicavano
sotto la luce della luna.
“Siete bellissima”
“Grazie” rispose lei imbarazzata. Non era abituata
a
ricevere complimenti soprattutto non da qualcuno che sembrava volerla
mangiare
con il solo sguardo.
“E’ bella la festa?” le
domandò con le mani in tasca.
“Noiosa, a dire il vero” sorrise lei, sorniona.
Lionel
ricambiò il sorriso, stando al gioco.
“Vi va di fare una passeggiata?”
“Ma certo”
In un attimo sparirono nelle ombre della notte, nella zona
del parco di Villa Floral che le lanterne non arrivavano ad illuminare
e,
finalmente lontano da occhi e orecchi indiscreti, poterono tornare ad
essere
loro stessi.
“Allora, dove mi stai portando?” domandò
Agatha mentre
camminavano mano nella mano.
Lionel le rispose con voce suadente “Ovunque e da nessuna
parte”
Quelle parole non fecero altro che suscitare maggiore
interesse nella giovane che arricciò leggermente le labbra,
curiosa di scoprire
cosa avesse in mente.
Dopo aver chiesto anche a sua sorella se aveva
visto
Alice Storm in giro l’aveva trovata nella sala più
piccola mentre ballava
insieme alle sorelle sulle note di una musica piuttosto allegra e
movimentata,
scelta ormai per chi aveva resistito fino a quell’ora della
notte. Da una parte
gli dispiaceva interromperle ma era l’unico modo per far
sì che lei non gli
sfuggisse dopo che lo aveva evitato tutta la sera, come anche i giorni
precedenti.
Alice se lo ritrovò venirle incontro ma non poté
spostarsi insieme ad Alexandra e Violet ma non avrebbe mai immaginato
che
Christopher avrebbe avuto l’ardire di interromperle mentre
danzavano.
“Alice, posso parlarvi?”
Le due sorelle più grandi ammiccarono verso di lei e in
tutta risposta Alice cercò di fulminarle con lo sguardo.
“In privato” specificò Christopher.
La ragazza balbettò una risposta affermativa prima che
lui le prendesse la mano e la condusse in un salottino privato
lì accanto.
“Perché mi ignorate?” domandò
appena Alice si fu chiusa
la porta alle spalle.
Dato che lei non rispose incalzò “Mi evitate da
quel
giorno nella serra, perché? È stato tanto
brutto?”
Ascoltando quelle parole Alice non riuscì a frenare la
propria lingua e le venne naturale rispondere di no. In effetti in quei
giorni
aveva avuto modo di ripensare a quel bacio e ancora ricordava la
sensazione
delle labbra di Christopher sulle sue. Era stata la cosa più
magica che avesse
mai provato.
“E allora?”
“Ve l’ho detto. Non sono interessata a un fidanzato
o
all’accenno di qualsiasi cosa che potrebbe portare ad un
matrimonio. Io sono
Alice Storm, non voglio essere la signora
prego-inserire-il-nuovo-cognome! Non
voglio vivere nell’ombra di un uomo! Ho visto i matrimoni dei
nostri genitori.
Mia madre non ha fatto altro che sfornare figli e meno esprime la sua
opinione
meglio è! Non voglio una vita così”
“E non sarà così”
cercò di dire lui.
“Promesse, solo promesse” disse con amarezza prima
di
uscire dalla stanza lasciandolo solo e incredulo.
Con tutta quella confusione gli era scoppiato un
fortissimo mal di testa. Era sempre così, ad ogni festa a
cui si sentiva
costretto a partecipare.
Markus si alzò dalla sedia dove era seduto e usò
il
bastone per guidarsi fino alla grande terrazza che dava sul giardino.
Magari
l’aria fresca lo avrebbe aiutato, come faceva di solito. Per
una volta era contento
di non poter vedere, poteva solo immaginare quanto sarebbe stato
difficile
guardare Cassandra e Alexander che facevano la coppietta felice.
Si appoggiò alla balaustra di marmo respirando a fondo
l’odore dell’erba e del rampicante che avvolgeva i
corrimano delle scale per il
giardino.
Udì un paio di passi alle sue spalle ma dato che non gli
suonarono familiari decise di ignorarli, finché una voce
alle sue spalle gli
domandò.
“Odgen Stravecchio, signore?”
Declinò l’offerta ma almeno
l’interruzione da parte del
cameriere gli servì per dare una collocazione temporale;
erano arrivati al
cioccolato, ai sigari e all’Odgen, non mancava poi molto alla
fine della festa.
Era talmente sovrappensiero con badò molto agli altri
passi e si limitò a dire “Ho detto che non lo
voglio”.
“Volere cosa?” chiese la familiare voce di Cassie.
Markus si voltò verso di lei e balbettò
“Mi dispiace…era
solo per un cameriere”
La ragazza ridacchiò e andò ad appoggiarsi anche
lei alla
balaustra.
“Non riuscivo a resistere lì dentro,
l’aria era diventata
irrespirabile a causa del fumo dei sigari”
“Capisco” commentò passivamente Markus
Dopo qualche attimo di silenzio fu Cassandra a parlare.
“Voi come state?” chiese sinceramente interessata.
Aveva dovuto ammettere che
un pochino le era mancato in quei giorni ma sapeva che era necessario
mettere
della distanza tra loro.
“Sto bene” mormorò.
“State cercando di convincere me o voi?” e in un
gesto
involontario appoggiò la mano su quella di lui che
sentì subito la sensazione
di qualcosa di metallico sulla mano. Un anello di fidanzamento.
Con un tempismo a dir poco perfetto Alex uscì sulla
terrazza e assistette alla scena e richiamò subito la sua
fidanzata.
“Cassandra!”
Lei si voltò impaurita. “Alexander, non stavamo
facendo
niente di male”
“Ne parliamo dentro” rispose lui burbero. Cassandra
si
scusò velocemente con Markus e seguì Alexander
fino allo studio di suo padre.
Era furioso.
“Ti ho detto di stare lontana da lui! Mancano solo
quattro settimane al matrimonio! Se fosse uscito qualcun altro cosa
avrebbe
visto? Una donna quasi sposata molto molto vicina ad un altro
uomo”
“Io…non ci ho pensato” ammise Cassie
abbassando lo
sguardo.
“Esatto! Non avete pensato!”
Cassie cercò di avvicinarsi e appoggiare una mano sul suo
braccio “Alexander…mi dispiace” ma lui
la scansò malamente.
“Smettetela di scusarvi e iniziate a comportarvi come una
donna, non come una bambina!” le urlò contro. Gli
occhi azzurri di Cassandra si
riempirono di lacrime. Aveva toccato un tasto dolente. Essendo lei la
più
piccola in famiglia era stata trattata sempre come una bambina, come se
non
fosse in grado di prendere decisioni importanti da sola, come se fosse
stata
una specie di bambolina nelle mani altrui e quella storia del
matrimonio
combinato ne era la conferma.
Non pianse, non di fronte ad Alex. Non voleva dargli la
soddisfazione di vederla colpita perciò si
allontanò dove nessuno poteva
vederla prima di crollare.
All’interno della villa la festa era
proseguita per tutta
la notte mentre Lionel e Agatha avevano passato quelle ore a camminare
mano
nella mano e a parlare. Avevano parlato di tutto, delle loro famiglie,
delle
loro passioni e dei loro sogni. Avevano parlato liberamente, senza
freni e
preconcetti. Era diverso che parlare con tutti gli altri bellimbusti
con cui
aveva sempre avuto a che fare.
Se ne stavano seduti su una coperta sul prato, nella radura
dove avevano fatto il pic-nic solo qualche giorno prima quando le prime
luci
dell’alba schiarirono il cielo, rivelando la bellezza del
paesaggio intorno a
loro anche se la mente di Lionel non poteva non correre alla bellezza
della
ragazza al suo fianco.
“Agatha” la chiamò dopo qualche attimo
di silenzio. Lei
si voltò e lo guardò perplessa.
Lionel sorrise e le prese le mani tra le sue parlando
letteralmente con il cuore in mano. “Agatha…tu sei
speciale, diversa da tutte
le altre ragazze del tuo rango. So di non meritarti, di non esserne
all’altezza
ma vorresti passare il resto della tua vita con me? Vorresti diventare
mia
moglie?”
Agatha sbatté un attimo le lunghe ciglia. Ci mise qualche
secondo a comprendere cosa lui le stesse veramente chiedendo ma prima
ancora
che il suo cervello elaborasse il tutto, si ritrovò ad
abbracciarlo di slancio,
annuendo con la testa. Non era la proposta che ogni donna avrebbe
sempre sognato, con fiori, candele e cioccolatini ma a lei bastava. Era
tutto splenido così com'era.
Poi si baciarono e come sempre il mondo intorno a loro sparì.
Quando le labbra di Lionel si spostarono sul suo collo,
percorrendone tutta la lunghezza, un brivido di piacere scosse tutto il
corpo
di Agatha che in un attimo si ritrovò con Lionel sdraiato
sopra di lei. Le mani
di Lionel che percorrevano le sue gambe nude sotto la gonna le
provocavano una
sensazione così nuova eppure così bella.
