Midnight Sun

di Kiya Siph
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Anagallis Arvensis ***
Capitolo 2: *** Un attimo in più ***



Capitolo 1
*** Anagallis Arvensis ***


Disclaimer: Ulquiorra, Orihime e tutti i personaggi dell'anime Bleach non appartengono a me, ma a Tite Kubo.

 

Note:

-Questa shot è ambientata nel capitolo del passato di Ulquiorra ("Not be, but be") presente nel fanbook “Unmasked”! Quindi se non l'avete letto, vi consiglio di farlo! :3

-“Anagallis Arvensis” è il nome scientifico del Centonchio dei Campi (forse più conosciuto col nome Mordigallina... credo). È un fiore solitamente rosso o blu che nel linguaggio dei fiori significa “cambiamento”.

 

 

Tumtum

 

Era vuoto, eppure era sicura che fosse lì e una parte di lei voleva toccarlo, sentirlo: quindi si era avvicinata piano, con passi un po' incerti. Non riuscì a trattenere un sospiro, immaginando come il lieve tremore alle mani le avrebbe fatto cadere il vassoio, se non l'avesse posato poco prima.

 

Tumtum

 

Tese le orecchie. Era a pochi passi da lui (o forse anche meno), ma non l'avrebbe toccato; no, non si sarebbe mai azzardata a farlo. Le sarebbe bastato osservarlo.
La schiena un po' ricurva, gli occhi chiusi, le labbra socchiuse, il petto che si muoveva poco ad ogni respiro, e i capelli che gli ricadevano sugli occhi – come se persino loro fossero stanchi di stare sempre in ordine.
Si sarebbe chiesta come avesse fatto ad addormentarsi in una posizione così scomoda (e insolitamente poco formale, notò con un mezzo sorriso, vulnerabile quasi), se non fosse stata troppo sorpresa dal vederlo proprio dormire. Nella sua camera oltretutto, di fronte a lei, come se fossero amici da sempre (anche se di amici probabilmente non ne aveva, lui). Come se con lei fosse a suo agio.

 

Tumtum

 

Orihime si morse un labbro e strinse il mantello della sua nuova divisa tentando di calmarsi. Chiuse gli occhi per pochi istanti, giusto il tempo di riprendere il fiato che non si era accorta di star trattenendo.
Non aveva paura. Non di lui, almeno: non ne aveva mai avuta e lei stessa continuava a chiedersene il motivo. Ulquiorra era l'uomo che l'aveva minacciata, ricattata, trascinata via dai suoi giorni felici – dai suoi halcyon days – e in questo momento gli era così vicina da potergli carezzare via i capelli dagli occhi (non dovrei toccarlo), così a suo agio da poter tracciare con un dito le lacrime dipinte sul suo volto (mi ero ripromessa di non farlo), così confusa da poter sentire il suo respiro sulla pelle mentre gli sfiorava le labbra (devo smettere di toccarlo).
Eppure non voleva fargli del male (né sarebbe mai riuscita a farlo) e non provava paura.
Timore, forse, per quegli occhi smeraldo che minacciavano di scavarla nel profondo, tristezza e persino preoccupazione.
Ma niente paura né, sorprendentemente, rabbia.

 

Tumtum

 

Si tenne una mano stretta al petto.
Non era mai stato difficile per lei riconoscere le sue espressioni – e ne aveva tante, più di quante lui stesso avrebbe immaginato.
Ai suoi occhi Ulquiorra era stato infastidito, stanco, arrabbiato, curioso, forse persino inorridito di fronte ad uno dei piatti stravaganti di Orihime, eppure lui stesso sembrava credere di non poter provare nulla. No, sembrava convinto, si corresse mentalmente la donna, di non poter provare nulla, e si sforzava di non farlo per un motivo che lei non riusciva ad immaginare.
Era come un adolescente che trattava istintivamente male la ragazza che gli piaceva per convincersi di non amarla.
Come se stessa, pensò Orihime, quando sorrideva inconsciamente per convincersi di stare bene.

