Light and Darkness

di 18Ginny18
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - LUPO ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - LA PROFEZIA ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - L'UDIENZA ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 – L'ORDINE DELLA FENICE ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 – IMPULSO ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 – SORPRESA ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 – CON GLI OCCHI DELLA MORTE ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - IL PASSATO PUÒ FAR MALE ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 – IL DIAVOLO VESTE ROSA ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - FUGGIRE ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - IL DOLORE ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - LA FIDUCIA ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - LA RESISTENZA ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - SILENZIO ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - RABBIA ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 – TRA SEGRETI E INCERTEZZE... ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 - CONFUSIONE ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 - LA VOCE NEL BUIO - parte 1 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 - LA VOCE NEL BUIO - parte 2 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 – DICHIARAZIONI E CIOCCOLATA ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 - TI AMO ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 - BUON NATALE ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 - TORMENTO ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 - PAURA E GELOSIA ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 - CONTROLLO ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 - SEGRETI E CONFIDENZE ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 - IL PREZZO DELLA VERITÀ ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 - NIENTE PIÙ SEGRETI ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 - COME TESSERE DI UN PUZZLE ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 – IN CERCA DI SOLUZIONI ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 – ENTITY ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 – CONTROLLO ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 – L’ES ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 – FUOCHI E FIAMME ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 – LA PROMESSA ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 – I DIARI DI M. DARCY ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 – LA PORTA ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 – UFFICIO MISTERI ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 – I BUONI E I CATTIVI ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40 - È PIÙ VELOCE CHE ADDORMENTARSI ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - LUPO ***


La maggior parte dei personaggi non mi appartiene, ma sono proprietà di J.K.Rowling. Questa storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro.
 
 
 
Capitolo 1 - LUPO
Anche quella notte non era riuscita a dormire. 
Erano passate tre settimane e, ancora una volta, aveva sognato Cedric che veniva colpito dal lampo di luce verde. Ormai era un ricordo nitido nella sua mente, e non se ne sarebbe andato via tanto facilmente. 
Con gli occhi fissi sul soffitto, Ginevra sentì il bisogno di svuotare la mente. E fu in quel momento che decise di aprire la finestra e calarsi giù, (come quando era piccola e voleva vedere Fred e George, ignorando le punizioni di sua zia). 
Aveva iniziato a correre fino a inoltrarsi nel buio del bosco e poi accadde. Era diventata un lupo. 
Da quando era tornata a casa quel episodio continuava a ripetersi ogni sera, fino a diventare un abitudine. 
Trasformarsi diventava sempre più facile e non doveva nemmeno pensarci. 
Non le importava sapere cosa o come le fosse successo. Sfrecciare in mezzo agli alberi senza preoccuparsi della velocità, riusciva a svuotarle la mente. 
Correre era diventata l'unica cosa in grado di farla sentire libera. 
 
Da quando Ginevra era tornata, Andromeda era entrata in un perenne stato di ansia. Non sopportava di essere trattata con così tanta freddezza dalla nipote, dopotutto lei voleva solo aiutarla e consolarla. 
Era troppo pretendere che sua nipote si confidasse con lei?
Ted, invece, sembrava l'unico ad aver capito che Ginevra voleva essere lasciarla in pace. 
Era sempre stato bravo a capirla, fin da quando era solo una bambina. Quando la notte piangeva, chiamando suo padre nel sonno, lui, sua moglie o Nymphadora andavano a confortarla. Ma ogni volta, lei si chiudeva in un guscio che impediva a chiunque di entrare e fingeva di non aver bisogno di nessuno. 
Poi, col tempo aveva iniziato a schiudersi e lasciare che loro si occupassero di lei. 
'Tempo al tempo...', diceva sempre lui. E adesso che sua nipote era cresciuta, non aveva intenzione di cambiare metodo. 
 
Era passato parecchio tempo da quando era uscita per la sua "passeggiatina notturna", il cielo iniziava a schiarirsi e gli uccellini cinguettavano felici. 
Una volta arrivata sotto la finestra della sua stanza, Ginevra riprese forma umana e, con l'aiuto dell'albero che costeggiava lì accanto, con agilità si fiondò al suo interno. Più il tempo passava, più apprezzava il suo nuovo lato lupesco e le abilità che ne portava. 
- Nonostante siano passati anni, continui ancora a darti alla fuga, piccola furfante? 
Per un solo istante, Ginevra trasalì. Poi, dopo aver riconosciuto la voce, si voltò e sul suo volto sbocciò automaticamente un gran sorriso. 
Appoggiata al battente della porta con una spalla, una ragazza dai corti capelli rosa, contraccambiò il sorriso. 
- DORA!!!
Senza pensarci un attimo, Ginevra corse ad abbracciare la cugina. 
Quattro anni prima, Nymphadora era partita per la Romania insieme al suo ragazzo, Charlie, e si erano trasferiti lì. Anche se le due cugine si erano tenute in contatto via gufo, avevano entrambe una grande nostalgia l'una dell'altra.
- Quando sei tornata?
- Proprio adesso - sbadigliò Dora, assonnata. - Sai se hanno distrutto il mio letto, o posso ancora sperare di dormirci? 
Ginevra rise e strinse nuovamente sua cugina in un abbraccio. - Mi sei mancata. 
Trascorsero qualche minuto a parlare del più e del meno, per poi addormentarsi entrambe sul letto di Ginevra. 
 
Un urlo le fece scattare. Ginevra afferrò prontamente il libro che aveva sul comodino mentre Nymphadora afferrava una scarpa da lanciare verso la porta spalancata. Sulla soglia c'era una sbigottita Andromeda Tonks, con una mano sul cuore e una stretta alla porta. 
Poi la sua espressione di puro stupore sparì e venne sostituita da una arcigna. 
- Nymphadora, abbassa immediatamente quella scarpa! 
Le due ragazze, abbassarono le loro "armi" e, insonnolite, tornarono ad abbracciare il comodo materasso. 
- Mamma, ti ho detto mille volte che odio essere chiamata in quel modo orribile - borbottò Nymphadora ad occhi chiusi. 
Andromeda ignorò il commento della figlia e si avvicinò alla finestra, spalancandola. 
Ginevra ficcò la testa sotto il cuscino, infastidita dai raggi del sole, al contrario della cugina che, non avendo niente con cui ripararsi, venne costretta a mettersi a sedere. 
- Ti sembra il modo di comportarti? - la sgridò Andromeda. - Potevi avvertire! Sono mesi che io e tuo padre non ti vediamo! Mesi! Mi è quasi venuto un infarto. 
Nymphadora sbuffò. - Come la fai lunga. Sono tornata ieri sera e non volevo svegliarvi. Contenta? 
- Ma hai deciso di svegliare tua cugina! - ribatté la madre. - Hai dimenticato che hai ancora un letto tutto tuo? 
- Ero già sveglia - borbottò Ginevra da sotto il cuscino. - Le ho chiesto io di rimanere un po' con me. 
Andromeda era più sbigottita di prima. Erano settimane che sperava di sentir parlare di nuovo la nipote, anziché ricevere come risposta dei monosillabi ad ogni domanda. 
- Oh - disse. 
Guardò la figlia che si limitò a scrollare le spalle. 
Lei era stata informata via lettera dello stato della cugina, ma quando l'aveva rivista aveva pensato che sua madre avesse esagerato. Ginevra non sembrava affatto distrutta dal dolore e non dava affatto l'impressione di una che volesse mettere la parola fine ai suoi giorni! 
Nymphadora lanciò un'occhiata eloquente alla madre prima di sdraiarsi accanto alla cugina e riprendere sonno. 
La donna stava per uscire dalla stanza ma quando raggiunse la porta, tornò indietro. - Quasi dimenticavo, Ginevra - disse, - ero venuta a svegliarti per dirti di scendere.
Dal cuscino si sentì un verso infastidito. - Dopo, zia Dro - farfugliò Ginevra. - Dopo. 
- Come vuoi - rispose Andromeda con calma. - Allora dirò a Sirius di tornare un altro giorno... 
A quel punto Ginevra scattò come una molla, facendo rotolare Nymphadora giù dal suo letto con un tonfo rumoroso.
- Papà è qui?
Andromeda sorrise e annuì. - È giù che ti aspetta. 
Ma Ginevra non le lasciò continuare la frase che si era già fiondata giù per le scale. 
Dal salotto arrivavano delle voci profonde che parlavano con un tono abbastanza basso, ed era difficile capire quanti fossero a parlare o quale fosse l'argomento. 
Una volta varcata la soglia si bloccò.
Seduti sui divani e sulle poltrone presenti nella stanza, vi erano cinque uomini ma Ginevra concentrò la sua attenzione su uno solo. 
Era così felice di vederlo che, senza pensarci un solo istante, si buttò immediatamente in braccio a lui. 
- Papà! 
Sirius rideva, divertito e al contempo stupito da quella reazione. 
- Ti avevo promesso che sarei tornato presto, no? - disse stringendola in un tenero abbraccio. 
Quanto le era mancata la sua bambina...
Qualcuno si schiarì la gola rumorosamente e la ragazza si spostò dal padre quel tanto che le bastava per guardarsi intorno. 
Remus, Regulus e Ted le sorridevano, malcelando un po' di disagio. Albus Silente, invece, la guardava con serietà. 
- Perdona questa piccola riunione improvvisa, Ginevra - disse il vecchio, - ma dobbiamo parlare. 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE: 
Ciao a tutti! Come promesso ho pubblicato. :) 
Inizio col ringraziare tutti voi che continuate a leggere quello scrivo. E ora... VI PREGO, NON CRUCIATEMI!  
Lo so che come inizio fa pena, ma è difficile introdurre quello che ho in mente... Ho la testa piena di idee che hanno deciso di rendermi la vita un inferno. Quando inizio a scrivere qualche rigo continuo ad avere come dei flash che mi obbligano a cambiare strada. 
Quindi se non vi piace quello che avete appena letto e vi aspettavate qualcosa di attivo come inizio... be', dovete prendervela con il mio stupido cervello! Fa tutto da sé! Sto diventando matta, credetemi.  
Volete il seguito? Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate, accetto critiche di tutti i tipi, serviranno per migliorarmi.
Quindi aspetterò con ansia un vostro segnale di fumo prima di pubblicare il primo capitolo, giusto per capire se volete sapere come finirà questa  storia. Perché, diciamolo, non ho l'intenzione di seguire LETTERALMENTE la storia originale. Probabilmente qualcuno di voi mi crucerà o forse mi amerà alla follia quando (e se) in futuro scoprirà cosa accadrà alla maggior parte dei personaggi. Mah! Chi vivrà vedrà.
Grazie ancora per avermi tollerata
Un saluto ^__^ 
18Ginny18

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - LA PROFEZIA ***


Capitolo 2 - LA PROFEZIA

L'entusiasmo della ragazza svanì e per un minuto interminabile ognuno di loro restò in silenzio.
Ginevra sostenne lo sguardo del vecchio mago, chiedendosi di cosa volesse parlarle o quanti altri segreti aveva ancora da svelarle. 
- Ginevra - disse Silente, - ... la cosa è più complicata di quanto possa sembrare e potrebbe sconvolgerti, ma abbiamo deciso che è venuto il momento che tu sappia la verità. - Si fermò un attimo, lanciò una veloce occhiata a Regulus che prese la parola.
- Quando mi unì a Voldemort - pronunciare quel nome non gli costò nessuno sforzo e nessuno ne sembrò turbato, ma Ginevra non poté reprimere un brivido che le percorse tutta la spina dorsale.
Sirius lo notò e le accarezzò la schiena, con dolcezza. Lei lo apprezzò molto, ma non riusciva a capire il perché della propria reazione; non aveva mai avuto paura di pronunciare il nome del mago Oscuro e, sicuramente, quella era la prima volta che rabbrividiva nel sentirlo pronunciare da qualcuno che le stava vicino.
All’improvviso il ricordo di quel lampo verde le invase la mente. Chiuse gli occhi e si lasciò andare a un lungo e silenzioso sospiro. Quando il ricordo si attenuò fino ad assopirsi, Ginevra dedicò nuovamente la sua attenzione a Regulus.
- Avevo solo sedici anni - disse. - Non prendevo parte all’azione perché lui diceva che non ero ancora pronto e di questo credo di essergliene grato, in un certo senso. A quei tempi lui era al culmine del suo potere, ma bramava qualcosa che fosse in grado di fortificare il proprio potere ancora di più.
Si fermò e per un attimo sembrò perso nei suoi pensieri, poi, i suoi occhi si fissarono in quelli di Ginevra. Prima di proseguire esitò, era come se stesse valutando se rivelare o meno altre informazioni. Lanciò un’occhiata di sbieco a Silente, che fece un breve e impercettibile movimento di diniego con il capo.
Ginevra sembrò non notare quel breve scambio e restò in attesa che lo zio ritrovato continuasse a parlare.
- Lui avvertiva un potere al di sopra del suo. Inviava i suoi Mangiamorte alla ricerca della fonte senza mai trovarla. Ma nonostante passassero mesi, lui non si dava per vinto. Voleva quel potere, di chiunque fosse, in modo che nessuno osasse sfidarlo.
- Chi era la fonte? - chiese Ginevra e una strana sensazione si impossessò di lei. Temeva di conoscere la risposta.
Gli occhi di Regulus, che non si erano distaccati nemmeno per un secondo da quelli di lei, brillavano di una strana luce. 
- Tu - rispose. - Io facevo parte delle squadre di ricerca e fui l'unico a trovarti. Lo ricordo come se fosse ieri. Tu eri nel giardino di casa, a giocare con la terra - sorrise, perso nel ricordo. - Eri tutta sola e in quel momento ho pensato "Chi lascerebbe mai una bambina così piccola da sola? E se ingoiasse qualcosa di strano?".* 
Sirius ridacchiò. 
- Certo, prendimi in giro, fratellone. Ma sia io che tu sappiamo chi è lo sconsiderato - ribatté Regulus. 
Silente tossì leggermente e Regulus riprese il racconto. 
- Comunque, quel giorno scoprì che tu eri in grado di fare delle magie stupefacenti, fuori dal comune. Eri capace di padroneggiare gli elementi della natura; ghiaccio, fuoco, aria, terra... 
- Ma poco dopo abbiamo dovuto bloccare questi tuoi poteri - aggiunse Remus, - perché non sempre riuscivi a capire quello che facevi e la maggior parte delle volte rischiavi di attirare i Mangiamorte, che venivano allontanati da Regulus... ma, purtroppo, eri capace anche di molte altre magie. Magie terribilmente pericolose. 
- Quando credevamo di aver fermato ogni forma di pericolo, questo ha generato un potere ancora più forte. 
- Non... non credo di capire - disse Ginevra, confusa. - Cosa vuol dire "terribilmente pericolose". Ho... fatto del male a qualcuno?
Ginevra sentì Sirius stringersi nelle spalle, ma non osò voltarsi verso di lui. 
Silente trasse un profondo sospiro. - C'è stato il rischio, una volta - ammise. - In un momento di rabbia hai privato James Potter del tatto, della vista e dell'udito ma quando hai capito quello che stavi facendo ti sei spaventata e lo hai liberato dal tuo controllo.
Un brivido percorse la schiena della ragazza e per un istante sentì una leggera risata divertita nella sua mente. Scosse la testa, come per liberasi da un insetto fastidioso.
- Non devi sentirti in colpa, però - aggiunse Regulus in fretta. - Come abbiamo già detto, eri piccola e avevi qualche difficoltà a mantenere il controllo ma... non è colpa tua
La ragazza serrò gli occhi e strinse i pugni. - E allora di chi è la colpa? 
Regulus si zittì un attimo, guardando il fratello maggiore, indeciso. - Ricordi quando ti sentivi seguita o quando avvertivi di non essere proprio sola in una stanza? - Arricciò le labbra. - Be', non avevi tutti i torti. 
- Eri tu? - Ginevra era sbalordita. - Co... come? Perché? 
- Dovevo proteggerti da te stessa - sospirò sconfortato. - Bloccando i tuoi poteri abbiamo innescato qualcosa di molto più potente e sta cercando di uscire.
Il corpo della ragazza s'irrigidì un'altra volta e restò in silenzio. 
"Non potrai scappare ancora per molto", sibilò divertita quella voce irritante nella sua testa. "Hai bisogno di me". 
- Che cos'è? - la voce di Ginevra era diventata quasi un sussurro. 
- Non lo sappiamo - rispose Silente con tono greve. - Sappiamo solo che si nutre delle emozioni negative. 
Regulus si passò una mano sul viso. - Rabbia, dolore... tutto ciò la fortifica - spiegò. - Ho provato a fermarla ma...è troppo forte. L'ultima volta ti ha aizzata contro di me... Quando "Ice" è sparito era stato attaccato da te - aggiunse subito dopo aver visto l'espressione confusa della ragazza. 
A quel punto tutto iniziava ad avere un certo senso: il lupo, quella sensazione di completa energia... e la ferita al braccio che le bruciava, come in quel momento. Si portò una mano sul graffio e con la coda dell'occhio vide Remus abbassare la testa, dispiaciuto. 
- Ma questo ha anche dei lati positivi, diciamo - disse Regulus risvegliandola da quello stato catatonico. - Sei in grado di vedere il futuro o meglio, hai la possibilità di vedere degli eventi importanti, anche se a volte dolorosi.
- Non spaventarla oltre, Regulus - la voce di Andromeda rimbombò nelle orecchie dei presenti. 
Nessuno si era accorto che anche lei stava ascoltando quella storia, ma non sembravano voler dare a vedere la loro sorpresa.
- Non mi spaventa - provò a ribattere Ginevra ma la donna continuò a parlare, come se non l'avesse sentita. 
Il suo istinto di protezione era ormai attivo e non voleva che sua nipote soffrisse ancora. L'aveva vista cambiare espressioni man mano che le veniva rivelata una parte di verità e non sopportava più di continuare ad ascoltare in silenzio. 
- Tu non dici niente, Sirius? - chiese aiuto all'Animagus che restò impassibile e lei s'innervosì. - PER DIANA, È TUA FIGLIA! 
- Dromy, tesoro - tentò di dissuaderla il marito. - Ginevra ha tutto il diritto di sapere... 
- È ANCORA UNA BAMBINA! 
- NON SONO PIÙ UNA BAMBINA - gridò la ragazza scattando in piedi, con furia. - SONO STANCA DI SENTIRVI DIRE CHE NASCONDETE DEI SEGRETI! È LA MIA VITA E VOGLIO DECIDERE IO COSA È GIUSTO O SBAGLIATO PER ME! 
Andromeda annuì soltanto. - Fai come vuoi - e detto questo uscì dalla stanza. 
Quando Ginevra provò ad andarle dietro per scusarsi, Ted sospirò. - Tranquilla, tesoro. Le parlo io - e seguì la moglie. 
Dopo un po', la ragazza tornò a sedersi accanto al padre, che la tenne per mano tutto il tempo. 
- Com'è possibile che riesco a vedere il futuro? - gli chiese guardandolo dritto negli occhi. Voleva sapere e voleva che fosse suo padre a parlare. 
Sirius deglutì a vuoto e anche se l'argomento non gli andava molto a genio, si schiarì la gola e iniziò a spiegare. - Silente ha una teoria... secondo lui questa cosa che si nutre delle tue emozioni è in grado di trasmetterti una parte dei suoi poteri, una parte amplificata delle sue caratteristiche non del tutto umane, ecco. 
- Ma non si nutre solo delle emozioni, a quanto pare - disse Remus, dopo aver taciuto fino a quel momento. - Quando ti ho ferita al braccio, qualche anno fa, ho innescato un lento processo di transizione alla licantropia e se non è già successo, ti trasformerai in un lupo e probabilmente quella specie di demone cercherà di sfruttarlo a suo vantaggio - aggiunse in tono di scuse. 
Si passò una mano sul viso. Non osava guardare in faccia la sua figlioccia.  
La ragazza provò a nascondere la paura che stava provando in quel momento. Dentro di sé si era annidata una specie di demone e lei, inconsapevolmente, lo stava aiutando a uscire. 
Guardò Remus, non sapendo cosa dire davanti a quell'espressione colpevole che era dipinta sul suo volto stanco, dove erano presenti nuove cicatrici che tratteggiavano la pelle da parte a parte. 
- Mi dispiace - mormorò il lupo mannaro. - È colpa mia. Sono un mostro. 
A quel punto Ginevra scattò in piedi e si piazzò davanti a lui, prendendogli il viso tra le mani, per guardarlo dritto negli occhi. 
- Ascoltami bene, Remus John Lupin - esclamò con decisione. - Tu non sei un mostro e non devi dispiacerti di niente. Se osi soltanto dirlo un'altra volta giuro che non appena divento maggiorenne te ne faccio pentire a suon di incantesimi e fatture. Sono stata chiara? 
Cadde un breve silenzio che Sirius non perse tempo a troncare con una sua risata silenziosa. 
- Proprio non riesci a capirlo? - disse Remus, stanco di ripeterlo. - Se diventi come me è solo colpa mia! 
- Ma allora sei tu che non capisci! - sbottò Ginevra. - Non hai capito che non mi importa cosa diventerò? E anche se riuscissi a trasformarmi in un lupo? Non è mica la fine del mondo! Forse potrebbe tornarmi utile, in futuro. 
Regulus sospirò, conoscendo benissimo il senso di quelle parole perché sapeva che Ginevra aveva iniziato a familiarizzare con il suo lato da lupo senza dirlo a nessuno. 
- Non è divertente, Ginevra.
- Dico sul serio - protestò. - Vedetela come un arma segreta da poter usare contro Voldemort quando scoppierà un guerra. Basta che fate scendere me in campo e il gioco è fatto! 
Il sorriso di Sirius sparì all'istante come quello del fratello, e Remus sembrava spaventato all'idea. 
Silente, invece, sembrava l'unico a proprio agio. 
- È curioso che tu lo dica, in un certo senso. Perché c'è una profezia che parla proprio di questo - enunciò. - È stata fatta poco prima della nascita di Harry. Ed è a causa di questa profezia se Voldemort ha cercato di ucciderlo quindici anni fa, ignorando ciò che realmente conteneva. Credeva che uccidendolo avrebbe adempiuto il suo destino ma si sbagliava. E da quando Harry gli è sfuggito poche settimane fa, ha deciso di ascoltare per intero la profezia per capire come distruggerlo. 
- Ma se lo facesse - disse Sirius, - scoprirebbe l'altra metà della profezia che conosciamo in pochi. 
Silente annuì. - Io sono stato il primo ad ascoltarla e la ricordo perfettamente, ed è necessario che anche tu la conosca, Ginevra. Ma né Harry né nessun altro dovrà sapere tutto ciò. Sei pronta?
Ginevra annuì e si preparò ad ascoltare con attenzione. Il vecchio mago le parlò della profezia e tutto lasciava pensare che Harry fosse il prescelto, poi si fermò per qualche istante e la ragazza capì che era arrivato il momento critico. 
- ... il solo col potere di sconfiggere il Signore Oscuro nascerà all'estinguersi del settimo mese... Ma colei che è in grado di cambiare il fato, decreterà il trionfo, o la caduta del mondo magico. Il potere dovrà essere gestito, controllato da chi può contenere il suo stesso destino... Come l'ombra del suo immenso potere, avvolgerà l'intero mondo magico e se non controllato, porterà alla distruzione di ciò che conosciamo... 
- Questo significa che Harry è colui che sconfiggerà Voldemort, giusto? 
- Non è esatto - la corresse pacato Silente. - Lui ha grosse probabilità di riuscirci, ma solo tu sei in grado di cambiare la profezia. 





ANGOLO AUTRICE: 
Ciaaaooooo!!! 
Scommetto che vi ho confuso. Be', lo sono anch'io! 
Vi confesso che è difficile scrivere una storia del genere. Spero che i capitoli successivi vengano molto più facili da descrivere. 
Ringrazio ancora una volta M_G_Weasley e Moony1960, per aver recensito il prologo. Siete fantasticheeeee!!!! <3
Alla prossima
18Ginny18

*Questa parte proviene da una FF della serie, se vi va dategli un'occhiata ;)

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - L'UDIENZA ***


Capitolo 3 - L'UDIENZA

Erano passati quattro giorni da quando si era trasferita al numero dodici di Grimmauld Place, ovvero il Quartier Generale dell'Ordine della Fenice, eppure sembrava che fossero passati pochi attimi. Mentre scendeva le scale, quella mattina, sentì il suo stomaco contorcersi e diventare tutt'uno con altri organi interni e sentiva che l'ansia non l'avrebbe mai lasciata da sola.
Quando vide Remus infondo alle scale cercò di mostrarsi calma e rilassata, ma non era certa di esserci riuscita con successo. Il lupo mannaro le sorrise e una volta che lei scese l'ultimo scalino, le circondò le spalle con un braccio.
- Andrà tutto bene - il suo tono rassicurante, solitamente, era come un balsamo per la ragazza... Ma non in quel momento.
Ginevra si sforzò di sorridere, dopodiché seguì il suo padrino in cucina dove il vecchio elfo della famiglia Black era affaccendato nel preparare la colazione.
I due fratelli Black parlottavano in gran segreto ma, non appena la videro, troncarono immediatamente la loro conversazione.
- Buongiorno, principessa - la salutò Sirius con un sorriso amorevole.
- Sembri un po' tesa - notò Regulus, addentando un biscotto, e lei non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo.
- Tu dici? - chiese leggermente sarcastica, prendendo posto accanto a Sirius che la salutò con un bacio sulla fronte.
Loro quattro, insieme al vecchio elfo domestico, erano gli unici abitanti di quella casa ma, essendo il "Quartier Generale", presto avrebbero avuto molta compagnia. Ovviamente lei non era contraria a quell'iniziativa ma credeva che una volta arrivati gli altri componenti dell'Ordine, quella casa non sarebbe stata più la stessa. Insomma, convivere quattro giorni con loro era stato talmente divertente e spensierato da farle provare il desiderio di riprendere quell'arco di tempo e metterli in un Loop, in modo tale da ripeterli senza arrivare a quel giorno...
Purtroppo, però, non era a conoscenza di un Incantesimo in grado di compiere tale miracolo, quindi era costretta a sperare di superare quella giornata senza intoppi. Dopotutto era ormai risaputo che quel giorno sarebbe arrivato, volente o nolente, e adesso era costretta a convivere con l'ansia.
L'udienza riguardo l'omicidio del signor Crouch era fissata per quella mattina e lei temeva di non essere scagionata dall'accusa di essere un'assassina.
Regulus le servì un bicchiere stracolmo di succo di zucca, dopodiché appoggiò la mano su quella di lei, distraendola dai cupi pensieri che la stavano tormentando. - Ce la farai, non preoccuparti - sorrise incoraggiante.
- Lo spero - mormorò lei in risposta.

Era ormai assodato che entrambi erano diventati il frutto di tutto quel ciarlare, eppure Remus sembrava indifferente. Camminava tranquillo al fianco della sua figlioccia che, a differenza di lui, sentiva come delle ripetute scosse lungo la schiena che la istigavano a voltarsi e agire secondo l'impulso, pur di non essere circondati da tutta quella gente insopportabile che continuava a fissarli e a bisbigliare.
Incrociò le braccia al petto, cercando di non cedere all'istinto di afferrare la bacchetta e dare vita ad ogni Incantesimo che le sfiorava la mente da quando aveva messo piede dentro quella struttura.
- Ma che vogliono, un autografo?! - ringhiò a denti stretti.
- Un motivo per mandarti ad Azkaban, e ho paura che ci stiano riuscendo - bisbigliò Remus.
Ginevra non lo guardò nemmeno perché sapeva che, una volta incontrati i suoi occhi, avrebbe dovuto ammettere che non aveva tutti i torti a supporre una cosa del genere. Preferì rimanere in silenzio e non vedere il classico sorrisetto "ho ragione io" di Remus John Lupin.
- Be', qui le nostre strade si dividono - disse il lupo mannaro una volta arrivati davanti all'ascensore del Ministero. - Dovresti incontrare un volto amico, quindi stai tranquilla.
Ginevra sbuffò un sorriso. - Rem, io sono tranquilla.
In quel preciso istante Remus pensò a quanto lei assomigliasse a sua madre e la sua espressione s'intristì, dando alla ragazza l'impressione che fosse preoccupato.
Lei gli diede un bacio sulla guancia. - Andrà tutto bene - promise, dopodiché entrò nell'ascensore assieme ad alcuni impiegati del Ministero che le coprirono, in modo parziale, la visuale sul suo padrino.
Le porte dell'ascensore si chiusero con fragore e l'ascensore prese a scendere.
Man mano che superava i vari piani, il sorriso le morì sulle labbra e sentì l'ansia prendere la rincorsa per poi colpirla.
Poi le porte si aprirono e la fredda voce femminile risuonò all'interno dell'ascensore e fece il suo annuncio.
- Ufficio Misteri.
Non appena mise un piede fuori dall'ascensore vide un uomo dai lunghi capelli brizzolati e un grosso pezzo di naso mancante.
- Signor Moody - sospirò sollevata.
- Ciao, ragazzina - fu il saluto del vecchio claudicante, la fessura obliqua che aveva per bocca formò un piccolo sorriso. - Andiamo, sarà dura.
Ginevra annuì, decisa, e s'incamminò assieme al claudicante verso l'aula dieci. Una volta arrivati, Moody abbassò la maniglia ed entrarono.
Non appena varcò la soglia, la ragazza venne investita da una leggera nausea.
Le pareti erano di pietra scura, illuminate fiocamente da torce. La vasta segreta era invasa da sussurri e bisbigli, ma quando la pesante porta si chiuse dietro i due maghi calò un silenzio surreale.
Moody l'accompagnò sino al centro della stanza dove vi era posta una sedia, coi braccioli coperti di catene. A quel punto Ginevra venne investita da un dei brividi di freddo. Era molto restia al sedersi su di essa, aveva la sensazione che quelle catene l'avrebbero legata come avevano fatto con tutti i Mangiamorte e assassini che l'avevano preceduta sino a quel giorno.
Alcuni membri dei Wizengamot che la guardavano dall'alto presero a bisbigliare tra di loro e ridacchiare, altri, invece, sembravano molto curiosi.
Lei li guardò uno per uno. Era talmente infastidita da sentire i suoi poteri crescere sempre di più e sopraffarli tutti in un solo colpo stava diventando un pensiero davvero invitante ma, per sua fortuna, non era da sola.
Il claudicante le posò una mano sulla spalla e le sussurrò all'orecchio di stare tranquilla, così si sedette cautamente sull'orlo della sedia, le catene tintinnarono minacciose, ma non la legarono.
Nelle panche in alto, al centro esatto della fila davanti sedeva Cornelius Caramell, il Ministro della Magia, che esibiva un'aria feroce.
- Molto bene - cominciò quest'ultimo. - Dal momento che l'imputata è presente possiamo cominciare. Sei pronto? - chiese, rivolto verso il basso.
- Sissignore. - Ginevra abbassò lo sguardo quel tanto che bastava per confermare a sé stessa a chi appartenesse la voce.
Percy Weasley era seduto all'estremità della prima panca, con gli occhi fissi sulla pergamena e una penna d'oca pronta in mano. Lei accennò un piccolo sorriso a mo' di saluto ma venne sorpresa dallo sguardo disgustato che il giovane mago le aveva appena rivolto. Lo vide prendere appunti man mano che Caramell parlava, ma lei non sentiva nulla. Continuava a chiedersi come fosse possibile che Percy, un componente della sua seconda e meravigliosa famiglia, si fosse trasformato in quel modo. Era davvero come tutti i presenti in quella stanza? La credeva davvero capace di uccidere un uomo?
- Ginevra Andromeda Black - la chiamò Caramell, - sei stata condotta di fronte al Tribunale della Legge Magica affinché tu venga giudicata per un crimine atroce...
- Cosa? Io non ho commesso alcun crimine - sbottò lei irata e Moody le lanciò una breve occhiata ammonitrice.
- ... Sei accusata di aver ucciso il Direttore dell'Ufficio di Cooperazione Magica Internazionale Bartemius Crouch - continuò Caramell, scrutandola torvo da sopra la pergamena. - E sei inoltre accusata di aver occultato il corpo della vittima e di essere scappata dopo aver commesso il reato.
Ginevra era pronta a ribattere anche questa volta ma venne preceduta da Moody, il suo Testimone per la Difesa.
- Questa ragazza è accusata di un crimine che non ha commesso - tuonò.
- Come fai a dire il contrario quando tu stesso, poche settimane fa, eri pronto a testimoniare contro? - chiese una fredda voce maschile.
- Semplice - rispose il claudicante, - perché non ero io.
I membri del Wizengamot risero di quella testimonianza, dandogli del pazzo.
- E chi era, invece? Sentiamo! - lo provocò un altro mago.
Alastor sorrise a tutti loro prima di rispondere. - Barty Crouch Jr.
Le risate cessarono al solo sentire quel nome.
- Ma... il figlio di Barty è morto ad Azkaban - ribatté una strega in tono di enorme sorpresa.
- Amelia, non credere alle sue parole - disse Caramell, ridendo. - Ultimamente il nostro vecchio amico Alastor ha una fervida immaginazione.
- Ma certo, Cornelius. Ho una fantasia davvero stupefacente... tanto stupefacente da aver creato un intero anno rinchiuso in una cella, venendo utilizzato come una marionetta da un Mangiamorte! - ringhiò furioso il claudicante.
- Ti devo ricordare chi è il padre dell'imputata, Alastor? - chiese Caramell accalorandosi.
Ginevra non riuscì a soffocare una risata priva di allegria. - Dio, siete così ipocriti... e patetici. *
La strega al fianco del Ministro la scrutava, attenta. - Cosa intendi dire?
- Voi mi state giudicando partendo dal presupposto che mio padre sia ritenuto un assassino. Ma a nessuno è passato dall'anticamera del cervello che forse, e dico "forse", né io né lui siamo colpevoli?
- È facile parlare per te - disse Caramell, con un sorrisetto compiaciuto. - Credi che siamo talmente stupidi da credere alle tue parole?
Ginevra stava per rispondere ma Alastor la fermò appena in tempo. - Quello che la ragazza intende dire, - iniziò con voce tonante, - è che dovreste decidere la sentenza una volta che vi verrà esposta la realtà dei fatti.
- Vuoi dire un mucchio di fandonie.
- Anche se sei il Ministro, sai anche tu che posso levarti quel sorrisetto dalla faccia in un secondo, Cornelius - fu la minaccia rivolta a Caramell.
Quando ebbe la completa attenzione e serietà da parte della giuria, Alastor riprese a parlare. Raccontò per filo e per segno quello che era successo dalla sua cattura fino al giorno in cui lui e Ginevra vennero liberati, tralasciando il segreto della ragazza. Molti di loro sembravano inclini a dare ascolto alle parole del vecchio Auror la parte restante, invece, rimaneva ferma nella convinzione che Ginevra fosse colpevole.
- Quanti a favore dell'assoluzione dell'imputata da tutte le accuse? - chiese la voce tonante della strega alla sinistra di Caramell.
Molte mani si alzarono. Uno, due, dieci, quindici, trenta... Ginevra non riuscì a contare il resto ma si sentì molto più tranquilla sapendo che qualcuno credeva alla sua innocenza. - Quanti a favore per la condanna?
La mano di Cornelius Caramell scattò in aria, così come una dozzina di maghi e streghe, ma quel numero non era in grado di battere i voti a favore dell'assoluzione.
- Assolta da tutte le accuse - decretò Caramell scrutando la ragazza con astio.
Moody le andò incontro e per un attimo lei credette che l'avrebbe abbracciata. - Andiamo, ragazzina.
Si sbagliava.
Uscirono dalla sala uno di fianco all'altra, con passo veloce e restarono in silenzio finché non vennero costretti a mettersi da parte per far passare i Wizengamot.
- Hai qualche problema con il controllo della rabbia, ragazzina - le bisbigliò Moody quando l'ultimo membro della Corte passò loro davanti. - Se non ti avessi fermata probabilmente ora saresti ad Azkaban.
Ginevra aprì la bocca per ribattere ma rinunciò in fretta. - Ha ragione. Grazie - aggiunse con un sorriso sincero.
L'occhio magico del claudicante che era puntato su di lei guizzava da una parte all'altra. - Io ho sempre ragione, non dimenticarlo - e ricambiò il sorriso. - Andiamo, ti riporto da Lup...
S'interruppe a metà frase. Erano appena arrivati al corridoio del Nono Livello e un mago alto, con i capelli biondi e un viso pallido e affilato era a qualche metro da loro. Ginevra non lo aveva mai visto, ma non passò molto tempo per intuire che quell'uomo era il padre di Draco. Notò lo stesso fascino e aspetto che li accomunava e ne rimase quasi incantata.
Il mago si voltò al suono dei loro passi. I suoi occhi grigi puntarono immediatamente su Ginevra.
- Cosa ci fai qui, Malfoy? - ringhiò il claudicante andandogli incontro.
- È sempre un piacere vederti, Moody – fu il saluto dal tono sarcastico del signor Malfoy. Spostò nuovamente lo sguardo sulla ragazza e le donò un sorriso mozzafiato. - Non credo che ci abbiano presentato, signorina Black. - disse, porgendole la mano. - Lucius Malfoy.
Ginevra avvertì un leggero e improvviso rossore alle guance e trattenne il respiro per un solo istante quando il mago le bacio il dorso della mano.
Accennò un sorriso imbarazzato, al contrario di Moody che aveva un espressione arcigna e teneva entrambi i suoi occhi puntati su di lui. - Piacere di conoscerla, signor Malfoy.
- Il piacere è solo mio, mia cara. Draco mi ha parlato così tanto di te che mi sembra di conoscerti da sempre. Sono felice siate così legati. Spero che l'udienza sia andata bene.
- In ogni caso non è affar tuo, Malfoy - fu l'interruzione brusca di Moody. - Non usare i tuoi trucchetti con lei e rispondi, altrimenti te ne faccio pentire – tagliò corto Moody, minaccioso.
Lucius Malfoy mantenne il suo sorriso e gli rispose cordialmente. - Sono qui per una piccola beneficenza.
-Beneficenza un corno! Lo so io cosa sei venuto a fare.
-D'accordo, mi hai scoperto - disse mostrando le mani in segno di resa. - Sono qui per corrompere il Ministro. Lo porto a divertirsi con qualche amabile fanciulla – continuò con tono sarcastico, ma Moody lo fulminò con lo sguardo. - Ma non hai niente di meglio da fare che stressare persone innocenti? - sospirò Lucius, stanco.
Alastor gli si avvicinò, minaccioso. - Guardati le spalle, io ti tengo d'occhio.
- Non ne dubito – ribatté tranquillamente il mago. - Spero di rincontrarti presto, Ginevra – disse alla ragazza, dopodiché si congedò, andando incontro a Cornelius Caramell.
L'occhio magico di Moody non lo perse di vista nemmeno una volta.
Ginevra iniziò a chiedersi da dove fosse uscito tutto quell'astio del claudicante nei confronti del signor Malfoy, poi ricordò di aver sentito dire a Harry che la notte in cui Voldemort era tornato, nel cimitero, era presente anche il padre di Draco insieme ad altri Mangiamorte.
Era stata davvero così stupida? Aveva davvero ceduto al fascino di un Mangiamorte così facilmente?
A quel punto provò un misto tra rabbia e paura vedendolo talmente a suo agio con il Ministro della Magia. Immediatamente, uno strano sospetto le sfiorò la mente e si affrettò a condividerlo con il mago al suo fianco. - Signor Moody, lei crede che Malfoy gli abbia lanciato una Maledizione Imperius? - chiese alludendo al Ministro.
- Lo scopriremo presto – sibilò Moody avanzando verso l'ascensore insieme a lei. - Sarà meglio che ti accompagni, altrimenti non risponderò più delle mie azioni – disse quando vide Lucius e Caramell sparire oltre il corridoio.




 

ANGOLO AUTRICE:
Buonasera a tutti voi, popolo di EFP!!! Pensavate di esservi liberati di me? Be', mi dispiace deludervi ma sono ancora viva e continuerò a tormentarvi fino alla fine muuuuahahah... Ok, scherzi a parte. Vi chiedo scusa per il “piccolo” ritardo ma ho avuto molti problemi di salute (ringrazio ancora chi di voi mi è stata vicino in quel momento, siete fantastiche!!! ^_^) ma adesso che sto MOLTO MEGLIO cercherò di rimettermi in carreggiata. Detto questo non mi resta che chiedervi di recensire questo capitolo (anche se so che non è niente di speciale) e dirmi cosa ne pensate.
Sono felice di essere tornata nel mondo di HP *-*
Ora vi lascio perché sto morendo di freddo e le mie dita sono letteralmente viola. Poi, guardare Frozen non è il massimo per riscaldarsi -.-
ELSA: Da oggi il freddo è casa mia... T-T
Ora potete anche cruciarmi.
18Ginny18

*Questa frase mi è stata ispirata dal film “Avengers”.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 – L'ORDINE DELLA FENICE ***


Capitolo 4 – L'ORDINE DELLA FENICE
- Che c'è?
Lei era lì, seduta in mezzo a tutto quel verde, con quel sorriso seducente sulle labbra e Fred ascoltava con piacere il suono della sua melodiosa risata. Agli occhi del ragazzo sembrava aver finalmente dimenticato ogni sofferenza. Adesso che la guardava non vedeva più quella ragazza disperata e oppressa dal dolore che lui stesso, anche se timido e impacciato, aveva accolto tra le sue braccia e consolato. Niente più rabbia o occhi gonfi, finalmente la vedeva come era un tempo.
Era la sua Ginevra, ed era bellissima.
- Fred Weasley, dimmi perché stai sorridendo in quel modo o giuro che te ne faccio pentire – ordinò imperiosa, cercando di essere seria almeno per un'istante.
A quel punto Fred ampliò il suo sorriso e sbuffò.
- E sentiamo, mia piccola Blacky, cosa mi fai? – la stuzzicò lui.
Fu un attimo. Con un grugnito, si lanciò su di lui sedendoglisi addosso e intrappolandogli le mani.
Fred rimase immobile aspettando la mossa successiva della ragazza con desiderosa impazienza, che la fece ghignare.
- Non dire che non ti avevo avvisato.
Subito dopo Ginevra si ritrovò al posto del ragazzo, sdraiata a terra e le mani bloccate ma non provò nemmeno ad allontanarsi quando lo vide chinarsi su di lei.
Le si mozzò il fiato.
La presa sulle sue mani venne allentata senza che lei reagisse in qualche modo.
- Quando sorridi non capisco più niente. - Si stava chinando sempre di più e lei capì ciò che stava per accadere ma non fece nulla per impedirlo. Dentro di sé sapeva di volerlo quasi quanto lui, ne era certa.
Il respiro diventava sempre più affannoso. Guardava i caldi occhi di Fred, perdendosi in essi, finché non li vide chiudersi.
Era arrivato il momento e sembrava durare un'eternità.
- Ginevra. - La chiamò una voce, ma non era quella di Fred.
Immediatamente poggiò la mano sul petto del ragazzo, intimandogli di aspettare.
Quella non era la sua voce. Era un'eco lontano e si stava avvicinando.
Dopo qualche minuto di silenzio Ginevra si voltò, in cerca di quella voce che le aveva gelato il sangue nelle vene. Poi spostò la sua attenzione su Fred che era rimasto a guardarla, in silenzio, e trasalì quando vide che al suo posto c'era qualcun altro.
Sembrava impossibile eppure il volto pallido di Cedric era lì, a pochi centimetri di distanza dal suo.
Quando Ginevra provò ad urlare non riuscì ad emettere alcun suono.
Iniziò a tremare.
Cedric stringeva le sue mani attorno ai polsi di lei con una stretta che andava a stringersi sempre di più.
- Non puoi resistermi ancora per molto. Hai bisogno di me.
Quella voce... quella voce fredda e agghiacciate l'avrebbe riconosciuta ovunque. Apparteneva al mostro che teneva dentro di sé.
- Senza il mio aiuto perderai il controllo e tutte le persone che ami cadranno per mano tua – disse con solenne minaccia e continuò a ripeterlo come una lugubre canzone mentre Ginevra vedeva il volto di Cedric mutare e diventare quello di Fred che successivamente venne sostituito da quello di George, poi da Harry, Draco, Remus, Ted, Andromeda, Nymphadora, Ron, Ginny, Hermione, Regulus, Sirius... e tutti avevano la medesima espressione: vuota.
Ginevra cercò di divincolarsi, spaventata da ciò che aveva davanti agli occhi.
Quando li riaprì, scattò a sedere come una molla e iniziò ad ansimare, come se avesse corso per un lungo tempo. Si guardò intorno e con suo immenso sollievo riconobbe la sua camera da letto.
- Era solo un incubo – sospirò portandosi la mano tremante sulla fronte madida di sudore e un attimo dopo scoppiò in lacrime. - Che cosa vuoi da me! - chiese implorante al mostro che era in lei, senza però ottenere una risposta.
Sapeva che se avesse continuato in quel modo sarebbe diventata pazza, ma in quel momento, pensò, era meglio essere pazzi che dover vedere la propria famiglia morire per mano sua.


A qualche camera di distanza, qualcun altro stava condividendo lo stesso sogno della ragazza... o, almeno, in parte.
Nel sogno di Fred Weasley non erano presenti voci inquietanti o i volti delle persone che amava che incombevano su di lui come avvoltoi, bensì una scena un tantino fuori dai binari, per così dire.
Prima che le loro labbra si sfiorassero Ginevra lo spinse, ridendo. Si tirò su e iniziò a correre verso il bosco in cui avevano passato gran parte della loro infanzia.
Correva. Correva più veloce del vento.
Sulle prime, Fred, rimase immobile ad ammirare la sua bellezza e i quei lunghi capelli neri ondeggiare nel vento, dopodiché sfrecciò al suo seguito.
La superò, si voltò a guardarla con un sorrisino derisorio e disse: - Stai diventando lenta, Blacky.
La sua risata gli risuonò nelle orecchie come una splendida melodia, che ben presto lo contagiò.
Poi, accadde. Di fronte a sé vi era una sagoma, immobile.
Fred frenò la sua corsa, ma Ginevra no. Lei andò incontro a quella sagoma, senza guardarsi indietro.
La sua risata spensierata risuonava ancora nelle orecchie del ragazzo che sembrava incapace di muovere un solo muscolo. Vide Ginevra, fermarsi e stringere in un tenero abbraccio suo fratello George... e poi poggiare le sue morbide labbra sulle sue.
Si baciavano con così tanta passione da lasciarlo quasi senza fiato.
Serrò i pugni, facendo sbiancare le nocche e quando incontrò gli occhi del gemello, sentì la sua voce dire: ho vinto io.
Non intendeva certo lasciarsi provocare senza reagire.
Riprese a la sua corsa, ma sembravano irraggiungibili. Ginevra era avvinghiata a George e le sue mani si intrecciavano tra i capelli rosso fuoco di lui.
Fred gridò ma nessun suono squarciò l'aria, solo la voce del fratello gli riecheggiava nella testa: ho vinto io.
All'improvviso riaprì gli occhi.
Si voltò verso il fratello, che dormiva abbracciato al cuscino e aveva dipinto sulle labbra un sorriso. Sembrava felice. Un po' troppo felice e questo lo infastidì parecchio, all'inizio, al solo pensiero che George stesse sognando la loro migliore amica. Poi, però, si diede dello stupido e promise a sé stesso di non dare troppa importanza ai sogni.
Dopotutto era impossibile che Ginevra scegliesse George.
Si alzò e si avvicinò al letto del fratello.
Lo studiò per qualche secondo e venne colpito dalla voglia di giocargli un piccolo e innocente scherzetto, giusto per svegliarsi in allegria.
Prese i due estremi del lenzuolo e dopo aver sospirato tirò forte, facendo precipitare George giù dal letto con un grande botto.
- Razza di...! - lo sentì imprecare, ma Fred si era già smaterializzato al piano di sotto e sedeva davanti ad un piatto carico di pancake caldi e fumanti. Un ghigno soddisfatto si dipinse sulle sue labbra quando un secondo più tardi vide suo fratello davanti ai suoi occhi con i capelli scompigliati e la bacchetta stretta in un pugno.
- Buongiorno, Gred! È una splendida giornata, non trovi?
- Se mi svegli così un'altra volta, io ti uccido – lo minaccio George sedendosi al suo fianco.
- Naah, ti mancherei troppo – lo spintonò l'altro, ridendo.
E un attimo dopo la stanza venne invasa dalla loro allegria, come ogni mattina da quando la famiglia Weasley si era trasferita a Grimmauld Place.


Regulus attese per ben dieci minuti, forse cinque... E va bene tre minuti, prima di bussare alla porta di Ginevra. Era talmente preoccupato per la ragazza da non riuscire a trattenersi, così quando ricevette il permesso entrò senza alcuna esitazione. Benché sapesse cosa fosse successo sentiva il bisogno di correre da lei, consolarla e farla sfogare.
Ed eccola lì, rannicchiata su sé stessa come una bimba indifesa.
Quella scena fece rivivere a Regulus tutte le volte in cui aveva paura di sua madre, o di Bellatrix, che non esitavano a infliggergli una maledizione Cruciatus quando lui commetteva un'errore o disobbediva alle loro regole. In quei momenti rimpiangeva di non aver seguito il fratello quando poteva, desiderava essere al suo fianco e lottare per ciò che era giusto.
- Ehi, va tutto bene? - Tentativo stupido, ma non sapeva cos'altro dire, vederla ridotta in quello stato lo scombussolava.
Lei non rispose, si limitò a guardare dritto davanti a sé, assorta nei suoi pensieri.
- Ho paura – disse quando Regulus si sedette al suo fianco.
- Be', mi sorprenderebbe il contrario.
- Si prende gioco di me. Quando abbasso la guardia lei mi attacca con ogni mezzo possibile – sospirò, cercando di calmare la voce tremula.
- Hai sognato Cedric, vero? - chiese Regulus e, istintivamente, Ginevra trattenne il respiro. Ormai era diventato un tabù ma non poteva scappare in eterno dalla realtà, ne era consapevole.
Annuì.
Fu il turno di Regulus di sospirare. - Sai, il vizio più pericoloso della mente è pensare a chi non c'è e spesso il punto debole di una persona è semplicemente un'altra persona. - La prese per le spalle. - Ma tu non devi lasciarle libero accesso. Io non sarò sempre lì a proteggerti perché quella cosa riesce a schermare ogni mio tentativo di aiutarti. Devi imparare a difenderti da sola. Non aiutarla ad autodistruggerti.
Ginevra annuì, fece una smorfia. - Essere collegati ha i suoi pregi e i suoi difetti. Tu puoi entrare nella mia mente, ma io non posso entrare nella tua. È una cosa ingiusta.
- Be', non ti perdi niente. E poi, i nostri sogni non sembrano tanto diversi. Hai gli ormoni subbuglio...
Scioccata da quelle parole, la ragazza afferrò il suo cuscino e colpì Regulus in pieno viso. - Sei un pervertito, Regulus Black.
Dopo aver incassato il colpo, le labbra di lui erano tese in un ghigno. Ad un tratto le afferrò i fianchi con un solo gesto e le bloccò ogni movimento, stringendola in un abbraccio. - Almeno ti ho fatta ridere.
Non era facile farla ridere negli ultimi tempi, ma Regulus era uno dei pochi in grado di riuscirci. E ne era soddisfatto.
- Non darti troppe arie.
Quando scesero in cucina per la colazione, trovarono gran parte dei componenti di quella casa che si abbuffavano di tutte le leccornie che Molly Weasley e Kreacher avevano preparato per quella mattina.
- Buongiorno – disse Ginevra.
Immediatamente le teste di Fred e George scattarono e fissarono i loro sguardi su di lei. Entrambi avevano il viso tutto rosso e gli occhi sgranati.
Regulus alzò gli occhi al cielo e si lasciò sfuggire un mezzo sorriso, cercando di non scoppiare a ridere. Torturare quei poveri ragazzi sarebbe stato il suo nuovo passatempo.
Si chinò verso la ragazza e le sussurrò all'orecchio. - Credo che ai tuoi amici piaccia il tuo pigiamino.
Le guance di Ginevra s'imporporarono leggermente quando si rese conto che i due ragazzi avevano gli occhi fissi su ogni parte scoperta del suo corpo, sopratutto le gambe. All'inizio non faceva caso a come vestirsi, ma grazie a Regulus si era resa conto che la sua tenuta era un po' troppo... leggera.
Quando presero posto Ginevra cercò di ignorare le espressioni dei suoi migliori amici e iniziò a servirsi di qualunque cosa si trovasse davanti a sé, finché non distolsero lo sguardo.
Fred e George si erano trovati ad avere dei pensieri poco casti e puri che avevano come protagonista la ragazza, ma sembravano vergognarsi entrambi sotto lo sguardo di Regulus che sorrideva loro in modo allusivo.
Lui sembrava il solo a trovare la cosa divertente e quando Sirius entrò in cucina, si rallegrò ancora di più perché i due gemelli assunsero un'espressione di puro terrore.
'E se uno di loro fosse un Legiliments? O peggio, se lo fossero entrambi?', fu il loro primo pensiero e temevano di essere scuoiati vivi se fossero stati scoperti.
- Tutto bene, ragazzi? - chiese loro Sirius. - Sembra che voi abbiate visto un vampiro.


Quella sera l'Ordine si sarebbe riunito e Ginevra ne avrebbe preso parte.
Quando iniziarono ad arrivare i membri dell'Ordine notò molti volti nuovi, ma anche alcuni conosciuti. Come la famiglia Tonks, ad esempio. Abbracciò Ted, Andromeda e Dora, chiedendosi se ci fossero altre bugie e segreti che nessuno di loro le aveva rivelato nel corso della sua vita, ma cercò di non pensarci troppo. Sciolse l'abbraccio con la cugina e rimase molto sorpresa quando vide chi stava aspettando sul ciglio della porta con un sorriso.
- Zia Emy?
- Non mi inviti ad entrare? - le chiese Emily prima di essere travolta dall'abbraccio della ragazza.
- Ma che ci fai qui? Se sei un membro dell'Ordine... allora anche tu sei una strega! - esclamò Ginevra colta da quell'illuminazione. Poi diede uno schiaffo giocoso alla spalla di Emily. - Perché non me lo hai detto?
- Non potevo rovinare la mia copertura... lascia perdere, è una storia lunga – si affrettò ad aggiungere quando vide che la ragazza stava per chiederle di più.
- Perfetto – commentò Regulus, e pur senza vederlo in faccia, Ginevra lo immaginò appoggiato allo stipite della porta del corridoio. - Stai cercando di farmi arrabbiare? - domandò poi. - Se è così, sappi che ci sei riuscita.
Ginevra si voltò, confusa. Credeva che Regulus stesse parlando con lei, ma si sbagliava.
- Chi non muore si rivede, Black – gli sorrise Emily.
Nymphadora aggrottò la fronte. - Vi conoscete? - chiese, ma nessuno (a parte Ginevra) le diede ascolto.
- Ti avevo detto di stare alla larga – esclamò Regulus avanzando verso di Emily. - Ti avevo avvertita che far parte dell'Ordine non faceva per te. Non mi ascolti quando ti parlo?
- E chi ti dice che l'ho mai fatto? - lo provocò lei.
Regulus le scoccò un'occhiataccia, ma non disse nulla. Fece dietrofront ed entrò in cucina, borbottando degli originali insulti su Merlino e Morgana.
Emily sospirò.
- C'è altro che devo sapere? - domandò Ginevra, guardando il punto in cui era sparito suo zio, con un mezzo sorriso. Le erano bastati solo pochi secondi, ma aveva capito che quei due covavano qualcosa al disopra dell'odio.
- Quando vi siete conosciuti? - domandò Nymphadora, curiosa.
- Andavamo a scuola insieme – sbuffò Emily.
- Davvero? - mormorò Ginevra. Poi si voltò verso di lei e le scoccò un ghigno malizioso. - E siete... intimi?
La donna aveva la faccia in fiamme. - Ma che cosa dici! Ci... punzecchiamo di tanto in tanto. Niente di più.
Nymphadora e Ginevra scoppiarono in una risata silenziosa, guardandosi complici.
- Ha ancora un debole per lui – sospirò Ted, che era rimasto a guardare i battibecchi della sorella, divertito. - Dovevate vederla una settimana fa quando si sono rivisti... Uno spettacolo impagabile!
- Non ti ci mettere anche tu – lo minacciò Emily, guardandolo in cagnesco.
Ted alzò le mani in segno di resa, dopodiché avanzò assieme ad Andromeda verso la cucina, dove si sarebbe tenuta la riunione seguiti subito dopo dalle tre ragazze.
Quando Ginevra entrò nella stanza incrociò l'espressione di suo padre. Sembrava pensieroso. E Regulus, alla sua destra, preoccupato. Ma quando la videro abbandonarono le loro espressioni per regalarle due smagliati sorrisi.
Stava per sedersi in mezzo a loro ma Moody tossì così rumorosamente da far cessare il chiacchiericcio che soggiornava nella cucina, attirando l'attenzione su di sé. Non disse nulla, le fece solo un cenno del capo indicandole il posto a capo tavola.
A quel punto tutti si affrettarono a prendere posto e aspettarono che lei facesse lo stesso.
Indecisa su cosa fare, si guardò intorno fino ad incontrare gli occhi grigi di Sirius. Lui la incoraggiò ad andare a sedersi a capo tavola con un piccolo cenno del capo e un sorriso, ma lei sapeva che in realtà era tutto il contrario di ciò che voleva.
Ginevra sospirò e avanzò verso Alastor, che era rimasto in piedi accanto alla sedia. Quando prese posto si sentì a disagio a causa della moltitudine di occhi che la scrutavano.
Smisero soltanto quando Albus Silente, dall'altro capo del tavolo, prese la parola e dopo pochi minuti si aprì un dibattito ma, all'inizio, Ginevra non vi prestò attenzione.
- Non possiamo permetterglielo – diceva una strega dal lungo abito nero e dall'aria nobile. - Se Voi-Sapete-Chi prende quella profezia saprà che Potter è colui che lo sconfiggerà.
- Sei davvero un genio, non c'è che dire, Vance – fu il commento quietamente sardonico di Severus Piton.
La strega strinse i pugni e assottigliò lo sguardo.
- Suvvia, non siamo qui per aprire sciocche discussioni – intervenne Andromeda, subito appoggiata da Molly.
- Quello che conta è proteggere Harry, Emmeline.
- Ma se non proteggiamo la Profezia non ci sarà nessun Prescelto da salvare, a questo ci avete pensato? - s'intestardì la strega di nome Emmeline.
- Siamo comunque in vantaggio – disse Moody e a quel punto si girarono tutti verso di lui. - Mi lancerei una Maledizione piuttosto che ammetterlo, ma grazie a Piton sappiamo tutto ciò che ci occorre per anticipare le sue mosse.
- Sì, ma non avrà mai la completa fiducia di Voldemort – disse Regulus e la maggior parte di maghi e streghe rabbrividì davanti a quel nome.
- C'è un'alternativa - disse piano Silente.
- Quale alternativa? - domandò un mago dai folti capelli color paglia.
Sirius, Ted e Regulus si voltarono verso Silente, furiosi.
- Non ci sono alternative, Albus – disse Minerva McGranitt con tono fermo.
Silente sospirò. Aveva l'aria di un bambino che era costretto ad assecondare il volere della mamma.
Ginevra li fissò scioccata, ma nessuno di loro batté ciglio.
- Chi è di ronda 'sta sera? - domandò Nymphadora cercando di smorzare il silenzio.
- Ronda? Ronda per cosa? - mormorò Ginevra.
- Per sorvegliare Harry... perché, tu non lo sapevi? - Nymphadora era timorosa davanti allo sguardo omicida delle persone che la circondava. - Cos'ho detto di male?
- È inutile che ve la prendiate con Dora – replicò Remus. - Tanto lo avrebbe scoperto comunque visto che fa parte dell'Ordine anche lei.
Nymphadora arrossì violentemente quando Remus le sorrise.
- Qualcuno vorrebbe darmi una spiegazione, per favore? - sbottò Ginevra, stanca di essere ignorata.
Per un minuto interminabile fissò Sirius negli occhi, in una muta conversazione.
Silente, però, sembrava non sopportare tutto quel silenzio così spiegò alla ragazza che la ragione di tutte quelle ronde erano per tenere d'occhio Harry nel caso Voldemort avesse voluto attaccarlo.
- Perfetto – disse Ginevra. - Vengo anch'io.
Qualcosa lampeggiò negli occhi di Sirius. -È rischioso, Gin.
-No – s'intestardì lei. - Voglio proteggere mio fratello come fate tutti voi, ne ho il diritto.
- Dico sul serio – ringhiò lui. - Non sei ancora maggiorenne e se tu andassi lì, le persone da proteggere diventerebbero due. Non voglio più discutere sull'argomento, sono stato chiaro?
Odiava essere nel torto, ma dovette ammettere che suo padre aveva ragione. Dopotutto lo diceva per il suo bene.










ANGOLO AUTRICE:
Ciaoooo! Bentornati, spero che non mi abbiate dimenticato.
So di avervi lasciato per parecchio tempo, ma ho avuto molte complicazioni che non sto qui a raccontarvi altrimenti si fa notte.
Be', cosa ne pensate del capitolo? Ho cercato di inserire un po' di coppie... ma non so se il risultato è buono. Se avete dei consigli o volete dirmi quanto detestate questo capitolo, lasciatemi una piccola recensione qui sotto, grazie.
Detto questo, pronti per il conto alla rovescia? Io sì. Non vedo l'ora che questo 2016 finisca! E voi? Be', auguro un buon anno a voi e famiglie.
Un bacio grande
18Ginny18

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 – IMPULSO ***


Capitolo 5 – IMPULSO

“Non uscire di casa per nessuna ragione”, non le era stato raccomandato altro.
Forse Sirius l'avrebbe uccisa, ma Ginevra non riusciva a stare ferma e buona ad aspettare che qualcuno le dicesse cosa fare. Non era nel suo DNA. E, dopotutto, era una delle tante caratteristiche che aveva ereditato da lui.
Eppure eccola lì, nascosta sotto un automobile poco distante dal vialetto della famiglia Dursley, ad aspettare che un ragazzo magro e occhialuto facesse la sua comparsa.
Sperava soltanto che nessuno la notasse. Però, la fortuna non sembrava dalla sua parte quel giorno.
Harry era uscito da quella casa di Babbani, sbattendo la porta, dopodiché si acquattò e si avvicinò alla finestra stando ben attento a non emettere un suono. Si distese lungo l'aiuola per poi voltarsi verso destra e la vide.
A quel punto Ginevra trattenne il fiato.
Lui aveva sbarrato gli occhi, sorpreso. Poi aveva corrucciato la fronte, confuso.
'Be', c'era d'aspettarselo', pensò la ragazza... o meglio il lupo.
Ovviamente non poteva andarsene a spasso come se niente fosse in attesa che qualcuno dell'Ordine la “prelevasse” per poi riportarla al quartier generale, dove suo padre l'avrebbe sicuramente punita; o peggio, Molly Weasley l'avrebbe punita e questo pensiero la spaventava molto di più. Ma l'idea di contribuire alla sorveglianza di suo fratello sotto forma di lupo era l'unica che le fosse venuta in mente.
Dopo aver passato qualche minuto a scrutare sospettoso quel lupo, Harry, spostò la sua attenzione altrove e Ginevra poté tirare un sospiro di sollievo.
Dopo qualche ora Harry si drizzò a sedere e, prima di rientrare in casa, lanciò una breve occhiata sospettosa al lupo.
Una volta che la porta d'ingresso si chiuse alle spalle del ragazzo, Ginevra si allontanò dal suo nascondiglio per poi rifugiarsi in un vicolo lì vicino dove riprese forma umana. Quando fu certa che nessuno potesse vederla o sentirla, chiamò il vecchio l'elfo domestico Kreacher che apparve dinnanzi a lei dopo pochi secondi.
L'elfo fece un inchino così profondo da toccare l'asfalto con la punta del suo naso, i suoi occhi brillavano di devozione.
- Kreacher è qui per servirla, mia padrona – gracchiò lui.
La ragazza gli sorrise. Non capiva il perché suo padre lo trattasse ancora male. Kreacher era così gentile...
- Devo chiederti un favore, Kreacher.

Dopo qualche istante con un leggero “crac” i due si materializzarono nella camera della ragazza e prima che il vecchio elfo si smaterializzasse, per ringraziarlo del favore, gli diede un piccolo bacio sulla fronte rugosa.
Le guance rugose di Kreacher si imporporarono. - Kreacher è sempre felice di servire la nobile casata dei Black - disse, dopodiché sparì.
Ginevra sospirò.
Sembrava solo ieri che aveva iniziato a “controllare” Harry, eppure quella era diventata una normale routine da settimane.
Diede un'occhiata alla sveglia sul suo comodino... era quasi l'ora di scendere per la cena.
Quando aprì la porta per poco non le venne un colpo. Regulus era appoggiato al corrimano e la salutava con un cenno della mano e il suo solito sorriso carico di ironia.
- Fammi indovinare – disse, incrociando le braccia al petto. - Hai studiato tutto il giorno?
- Cos'altro avrei potuto fare? - chiese lei, mentre scendevano uno scalino dopo l'altro.
- Non lo so – Regulus finse di pensarci un attimo. - La mia è soltanto una supposizione, ma magari sei sgattaiolata fuori dalla tua stanza e hai fatto un giro per a Little Whinging. Tralaltro disobbedendo a tuo padre.
Ginevra arrestò la sua discesa per voltarsi verso Regulus, che si fermò a sua volta. - Fai sul serio, Reg?
Regulus le fece l'occhiolino e lei sbuffò un sorriso.
Doveva immaginarlo che suo zio l'avrebbe scoperto in ogni caso, dato che erano collegati da un incantesimo di protezione abbastanza complicato e difficile da spezzare.
Chi ne era l'artefice? Silente, ovviamente. Quel genio pazzoide, così le piaceva chiamarlo, aveva fatto quell'incantesimo poco prima che Sirius venisse sbattuto ad Azkaban, senza però dirlo a nessuno tranne che ad Regulus. Le sarebbe piaciuto saperne di più sull'argomento, magari per tenerlo fuori dalla sua mente anche solo per qualche minuto, in modo da avere po' di privacy. Ma quando gli chiedeva qualcosa a riguardo lui storceva il naso e diceva: “Quando sarà il momento te lo dirò”.
- Lo dirai a papà?
Regulus alzò gli occhi al cielo. - No... se prometti di non farlo più – si apprestò ad aggiungere quando vide la ragazza saltellare dalla gioia.
- Grazie – disse Ginevra schioccandogli un bacio sulla guancia e scatenando una risatina allo zio.

Il giorno seguente Harry uscì da casa Dursley e continuò a camminare, senza una meta ben precisa. Quando svoltò l'angolo in Magnolia Crescent ripensò al primo incontro con Sirius, il suo padrino.
Quanto gli mancava.
Non riceveva una sua lettera da settimane, l'ultima cosa che gli aveva raccomandato era di “non agire d'impulso”...
Be', non era facile non farlo quando si condivide lo stesso tetto con i Dursley, ma almeno non era scappato come l'ultima volta. Era piuttosto irritante sentirsi dire di non agire d'impulso da uno che aveva trascorso dodici anni ad Azkaban, che era evaso e aveva cercato di commettere l'omicidio per il quale era stato condannato per poi fuggire con Ippogrifo.*
Be', alla fine si poteva dire che Harry aveva obbedito al padrino... finché non si ritrovò davanti due Dissennatori pronti a baciarlo.
Quando tornò a casa, venne accolto non solo dalle urla di zio Vernon ma anche da una lettera del Ministero della Magia, che lo informava della sua espulsione da Hogwarts, dato che i minorenni non potevano usare la magia fuori dalla scuola.
Era spacciato.
Ma la sua era stata solo legittima difesa! Insomma, cosa doveva fare? Farsi risucchiare l'anima pur di non infrangere una stupida regola del Ministero?
Infuriato e spaventato, Harry andò in camera sua dove sfogò la sua rabbia colpendo ogni oggetto che gli capitasse a tiro.
Si distese sul letto, coprendosi la faccia con il cuscino.
'Cosa farò senza Hogwarts, senza i miei amici, senza la magia', pensò disperato. Quella era la sua vita, e stava volando via come una nuvola di fumo.
- Ragazzo - zio Vernon era entrato nella stanza e Harry levò lentamente il cuscino dalla faccia per posare lo sguardo su di lui.
Sembrava divertito dallo stato d'animo del nipote. Secondo il suo parere, era ora che quella scuola lo cacciasse. 'Finalmente niente più magia o stranezze varie!'
- Che vuoi? - sbottò Harry.
- Io, tua zia e Dudley usciamo.
- Bene – rispose Harry tetro, e tornò a schiacciare la faccia contro il cuscino.**
E mentre zio Vernon decantava ciò che non doveva fare mentre erano via, Harry venne tentato dal desiderio di pigiare ancora più forte il cuscino pur di non sentirlo più parlare.
- Chiudo la porta a chiave.
Harry non rispose allo zio, ma si ritrovò a pensare che doveva essere un discendente di Cenerentola, perché aveva ereditato tutta la sua sfiga! Però non sarebbe arrivato nessuno a salvarlo.
- Mi raccomando – disse zio Vernon. - Soffocati, con quel cuscino.
- Contaci.
La risata rumorosa di Vernon rimbombò nelle orecchie di Harry come una zanzara fastidiosa che, per quanto tu provi a mandarla via, torna sempre a darti sui nervi.
Si addormentò poco tempo dopo la partenza dei Dursley, facendo un incubo sopra un altro. Da quando era tornato a Privet Drive sognava sempre una porta... ma non riusciva mai a vedere cosa ci fosse al suo interno. E a questo sogno se ne era sovrapposto un altro dove i suoi migliori amici diventavano dei grandi maghi, mentre lui si ritrovava al posto del signor Gazza, a inveire contro ogni studente e ad accarezzare quell'inquietante gatto dagli occhi rossi che andava sempre appresso al vecchio custode.
A quel punto venne ridestato da un grande frastuono in cucina che lo fece scattare a sedere come una molla.
Diede un'occhiata al vialetto dalla finestra, ma non vide la macchina dei Dursley parcheggiata.
Ci fu silenzio per qualche secondo, poi voci.
Harry afferrò la bacchetta e si posizionò davanti alla porta, ascoltando con attenzione ogni suono da parte degli intrusi. Sussultò quando la serratura scattò e la porta si spalancò. Rimase immobile a guardare il buio pianerottolo finché non sentì un sussurrato: - Lumos! - che rivelò l'identità di una ragazza dai capelli viola che gli sorrise, allegra.
Alle sue spalle c'era qualcuno ed Harry stentava a crederci.
- Professor Moody?
Possibile che stesse ancora sognando?
- È arrivata la cavalleria, Potter – rispose il claudicante.

Dire che Ginevra Andromeda Black fosse preoccupata era un eufemismo. No, lei era completamente avvolta dall'ansia.
Quando suo fratello Harry era stato attaccato da due Dissennatori, al quartier generale era esploso il caos... be', quasi. Ma la maggior parte dei presenti a Grimmauld Place avrebbe voluto strozzare Mundungus Fletcher per aver abbandonato il suo turno di sorveglianza.
- Io lo ammazzo! - ringhiò Ginevra per l'ennesima volta, dando un calcio ad una sedia della cucina che volò dall'altra parte della stanza, finendo in frantumi.
Nonostante la situazione, Sirius non poté fare a meno di sorridere.
- Be', credo che dovrai metterti in fila, tesoro – disse mettendole un braccio attorno alle spalle. - Molly sembra capace di tutto, in questo momento.
Al commento divertito del padre, la ragazza diede una veloce occhiata alla signora Weasley che sembrava sul punto di far esplodere l'intera cucina solo con un battito di ciglia, tanta era la sua collera.
Ginevra sbuffò un sorriso. Menomale che la signora Figg, la vicina Magonò dei Dursley, aveva avvertito l'Ordine poco dopo l'accaduto.
Chissà cosa ci facevano due Dissennatori a Priver Drive...
Sirius notò l'espressione preoccupata della figlia e si apprestò a rassicurarla con un abbraccio. - Starà bene, sta tranquilla.
- Lo spero.
Dopo aver sciolto l'abbraccio con il padre, salì le scale per raggiungere la propria camera dove avrebbe potuto prendere un po' d'aria dal piccolo balcone, nascosto agli occhi dei babbani come tutta la casa. Ma uno scoppio ormai familiare dalla camera di Fred e George riuscì a distrarla per un momento.
Si avvicinò alla loro porta con un sorriso obliquo, immaginando la camera in fiamme. Al pensiero le sfuggì una risatina.
Bussò alla porta e dopo qualche secondo si sentirono dei sussurri dall'interno della camera. - È sicuramente la mamma – disse uno dei gemelli, per poi urlare. - Arriviamo, Mamma! Dacci... dacci solo un minuto!
Poi un botto.
- Fa piano, Fred – lo rimproverò George.
- Provaci tu a spostare questo coso tutto da solo, e poi vediamo – rispose l'altro, stizzo.
Ginevra scosse la testa e si morse il labbro inferiore, cercando di trattenere una risata, ma non ci riuscì.
- Aspetta un attimo...
Un attimo dopo Fred si smaterializzò alle spalle di Ginevra che non se ne accorse minimamente, così il ragazzo la poté ammirare in tutta la sua bellezza mentre rideva divertita.
Non riuscì a spiegarsi il motivo di quel gesto ma, all'improvviso, la strinse in un abbraccio.
Ginevra sussultò per la sorpresa, ma non sciolse quel tenero abbraccio. - Fred! Mi hai quasi fatto venire un colpo.
Un secondo dopo George aprì la porta di scatto e a quel punto la ragazza poté dare libero sfogo alle sue risa quando lo vide in faccia; o meglio quando li vide entrambi. Avevano delle macchie nere di fuliggine un po' dappertutto, i loro capelli rossi erano insolitamente ritti e le loro magliette erano un po' bruciacchiate in parti diverse.
- Sapevo che eri tu – disse George con un sorriso a trentadue denti.
- Oh, certo – lo prese in giro il gemello. - Arriviamo, Mamma! Dacci... dacci solo un minuto... Sì, l'hai capito subito.
- Ma 'sta zitto – sibilò George.
Dopo aver concluso il piccolo battibecco, i due fratelli invitarono la ragazza ad entrare e una volta messo piede lì dentro Ginevra fu felice di constatare che se c'era una cosa che non sarebbe mai cambiata era proprio il loro disordine a regola d'arte.
- Bravi, ragazzi – commentò prendendo un trancio di pizza dallo scaffale. - Vedo che avete fatto ordine.
Fred fu abbastanza lesto da far sparire quella fetta dalle mani della ragazza con un colpo di bacchetta, dopodiché mostrò un sorriso imbarazzato.
Divertita dal gesto del suo amico, Ginevra si avvicinò alla scrivania dove c'erano una marea di pergamene, dolcetti e un pentolone nel quale ribolliva una sostanza marroncina dal discutibile odore.
Diede un'occhiata alla ricetta e notò subito l'errore... a quel punto la ragazza venne colpita dall'irrefrenabile istinto di aggiustare l'esperimento dei suoi amici. Bastarono solo tre gocce di veleno di Doxy per far mutare il colore di quell'intruglio da marrone a verde e l'odore cambiò in meglio.
Fred e George erano rimasti allibiti. Le avevano chiesto più volte un aiuto per il negozio di scherzi, dato che lei era un genio in pozioni, ma lei sembrava divertirsi di più a guardare i risultati dei loro esperimenti andati male.
Non le si poteva dare torto, infondo. Vedere un cambiamento diverso alla settimana nel loro aspetto era esilarante, come quando Fred si era ricoperto di chiazze viola per tutto il viso che, per non far scoprire alla madre che gli esperimenti per Tiri Vispi Weasley continuavano ad andare avanti, si era finto malato e gli unici che andavano a portargli da mangiare erano George e Ginevra.
- Che c'è? - chiese la ragazza ai gemelli che non avevano smesso di fissarla.
- Tu ci hai appena...
- … aiutai?
- Oh, scusate – si finse dispiaciuta. - Se volete la riporto subito com'era prima...
- NO! - urlarono quando la videro in procinto di inserire un altro ingrediente nella pozione.
Ginevra rise di gusto e schioccò ad entrambi un bacio sulla guancia. - Non c'è di ché, Weasley.
Dopo aver passato il tempo a ridere, scherzare e preparare i vari prodotti marchiati Tiri Vispi, Ginevra andò in camera sua. Fred e George erano quasi riusciti a distrarla dal suo proposito di aspettare l'arrivo di Harry dalla finestra.
Si appoggiò alla ringhiera ma, invece che guardare la strada, si perse a guardare il cielo privo di luna. Più di una volta si era chiesta se un giorno, quando la luna sarebbe stata piena, lei si sarebbe trasformata in un vero lupo mannaro... ma la sua era una situazione piuttosto singolare. Lei non era un lupo mannaro. Eppure, la paura che un giorno potesse diventarlo si stava facendo sempre più prepotente.
Alle sue spalle sentì la porta aprirsi, ma non si voltò a guardare chi fosse finché non sentì quella voce chiamarla.
Accanto alla porta, c'era suo fratello che sfoggiava un sorriso enorme. La preoccupazione di Ginevra si risvegliò immediatamente e riuscì a tranquillizzarsi solo quando lo strinse in un abbraccio.
- Mi sei mancato – disse facendosi sfuggire una lacrima.
Harry sorrise, felice di sentirsi finalmente a casa. - Anche tu, sorellina.