Spogliati dei loro vestiti e delle loro differenze di
rango e finalmente insieme erano perfetti.
Ci fu un attimo, un attimo solo in cui Agatha si chiese
come qualcosa di così bello potesse essere così
sbagliato ma poi i corpi dei
due amanti si fusero insieme e tutto il resto non aveva più
importanza. C’erano
solo loro in quel momento magico.
Dopo quello che era successo Agatha non poteva
certo
rientrare in casa come se niente fosse, ancora con il vestito della
festa
addosso e con quel sorriso da orecchio a orecchio su cui tutti si
sarebbero
interrogati. Si smaterializzò in camera sua e gli occhi
vennero catturati
subito dal letto sfatto. Capì subito che sua sorella era
alle sue spalle ancora
prima che Cassandra esordisse con un
“Dov’eri?” ma come faceva sempre quando
era arrabbiata Cassie non le diede il tempo di replicare che
continuò “Eri con
lui vero?”
Agatha si sentì come una bambina colta con le mani nella
marmellata e si limitò ad annuire non riuscendo a togliersi
quel sorrisetto
dalle labbra, sorriso che sparì immediatamente appena la
sorellina alzò gli
occhi su di lei. Aveva un’espressione delusa…ma
cosa era successo mentre lei
era via?
“Ti ho cercata…avevo bisogno di te ma tu non
c’eri”
“Cassie mi dispiace, non potevo saperlo”
Scuotendo leggermente la testa Cassie disse “Non
importa”
Agatha cercò di avvicinarsi a lei “Ma certo che
importa…”
provò a dire ma la sorellina la scansò
allontanandosi.
“Lascia stare” disse cupa dirigendosi verso la
porta. Era
visibilmente arrabbiata.
Aggiunse solo “Papà ti cercava. Gli ho detto che
non ti
sentivi bene ed eri andata a riposare” poi aprì la
porta e se ne andò
sbattendola.
Agatha si lasciò cadere sul letto passandosi una mano
sugli occhi e poi tra i capelli. Non sapeva se definirla una litigata
quello
che era appena successo tra lei e Cassandra. Certo non era la prima
volta che
battibeccavano e sapeva come andava a finire, non riuscivano a restare
arrabbiate e a tenersi il broncio per più di dieci minuti.
Era andata sempre
così, finora.
Buongiorno,
avrei voluto pubblicare
ieri sera ma il sonno ha avuto la
meglio su di me.
Non voglio anticipare
nulla per evitare spoiler ma vi
dico che il prossimo capitolo si intitolerà
“Tempesta in arrivo” (e intanto
rido stile grinch)
Buona giornata
H.
|
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Capitolo 10 *** Tempesta in arrivo ***
Carlton se ne stava seduto sul
letto, si era a malapena tolto gli stivali e teneva lo sguardo fisso
nel vuoto.
Era la prima volta che passava praticamente tutta la notte ad una festa
e
ballando per giunta! Se ripensava a quello che era appena successo gli
sembrava
tutto troppo assurdo per essere reale.
Non era il tipo da godersi le
feste ma dopo il primo ballo con Mary, complice anche la presenza
insistente
del tipo da cui l’aveva “salvata” ne
erano seguiti uno e poi un altro e un
altro ancora.
Non poteva negare che era stato
piacevole e al passare delle ore la cosa gli era sembrata sempre
più naturale e
giusta. Solo alla fine della festa si era accorto che aveva avuto per
tutto il
tempo uno stupido sorriso ebete. Doveva aver fatto la figura
dell’idiota.
Però…anche Mary sorrideva…ed
è
sempre così bella quando sorride…
Con un leggero sbuffo Carlton si
buttò all’indietro, quasi rimbalzando con la
schiena contro quel materasso
troppo morbido per i suoi gusti, diede un colpo di bacchetta verso la
tenda che
si aprì quel tanto che bastava a far filtrare un
po’ di luce.
Era passato da fissare il muro a
fissare il baldacchino che sovrastava il letto, di quel verde
così intenso che
gli ricordava terribilmente gli i grandi e dolci occhi di Lady Marianne
Dashwood. Ma cosa gli stava succedendo? Perché non riusciva
a smettere di
pensare alla ragazza? Che poi non era una ragazza ma una bellissima
giovane
donna.
La sua mente gli palesò davanti
gli occhi l’immagine di Mary e il battito del suo cuore
accelerò
all’improvviso. Cercò di scacciare quel pensiero.
Marianne era bellissima,
socievole ed estroversa, il suo esatto opposto, avrebbe potuto avere il
mondo
ai suoi piedi…perché doveva anche solo guardare
uno come lui?
Era anche vero che aveva chiesto
aiuto a lui e non a qualcuno dei numerosi imbellettati presenti la sera
precedente.
Doveva parlarne con qualcuno. E
gli veniva in mente una sola persona. Scese dal letto e si
recò verso la
scuderia nella speranza di trovare Lionel al lavoro.
Entrò chiamandolo ma senza
ottenere risposta, guardando in giro lo vide che sonnecchiava seduto su
una
balla di fieno all’interno di uno dei box dove tenevano
l’attrezzatura.
Tutto quel fieno a terra e quello
sporco gli creavano non pochi problemi, non riusciva a impedire alle
sue labbra
di piegarsi in una smorfia di leggero schifo.
“Lio” lo chiamò scuotendolo
piano.
Lo dovette chiamare una seconda
volta prima che lui aprisse gli occhi di botto e si scuotesse domanda
“Che
c’è?”
“Devo parlarti” disse Carlton
sedendosi suo malgrado su un altro cumulo di fieno.
Lionel si mise seduto meglio,
cercando di leggere nello sguardo del fratello cosa voleva dirgli e la
prima
cosa che gli venne in mente fu il ballo della sera prima.
“Come è andata la festa?”
“Bene” si limitò a rispondere
Carlton cercando di apparire il più naturale possibile ma
Lionel lo conosceva
meglio di chiunque altro quindi ricambiò con “Bene
o bene?” fece passando da un
tono piatto a uno di un’ottava superiore.
“Bene” rispose di nuovo lui con
lo stesso identico tono di prima.
“Ha a che fare con una donna?”
Carlton impallidì, spalancando
gli occhi e Lionel seppe di aver fatto centro.
“Allora…quale delle gentili
donzelle ospiti in casa Floral ha attirato l’attenzione di
Carlton-tutto d’un
pezzo- Holmes?”
Il maggiore abbassò lo sguardo
per non far vedere quanto era in imbarazzo mentre invece Lionel
incrociò le
braccia incitandolo “Forza…sto invecchiando
qui”
“Mary” disse alla fine Cal.
“Bene bene bene” fece l’altro con
un sorrisetto, cosa che gli fece guadagnare uno sguardo di rimprovero.
Lionel
capì che suo fratello non aveva affatto voglia di scherzare.
“Beh prova a invitarla fuori a
fare una passeggiata o qualcosa del genere…va spesso a
cavallo, sai?”
“Lo sai che non amo i cavalli…”
“Non ami i cavalli, non ami lo
sporco, non ami l’aria aperta…ma credo che se
fossi con lei li ameresti almeno
un po’”
Carlton annuì mentre nella sua
mente si faceva strada l’idea che dovesse per forza cambiare
per tentare di
piacerle.
Nonostante avesse passato la
notte completamente sveglia, Agatha non era riuscita a chiudere occhio
quella
mattina ma non si era comunque mossa dalla sua camera, un po’
anche per confermare
la storia del suo lieve malessere della sera prima.
Si rigirò coprendosi il capo con
la trapunta color salmone che sua madre aveva voluto far mettere per
forza
perché particolarmente adatta ad una ragazza.
Aveva ancora addosso le
sensazioni di quella splendida notte o meglio di quella splendida alba
ma
adesso il suo cervello si stava lentamente riattivando e le sembrava
veramente
incredibile quello che era successo, aveva davvero accettato la
proposta di
matrimonio di Lionel. Se avesse visto la situazione
dall’esterno l’avrebbe
giudicata una vera e propria follia ma adesso che ci stava dentro
vedeva tutto
in modo molto meno lucido. Sposare un uomo che fondamentalmente non
aveva nulla
da offrirle era una vera e propria follia, sarebbe stato sicuramente
più giusto
sposare il solito damerino ma nessuno dei ragazzi che
l’avevano corteggiata le
avevano mai fatto provare qualcosa di
così…intenso. Con Lionel poteva essere se
stessa, senza badare a come camminava, come parlava o come era vestita.
Forse
era così che Vincent si era sentito a suo tempo,
evidentemente con quella donna
che aveva sposato e di cui lei non conosceva neanche il nome, si era
sentito
libero e vivo più che mai.
Un leggero bussare alla porta
attirò la sua attenzione e appena dopo che rispose
“Avanti” spuntò la figura di
Mary Dashwood.