 

Tumtum

 

Sfiorandogli appena la fronte, gli spostò nuovamente la frangia dagli occhi, studiando ogni dettaglio del suo viso, e si ritrovò a sorridere. Orihime aveva sempre pensato ad Ulquiorra come ad un tipo prudente, uno che non avrebbe mai abbassato la guardia di fronte a nessuno (tanto meno di fronte alla propria prigioniera). Si aspettava di vederlo aprire gli occhi da un momento all'altro, le sue labbra che si muovevano appena mentre le chiedeva, con solo una punta di shock nella voce a tradirlo, “cosa pensi di fare, donna?”.
Pensava fosse uno dal sonno leggero (non aveva mai creduto Ulquiorra capace di dormire, a dirla tutta) e poterlo toccare così liberamente senza che si svegliasse era una sensazione strana.
Vederlo cambiare espressione (solo lei avrebbe potuto notare un cambiamento così subdolo sul volto dell'uomo) la portò a chiedersi cosa stesse sognando.

Sempre se ne faceva di sogni, lui.

 

Tumtum

 

Smise di carezzargli i capelli e trasse un breve respiro, muovendo piano le labbra come ad imitare silenziosamente il suono che cercava. Ulquiorra tirava sempre su la zip della propria giacca, come a nascondere il vuoto che si era aperto nel suo corpo quando era divenuto un hollow – e questa volta non era un'eccezione. Orihime non riusciva a fare a meno di domandarsene il motivo, ma non aveva mai trovato il coraggio di chiederglielo. Probabilmente non l'avrebbe mai fatto.
Deglutì, e si accertò un'ultima volta che gli occhi dell'uomo fossero ancora chiusi, prima di avvicinarsi con l'orecchio destro al petto dell'arrancar.

 

Tumtum

 

Fece un respiro profondo, le gambe che le tremavano mentre tentava di essere il più indiscreta possibile, il cuore che non dava segno di voler rallentare. Sentì il suo respiro sui capelli e attese, tendendo il più possibile le orecchie, cercando un qualcosa, una qualunque cosa che potesse sembrare il battito di un cuore.
Certo, pensò mentre sperava di non svegliarlo, il battere del mio di cuore non è molto d'aiuto.

 

Tumtum

 

Poi abbozzò un sorriso, che le si spense subito sulle labbra.
Era lì... o forse non lo era.
Non ne era sicura. Il cuore di Orihime batteva così forte, così veloce, probabilmente stava confondendo il proprio battito con quello dell'espada.

 

Tumtum

 

Si sentiva quasi una sciocca, a dire il vero, a un capello di distanza dal petto di un uomo che avrebbe potuto ucciderla con uno schiocco di dita, rischiando la vita solo per capire se avesse o meno un cuore. Come se saperlo avrebbe cambiato qualcosa, poi. Orihime era una prigioniera e Ulquiorra era un nemico: nulla di più, nulla di meno, e questo lei lo sapeva meglio di chiunque altro.
Non importava quanto la ragazza volesse credere che in lui ci fosse qualcosa di buono, né quanto riuscisse a sentire la sofferenza che si celava in ogni suo sguardo indifferente, ogni sua distaccata parola.
Non importava nemmeno quanto fosse propensa ad aiutarlo, certa del fatto che Ulquiorra fosse molto più di quello che sembrava.
Lui era il nemico: un nemico dall'aspetto infinitamente malinconico (che non riusciva a capire cosa significasse provare un'emozione, che forse neppure si accorgeva di provarne lui stesso, che non credeva nell'esistenza del cuore di cui Orihime continuava a parlare), ma pur sempre un nemico.
E lei era solo un'indifesa, debole prigioniera, che nonostante odiasse così tanto la propria situazione si ritrovava a non riuscire a provare lo stesso per l'espada che l'aveva trascinata lì.