ANGOLO AUTRICE:
Ehilà, salve! Sono io, Topoli... no. Volevo dire 18Ginny18 ^-^''
Scusate il ritardo ma, ultimamente, non ho molto tempo libero. Ma cerco sempre di dedicarmi alla storia tra il sabato e la domenica.
L0 so, come capitolo è un po' banale e il titolo è davvero terribile. Ma non è colpa mia! La signora ispirazione ha ancora una volta fatto i bagagli, ma vi giuro che i prossimi capitoli saranno migliori di questo... o almeno spero.
Dunque, se trovate qualche errore di battitura o grammaticale vi prego di farmelo notare, perché quando rileggo quello che ho scritto (a velocità super sonica) non riesco a rendermi conto degli errori.
Be', che altro posso dire... in questo momento ho la mente vuota. Ah, ho creato un video sulla FF, se volete vederlo cliccate qui:
Se vi piace fatemelo sapere.
Spero che il capitolo non sia stato un disastro e di ricevere qualche recensione che riesca a risollevarmi l'umore e l'autostima.
Ringrazio tutti quelli che leggono e recensiscono ancora questa storia... anche se sono più che certa che nessuno continuerà a farlo dopo questo.
Detto questo vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo che mi auguro di scrivere e pubblicare al più presto.
Un bacio
18Ginny18

*Da “Harry Potter e l'Ordine della Fenice (capitolo 1 – Dudley Dissennato)” un po' modificato da me.
**Da “Harry Potter e l'Ordine della Fenice (capitolo 2 – Un sacco di gufi)” un po' modificato da me. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 – SORPRESA ***


 
Capitolo 6 – SORPRESA
Nei giorni seguenti, a Grimmauld Place ci fu un via vai di gente.
Harry non poteva che essere sollevato dal trovarsi lì, piuttosto che con i Dursley, ma l'ansia dell'udienza non aveva accennato ad abbandonarlo. Tutti non avevano fatto altro che rassicurarlo, confortarlo. Ma il più delle volte riuscivano solo a farlo infuriare. Per sua fortuna lo avevano assolto da tutte le accuse.
Finalmente mancava solo un giorno al suo ritorno ad Hogwarts e Merlino solo sapeva quanto desiderava tornare lì, la sua casa...
- Ma guardatelo... il signor Potter è concentratissimo nelle pulizie oggi! - fu il commento ironico di sua sorella che riuscì a distrarlo.
In effetti Harry stava spazzando le cacche di Edvige dalla cima dell'armadio, mentre Ginevra era sdraiata su uno dei letti a guardarlo e ridacchiare.
Harry sorrise. - Be', almeno io faccio qualcosa – disse. - Tu non hai nient'altro da fare oltre che rimanere lì a fissarmi?
- Io sono libera dai miei doveri e mi piace stuzzicare il mio fratellino – disse mostrando il suo tipico sorriso velato da un filo di ironia.
Harry cercò qualcosa da dire ma venne interrotto da Ron che entrò con un paio di buste.
- Sono arrivate le liste dei libri – disse, gettandone una a Harry, che era in piedi su una sedia, e l'altra alla ragazza. - Era ora, credevo che si fossero dimenticati, di solito arrivano molto prima...
- Be', meglio tardi che mai, Ronnie – sospirò Ginevra, mettendosi a sedere sul letto mentre Harry buttava le ultime cacche in un sacchetto della spazzatura, scagliandolo oltre la testa di Ron, nel cestino nell'angolo, che lo inghiottì e fece un gran rutto. Poi aprì la sua lettera insieme alla sorella, sedendosi al suo fianco.
In tutto questo Ron li linciò con lo sguardo, indeciso se arrabbiarsi con Harry o con Ginevra, dato che il primo gli aveva quasi scagliato contro una bomba puzzolente di cacche di gufo mentre la seconda lo aveva chiamato con quello stupido e irritante soprannome. Infine decise di fingere che niente di tutto ciò fosse successo e di aprire anche lui la sua lettera.
All'interno della busta c'erano due fogli di pergamena: uno era il solito avviso che la scuola cominciava il primo settembre; l'altro elencava i libri per il nuovo anno... ma c'era un terzo e insolito foglio, sia per Ron che per Ginevra.
Crac.
Fred e George si Materializzarono proprio accanto al loro fratellino, facendolo trasalire per lo spavento.
- Miseriaccia!
- Non ti emozionare troppo, Bilius – disse Fred pizzicandogli la guancia.
- E facci vedere la tua letterina – aggiunse George levando la lettera dalle mani di Ron con maestria.
Ridacchiò, ma il sorriso sparì immediatamente quando il suo occhio cadde su un rigo ben preciso. - Impossibile. Sei diventato prefetto!


Finalmente a Grimmauld Place regnava il silenzio. Nessun suono, nemmeno i rumori sospetti nella camera dei gemelli Weasley, né le urla del dipinto di Walburga Black, o persino le grida di Molly contro i suoi numerosi figli, disturbava quella pace che Sirius si stava godendo. Era comodamente sdraiato sul divanetto del soggiorno, ad occhi chiusi... e le probabilità che si sarebbe appisolato da un momento all'altro erano alte ma, purtroppo per lui, ci fu un'intoppo o meglio dire un botto. Ebbene sì, dal piano di sopra si sentì un forte rumore che lo fece scattare.
- Ma che diavolo sta succedendo lì sopra?


- Ron! RON!
Ron era disteso sul pavimento, privo di sensi. Fred era seduto a cavalcioni su di lui e lo schiaffeggiava cercando di farlo svegliare, ma quello non reagiva.
- Niente da fare... È morto - disse Fred rimettendosi in piedi.
A quel punto George ebbe un'idea. Impugnò la sua bacchetta e la puntò verso la faccia di Ron. - Auguamenti! - formulò, ma nonostante il getto d'acqua, Ron non si sveglio.
- Ronald, il pollo è pronto – borbottò Ginevra e a quel punto il ragazzo sembrò riprendersi.
Fred scoppiò a ridere. - Ma è un miracolo!
- Cos'è successo? - chiese Ron con voce roca. - Pollo... dov'è il mio pollo?
Ginevra si avvicinò al ragazzo e lo guardò, intenerita. - Niente pollo, Ronnie – disse per poi scompigliargli la chioma rosso fuoco.
- Ehi, tutto bene qui? Perché Ron è a terra? - chiese Sirius entrando nella camera dei ragazzi.
- Era svenuto per il forte shock – rispose Fred con tranquillità.
- Adesso è Ronnino il prefettino carino e coccoloso! - aggiunse George pizzicando la guancia del fratello minore.
Sirius inarcò un sopracciglio, lanciò una breve occhiata al suo figlioccio perché pensava che Silente avrebbe nominato lui come prefetto... ma evidentemente le cose non dovevano andare in quel modo.
- Be', congratulazioni Ron.
- Perché a me? - piagnucolò Ron, come se essere prefetto fosse una malattia incurabile.
Harry e Ginevra risero.
Poi l'attenzione di Sirius venne catturata dalla lettera tra le mani di sua figlia, pensando che fosse troppo gonfia per contenere solo la solita lista di libri... e a quel punto, nella sua mente, riemerse un ricordo ben preciso che gli fece seccare la gola.
Ginevra seguì lo sguardo del padre e solo in quel momento sembrò ricordare di non aver aperto la sua lettera. L'aprì con calma e quando infilò la mano dentro la busta per estrarre il primo foglio, sfiorò qualcosa d'insolito.
Gli occhi di lei si erano spalancati così tanto che Harry temeva di vederli uscire dalle orbite da un momento all'altro.
Quella fu l'affermazione che Sirius stava aspettando, ma che sperava di non ricevere.
- Gin, va tutto bene? - le chiese Harry preoccupato, ma lei continuò a fissare il vuoto borbottando frasi sconnesse.
- Porca Morgana! - esclamarono Fred e Harry quando si avvicinarono a lei per guardare la pergamena da sopra la sua spalla.
- Che succede? - chiese George, allarmato strappando la lettera dalle mani della ragazza che sembrò nemmeno accorgersene.
- C'è scritto che è diventata Caposcuola.
La busta cadde dalle mani di George e quando toccò il pavimento si sentì il suono di qualcosa al suo interno. A quel punto riprese la busta, infilò una mano al suo interno e strabuzzò gli occhi.
Ginevra era paralizzata.
- Ti prego non dirmi che è quello che penso che sia – disse Fred al gemello, strizzando gli occhi e incrociando le dita.
Nella stanza cadde il silenzio ma Sirius riuscì mettere tutto al suo posto. - Congratulazioni, principessa! - disse per poi stringerla in un abbraccio e sollevarla in aria. - Sono fiero di te.
Quella frase fu come un fulmine a ciel sereno per la ragazza.
“Ma io non voglio essere Caposcuola”.
A quel punto Fred commentò. - Be', meglio tu che qualcun'altra, Blacky – disse, portandosi le mani dietro la nuca.
- Ho sentito la parola Caposcuola - A quel punto nella stanza entrò Regulus, con un sorriso beffardo stampato sulle labbra. - Scommetto che sarai al settimo cielo, eh?
- Già... sto saltando dalla gioia, non vedi? - disse con un sorriso tirato. Lanciò uno sguardo alla spilla e sospirò. - Ginevra Black “Caposcuola”.
- Nemici dell'erede temete – enfatizzò Harry e tutti scoppiarono a ridere.
- Be', sarà un anno divertente. Immagina Gazza quando scoprirà che tu sei Caposcuola, Gin – disse George alla ragazza.
- Saremo intoccabili – il sorriso furbo di Fred fece intendere a Sirius che aveva già un piano al cento per cento malandrino per il primo giorno di scuola e si ritrovò a sorridere insieme a lui, ripensando ai tempi andati.


Era finalmente arrivato il giorno della partenza, e Grimmauld Place era invasa dall'agitazione e dalle urla della signora Weasley e del ritratto della matrona della famiglia Black.
Ginevra era seduta sul suo letto e stava riponendo alcuni indumenti nella valigia quando Sirius bussò alla sua porta.
- Ti ho portato una cosa – disse, sventolando una fotografia e prendendo posto accanto a lei.
Prima di porgergliela diede un'ultima occhiata a quell'immagine e sulle sue labbra apparve un sorriso malinconico. Non si era mai separato da quella fotografia ma voleva che sua figlia la portasse con sé, a Hogwarts.
Quando prese la foto Ginevra si rivide a due anni, in braccio alla madre. Lily teneva i lunghi capelli rossi legati in una coda e la stringeva tra le braccia. Indossava un maglione rosso con lo stemma di Grifondoro un po' infeltrito che profumava di biscotti al cioccolato. Anche se la fotografia era muta, Ginevra sentiva la risata di sua madre che si univa a quella acuta di lei mentre le solleticava la pancia.
Sorrise. Quella era la prima foto che vedeva dove lei e sua madre erano insieme.
- Voglio che l'abbia tu – disse Sirius incrociando gli occhi di lei.
- Grazie, papà. È bellissima – sussurrò abbracciandolo. - Ti voglio bene.
Sirius ricambiò l'abbraccio con tanto affetto e le posò un casto bacio sulla fronte.
- Ti voglio bene anch'io, principessa.

Una volta arrivati a King's Cross e attraversato il binario nove e tre quarti, la famiglia Weasley, Ginevra, Harry, Hermione e gran parte dell'Ordine della Fenice si ritrovarono davanti l'Hogwarts Express. Sirius e Regulus, trasformati in animagus in modo che nessuno potesse riconoscerli, si rincorrevano giocosamente tra la folla di studenti e famiglie fin quando la signora Weasley non li richiamò.
- Svelti ragazzi, il treno sta per partire! - esclamò abbracciando a caso i ragazzi e acchiappando Harry due volte. - Scrivete... fate i bravi...
Per un breve istante, l'enorme cane nero si rizzò sulle zampe di dietro e posò quelle davanti sulle spalle di Harry, ma la signora Weasley spinse via Harry verso lo sportello del treno, soffiando: - Per l'amor del cielo, comportati in modo più canino, Sirius!*
Ginevra si avvicinò a lui e gli grattò la testa. - Tranquillo, papà, baderò io a lui – gli sussurrò all'orecchio. Il cane incatenò i suoi occhi grigio intenso in quelli castano chiaro di lei. La loro sembrava una muta conversazione. - Non ti preoccupare, ci vediamo a Natale – sorrise Ginevra per poi salire sul treno insieme agli altri e iniziarono a sbracciarsi dal finestrino aperto per salutare i signori Weasley, Dora, Remus e Moody.
- Addio – gridarono Fred e George con teatralità mentre il treno cominciava a muoversi, ma prima riuscirono a vedere lo sguardo di fuoco della madre e i sorrisi divertiti di Dora e Remus prima che le loro sagome si rimpicciolissero fino a sparire. Ma il cane nero corse accanto al finestrino; le persone sfocate sul marciapiede risero nel vederlo inseguire il treno, poi questo fece una curva, e Sirius sparì lasciando sui volti di Ginevra e Harry due sorrisi un po' tristi.**





ANGOLO AUTRICE:
Ebbene sì, miei cari amici. A volte i morti tornano... ahahah SONO TORNATA!!! Contenti? Be', vi ho fatto aspettare un po'... un bel po'. Tanto, troppo tempo, lo so però adesso sono qui. Non ho intenzione di lasciare la mia storia. E so anche che il capitolo che breve e non è un granché, ma ho avuto qualche problema nel continuarla, ma adesso cercherò di mettermi di nuovo in pista... spero solo di riuscirci.
Adesso vi lascio, a presto :)
18Ginny18

*Harry Potter e l'Ordine della Fenice_Capitolo 10 – Luna Lovegood (ho inserito questa parte perché mi piace molto e ogni volta che leggo quelle poche righe mi si dipinge un sorriso da ebete sulle labbra).
** Harry Potter e l'Ordine della Fenice_Capitolo 10 – Luna Lovegood (e anche questa, solo che l'ho un po' modificata).

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 – CON GLI OCCHI DELLA MORTE ***


Capitolo 7 – CON GLI OCCHI DELLA MORTE

La notte veglio richiamo il tuo volto alla memoria”_Plinio il Giovane

Fuori dalla stazione di Hogsmeade, in un sentiero buio e fangoso, erano parcheggiate le solite cento carrozze che avrebbero portato gli studenti fino al castello. Ma quando Ginevra vide cosa trainava le carrozze rimase impietrita per qualche istante. E, in quel momento, sentì una voce che la fece sobbalzare. - Si chiamano Thestral. - Era la voce di Cedric.
Ginevra si voltò così in fretta che per un attimo sperò con tutta se stessa che lui fosse alle sue spalle. Ma purtroppo non andò come sperava.
Il ricordo della sua bellissima voce vorticava attorno a lei come uno spettro. - Sono dei Cavalli Alati, possono essere visibili solo da chi ha visto qualcuno morire.
Quelle parole la riportarono a qualche anno prima, quando lei era una ragazzina pronta a iniziare il secondo anno ad Hogwarts. Erano appena scesi dal treno per raggiungere le carrozze, per lei era la prima volta, dato che gli studenti del primo anno raggiungevano il castello tramite le barche e quando vide che niente trainava le carrozze Cedric si era subito apprestato a spiegarle il motivo.
E ancora una volta sentì l'eco della sua risata. - Lo so, non è un argomento molto allegro - disse massaggiandosi il collo con aria imbarazzata.
Lei sorrise, proprio come in quell'occasione, ricordando l'espressione tenera del ragazzo.
In quel momento le lacrime minacciavano di uscire fuori, come le succedeva quando pensava a lui. La morte di Cedric era stato un duro colpo e averlo visto cadere senza vita in quel cimitero continuava ad essere l'incubo che la tormentava ogni volta che chiudeva gli occhi.
Ma cercò di farsi forza.
Ginevra decise di concentrare la sua attenzione sulle creature dinnanzi a lei. Erano di color nero, con un muso da rettile e la pelle tutta ossa. Il loro aspetto inquietava un po', ma non sembravano pericolosi agli occhi di lei.
- Sembrano tranquilli – mormorò inconsciamente.
Lentamente avvicinò la mano al muso della creatura ma quella indietreggiò bruscamente, ridestandola da quello stato di trans in cui era entrata.
- Li vedi anche tu? - Per poco Harry non le fece venire un colpo.
Non si era neanche accorta che fosse così vicino a lei.
Harry fissava i Thestral, un po' incantato e spaventato da quelle creature.
- Cosa sono? - continuò lui. Ma Ron rispose prima che la giovane Black ne avesse l'occasione.
- Di che parli Harry? Le carrozze si sono sempre trainate da sole.
Per un attimo Harry credette di essere diventato pazzo. Forse quello che gli era successo negli ultimi tempi lo aveva scombussolato più del dovuto, ma lui sapeva che non era il solo a vederli. Aveva visto Ginevra con lo sguardo perso e sembrava così triste mentre guardava quelle creature... come se sapesse che cosa fossero.
Forse la sua mente gli stava giocando un brutto scherzo ma non era in grado di immaginare qualcosa del genere. Quelle creature erano strane e inquietanti, ma allo stesso tempo lo affascinavano molto.
Be', di sicuro quella non era la prima stranezza che Harry Potter incrociava da quindici anni ma si era ripromesso di chiedere alla sorella quel che sapeva su quelle creature.
- Ragazzi io vado a stendermi – decretò alla fine Ginevra.
- Non ti senti bene? - chiese Draco, preoccupato.
Era mano nella mano con Hermione. Sembravano diversi. Lui si muoveva, lei si muoveva... una cosa sola. Sembravano felici.
Quando Draco la guardava dava sempre la sensazione che le avrebbe fatto da scudo con il suo corpo prendendosi una Maledizione senza Perdono al suo posto.
Ed era proprio così che Cedric guardava Ginevra...
- Sono solo stanca – la voce le tremava ma nonostante tutto sorrise, pur di non dare a vedere che dentro stava impazzendo dal dolore. - Ci vediamo domani.
Corse via, senza dare ai suoi amici il tempo di parlare.
Una volta raggiunto il dipinto della Signora Grassa pronunciò la parola d'ordine, che per sua fortuna sapeva già. Il vantaggio di essere Caposcuola. - Mimbulus mimbletonia!
La Signora Grassa la guardò, sbigottita.
- Dovresti essere al banchetto...
- MIMBULUS MIMBLETONIA!
La Signora Grassa sobbalzò, il tono della voce della ragazza le era sembrato più un ringhio. Così spaventata, la lasciò passare.
Il ritratto si spalancò come una porta, rivelando il buco circolare nella parete.*
Ginevra lo attraversò subito e una volta salite le scale a chiocciola si fiondò verso la la sua camera, si lasciò cadere sul letto e iniziò a piangere.
Odiava Cedric perché era morto, odiava Harry perché era il Prescelto e quindi Voldemort voleva ucciderlo. Odiava con tutto il suo cuore Peter Minus che aveva scagliato l'Avada Kedavra verso Cedric... Odiava Voldemort. Ma più di chiunque altro, odiava sé stessa e quell'odioso parassita dentro di sé.
- Non ti libererai mai di me! - sibilò il parassita come un eco nella sua testa.
Sentiva che stava diventando più forte.
Ginevra voleva farla sparire. Quella stupida voce la tormentava giorno e notte. Ed era proprio la notte che la spaventava di più, perché era proprio in quegli istanti che “Il Mostro” la catturava nel mondo dei sogni e si cibava di tutta la negatività.
- Dormi... - sussurrò la voce suadente. - Dormi...
Gli occhi di Ginevra iniziavano a chiudersi, lentamente. Stava per chiuderli completamente e addormentarsi ma riuscì a riprendere il controllo. Spalancò gli occhi. Si mise a sedere sul letto e fissò lo specchio aldilà della stanza. Lo raggiunse subito e quando si ritrovò davanti l'immagine del suo riflesso si guardò il viso. I suoi occhi erano arrossati e le sue guance pallide rigate dalle lacrime.
- Non mi avrai – disse al suo riflesso. - Ti distruggerò – esclamò decisa.
A quel punto i suoi occhi cambiarono e il verde chiaro dei suoi occhi iniziava a diventare sempre più scuro fino a diventare neri. Le sue labbra formarono un sorriso inquietante e la voce nella sua testa echeggiò ancora una volta. - Non puoi sfuggirmi. Tu sarai mia!
Ginevra si coprì il viso con le mani. - VAI VIA! - urlò e lo specchio esplose andando in mille pezzi .
Quando riportò lo sguardo verso la superficie vide attraverso i pezzi distrutti che i suoi occhi e le sue labbra erano tornati come prima. Con un incantesimo riparò lo specchio dopodiché andò a fare una doccia fredda. Aveva bisogno di liberare la mente.
“Il Mostro” non emise alcun suono, nessun sibilo. Rimase in silenzio tutta la sera, anche quando Ginevra finse di dormire quando le sue compagne di stanza si preparavano per dormire. Sembrava essere sparita per il momento, ma Ginevra sapeva di non poter stare comunque tranquilla. Così decise di rimanere sveglia tutta la notte, così sarebbe stata sicura di non essere soggiogata... forse.

Era ormai notte fonda ma nel dormitorio femminile di Grifondoro e l'unica luce presente era quella della bacchetta della giovane Black, che continuava a sfogliare il nuovo libro di pozioni già da un bel po' e aveva quasi perso ogni interesse. Poi i suoi occhi puntarono una frase: “Pozione del sonno eterno. Provoca la cessazione delle funzioni vitali negli organismi viventi e nell'uomo”.
Forse era proprio quello che le era successo quella fatidica notte… la notte in cui Cedric... morì. Quella notte, aveva avuto la sensazione di aver perso ogni connessione con gli arti del suo corpo.
Il solo ricordo la fece rabbrividire.
Non era ancora pronta a rivivere neanche un piccolo istante di quello che era successo. Nonostante fossero passati mesi da quel maledetto giorno, lei non riusciva a togliersi dalla testa che fosse tutta colpa sua. Che Cedric fosse morto a causa sua.
Sapere che dentro di sé vi era un'entità oscura e maledetta che diventava sempre più forte grazie alle emozioni negative non aiutava di certo. E poi l'anno scolastico non era iniziato nel migliore dei modi.
Ripose il libro e decise di scacciare via quei pensieri gironzolando per i corridoi del castello.
“Ice” non era ancora tornato. Probabilmente era con Silente e almeno Ginevra non doveva sorbirsi altri rimproveri, ma sapeva che suo zio avrebbe capito il perché del suo gesto.
Non trasformarti”, la voce ammonitrice di Regulus le riecheggiò nella mente.
Ginevra trasalì e iniziò a pensare di essere pazza.
Aveva sentito davvero la voce di Regulus? Forse era un effetto del collegamento...
Anche se la cosa le sembrò assurda provò a comunicare con lui.
Ho bisogno di stare sola. Stai tranquillo”.
Aveva bisogno di staccare la spina.
Afferrò la bacchetta e uscì dal dormitorio femminile. Una volta raggiunta la sala comune si guardò intorno; i personaggi nei quadri dormivano beatamente e il caminetto era spento ma Ginevra spostò immediatamente lo sguardo perché in quell'istante ricordò il momento in cui stava per buttare la sciarpa di Cedric tra le fiamme.
Le lacrime non tardarono a farsi sentire e per poco non crollò a terra. Per sua fortuna aveva trovato un appiglio che le permise di tornare in sé e come colpita da un'ondata di calore si fece coraggio e uscì a grandi falcate dalla sala comune di Grifondoro.
Doveva fuggire da tutti quei pensieri e da ciò che la circondava. Ma ovunque guardasse vedeva Cedric Diggory che le sorrideva e questo le provocava un immenso dolore.

Gironzolava già da qualche ora per i corridoi del castello con la luce della bacchetta a farle compagnia, stando bene attenda a non illuminare i quadri intorno a lei. Si ritrovò più volte davanti alla Sala Comune di Tassorosso e tutte quelle volte lei tratteneva il respiro e le lacrime.
Si malediva perché ogni cosa le ricordava Cedric.
Persino le cucine lì accanto le ricordavano lui, nonostante la fame si faceva sentire lei si asteneva dal entrare e chiedere agli elfi domestici se potevano darle qualcosa.
Si accasciò a terra, fissando il vuoto e perdendosi nei suoi pensieri.
Continuava a chiedersi cosa doveva fare. Era confusa e frustrata, ma sopratutto aveva paura. Non sapeva cosa fare. La sua vita sembrava vuota e inutile senza Cedric. Aveva fatto tutto il possibile per stare meglio, per far vedere a tutti che stava meglio... ma ovviamente non era così.
- Mi manchi... - mormorò portandosi le gambe al petto. - Ho bisogno di te.
Chiuse gli occhi. “Non piangere, devi essere forte”, sarebbero state le parole di Cedric.
Ma anche se lei ci provava con tutta sé stessa... non ci riusciva.
Lasciò che le lacrime silenziose scendessero lentamente. Con il passare del tempo, l'oscurità l'avvolse e Ginevra si addormentò.

Severus Piton, che svolgeva la prima ronda notturna tra i corridoi, la trovò lì, con il viso rigato dalle lacrime e la testa appoggiata al muro.
All'inizio rimase stupito per poi provare un moto di rabbia crescente. - Dov'è quell'idiota! - sibilò riferendosi ad “Ice”.
Si guardò intorno, sperando di vederlo zampettare lì in giro, ma non vi era alcuna traccia del gatto nero.
Stando agli accordi con Silente era Regulus che doveva tenerla d'occhio ogni istante della giornata, mentre Severus doveva proteggere Harry.
Si avvicinò lentamente alla ragazza e la studiò, in silenzio, maledicendo quell'Animagus di Regulus Black.
Con un gesto della bacchetta controllò lo stato di salute di lei e tirò un sospiro di sollievo quando constatò che non aveva niente di rotto e che non aveva neanche un graffio.
Si inginocchiò al suo fianco e la guardò dormire.
Severus si era sempre chiesto il perché si sentisse così legato a lei.
Forse adesso la capiva ancora di più... dopotutto avevano condiviso lo stesso dolore.
Inconsciamente, le sfiorò il viso e quando si rese conto del proprio gesto ritirò la mano, come se si fosse scottato con del ferro rovente.
“È preferibile l'aver amato e aver perso l'amore al non aver amato affatto”, fu il suo pensiero malinconico.
Aveva promesso di proteggere i figli di Lily a qualunque costo, perché non voleva commettere lo stesso errore di quattordici anni prima.
Certo era un'ordine di Silente, ma lo doveva alla sua Lily. Se fosse stato necessario avrebbe sacrificato la sua stessa vita per proteggere Harry e Ginevra. Ciononostante, per quanto ci provasse, proteggere quest’ultima diventava sempre più difficile. Non era stato in grado di proteggerla come avrebbe dovuto.
Se poi ripensava a ciò che era successo qualche mese prima non poteva fare a meno di darsi dello stupido. Aveva lasciato che Barty Crouch Jr. la rapisse sotto il suo naso… e non riusciva ancora a perdonarsi per quell’errore. Ma avrebbe dovuto capire fin dal principio, prevedere, che colui che aveva avuto davanti per tutto quel tempo non era il vero Alastor Moody.
Sospirò.
Nella sua vita Severus aveva fatto un'errore dopo l'altro, ma si era ripromesso che da quel momento non ne avrebbe fatti mai più.
Ginevra si lamentò nel sonno e Severus le sussurrò di star tranquilla, che non era sola e lei sembrò tranquillizzarsi.
Aveva sempre avuto qualcosa che lo legava alla giovane Black... nonostante avesse preso molto da “quell'idiota” del padre, lei somigliava anche a sua madre. E più la guardava più vedeva Lily.
In quel momento Severus venne pervaso dal desiderio di proteggerla ancora di più. Di proteggere quel fiore delicato da ogni male.
Non riuscì a spiegarsi il perché del suo gesto, ma anziché svegliarla e rimproverarla per l'ora tarda, come avrebbe dovuto fare da buon professore, si avvicinò ancora di più lei. Le scostò i capelli dal viso, la prese fra le braccia e, lentamente, si alzò in piedi.
Lei, con il volto corrucciato, si strinse ancora di più fra le sue braccia. Sembrava una bambina.
Severus sentiva il suo cuore che batteva forte e non riusciva a spiegarsene il motivo.
Camminava tra i corridoi con Ginevra stretta a sé.
Per qualche istante, si disse, che poteva abbandonare l'aria arcigna e fredda che mostrava di solito. Piton fece qualcosa di molto insolito: sorrise.





ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti! Scusate il ritardo... lo so è da molto che non pubblicavo ma ho avuto un blocco dello “scrittore”, se così mi posso definire.
Nonostante tutto spero che mi perdonerete e 'sta volta giuro che sarò più attiva e che mi metterò sotto con i prossimi capitoli. Sappiate che non ho alcuna intenzione di abbandonare la storia. Ci tengo molto e non voglio lasciare niente di incompleto.
Detto questo, spero che questo capitolo vi piaccia e se ho commesso qualche errore o non vi piace ciò che ho scritto vi prego di dirmelo, anche via messaggio privato. Ho bisogno del vostro aiuto per riprendere il ritmo.
Grazie per tutto il sostegno che mi avete dato :)
A presto!!!
18Ginny18


*Da “Harry Potter e L'Ordine della Fenice – La nuova canzone del Cappello Parlante”.
**Citazione di Alfred Tennyson.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - IL PASSATO PUÒ FAR MALE ***


Capitolo 8 – IL PASSATO PUÒ FAR MALE


Quando il mattino seguente le studentesse del settimo anno di Grifondoro si svegliarono, trovarono il letto della giovane Black vuoto.
Tutte loro si chiedevano dove fosse finita, alcune di loro erano preoccupate... Tuttavia, dato che le altre ragazze preferivano pensar male, dissero che molto probabilmente aveva aspettato che loro si addormentassero per poter sgattaiolare fuori e passare la notte nel letto di qualche ragazzo; o meglio, questo era quello che pensava il nuovo capitano della squadra di Grifondoro, Angelina Johnson.
Lei provava molto odio per Ginevra e non si preoccupava di nasconderlo.
A suo dire, la Black aveva gran parte dei ragazzi di Hogwarts ai suoi piedi, soprattutto Fred e George Weasley. Loro erano stracotti di lei, ma la “principessina” non ci faceva nemmeno caso.
Ma nessuna di loro poteva mai immaginare che Ginevra aveva passato la notte a vagare tra i corridoi del castello per sfuggire al dolore, per poi ritrovarsi nel letto del professor Piton.
Quando Angelina e le sue amiche scesero nella Sala Comune, incrociarono i gemelli Weasley.
Il capitano di Grifondoro portò all'indietro i capelli e mise in bella mostra la sua silhouette, convinta che il loro sguardo fosse rivolto verso di lei.
Finalmente si erano accorti di lei e dimenticati di quell’arpia!
Per sua sfortuna, prima che lei potesse anche solo avanzare di un passo nella loro direzione, Katie Bell infranse le sue speranze sul nascere.
- Se state cercando Ginevra, noi non l'abbiamo vista – disse ai gemelli Weasley. - Dev'essere scesa prima di noi.
A volte Angelina non capiva proprio cosa passasse per la testa di Katie! Sembrava che neanche le importasse che fossero amiche. Dopotutto lei sapeva quanto desiderasse che uno dei gemelli Weasley in particolare la considerasse una bella ragazza, anziché una brava giocatrice a Quidditch o l'avventura di una notta o due. Voleva fare colpo su Fred... Ma, a quanto sembrava, Katie lo aveva dimenticato!
La fulminò con lo sguardo.
“Ha soggiogato anche lei”, fu il suo pensiero e questo aumentò ulteriormente l'invidia nei confronti della giovane Black.
Quando Katie si allontanò dai due ragazzi, Angelina le scoccò un'altra occhiata fulminante dopodiché uscì con passo spedito dalla Sala Comune.
- Che ho fatto? - domandò Katie, confusa.

Proprio in quell'istante Ginevra si rese conto di essere tra le lenzuola del professore di pozioni. Anzi, sarebbe meglio dire che all'inizio non se ne accorse nemmeno.
Si stiracchiò e restò distesa in silenzio, ascoltando i suoi attorno a sé. Il vociare caotico degli studenti che andavano a destra e a manca le ricordò che quello era il primo giorno di lezioni.
Ci vollero alcuni secondi prima che lei aprisse gli occhi.
Sospirò. “Buongiorno, mostro”, fu il saluto sarcastico a quella che ormai era la sua entità oscura. Quest'ultima, però non proferì parola. Nessun ringhio sommesso, nessuna cantilena intimidatoria... Nessun sibilo inquietante. Silenzio. Solo silenzio.
Ginevra pensò che fosse strano, ma non ci diede peso più del necessario. Il silenzio era positivo.
- Dormito bene, signorina Black?
Con gli occhi sembravano voler uscire dalle orbite, Ginevra scattò immediatamente a sedere. Il suo sguardo ispezionò tutta la camera fino a trovare chi aveva parlato.
Severus Piton era lì, a pochi passi da lei, seduto su di una poltrona di pelle nera con una coperta scura sulle gambe.
Aveva un'espressione stanca e un po' assonnata. Indossava solo una camicia bianca con solo due bottoni fuori dalle asole. Abbigliamento insolito da associare a lui dato che la ragazza era abituata a vederlo indossare sempre e solo l'abito nero e svolazzante che lo faceva sembrare un pipistrello.
- Professore... Io... - mormorò la ragazza, ma le parole le morirono in gola.
La confusione nella sua mente non le permetteva di capire o anche solo ricordare cosa le fosse successo o come avesse fatto ad arrivare fino a lì.
Però… "lì" dove, esattamente?
Si guardò intorno, con attenzione, per cercare di capire dove si trovasse.
Una cosa era certa: quella non era la sua camera.
La stanza a lei sconosciuta era ben illuminata e rassicurante. Nulla era fuori posto. La precisione, anche soltanto nella disposizione dei mobili e dei quadri, era quasi sconcertante ma le trasmetteva molta serenità. Il ché lo trovò molto strano dato che lei era l'opposto dell'ordine e della precisione... Be', almeno nell'ultimo periodo.
Poi notò che sul caminetto vi era un vaso con solo un fiore. Era bianco... un bellissimo e candido giglio.
Il professore, quando si rese conto dove si era fermato lo sguardo della ragazza, si schiarì la gola quel tanto che bastava per riportare l’attenzione su di sé.
Rimase sbigottita quando vide il sorriso dell'uomo. Ebbene sì, il professor Severus Piton stava sorridendo!
Ginevra si ritrovò a pensare che probabilmente stava nevicando all'Inferno.
Nemmeno lui capiva bene il perché del suo gesto, ma vedere il volto corrucciato e confuso della sua studentessa migliore, gli aveva riportato alla mente tanti bei ricordi che credeva non avrebbe più riportato alla luce per paura di soffrire. Ma quella ragazza era così simile alla madre che a volte si sentiva come se lei fosse ancora lì con lui.
Ma tu non sei lei”, fu il suo pensiero ricco di amarezza.
Severus le lanciò un'occhiata penetrante e a quel punto il suo insolito sorriso sparì e la sua espressione tornò quella fredda e impassibile.
Si alzò dalla poltrona e prese la bacchetta adagiata sul tavolino lì vicino. L'agitò e la coperta si piegò e si ripose da sola nell'armadio.
Il professor Piton non avanzò. Rimase immobile come una statua e Ginevra si guardò intorno ancora una volta prima di dare voce ai suoi pensieri. - Come sono arrivata fin qui? - chiese.
Lui non si scompose, la sua faccia non mostrò alcuna espressione, rispose semplicemente che era stato lui a trovarla nel corridoio e che l'aveva portata lì, in camera sua. E per non tradire alcuna emozione aggiunse in tono gelido: - Non credevo fosse sua abitudine inaugurare il nuovo anno scolastico con una passeggiatina notturna. Soprattutto senza quegli scavezzacollo dei gemelli Weasley al suo fianco.
Come scottata si alzò in piedi. - Sono mortificata, professore. – disse abbassando lo sguardo, ma il tono di voce era fermo e non tremolante come si aspettava. - Non volevo darle alcun disturbo.
Le sembrava tutto ridicolo.
Da quando in qua lei, Ginevra Andromeda Black, aveva paura di incrociare lo sguardo dell'insegnante?
Piton alzò gli occhi al cielo. - Se lei soffre di insonnia dovrebbe chiudersi a chiave in camera la prossima volta, così magari evita di mostrare a tutti il suo pigiama... succinto.
Ecco la risposta alla sua domanda.
Ginevra arrossì, imbarazzata. Si maledì per non aver indossato dei pantaloni lunghi anziché dei pantaloncini corti per la notte. Era già la seconda volta che capitava una cosa del genere! Prima i gemelli... Poi Piton...
Si sentì sprofondare ancora di più nell'imbarazzo al solo pensiero che il professore le aveva toccato le gambe nude per portarla fino a lì. Tutto questo le fece provare uno strano brivido lungo la schiena. Ma, stranamente, era un brivido piacevole.
Aspetta, cosa?
Il sonno la stava rincitrullendo del tutto.
Tu credi? Dopotutto è un bell'uomo”, le sussurrò suadente l'entità oscura dandole il buongiorno.
Ginevra scacciò via dalla mente ogni pensiero o sensazione riguardante l'insegnate e zittì la voce.
Il professore riuscì a leggere, da bravo legilimens, i suoi pensieri senza però capire che in realtà era “il Mostro” a parlare. Cercando di non dare a vedere il suo imbarazzo, continuò a parlare. - Regulus le sta portando la divisa, così finalmente avrà degli abiti più consoni – disse, per poi indicare la porta aldilà della stanza. - Lì c'è il bagno. Si dia una mossa, le lezioni stanno per cominciare.
Ginevra strinse i pugni e oltrepassò la soglia. Una volta chiusa la porta alle sue spalle, scivolò sul pavimento. - Ottimo, Black – sibilò. - Davvero ottimo.
Si portò una mano alla fronte e chiuse gli occhi.
Cosa le stava capitando?


- Tutto bene, Harry? - chiese Fred mentre lui e George prendevano posto al tavolo di Grifondoro per la colazione.
- Sembri... arrabbiato – continuò George.
- Seamus crede che Harry stia mentendo su Tu-Sai-Chi – spiegò Ron succinto, quando Harry non rispose.*
I gemelli si rattristarono. Provarono a mettersi nei suoi panni e senza neanche parlarsi decisero di dover fare un bel discorsetto a Seamus. Un dialogo “tranquillo”.
- Noi siamo con te, Harry – disse Fred e George annuì deciso. - Lascia perdere tutti gli idioti che dicono di non crederti.
- E se hai bisogno di due guardie del corpo puoi contare su di noi – scherzò George, sperando di farlo sorridere. E fu felice di vedere il fantasma di un sorriso sulle sue labbra. Era comunque una conquista.
- Grazie ragazzi – Harry si guardò attorno per poi chiedere. - Avete visto, Gin?
- No, in effetti. Pensavamo fosse già qui dato che non l'abbiamo vista scendere – disse Fred preoccupato.
- Forse sarà con il professor Silente o Piton. Neanche loro sono presenti... - mormorò George guardando i posti vuoti al tavolo degli insegnanti sperando che non fosse successo niente di grave.
Il dialogo terminò con l'arrivo di Angelina che non perse tempo a prendere posto tra i gemelli Weasley, posto che di solito spettava a Ginevra. Questo fece irritare un po' i due ragazzi ma cercarono di non darlo a vedere.
- Ecco i miei Battitori – disse lei iniziando a servirsi la colazione. Sembrava molto felice quella mattina e preferì far finta che quello che era successo in Sala Comune non fosse mai successo. - Sapete che sono diventata Capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro?
- Wow è fantastico, Angelina – si congratulò Fred. - Hai già qualche piano d'attacco per la prima partita?
- Be', per prima cosa abbiamo bisogno di un Portiere adesso che Oliver se n'è andato. I provini sono venerdì alle cinque e voglio che ci sia tutta la squadra, d'accordo?*
- Va bene – rispose Harry stizzo.
Angelina non gli aveva nemmeno rivolto un cenno di saluto, lo aveva completamente ignorato.
Gli sorrise. Aveva l'espressione di chi si era appena accorto di avere qualcuno davanti a sé. - Hai passato una bella estate, Harry?
- Non credo che ti importi davvero saperlo – rispose Harry, irritato.
La ragazza rimase in silenzio a guardarlo. Harry la ignorò semplicemente e se aveva ricominciato a parlare non l'ascoltò nemmeno. Se prima aveva quel briciolo di stima per lei, in quel momento si era disintegrato. Era stufo di sentirsi come un fenomeno da baraccone ogni volta che parlava con qualche scettico su ciò che era successo qualche mese prima. Aveva deciso di ignorare e continuare a vivere la sua vita, per quanto complicata potesse essere.
E poi i suoi pensieri erano rivolti alla sorella. Continuava a chiedersi se stava bene poiché, con il passare del tempo, era diventato sempre più ossessivo. Aveva paura che lei soffrisse ancora. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei pur di vederla tornare a sorridere come un tempo.


La colazione era finita da tempo e gli studenti delle varie Case si apprestarono a uscire dalla Sala Grande per raggiungere le loro rispettive aule.
Ma di Ginevra neanche l'ombra.
Era inutile dire che quella mattina la sua assenza era un ottimo argomento di pettegolezzo per tutti gli studenti armati di fantasia e cattiveria, come un gruppetto di Serpeverde e Corvonero che, durante la fine del pasto, diedero vita al pettegolezzo più grande. Ma per loro sfortuna Fred e George passarono lì accanto giusto il tempo per sentire ciò che si dicevano.
- Ma vi rendete conto? La cosa ha del tragico! - trillava una Corvonero del quinto anno.
- Mi fa quasi pena, poverina – ridacchiò la sua compagna. - È rimasta incinta e adesso manda avanti la gravidanza senza Diggory...
- Be', non è detto che il padre sia lui... Insomma nessuno sa quello che è realmente successo l'anno scorso quando lei è sparita – continuò un Serpeverde del sesto anno.
- Tu dici che... - gongolò quella che sembrava la perfetta replica della Parkinson. - Non vorrei essere al suo posto.
- E io non vorrei essere al vostro – la voce di George tuonò in tutta la Sala Grande e il gruppetto di malelingue sobbalzò, spaventato. Molti studenti si voltarono verso di loro, curiosi e speranzosi di un po' di azione.
- Che c'è? Non parlate più adesso? - sbottò Fred.
- Non sono affari vostri, Weasley – ribatté la copia della Parkinson in divisa blu e argento.
- Tappa quella fogna, ragazzina o ti conciò per le feste!
Fred era furioso. E George stava morendo dalla voglia di tirare qualche pugno a quegli idioti, gli importava ben poco che tra di loro ci fossero delle ragazze.
- Che c'è Weasley di rode il fatto che la tua amichetta del cuore sia andata al letto con qualcuno che non sia tu? - lo sfotté il Serpeverde. - Peccato che non sia più la verginella che credevate. Lo sanno tutti che entrava nel dormitorio di Tassorosso mano nella mano con quello smidollato di Diggory e a far cosa lo sappiamo tutti!
- Richard – lo ammonì la sua compagna, scioccata dalle parole irriverenti riguardo il povero Cedric.
Il ghigno di Richard sparì non appena Fred lo prese per il colletto della camicia e con l'altro pugno pronto a colpirlo. - Non. Osare. Mai più – ringhiò.
Nonostante si vedesse lontano un miglio la paura negli occhi di quel Serpeverde, lui sembrò trovare il coraggio di dire ciò che pensava al riguardo.
- Lo sanno tutti che è una sgualdrina e figlia di un assassino!
La furia aveva preso il sopravvento e Fred era pronto a colpirlo. - Brutto figlio di...
- Lascialo a me – la voce calma di Paul Bennet, il migliore amico di Cedric Diggory, echeggiò in tutta la Sala.
Nessuno sembrava essersi accorto di lui. In molti sobbalzarono non aspettandosi che lui prendesse la parola. Aveva lo sguardo glaciale ma la voce ferma, ed era insolito vederlo in quel modo data la sua reputazione da Tassorosso amichevole e pacifista. E adesso che lui era diventato Caposcuola, il timore sfiorava molti di loro, soprattutto per la sua stazza che era quella di un armadio a due ante.
Fred rivolse un sorriso sprezzante al Serpeverde. - Con piacere, Bennet– disse a voce bassa. Lasciò la presa sul ragazzo e Paul si avvicinò senza alcuna esitazione.
I gemelli Weasley erano al suo fianco. Per loro ogni amico di Ginevra era amico loro e anche se con Paul avevano parlato molto poco, Fred e George erano pronti a spalleggiarlo.
All'inizio il Tassorosso si limitò a fissare il Serpeverde dritto negli occhi, senza scomporsi. - Non osare mai più parlare di Ginevra e Cedric. Non voglio sentire neanche una parola uscire dalla tua lurida bocca su di loro – lo minacciò a denti stretti.
- Altrimenti? Mi lancerai delle margheritine? - lo sfotté Richard.
Paul ghignò e, veloce come un fulmine, lo impalò al muro sollevandolo dal colletto della camicia. - Sarà meglio che tu non scopra quello che posso farti. Se ti azzarderai ancora a insultare i miei amici io ti farò pentire di essere nato – rispose con freddezza. Dopodiché lo lasciò andare come se nulla fosse successo e si incamminò verso l'aula di Difesa contro le Arti Oscure, lasciandosi alle spalle l'intera scuola sbalordita.
Qualcosa stava cambiando ad Hogwarts... e non era positivo.





ANGOLO AUTRICE:
Eccomi qua! Pronta con un nuovo capitolo, come promesso. Spero che vi piaccia e che mi direte cosa ne pensate. Se c'è qualcosa da cambiare la cambierò immediatamente.
Nel prossimo capitolo ci sarà la Umbridge... scommetto che siete felicissimi, vero? Ahaha
Be', alla prossima allora.
Buon fine settimana a tutti voi!!!
18Ginny18


*Da “Harry Potter e L'Ordine della Fenice – La professoressa Umbridge”

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 – IL DIAVOLO VESTE ROSA ***


Capitolo 9 – Il diavolo veste rosa

Quando i Tassorosso e i Grifondoro del sesto anno entrarono nell'aula, trovarono la nuova insegnante già seduta alla cattedra. Per Fred e George, che non tardarono a condividere il loro pensiero con l'intera classe, sembrava un confetto rosa dalla testa ai piedi e la cosa dava loro il voltastomaco.
Ogni studente che varcava la soglia si ritrovava impietrito dallo sguardo raccapricciante che la professoressa Umbridge riservava a chiunque parlottasse man mano che prendeva posto.
- Buongiorno, fanciulli! - disse quando fu sicura di avere l'attenzione di tutti su di sé.
- Ma perché per una volta non possiamo avere una donna attraente come insegnante? – borbottò Lee Jordan prendendo posto agli ultimi posti con Fred e George.
Ma l'attenzione di quest'ultimi venne attratta dalla figura di Ginevra, che prendeva posto accanto a Paul. I gemelli tirarono un sospiro di sollievo nel vedere che era sana e salva.
Si sporsero verso di lei e insieme a Paul chiesero: - Stai bene?
Lei abbozzò un sorriso e annuì.
Dopo la sua ultima sparizione le loro menti giocavano troppo con la fantasia e a volte si preoccupavano anche per le cose più insignificanti. Non volevano perderla più di vista, per questo non tardarono a lanciare occhiate a chiunque si girasse a guardarla.
- Oh – trillò l’insegnante – signorina Black è lei! Per oggi farò un'eccezione dato che è il primo giorno, ma alla prossima lezione gradirei l'educazione da parte vostra - disse la professoressa quando anche l'ultimo studente prese posto. Il tono di voce era amabile, ma il suo sguardo fulminante era rivolto solo a Ginevra e sembrava che volesse polverizzarla sul posto. - Dunque, ora via le bacchette e fuori le penne, prego. Quest'anno affronterete i M.A.G.O. e mi aspetto la massima serietà da parte vostra. Studiate sodo e sarete premiati, miei cari – cinguettò la Umbridge.
Calò il silenzio e gli studenti iniziarono a mormorare fra loro: “Via le bacchette?”. Erano completamente straniti dalle parole dell'insegnante. Non era mai successa una cosa del genere.
A questo proposito una ragazza di Tassorosso alzò la mano e la professoressa le sorrise invitandola a parlare. - Cosa intende dire con: “via le bacchette”, professoressa? Noi abbiamo sempre usato le bacchette.
- Voi apprenderete gli incantesimi di difesa in modo sicuro e privo di rischi. Non sarà necessario nessun sventolio di bacchetta nella mia classe – il tono della professoressa Umbridge sembrava non voler ammettere repliche
- Non useremo la magia? Ma dovremo pur difenderci – contestò una Grifondoro nelle prime file.
- Difendervi? - ridacchiò la Umbridge. Calò nuovamente il silenzio. Alzò un sopracciglio e fissò lo sguardo sulla ragazza che aveva parlato. - Qual è il suo nome, cara?
- Katie Bell – rispose la Grifondoro.
- Be', signorina Bell, mi chiedo da cosa intende difendersi. Non credo che qualcuno di voi si aspetti di essere aggredito durante le lezioni – disse la professoressa Umbridge con una risatina. - È opinione del Ministero che una conoscenza teorica sarà più che sufficiente a farvi superare gli esami, e dopotutto è questo lo scopo della scuola.*
- Come può questo tipo di istruzione prepararci a quello che ci aspetta là fuori? - domandò Ginevra ad alta voce. - Insomma, dopo tutto quello che è successo, pensavo che il Ministero avesse almeno adottato una forma più solida di sicurezza e preparazione.
La Umbridge scattò in piedi e iniziò a passeggiare fra i banchi. - Gli studenti alzano la mano quando desiderano parlare durante le mie lezioni, signorina Black – disse, fulminandola con lo sguardo.
Molti ragazzi, che intendevano fare molte domande all'insegnante, fecero scattare le mani in aria. Ma Ginevra non si lasciò intimidire dall'insegnante.
- Ma professoressa, Ginevra ha ragione. Abbiamo bisogno di sapere come difenderci da ciò che ci aspetta – disse Paul senza alzare la mano, ma la Umbridge non vi fece nemmeno caso. Sembrava più concentrata sull'aspetto del Tassorosso che alla sua educazione.
- Non c'è niente là fuori, caro. Chi dovrebbe aggredire dei ragazzi come voi? - chiese lei con voce mielosa.
- Lord Voldemort... magari? - sbottò Ginevra con sarcasmo, ma dentro di sé iniziava a fremere.
Quella professoressa era davvero stupida o faceva finta?
La ragazza avvertì lo sguardo dei suoi compagni su di sé. Gran parte di loro trattennero il fiato; altri bisbigliavano tra di loro additandola e fissandola con occhi sbarrati, come se avesse appena compiuto un sacrilegio.
Non provò neanche a capire il perché di quella reazione. Nella sua vita aveva osato mettere i piedi in testa a pochi insegnanti, con la Umbridge erano passati solo pochi minuti dall'inizio della lezione e già cominciava a irritarsi e il fatto che all'udienza avesse votato per la sua condanna, non andava di certo a suo favore. Ginevra sentiva il dovere di scaricarsi ma al tempo stesso di placare la sua rabbia per evitare la grande esplosione.
- Questo è ridicolo – esordì la professoressa guardandosi intorno. - Adesso chiunque interromperà di nuovo la mia lezione verrà punito severamente.
Ginevra alzò un sopracciglio e le venne quasi da ridere ed era pronta a replicare ma Paul glielo impedì. Non voleva che lei si cacciasse nei guai fin dal primo giorno.
Una volta raggiunta nuovamente la cattedra, la professoressa riprese la parola. - Ora, permettete che io chiarisca una volta per tutte. Vi è stato riferito che un certo Mago oscuro è tornato in circolazione... questa è una bugia.
- E cosa le fa credere che sia una bugia? - chiese Paul, scettico.
Alle parole dell'insegnante, la furia di Ginevra era aumentata considerevolmente. Sapeva che non sarebbe riuscita a trattenersi a lungo.
- Solo perché un ragazzo lo afferma non vuol dire che dobbiamo credere alle sue parole. Anche se è quello che lo ha sconfitto quando era solo un infante – rispose gelida la professoressa Umbridge. - È logico che stia vaneggiando. Cedric Diggory è morto per un tragico incidente. I percorsi del labirinto al Torneo Tremaghi erano instabili...
- Come osa? - Ginevra la interruppe prima che la Umbridge potesse terminare l'ultima sillaba.
Scattò in piedi, furiosa. Fred cercò di fermarla prendendola per mano ma lei se ne liberò immediatamente.
- Voldemort è tornato e lei crede che un ragazzo innocente sia morto... Per un incidente? Lei non ha la minima idea di quello che è successo quella notte. Non ha neanche il diritto di parlare o solo di pensare a Cedric se crede che non sia morto per mano di Voldemort.
- Punizione, signorina Black! Per le sue continue bugie e la sua incessante mancanza di rispetto nei confronti di un insegnante.
- Io sono stata prigioniera di uno schifoso Mangiamorte! Crede che io stia mentendo? Provi lei a stare in uno piccolo spazio buio, senza cibo o acqua decente per giorni, se non mesi. Solo con la consapevolezza e la speranza che la morte sopraggiunga in fretta.
Per qualche secondo calò il silenzio nell'aula. Poi la Umbridge sorrise malevola e disse: - Perché non lo chiede a suo padre? Dopotutto è lui l'esperto di prigionia.
- Adesso basta – sibilò Paul, infervorato. - Perché non ammette il perché lei è qui? Su, coraggio. Lo ammetta. Metta in punizione anche me, non mi importa! Lo dica a noi poveri studenti che devono sottostare al suo volere.
- Sono qui perché i vostri precedenti insegnanti erano inadatti e il Ministero ha ritenuto opportuno assegnare il compito a qualcuno capace.
- Allora non centra nulla il fatto che il Ministero vuole avere il controllo su Hogwarts? - continuò Katie Bell, dando manforte ai suoi compagni.
- Adesso basta! - urlò la professoressa. - Punizione anche per voi! Andate immediatamente dai vostri Capocasa – concluse estraendo tre piccoli rotoli di pergamena rosa dalla borsetta che si apprestò a srotolare sulla cattedra, con un sorriso irritante.
- Non può farlo! - protestarono Fred e George. - Hanno solo detto la verità.
- Se volete posso spedire anche voi in punizione, signori – trillò la Umbridge, senza spostare lo sguardo dai fogli di pergamena in cui scriveva in fretta, senza abbandonare quel maledetto sorriso.
I due erano già pronti ad avanzare verso di lei ed accettare qualsiasi punizione, ma Ginevra e Katie li rabbonirono con una richiesta silenziosa. Non volevano far cacciare anche loro nei guai.
L'insegnate li guardava con un guizzo di sfida negli occhi, pronta a porgere ad ognuno di loro un foglietto di pergamena.
I tre ragazzi presero le loro borse e Ginevra sfilò il foglio dalle mani della professoressa, ma prima che ciò accadesse quest'ultima lo strinse tra le dita con forza. Dopodiché si chinò in modo tale che l'unica a sentire le sue parole fosse proprio Ginevra. - Non avrai vita facile con me, carina - sussurrò giuliva per poi rivolgersi a tutti e tre: - Vi aspetto questa sera. Alle cinque. Nel mio ufficio.
La ragazza rimase in silenzio e le sfilò il foglio, da quelli che sembravano più gli artigli di un'arpia, e uscì dall'aula a grandi passi seguita da Paul e Katie che le furono subito accanto.
- Me la pagherà quella... - Paul si lasciò andare a un ringhio di irritazione.
All'inizio Katie strabuzzò gli occhi per la sorpresa. Non conosceva Paul ma era sicurissima che lui fosse il ragazzo più dolce e gentile di tutta Hogwarts. Poi, iniziò a lasciarsi andare insieme al ragazzo in quelle che, di certo, non erano ovazioni lusinghiere all'insegnante.
Ginevra, invece, lasciò che la sua mente vagasse e, per un breve istante, in fondo al corridoio che stavano percorrendo, vide Cedric. Era come se l'aspettasse. Ma bastò un breve battito di ciglia che lui sparì.


Quel pomeriggio, dopo la fine delle lezioni, i tre ragazzi si incamminarono verso l'ufficio della professoressa Umbridge e furono sorpresi quando videro qualcun altro al loro fianco.
- Anche tu in punizione, Harry? - chiese Katie.
Il Prescelto, che camminava con le mani nelle tasche dei pantaloni, annuì controvoglia.
- Almeno sei in buona compagnia, Potter – esclamò Paul, allegro.
Ginevra annuì, come per concordare. Lui non sarebbe mai stato solo. - Allora... L'hai "aggredita" anche tu? - chiese poi, con una smorfia al pensiero di cosa aveva aveva scritto per lei la Umbridge nel foglio di pergamena.
- Le ho urlato contro la verità – rispose Harry. - E venerdì devo essere al provino per il nuovo Portiere, ma credo proprio che non potrò saltare la punizione a causa di quella megera.
La ragazza gemette, fingendosi esasperata, per poi mettere un braccio attorno al collo del fratello. - Ma come devo fare con te? Preferisci uno stupido provino anziché passare un'esaltante pomeriggio in compagnia della tua professoressa preferita? Mi deludi, Harry.
Ai due bastò un secondo per guardarsi negli occhi e di scoppiare a ridere. Ma tutta la spensieratezza ebbe fine quando raggiunsero la porta della Umbridge.
- Ci siamo – disse Katie, con voce tremante. Era parecchio nervosa... non era mai stata in punizione fino a quel momento. Ma da brava Grifondoro si armò di coraggio e bussò alla porta.
- Avanti – disse la Umbridge con voce zuccherosa.
Prima di entrare Harry e Ginevra ricordarono quante volte erano entrati in quell'ufficio, e subito concordarono che persino il falso Moody si sarebbe ribellato vedendo quel raccapricciante scenario che avevano davanti. L'intera stanza era tappezzata da tovaglie e centrini; i muri erano tutti rosa ed erano ricoperti da piatti da collezione che raffiguravano gattini coloratissimi e tutti con un fiocco diverso al collo.
Era una scena che avrebbe fatto inorridire chiunque.
- Buonasera, fanciulli.
I quattro studenti sobbalzarono e si guardarono attorno. All'inizio non l'avevano notata perché indossava un completo che si mimetizzava perfettamente con la tovaglia sul tavolo dietro di lei.**
- Prego, sedetevi – disse indicando i quattro tavolini e delle sedie disposti davanti a lei. Su ogni tavolo vi era un foglio di pergamena e una lunga penna d'oca nera che li attendevano.
Gli occhi da rospo di lei si strinsero mentre loro prendevano posto, in silenzio. - Ricordatevi che questa è la punizione che vi meritate. Soprattutto lei, signor Potter, per aver diffuso storie malvagie e maligne per attirare l'attenzione. Spero che impariate dai vostri errori una volta che vi avrò impartito questa lezione.
Harry sentì il sangue salirgli alla testa. Quindi lui raccontava “storie malvagie e maligne per attirare l'attenzione”? Avrebbe voluto far sparire quel maledetto sorriso dalla sua faccia con immenso piacere, ma si limitò a riservarle degli insulti silenziosi.
- “Storie malvagie” – mormorò Ginevra, con il rischio di scoppiare a ridere per l'assurdità di quelle parole.
- Ha qualcosa da dire, signorina Black? - chiese la Umbridge, con un ampio e viscido sorriso. La stava osservando con la testa appena inclinata, come se aspettasse di vedere cosa avrebbe fatto per mancarle di rispetto ancora una volta.
Ginevra, per niente intimidita, rispose esibendo il sorriso più ipocrita del suo repertorio. - Dicevo che sono impaziente di iniziare la sua “lezione”, professoressa.
- Molto bene – disse la Umbridge dolcemente, - stiamo già diventando più bravi a controllare i nostri scatti, vero? Ora ricopierete un po' di frasi per me. Per esempio, signorina Black, lei scriverà Devo portare rispetto.
Ginevra annuì obbediente, dopotutto doveva solo scrivere una stupida frase.
Ognuno di loro impugnò la penna d'oca con la punta insolitamente affilata mentre la Umbridge assegnava loro la frase da scrivere.
- Signor Potter, voglio che lei scriva Non devo dire bugie – sussurrò leziosa.
- Quante volte? - chiese Harry, con una lodevole affettazione di cortesia.
- Oh, quanto ci vuole perché il messaggio penetri – rispose la Umbridge mielosa. - Cominciate.
Si chinò su una pila di pergamene che sembravano temi da correggere.
- Non ci ha dato l'inchiostro – osservò Katie Bell.
- Oh, non vi servirà l'inchiostro – disse la professoressa Umbridge, con una vaghissima punta di ilarità nella voce.
All'inizio il motivo di tanta allegria da parte sua era ignoto per i quattro studenti, solo quando posarono la punta della penna sul foglio e scrissero la prima frase capirono.
Non devo dire bugie.
Devo portare rispetto.
Non devo essere sconsiderato.
Katie emise un gemito di dolore quando scrisse: Devo imparare a tacere.
Le parole sulla pergamena sembravano scintillare d'inchiostro rosso. Ben presto si accorse che, man mano, le stesse parole apparivano anche sul dorso della mano destra. Anche gli altri tre ragazzi iniziarono a provare lo stesso dolore. Sul dorso delle loro mani erano presenti dei tagli abbastanza profondi da rendere leggibili quelle frasi, che si cicatrizzarono dopo qualche secondo.
Harry guardò Ginevra e gli altri. Loro lo osservavano allo stesso modo: erano sconcertati e spaventati.
Tornarono a guardare la pergamena, continuarono scrivere e sentirono una seconda volta il dolore lacerante sul dorso della mano; di nuovo, le parole si erano incise nella loro pelle; di nuovo, si rimarginarono dopo qualche secondo.
Più e più volte scrissero le parole con quello che ben presto capirono non essere inchiostro, ma il loro stesso sangue. **





ANGOLO AUTRICE:
Ehilà!
Che ve ne pare del capitolo? Sono molto curiosa di sapere la vostra opinione. Come sempre vi invito a cliccare sul tasto “Invia una recensione”, oppure a inviarmi un messaggio privato dove potrete dirmi quello che volete riguardo la storia. Ditemi se vi sta annoiando, se vi piace o se vorreste lanciarmi fatture e maledizioni senza perdono... \o_O/
Dunque dunque dunque. Bando alle ciance, ciancio alle bande... Ringrazio, come sempre, chi continua a sopportarmi e chi è così coraggioso da mettere la storia tra le seguite/preferite/ricordate ahahah
Un saluto dalla vostra insopportabile
18Ginny18

*Da “Harry Potter e L'Ordine della Fenice – La professoressa Umbridge”
**Da “Harry Potter e L'Ordine della Fenice – Punizione con Dolores” (modificata un po')

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - FUGGIRE ***


Capitolo 10 – Fuggire

Si dice che i ricordi siano come dei sogni.
Sbiadiscono con il tempo, e la linea che li divide diventa un filo sottile che può facilmente spezzarsi. Nel caso di Ginevra, non c'erano più bei ricordi, e nemmeno sogni – c'era solo una voce dentro la sua testa che le diceva che non poteva fuggire. Era in trappola.
Ovunque si voltasse c'era sempre qualcosa che le complicava la vita, che le impediva di passare oltre.
Per quanto ci provasse a nascondere la cicatrice con un incantesimo di occultamento, non poteva evitare di soffrire ad ogni movimento che doveva compiere ogni giorno; impugnare le posate per mangiare, scrivere rotoli e rotoli di pergamena... Insomma non poteva provare a fare qualcosa senza passare qualche attimo di agonia.
"Devo portare rispetto".
Ginevra aveva fissato per ore e ore quella maledetta scritta sul dorso della sua mano. Ogni sera era stata costretta a tornare nell'ufficio della professoressa Umbridge a scontare quella maledetta punizione, ma per sua fortuna, come per Paul, Katie e Harry, quella sarebbe stata l'ultima.
“Solo un altro po'... che sarà mai un altro po' di dolore?”, fu il suo amaro pensiero mentre praticava l'incantesimo.
Inclinò la testa all'indietro e con gli occhi socchiusi emise un verso di frustrazione.
Sentì un picchiettare impaziente alla porta e l'urlo di Angelina la obbligò ad abbandonare quel breve istante di tranquillità.
- Black! Il bagno serve anche a noi!
Prima di accontentare la richiesta della ragazza, Ginevra guardò un ultima volta il dorso della sua mano dove adesso la cicatrice era sparita. “Solo un altro po'...”


- Com'è stata la punizione con la Umbridge?
Harry fissò Ron ed esitò per una frazione di secondo, poi rispose: - Ci ha fatto scrivere delle frasi.
- Non è così male, allora, eh? - disse Ron.
Harry si sforzò di sorridere almeno un po'. “Se solo sapessi, Ron...”.
Erano nella Sala Grande, seduti al tavolo di Grifondoro, che si gustavano la loro colazione prima delle lezioni; o meglio, Ron mangiava con foga mentre Harry punzecchiava le sue uova strapazzate con la forchetta.
La giornata passò in un'istante. Era stata pessima, come tutte le altre d'altronde. Harry dovette rinunciare al pranzo per completare il disegno dell'Asticello e tanti altri compiti che gli insegnanti avevano assegnato per il giorno dopo. Le punizioni con la Umbridge non gli avevano permesso di dedicare un po' di tempo allo studio. L'unica sua fortuna era essere ambidestro. Sua sorella, invece, era mancina. Lui poteva scrivere e svolgere ogni attività con la mano destra anziché soffrire non appena piegava un dito, ma non poteva gioire di questo, anzi ne era dispiaciuto e odiava il fatto che sua sorella soffrisse. Entrambi ne avevano già passate tante... “Ci mancava solo la Umbridge!”.

Il bigliettino tra le dita di Hermione parlava chiaro: “Vieni al settimo piano, vicino all'arazzo di Barnaba il Babbeo e i troll in calzamaglia. Passa davanti alla parete che avrai davanti per tre volte. Dobbiamo parlare”.
La grifona sentiva l'ansia che le attanagliava lo stomaco. Draco le aveva consegnato quel messaggio in gran segreto, dandole un bacio leggero sulle labbra, quasi distratto. E prima di sparire le sussurrò soltanto: “È importante”.
Del perché di tutto questo mistero, Hermione, ne era all'oscuro.
Seguì le indicazioni sul bigliettino parola per parola e quando si trovò davanti al muro di pietra passò per tre volte davanti a esso. Ma non accadde nulla. Si sentiva una stupida... cosa sarebbe dovuto succedere?
La ragazza si guardò attorno, iniziando a chiedersi se Draco Malfoy le stesse facendo uno scherzo. Dopotutto non era la prima volta!
Passarono alcuni minuti e non accadde nulla. Hermione iniziava a preoccuparsi. Con passo ansioso rilesse il biglietto, accertandosi che l'arazzo descritto fosse quello giusto. Aveva anche ripetuto i passi, senza alcun successo, e continuò a ripercorrerli inconsapevolmente.
Era preoccupata e il suo unico pensiero era Draco.
“Voglio sapere cosa succede. Voglio vederlo”.
Ad un tratto dove un attimo prima vi era solo un muro spoglio, subito dopo apparve una porta in legno scuro.
All'inizio Hermione non se ne accorse. Era troppo impegnata a morsicare l'unghia del suo pollice destro mentre, con passo frenetico, solcava il pavimento.
Solo quando la porta si aprì leggermente, finalmente, riuscì a notarla.
La giovane Grifondoro tentennò un po' prima di varcare quella soglia. Iniziò a interrogarsi su come fosse apparsa quella porta, se fosse un passaggio segreto o solo il frutto della sua immaginazione e si chiese se fosse saggio attraversare una porta che non sapeva dove portasse. Di certo non voleva fare la fine di Alice! Certo, lei aveva trovato il paese delle Meraviglie, ma con esso molti guai... Il buon senso le suggeriva di girare i tacchi e allontanarsi il più possibile da quella porta. Ma Hermione diede retta al suo lato avventuriero, ignorò bellamente il suo buon senso e attraversò quella porta.
La stanza era buia e l'unica luce che entrava era quella che emanava la porta alle sue spalle. Era fioca, le illuminava leggermente il viso, ma era pur sempre luce... questo finché la porta non si chiuse.
Adesso era circondata dall'oscurità e un silenzio tombale.
Hermione, però, non era sembrava affatto spaventata. Certo, non sapeva dove si trovava, ma almeno aveva la sua bacchetta con la quale avrebbe potuto usare l'incantesimo in grado di aiutarla in quel momento di cecità.
Era pronta ad impugnare la bacchetta, tuttavia il suo braccio venne prontamente bloccato dalla stretta di una mano forte ma delicata. Questo gesto le provocò un brivido e le sue narici vennero inebriate da un profumo che, ormai, conosceva molto bene.
- Draco...
Prima che Hermione potesse finire la frase, sentì un sfruscio e una mano che si posava attorno alla sua vita.
Il respiro caldo di lui le solleticò la schiena.
I battiti del cuore di lei avevano preso accelerare e avvertì su di sé lo sguardo di lui, come quello di un predatore silenzioso.
Quando iniziò ad accarezzarle la guancia con il dorso della sua mano, le labbra di lei si aprirono leggermente e il suo respiro si fece sempre più pesante.
- Hermione...
La ragazza cominciò a mordicchiarsi il labbro inferiore, stava per perdere ogni briciolo di autocontrollo mentre la mano di Draco le sfiorava la curva dei suoi fianchi.. Poi il petto di lui iniziò a premere contro il suo seno. L'aveva lentamente avvicinata alla parete fino a bloccarla contro di essa e aveva poggiato un braccio vicino al suo volto, per avere un maggiore controllo della situazione.
La lucidità era ormai bella che andata per la giovane Grifondoro. Le gambe iniziavano a cederle, quando le sentì le mani di Draco scendere lentamente lungo la sua schiena.
- Sei bellissima, amore mio – le sussurrò all'orecchio, prima di porre le labbra sul suo collo con sensuale delicatezza.
Dalle labbra di Hermione sfuggì un piccolo gemito di piacere che fece sorridere il Serpeverde, compiaciuto che la sua lenta tortura stesse funzionando.
Improvvisamente le sue labbra voraci si spostarono su quelle di lei, come per divorarla.
E in quel momento capì cosa c’era di tanto importante di cui voleva parlarle. Quella di Draco era una tacita richiesta e aveva scelto il buio, i baci e le carezze per farle capire le sue intenzioni.
Ma lei era pronta per quel passo importante?
Hermione decise di trovare la risposta ascoltando il suo cuore. Si lasciò pervadere da tutte quelle sensazioni meravigliose che stava provando e ricambiò il bacio del ragazzo. Avvolse le mani attorno al suo collo, baciandolo con più passione. Non le importava più dove si trovasse. L'unica cosa che aveva importanza era lui. Draco, il suo amore.

Era ormai notte fonda quando Hermione tornò nella sala comune di Grifondoro. Stava per incamminarsi in punta di piedi verso il dormitorio, fiduciosa che nessuno potesse sentirla. Ma per sua sfortuna venne sorpresa da Harry, Katie e Ginevra che, dal divano, le lanciarono uno sguardo interrogativo. - Come mai sei tornata a quest'ora? - chiesero Harry e la sorella. Uno confuso e l'altra abbozzando un sorriso divertito. Katie invece notò che Hermione aveva i capelli più ricci e scompigliati del solito, le scarpe in mano e l'aria di chi aveva fatto una scorpacciata della sua marmellata preferita.
- Io... Io... non è come pensate – balbettò la riccia. - Stavo facendo la ronda.
- Oggi non è il tuo turno – la rimbeccò Ginevra, ghignante. - Sono stata io a stabilire i turni, sai è uno dei miei compiti ormai.
Hermione si maledì per non aver ricordato che Ginevra fosse Caposcuola. - Sei sicura? - chiese grattandosi il capo.
- Harry, forse è meglio che vai a dormire – gli disse la sorella, senza smettere di fissare la riccia.
- Perché? - chiese lui, sempre più confuso, anche se aveva un certo sospetto di quello che stava succedendo.
- Cosa tra donne – rispose Katie allusiva.
A quel punto l'espressione di Harry mutò nuovamente, come colto da un'illuminazione. - Ho capito. Vado – e detto questo, cedette il posto alla sua amica, ormai rossa come un peperone.
Quando Harry lasciò la sala comune, Hermione venne assalita dalle due ragazze, avide di sapere cose le fosse successo.