“Ciao” la salutò con un caldo
sorriso che Agatha ricambiò subito, Mary continuò
chiedendole come stava visto
che aveva sentito dire che la sua amica non stava molto bene.
“Sto meglio” affermò la biondo da
dentro al letto ma seppe di essere stata poco convincente quando
l’amica alzò
un sopracciglio con fare scettico.
Mary si avvicinò al letto
guardando di sottecchi Agatha “Vorresti farmi credere che la
tua sparizione di
ieri sera non ha niente a che fare con un bel giovane?”
Prima che l’altra potesse
rispondere Mary aggiunse spalancando gli occhi “Oddio, non
dirmi che si tratta
di Mr. Dalton… le voci non fanno altro che dire che
è molto innamorato di te!”
trillò ammiccando.
Agatha rimase leggermente
spiazzata, senza sapere cosa rispondere. Insomma, non poteva certo
dirle che
era totalmente fuori strada e che aveva trascorso la serata con il suo
futuro
marito, un semplice stalliere, un figlio illegittimo e non
l’erede di una
grande casata.
Si era creato un attimo di
silenzio tra le due che Mary interpretò, con gran sollievo
della sua migliore
amica, come la volontà di tenere tutto per sé.
“Oh andiamo, vuoi davvero tenerti
tutte le cose interessanti per te?”
Agatha gongolò nel tentativo di
assecondare la cosa, in realtà avrebbe voluto parlarle di
Lionel ma, per il
momento, meno persone sapevano meglio era.
Alla fine Agatha decise di
alzarsi e di vestirsi per unirsi a Mary e a chi aveva deciso di passare
la
giornata in casa visto che il meteo sembrava intenzionato a peggiorare.
Scesero nella grande biblioteca e
si accomodarono su un paio di poltroncine di broccato blu per leggere
qualcosa,
visto che c’erano tutti gli ospiti in giro Mary non si era
portata uno dei suoi
libri babbani e quindi dopo un po’ si avventurò
alla ricerca di qualcosa di
interessante da leggere.
Agatha ne approfittò per mettersi
in pari con un romanzo che aveva cominciato a inizio estate e che aveva
messo
da parte a causa di alcuni “ospiti”. Era immersa
nella lettura ma la voce di
sua sorella le arrivò ancora prima che la figura di Cassie
entrasse nel suo
campo visivo.
“Un gufo è appena arrivato dal
Ministero. C’è una tempesta in arrivo e
raccomandano che tutte le persone
restino dentro casa” affermò avvicinandosi alla
finestra. La minore si guardò
intorno ma stando attenta a non incrociare gli occhi della sorella,
sicura di
non essere udita Cassie suggerì ad Agatha “Fai
rientrare Lionel, c’è posto per
dormire negli alloggi vicino le cucine”
Non l’aveva guardata ma Agatha
intuì che quel passo, quella cosa detta da quella piccola
orgogliosa di sua
sorella era il segno che Cassie voleva fare pace, anche se non lo
avrebbe mai
ammesso. Era sempre stato così, fin da quando erano
più piccole. Bisticciavano
e si mettevano il broncio ma non stavano mai più di un
giorno senza parlarsi,
erano troppo orgogliose per chiedersi scusa direttamente quindi magari
una
andava dall’altra con un biscotto al cioccolato o uno
zuccotto di zucca da
dividere.
Nel frattempo Mary si muoveva tra
gli scaffali, passando da una stanza a un’altra i suoi occhi
si posarono su
Carlton Holmes completamente catturato dalla lettura. Non si accorse
minimamente quando lei gli passò accanto e poi si
piazzò dietro di lui. Mary
sbirciò oltre le spalle del ragazzo, tutte quelle scritte
strane, sembrava
quasi un trattato scientifico, scritto in una lingua
tutt’altro che
comprensibile.
“È interessante?” chiese la
ragazza candidamente.
Carlton si voltò di scatto,
leggermente spaventato e non riuscì a trattenersi dal
balbettare mentre
rispondeva “Sì, piuttosto interessante”
La ragazza piegò la testa curiosa
mentre si appoggiava con le braccia allo schienale della poltrona.
“Strano
perché sembra scritto in una lingua che non è la
nostra”
Carlton le riservò un sorrisetto
che aveva un che di beffardo che mandò un attimo in
confusione Mary.
“Certo voi preferite letture di
altro genere…oserei dire di
altre…origini?”
La giovane sgranò gli occhi
domandandosi cosa sapesse lui. Il suo cervello si oscurò per
un attimo, era
mere parole buttate lì o Carlton Holmes sapeva che lei e suo
fratello leggevano
libri babbani? E se lui lo sapeva allora potevano saperlo anche tutti
gli
altri.
Prima che potesse parlare
Carlton, come se le avesse letto nel pensiero, dissipò i
suoi dubbi “Vi ho
vista leggere libri babbani” poi aggiunse “Non
credete che sia una
cosa…strana?” Il fatto che per la seconda volta
nel giro di pochi minuti lui
avesse ponderato attentamente le parole da usare la fece sorridere.
“Non avete mai letto un libro
babbano vero?”
Carlton tentennò prima di ammettere
che no, non aveva mai letto un libro babbano, non ci aveva neanche mai
pensato,
non aveva mai provato curiosità verso ciò che
accadeva al di fuori del suo
mondo, sapeva solo che la regina era una babbana di nome Victoria e che
la
Ministra della Magia Orpington incontrava spesso il primo ministro
britannico,
un certo Russell ma no, non si era mai interrogato sulla letteratura
non
magica.
“Aspettatemi qui” disse
improvvisamente Mary per poi sparire con un pop. Solitamente nessuno si
smaterializzava all’interno della casa di altri
perché era considerato molto
sconveniente comparire all’improvviso senza essere annunciati.
Marianne Dashwood ricomparve
qualche istante più tardi con un libro tra le mani,
allungò un braccio
porgendolo a Carlton, che appoggiò il suo libro sul tavolino
di cedro lì
accanto e diede un’occhiata scettica al volume babbano.
The Lancashire Witches
Lei lo guardò analizzare la
copertina del libro, aprirlo e poi guardarla interrogativo. Carlton
voleva
sapere perché lei avesse scelto proprio quella lettura.
Mary fece spallucce, non voleva
dare troppe spiegazioni ma disse semplicemente “Leggere come
i babbani ci
vedono, o meglio ci vedevano, è incredibilmente
affascinante”
Carlton sembrò rifletterci su
mentre sfogliava qualche pagina del libro.
“Non avete mai pensato che anche
i non magici sanno realizzare qualcosa di grandioso, vero? Non credete
che sia
un po’ presuntuoso pensare che noi siamo gli unici
intelligenti?” lo provocò
con un sorriso ma Carlton reagì in modo lievemente permaloso
“Semplicemente non
mi è mai venuta la curiosità” si
giustificò. Quando vide il sorriso sulle
labbra di Mary allargarsi Carlton si sentì confuso.
“Tenetelo. Leggetelo e fatemi
sapere cosa ne pensate”
Gli occhi del giovane Holmes si
spostarono ritmicamente dal libro al viso della ragazza.
“Tranquillo. Io l’ho già letto.
Scommetto che vi piacerà…sono pronta a
scommetterci qualsiasi cifra…che ne dite
di 10 falci?”
A Carlton scappò quasi il soffio
di una risata “Va bene” sentenziò
porgendole la mano per poter sancire quel
patto.
Cassie camminava lungo il
corridoio come se stesse andando verso il patibolo. Quando suo padre la
convocava nel suo studio non era mai una cosa positiva, il suo unico
pensiero
era che non sarebbe potuta andare peggio dell’ultima volta
visto che ci aveva
rimediato un contratto matrimoniale.
Allungò una mano per bussare ma
non fece in tempo poiché la porta si aprì
magicamente e le giunse alle orecchie
la voce del signor Floral.
“Cassandra entra”
La ragazza entrò e si chiuse la
porta alle spalle mentre l’uomo insonorizzava la stanza con
un veloce Muffliato. Era una sua
abitudine, lo
faceva sempre per evitare che qualcuno si immischiasse in affari che
non gli
riguardavano.
Cassie si accomodò sulla poltrona
di fronte a lui che la guardava con cipiglio severo.
Come al solito l’uomo non girò
intorno alla questione e andò dritto al punto. “Ho
sentito che hai litigato con
Alexander dopo il ballo…” lasciò la
frase in sospeso come se si aspettasse una
giustificazione.
“Padre…lui non ha il minimo
rispetto per me!” si lamentò la bionda ma tutto
quello che ricevette in cambio
fu un’alzata di sopracciglio.
“Da quello che ho sentito mi
sembra esattamente il contrario. Quell’uomo sarà
presto tuo marito, è tuo
dovere amarlo, servirlo, onorarlo e obbedirgli” disse lui
citando alcune delle
promesse contenute nei voti nuziali.
“Ma non posso amare una persona
del genere!” protestò di nuovo la ragazza.
Il signor Floral si alzò, girò
intorno alla scrivania in mogano e si avvicinò alla figlia
minore posandole un
dito sotto al mento per farle alzare il viso fino a guardarlo.