 

Tumtum

 

Orihime non era stupida.
Orihime sapeva che il cuore di cui parlavano, quello per cui Ulquiorra nutriva così tanta curiosità, non era quello fisico.
Eppure non poteva farne a meno. Voleva capirlo, capire perché l'idea che quell'uomo fosse un nemico le sembrasse sempre meno... accettabile, a dir poco.
Perché non riusciva ad odiarlo, ad essere spaventata da lui, proprio come lo era di tutti gli altri arrancar?
Forse passare tutto il tempo sola nella propria stanza l'aveva resa pazza, forse stava solo cercando una qualche forma di conforto.
Magari era tutto nella sua testa e Ulquiorra era davvero vuoto, privo di emozioni, proprio come affermava di essere, e lei si stava solo ingenuamente convincendo del contrario... ma se c'era una cosa che Orihime era brava a fare era sperare e in quel momento cercare il battito del suo cuore sembrava l'unica cosa che potesse darle una risposta.

 

Tumtum

 

Corrucciò le sopracciglia. Ancora una volta le era parso di sentirlo, ma ancora una volta si era convinta di star ascoltando solo il battito del proprio cuore.

 

Tumtum

 

Chiuse gli occhi, isolando ogni suono esterno. Pensare che l'espada era davvero addormentato, che si stava davvero mostrando così indifeso di fronte a lei, non faceva altro che farla tremare ancora di più, farle battere ancora più forte il cuore, farle perdere ancora di più il respiro.
Nuovamente si ritrovò a pensare, a chiedersi perché stare vicino a lui sembrasse così naturale, così rilassante, così...

«Mh...»

Non finì il pensiero; la voce dell'arrancar sembrò riportarla al presente e quando lo sentì muoversi appena sotto di lei si tirò indietro d'istinto, sorreggendosi appena sul suo braccio destro. Fece appena in tempo a vederlo spalancare gli occhi, cauto (oh, era spavento quello?), prima di fare un passo indietro e alzare le mani. In qualche modo riuscì a fare una delle sue solite espressioni, una di quelle strambe e divertenti che faceva per non far preoccupare i suoi amici.

«Ah! Mi hai spaventata!» esclamò e tentando di apparire il più naturale possibile si diresse a grandi passi verso il vassoio, evitando il suo sguardo, il cuore che non dava cenno di voler rallentare. «Stavo per svegliarti, ma a quanto pare lo eri già!» Mentì e si trovò a chiedersi quando fosse diventata così brava nel farlo. «Mi hai davvero spaventata!» continuò.
Si morse un labbro, chiedendosi se magari Ulquiorra non fosse stato sveglio tutto quel tempo, ma si affrettò a pensare ad altro prima che un calore familiare potesse colorare le sue guance di rosso. No, si disse, Ulquiorra stava definitivamente dormendo.
Fece una piccola pausa per costringere le proprie mani a smettere di tremare, prima di continuare.
«Non avrei mai pensato che anche Ulquiorra-kun potesse dormire... sono sollevata» sorrise.

 

Tumtum

 

Orihime si era già avviata verso la porta, cercando con lo sguardo il carrellino che ogni giorno le portava i pasti. Non si aspettava una risposta, sapeva che non sarebbe arrivata. Ulquiorra non avrebbe mai preso parte in conversazioni casuali come quella e probabilmente si era già stancato di ripeterle all'infinito “smetti di fare baccano per ogni singola cosa”. Si sarebbe alzato con un mezzo sospiro, l'avrebbe superata senza degnarla di uno sguardo e poi avrebbe chiuso la porta, lasciandola sola con le sue ansie e paure.

 

Tumtum


Fu per questo che dovette mordersi una guancia per non farsi sfuggire un sussulto quando si ritrovò immobile a metà strada – come se la voce dell'uomo fosse la catena invisibile attaccata al collare che non indossava.
«È Ulquiorra,» aveva detto... e solo per un attimo il suo tono di voce le era sembrato meno impassibile del solito. Si decise a voltarsi, lo sguardo perplesso, confusa più per il fatto che avesse parlato che per quello che aveva detto. Lo guardò con aria interrogativa, come a chiedergli di spiegarsi meglio.
«Non trattarmi come se fossi un tuo simile. Quando mi chiami, chiamami semplicemente Ulquiorra. Solo in quel modo.» finì l'uomo. Orihime non riuscì a costringersi di sorridere questa volta.