Quella notte Ginevra venne assalita da un incubo spaventoso.
Lei stava correndo. Correva senza sosta, cercando di fuggire dall'entità oscura che sembrava aver preso forma umana ma senza volto.
I corridoi di quell'immensa casa, a lei estranea, erano come un labirinto senza fine, che la condussero ad un vicolo cieco.
Ormai era in trappola.
Il “Mostro”, come lo chiamava lei, riusciva ad avvertire il suo respiro venire meno e i battiti del suo cuore farsi sempre più forti e veloci risuonando alle sue orecchie come un'eco irresistibile.
Era come un vampiro assetato di sangue.
Quando Ginevra sentì la sua risata di scherno si voltò, lentamente, fino ad incontrare il suo volto spaventosamente vuoto e inquietante.
- Non puoi scappare da me – disse il Mostro, avanzando verso di lei.
Un attimo dopo le fu accanto, bloccandole ogni via d'uscita, e incatenando il suo corpo alla fredda superficie del muro. Pian piano, il volto vuoto iniziò a prendere forma; labbra carnose e rosse come il sangue, occhi castani con una sfumatura particolare di verde e la pelle bianca come la neve.
Ginevra sbarrò gli occhi, spaventata.
- Che cosa vuoi da me? – fu la sua inutile preghiera strozzata.
Le dita del Mostro accarezzarono le sue labbra, pian piano scesero lungo il collo. - Sei mia – le sussurrò all'orecchio, prima di stringere la morsa al collo con l'intenzione di strozzarla.
Solo dei piccoli lamenti squarciarono il silenzio quasi inquietante della casa.
L'entità oscura si scostò quel tanto che bastava per guardarla nei minimi dettagli, beandosi nel vedere che la giovane Black veniva soppressa dalla sua stretta. - Sei in mio potere.
Ginevra spalancò gli occhi portandosi la mano al collo, ansimando. Era in un bagno di sudore e la sua pelle sembrava scottare.
Ice la guardava con preoccupazione e cercò di aiutarla a riprendersi.
- Va tutto bene – boccheggiò la ragazza, sfiorando la testolina del morbido gatto nero al suo fianco.
L'animagus, in realtà, moriva dalla voglia di riprendere forma umana e stringerla fra le sue braccia per riuscire a calmarla. Anche se aveva fatto tutto il possibile per far concludere l'incubo della ragazza, Regulus si sentiva inutile. L'entità oscura stava diventando sempre più forte e non sempre riusciva a contrastare i suoi poteri.
Quando Ginevra riuscì a riprendersi, i suoi occhi grigi puntarono quelli di lei, come per iniziare una muta conversazione.
Possiamo farcela”, le aveva detto.
Lei abbozzò un sorriso ma una lacrima sfuggì al suo controllo. Sapeva benissimo che non potevano farcela, non da soli almeno.





ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti, sarò super breve.
Ringrazio ancora Moony1960 per aver recensito il capitoli precedenti e di continuare dopo tutti questi anni a sopportarmi su EFP ahahha (Purtroppo adesso non posso leggere il tuo nuovo capitolo, ma entro domani giuro che lo farò ^w^ Parola di Lupetto!). Spero che questo capitolo vi piaccia *faccina imbarazzata* Ringrazio anche chi ha inserito questa storia tra le seguite/preferite/ricordate ^-^ Siete fantastici!!
Vi prego, fatemi sapere cosa ne pensate tramite un messaggio privato o una piccola recensione.
Grazie ancora per essere passati di qua. A presto
18Ginny18

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - IL DOLORE ***


Capitolo 11 – Il dolore
 
Fu una settimana buia.
Ginevra si svegliò tardi tutte le mattine e la sala comune era quasi sempre deserta. Gli incubi non la lasciavano in pace neanche un'istante, gli occhi incavati e il viso sciupato ne erano la dimostrazione.
Quando aprì gli occhi, Ice era al suo fianco che la guardava con preoccupazione. - Sto bene, tranquillo – disse all'animagus.
Era ormai un’abitudine.
Una volta in piedi legò i capelli distrattamente in una crocchia, sistemò le lenzuola per poi dirigersi verso l'armadio e prendere ciò che doveva indossare, tutto questo per cercare di non pensare a ciò che la tormentava.
Cedric.
Più passava il tempo, più il desiderio di riaverlo accanto si faceva più forte. E l'unico modo per rivederlo erano i sogni. Purtroppo non riusciva ad evitare che essi si trasformassero in incubi spaventosi. Grazie al collegamento che li legava, Regulus era in grado di far cessare gli incubi e far svegliare Ginevra... ma il più delle volte l'entità oscura, “Il Mostro”, lo portava a uno scontro che, per sua fortuna, riusciva sempre a vincere... anche se con difficoltà.
- Sappiamo bene entrambi che non è così – rispose Regulus una volta tramutato in uomo.
- Lasciami sola... ti prego – mormorò Ginevra con voce strozzata, dopodiché andò a chiudersi nel bagno, a piangere.
Regulus rimase lì, affranto. Non sopportava di vederla in quello stato e sapeva che l'unica soluzione per aiutarla era una soltanto.
Si avvicinò alla porta del bagno e poggiò una mano su di essa. “Lo sai anche tu che è la soluzione migliore”, il suo pensiero era un messaggio per lei. Dopotutto il potere di poter comunicare telepaticamente era un vantaggio per entrambi.
In quel momento Ginevra era allo stremo. Desiderava soltanto dimenticare tutto. Secondo Regulus quella era l'occasione giusta per aiutarla.
I singhiozzi aldilà della porta aumentarono e Regulus sospirò piano. - Ti aiuterò io, piccola.


Era quasi mezzanotte quando Harry uscì dall'ufficio della Umbridge quella sera; la sua mano sanguinava così copiosamente che macchiò la sciarpa in cui l'aveva avvolta. Era convinto di trovare la sala comune vuota al suo ritorno, ma Ron e Hermione erano rimasti alzati ad aspettarlo. Hermione si apprestò a medicargli la mano e fu grato della presenza dei suoi amici. Si diede dello stupido per non aver detto loro quello che procurava una punizione di quella megera della Umbridge.
Quando Harry immerse la mano in una piccola ciotola piena di liquido giallo che Hermione gli stava porgendo, iniziò a provare sollievo.
- Hai pensato a quell'idea di cui ti ho parlato? - chiese Hermione, quasi esitante. - Pensaci, Harry. Saresti un insegnante perfetto.
- Sì, ci ho pensato. Scordatelo – sbottò Harry, per poi sorridere. Non credeva che Hermione potesse essere così divertente.
- Ma Harry, tu sei il migliore del nostro anno in Difesa contro le Arti Oscure e hai di sicuro più esperienza di tutti noi.
- È un'idea – borbottò Ron. - Dopotutto, pensa a tutto quello che hai fatto fino ad oggi. E poi hai sconfitto Tu-Sai-Chi! Quattro volte!
Harry li fissò. - State scherzando, vero?
Ron lo fissò a sua volta. Si schiarì la gola e iniziò ad elencare le gesta del suo amico: - Al primo anno hai recuperato la pietra filosofale, impedendo a Tu-Sai-Chi di tornare. Al secondo anno hai sconfitto Tom Riddle e ucciso il Basilisco. Al terzo anno hai affrontato tutto da solo un centinaio di Dissennatori in un colpo solo...
- Lo sai che è stato un caso vero? Se la GiraTempo non avesse...
- L'anno scorso – continuò Ron, quasi urlando, - hai affrontato tutte le prove del Torneo e hai anche battuto Tu-Sai-Chi un'altra volta... E in più lo hai sconfitto quando eri solo un bambino in fasce! Scusa se pensano tutti che sei l'unico in grado di farci da insegnante.
- È stata solo fortuna – ribatté Harry.*
Hermione emise un profondo sospiro. - Sai che se Sirius fosse qui ti darebbe un calcio nel didietro, vero?
Ron e Harry strabuzzarono gli occhi. Non avevano mai sentito la loro amica parlare così, ma dovettero ammettere che aveva ragione.
- Pensaci, Harry – disse Ron a bassa voce. - Sei la nostra unica speranza.
- Ascolta il tuo maestro, giovane mago – dissero Fred e George, con voce profonda e solenne. Erano appena entrati nella sala comune con le braccia cariche di caramelle e oggetti da loro inventati. Ma non appena videro Hermione sgranarono gli occhi e i loro sorrisi sparirono, perché la ragazza andava su tutte le furie quando vedeva i loro prodotti per il negozio di scherzi.
- So cosa stai per dire, Granger... - iniziò Fred, cercando di nascondere, insieme al gemello, gli articoli su cui stavano lavorando da mesi. - Ma non è come sembra.
Avevano lavorato troppo al loro progetto e non avevano alcuna intenzione di mandare tutto a monte solo perché la Prefetto-Perfetto buttasse tutto o peggio: che lo dicesse a Molly Weasley.
Dopotutto non avevano fatto niente di male. Era un reato testare i loro prodotti sui ragazzini del primo anno? Loro venivano pure pagati e non erano per niente costretti.
Di solito Hermione adorava mettere i gemelli Weasley in agitazione ma in quel momento non riusciva proprio a concentrarsi su di loro, doveva riuscire a convincere Harry a diventare il loro insegnante di Difesa contro le Arti Oscure e niente le avrebbe impedito di riuscirci . - Adesso non ho tempo per voi, ragazzi – mormorò, stanca.
- Che succede? - chiesero i gemelli, incuriositi. Era strano quando non urlava. Si avvicinarono al divanetto dove Harry curava le sue ferite.
Quando videro la sua mano sgranarono gli occhi. - Harry la tua mano!
- Sì, l'ho notata – commentò ironico Harry, ma nessuno sorrise.
George si avvicinò a lui, preoccupato. - Cosa ti è successo?
- Non è niente, ragazzi. Sono solo inciampato.
- Ah, non sapevo che se inciampi ti si forma una frase sulla mano – ribatté George, che era riuscito a leggere le parole incise sulla mano del ragazzo. Il gemello si affretto a leggerla prima che Harry la coprisse.
Non devo dire bugie.
- Harry – disse Fred. - Chi è stato?
Harry sospirò. - Non importa e poi non sono affari vostri.
- Oh, sì invece! - esclamarono Fred e George in coro.
- Sei come un fratello per noi – aggiunse George, serio.
Anche se commosso, Harry tentò di protestare ma i gemelli lo zittirono immediatamente.
- Taci e dicci a chi dobbiamo fare il culo a strisce, Potter – fu il caldo invito di Fred.
- Che eleganza – commentò Ron, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.
Hermione incrociò le braccia al petto, spazientita dal loro comportamento. Nonostante in quel momento fosse inopportuno, Fred la squadrò divertito e le fece l'occhiolino. Le guance di lei divennero rosse e questo lo divertì ancora di più. Adorava fare questo effetto alle ragazze.
Ma bastò una gomitata del suo gemello per riportare la sua attenzione su Harry e la sua cicatrice.
- Allora, Harry? Chi è... - disse George, calmo. Poi capì. - È stata quella pazza psicotica, vero?
Il silenzio invase la stanza e tanto bastò per affermare le parole di George. Poi i gemelli capirono che Harry non era il solo ad avere una cicatrice del genere e il loro pensiero andò subito a Ginevra.
- Ecco svelato il mistero – mormorò Fred.
George annuì, passandosi una mano tra i capelli.
Finalmente avevano capito il perché Ginevra fosse così distante e del perché non si fosse confidata con loro. Si scambiarono una semplice occhiata per concordare che l'indomani avrebbero dovuto parlarle.


- Perché vorresti essere perseguitata da un ricordo? Non è morto per colpa tua.
Quella discussione andava avanti da ore. Non appena finirono le lezioni, anziché andare in sala Grande per la cena, Ginevra era tornata in camera e Regulus approfittò dell'occasione per continuare il discorso che avevano lasciato in sospeso quella mattina.
- I ricordi sono tutto ciò che mi resta – Ginevra sospirò, le lacrime erano pronte a uscire. - Non posso perderlo ancora.
Regulus le si avvicinò piano, quasi esitante. - Non puoi continuare a vivere così.
- Reg – il tono di lei sembrava una supplica. - Non posso.
Regulus sospirò. Il suo volto era serio.
- Devi farlo – disse, iniziando a perdere la calma. - Stai peggiorando e sai bene che Lei ne sta approfittando. Ti sta prosciugando, lo capisci?
Ginevra dovette trattenere un respiro. Sapeva cosa stava per dirle, ma aveva comunque paura di sentire quelle tre parole. Tre maledettissime parole.
Dopo aver bloccato la porta della camera con un incantesimo, l'animagus accorciò la distanza tra loro e l'avvolse in un abbraccio.
- Devi lasciarlo andare.
Cercò con tutta sé stessa di mantenere il controllo e di non crollare come un castello fatto di carte, ma era troppo tardi perché delle lacrime sfuggirono al suo controllo e iniziò a singhiozzare quando l'immagine sfocata di Cedric, creata dalla sua mente, apparve davanti ai suoi occhi per poi sparire un secondo dopo.
Era diventato il suo tormento. Lo vedeva ovunque.
Ogni cosa su cui posava lo sguardo, le ricordava lui.
Per sempre insieme. Non ti lascerò mai”, le aveva detto.
Quella promessa che le aveva scaldato il cuore era diventata una grande bugia. Nel suo cuore, ormai, non vi era più alcun calore. Il dolore era ancorato a lei e sembrava intenzionato a non lasciarla andare.
I suoi occhi e il suo sorriso erano reminiscenze forti, come lo stesso bagliore verde che quella notte spense la sua vita.
Una parte di lei era morta insieme a lui.
Non aveva mai saputo come o quando tutta quella sofferenza sarebbe andata via, sperava solo che quel giorno arrivasse presto, ma non era ancora pronta a lasciarlo.
La sua mente si burlò ancora una volta di lei creando un'immagine del suo amato che, poco prima di sparire, le sorrise con dolcezza lasciandole una tremenda sofferenza nel petto.
- Ti prego – singhiozzò Ginevra. - Non posso lasciarlo. Non di nuovo.
L'abbraccio di Regulus si fece più forte.
Vederla in quello stato gli procurava un'immensa sofferenza.
Doveva aiutarla, anche se contro la sua volontà.
- Mi dispiace, piccola... Ma devo farlo – le sussurrò posando un bacio sulla sua fronte. - È per il tuo bene.
Una parola... e per Ginevra fu il buio. Era come se si trovasse in uno spazio privo di luce, suoni o gravità. Anche se avesse avuto l'intenzione di farlo, non poteva muoversi, aprire gli occhi o dar voce ai suoi pensieri. Da quelle poche persone che erano a conoscenza della sua esistenza, quel luogo veniva chiamato: “Il Vuoto”. Chiunque vi sarebbe potuto approdare senza neanche rendersene conto, poiché il “viaggio” sembrava durare solo pochi istanti, anziché ventiquattro ore.
Quando riprese conoscenza Ginevra si sentì come se sopra la sua testa vi fosse una nuvola di sospetto. Come la sensazione che le mancasse qualcosa, ma non ne capì il motivo.
Aprì gli occhi lentamente e si guardò intorno. Era in infermeria.
Non ebbe neanche il tempo di chiedersi come fosse finita lì che Madama Chips le fu subito accanto.
- Ah, finalmente ti sei svegliata, Black – la salutò con tono burbero. - Hai preso una bella botta in testa. Menomale che le tue compagne ti hanno trovato in tempo.
Ginevra era un po' confusa... non ricordava affatto di aver battuto la testa.
- Una botta? - chiese lei, iniziando a tastarsi la testa che capì essere fasciata.
Madama Chips sospiro. - Devi mettere qualcosa sotto i denti, signorina. Sono stanca di doverti far rinsavire ogni volta che svieni o batti la testa. Ogni anno ti trovo su uno di questi letti! - disse, per poi borbottare frasi sconnesse tra loro mentre si disfaceva delle bende attorno alla testa della ragazza.
Quando iniziò a tastare una parte ben precisa della testa, Ginevra sentì un forte bruciore.
- Non fare la bambina – la rimproverò Madama Chips. - Sei fortunata che ora sia solo un graffio.
Con la coda dell'occhio la vide armeggiare con fiale e bende sterilizzate.
Più Ginevra si sforzava di ricordare più non trovava la soluzione a quel problema. Cosa le era successo?





*Da “Harry Potter e L'Ordine della Fenice – L'Inquisitore Supremo di Hogwarts” (un po' modificata).




ANGOLO AUTRICE:
ATTENZIONE: Ho da poco riscontrato un errore dopo aver riletto tutti i capitoli di “Secrets”, ovvero che il cognome Paul, il bel Tassorosso, non è Stanton, bensì Bennet.
Scusate la svista... probabilmente non vi eravate accorti di niente però io non ricordavo affatto di avergli già dato un cognome! (me stupida T-T). Comunque... il “problema” è stato risolto e spero che non ci siano altri stupidi errori ahahah
Allora, come va? Vi è piaciuto questo capitolo? È stato un po' difficile scriverlo ma spero di aver reso l'idea che avevo in testa. Spero di ricevere un vostro parere e se avete qualche consiglio da darmi sono tutta orecchie :)
Be', ora devo andare... A presto, popolo di EFP!!!
18Ginny18

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - LA FIDUCIA ***



Capitolo 12 – La fiducia

Nonostante le punizioni della Umbridge fossero finite, Harry dubitava che le parole incise sul dorso della sua mano sarebbero mai svanite del tutto.
Mentre sfiorava con le dita quelle parole, si ritrovò a pensare ad Hermione e a quella sua folle idea. Certo, durante i suoi vari incontri con Creature Oscure e Mangiamorte gli erano stati utili molti incantesimi, ed era più che sicuro che la Umbridge non avrebbe mai insegnato niente che si avvicinasse a un incantesimo di difesa... ma chi era lui per autoproclamarsi il più esperto in materia?
“Ci serve un'insegnate. Un'insegnante come si deve”, aveva detto Hermione. “Uno che ha avuto delle vere esperienze nella Difesa contro le Arti Oscure. Ci servi tu, Harry”.
Seduto a un tavolo del piccolo e oscuro pub, la Testa di Porco, in attesa di ragazzi interessati alla “causa”, Harry continuò a rimuginare. L'idea che qualcuno avesse voglia di prendere lezioni da “Potter il Pazzo” lo fece dubitare ancora di più dell'idea di Hermione. Dopotutto, all'interno di quel pub, non c'era nessuno. Be', a parte qualche tizio strano infondo al bancone e qualcun altro incappucciato accanto alle finestre.
- Non so, Hermione – mormorò Harry, deciso a condividere i suoi pensieri con l'amica. - Non credo che verrà qualcuno... forse è meglio che io “insegni” solo a te e Ron.
- Sarai sorpreso quando vedrai quanta gente è interessata ad ascoltarti – ribatté Hermione seria. - Dovrebbero essere qui a momenti... sono solo un po' in ritardo.
Inutile dire quanto Harry fosse scettico dato il modo in cui Hermione continuava a gettare occhiate nervose all'orologio e alla porta.
Poi la porta del pub si aprì, lasciando che la piccola Ginny Weasley varcasse la soglia. Appena lo vide gli regalò un sorriso smagliante e il cuore di Harry iniziò a battere forte, proprio come la prima volta. La guardava avanzare senza poter fare a meno di pensare a quanto fosse bella.
- Ehi, scusate il ritardo – disse salutandolo con un dolce e fugace bacio.
Harry la strinse a sé, lieto che lei fosse lì, e lei ricambiò l'abbraccio lasciandogli un altro piccolo bacio sulla fronte.
- Menomale che sei arrivata, Ginny - sospirò Hermione, sforzandosi di apparire serena. - Harry temeva che non arrivasse nessuno.
- Disse colei che lanciava occhiate nervose alla porta – mormorò Ron, nascondendo il sorriso beffardo bevendo un sorso dalla bottiglia di Burrobirra.
Hermione si voltò di scatto, assottigliando gli occhi come per incenerirlo sul posto.
- Be', io ho portato un po' di compagnia – disse la piccola Weasley in maniera disinvolta.
Harry la guardò un attimo, confuso.
Per la seconda volta, la porta del pub si aprì e una vera folla di studenti iniziò a entrare al suo interno.
- Ciao, ragazzi – disse Neville Paciock raggiante, accompagnato da Dean Thomas che, invece, salutò con un cenno della mano. Con loro c'erano anche Lavanda Brown, Cho Chang e una sua amica. Luna Lovegood, una coetanea Corvonero di Ginny (che sembrava fosse appena caduta dalle nuvole), Katie Bell, Angelina Johnson, i fratelli Canon e le gemelle Parvati, una dozzina di ragazzi di cui Harry non conosceva il nome, Theodore Nott, Blaise Zabini, Daphne Greengrass, Draco Malfoy (che fece l'occhiolino a Hermione), e a chiudere la fila c'erano Fred e George Weasley, Ginevra Black, Paul Bennet e Lee Jordan carichi di buste con la scritta “Zonko”.
- Un po'? - disse Harry a Ginny, in un sussurro roco. - Un po'?
- Be', mica li abbiamo convinti solo io, Ron e Hermione... - rispose lei, allegramente. - Se tua sorella non ci avesse dato una mano, gran parte di quelli che vedi qui, non si sarebbero mai fatti avanti.
- Che fortuna – commentò lui, ironico.
Ginny gli accarezzo il viso, perdendosi nei suoi luminosi occhi di giada e fu lì che trovò la sua muta richiesta di aiuto. Harry non voleva allontanarsi da lei, per nessuna ragione al mondo. Sentiva il bisogno di averla accanto.
Intenerita, la giovane Weasley gli diede un bacio sulle labbra, ma dopo quel contatto Harry non la lasciò andare neanche per un'istante, baciandola ancora e ancora.
- Sono qui con te, amore mio – sussurrò Ginny al suo orecchio. A quel punto Harry si rilassò un po' e le sorrise, senza mai perderla di vista neanche quando prese posto accanto a Hermione.
Dopodiché, mentre Ron, Dean e Draco prendevano abbastanza sedie per tutti, lo sguardo di Harry si spostò alla ricerca di quello di sua sorella. La trovò a scherzare con quel Tassorosso palestrato di Bennet, mentre i gemelli e Lee ordinavano da bere per tutti.
Ginevra sembrava diversa agli occhi di Harry, più tranquilla. Felice. Forse, dopo tanti mesi, aveva trovato il modo per andare avanti dopo la morte di Cedric. Quando, finalmente, lei incrociò il suo sguardo lo trovò a braccia incrociate e un sopracciglio alzato, in attesa di una spiegazione da parte sua. Lei gli sorrise e si avvicinò, facendo finta che fosse tutto normale.
- Qualcosa non va, Harry? Ti vedo un po'... teso.
Harry sgranò gli occhi. - Come cavolo hai fatto? Come avete fatto a convincere tutta questa gente?
Molte teste si girarono a guardarlo. Era convinto di aver sussurrato quelle parole, ma in realtà il tono di voce era diventato un tantino più alto di quanto pensasse.
La sorella gli sorrise ancora una volta. - Fidati, fratellino. È bastato solo usare le parole giuste – rispose, ammiccante. Poi lo spinse giocosamente verso il capannello di ragazzi, ormai seduti davanti a lui. - Sono tutti suoi, professor Potter.
Harry rimase a guardarli, stordito. Si sentiva come al centro di un palco, con una luce accecante sul volto e la sensazione che la voce venisse meno.
Si voltò verso Hermione, in attesa di un suggerimento che non arrivò poiché sembrava molto impegnata a parlare con il proprietario del pub, un vecchio dall'aspetto burbero ma familiare, con una gran quantità di capelli grigi e la barba.
“Non preoccuparti, Harry”, aveva detto Hermione. “Tu non devi fare niente, parlerò prima io”.
E fu in quel momento che una parte di Harry si trovò a maledire la sua amica. Ora era tutto nelle sue mani e l'ansia lo stava divorando.
Spostò l'attenzione su Ginny Weasley che, invece, lo incoraggiò mimando un: “Tranquillo, sarai bravissimo”.
Sperava con tutto sé stesso che la sua fidanzata avesse ragione e di non fare la figura dell'idiota davanti a tutti. Molti di loro gli sorrisero raggianti e curiosi, altri, invece, gli rivolgevano occhiate diffidenti.
Tutti gli occhi erano puntati su di lui.
- Ehm... ciao – disse Harry. Il nervosismo aveva ormai preso il sopravvento e la sua voce era leggermente incrinata. - Penso che sappiate tutti perché siamo qui... Ron e Hermione hanno avuto un'idea che, potrebbe aiutare tutti noi... Be', in realtà dovrebbe essere Hermione a far luce sulla questione – e mentre lo diceva si voltò nuovamente verso Hermione.
Pensava di aver catturato la sua attenzione e che accorresse in suo aiuto, ma stava ancora parlando con il proprietario del pub e sembrava non essersi accorta che Harry stava cercando di richiamare la sua attenzione.
Guardò Ron, seduto tra Dean e Neville, sperando che almeno il suo migliore amico lo aiutasse in qualche modo, ma l'unica risposta che ricevette fu lo scuotere di quella testa rossa che diceva: “Non ci penso nemmeno”.
Harry sospirò. - A quanto pare dovrò fare tutto da solo...
Con voce tremante riprese il suo discorso, senza sapere cosa dire con esattezza. Lui odiava stare al centro dell'attenzione e avere centinaia di occhi che lo fissavano non aiutava. - Ecco io...
“Sto per fare la figura dell'idiota”, quel pensiero sembrava più una predizione che stava per realizzarsi. Tuttavia qualcuno arrivò finalmente in suo aiuto e Harry riprese a respirare regolarmente.
- Quello che Harry sta cercando di dire è che ci serve un insegnante competente. Abbiamo bisogno di difenderci con veri incantesimi – l'intervento di Paul Bennet fu molto rapido e riuscì a guadagnarsi l'approvazione di molti. - Voldemort è tornato e non possiamo farci trovare impreparati quando arriverà.
La reazione fu immediata e prevedibile. Alcune ragazze strillarono per la paura; alcuni ebbero uno spasmo involontario e altri rabbrividirono al solo sentire quel nome. A quel punto tutti fissarono Harry, quasi con avidità.
- È tornato davvero? - chiese il piccolo Dennis Canon, cercando di non sembrare spaventato dalle sue stesse parole.
Prima che Harry potesse rispondere, un Tassorosso dai capelli biondi disse: - Dove sono le prove? - chiese in tono aggressivo. - Come fate a credere che lui dica la verità – disse poi accennando a Harry.
A quel punto Ron si alzò in piedi e guardò il ragazzo biondo. - E tu chi sei? - chiese brusco.
- Zacharias Smith – rispose il ragazzo, - e credo che abbiamo il diritto di sapere con precisione come fa Potter a dire che Voi-Sapete-Chi è tornato.
- Senti – intervenne Hermione, - non è per questo che abbiamo indetto l'incontro...
- Va tutto bene, Hermione – disse Harry.
L'ansia da palco scenico di poco prima era sparita, lasciando il posto a un'unica certezza. Aveva appena capito il motivo per cui era venuta tanta gente.
- Volete sentire come è andata quella notte – disse Harry in tono greve, guardando Zacharias dritto negli occhi. - Volete sapere come faccio a dire che Voldemort è tornato? - domandò. Una volta pronunciato il nome dell'Oscuro Signore il panico invase ancora una volta quella piccola folla, ma a Harry non importava. - L'ho visto – diceva al gruppo. - Silente ha già raccontato a tutta la scuola che cos'è successo alla fine dell'anno scorso, e se non hai creduto a lui non crederai a me, e non ho intenzione di sprecare un pomeriggio a cercare di convincere nessuno.
Zacharias disse sdegnoso: - Magari potresti raccontarci di più della notte in cui Cedric Diggory è stato ucciso. Silente non ha accennato a molto su questo argomento. Credo che tutti noi vorremmo sapere come è stato ucciso...
- Se sei venuto per sapere che cosa succede quando Voldemort uccide qualcuno, non posso aiutarti – rispose Harry, secco.
Si avvicinò alla sorella, deciso a portarla via da quel posto. Era rimasta in silenzio, senza muovere un solo muscolo a quelle parole, impassibile. Ed Harry non voleva farla soffrire ancora al solo sentire il nome di Cedric.
Aveva giurato a sé stesso di proteggerla e avrebbe mantenuto la promessa a qualunque costo. Ma fu sorpreso quando la vide alzarsi e avanzare verso il Tassorosso con la bacchetta stretta fra le dita. Molti dei ragazzi lì attorno si fecero da parte, inquieti, quando puntò la bacchetta contro Zacharias.
Il volto di lei era serio. - Quella è la porta, Smith. Se vuoi puoi anche andare. Oppure resti seduto qui, in silenzio, come un bravo bambino.
- Altrimenti? - Zacharias, cercò di sembrare disinvolto, noncurante del fatto che avesse una bacchetta puntata contro. Inutile dire che, non appena Ginevra gli puntò la bacchetta al basso ventre, tutta la sua sicurezza svanì. Divenne rosso in viso e iniziò a boccheggiare, senza sapere cosa dire.
- È meglio che tu non lo sappia – gli consigliò Ginevra. Ripose la bacchetta e, con un mezzo sorriso, tornò a sedersi accanto a Paul.
- Sei stata gentile con lui – le sussurrò quest'ultimo con un sorriso beffardo sulle labbra. - Mesi fa lo avresti schiantato senza tanti complimenti.
Ginevra gli sorrise. - Non volevo sporcarmi le mani – disse con un'aria di superiorità.
In qualche modo, la piccola risata di Paul riuscì a diminuire la tensione in quella stanza.
La parte razionale di Zacharias gli impose di dare ascolto alle parole di Ginevra, così rimase seduto dove si trovava senza emettere un fiato.
Harry, d'altro canto, non sapeva se ridere o meno per ciò che era accaduto. Non sapeva dove sua sorella trovasse tanto autocontrollo, se fosse stato per lui avrebbe mollato tutto non appena quell'idiota aveva iniziato a parlare.
“Be', tecnicamente stavo per farlo”, pensò tra sé e sé. Poi però i suoi pensieri vennero zittiti da Hermione, che lo chiamava a bassa voce e gli chiedeva di avvicinarsi.
- Harry... - mormorò non appena Harry le fu vicino. - Credi in te e convincerai gli altri. Non pensare ad altro.
All'inizio Harry la guardò confuso, poi le sorrise. In fin dei conti aveva capito cosa fare.
- Allora – disse voltandosi verso il capannello di ragazzi, adesso era più sicuro di sé. - Non mi aspetto che voi mi vogliate come insegnante... Io voglio solo aiutarvi. Se volete imparare un po' di Difesa, dobbiamo pensare a come faremo, quante volte ci incontreremo e dove...
La sua attenzione venne catturata da Luna Lovegood che aveva la mano alzata. Un po' confuso e imbarazzato, le diede la parola.
- È vero che sai evocare un Patronus?
Il gruppo fu percorso da un mormorio interessato.
- Sì – rispose Harry, un po' sulla difensiva.
- Un Patronus corporeo?
Harry annuì, chiedendosi come facesse a saperlo. - È un cervo...
- Accidenti, Harry! - esclamò Lee, molto impressionato. - Non lo sapevo!
- La mamma ha raccomandato a Ron di non dirlo troppo in giro – disse Fred, sorridendo a Harry. - Ha detto che attiravi già abbastanza l'attenzione così.
- Non ha tutti i torti – borbottò Harry, e un paio di ragazzi risero.
- Ed è vero che hai ucciso un Basilisco con la spada che c'è nell'ufficio di Silente? - domandò Neville, euforico. - E che al primo anno ha salvato la Pietra Filosofale dalle mani di Tu-Sai-Chi?
Harry cominciava a sentire un po' caldo sotto il colletto. - Ehm... sì.
In molti si scambiarono occhiate attonite.
- Per non parlare – disse Ginny Weasley – delle prove che ha dovuto superare durante il Torneo Tremaghi l'anno scorso...
Ci fu un mormorio di ammirato di assenso attorno al tavolo, che però Harry troncò subito. - Sentite – disse, - Io... non voglio cercare di fare il modesto, ma... sono stato molto aiutato...
- Non con il drago – intervenne subito un ragazzo di Corvonero, Michael Corner. - Quello è stato un gran bel volo...
- Be', sì... - ammise Harry, pensando che sarebbe stato maleducato contraddirlo.
- E nessuno ti aiutato a liberarti di quei Dissennatori quest'estate – disse Susan Bones, una ragazza di Tassorosso.
- No – rispose Harry, - no, d'accordo. Certo, ho fatto delle cose senza l'aiuto di nessuno, ma quello che sto cercando di dire è...
- Stai cercando di svincolare? - chiese Zacharias Smith.
- Ho un'idea – disse Ron ad alta voce, prima che Harry potesse ribattere. - Perché non chiudi quella bocca?
Forse era stata la parola 'svincolare' a dare particolarmente fastidio a Ron. In ogni caso stava guardando Zacharias come se non chiedesse di meglio che picchiarlo. Zacharias arrossì ancora una volta. Soprattutto quando vide Ginevra giocherellare con la bacchetta con una strana luce negli occhi.
- Be', siamo tutti qui per imparare da lui, e ci sta dicendo che non sa fare niente – si difese.
- Non ha detto questo – ringhiò Fred.
- Vuoi che ti puliamo le orecchie? - domandò George, sfilando da una delle borse di Zonko un lungo strumento metallico dall'aria letale.
- O anche altre parti del corpo, per noi non fa la differenza dove lo mettiamo – disse Fred.
Ora Zacharias aveva tre cose di cui preoccuparsi: i pugni di Ron, lo strumento metallico di Fred e George e chissà quali incantesimi da parte di Ginevra Black; qualunque fosse l'idea della ragazza, sperava di non venirne mai a conoscenza.
- Va bene – riprese in fretta Hermione, - andiamo avanti... il punto è: siamo tutti d'accordo, vogliamo prendere lezioni da Harry?
Ci fu un mormorio di assenso generale. Zacharias incrociò le braccia e non disse nulla, forse perché era troppo occupato a tenere d'occhio i suoi quattro aguzzini.
- Bene – disse Hermione, soddisfatta che almeno qualcosa fosse stato deciso. - Dunque, la domanda successiva è con quale frequenza ci incontriamo, non credo che abbia senso farlo meno di una volta alla settimana... è una cosa importante, stiamo parlando di come difenderci dai Mangiamorte di V-Voldemort...
- Ben detto! - esclamò Theodore Nott. - Personalmente credo che sia molto importante.
- Un momento – obbiettò una Corvonero, l'amica di Cho Chang. - Chi ci dice che voi non siate delle spie? - disse alludendo ai Serpeverde presenti.
- Hai qualche problema? - chiese Daphne, infastidita. - Credi che i Serpeverde siano tutti uguali?
- Non dico questo – continuò la Corvonero. - Dico solo che è strano che voi siate qui.
- Ha ragione – sbottò un suo compagno. - Lo sanno tutti che i migliori alleati di Voi-Sapete-Chi sono i Serpeverde!
- Io penso – lo interruppe Ron, - che tutti quelli che la pensano ancora in questo modo abbiano delle scimmie urlatrici nel cervello!
Hermione strabuzzò gli occhi per la sorpresa. Ron aveva appena difeso dei Serpeverde.
- Harry dammi un pizzico – mormorò all'amico, ancora incredula. - Ahia!
- Lo hai chiesto tu – si difese lui.
- Tutti possono cambiare – continuò Ron.
- Ma se tu sei sempre stato il primo a denigrarli – protestò Zacharias.
- Vuoi un pugno? No, perché sto morendo dalla voglia di colpirti da quando hai aperto la bocca – lo minacciò Ron.
E per l'ennesima volta il Tassorosso si zittì.
- Loro sono dei bravi ragazzi – disse e alcuni sbuffarono, scettici. - E poi se provassero a tradirci lì ammazzerei.
- Grazie, Weasley. Sono commosso – disse Blaise, divertito. - Ti darei un bacio ma...
Gli occhi di Ron sembravano voler uscire dalle orbite e le sue guance divennero rosse come i suoi capelli. - Come se avessi accettato, Zabini.
Blaise rise di gusto, così come tutti gli altri, ma era davvero grato per le parole di quella “testa di carota”. Nonostante fosse un ragazzo diffidente, sperava di aver trovato davvero dei nuovi amici e sapeva che anche Draco, Theodore e Daphne la pensavano allo stesso modo.
Quest'ultima aveva un sorriso seducente che si allargava, man mano che osservava il rossore sulle guance di Ron. - Non credevo che fossi così dolce, Weasley.
A quelle parole Ron sorrise imbarazzato e lei s'intenerì, pensando che infondo quel Weasley non fosse tanto male. Poi lanciò una breve occhiata malinconica verso Blaise. Amava il suono della sua risata, il suo sorriso, i suoi occhi... ma sapeva che lui la riteneva solo un'amica.
Daphne aveva sempre avuto una cotta per Blaise, ma non era mai stata in grado di confessarglielo. Soprattutto quando lo vedeva spassarsela con tutte quelle ragazze.
Per lei era arrivato il momento di allargare i suoi orizzonti e dimenticare i sentimenti che provava per Blaise. Magari con un bel Grifondoro...
- Va bene, chiusa parentesi – disse Hermione, felice che Ron avesse finalmente messo da parte il suo risentimento per i Serpeverde. - Dunque... prima dobbiamo decidere con quale frequenza e dove incontrarci. Qualche idea?
Passò quasi mezz'ora, nella quale concordarono ben poco. Trovare un punto di ritrovo si rivelò molto più difficile di quanto pensassero, ma concordarono che se avessero trovato un posto lo avrebbero segnalato al gruppo.
Ginny sorrise a Harry con un'aria piena d'orgoglio. - Sei stato magnifico, amore – sussurrò dandogli un dolce bacio sulle labbra.
Harry si guardò attorno, sembravano tutti entusiasti e impazienti di cominciare le lezioni.
Ci pensò un momento.
A quel punto l'idea di Hermione non gli sembrava tanto folle.





*Da “Harry Potter e L'Ordine della Fenice – Alla Testa di Porco” (è un po' modificata, ma questa volta ho preferito essere il più fedele possibile al capitolo. Anche perché adoro l'Ordine della Fenice). Spero che possiate perdonarmi.


ANGOLO AUTRICE:
Ehilà! Perdonate il ritardo ma ho avuto un po' di problemini, ma credo di essermi fatta perdonare pubblicando questo capitolo! No? Ahahhaha
Comunque questo capitolo (come ho scritto qui sopra) è un po' più lungo degli altri perché ho voluto essere fedele al capitolo al libro il più possibile. Ho cercato di descrivere tutto attraverso gli occhi di Harry e di mettere un po' di lato gli altri personaggi, ma non temete dal prossimo capitolo tornerò a parlare del triangolo amoroso ;)
Ringrazio tutti quelli che leggono, recensiscono e seguono la storia. Sopratutto Ravenclaw97 e Moony1960... Siete fantastiche ed è grazie a voi se continuo a scrivere... >w< Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, attenderò con ansia un vostro commento - negativo o positivo che sia.
A presto e buona lettura :)
18Ginny18


PS: Per chi non ne fosse a conoscenza, qualche giorno fa ho pubblicato il prologo di una breve FF su Secrets, inserita nella serie “The Black Chronicles”. Parla di ciò che è successo alla Coppa del Mondo di Quidditch e, dato che tempo fa l'ho eliminato dalla storia, ho deciso di condividerlo con voi attraverso un Missing Moment. S'intitola "Enjoy this moment".

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - LA RESISTENZA ***


Capitolo 13 – La resistenza


- Cavallo in H3 – enunciò la giovane Black con tono trionfante e il cavallo nero avanzò verso la regina bianca. - Scacco.
L'agitazione era quasi palpabile all'interno della sala comune di Grifondoro semideserta.
Fred si passò una mano sul viso, visibilmente esasperato. Con circospezione, spostava lo sguardo da Ginevra, che gli sorrideva serafica, alle pedine bianche e nere. L'unica mossa possibile era quella di far mangiare il cavallo nero dalla sua regina e questo lo preoccupava un po', Ginevra sembrava soddisfatta e contenta di sé stessa. Forse un po' troppo contenta.
Quando Fred si rese conto del suo errore era troppo tardi. - Maledizione... - imprecò dopo aver effettuato quella mossa.
- Troppo tardi, Freddie. - Infatti, Ginevra fece spostare l'alfiere nero fino a raggiungere la regina di Fred. - Scacco Matto!
- Odio giocare con te! Non vinco mai! - protestò Fred colpendo l'alfiere nero con un dito. Quello cadde sulla superficie quadrettata e inveì contro di lui, emettendo versi incomprensibili e agitando il suo piccolo pugno in aria.
- La verità, caro Gred, è che non sai giocare – disse George, beffandosi del gemello. - La prossima volta, prova a non farti abbindolare da quegli occhioni, forse così non fallirai miseramente.
- Ma sentilo – commentò Fred, con un sorriso appena accennato. - Perché non ci provi tu, invece di poltrire tutto il giorno?
George, che era rimasto sdraiato sul divano accanto, abbozzò un sorriso e, alzando le braccia in segno di resa, disse: - Va bene, sto zitto.
Poi Fred sbuffò, incrociando le braccia al petto.
- Non dirmi che te la sei presa. Vuoi la rivincita? – gli chiese Ginevra.
Non appena Fred vide quel piccolo broncio le sorrise, ma si voltò dalla parte opposta fingendosi offeso. - Ma ti pare! Questo è l'unico gioco in cui puoi battermi, Blacky.
- Tu credi, Weasley? - lo canzonò Ginevra. – È strano che tu lo dica perché credo di averti battuto a molti giochi: Gobbliglie, Twister...
- Non valgono i giochi babbani – la interruppe Fred. L'additava con un sorriso obliquo e gli occhi stretti.
- Sì, invece – si ostinò lei.
Fred roteò gli occhi e bofonchiò un: “Certo, certo”.
La ragazza assottigliò lo sguardo e parlò con tono di sfida. - George ha ragione, sei una schiappa. Non mi batterai mai a nessun gioco.
- Be', in realtà c'è un “gioco” che mi incuriosisce molto e che vorrei provare insieme a te – disse Fred, con un sorrisetto malizioso. - Di sopra abbiamo un letto tutto per noi, se ti va...
Infastidito dalle parole del fratello, George simulò un colpo di tosse per ricordagli che non erano soli. In risposta, Fred gli rivolse un occhiolino e un mezzo sorriso.
Ginevra, invece, era incerta se ridere o meno delle parole di quest'ultimo. Alzò un sopracciglio. - Non accetterei nemmeno se tu fossi l'ultimo uomo sulla terra.
Il sorriso malizioso di Fred si ampliò e intensificò lo sguardo su di lei. - Se io fossi l'ultimo uomo sulla terra avrei altre cose da fare – disse con tono allusivo.*
- Ma piantala, idiota – disse lei, prendendo posto sul divano accanto a George, che le passò un braccio attorno alle spalle.
Fred si portò una mano al cuore con un espressione esageratamente triste. - Così mi ferisci, Blacky. Lo sai che io vivo per te...
George sospirò piano, scuotendo la testa. - Se solo Angelina sentisse queste parole...
Ginevra non disse nulla, si lasciò sfuggire un piccolo sorriso compiaciuto al solo pensiero di veder esplodere di rabbia Angelina Johnson. Ma il suo sorriso scomparve in un’istante quando qualcosa di viscido e bagnato le strisciò lungo la guancia, lasciando il posto ad un'espressione inorridita sul suo volto.
- Tanto lo so che mi ami – gongolò Fred e, prima di essere colpito in pieno da un cuscino del divano, filò dritto verso le scale del dormitorio maschile.
- Tanto lo sai che se ti prendo ti affatturo – gli urlò Ginevra di rimando. - Che schifo, che schifo, che schifo! - ripeté tra sé e sé pulendosi la guancia con la manica del suo maglioncino.
Sentì sogghignare, e alzò gli occhi verso il sorriso divertito di George.
Lo fulminò all’istante.
– Scusa, – disse lui iniziando a ridere a bassa voce, - ma ti adoro quando metti il broncio, scricciolo. - La tirò a sé. - Sei così carina quando sei arrabbiata...
Si trovarono così vicini che quasi le si mozzò il fiato.
Entrambi ricordarono il loro primo bacio al Ballo del Ceppo e Ginevra non riuscì a sottrarsi quando lui si trovò a pochi centimetri dalle sue labbra. Come lei, George non desiderava altro che ripetere quel contatto. Baciare ancora quelle labbra rosse e, questa volta, stringerla fra le sue braccia senza lasciarla andare via.
Mancava poco al contatto tra le loro labbra ma, anche se a malincuore, George si limitò a scostarle una ciocca di capelli dal viso.
Lei sussultò, provando uno strano brivido lungo la schiena.
Il vociare degli studenti che iniziavano a popolare la sala comune la costrinse ad allontanarsi piano da George, sorridendo impacciata. Era certa di avere le guance color pomodoro.
Nella speranza di nascondere il suo imbarazzo, s'incamminò verso la piccola libreria lì accanto e finse di mostrare interesse per quei vecchi tomi polverosi che aveva già letto un milione di volte.
“Ma che cosa mi prende? È il mio migliore amico ed è ovvio che non voglia baciarmi!”, pensò, dandosi della stupida. “Devo smetterla di pensare a lui come qualcosa di più”.
George la guardò armeggiare con quell'immenso libro di Trasfigurazioni con un sorriso divertito. Lo stava “leggendo” al contrario, ma non voleva di certo guastarsi il divertimento facendolo notare alla ragazza.
“Dannazione!”, pensò poi dandosi dello stupido. “Perché non l'ho baciata?”.
Dopo qualche istante di silenzio, Fred tornò nella sala comune carico di buste quasi correndo ma Ginevra era troppo concentrata a leggere e tradurre quelle strane parole per accorgersene. Così, quando lui la vide non esitò un secondo a pizzicarle i fianchi facendola sobbalzare per lo spavento. - Per Diana! FRED!
- È ora di andare. La “resistenza” ci sta aspettando – sghignazzò Fred.
Iniziò a spingere giocosamente il fratello verso la porta nella speranza che, usandolo come scudo, Ginevra non gli avrebbe lanciato nessuna fattura ma per sua sfortuna non fu così. Aveva un'ottima mira, bastò una parola e la pelle del ragazzo iniziò ad irritarsi e arrossarsi in un secondo.
- E dai! La fattura pungente no! - si lamentò Fred, costretto a far cadere le buste per terra per grattarsi dappertutto.
- Così impari – disse Ginevra con un ampio sorriso. In risposta ricevette una linguaccia da quel povero disperato di Fred che iniziò a grattarsi con qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, persino la copertina di un libro.
D'altro canto George non riuscì a trattenersi dal ridere, venendo così fulminato con lo sguardo dal gemello. Lui lo ignorò bellamente prendendo da terra le buste con i loro prodotti. - Dopo di te, principessa – disse, invitando la ragazza a uscire dalla sala comune. Lei abbassò lo sguardo e si avvicinò alla porta, era imbarazzata per ciò che era quasi successo poco prima.
Ma stava per succedere davvero?
Prima che i tre ragazzi potessero varcare la soglia Lee li superò e, come una furia, si avvicinò alla bacheca con in mano un cartello.
- Ehi, raggio di sole – lo salutò George. - Che cos'hai lì?
- Leggete! - rispose lui stizzo.
Una volta affisso il cartello, i tre amici si avvicinarono alla bacheca e iniziarono a leggere.

 
Per ordine dell'Inquisitore Supremo di Hogwarts
Tutte le organizzazioni, società, squadre, gruppi e circoli di studenti sono sciolti a partire da questo momento. Per organizzazione, società, squadra, gruppo o circolo si intende l'incontro regolare di tre o più studenti.
L'autorizzazione alla ricostituzione può essere richiesta all'Inquisitore Supremo (professoressa Umbridge).
Nessuna organizzazione, società, squadra, gruppo o circolo può esistere senza previa conoscenza e approvazione dell'Inquisitore Supremo.
Qualsiasi studente che costituisca, o appartenga, a un'organizzazione, società, squadra, gruppo o circolo che non siano stati approvati dall'Inquisitore Supremo sarà espulso.


Quanto sopra ai sensi del Decreto Didattico Numero Ventiquattro.
Firmato: Dolores Jane Umbridge, Inquisitore Supremo.


George strinse i pugni. - Che figlia di... – sussurrò, in modo tale che solo Fred, Ginevra e Lee potessero sentirlo in quel viavai di ragazzi del primo e secondo anno.
- Scommetto che è stato quell'idiota di Smith. Ha fatto la spia – ringhiò Fred.
Probabilmente la frustrazione per quella maledetta fattura peggiorava le cose ma stava iniziando a condividere la furia di Lee.
- Che cosa facciamo? - chiese quest'ultimo. Aveva le braccia incrociate e batteva il piede a terra, nervosamente.
- Andremo lo stesso all'incontro. È ovvio – rispose George con disinvoltura.
- No – sospirò Lee, spazientito. - Parlavo del Quidditch. Sono comprese anche le squadre. E se quella megera ha bandito il Quidditch da questa scuola, non potrò più commentare le partite! Capite? La mia vita non ha più senso!
- Non ci credo – esclamò Fred, senza smettere di grattarsi. - È terribile.
- Smettila di grattarti mi stai irritando!
- Magari potessi... - commentò con amarezza, senza smettere di grattarsi.
- Dai, non pensateci adesso! - sbottò Ginevra, spazientita. - Scommetto che Angelina troverà una soluzione, dopotutto è il Capitano di Grifondoro, no?
I tre ragazzi si guardarono tra di loro a occhi sgranati.
- Chi sei tu? Che ne hai fatto della nostra Blacky? – sussurrò Fred con teatralità.
Ginevra roteò gli occhi e lo ignorò. - Forza è meglio andare, gli altri ci staranno aspettando.
Tutti annuirono e la seguirono fuori dalla sala comune, avviandosi di fretta lungo il corridoio indicato da Harry. Una volta raggiunto il punto di raccolta, accanto al ritratto di Barnaba il Babbeo, si trovarono davanti a un'ampia parete.
- Eccoci qua – disse George, e una volta poggiate le buste a terra iniziò ad ammirare il muro con le mani nelle tasche dei pantaloni. - Che si fa adesso?
- Seguiamo le istruzioni di Harry – mormorò Ginevra, sovrappensiero. - Dunque... Harry ha detto di passare davanti a questa parete tre volte, e dobbiamo pensare a ciò che ci serve.
- Sì... ma prima potresti liberarmi da questa maledettissima tortura, per favore? - fu la supplica del povero Fred. - Giuro che faccio il bravo!
Ormai era pieno di macchie rosse in tutto il corpo e vedendolo in quello stato Ginevra dovette cedere alle sue suppliche. Con un veloce e silenzioso movimento della bacchetta liberò Fred dall'incantesimo e tornò a dedicarsi alla parete vuota.
“Abbiamo bisogno di un luogo in cui allenarci”.
Al terzo passaggio apparve una porta lucidissima. Con esitazione Lee afferrò la maniglia di ottone e aprì la porta, lasciando che la stanza nascosta si mostrasse a loro.
Le pareti erano occupate da immense librerie di legno cariche di libri e, al posto delle sedie, in fondo alla stanza c'erano grandi cuscini di seta sui quali erano seduti i ragazzi dell'incontro che parlavano animatamente con Harry, Ron e Hermione.
- Ah, finalmente siete qui! - esclamò Harry vedendoli entrare nella stanza. - Benvenuti nella Stanza delle Necessità. È qui che ci alleneremo.
Lee fischiò, ammirato. - Niente male, Harry.
Harry abbassò lo sguardo per cercare di nascondere il suo sorrisetto compiaciuto. - Sono felice che vi piaccia. Venite a sedervi con noi!
Ovviamente Fred fu costretto a sedersi accanto alla sua fidanzata, Angelina, che si era già preparata a fulminarlo con lo sguardo se solo avesse osato starle lontano. - Addio, fratello – lo salutò George, con finta disperazione. - Ti ricorderò per sempre. – Poi abbracciò Lee e finse di piangere sulla sua spalla.
- Che razza di idioti – borbottò la loro sorellina, Ginny Weasley dando a Fred uno scappellotto quando lo vide salutare il gemello con un fazzoletto bianco. - Siete lontani solo quattro metri!
Il gesto riuscì a far smettere Fred e George di comportarsi come due bambini... o quasi. Avevano iniziato a lanciarsi piccoli e innocui fasci di luce, colpendo anche i ragazzi attorno a loro che iniziarono a prendere parte a quella strana e divertente battaglia, fino a quando Hermione e la piccola Weasley non presero in mano la situazione. Quei due non riuscivano proprio a smettere di fare gli idioti nemmeno per un secondo!
Una volta che anche gli ultimi arrivati presero posto sui morbidi cuscini, Hermione prese la parola. - Bene, adesso che ci siamo tutti, vorrei esporvi quello che faremo oggi – disse. - Dunque, ho pensato che per prima cosa dovremmo eleggere un capo.
- Harry è il capo – disse subito George, guardando Hermione come se fosse matta.
- Sì, ma secondo me è meglio deciderlo con una vera votazione – disse Hermione, imperturbabile. - È più formale e gli conferisce l'autorità. Allora... chi pensa che Harry debba essere il nostro capo?
Tutti alzarono la mano, compreso Zacharias Smith, che però lo fece senza entusiasmo.**
Harry si sentì avvampare. Non si aspettava tante mani alzate. Riuscì a mormorare solo un piccolo “grazie” prima che un'impaziente Hermione riprendesse velocemente la parola.
- Credo anche che dovremmo darci un nome – disse quest'ultima allegramente. - Aumenterebbe lo spirito di gruppo e l'unità. Tu che ne dici, capo?
- Credo che sia un'ottima idea, Hermione – Harry sorrise, cercando di sembrare autoritario.
In realtà non era abituato a essere definito “capo”, sarebbe stata dura da accettare e cercare di non essere impacciato.
- Potremmo chiamarci Lega Anti-Umbridge? - propose speranzosa Angelina.
- O Il Ministero della Magia è Deficiente? - suggerì Fred.
- Il M.M.D? Suona malissimo! - commentò Katie, con un sorriso sghembo.
- Ehi, non sorridere il quel modo eh! - l'additò George, fingendosi sprezzante. - Quella è una nostra prerogativa.
In risposta Katie alzò un sopracciglio e continuò a sorridere. - Addirittura...
George assottigliò lo sguardo. - Stare con noi ti fa male, Bell.
- Hai ragione, Forge. Stiamo perdendo anche lei – lo assecondò Fred. Poi abbracciò Katie, accarezzandole la testa in modo quasi morboso. - Cosa ti abbiamo fatto, Katie! COSA TI ABBIAMO FATTO?
Evitare di ridere o soltanto sorridere davanti a quella scenetta non fu facile per i presenti. Così, una volta guadagnata nuovamente l'attenzione del pubblico, i gemelli continuarono a fare i pagliacci e, nel frattempo, pubblicizzarono i loro prodotti “Weasley & Weasley” per il negozio di scherzi. - Il caso vuole che abbiamo portato i nostri prodotti! - disse poi Fred, iniziando a distribuire volantini e caramelle a tutti con l'aiuto di George e Lee. - Se siete interessati a qualche prodotto saremo felici di soddisfare le vostre richieste!
- Ragazzi – li chiamò Ginevra, con la bacchetta pronta.
- Sì? - chiesero tutti e tre in coro, sorridendole gioviali.
- Sedetevi – sentenziò trucidandoli con lo sguardo. - Adesso.
I tre ragazzi si guardarono intorno, notando che anche Hermione aveva un'aria molto minacciosa. Decisero di porre fine alla loro pubblicità e sedersi.
- Ai tuoi ordini, mamma – risposero Fred e George con un cenno della mano.
- Bene, ora che abbiamo chiuso questa parentesi, torniamo al discorso di prima – disse Hermione, un po' infastidita dall'interruzione di quei due scapestrati e dal loro complice. - Stavamo decidendo il nome da dare al gruppo.
- Abbasso il Rospo Puzzolente e Abominevole? - tentò Paul. - In breve diventerebbe A.R.P.A.
- Potrebbe andare... ma non ci siamo ancora. Sento che il nome dovrebbe essere un altro, però ci siamo vicini perché dovrebbe essere un nome che non lasci capire a tutti che cosa stiamo facendo, per parlarne in tranquillità e senza destare sospetti – continuò Hermione.
- Che ne dite di S.E.S.S...
- LEE! - urlò Lavanda Brown, scioccata.
- Che c'è? - chiese lui con un sorriso accattivante. - Ti imbarazza?
- Per favore, andiamo avanti – pregò Hermione, cercando di far tornare il discorso sui binari giusti.
- Esercitazioni Segrete? - suggerì Cho Chang.
- ES... Mi piace – disse Ginny Weasley. - Però facciamo in modo che significa Esercito di Silente, visto che è quello l'incubo peggiore del Ministero, no?
Ci furono molti mormorii di approvazione e risate.**
Harry le strinse la mano e sorrise. - È ottima idea, Ginny. Tutti a favore di ES? - chiese in tono deciso.
Cho si perse un'istante a guardarli. Sembravano così innamorati e avevano gli occhi a cuoricino... Anche Cedric l'aveva guardata in quel modo. Certo, il loro non era amore ma solo l'effetto dell'Amortentia, ma le mancavano anche quelle piccole attenzione che le dava. La morte di Cedric era stato un duro colpo, e quando pensava a lui il più delle volte non riusciva a trattenere le lacrime.
Spostò la sua attenzione su Ginevra Black, la sua vecchia rivale in amore, e si chiese se il dolore che provava fosse pari al suo. In quel momento stava sorridendo, forse aveva imparato ad andare avanti. Oppure... lo aveva dimenticato? No, Cedric non poteva essere dimenticato. Anche se l'apparenza poteva ingannare gli altri, Cho sapeva che il suo ricordo non sarebbe mai andato via dai loro cuori.
Ginevra incrociò lo sguardo della Corvonero, le sorrise appena, chiedendosi perché la stesse guardando in quel modo. Poi ricordò che Cedric era stato ingannato da lei con quel filtro d'amore e abbassò lo sguardo.
Cho aveva fatto soffrire il suo amico, solo per uno stupido capriccio.
“L'importante era imparare dai propri errori”, pensò tra sé e sé, ed era per questo che non poteva essere arrabbiata con lei. Dopotutto era solo innamorata.
- Siamo la maggioranza... mozione approvata! - annunciò Hermione, destando entrambe le ragazze dai loro pensieri.
Poi Hermione appese al muro la pergamena con le firme e scrisse in alto, a grandi lettere:
ESERCITO DI SILENTE
- Bene – disse Harry quando Hermione riprese posto, - cominciamo?
- Il nome che avevo scelto io era migliore – bofonchiò Paul, un po' offeso.










*Tre Cuori in Affitto – Episodio 7x22
**Da “Harry Potter e L'Ordine della Fenice – Esercito di Silente”(un po' modificato).


/La partita a scacchi descritta all'inizio del capitolo è un omaggio al film “Harry Potter e la pietra filosofale”/

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - SILENZIO ***


Capitolo 14 – SILENZIO


L'abitazione al numero 12 di Grimmauld Place sembrava avvolta dal silenzio. Non vi era nemmeno una mosca che volteggiava nell'aria e, se non fosse stato per il picchiettare ansioso delle dita di Sirius sul braccio della poltrona, quella poteva sembrare una casa completamente deserta.
Con lo sguardo fisso alla finestra, era in attesa dell'arrivo di Edvige con la lettera di Harry. Purtroppo non poteva riceverne una anche da Ginevra, la sua principessa, perché c'era chi ad Hogwarts vigilava sulle loro lettere, ovviamente leggendone il contenuto. Sopratutto quelle dei suoi figli.
Figli... Per Sirius quella parola aveva un suono appagante, che solo al pensiero gli faceva arricciare le labbra in un sorriso. Harry era proprio come un secondo figlio per lui, ma anche un amico come lo era stato James. Era quasi inquietante la somiglianza che aveva con suo padre, se non fosse stato per gli occhi sarebbero state due gocce d'acqua.
Sospirò piano e il suo pensiero andò subito a Lily.
C'erano così tanti ricordi legati a quella giovane donna che, per un attimo, il desiderio di dimenticare tutto, di tornare indietro nel tempo e fare in modo che il giovane Sirius non s'innamori di lei, lo allettava molto. Ma se fosse stato possibile, avrebbe perso la sua bambina, Ginevra, e non desiderava affatto rinunciarvi. Lei era l'unico motivo che lo aveva sempre spinto ad andare avanti. L'unico motivo per il quale avrebbe fatto quello sbaglio altre mille volte.
Ad un tratto, un picchiettare alla finestra lo destò dai suoi pensieri. Edvige era appena arrivata.
Sirius si apprestò ad aprire la finestra lasciandola entrare, fuori aveva iniziato a diluviare. Non appena la civetta entrò in casa si scrollò l'acqua di dosso e le sue piume divennero subito arruffate facendola apparire molto gonfia e buffa. Forse, in un altro momento, Sirius si sarebbe messo a ridere ma la sua mente e la sua completa attenzione erano rivolte soltanto alla lettera del suo figlioccio.
Quando la prese in mano l'aprì con foga, impaziente di leggerla.


Caro Tartufo,
spero che tu stia bene, qui stiamo cercando di resistere. Sembra passata un'eternità dall'ultima volta che ci siamo visti. Ancora un mese e saremo di nuovo insieme. Grazie al rospo di Neville abbiamo abbastanza grane a cui pensare, dobbiamo sempre stargli dietro e sperare che non ci faccia cacciare nei guai. Stiamo studiando più del dovuto, ma non è tanto male. A proposito, quella cosa è successa di nuovo e mi da il tormento.
I migliori e cari saluti,
Harry


Sirius rilesse parecchie volte quelle poche righe, capì che le visioni del ragazzo stavano diventando sempre più frequenti. Silente doveva esserne informato, ma era impossibile contattarlo, sembrava un fantasma. Nessuno dell'Ordine lo aveva più visto dal giorno della riunione lì a Grimmauld Place. I ragazzi lo vedevano di rado a Hogwarts e, stando a i pochi indizi che gli aveva dato Remus, sembrava che Silente stesse ignorando e evitando Harry in ogni maniera possibile. “Avrà i suoi motivi”, diceva il lupo-mannaro ogni volta che usciva fuori il discorso. A volte Sirius voleva proprio sapere cosa passava per la mente di quel vecchio stralunato! Insomma, cosa lo spingeva ad ignorare Harry? Aveva bisogno del suo aiuto!
A quel punto Sirius decise di chiedere aiuto a suo fratello Regulus, che era ancora sotto copertura lì a Hogwarts e magari ai membri più stretti e fidati dell'Ordine come la professoressa McGranitt. Sirius sentiva di dover aiutare Harry, in qualsiasi modo gli fosse possibile. L'unico suo rammarico era non poter uscire da quelle quattro mura. Evaso da Azkaban per poi entrare un'altra prigione... sembrava che la sorte volesse prendersi gioco di lui.
Tornò alla lettera e analizzò la parte del rospo di Neville, che ipotizzò fosse in realtà quella megera della Umbridge. Dovette ammettere che l'appellativo “rospo” le calzava appennello perché quando aveva visto la sua foto sul Profeta, per un attimo, era stato tentato di buttarlo tra le fiamme del camino. Lo inquietava parecchio quella... donna?
Poi ricordò che nell'ultima lettera di Ginevra, Remus aveva accennato a una specie di ribellione, una resistenza.
- Forse Harry intendeva questo nella lettera - disse Sirius, tra sé e sé.
Era felice che almeno stessero reagendo in qualche modo, ma l'unico suo dispiacere era di non poterli aiutare nella causa come voleva. Si sentiva inutile. E, anche se a volte trovava divertente ricevere quei messaggi criptati, ogni giorno sperava che arrivasse una lettera in piena regola anche dalla sua piccola principessa. Dover comunicare attraverso le lettere di Remus lo mandava in bestia. Se solo avesse potuto avrebbe messo a tappeto lui stesso quella strega pur di far tornare la normalità a Hogwarts. James sarebbe stato d'accordo con lui...
- Novità? - chiese Remus entrando nel salone proprio in quell'istante con la Gazzetta del Profeta in mano.
- Perché ti ostini a comprare quella robaccia?
- Dobbiamo essere aggiornati sugli ultimi avvenimenti, no? - rispose buttando il giornale sul tavolo in malo modo.
Sirius si lasciò sfuggire un piccolo sorriso. - Vedo che sprizzi felicità da tutti i pori, Lunastorta. Scommetto che hai letto cose interessanti.
La risposta di Remus fu una piccola smorfia, si avvicinò ad Edvige e iniziò a accarezzarle la testolina piumata e un po' umida. - I ragazzi non se la passano molto bene... quella è diventata Inquisitore Supremo di Hogwarts e ha iniziato a decretare regole e divieti a ruota libera.
- Inqui... che? Ci mancava solo questa! - sbuffò Sirius, cercando di placare la furia che cresceva piano piano in lui. - Menomale che in qualche modo se la stanno cavando.
Detto questo porse la lettera a Remus che iniziò a leggere in silenzio, serio in volto.
- La cosa che mi stupisce di più è che Silente non fa niente per risolvere la faccenda – disse Sirius, scrivendo una risposta accurata al figlioccio. Poi si rivolse alla civetta. - Finché non finisce questo temporale tu resti qui, Edvige. Va bene?
Edvige emise dei versi, che Sirius ipotizzò fossero un “sì”, e volò tutta contenta sul trespolo accanto a Piumino*, il gufo di Remus.
Una volta finito di leggere la lettera, Remus sospirò. - Spero che anche senza il nostro aiuto...
- Se la caveranno, Rem – mormorò Sirius senza muovere un muscolo. Poi si schiarì lievemente la voce e sorrise all'amico. - Tranquillo.


- Vogliamo solo essere sicuri che stai bene... ultimamente ti sei allontanata molto da noi – disse Fred.
- Che vorresti dire con questo? - chiese Ginevra, confusa. - Dove volete andare a parare?
Si trovavano nella camera di Lee e i gemelli già da qualche ora. Lee non era presente ma nonostante l'ora tarda, i gemelli e la giovane Black, non si erano nemmeno chiesti che fine avesse fatto.
Avevano trascorso una serata spensierata, a ridere e scherzare e addentando il cibo sgraffignato dalle cucine preferendo evitare la Sala Grande. La serata, però, sembrava non voler finire così come era cominciata.
Per Fred e George non era stato facile nascondere la loro preoccupazione per la ragazza. Erano stanchi di girare attorno al problema senza affrontarlo, era arrivato il momento di avere delle risposte. - Perché non ci hai detto che la Umbridge ti ha fatto del male?
Ginevra s'irrigidì. - Non so di cosa state parlando – disse risoluta.
Fu facile notare il suo repentino cambiamento di umore e il modo in cui copriva il dorso della mano sinistra con quella destra, nonostante lei cercasse di dissimulare tutto con disinvoltura. - Sai, non è stato difficile notare quella frase caratteristica sulla mano di Harry – commentò ironico Fred, anche se il suo sorriso era già sparito.
- Sbaglio o avevamo promesso di dirci sempre tutto? - le sussurrò George avvicinandosi.
A quel punto Ginevra capì che era inutile continuare a mentire, dunque si limitò ad annuire. - Avete ragione... ma cosa avrei dovuto dirvi? - chiese lei, passandosi distrattamente la mano tra i capelli. - Ho solo avuto una stupida punizione, non devo mica scriverlo su dei manifesti!
- Ma perché non ci hai detto niente? Noi siamo tuoi amici! - insisté George. - Ti vogliamo bene e non volgiamo che ti nascondi da noi...
- Nascondermi? - Ginevra scattò in piedi, la rabbia iniziava a salire. - Sentite... io me ne vado. Sono stanca di sentire queste sciocchezze.
Quell’ostilità poteva intimidire chiunque, ma Fred e George non si lasciarono ingannare. La conoscevano troppo bene. – Ci devi delle spiegazioni – disse Fred, con tono deciso.
Lei partì spedita verso la porta, ignorandoli. George provò a chiamarla ma lei non accennò a voltarsi.
- Gin, ti prego.
Il suo rifiuto di fornire spiegazioni dava sui nervi ai due ragazzi, ciononostante Fred sembrava il più incline a dar sfogo a quella collera anziché tacere come George.
- Ginevra! - urlò e lei si pietrificò sul posto, un po' impaurita.
Si voltò lentamente, con lo sguardo fisso su Fred. - Cosa? - chiese, il tono di voce era duro. - Cosa volete che vi dica? Sono stufa di vedere quegli sguardi che mi rivolgete da tutta la sera. Non sono un cucciolo ferito.
Fred chiuse gli occhi e sospirò pesantemente. - Mi spieghi perché fai così? Ti stai comportando come una bambina.
Lei fece una smorfia ma non disse nulla. Preferiva parlottare con se stessa in un dialogo mentale piuttosto che sfogarsi con i due ragazzi.
A quel punto fu George a perdere le staffe. - Vogliamo solo proteggerti, Gin!
- Non ho bisogno di protezione – sbottò lei, senza badare alle loro espressioni infuriate.
Per un minuto interminabile il silenzio regnò in quella camera e questo aiutò a calmare i loro animi. Poi Fred si scambiò un breve cenno con il fratello, dopodiché incrociò lo sguardo della ragazza. Con delicatezza, prese la sua mano e lei si lasciò condurre fino al letto dove era stata seduta tutta la sera. - Fidati di noi... ti prego.
In un'istante Ginevra si sentì invadere da un'insolita ondata di calore e le sue guance divennero leggermente rosee. Per sua fortuna non vi era molta luce nella stanza quindi riuscì a nasconderlo ai due ragazzi.
Sospirò, alla fine aveva deciso di arrendersi.
Non aveva alcun senso a litigare per una stupida cicatrice.
E poi lo avrebbero scoperto comunque... no?
Lasciò che George le prendesse la mano sinistra e che puntasse la bacchetta contro di essa. - Revelio.
Una volta pronunciato l'incantesimo, le parole apparvero sulla mano della ragazza.
Devo portare rispetto.
- Gin...
I loro sguardi compassionevoli furono come un campanello d'allarme per Ginevra, che si apprestò a sottrarre la mano. - Ecco... Lo sapevo, non vi avevo detto nulla perché sapevo come avreste reagito. Non ho bisogno di pietà.
Una volta in piedi si recò nuovamente verso la porta, pronta ad andare via, ma George riuscì a fermarla stringendola in un abbraccio improvviso.
Quasi le mancò il fiato quando si sentì circondare i fianchi dalle sue braccia forti.
- La nostra non è pietà – soffiò George al suo orecchio. - Siamo solo preoccupati per te.
Fred, invece, non disse nulla. Le sorrise con tenerezza e depose un piccolo bacio sulla sua fronte, dopodiché accarezzò piano la cicatrice sulla mano sinistra con il pollice.
A quel punto un sorriso spontaneo apparve sul volto di Ginevra. - Vi riesce molto bene.
- Che cosa? - chiese George, giocando con una ciocca dei capelli corvini di lei.
- Farmi sentire meglio. Farmi sentire al sicuro... - mormorò lei, ricordando tutte le volte in cui si erano ritrovati in una situazione del genere. Solo loro erano in grado di calmarla da tutto. Ansia, tristezza, rabbia... erano solo parole vuote quando c'erano loro due. I suoi cavalieri senza macchia e senza paura.
- Tu sei al sicuro – insisté Fred, stringendole delicatamente la mano che stava accarezzando. - Finché sarai al nostro fianco andrà tutto bene. E fidati se ti dico che non ti lasceremo sola nemmeno un attimo, Blacky.
Ginevra rise piano. - Vi voglio bene, Weasley.