“Tu puoi perché devi” le
suggerì
in tono dolce ma Cassie si tirò indietro. La sua espressione
tradiva il suo
essere ferita e offesa.
“Su, dovresti sentirti fortunata.
Alexander è un bel ragazzo e l’erede di una grande
famiglia”
Gli occhi azzurri della giovane
si sollevarono verso il soffitto prima di tornare sul padre con lo
sguardo
infuocato.
“Perché io? Ah, dimenticavo,
Agatha è la tua preferita” lo accusò
malignamente. Era sempre stato evidente per
lei che la figlia maggiore fosse la preferita del padre ma non glielo
aveva mai
rinfacciato in quel modo.
Lo sguardo di Fitzwilliam Floral
la congelò sul posto, era la prima volta che gli rispondeva
a tono ed era la
prima volta che lui la guardava così duramente.
“Tu sei più vicina ad Alexander
per età, avrai una casa e protezione e ciò
è tutto quello che voglio per le mie
figlie. Con un fratello fuggito è molto difficile trovarvi
un onorevole posto
nella società e non vi può essere occasione
migliore di questa per te, per
garantirti un futuro dignitoso. Anche tua sorella troverà la
sua strada…l’altro
giorno l’ho vista in compagnia di Carlton Holmes mentre
camminavano in
giardino, potrebbero formare una bella coppia”
Cassie si trattenne dallo
scoppiare a ridere. Sua sorella con Carlton… non ce li
vedeva proprio insieme,
soprattutto considerato con chi Agatha avesse a che fare in
realtà.
Fu la voce di suo padre a
riportarla all’attenzione, abbassò automaticamente
lo sguardo quando lui la
pregò di portare avanti un matrimonio di successo e di
impegnarsi per andare
incontro al carattere del suo futuro marito. Doveva assolutamente
parlare con
Alexander e mettere in chiaro alcune cose.
Alice si sedette al tavolino dove
l’attendevano una tazza di earl grey e suo fratello. Sorrise
a Markus e sollevò
la tazza di candida porcellana per portarsela alle labbra.
“Allora” fece dopo aver bevuto un
sorso “Di cosa volevi parlarmi?” gli chiese
guardandolo di sottecchi. Quando
Markus le chiedeva di parlare si trattava quasi sempre di qualcosa di
importante, cosa che la spingeva a mettere da parte il suo animo da
ragazzina
ribelle e a comportarsi davvero da sorella.
“Sto pensando di tornare a casa”
le annunciò tamburellando appena con le dita sulla superfice
liscia del tavolo.
Alice avrebbe voluto sembrare
stupita ma la realtà era che si aspettava una reazione del
genere da Markus,
conoscendolo sapeva quanto lui soffrisse nell’assistere ai
preparativi per il
matrimonio tra Cassandra Floral e Alex Dashwood. Al contempo, essendo
lui l’erede
della famiglia Storm aveva il dovere morale di restare, di essere
presente in
eventi mondani come quello che era in programma.
“Non ho ancora deciso ma…ci sto
pensando” affermò Markus che aveva percepito la
titubanza della minore tra le
sue sorelline. Non voleva lasciare Alice, anche se c’erano i
suoi genitori e
allo stesso tempo la voglia di scappare di lì era immensa.
Cercò comunque di tranquillizzare
sua sorella promettendole che ci avrebbe pensato bene per qualche
giorno poi,
deciso a cambiare argomento tirò fuori la questione
scottante “Allora, come è
andata con Christopher Turner?”
“Gli ho detto semplicemente che
non mi interessa” rispose Alice facendo finta di niente.
“Ancora non capisco perché…sembra
una brava persona e da quello che parli sembra molto affezionato a voi,
carpe
diem no?” osò dire.
“E parlate proprio voi di
cogliere l’attimo? Forse se vi foste mosso prima nei
confronti di Cassandra…”
“Appunto, non fate gli stessi
errori fatti dal sottoscritto”
Come se evocato dal discorso
Christopher fece il suo ingresso nel salottino e salutò i
due allegramente.
Appena sentita la voce del
ragazzo Markus ne approfittò per alzarsi in piedi e
annunciare che doveva
andare a parlare con suo padre.
“Tenete voi compagnia a mia
sorella, Christopher?” domandò rivolgendosi al
punto da dove aveva sentito
provenire la voce dell’altro.
Chris rimase leggermente
spiazzato dalla domanda, non che gli dispiacesse ma la situazione era
un po’
strana a causa di quello che era successo alla festa. Era stato
palesemente rifiutato
ma lui non era tipo da arrendersi, mai.
Markus lasciò la stanza sotto lo
sguardo inceneritore della sua sorellina che nel frattempo lo
malediceva
mentalmente per averla lasciata in quella situazione.
Si sedette al posto lasciato
libero da Markus e rivolse uno sguardo serio alla giovane di fronte a
lui.
“Alice, io ho pensato alle parole
che mi avete rivolto…”
“Christopher…” intervenne lei,
non voleva affrontare quel discorso.
“Non interrompetemi, vi prego”
A quelle parole Alice richiuse la
bocca muta come un pesce rosso, non riuscì comunque a
mettersi comoda, anzi
rimase piuttosto tesa, con la schiena dritta e le mani avvolte
nervosamente
intorno alla tazza da tè.
“Come dicevo” continuò lui “Ho
pensato a quello che mi avete detto e capisco cosa intendete, siete
giovane e
così…libera, capisco la vostra volontà
di non essere chiusa in gabbia ma…” ci
pensò un attimo prima di continuare “una relazione
affettuosa non vuole dire
necessariamente questo, non vuole essere una prigione ma più
un rifugio…due
braccia amorevoli in cui rifugiarvi nei giorni bui, qualcuno con cui
condividere le piccole e le grandi cose”
Effettivamente quello era un modo
di vedere le cose su cui Alice non aveva mai riflettuto abbastanza.
Tutti gli
amori che erano passati sotto i suoi occhi erano stati forzati, tutte
le spose
erano state in qual modo piegate alle volontà dei mariti,
non aveva ancora
avuto modo di appurare che amore poteva anche essere puro, leggero,
divertente
e naturale.
“Vi prego, datemi l’occasione per
mostrarvi che potreste essere felice…solo
un’occasione” la pregò prendendo una
delle sue mani, che Alice aveva inavvertitamente abbandonato sul
tavolino.
La ragazza lo guardò, aveva occhi
sinceri e colmi di speranza e lei non poté trattenere un
piccolo sorriso nel
vedere quella sua espressione.
Nemmeno si rese conto di
pronunciare quelle parole “E sia…dimostratemi che
ho torto”
Le nuvole si stavano addensando
sempre più rendendo il cielo scuro. Sembrava quasi essere
scesa la sera sulle
isole Shetland mentre invece era ancora pieno giorno. Tutti gli ospiti
di Villa
Floral erano rimasti in casa, dato il vento impetuoso e la minaccia
della
tempesta in arrivo. Sembravano essersi sparsi tutti tra i salotti, le
sale musica
e la biblioteca. Un’idea che stuzzicava la mente di Evelyn,
sapeva che nessuno
l’avrebbe vista e quindi avrebbe potuto fare un salto nel
passato e tornare a
divertirsi come faceva quando, di nascosto, Christopher cercava di
insegnarle a
tirare di scherma, prima che la loro mamma li scoprisse.
Scese le scale che conducevano al
piano seminterrato, dove c’era la sala in cui praticare
scherma. Trasfigurò il
proprio vestito in un completo da amazzone, sicuramente più
pratico per fare
attività fisica. Già nell’anticamera si
accorse, grazie alle grandi porte a
vetri, che c’era qualcuno all’interno.
Sbirciò all’interno e vide una figura
maschile che si esercitava. I suoi occhi rimasero fissati su quel petto
nudo,
su quel fisico asciutto e imperlato di sudore. Ci mise qualche momento
a
riconoscere nel bel cavaliere, l’uomo che aveva visto alla
festa che sapeva
solo essere un Black.
Era terribilmente affascinante,
si muoveva in modo fluido quasi come stesse danzando.
In un mezzo giro, si ritrovò gli
occhi di lui addosso. Evelyn avrebbe voluto sotterrarsi o scappare ma
sapeva
che ciò avrebbe solo peggiorato la sua situazione,
già di per sé imbarazzante.
Di solito non si lasciava
abbindolare dagli uomini ma il sorriso che lui le rivolse la stese.
“È la prima volta in vita mia che
vedo una signorina venire ad allenarsi” commentò
con tono quasi divertito.
Evelyn cercò di nascondere il
proprio imbarazzo, soppiantato dalla preoccupazione “Non ne
fate parola con
nessuno, ve ne prego”
“E perché dovrei? Ognuno ha i
propri segreti” disse semplicemente lui “Coraggio,
entrate”
Lui aprì la porta e lasciò
passare la giovane. “Potete allenarvi con me, prometto che ci
andrò leggero,
per quanto possibile”
“Non voglio un trattamento di
favore solo perché non sono un uomo”
affermò Evelyn convinta e pronta a
sfidarlo.