 

Tumtum

 

Il modo in cui sedeva, il tono della sua voce, quell'attimo di esitazione che aveva avuto prima di alzarsi con uno sguardo determinato che non gli aveva mai visto portare. Non era riuscita a vedere la sua espressione, voltato di spalle com'era, ma Orihime riconobbe subito il sentimento – e per qualche motivo sentì ancora una volta il battito di un cuore che non era il suo, ma che non era davvero certa di aver udito.
Quella era... tristezza?
Titubante, abbassò lo sguardo e si diresse nuovamente verso il carrellino, ingoiando le parole che lottavano per uscire dalla sua gola. Rientrò in stanza pochi istanti dopo, mentre Ulquiorra la superava senza rivolgerle uno sguardo.
Solo per un attimo le parve di vedere un centonchio dei campi lottare nella mano destra di Ulquiorra: si stringeva al suo braccio e si avvolgeva tra le sue dita, ma non scappava dalla stretta di ferro che minacciava di distruggerlo, petalo per petalo. Sembrava lo stesso fiore che quella notte aveva sognato di indossare tra i capelli, poco lontano dalle forcine che Sora le aveva regalato da bambina.

Ma quello, pensò mentre l'espada chiudeva la porta alle sue spalle, sicuramente se l'era solo immaginato.




 

Bat-Angolino:

Ehilà! :D

Dopo anni, torno con una... mezza Ulquihime? Scritta anche abbastanza male, wow, scusate-
Shippo Ulquiorra e Orihime da una vita, questi due mi hanno dato davvero TANTO nel corso degli ultimi 5? forse 6 anni, e ho avuto quest'idea quando ho letto Unmasked qualche anno fa! (anche se ho trovato modo e tempo di scriverla solo ora)
Volevo renderla un pizzinino più angst, ma scrivere in italiano dopo aver passato mesi a leggere quasi tutti i giorni ff in inglese è stato quasi traumatizzante.

Nella mia testa "Not be, but be" è ambientato al secondo pasto dopo il rapimento di Orihime (sempre immaginando che abbia avuto due pasti al giorno), e mi è sempre piaciuta l'idea di Orihime che, incuriosita più dalle proprie (non-)paure che dall'espada in sé, passa del tempo a rimuginare sul comportamento strano e a tratti un po' contraddittorio di Ulquiorra.

E insommina, spero di essere riuscita a rendere decentemente ciò che volevo raccontare! Uno dei motivi per cui l'Ulquihime mi è sempre piaciuta è che, in un modo o nell'altro, questi due si sono sempre “aiutati” a vicenda, si sono cambiati a vicenda, inizialmente senza neppure volerlo. Le parole dure e schive di Ulquiorra hanno reso più forte lei; le speranze, i sogni e il cuore di Orihime hanno fatto scattare qualcosa nella mente di lui.
Ho sempre avuto l'impressione che Orihime non fosse mai riuscita a vedere Ulquiorra come un vero e proprio nemico, ma più come... un raggio di luna nell'oscurità dell'Hueco Mundo, tanto per usare il linguaggio del fandom (come spiego male io, nessuno).
Potrei stare ore a parlare di come vedo Ulquiorra e Orihime, sia come personaggi a sé stanti che come ship, ma forse è meglio fermarmi qui-


E insomma! Erano tre anni che non mi facevo viva su efp, e in questi tre anni ho scritto davvero poco... Ho passato circa due anni ad odiare qualunque cosa riuscissi a scrivere, e alla fine ho deciso di prendermi una piccola pausa per schiarirmi le idee e leggere qualcosa. Come se fosse la prima volta poi che mi vengono le crisi sul mio stile di scrittura, ho perso il conto di quante volte mi è successo--ç__ç
Ecco, diciamo che leggere per tre anni in inglese e in giapponese non è stato molto d'aiuto quando ho ricominciato a scrivere, contando la miriade di costruzioni straniere che mi sono passate per la testa mentre scrivevo questa shot, ma sshh.
Tecnicamente avrei pronto l'intero capitolo della fanfiction di Yume Nikki, ma ho paura di bloccarmi di nuovo dopo averlo pubblicato... ç_ç Sono pessima
Però ce la metterò tutta e proverò a scrivere in maniera più costante! Quindi spero di ripresentarmi presto anche qui su efp~
Ciriciao~!