Incurante della presenza dei suoi studenti, Severus Piton avanzò verso il gatto nero rannicchiato sul muretto. Riceveva attenzioni e carezze da alcune ragazze intenerite dal suo musetto. Con una smorfia di sdegno Severus lo prese in braccio e lo portò via.
Il gatto, per la sorpresa, emise un miagolio di protesta ma quando vide il suo “sequestratore” non cercò nemmeno di opporsi.
- Ma professor Piton... - fu la debole lamentela di una giovane Tassorosso dai lunghi capelli biodi.
- Gli animali sono vietati in quest'area, signorina Grace – sentenziò zittendo ogni mormorio tra gli studenti.
I ragazzini del primo anno che lo vedevano allontanarsi a grandi falcate, erano terribilmente intimoriti dall'oscuro professore e temevano per l'incolumità del povero gattino. “Forse lo mangerà oppure lo utilizzerà per le sue pozioni”, parlottarono tra di loro, spaventati e inorriditi.
Arrivato nei pressi di un'aula vuota e in disuso, Severus sgusciò dentro richiudendo immediatamente la porta alle sue spalle, dopodiché poggiò il gatto su un tavolo dall'aria stabile e rimase in attesa.
Il gatto nero piegò la sua testolina di lato e puntò i suoi occhi di ghiaccio sull'altero insegnante di pozioni.
- Basta giochetti, Black – intimò Severus. - Dobbiamo parlare.
- Non capisco perché ti scaldi tanto – sbuffò Regulus una volta ripresa forma umana.
Severus roteò gli occhi. - Anziché approfittare di quelle ragazzine, facendo le fusa come un imbecille, dovresti adempiere ai tuoi doveri! - s'infervorò Severus.
L'animagus si lasciò sfuggire un lieve sorriso. - Sei geloso? Va bene, sto zitto – disse subito dopo lo sguardo di fuoco che gli aveva rivolto l'uomo dinanzi a lui. - Qual è il problema? - chiese poi, serio.
- Minerva mi ha chiesto di contattarti, dato che lei è parecchio sorvegliata da quell'ameba – disse l'insegnante di pozioni, infastidito. Odiava fare da messaggero. - Si tratta di Potter. Tu sei l'unico dell'Ordine che può tenere d'occhio la sala comune di Grifondoro dall'interno. A quanto pare ha alcuni problemi e, dato che Silente è l'unico in grado di aiutarlo ma non si fa vedere, devi essere tu a sorvegliarlo.
- Problemi? Che genere di problemi ha Harry?
Severus sospirò. - Stando a quello che ci ha riferito quell'idiota di tuo fratello, sembra che Potter abbia degli... incubi. Delle visioni su una stanza al ministero.
- Visioni? - Severus vide la mascella di Regulus tendersi al solo pensiero. - Credi che ci sia lo zampino di Voldemort? - chiese l'animagus.
- Chi può dirlo... L'Oscuro Signore opera in maniera misteriosa negli ultimi tempi, per me è molto dura riacquistare la sua fiducia – ammise greve Severus. - Comunque sia... Io posso tenere d'occhio il ragazzo durante le lezioni e nei corridoi, ma tu devi riferirmi tutto. Tutte le sue stranezze, i suoi movimenti e soprattutto quello che succede quando ha degli incubi. Dobbiamo venirne a capo in qualche modo.
Regulus annuì. - È tutto? - chiese con serietà.
Con aria scocciata, Severus uscì dalla tasca interna del suo mantello nero un pacchetto di carta ingiallita chiuso con un semplice spago. - Tuo fratello ti manda questo – disse, per poi borbottare: - Tanto vale trasformarmi in un un gufo.
L'animagus non prestò molta attenzione alle parole dell'uomo, era concentrato sul quel pacchetto dalla forma irregolare. Sulla carta non vi era alcun messaggio o indizio. Tastò con attenzione l'involucro, sperando di non danneggiare il contenuto qualora fosse stato fragile. Una volta tolto di mezzo lo spago Regulus strappò con delicatezza la carta, scoprendo così un frammento di specchio.
Gli bastò guardarlo un solo istante e sul suo volto apparve un mezzo sorriso.
Il ricordo di quella calda mattina di luglio del 1973 stava già invadendo la sua mente. Quel giorno Regulus sorprese il fratello parlare da solo. “Forse tutte quelle Maledizioni Cruciatus lo stanno facendo diventare pazzo”, pensò con suo tremendo rammarico, ma dovette ricredersi quando sentì una seconda voce rispondere a quella di Sirius.
Ascoltando con molta attenzione Regulus capì che la voce apparteneva a James Potter.
Bussò alla porta e una volta entrato nella stanza cercò con lo sguardo il Grifondoro occhialuto, senza trovarlo. “Cerchi qualcosa?”, chiese all'epoca il giovane Sirius. Regulus gli spiegò di aver sentito quella voce e di essere preoccupato. “Se Walburga ti scopre... non voglio che ti faccia del male, Sir”, ammise il piccolo Serpeverde.
Sirius gli sorrise, dolcemente. “Stai tranquillo, Reg. Io sono furbo e, come puoi vedere, non c'è nessuno in camera mia”.
Ma ho sentito la voce di Potter”, protestò il fratello.
Questo perché... - mormorò Sirius agguantando qualcosa sotto il suo cuscino. - Ho questo”.
Quello che teneva in mano era il frammento di uno specchio, agli occhi di chiunque poteva sembrare un oggetto inutile, pericoloso e da gettare immediatamente nell'immondizia, ma Regulus sapeva che in realtà quello era più di un semplice specchio. “È uno degli specchi gemelli dello zio Alphard”, disse il piccolo Regulus prendendolo tra le mani.
Sirius era compiaciuto. “Vedo che te lo ricordi”.
Come potrei dimenticarlo? Lo zio Alphard ce li prestava quando la mamma ti metteva in punizione. Era l'unico modo per non restare soli...”, mormorò un po' triste.
Tu non sarai mai solo, piccoletto. Io non ti abbandonerò mai”.
Regulus sorrise, ripensando alle parole del fratello. - Li ha tenuti per tutto questo tempo... - sussurrò a sé stesso.
Con le dita sfiorò la superficie dello specchio con nostalgia.
Sorrise, ringraziò Severus giurando di aiutare Harry.
- Sarà meglio per te - gli rispose Severus, dopodiché uscì dall'aula lasciando l'animagus da solo con i suoi pensieri.


Le giornate passarono in fretta, quasi come se anche loro volessero scappare da Hogwarts il più velocemente possibile. L'aria che aleggiava nel castello non era delle migliori; Silente era sparito e la sua assenza si sentiva eccome.
Sembrava volesse nascondersi nel suo Ufficio, in attesa dell'arrivo dell'estate. Fred e George lo immaginavano con un completino Hawaiano, occhiali da sole, in piedi d'avanti al calendario con le valige in attesa del miracolo.
- Sarebbe bello vederlo vestito in quel modo e sentirgli dire: “Honolulu arrivo!”**- commentò Ginevra scoppiando a ridere con i suoi amici.
- Proponiamoglielo! - si esaltò Fred. - Quel povero uomo di mille anni avrà bisogno di qualche svago, no?
- Sì, e magari gli facciamo incontrare una bella Hawaiana da sposare – fantasticò George.
- O Hawaiano – aggiunse Paul, sorseggiando il suo boccale di burrobirra. - Potrebbe avere gusti diversi anche lui.
Così, seduti a quel tavolo del Tre Manici di Scopa, in attesa di sorprendere Lee con la sua nuova fidanzata, si erano trovati a parlare del loro vecchio preside. Dopo ciò che era accaduto il primo giorno di scuola, Paul e i gemelli avevano iniziato a socializzare fino a stringere una grande amicizia. Ciò che li legava all'inizio era Ginevra, ma, col tempo, avevano imparato ad apprezzarsi e scoperto di andare molto d'accordo.
- Io comunque non capisco perché Lee non vuole farci conoscere la sua nuova fiamma. Teme che le faremo spuntare un terzo occhio? – borbottò George, sfiorando il bordo del suo boccale con l'indice.
Fred gli mise una mano sulla spalla. - Be', con Elizabeth la prima volta è successo. E poi a quella Helen le abbiamo fatto spuntare le piume da canarino...
- No, Fred, non ci siamo limitati a farle spuntare le piume. Ti ricordo che l'abbiamo trasformata di un canarino gigante – precisò Ginevra, ridendo piano.
A quel punto Fred e George sospirarono. - Che bei ricordi.
Paul, invece, sgranò gli occhi, sorpreso. - Adesso capisco perché quella povera ragazza ha mangiato mangime per uccelli per due settimane – disse Paul, colto da un'illuminazione. - Siete stati un po' crudeli.
- Ma è stato un'incidente – si difese George. - Noi le abbiamo semplicemente dato un consiglio su come migliorare il suo aspetto. Il rosa non le donava.




*Troverete Piumino nel capitolo 2 della nuova FF della serie chiamata: “Enjoy this moment”.
**Frase di Merlino nel film Disney: “Spada nella roccia”.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 - RABBIA ***


Capitolo 15 - Rabbia


Sembrava una giornata come tante, il cielo era azzurro e gli uccellini cinguettavano felici. Insomma, era quella che si poteva definire una giornata tranquilla.
Ma quella tranquillità sembrava destinata a finire per qualcuno in particolare.
Ogni mattina, tra le mura del castello, c'era chi si lasciava scappare qualche pettegolezzo infondato, oppure dava libero sfogo alla sua "fantasia" e iniziava ad importunare gli studenti.
I primi malcapitati della giornata furono Paul e Ginevra. Passeggiavano per il corridoio del terzo piano, vicino l'aula di Incantesimi. Erano diretti a Trasfigurazione ma si trovarono la strada sbarrata da un gruppetto di Corvonero e Serpeverde.
Una strana sensazione iniziò invadere la mente della ragazza. Era perlopiù il sospetto che quello strano gruppetto stesse aspettando proprio loro.
- Avete visto? A quanto pare Bennet non è come pensavamo - sbottò un Serpeverde in tono malizioso.
- Ti dobbiamo delle scuse, Bennet! - urlò un altro.
- Black si è consolata subito - gli fece eco un ragazzo dai capelli brizzolati e dall'aria saccente.
- Com'è a letto questa bambolina, Bennet? Ti piace o preferisci ancora qualcos'altro... magari più lungo?
Paul non rispose.
Ignorò gesti e versi espliciti che gli rivolgeva quel gruppetto e afferrò Ginevra per il braccio. Sapeva che, se non fosse stato per lui, la ragazza li avrebbe affrontati senza pensarci un solo istante.
- Ignorali - le sussurrò.
Non era affatto facile, ma lei provò comunque a dargli ascolto... per i primi dieci secondi.
Con una veloce occhiata Ginevra cercò di inquadrare quei brutti ceffi: erano circa una dozzina; alcuni di loro avevano spalle larghe, fisico da battitore, cravatta allentata e la camicia fuori dai pantaloni. Ognuno di loro sfoggiava sul proprio volto un sorriso da sbruffone e, ridacchiando, iniziarono a esprimersi con commenti poco galanti sul corpo della ragazza.
- Non avete niente di meglio da fare, voi? - disse Ginevra, scoccandogli un'occhiata carica di disgusto.
Sembravano degli avvoltoi affamati.
- Lasciateci passare - intimò Paul, cercando di crearsi un varco tra quel gruppetto che sbarrava loro la strada. - Dico sul serio...
- Ah, sì? E cosa hai intenzione di fare, femminuccia? - lo sfotté uno dei tanti Corvonero poco distante da lui.
- Smettila, Chris - ribatté Paul, risoluto. - Ne abbiamo già parlato.
- Lo conosci? - chiese Ginevra in un sussurro.
Paul le rispose con un: "Ti spiego dopo", e il tono che aveva usato la preoccupò.
- Forza, Bennet - continuò il Corvonero di nome Chris. - Vediamo che sai fare...
Mentre arrotolava le maniche della camicia fino ai gomiti, Chris girava attorno a Paul come se fosse una preda su cui saltare addosso. - Hai paura? - chiese.
Paul rimase immobile, poi i suoi occhi dolci iniziarono a brillare di una luce strana e i lineamenti del suo viso divennero duri, mostrando un ragazzo completamente diverso. - Non è necessario risolverla così. E poi, l'ultima volta non è stato uno scontro..."equo", diciamo.
Chris sorrise appena, sprezzante. - Che ne diresti se stavolta fossimo solo io e te. Uno contro uno. Coraggio, femminuccia, non farti pregare.
A quel punto Ginevra riuscì finalmente a sciogliere quella strana matassa nella sua mente e capì: quelli erano gli stessi ragazzi che avevano assalito Paul l'anno precedente.
Il quel momento, il ricordo del candido viso di Paul ricoperto di lividi e ferite le invase la mente, rincorrendo le parole di quella sera: “È stata una piccola lotta. Niente di grave, tranquilla”, le aveva detto Paul cercando di mascherare il dolore dietro un sorriso smagliante. “Sono sempre bellissimo, no?”.
Quel tono scherzoso e quel sorriso avrebbero potuto ingannare chiunque, ma non lei. Infatti la verità saltò subito fuori.
Paul non le aveva mai permesso di dare una bella lezione ai suoi aggressori, dunque si era detta che l'unica cosa da fare era aspettare che quei mascalzoni facessero un passo falso per poter agire. E adesso, più li guardava... più la rabbia cresceva.
- Non voglio lottare, Chris. Non oggi – disse Paul, risoluto. - Ora, vi sarei grato se ci lasciaste passare.
Il Corvonero alzò le braccia, in segno di resa, senza mai abbandonare il sorriso. - Quanta educazione! Va bene, Bennet. Passate pure... Però prima toglimi una curiosità: Da quanto dura tra di voi?
- Facevate cose a tre con Diggory? - gli diede manforte il Serpeverde al suo fianco. Aveva l'aria di essere il capo di quel gruppo mal assortito, dal modo in cui i ragazzi attorno a lui ridevano a comando.
- Richard – lo richiamò giocosamente il Corvonero di nome Chris. Poi scoppiò a ridere.
Veloce come un fulmine, Paul si piazzò davanti al Serpeverde e lo sbatté con forza contro il muro, sollevandolo dal colletto della camicia. - Sai, King, ho una specie di déjà vu. Tu no? - commentò Paul con leggero sarcasmo. Nei suoi occhi era sparito ogni briciolo di gentilezza. - Ti avevo detto che se ti fossi azzardato ancora una volta a insultare i miei amici io ti avrei fatto pentire di essere nato – Paul parlò con un tono di voce pacifico, così che le sue parole suonassero ancora più minacciose.
Un mezzo sorriso fece capolino sulle labbra di Richard. - Coraggio, femminuccia. Cosa stai aspettando? - lo provocò.
Paul era pronto a sferrargli un pugno in pieno viso ma fu proprio Ginevra a fermarlo, nonostante fosse tentata a farlo quanto lui.
Quel Serpeverde lo meritava eccome un pugno, ma la vocina della sua coscienza la obbligò a “risparmiarlo”.
Non deve abbassarsi al suo livello. Questo non è il vero Paul”, si trovò a pensare la giovane Black.
Strinse la mano attorno al polso di Paul. - Non ne vale la pena. A mente fredda te ne pentiresti – disse facendogli abbassare delicatamente il pugno.
Una volta messo giù Richard, Paul sospirò profondamente e ringraziò mentalmente la ragazza per il suo intervento. - Andiamocene – disse voltando le spalle al Serpeverde e alla sua piccola schiera di bulli. Avrebbero trovato un'altra strada per raggiungere l'aula di Trasfigurazione.
- Vedo che la troietta ti da ordini. Che bravo cagnolino che sei! – esclamò Richard sistemandosi il colletto della camicia.
Paul arrestò il passo.
Si voltò di scatto e lo raggiunse. - Come l'hai chiamata? - ringhiò.

Cori d'incoraggiamento, urla, risate malevole, fasci di luce e schianti invasero il corridoio del terzo piano: “Picchialo picchialo!”, “Non fatelo rialzare!”.
Quelli erano i segni evidenti di una rissa. Un piatto invitante per gli studenti di Hogwarts, dal momento che le regole della Umbridge vietavano ogni forma di svago.
Fred e George si erano fatti strada tra la folla di studenti, curiosi di scoprire chi stesse lottando. Pensarono immediatamente di piazzare delle scommesse, per rendere la situazione più allettante, iniziando a sperare che qualcuno finisse in infermeria così da aumentare il valore delle scommesse... Ma quando si trovarono davanti a quella scena rimasero sconcertati.
Paul aveva un ginocchio contro il petto di Richard King, lo picchiava con una rabbia feroce, senza fermarsi. Il Serpeverde cercava di colpirlo come poteva, ma gli era quasi impossibile. Alla fine Paul lo aveva preso per le braccia, stringendogliele dietro la schiena. Richard cercava di divincolarsi, ma lui era troppo forte. Gli piegò le articolazioni all'indietro, mozzandogli il fiato.
- Richard! - urlò una ragazzina tra la folla, era pronta a corrergli incontro ma qualcuno riuscì a trattenerla. - Lascialo! Fate qualcosa! Lo ammazzerà!
Come per dare ascolto alla giovane Serpeverde, Chris gli si avventò addosso per bloccarlo e alcuni di quei Serpeverde lo seguirono, cercando di aiutare in qualche modo il loro “leader”. Ginevra riuscì a schiantare Chris appena in tempo, ma quel gesto le costò caro; nonostante stesse fronteggiando con facilità chiunque l'attaccasse iniziava ad avere qualche difficoltà nel difendere Paul. Si era concentrata così tanto sul Corvonero da non riuscire a vedere il colpo che le era appena stato piantato sul viso.
Se all'inizio Fred e George erano rimasti immobili, sconvolti da quella scena, quel gesto li fece scattare.
Si buttarono nella mischia, lasciandosi guidare dal loro istinto. Senza perdere tempo a sfilare la bacchetta, si lanciarono in aiuto dei loro amici e iniziarono a colpire i loro avversari a suon di pugni; quei mascalzoni non ebbero nemmeno il tempo di respirare, nonostante fossero in vantaggio numerico rispetto ai quattro amici.
Fred cercò di aiutare Paul facendogli da scudo umano contro chiunque osasse avvicinarsi. George, invece, riuscì a raggiungere Ginevra; lottarono insieme come una vera squadra. A volte George si lanciava contro i suoi avversari colpendoli con qualche cazzotto ben assestato mentre Ginevra gli copriva le spalle lanciando calci o incantesimi. Non proprio in quest'ordine... ma sembrava che riuscissero a leggersi nel pensiero a vicenda.
Nel vivo della lotta George venne colpito più volte da un incantesimo, che per poco non lo stordì, ma la sua fedele compagna riuscì ad atterrare l'aggressore prima che quest'ultimo potesse colpire ancora.
George avvertì una fitta improvvisa all'addome che lo obbligò a piegarsi in due, la mano andò istintivamente a toccare la parte dolorante.
- Tutto bene? - gli chiese Ginevra, preoccupata.
Lui annuì, rimettendosi in posizione eretta. Cercò di reprimere le fitte lancinanti con un respiro profondo e subito dopo impugnò la bacchetta.
Combatterono fino a quando la parte restante di quel gruppetto mal assortito decise di ritirarsi, lasciando i loro compagni storditi sul pavimento. La piccola folla di spettatori acclamò i gemelli Weasley, ma loro non vi diedero ascolto.
Richard e Paul si stavano ancora picchiando, nonostante Fred cercasse di fermarli. Aveva afferrato Paul per un braccio, impedendogli di muoversi ma con il gomito libero Paul riuscì a colpire Fred allo stomaco, che tossì e mollò la presa. George e Ginevra si fiondarono verso di lui per aiutarlo, ma nessun altro tra la folla provò a muovere un solo dito. Dopotutto erano troppo impegnati ad osservare la vicenda per farlo.
Richard King, con il naso sanguinante e molto probabilmente rotto, approfittò della situazione per rimettersi in piedi ma Paul riuscì a metterlo in ginocchio con un semplice sgambetto e ricominciò a picchiarlo.
- Paul... ti prego, fermati – disse Ginevra, ma non le diede ascolto.
George lo bloccò come meglio poteva, riuscendo ad allontanarlo una seconda volta dal Serpeverde e non fu facile dato che il Tassorosso era decisamente più grosso di lui.
- LASCIAMI! - urlò Paul scalciando come un forsennato. - DEVO SPACCARGLI LA FACCIA!
- Datti una calmata, amico – disse Fred, dopo essersi ripreso dal colpo. Riusciva a trattenerlo a fatica. - Ma che cavolo mangi? Da dove le prendi tutte queste forze? - commentò poi.
Una volta in piedi, Richard King si porto una mano al naso grondante di sangue e lanciò uno sguardo di puro odio al Tassorosso. - Te ne pentirai, Bennet! Te ne pentirai! - gridò prima di darsela a gambe.
- Scappa, scappa... Tanto non finisce qui! - gli urlò Paul.
- Lo spettacolo è finito, gente! Non c'è niente da vedere! - urlò George alla folla che si era radunata poco prima.
Nonostante alcune proteste, la folla iniziò a sfoltirsi fino a dileguarsi del tutto.

Nel frattempo, nella vecchia capanna ai margini della Foresta Oscura, un gatto dal manto nero se ne stava ritto su di una sedia. La sua lunga coda andava da destra a sinistra come il pendolo di un orologio e aveva un'aria impaziente. Guardava l'ansioso guardiacaccia zoppicare da una finestra all'altra e oscurarle con le tendine ricamate, in attesa di un segnale per uscire allo scoperto.
- Bene – sussurrò Hagrid al gatto. - Puoi tornare in te, adesso.
- Dobbiamo fare in fretta... Sei sicuro che non ci sia nessuno lì fuori? È solo questione di tempo prima che quella megera arrivi qui – disse Regulus Black, una volta ripresa forma umana.
- Lo so! Tranquillo, non c'è nessuno – tagliò corto Hagrid. - Lo vuoi un tè?
Regulus rifiutò garbatamente.
Hagrid prese posto alla grossa poltrona di pelle scura e, dal tavolo lì vicino, prese uno strofinaccio nel quale era avvolta una sanguinolenta bistecca cruda e se la schiaffò sul lato sinistro della faccia.*
Emise un piccolo gemito di sollievo. - Mi ci voleva proprio.
- Sei conciato davvero male – disse Regulus. - Sono stati così permalosi?
Hagrid lo guardò torvo con l'unico occhio aperto. - Non molto... in realtà se ne fregavano. Io e Olympe... - la sua espressione raddolcita apparve sui pochi centimetri di faccia non oscurati dalla barba o dalla bistecca verde. - Che donna! Sai, non ha paura della vita selvaggia. Non si è lamentata nemmeno una volta da quando siamo partiti...
- Non lo metto in dubbio – si affrettò a interromperlo Regulus, - però il tempo stringe. Ho bisogno di sapere tutto quello che è successo, prima che la Umbridge venga qui.
- Oh, sì... giusto. Be', per cercare di toglierci di dosso quelli del Ministero, io e Olympe, abbiamo fatto finta di andare in vacanza insieme, così siamo entrati in Francia e abbiamo fatto la strada per andare alla scuola di Olympe. Per fortuna che quella brava ragazza era lì, a coprirci le spalle. Emily Tonks, ti ricordi? Stavate sempre a punzecchiarvi voi due. È una bellissima ragazza, non trovi?
Regulus avvampò in un'istante al solo sentire il nome della ex Tassorosso. - Non siamo qui per parlare di questo, Hagrid – tagliò corto.
Hagrid scosse la testa e accennò un piccolo sorriso che riuscì a nascondere grazie alla bistecca di drago che aveva sul viso. Sapeva bene che c'era qualcosa tra quei due. Lo aveva sempre saputo. Aveva sempre avuto un occhio di riguardo per loro e pensava che sarebbero stati una coppia perfetta. L'unico problema era che dovevano accorgersene anche loro.
- Be'... dopo l'aiuto di Emily, io e Olympe abbiamo beccato un paio di troll matti al confine polacco e ho avuto una piccola discussione con un vampiro in un pub di Minsk, ma a parte quello è andata di velluto. Dopo un mese siamo arrivati e abbiamo cominciato a camminare su per le montagne, a cercare tracce di quelli là... e li abbiamo trovati! - disse Hagrid con fierezza.
Regulus ascoltò il resto del racconto in religioso silenzio. Non gli occorreva far domande, poiché Hagrid gli riferiva ogni minimo dettaglio, anche se alcuni erano irrilevanti. Ma, a volte, non riusciva proprio a prestarvi la sua completa attenzione.
In quel momento il viso sorridente di Emily era nei suoi pensieri.
- Sono pochi – disse Hagrid, mesto. - Settanta, ottanta.
Regulus si ridestò. - C'era d'aspettarselo. È risaputo che si uccidono tra di loro.
Hagrid sospirò, dopodiché proseguì il racconto.
L'animagus decise di accantonare il pensiero di Emily almeno per qualche istante e di prestare la sua completa attenzione alle parole del guardiacaccia.
Egli parlò molto del Grug, il capo dei giganti, e di quanto fosse entusiasta per i doni che gli avevano fatto. Stando al racconto, il Grug sembrava molto mansueto e interessato a un'alleanza. Aveva sentito parlare molto di Silente, poiché era contrario a uccidere gli ultimi giganti rimasti in Inghilterra. Sembrava che tutto andasse a gonfie vele. Che i giganti fossero pronti ad allearsi con i maghi contro Voldemort... ma non fu così.
Bastò una notte per cambiare tutto.
Tra i giganti era scoppiata una lite che andò avanti per ore e il mattino dopo c'era un nuovo Gurg, Golgomath.
- Io e Olympe sospettavamo che sarebbe successo e sembrava che Golgomath non era così felice di starci a sentire, ma dovevamo provare. Ma nemmeno finisco di parlare che mi trovo appeso per i piedi: due dei suoi amici mi avevano preso. Per fortuna c'era Olympe. Ha preso la bacchetta e ha fatto gli incantesimi più veloci che ho mai visto. Una roba meravigliosa – disse Hagrid. - Ce la siamo squagliata. Non potevamo più tornarci, in quel campo. Ma siamo rimasti ad osservarli dalla caverna dove eravamo accampati. Abbiamo scoperto che c'erano altri maghi che gli facevano simpatia a quel Golgomath...
- Mangiamorte – sospirò Regulus. - Non ci voleva.
Hagrid annuì, lasciando che la bistecca verdognola scivolasse dal suo viso. - Ho riconosciuto Macnair – sussurrò. - Quello voleva ammazzare il mio povero Beccuccio... il mio piccolo. Quel pazzo è fissato. Ci piace uccidere, per questo andava d'accordo con il Gurg. Gli portavano regali ogni giorno, e a loro non li appendeva a testa in giù.
Hagrid continuò a parlare della sua missione, di come lui e Madame Maxime cercarono di convincere i giganti contrari a Golgomath. Li cercarono nelle caverne, nei loro nascondigli. Erano feriti ma non rifiutarono l'aiuto di Hagrid e Madame Maxime. - Avevano preso le mazzate, poverini. Mi sa che a un certo punto ne avevamo convinti sei o sette. Ma non potevamo stare lì molto tempo, i Mangiamorte ci stavano cercando, sapevano che eravamo lì... figurati se Golgomath non gliel'aveva detto. È stata dura impedire a Olympe di saltarci addosso a Macnair e quell'altro...
- Hagrid, hai avuto modo di ascoltare o anche solo osservarli da vicino? – lo fermò Regulus. - Macnair ha detto qualcosa?
Hagrid era confuso, stranito da quella domanda. Cercò comunque di ricordare qualcosa. Un dettaglio. - Mi pare che ha detto una cosa... Parlava al suo compare di una cosa che stavano cercando. Forse era una fontana.
- La Fonte – Regulus si passò le mani tra i capelli, scompigliandoli.
- Proprio quella! - esclamò Hagrid. - Chissà cos'è poi...
Regulus concentrò il suo sguardo sul fuoco. Tra le fiamme, Regulus riuscì a percepire delle immagini nitide, una sorta di visione. Non se curò molto, dato che non era la prima volta che vedeva una cosa del genere, ma sapeva con certezza che Voldemort stava arrivando e portava con sé un futuro oscuro, ricco di paura e privo di speranza. E la cosa peggiore era che stava ancora cercando Ginevra, proprio come temeva.
Una voce nella sua testa cercò di fiatare, ma Regulus non glielo permise.
Hagrid scrollò le spalle larghe. - Comunque c'ho provato... ma almeno abbiamo fatto quello che dovevamo, ci abbiamo portato il messaggio di Silente e alcuni l'hanno sentito e speriamo che se lo ricordano. Nonostante alcuni sono morti, forse quelli che non vogliono stare con Golgomath se ne andranno e si ricorderanno che Silente è stato gentile con loro... può darsi che vengono.
L'espressione di Regulus cambiò rapidamente. Sorrise, rassicurante. - Hai ragione, Hagrid. Non dobbiamo perdere la speranza.
In realtà il pensiero di Regulus era un altro. Doveva correre da Silente e riferirgli ogni cosa sui piani di Voldemort.
Dovevano proteggere Ginevra, a qualunque costo.
Corri, dolcezza”, sussurrò ghignante la voce nella sua testa.





*DA “Harry Potter e l'Ordine della Fenice – Capitolo 20 – Il racconto di Hagrid”.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 – TRA SEGRETI E INCERTEZZE... ***


Capitolo 16 – Tra segreti e incertezze...


Dopo la lotta i quattro amici s'incamminarono verso l'infermeria, per rimediare alle ferite di Paul, che non riusciva nemmeno a reggersi in piedi. Fred e George lo sorreggevano in modo tale che non cadesse. Ginevra, invece, camminava davanti a loro sperando di non incontrare il Signor Gazza e Mrs Purr.
Durante il tragitto i gemelli decisero di dar voce ai loro pensieri. Volevano risposte. Volevano sapere cosa fosse successo, capire cosa aveva scatenato quello scontro che avevano da poco consumato.
- Ma cosa diavolo è successo, si può sapere? - chiese George, ansimando sia per il peso che stava portando che per i dolori all'addome che cercava di ignorare.
Ovviamente, Ginevra si sentì in dovere di spiegare ogni cosa. Dopotutto la domanda era più che lecita. Raccontò ogni singolo dettaglio, di come Paul avesse perso le staffe dopo gli insulti del Serpeverde fino al loro aiuto nello scontro. Nel sentire quel breve racconto Fred e George vennero invasi dalla rabbia, non riuscivano nemmeno a nascondere il loro risentimento nei confronti di quei ragazzi.
Ginevra non poté fare a meno di abbozzare un sorriso quando li sentì borbottare tra di loro frasi come: “Non dovevamo allontanarti da quell'imbecille, Bennet”, “Torniamo indietro... respirano ancora!”, “Se penso invece a quell'altro idiota che ha osato colpirla... io...”.
Trovava molto dolce il modo in cui si comportavano; i loro gesti, le loro parole... Si vedeva lontano un miglio quanto Fred e George fossero furenti e lei sapeva che avrebbero fatto dietrofront e spezzato le ossa a tutti senza pensarci un solo istante, se solo avessero potuto. L'unica cosa che impediva ad entrambi di farlo era quella piccola consapevolezza che la loro amica li avrebbe trucidati all'istante se solo avessero mosso un passo contro quei bulli da strapazzo.
Non voglio che vi mettiate nei guai!”, ribadiva lei quando vedeva quella strana scintilla nei loro occhi, sinonimo di guai in vista.
Ma per i gemelli Weasley l'idea di vederla infuriata non era affatto spiacevole, anzi si divertivano un modo. Adoravano vedere il modo in cui arricciava il naso quando iniziava a esasperarsi. Sembrava una bambina. Per questo motivo, all'ennesimo insulto sui Corvonero, George lanciò delle fugaci occhiate alla ragazza, in attesa di quel piccolo gesto che non tardò ad arrivare. Lei inarcò un sopracciglio, arricciò il naso e, automaticamente, apparve un ghigno soddisfatto sui volti dei due ragazzi.


Una volta arrivati in infermeria, Fred e George affidarono Paul alle cure di Madama Chips che, rassegnata, borbottò fra sé e sé delle frasi sconnesse. Dopodiché concentrò la sua attenzione sulle ferite di Paul e mormorò: - Sempre la stessa storia. Quando ci sono loro tre nei paraggi almeno uno di questi letti viene occupato! Finirà che andrò in pensione prima del tempo!
Capire a chi stava alludendo non fu difficile per i ragazzi.
- Ti vogliamo bene anche noi, Poppy - esclamò Fred in tono gioviale, scoccandole un bacio sulla guancia.
La donna, per nulla interdetta dal gesto del ragazzo, sbuffò. - Mi manderete al manicomio voi tre, sappiatelo... ora fatevi medicare e poi uscite immediatamente da questa stanza. Il signor Bennet ha bisogno di molte cure e riposo. Tu non hai una bella cera, Weasley... - disse esaminando con una sola occhiata il volto di George che, in quel momento, si massaggiava più volte le palpebre come se qualcosa gli desse fastidio. Il suo volto era diventato pallido e sembrava che i dolori all'addome di poco prima fossero diventati più forti.
Fred e Ginevra iniziarono ad allarmarsi, il primo istinto era di correre da lui ma Madama Chips li fermò.
Con un leggero ma lesto movimento della bacchetta che teneva stretta tra le dita, Madama Chips, riuscì a creare un perfetto quadro medico per George. - Come pensavo – sopirò Madama Chips. - Per 'sta notte tu resti qui, giovanotto! Qualcuno ha voluto sperimentare una nuova fattura su di te. Tranquilli, domani sarete come nuovi. Adesso sdraiati, Weasley! Voi due, invece, tornerete nel vostro dormitorio senza fare storie dopo la medicazione - snocciolò sbrigativa ad ognuno dei ragazzi che si astennero dal protestare. Dopotutto erano abituati agli ordini dell'infermiera.
Ginevra fissò il suo sguardo su George, senza riuscire a smettere di guardarlo. Era talmente preoccupata da seguire ogni suo movimento come un falco, per paura che potesse sentirsi male o cadere. Si sentiva terribilmente in colpa. Era colpa sua se lo avevano colpito. Quando lo vide sdraiarsi sul letto e massaggiarsi il fianco sinistro venne invasa dal desiderio di stringerlo tra le braccia e chiedergli scusa, ma, per paura di fargli del male, si limitò a sorridergli tristemente. Lui ricambiò il sorriso e le fece l'occhiolino. - Va tutto bene – mormorò e lei si calmò un po'.
- Bernadette, tu penserai a loro, ma prima dà questo al signor Weasley. Mi fido di te... Ti prego, non farmene pentire! – disse Madama Chips porgendo alla giovane infermiera al suo fianco una piccola boccetta dal contenuto verdognolo.
George roteò gli occhi, contrariato, facendo sfuggire un sorriso alla sua amica.
Quando l'infermiera diede la pozione a George, sotto lo sguardo attento di Madama Chips, gli consigliò di dormire un po' in modo tale che la medicina facesse effetto.
Nel frattempo Madama Chips iniziò a medicare le ferite di Paul, mentre lo sguardo di Fred saettava curioso verso la nuova infermiera. Bernadette era una ragazza dai lunghi capelli biondo cenere raccolti in una morbida crocchia, le guance rosee, occhi scuri e languidi contornati da un paio di occhiali dalla montatura spessa. La sua uniforme era simile a quella di Madama Chips, tranne che per il colore, anziché essere bordeaux era rosa pallido e il grembiule bianco la faceva sembrare una bambolina di porcellana. Su una delle bretelle del grembiule aveva una targhetta, dove vi era scritto: “BERNADETTE ADAMS, INFERMIERA SPECIALIZZANDA”.
- Carina – mormorò Fred con un ghigno malizioso. - Molto carina...
Ginevra alzò gli occhi al cielo, sbuffando. - Ti prego, non cominciare.
- Gelosa, Blacky? - ribatté Fred con tono di sfida. Lei non rispose, si limitò a sbuffare, ignorando la strana morsa all'altezza del suo stomaco. Era gelosa? No, certo che no! Per essere gelosi, bisogna amare e lei non era innamorata di Fred Weasley.
- Sono tutto suo signorina. Lei può farmi tutto quello che vuole... – disse Fred alla giovane infermiera.
Quest'ultima arrossì vistosamente e gli rivolse un sorriso impacciato.
- Mi raccomando, Bernadette – le intimò Madama Chips mentre medicava il Tassorosso. - Devi prima disinfettare le ferite e poi tamponare con la pozione rigenerante.
- Stia tranquilla, Madama Chips – disse Bernadette cercando avere un tono sicuro. - Questa volta n-non sbaglierò.
- Ah, lo spero! – esclamò Madama Chips, armeggiando con pozioni da somministrare al povero Paul.


Una volta fuori dall'infermeria, ovvero una volta buttati fuori a calci da Madama Chips, Fred e Ginevra vennero sorpresi dalla figura della professoressa McGranitt.
Li attendeva lì, con il suo cipiglio severo. - Voi due siete nei guai – disse, poiché, per loro sfortuna, era già a conoscenza della lite con i Serpeverde e i Corvonero.
La McGranitt voltò loro le spalle e, con passo deciso, s'incamminò verso le scale e continuò a parlare senza voltarsi. - Andiamo nel mio ufficio, così mi spiegherete meglio cos'è successo.
I due Grifondoro la seguirono senza fiatare.
Una volta raggiunto l'ufficio e aperto la porta, Minerva McGranitt si trovò d'avanti a una scena piuttosto singolare.
Dolore Umbridge era comodamente seduta dietro la scrivania, con un taccuino tutto rosa stretto tra le dita grassocce e un sorriso orripilante sulle labbra. In piedi, al suo fianco, c'erano Richard King e Chris, il Corvonero attaccabrighe che, nonostante i segni della recente lotta, se la ridevano di gusto.
- Benvenuti, vi stavo aspettando – disse la Umbridge. - Prego, accomodatevi.
- Cosa ci fa nel mio ufficio? - chiese la professoressa McGranitt, con tono trattenuto.
- Oh, cara. Ho sentito il dovere di intervenire in questa brutta faccenda. Questi bravi ragazzi sono venuti da me, raccontandomi delle cose davvero spiacevoli... così ho pensato che potevo esserle d'aiuto.
La McGranitt avvampò. - E in cosa mi sarebbe d'aiuto?
La Umbridge si alzò dalla poltrona scura, avanzando lentamente verso la sua collega, senza mai abbandonare il suo sorriso. Richard e Chris le furono subito accanto come due cagnolini ammaestrati. - Pensavo che potesse farle comodo un piccolo supplemento d'autorità.
La professoressa McGranitt sembrava sul punto di esplodere.
- Sono ancora in grado di svolgere il mio lavoro e so come gestire i miei ragazzi – disse, prendendo posto alla sua scrivania.
- Lo vedo – ridacchiò la Umbridge, stucchevole.
La McGranitt chiuse gli occhi, cercando di sopprimere l'istinto soffocare la donna e, dopo aver contato fino a dieci per calmarsi, riaprì gli occhi e invitò Fred e Ginevra a prendere posto sulle due sedie di fronte alla sua scrivania. Poi si rivolse ai due ragazzi ai lati della professoressa Umbridge, ordinando loro di raggiungere l'infermeria e farsi medicare, anziché rimanere lì impalati e non fare nulla. I due le diedero ascolto e, una volta chiusa la porta, la McGranitt si lasciò sfuggire un sospiro.
Nel frattempo la Umbridge sembrava intenta a scrivere qualcosa di molto interessante sul suo taccuino, sfoggiando un sorrisetto gongolante.
La professoressa McGranitt scosse la testa, pregando di riceve la forza necessaria per non buttare fuori a calci quell'insopportabile confetto rosa da strapazzo.
Sospirò ancora una volta, lasciando che tutto il nervosismo accumulato si sciogliesse, dopodiché decise di rivolgersi ai due Grifondoro. - Ora ditemi una volta per tutte cos'è successo.
- È tutta colpa mia, professoressa.
Ginevra sobbalzò. - Cosa?
- È tutta colpa mia – ribadì Fred.


Era ormai ora di pranzo quando Fred e Ginevra uscirono dallo studio della loro insegnante. Gli studenti iniziavano ad incamminarsi verso la Sala Grande con molta impazienza, ma Fred e Ginevra camminavano a passo lento, uno vicino all'altra. Non appena voltarono l'angolo che dava su un corridoio ormai semi-deserto, improvvisamente, Ginevra spintonò Fred verso il muro, bloccandolo.
- Mi piace quando fai così – sussurrò maliziosamente.
- Smettila! Piuttosto, mi dici cosa ti è saltato in mente? - gridò a bassa voce.
Fred ghignò. - Be', mi saltano molto cose in mente... per esempio, in questo momento sto pensando a quanto è bello essere alti e alla scollatura della tua camicia.
Ginevra seguì il suo sguardo e lo colpì al braccio.
Lui ridacchiò.
Lo divertiva un mondo vedere quell'espressione buffa e gli occhi che lo guardavano in cagnesco.
- Dico sul serio, Fred – sbottò lei, cercando di non arrossire. - Perché ti sei preso la colpa?
Fred esitò per qualche istante. Si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli ancor di più, allargò le braccia e le voltò le spalle. - Non c'è una ragione, in realtà – disse, dirigendosi verso la fine del corridoio a lunghe falcate.
- Oh, e tu speri che io ti creda? - lo rimbeccò lei raggiungendolo subito. - Se c'era qualcuno a cui dare la colpa erano quei due idioti.
Fred arrestò il passo per un'istante. - Paul è infermeria, quei due hanno dalla loro parte la Umbridge e lei ti odia... secondo te chi ne sarebbe uscito male dalla situazione? - domandò con fare pensoso, riprendendo poi a camminare.
Non aveva tutti i torti, infondo.
- Comunque sia tu non dovevi assumerti tutta la colpa! - continuò lei.
- Porca Morgana, Gin! Ho solo avuto una stupida punizione. Non è mica la fine del mondo – imprecò Fred.
- Lo è per me – spazientita, Ginevra arrestò il passo tirando Fred per il braccio e lo obbligò a fermarsi. - Lo vuoi capire che non voglio che tu e George vi mettiate nei guai?
- Se avessi un galeone ogni volta che ho sentito questa frase...
- Sto parlando seriamente, Fred.
- Credo comunque che tu mi debba un grazie – la punzecchiò lui.
- Grazie – ripeté lei. - Ma non era necessario.
Fred si limitò a scuotere la testa e lasciarsi sfuggire un piccolo sorriso. “Sempre la solita...”, mormorò tra sé e sé.
- A causa mia, George è finito in infermeria e tu hai avuto una punizione. Non è giusto – continuò lei. Si passò una mano sul viso, cercando di respingere le lacrime di frustrazione minacciavano di uscire.
Fred le sorrise dolcemente, intrecciando lentamente le loro dita mentre con l'altra mano le scostava i capelli dal viso.
- Smettila di dire sciocchezze... - mormorò roco.
Il cuore di lei sembrò perdere un battito quando Fred si piegò in avanti. Era sempre più vicino. Forse troppo vicino.
Lui voleva baciarla. Non riusciva a resistere a quegli occhioni. Desiderava le sue labbra da tempo ormai e, questa volta, non avrebbe esitato.
Lei si scostò indietreggiando, come se avesse compreso le sue intenzioni.
- Forse è meglio andare – disse un po' tremante.
Fred fece un passo in avanti, finché non furono di nuovo vicini.
Ginevra trattenne il respiro quando incrociò il suo sguardo e venne pervasa dal suo dolce profumo e, lentamente, lui la strinse a sé con il suo solito sorriso malizioso. - Perché? - sussurrò accarezzandole la guancia con le dita.
Fred sostenne il suo sguardo finché non si decise ad accorciare definitivamente le distanze. Chinò lentamente la testa.
Lei smise di respirare. Era incapace di muoversi. - Fred...
- Sta' zitta, Black. - Tagliò corto lui prima di reclamare le sue labbra.
Quello non era un tenero e casto bacio, bensì uno di quelli passionali, da togliere il respiro. Le loro labbra erano affamate, quell'ardente desiderio sembrava tormentarli da tempo e adesso erano lì. L'uno tra le braccia dell'altra.
Mandando al diavolo la sua parte razionale, Ginevra lo afferrò per le spalle, gli passò le dita tra i capelli rossi e si perse in quel bacio.
Fred le afferrò le natiche con le mani per attirarla maggiormente a sé senza mai staccarsi dalla sua bocca, il sapore così inebriante da mandarlo fuori di testa.
- Oh, scusate... Non volevo disturbare...
Ginevra si staccò subito dalla bocca di Fred, spingendolo via quando sentì la voce di Katie Bell.
Ma che diamine sto facendo?, pensò tra sé e sé.
Con le guance in fiamme per l'imbarazzo si voltò a guardare la Grifondoro, che sembrava imbarazzata per avere interrotto quel momento di intimità.
Poi però Katie le lanciò un'occhiata divertita e si rivolse a Fred: - Era ora, George! Lo speravano tutti.
Fred s'irrigidì.
Seguì un lungo silenzio in cui Katie si trovò ad osservare meglio i loro volti. Il ragazzo non sembrava affatto entusiasta.
Katie era disorientata, confusa dalle loro espressioni colpevoli. Poi capì. - Oh... tu non sei...
Fred strinse le labbra e le sorrise. - Grandioso... - borbottò tra sé e sé.
Ginevra incrociò le braccia al petto e si allontanò definitivamente dal ragazzo, senza nemmeno guardarlo, per raggiungere la sua amica. - Andiamo – mormorò tirandola per il braccio, in preda dalla vergogna.
Quando, a passo di corsa, raggiunsero l'ingresso della Sala Comune Katie la fissava, divertita. - Chi lo avrebbe mai detto? Tu e Fred Weasley...
- Ti prego, Katie. Non dire niente a nessuno. Facciamo finta che non sia successo niente.
Il sorriso di Katie sparì. Gli occhi di Ginevra erano così pieni di preoccupazione che Katie sentì l'impulso di abbracciarla, ma si limitò a poggiarle una mano sulla spalla. - Ma perché? È una cosa bella! È Angelina, il problema? Tanto le cose tra di loro non vanno tanto bene... Si lasciano e si riprendono quasi ogni settimana, ormai!
- Non so cosa mi sia preso – sbottò Ginevra. - Fred mi guardava in quel modo... Non ci ho capito più nulla – sospirò, in attesa di una reazione di Katie ma lei continuava a fissarla. - È il mio migliore amico! E per di più è il fidanzato della ragazza che più mi odia in tutta Hogwarts. Dimmi cosa fare, perché mi sembra di essere in un buco nero. Oh Dio... Pensa se lo venisse a sapere George!
Si coprì il viso con le mani e si lasciò sfuggire un verso di frustrazione. Si accasciò sul pavimento di pietra e Katie le fu subito accanto.
- Non fare così, Gin. - Katie le fece una carezza. - Se lui ti ha baciata... ci sarà un motivo.
Ginevra arrossì. La guardò in viso, seria. - Lui è il mio migliore amico, Katie.
- Da come eravate avvinghiati, non credo che per te sia solo un amico. - Restò un po' in silenzio. - Provi qualcosa per lui?
Lei non rispose, preferì abbassare lo sguardo verso la mattonella in pietra un po' scheggiata e automaticamente il suo pensiero andò a George e al bacio che si erano scambiati quella notte, dopo il Ballo del Ceppo. Lui non ne aveva mai fatto parola, così come lei d'altronde, ma sentiva un forte rimorso e gli sguardi che lui le lanciava non le sfuggivano di certo. Ogni volta che lei e George erano nella stessa stanza faceva fatica a concentrarsi. Non aveva fatto altro che pensare a lui e sognarlo.
- Provi qualcosa per lui, Gin? - insisté Katie.
A quel punto Ginevra sembrò destarsi. - Sono confusa – sussurrò colpevole. - Non riesco a capire quali siano i miei sentimenti. Il problema è George. Ogni volta che penso a loro due mi sento... strana. Come se avessi le farfalle nello stomaco. Voglio bene a entrambi, ma non capisco se esiste qualcosa di più...
Katie strabuzzò gli occhi per la sorpresa. La guardò per capire se parlava sul serio, poi un sorriso le rischiarò il viso. - Tutti e due? Be', non posso biasimarti... Sono entrambi bellissimi e divertenti. Ed è chiaro che provi qualcosa per loro.
- È difficile non provare qualcosa per loro – ribatté con un sorriso. - Non sono soltanto belli e divertenti. Sono geniali, meravigliosamente folli... Mi sento bene quando sono con loro, ma non riesco a capire se quello che provo è amore.
Era la prima volta che esponeva i suoi sentimenti. Che cercava di far luce sulla faccenda. Più volte si era trovata a scappare dai suoi sogni o persino dai gemelli Weasley, ma adesso si trovava in un labirinto di emozioni. Doveva trovare la via d'uscita e non era affatto facile.
Sinistra Fred. Destra George.
- Be', tutti quanti pensano che tu e George stareste benissimo insieme. Alcuni fanno anche delle scommesse...
- Scommesse?





ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti! Scusate il ritardo ma ho avuto un po' di problemini che spero di risolvere a breve.
Dunque, ringrazio tutti quelli che leggono, recensiscono, seguono questa storia... Siete fantastici ed è grazie a voi se continuo a scrivere ^w^
Attenderò con ansia un vostro commento - negativo o positivo che sia. Spero di poter pubblicare il prossimo capitolo tra il 20 e il 23 Marzo, ma se posso cercherò di pubblicare molto prima.
A presto
18Ginny18

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 - CONFUSIONE ***


Capitolo 17 – Confusione


Non riusciva a spiegarsi perché fosse tanto tormentata dal ricordo di quel bacio. Per tre notti Ginevra non riuscì a dormire. Aveva provato più volte a dimenticare tutto, ma senza successo.
Più tempo passava con Fred e meno riusciva a toglierselo dalla testa.
Era tormentata dal pensiero di lei tra le sue braccia e da quel bacio che sembrava non finire mai.
Automaticamente, il suo pensiero andò a George e a quel bacio che si erano scambiati la notte del ballo del Ceppo. Quello era stato un bacio unico, dolce e irresistibile.
Sfiorandosi delicatamente le labbra con le dita Ginevra ripensò a quel momento. Ricordò la sorpresa di George quando lei prese l'iniziativa, poggiando le labbra sulle sue, e di come intensificarono quel bacio meraviglioso.
Sospirò, provando un brivido di piacere quando ripensò alle sue braccia forti che la stringevano, dopodiché s'intristì. Non avrebbe dovuto respingerlo. Più volte si era pentita di averlo fatto e da quel momento aveva bramato le labbra di George ogni istante. Forse era proprio per questo che si era lasciata trasportare quando Fred l'aveva baciata. Ma adesso? Cosa doveva fare?
Non poteva provare qualcosa oltre l'amicizia per entrambi, no?
Un leggero miagolio la riportò alla realtà.
Gli occhi di Ice erano fissi nei suoi e la guardavano con curiosità.
Lei si sforzò di sorridergli, si mise a sedere sul letto e gli accarezzò la testa.
- Va tutto bene, tranquillo - gli sussurrò. Poi si guardò intorno, la stanza era deserta, le sue compagne erano già scese per la colazione.
Si passò una mano tra i capelli e sbuffò. - Vorrei tanto rimanere a letto invece di andare a lezione.
- Qualcuno dovrà pur andarci e non sarò io – disse Regulus, una volta ripresa la forma umana.
- Oh, non vorrai rovinarmi il divertimento, vero? - si lamentò lei. - Avevo già fatto un programma dell'intera giornata: rimanere in camera e ignorare tutti quanti.
Regulus alzò un sopracciglio e la guardò fisso. - Smettila di fare la bambina e abbi un po' di coraggio. Non devi avere paura dei tuoi sentimenti – disse colui che invece ne aveva paura.
Per anni era scappato da ciò che provava, lasciandosi scappare la donna più bella e gentile che avesse mai conosciuto.
Era stato un'idiota.
- Zio Reg... Va tutto bene?
- Am... Certo! Pensavo solo che è chiaro che tu provi qualcosa sia per Fred che per George! Devi solo capire per chi senti qualcosa di più forte.
Lo disse per tranquillizzarla, ma non ci riuscì.
- Grazie, Sherlock! Magari fosse così facile.
Lui si rabbuiò.
“Parlo proprio io che in amore sono il più codardo del mondo?”, pensò tra sé e sé.
Per l'ennesima volta si diede dello stupito e cercò di scacciare ogni sorta di pensiero legato a lei. La bellissima Tassorosso...
- Ehi, non lamentarti. Almeno tu hai una vita sentimentale più attiva della mia – protestò lui, arricciando le labbra in un sorriso.
- Ma piantala! - disse assestandogli un colpo con il cuscino in pieno viso.
- Rassegnati, nipotina cara, sei come un libro aperto per me.


 

Decreto Didattico n°25
All’Inquisitore Supremo è conferita la massima autorità sulle punizioni, sanzioni e soppressioni di privilegi riguardanti gli allievi di Hogwarts, nonché la facoltà di alterare punizioni, sanzioni e soppressioni di privilegi comminate da altri membri del personale.
Firmato: Cornelius Fudge, Ministro della Magi, Ordine di Merlino, Prima Classe.


- Grandioso! Un altro stupido decreto! - bofonchiò Katie Bell una volta raggiunto il tabellone della sala comune. Al suo fianco c'era Lee Jordan, che condivideva lo stesso pensiero della sua compagna e del resto della scuola.
- Sembra che si divertano un mondo quando li scrivono! - disse Lee poggiandole un braccio attorno alla vita.
Lei lo allontanò subito. - Che ti sei messo in testa, Jordan?
Lee fece un ghigno. - Perché, non siamo amici?
- Ah! Amici... Jordan, ti prego, non farmi ridere. So cos'hai in mente – disse, riducendo gli occhi a una fessura.
- A quanto pare ti sei fatta un'opinione sbagliata su di me. Guarda che sono un bravo ragazzo!
- È per questo che mi alzo dal letto tutte le mattine! Per guardarvi battibeccare. - Li salutò Ginevra scendendo le scale del dormitorio, con Ice al suo seguito. Li raggiunse, diede una veloce occhiata al nuovo decreto e roteò gli occhi al cielo. - Invece è proprio per questo che vorrei rimanere a letto – borbottò infine.
- Ginevra, potresti dire alla tua amica che non ho alcuna intenzione di provarci con lei? - le chiese Jordan, senza mai staccare gli occhi di dosso da Katie.
La Grifondoro guardò entrambi, poi fissò Katie fingendo di valutarla. - Ci sta provando con te.
- Ma da che parte stai? - protestò Lee.
Katie rise sommessamente e la prese a braccetto. - Dai, andiamo a fare colazione.


Ormai era ufficiale.
Se Fred Weasley avesse continuando a guardarla in quel modo, l'avrebbe fatta sicuramente impazzire.
Entrando nella Sala Grande lo aveva già trovato seduto, con lo sguardo dritto di fronte a sé, ignorando palesemente la ragazza che gli sedeva accanto, la sua fidanzata. A quel punto Ginevra sperava di ricevere lo stesso trattamento quando prese posto accanto a Katie, ma non fu tanto fortunata come sperava. Nonostante Angelina gli stesse parlando, Fred concentrò lo sguardo su Ginevra senza mai spostarlo.
Fingere di non accorgersi della sua presenza non fu molto facile, ma il suo sguardo malizioso e quell'aria da sfacciato la obbligavano a sbirciare verso di lui con la coda dell'occhio.
Era una vera tortura.
Lui continuava a guardarla in quel modo e lei non riusciva a dimenticare.
- Finirà per farmi impazzire – mormorò più a sé stessa che all'amica.
Katie si sforzò di non ridere. - Resisti...
- Oh, certo... Devo solo resistere. È facile! - scimmiottò lei, sarcastica.
Stava torturando la sua colazione con la forchetta già da qualche minuto, guardando il piatto le passò la fame.
Spostò il piatto, sbuffando contrariata.
Ginevra cercò di ignorare e di non pensare più a Fred Weasley per tutto il resto della colazione, sforzandosi di spostare la sua attenzione altrove.
Si guardò attorno, salutò con un cenno della mano Draco e Blaise, seduti al tavolo dei Serpeverde. Sorrise a Hermione, che era intenta a studiare un tomo enorme di Trasfigurazione con molta attenzione e poi spostò lo sguardo verso l'ingresso della Sala Grande... Con le mani dentro le tasche dei pantaloni, George s'incamminò verso di lei.
Ginevra deglutì a vuoto ma provò comunque a non dare di matto. Dopotutto lui non sapeva del bacio tra lei e Fred... no?
Iniziò a sentire un formicolio da sudore freddo lungo tutto il collo.
“Oh, ti prego fai che non lo sappia”, mormorò tra sé e sé.
- Ehi, principessa! - la salutò George con un ampio sorriso. - Ti dispiace se mi siedo qui?
Ginevra annuì, mordendosi il labbro. George le sorrise e prese posto.
Erano molto vicini e Ginevra temeva che lui potesse sentire il battito del suo cuore aumentare sempre di più.
- Ehi, Katie! Sai, a volte mi chiedo come hai fatto a sopportare Angelina per tutti questi anni. È così logorroica e quando parla mi sento come se mi martellasse il cervello!
- Dai, esageri. Non è tanto male – ribatté Katie.
Lui la guardò scettico. - Lo pensi davvero?
Katie si limitò ad alzare le spalle e strafogarsi di uova. - Gin, hai intenzione di restare a digiuno?
- Ho un po' di nausea.
- Sei incinta?
- Ah. Ah. Divertente...
- Devi mangiare qualcosa – insistette George.
- Non mi va...
George posò la sua mano sul fianco di lei, la circondò con un braccio e lei trattenne il fiato. - Mangia qualcosa o ti starò appiccicato tutto il giorno. A costo di sembrare un bambino!
- Le faresti un favore – mormorò Katie, senza alzare lo sguardo dal suo piatto.
Per fortuna, George non notò che il volto di Ginevra era diventato tutto rosso.


Una volta raggiunta l'aula di Pozioni, George prese posto accanto al suo amico Lee, a due banchi di distanza da quello di Katie e Ginevra, prendendo parte al chiacchiericcio che ormai invadeva l'intera classe.
Fred, invece, si fece sempre più sfacciato.
Prima che la lezione iniziasse si sedette sul bordo del banco della ragazza, parlando animatamente con Angelina per poi baciarla con ardore. Probabilmente sperava che quello fosse il modo perfetto per far ingelosire Ginevra... ma lei non gliela avrebbe mai data vinta.
Quando ognuno tornò al proprio banco, Ginevra lo fulminò con lo sguardo, sperando che il messaggio arrivasse forte e chiaro... Speranza vana con Fred Weasley.
Lui le fece l'occhiolino e da lì iniziò una muta conversazione dove l'unica che gesticolava era Ginevra. Fred, invece, se la rideva di gusto.
Ginevra era sul punto di perdere le staffe.
Sospirò e chiuse gli occhi.
Dentro di sé sentiva un uragano di emozioni che non le dava pace.
- Signorina Black?
Ginevra riaprì gli occhi, trovando il professor Piton davanti a sé. Non si era minimamente accorta che la lezione fosse iniziata e che il professore le avesse appena fatto una domanda.
- Le chiedo scusa, professore. Non stavo ascoltando – ammise dispiaciuta.
Il professore la scrutava con attenzione, sempre più intensamente. Per l’ennesima volta, Ginevra dimenticò che il suo insegnante era un legilimens molto abile. Le sue difese erano talmente deboli per via della confusione che aveva in testa che il professore poté leggere i suoi pensieri e le sue paure in un istante.
Lei si passò una mano tra i capelli. Il modo in cui la stava guardando il professore la fece arrossire, ma non capì se per imbarazzo o per il modo in cui lanciò una veloce occhiata a Fred e George subito dopo.
- Vai in infermeria, Black. Oppure prendi un po' d'aria, non mi interessa. Sei molto pallida e non voglio che vomiti nella mia classe. – Il tono di voce del professor Piton era sprezzante e atono, ma adesso i suoi occhi erano fissi su Fred.
Lei aggrottò le sopracciglia. - Ma professore io...
- Fuori dalla mia classe – ordinò, il tono che aveva usato non ammetteva repliche. - Signorina Bell, l'accompagni.
Katie annuì e uscì dall'aula insieme all'amica, senza dire una parola.
Si rifugiarono in un angolo del corridoio poco lontano dall'aula, sedendosi sul pavimento di pietra. Ginevra raccolse le ginocchia al petto e Katie si sedette a gambe incrociate di fronte a lei.
- Ti senti bene? - le chiese, preoccupata.
Ginevra sbuffò. - Non lo so... Non ci capisco più nulla. Prima Fred, poi George, poi Piton...
- Perché, hai una cotta per il professor Piton?
Ginevra era sbigottita. - Ma stai scherzando? È un'insegnante ed è anche più grande di noi... non potrei mai... - rabbrividì al solo pensiero.
Lo sguardo di Katie era perfidamente divertito. - Adoro metterti strane idee in testa.


Arrivò dicembre e portò con sé la prima neve. I doveri di prefetto di Ron e Hermione divennero ancora più gravosi via via che Natale si avvicinava. Non potevano ritenersi fortunati come i caposcuola. Ginevra e il suo collega, Lee Jordan, avevano incarichi più “leggeri”; dovevano solo pattugliare i corridoi, tenere d'occhio i prefetti e controllare che le aule vuote o abbandonate non fossero occupate da coppiette in cerca d'intimità.
- Adoro questo lavoro! - disse Lee, con tono gongolante, quando beccarono un Serpeverde e una Tassorosso che si sbaciucchiavano nell'aula di Pozioni. - Immagina quando Piton lo verrà a sapere! Dieci punti in meno a Serpeverde e dieci punti in meno a Tassorosso!
Dire che fosse gasato o che provasse gioia nel torturare le povere coppiette era un eufemismo.
Quando la coppietta uscì dall'aula Ginevra riconobbe subito il Serpeverde. I suoi occhi divennero rossi di rabbia. Guardò la Tassorosso al suo fianco. Si nascondeva dietro le sue treccine scure, il viso delicato era diventato rosso e si guardava intorno per paura che qualcuno potesse vederla e pensare cose indecenti sul suo conto, ma non vi era anima viva.
- Richard King... Com'è che la cosa non mi sorprende? - Fu Lee a parlare. Gli era bastato guardarlo per perdere il suo sorriso gongolante.
Il Serpeverde esibì un sorriso da sbruffone. - Com'è che invece voi non mi sorprendete mai? Black, ti prego, non guardarmi così altrimenti mi viene voglia di conoscere qualcosa di te di molto più... intimo.
- Sei davanti a due Caposcuola. Non farei tanto il presuntuoso al tuo posto.
Il sorriso di Richard si ampliò. - Sto tremando di paura, Black – la sfotté Richard. - Togliermi punti o mettermi in punizione non mi farà smettere, anzi mi eccita molto vederti così... autoritaria – sussurrò in fine.
Lei sorrise sprezzante quando gli sentì pronunciare quelle parole, ma preferì non dire nulla. Le sue parole non avevano significato, era ormai abituata a quel tipo di provocazioni, tuttavia lasciò che fosse il suo disprezzo a rispondere.
Prima che potesse accorgersi di ciò che stava per succedere, Richard fu a terra. Le sue gambe avevano improvvisamente ceduto. Poi arrivò il senso di nausea.
Lee scoppiò a ridere. - Che ti succede, King? Non ridi più adesso?
Il Serpeverde gli rivolse un sorriso sprezzante. Poi guardò Ginevra. - Cosa mi stai facendo? - sbottò tra un rigurgito e l'altro.
Lei inarcò le sopracciglia, fingendo un innocente stupore. - Non capisco cosa intendi.
Improvvisamente il Serpeverde venne sollevato in aria, rimanendo sospeso per le caviglie.*
- Non cercare di fare la furba con me. Sei tu che fai questo!
- Vedi una bacchetta per caso? - chiese mostrandogli le mani.
Il Serpeverde cadde per terra, provò a fare leva sulle braccia, ma cadde nuovamente e si accigliò quando non vide nessuna bacchetta.
Lee s'inginocchiò alla sua altezza. - Ti conviene andare via di qui, King – lo avvisò. - Non dovresti provocare due Caposcuola. Sopratutto se uno di loro è una Black... Il mio è solo un consiglio.
- Oh, Richard... - gemette la Tassorosso. - Forse è meglio andare.
Lo afferrò per le braccia e provò ad aiutarlo ad alzarsi. All'iniziò lui bloccò ogni suo tentativo e provò lui stesso a rialzarsi, per orgoglio forse, ma non ci riuscì così accettò l'aiuto della ragazza.
- King! Mi raccomando, fai il bravo bambino – lo prese in giro il Grifondoro, salutandolo con la mano.
Quando i due ragazzi diventarono solo due puntini lontani Lee guardò Ginevra, colpito dalla sua bravura. Il mago più conosciuto per l'uso di incantesimi non verbali era Albus Silente. Lui sapeva eseguire incantesimi complessi senza l'uso della parola, ma Lee non pensava che si potesse eseguire un incantesimo anche senza bacchetta. Era davvero colpito.
- Lo hai steso senza bacchetta... Non male, Black. Se mai ci sarà qualcun altro che opporrà resistenza, basterà che tu li lanci in aria e il gioco è fatto.
Ridendo, i due ragazzi avanzarono verso l'aula successiva.
- Non oso immaginare cosa succederà in primavera! Questa è già terza coppietta che sgamiamo.
- A proposito... Ultimamente sembri di buon umore, Jordan. Non vuoi ancora dirci chi è la famosa ragazza con cui esci? - lo sollecitò Ginevra con un sorrisetto furbo.
- Per farvi rovinare tutto? No, grazie – rispose lui. - Con lei sto davvero bene. È carina, spiritosa, gentile e ha degli occhi così belli che...
- Okay, okay... - lo interruppe lei. - Ho afferrato il concetto. Ti piace molto. Ma ti prego, dimmi almeno se è una Grifondoro, una Tassorosso, una Serpeverde... Sputa il rospo! Sono mesi che aspetto quel nome.
- Non parlerò mai – rispose lui, con un sorriso che andava da orecchio a orecchio.
Ginevra sembrò pensarci un attimo. - Fa parte dell'E.S.?
Il ragazzo si limitò a fare spallucce, come per dire: “Forse sì, forse no”.
- Odio quando voi maschi fate così – borbottò lei, imbronciata.
Essendo un po' più alto di lei, Lee le mise un braccio attorno al collo per poi scompigliarle i capelli. - Lo so, sono un guasta feste! Cooomunque, devo andare in un posto... Puoi cavartela da sola qui?
- Ho capito. Devi andare da lei – disse Ginevra. Lee arrossì e lei capì di aver colpito nel segno. - Va bene, puoi andare...
- Oh, grazie grazie grazie! - le scoccò un bacio sulla guancia.
- Puoi andare solo se mi dici chi è questa ragazza misteriosa. La conosco almeno?
Ma Lee non rispose, era già schizzato verso l'altro lato del corridoio. - Grazie, Gin. Sei la migliore! - le urlò.
Lei rispose con una boccaccia e lui sparì dietro l'angolo, ridendo.
Era rimasta sola in quel corridoio ormai deserto.
Il vento freddo le accarezzò il viso, facendola rabbrividire. Non desiderava altro che tornare in sala comune a riscaldarsi davanti al camino, quindi si affrettò a terminare il giro di perlustrazione.
Per sua fortuna era tutto tranquillo.
Quando arrivò all'angolo tra il corridoio e le scale, decise di raggiungere la sala professori e fare rapporto alla McGranitt.
Mentre saliva le scale si trovò a pensare per l'ennesima volta a quel bacio e per poco non andò a sbattere contro qualcuno.
- Black – la salutò il professor Piton senza entusiasmo. - Vedo che hai la testa fra le nuvole... Come al solito, d'altronde.
La guardava dall'alto del suo naso adunco.
- Le chiedo scusa, professore. Stavo andando a fare rapporto alla professoressa McGranitt. Ho appena finito la ronda e...
- Vorrei parlarti un momento – disse Piton all'improvviso.
Ginevra lo guardò, sorpresa. - Ma certo... Di cosa vuole parlarmi?
Il viso del professore era imperscrutabile. - Ho notato che nelle ultime settimane sei molto distratta. Credo che tu debba parlare con qualcuno della... confusione che hai in testa.
Lei si irrigidì. - Che intende dire?
Il professore sembrò spazientirsi. - Dico solo che dovresti parlare con qualcuno. Non fa bene tenersi tutto dentro, credimi.
Ginevra rimase a guardarlo per qualche istante, cercando di decifrare quelle strane parole. Poi sembrò capire: le aveva letto la mente.
Il professor Piton aveva violato la sua privacy e questo la infastidì, all'inizio. Dopotutto chi era lui per frugare nella sua mente e impicciarsi della sua vita? Poi però ricordò la gentilezza e la premura che le aveva sempre dimostrato fin dal primo giorno e tutti i buoni consigli che le aveva dato nel corso degli anni, nonostante si nascondesse dietro un muro imperturbabile.
Forse gli altri avevano ragione... Lei era davvero la studentessa preferita dell'arcigno professore?
Ginevra gli rivolse un sorriso sincero.
Ora sapeva cosa fare.
- La ringrazio, professore. Lo apprezzo davvero molto.
Sul viso dell'insegnante di Pozioni fece capolino un mezzo sorriso, che ovviamente si apprestò a far sparire. - Bene, ora è meglio che tu vada.


La Sala Grande era invasa dal solito chiacchiericcio e dalle grasse risate che accompagnava l'abbondante cena. Ogni tavolo era decorato a tema natalizio e dei piccoli pupazzi di neve con dei cappelli a cilindro saltavano da un piatto all'altro facendo ribaltare le posate e sorridere gli studenti del primo anno, meravigliati da tanta allegria, mentre la maggior parte degli studenti ne erano solo infastiditi.
- Odio questi pupazzetti del cavolo! – brontolò Ron, corrucciato.
Con le sue braccia aveva creato una barriera attorno al suo piatto pieno di cosce di pollo, cercando di tenere lontani quei piccoli assalitori.
I ragazzi intorno a lui scoppiarono a ridere quando videro la scena comica e Colin Canon non si lasciò sfuggire l'occasione per scattare una bella foto.
- Fred ti sta guardando di nuovo – le sussurrò Katie, distraendola dal tentativo di aiutare uno dei pupazzi di neve a raggiungere il piatto del povero Ron.
Ginevra alzò la testa di scatto incrociando lo sguardo di Fred, che si mordicchiava il labbro inferiore, secondo lei, con troppa veemenza.
Un brivido le fece drizzare la schiena.
- Basta, non lo sopporto più. Gli devo parlare – disse piano, in modo tale che solo Katie potesse sentirla.
Si alzò di scatto e andò spedita verso di lui.
Era arrivato il momento di parlare e di porre fine a tutte quelle provocazioni.
Fred era mano nella mano con Angelina ma non smise un secondo di guardarla.
- Che cosa vuoi, Black? - chiese Angelina, in tono sprezzante.
Ginevra la ignorò.
Fissò il suo sguardo su Fred e incrociò le braccia al petto. - Devo parlarti. Immediatamente.
- Certo – disse con un sorriso trionfante.
Lei uscì dalla Sala Grande e Fred la seguì con le mani nelle tasche dei pantaloni. Camminarono fino a raggiungere la fine del corridoio, davanti alla bacheca dei trofei.
- Finalmente ti sei decisa a parlarmi di nuovo – disse Fred, rompendo il silenzio.
- Devi smetterla di... fare quelle cose – disse gesticolando, imbarazzata.
Fred sorrise. - Quali cose?
Fece un passo in avanti e lei uno indietro.
- Ecco è proprio questo che intendo. Smettila di comportarti così. Fred, tu sei fidanzato! E sei il mio migliore amico.
Lui aggrottò la fronte. - E allora? Tra me e Angelina non funziona. Lo sanno tutti!
Ginevra sospirò. - Be', non fa alcuna differenza.
- Certo che fa differenza! Senti, Gin, quel bacio è stato sensazionale e lo sai anche tu... Non puoi negarlo.
- Certo che posso. Che cosa ti sei messo in testa? E poi sai bene che non funzionerebbe.
Lui ebbe un sussulto, ma si sforzò di sorridere.
Era ferito. Non pensava che sarebbe andata così. Forse era stato tanto presuntuoso da credere che quel bacio significasse qualcosa anche per lei?
I secondi passavano ma nessuno dei due proferì parola.
- Quindi è tutto? Finisce qui? - chiese, disinvolto.
- Non è mai iniziato nulla.
Fu in quel momento che Fred sentì una fitta al petto, come se gli avessero appena conficcato un pugnale per poi girare la lama e conficcarla ancora di più nel petto.
- È per Cedric, vero? Non solo per Angelina.
- Che centra Cedric? - chiese lei, in preda al batticuore.
Lui si limitò a guardarla, poi scosse il capo. - Lascia stare.
Le voltò le spalle e, senza aggiungere nient'altro, andò via come una freccia.





ATTENZIONE!
|L'incantesimo non verbale usato dalla protagonista è Levicorpus. Tutti gli incantesimi verbali possono essere eseguiti anche in modo non verbale ma, alcuni incanti particolarmente avanzati, come Levicorpus (in questo caso), devono essere per forza eseguiti senza l'uso della parola per essere efficaci. Questo può essere identificato come un esempio della potenza dei suoi poteri.|


ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti :) *fa ciao con la manina*
Come state? Spero bene. Questa quarantena è una vera tortura, ma almeno ci sono le serie tv, le copertine e le fanfiction!
Lo so, distrarvi non servirà a nulla. Non ho scuse... Ho appena pubblicato con tre giorni di ritardo. Avevo detto entro il 23 Marzo ma eccoci qua! Però ho cercato di fare un capitolo più lungo questa volta... Sono perdonata?
Sì? Oh, voi essere persone fantastiche! Am... Perché mi state puntando le bacchette contro?
… *l'autrice scappa urlando* Pietà! Abbiate pietà, vi pregoooo! T-T
Scherzi a parte, volevo ringraziarvi per il vostro sostegno e di non avermi abbandonato. Grazie infinite! :*
Se volete potete scrivere un piccolo commento anche in privato per dirmi cosa pensate del capitolo oppure dirmi se ci sono errori da correggere.
Vi ringrazio ancora e vi mando un grande abbraccio virtuale.
A presto,
18Ginny18

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 - LA VOCE NEL BUIO - parte 1 ***


Capitolo 18 – La voce nel buio
parte 1


Mancavano solo due giorni a Natale e Hogwarts era in pieno fermento.
Ogni studente non vedeva l’ora di tornare a casa e mettere più distanza possibile tra loro e la Umbridge con i suoi stupidi decreti.
Solo due giorni e sarebbero stati liberi di fare ciò che volevano per due agognate settimane di libertà.
Quel venerdì pomeriggio, alcuni studenti approfittarono dei loro brevi momenti di libertà per andare a Hogsmeade e acquistare i regali di Natale per parenti e amici. Altri, invece, scelsero di iniziare a preparare i loro bagagli, anziché correre come folli qualche istante prima della partenza il giorno dopo.
Ginevra Black, per esempio, era una di quest'ultimi.
Cominciò ad aprire e svuotare i suoi cassetti e l'armadio, che era pieno di vestiti e fogli di pergamena buttati a caso nel mucchio. Non era mai stata molto ordinata e ogni anno si prometteva di cambiare, di essere più responsabile e cercare di portare un po' di ordine intorno a lei... ma ogni proposito andava ben presto a farsi benedire in meno di un giorno.
Ginevra alzò gli occhi al cielo, lasciandosi sfuggire un sospiro davanti a quella montagna di vestiti che aveva creato sopra il letto.
Armandosi di molta pazienza riuscì a riordinare i fogli di pergamena in un unico blocco, stipandoli poi infondo al baule. Con un rapido colpo di bacchetta i suoi vestiti si piegarono in un'istante entrando anch'essi nel baule. Per sua fortuna Paul le aveva insegnato quell'incantesimo la sera prima.
Quando si avvicinò alla scrivania per raccattare le ultime cose rimaste, il suo sguardo si fermò su un libro.
'Le fiabe di Hans Christian Andersen'.
Era uno dei suoi libri preferiti e conosceva a memoria tutte le fiabe al suo interno. Era un regalo di Remus, il suo padrino. Era uno dei libri preferiti di tua madre. Spero ti piaccia, le aveva detto con un dolce sorriso.
Dal quel momento lei trattò quel libro come un tesoro prezioso, immaginando che sua madre leggesse quelle storie insieme a lei ogni sera.
Ricordò che il giorno in cui ricevette quel regalo era il suo decimo compleanno, nonché il giorno di Natale. Aveva giocato tutto il giorno con i gemelli e si erano scatenati come dei pazzi. Quella sera stessa la piccola Ginny Weasley, per qualche strana ragione, aveva convinto Fred e George a fare un “trattamento di bellezza”. Mentre lei e la sua omonima cercavano dei vestiti adatti a loro nell’armadio di Nymphadora, i gemelli si mettevano il rossetto l'un l'altro, creando delle sbavature ai lati della bocca che li facevano sembrare due mini Joker. Il risultato finale aveva scatenato le risa di tutti i presenti, soprattutto dopo che Charlie e Nymphadora colorarono i loro capelli di verde con un colpo di bacchetta. Ovviamente non tutti conoscevano il famoso personaggio di quel fumetto babbano, ma poco importava, soprattutto per Fred e George.
Poi, quando Remus regalò il libro alla sua figlioccia, i gemelli decisero di mettere in piedi un piccolo spettacolo natalizio basandosi su ciò che era scritto nel libro riuscendo a coinvolgere tutti quanti.
Ripensando a quel momento non poté fare a meno di sorridere.
“Come avevano fatto a convincere Bill a vestirsi come la Sirenetta?”.