Con un sorriso il giovane Black
le lanciò un fioretto che lei afferrò al volo.
Iniziarono a duellare ma ogni
tanto Evelyn si ritrovò distratta, troppo distratta, al
punto che si ritrovò a
terra ma con il sorriso di lui davanti agli occhi.
“Vi siete battuta degnamente” si
congratulò aiutandola a tirarsi su
“Ma mi sono divertita” affermò
lei
“Almeno non siamo stati fermi ad
aspettare l’arrivo della tempesta, come stanno facendo gli
altri”
“Già” sorrise di rimando Evelyn.
Avrebbe dovuto assolutamente chiedere a suo fratello se conosceva quel
ragazzo.
Sottili gocce di pioggia
iniziarono a bagnare la campagna inglese nel primo pomeriggio, se non
fosse
stato per il vento che sferzava gli alberi nessuno avrebbe supposto che
stava
arrivando una tempesta. Mano a mano che i minuti passavano la pioggia
iniziava
a intensificarsi. Agatha gettò un’occhiata fuori
dalla finestra mentre
camminava lungo il corridoio del secondo piano. I suoi occhi si
posarono in un
gesto automatico sullo spiraglio di scuderia appena visibile. La porta
era
ancora aperta, segno che quel testone del suo fidanzato non era ancora
entrato
all’interno dell’abitazione.
Sbuffò e iniziò a discendere le
scale piuttosto in fretta. Uscì dal portone principale della
villa, non poteva
assolutamente permettersi di passare attraverso la cucina e che il
personale e
gli elfi domestici la vedessero andare nelle scuderie e tornare con un
ragazzo.
Alzò appena la gonna blu di
broccato mentre incespicava nel terreno umido. Arrivò
all’interno della
scuderia e scorse subito Lionel che se ne stava tutto tranquillo a fare
il suo
lavoro, come se intorno a lui non stesse accadendo nulla.
“Tu!” lo additò andandogli
incontro “Per la barba di Merlino, non hai visto che tempo
c’è fuori? Se il
vento peggiora potrebbe anche spazzare via la scuderia!”
“Non ho intenzione di abbandonare
i miei cavalli” replicò lui tranquillo.
Agatha alzò gli occhi al cielo,
sforzandosi di non affatturarlo. “Oh ma certo, restiamo qui a
morire per fare
compagnia ai cavalli! Come avevo fatto a non pensarci?” fece
sarcastica.
Lionel la guardò prima di
replicare ma le parole gli si bloccarono in gola quando vide i boccoli
biondi
di Agatha ricaderle scomposti sul viso corrucciato e il vestito sporco
di
fango. Era quasi comica ma bellissima.
Con un paio di falcate arrivò a
pochi centimetri da lei. “Che
c’è?” fece per chiedere Agatha appena
prima che
le sue labbra venissero catturate da quelle di Lionel.
“Sei bellissima”
“Ruffiano” commentò arricciando
le labbra appena si furono staccati.
Agatha intrecciò le mani con
quelle di Lionel. “Vieni dentro, per favore”
“Finisco di sistemare una cosa e
poi mi unirò all’allegro gruppo di elfi
domestici”
“Promesso?” chiese con gli occhi
da cucciolo.
“Promesso” concordò Lionel
avvicinandosi per baciarla.
Stavano ancora vicini, le labbra
che si fioravano appena quando l’idillio venne rotto da una
voce maschile.
“Penso che sia abbastanza, Agatha”
La ragazza si girò per trovare
suo padre all’entrata dell’edificio.
“Papà”
Il signor Floral guardò prima la
figlia e poi Lionel. “Holmes, vada nelle cucine”
ordinò “Agatha” richiamò la
giovane e le fece cenno di seguirlo.
Mentre lo seguiva certa che
sarebbero andati nel suo studio cercò di chiamarlo ma il
signor Floral non
diede il minimo segno di averla sentita.
“Papà vi prego… posso
spiegare”
L’uomo aprì la porta di pesante
mogano e lasciò entrare la figlia. Se la chiuse alle spalle
sigillandola con un
Muffliato che fece quasi accapponare la pelle ad Agatha.
Vede suo padre sedersi alla
scrivania e lei si accomodò lì davanti,
iniziò a tamburellare involontariamente
con il piede.
“Pretendo delle spiegazioni”
disse lui incrociando le mani sotto al suo mento.
Agatha iniziò a parlare
ininterrottamente spiegando come si erano incontrati ma visto che stava
parlando senza scandire le parole e data la perplessità del
padre, arrivò
dritta al punto “Noi siamo innamorati”
L’uomo prese un bel respiro. Ma
cosa avevano le sue figlie che non andava? Perché dovevano
dargli sempre dei
grattacapi? E lui che avrebbe voluto solo fumarsi un sigaro in santa
pace!
“Questa storia deve finire”
“Ma papà…”
protestò Agatha
rivolgendo uno sguardo implorante al genitore che mise una mano avanti
per
bloccarla.
“Ricordi quando avevi sette anni
e tuo zio Clayton sposò la giovane Diane Longbottom? Mi
chiesi di farti scegliere
l’uomo che avresti dovuto sposare e io te lo promisi. Ho
tenuto fede alla mia
promessa finora e ho intenzione di farlo ancora ma ti avviso che nella
rosa di
possibili candidati il giovane Lionel Holmes non è
compreso”
Senza nemmeno pensarci Agatha
domandò “Perché?”
“Lui non è all’altezza!”
esclamò
Fitzwilliam Floral iniziando ad adirarsi “Porta il cognome
degli Holmes ma non
vanta alcun diritto sul loro patrimonio, non è
nient’altro che un bastardo!
Solo un decreto regio potrebbe cambiare le cose ed Elizabeth Holmes non
permetterà mai a suo marito di richiederlo”
“Non mi interessa. Io lo amo e
voglio diventare sua moglie” affermò convinta. Non
aveva riflettuto sulle
parole appena dette ma era vero, amava profondamente Lionel e dalla
fierezza
con cui lo difendeva, il signor Floral capì che la figlia
maggiore non mentiva.
“Agatha…capire l’amore di un
genitore per un figlio è impossibile finché non
si diventa genitori a propria
volta…volere il meglio per una persona…Lionel
Holmes non è il meglio. Non posso
permettere che tu faccia lo stesso errore di Vincent. Te lo ripeto,
questa storia
deve finire o perderai tutto: abiti, soldi, famiglia… il
gioco vale la candela?”
Alexander alzò gli occhi al cielo
per l’ennesima volta quel pomeriggio, sua madre e la signora
Floral avevano
coinvolto lui e Cassandra nella scelta del menù per i
festeggiamenti del loro
matrimonio. Solitamente si sarebbe dovuto trattare di
un’attività relativamente
piacevole ma tutto quel ciarlare da donne lo stava annoiando
terribilmente.
Incredibilmente neanche la sua futura moglie non sembrava
particolarmente
interessata a quello che era il nuovo oggetto di conversazione: i
tovagliati.
Ringraziò mentalmente Salazar e
tutti i fondatori quando le due donne si alzarono per spostarsi nella
stanza da
cucito. Decise di approfittare della situazione per defilarsi anche lui
e stava
per congedare Cassandra quando lei si alzò, in
contemporanea, per fermarlo.
“Alexander…questa situazione non
può rimanere tale. Per la disgrazia di entrambi quel
contratto è stato firmato
ed entrambe le nostre famiglie ne trarranno vantaggio. So che un
matrimonio senza
amore può esistere ugualmente e infatti non pretendo
amore… Dovremo passare
molto tempo insieme Alexander e quel tempo potrebbe essere anche solo
minimamente più piacevole se ci fosse un rapporto di
amicizia a fare da fondamenta”
Alex sembrò pensarci su un attimo.
Era la prima volta che la ragazza gli si rivolgeva con tanta sicurezza
ma
dovette ammettere che quell’atteggiamento, quello di una che
sa cosa vuole, le
faceva guadagnare punti. Non sembrava più solo una bambina.
Gli costava molto ammetterlo ma
forse la giovane Floral aveva ragione.
“Suppongo che si potrebbe fare.
Forse potremo essere amici”
Buonasera!
Per prima cosa ci tengo
a
scusarmi per il ritardo (circa un mese) con cui pubblico questo
capitolo ma si
tratta di un ritardo giustificato, ampiamente giustificato, da un
motivo che
comporta una pergamena e una corona di alloro.
Come mi è
stato detto stamattina:
oggi è un gran giorno e accadono cose bellissime (infatti
non credevo che sarei
riuscita a pubblicare oggi, anche se ormai questo giorno è
quasi finito)
Detto questo dedico
questo capitolo,
anche se non propriamente felice, ad una persona meravigliosa che oggi
compie
gli anni, la sorella del mio cuore. Ti voglio bene sorellona
H.
|
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Capitolo 11 *** Cadute provvidenziali ***
Non
sono morta.