 

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Capitolo 2
*** Un attimo in più ***


Disclaimer: Ulquiorra, Orihime e tutti i personaggi dell'anime Bleach non appartengono a me, ma a Tite Kubo.


Un giorno e mezzo, o forse poco più.

Orihime aveva passato a malapena due giorni in compagnia del quarto espada; eppure, si disse alzando lo sguardo alla luna, le era sembrata un'eternità. Un'eternità fugace, che una parte di lei aveva stranamente apprezzato.

La luna illuminò dolcemente una delle tante macerie, e alla donna tornarono in mente le prime parole che le aveva rivolto l'espada, gli occhi smeraldini che la trafiggevano con freddezza.

«Vieni con me, donna» le aveva detto, e Orihime si era stupita di come non fosse riuscita ad essere spaventata dall'uomo, neppure dopo averlo visto ferire gli shinigami che la stavano scortando nel mondo dei vivi.

No, Orihime non aveva mai avuto paura di Ulquiorra, né delle sue mani, o dei suoi occhi, o del buco che l'arrancar, a volte, sembrava quasi voler nascondere, tirando su la zip della propria giacca; e per questo, Orihime era stata spaventata da se stessa.

D'altronde tutti, almeno una volta nella vita, le avevano dato dell'ingenua, della sciocca.

Ti fidi sempre troppo di chiunque”, le dicevano alcuni, “dovresti smettere di trovare sempre del buono in tutti”, continuavano altri, e lei ogni volta non faceva altro che sorridere, pensando a come le sembrassero tutti estremamente esagerati.

Aveva iniziato a chiedersi se magari non avessero ragione però, mentre passo dopo passo raggiungeva titubante il quarto espada, quella notte; la pelle nivea che splendeva sotto la luce lunare, gli occhi chiusi, le braccia incrociate al petto mentre l'aspettava da chissà quanto tempo. Di profilo la sua figura sembrava ancora più malinconica, aveva pensato.

Poi Ulquiorra aveva aperto gli occhi. Le aveva rivolto un lungo sguardo inquisitorio, chiedendole con voce piatta se fosse pronta, e in seguito, trattenendo un breve sospiro, l'aveva guidata nel garganta: per qualche motivo, guardando le mani di Ulquiorra scivolare comodamente nelle tasche dell'hakama, la confusione di Orihime si era dissolta in un qualcosa a cui lei stessa non era riuscita a dare un nome. Qualcosa a cui tuttora non riusciva a dare un nome.

E senza nemmeno accorgersene si era promessa di provare a credere una sola, ultima volta (ma neppure lei sapeva bene a cosa).

 

Allontanandosi di pochi passi da Ishida, Orihime chiuse gli occhi, e l'immagine della luna continuò a sorriderle anche dietro le palpebre chiuse. In qualche modo, ammirarla l'aveva sempre confortata, ma neppure lei aveva mai capito bene perché. In un attimo si ritrovò nuovamente all'interno della quinta torre: il buio della notte prese la forma di un trono e il mezzo sorriso del cielo divenne una luna piena dagli occhi di smeraldo. Ulquiorra la fissava serio, nascondendo qualunque cosa provasse (e ormai lei era più che sicura che provasse qualcosa) in un'espressione di puro distacco.

«Cuore... ne parlate sempre così facilmente voi umani.» aveva detto. Poi si era avvicinato a lei, una mano che scivolava via dalla tasca con calma immonda. E persino in quel momento (nonostante fosse sola, nonostante fosse ormai di nessuna utilità al nemico, nonostante fosse in compagnia dell'uomo che l'aveva resa una traditrice) Orihime non aveva avuto nessuna paura; lo guardava negli occhi sicura, e il cuore le si era stretto dolorosamente in petto quando una punta di disperazione si era fatta strada nello sguardo dell'uomo.