Una volta finito di sistemare le valige, Ginevra decise di raggiungere i suoi amici nella Stanza delle Necessità per l'ultimo incontro dell'ES, ma quando uscì dalla sala comune notò Fred e Angelina litigare vicino alle scale.
- Hai detto che mi avresti accompagnata!
- Non l'ho detto. Adesso ti inventi le cose?
- Ma che ti prende? Ne avevamo già parlato, non puoi tirarti indietro!
- Io non vado da nessuna parte - le rispose lui in tono apatico.
La voce di Angelina s'incrinò. - Perché mi fai questo, Fred? Ormai ne ho parlato con la mia famiglia e ho promesso che...
- Non mi interessa! Io vado a casa mia con i miei fratelli e su questo non si discute, Angie.
- Ma io ho promesso che saresti venuto a casa mia per Natale!
Fred sembrava sul punto di esplodere. - Ficcatelo in quella testolina: io non vado da nessuna parte. Ti è chiaro adesso?
Si voltò di scatto, ma in quello stesso momento si rese conto che Ginevra li stava osservando. Si passò nervosamente una mano fra i capelli, sembrava imbarazzato. Dopodiché se andò senza dire una parola, lasciando Angelina a dar di matto, da sola.
- Fred! Torna qui immediatamente. Bene! Fa' come vuoi! Tanto non ho bisogno di te...
Nonostante la situazione fosse imbarazzante Ginevra cercò di far finta di niente. Ma non era affatto facile... Dopotutto baciare il ragazzo di Angelina e poi assistere alla loro litigata non era il massimo, ma doveva comunque provarci.
Per sua fortuna, Angelina sembrava non averla vista. Si era seduta accanto al ritratto di un cavaliere che corteggiava la sua dama.
Con le spalle al muro, portò le ginocchia al petto e chinò la testa.
Ginevra la superò silenziosamente. Era sul punto di andarsene quando la sentì singhiozzare.
Arrestò il passo, il rimorso le attanagliava lo stomaco come una morsa d'acciaio.
Serrò gli occhi.
- Non ci credo – sospirò Ginevra, frustrata.
I singhiozzi si fecero sempre più forti.
Se avesse continuato a piangere, Ginevra si sarebbe sentita uno schifo. Non poteva lasciarla da sola, soprattutto se era in lacrime.
Ginevra riaprì gli occhi e li alzò al cielo. “Oh, Dio, perché mi fai questo?”.
Sospirò ancora una volta prima di voltarsi, sperando di non pentirsene.
Si avvicinò piano e si sedette poco distante da lei. Osservò il suo corpo scosso da tremiti e attese il momento giusto per parlare.
- Ehi...
La testa di Angelina scattò immediatamente, il volto era rigato di lacrime.
- Che vuoi? – Si asciugò il viso con la mano.
Era evidente che Angelina fosse troppo orgogliosa per ammettere di stare soffrendo, soprattutto con la sua rivale accanto.
Anche se in modo goffo, Ginevra cercò comunque di confortarla.
Si sforzò di sorriderle. - So di essere l'ultima persona con cui vorresti parlare, ma se hai bisogno di sfogarti con qualcuno…
- Non ho bisogno della tua pietà, Black - rispose lei freddamente.
Ginevra sospirò. - Io stessa stento a crederci, Johnson… ma la mia non è pietà, credimi. Sono brava ad ascoltare.
Angelina non disse nulla. Si limitò a scrutarla con attenzione.
Ginevra le sorrise e lei distolse lo sguardo.
- Non è successo niente di che – tirò su col naso e si asciugò gli occhi con la manica del maglione. - Io e Fred abbiamo avuto una piccola discussione.
Angelina si morse il labbro inferiore e abbassò la testa.
Le lacrime iniziarono a scorrere di nuovo sul suo volto, silenziose. Si passò una mano tra i capelli scuri e cominciò a farfugliare: - Come può essere così... Così... - si lasciò sfuggire un verso di frustrazione. - A volte non lo sopporto proprio. Si comporta come un bambino e quando promette una cosa se la rimangia! Penso di avere il fidanzato più lunatico di tutta Hogwarts! Ho sbagliato io? Forse, a volte, sono troppo snervante... però non lo faccio apposta. Forse mi sto facendo troppi problemi. Secondo te è lui che ha un problema e non me lo vuole dire? Insomma, tu lo conosci sicuramente meglio di me... cosa faresti al mio posto?
Alla fine si voltò verso Ginevra, batté le palpebre e rimase a fissarla per un po', in attesa di risposta. Sembrava davvero disperata. Aveva parlato a raffica e Ginevra faticò un po’ a starle dietro.
Guardandola, Ginevra non riuscì ad evitare i sensi di colpa che avevano iniziato a tormentarla da quando Angelina era scoppiata in lacrime. E non riuscì nemmeno a liberarsi del sospetto che il motivo del comportamento di Fred fosse proprio lei. Era ridicolo ed egocentrico pensare che lei, Ginevra Black, potesse avere un tale ascendente su qualcuno, eppure non riusciva a non pensare che fosse proprio così.
Ma lei e Fred non si parlavano da quella sera… Si scambiavano solo un “Ehi” o “Ciao”, stupidi convenevoli e poi nient’altro. Silenzio di tomba.
Prima di parlare Ginevra respirò lentamente a fondo. - Al tuo posto non farei niente. Fred è fatto così... Secondo me ha solo bisogno di qualche giorno per pensare. Stai tranquilla, sono sicura che le cose si sistemeranno.
“Stai tranquilla... certo, come no! Non potevi usare parole peggiori”, disse la voce nella sua testa.
Ginevra strinse i pugni.
Non aveva più sentito parlare l’entità Oscura per settimane. Non aveva dubbi, il suono della sua voce era diventato più forte e sicuro dall'ultima volta.
“Esatto, cara, sono ancora qui” disse in tono vittorioso la voce. “Però, gran bella mossa confortare la fidanzata del ragazzo che hai baciato... Sai, mi piaci sempre di più. Credo che andremo molto d’accordo”.
Con la speranza di zittire l'entità oscura e di mettere più distanza possibile tra lei la Cacciatrice di Grifondoro, Ginevra guardò l'orologio al suo polso e finse di stupirsi dell'orario. - Porga Morgana! Scusa, Johnson, ma si è fatto tardi e devo andare in un posto. Ci vediamo dopo.
Era scappata via come un fulmine, lasciando Angelina sconcertata e sola, ma se fosse rimasta lì un altro istante probabilmente i sensi di colpa l'avrebbero divorata.
Cercò di calmarsi e di contattare Regulus in qualche modo. Doveva sapere che, dopo settimane di lunghi silenzi, l'entità oscura era tornata.
“Non sono mai andata via, tesoro. Ti sono mancata, vero?”.


Harry arrivò prestissimo nella Stanza delle Necessità per l'ultima riunione dell'ES prima delle vacanze. Al suo interno trovò sua sorella Ginevra, intenta a sfogliare un libro dalla copertina verde senza guardare realmente le pagine. Sembrava con lo sguardo assente.
- Sei in anticipo – disse Harry, sorridendole.
La testa di lei scattò immediatamente fino ad incontrare gli occhi verde smeraldo del fratello. - Ciao... Hai notato le decorazioni? Sembra che tu abbia un ammiratore.
Lo sguardo di Harry andò verso le decorazioni natalizie appese lungo tutta la stanza. Era sicuro che fosse stato Dobby a farlo, poiché nessun altro avrebbe potuto appendere al soffitto cento medaglioni dorati, tutti con il ritratto di Harry e con la scritta: “BUON NATALE HARRY POTTER SIGNORE!”.
Harry alzò gli occhi al cielo. - È stato Dobby, l'elfo domestico. Devo toglierli, altrimenti tutti penseranno che io sia un pallone gonfiato – disse e iniziò a rimboccarsi le maniche.
- Be'... è stato carino da parte sua. Ha messo anche il vischio – Ginevra indicò un grosso grappolo di bacche bianche che pendeva sopra le loro teste poi tornò al suo libro, senza aggiungere altro.
- Va tutto bene? - le chiese Harry, un po' preoccupato.
“No, non va tutto bene”, Ginevra avrebbe voluto urlare quelle parole ma si limitò ad annuire. La verità era che lei era più preoccupata del fratello. Non sapeva cosa le stava capitando e aveva paura. Regulus era chissà dove e lei non poteva dire a nessuno dell'entità oscura dentro di sé.
Si sentiva in trappola.
Poteva quasi sentire quell'essere prendersi gioco di lei.
Harry restò in silenzio qualche istante, pensieroso. Poi parlò con una nota evidente d'ironia. - Pensi che nascondermi la verità sia la mossa giusta? Sono o non sono tuo fratello?
Ginevra si rilassò un po' e si lasciò sfuggire un sorriso. - Sono solo un po' stanca. Mi manca papà e ho tanta voglia di riabbracciarlo. Non vedo l'ora di lasciare Hogwarts.
Harry annuì, non molto convinto. - Se hai bisogno di me, non esitare a chiedere. Intesi? - insistette Harry. - L'importante è che tu stia bene.
Lei gli sorrise e gli accarezzò la guancia con tenerezza. - Grazie, Harry. Sei molto dolce.
Harry ricambiò il sorriso e le diede un bacio sulla fronte.
La porta si aprì cigolando e Luna Lovegood fece il suo ingresso insieme a Ginny Weasley. - Ehi, chi ha messo il vischio? – chiese la Weasley per poi salutare il suo fidanzato con un lieve bacio a fior di labbra.
Prima che lei potesse allontanarsi, Harry la prese per mano e la tirò a sé con dolcezza. - Non scappare... - le sussurrò. Ginny non si tirò indietro, bensì rise piano e gli diede un secondo bacio.
- Spesso il vischio è infestato di Nargilli – disse Luna, con tono sognante.
Harry la guardò e socchiuse gli occhi, confuso e allo stesso tempo curioso dalle sue parole. - Cosa sono i Nargilli?
- Oh, sono molto amichevoli e a volte perfino tranquilli, ma hanno un debole per gli scherzi. Amano rubare gingilli e cibo e si divertono anche a far inciampare le persone e causare divertenti baraonde.
- Praticamente sono Fred e George – borbottò Ginny al fidanzato.
Harry ridacchiò ma Luna non vi fece caso. Era molto concentrata sul fantoccio di un Mangiamorte infondo alla sala. - Non sembra anche a voi che ci stia guardando?
L'arrivo degli altri membri del gruppo risparmiò a Harry di risponderle.
Quando la stanza si riempì tutti iniziarono a fissarlo sorridenti ed eccitati.
La giovane Black, che non si era scomposta di una virgola, restò in un angolo a guardare le pagine del libro dalla copertina verde. Cercava qualcosa che riuscisse ad aiutarla con il “problemino” nella sua testa, ma non trovò nulla.
“Sentire le voci non è mai un buon segno, eh?”, la prese in giro il mostro che le dava il tormento.
La tentazione di sbattere la testa contro il libro più e più volte con la speranza che andasse via la solleticò, ma accantonò subito l'idea. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era parlare da sola o dare spettacolo di sé.
Quando alzò lo sguardo vide che il gruppo era già riunito e che ognuno aveva formato delle coppie.
Angelina era in coppia con Katie. Aveva l'aria un po' taciturna ma la sua attenzione era solo per Fred, che discuteva animatamente con Lee Jordan. Lo guardava mordicchiandosi le labbra. Dal modo in cui si muoveva era facile intuire che sperava che Fred la guardasse e che tornasse da lei, ma lui continuò a discutere con Lee come se niente fosse.
Ginevra si chiese per l'ennesima volta se il comportamento di Fred dipendesse da lei e da quello che si erano detti quella sera. Le aveva confessato che non provava nulla per Angelina e che le cose tra di loro non andavano bene, ma si vedeva lontano un miglio che Angelina lo amava e che avrebbe fatto qualsiasi cosa per sistemare le cose. Bastava notare il modo in cui lo guardava per capirlo e Ginevra non voleva essere la causa della fine del loro rapporto. Né di altri.
Venne destata dai suoi pensieri solo quando qualcuno le sfilò il libro dalle mani. - Ciao, principessa – la salutò George, sorridendole. Poi, con sua grande sorpresa, si chinò e le diede un bacio sulla guancia, inebriandola con il suo profumo.
Lei avvampò e per poco non andò in iperventilazione.
“Stai calma”, si disse. “Va tutto bene. Ti ha solo dato un bacio… Non è la prima volta!”.
- Ehi... Cosa ti porta qui, straniero?
- Passavo di qua... Ti do fastidio? - chiese, divertito.
- No... Adoro quando mi levi i libri dalle mani - replicò lei, sarcastica.
Mentre George le si sedeva di fronte, lei si perse a contemplarlo. I suoi capelli erano scompigliati come al solito, le maniche della camicia bianca arrotolate fino al gomito e il nodo della cravatta rosso e oro era allentato. Secondo il parere della ragazza, George Weasley era talmente bello da togliere il fiato.
“Oh, quindi è lui che ti piace!”, esultò la voce dentro di sé che si apprestò a zittire.
- Non so se te ne sei accorta... ma ti ho appena salvato la vita. Smith stava per sedersi qui, ma io l'ho battuto sul tempo. Ho fatto bene? - chiese lui con un ampio sorriso.
Ginevra lanciò un'occhiata verso Zacharias Smith e si trovò a ridere sotto i baffi quando lo vide fulminare George con lo sguardo.
- Sai, credo che mi detesti con tutte le sue forze – disse George, allegro.


Una volta finita l'esercitazione negli Schiantesimi, ognuno tornò nella propria sala comune. Tutti tranne Draco e Hermione, che preferirono attardarsi nella Stanza delle Necessità con la scusa di “riordinare” le attrezzature d’allenamento.
- Chissà poi che dovranno dirsi quei due... Si vedono ogni giorno! - disse Ron a Harry, uscendo dalla Stanza delle Necessità insieme agli altri.
Sua sorella Ginny sospirò. - Vuoi che ti faccio un disegno, Ron?
Ron aggrottò le sopracciglia. - Che intendi dire? Non capisco.
- Te lo diremo quando sarai più grande – disse Fred, dandogli un colpetto sulla spalla.
Una volta che la Stanza delle Necessità si svuotò completamente, fatta eccezione per i due ragazzi, Draco si avventò sulle labbra di Hermione. La baciò con un tale ardore da toglierle il fiato.
Hermione venne travolta dal suo profumo inebriante, dal calore che emanava il suo corpo, dal potere dei suoi muscoli tesi…
Si sentì come se l’intera stanza stesse crollando.
Pian piano, Draco lasciò una scia di baci anche lungo il collo della Grifondoro che, alla vista della sua virilità che gli si gonfiava nei pantaloni, si lasciò sfuggire un brivido d’eccitazione.
Draco si allontanò da lei quel tanto che bastava per osservarla con attenzione, lo sguardo ardente di desiderio.
- I tuoi occhi mi perseguitano ogni notte nei miei sogni quando sono lontano da te... - le sussurrò, intrecciando le dita tra i suoi capelli indomabili. - Sei meravigliosa, Hermione. Vorrei mangiarti…
- Fallo.
Le labbra di lei toccarono quelle del Serpeverde, all’inizio con dolcezza... poi la passione prese il sopravvento. Le mani di Draco esplorarono il suo corpo come se fosse la prima volta, accarezzandola e stringendola dappertutto… affamato del suo tocco.
Stavano trasgredendo una miriade di regole ma, per una volta, Hermione Jean Granger decise di infischiarsene ogni divieto. Aveva voglia di lasciarsi andare senza pensare alle conseguenze. Voleva godersi ogni istante insieme a Draco.
Il respiro di lei divenne più pensante mentre le loro labbra erano in perfetta sincronia, rallentando e aumentando il ritmo mentre i loro corpi si avvolgevano.
“È piuttosto eccitante infrangere le regole”, pensò Hermione, beandosi dei brividi che le procurava il giovane Malfoy ad ogni bacio.


- Ma che stai combinando, Lee? - chiese ad un tratto George, scatenando la curiosità di tutti i presenti nella Sala Comune di Grifondoro.
Sul tavolo al centro della stanza vi era una vecchia radio polverosa, che Lee aveva puntualmente trovato nella Stanza delle Necessità.
Un gruppetto di ragazzini del primo anno si radunò attorno al Caposcuola, curiosi e elettrizzati all’idea di partecipare a una festa prima della partenza. Immaginavano già tutto il divertimento che avrebbe reso quella sera la più bella della loro vita.
Girando una manopola, la radio si accese e, una volta inserita una piccola scatolina nera al suo interno, il Grifondoro urlò a tutti: - Silenzio! È arrivato il momento di ascoltare della vera musica! Facciamo festa!
I see a little silhouetto of a man,
Scaramouche, Scaramouche, will you do the Fandango?
Thunderbolt and lightning,
Very, very frightening me”
.
- Ma sta bene? - chiese Neville, preoccupato per la sanità mentale di Lee.
Come per rispondere alla sua domanda Lee si tolse le scarpe e iniziò a cantare in falsetto, completamente trasportato da quella melodia, così come i giovani Grifondoro attorno a lui. - Galileo. Galileo. Galileo. Galileo. Galileo. Figaro. Magnificooooooooo.
- No, Neville, è impazzito – confermò Ron.
- Povero Lee! Era sano fino a pochi minuti fa – piagnucolò Fred con teatralità, abbracciando il suo gemello.
Nel frattempo Lee continuò a cantare e ballare.
Era scatenato e sembrava che niente potesse fermarlo. - Will not let you go. Let me go! Never, never let you go. Never let me go, oh. No, no, no, no, no, no, no.
Oh, mama mia, mama mia. Mama mia, let me go.
Beelzebub has a devil put aside for me, for me, for me”.

Anche se il brano ormai era al termine, Ginny Weasley, stanca di quella buffonata, decise che era giunto il momento di porre fine alla “festa”. Lanciò un ‘Bombarda’ verso la radio, che esplose in tanti piccoli pezzettini.
I ragazzini del primo anno corsero via, spaventati.
Lee, invece, diede di matto.
- EHI! La canzone era quasi finita! - protestò. - E poi questi erano i Queen. I Queen! Mai sentiti?
Lee era indignato.
Nessuno sembrava conoscere il suo gruppo preferito.
- VERGOGNATEVI. Se non avete mai sentito i Queen non avete MAI sentito la vera musica.
- Certo, Jordan. Certo… - mormorò Katie Bell, prendendo posto davanti al camino.
Il Grifondoro non sembrò sentire le sue parole. Era concentrato sulla giovane Weasley. Assottigliò lo sguardo e le andò incontro con fare minaccioso.
Lei, seduta sulla comoda poltrona vicino al camino, prese un sacchetto si cioccomore dal tavolo e iniziò a mangiare come se niente fosse. Sapeva che era tutta una farsa, come al solito. Infatti Lee s’inginocchiò ai suoi piedi e iniziò a piagnucolare come un bambino a cui avevano tolto le caramelle.
- Ginny, perché mi fai questo? Pensavo che mi volessi bene come a un fratello!
- Di fratelli ne ho già abbastanza – lo liquidò la Weasley.
- Sei senza cuore.
Lei fece spallucce. - Lo so.
Dopo qualche minuto Lee sembrò dimenticare i Queen e si lasciò sfuggire un sorrisetto furbo quando vide Katie seduta davanti al camino.
- Katie! Cosa mi regali per Natale? - chiese sedendosi al suo fianco.
- Non ti basta l'indifferenza che ti regalo durante tutto l'anno?
Un sorriso smagliante si fece largo sulle labbra del Grifondoro. - A Natale bisogna essere più buoni… Perché tu sei sempre così acida?
- Perché non digerisco gli idioti come te, mi sembra ovvio – rispose con un piccolo ghigno.
- Oh, la tua dolcezza mi uccide, Bell!
Con il passare del tempo la sala comune si svuotò e gli ultimi occupanti davanti al camino acceso erano George e Ginevra.
Erano seduti l'uno vicino all'altra.
Lei aveva lo sguardo perso tra le fiamme. Lui, invece, non smetteva di guardarla. Per lui era ancora più bella quando era assorta nei suoi pensieri o era intenta a leggere.
Al solo guardare quelle gambe accavallate e la gonna che arrivava fin sopra il ginocchio, George sentì un brivido di piacere lungo la schiena. Il maglioncino che indossava seguiva perfettamente le linee del suo corpo, mettendo in risalto le sue forme. La cravatta slacciata e i capelli raccolti in una morbida crocchia improvvisata, con ciocche ribelli qua e là, le davano un’aria innocente e sensuale allo stesso tempo.
Cavolo se è bella”, pensò.
- A cosa pensi, scricciolo?
Quando Ginevra guardò verso di lui, vide che la stava fissando con intensità e con un tenero sorriso sulle labbra.
Le si fermò il cuore.
George era bello, bellissimo. Ma come diamine faceva ad essere così bello?
Distolse lo sguardo, imbarazzata. - Stavo pensando che questa sarà la prima volta che passerò il Natale senza di voi.
George accorciò la distanza tra di loro in un’istante. - Non ti preoccupare. Molly ti farà avere comunque un maglione Made in Weasley, anche se non sarà la stessa cosa… - disse avvolgendo un braccio attorno alle sue spalle.
Lei rise. - Non potremo più scambiarci i maglioni!
- Lo so. Dovrai aspettare un altro anno prima di vedere di nuovo i miei addominali scolpiti – disse gonfiando il petto d’orgoglio.
Ogni Natale lei e George si "scambiavano i maglioni" dato che entrambi avevano come iniziale la lettera 'G', ma la verità era che Ginevra rubava il maglione di George perché adorava indossare le sue cose fin da quando era bambina. A qualcuno poteva sembrare strano, ma lei si divertiva un mondo a farlo e poi era impossibile rinunciare alla vista di George Weasley con addosso un maglioncino decisamente troppo piccolo e stretto per lui. 
Ginevra lo schiaffeggiò giocosamente sul petto. - Ma piantala! - disse, tirando fuori un piccolo sorriso, poi appoggiò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi, beandosi dell’atmosfera che si era creata e delle dita di lui che le stavano accarezzando il braccio.
Ben presto dimenticò ogni preoccupazione, sentì gli occhi farsi sempre più pesanti e, prima che se ne rendesse conto, si addormentò.
- Sono qui - sussurrava una voce nel buio. - Vieni da me.
Ginevra si guardò attorno, ma non vi era altro che buio. Conosceva già quel posto, lo aveva sognato tante di quelle volte da sapere già cosa fare: correre. Correre come se ne andasse della sua vita.
Non aveva mai avuto paura del buio, ma temeva ciò che si nascondeva al suo interno.
- È inutile nascondersi – continuò la voce, divertita.
Davanti a sé apparve una porta rossa che si aprì scricchiolando. - Vieni... Vivremo in eterno... Vieni... - ripeteva la voce.
Ginevra sentì un piccolo brivido lungo la schiena che la pietrificò.
Una figura incappucciata varcò la soglia tendendo la mano verso di lei. - Non avere paura. Voglio aiutarti. Vieni… Vieni da me….
- Chi sei? - chiese Ginevra con voce tremante.
La figura incappucciata non rispose. Iniziò ad avanzare, pronta ad agguantarla.
Poi Ginevra sentì un urlo e tutto svanì.
Quando riaprì gli occhi, fuori era ancora buio, aveva la vista annebbiata e il cuore sembrava scoppiarle dal petto. Anche George si era appena svegliato. Dalle scale un ragazzo urlava: - Black, tuo fratello sta male! Vieni subito.
Presa dal panico, scattò in piedi e corse verso il dormitorio maschile con George al suo seguito.
Il cuore le batteva all’impazzata. Correva più veloce che poteva verso la stanza. Le passarono per la testa tutti gli scenari possibili.
La porta della stanza era già aperta, Ginevra entrò senza badare ai compagni di stanza di Harry radunati attorno al suo letto.
Ron era al suo fianco, spaventato. - Harry! Harry!
- Stava urlando – disse Dean Thomas. - Non sapevamo cosa fare…
Harry si prese la testa fra le mani, era bianco come un cadavere.
- Harry! Che cos’hai? - continuò Ron.*
Harry si voltò sul fianco e vomitò oltre l’orlo del materasso.
- Sta male – disse Neville Paciock, atterrito. - Chiamiamo qualcuno?
Ginevra non perse altro tempo e si avvicinò al fratello. Poggiò la mano sulla sua fronte. Era rovente e grondante di sudore, anche se il suo corpo era attraversato da brividi. - Harry! Harry, guardami!
- Ron… - ansimò lui. - Tuo padre… è stato attaccato…
- Cosa? - chiese Ron, senza capire.
- Neville, va a chiamare la McGranitt – disse una voce alle loro spalle.
Era George.
Ginevra si voltò e lo vide uscire spedito dalla stanza insieme a Neville, per poi tornare con Fred.
- Era solo un sogno, Harry... – balbettò Ron incerto.
- No! - urlò Harry furioso. - Non era un sogno… io ero lì, l’ho visto… sono stato io…
- Andrà tutto bene, Harry. Non ti preoccupare - Ginevra cercava di mantenere la voce ferma, ma non riusciva a tranquillizzarsi.
Era spaventata, non capiva cosa stava succedendo. Harry continuava a tremare e sudare. Provò a tamponargli la fronte ma lui continuava a muoversi. Voleva alzarsi dal letto ma non ne aveva le forze.
- Io ero… era un serpente enorme… - mormorò tra i brividi. - Dobbiamo aiutarlo...
Dean e Ron provarono a metterlo a sedere ma ebbe un altro conato e Ginevra venne colpita prima che potesse spostarsi, ma quello non era il momento di pensare allo stato dei suoi vestiti. La sua unica priorità era capire cosa fosse successo al fratello.
- Harry, tu stai male – esclamò Ron con voce spezzata. - Dobbiamo portarti in infermeria.
- Ron, per l’amore del cielo! Io sto bene! - tossì Harry pulendosi la bocca sul pigiama sempre scosso da brividi incontrollabili. - Tuo padre è in pericolo. Sta sanguinando… dobbiamo scoprire dove si trova. È stato attaccato da un serpente ed è grave, io l’ho visto.
- Come fai a saperlo? - gli chiese Fred, spaventato. - Che vuol dire che l’hai visto?
- Non so come sia successo, lo giuro ma… Era vero, non l’ho immaginato. Vostro padre è stato attaccato da un serpente gigantesco, c’era un sacco di sangue, lui è svenuto, qualcuno deve scoprire dov’è… Dovete credermi. Non sono matto!
Prima che Fred o qualcun altro potesse dire qualcosa, la professoressa McGranitt entrò di corsa nel dormitorio, avvolta nella sua vestaglia scozzese, gli occhiali un po’ storti sul naso ossuto.
- Che cosa c’è, Potter? Dove ti fa male?
- Il signor Weasley è in pericolo, professoressa. Dobbiamo aiutarlo! - rispose Harry, in preda alla disperazione.












*Da “Harry Potter e l'Ordine della Fenice – Capitolo 21 - L’occhio del serpente (alcune parti sono modificate)”.


ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti, come state? Grazie per essere arrivati fin qui!
Ringrazio ancora ssandra80 e Ravenclaw97 per aver recensito i capitoli precedenti. Vi adorooooo!
So che i capitoli stanno andando per le lunghe e che pubblico una volta al mese (se sono fortunata), ma sto cercando di dare un filo logico a tutto e di dare più spazio alle altre coppie della storia, che in passato ho un po’ trascurato. Giuro che ce la sto mettendo tutta e nel prossimo capitolo, ovvero la parte due, ci sarà qualcosina che forse darà una svolta… ma non voglio spolierare nulla muahaha Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che continuerete a seguirmi *faccina imbarazzata*.
Ringrazio chi ha inserito questa storia tra le seguite/preferite/ricordate e vi invito a farmi sapere cosa ne pensate di questo capitolo tramite un messaggio privato o una piccola recensione.
Grazie ancora per essere passati di qua.
Ciao ciao ^w^
18Ginny18


#La canzone che canta Lee Jordan è dei Queen, come avrete capito. Per chi non la conoscesse vi metto qui il testo e il video della canzone. Anche se ho usato solo un pezzettino della canzone.
https://www.youtube.com/watch?v=EYOUo_GrV0M

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 - LA VOCE NEL BUIO - parte 2 ***


Capitolo 19 – La voce nel buio
parte 2


- Metti la vestaglia, Potter. Andiamo dal Preside.
Harry era così sollevato che la McGranitt lo prendesse sul serio che non esitò, balzò giù dal letto all’istante, si mise la vestaglia e inforcò gli occhiali.
- Sarà meglio che veniate anche voi – disse la McGranitt rivolgendosi ai Weasley e Ginevra.
Harry prese per mano la sorella e, tutti insieme, seguirono la professoressa fuori dal dormitorio e giù per le scale a chiocciola fino alla sala comune.
Lungo il tragitto, Harry aumentò la stretta sulla mano di Ginevra tentando di trarre conforto da quel contatto. Era preoccupato per il signor Weasley, sperava solo di arrivare in tempo e di salvarlo.
Chiuse gli occhi e lo rivide in una pozza di sangue.
Rabbrividì.
Ginevra riuscì a percepirlo. - Non preoccuparti, andrà tutto bene – disse.
Lui si sforzo di fare un piccolo, seppur nervoso, sorriso. Cercò di convincersi che tutto sarebbe andato per il verso giusto. Ma in cuor suo, sperava che quello che aveva visto fosse solo un sogno e che il signor Weasley fosse al sicuro.
Dopo pochi minuti giunsero al gargoyle di pietra a guardia dell’ufficio di Silente.
Quando la professoressa McGranitt pronunciò la parola d’ordine, il gargoyle si animò e fece un balzo di lato; la parete al suo fianco si aprì rivelando una scala mobile. Tutti salirono sui gradini e la parete si richiuse con un tonfo.
Una volta raggiunta la lucida porta di quercia dell’ufficio del Preside, Ginevra ripensò alla sera in cui scoprì di essere la figlia di Lily Evans e sorella di Harry. Per lei fu una notizia devastante e, per un’istante, ricordò di aver avuto la tentazione di tirare qualcosa di pesante contro Silente.
Dopotutto era stato lui ad architettare tutta la manfrina sui suoi ricordi sbiaditi e sulla pozione anti-crescita, che le veniva somministrata ogni giorno con l’inganno, per mascherare la sua vera età, per chissà quale motivo. Ed era colpa di quel vecchio bacucco se l’avevano separata dalla sua famiglia, dal suo dolce fratello. Ogni volta che ci pensava, sentiva la rabbia crescere dentro di sé e immaginava di sfogarsi sul vecchio mago.
L’immagine di lei che prendeva un tomo enorme dalla libreria lì accanto per poi scaraventarlo sulla fronte del Preside le invase la mente.
“Sì, dovresti colpirlo”, cinguettò la voce nella sua testa. “Sai, credo che io e te andremo molto d’accordo. La pensiamo allo stesso modo!”.
Ginevra finse di non ascoltare e scacciò via i suoi sgradevoli pensieri.
“Sai bene che non puoi ignorarmi…”, le ricordò.
“Come potrei? Non smetti mai di parlare!”, rispose Ginevra con una carica di sarcasmo.
L’entità oscura si zittì e Ginevra sospirò, assaporò quel momento e pregò che quel silenzio potesse durare a lungo.
Lentamente, Ginevra riuscì a calmarsi.
Si guardò intorno e vide che la stanza era immersa nella semioscurità; la grande fenice era appollaiata sul suo trespolo, con la testa sotto l’ala, mentre i ritratti dei vecchi presidi che coprivano le pareti sonnecchiavano nelle cornici.
Silente si era seduto alla sua scrivania, su una sedia dallo schienale alto. Indossava una vestaglia viola e oro, sontuosamente ricamata, sopra una camicia da notte candida, ma era perfettamente sveglio, e i suoi penetranti occhi azzurri fissavano la professoressa McGranitt.
- A cosa devo la vostra visita?
- Professor Silente, Potter ha avuto un… un incubo – esordì la McGranitt. - Dice…
- Non era un incubo – intervenne Harry.
La McGranitt si voltò verso di lui, un po’ torva.
- Molto bene, Potter, raccontalo tu al Preside.
- Io… ecco, io stavo dormendo… - cominciò Harry, e nonostante la paura e l’ansia di farsi capire da Silente, fu un po’ irritato dal fatto che il Preside non lo guardasse, ma tenesse gli occhi fissi sulle proprie dita intrecciate. - Ma non era un sogno normale… era vero… l’ho visto succedere… - Respirò a fondo. - Il signor Weasley… è stato aggredito da un serpente gigantesco.*
Ci fu una pausa che parve durare ore ma che in realtà durò solo qualche minuto. Silente si alzò di scatto e cominciò a misurare la stanza a lunghe falcate, avanti e indietro, lo sguardo corrucciato fisso sul pavimento.
- Nel sogno ti trovavi accanto alla vittima, o guardavi la scena dall’alto? - chiese Silente a Harry, ma la sua attenzione era ancora rivolta altrove. Cosa che fece irritare Harry ancora di più.
Quando Silente guardò la giovane Black, innumerevoli domande iniziarono a farsi strada nella sua mente brillante. Egli cercava risposte, ma temeva di averle già trovate.
I fratelli Weasley guardavano Harry e Silente, sentendo il panico aumentare ogni minuto che passava. Ron, invece, era immobile come una statua, lo sguardo vitreo fisso sul pavimento.
- Nessuna delle due – rispose Harry, nervoso. - Io… Era come se… Professore, mi dice cosa sta succedendo?
Silente lo ignorò ancora una volta, si rivolse a uno dei vecchi ritratti appesi quasi sotto il soffitto. - Everard! - chiamò.
Un mago dal viso olivastro con una frangetta nera, che pareva assopito, aprì gli occhi all’istante. - Arthur è di guardia ‘stanotte. Fai in modo che lo trovino le persone giuste…
Il mago annuì e uscì di lato dalla cornice del suo ritratto, ma invece di riapparire nei quadri vicini, come succedeva di solito a Hogwarts, non si vide più.*
- Turno? Turno per cosa? - mormorò Fred, bianco come un cadavere. - Dov’è nostro padre?
- Mi dispiace dirvelo in questo modo, ma vostro padre stava svolgendo un lavoro molto importante per l’Ordine della Fenice – disse Silente.
Ginevra si gelò sul posto, ma non riuscì a proferire parola.
Sapeva quale “lavoro importante” stava svolgendo il signor Weasley. Doveva sorvegliare la Profezia.
Si sentì in colpa: era stata lei a assegnare i turni di sorveglianza (sotto il comando di Malocchio Moody).
Il mondo sembrò caderle addosso. Un terremoto avrebbe avuto un effetto meno devastante sul suo animo. 
- Minerva, potresti procurarci altre sedie? E, ti prego, va a chiamare la giovane Weasley – continuò il Preside, aggirando Harry e il resto del gruppo per avvicinarsi a un secondo ritratto.
Nel frattempo, la McGranitt estrasse la bacchetta dalla tasca della vestaglia e la agitò, facendo apparire dal nulla sette sedie di legno, dopodiché lasciò la stanza per raggiungere nuovamente la sala comune di Grifondoro.
- Per favore, sedetevi – disse Silente, con tono premuroso.
I cinque ragazzi presero posto, in silenzio.
Ginevra volse lo sguardo verso Ron e vide che era pallido e spaventato. Avrebbe voluto confortarlo, ma nonostante lo conoscesse da anni sapeva che non avrebbe accettato nessun genere di conforto. Poi guardò Fred e George, loro avevano lo sguardo perso nel vuoto ed era certa che avessero mille pensieri per la testa.
Come suo fratello, Ginevra sperava che il signor Weasley stesse bene e che Harry avesse fatto solo un brutto sogno.
“Io dubito che sia così”, proferì l’entità Oscura e, questa volta, il suo tono di voce era serio, privo di ironia. Ginevra provò ad ignorarla, ma non poteva. Sapeva che aveva ragione.
Harry, dal canto suo, era disperato. - Professore, cosa sta succedendo? Io non capisco... - lo pregò. Voleva delle risposte. Voleva capire perché aveva delle visioni su Voldemort, i Mangiamorte, il serpente… ma Silente non lo degnò di uno sguardo.
Il vecchio mago andò da un ritratto all’altro parlando con i loro occupanti, fingendo che Harry non avesse parlato. Si rivolse a un mago dall’aria scaltra, la barba a punta, con abiti dai colori di Serpeverde. - Phineas! Ho bisogno che tu vada a visitare l’altro tuo ritratto a Grimmauld Place. Avverti che Arthur Weasley è gravemente ferito e che i Weasley, il signor Potter e la signorina Black arriveranno tramite Passaporta.
Phineas annuì, scivolò via dalla cornice e sparì, proprio nel momento in cui la porta dell’ufficio si apriva di nuovo. Ginny Weasley entrò seguita dalla professoressa McGranitt. Era sconvolta e sembrava pronta a scoppiare in lacrime.
- Harry, che cosa succede? - domandò Ginny, spaventata.
Harry ebbe un tuffo al cuore quando la vide. Avrebbe voluto stringerla fra le sue braccia, rassicurarla o dirle quanto le dispiaceva, ma non ebbe il coraggio di farlo. Si sentiva terribilmente in colpa per ciò che era successo.


Nel frattempo, al Ministero della Magia il mago Everard cercava di raggiungere l’Ufficio Misteri e nessuno sembrò accorgersi della sua presenza. Ovviamente quasi tutti i reparti erano deserti ma, anche se era già notte fonda, nell'Ufficio Auror erano rimasti Emily Tonks e Simon Clarke. Stavano lavorando al rapporto su una missione che Kingsley Shacklebolt gli aveva affidato a inizio settimana. E, come al solito, Simon continuava a distrarre Emily con le sue stupide battute.
Lo sentì sghignazzare da dietro un fascicolo, come tutte le volte che lo guardava severamente.
- Dovresti provare a lavorare in silenzio – lo rimproverò Emily.
Simon assunse un’espressione esageratamente triste. - Perché sei così dura con me?
Emily sospirò piano, scuotendo la testa. - Ti conviene finire quel rapporto prima di stasera, altrimenti giuro che te ne farò pentire, Clarke!
Simon finse di pensarci un attimo. - L’idea mi stuzzica... potrebbe essere interessante. Tu e io soli, in questo ufficio vuoto e appena illuminato… il brivido del proibito. Non ci metterei molto a sgomberare il tavolo, sai?
- Dovresti chiedere a Ophelia, sono certa che sarebbe interessata.
Simon non riuscì a trattenere una risata. Ophelia era una loro collega, con un corpo perfetto e facile da esplorare per il sesso opposto, ma non era decisamente quello che cercava Simon in una donna. Lui amava corteggiare una donna, conquistarla, invitarla a cena e magari regalarle una rosa rossa ad ogni appuntamento. Gli piaceva pensare che Emily fosse quella giusta, la donna con cui poteva immaginare di fare tutto questo. L’unica che voleva conquistare. Ophelia era tutto l’opposto di Emily Tonks.
Fu il turno di Simon di sospirare. - So che non potrai dirmi di no per sempre - disse, poi sorrise e scattò in piedi come una molla. - Vuoi un po’ di Whisky Incendiario?
- Simon – disse Emily, in tono di avvertimento.
- Hai ragione. Meglio un buon caffè – detto questo Simon andò verso la macchinetta del caffè e prese due tazzine. Era una delle poche invenzioni dei babbani che preferiva. - A meno che tu non voglia del tè o… me, magari.
Si voltò verso di lei, con gli angoli della bocca all'insù e il divertimento che gli increspava gli angoli degli occhi.
- Sei divertente, te lo concedo. Oggi stai dando il meglio di te.
Simon alzò le spalle, come per dire “ci ho provato” e si voltò di nuovo, concentrandosi nella preparazione del caffè ma Emily riuscì comunque a percepire il sorrisetto soddisfatto sulle sue labbra.
Quella era la sua quotidianità con Simon Clarke. La cosa buona era che le sue giornate in ufficio non erano mai state noiose da quando c’era lui… adorava battibeccare e resistere alle sue avance ed era bello sentirsi desiderati.
Di positivo c’era anche che Simon Clarke era un bell’uomo. Biondo, occhi blu, alto, atletico… un principe azzurro. E l’idea di trovarsi tra le sue braccia e fare follie tra le lenzuola la stuzzicava parecchio.
L’attenzione di Emily venne catturata inesorabilmente dal corpo del suo collega, in particolare dal suo fondo schiena. I pantaloni che indossava risaltavano perfettamente la forma delle sue natiche, stuzzicando l’immaginazione di Emily.
Lei si morse il labbro inferiore, immaginandolo completamente nudo.
- Lo so che mi stai guardando il sedere – scherzò lui, ancora di spalle, mentre tirava fuori dalla credenza un pacco di biscotti e li metteva su un vassoio.
Colta in flagrante, Emily soffocò un’imprecazione. - Non capisco cosa intendi.
Simon rispose lanciandole un sorriso malizioso. Questo fu sufficiente a farla arrossire.
Una volta terminato di preparare il caffè, Simon si avvicinò al tavolo con un vassoio pieno di biscotti. Emily approfittò dell’occasione per nascondere l’imbarazzo divorando qualche biscotto, ma non ci riuscì. Simon non smetteva di guardarla con quel sorrisetto malizioso e lei non riuscì a controllare un piccolo brivido che le passò tra le gambe.
- Che programmi hai per la vigilia di Natale?
Per poco Emily non si strozzò con un biscotto. - Perché?
Simon diventò serio. Niente più battute o doppi sensi. Solo i suoi occhioni blu puntati su quelli verdi di lei. - Mi chiedevo se magari ti andava di cenare con me. Per conoscerci meglio.
Lei trattenne il fiato. - Be’….
- Era da un po’ che volevo chiedertelo, in realtà. Ma tu non devi sentirti obbligata. Se non vuoi…
Emily esitò qualche istante prima di rispondere, augurandosi di sembrare meno agitata di quanto fosse. - Sì, penso che sia una buona idea.
Forse quella era l’occasione giusta per uscire da quell'ufficio e svagarsi un po’ e l’idea di un appuntamento con Simon le dava una bella sensazione. Era felice, emozionata, e non c’era da stupirsi che fosse nervosa all'idea di uscire con lui. Il suo ultimo appuntamento risaliva a tre o quattro anni prima. Non era più abituata al romanticismo, aveva avuto solo delle brevi avventure e non ne andava fiera. Forse per lei era arrivato il momento di ricominciare ad abituarsi a una relazione stabile e Simon Clarke poteva essere l’uomo giusto.
Un sorriso caldo, che andava da orecchio a orecchio, si allargò sul viso di Simon.
- Clarke! Tonks! - gridò Kingsley Shacklebolt dal corridoio. Spalancò la porta, aveva il respiro affannato. - È un’emergenza!
- Che succede? - chiese Simon, allarmato.
- Hanno trovato Arthur Weasley nell’ufficio Misteri. È in gravissime condizioni! Dobbiamo correre!
Emily impallidì. - Arthur? Oh mio Dio!
Corsero giù per le scale, veloci, fino a raggiungere Arthur Weasley.


- Silente!
Il mago di nome Everard era riapparso nel suo ritratto nell’ufficio del Preside.
- Allora? - chiese subito Silente.
- L’hanno trovato. Non ha un bell’aspetto, è coperto di sangue ma se la caverà – rispose un po’ ansante. - Lo hanno portato all’Ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche.
Ginny iniziò a singhiozzare.
La professoressa McGranitt la strinse forte a sé con fare materno. - Va tutto bene, cara. Tranquilla.
Harry si sentì sollevato e inquieto allo stesso tempo. Il signor Weasley era vivo, erano arrivati giusto in tempo. Ma il ricordo del sapore del suo sangue, di quelle urla di dolore e il silenzio che arrivò subito dopo lo fece sentire un mostro. Un assassino.
“Io ero il serpente”, si disse. “Volevo ucciderlo. Mi piaceva il sapore del sangue”.
- Non c’è un minuto da perdere – mormorò Silente, rovistando con foga in un cassetto. Ne riemerse reggendo un vecchio bollitore annerito, che posò con cautela sulla scrivania. Levò la bacchetta e mormorò – Portus! - Per un momento il bollitore tremolò, risplendendo di una strana luce blu; poi il tremito cessò e il bollitore tornò più nero e opaco di prima.
- Venite qui, presto – ordinò Silente ai ragazzi.
Harry e agli altri obbedirono senza fiatare, si raccolsero attorno alla sua scrivania.
- Spero che voi abbiate già usato una Passaporta – disse Silente; loro annuirono, ricordando l’anno prima alla Coppa del Mondo, e tesero la mano per toccare un punto del bollitore annerito. - Bene. Al mio tre, allora… uno… due…
Prima del ‘tre’, Harry guardò Silente e il limpido sguardo azzurro del Preside si spostò dalla Passaporta al suo viso.
All’improvviso la sua cicatrice bruciò come se la vecchia ferita si fosse riaperta… strinse la mano libera della sorella, cercando di reprimere quel dolore. Un inaspettato e involontario odio s’impadronì di lui, così intenso che per un instante non desiderò altro che colpire, mordere, affondare le zanne nell’uomo di fronte a lui…
Anche Ginevra stava guardando il Preside, cercando di capire cosa avesse in mente. Lui di certo sapeva il perché Harry aveva sognato il signor Weasley, era chiaro come il sole. Così chiaro che non voleva rivelarlo.
Altre bugie, altri segreti.
Da quando Silente le aveva rivelato la verità, lei provava solo tanto risentimento e tanto odio. Per quanto ancora, lei e Harry, dovevano restare nell’ignoranza? Quanti segreti nascondeva ancora il vecchio mago?
Per un breve istante lo sguardo di Silente cadde sulle dita intrecciate dei due fratelli e ciò che vide stuzzicò la sua curiosità, come aveva fatto il ricordo di James Potter anni prima. Era un piccolo bagliore ma pur sempre potente. Le loro mani erano avvolte da una strana energia, ma loro non sembrarono nemmeno accorgersene.
Doveva tenerli d’occhio. Studiarli, se necessario.
- ...tre.
Un istante dopo la terra svanì sotto i piedi dei ragazzi e la rabbia di Harry scemò un po’. Si sentiva disorientato, come se non fosse molto in sé. Si lasciò trascinare dal bollitore arrugginito verso un turbinio di colori e raffiche di vento, finché i loro piedi toccarono terra con tanta forza che le ginocchia gli cedettero e il bollitore cadde con uno schianto.*
- Padrona! - Kreacher, il vecchio elfo domestico, si precipitò verso Ginevra e l’aiutò a rialzarsi.
- Grazie, Kreacher – mugolò lei con un sorriso.
Si massaggiò la testa dolorante, aveva urtato qualcosa durante la caduta e sembrava che si fosse già formato un bel bernoccolo. Quando vide che anche Fred si stava massaggiando la testa capì la causa del suo bernoccolo.
I ragazzi si guardarono intorno, erano arrivati nella buia cucina nel seminterrato di Grimmauld Place numero dodici. Le uniche fonte di luce erano il focolare e una candela tremolante, che illuminavano i resti di una cena solitaria.*
Sirius corse loro incontro, preoccupato. - Che cosa succede? Phineas Nigellus mi ha detto che Arthur è stato gravemente ferito…
- Chiedi a Harry – disse Fred.
A quel punto, gli occhi di tutti erano fissi su Harry.
- Io… - cominciò Harry, ma quando incrociò gli occhi azzurri della sua ragazza abbassò subito lo sguardo. Non aveva nemmeno il coraggio di guardarla. - Ho avuto... una specie... di visione.
Raccontò ancora una volta tutto quello che aveva visto, modificando un po’ la storia dicendo che aveva assistito all’attacco da un lato della stanza, e non con gli occhi del serpente. Ron, che era ancora molto pallido, gli rivolse un’occhiata fugace, ma non disse nulla, così come Fred e George.
- Kreacher - ordinò Sirius, passandosi una mano sul volto stanco. - Trova Regulus e digli di venire subito qui.
L’elfo domestico fece un mezzo inchino e si smaterializzò.
Guardando i ragazzi Sirius sorrise appena. - Adesso tutti voi dovete stare tranquilli. Arthur è in buone mani e...
- Hai notizie di nostra madre? - sbottò Fred, interrompendolo.
- Probabilmente non sa ancora nulla – rispose Sirius. - Immagino che Silente abbia mandato qualcuno a dirle tutto.
- Dobbiamo andare al San Mungo – disse Ginny affannata. Guardò i fratelli; ovviamente erano ancora in pigiama, tranne George che indossava ancora la divisa di Grifondoro, ma non si chiese il perché. I suoi pensieri erano solo per il padre. - Sirius, puoi prestarci dei mantelli o qualcosa del genere?
- Aspetta, non potete andare al San Mungo adesso! - esclamò Sirius.
- Certo che possiamo, se vogliamo! - protestò Fred con espressione ostinata. - È nostro padre!
- E come farete a spiegare che sapevate che Arthur è stato aggredito ancora prima che l’ospedale abbia avvisato sua moglie?
- E che differenza fa? - domandò George, accalorandosi.
- Molta, perché non vogliamo far sapere che Harry vede cose che accadono a centinaia di chilometri da lui! - rispose Sirius, arrabbiato. - Avete idea di come il Ministero userebbe un’informazione del genere?
Le facce di Fred e George dicevano che a loro non importava nulla del Ministero. Ron era ancora cinereo e silenzioso.
Ginny disse: - Potremmo averlo saputo da qualcun altro… da qualcuno che non è Harry.
- E chi, per esempio? - ribatté Sirius con impazienza. - Sentite, vostro padre è stato ferito mentre lavorava per l’Ordine e le circostanze sono già abbastanza sospette senza che i suoi figli lo sappiano due secondi dopo: potreste danneggiare seriamente quello che l’Ordine…
- Chi se ne frega dell’Ordine! - gridò Fred.
- Papà sta morendo! - urlò George.
- Ti prego… non dire così – disse Ron, tremolante. Nessuno gli diede ascolto.
- Vostro padre sapeva quello che faceva e non vi ringrazierebbe se intralciaste i piani dell’Ordine! - anche Sirius alzò la voce.
- Vi prego, smettetela… - li implorò anche Ginny, quasi in lacrime.
Harry non riuscì più a trattenersi. Le andò subito incontro e l’abbracciò. Lei lo strinse forte e si lasciò sfuggire qualche lacrima, nascondendo il viso contro il suo petto.
- Va tutto bene – le bisbigliò, accarezzandole i capelli con dolcezza.
Si scambiò una veloce occhiata con la sorella, che cercava di tenere a bada quei tre e di porre fine alla discussione.
La giovane Black non aveva alcuna intenzione di schierarsi da una parte o dall’altra, perché per lei avevano ragione sia il padre che i suoi amici, ma la situazione stava peggiorando.
- Le cose stanno così… ecco perché voi non fate parte dell’Ordine… non capite… ci sono cose per cui vale la pena di morire!
- È facile dirlo per te, chiuso qui dentro! - urlò Fred. - Non mi pare che tu stia rischiando il collo!
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Ginevra s’interpose tra loro e urlò: - Adesso basta! State esagerando.
- Tu non ti impicciare. Non ti riguarda – ringhiò Fred.
- Mi riguarda eccome – ribatté lei. - So che non è facile, ma non è un buon motivo per prendertela con mio padre.
Per un momento sembrò che Fred volesse colpirla, ma strinse i pugni e iniziò a inveire contro di lei.
- Tu non sai proprio niente. Tuo padre è qui, al sicuro, e non fa niente dalla mattina alla sera. Mio padre, invece, è mezzo morto, steso in un letto d’ospedale. Quindi, non venirmi a dire quello che devo fare o con chi me la devo prendere. Tu non sai cosa si prova.
Nonostante le avesse urlato contro, Ginevra non si scompose, le braccia incrociate, sostenne il suo sguardo senza battere ciglio. Ma dentro di sé, tremava come una foglia. - Mi dispiace per quel che è successo… ma non litigherò con te.
A quel punto Sirius poggiò la mano sulla spalla della figlia, guardò i gemelli e prese la parola. - So che è difficile, ma dobbiamo agire tutti come se non sapessimo nulla. Dobbiamo stare qui almeno finché non abbiamo notizie di vostra madre, è chiaro?
Fred aveva ancora un’espressione ribelle, ma decise di rimanere in silenzio, così come suo fratello George, che preferì tacere piuttosto che prendersela con la ragazza. Ginny, invece, annuì lievemente, il viso era rigato da lacrime silenziose. Rimase abbracciata a Harry tutto il tempo, non lo lasciò nemmeno quando si sedettero. - Non lasciarmi – gli sussurrò sedendosi sulle sue ginocchia.
A quel punto Harry la strinse ancora più forte e le baciò la fronte. - Mai – mormorò dolcemente.
Nel frattempo i sensi di colpa lo divoravano.
Continuando a rivolgere occhiate furenti a Sirius, Fred si sedette accanto a suo fratello Ron, rassegnato.
Nel silenzio, si udì un crac. - Kreacher è tornato con padron Regulus, come richiesto - gracchiò.
Regulus entrò nella stanza tenendo per mano il vecchio elfo domestico. - Eccomi. Che succede?
Ginevra tirò un sospiro di sollievo e mise da parte ogni emozione che riguardava Fred. Odio, dispiacere, affetto… non le importava nulla in quel momento. Voleva solo parlare con suo zio. Soprattutto del ritorno del suo “ospite” indesiderato. Ma doveva attendere.
“Certo… prima le priorità”, sbottò la voce nella sua testa.
Ginevra la zittì immediatamente.
- Arthur è al San Mungo – sospirò Sirius. - È stato attaccato.
Regulus era sconcertato. - Come? Da chi?
Sirius spiegò brevemente l’accaduto, facendo intendere al fratello che avrebbero approfondito l’argomento in un altro momento.
Guardandosi intorno, Ginevra decise che non era il caso di rimanere con le mani in mano. Attraversò la cucina, spostandosi verso il ripiano in marmo dove iniziò ad armeggiare con un vecchio bollitore per preparare il tè.
Qualsiasi cosa pur di distrarsi e ignorare lo sguardo di Fred.
Non smetteva di fissarla e sembrava furioso.


Era molto tardi quando Emily raggiunse l’uscio di casa Weasley.
Bussò tre volte e, dopo pochi minuti, la padrona di casa aprì la porta. Era in vestaglia da notte, gli occhi pieni di lacrime.
- Allora è vero… - gemette la signora Weasley quando guardò la donna.
Emily, annuì, affranta e Molly si portò una mano davanti alla bocca soffocando un urlo. Iniziò a piangere e singhiozzare ed Emily provò a consolarla con un abbraccio.
- Oh, il mio povero Arthur – singhiozzò Molly.
Emily non chiese nemmeno come fosse già a conoscenza dell’accaduto, poiché sapeva che in casa Weasley vi era un orologio magico che mostrava dove si trovava ogni singolo membro della famiglia. Intuì che la signora Weasley aveva visto la lancetta del marito spostarsi su “pericolo mortale”.
- Lo abbiamo portato al San Mungo. I tuoi figli sanno già tutto, si trovano a Grimmauld Place. Ti spiegherò meglio più tardi.
La signora Weasley sciolse l’abbraccio e cercò di farsi forza. Asciugò le lacrime e tornò in casa. Prese penna e calamaio e iniziò a scrivere una lettera per i suoi figli. Poche righe, ma sapeva che sarebbero bastate per tranquillizzarli.
Dopodiché tirò fuori la bacchetta e con la punta tocco la lettera facendola sparire subito dopo.
Una volta tornata all’ingresso, si rivolse nuovamente alla donna che l’attendeva pazientemente fuori. - Portami da lui, Emily – la pregò, evocando subito dopo un cappotto e un cappello che indossò in fretta e furia. Era tutto ciò che le occorreva per raggiungere il marito.
Emily le sorrise dolcemente. - Sono qui a posta. Andiamo – le tese la mano e Molly la prese senza pensarci un minuto in più.
Erano pronte a smaterializzarsi.


La lettera raggiunse immediatamente la cucina di Grimmauld Place e, tra esclamazioni di sorpresa da parte dei presenti, cadde sul tavolo.
Sirius afferrò la pergamena. - Dev’essere un messaggio di vostra madre… tieni…
Lanciò la lettera tra le mani di George, che la aprì e lesse ad alta voce: - Papà è ancora vivo. Sto andando al San Mungo. Restate dove siete. Vi darò notizie appena posso. Mamma.
George guardò gli altri.
- Ancora vivo… - ripeté lentamente. - Ma se dice così…
Non finì la frase. Fred gli sfilò la pergamena dalle mani e la rilesse da solo, poi guardò Harry, che stringeva ancora tra le braccia la piccola Ginny.
- Sospeso tra la vita e la morte... – sibilò Fred, stringendo la lettera tra le dita.
Harry sentì il suo sguardo perforargli la nuca. Se aveva mai passato una notte più lunga di quella, non lo ricordava.
- Si è fatto tardi – esclamò Sirius a un certo punto. - Credo sia meglio che andiate tutti a dormire.
Lo disse senza la minima convinzione, sapeva che nessuno avrebbe accettato quel suggerimento. Infatti, gli sguardi disgustati dei Weasley furono una risposta sufficiente per lui. Rimasero seduti attorno al tavolo in silenzio, mentre Ginevra e Kreacher distribuivano il tè a ognuno di loro.
Il tempo sembrava non passare mai.
Guardare lo stoppino della candela che affondava sempre più nella cera liquida era l’unico passatempo in quella stanza semibuia, i fratelli Weasley parlavano solo per chiedere l’ora e per rassicurarsi a vicenda che se ci fossero state brutte notizie le avrebbero sapute, perché la signora Weasley doveva essere già arrivata al San Mungo da un pezzo.*
Fred si appisolò, con la testa che ciondolava sulla spalla. Ginny e Harry erano ancora abbracciati, non avevano alcuna intenzione di separarsi. Ron era seduto con il capo fra le mani. Regulus e Sirius si guardavano di tanto in tanto, sentendosi degli intrusi nel dolore della famiglia, così come Harry e la sorella, che era l’unica in piedi, con la schiena appoggiata allo stipite della porta.
Guardava suo zio, impaziente di parlargli fin da quando era entrato in casa.
Non poteva resistere un minuto di più, così provò a comunicare con lui tramite i pensieri.
“Dobbiamo parlare”, iniziò lei.
“C’entri qualcosa con quello che è successo?”, chiese la voce calda e profonda di Regulus.
“No, ma ti racconto dopo”, tagliò corto Ginevra.
Lui non la guardava. Stava sorridendo al vecchio elfo che sorseggiava il suo tè caldo tutto contento, seduto su una sedia con le gambe a penzoloni. Sembrava un bambino.
Se non fosse stato per la preoccupazione, avrebbe sorriso anche lei davanti a quella tenerezza.
“È tornata”, si limitò a dire.
L’espressione di Regulus mutò immediatamente. Spalancò gli occhi, alzò le sopracciglia e la bocca si aprì appena. Aveva capito a chi si stava riferendo la nipote, ma non capiva come mai gli fosse sfuggito un dettaglio così importante.
“Cosa? Quando? Pensavo che ci fossimo liberati di quella cosa!”.
Ma fu una terza voce a rispondere. “Be’, non volevo uscire di scena senza combattere”.
“Che cosa vuoi?”, Regulus era furioso.
“Ahm… Vivere, magari? E poi non sono mai andata via! Mi piace stare qui e non ho alcuna intenzione di andarmene”, ribatté la voce, cocciuta.
“È passato solo un giorno e vorrei staccarmi la testa”, borbottò Ginevra, esasperata.
Regulus era spaventato e non si preoccupò di nasconderlo alla ragazza. “Devi stare attenta. Non farti soggiogare da lei, non puoi fidarti. Vuole solo impossessarsi del tuo corpo. Controlla le tue emozioni, tienila fuori dalla tua testa”.
“Uffa, la fai sembrare una tragedia greca”, borbottò l’entità oscura. “Non sto facendo niente di male! Voglio solo fare amicizia… Tu no, bel faccino?”.
“Taci!”, le intimò Ginevra. Poi si rivolse a Regulus: “Dobbiamo fare qualcosa”.
“Ci sto pensando. Ci sto pensando… Dovrò consultare qualche libro, ma sarà difficile dato che gli incantesimi che le ho lanciato negli ultimi anni non le hanno fatto nulla!”.
“Ehi, guardate che io vi sento. Sono qui!”, protestò l’entità oscura. “Non siete molto svegli, vero?”.
Dal brivido che provò in quell’istante, Ginevra capì che l’entità era divertita e la cosa la mandava in bestia.
Regulus si limitò a dire: “Ne parliamo dopo”.
E fu in quel momento che la conversazione finì, ma l’entità oscura continuò a parlare con la ragazza anche se non riceveva alcuna risposta.
“Non capisco perché vuoi liberarti di me”, diceva con finta innocenza. “ Certo, ho provato a prendere il controllo più volte, ma ho imparato la lezione… Lo giu-no, meglio non giurare”.
“Sei insopportabile! Potresti stare zitta per cinque minuti?”, Ginevra era esasperata.
“Va bene, starò zitta. Però ammettilo: io ti piaccio”.
“No. Per niente”.
“Be’, imparerai ad amarmi”, ribatté lei. Dopodiché, vi fu il silenzio assoluto.








|Simon Clarke è Bradley James|

*Da “Harry Potter e l'Ordine della Fenice – Capitolo 22 - L’ospedale San Mungo per malattie e ferite magiche (alcune parti sono modificate)”.


ANGOLO AUTRICE:
CIAO A TUTTI!
Come state? Spero bene.
Vi ringrazio, come sempre, per essere arrivati fin qui! (Non capisco perché continuiate a sopportarmi MA VI RINGRAZIO! SIETE TANTO CARINI E COCCOLOSI).
So che come capitolo non è un granché ma l’ho dovuto anche dividere. In realtà dovevano essere 18 pagine ma le ho fatte diventare 10. Spero che vi sia piaciuto e che leggerete anche il prossimo capitolo (che sto terminando di scrivere, quindi penso che uscirà a breve).
Detto questo… non mi resta che salutarvi! 
Ciao ciao ◠‿◠
18Ginny18

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 – DICHIARAZIONI E CIOCCOLATA ***


Capitolo 20 – Dichiarazioni e cioccolata

Erano le cinque del mattino quando Regulus sentì bussare alla porta d'ingresso. Non era riuscito a prendere sonno, preoccupato com'era per la situazione in cui si trovavano lui e sua nipote. Doveva trova una soluzione, ma non era facile. Aveva esaurito tutte le idee.
Poi la sua mente andò ad Arthur Weasley. "Spero stia bene. È un brav'uomo", pensò tra sé e sé.
Andò subito ad aprire la porta, trovandosi davanti a due donne. Erano la signora Weasley e Emily Tonks.
- Molly! Come sta Arthur? - chiese Regulus, sollevato, invitando le due donne ad entrare in casa.
Chiuse la porta d'ingresso. Poi, quando posò il suo sguardo su Emily, gli venne un lampo di genio. Un tempo, quella pazza di sua cugina Bellatrix aveva molti libri sulla magia oscura. Ricordava un libro in particolare che, forse, poteva fare al caso suo. Ma, quando Bellatrix venne arrestata, il Ministero della Magia si appropriò di libri, amuleti, pozioni... Ogni cosa. Forse, con l'aiuto di Emily, avrebbe potuto recuperare facilmente il libro che gli serviva dall'archivio del Ministero.
Doveva aiutare Ginevra a liberarsi di quella bestia oscura nella sua testa, a qualunque costo.
- Guarirà – assicurò la signora Weasley, distogliendolo dai suoi pensieri. Sembrava sfinita. - Sta dormendo. Ora c'è Bill con lui. - Poi sorrise. - Grazie per aver ospitato i miei figli. Non so come ringraziare te e Sirius.
- Non preoccuparti. Per noi è un piacere. I ragazzi sono in cucina, sono rimasti svegli tutta la notte.
La signora Weasley non se lo lasciò ripetere due volte e scese nel seminterrato per raggiungere la cucina e riabbracciare i figli. Emily stava per seguirla, ma Regulus le bloccò il braccio. - Dobbiamo parlare – disse in tono secco.
Lei roteò gli occhi. - Ciao anche a te, Black – sussurrò lei, sommessamente. Sembrava stanca, ma sorrideva. - Di cosa vuoi parlare?
- Vieni con me.
Il suo tono era deciso e serio. Tenendola per mano, salirono le scale fino al quarto piano.
Una volta entrati nella camera dell'ex Serpeverde, egli richiuse la porta, sigillandola con un incantesimo nonostante le proteste di Emily.
- Si può sapere perché tanti segreti? - chiese sedendosi ai piedi del letto di lui.
Si guardò intorno. Non era mai stata nella sua camera, ma era come l'aveva sempre immaginata: perfettamente ordinata, luminosa e piena di libri. Infatti, ogni muro della stanza era completamente occupato da scaffali su scaffali di libri. Era più fornito di un negozio.
"Sono nella camera di Regulus Black e sono seduta sul suo letto! Qualcuno mi dia un pizzico", Emily si sentiva come un'adolescente nella camera del suo primo amore. Ma sapeva che tutte le fantasie che lo riguardavano fin da quando avevano quattordici anni non si sarebbero mai avverate. L'uomo che aveva davanti la odiava a morte e non sapeva nemmeno il perché.
- Ho bisogno del tuo aiuto – disse Regulus, con tono calmo.
Emily sgranò gli occhi, sorpresa. - Regulus Black vuole che io lo aiuti?
Lui sbuffò, un po' infastidito dal tono che lei aveva usato. - È così strano che io chieda aiuto?
- Sì – rispose lei senza pensarci. - Io e tu siamo come cane e gatto, ricordi? E poi tu hai sempre rifiutato il mio aiuto. Anche quando eravamo a Hogwarts!
Regulus aggrottò leggermente la fronte. - Ti sembra questo il momento di parlarne?
Quello che avrebbe voluto rispondere Emily era: "Sì. Voglio capire perché mi odi, quando invece io ti amo", ma in realtà la sua risposta fu un tantino diversa: - Hai ragione... In cosa posso aiutarti?
- Ho bisogno che mi procuri un libro molto importante. Si tratta di... magia oscura.
Emily scattò in piedi. - Ma sei pazzo? Avevi detto che avevi chiuso con...
- Calmati. Non è quello che credi – si apprestò a dire lui. - Riguarda una missione molto importante che Silente mi ha affidato molti anni fa – Emily tornò a sedersi. - Ho provato e riprovato, ma non trovo soluzioni... Forse il libro che cerco è al Ministero e tu sei l'unica di cui mi fidi.
Il cuore di Emily perse un battito. - Ti fidi di me?
Regulus le sorrise, un sorriso spontaneo e caldo come quello di Simon. Ma Regulus Black era Regulus Black e lei amava quel sorriso. Be', non solo quello...
"Sento che sto per sciogliermi se si avvicina ancora", pensò.
- Perché questo tono sorpreso? Sei una ragazza in gamba, nonostante tu sia una Tassorosso...
Lo sguardo nei suoi occhi era audace, giocoso e pieno di qualcosa che lei non riuscì a cogliere.
Emily sorrise a sua volta e gli diede un colpetto sul braccio. - Va bene, voglio crederti – sospirò. - Sai come si chiama il libro?
- No... Ma credo che fosse nella collezione privata di quella pazza di mia cugina Bellatrix – disse con tono pieno di disgusto. - Tu sei l'unica che può raggiungere l'archivio. Gli Auror hanno sequestrato tutto quando è stata arrestata. Ti giuro che non te lo chiederei se non fosse importante.
Emily lo guardò dritto negli occhi e annuì. - Lo so – disse, per poi alzarsi per andare via. - Spero solo che tu sappia quello che fai.
Scuotendo la testa divertito, lui rispose: - Io so sempre quello che faccio. - Poi accorciò le distanze e le diede un piccolo bacio sul naso, lasciandola incredula. - Ma non posso dire lo stesso di te – si apprestò ad aggiungere.
Lei, però, non gli diede ascolto.
"Sto per sciogliermi come la neve al sole", pensò, tremante di emozione.
Non era abituata a quei gesti da parte sua e non si accorse della frecciatina che le era stata lanciata. Stava iniziando a chiedersi se quello che aveva davanti era davvero Regulus Black.
Prima di aprire la porta, Regulus si voltò verso di lei. - Dovremmo uscire una di queste sere. Magari una cena... per ringraziarti dell'aiuto – disse.
- Mi... Mi stai chiedendo... di uscire? - La gola divenne improvvisamente secca come il deserto del Sahara.
- Mi risponderesti di sì, se te lo chiedessi direttamente? - Regulus era spaventato dalla risposta che avrebbe ricevuto. Avrebbe voluto gridare, ma mantenne la sua impeccabile compostezza, come sempre d'altronde.
Per una volta aveva deciso di buttarsi.
"Si vive una volta sola. Adesso o mai più", pensò tra sé e sé.
Nel frattempo il cuore di Emily faceva le capriole e sembrava pronto a uscirle dal petto.
"Ok, Emily. Datti un contegno", si intimò lei. " Non sei mica un'adolescente! Respira. Respira".
- Perché non provi?
Cominciò a mordersi il labbro inferiore.
Regulus avanzò di un solo passo verso di lei, subito investito dal suo inebriante e dolce profumo. Abbassò lo sguardo sulle sue labbra, rimanendo completamente folgorato dalla sua bellezza. Avrebbe voluto assaggiarle e perdersi in un lungo bacio, accarezzare ogni centimetro di quel corpo perfetto fasciato da quel tubino nero che indossava. Per lui era una vera tortura dover resistere alla tentazione.
Fece un profondo respiro e pregò con tutto sé stesso di non ricevere un rifiuto. - Verresti a cena con me? - domandò. E lei, senza pensarci un solo istante, annuì.
- Con molto piacere, Black.


Quel sabato mattina fu molto silenzioso a Grimmauld Place. Dormivano tutti, tranne Harry che, seduto sul suo letto nella camera che lui e Ron avevano condiviso nelle ultime settimane dell'estate, scarabocchiava su un taccuino che aveva lasciato lì prima della partenza per Hogwarts. Era deciso a rimanere sveglio perché aveva paura di tornare a essere il serpente e scoprire, al risveglio, di aver attaccato Ron o di essere strisciato per la casa a caccia di uno degli altri... *
Harry guardò il suo migliore amico dormire serenamente, ripesando a ciò che gli aveva detto poche ore prima, all'arrivo della signora Weasley. "Sta bene e più tardi potremo andare a trovarlo", aveva detto quest'ultima ai figli.
Subito dopo Ron corse ad abbracciare Harry e lo strinse forte. "Grazie. Grazie per averlo salvato", gli aveva sussurrato all'orecchio.
Sembrava davvero felice e sollevato. Harry aveva ricambiato l'abbraccio, anche se goffamente, provando a sorridere ma sapeva di non meritare tutta quella gratitudine.
"Io volevo ucciderlo, Ron. Stavo per farlo!", avrebbe voluto urlare quelle parole, ma si limitò a pensarle nonostante si sentisse un mostro.
La porta della stanza si aprì leggermente, scricchiolando, e una chioma scura fece capolino.
Harry si sdraiò subito sul letto e chiuse gli occhi, cercando di assumere una posa rilassata.
Qualcuno entrò nella stanza, sedendosi sul suo letto. Poco dopo, con tocco delicato, gli scostò i capelli ribelli dal viso. - Harry – disse piano Ginevra. - Lo so che non stai dormendo.
Harry aprì gli occhi, accennando un mezzo sorriso. - Come facevi a saperlo? - chiese.
Lei si limitò a fare spallucce. - Ti conosco. E poi neanch'io riesco a dormire, così ho pensato che potevo passare un po' di tempo con te.
- Temo che non sarei di buona compagnia.
- Perché non lasci che sia io a giudicare? Magari davanti a dei biscotti con le gocce di cioccolato? - tentò lei, sorridendo.
Conosceva i suoi punti deboli.
Con gli occhi rivolti al soffitto, Harry sospirò. - Va bene.
Lei sorrise compiaciuta e, insieme, uscirono dalla stanza con passo felpato per non svegliare Ron che, in quel momento, abbracciava il suo cuscino.
- Andiamo – sussurrò Ginevra dirigendosi verso la scale. Una volta raggiunta la cucina, Ginevra prese la scatola dei biscotti dalla credenza e lasciò il coperchio aperto, il fratello non esitò un'istante e ne addentò uno.
- Ti va della cioccolata calda? - domandò lei. - Con la panna?
Harry sorrise. - Una bella cioccolata calda non guasta mai.
- Tu siediti e lascia fare a me.
Harry fece come richiesto. Lei, invece, prese un pentolino e accese il fuoco, lasciando sciogliere una tavoletta di cioccolato insieme al latte per poi aggiungere lo zucchero e mescolare energicamente per qualche minuto fino ad ottenere una consistenza densa e cremosa.
Non passò molto tempo che l'odore della cioccolata si diffuse in tutta la stanza. Ginevra prese due tazze, collocandole sul tavolo per poi versarvi la cioccolata e ricoprire con un po' di panna montata e un pizzico di cannella.
- Ecco qua. Il signore è servito – scherzò lei, passandogli la tazza di cioccolata.
Harry si beò del piacevole calore della tazza tra le sue mani. Era bello, per una volta, sentirsi coccolati e non pensare ai problemi.
Sorseggiò la cioccolata ancora fumante, scottandosi un po' la lingua. - Ahi! - esclamò. - Brucia! Brucia!
Davanti a quella reazione Ginevra scoppiò a ridere.
- Perché ridi? Guarda che fa malissimo – ribatté Harry infastidito.
- Rido perché è divertente.
- Io non mi diverto affatto.
- No, io rido perché ho capito da chi hai preso – continuò lei, smettendo pian piano di ridere. - Una volta papà mi ha detto che anche nostra madre amava la cioccolata – disse in tono allegro. - Si scottava sempre la lingua perché non riusciva a resistere all'odore. Proprio come te.
Harry non riuscì a trattenere un sorriso. Era felice quando qualcuno diceva che era uguale ai suoi genitori: "Hai gli occhi di tua madre", "Sei identico a James", "Hai lo stesso talento per i guai di tuo padre!". Era bello sapere che anche un piccolo dettaglio come quello lo rendesse simile a sua madre.
Entrambi i ragazzi ignoravano che Sirius, attirato dal dolce profumo di cioccolato, fosse sceso in cucina e che, da dietro la porta, aveva iniziato ad origliare la conversazione con un tuffo al cuore.
- Ricordi com'era? La mamma... - chiese Harry, curioso e desideroso di sapere il più possibile su di lei. - A casa dei Dursley ho alcune foto, ma non è la stessa cosa. Io non ricordo quasi niente – ammise con rammarico.
- Be'... - iniziò lei, impacciata. Non voleva rivelargli che in fondo al baule teneva un'ampolla con i ricordi di sua madre. Gli unici a saperlo erano Silente, Remus e Regulus ma, anche se poteva sembrare egoista da parte sua, non si sentiva di condividere quei momenti con Harry. Preservava quei ricordi gelosamente, come se fosse la custode dell’amore segreto tra i suoi genitori. - Ricordo il suo profumo, la sua voce e la ninnananna che cantava per farci addormentare. Ma anch'io ho una sua foto – disse.
Dalla tasca della gonna della divisa di Grifondoro tirò fuori una foto dai colori sbiaditi dal tempo. Era un regalo di Natale che fino a quel momento aveva tenuto per sé. La foto era magica, raffigurava due ragazzi. Lei aveva i capelli rossi e lui neri, ridevano abbracciati l'uno all'altra. Prima di farla vedere al fratello, Ginevra sorrise. "Erano bellissimi", pensò.
- Credo avessero sedici anni in questa foto - aggiunse Ginevra dando un sorso alla sua cioccolata.
- La mamma era davvero bella. Sembravano... felici – disse Harry esaminando la foto. Sorrideva, ma non poteva ignorare la delusione che provava in quel momento. Avrebbe voluto che nella foto ci fosse suo padre, al posto di Sirius, ma infondo Harry era felice che si fossero amati così tanto da trasformare tutto quell'amore in un bambino. Senza quell'amore non avrebbe mai avuto una sorella.
Dietro la foto c'era una dedica e Harry riconobbe la calligrafia del suo padrino.
A te che rallegri le mie giornate.
Ogni istante della mia vita anche con il più piccolo gesto, grazie.
Grazie di esistere, amore mio.
Sir.
- Non pensavo che Sirius potesse essere così sdolcinato – aggiunse il ragazzo sopravvissuto restituendo la foto alla ragazza. Poi prese un sorso della sua bevanda e, quando posò nuovamente la tazza sul tavolo, scatenò l'ilarità della sorella.
- Oggi stai ridendo un po' troppo... Cosa c'è di tanto divertente? - sbottò lui, confuso dal suo atteggiamento.
- Mi piacciono i tuoi baffi di panna e cioccolata. Ti stanno molto bene – disse, cercando di trattenere le risate.
- Ah ah. Molto divertente. Anche tu sei un po' sporca, sai?
Ginevra spalancò gli occhi. - Davvero?
- Sì - Harry si asciugò la panna dai baffi con il dito.
Quando Ginevra capì cosa aveva intenzione di fare, era troppo tardi. - Non osare – lo minacciò, lasciandosi sfuggire una risatina.
- Proprio... QUI! - Harry trasferì la panna sul viso di lei, sporcandola.
- Questa me la paghi, Potter!
Lui sogghignò. - Oh, io invece credo che siamo pari, Black – ribatté.
Divertito da quella scenetta, Sirius rivide se stesso insieme a James: due amici seduti a un tavolo a prendersi gioco l'uno dell'altro proprio come fratelli, tracannando vodka e whisky incendiario.
Harry somigliava molto al padre, sia nell'aspetto che nei modi di fare. Erano praticamente uguali, ma James era inimitabile.
- Mi manchi, Ramoso – sussurrò Sirius. Sbatté più volte le palpebre, ricacciando indietro le lacrime che minacciavano di uscire.
Lanciando un'ultima occhiata ai due ragazzi in cucina, Sirius decise di non disturbare quella bella atmosfera tra fratelli. Fece dietrofront e tornò in camera, un sorriso malinconico gli incurvò le labbra. - Eccome se mi manchi, vecchia canaglia.
Una voce flebile nella sua testa rispose. - Mi manchi anche tu, cane rognoso. 