So
che molti lo avranno pensato data la mia assenza e capisco benissimo
chi nel frattempo abbia deciso di non seguire più la storia.
Vi
devo delle scuse, tante, tantissime scuse... il lavoro mi ha portato
via tempo ed energie e mi sono ritrovata a scrivere e cancellare pezzi
in continuazione perchè mi facevano schifo.
Ci
ho messo mesi a superare questo blocco e adesso che sono in ferie ho
provato a rimettere insieme qualche parola.
Per
chi ancora c'è...buona lettura
H.
Dopo che suo padre era uscito dallo
studio, Agatha era rimasta lì con lo sguardo rivolto fuori,
alla pioggia che
scorreva lungo il vetro. Le parole che l’uomo aveva
pronunciato l’avevano
colpita nel profondo… l’aveva minacciata che se
non avesse rinunciato a Lionel
le avrebbe tolto tutto. Più ci pensava e più le
sembrava una cosa davvero
cattiva. Come poteva chiederle di rinunciare al suo grande amore?
Sapeva che Lionel
non era certo l’uomo che Mr Floral avrebbe scelto per lei
ma…era sua figlia,
questo doveva pur valere qualcosa! In quanto suo padre lui avrebbe
dovuto volerle
bene e volerla vedere felice e invece il suo primo pensiero era al buon
nome
della famiglia, di nuovo.
Prese un bel respiro. Qualunque
scelta avesse fatto si sarebbe ripercossa su di lei e sulla sua intera
famiglia. Aveva bisogno di ponderare bene sulla questione o almeno
credeva di
averne bisogno anche se in realtà il suo cuore la spingeva
prepotentemente
verso le braccia di Lionel.
Lo amava, era inutile
rinnegarlo. E
allora cosa aspettava? Lo
avrebbe sposato, non importava cosa avrebbe detto la sua famiglia.
Ora doveva solo dire la verità a
sua sorella e alla sua migliore amica. Decise di partire da Cassandra,
le
avrebbe parlato quella sera stessa, lunghe nel suo letto come quando
erano solo
delle bambine.
***
Finalmente la pioggia era cessata e
il sole era tornato a illuminare, anche da dietro una leggera coltre di
nubi,
le isole Shetland.
Le tempeste estive erano piuttosto
frequenti in quella parte della Scozia e Marianne Dashwood lo sapeva
bene dato
che anche ai tempi della scuola passava parte delle vacanze estive
dalla sua
migliore amica.
Sua madre si era opposta fermamente
alla sua volontà di andare a cavalcare nonostante il tempo
era migliorato, ma a
Mary non importava più di tanto; aveva lasciato lei e suo
fratello ai
preparativi per il matrimonio e si era diretta verso le scuderie. Era
certa
della notevole presenza di fango a terra ma voleva provare di nuovo il
piacere
di avere la pelle scaldata dai timidi raggi del sole.
Entrò nell’edificio in legno e il
suo cuore sussultò leggermente alla vista di entrambi i
fratelli Holmes. Si
fermò un attimo di troppo a guardarli ma loro sembravano non
averla sentita,
infatti erano ancora di spalle tanto che la ragazza dovette schiarirsi
la voce
per attirare la loro attenzione.
Carlton impallidì leggermente alla
vista di miss Dashwood ma ci pensò il suo caro fratellino a
sbloccare la
situazione.
“Vuole andare a cavallo?” domandò
con un sorriso furbo Lionel alla giovane.
Mary rimase quasi turbata da
quell’espressione che non sembrava preannunciare niente di
buono ma convita di
farsi forse troppe pare mentali sorrise a sua volta rispondendo
“Esattamente”
Le labbra di Lionel si piegarono
ancora di più all’insù e per un attimo
Carlton potè quasi giurare di aver visto
un paio di corna da diavolo spuntare sopra la testa del fratellastro;
ne ebbe
la conferma appena Lionel parlò di nuovo.
“Da sola?” chiese con un briciolo
di veemenza.
In un gesto quasi automatico Mary
scrollò appena le spalle come a voler chiedere se vedeva
qualcun altro oltre
lei.
“Beh non posso permettere che una
signorina come voi vada da sola…”
iniziò a dire lui poi si voltò verso il maggiore
“Perché non l’accompagni tu
fratellino?”
Carlton, preso in contropiede, si
ritrovò un attimo in crisi ma non potendosi tirare indietro,
dato che sarebbe
parso oltremodo scortese si ritrovò a biascicare un
“Sì, certo” di cui si pentì
subito dopo averlo pronunciato. Non che odiasse i cavalli ma erano
terribilmente sporchi, come tutti gli animali del resto e in
più avrebbero
dovuto calcare sulla terra bagnata, tra pozzanghere e
quant’altro.
“Bene, potete attendere fuori
mentre sello i vostri cavalli”
Carlton fece il gesto a Mary di
precederlo nell’uscire dalle scuderie e la seguì
solo dopo aver lanciato uno
sguardo inceneritore all’adorato quanto malefico fratellino.
Non che fosse totalmente incapace
di andare a cavallo, aveva dovuto impararlo da piccolo e nonostante una
ritrosia iniziale aveva imparato ad apprezzarli finché
crescendo aveva
cominciato a notare quanto l’equitazione fosse
un’attività non proprio pulita
specialmente dopo che, come in quell’occasione, aveva piovuto
ed allora la sua
opinione era gradualmente cambiata, non è che li odiasse ma
ne stava
cordialmente distante. E invece, grazie al suo fratellino si ritrovava
a dover
salire su uno di loro e andare a fare una passeggiata con la ragazza
che gli
faceva palpitare il cuore, perché ormai era inutile negarlo
a se stesso: si era
preso una cotta per Marianne Dashwood.
Una cotta, niente di più, pensò tra
sé e sé.
Guardò Mary che montava a cavallo
con una facilità quasi disarmante, i suoi movimenti erano
talmente leggeri e
fluidi che sembrava non avesse fatto altro per tutta la vita.
Le rivolse un sorriso prima di
imitarla anche se in modo leggermente più goffo.
Partirono lungo il sentiero che si
irradiava verso il bosco, quasi in silenzio. Carlton era colmo di
imbarazzo,
voleva dire qualcosa ma qualsiasi cosa gli sembra stupida e insensata.
Prese un respiro drizzando bene
alla schiena e cercando di assomigliare il più possibile al
ragazzo che una
come Marianne Dashwood avrebbe meritato.
Per un po’ Mary osservò Carlton con
la coda dell’occhio. Era impossibile non notare il suo
atteggiamento impettito
e se da una parte la cosa la faceva ridacchiare, dall’altra
le saltavano i
nervi. Possibile che tutti pensavano di dover fare per forza i pavoni
per
conquistare il cuore di una donna?
Nel tentativo di fare
conversazione, mentre i due bai sotto di loro procedevano lentamente
lungo
quella strada che sembravano conoscere da sempre, Carlton le chiese:
“Allora, avete sempre cavalcato?”
Mary sorrise di vero cuore. “Da che
io ricordi…mi regalarono il primo cavallo che avevo tre o
quattro anni. Allora
mi sembrava enorme e un po’ spaventoso ma mi incuriosivano
parecchio. Adoro i
cavalli, mi infondono un gran senso di libertà…e
voi? Avete un cavallo?”
“Mio padre mi regalò un purosangue
quando avevo sei anni, era quello che aveva gareggiato per lui nelle
corse e
che non poteva più farlo. Lo cavalcai fino a che non fece un
piccolo incidente.
Si ruppe una zampa così decisero di abbatterlo e ci fecero
uno stufato”
raccontò con un po’ di imbarazzo.
“È raccapricciante” disse quasi
ridendo e con quel suono cristallino anche Cal si ritrovò a
sorridere.
“Si lo è davvero” ammise con le
labbra ancora piegate all’insù.
Mary fece per imboccare il sentiero
alla sua destra, quello che procedeva fuori dal bosco e verso la
scogliera,
dove era stata qualche tempo prima con le altre ragazze. Nel mentre si
voltò
per accertarsi che Carlton fosse ancora alle sue spalle. Ed era
lì, composto
come si conveniva ad un giovane uomo dell’epoca ma allo
stesso tempo
leggermente fuori posto.
Stavano ancora passeggiando tra gli
alberi creati con la magia generazioni prima della loro quando un
bagliore
azzurrino, segno di un incantesimo fece spaventare il cavallo di
Marianne. L’animale
si alzò sulle zampe posteriori facendo cadere a terra la
ragazza.
Istintivamente Cal tirò verso di sé
le redini e il cavallo frenò all’istante. Lui
scese rischiando quasi di
inciampare e cadere a sua volta talmente era la premura di verificare
se
Marianne si fosse fatta male.
“Marianne…Marianne, come state?”
chiese avvicinandosi alla ragazza seduta sul terreno, con
l’abito strappato e l’espressione
dolorante.
“Sono stata meglio” ammise. Abbassò
lo sguardo e prese la mano che lui aveva teso. Sentiva le guance
leggermente
imporporate ma non fece in tempo a pensarci perché una fitta
la colpì come una
lama conficcata nella caviglia e le gambe le cedettero.