«Ciò che i miei occhi non possono vedere, non esiste. È sempre stato così per me.» si era ripreso, come a continuare un discorso che rimandava da ormai troppo tempo, e lentamente aveva portato la mano all'altezza del suo seno. La sua voce era asciutta, fredda, minacciava di soffocarla, ma Orihime non provò che calore al suono di quelle parole.

Ulquiorra voleva capire. Ogni piccola, minuscola parte di quell'uomo minacciava di distruggerla, frantumare ogni convinzione che avesse mai avuto, privarla del cuore, fare a pezzi la speranza che non aveva mai smesso di curare sin dal loro primo incontro; eppure, più di ogni altra cosa, Orihime sapeva che Ulquiorra voleva capire. Capirla, anzi. E forse non lo avrebbe mai ammesso, ma qualcosa in lui desiderava aver torto, e non aspettava altro che afferrare, finalmente, quel cuore che non era mai riuscito pienamente a comprendere.

Orihime aveva trattenuto il respiro, mentre la voce dell'espada si faceva più dura, poco più sottile.

«Cos'è questo cuore?» e la sua mano, immobile d'innanzi al suo seno, aveva tremato impercettibilmente, come scossa da un'improvviso gelo.

«Potrei vederlo se ti aprissi un buco nel petto?» e nonostante sembrassero parole crudeli e fredde, il suo sguardo non serbava alcuna ostilità, e la sua mano stava già protendendosi verso il suo volto.

«Potrei vederlo se ti aprissi in due la testa?» e ora sembrava così vicino, e Orihime non riuscì a celare il suo stupore sapendo che ora che aveva capito le sarebbe bastato un attimo, un attimo solo.

Oh, Ulquiorra...

Aveva fatto per muoversi, la mano pronta a sfiorare quella di lui.

Non hai bisogno di guardare così lontano...

E sapeva che mai erano stati così vicini, mai aveva avuto occasione migliore di quella.

Un attimo solo: una manciata di secondi e, lei ne era certa, lui avrebbe sicuramente capito.

Ma il pavimento si era già ridotto ad un cumulo di macerie, e quella, aveva pensato amaramente Orihime, era stata sicuramente la prima volta in cui aveva sperato di non veder arrivare così presto l'eroe delle proprie fantasie.

Ma non riuscì a fare nulla per fermare lo scontro tra il finto eroe e l'incompreso cattivo.

 

Scacciando via il ricordo dalla propria mente, Orihime richiamò le proprie fatine e riaprì gli occhi con un sospiro. Si portò la mano destra al petto, la strinse forte, sperò che il bruciore che continuava a torturare la punta della sue dita scemasse, e un attimo dopo la sua mente era di nuovo a pochi passi da lui, tanto vicina da potergli donare, troppo tardi, il cuore, tanto lontana da non riuscire a sfiorare altro che cenere.

«Hai paura di me, donna?»

Si scavò la pelle delle dita, rivolgendo un ultimo sguardo alla sabbia che si muoveva piano ai loro piedi, cercando inconsciamente una figura che non avrebbe mai potuto vedere, forzandosi a non tendere di nuovo la mano verso quella inesistente di lui.

«Non ho paura...»

Non ne ho mai avuta, Ulquiorra.

Le sarebbe bastato un attimo in più, pensò di nuovo.

Il tempo di sfiorargli la mano, di intrecciare le dita con le sue, di guardarlo negli occhi e rivolgergli un sorriso. E lui avrebbe spalancato gli occhi sorpreso, chiedendosi come avesse fatto a non vederlo fino a quel momento. A non accorgersi del cuore che gli scaldava dolcemente le mani ogni volta che lei gli mostrava cosa fosse la speranza in un mondo di disperazione.

Le sarebbe bastato un attimo, e saperlo non le faceva che male.

Dovette mordersi dolorosamente il labbro per impedire alle lacrime di scendere, per poter dire ad Ishida che stava bene, per rivolgergli un breve, debole sorriso.

E stringendo distratta la poca cenere che le era rimasta tra le dita, maledì l'eternità per non essere durata un solo attimo in più.



 

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