Nel pomeriggio i Weasley erano pronti a raggiungere il San Mungo, scortati da Emily, Nymphadora e Malocchio. I ragazzi non vedevano l'ora di rivedere il padre e, con molta insistenza, chiesero a Harry di andare con loro. "- Arthur ci terrebbe molto a ringraziarti di persona, Harry caro" furono le parole della signora Weasley che, da quando era arrivata a Grimmauld Place, non aveva fatto altro che abbracciarlo e ringraziarlo tutto il tempo.
A quel punto Harry non poté sottrarsi, ma aveva bisogno di sostegno. Pregò la sorellastra di accompagnarlo, aveva bisogno di lei e della sua forza per affrontare quel momento.
Una volta lasciata la residenza dei Black, il gruppo attraversò la città di Londra mimetizzandosi tra i babbani.
Sirius e Regulus, invece, restarono a Grimmauld Place e questo era una vera tortura per entrambi.
Regulus camminava avanti e indietro per il soggiorno, con aria pensierosa. Il fratello, invece, leggeva un libro, sdraiato sul divano. La madre non avrebbe mai approvato quella posizione poco decorosa del figlio. Dopotutto Sirius era sempre stata una spina nel fianco, la pecora nera della famiglia. Anche a distanza di anni, non gli importava cosa o come si dovesse comportare un gentiluomo. Doveva portare avanti la sua reputazione.
Regulus era molto indeciso se confessare al fratello ciò che era successo mesi prima, quando aveva cancellato quel Cedric Diggory dalla memoria di Ginevra. Si tormentava da mesi senza sapere come parlargliene.
Adesso erano soli, quale momento migliore? Ma da dove poteva cominciare?
"Sir... Ho cancellato la memoria a tua figlia! No, così non va bene... Ehi, fratellone. Ho cancellato la memoria di tua figlia, ma l'ho fatto per il suo bene. Comunque adesso è tornata l'entità oscura nella sua testa, sta cercando di prendere il controllo. In realtà non è mai andata via... Ma niente di preoccupante! La tengo d'occhio io. Tranquillo...".
Per quanto ci provasse non riusciva a trovare le parole giuste da usare.
- Da come guardi il pavimento, mi viene da pensare che te ne sei innamorato – borbottò Sirius senza staccare gli occhi dalle pagine del suo libro.
Cercava di attirare la sua attenzione, ma Regulus restò in silenzio.
Pareva assente.
- Ehi – lo chiamo Sirius. - Sto parlando con te, idiota!
- Magari martedì - disse, distratto.
Gli occhi di Sirius scattarono subito verso di lui. Mise da parte il libro e aggrottò la fronte. - Martedì? Ma che cavolo... Sei ubriaco? - domandò, mettendosi seduto.
Regulus non rispose.
A quel punto, spazientito, Sirius si alzò di scatto e lo colpì alla testa con il libro.
- Ahia! Ma perché mi hai colpito? - chiese Regulus massaggiandosi la nuca.
- Ma che ti prende? Sono ore che parlo da solo!
Regulus sospirò rassegnato. Era arrivato il momento. "S'incazzerà come una belva". - Devo dirti una cosa.
Sirius gli sorrise e allargò le braccia. - Sono tutto orecchi, fratellino.
- È meglio se ti siedi – gli suggerì.
Il sorriso di Sirius svanì in un secondo, come se qualcuno lo avesse cancellato con un colpo di spugna. La sua espressione divenne sospettosa e circospetta. - Sei incinto?
- Smettila di dire idiozie. Ti prego, siediti.
Sedettero entrambi sul divano, fianco a fianco. Sirius guardava il fratello con un sopracciglio alzato. - Inizi a spaventarmi. Che c'è? Che succede?
Il silenzio che seguì durò solo qualche secondo, ma per Regulus sembravano ore.
Fece un respiro profondo e, armatosi di coraggio, parlò. - Ho... cancellato una parte dei ricordi di tua figlia.
- Tu cosa? - ringhiò Sirius guardandolo dritto negli occhi.
Quell'aria ostile lo intimidiva, ma parlò con tono deciso. - L'ho fatto per il suo bene. Quel ragazzo... Quel Cedric, era diventato un vero tormento per lei.
Gli raccontò per filo e per segno ogni cosa, senza tralasciare il minimo dettaglio. Raccontò i sogni di Ginevra che in un attimo mutavano sempre in incubi, dell'entità oscura dentro di lei che approfittava del suo dolore per impadronirsi di lei. Del dolore che provava, degli occhi incavati e il viso sciupato che mostrava tutte le mattine e di tutte le volte che si chiudeva in bagno, a piangere.
Con lo sguardo basso, Sirius rimase in ascolto.
Era furioso con se stesso e si sentì a pezzi per tutto il dolore che aveva provato la sua bambina. Avrebbe voluto essere al suo fianco. Avrebbe voluto sapere prima e aiutarla, starle vicino. Sirius conosceva la profondità del suo dolore, sapeva cosa voleva dire perdere qualcuno. Lui amava ancora Lily, sentiva la sua mancanza anche se il loro amore era finito da tempo ma, soprattutto, sentiva la mancanza di James. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di vederli un'ultima volta, abbracciali e dir loro addio.
Guardandolo, Regulus si passò una mano nella massa arruffata dei capelli neri. Il cuore gli si strinse nel petto. Temeva di aver commesso un errore. Forse avrebbe dovuto parlargliene subito, senza indugiare.
- Io non sopportavo di vederla in quello stato – continuò, con voce tremante. - Cancellare quel ragazzo dalla sua mente era l'unico modo per aiutarla. Lei voleva dimenticare e quella era l'occasione giusta per aiutarla.
Sirius lo fissava, incredulo e rigido. - Perché non me ne hai parlato prima? - domandò, con grande freddezza.
- Non ho ho avuto l'occasione – confessò Regulus con tono pacato. - Preferivo parlarne faccia a faccia. Avevo pensato di parlartene attraverso gli specchi gemelli, ma temevo che qualcuno potesse ascoltare.
Sirius si passò una mano sul viso. Iniziò a battere il piede per terra, facendo tremare anche il divano. - Non ricorda più nulla?
Dal tono che aveva usato, Regulus capì a cosa si stava riferendo. - Ho cancellato soltanto il suo affetto per lui. Ricorda che erano amici... ma non che stavano insieme – spiegò. - Quello che è successo quando è stata rapita... lo ricorda.
Sirius annuì greve.
I loro sguardi si incrociarono e si fissarono l'uno nell'altro.
- Lo sa qualcun altro?
Regulus scosse la testa. - Nessuno.
- Ma potrebbe ricordare. Ci hai pensato? - gli chiese Sirius. - Tutti i suoi amici sanno che lei e questo povero ragazzo erano una coppia. Qualcuno potrebbe dire qualcosa e lei...
- Non preoccuparti. Nessuno osa nominarlo davanti a lei – rispose Regulus.
Poi un ampio sorriso gli si allargò in volto. - Harry è il primo che fulmina con lo sguardo chiunque ci provi.
Sirius venne contagiato da quel sorriso. Era felice che quei due andassero tanto d'accordo.
- Speriamo vada tutto bene – sospirò infine.




*Da "Harry Potter e l'Ordine della Fenice – Capitolo 22 - L'Ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche (alcune parti sono modificate)".
|Emily Tonks è Scarlett Johansson|
|Regulus Black è Ian Somerhalder|
|Regulus Black è Ian Somerhalder|



 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 - TI AMO ***


Capitolo 21 – Ti amo

Una volta superato l’ingresso del San Mungo, i Weasley si trovavano in quella che sembrava una grande sala di accettazione, con file di maghi e streghe seduti su traballanti sedie di legno, alcuni di loro erano dall’aspetto perfettamente normale, intenti a sfogliare vecchie copie del Settimanale delle streghe, altri affetti da orrende deformità, tipo zampe da elefante o mani supplementari che spuntavano dal torace. Maghi e streghe in vesti verde acido andavano su e giù per le file di sedie, facendo loro domande e prendendo appunti su blocchi.*
Ginevra rabbrividì.
La sua fronte si velò di sudore freddo.
Era già stata in quell’ospedale tempo prima e, di certo, per lei non era come l’infermeria di Madama Chips. Poteva definire i due luoghi come inferno e paradiso.
- Hai l’aria di una che vuole darsela a gambe – ironizzò George affiancandola.
Gli rispose con un debole sorriso. - Cosa te lo fa pensare?
Lui alzò un sopracciglio e le rivolse un ghigno. - Ricordo quando siamo venuti a trovarti qui, quando avevi otto anni. Ti eri rotta una gamba e credo che ti uscisse anche il sangue dal naso perché, ora che ci penso, eri una visione paradisiaca con quei tappi nel naso.
Ginevra gli diede un colpetto sulla spalla. - Smettila di prendermi in giro. Quella è stata una brutta esperienza, soprattutto perché quella Guaritrice antipatica sembrava divertirsi un mondo nel vedermi soffrire!
George ridacchiò, poi il suo sorriso si affievolì. - Mi hai messo davvero paura quel giorno – ammise dopo un breve silenzio. - Temevo di averti persa.
Il cuore di lei sembrò perdere un battito.
Il ricordo di quella piovosa giornata di luglio si fece strada nella mente del ragazzo. Insieme al gemello e Ginevra trasportavano tutto il necessario per costruire quella che sarebbe diventata la loro casa sull’albero.
Quando i due fratelli salirono in cima Ginevra provò a salire a sua volta la vecchia scala a pioli, ma il suo piede scivolò e, incapace di reggersi a qualcosa se non allo scatolone che aveva tra le mani, precipitò e cadde al suolo.
Era quasi svenuta quando i gemelli si precipitarono a soccorrerla. Erano terrorizzati, ma non esitarono un’istante ad agire; Fred corse a chiamare aiuto. George, invece, restò al suo fianco fino all’arrivo di Bill che la portò in casa dove Andromeda, la zia di Ginevra, attendeva con impazienza. Poi la portarono al San Mungo, d’urgenza.
- Per fortuna che è andato tutto bene alla fine – sospirò George cercando di scacciare quei brutti ricordi.
Rendendosi conto che il dialogo aveva preso una piega piuttosto malinconica, provò a fare una battuta ironica su uno dei pazienti seduti lì accanto. Ginevra si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia, lasciandolo senza fiato per la sorpresa.
- Via quell’espressione triste. Non vorrai che tuo padre ti veda così!
- Di qua! - gridò la signora Weasley e tutti la seguirono oltre la doppia porta lungo tutto lo stretto corridoio in cui erano allineati alcuni ritratti di famosi Guaritori.*
- Andiamo – disse Ginevra, prendendolo a braccetto con un sorriso.
George avvicinò le labbra al suo orecchio. - Sono felice che tu sia qui – sussurrò, provocandole dei brividi.
Ricambiò il bacio sulla guancia e lei sorrise, mordendosi il labbro inferiore.
Una rampa di scale li condusse al corridoio delle Lesioni da creature. La seconda porta a destra recava la dicitura: Reparto Dai ‘Dinamite’ Llewellyn: morsi gravi. Sotto, un cartellino in una cornice di bronzo, c’era scritto a mano: Guaritore Responsabile: Ippocrate Smethwyck. Tirocinante: Augustus Pye.
- Noi aspettiamo fuori, Molly – disse Nymphadora. - È meglio che Arthur non veda troppa gente in una volta… Prima la famiglia.
- Oh, non dire sciocchezze, cara – borbottò la signora Weasley prendendola a braccetto. - Sei praticamente mia nuora! Tu sei parte della famiglia!
Nymphadora parve esitare e il colore dei suoi capelli cambiò in un’istante: da rosa cicca a rosso intenso. - Ma io…
- Resterò io di guardia. - Malocchio ringhiò la sua approvazione e si appoggiò al muro, mentre il suo occhio magico roteava in tutte le direzioni.*
- Io manderò un gufo a Kingsley – disse Emily, allontanandosi.
Anche Harry e Ginevra si allontanarono dal gruppo, ma la signora Weasley tese un braccio e li spinse dentro, dicendo: - Non fate gli sciocchi. Anche voi siete di famiglia. E poi Arthur vuole ringraziarti, Harry.
Harry sospirò piano e cercò lo sguardo della sorella.
Con le labbra lei articolò le parole: Andrà tutto bene. Tranquillo.
Le fece cenno di aver capito, ma era talmente spaventato da temere di trasformarsi in un serpente assassino da un momento all’altro.


Harry si sentiva sporco, contaminato, come se in lui ci fosse un germe letale che agiva indisturbato. Prima di andare via dall’ospedale lui, Ron e i gemelli avevano origliato la conversazione tra Moody, Nymphadora, Emily e i signori Weasley con l’aiuto delle Orecchie Oblunghe. ‘- Il ragazzo vede le cose da dentro la testa del serpente di Tu-Sai-Chi. Certo Potter non si rende conto di che cosa significa, ma se è posseduto da Tu-Sai-Chi…’. Queste erano state le parole di Malocchio Moody, ma era il pensiero di ognuno di loro.
Da quel momento Harry venne invaso da pensieri orribili e ogni cosa iniziò a farsi più chiara. I suoi incubi su Voldemort e il cimitero, la porta, il serpente… Tutto era chiaro. Voldemort lo controllava, era come un burattino nelle sue mani.
Poi un ricordo iniziò a riaffiorare e gli fece contorcere le budella.
Che cosa cerca, a parte seguaci?
Cose che può ottenere solo se agisce in segreto… come un’arma. Una cosa che l’ultima volta non aveva.
Io sono l’arma”, pensò Harry, e sentì un veleno gelido scorrergli nelle vene. “È me che Voldemort sta cercando di usare, ecco perché mi sorvegliano ovunque vada, non è per proteggere me, ma gli altri, solo che non funziona, non possono seguirmi dappertutto a Hogwarts… Ho attaccato io il signor Weasley la notte scorsa, sono stato io. Voldemort mi ha costretto a farlo e ora potrebbe essere dentro di me, e ascoltare i miei pensieri…”.
Sentì qualcuno stringergli delicatamente la mano. Alzò la testa di scatto e incrociò gli occhi chiari della sua fidanzata.
- Tutto bene, Harry? - sussurrò Ginny, preoccupata. - Hai l’aria di chi ha appena visto un vampiro.
Lui si sentì improvvisamente più leggero, come ogni volta che incrociava quelle pozze azzurre che amava tanto. A quel punto Harry si rese conto che Ginny era l’unica in grado di capirlo. Lei era stata posseduta da Voldemort quando aveva solo undici anni e si sentì un completo idiota a non averci pensato prima. Gli aveva raccontato tutto ciò che era successo, tutti quei momenti di vuoto che duravano ore intere senza poi ricordare nulla. Harry pensò a quanto fosse stato orribile per la ragazza; trovarsi in un posto senza sapere come c’era arrivata. Ma a lui non era successa la stessa cosa. Ricordava tutto.
“Chissà quanto hai sofferto, amore mio...”, pensò Harry, malinconico. “Ti proteggerò io d’ora in poi”.
Prese la sua mano e intrecciò le loro dita. - Sto benissimo, amore mio – rispose con un sorriso sincero, dopodiché sollevò la sua mano e ne bacio il dorso.
Lei sentì il suo cuore fare le capriole e sorrise, senza potersi trattenere. Era felice. Anzi, più che felice. Harry era un ragazzo meraviglioso e lo amava con tutto il suo cuore. Non poteva desiderare di meglio.
Appoggiò la testa sulla sua spalla e lui la strinse forte a sé.
La signora Weasley osservò tutta la scena, commossa e intenerita.
Era orgogliosa della sua bambina e Harry era un così bravo ragazzo che per lei era come un figlio. Era tanto felice per loro e, ogni volta che li guardava abbracciarsi e guardarsi negli occhi, come in quel momento, immaginava la sua bambina con un bellissimo vestito da sposa e Harry che l’aspettava all’altare.
Solo al pensiero le vennero le lacrime agli occhi.
- Tutto bene, mamma? - domandò Fred con un sopracciglio inarcato.
- Sì, caro. Non preoccuparti – si affrettò a rispondere la madre, mentre cercava un fazzoletto nella borsa.


Il mattino successivo, ovvero la vigilia di Natale, Grimmauld Place venne completamente invasa da decorazioni natalizie. Harry non ricordava di aver mai visto Sirius tanto di buonumore; cantava addirittura le carole, (a modo suo, ma le cantava). Era felice di avere ospiti per Natale. Aveva persino decorato il ritratto della madre con una ghirlanda rosso e oro in tutta la cornice. - ROSSO E ORO È GRIFONDORO! - cantò alla donna arcigna del ritratto. - FALALALA LALALA LA LA!
- Traditore del tuo sangue! Schifoso… Lurido… - inveì lei, ma Sirius le mandò un sonoro bacio e continuò a cantare a squarcia gola.
- Dovevi fare il cantante, fratello. Hai un talento sprecato! - ghignò Regulus mentre decorava l’albero. - Sai è un po’ strano fare queste cose. L’ultimo albero di Natale che ho fatto in vita mia è stato quello piccolino che ci ha regalato lo zio Alphard per la vigilia. Ti ricordi?
Sirius sorrise al ricordo. - Abbiamo dovuto fare tutto di nascosto... Ed è stato bellissimo.
- Già… Peccato che poi nostra madre ci abbia scoperto.
- Sì, ma è stata la sera dopo – gli ricordò con un ghigno pronunciato.
Lo sguardo di Regulus si rabbuiò. - Ti prendesti la colpa…
Sirius si fermò per un’istante e guardò il fratello minore, che in quel momento gli dava le spalle. Aveva il capo abbassato e immaginò che stava ripensando a tutte le torture che avevano subito dai genitori fin da quando erano bambini. “Tutte quelle maledizioni cruciatus…”.
Scosse la testa, come per liberarsi dai brutti ricordi. Si schiarì la voce: - Ti ho salvato il culo… come sempre.
La traccia di un sorriso illuminò il viso di Regulus. - Non ti ho mai ringraziato per tutte le volte che mi hai salvato dalla loro furia.
- Mi dispiace solo di non aver continuato a farlo – ammise Sirius dispiaciuto.
- Be’ non puoi prenderti tutta la colpa. Ho scelto io di non seguirti quel giorno – si voltò verso di lui, ansioso di incrociare i loro sguardi.
Sirius gli rivolse un gran sorriso che lui ricambiò immediatamente.
- Però adesso siamo insieme e nessuno ci separerà, fratellino – affermò con tono sicuro.


Nel tardo pomeriggio il ritratto di Walburga Black ricominciò a urlare. Erano arrivati i nuovi ospiti e vennero accolti dalla giovane Black con un gran sorriso.
- Ehi! - esclamò Ginevra a un ragazzo dalla chioma bionda e una ragazza dai capelli castani e arruffati. - Finalmente ce l’avete fatta, piccioncini!
Hermione l’afferrò in un abbraccio soffocante. - Che bello vederti!
- Herm… Non… respiro – ansimò lei.
La riccia rise e la lasciò andare.
Ginevra abbracciò il cugino e li invitò ad entrare. - Sono felice che siate venuti.
Aveva invitato i due ragazzi a trascorrere il Natale a Grimmauld Place solo il giorno prima scrivendo poche righe, con l’intenzione di passare le vacanze tutti insieme. “Un Natale diverso dagli altri, ma almeno saremo insieme”, aveva pensato.
Fin dall’età di tre anni Ginevra aveva passato ogni Natale insieme ai Tonks e i Weasley, ormai era diventata una tradizione sia dentro che fuori da Hogwarts. Poi con il ritorno di Sirius non aveva desiderato altro che passare le vacanze insieme a lui, Harry, Remus e Regulus. Come una famiglia… anche se non sarebbe mai stata la stessa cosa senza James e Lily.
Le dispiaceva di non festeggiare anche con i Weasley, ma il destino sembrava voler tenere fede alla loro tradizione nonostante tutto.
- I vostri genitori ci sono cascati? - domandò Ginevra, sedendosi sul divano insieme ai due ragazzi.
Draco ghignò, trionfante. - Ovviamente.
Avevano studiato un piano perfetto: Draco doveva soltanto scrivere ai genitori, fingendo di trascorrere il Natale da Blaise, che avrebbe fornito la copertura. Hermione, invece, doveva fingere di trascorrere le vacanze a Hogwarts con la scusa di dover studiare per gli esami. Al contrario di Draco, lei mentiva raramente ai suoi genitori, si sentiva un po’ in colpa, ma temeva che se avesse detto loro la verità non avrebbero approvato che lei dormisse anche solo a qualche metro di distanza dal suo fidanzato. Suo padre era parecchio geloso. Non sapeva nemmeno che avesse un ragazzo! Per lui era la sua bambina e Hermione sospettava che lui la immaginasse ancora con il ciuccio e il bavaglino quando la guardava.
- Come sta il signor Weasley? - domandò Hermione, inquieta. - Silente mi ha raccontato quello che è successo.
- È fuori pericolo. Ma per adesso non può lasciare l’ospedale – spiegò Ginevra.
- Ron e gli altri? Come stanno? – chiese Draco prendendo Hermione per mano. Ma non ricevette alcuna risposta dalla cugina, poiché qualcuno aveva interrotto la loro conversazione.
- Hermione? - esclamò la piccola Weasley dalla cima delle scale.
- Ciao, Ginny!
- Hermy! - gridò di nuovo la rossa e un ampio sorriso si distese sul suo volto. - Finalmente siete arrivati!
Dopo un attimo le due ragazze iniziarono a saltellare su e giù come bambine.
- Che bello, finalmente sei qui! - esclamò Ginny sorridente. - Oh, Draco. Sono felicissima di vedere anche te! Soprattutto adesso.
Lo abbracciò, forte.
Quando si separarono Draco le sorrise, grato e un po’ imbarazzato. - Anch’io sono felice di vederti – disse. - Ho saputo di tuo padre. Spero si rimetta presto.
- Grazie – rispose lei, sincera. - Vado a chiamare gli altri.
Corse via in un lampo e la sua voce echeggiò per tutta la casa. - Harry! Ron! Sono arrivati Draco e Hermione! - urlò tutta contenta.
- Hermione, cara! - esclamò la signora Weasley entrando nel soggiorno. La strinse in un forte abbraccio e le baciò la fronte. - E chi è questo bel giovanotto?
Draco le tese la mano. - Molto lieto, signora Weasley. Il mio nome è Draco… Malfoy – aggiunse dopo che Hermione gli diede una piccola gomitata al fianco.
La signora Weasley restò per un attimo interdetta, poi gli sorrise. - È un vero piacere conoscerti. Quindi sei il fidanzato della nostra Hermione? Hai fatto un’ottima scelta. È una ragazza d’oro!
Draco guardò Hermione con la coda dell’occhio. - Lo so – rispose con un sorriso che le mozzò il fiato.
La signora Weasley sorrise, contenta di vedere un’altra giovane coppia sotto quel tetto. Poi i suoi occhi si soffermarono sulle occhiaie della riccia.
- Ti vedo un po’ sciupata. Sembri stanca – disse, esaminandole il viso con fare materno. - Non mangi abbastanza, cara?
Per un attimo il panico s’impossessò di Hermione. - Come? - chiese quasi boccheggiando. L’aveva presa totalmente alla sprovvista. - In effetti non ho dormito molto ieri notte – confessò. - Una mia compagna di stanza urla nel sonno… I-incubi.
Ginevra cercò di nascondere un sorrisetto malizioso, ma non ci riuscì. Era chiaro come il sole il perché Hermione non avesse dormito. Lo si poteva intuire dalle sue guance rosse, dal modo in cui parlava e da come si muovevano sia lei che Draco. Quei due avevano fatto tutto tranne che dormire. Ne era sicura.
- Davvero? Oh, mi dispiace così tanto, povera cara – disse la signora Weasley, accarezzandole il viso dolcemente. - Se vuoi puoi andare su e dormire un paio d’ore prima di cena, d’accordo? Puoi farlo anche tu, Draco. Se vuoi riposare la tua stanza è quella al secondo piano, la condividerai con Ron e Harry – aggiunge con tono amorevole.
- La ringrazio, signora Weasley – risposero in coro Draco e Hermione e, dopo che la donna lasciò la stanza per iniziare a preparare la cena, i due si scambiarono un’occhiata d’intesa.
- Secondo te lo ha capito? - mormorò Hermione, spaventata.
- Secondo me l’hanno capito anche i muri – disse Ginevra senza abbandonare il sorrisetto malizioso.
Hermione arrossì ancora di più e Draco finse di ammirare le decorazioni natalizie pur di non guardare la cugina. - Belle le decorazioni – disse facendo il finto tonto. - Non pensi anche tu, amore?
Le guance di Hermione sembravano aver preso fuoco. Si schiarì la voce e disse: - Meravigliose! È Sirius che canta? Andiamo a salutarlo!
Lo prese per mano e insieme salirono al piano superiore.
Ginevra scosse la testa, esasperata. - Sì, fate finta di niente. Sporcaccioni! - esclamò a voce alta per poi scoppiare a ridere.


L’allegria di Sirius nell’avere di nuovo la casa piena era contagiosa. Voleva che tutti si divertissero quanto a Hogwarts, se non di più. Regulus lo guardava con un sorriso sulle labbra e un sopracciglio inarcato. A volte sembrava un folle che si esaltava per ogni minima cosa, altre un bambinone che non vedeva l’ora di aprire i regali, ma dopo dodici anni rinchiuso in una cella di Azkaban era più che plausibile che fosse al settimo cielo all’idea di trascorrere il Natale con tutti loro.
La sera della vigilia la casa era quasi irriconoscibile. I lampadari erano carichi di ghirlande di agrifoglio e festoni d’oro e d’argento; mucchi di neve magica scintillavano sui tappeti lisi; un grande albero di Natale nascondeva l’albero genealogico della famiglia Black, e perfino le teste d’elfo imbalsamate sulle pareti portavano barbe e cappelli da Babbo Natale.**
Una volta scesa la notte i ragazzi augurarono la buona notte agli adulti per poi raggiungere le rispettive camere.
Dopo una doccia ristoratrice e dopo aver messo il pigiama, Ginevra aprì la porta della sua camera trovando George seduto sul suo letto.
- Che ci fai qui? - esclamò sorpresa.
George aveva un gran sorriso sulle labbra. - Volevo passare un po’ di tempo insieme. Parlare come i vecchi tempi aspettando la mezzanotte, così sarò io il primo a farti gli auguri di buon compleanno.
Immobile, Ginevra esitava sulla porta, un po’ imbarazzata.
Aveva quasi dimenticato che entro un’ora avrebbe compiuto diciassette anni e si stupì che George volesse trascorrere tutto il tempo insieme a lei fino allo scoccare della mezzanotte, proprio come quando erano bambini.
Quella era un’altra piccola tradizione che si era persa con il passare degli anni e sapere che George non se ne era dimenticato le scaldò il cuore.
Il sorriso di George sparì. - Ahm… Vuoi che me ne vada?
- No! - rispose lei, con voce un po’ troppo alta.
Lui le rivolse un altro dolce sorriso, e lei istintivamente socchiuse la porta.
“Porco Merlino! Quant’è dolce!”, pensò, euforica. Il modo in cui la fissava, così caldo e sicuro, le provocò un dolore al petto. Le fece battere il cuore.
Si avvicinò e lui la squadrò dalla testa ai piedi. - Bel pigiama – mormorò con un sorriso malizioso.
Lei si lasciò sfuggire un sorrisetto. Il suo “pigiama” era composto da un paio di pantaloni, una maglietta bianca e da un vecchio maglione bordeaux con una ‘G’ ricamata sopra. Il maglione, che lei aveva ovviamente rubato, apparteneva a George; all’inizio doveva essere uno scherzo poi, con il passare del tempo, decise di tenerlo.
Il maglione era un po’ largo, ma la sensazione di calore che le provocava ogni volta che lo indossava era molto piacevole. Lo indossava spesso nell’ultimo anno, perché voleva sentirsi sempre più vicina al giovane Weasley e, il più delle volte, sentiva il suo odore ancora impresso nel tessuto.
- Ti piace? L’ho trovato in un cassetto tempo fa – rispose lei vaga.
Nonostante quel pigiama la facesse apparire meno femminile del solito, per lui era molto sexy. Avrebbe voluto strapparglielo di dosso e baciare ogni centimetro della sua pelle.
- Fred è ancora arrabbiato? - domandò lei, cercando di rompere il silenzio che si era creato.
George si irrigidì, un po’ infastidito nel sentire il nome del gemello. - Sai com’è fatto. Gli passerà - rispose.
Ginevra annuì. Lo sapeva bene.
Fred era sempre stato una testa calda e dovevano passare giorni prima che smaltisse la rabbia.
- Il fatto è che questa situazione non è stata facile da digerire.
- Lo capisco – sospirò Ginevra.
Si sdraiò sul letto e lui l’affiancò subito. Incrociarono i loro sguardi e l’espressione di lei si fece più rilassata.
Senza dire una parola, si allungò lentamente verso di lui, che l’accolse tra le braccia e l’avvicinò a sé.
- Mi sembra di essere tornata ai vecchi tempi – disse dopo un po’.
Il viso di George si illuminò in un sorriso. Aveva iniziato a giocare con una ciocca dei capelli di lei e, di tanto in tanto, le spolverava la faccia facendola ridere. - Sei bellissima – si lasciò sfuggire in un sussurro.
Per un istante, il tempo parve fermarsi.
Un’ondata di calore la investì e il suo cuore iniziò a battere sempre più veloce. Non riusciva a distogliere lo sguardo dai suoi occhi. - Anche tu sei bellissimo.
George fece un respiro profondo, rapito dall’emozione del momento. Decise che era arrivato il momento di sputare il rospo. Voleva confessarle i suoi sentimenti, anche se era terrorizzato all’idea di ricevere un rifiuto. - Gin, io… C’è una cosa che vorrei dirti da tempo. È importante.
Lei annuì, invitandolo a continuare.
- Sono innamorato di te – disse tutto d’un fiato, ma non osò guardarla negli occhi. Non subito almeno. Temeva di perdere tutto il suo coraggio guardando quegli occhi che amava tanto. - Sono innamorato di te da così tanto tempo che mi sembra sia passata una vita intera. Adesso ti prenderai gioco di me, ma non potevo più nascondertelo. Non è stato facile amarti da lontano. Per te ero solo un amico e non volevo rovinare tutto. Poi però c’è stato quel bacio, quel meraviglioso bacio, e io… ero così felice, Gin – disse piano, sfiorandole la guancia. - Volevo solo che lo sapessi.
Abbassò lo sguardo sulle sue labbra e continuò ad accarezzarle il viso.
Lei era senza fiato. Il cuore le batteva così forte nel petto che temeva sarebbe esploso.
“Ha detto che mi ama? Sto sognando?”, si chiese, eccitata. Poi lui le sorrise, dolcemente, e lei si sentì sciogliere.
- George – mormorò guardandolo dritto negli occhi. - Ti amo anch’io.
“Cavolo”, pensò a quel punto, sorpresa dalle sue stesse parole. “L’ho detto davvero? Non ci posso credere… L’ho detto davvero?”.
Al solo sentire quelle parole, George volse lo sguardo su di lei, gli occhi sgranati per la sorpresa. - Mi ami?
Lo amava davvero?
Ginevra ci pensò qualche istante, poi annuì e sorrise. - Sì, ti amo – ripeté.
Si sentì libera da quel segreto e provò un’emozione tutta nuova. Dopo tanto tempo, era felice.
Avvicinò lentamente le labbra alle sue, finché non si toccarono, piano.
George lasciò che accadesse, felice del nuovo corso degli eventi. La strinse tra le braccia.
Le loro labbra si accarezzavano con dolcezza mentre i loro corpi venivano invasi da brividi di piacere. Bramavano quel contatto da tempo ed erano sicuri che non avrebbero resistito ancora a lungo.
- Ti prego, dimmelo ancora – sussurrò George sulle sue labbra.
- Ti amo, George Weasley. - Poi lei iniziò a mordersi il labbro inferiore e questo fu più che sufficiente per farlo scattare in avanti.
George premette le labbra contro le sue, baciandola appassionatamente, lasciando che il desiderio vincesse. Fu improvviso e inaspettato, ma il corpo di lei rispose immediatamente al suo come se fossero una cosa sola, entrambi spinti da un desiderio incontrollabile.
Ginevra sentì il suo desiderio diventare sempre più forte, il suo corpo diventare caldo… Infilò le mani sotto la maglietta di lui per sentirgli i muscoli provando un brivido di piacere.
In quel momento, era combattuta tra la voglia di strappargli via la maglietta o prendersi dell’altro tempo per godersi il momento.
Come se avesse letto i suoi pensieri, George si tolse lentamente la maglietta e indietreggiò quel poco che bastava per lasciarla cadere sul pavimento, rivelando dei muscoli scolpiti che non facevano che stimolare l’appetito di lei.
Premette il corpo contro il suo e riprese il bacio dove si era interrotto.
Ginevra gli passò la mano dietro la nuca, robusta e morbida. Poi la fece scivolare in alto, tra i suoi capelli.
I suoi seni premettero contro il petto di lui.
George le baciò il collo, facendo seguire una serie di baci sull'orecchio. - Mi fai impazzire – gemette tra un bacio e l’altro.
La spogliò con delicatezza, gettando sul pavimento anche i vestiti di lei. Un attimo dopo, tutto quello che indossava erano le mutandine.
George non poteva trattenersi dal toccarla. Le accarezzò il seno, lentamente, e lei non riuscì a trattenere un piccolo sussulto, per poi aggrapparsi al corpo di lui.
Quando le labbra di George scesero sui capezzoli, un brivido di piacere le attraversò il corpo… non ce la faceva più, tutto ciò che voleva era sentire i loro corpi avvinghiati.
I loro gemiti silenziosi si mescolarono mentre le mani di lei scivolarono su e giù lungo la schiena nuda di George, accarezzando in ogni singolo punto.
Poi la porta alle loro spalle si aprì, ma loro non vi prestarono attenzione. Erano troppo impegnati per accorgersi che qualcuno li stava osservando.
La porta era aperta solo a metà, lasciando entrare una lama di luce dal corridoio.
Il padrone dell’ombra che sostava sulla soglia strinse un pugno, lasciando che la rabbia s’impossessasse di lui.
Con un colpo secco, la porta si richiuse facendo sobbalzare la ragazza.
- Cosa è stato? - chiese Ginevra, con il fiato corto.
George le sorrise. - Cosa?
- Credo di aver sentito un rumore.
George premette di nuovo le labbra contro le sue. - Sarà stato Fierobecco, al piano di sopra.
Non appena le loro labbra si toccano, si sentì rincuorata. - Ti ho già detto che ti amo?
Da un angolo della bocca di George spuntò un sorriso sghembo. - Mmh... No, non credo. Forse se provi a ripetermelo...
Lei inarcò un sopracciglio in un’espressione derisoria. - Ah, è così che la metti? - lo stuzzicò, sedendosi a cavalcioni su di lui.
- Sì, è così!
George prese le sue mani, se le portò alle labbra e le baciò. - Ho l’impressione che abbiamo sprecato troppo tempo.
- Allora cerchiamo di non sprecarne dell’altro – rispose Ginevra, chinandosi a baciarlo sulle labbra.


Lasciandosi Grimmauld Place alle spalle, Fred si materializzò nel quartiere di Notting Hill a Londra, davanti a una casa dall’aspetto rustico di Dulford Street. Era notte fonda, nevicava e faceva molto freddo, ma a lui non importava.
Tirò fuori un bigliettino dalla tasca del suo cappotto, dove vi era scritta la via e il numero civico dell’abitazione per accertarsi che fosse nel posto giusto:Dulford Street, 63. Notting Hill, Londra”. ***
L’indirizzo era giusto. Era davanti casa Johnson.
Senza esitare aprì il cancelletto e lo chiuse alle sue spalle, per poi avvicinarsi alla porta e bussare.
Poco dopo la porta venne aperta dal Capitano di Grifondoro. - Fred… - esclamò Angelina, sorpresa. - Che ci fai qui?
- È ancora valido l’invito?
Credeva che gli avrebbe sbattuto la porta in faccia dopo una frase tanto patetica, ma si stupì quando Angelina lo lasciò entrare in casa.
Senza dire una parola, gli fece strada verso il salotto, piccolo ma accogliente, dove c’era un caminetto acceso e un tavolino pieno di appunti e strategie per le partite di Quidditch. Fred non riuscì a trattenere un piccolo ghigno. Angelina poteva anche essere superficiale, a volte, ma quando si parlava di Quidditch non scherzava mai. Per lei il Quidditch era tutta la sua vita, lo si poteva capire anche dal modo in cui le si illuminavano gli occhi ogni volta che ne parlava o quando scendeva in campo.
Guardandola, Fred si accorse che Angelina era molto più carina di come ricordava. I suoi lunghi capelli neri, che solitamente lasciava sciolti sulle spalle, erano acconciati in una crocchia improvvisata, mantenuta dalla bacchetta di lei. Indossava un pigiama che ricordava i colori di Grifondoro e ai piedi aveva un paio di pantofole a forma di leone. In quel momento sembrava la vera Angelina e non la ragazza che cercava attenzioni dalla mattina alla sera, che prestava attenzione a ciò che indossava e che comandava a bacchetta chiunque le capitasse a tiro. Erano anni che Fred non la vedeva in quel modo. Vera.
La casa era silenziosa e, pensando che gli abitanti stessero dormendo, Fred iniziò a parlare a bassa voce per non svegliare nessuno. - Scusa se sono venuto qui, senza avvisarti.
- Non c’è bisogno che parli a bassa voce – disse Angelina prendendo posto sul divano. - Siamo soli.
- Soli? - chiese Fred, con voce esitante. - Ma manca meno di un’ora al Natale. I tuoi genitori...
Angelina si limitò a fare spallucce. - Lo so. Sono andati a festeggiare dai miei nonni, io ho finto di stare male per non andare con loro.
Fred aggrottò la fronte. - Perché? Hai sempre amato passare le feste con la tua famiglia.
- Non sono molto in vena di festeggiare, quest’anno.
Fred annuì piano e si sedette al suo fianco. - Mi dispiace per come ti ho trattata. Sono stato un’idiota.
- Solo un po’ – sogghignò lei. Lo spintonò dolcemente, facendolo ridere piano, poi lo guardò negli occhi e disse: - Comunque adesso sei qui, ed è questo quello che conta.
Le rivolse il sorriso più convincente che poteva e l’accolse fra le sue braccia.
Rimasero abbracciati, in silenzio, per qualche minuto.
Nella mente di Fred vi erano troppi pensieri, ma uno in particolare gli dava il tormento. Era il motivo per cui era scappato in fretta e furia da Grimmauld Place.
Gli bastava chiudere gli occhi per rivedere la scena e infuriarsi.
Era talmente assorto dai suoi pensieri che a malapena si accorse che Angelina gli aveva fatto una domanda.
- Come?
- Perché tu e i tuoi fratelli siete tornati a casa prima?
- Mio padre è finito in ospedale – disse Fred, fissando il pavimento. - È stato attaccato da un serpente.
La sentì trattenere il fiato per qualche istante. Reazione più che plausibile data la portata della notizia, ma sperava che non gli dicesse cose del tipo: “Oh, ma è terribile! Com’è successo?”, perché non lo avrebbe sopportato.
Ma si stupì quando si accorse che la voce di Angelina non era ansiosa come pensava, bensì calma, e il suo sguardo si era fatto più caldo. - E adesso come sta?
- Adesso è fuori pericolo, ma non può tornare a casa.
- E tu come stai?
Fred sospirò. “Come sto? Come uno che ha appena visto il suo gemello e la ragazza che ama mezzi nudi nel letto di lei. In poche parole? Uno schifo”, avrebbe voluto risponderle in questo modo, ma si limitò ad annuire e fare ciò che gli veniva meglio: mentire. - Sto bene.
Ginevra lo aveva rifiutato solo per buttarsi fra le braccia di George. “Sei fidanzato! Sei il mio migliore amico!”, gli aveva detto quella sera.
“Tutte balle”, pensò lui. “Erano solo scuse… e io che mi colpevolizzavo perché pensavo amasse ancora Diggory! Sono solo un’idiota, Angie. E mi sento un verme per come ti ho trattato per tutto questo tempo”.
Fred incrociò il suo sguardo a quello di Angelina e da un angolo della sua bocca spuntò un sorriso sghembo. “Io non ti merito, Angie”.
- Cosa c’è che non va? - chiese lei con tono gentile.
- Niente – rispose, posando delicatamente le labbra sulla sua fronte.
Angelina chiuse gli occhi, beandosi di quella sensazione che non provava da tempo. - Mi sei mancato.
Restarono in silenzio, a guardare la neve che cadeva piano dalla finestra, i minuti passavano. Dopo aver guardato l'orologio sulla parete, Fred decise di spezzare il silenzio. - Sarà meglio che vada.
Era quasi mezzanotte.
- Puoi dormire qui, se vuoi. – Angelina lo guardò di sottecchi, con aria speranzosa.
- E i tuoi genitori? Se mi trovano qui…
- Torneranno domani pomeriggio. Ti prego, resta con me.
Fred la fissò per un minuto interminabile, senza parole. Non sapeva cosa dire.
Lei gli prese il viso fra le mani e lo attirò a sé con decisione, dando vita a un bacio impetuoso che lo colse di sorpresa.
A quel punto le labbra di Fred, improvvisamente bramose contro quelle di lei, interruppero ogni pensiero, ogni preoccupazione. L’afferrò per i fianchi, stringendola contro il suo corpo. Passione e desiderio sembrano invadere ogni centimetro della casa.
Tra baci appassionati che si facevano sempre più intensi e vogliosi, si scambiarono solo qualche parola e la passione li travolse completamente, lasciandoli senza fiato.
- Che intenzioni hai? - chiese Fred, sorridendole maliziosamente.
- Vedrai – rispose riprendendo a baciarlo con ardore.
Fred allontanò le sue labbra da quelle di lei solo per poi chinarsi in avanti e farla sdraiare di schiena sul morbido divano. In pochi minuti i vestiti divennero solo un vago ricordo sul pavimento, mentre le mani di lui esploravano il corpo di Angelina come se fosse la prima volta.





ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti!
Sono molto ansiosa di scoprire cosa ne pensate di questo capitolo.
Ci tengo a precisare che non ho mai scritto nulla di così… esplicito, diciamo. Come avete visto non sono entrata nel dettaglio, anche perché mi vergognerei moltissimo a descrivere cose del genere, però spero che vi sia piaciuto.
Voi cosa ne pensate? Fatemelo sapere con un commentino qui sotto oppure con un messaggio privato.
Se trovate che alcune scene siano volgari ditemelo subito e le tolgo. Spero di non aver urtato la sensibilità di nessuno di voi *faccina imbarazzatissima *.
A presto,
18Ginny18


*Da “Harry Potter e l'Ordine della Fenice – Capitolo 22 - L’Ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche (alcune parti sono modificate)”.

**Da “Harry Potter e l'Ordine della Fenice – Capitolo 23 - Natale nel reparto riservato (alcune parti sono modificate)”.

***|L’indirizzo esiste davvero. L’ho trovato casualmente sul Google Maps|

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 - BUON NATALE ***


Capitolo 22 – Buon Natale

Erano quasi le sei del mattino quando Ginevra aprì gli occhi, il sole era appena sorto e davanti ai suoi occhi aveva il ragazzo che amava: George Weasley.
Erano entrambi rannicchiati sotto una coperta, completamente nudi; George, dormiva ancora. I tratti del suo viso erano dolci e rilassati e le sue labbra imbronciate sembravano invocare un bacio che lei non tardò a dargli.
“Amo le sue labbra. Le bacerei in continuazione”.
A quel punto George si stirò leggermente e aprì gli occhi. - Ehi, buongiorno – la salutò con voce roca e profonda e un dolce sorriso sulle labbra.
- Buongiorno, raggio di sole.
Lui la tirò a sé, come la sera prima, e depose un dolce bacio sulle sue labbra. - Buon compleanno.
Ginevra trattenne il respiro. Si morse il labbro inferiore e gli rubò un altro bacio, che lui intensificò. - Credo che questo sia il compleanno più bello della mia vita – mormorò lei.
- No, questo è il compleanno più bello della tua vita finora! – Ci tenne a precisare il rosso. - Ho intenzione di rendere ogni tuo compleanno sempre unico e perfetto, proprio come sei tu.
Lei abbassò lo sguardo, rabbuiandosi. - Io non sono perfetta.
- Lo sei per me - mormorò e le posò un dito sotto il mento per sollevarle le labbra alla sua altezza. La bacio, ancora e ancora, facendole tornare il sorriso. - Com’è possibile che diventi sempre più bella? - domandò continuando a baciarla.
Lei ridacchiò. - Credo che tu abbia qualche problema alla vista. Forse hai bisogno di un paio di occhiali.
- Fidati, principessa: io ci vedo benissimo – le rubò un altro piccolo bacio. Poi continuò lungo il collo, tracciando una scia di baci infuocati.
- Dovresti tornare in camera tua – sospirò Ginevra. La sua voce era debole quanto la sua volontà.
- Perché? - sussurrò lui nell'incavo del suo collo mentre si posizionava su di lei, con delicatezza.
- Se non ti trovano potrebbe scoppiare un putiferio.
“Ma chi se ne frega!”, esultò l’entità oscura. “Se io fossi al tuo posto, non lo farei mai uscire dal mio letto”.
George si chinò fino a quando furono naso contro naso. - Sei sicura? No, perché io vorrei continuare quel discorsetto di ieri notte... – Un ghigno malizioso curvò le sue labbra mentre spingeva la sua virilità ricca di ardore contro il ventre di lei con una lentezza calcolata.
Ginevra venne scossa da brividi di piacere e, incapace di resistergli, mandò al diavolo ogni timore. Lo desiderava con tutta se stessa e per lei tutto era ciò che contava in quel momento.
- Voglio fare l’amore con te ancora. E ancora… E ancora - Le baciò l’orecchio e scese lungo la spalla, continuando con i baci, mentre ripeteva quelle parole più e più volte. - Ti mangerei – mormorò infine, con voce roca di desiderio.
- Perché non lo fai allora? - lo provocò.
Anche se non poteva vederlo percepì il suo sorriso. - Non sai che l'attesa è la parte migliore del piacere?
Ginevra ricambiò i suoi baci e si strinse sempre più forte a lui, affondando le dita tra i suoi capelli.
- Oh, mio Dio – ansimò quando la mano di George scese per stuzzicarla.
Dal corridoio si sentivano degli schiamazzi, ma i due non ci badarono molto. Poi la porta della camera si aprì, lentamente, e Sirius entrò insieme a tutti i suoi ospiti reggendo una grande torta di compleanno con diciassette candeline sopra. - Tanti auguri a te! - iniziò a cantare e gli altri si unirono al coro: - Tanti auguri a te! Tanti auguri…
- OH, MIO DIO! - urlò Ginevra. Tutti ammutolirono, mentre lei cercava di nascondersi sotto le coperte insieme a George.
Sirius era rimasto immobile davanti alla porta della ragazza, bianco come un cadavere. “La mia bambina… La mia bambina…”, si ripeté.
Nella sua mente, rivedeva la sua piccola Ginevra crescere, ridere, ballare… Quanto tempo poteva passare dal essere una bambina felice che giocava con le sue bambole a una che si trovava a letto con un ragazzo?
Sirius era talmente sconvolto che il piatto con la torta gli scivolò dalle mani e, se non fosse stato per i riflessi pronti di Regulus, sarebbe caduta rovinosamente a terra. Ma quando quest’ultimo prese possesso della torta, nessuno sembrò farci caso.
- George… - Quando riconobbe il figlio la signora Weasley si portò una mano alla bocca, scioccata, mentre con l’altra mano copriva gli occhi alla figlia minore, che protestò immediatamente.
- Non capisco perché gli altri possano guardare e io no! - mormorò, ma la madre non le diede ascolto. Era suo dovere salvare la sua innocenza.
Allungò il collo oltre il corpo di Sirius, per cercare di capire dove si fosse cacciato quello scavezzacollo del figlio, e un attimo dopo sfoderò un sorriso entusiasta che non riuscì a trattenere. Aveva sempre saputo che tra lui e la giovane Black c’era del tenero, qualcosa che andava oltre l’amicizia.
- Miseriaccia! - esclamò Ron, rosso come un pomodoro. - Forse era meglio bussare, prima di entrare.
Harry annuì piano, concordando con lui. Aveva gli occhi sgranati e la bocca aperta per la sorpresa. Dopotutto non era cosa di tutti giorni sorprendere la sorella a letto con un ragazzo e, inutile a parlarne, ne era rimasto sconvolto quasi quanto il suo padrino.
- Charlie mi deve venti galeoni! - disse Bill con sorriso trionfante. Aveva scommesso con il fratello minore chi, tra Fred e George, sarebbe andato a letto con la ragazza e, inutile a dirlo, lui aveva puntato proprio su George.
A quel punto, Ginevra intraprese una conversazione mentale con suo zio.
“Ti costava tanto avvertirmi?”, sbottò lei.
“Come potevo sapere che stavi già festeggiando per conto tuo!”, rispose Regulus, divertito. “Posso darti un consiglio? La prossima volta chiudetevi a chiave se volete un po’ di privacy”.
Anche se non poteva vedere il suo volto, Ginevra riusciva a immaginare il suo sorriso. “Vorrei sotterrarmi!”.
“D’accordo. Ci penso io… come al solito”, continuò lui, beccandosi un’imprecazione dalla ragazza.
- Bene, io direi che è meglio se usciamo di qui – suggerì Regulus agli altri, accompagnandoli fuori dalla camera.
- Guastafeste – borbottò la piccola Weasley.
Sirius, invece, era ancora immobile. Il suo sguardo si era fermato dove qualche istante prima aveva visto la figlia avvinghiata al ragazzo dai capelli rossi. Regulus gli diede una piccola gomitata. - Forza… lasciamoli soli per qualche minuto - disse. - Il tempo di ricomporsi – aggiunse con un tono di voce un po’ più alto, in modo che i due ragazzi sotto le coperte capissero che si riferiva a loro.
Come se fosse in trance, Sirius lo seguì.
Camminava come uno zombie, a testa bassa, mormorando frasi sconnesse. Regulus riuscì a cogliere solo qualche parola come: “La mia bambina” e “com’è potuto accadere?”.
Scesero le scale fino a raggiungere la cucina. Regulus poggiò la torta sul tavolo, leccandosi il dito sporco di crema, mentre Sirius prendeva posto sulla prima sedia libera che gli capitò a tiro.
- La mia bambina – mormorò disperato. Il suo sguardo era perso nel vuoto.
- Ma non è più una bambina, Sir – gli disse Regulus andando verso la credenza. Prese due bicchierini e stappò una bottiglia di Whisky Incendiario. Data l’atmosfera trovò necessario farsi qualche goccetto.
A quel punto Sirius aggrottò la fronte e guardò il fratello. - Mia figlia è ancora una bambina, e lo sarà anche quando avrà cento anni. Su questo non si discute.
Regulus si trattenne dal ridergli in faccia preferendo porgergli il bicchierino stracolmo di alcol. - Beviamoci su, fratello. Ne hai bisogno.
Fecero tintinnare i bicchieri, bevendo in un colpo solo tutto il liquido trasparente. Un secondo dopo avvertirono un bruciore paragonabile alle fiamme dell’inferno lungo tutta la gola.
Dopo aver bevuto altri quattro bicchieri di Whisky Incendiario, Sirius sembrò sentirsi meglio. Si rimise in piedi, si tolse la giacca e arrotolò le maniche della camicia. - Sai, fratellino… Credo che andrò ad ammazzare quel ragazzo.
In realtà Sirius non uccise nessuno, (anche se ci andò molto vicino) perché Regulus riuscì a farlo ragionare. Forse dargli del Whisky non era stata una grande idea, ma almeno si era calmato. Lo aveva persino convinto a parlare con la figlia in maniera civile.
- L’importante è che non mi trovo davanti quel viscido lombrico dai capelli rossi! - disse Sirius in tono minaccioso.
- Fai il bravo e dopo ti darò un biscottino – lo prese in girò il fratello minore, ricevendo un ringhio degno di un cane.
Quando Ginevra scese in cucina era imbarazzatissima e molto agitata. Si sentiva peggio del giorno della sua udienza al Ministero.
- Allora? - esordì Sirius, a braccia incrociate. - Da quant’è che dura tra di voi? E ti prego, non scendere nei dettagli!
Ginevra arrossì. Esitò per qualche istante poi non riuscì a trattenersi, non voleva mentire a suo padre. - Da qualche ora – Sirius strabuzzò gli occhi e lei si apprestò a continuare. - È successo tutto così in fretta… Non era in programma.
- Ci mancherebbe altro! - esclamò, per poi iniziare a mormorare fra sé e sé: - Da qualche ora… Io lo ammazzo!
Lei lo guardò, mortificata.
Non aveva pensato alla possibilità che suo padre potesse arrabbiarsi così tanto. Anzi, non aveva proprio pensato al padre o alle conseguenze...
- Sei arrabbiato.
- Non sono arrabbiato, sono furioso.
Ginevra si rabbuiò, ma Sirius continuò a parlare.
- Ma non con te – spiegò, poi assunse un tono apprensivo. - Ti ha per caso obbligata? Ti ha soggiogata? Ti ha fatto un incantesimo?
Regulus sbuffò, coprendosi il viso con una mano. - Sir, ti prego non essere ridicolo!
Sirius lo ignorò e continuò a guardare la figlia. - Allora?
- Papà, George non ha fatto niente di quello che pensi. Non lo farebbe mai! Mi chiedo come possano venirti in mente certe idee. E comunque... è stato perfetto, se vuoi proprio saperlo.
Sirius fece una smorfia e, dopo un breve silenzio, replicò: - Quindi adesso state insieme? È il tuo ragazzo?
Ginevra perse un battito, abbassò lo sguardo. - Non lo so ancora…
- Grandioso – mormorò lui tra sé e sé. - Davvero grandioso.
Be’, ormai il “danno” era fatto. Cos’altro poteva dire?
Si limitò a sospirare, alzò gli occhi al cielo e si calmò. - Ora sei tu quella arrabbiata con me?
Lei sorrise, dandogli un colpetto giocoso sul naso. - No.
- Mi prometti che starete attenti? Non voglio diventare nonno alla mia età!
Ginevra si grattò la fronte, sempre più imbarazzata, ma sentì il suo cuore farsi più leggero. - Te lo prometto.
- E mi prometti che se lui fa qualcosa che non vuoi o se ti obbliga a fare qualcosa…
- Obbligarmi? A fare cosa?
- Lascia fare – rispose lui agitando la mano come per scacciare un insetto fastidioso. - Io so cosa passa per la mente dei maschi. Sono tutti dei porci.
- Anche tu? - lo prese in giro la figlia.
Sirius fece per ribattere ma si zittì e assottigliò lo sguardo. - Ti odio.
- No, non è vero – ribatté fiondandosi fra le sue braccia.
Lui la strinse forte a sé e le baciò la fronte. - Ti voglio bene – disse. - Io ti ho detto tutte queste cose perché non voglio che ti faccia del male. Tu sei la mia bambina e sarai sempre la mia bambina… Ma devo cominciare ad abituarmi al fatto che tu stai diventando una donna e che non giocherai più con le bambole. Spero solo di essere io l’unico uomo della tua vita, anche quando avrai un marito e dei figli. Non sono pronto per dirti addio, non di nuovo.
- Papà…
Era la prima volta che lo sentiva parlare in quel modo. Era un discorso confuso ma pur sempre dolcissimo. Non le aveva mai detto che le voleva bene con così tante parole.
- Tu sei e sarai sempre l’unico uomo della mia vita – promise. - Per le mutande di Merlino, tu sei il mio padre! Dove lo trovo un altro come te?
Sirius rise e lei lo imitò. La tensione accumulata si era un po’ sciolta.
- Deve piacerti davvero tanto questo Weasley, eh? - commentò malizioso. - Sai che siete cugini alla lontana, vero?
Regulus finse di allarmarsi. - Quindi questo è un incesto!
- D’accordo – Ginevra si allontanò dal padre. - Smettetela di prendermi in giro.
- Scusa, ma questo è l’unico modo per distrarmi dall’uccidere il tuo… quasi ragazzo – disse Sirius con un sorrisetto. Poi sbuffò. - E pensare che ti avevamo fatto una torta!
Ginevra alzò un sopracciglio e sorrise quando vide la torta sul tavolo. - È quella lì?
Le brillavano gli occhi e aveva quasi la bava alla bocca. Era la sua torta preferita: tutta al cioccolato.
Sirius annuì. - Sì, però adesso non so se te la meriti.
- Oh, ma andiamo! Questo non è giusto – s’imbronciò la ragazza. - È Natale! Ed è anche il mio compleanno! Me la merito.
- Oh, ne dubito – commentò Regulus bevendo un altro bicchiere di Whisky.
Lei lo trucidò con lo sguardo. - Tu zitto, assaltatore di torte.
Regulus le rispose con una linguaccia e Sirius scoppiò a ridere. - Ma quanti anni avete? Cinque o sei?

Non sapeva dire per quanto tempo avessero dormito, due o forse tre ore, ma quando Angelina si svegliò Fred era lì, sollevato su un gomito e la guardava, accarezzandole i capelli spettinati. - Buongiorno.
Angelina sorrise e si stiracchiò. - Buongiorno. Da quanto sei sveglio?
Fred fece spallucce. - Da qualche minuto. Mi piace guardarti mentre dormi.
Ed era vero. Gli era sempre piaciuto guardarla dormire. Lei era talmente bella che gli era quasi impossibile distogliere lo sguardo, soprattutto dopo aver passato una notte ricca di passione come quella. Si chiese come avesse potuto rinunciare a quelle morbide labbra imbronciate per così tanto tempo.
Come un’onda violenta, Ginevra apparve nella sua mente. Ripensò alle loro labbra che si cercavano con avidità e ai loro corpi stretti in quell’abbraccio che guidava le mani sotto i loro vestiti, pronti a strapparli via.
Poi arrivò la delusione.
Era davvero contato così poco per lei? Ciò che per lui era stato un momento indimenticabile, per lei era stato solo uno sbaglio?
Angelina tese un braccio verso di lui, sollevandogli il mento con l’indice. - A cosa pensi?
Fred si sforzò di sorridere: non poteva rivelarglielo, quindi meglio cambiare argomento.
- Ho molta fame. Sai qualcuno mi ha tolto tutte le forze stanotte.
- Non capisco a chi ti riferisci… - disse Angelina, cercando di sembrare confusa.
Fred le sorrise e le sue labbra toccarono quelle di lei, in un tenero bacio.
Saltò giù dal letto e, quando trovò i suoi boxer ai piedi del letto, se l’infilò sotto lo sguardo imbronciato della ragazza. - Non fare l’ingorda, Johnson – la rimproverò con un mezzo sorriso.
Lei rise e scese dal letto, indossava già la maglietta di Fred. Le stava un po’ larga, ma a lei piaceva così.
- Avevo dimenticato quanto sai essere sexy con le mie magliette – sussurrò lui, provocante.
Angelina accennò un sorriso malizioso. - Non ti dispiace se la prendo in prestito per un po’, vero?
- Sei mezza nuda e l’unica cosa che indossi è una mia maglietta. Secondo te mi dispiace? - chiese Fred, ricambiando il sorriso. - Hai nulla in contrario a continuare ciò che abbiamo fatto fino a poche ore fa?
Angelina ridacchiò. - Ancora? Ma non avevi fame?
Lui la sollevò, facendole incrociare le gambe attorno ai suoi fianchi. - La colazione può aspettare.
Le sue labbra si posano su quelle di lei dando il via a un bacio lento e appassionato. La spinse con delicatezza contro il muro, facendo aderire i loro corpi. Angelina si strinse a lui sempre di più. La sua mano affondò tra i capelli di Fred, mentre il bacio si faceva sempre più appassionato.
Fred era irruente e delicato al tempo stesso.
Il respiro di lei iniziava a farsi troppo rapido per sostenere un bacio. L’unica cosa che desiderava in quel momento era unirsi a lui, ancora e ancora.
Così allacciati l’uno all’altra, si lasciarono trasportare da una passione travolgente. I loro respiri e i lievi gemiti che sfuggivano dalle loro labbra risuonavano nel silenzio della casa.
Angelina gridò il suo nome al culmine del piacere e poi si abbandonò fra le sue braccia, desiderando che quell’istante durasse per sempre.

Quando Ginevra uscì dalla cucina, trovò George appoggiato al muro. Aveva i capelli scompigliati e la maglietta del pigiama al contrario, indossata in fretta e furia prima di uscire dalla camera da letto, ma per lei era comunque bellissimo.
- Allora? Devo iniziare a scavarmi la fossa? - domandò con un sorrisetto beffardo quando la vide.
- Non subito – rispose lei, imitando quel sorriso.
Si alzò sulle punte dei piedi e si allungò per baciarlo, lui l’avvolse fra le braccia, stringendola forte a sé e anche il più piccolo timore scemò in un istante. - Ancora non ci credo – disse George.
- A cosa?
Lui le sorrise, sincero. - Che sei mia – sussurrò, poi finse di darle un morso sul collo e lei gridò divertita. George scoppiò a ridere, una risata roca e gutturale, e continuò a darle dei piccoli morsi anche sul naso e sulle guance, poi si fermò. Sirius li stava guardando, con le braccia incrociate al petto e il cipiglio severo sul volto.
I due ragazzi si ricomposero, guardando Sirius di sottecchi.
- Ciao Sirius – lo salutò George.
Sirius rimase un attimo in silenzio e lo fulminò con lo sguardo. A quel punto, George comprese il significato dell’espressione: “Se gli sguardi potessero uccidere” e intuì che sarebbe morto da tempo se non fosse per Ginevra. - Sirius io… - provò a parlare ma venne subito interrotto.
Sirius gli puntò il dito contro. - Allora. Mettiamo le cose in chiaro: tu non mi piaci. E per te, da oggi in poi, sarò solo “signore” o “signor Black”. Sono stato chiaro?
George strabuzzò gli occhi, allarmato, e si irrigidì. - Trasparente… signore.
Quando Sirius andò al piano di sopra per dare la colazione a Fierobecco, George si rese conto di aver ripreso a respirare. Aveva trattenuto il fiato tutto il tempo senza accorgersene.
Ginevra gli poggiò delicatamente una mano sulla spalla. - Be’, direi che è andata bene. Almeno sei ancora vivo.
- Avevo dimenticato che a volte sai essere divertente – commentò George, falsamente ilare.
- A volte? Io sono molto divertente!
- Sì, molto divertente.
- Togliti quel sorrisetto dalla faccia, Weasley.
George l’attirò sé, cingendole i fianchi con tenerezza. - Quale sorrisetto? Non so di cosa stai parlando… - disse accentuandolo.
Lei gli schioccò un bacio sulle labbra. - Non smettere mai di sorridere. Amo questo sorriso.
Il sorriso di George divenne sempre più ampio, era felice, emozionato. Pensava che il suo cuore sarebbe scoppiato dalla felicità da un momento all’altro. Non sapeva nemmeno se il suo corpo fosse in grado di contenere così tante emozioni in una volta.
Stava per baciarla, ma lei indietreggiò. Si stava mordicchiando il labbro, come ogni volta che aveva un dubbio e George alzò un sopracciglio, curioso. - Cosa succede in quella bella testolina?
Ginevra sospirò. “Devo trovare il coraggio di chiederglielo prima o poi”, si rimproverò. Ma, alla fine, decise che era meglio togliersi subito il dente. - Adesso sono la tua ragazza? - chiese e, prima che lui potesse rispondere, continuò. - Prima non ne abbiamo parlato, quindi...
- Io ti ritengo la mia ragazza da quando ci siamo baciati poche ore fa. Non ti mollo, Black – la minacciò dolcemente. Le baciò entrambe le mani e le sorrise. - Ti amo e non ti libererai mai di me.
Le labbra di lei s’incurvarono in un sorriso dolce. - Ti amo – ripeté.
Prima di baciarla ancora, George fece una faccia strana. - Sono un’idiota – sospirò piano, estrasse la bacchetta dalla tasca posteriore del pigiama e l’agitò.
- Che succede? - chiese lei, confusa.
- Mi ero dimenticato di darti questo – continuò George con un sorriso sornione. - Buon compleanno!
Fu in quel momento che, davanti agli occhi della ragazza, apparve un pacchetto quadrato, impacchettato con della carta rossa e infiocchettato accuratamente con del nastro dorato.
Quando quella scatolina volò tra le sue mani, Ginevra lo scartò piano. All’interno c’erano due biglietti per un concerto babbano.
Si guardarono negli occhi e si sorrisero, complici. - Bon Jovi? - Ginevra scosse la testa e si morse un labbro per non ridere. - Tu sei pazzo, George Weasley.
Lui fece spallucce. - Lo so.
- Devono esserti costati una fortuna!
- Sapevo che ti sarebbe piaciuto.
Sapeva quanto le piacessero le canzoni di quel babbano americano e così aveva chiesto al suo amico Lee Jordan di procurargli due biglietti per quel concerto. Per comprare i biglietti aveva usato un po’ dei soldi che Harry aveva regalato a lui e suo fratello Fred per finanziare il negozio di scherzi, ma non gli importava. Non si preoccupava minimamente del putiferio che avrebbe scatenato il suo gemello una volta scoperto che c’erano dei soldi mancanti dal loro gruzzolo, avrebbe fatto qualsiasi cosa per Ginevra.
- Verrai con me, vero? - chiese, cercando di apparire minacciosa.
- Ovviamente. Per chi credevi che fosse il secondo biglietto? - la prese in giro lui.
Trattenendosi dal saltare di gioia come una bambina, Ginevra si alzò sulle punte e posò un tenero bacio sulle sue labbra. - Grazie.
- Di niente, signorina.
“Questo è decisamente il giorno più bello della mia vita”, fu il loro pensiero comune.
La signora Weasley, che li aveva spiati tutto il tempo dalle scale insieme alla figlia, singhiozzò per la gioia.
- Mamma, ti sentiranno! - la redarguì la figlia.
- Non posso farci niente! Sono così carini insieme!

Dopo un’imbarazzante colazione accompagnata da una fetta di torta al cioccolato della festeggiata, arrivò il momento di radunarsi sotto l’albero di Natale e scartare i regali.
Nonostante quel giorno fosse anche il suo compleanno, Ginevra non si risparmiò. Aveva un regalo per tutti, nessuno escluso. Kreacher, per esempio, ricevette un’abbondante scatola di cioccolatini.
- Kreacher adora il cioccolato! La padrona è buona come il cioccolato – gongolò Kreacher, seduto sul divano accanto a Regulus.
Harry, invece, aveva ricevuto una fedele riproduzione della sua Firebolt in miniatura, che gli volava intorno proprio come un boccino d’oro*; Draco e Hermione dei libri babbani: ‘Le cronache di Narnia’ per Draco. Per lei, invece, un libro di Jane Austen: ‘Orgoglio e Pregiudizio’.
- Come facevi a sapere che lo volevo? - chiese la riccia, saltando al collo dell’amica.
- È l’unico che manca alla tua collezione – rispose Ginevra. - Avrai divorato ‘Ragione e sentimento’ e ‘Persuasione’ non so quante volte!
- È una scrittrice babbana? - s’interessò Draco, curioso.
Hermione annuì. - È la mia preferita. Scommetto che piacerebbe anche a te.
S’immersero in una fitta conversazione sulla scrittrice e sulle opere che Hermione preferiva e Draco l’ascoltava, incantato. Adorava il modo in cui gli occhi di lei s’illuminavano ogni volta che parlava di qualcosa che le piaceva. Era bellissima.
Ginevra sorrise alla coppietta, contenta che fossero lì insieme a lei, e si dedicò alla distribuzione degli altri regali.
Dato che conosceva molto bene i gusti di Ron e della piccola Weasley, Ginevra regalò a entrambi una busta piena di dolcetti gommosi e alla signora Weasley dei guanti da forno a zampa d’orso, che lei trovò molto divertenti.
Trovare il regalo per Regulus, invece, non fu affatto facile. Aveva intenzione di regalargli qualcosa di divertente ma, soprattutto, qualcosa per prenderlo un po’ in giro. Quando si era trovata “per puro caso” davanti a un negozio di animali, aveva trovato ciò che cercava. Dopotutto suo zio era un animagus e lei non esitò un’istante quando un oggetto in particolare aveva catturato la sua attenzione.
- Un costume da poliziotto! Divertente… ma non credi che sia un po’ piccolo per me? – Regulus rise, riponendo il regalo nella scatola.
- In realtà è un costume per gatto.
Regulus alzò un sopracciglio. Il suo sguardo diceva: “Fai sul serio?”, ma lei lo ignorò.
- Pensa a quanto sarai carino con questo addosso - disse con voce acuta. - Guarda c’è anche il cappellino!
- Non lo metterò mai! - replicò lui e niente gli avrebbe mai fatto cambiare idea.
- Lo vedremo… - replicò la nipote con un sorrisetto che non prometteva niente di buono.
Regulus assottigliò lo sguardo e si avvicinò al fratello. - Tienimela lontano.
- Sì, come no. Contaci! - disse Sirius ironico, mentre scartava il suo regalo da parte della figlia.
Quello era stato il regalo più difficile per la ragazza, non aveva mai fatto un regalo a suo padre e temeva di combinare un pasticcio, ma alla fine, trovandosi davanti a un negozio seminascosto di Hogsmeade, aveva trovato il regalo perfetto: un orologio da taschino.
Era un modello elegante, il quadrante era bianco con numeri romani e placcato in oro. Il coperchio era decorato da piccoli ghirigori e al suo interno, nel coperchio, vi era una piccola fotografia di Harry e Ginevra che sorridevano e si abbracciavano.
- È bellissimo, tesoro – disse Sirius, con un sorriso commosso.
- Giralo – gli suggerì Ginevra.
Lui obbedì.
Dietro l’orologio vi era una dedica che la ragazza aveva fatto incidere: Il mio amore per te è eterno. Oggi, domani e per sempre’.
Dopo aver letto quella frase, gli occhi di Sirius iniziarono a luccicare. - Lo porterò sempre con me – promise stringendola in un forte abbraccio. Poi si chinò su di lei e depose un bacio sulla sua fronte. - Anch’io ho un regalo per te.
Allungò la mano verso i molti regali attorno all’albero, prese una scatolina blu con dei ghirigori argentati e la porse alla figlia. - Tadà! - esclamò. - Buon compleanno, principessa!
Gli occhi della ragazza s’illuminarono. Iniziò a scuotere la scatolina con delicatezza, assottigliò lo sguardo e arricciò le labbra. - Scommetto… che mi hai regalato un pony!
Sirius ridacchiò. - No.
- Un auto!
- Riprova.
- Una moto? Ti prego, dimmi che è una moto.
Sirius sorrise. - Aprilo e basta.
Lei sogghignò e fece come le era stato chiesto. Rimosse con cura la carta decorata e la ripiegò; era troppo bella per rovinarla. Quando si trovò davanti a una scatolina bianca l’aprì, dentro vi era un ciondolo con un piccolo punto luce. Poteva sembrare una semplice collana, inutile e priva di significato, ma per lei era un regalo bellissimo.
- Mi ha fatto pensare a te – disse Sirius, guardandola dritto negli occhi. - Sei sempre stata la mia luce.
Gli occhi della ragazza iniziarono a luccicare dall’emozione. Si slanciò verso di lui e lo abbracciò. - Grazie papà… è meraviglioso.
- Sono felice che ti piaccia – le sussurrò Sirius all’orecchio. Sciolse l’abbraccio, le accarezzò la guancia e sorrise.
Lei sorrise a sua volta. - Mi aiuteresti ad indossarlo? - chiese e suo padre non esitò ad accettare. Quando il ciondolo venne agganciato, Ginevra decise che non l’avrebbe mai tolto.
- Scusate, qualcuno ha visto Fred? - domandò all’improvviso la signora Weasley, cercando la testa rossa del figlio tra le altre.
Bill si alzò in piedi. - Vado a controllare se è in camera. Forse dorme – disse, dopodiché salì al piano di sopra.
Ginevra abbassò lo sguardo. Sospirò. - Probabilmente è ancora arrabbiato con me – disse. - Forse sta solo aspettando che io torni in camera mia prima di scendere.
La signora Weasley le fu subito vicino. - Non dire sciocchezza, cara. Fred ti vuole bene. Lo sai com’è fatto.
- Di sopra non c’è. Però ha lasciato un bigliettino – disse Bill, scendendo le scale. - “Sono uscito. Torno presto”. Wow, più sintetico di così si muore! - sbottò con ironia.
La signora Weasley iniziò a farsi prendere dall’ansia. - Cosa? Ma perché non ha detto niente? Sei sicuro che ci sia scritto solo questo? - Poi l’ansia venne sostituita dalla rabbia. - Oh, ‘stavolta mi sente! Come l’ho fatto lo distruggo. Come può andarsene in giro senza dirmi niente? Sono sua madre! Ho il diritto di sapere tutto. Solo perché adesso ha diciassette anni crede che può fare tutto quello che vuole? Nossignore!
- Non vorrei essere nei panni di Fred – sghignazzò Ron a bassa voce.
- È già morto – aggiunse Bill dandogli manforte.
Ci fu un attimo di silenzio, qualcuno aveva aperto la porta d’ingresso. Passarono solo pochi secondi, poi Fred entrò in soggiorno. - Buon Natale, gente! - salutò, sfoggiando un sorriso smagliante e la faccia rilassata di chi aveva passato una notte fantastica.
- Fred! - la signora Weasley andò subito ad abbracciare il figlio. - Mi hai quasi fatto morire di crepacuore. Dove sei stato?
- Tranquilla, mamma. Ero con la mia ragazza.
La signora Weasley strabuzzò gli occhi per la sorpresa. - A quest’ora del mattino?
- È tornato con Angelina? - chiese la piccola Weasley. - Quando? Perché io non ne so niente?
- Non guardare me! Io non ne so nulla – rispose George quando ricevette su di se lo sguardo indagatore della sorella.
La signora Weasley continuò a parlare. - Spero che tu non abbia disturbato i suoi genitori. Scriverò loro le mie scuse. A loro piacciono i muffin al cioccolato? Gliene spedirò un cestino.
- Mamma, stai tranquilla – ripeté il ragazzo, fermando la donna prima che scendesse in cucina. - I suoi genitori non erano in casa. Sono andati a festeggiare il Natale dai loro parenti. Angelina era sola in casa e io non me la sentivo di lasciarla da sola.
- Qualcuno si è divertito stanotte – mormorò Bill con un sorriso malizioso. Per sua fortuna la madre non udì il suo commento, era troppo impegnata a dar di matto.
- È stato un gesto carino da parte tua, tesoro – disse, - ma solo perché adesso hai diciassette anni non puoi andare via di casa quando e come ti va senza dire nulla a me o tuo padre! Sei in punizione, signorino! Uscirai di qui solo per andare da tuo padre in ospedale e per raggiungere il treno per Hogwarts! Sono stata chiara?
Fred fece spallucce. - D’accordo. Me lo merito.
Diede un bacio sulla guancia alla madre e si sedette per terra, poco distante dall’albero di Natale, accanto alla sua sorellina. Sulle sue labbra vi era ancora quel sorriso smagliante di quando era entrato in casa e questo lasciò sua madre di stucco. La stava forse prendendo in giro? Si aspettava che lui protestasse, che la implorasse di non metterlo in punizione, ma non tutta quella calma.
Dato che l’atmosfera era un po’ strana, la piccola Weasley decise che era arrivato il momento di distrarre la madre e di alleggerire la tensione.
- Gin, vuoi aprire i tuoi regali? - chiese.
La Black capì le sue intenzioni e colse la palla al balzo. Annuì e disse: - Certo! Non vedo l’orda di vedere cosa vi siete inventati quest’anno.