Carlton la sorresse “Riuscite a
camminare?”. Mary annuì brevemente, non voleva
assolutamente ammettere che
faceva una fatica immensa già solo ad appoggiare il piede.
Senza bisogno di parola alcuna lui
l’aiutò a muovere qualche breve passo. Il cavallo
di lei era scappato quindi
Cal aiutò la ragazza a salire sul cavallo che lui aveva
cavalcato e montò a sua
volta.
Mary era tremendamente imbarazzata
mentre cavalcavano insieme. Aveva avuto qualche breve infatuazione ma
non aveva
mai cavalcato con un ragazzo, sullo stesso cavallo!
Al contempo Carlton si ritrovò a
pensare che per quanto incresciosa, quella situazione, stava avendo dei
risvolti niente male!
Evelyn aveva appena terminato di
fare colazione ed era andata ad affacciarsi dalla grande terrazza che
dava sul
giardino. Voleva vedere il cielo, in parte anche per assicurarsi che
non
sarebbe ricominciato a piovere da un momento all’altro ma il
suo sguardo venne
calamitato verso il basso, nell’udire la risata di almeno un
paio di ragazzi.
Aguzzò la vista e riconobbe immediatamente il giovane Black
che chiacchierava
con un altro paio di persone che sembravano completamente catturate dal
suo
discorso. Tutta l’attenzione era su di lui, come se fosse un
magnete intorno a
cui gravitava tutto il resto.
Non riconosceva gli altri che erano
con lui, probabilmente si trattava di nuovi ospiti giunti lì
per il matrimonio
anche se mancavano ancora tre settimane.
Rimase lì ad osservarli, come
faceva sempre di solito con le persone che non conosceva. Avevano il
tipico
comportamento da maschi, si sfidavano a coppie su chi andasse
più veloce con la
scopa mentre gli altri scommettevano sul probabile vincitore.
Quando Aldebaran si alzò in volo
non potè che stupirsi di nuovo del suo fascino e della sua
eleganza, tanto che
gli altri sembravano scomparire al suo cospetto. Ma cosa andava
pensando?
Come se il suo flusso di pensieri
avesse intercettato quello del ragazzo lui si voltò e le
rivolse un cenno di
saluto quasi impercettibile.
Restò ad osservare quel piccolo
gruppo fino a quando venne raggiunto da un altro capannello formato da
tutte
ragazze che cinguettavano e ridacchiavano come oche giulive. A quel
punto
Evelyn rientrò e partì alla ricerca del fratello;
su per giù lui e il signor
Black dovevano avere la stessa età quindi magari sapeva
qualcosa in più su di
lui ma non voleva dimostrare troppo interesse.
Chiese ad un elfo domestico se
aveva visto suo fratello ma tutto quello che lui seppe dirgli era che
non
sapeva dove fosse Christopher. Conoscendo suo fratello probabilmente
stava
ancora dormendo.
Cassandra guardò fuori da una delle
grandi finestre che illuminavano il corridoio delle camere da letto e
si stupì
nel vedere una carrozza ferma nel vialetto d’ingresso della
villa. Non ebbe
troppa difficoltà a realizzare che si trattava di quella
della famiglia Storm.
Visto che a famiglia al completo
era rimasta lì dopo la festa del raccolto a causa della
tempesta, non si poteva
trattare certo di un nuovo arrivo ma della partenza di qualcuno, di cui
lei non
sapeva niente!
Il suo cuore ebbe un piccolo sussulto
quando pensò che tra i membri della famiglia in partenza
c’era, con tutta
probabilità anche Markus! Se Markus se ne stava andando, non
poteva certo
biasimarlo poiché lei non era stata in grado di scegliere:
il cuore l’avrebbe
spinta volentieri tra le braccia del giovane Storm mentre per la testa
doveva
rispettare il volere della sua famiglia e celebrare quel matrimonio di
convenienza.
Scese le scale velocemente,
rischiando quasi di inciampare ma non c’era nessuno
giù nell’atrio. Trovò
Markus, Alice, Christopher e qualche altro ospite nella sala delle
colazioni.
Si sedette cercando di apparire il più tranquilla possibile
mentre
sbocconcellava una fetta di pane tostato.
Non sapeva se tirare in ballo il
discorso ma si disse che non era il caso lì, di fronte a
tutti. Aspettò quindi
che se ne andassero gli altri ospiti e fece per seguire il giovane
Storm ma
venne intercettata da Winky, uno degli elfi domestici di famiglia.
“Signorina, questo è per lei” disse
con l’aria mite che caratterizzava quei piccoli servitori.
Cassie prese in mano
la busta che la creatura gli porgeva e la ringraziò
tacitamente con un sorriso.
Winky sparì subito dopo averle rivolto un breve ma sentito
inchino.
Cassandra si rigirò la busta tra le
mani, non riconosceva la grafia che aveva tracciato il suo nome. La
aprì e
lesse il biglietto che conteneva.
Gentile Cassandra,
mi fareste l’onore di essere di mia compagnia per una breve
passeggiata nel
bosco questa mattina?
Vostro
Alexander
Quelle uscite facevano parte del
tradizionale periodo di fidanzamento che precedeva il matrimonio.
D’altronde
quale sposa non avrebbe voluto passare più tempo possibile
con il suo futuro
marito?
Alexander trovò Cassie seduta su
una panchina all’aperto. Aveva un libro in mano ma non
sembrava intenta a
leggere anzi la sua mente sembrava essere da tutt’altra parte.
“Cassandra” la chiamò e lei
sembrò
come ridestarsi dai suoi pensieri, gli rivolse un mezzo sorriso e lo
salutò con
un mesto “Buongiorno”
Istintivamente lui si accomodò lì
accanto, le rivolse un breve sguardo di cui lei non si accorse.
Cassandra
Floral sembrava quasi triste e con quello che aveva visto non ci mise
molto a
dedurne il motivo… di nuovo quel Markus.
Loro non erano la classica coppia
di futuri sposi ma comunque non aveva piacere a vederla giù
di morale e
soprattutto a pochi giorni dal matrimonio non poteva sopportare di
vedere la
sua fidanzata in pena per un altro uomo! Che poi, cosa ci trovasse in
lui,
ancora non riusciva a capirlo.
Le aveva inviato quel bigliettino
la mattina e ora l’occasione era propizia al suo voler
distrarla dal pensiero
di Markus Storm.
“Che ne dite di andare?” le propose
alzandosi in piedi e Cassandra si alzò a sua volta
affiancandolo mentre si
avviavano verso il bosco.
“Ho sentito che ci sono degli
ottimi funghi nel bosco, con la tempesta che c’è
stata se ne troveranno in
abbondanza”
“Suppongo di sì” la buttò
lì Cassie
mentre camminavano fianco al fianco e lei sfiorava distrattamente le
foglie
degli alberi.
Alex si voltò a guardarla, sembrava
totalmente in un altro mondo… doveva ammettere che
quell’aspetto trasognato non
le stava affatto male.
“A Huffington Park non ci sono
questi alberi…è pieno di platani”
Per la prima volta quel giorno
Cassandra sembrava veramente interessata a quello che lui aveva da dire.
“Cos’è Huffington Park?”
domandò
con il viso acceso di curiosità.
Alex sorrise “Si tratta della
nostra residenza in campagna, si trova nel Surrey, vicino a
Windsor” disse
facendo riferimento al piccolo villaggio babbano che ospitava una delle
residenze reali “Potremo andarci la prossima estate”
Cassandra si fermò a pensare a quel
plurale che lui aveva usato con tanta tranquillità, come se
fossero già
sposati, come se quel fidanzamento fosse una strada senza uscita e per
un
attimo si sentì soffocare. Sapeva che il suo destino, come
quello di quasi ogni
donna dell’epoca, era quello di diventare una buona moglie e
una buona madre;
sua madre l’aveva cresciuta con la consapevolezza che per un
buon matrimonio
lei avrebbe dovuto mettere da parte le sue idee e le sue convinzioni.
Se da una parte trovava assurdo
anche solo pensare di annullarsi completamente per far piacere al
futuro marito
dall’altra doveva riconoscere che non poteva neanche
pretendere il contrario,
Alex aveva un carattere forte con cui sarebbe stato fin troppo facile
scontrarsi a meno che non avesse imparato a scendere a compromessi e a
guadagnarsi il suo rispetto.
Alex si voltò ad osservare la
ragazza che se ne stava lì silenziosa, poteva quasi vedere
girare le rotelline
in quella testolina bionda. In qualche modo lei lo aveva confortato con
la sua
presenza appena dopo la morte del padre e ora si sentiva in debito.
Le fece un tenero sorriso di
incoraggiamento. “So che potrebbe essere un po’
traumatizzante il trasferimento
in città…predisporrò Huffington Park
per il vostro libero uso”
Le labbra di Cassandra si piegarono
in un sorriso vero, carico di riconoscenza “Onestamente,
grazie”
Continuando a camminare si erano
avvicinati senza rendersene conto, non c’era più
molta distanza tra di loro e
le poche battute scambiate prima erano diventate un fiume di parole.