Dopo aver scartato molti regali, arrivarono alcuni ospiti: Remus, Nymphadora, Ted e Andromeda.
Tutti si scambiarono gli auguri di Natale e, ben presto, i nuovi arrivati si concentrarono su Ginevra, la neo diciassettenne.
- Ecco la festeggiata! Buon compleanno, piccola peste – fu il saluto di suo zio Ted.
Andromeda l’abbracciò forte e le diede una serie di piccoli baci sulla sua chioma scura. - Sei diventata una donna! Sembra ieri che hai festeggiato il tuo quinto compleanno.
“Quinto compleanno”, sentire quelle parole fu come una doccia fredda per Sirius. Era come girare il coltello nella piaga. Dopotutto, l’ultimo compleanno che aveva festeggiato con la sua bambina era il secondo. Come poteva competere con loro? Lui non conosceva sua figlia come loro due.
Fu in quel momento che Sirius realizzò una cosa molto importante: Lo avevano sostituito.
Sentì una stretta al cuore quando sua figlia abbracciò Ted e Andromeda.
Lui stesso aveva sempre detto a James: ‘Un padre è colui che ti cresce, non chi ti ha semplicemente messo al mondo’.
Orion Black non era quello che si poteva definire una figura paterna; passava le sue giornate a leggere il giornale, fumare e picchiare i suoi figli quando la sua consorte riteneva opportuno che fosse il suo turno nel “farsi rispettare”. Fleamont Potter, invece, era stato un vero padre per Sirius. Lo aveva accolto in casa sua e lo chiamava “figlio mio” ogni volta che ne aveva l’occasione. I Potter erano i genitori che aveva sempre sognato e, per questo motivo, lui era fermamente convinto del suo pensiero.
Si rattristò, coltivando dentro di sé il sospetto che sua figlia ritenesse i Tonks come suoi genitori. Ted si era comportato come un padre, no? Certo, come poteva competere con lui! Era perfetto.
Lo invidiava.
Gli aveva rubato i momenti più belli… momenti che non sarebbero più tornati indietro. Aveva perso l’infanzia della sua unica figlia e adesso era una donna, aveva un ragazzo e presto sarebbe andata via.
Quanto tempo mancava prima che lui restasse nuovamente da solo? Due, tre anni?
Non voleva nemmeno pensarci.
Frustrato, si allontanò dal soggiorno. Salì le scale entrò in camera sua.
La figlia lo notò e gli corse dietro, ma Regulus la fermò. - Vado io.
Ovviamente lui aveva intuito ogni cosa, lo conosceva molto bene. Doveva essere lui a farlo ragionare e non era il caso che Ginevra lo vedesse piangere in un giorno di festa.
- Va tutto bene? - domandò lei, senza nascondere la sua preoccupazione.
- Tutto bene, tranquilla. Vai a divertirti con i tuoi amici – disse Regulus. - Noi scendiamo subito. - Simulò il sorriso più convincente del suo repertorio, convinto che lei non avrebbe insistito oltre.
All’inizio la ragazza sembrò titubante, ma alla fine annuì rassegnata e lasciò che lui raggiungesse la porta del fratello.
Ginevra andò a salutare la cugina. Si abbracciarono. - Ti ho portato un regalo – disse la giovane Auror.
- Spero che sia qualcosa di legale – ribatté lei con un sorriso obliquo.
Nymphadora sbuffò. - È successo solo una volta! - sbottò facendola ridere.
Quando Remus si avvicinò alle due ragazze, la metamorfomagus arrossì e i suoi capelli si tinsero di un rosso acceso.
- Buon compleanno, figlioccia – disse accarezzandole il viso con dolcezza. Poi guardò Nymphadora. - Buon Natale, Tonks. È da tanto che non ti vedo. Come stai?
La metamorfomagus iniziò a farfugliare frasi senza senso, facendo apparire un sorriso spontaneo sulle labbra del lupo mannaro. La trovava terribilmente dolce, carina e spiritosa. La ragazzina che lui aveva visto crescere e diventare una donna, una bella donna.
Provò un attimo d’invidia per il fortunato che l’avrebbe presa in moglie. Probabilmente quel fortunato era proprio Charlie Weasley, il suo fidanzato storico, e sicuramente erano pronti a fare quel grande passo.
“Quel ragazzo è davvero fortunato”, pensò con una punta di rammarico.


Quando raggiunse la porta della camera del fratello, Regulus bussò due volte su di essa, ma Sirius non rispose.
Aprì comunque la porta, trovandolo seduto sul bordo del letto con la testa fra le mani e il volto basso: sembrava il ritratto della disperazione.
Regulus si avvicinò piano a lui, sedendosi al suo fianco. Poggiò una mano sulla sua spalla e rimase in silenzio, in attesa che lui si confidasse, anche se sapeva già cosa gli stava frullando nella tesa.
Sirius era geloso dei Tonks, era ovvio, ma era meglio se esternava i suoi sentimenti, anziché tenerli dentro e soffrire in silenzio.
Infatti, Sirius non tardò a parlare. - Sono geloso del rapporto che hanno Dora e suo marito con Ginevra – confessò. - Hanno avuto tutto ciò io ho sempre desiderato. So quello che stai per dire: “Non è stata colpa tua”, ma è comunque una sensazione terribile. Sapere che mia figlia consideri Ted suo padre… mi fa male. Qui - disse portandosi la mano al petto, all’altezza del cuore. - Come posso competere con lui? Lui è il padre che io non sarò mai. Affidabile, presente… Lui c’è sempre stato per Ginevra. E io dov’ero? Ad Azkaban! Ma infondo ha avuto un’infanzia migliore di quella che avrebbe avuto stando con me. Non sono un padre affidabile. Sono un casino! Sono sempre stato un casino. Non posso competere con lui.
Cadde il silenzio e, a quel punto, Regulus decise di prendere la parola. - Hai finito? - Sirius lo guardò, confuso. - Hai finito di dire cazzate? - chiese Regulus piccato.
Sirius sbuffò. Un piccolo sorriso incurvo gli angoli della sua bocca. - Io ti apro il mio cuore e tu mi tratti così? Bel fratello che sei… - commentò con un pizzico d’ironia.
- Devi smetterla di autocommiserarti – gli intimò. - Smettila una volta per tutte! Tutto quello che hai detto, tutte le tue paure, sono solo cazzate! Tua figlia non considera i Tonks i suoi genitori. Vuole te! Ha sempre voluto te. Come fai a non capirlo? Ti ha aspettato per dodici anni, senza mai smettere di pensarti. Ha sempre creduto in te, nella tua innocenza. Gli sei mancato ogni giorno della sua vita. Ti vuole bene. Ti adora! Ted è solo uno zio acquisito che l’ha aiutata nel momento del bisogno. Ma sei tu suo padre. Sei tu il suo unico punto di riferimento. Hai capito?
Regulus era furioso, non voleva di certo che suo fratello si buttasse giù per una paura inesistente come quella. Non doveva distruggere tutto solo perché aveva paura di non essere abbastanza per sua figlia. Non lo avrebbe mai permesso.
A quel punto, un peso si sollevò dal cuore di Sirius. Annuì e lo abbracciò vigorosamente. - Grazie. Ne avevo bisogno – ammise, sincero.
Si allontanò in fretta e scese al piano di sotto, stringendo la figlia in un abbraccio che voleva non finisse mai.
Lei era la sua bambina e nessuno poteva portarla via da lui. Mai più.





*In realtà il modellino della Firebolt era un regalo da parte di Tonks per Harry, ma io (senza rendermene conto) l’ho descritto come il regalo da parte di Gin pensando fosse un’idea geniale! Poi, rileggendo il capitolo 23 de “L’Ordine della Fenice” ho scoperto la dura verità.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 - TORMENTO ***


Capitolo 23 - Tormento

La luce fioca dell'alba filtrava dalla finestra, dando al volto di Alastor Moody una tonalità giallastra. Sorseggiava un bel bicchiere di Whisky Incendiario, mentre il suo occhio magico vigilava attento fuori dalla finestra. Come se si aspettasse di essere attaccato da un momento all'altro, come l'ultima volta.
Erano passate quasi otto ore dalla fine del 1995 e augurarsi che il nuovo anno fosse migliore rispetto al suo predecessore era una lontana utopia. Per Alastor c'era ben poco da festeggiare. Voldemort era tornato e la guerra incombeva su di loro come un avvoltoio.
"Ci vuole vigilanza costante", continuava a ripetersi il vecchio Auror.
Voldemort si stava muovendo e l'assalto ad Arthur Weasley ne era l'ennesima conferma. Voleva impossessarsi della profezia e capire dove avesse sbagliato l'ultima volta.
Voleva la guerra.
Dovevano essere pronti per quando sarebbe arrivata. Era solo questione di tempo.


La sveglia indicava che erano le 7:45 del mattino e dall'altoparlante uscì una canzone babbana, che diede il via a un mal di testa martellante per la povera Emily Tonks.
Provò più volte a distruggere quell'arnese infernale, battendo un pugno alla cieca, e alla fine ci riuscì.
Il dolore alla testa divenne un po' più sopportabile e la voglia di restare sotto il piumone e dormire tutto il giorno era allettante. Ma perché doveva uscire dal letto quando c'era una coperta calda e accogliente a darle conforto?
La risposta bussò subito alla porta della sua stanza ed entrò senza attendere una risposta.
- Buongiorno, raggio di sole! Ieri sera è stato fantastico, dovremmo farlo ogni anno! - la salutò Claire, la sua coinquilina.
Emily lanciò un debole gemito di protesta, stringendo gli occhi.
Sentire la voce della sua coinquilina fu più atroce della musica alla radio.
La sera prima era uscita con Claire e il suo gruppo di amici per festeggiare insieme l'ultimo dell'anno. All'inizio Emily aveva bevuto qualche sorso di champagne per il brindisi di rito, ma la sua coinquilina aveva deciso che non potevano fermarsi allo champagne. No di certo!
Il più grande difetto di Emily? Non riusciva mai a dire di no e Claire, ovviamente, ne approfittava. Si conoscevano da quasi otto anni. Una lunga e bella amicizia, nata per caso, che le aveva portate a vivere insieme da quattro anni. Claire era una babbana e non aveva la minima idea che Emily fosse una strega. Per sua fortuna o sfortuna, Claire non ha mai creduto nella magia o in un mondo sovrannaturale. Infatti Emily fingeva di essere una hostess, viaggiare in continuazione era un'ottima copertura per il suo vero lavoro.
Claire, invece, lavorava come commessa in un negozio di animali e, di tanto in tanto, portava a casa qualche povero animaletto indifeso e bisognoso di cure prima di portarlo in negozio e metterlo in adozione.
Claire era una donna molto impulsiva, festaiola, spontanea. Emily, invece, era tutto l'opposto. Talmente diverse, eppure si completavano perfettamente.
- Dove la trovi tutta questa energia? Hai bevuto più di me ieri sera! - protestò Emily, massaggiandosi le tempie. - Mi sento come se ci fosse un omino con un martello pneumatico nella mia testa.
Claire si avvicinò alla finestra e aprì le tende, ignorando le proteste dell'amica.
- Ti odio.
Claire sorrise.
Era una ragazza molto bella, alta, dal corpo invidiabile e dai lunghi capelli bruni.
- Ti ho portato il mio infallibile rimedio per i postumi della sbornia. Sei contenta? - disse, mostrando un sorriso smagliante. Si sedette sul letto, al suo fianco, e le diede un bicchiere. - Bevi. Ti sentirai meglio.
- Mhmmm - mugugnò Emily ad occhi socchiusi. Si mise seduta e allungò la mano verso il bicchiere e lo portò alle labbra. Ne bevve un sorso e arricciò il naso, disgustata. - Non voglio bere alcol mai più.
- Mai dire mai, Emy.
Lei la fulminò con lo sguardo. - Mai più – ribadì, seria.
Claire sghignazzò e scosse la testa. - Adoro quando fai così. Sembri molto convinta di quello che dici.
Emily sbuffò e continuò a bere quell'intruglio abominevole del dopo sbornia, con la speranza che funzionasse nel giro di qualche ora. Nonostante fosse il primo dell'anno, doveva andare al Ministero e trovare quello strano libro per conto Regulus. Gli aveva promesso che lo avrebbe aiutato e non poteva sottrarsi.
- Conosco quello sguardo – disse Claire, piano. - Tu stai pensando a un uomo!
Le guance di Emily si imporporarono lievemente. - No – balbettò. - Stavo pensando ai cocktail che dovrò servire ai passeggeri quando saliranno sull'aereo. Solo al pensiero mi viene la nausea.
- Suvvia, non dire sciocchezza! Ti conosco – ribatté la bruna. - Allora? Stavi pensando a quel bel biondino che ti ha riportato a casa l'altra sera? - chiese con un sorrisetto malizioso.
Le guance di Emily s'imporporarono ancora di più al ricordo del quasi-bacio tra lei e Simon. Avevano passato una serata piacevole; cena a lume di candela, passeggiata sul Tamigi tra risate e piccoli battibecchi fino a quando non arrivarono all'uscio di casa di Emily. A quel punto lui aveva tentato di baciarla, ma lei lo aveva allontanato appena in tempo, imbarazzata. "- Non credi che sia un po' presto?", gli aveva sussurrato.
In realtà era solo una scusa, non voleva baciarlo.
Non poteva mentire a se stessa. Nella sua testa c'era solo Regulus.
Simon allora sorrise e abbassò la testa, amareggiato. "- Hai ragione. Ma se domani ti sveglierai con la voglia irrefrenabile di saltarmi addosso, sai dove trovarmi". Le aveva fatto l'occhiolino, rubandole un sorriso. Poi le diede un leggero bacio sulla guancia che la fece tremare.
Cosa sarebbe successo se avesse lasciato che la baciasse?
- È molto attraente – continuò Claire, distogliendola dai suoi pensieri.
Emily aggrottò la fronte. - Be'... Non posso darti torto, ma non sono certa che sia l'uomo per me.
- Se non lo vuoi tu, lo prendo io. Non mi lascerei scappare un bocconcino del genere per nulla al mondo – esclamò Claire e Emily scosse la testa, esasperata.
Claire lanciò uno sguardo verso la sveglia e scattò subito in piedi. - Vado a fare un po' di spinning. Vieni con me?
- Spinning? Alle 8:00 del mattino? Io ho le spine nel cervello.
- Lo prenderò come un no – rise. - Oh, portami un bel regalo dal tuo viaggio in Giappone, magari un piccolo souvenir per la mia collezione!
- D'accordo... Anche se non te lo meriti.
- Tanto lo so che stai scherzando – le urlò dal corridoio.
Emily sogghignò. - A mercoledì, Claire – la salutò Emily, poi la porta d'ingresso si aprì e si chiuse con un tonfo, che riecheggiò per tutto l'appartamento.
Dopo qualche minuto, Emily decise che era arrivato il momento di alzarsi e cominciare la giornata. Si guardò intorno, passandosi una mano tra i capelli.
Si guardò allo specchio; era uno straccio. Il volto pallido come un cadavere. Sbuffò. - Odio i lunedì!
Dopo una breve doccia rigenerante e una ricca colazione, infilò dei pantaloni neri, un morbido maglione rosso e gli stivali. Cappotto, cappello e sciarpa di lana e uscì di casa.
Chiuse la porta alle sue spalle e subito venne investita da un vento molto più freddo del giorno precedente.
- Menomale che tra poco sarò al calduccio – disse, sfregandosi le mani tentando di riscaldarle.
Andò verso il vicolo all'angolo della strada e si smaterializzò. Dopo il solito breve momento di buio e soffocamento, Emily si ritrovò nella minuscola stradina, vicino a un cassonetto traboccante di spazzatura, alle spalle del pub 'Red Parrot'*.
Entrò in una vecchia cabina del telefono rossa, con molti vetri rotti, che si ergeva davanti a un muro coperto di graffiti. Chiuse la porta e tese la mano verso il ricevitore, componendo il numero: '62442'. A quel punto, una fredda voce femminile risuonò nella cabina, forte e chiara.
- Benvenuta al Ministero della Magia. Per favore dichiari il suo nome e il motivo della visita.
- Emily Tonks, Quartier Generale degli Auror – rispose Emily al ricevitore.
- Grazie – disse la fredda voce femminile.
Il pavimento della cabina tremò. Stava sprofondando lentamente nel suolo. Emily era sicura di essere una dei pochi impiegati al Ministero (se non l'unica), ad utilizzare quel mezzo per raggiungere gli uffici. Anche se c'erano diversi mezzi come i camini o i bagni pubblici, lei preferiva di gran lunga prendere quella specie di ascensore malandato anziché piantare i piedi in un gabinetto. Era molto più comodo e meno disgustoso.
Dopo circa un minuto, raggiunse l'atrio del Ministero e la fredda voce femminile la salutò cordialmente. - Il Ministero della Magia le augura una buona giornata.
La porta della cabina si spalancò e Emily uscì, attraversando l'immenso salone d'ingresso. Quella mattina non vi erano le solite facce assonnate o accigliate di centinaia di maghi e streghe. Nei giorni di vacanza erano ben pochi coloro che lavoravano. Infatti, quella era per Emily l'unica occasione per raggiungere l'archivio e trovare il libro di Bellatrix Lestrange senza attirare l'attenzione dei suoi colleghi. Non sarebbe stato facile, ma doveva provarci.
Una volta oltrepassati i cancelli, nell'ingresso più piccolo, si avvicinò al primo ascensore disponibile, dal quale uscirono tre dipendenti.
- Ehi, Emily – la salutò un grosso mago barbuto. - Anche tu fai gli straordinari, eh?
- Che posso dire? Mi annoiavo a casa – rise e lo salutò. - Buon anno, Bob.
- Buon anno a te – ricambiò raggiante.
Emily entrò nell'ascensore e le porte si richiusero al suo passaggio. In un giorno normale si sarebbe ritrovata spiaccicata contro la parete sul fondo, ma non quella volta. Avere l'intero ascensore tutto per sé fu un'esperienza nuova e allo stesso tempo piacevole.
L'ascensore prese a salire lentamente, con le catene che sbattevano. La stessa fredda voce femminile della cabina telefonica risuonò di nuovo: - Secondo Livello, Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, comprendente l'Ufficio per l'Uso Improprio delle Arti Magiche, il Quartier Generale degli Auror e i Servizi Amministrativi del Wizengamot.
Emily sospiro. Era arrivata al piano.
Camminò lungo un corridoio pieno di porte, poi voltò l'angolo, attraversando una massiccia porta a due battenti di quercia e sbucò in un open space diviso in cubicoli: il Quartier Generale degli Auror. Di solito l'ufficio ronzava di chiacchiere e risate, sentire tutto quel silenzio fu agghiacciante.
Andò verso la sua postazione, rovistando nel terzo cassetto, fino a quando non trovò la chiave dell'archivio.
Kingsley Shacklebolt, il suo capo, le aveva affidato una copia per le emergenze, nel caso l'originale fosse andata persa. - Perdonami Kingsley, ma è per una buona causa – mormorò tra sé, sperando di non essere mai scoperta.
Raggiunse l'archivio in pochi minuti, la porta era in legno e aveva un pomello dorato ormai opaco. Emily infilò la chiave nella serratura e la porta si aprì.
Dentro, l'ambiente era buio e sembrava molto umido. La luce si accese non appena varcò la soglia, mostrando pile e pile di documenti e scatole imballate addossate alle pareti.
Individuare gli effetti personali di Bellatrix Lestrange non fu difficile dato che ogni scatolo era catalogato in base all'anno del sequestro. Allegato ad esso vi era una lista con tutto quello che era stato sequestrato alla donna la notte che venne arrestata.
Scorrendo attentamente la lista, notò che vi erano molti libri di magia oscura. Forse anche troppi.
Emily sbuffò. Era davvero frustrante.
Non sapeva cosa cercare. Regulus era stato molto criptico in merito. Non conosceva il titolo del libro, ricordava soltanto che la copertina era rossa.
Sembrava un'impresa facile, ma il vero problema era che lì vi erano almeno un centinaio di libri con la copertina rossa.
"Bel modo di iniziare l'anno nuovo, eh?", pensò Emily con ironia.
Sospirò. - Meglio mettersi a lavoro.


In quell'enorme stanza fredda e poco illuminata, Ginevra si sentì in trappola. Con il fiato sospeso, fissava gli occhi freddi del Mangiamorte davanti a sé, e lui ricambiava con un sorriso sadico. Doveva affrontarlo, questo era ovvio, l'unico problema era che non riusciva a muoversi. I suoi piedi erano piantati a terra e ogni suo tentativo di fuga era inutile.
I suoi occhi si muovevano frenetici, dal Mangiamorte all'enorme arco di pietra al centro della stanza, sperando di trovare una soluzione o un aiuto, ma non ci riuscì. In quella stanza non c'era nessuno, solo voci ovattate e lampi di luce che andavano da un lato all'altro.
Il Mangiamorte fece un passo lento e sfrontato verso di lei, pronto a puntare la bacchetta e ucciderla. Lei provò a difendersi, ma non riuscì nemmeno ad agguantare la bacchetta o a trasformarsi in un lupo.
Era finita.
S'irrigidì, in attesa dell'attacco, con gli occhi serrati.
Poi udì una risata rauca, agghiacciante. Per un'istante, pensò che si trattasse dell'entità Oscura nella sua testa che si prendeva gioco di lei, ma si sbagliava.
Aprì gli occhi, il Mangiamorte era sparito.
Ginevra si guardò intorno e vide una donna dai folti capelli neri e dal viso smagrito come un teschio, con un bagliore febbrile negli occhi scuri. Era alle sue spalle, a pochi metri di distanza, e lottava a suon di incantesimi con un uomo che la ragazza riconobbe immediatamente: suo padre, Sirius Black.
Accadde tutto molto in fretta. In quel momento lui aveva schivato il fiotto di luce rossa della donna e la derise. - Avanti, puoi fare di meglio! – le gridò.
Il secondo getto luminoso lo colpì in pieno petto e Ginevra sentì le gambe cedere e si lasciò cadere, in ginocchio su quel pavimento freddo. Gridò a pieni polmoni il suo dolore, si portò le mani alla testa e scoppiò in lacrime.
Sirius era morto.
Quando Ginevra aprì gli occhi, scattò subito a sedere, spaventata: aveva la fronte madida di sudore e il viso in fiamme; il suo cuore martellava così forte da toglierle il respiro. Si guardò intorno disperatamente, cercando il corpo del padre, ma non trovò nulla a parte la valigia semiaperta abbandonata ai piedi del letto.
Era a Grimmauld Place, in camera sua e quello che aveva visto era un incubo. Solo un incubo.
Si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e, lentamente, cercò di calmare i battiti del suo cuore. Poi, però, la consapevolezza che il suo fosse un sogno premonitore, una visione sulla morte del padre, iniziò a darle il tormento. Dopotutto non era la prima volta che prevedeva la morte dei suoi cari ancor prima che accadesse. James e Lily Potter ne erano la conferma.
Scoppiò in un breve pianto nervoso. Poi strinse i denti e ispirò forte. Si asciugò gli occhi con il dorso delle mani e quando riuscì a calmarsi si diresse verso le scale. Una volta al piano terra, si avvicinò al camino del soggiorno; era ancora acceso, ma non c'era nessuno. Ginevra si sistemò sul divano, fissando le fiamme guizzare e giocare tra loro senza guardarle davvero.
Non si stupì quando vide Regulus entrare nella stanza poco dopo.
Sapeva che sarebbe arrivato. Dopotutto lui era in grado di entrare nella sua mente e condividere gli stessi sogni della ragazza, quindi era logico pensare che, grazie a quello strano collegamento mentale tra di loro, lui fosse già a conoscenza dell'incubo.
Si sentì rincuorata dalla sua presenza. Aveva bisogno di parlare, chiedere consiglio, di scacciare via quell'immagine orribile dalla sua testa e, sopratutto, non voleva restare sola. Lui era l'unico in grado di capirla.
Regulus rimase in piedi sulla porta con le braccia incrociate al petto, a guardarla con aria cupa, senza dire una parola. Passò circa mezzo minuto prima che si sedesse al suo fianco. Lei non alzò lo sguardo verso suo zio nemmeno una volta, non ne aveva la forza; temeva che se lo avesse fatto sarebbe scoppiata a piangere. La cosa migliore, secondo lei, era tenere gli occhi fissi sulle fiamme che danzavano.
Sapevano entrambi che stavano per affrontare un argomento poco piacevole, era inevitabile. Erano pronti? Probabilmente no.
Sorprendentemente, fu lei a rompere il silenzio. - Non era un sogno, vero? - chiese, anche se conosceva già la risposta.
Regulus sospirò dal naso. - Temo proprio di no – rispose.
Era irrequieto, terrorizzato. Dentro di sé vi era un mare di emozioni contrastanti, ma il terrore prevaleva su tutto. Aveva visto ciò aveva sognato la nipote e, come lei, era distrutto. Voleva, doveva, trovare una soluzione. Sirius non poteva morire, non in quel modo. Doveva vivere abbastanza da vedere i suoi nipoti girargli intorno e dargli il tormento come facevano loro due da bambini con i loro genitori. Regulus non poteva, non riusciva, neanche a pensare alla sua vita senza suo fratello. Sirius doveva vivere... a qualunque costo.
- Ho riconosciuto la donna – disse Regulus, rompendo quel silenzio che si era nuovamente creato. Ginevra rimase pietrificata, ma non disse nulla. Ascoltava e basta. La voce di Regulus, invece, tremava dalla rabbia. - Era mia cugina... Quella folle psicopatica di Bellatrix Lestrange.
Ginevra rimase sgomentata. Guardò l'animagus al suo fianco. - Cosa?
Quel nome lo conosceva bene e Regulus lo sapeva. I Tonks le avevano parlato di quella donna, della prima guerra magica e di ciò che ne portò. Bellatrix era una dei seguaci di Voldemort, la più fedele oltre che la più folle. Dopo la scomparsa dell'Oscuro aveva torturato i genitori di Neville Paciock fino alla pazzia insieme a Barty Crouch Jr. e altri Mangiamorte, poi venne catturata e spedita ad Azkaban, dove risiedeva ancora. Sua zia Andromeda soffriva molto quando ne parlava, dopotutto era sua sorella, ma non poteva negare che fosse pazza.
- Che cosa facciamo?
- Non lo so – disse Regulus, a mezza voce. Cercava di reprimere la sua rabbia, ma riuscendoci a malapena. Era talmente furioso che era sul punto di spaccare tutto quello che gli stava davanti. Odiava quando non sapeva cosa fare, quando non riusciva a risolvere i problemi e, più di ogni altra cosa, odiava essere vulnerabile.
Ginevra riportò il suo sguardo verso le fiamme del camino e sospirò forte.
Anche se Bellatrix Lestrange era ancora ad Azkaban non aveva alcuna importanza. Una cosa era certa e Ginevra lo aveva capito da tempo: i suoi sogni macabri si avveravano sempre.
Rabbrividì al solo pensiero.
Non poteva permetterlo. Non più.


Quella mattina, a colazione, l'umore della ragazza non era dei migliori. Era taciturna e accigliata, non smetteva di pensare a quell'incubo agghiacciante. L'entità Oscura provò più volte a parlare, quasi dispiaciuta per il tormento della ragazza, ma lei non le diede ascolto. Preferiva fingere che non esistesse; non aveva la forza di battibeccare con lei.
Sirius, che ovviamente si accorse del malumore della figlia, cercò di tirarle su il morale in tutti i modi: boccacce, battutine, aneddoti sui Malandrini... ma niente di tutto ciò sembrava aiutarla. Si limitava solo a sorridergli e, quando incrociava il suo sguardo, lui poté vedere che i suoi occhi erano lucidi. Pronti alle lacrime. - Devo uccidere quel ragazzo, per caso? Ti ha già fatta soffrire in meno di una settimana?
Ginevra abbassò lo sguardo sulla sua tazza di latte caldo, intingendo un biscotto alle gocce di cioccolato. - Papà, George non c'entra.
- E allora qual è il problema?
Non voleva dirglielo. Non poteva. Non ne aveva la forza. - Ho solo avuto un incubo, tutto qui. Non preoccuparti – gli sorrise, cercando di sembrare convincente.
Sirius la guardò, incerto se crederle o meno. La sua bambina era un'abile bugiarda fin dalla tenera età, ma se c'era qualcosa che le dava il tormento lui lo capiva. Faceva sempre un passo falso.
Studiò i suoi occhi, per vedere se nascondesse qualcosa. In quel momento sembrava sincera, ma non del tutto. Gli stava nascondendo qualcosa, ne era sicuro e non aveva intenzione di mollare l'osso tanto facilmente.
Un attimo dopo, qualcuno bussò alla porta d'ingresso con foga.
- Vado io! - gridò Regulus dal piano di sopra.
Alla porta continuavano a bussare.
Regulus aggrottò la fronte. Pensando che, molto probabilmente, era Malocchio Moody a percuotere con tanta insistenza quella povera porta. Erano giorni che li tormentava con la storia della "vigilanza costante". Quando aprì la porta non trovò l'occhio meccanico del vecchio Auror a scrutarlo, bensì Emily. Era trafelata, i capelli scompigliati e gli occhi contornati da occhiaie.
- Emily. Ciao... – la salutò, sorpreso.
La donna lo ignorò. - Credo di averlo trovato – ansimò.
Gli occhi di Regulus s'illuminarono al suono di quelle parole. - Vieni, entra.
- L'ho cercato per quasi ventiquattro ore. Non ho chiuso occhio tutta la notte – disse Emily entrando in casa. - Sono arrivata qui non appena l'ho trovato.
Si tolse il cappotto, la sciarpa e il cappello, tremando per il freddo. Fuori nevicava e il vento era pungente. Quando Regulus la prese per mano, il suo calore cancellò ogni sensazione di freddo in un secondo. La attirò verso la sua camera, proprio come l'ultima volta e, quando richiuse la porta con un incantesimo sigillante, le lasciò la mano. Lei provò una fitta all'altezza del petto, e il peggio era che non ne sapeva la ragione. Voleva che Regulus le tenesse ancora la mano?
A quel punto il desiderio di stargli vicino il più possibile divenne sempre più impellente. Voleva provare ancora quei brividi e quel calore che solo lui era in grado di darle, ma subito dopo si pentì di quegli sciocchi pensieri e si ricompose. Non era il momento di farsi film mentali, ma per lei era inevitabile. Non poteva fare a meno di fantasticare su quell'Adone che aveva davanti agli occhi. Quando era vicino a lui, era in balia di una strana e incontrollabile sensazione.
Regulus avanzò verso di lei e interruppe la silenziosa catena dei suoi pensieri. - Sei sicura che sia quello giusto?
Lei infilò una mano dentro la sua borsa e ne uscì un libro antico dalla rilegatura rossa, al centro della copertina vi erano i segni di quello che un tempo doveva essere il titolo del libro. - Chiamalo intuito femminile, se vuoi, ma sono più che sicura che sia questo.
Regulus sospirò sollevato. - Lo è. - Sorrise, poi lanciò un'occhiata al titolo sbiadito del libro. - Ecco perché non ricordavo il titolo... Abbiamo svelato il mistero – ironizzò lui.
La risata lieve di Emily gli invase le orecchie come una dolce musica. Regulus si perse a guardarla, con sorriso dolce sulle labbra. La desiderava. Voleva essere l'unico a farla ridere e farla sorridere. Voleva baciare le sue labbra e ogni centimetro del suo corpo per tutto il resto della sua vita. Bearsi della sua bellezza ed esserne folgorato ogni giorno come se fosse il primo. Ma gli avrebbe permesso di baciarla? Lo avrebbe allontanato?
- Grazie, Emily. Sei stata fantastica – disse. - Senza di te non sarei riuscito a trovarlo.
A quelle parole, il cuore di Emily perse un battito. Cominciò a mordersi il labbro inferiore. - L'ho fatto volentieri. Non occorre che tu mi ringrazi – sussurrò, quasi senza fiato.
- Insisto. Cosa posso fare per sdebitarmi per il tuo aiuto? - domandò Regulus.
- Be', ricordo che mi avevi offerto una cena – disse lei.
- E non l'ho dimenticato – ribatté lui, con un sorriso sghembo. - Ma vorrei fare di più.
- Facciamo così: quando avrò bisogno di te, tu ci sarai. D'accordo? Un favore per un favore.
Regulus assottigliò lo sguardo e finse di pensarci su. - D'accordo, biondina. Ma stasera ti porto a cena – rilanciò.
Lei sorrise. - Ci sto.
Regulus sorrise a sua volta e abbassò lo sguardo sulle labbra di lei, colpito per l'ennesima volta dal desiderio di baciarla. Le sue labbra erano leggermente umide e socchiuse, quasi in attesa di essere baciate. Come se lo invitassero a farlo.
- Emily, io... - Lentamente, Regulus si mosse verso di lei.
L'intensità di quello sguardo le fece ribollire il sangue nelle vene e capì di essere desiderata. - Sì? - chiese lei, la gola secca.
Erano talmente vicini da desiderare di annullare l'ultima distanza tra loro e perdersi in un bacio senza fine.
- Io... - sussurrò Regulus, abbassando la bocca verso quella di lei. Le labbra di Emily si schiusero per accoglierlo. Le gambe di le tremavano, il cuore batteva forte.
Lui la strinse per i fianchi, attirandola a sé, pronto ad approfondire quel bacio appassionato. Emily gli infilò le dita fra i capelli mentre gli restituiva il bacio, cercando di assorbire ogni sensazione.
Il bacio si fece più intenso, più lungo, mentre le mani di Regulus le accarezzavano la schiena.


Evitare il padre era un'impressa impossibile per Ginevra. Quando entrava in una stanza, lui era lì a guardarla con apprensione e a quel punto le difese della ragazza minacciavano di crollare. Ogni volta che incrociava il suo sguardo, le veniva da piangere.
Era perseguitata da quell'incubo che aveva iniziato a darle il tormento. La notte, si rigirava nel letto inquieta. Aveva paura di chiudere gli occhi e addormentarsi. Non voleva rivedere quel momento. Il cuore le si stringeva nel petto, quasi come se qualcuno lo avesse stretto in una mano per sbriciolarlo.
Era un sogno, solo un sogno, continuava a ripetere a se stessa, ma non riusciva a convincersi nemmeno un po'.
Chiuse gli occhi, appoggiando la testa al muro.
Sospirò, reprimendo la voglia di scoppiare a piangere.
"Non fare la brontolona", borbottò l'entità oscura, divertita.
Lei la ignorò.
"Continuare ad ignorarmi non ti aiuterà", continuò la voce. "Non ti libererai mai di me".
- Stai zitta – sbottò la ragazza. - So che la cosa ti diverte. Lo sento. Tu sguazzi nelle mie paure.
L'entità oscura rise velatamente. "È vero, però tu rendi tutto più facile. So per certo che presto cederai".
Ginevra sentì la rabbia montarle dentro. Odiava non avere il completo controllo della propria mente e odiava lei.
L'entità oscura diventava sempre più forte con il passare del tempo, cibandosi delle sue paure e della rabbia. Tentava sempre di farla addormentare per prendere il controllo, ma Ginevra riusciva sempre a riprendersi.
"Per quanto credi che protrai resistere?", le domandò la voce in un sussurro.
La ragazza non rispose. Rimase in silenzio tutto il tempo ad accarezzare la testa piumata di Fierobecco, fino a quando Sirius non entrò nella stanza con un secchio pieno di furetti stecchiti per l'ippogrifo.
- Ah, sei qui – disse quando notò la figlia seduta per terra. - Credevo fossi con il tuo... ragazzo.
Ginevra abbassò subito lo sguardo e poi si concentrò su l'ippogrifo che la invitava a continuare a fargli le coccole con una certa insistenza. La voce iniziò a tremarle, ma tentò comunque di sorridere. - Volevo fare compagnia a Beccuccio e...
- E ignorare me – disse Sirius.
Il cuore di lei si strinse provocandole un piccolo mancamento, ma non azzardò ad alzare lo sguardo verso suo padre. Non ne aveva il coraggio.
Sirius sospirò, affranto, e si avvicinò all'ippogrifo con la sua cena.
- Ho... fatto qualcosa di sbagliato? - domandò Sirius continuando a guardare la ragazza. Sapeva che c'era qualcosa che le dava il tormento ma cercare di cavarle fuori qualcosa era molto difficile. In questo, era molto simile alla madre. Testarda come un mulo.
- Tu non hai fatto niente, papà – la voce tremava sempre di più.
Sirius si avvicinò subito a lei, preoccupato. - Cosa ti succede? Parlami. Ti prego.
Le sollevò il mento con delicatezza e quando i loro occhi si incrociarono lei iniziò a piangere copiosamente.
Gli lanciò le braccia intorno al collo.
- Non voglio perderti – singhiozzò.
Sirius l'accolse fra le braccia, un po' sorpreso. Poi capì.
- L'incubo di cui mi hai parlato... riguarda me, non è vero?
I singhiozzi iniziarono a diventare sempre più forti e si stringeva a lui come una bambina indifesa. - Tu... Tu venivi ucciso...
- Shhhh – la zittì dolcemente. Le accarezzò la testa e le diede un bacio sulla guancia. - Stai tranquilla, non mi succederà niente. Sono qui con te.
Ginevra capì che stava mentendo, ma si sentì comunque rassicurata da quelle parole. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di salvarlo. Niente e nessuno lo avrebbe portato via da lei. Non più.


|Claire è Aly Michalka|
|Claire è Aly Michalka|

(Guardavo sempre Phil dal futuro quando ero piccola e qualche anno fa l'ho ritrovata in iZombie

(Guardavo sempre "Phil dal futuro" quando ero piccola e qualche anno fa l'ho ritrovata in iZombie. La trovo perfetta per questo "ruolo". Spero che piaccia anche a voi).

ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti!
Scusate il ritardo ma, ultimamente, non ho molto tempo libero. Ciononostante cerco sempre un momento da dedicare alla storia.
Per vostra sfortuna non abbandonerò la storia ahahah
Ringrazio tutti quelli che leggono, commentano, seguono questa storia... Siete fantastici!
Lo so, come capitolo non è un granché, ma ci ho lavorato molto e spero tanto che vi piaccia.
Se trovate qualche errore di battitura o grammaticale vi prego di farmelo notare, perché quando rileggo quello che ho scritto (a velocità super sonica) non riesco a rendermi conto degli errori.
Attenderò con ansia un vostro commento - negativo o positivo che sia - e spero di poter pubblicare il prossimo capitolo entro il 28 febbraio, ma se posso cercherò di pubblicare molto prima.
A presto
18Ginny18


*Il nome del Pub è inventato da me. È il primo nome che mi è venuto in mente. Non è presente nella saga di Harry Potter. 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 - PAURA E GELOSIA ***


Capitolo 24 – Paura e gelosia


Era sempre lo stesso sogno.
Si trovava in quell’enorme stanza fredda e poco illuminata, completamente in trappola. Gli occhi del Mangiamorte che la scrutavano con attenzione mentre si avvicinava con passo spedito, pronto ad attaccare. Poi, nella sala echeggiò quell’orribile risata e lui sparì. Sirius, invece, lottava contro la sua folle cugina.
Lanciava un incantesimo dopo l’altro, spesso molto efficaci. Ma Ginevra aveva paura di ciò che sarebbe accaduto. Era inevitabile. Sirius stava per morire.
“- Mettiti in salvo, ti prego! Ti ucciderà”, urlò la ragazza, ma suo padre non riuscì a sentirla. Un lampo di luce lo colpì in pieno petto e cadde a terra, senza vita.
Le grida della ragazza squarciarono la stanza, mentre una vocetta infantile canticchiava: “- Ho ucciso Sirius Black! Ho ucciso Sirius Black!”.
Quando Ginevra aprì gli occhi, scattò a sedere come una molla. Tremava e le mancava il respiro.
Va tutto bene, bambolina?”, le domandò l’entità Oscura con un pizzico di ironia.
Incapace di trattenere il suo dolore, Ginevra scoppiò in lacrime.
Era a pezzi e non aveva alcuna intenzione di battibeccare con quell’insopportabile Mostro. La ignorò e basta. In quel momento, il suo unico pensiero era trovare un modo per impedire che quella premonizione -che le dava il tormento giorno e notte- si avverasse. L’unico problema era che non sapeva nemmeno da dove cominciare.
Sei una ragazza davvero triste”, commentò l’entità. “Forse dovresti chiamare quel bel fusto dai capelli rossi. Magari lui ti tira un po’ su…”.
- Ma perché non mi lasci stare? - sbottò Ginevra. - Non hai altre persone da importunare? Entra nella testa di qualcun altro!
Ci fu un attimo di silenzio che parve durare secoli, poi l’entità Oscura parlò con voce bassa.
Non è una cosa che posso controllare. Se potessi, andrei da un’altra parte”, disse.Credimi, l’unica cosa che voglio è vivere. Ma non in una trappola. Finire nella testa di qualcuno non era nei miei piani. Tu sei una ragazza davvero insopportabile, ma in fondo mi stai simpatica… quando non tenti di eliminarmi”.
Ginevra si asciugò le lacrime e si sforzò di sorridere appena. - Be’, tu hai tentato di eliminarmi un paio di volte, se non sbaglio.
L’entità Oscura emise un suono strano, qualcosa di simile a uno sbuffo e una risata derisoria. “Scusa se ho provato ad evadere! Essere nella tua testa è un casino. È un frullato di emozioni e ormoni impazziti!”.
Non riuscendo a trattenersi, Ginevra si lasciò sfuggire una risata silenziosa. La situazione era talmente assurda che era impossibile non trovare il lato comico. Per la prima volta erano riuscite a dialogare in maniera civile.
Qualcuno bussò alla porta ed entrò nella camera della ragazza. Anche nella semioscurità, Ginevra riuscì a riconoscerlo: era George.
Il suo cuore iniziò a fare le capriole nel suo petto. Era felice di vederlo, sentiva il bisogno di abbracciarlo.
- Ehi, sei sveglia? - sussurrò.
- Sì.
Con passo felpato, George si avvicinò alla ragazza e l’abbracciò forte, sfiorandole il collo con le labbra. Sotto quel contatto, Ginevra smarrì il senso della realtà. Adorava la morbidezza delle sue labbra.
“Ho capito… vi lascio soli”, sospirò l’entità Oscura, dopodiché si zittì.
Non sapeva dove andasse o se rimanesse zitta zitta in un angolino nella sua testa, in attesa, ma Ginevra apprezzò molto il suo gesto. Forse non era tanto male, bastava partire con il piede giusto.
- Che fai da queste parti? - domandò al ragazzo, facendogli posto sul letto.
- Mi mancavi.
Si sdraiò accanto a lei e le cinse i fianchi con un braccio per poi accarezzarle i capelli.
- Perché non dormivi? Mi stavi aspettando? - sogghignò, ma lei non rise.
- Non ho molto sonno – mentì.
- Sento che mi stai nascondendo qualcosa, Black. Sputa il rospo.
Ginevra abbassò la testa e lui smise di accarezzarla. Era imbarazzata e si sentiva terribilmente in colpa. Non poteva nascondergli niente. Per George era sempre stata un libro aperto.
- Ho avuto un incubo – rispose lei in un sussurro.
- Hai voglia di parlarmene?


La notte sembrò durare solo pochi istanti.
Al suo risveglio, Ginevra aprì gli occhi, sbattendoli più volte per abituarsi alla luce del sole. George era al suo fianco e le sorrideva dolcemente. - Buongiorno, bellissima – la salutò ampliando il sorriso.
- Buongiorno – ripeté lei con voce roca e impastata dal sonno. Si strofinò gli occhi, lasciandosi sfuggire un lungo sbadiglio.
- Dormito bene? - sussurrò.
Sorrise.
Era rimasto con lei tutta la notte a confortarla, senza abbandonarla un solo minuto. - Sì. Grazie per essere rimasto qui con me, stanotte.
La guardò dritto negli occhi. - È stato un piacere, amore mio.
Con un gesto lento, le sfiorò una guancia.
Lei fece un sospiro e chiuse gli occhi, assaporando il suo tocco.
Gli prese la mano e ne baciò il palmo, sorridendo.
George ricambiò il sorriso.
Con un movimento fluido lui le scivolò accanto, la afferrò per i fianchi e la prese fra le braccia.
Tutto taceva.
Quella notte, George era stato molto dolce e comprensivo con lei. Aveva ascoltato con attenzione ogni dettaglio sull’incubo della morte di Sirius e l’aveva consolata quando qualche lacrima sfuggiva al suo controllo. Ma, essendo all’oscuro di tutto, le ripeteva con dolcezza che il suo era solo un sogno. Lei avrebbe voluto credergli. Voleva che le sue stupide premonizioni fossero solo un mucchio di fandonie e che Sirius non sarebbe mai morto in quella stanza fredda e buia… eppure era tutto vero.
Avrebbe voluto confessare a George ogni cosa: sulla natura dei suoi incubi, sull’entità Oscura nella sua testa… Ma non era ancora pronta. Temeva la sua reazione. Era sicura che lui avrebbe dato in escandescenza e non voleva perderlo. Perché iniziare una discussione che avrebbe soltanto peggiorato la situazione? Era meglio aspettare il momento giusto.
George iniziò ad accarezzarle i capelli e a giocare con essi, come faceva sempre. - Se vuoi, possiamo rimanere a letto tutto il giorno – disse calmo.
Ginevra alzò gli occhi e il suo cuore si fece più leggero alla vista del suo bellissimo sorriso. Per un attimo, riuscì a dimenticare ogni pensiero e preoccupazione, solo grazie a lui.
Sorrise. - Idea allettante, Weasley. Ma non credo sia una buona idea.
- Perché?
- Perché mio padre potrebbe ucciderti se sapesse che hai passato di nuovo la notte qui con me.
Lui sogghignò. - Ma questa volta sono innocente. Non ti ho toccata nemmeno con un dito. Be’… non ancora, almeno.
- Non mi tentare…
Gli occhi del rosso s’illuminarono di malizia e Ginevra arricciò le labbra in un mezzo sorriso.
Un attimo dopo, con una mossa rapida ed inaspettata, lui le premette la schiena contro il materasso, schiacciandola con il suo corpo muscoloso. Poi si chinò in avanti e la baciò. Un bacio lungo, appassionato, con cui voleva comunicarle tutto l’amore, il desiderio che nutriva per lei.
Ginevra ricambiò il bacio e rispose con passione a ogni suo movimento, stringendosi sempre più a lui. Le sembrava di toccare il cielo con un dito.
Pian piano i baci di George proseguirono lungo tutto il collo, mentre le sue mani vagavano lentamente sotto la maglietta di lei, alla ricerca dei seni.
In quel momento, qualcuno bussò alla porta della camera, rompendo l’atmosfera. - Spero che voi due siate vestiti, piccioncini.
Era Nymphadora.
Ginevra avrebbe voluto ucciderla. Aveva interrotto un momento speciale…
- Fine dei giochi – sospirò George, affranto.
- Forse è arrivato il momento di alzarsi – disse Ginevra. Sbuffò, scese dal letto e si stiracchiò.
Lui si mise a sedere sul materasso e inclinò la testa di lato per ammirare il fondo schiena della sua ragazza. Per lui era dura tenere a freno l’istinto di riportarla a letto e mordicchiarla dappertutto.
Quando Ginevra aprì la porta si trovò di fronte il sorriso malizioso della cugina. Indossava il suo giubbotto di pelle nera preferito e un paio di pantaloni strappati del medesimo colore.
- Buongiorno, porcellini – esclamò lei. - Stanotte avete fatto follie, eh?
- Che ci fai qui, Dora? - chiese Ginevra, ignorando deliberatamente la domanda.
- Scherzi? Dobbiamo andare alla stazione e tra meno di mezz’ora dobbiamo essere in strada per prendere il Nottetempo – spiegò la Metamorfomagus.
- Aspetta… alla stazione? - chiese Ginevra, confusa, poi spalancò gli occhi e imprecò: - Porca Morgana! Avevo dimenticato che oggi parte il treno per Hogwarts.
George si batté una mano sulla fronte. - Siamo in due! Dannazione! - Saltò giù dal letto, ma si fermò appena prima di uscire dalla stanza per rubare un bacio alla sua ragazza. - A dopo – disse poco prima di sparire nella camera che condivideva con il gemello.
- Siete proprio carini insieme – disse Nymphadora alla cugina.
Ginevra arrossì appena, mentre un sorriso genuino spuntava sulle sue labbra.


Quando George entrò in camera, trovò Fred sdraiato sul letto a leggere una rivista. Era già vestito e pronto a partire. Il suo baule era ai piedi del letto.
- Da quanto sei sveglio?
Fred sospirò. - Buongiorno, anche a te. Dormito bene? – lo salutò, non riuscendo ad evitare il sarcasmo nella voce, ma George sembrò non notarlo.
- Perché non mi hai svegliato? - ribatté George. Stava facendo avanti e indietro per tutta la stanza raccattando tutte le sue cose per poi buttarle alla rinfusa nel suo baule.
- Credevo che fossi già sveglio dato che non eri nel tuo letto – spiegò Fred, la voce controllata e piatta.
George ignorò quella velata frecciatina, insieme alla strana sensazione che suo fratello fosse arrabbiato con lui. Non era il momento giusto di porre domande e sollevare questioni. - Vado a fare una doccia. - Prese un asciugamano, entrò in bagno e chiuse la porta alle spalle.
Fred, invece, restò sdraiato sul letto a sfogliare le pagine della sua rivista di Quidditch, senza guardarle realmente. Nella sua testa c’erano solo immagini di George e Ginevra avvinghiati l’uno all’altra e, nonostante cercasse di combatterla, la rabbia iniziò ad aumentare.
Non doveva essere arrabbiato con suo fratello se era felice, no? Ma allora perché aveva voglia di prenderlo a pugni ogni volta che lo vedeva sorridere? Scosse la testa e accantonò la rivista.
- Devo darmi una calmata – disse tra sé e sé.
- Hai detto qualcosa? - gridò George dal bagno.
Fred si alzò in piedi. Andò verso la porta del bagno e urlò: - Ho detto che devo fare colazione! Ci vediamo sotto.


Nel frattempo, a qualche camera di distanza, Harry rimuginava su tutto quello che gli era successo negli ultimi mesi arrivando alla conclusione che, per la prima volta nella sua vita, non voleva tornare a Hogwarts. Andare a scuola voleva dire sottostare di nuovo alla tirannia di Dolores Umbridge e rimanere in silenzio a subire in un angolo. Senza dubbio la Umbridge era riuscita a imporre un’altra dozzina di decreti in loro assenza, ma a lui non importava. L’unica cosa voleva era rimanere con Sirius.
Nei giorni che precedevano il suo ritorno a scuola, Harry aveva visto il suo padrino diventare sempre più taciturno e accigliato e ritirarsi per ore nella stanza di Fierobecco. Anche la sorellastra, Ginevra, era strana. Sembrava in simbiosi con il padre ed era quasi impossibile non notarlo. A volte, i suoi sorrisi erano spenti, quasi forzati.
La sera prima, li aveva persino sentiti confabulare; ma non appena Harry provava ad avvicinarsi per capire quale fosse l’argomento, si zittivano di colpo. Forse parlavano dell’Ordine o di qualche missione segreta?
Qualunque cosa fosse, li tormentava giorno e notte. Harry ne era convinto.
Sapeva che gli stavano nascondendo qualcosa e il solo pensiero lo mandava fuori di testa. Odiava essere trattato come un bambino e, soprattutto, essere all’oscuro di qualcosa. Voleva rendersi utile, possibile che nessuno riuscisse a capirlo?
Se non fosse stato per l’ES, Harry avrebbe chiesto volentieri a Sirius il permesso di lasciare Hogwarts e rimanere in Grimmauld Place con lui.
Dopo una colazione abbondante, Harry tornò in camera sua a prendere i bagagli; era pronto a partire.
Poi, un pensiero gli fece attorcigliare le budella: una volta arrivato a Hogwarts, avrebbe dovuto prendere lezioni di Occlumanzia da Piton per difendere la sua mente da intrusioni esterne.
Lui non era stato posseduto, su quello erano tutti d’accordo… Ma allora che bisogno c’era di difendere la sua mente da “intrusioni esterne”?
Be', Silente riteneva che fosse una buona idea.
Harry iniziava a pensare che sua sorella non avesse tutti torti sul vecchio preside. Si fidava ancora di lui, ovviamente, ma non capiva perché ci fosse tanto mistero. Forse Albus Silente trovava divertente ignorare la gente e farli impazzire? Si divertiva davvero a manovrare la vita degli altri e nascondere segreti? Ne parlò subito con Ron, Draco e Hermione.
- Silente vuole che tu la smetta di fare quei sogni su Voldemort – commentò subito Hermione. - Be’, non ti dispiacerà, vero?
- Altre lezioni con Piton? - disse Ron atterrito. - Io mi terrei gli incubi! *
- Non dire sciocchezze, Ron – sbottò Hermione. - Harry ha bisogno di quelle lezioni.
- Hermione ha ragione – intervenne Draco. - E poi Piton è un ottimo Occlumante. Ha dato delle lezioni a me e Blaise, tempo fa.
- E com’è stato? - domandò Harry, interessato. - Fa… male?
- Molto – ammise il Serpeverde, - ma ti aiuta. Com’è che si dice? Il dolore fortifica.
Harry gli rivolse un sorriso mesto e annuì.
Sperava che Draco avesse ragione e che Piton potesse aiutarlo con il suo problema. Non osava nemmeno immaginare di avere qualcuno nella propria testa, figurarsi un parassita come Voldemort.


Era arrivato il momento di tornare a Hogwarts.
Il gelido mattino di gennaio era pronto ad accogliere i ragazzi fuori da Grimmauld Place. Harry provava una spiacevole stretta al petto; non voleva salutare Sirius. Aveva un brutto presentimento su questa separazione; non sapeva quando si sarebbero rivisti, e si sentiva in obbligo di dire qualcosa per impedirgli di fare sciocchezze… Harry temeva che l’accusa di codardia di Piton avesse colpito Sirius al punto di fargli progettare qualche viaggio sconsiderato fuori da Grimmauld Place. Ma non era il solo. *
Ginevra sapeva quanto suo padre si sentisse inerme e inutile. Tutto ciò di cui lui aveva bisogno era sfogarsi, uscire e prendere parte all’azione, ma, al solo pensiero, Ginevra si sentì rabbrividire.
All’ennesima discussione sull’argomento, Sirius le aveva fatto una confessione: - C’è una guerra in arrivo e io… Sono qui. Bloccato in questa maledetta casa, a farmi dire cosa devo o non devo fare mentre Mocciosus è in prima linea a farsi beffe di un reietto come me.
Lei sentì il cuore stringersi nel suo petto, ma ribatté prontamente. - Non dire sciocchezze, papà. Non devi ascoltare nemmeno una parola di Piton. Tu non sei un codardo. Presto sarai libero. Prenderemo Minus e Voldemort verrà sconfitto. Saremo liberi, te lo prometto.
Si erano abbracciati e poi Sirius le aveva promesso che non avrebbe fatto niente di stupido o insensato, nonostante fosse difficile resistere alle tentazioni.
Ripensando a quelle parole, Ginevra provò una spiacevole stretta al petto. Non voleva lasciarlo solo. Aveva paura.
Non temere, troverai una soluzione”, sibilò l’entità Oscura, riportandola alla realtà.
“Grazie… mi sei molto d’aiuto! Hai altre perle di saggezza?”, replicò Ginevra, sarcastica.
È inutile che cerchi di fare la spiritosa. Lo so che mi adori”.
“Sì, sei il mio parassita preferito”.
Stai prendendo sempre più confidenza... mi piace. Adoro il tuo umorismo”.
Ginevra la ignorò, sforzandosi di non sorridere. Doveva ammettere che iniziava a sopportare quel mostriciattolo nella sua testa.
- Allora, siete tutti pronti? - domandò Remus.
- Sì, signor capitano! - urlò Tonks, mentre spingeva Harry e Sirius giù per le scale. Sorrideva come una bambina in un negozio di caramelle.
Regulus scese giù per le scale sotto forma di gatto e saltò tra le braccia del fratello, facendo le fusa.
La signora Weasley fece mille raccomandazioni ad ognuno dei suoi figli e li abbracciò uno ad uno. Nemmeno Draco riuscì a sfuggirle. Lo strinse talmente forte da far diventare le sue guance diafane rosse come pomodori.
In quei pochi giorni, il giovane Malfoy aveva conquistato la famiglia Weasley con successo e ne era felice. La signora Weasley gli aveva persino regalato un maglione fatto a mano con una grande ‘D’ al centro; era sempre stato molto invidioso di Harry e Ginevra e adesso che anche lui ne aveva uno, si sentiva parte di qualcosa. Si sentiva come a casa.
Anche il signor Weasley sembrava felice di averlo intorno; non gli importava di chi fosse figlio. Anche se tra lui e Lucius Malfoy non correva buon sangue, sapeva che Draco era un bravo ragazzo.
- Ricorda che sarai sempre il benvenuto a casa nostra – disse la signora Weasley abbracciandolo una seconda volta.
Draco sorrise sincero e ricambiò l’abbraccio, con affetto. - La ringrazio. Spero di rivedervi molto presto – disse. Salutò Sirius con un cenno del capo, poi prese Hermione per mano e uscì da Grimmauld Place.
Ginevra, invece, si avvicinò a Sirius, avvolta da una strana sensazione. Gli diede un bacio sulla guancia e lo abbracciò forte, lui ricambiò con un sorriso cupo e le posò Ice tra le braccia. - Tienila d’occhio – disse in tono burbero. Poi guardò la figlia e sorrise. - Ci vediamo presto, principessa.
Un momento dopo, Ginevra si ritrovò fuori nel bel mezzo della gelida aria invernale, insieme al resto del gruppo. La porta del numero dodici di Grimmauld Place si chiuse alle loro spalle. *
Ginevra sospirò pesantemente. Quella strana sensazione non l’aveva ancora abbandonata e temeva ciò che sarebbe accaduto.
Non doveva lasciarlo solo.
Si scambiò una breve occhiata con Harry. Sembrava preoccupato quasi quanto lei.
- Non preoccuparti, andrà tutto bene – gli disse. - Lo sai com’è fatto.
Anziché trarre conforto dalle sue parole, Harry abbassò la testa e seguì la piccola Ginny Weasley e gli altri, senza aggiungere una sola parola.
Ginevra restò immobile davanti al numero dodici di Grimmauld Place, ormai scomparso, e seguì Harry con lo sguardo. Dal modo in cui l’aveva guardata, si rese conto che Harry si sentiva ferito.
La voce dell’entità Oscura le echeggiò nella testa: “Non è mica stupido. Ha capito che gli state nascondendo qualcosa”.
“Ora sei diventata una psicologa?”, ribatté Ginevra.
Dico solo quello che penso e so che anche tu pensi alla stessa cosa”.
Ginevra sospirò, affranta. L’entità Oscura aveva ragione, ma non poteva dire a Harry tutta la verità. Lo conosceva così bene da sapere che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di impedire che Sirius si facesse ammazzare.
Era talmente preoccupata da non accorgersi che George era al suo fianco.
Le strinse dolcemente la mano nella sua e lei alzò lo sguardo verso i suoi occhi, che non smettevano di guardarla.
Le sorrideva. Ed era uno di quei sorrisi mozzafiato che lei amava tanto.
- Uno zellino per i tuoi pensieri – le sussurrò all’orecchio. Poi le diede un bacio sulla fronte. - Va tutto bene?
Lei annuì e ricambiò il sorriso. Ma nonostante George fosse al suo fianco, non riusciva a scrollarsi di dosso la spiacevole sensazione che pesava sulle sue spalle. Temeva per l’incolumità di suo padre.
Istintivamente, strinse la mano di George, ancora intrecciata alla sua, cercando di darsi conforto. Lui la strinse dolcemente e iniziò ad accarezzarle il dorso con il pollice. A quel punto lei riuscì a rilassarsi.
Mentre seguivano Lupin in strada, Fred lanciò loro delle occhiate oblique, sperando di non farsi notare. Vederli insieme, felici e, soprattutto, mano nella mano, lo mandava fuori di testa. Era straziante. Ma, infondo, Fred aveva sempre saputo di non essere mai stato la prima scelta. Quello che Ginevra guardava ogni volta che incrociava il suo sguardo era solo la copia di George. Quello che lei aveva baciato quella sera, nei corridoi del castello, era George. Era sempre stato George.
Strinse i pugni, costretto a combattere contro la rabbia.
L’amore non corrisposto era un vero schifo. Dover vedere la ragazza che si ama tra le braccia di un altro e convivere con la consapevolezza di non poterla avere era una tortura.
Una parte di lui odiava George con tutte le sue forze. L’altra, invece, non poteva fare a meno di essere felice per lui.
Forse stava semplicemente diventando pazzo o forse una parte di lui cercava un modo per non rovinare tutto.
Sospirò.
La verità era semplice: era geloso e non poteva farci niente.
Li guardò con un sorriso obliquo; erano una bella coppia, doveva ammetterlo, ma questo non risolveva di certo la questione. Doveva lasciarsi tutto alle spalle, soprattutto quel maledetto bacio. Il fatto che fosse ancora impresso nella sua mente non lo aiutava affatto. Ripensò alla passione e al modo in cui l’aveva stretta a sé… Anche se quello era stato il bacio più bello della sua vita, doveva dimenticare.
Distolse lo sguardo come scottato.
“Smettila, Fred. Pensa ad Angie. Pensa ad Angie. Tu ami Angie. Lei ti fa stare bene”, si ripeteva. Poi i suoi occhi si fermarono sulla giovane Black e iniziò a imprecare: “Dannazione! Ma perché dovevo innamorarmi proprio di lei?”.
Dopo aver lanciato un’ultima occhiata alla nuova coppietta, Fred seguì Remus e Tonks e, senza volere, prestò orecchio alla loro conversazione a bassa voce. Camminavano davanti a lui, stavano parlando di libri, scherzi e dei “bei vecchi tempi”. Fred non riuscì a trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo. Evidentemente, per loro non era noioso parlare sempre delle stesse cose da giorni.
- Come sta Charlie? - domandò Remus, un po’ esitante. - È da un po’ di tempo che non lo vedo.
- Oh, be’… - lei iniziò a balbettare e i suoi capelli iniziarono a cambiare colore; da rosa a un blu acceso. - Lui è rimasto in Romania. Aveva molto da fare con i suoi draghi… sai, il suo lavoro richiede molta dedizione.
Mentre parlava, Fred notò nel suo tono una nota di incertezza.
Remus le sfiorò un braccio, premuroso. - Va tutto bene tra voi?
La Metamorfomagus si irrigidì subito. - Cos...? Oh, certo! Va alla grande! Stiamo bene… benissimo, tranquillo – esclamò Tonks, allegra. Poi si zittì e accelerò il passo.
Remus non indagò oltre, ma Fred iniziò a farsi delle domande. E se tra suo fratello Charlie e la sua storica ragazza, fosse successo qualcosa? E se avessero litigato?
- Forza, prima prendiamo l’autobus, meglio è - disse Tonks, guardandosi intorno nervosa. Una volta raggiunta una strada sgombra dove non vi era anima viva, Remus tese il braccio destro.
BANG.
Un bus a tre piani di un viola intenso apparve dal nulla davanti a loro, evitando per un pelo un lampione. *
Il Nottetempo.




ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti! Vi chiedo umilmente scusa per il ritardo, ma ho avuto problemi con il computer e con internet. Per un attimo, ho avuto paura di perdere tutto quello che avevo nel computer: foto, canzoni, video e questa storia. Spero solo di aver risolto.
Come sempre vi invito a lasciare una piccola recensione, oppure, potete inviarmi un messaggio privato dove potrete dirmi quello che volete riguardo la storia.
Ringrazio chi continua a sopportarmi e chi mette la storia tra le seguite/preferite/ricordate ahahah
Vi mando un abbraccio grande grande grande!
A presto,
18Ginny18


* Da “Harry Potter e l’Ordine della Fenice – Capitolo 24 – Occlumanzia” (un po’ modificato).

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 - CONTROLLO ***


Capitolo 25 – Controllo

Il mattino seguente, quando Ginevra riaprì gli occhi, le sembrava di essere ancora più stanca della sera precedente... Si era addormentata alle tre del mattino. Aveva passato tutta la notte a chiacchierare con George nella sala comune, davanti al caminetto acceso.
Che serata!
Al loro ingresso nella sala comune i Grifondoro erano scoppiati in una serie di mormorii eccitati e pieni di sorpresa. Tutti gli occhi erano puntati su George e Ginevra. La nuova coppia aveva già fatto scalpore non appena aveva varcato la soglia.
C'era chi aveva urlato al proprio compagno: " - AH! Ho vinto io! Sgancia!", e chi tirava fuori un sacchetto tintinnante di galeoni, falci e zellini.
‘Katie aveva ragione’, pensò Ginevra.
Gli studenti avevano davvero piazzato delle scommesse su chi avrebbe scelto tra Fred e George e adesso non sapeva se arrabbiarsi o riderci sopra. Forse doveva ritenersi offesa?
"Non farne un dramma! Sono solo ragazzini!", disse la voce nella sua testa.
Ginevra non rispose, ma decise che, per una volta, poteva seguire il consiglio dell'entità Oscura.
"Mi sento lusingata", la sentì mormorare con tono divertito.
Ginevra sbadigliò e si mise a sedere sul letto. Ice era al suo fianco, si era appena svegliato. Gli accarezzo la testolina pelosa e lui fece le fusa.
Si guardò intorno.
Le sue compagne di stanza erano già uscite.
Marciò a passo di zombie verso il bagno, tra uno sbadiglio e l'altro. Voleva fare una bella doccia calda prima di iniziare la giornata. Doveva essere carica per affrontare la prima lezione della giornata: Difesa contro le Arti Oscure. Il massimo!
Dopo aver chiuso la porta del bagno alle sue spalle, aprì l'acqua della doccia e una nuvola di vapore riempì la cabina. Levò il pigiama in una manciata di secondi e lo buttò per terra. Strinse la massa di capelli scuri in un bel nodo in cima alla testa per poi fissarla con un fermaglio. Si soffermò un attimo davanti al grande specchio sul lavandino. Le sembrava di non guardare il suo riflesso da secoli. Sembrava diversa eppure, sapeva che quella nello specchio era proprio lei.
Sfiorò l’immagine riflessa nello specchio ripensando alla sua forma canina, se si poteva definire tale. Le mancava trasformarsi e calpestare il terreno in forma di lupo, doveva ammetterlo. Correre tra gli alberi, senza il minimo pensiero, avvolta in un mare nero come la pece e sentire il fruscio debole del terreno umido sotto le sue zampe. Sentire soltanto la velocità. Quella velocità che non riusciva a sentire volando su una scopa.
Sì, la sua Nimbus2001 era veloce… ma volare non era come correre.
Purtroppo non poteva sgattaiolare fuori come faceva pochi mesi prima, Regulus la teneva d’occhio.
Infatti, come per confermare il suo pensiero, sentì la voce di suo zio nella sua testa dire: “Non devi pensarci nemmeno, piccola. Se scappi io ti riacchiappo”.
Un sorriso amaro le curvò le labbra.
Eh sì, le mancava proprio.
Con sospiro distolse lo sguardo dal suo riflesso.
Si infilò sotto il getto d’acqua calda: il suo corpo venne abbracciato da una piacevole sensazione di tepore.

Uscì dalla doccia avvolgendosi in un gran telo di spugna.
Si vestì in quattro e quattr’otto e, dopo aver salutato Regulus, completamente immerso nella lettura di un libro, scese nella sala comune.
George l’aspettava in piedi, vicino al divano dove avevano passato la notte a chiacchierare.
- Buongiorno, principessa – la salutò con un sorriso e il cuore di lei fece una capriola, prima di ritornare al suo ritmo normale.
La prese per mano, intrecciando le dita alle sue e la tirò sé.
- Buongiorno – rispose Ginevra, posandogli un leggero bacio sulle labbra. - Pronto per il primo giorno?
- Assolutamente no.
Una volta arrivati in aula la Umbridge era già seduta alla cattedra, come sempre. Solo a vederla veniva la nausea: era lo stesso orrendo confetto rosa che avevano lasciato prima delle vacanze di Natale.
Non appena vide i gemelli Weasley e Ginevra i suoi occhietti divennero più maligni del solito, sembrava sul punto di divorarli.
- Buongiorno, fanciulli! - disse quando gli studenti presero posto in religioso silenzio. - Bentornati.