Lui le
raccontava delle piantagioni di mandragole e lei gli diceva quanto le
sarebbe
piaciuto avere delle piante di pesche, visto quanto adorava la crostata
di
pesche!
“Anche lì c’è uno stagno,
molto più
grande di quello in realtà” disse Alex indicando
quella che era una pozza d’acqua
che persisteva nel sottobosco e veniva alimentata dalle piogge
“D’ inverno la
superficie è gelata e vi si può pattinare, io
adoro pattinare”
“Non ho mai provato” ammise Cassie
avvicinandosi allo stagno.
Alex le sorrise e con un gesto
veloce tirò fuori la bacchetta e lanciò un
incantesimo sulla superficie dell’acqua
che mille scintille azzurrine tramutarono in una lastra di ghiaccio.
“Coraggio allora” la invitò
guadagnandosi un’occhiata che era a metà tra lo
sdegno e il divertimento.
“Siete serio?” domandò la giovane
la cui voce tradiva una punta di preoccupazione.
“Mai stato così serio”
confermò
Alexander prima di trasfigurare i suoi stivali in pattini e di fare
altrettanto
con quelli della fidanzata.
Il giovane le prese le mani per
aiutarla a muovere i primi passi verso il ghiaccio. “Ho paura
di apparire
ridicola” confessò Cassandra.
“Dovete solo usare il vostro senso
dell’equilibrio. Dovrebbe esserne dotata qualsiasi persona
che non soffra di
labirintite” Il suo tono sembrava una innocente presa in giro.
“Non vi facevo così simpatico,
Alexander, sembrate sempre così serio” fece lei
stando al gioco.
“E voi sempre così poco seria”
Cassandra si finse offesa e fece
per lasciare le mani di Alex ma perse l’equilibrio e si
ritrovò a terra insieme
al fidanzato dato che anch’egli aveva perso
l’equilibrio nel tentativo di
recuperarla.
Dopo aver di nuovo trasformato in
calzature i loro pattini Alex aiutò la giovane Floral ad
alzarsi in piedi.
Aveva l’acconciatura leggermente sfasciata e una ciocca di
capelli che le
penzolava davanti gli occhi, ciocca che venne spontaneo ad Alex
sistemarle
dietro l’orecchio. Erano così vicini che i loro
nasi si sfioravano appena,
sarebbe bastato un nulla per colmare quella distanza ma
nell’avvicinarsi Alex
vide Cassie spalancare i grandi occhi azzurri e ritrarsi appena. Non si
fidava
ancora di lui.
“Forse è meglio se rientriamo…non
vorrei che si preoccupassero per noi” disse Cassandra
leggermente in imbarazzo.
Intanto Alice era appena uscita
dalla stanza degli ospiti dove avevano soggiornato le altre sorelle. Le
sarebbero mancate incredibilmente nonostante lei, anche per il
carattere meno
femminile, fosse più legata ai fratelli. Aveva salutato
Jamie poco prima e ora
doveva andare da Markus. Le se stringeva il cuore al pensiero di quello
che lui
stava passando quindi capiva benissimo la sua voglia di andarsene ma
egoisticamente sperava che qualche altro membro della sua famiglia
sarebbe
rimasto a Villa Floral.
Le carrozze erano quasi pronte, i
bagagli erano stati caricati dagli elfi, mancavano solo i viaggiatori.
Alice bussò alla camera del
fratello più grande e aspettò di essere invitata
a entrare. Spinse appena la
pesante porta in quercia e intravide Markus che, insieme ad un elfo
domestico,
faceva un controllo della lista delle cose da prendere.
“Può lasciarci da soli?”
domandò la
giovane all’elfo che annuì e sparì con
un piccolo inchino.
Alice si avvicinò al fratello e si
posizionò esattamente davanti a lui. “Dunque
è arrivato il momento dei saluti”
disse.
“È troppo doloroso…Cassandra che
sposa Alexander Dashwood…” la sua voce era quasi
spezzata, era la prima volta
che Alice lo sentiva così.
La giovane si avvicinò e prese le
grandi mani del fratello tra le sue. “Posso solo immaginarlo
ma…ho visto che
Cassie prova dei sentimenti per te, lo vedono tutti, persino
quell’antipatico
di Dashwood... Non sono ancora sposati, un fidanzamento si
può anche rompere”
sapeva che quella che stava dicendo era una brutta cosa ma se serviva
per ridare
animo al fratello…
“Non dire sciocchezze, Alice. Non
ho speranze. Cosa ho io da offrire ad una giovane donna? Chi potrebbe
mai amare
uno come me?”
“Caro fratello, devi essere tu il
primo ad amare te stesso. Se non lo fai tu per primo nessuno
potrà farlo al
posto tuo”
Colpito da tanta saggezza Markus si
sentì un pochino più sollevato e si
ritrovò immerso in una chiacchierata cuore
a cuore con la minore delle sorelline. Arrivò alla
conclusione che, certo,
fisicamente non era l’uomo che le ragazze avrebbero sognato
di avere al loro
fianco ma in fondo era un animo nobile e gentile.
“Secondo te ho una qualche
possibilità ancora?”
Alice scelse con cura le parole da
utilizzare per non ferire troppo il fratello o alimentare troppo le sue
speranze.
“Fin tanto che non si saranno
sposati puoi sempre provare”
Ed allora, con un sorriso, Markus
affermò che sarebbe rimasto, almeno un altro po’.
Christopher aveva trascorso tutta
la mattina nella sua camera, intento a pensare a come far cambiare idea
alla
giovane Alice Storm. Doveva pianificare l’appuntamento
perfetto, qualcosa che
avrebbe fatto cadere ai suoi piedi qualsiasi ragazza sulla faccia del
pianeta,
ma cosa?
Aveva buttato giù qualche foglio di
appunti ma erano finiti tutti appallottolati e sparsi per il pavimento
della
stanza. I neuroni nel suo cervello sembravano scontrarsi producendo
solo un gran
guazzabuglio di pensieri che gli aveva fatto venire il mal di testa. Si
era
fatto addirittura portare il pranzo in camera, anche se forse uscire e
cambiare
aria sarebbe stato meglio che restare lì a crucciarsi.
Un lieve bussare alla porta gli
fece alzare lo sguardo per vedere sua sorella entrare.
“Ah, sei qui allora. Stavo
iniziando a preoccuparmi” sorrise Evelyn sedendo sul letto e
tenendo le gambe
penzoloni.
“Scusa, avevo mal di testa e ho
preferito non uscire”
“È da ieri che sei strano. Sei per
caso diventato meteoropatico, fratellino?” scherzò
lei.
Chris si girò verso di lei con un
gran sorriso stampato in volto. “Dimmi una cosa,
sorellina” e calcò quel
diminutivo per ribadire che lui era il maggiore “Sei venuta
qui solo per
insultarmi o vuoi qualcosa?”
La conosceva fin troppo bene.
Evelyn si decise a chiedere quello che voleva anche se decise di girare
intorno
alla questione.
“Sai, quando c’è stato il ballo un
gentiluomo mi ha aiutata a liberarmi da un altro che mi stava
importunando e
non ho ancora avuto modo di ringraziarlo
propriamente…”
“A chi ti riferisci? E soprattutto perché
non mi hai detto niente del ballo? Perché non mi hai
chiamato se avevi bisogno
di aiuto?” scattò subito Chris con fare protettivo.
Evelyn sorrise. Non sarebbe mai
cambiato.
La ragazza si alzò in piedi. “Vedi?
Sono qui, tutta intera, sto bene” affermò mentre
con un gesto delle mani si
mostrava da capo a piedi. “Ad ogni modo”
continuò “mi riferivo al signor Black.
Tu lo conosci? Sai cosa potrei fare per ringraziarlo?”
Il fratello si prese qualche
secondo per pensarci. “Non conosco bene Aldebaran Black.
Eravamo dello stesso
anno ma in case diverse. Suppongo sia qui perché parente dei
Floral o dei
Dashwood o di entrambi, sai, tra purosangue...” non aveva
bisogno di terminare
la frase in fondo anche Evelyn sapeva bene della tradizione di sposarsi
tra
parenti per conservare la purezza del sangue, soprattutto ora che le
famiglie
purosangue stavano iniziando a ridursi di numero.
“Comunque non siamo mai stati molto
amici e poi quando sono partito ho perso i contatti un po’
con tutti… A dire il
vero non ho neanche avuto modo di salutarlo ancora”
A quel punto la ragazza gli rivolse
uno sguardo che aveva un che di malandrino “E non potresti
andare a farci una
chiacchierata?” domandò con lo sguardo da povero
cucciolo.
“Mi hai preso per una vecchia
comare?” poi, non resistendo agli occhioni dolci di Evelyn le
promise che se avesse
scoperto di più glielo avrebbe fatto sapere.
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