Il tempo trascorse così lentamente che un paio di ore sembrarono anni. Finalmente Ginevra poteva abbandonare quell’aula e dimenticare la faccia di quel rospo ripugnate per almeno ventiquattro ore. Avevano passato il tempo a leggere sei capitoli da quello stupido libro di testo e a scarabocchiare sulle pagine.
Non si era annoiata così tanto nemmeno con il professor Binns!
Iniziava a rimpiangere seriamente Gilderoy Allock.
Quando gli studenti iniziarono a sciamare fuori dall’aula, la Umbridge richiamò Fred e George. - Vorrei scambiare due chiacchiere con voi, solo per un’istante. E, signorina Black, – chiamò con tono amabile, ma con lo sguardo fiammeggiante, - vorrei parlare anche con lei se è possibile. Può attendere fuori, per piacere?
Ginevra non rispose.
Qui la cosa puzza…”, borbottò l’entità Oscura e Ginevra non poté che essere d’accordo.
Guardò i due ragazzi, ma George fu l’unico a ricambiare l’occhiata.
Il suo ghigno diceva “stai tranquilla, andrà tutto bene”.
- Signorina Black? - trillò l’abominevole insegnante. - Fuori – cinguettò ridacchiando.
Anche se la tentazione di toglierle quel sorrisetto dalla faccia era forte, uscì fuori, chiudendo la porta dietro di sé quando l’insegnante le “chiese” di farlo.
Si appoggiò al muro e sospirò.
Che diavolo vorrà da noi?”, le domandò l’entità.
“Da me, vorrai dire… Per nostra fortuna non sa nemmeno che esisti!”.
L’entità borbottò qualcosa e poi scoppiò a ridere. “Stavo pensando… E se mi presentassi a lei? Scommetto che riusciremmo a toglierle quel sorrisetto irritante dalla faccia una volta per tutte. Vedrai, sarà divertente”.
“Ah-ah-ah… sì. Molto divertente. Dovresti debuttare nel mondo della comicità, sai? Sei davvero brava… o bravo… non so nemmeno sei hai un sesso!”.
Ginevra sentì l’entità sogghignare. “In realtà non appartengo a nessun genere. Ma sono dentro di te, quindi credo di potermi definire una femmina… e l’idea mi piace! Sai è così piacevole essere qui!”.
“Prima o poi dovrai dirmi come sei arrivata qui”, ribatté Ginevra.
L’entità Oscura rispose con tono vago: “Sì, certo… magari davanti a un bel caffè?”.
Quando i gemelli uscirono dall’aula, Fred salutò il fratello con una pacca sulla spalla prima di sfrecciare verso la prossima lezione, lasciandolo fuori dall’aula insieme a Ginevra.
Lo guardarono andare via senza dire nulla.
Lei si era quasi abituata ad essere ignorata. Quasi.
Riavere ciò che avevano un tempo era ormai impossibile, non da quando si erano… “compromessi”.
“No, non ci devi pensare. Pensa a George. Solo a lui”, si ripeté.
Guardandolo le venne una stretta al cuore e si sentì in colpa ad aver ripensato a quell’unico bacio che lei e Fred si erano scambiati. Quel maledetto bacio...
Doveva dirgli tutto? Doveva dirgli che aveva baciato suo fratello? No. Non poteva. Non subito, almeno. Doveva aspettare ancora un po’ o sperare che non venisse mai a saperlo.
- Che vuole quella strega? - gli domandò a bassa voce.
George si passò una mano tra i capelli e sospirò. - Ci ha riempito di domande su te, Harry, nostro padre... Ma noi non le abbiamo detto nulla – le fece l’occhiolino.
Ginevra si morse l’interno della guancia e sospirò rumorosamente. - Non la sopporto.
- Allora quando entrerai sarà molto peggio.
- Signorina Black – la chiamò l’arpia e Ginevra sospirò ancora più forte della volta precedente.
George sogghignò. - Ecco, appunto. – Le diede un piccolo bacio sulla guancia e disse: - Ti aspetto qui.
- No. Vai a lezione. Non voglio che Piton te la faccia pagare per colpa mia – disse. - La liquiderò in una manciata di secondi.
- Insisto. - George sapeva che Ginevra sapeva badare a sé stessa, ma odiava starle lontano e poi la Umbridge era un vero mostro. - Non staccarle la testa.
Ginevra sorrise malandrina. - Non posso promettertelo – disse a mo’ di saluto prima di entrare nuovamente nell’aula.
La Umbridge era lì, vicino alla porta, pronta a richiuderla.
- Sieda – cinguettò l’insegnante, indicando il banco vuoto davanti alla cattedra.
- Sto bene in piedi… grazie – rispose con un sorriso finto. - Di cosa voleva parlarmi?
La Umbridge alzò un sopracciglio, contrariata da quel comportamento, ma subito dopo tornò a sorridere. Iniziò a passeggiare attorno a lei come un avvoltoio pronto a cibarsi della sua carcassa.
- Mi è stato riferito che il signor Arthur Weasley, impiegato del Ministero, sia finito in ospedale qualche settimana fa – iniziò, simulando un’espressione dispiaciuta, ma sua larga bocca da rospo non riusciva a nascondere un sorriso divertito che fece infuriare Ginevra.
Sbraniamola”, le sussurrava l’entità Oscura. “La sua morte gioverà a tutti. Nessuno sentirà la sua mancanza!”.
Ginevra la zittì, anche se la tentazione di darle ascolto era molto forte. Portò le braccia al petto e strinse i pugni.
Continuando a girarle intorno, la Umbridge la guardava in attesa che lei facesse qualche passo falso, ma Ginevra era impassibile. Non mostrava alcuna emozione. - Come ho già detto ai suoi compagni, - continuò la megera, impettita, - mi dispiace tanto per l’accaduto. Ma non posso fare a meno di domandarmi come sia possibile che tutti voi abbiate saputo dell’accaduto.
- La signora Weasley ha spedito una lettera non appena il signor Weasley è stato portato al San Mungo – rispose Ginevra. - Mi sembra ovvio che i figli venissero a sapere delle gravi condizioni in cui si trovava il padre, non crede?
La Umbridge continuò a sorridere e, con passo leggero, si avvicinò sempre di più alla ragazza, continuando a parlare con quel tono insopportabilmente stridulo. - Non lo metto in dubbio – rispose, - ma ciò che mi chiedo è come abbiate fatto a lasciare il castello prima di essere informati dell’accaduto. I gufi consegnano la posta al mattino e, quando tutti voi siete partiti, era notte fonda – le sorrise, in attesa di una risposta.
Era convinta di averla in pugno.
Ginevra ricambiò il sorriso, il più angelico del suo repertorio, e rispose: - Ma, professoressa, noi non siamo partiti a notte fonda. Era mattino. Al nostro risveglio siamo scesi in sala comune e abbiamo trovato un gufo appollaiato fuori dalla finestra con la lettera stretta tra le zampe. Lei può immaginare la nostra sorpresa… Siamo andati subito dal preside, raccontando l’accaduto, e lui ci ha spedito immediatamente a casa Weasley.
La Umbridge abbandonò il sorriso, i suoi occhi sembravano sul punto di lanciare fiamme e la sua voce diventò ancora più leziosa. - Ne ho abbastanza! Ora tu mi dirai la verità o sarà peggio per te, carina.
Ginevra sbatté le palpebre, confusa. - Ma io le ho appena detto la verità.
- La verità! - La Umbridge scoppiò a ridere. Nei suoi occhi vi era uno strano luccichio. - Credi che io sia stupida? Perché tu e il signor Potter siete partiti? Che ci facevate nel cuore della notte nell’ufficio di Silente? Cosa state tramando? - urlò battendo il pugno sul banco lì vicino.
Ginevra non si scompose. Non aveva paura. - Non so di cosa parla. Io e il signor Potter siamo stati invitati per le vacanze di Natale dalla famiglia Weasley e, dopo l’accaduto, non volevamo lasciare soli i nostri amici. Ora, se vuole scusarmi, sono in ritardo e il professor Piton non ama molto i ritardatari.
Stava per andarsene, ma la Umbridge, nonostante fosse molto più bassa di lei, la prese per un braccio e strinse forte. - Tu non vai da nessuna parte. Se non parli di tua spontanea volontà… ti farò parlare io.
Ginevra ispirò, rumorosamente, gli occhi fissi sull’insegnante. Digrignò i denti. Stava per perdere il controllo. Lo sentiva. - Mi tolga le mani di dosso – le ordinò, senza smettere di fissarla.
La donna aveva sguainato la bacchetta, ma Ginevra non ne era affatto intimidita. La rabbia accumulata iniziò ad emergere.
Voleva farla bruciare.
A quel punto, come per darle ascolto, le sue dita iniziarono a farsi calde e un leggero solletico a cui non badò minimamente diede vita a delle piccole fiammelle. Né lei né la sua insegnante riuscirono a vederle. Erano troppo impegnate a lanciarsi occhiate assassine.
Le fiammelle stavano vagando indisturbate lungo il corpo della Grifondoro senza farle del male. Erano parte di lei.
Regulus avvertì il potere della ragazza senza però poter intervenire. L’entità Oscura glielo stava impedendo.
Gli occhi di Ginevra stavano diventando sempre più scuri. Era sul punto di perdere il controllo.
L’entità Oscura gioiva dentro di lei, pronta a divertirsi con l’insegnante di Difesa contro le Arti Oscure.
Per fortuna o per sfortuna, in quell’istante uno scricchiolio le fece voltare. Qualcuno aveva aperto la porta. - Professoressa?
Nonostante fosse contrariata, la Umbridge mostrò il suo inquietante sorriso e nascose la bacchetta dietro la schiena. - Sì, signor Weasley? Ha bisogno di qualcosa?
Sfortunatamente per lei, George non era stupido come pensava. Infatti, lui aveva notato la bacchetta puntata contro Ginevra non appena era entrato nell’aula. Quel gesto non era passato inosservato, così come la stretta della donna al braccio della studentessa e le fiamme che si erano appena dissipate tra le dita di quest’ultima.
Nonostante fosse sorpreso, George non lo diede a vedere.
Lanciò uno sguardo al braccio della sua ragazza, ancora stretto dalle dita grassocce dell’insegnante e, avvertendo il suo sguardo, la Umbridge arrossì. Allentò lentamente la presa, tossendo rumorosamente nel vano tentativo di distrarlo. Non appena fu libera dalla morsa di quell’arpia, Ginevra si scostò immediatamente, tenendo gli occhi serrati e cercando di calmare i battiti frenetici del suo cuore.
L’entità Oscura era delusa. “Proprio adesso che cominciavo a divertirmi…”.
- Mi perdoni, caro – tossì, - diceva?
Il Grifondoro sorrise, spavaldo, reprimendo l’istinto di mettere le mani addosso alla strega. - Il professor Piton vuole che torniamo immediatamente in classe.
Era una bugia, ovviamente, ma dopo aver sentito la Umbridge urlare contro Ginevra, capì che doveva trovare il modo di tirarla fuori di lì.
Anche se visibilmente interdetta, la Umbridge annuì. - La prego, riferisca al professor Piton che manderò in classe la signorina Black tra un’istante.
- Eh, no – continuò il rosso, avvicinandosi sempre di più. - Adesso.
La Umbridge sospirò, infastidita. Poi sorrise. - Ma certo – gracchiò. - Parleremo in un altro momento, sì?
I terrificanti occhietti della Umbridge erano fissi su Ginevra, in attesa di una risposta che non sarebbe mai arrivata.
Infatti, Ginevra la fulminò con lo sguardo, sopprimendo a fatica l’istinto di farla fuori, lì su due piedi, e uscì dall’aula seguita da George.
Camminavano in silenzio finché Ginevra non fu in grado di reprimere tutta la rabbia. Poi, George la prese per mano e se la portò alle labbra, baciandola dolcemente. Quel piccolo gesto riuscì a farle tornare il sorriso.
- Grazie.
Passandole un braccio attorno alle spalle, George la tirò a sé. - Farei qualsiasi cosa per la mia principessa – le baciò la chioma scura e continuarono a camminare.
Non era il momento di farle domande. Che importava se dalle sue mani uscivano fiamme! L’amava comunque.
E poi, una piromane faceva sempre comodo, no?

Quando Fred Weasley aveva varcato la soglia dell’aula di Pozioni senza i suoi soliti compagni, ovvero il gemello e la Black, leggere i suoi pensieri per Severus fu inevitabile. Scoprì ben presto che la Umbridge li aveva interrogati sulla loro “prematura” partenza da Hogwarts, niente di strano dopotutto. Era una possibilità che l’Ordine aveva messo in conto.
Tramite i pensieri del ragazzo aveva visto che lui e il fratello se l’erano cavata egregiamente contro quella strega. Erano bastati pochi minuti. Ma ciò che fece scattare Severus fu il passare del tempo. Infatti, né Ginevra né l’altro Weasley erano tornati dal “colloquio”.
Severus aveva capito da tempo che la Umbridge era una donna imprevedibile. Avrebbe voluto cacciarla dal castello lui stesso, ma Silente gliel’aveva impedito. Quello stupido vecchio! Non capiva che quella donna sarebbe stata la rovina del castello?
Con la sua impeccabile calma, assegnò agli studenti una pozione difficilissima, sicuro che quello gli avrebbe dato il tempo necessario per agire. Irritato, chiese a Fred dove fossero finiti i suoi compagni, fingendo ovviamente di non saperlo, ma, prima che avanzasse verso l’aula di Difesa contro le Arti Oscure, i due Grifondoro varcarono la soglia.
Si tenevano per mano.
Severus li scrutò con attenzione, cercando anche il minimo segno di violenza, soprattutto sulla ragazza. Era sotto la sua custodia, dopotutto, e doveva assicurarsi che niente e nessuno le facesse del male.
Sospirò sollevato quando non ne trovò alcuna traccia.
- Le chiediamo scusa professore – disse George. - La Umbridge ci ha trattenuti.
Per la prima volta, Severus apprezzò la sincerità del ragazzo ma finse di non avergli dato ascolto.
- Avete mezz’ora per preparare la pozione che ho appena assegnato – disse con il suo solito tono freddo e noncurante. - Io tornerò il prima possibile. Tutto ciò che dovete sapere è scritto alla lavagna, se avete problemi chiedete ai vostri compagni.
Senza attendere una risposta, Severus Piton marciò spedito verso l’aula di Difesa contro le Arti Oscure. Doveva cantarne quattro a quella megera.
Non appena vi fu davanti, spalancò la porta dell’aula con un gran tonfo facendo sobbalzare la strega che era al suo interno.
- Professor Piton. – La Umbridge sorrise immediatamente al suo collega. Era seduta alla sua cattedra e aveva l’aria di scrivere una lettera molto importante, probabilmente un rapporto al Ministro della Magia. La piuma continuava a grattare il foglio senza che lei la toccasse. - Cosa la porta qui? Non ha lezione in questo momento?
Severus guardò la donna e, nel suo solito tono apatico, rispose alla domanda: - Infatti. Ma detesto quando gli studenti vengono sottratti alle mie lezioni senza il mio consenso.
La Umbridge arrossì per la seconda volta nella giornata e la sua penna smise di scrivere. - Ho rispedito gli studenti in classe come lei ha chiesto, professore – disse con la sua vocetta zuccherosa e il suo solito e inquietante sorriso riprese il posto sulle sue labbra da rospo. - Io e la signorina Black stavamo solo facendo due chiacchiere… da donna a… donna.
Severus alzò un sopracciglio. Il suo tono di voce era freddo e noncurante. - Se non è di troppo disturbo, gradirei che lei non sottraesse gli studenti dai loro doveri nelle ore scolastiche. Potrà parlare con loro in un secondo momento.
- Trattenere uno studente qualche minuto non è poi così grave, professore – replicò rapida la Umbridge. - È curioso che lei sia arrivato fin qui solo perché una studentessa non si è presentata alla sua lezione.
Piton arricciò le labbra. - Detesto quando uno studente salta una mia lezione senza una scusa plausibile. Spero che questo non si ripeta.
Il professore di Pozioni le voltò le spalle pronto ad andarsene, facendo svolazzare il suo lungo mantello nero, ma la risata della Umbridge lo bloccò.
- Oh, le chiedo scusa – disse, anche se il tono lasciava intendere che non era affatto dispiaciuta. Infatti, un sorriso si allargò sul suo viso. - Trovo divertente che lei sia arrivato al punto di minacciare un Sottosegretario Anziano del Ministero della Magia.
Piton si voltò appena verso di lei, inarcando le sue sopracciglia nere.
La Umbridge si avvicinò a lui, ampliando l’irritante sorriso e cinguettò beatamente: - Non credevo possibile che un Mangiamorte osasse anche solo pensare di mettersi contro di me, il braccio destro del Ministro. Ma la sua era solo una discutibile fandonia, non è così, professore?
Severus non disse nulla.
Lasciò la stanza e tornò dai suoi studenti.
“Stupido! Stupido! STUPIDO!”, se solo avesse potuto avrebbe urlato. “Davvero una mossa stupida, Severus. Sei troppo coinvolto”.

Come la sera precedente, Katie lanciò un’occhiata a Fred. Se ne stava in disparte a parlare con il suo amico Lee Jordan e sembrava un po’ infastidito da quell’atmosfera che si era creata nella sala comune negli ultimi due giorni.
Forse era solo una sua impressione ma, dato che tra la sua amica e il bel Battitore c’erano dei trascorsi, Katie non poteva fare a meno di pensarci.
Spostò la sua attenzione sull’amica seduta al suo fianco, lanciandole uno sguardo eloquente.
- No – rispose Ginevra.
- Ma io non ho parlato!
- Non ho bisogno di sentirtelo dire – continuò Ginevra a bassa voce. - Non ho voglia di parlarne.
La curiosità di Katie era evidente, ma Ginevra non voleva saperne. Ignorò tutte le sue domande, fingendo di leggere il tomo di Trasfigurazioni Avanzate.
In realtà non sapeva nemmeno cosa dire.
Le domande di Katie le frullavano in testa come una cantilena da ore: “Cosa c’è tra te e Fred adesso? Siete ancora amici? Vi parlate? Ti ha detto qualcosa? Di cosa staranno parlando lui e Lee?”.
Purtroppo non aveva nessuna risposta. Solo dubbi.
Chiuse il libro di scatto.
- Ti prego, Katie, è stata una giornata lunga – mormorò la giovane Black con un sospiro, senza rispondere alle sue domande.
- Scusa, hai ragione. Sono un’impicciona – scherzò lei. Poi il suo sguardo divenne serio. - Però voglio che tu sappia che io ci sono. Per qualsiasi cosa. Puoi confidarti con me.
Sorrise. - Lo so. Grazie, Katie.
Le era davvero riconoscente. Sapeva che Katie era una vera amica, di cui si poteva fidare.
Katie ricambiò il sorriso e dopo un forte sbadiglio, capì che per lei era arrivato il momento di andare a dormire. - Domani sarà una giornata impegnativa!
Non appena la Cacciatrice di Grifondoro raggiunse il dormitorio femminile, George prese il suo posto sul divano. Mise un braccio attorno alla vita della giovane Black e le diede un piccolo e casto bacio sulle labbra. - Come mai la mia principessa è così pensierosa? - le sussurrò all’orecchio.
- Stavo pensando a quanto sarà terribile rivedere la faccia di quel rospo confettato domani mattina – mentì lei, prontamente.
Lui sorrise furbo. - Lo sai che posso darti quello che ti serve per saltare un’ora o due?
Ginevra aggrottò la fronte, disgustata. - Non voglio ritrovarmi con il naso ricoperto di pus per un mese.
- Quello era solo un effetto collaterale. Ora le nostre merendine sono perfette e Martin Frye si è rimesso completamente.
- Sì, come no – ribatté Ginevra bonariamente.
Lui sorrise e le diede un buffetto affettuoso sulla testa. - Donna di poca fede… Vorrà dire che ti coprirò le spalle contro la strega cattiva – rispose facendole l’occhiolino.
- Oh, mio principe – sospirò lei sogghignando.
Si scambiarono un dolce bacio e rimasero accoccolati sul divano della sala comune, pronti a godersi il calore del caminetto acceso per il resto della serata. Poi, una voce alle loro spalle chiamò la ragazza. - Ginevra!
Era Angelina Johnson.
- Congratulazioni – disse. - Vi ho già detto che siete una bella coppia? - poi si rivolse solo a Ginevra. - Posso parlarti un attimo?
Ginevra era un po’ sorpresa ma acconsentì. Si alzò dal divano sotto lo sguardo stralunato di George.
Le due ragazze si allontanarono quel tanto che bastava per scambiare qualche parola in privato. Ginevra guardò Angelina, aveva un sorriso che andava da orecchio a orecchio.
Poi accadde l’inaspettato: abbracciò Ginevra, come se fosse la sua più cara amica.
- Ma che diamine… - mormorò George guardandole dal divano.
- Grazie per i tuoi consigli. Avevi ragione! - esclamò Angelina. - Fred adesso è diverso. È tornato com’era una volta.
- Ma io non ho fatto nulla. - Nonostante Ginevra provasse a spiegarle che non c’entrava nulla, Angelina continuava a ringraziarla.
Era bello vederla felice, ma anche piuttosto strano. Erano abituate ai soliti battibecchi. Andare d’amore e d’accordo non era… be’, forse doveva farci l’abitudine.
- Se mi avessero detto che un giorno avremmo potuto parlare senza crisi di nervi non ci avrei creduto – ridacchiò, poi divenne cupa. - Ero così ossessionata dall’idea che Fred potesse lasciarmi che… mi dispiace.
Angelina Johnson che si scusava con lei? Era un sogno per caso?
Ginevra era rimasta senza parole.
- Magari potremmo fare un’uscita a quattro, se ti va – le disse. - Così potremmo anche ricominciare da zero. Sai…
Ginevra annuì. - Sì, mi sembra una buona idea.
- Fantastico! - Angelina sembrava al settimo cielo. Ampliò il sorriso e, dopo averle augurato la buonanotte, si fiondò verso Fred. Le labbra di lui si curvarono in un dolce sorriso mentre l’accoglieva tra le sue braccia.
Dopo aver assistito a quella scena, che lui stesso definì “agghiacciante”, George si avvicinò alla sua ragazza e si abbassò quel tanto che bastava per mormorare: - Ma che le è preso? Fino a qualche mese fa ti voleva disintegrare!
- Be’, diciamo che prima delle vacanze c’è stato un momento in cui abbiamo più o meno “legato”.
- E perché non me lo hai detto?
- Non ne ho avuto il tempo. Eravamo impegnati a fare ben altro se ricordi... – rispose con pizzico di malizia.
Lui ghignò. Fece scivolare le mani sui suoi fianchi e l’afferrò, provocandole dei brividi molto piacevoli lungo la schiena. Poi si avvicinò al suo orecchio, lentamente. - Odio quando mi nascondi le cose… - sussurrò, poi le mordicchiò il collo.
Ginevra ridacchiò, poi lui iniziò a farle il solletico sui fianchi. Purtroppo conosceva bene i suoi punti deboli. Era quasi senza fiato dalle risate, e cercò di dimenarsi per scappare via.
Quando George la lasciò andare lei iniziò a correre verso i dormitori maschili. Lui la seguì immediatamente, con un sorriso malizioso sulle labbra.

I giorni successivi Ginevra continuò ad avere lezioni su lezioni e si rese conto che ogni materia diventava sempre più difficile. I professori non facevano che ripetere la parola “M.A.G.O.” così tante volte che lo stress stava pericolosamente aumentando.
Possibile che il tempo giocasse a suo sfavore? Quanti giorni mancavano agli esami? Solo al pensiero le veniva la nausea.
Dopo aver stuzzicato il suo pranzo con la forchetta, si recò nell’aula di Incantesimi, ancora vuota. Si sedette nella rampa in fondo. Per una volta, era la prima ad arrivare.
Ne approfittò per leggere i suoi appunti per il compito. Non era mai stata così nervosa. Non era un’amante dello studio come Hermione, ma poteva vantarsi di essere una studentessa dotata e studiosa. Il problema era che la tensione la stava distruggendo. Oltre la Umbridge, la profezia da mantenere segreta, aiutare Harry a organizzare le lezioni per l’ES e gestire l’entità Oscura cos’altro doveva aggiungersi alla lista?
Sbuffò.
Ehi! Devo ritenermi offesa?”, protestò l’entità Oscura. “Sbaglio o, nell'ultimo periodo, stiamo andando d’accordo?”.
Si portò le mani tra i capelli e cercò di riacquistare un po’ di calma. “Sì, ma non è facile”.
L’entità brontolò, fingendosi offesa.
Ginevra sospirò e abbozzò un mezzo sorriso. “Ti regalerò dei cioccolatini per farmi perdonare se prometti di non tenermi il muso”.
Con il ripieno di nocciole?”, domandò estasiata.
“Rigorosamente”, giurò Ginevra e, mentre sistemava le sue cose sul banco, sentì l’entità Oscura esultare come una bambina.
Tu sai come conquistarmi”, cinguettò l’altra.
Ginevra rise silenziosamente. Doveva proprio ammetterlo: quel mostriciattolo cominciava a piacerle.
Mi fai arrossire…”.
Gli studenti iniziarono ad entrare vociferando tra di loro e occupando quasi tutti i posti all’ultima fila vicino a lei.
Angelina era entrata in aula, si scambiarono un sorriso da lontano. Si era seduta poco distante da Ginevra, vicino l’uscita. Aveva un’aria stravolta e sembrava che già non vedesse l’ora di scappare dall’aula.
Prima che Ginevra potesse chiederle cosa avesse, il professor Vitious entrò in aula.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 - SEGRETI E CONFIDENZE ***


Capitolo 26 - Segreti e confidenze

Quella mattina il cuscino profumava di gelsomino. Ginevra vi affondò il naso con un sospiro. Era buonissimo. Pian piano il torpore del sonno l’abbandonò, anche se non del tutto. Con un movimento dei piedi spostò la coperta. Si mise a sedere, si stiracchiò e, dopo un grande sbadiglio, aprì gli occhi.
Come tutte le mattine, la camera era deserta. Le sue compagne erano già scese per la colazione. Erano troppo mattiniere per i suoi gusti.
Notò che nemmeno Ice era in camera.
“Probabilmente è in giro a leggere il suo libro oppure si trova nell’ufficio di Silente. In ogni caso, si farà vivo lui. Lo fa sempre”, pensò lei.
Continuando a sbadigliare abbandonò il letto, preparandosi psicologicamente la nuova giornata.
Con sua grande sorpresa, quando aprì la porta del bagno, trovò qualcuno al suo interno. Angelina era per terra, piegata sulla tazza del gabinetto mentre rigettava fuori tutto quello che aveva mangiato la sera prima.
- Angelina… Va tutto bene? - sussurrò.
Lei non rispose. Sembrava stordita.
Probabilmente non si era nemmeno accorta della sua presenza.
Dopo aver tirato lo sciacquone, si sedette per terra, vicino al gabinetto, asciugandosi la bocca con il dorso della mano.
Abbassò lo sguardo e, con mano tremante, si toccò il ventre. - Io non capisco – disse tra sé e sé.
Ginevra si chinò alla sua altezza e le passò un fazzoletto. In quel momento, Angelina si accorse della sua presenza. Dal modo in cui si muoveva, Ginevra capì che era molto imbarazzata. Cercava di tirarsi su ma non ci riusciva, alla fine si arrese e lasciò che Ginevra l’aiutasse a darsi una ripulita.
- Vuoi che ti porti qualcosa?
Angelina scosse la testa.
- Hai mangiato qualcosa che ti ha fatto male? - provò Ginevra, ma la Cacciatrice scosse nuovamente la testa.
- Ho un… un… un ritardo.
Ginevra strabuzzò gli occhi. - Mi stai dicendo che…
- Temo proprio di sì – mormorò.
- Sei sicura? Di quanto?
- Sei settimane. E sono giorni che continuo ad avere nausee. Pensavo che fosse tutto lo stress dovuto al Quidditch, ai M.A.G.O. che si avvicinano e a quella strega della Umbridge… - iniziò a singhiozzare. - Non so nemmeno se esserne felice. Speravo fosse solo un ritardo… un ritardo molto lungo. Adesso? Che cosa faccio? Cosa dico a Fred? ‘Ehi, amore, sai la novità? Sono incinta!’? Mi lascerà sicuramente. Me lo sento!
Nascose il viso tra le mani e iniziò a singhiozzare.
Anche se in modo impacciato, Ginevra la strinse a sé e disse: - Tranquilla, andrà tutto bene. Fred non ti lascerà.
Avevano parlato per più di un quarto d’ora e quando Ginevra riuscì finalmente a tranquillizzarla la riaccompagnò a letto.
- Ho paura e, allo stesso tempo... Sono così contenta! - disse Angelina toccandosi istintivamente la pancia. - Ho solo diciassette anni...
Ginevra le accarezzò la testa affettuosamente.
Vederla così emotiva e fragile la commosse profondamente, non riusciva neanche ad immaginare lo sconvolgimento che stava provando.
- Se è capitato adesso, vuol dire che doveva capitare! - disse, cercando di tirarla su di morale.
Un piccolo sorriso increspò le labbra della Cacciatrice. - Cosa mi consigli di fare... con Fred? Dovrei dirglielo? – Aveva le lacrime agli occhi. - I miei mi uccideranno. E se la Umbridge lo viene a sapere…
- Ehi. Ehi! Non piangere. Non devi preoccuparti di nulla. Rilassati – disse, accarezzandole i capelli con dolcezza. - Non pensare a nulla. Il tuo unico pensiero deve essere solo il riposo, d’accordo? Se qualcuno mi chiederà di te dirò che hai l’influenza.
Asciugandosi le lacrime, Angelina sorrise. - Grazie, Black. Sei una brava ragazza e anche una buona amica.
Amica è una parola grossa, tesoro”, borbottò l’entità Oscura nella sua testa.
Ginevra la ignorò e rivolse un sorriso gentile alla ragazza. - Ci vediamo dopo. Ti porterò qualcosa da mangiare per pranzo. Adesso riposati, eh?
Lei annuì, chiuse gli occhi e si addormentò.
Ginevra, invece, dopo una doccia veloce, indossò la divisa, prese la borsa e uscì dalla camera in fretta. Era già in ritardo per la prima lezione.
Non riusciva a credere che lei e Angelina avevano avuto una conversazione simile.
Incinta. Angelina Johnson incinta! Incredibile.
Una nuova vita stava crescendo dentro di lei, il figlio di Fred.
Ginevra sorrise al solo pensiero di un bambino da cullare e dal sorriso contagioso. Un piccolo Weasley! Non poté fare a meno di chiedersi se avrebbe preso dal padre, ereditando i capelli rossi dei Weasley, oppure dalla madre.
In ogni caso, anche se non erano proprio amiche, era felice per Angelina.
“Chissà come la prenderà Fred”, pensò mentre scendeva le scale.
Raggiunse l’aula di Trasfigurazioni e, una volta davanti alla porta chiusa, capì di essere in ritardo per la lezione.
Girò la maniglia e spinse la porta, piano.
La professoressa McGranitt era seduta alla sua cattedra, in religioso silenzio, mentre gli studenti svolgevano un test a sorpresa.
- È in ritardo, signorina Black – disse l’insegnante di Trasfigurazione con sguardo indagatore.
Ginevra fece spallucce a mo’ di scusa. - La sveglia non ha suonato.
La McGranitt le lanciò un’occhiata indulgente, le consegnò un bel po’ di pagine piene di domande e quesiti e le intimò di prendere posto.
In silenzio, Ginevra eseguì e sedette accanto a George, che le chiese con premura. - Tutto bene? Io pensavo che fossi già qui.
- Certo. Va tutto bene, stai tranquillo – rispose lei sorridendogli, dopodiché tirò fuori tutto l’occorrente per cominciare a lavorare al test.

Con il passare dei giorni le nausee di Angelina divennero sempre più frequenti così come le sue assenze alle lezioni. Fred era preoccupato e cercava di starle sempre più vicino. Ogni volta che le chiedeva cosa avesse lei mentiva oppure gli rispondeva con qualche bugia, in ogni caso, non si sentiva di rivelargli la verità. Non ancora, almeno.
- Sto bene – continuava a ripetergli. - E tu sei dolcissimo a preoccuparti.
Gli accarezzò la guancia e lo baciò dolcemente sulle labbra.
- Sei sicura che sia solo influenza?
Angelina trasse un lungo, lento sospiro. - Ma certo – sorrise a fatica.
- Che cos’hai?
- Un po’ di nausea… Tutto qui. Non mi va il polpettone.
Quando Ginevra entrò nella Sala Grande insieme a George gli occhi di Angelina si illuminarono. - Ehi! Come va?
Ginevra era un po’ a disagio. Negli ultimi giorni Angelina l’aveva definita la sua “ancora di salvezza”. Inutile dire quanto lei odiasse quella definizione, ma Angelina aveva bisogno di sostegno e lei non si sentiva nella posizione di poter ribattere o lamentarsi. L’unica opzione era stare al gioco.
- Amh… A parte la voglia di impiccarmi ogni volta che la Umbridge parla? Una meraviglia e tu?
La Cacciatrice rise e la prese per mano, obbligandola a sedersi tra lei e Katie. - Oh, sei così divertente! E pensare che potevamo essere amiche da tempo!
Dato che i posti a sedere erano quasi tutti occupati, George si trovò costretto a sedersi accanto a una ragazzina del primo anno ma almeno era seduto davanti a Ginevra. La ragazzina lo guardava con occhi sognanti e, quando lui la guardava o le chiedeva di passargli il pane o il sale, diventava rossa come un peperone e cercava di nascondersi dietro le sue lunghe trecce bionde. Probabilmente aveva una piccola cotta per lui.
Ginevra finse di essere gelosa ma solo per pochi istanti. Lei e George iniziarono a farsi piedino sotto il tavolo e a scambiarsi sorrisi maliziosi.
Poi George iniziò a rubacchiarle le patatine fritte dal piatto con lo scopo di vedere il suo broncio contrariato.
Fred restò in silenzio, come ogni volta che Ginevra era nelle vicinanze. La guardò lanciare patatine in faccia al suo gemello e ridacchiare insieme a lui come quando erano ragazzini.
Sospirò, un po’ infastidito, e iniziò a tamburellare le dita sul tavolo.
Col tempo si stava abituando alla relazione dei due. Anche se non del tutto, la gelosia stava scemando pian piano. Provava ancora qualcosa per Ginevra, ovviamente non era facile cancellare un sentimento tanto forte in pochi giorni, ma ci stava provando e, inconsapevolmente, Angelina lo stava aiutando ad “addolcire la pillola”, come dicevano i babbani.
Alla fine George pose fine alla “guerra di cibo” con la giovane Black e rivolse la parola al gemello: gli disse che dovevano organizzare la presentazione dei loro prodotti prevista per il giorno dopo e per Fred fu come una boccata di aria fresca. Aveva bisogno di distrarsi.
Katie, invece, si rivolse a Ginevra e Angelina, mostrando un sorriso genuino. - Sono felice che finalmente voi due andiate d’accordo – disse mentre si serviva di una porzione abbondante di purè di patate. Poi abbassò la voce, in modo tale che solo loro due potessero sentire ciò che aveva da dire. - Non vedo l’ora di sapere se è maschio o femmina – disse. - E tu cosa stai aspettando per dirlo al paparino?
Angelina la zittì immediatamente. Si guardò intorno, temendo che qualcuno l’avesse sentita. Per sua fortuna tutti gli studenti erano impegnati a mangiare e chiacchierare a bocca piena per ascoltare i loro discorsi.
Tirò un sospiro di sollievo e poi fulminò Katie con lo sguardo. - Che ne dici di urlare la prossima volta?
Katie sbuffò. - Stai diventando paranoica. L’ho a malapena sussurrato! Tranquilla, non sono mica un’idiota!
Le posò una mano sulla sua e Angelina si calmò. - Scusa. È che ultimamente sono un po’… ansiosa. Non voglio che lo venga a sapere così – disse alludendo a Fred con un’occhiata.
Nonostante si trovasse in mezzo alle due ragazze, Ginevra si limitò ad ascoltare, preferendo ficcarsi in bocca un cucchiaio di purè per poi tagliuzzare la cotoletta nel suo piatto.
“Perché mi trovo in questa situazione?”, pensò.
Aw”, mormorò l’entità Oscura, “perché hai quel broncio? Dopotutto, essere una sorta di amica della tua “nemica” dopo aver baciato il suo fidanzato che, inoltre, è il fratello gemello del tuo ragazzo non è una situazione così strana!”.
“Sul serio?”, domandò Ginevra, sarcastica.
No. Sei in un bel guaio, mia cara. Forse dovremmo fuggire, cambiare nome e magari anche i connotati… Che ne dici del nome Olivia? Ellie? Amelia? Oh, e che ne dici di…”.
Ginevra la interruppe. “Noi non scapperemo!”, sbottò. “E smettila di cercare altri nomi”.
Cercavo solo di aiutare”, borbottò l’altra.
- Che ne dite se stasera passiamo una “serata tra donne?” - chiese Angelina distogliendola dai suoi “pensieri”.
Katie non stava più nella pelle. Da quando aveva saputo del bambino era al settimo cielo e ogni occasione era buona per stare vicino alla sua amica. Aveva persino accompagnato Angelina da Madama Chips per accertarsi che fosse realmente incinta e che andasse tutto bene. Ovviamente chiesero la massima discrezione, ma l’infermiera obbiettò: “ - Naturalmente terrò la bocca chiusa, ciononostante la vostra Capo Casa deve esserne informata subito”.
Angelina non si oppose, nonostante il timore di perdere la stima della sua insegnante preferita fosse alto. Madre a diciassette anni… Come l’avrebbe presa?
All’inizio la professoressa McGranitt era un po’ contrariata ma, alla fine, cedette al suo lato materno e protettivo. Dopotutto ogni studente era come un figlio per lei. “ - Dobbiamo fare in modo che quell’arpia della Umbridge non venga a saperlo. Non voglio darle una scusa in più per avere il controllo su questa scuola. Cerca di tenerlo segreto il più a lungo possibile. Nel frattempo, io troverò un modo per aiutarti. Non fare sciocchezze”, aveva raccomandato ad Angelina.
Così le uniche a conoscere il segreto di Angelina Johnson erano diventate quattro. L’unica cosa che tranquillizzava la Cacciatrice di Grifondoro era che si fidava di ognuno di loro.
L’ultima cosa che le restava da fare era trovare le parole e soprattutto il coraggio per dirlo alla persona più importante: Fred.

- Allora è tutto pronto per domani? Hai controllato la merce? Manca qualcosa? - chiese George al gemello.
Fred si rifiutava di guardare George, preferendo sistemare le ultime cose prima della presentazione ma, in realtà, si perse tra i suoi pensieri.
- Freddie? Che ti prende? - lo chiamò, ma suo fratello non gli prestava alcuna attenzione. Al contrario, guardava a terra, con le sopracciglia aggrottate. George sospirò. - Non mi rivolgi più la parla adesso?
Fred sbatté le palpebre e si raddrizzò, concentrando il suo sguardo assente prima su George e poi sul Cappello Decapitante che aveva tra le sue mani. Lo aveva spogliato quasi completamente delle sue piume. Si passò una mano tra i capelli già arruffati e annuì a George. - Scusa, stavo pensando ad Angie. Sono preoccupato.
Si portò lentamente le mani sul viso prima di scuotere la testa.
George gli posò una mano sulla spalla. - Non ti preoccupare, sicuramente non è niente di grave. Piuttosto, hai visto che adesso lei e Ginevra sono diventate amiche? È un po’ inquietante – disse, mentre fingeva di avere dei brividi di terrore.
Fred riuscì a sorridere. - Sì. È piuttosto strano - disse.
Poi, la sua mente andò a Ginevra. Si rese conto che, finalmente, era riuscito a stare ore, perfino giorni, senza pensare a lei se non come a un’amica.
La sua concentrazione era esattamente dove doveva essere: su suo fratello, sul loro negozio di scherzi e sulla sua Angelina.
Nell’ultimo periodo, lui e il fratello non avevano parlato molto e sentì il desiderio di cogliere l’occasione per chiarire una volta per tutte, in modo di evitare situazioni spinose. Cercando di non guardarlo negli occhi, si concentrò a riattaccare le piume al cappello senza l’aiuto della magia. - Sono felice che state insieme. Siete una bella coppia.
- Davvero? - domandò George, un po’ scettico. - Pensavo che ti desse fastidio invece.
“Beccato”, pensò Fred.
Messo con le spalle al muro, decise di optare per la verità. - Be’, se devo essere sincero, all’inizio lo ero. E anche molto.
- E perché scusa?
Fred sospirò, poi mise da parte il Cappello Decapitante e lo guardò negli occhi. - Perché tu non me ne hai mai parlato. Non mi hai mai detto che provavi qualcosa per lei e mi sono sentito messo da parte.
- Credevo fosse evidente – replicò George. - Però ammetto di aver sbagliato. Avrei dovuto confidarmi con te, ma temevo che non approvassi o che ti prendessi gioco di me. Infondo siamo cresciuti insieme a lei e per te è sempre stata come una sorella.
Scuotendo la testa, Fred sbuffò una risata. - A volte sei proprio un’idiota, Georgie. Sappi che tu puoi parlarmi di tutto e io ti appoggerò sempre e comunque. Siamo fratelli e ti voglio bene.
George non poté fare a meno di sorridere. - Lo so. Ti voglio bene anch’io, Freddie – disse, per poi lanciargli un guanto da lavoro in piena faccia. - E comunque sei tu l’idiota.
Fred s’imbronciò e rispose per le rime, lanciandogli le merendine che avrebbero venduto il giorno dopo. - Tu sei l’idiota!
Scoppiarono a ridere e continuarono a lanciarsi tutto quello che era sul tavolo. Erano mesi che non passavano del tempo insieme a ridere e scherzare come al solito. Era mancato ad entrambi quel momento.

- Sentite questa - disse Katie, sventolando la rivista che aveva tra le mani come una bandierina. - ‘Il padre e la gravidanza: Come la madre, anche il padre può mostrare veri e propri sintomi di gravidanza che si manifestano nell’aumento di peso, nausee mattutine e veri e propri crampi all’addome. Si tratta della comune “gravidanza simpatica”, un modo inconscio di vivere questo importante evento insieme alla propria compagna’. - Puntò il dito in direzione di Angelina. - Sai cosa significa, non è vero? Ora voglio vedere Fred Weasley incinto!
Angelina ridacchiò. - Non mettermi fretta, Kat. Devo trovare il modo e il momento giusto.
Seduta a gambe accavallate, Ginevra diede un'occhiata di traverso alla Cacciatrice, mentre sfogliava l’ennesima rivista sulla gravidanza.
- Sul serio – insistette Katie. - Secondo me dovresti dirglielo e basta. Tu che ne dici, Gin?
Sospirando, Ginevra si sforzò di sorridere. L'ultima cosa che avrebbe voluto era un'altra discussione con Angelina riguardo Fred. - Non tormentarla. Sarà lei a decidere dove e quando.
- Visto? Lei mi dà ragione.
Sbuffando, Katie scosse la testa. - Cominciate a stufarmi vuoi due. Volete farmi fuori?
- Ma piantala! - Angelina le lanciò un cuscino sulla faccia e scoppiò a ridere.
Katie aggrottò le sopracciglia, assottigliò lo sguardo e le rilanciò il cuscino.
Ginevra sogghignò e abbassò lo sguardo sulla rivista che aveva tra le mani: ‘Durante la gravidanza, il cuore lavora di più e batte a un ritmo più rapido a causa del maggiore volume di sangue presente nel corpo’.
Interessante… Ma perché stiamo leggendo questa roba?”, borbottò l’entità Oscura.
“Passiamo il tempo”.
Oh, bel modo di passare il tempo!”, rispose sarcastica. “Non potremmo, invece, farla pagare a qualcuno? Che ne so… alla ranocchietta, per esempio?”.
Le labbra di Ginevra si curvarono in un piccolo sorriso. “Non mi tentare”.
- Trovato qualcosa, Gin? - chiese Katie.
- Oh, niente di che – rispose, continuando a sfogliare le pagine. - Solo foto di bambini.
- Io non vedo l’ora di fare delle foto al mio bel nipotino – disse. - Sarà sicuramente dolcissimo, morbidissimo e coccolosissimo. E poi già lo immagino con tutte le tutine che gli regalerò. Ovviamente saranno tutte a tema Grifondoro.
- Non ti sembra ancora un po’ presto per parlare di queste cose? - domandò Angelina. Sembrava un po’ nervosa.
- Lo sai che per me non è mai presto per parlare di certe cose! Io so già come chiamerò i miei figli. Se è maschio lo chiamerò Luke e se è femmina Julie. Tu come lo chiamerai, Angie?
Angelina, completamente presa alla sprovvista, spalancò gli occhi e iniziò a balbettare. - Be’… I-io… Non ci ho mai pensato, in realtà. V-vorrei decidere con Fred… quando lo saprà.
S’incupì.
In realtà temeva che, una volta saputa la verità, Fred non volesse più avere niente a che fare con lei e soprattutto con il bambino, ma tenne quel pensiero per sé.
Katie annuì, le poggiò la mano sulla sua e la strinse. Sorrise a mo’ di scusa, si era fatta prendere la mano mettendola in una situazione un po’ scomoda.
Angelina le sorrise. Sospirò e poi accantonò la sua rivista. - Basta leggere. Ho fame. Facciamo un salto nelle cucine? Magari è avanzata un po’ di torta.
Katie inarcò un sopracciglio. - Ma hai mangiato una confezione di cioccomore e un’intera scatola di cioccolattini babbani solo cinque minuti fa! - continuò Katie. - Di questo passo diventerai un’Erumpent!
Le guance di Angelina s’imporporarono un po’. Abbassò la testa e mise il broncio come una bambina. - Non dire così! Non è mica colpa mia… Siamo in due adesso!
- Non usarla come scusa.
Angie le fece la linguaccia e Katie alzò gli occhi al cielo. - Sei peggio di una bambina.
Ginevra le guardò battibeccare ancora un po’, senza riuscire a trattenere un sorriso divertito. Ringraziò il cielo per aver pensato di applicare l’incantesimo Muffliato sul letto a baldacchino prima della loro serata avesse inizio.
Doveva ammetterlo, nonostante il chiasso, cominciava a piacerle quell’atmosfera. Forse poteva abituarsi alle “serate tra donne”.

Mordendosi il labbro, Emily chiuse gli occhi e cercò di convincersi che non stava facendo niente di sbagliato, ma rimase comunque immobile dove si trovava, davanti alla porta.
- Forza, Emily. Puoi farcela. Cosa aspetti? Dopotutto non è la prima volta, no? – provò ad incoraggiarsi.
Tuttavia, cinque minuti più tardi, era immobile nello stesso punto di fronte alla porta della camera d'albergo Babbano, esitante.
- Basta. Sii coraggiosa.
Sospirò.
Appoggiò la fronte alla porta, chiuse gli occhi e bussò. In cuor suo sperava di non commettere errori.
L’ansia iniziò a impadronirsi di lei.
Regulus aprì la porta. Era bellissimo.
- Finalmente sei arrivata! - la salutò con un sorriso smagliante. - Temevo che l’ascensore ti avesse inghiottita.
La invitò ad entrare. Emily varcò la soglia più in fretta che poté e richiuse la porta. In un secondo momento avrebbe apprezzato ogni centimetro di quella camera, dalla carta da parati alle lenzuola di seta del letto, dai quadri appesi al muro alla bottiglia di champagne nel cestello del ghiaccio con il fazzoletto bianco arrotolato intorno al collo... Ma non in quel momento. Emily aveva altro a cui pensare.
- Ti ha visto qualcuno?
- Rilassati, non mi ha visto nessuno. Solo il facchino e il direttore dell’albergo. C’eri anche tu prima di scappare verso il bagno, ricordi? Sbaglio o sembri un po’ nervosetta? - Emily lo fulminò con lo sguardo. - D’accordo. Scusa. Vuoi qualcosa da bere? - le domandò una volta raggiunto il carrello dei liquori.
Emily rifiutò garbatamente. Buttò le due borse da viaggio sul letto matrimoniale ricoperto da petali di rose rosse e iniziò a disfarle. Ben presto si ritrovò seduta sul bordo del letto, cercando di trattenersi dal darsi alla fuga.
Quella situazione la metteva in agitazione ma cercò di non darlo a vedere.
Sospirò.
I suoi occhi iniziarono ad accarezzare da lontano la figura di Regulus Black, fino ad essere catturati da un particolare molto importante: indossava una camicia nera sbottonata, in modo da far vedere i muscoli scolpiti del suo torace.
Come aveva fatto a non accorgersene prima?
Emily poteva sentire il calore della pelle nuda di Regulus, vedere il sudore che gli ricopriva la fronte e sentirne i gemiti di piacere mentre si muoveva contro di lei.
Mentre la sua fantasia le provocava dei brividi lungo tutto il corpo, non si accorse che Regulus le aveva appena fatto una domanda.
- Come scusa?
- Vuoi metterti più comoda? - domandò Regulus con un sorrisetto malizioso che le diede alla testa.
Chiudendo gli occhi, cercò di dimenticare l’eccitazione che le mandava dei segnali insistenti e si concentrò sulla missione.
- Sono già comoda, grazie – rispose. - Kingsley ti ha informato sulle ultime modifiche?
Regulus, che in quel momento si era servito di un altro bicchiere di quello che sembrava bourbon, abbozzò un sorriso. - Eh, sì. Sei proprio nervosetta, oggi – disse prima di bere un sorso.
Emily sospirò, ancora. Si mise in piedi e incrociò le braccia al petto. - Tu, invece, ti stai divertendo, a quanto pare.
Regulus la ignorò. - Dì la verità. L’idea di stare qui con me ti mette a disagio. Dopotutto siamo soli, in una camera d’albergo… potrebbe succedere qualcosa.
- E invece no – ribatté Emily con voce ferma. - Siamo in missione.
Regulus alzò gli occhi al cielo. - Se questo ti fa sentire meglio… D’accordo. Siamo in missione!
Kingsley li aveva mandati a Londra, sotto copertura, per controllare alcuni impiegati dell’Ufficio Misteri che, a quanto si diceva, da qualche mese dormivano proprio in quell’albergo per ragioni di sicurezza. Probabilmente temevano di fare la stessa fine del loro collega Broderick Bode, strangolato dal Tranello del Diavolo quando era ricoverato al San Mungo per un “infortunio sul lavoro”. L’Ordine sapeva che dietro la sua morte c’era lo zampino dei Mangiamorte, ma non poteva intromettersi senza attirare l’attenzione.
La missione di Regulus e Emily era sorvegliarli e fare un rapporto ogni giorno. Dovevano controllare che non ricevessero visite inaspettate, soprattutto dai tizi con le maschere.
Kingsley e Silente temevano che gli impiegati del reparto Profezie fossero compromessi, corrotti o peggio, quindi stava a loro tenere la situazione sotto controllo. Nessuno, a parte pochissimi membri dell’Ordine erano a conoscenza della loro singolare missione. I sorvegliati non ne erano a conoscenza, ovviamente, e il compito di Emily e Regulus era di non dare nell’occhio. Per questo motivo Kingsley aveva avuto la “brillante” idea di creare un alibi perfetto per loro, così da non essere sospettati.
Il piano era semplice: dovevano interpretare una giovane coppia di sposi babbana in luna di miele. Dunque, se passavano tutto il giorno in camera non c’era nulla di strano o sospetto.
“- Mi raccomando: siate credibili”, aveva detto Kingsley prima della loro partenza.
Emily iniziava a pensare che il suo capo si divertisse nel vederla in difficoltà. Anzi ne era proprio convinta.
Che poi, tra tutti gli agenti o i membri dell’Ordine che potevano scegliere, perché proprio Regulus Black?
Aveva preso un mese di vacanza dall’ufficio, spargendo la voce che era diretta in Brasile per una meritata vacanza, ma Regulus non aveva potuto avvertire Ginevra del suo “viaggio”. Sperava solo che non si preoccupasse troppo, anche se quella non era la prima volta che spariva. Per fortuna avevano il legame mentale con il quale poteva intervenire anche da lontano, nel caso l’entità Oscura ricominciasse a fare i suoi giochetti.
Andava tutto bene.
- Allora, signora Wood– disse Regulus prendendo in mano il binocolo che aveva sgraffignato a Fred e George prima di partire. - Chi è il primo da sorvegliare?
Emily raddrizzò la schiena e recuperò i dossier dalla sua borsa. Aprì il primo fascicolo dove la piccola foto tessera di un uomo di circa quarant’anni dallo sguardo serio la scrutava con attenzione. Accanto ad essa vi era il nome.
- Edward Green – rispose con tono professionale. È a due stanze di distanza dalla nostra. Alla tua destra – disse indicando il muro.
Regulus inforcò il binocolo e lo puntò verso il muro. Dopo averlo regolato un po’ finalmente vide Edward Green, seduto alla sua poltrona che fumava una pipa davanti al camino.
- Lo vedo – disse. - Cavolo, i gemelli sono davvero due geni!
Emily abbozzò un piccolo sorriso. Lei lo sapeva bene. Aveva visto quei due monelli inventare le cose più assurde proprio con i suoi occhi.
Sospirò sommessamente.
Mentre i minuti passavano cercò di mantenere la calma e di essere il più professionale possibile, ma ben presto si rese conto che stava fallendo miseramente.
Era un po’ infastidita dal comportamento del suo partner. Sembrava troppo tranquillo, invece lei era sul punto di urlare.
“Possibile che abbia dimenticato tutta la passione? Possibile che abbia dimenticato quel bacio?”, si domandò. “Forse lo ricorda ma per lui era solo un gioco. Sì, decisamente. Lui prende tutto come un gioco”.
Stava per convincersi delle sue stesse parole, poi si perse nella contemplazione del viso concentrato di lui. Anche se aveva una visuale parziale dei suoi lineamenti, Emily ne rimase incantata per l’ennesima volta e, inevitabilmente, si sentì una stupida.
Si stava comportando come una ragazzina e non più come una donna.
“Basta. Non posso più pensare a te”, si ripeté quella frase come un mantra, ma non funzionava. Così cominciò a prendersela con lui, facendogli delle domande che, in realtà, non gli avrebbe mai posto davvero. “Ma perché Sirius è entrato in camera tua quella mattina? Perché ci ha interrotti? Perché non mi hai più baciata, Regulus? Sono solo un gioco per te?”.
Ovviamente Emily ignorava che l’ex Serpeverde fosse un Legilimens. Infatti, lui cercò di non farle capire ciò che aveva appena letto. Non lo aveva fatto intenzionalmente, dopotutto lei lo stava fissando e Regulus lo aveva percepito. Avrebbe potuto indugiare, ma la sua curiosità aveva avuto la meglio.
“Ironico”, pensò. “La curiosità uccise il gatto”.
Anche se in quel caso la parola “uccidere” era solo una metafora, Regulus rimase scottato dalla sua stessa curiosità.
Cosa doveva fare? Afferrarla e cedere ai suoi desideri lussuriosi oltre che ai suoi istinti oppure fare il gentiluomo e continuare a svolgere il suo compito nella missione?
La scelta era ardua.
I suoi muscoli s’irrigidirono, i battiti del suo cuore accelerarono. Gli ci volle ogni briciola di autocontrollo per non baciarla quando si voltò a guardarla.

La notte tornò a tormentare il sonno di Ginevra con il solito incubo. Ciononostante, a combattere contro il Mangiamorte, non era più sola. Harry era al suo fianco, le copriva le spalle. Era rassicurante averlo accanto.
Era riuscito a far sparire il Mangiamorte prima che riuscisse ad avvicinarsi a lei, poi, l’orribile risata annunciò l’arrivo di Bellatrix Lestrange echeggiando nella stanza. Harry iniziò a correre verso Sirius, che lottava contro la sua folle cugina.
Entrambi lanciavano un incantesimo dopo l’altro contro la Mangiamorte, dandole del filo da torcere. Ginevra provò più volte a raggiungerli ma era bloccata. Non riusciva più a muoversi.
Sirius stava per morire.
Urlare era inutile, nessuno riusciva a sentirla, come ogni volta.
Poi accadde qualcosa d’inaspettato.
Harry s’interpose tra Bellatrix e Sirius facendosi colpire dal lampo di luce verde in pieno petto e cadde a terra, senza vita.
Ginevra gridò, mentre le lacrime iniziavano a rigarle il volto.
Bellatrix rideva mentre puntava la sua bacchetta contro il cugino.
Un altro lampo di luce e Sirius cadde a terra accanto a Harry.
Ginevra si svegliò di soprassalto, tremando come una foglia. Cercò di farsi forza, di non piangere, ma una lacrima silenziosa sfuggì al suo controllo.
L’entità Oscura non disse nulla. Ginevra sapeva che era lì in ascolto, come sempre, e gliene fu grata. Aveva solo bisogno di qualche minuto per riprendersi.
“Perché Harry era lì? Perché non sono riuscita a salvarli?”, si tormentò.
Non voleva che il suo “dono” fosse reale. Aveva visto morire James e Lily Potter e Cedric Diggory. Non voleva che la sua stupida premonizione si avverasse per l’ennesima volta. Non voleva perdere Sirius e Harry.
Aveva bisogno di risposte e l’unico posto in cui poteva trovarle era l’ufficio del Preside.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 - IL PREZZO DELLA VERITÀ ***


Capitolo 27 – Il prezzo della verità

Quella mattina Ginevra era determinata ad agire. Non ci sarebbero state lezioni per tutto il giorno quindi era lei l’unica nel suo dormitorio ad essersi alzata presto. Le sue compagne avevano deciso di poltrire almeno fino alle dieci del mattino e niente e nessuno lo avrebbe impedito.
Prima di attuare il suo piano, però, andò dritta verso le cucine e “rubacchiò” qualche dolcetto per la colazione. Dobby e gli altri elfi domestici l’accolsero con gioia, dandole tutto ciò che desiderava. Rimase a chiacchierare con loro per un po’, godendosi la loro compagnia e gustandosi un buonissimo muffin al cioccolato, dopodiché tornò nella sala comune di Grifondoro con un sacchetto pieno di dolci per George.
Quando il ritratto della Signora Grassa si richiuse alle sue spalle notò che la sala comune era immersa nel silenzio. Così come i dormitori.
Nonostante fossero quasi le 8:00 del mattino, non volava nemmeno una mosca. Niente confusione. Niente chiacchiericci. Gli altri studenti erano già scesi nella Sala Grande per la colazione.
Gli studenti del settimo anno, invece, si godevano il loro giorno libero in completo relax con l’intenzione di oziare nei loro letti per tutta la mattina.
Possibile che fosse l’unica del suo anno ad essere sveglia?
Per Ginevra era una situazione inusuale. Di solito lei era l’ultima a svegliarsi. Era un’abitudine che aveva fin da quando era bambina e che cercava di togliersi da anni, senza alcun successo però. Perfino Fred e George si erano abituati alla cosa. Infatti, il più delle volte, rimanevano in sala comune in attesa che lei scendesse per la colazione.
Tutto in torno a lei sembrava strano, quasi surreale, così come sentire l’assoluto silenzio dalla stanza dei gemelli Weasley.
Bussò alla porta e George l’aprì qualche minuto dopo. La guardava battendo le palpebre, come se si fosse svegliato da poco e i suoi occhi si stavano ancora abituando alla luce. Poi le sorrise. - Ehi! Buongiorno, principessa. Che bella sorpresa! - sussurrò con voce calda e profonda.
Ginevra iniziò a mordersi il labbro. - Buongiorno a te, bel fusto.
In quel momento, l’istinto di saltargli addosso stava cominciando ad emergere. Con quell’aria arruffata era incredibilmente attraente.
Le diede un rapido bacio a fior di labbra, un solo leggero bacio, ma che era sempre in grado di farle girare la testa e risvegliare sempre i suoi ormoni.
“Forse è il suo profumo a farmi questo effetto”, pensò tenendo a freno i suoi istinti.
Poi, tutto si assopì non appena notò qualcosa che la fece sentire tremendamente incolpa: gli occhi di lui erano ancora impastati dal sonno e stava provando a rimanere vigile. - Ti ho svegliato. Scusa.
Lanciò un’occhiata alle spalle di lui e si diede della stupida per non aver notato prima che l’interno della camera era completamente al buio. Qualcuno stava anche russando!
George si stropicciò gli occhi e, reprimendo uno sbadiglio, ripose: - No, tranquilla. Ero già sveglio.
Stava mentendo, lei lo sapeva, ma non riuscì a tenergli il broncio tanto a lungo. Quando lui le sorrise e non poté che ricambiare, facendosi contagiare come sempre. Era talmente bello quando sorrideva...
- Ti ho portato la colazione – disse Ginevra mostrandogli il sacchetto di carta con tutte le leccornie. - Almeno in questo modo sarò sicura di meritare il tuo perdono.
A quel punto lui sembrò svegliarsi del tutto. Il suo sorriso si ampliò, illuminandogli il viso. - Mmmm – mormorò. - Donna, tu mi vizi.
Tuffò la mano all’interno del sacchetto e agguantò un dolcetto alla crema con le fragoline di bosco sopra. Gli diede un solo morso e non poté fare a meno di emettere un suono gutturale di piacere.
Dopo il secondo morso il dolcetto sparì.
- Ti è piaciuto, eh?
- No. È solo una tua impressione – borbottò George, leccandosi le labbra con gusto. Si scambiarono un sorriso. - Se mi dai cinque minuti per vestirmi possiamo fare una passeggiata e stare un po’ insieme. Ti va? – propose ma, prima che lei potesse rispondere, Fred apparve alle spalle del gemello.
Per un breve istante Ginevra abbassò lo sguardo, ma alla fine l’istinto di guardarlo ebbe la meglio, e se ne pentì immediatamente. Nonostante si fosse appena svegliato Fred era bello, molto bello, doveva ammetterlo, un concentrato di sensualità, ma mai quanto George. Erano gemelli, certo, ma George era, se possibile, ancora più bello di lui; anche mezzo addormentato o un po’ sporco di crema agli angoli della bocca e con i capelli spettinati, lui era bellissimo e a volte era quasi difficile tenergli gli occhi addosso senza avere un mancamento o sentire il corpo percorso dai brividi di piacere.
La mente di Ginevra andò inevitabilmente alla deriva, immaginandosi tra le braccia di George a fare l’amore.
Sospirò, cercando di frenare i bollenti spiriti, e concentrò la sua attenzione su i due fratelli.
George aveva preso un secondo dolcetto e offrì il sacchetto a Fred, che in quel momento si stava grattando la testa, scompigliando ancora di più i folti capelli rossi.
- Oggi non puoi uscire, Georgie – disse con la voce ancora impastata dal sonno. - Ti ricordo che dobbiamo ultimare le nostre ultime invenzioni anti-Gazza e Umbridge. Se vogliamo togliere quei ficcanaso lontani dal ES, dobbiamo sbrigarci - Sbadigliò sonoramente, infilò una mano nel sacchetto e prese un muffin. Poi guardò la ragazza che stava di fronte a loro. - Ciao. Grazie per la colazione – disse con un sorriso piuttosto strano, poi si ficcò il muffin in bocca e tornò all’interno della camera, spalancando le tende così che la luce potesse invadere la stanza e svegliare Lee. Quest’ultimo emise un mugolio infastidito e esclamò: - Sono sveglio! Sono sveglio! Ehi, anch’io voglio un muffin. Dove l’hai preso?– lo sentì protestare Ginevra.
- Oh, Godric – sospirò George, affranto. - Perdonami, amore mio. Avevo dimenticato che dovevo fare questa cosa con Fred.
Lei sorrise. - Tranquillo. In realtà avrei un impegno anch’io. Ero venuta a dirti che rimarrò qualche ora in biblioteca a studiare. Voglio dare il massimo nei prossimi test a sorpresa di Incantesimi e Difesa contro le Arti Oscure.
Bugiarda, bugiarda, bugiarda, cantilenò l’entità oscura. Ginevra la ignorò.
Aveva inventato una scusa banale, certo, ma almeno era plausibile.
- Sei sempre la solita. Mancano ancora sei mesi agli esami e tu ti butti già sui libri – protestò George. - Non voglio che ti strapazzi già da ora.
Ginevra allungò la mano verso il suo viso e lo accarezzò. - Se inizierò a dar di matto ti prometto che mi fermerò e tornerò subito da te.
Un sorriso sfiorò le labbra di lui. - E va bene. Tanto lo so che faresti di testa tua in ogni caso.
- Ah, sì? - esclamò lei fingendosi offesa.
George sogghignò divertito. Chinò il capo e la baciò dolcemente mentre l’avvolgeva fra le sue braccia. Una parte di lui non voleva lasciarla andare. - Ti amo – sussurrò, sfiorandole il naso con il suo.
Lei sorrise, mordendosi il labbro inferiore. - Ti amo anch’io.
A malincuore sciolsero l’abbraccio e si separarono, con la promessa che avrebbero passato l’intero pomeriggio insieme.
Una volta fuori dalla sala comune di Grifondoro, andò dritta verso le scale, determinata a portare a termine il suo piano.
E vai! Così ti voglio”, esclamò la voce nella sua testa. “Decisa!”.
Ginevra scosse la testa, lasciandosi sfuggire un sorrisetto divertito. L’entità oscura non si frenò. Continuò a incoraggiarla con frasi come: “Fagli vedere i sorci verdi a quello svitato!”, “Sta volta non avrà vie di fuga!” e così via.
Il motivo di tanto incitamento era che anche lei voleva sapere. Purtroppo anche l’entità oscura ignorava la sua natura; il suo nome, la sua nascita, come fosse finita nel corpo di Ginevra e tanto altro ancora per lei erano un vero mistero. La sera prima aveva confidato alla ragazza che l’unica cosa che ricordava era il momento in cui si era risvegliata nel suo corpo senza saperne il motivo. Era spaventata e l’istinto l’aveva consigliato di prendere il possesso del corpo. Ovviamente non era abbastanza forte per farlo e, pian piano, scoprì che l’unica cosa in grado di darle forza a sufficienza erano le emozioni della sua ospite. Ma, nonostante accumulasse tanta energia, non riusciva a prendere il controllo. Alla fine ci aveva rinunciato, anche perché, come le aveva già detto, iniziava a stare bene in compagnia di Ginevra.
Mi raccomando: se ha delle risposte dobbiamo averle”, disse la voce. “Non facciamoci fregare dai suoi paroloni. Attacchiamo senza pietà”. Poi il suo tono si affievolì. Sembrava ansiosa. “Ti prego. Non dirgli niente di me. Non dirgli che non ricordo nulla… Non voglio che mi cancelli dalla tua testa”.
“Stai tranquilla. Non dirò nulla”, la rassicurò Ginevra.
In breve tempo raggiunse l’ufficio del Preside. Bussò alla porta con decisione e quando la voce dall’interno la invitò ad entrare non esitò un solo istante.
Silente era in piedi, d’avanti al trespolo della sua fenice, Fanny.
Il maestoso volatile guardava il vecchio mago con sguardo curioso. Inclinava la testa da un lato all’altro senza che lui proferisse parola, come se la loro fosse una conversazione mentale. Poi, la fenice guardò alle spalle del mago e, quando vide chi era la nuova ospite, saltellò sul posto tutta contenta.
Il volatile provava una certa simpatia per la ragazza. Una simpatia che, con gli anni, andava ad aumentare sempre più. In un altro momento anche Ginevra sarebbe stata felice di vederla, ma non quella volta. Aveva ben altro a cui pensare. Cose molto più importanti.
- A cosa devo la visita, Ginevra?
La ragazza non si chiese nemmeno come Silente facesse a sapere che lei era lì dato che non aveva ancora proferito parola e lui non si era nemmeno voltato a guardarla. Non le importava di nulla. Non se ne sarebbe andata finché non avesse avuto le risposte che voleva.
- Voglio delle risposte – disse. La sua voce era ferma. - Basta con i giochetti, sono stanca. Cos’altro mi sta nascondendo?
Vai così, sorella!”, esclamò ancora una volta l’entità. In quel momento sembrava molto esaltata.
Silente non rispose.
Accarezzò la dolce fenice passando le dita dalla testa al petto, con tocco leggero. Senza alcuna fretta. Dopo, si voltò verso Ginevra con un sorriso. - Sapevo che un giorno saresti venuta qui in cerca di risposte. Spero solo di essere in grado di aiutarti a trovarle – disse il vecchio mago invitandola ad accomodarsi.
Per quanto fosse riluttante all’idea di sedersi lì, a pochi passi da lui, acconsentì. Aveva bisogno di spiegazioni.
Quando anche Silente prese posto al lato opposto della scrivania, iniziò a guardarla negli occhi con espressione gentile. Questo iniziò a mandarla in bestia.
Perché sorrideva? Non aveva ancora capito quanto quella situazione la rendesse furiosa?
- So quello che provi, Ginevra – disse pacato Silente.
Un sorriso beffardo si fece strada sulle labbra di lei. - Oh, davvero? - domandò in un sussurro, poi alzò la voce quel tanto che bastava perché il vecchio capisse le sue parole. - Anche lei vede le persone che ama morire? Ancora... ancora e ancora? Pensavo di essere l’unica! - sbottò ironica. Il sorriso si affievolì, mentre la collera tornò ad invaderla; Silente non sapeva nulla di quello che provava. - Si rende conto di quanto sia frustrante? Ha la più pallida idea di quanto sia snervante non sapere qualcosa di così importante?
- Di cosa vuoi parlare?
- Di cosa voglio parlare? - ripeté lei. - Be’, per cominciare vorrei parlare di tutte le bugie che ha creato per nascondere i suoi sotterfugi. Voglio sapere quanti altri segreti sta nascondendo. Voglio la verità.
- Hai ragione. Meriti una spiegazione – riprese Silente.
- Direi proprio di sì. Ma sono più che sicura che lei cercherà comunque di aggirare le mie domande. Spero solo di sbagliarmi. - Con un’aria di sfida, Ginevra si mise a braccia conserte. - Sono tutta orecchi.
Non le importava di essere scortese. Non le importava più nulla. Era stanca. Voleva solo le risposte che le erano dovute e capire se ci fosse un modo per aggirare le sue “profezie”.
Silente sospirò.
- Sedici anni fa – proseguì, - Voldemort era al culmine del suo potere, ma bramava qualcosa che lo fortificasse ancora di più. Lui avvertiva un potere al di sopra del suo e, nonostante non riuscisse a trovarlo, lui non si dava per vinto. Vuole ancora quel potere, ne è completamente ossessionato. Così com’è ancora ossessionato dalla Profezia che...
- Questo lo so già – ribatté Ginevra interrompendolo bruscamente. - Mi dica quello che non so.
- Hai ragione a lamentarti – ammise Silente in tono di scusa. - Questo povero vecchio ripete sempre le stesse cose, ma è necessario cominciare dall’inizio. Abbi solo un po’ di pazienza. Il tuo caso è unico nel suo genere.
Avere pazienza? Ma dove ha il cervello questo?”, urlò l’entità Oscura. Ginevra si trovò a concordare con lei. Iniziava decisamente a perdere la calma.
Sbuffò, infastidita, e Silente riprese a parlare.
- Tu eri in grado di fare magie fuori dal comune. Ma ho dovuto bloccare questi tuoi poteri perché non riuscivi a trattenerti e, come già sai, Voldemort stava per arrivare a te. Ora un potere ancora più forte ha preso il sopravvento sulla tua mente oltre che su i tuoi poteri. Sei in grado di prevedere la morte delle persone a te care, è vero, ma….
- Non fa altro che ripetere cose che già so! - La voce di Ginevra esplose nella stanza, facendo trasalire la povera Fanny. - Cosa devo fare per sapere qualcosa della mia vita?
Gli occhi azzurri del vecchio mago brillarono aldilà delle lenti a mezza luna. Uno strano luccichio che non sfuggì alla ragazza.
- Lo vedo nei tuoi occhi… Il demone ci osserva, ci ascolta. Probabilmente è per merito suo che hai acquisito questo potere fin da piccola. La tua rabbia nei miei confronti alimenta la sua forza. Ti avevo già avvertita in passato… eppure tu continui a non fare attenzione. Quel demone potrebbe prendere il sopravvento da un momento all’altro e...
- Perlomeno, questo “demone”, non mi ha mai mentito. È stato onesto fin da subito – sbottò Ginevra interrompendolo. - Lei, invece, mi ha nascosto l’identità di mia madre per ben tredici anni, mi ha somministrato ogni giorno una pozione anti-crescita con l’inganno, ha ordinato a chiunque sapesse la verità sul mio conto di tacere e non mi ha neanche detto che Harry era mio fratello finché non ha deciso che poteva farle comodo… devo continuare? - disse Ginevra acida. - Io non chiedo altro che spiegazioni e non ricevo altro che discorsi vaghi, supposizioni e altre bugie. Adesso basta. Voglio la verità, una volta per tutte.
Silente sorrise alla ragazza, che non accennò a deformare la sua espressione furiosa. - Lo stai difendendo… Ti sei affezionata? Oppure è lui a parlare? -riprese Silente. - Vedi, è proprio di questo che stavo parlando. Sapevo che, prima o poi, il demone avrebbe tentato di prendere il controllo della tua mente per manipolare i tuoi pensieri. Riesco ad intravedere la sua ombra fremere dietro i tuoi occhi.
La collera di Ginevra era in pieno aumento, così come il desiderio di ferire Silente, di punirlo per la sua calma e per le sue parole vuote.
- Negli ultimi tempi – proseguì calmo Silente, - ho cominciato a temere che quel demone potesse prendere il controllo, ma non credevo che fosse già successo.
- No. Non l’ha fatto.
Sicura? Potrebbe essere divertente…”, la stuzzicò l’entità Oscura.
Ginevra l’ammonì, silenziosamente. Poi sentì l’eco di una risata deliziata nella rimbombarle nella testa.
Sto scherzando”, disse, “ma fa’ attenzione, questo vecchio bacucco vuole entrarti nella testa ed è meglio non permetterlo. C’è già abbastanza confusione qui dentro, non credi?”.
Come per dare ragione alle parole dell’entità Oscura, Ginevra notò, ancora una volta, quello strano luccichio bramoso negli occhi di Silente e a quel punto capì.
Tutto era chiaro.
- “Il tuo caso è unico nel suo genere…” - mormorò tra sé e sé.
- Hai detto qualcosa?
Ginevra guardò il vecchio mago. - Sono solo un esperimento, non è così? Qualcosa di singolare da poter studiare da vicino – la sua voce era quasi un sussurro, ma il preside riuscì comunque a sentire le sue parole.
Infatti, preso completamente alla sprovvista, Silente non proferì alcun verbo. Per la prima volta, sul suo viso Ginevra vide un’espressione sorpresa.
Aveva scoperto la verità.
- La verità è che nemmeno lei sa cosa sono o cosa mi sta accadendo. Sta solo cercando di guadagnare tempo dando la colpa al “demone” seguendo solo delle stupide supposizioni perché, dopotutto, è facile dare la colpa a ciò che non si conosce, no?
Hai fatto centro”, sussurrò, l’entità Oscura. Poi sbuffò. “Abbiamo solo perso tempo”.
Silente si limitò a fare un piccolo sorriso soddisfatto, dopodiché riprese la parola: - Puoi farmene una colpa? - domandò. - Eri solo una bambina e ancora oggi il potere dentro di te è incontrollabile… Io sto provando ad aiutarti. A capirti.
Che mi venga un colpo, questo povero idiota ha appena ammesso, che hai ragione…”.
Ginevra era disgustata. - “Provare” non è abbastanza. Le sue sono solo scuse. In effetti sembra quasi che lei voglia continuare a giocare con il mio cervello finché non mi vedrà esplodere.
- È vero. Hai ragione. Ma c’è una cosa che so per certo: tu non ti rendi conto del rischio che corriamo – Silente si piegò in avanti, poggiando i gomiti sul tavolo. Le sue parole erano misurate, il suo tono calmo e paziente lasciava ampio respiro ad ogni singola frase. - Se Voldemort dovesse prenderti e assorbire quel demone… - sospirò. - Anche se non posso aiutarti, le informazioni nella tua mente devono essere salvate.
Ginevra abbassò lo sguardo, scuotendo la testa.
Andiamo via. Troveremo le risposte da sole”, la incoraggiò l’entità Oscura. Lui non ci serve”.
Quando alzò di nuovo gli occhi, sul suo viso vi era un sorriso forzato e un po’ strafottente. - Ho sprecato il mio tempo. - Si alzò di dalla sedia e recuperò la borsa che aveva abbandonato sul pavimento, accanto a lei.
Diede le spalle al Preside e si avvicinò alla porta di quercia lucente, pronta ad abbandonare quella stanza e mettere quanta più distanza possibile tra di loro una volta per tutte. Quando la sua mano toccò il pomello della porta sentì il vecchio mago alle sue spalle. - Ti chiedo scusa, Ginevra. Cercavo solo di temporeggiare in attesa di darti delle vere risposte – disse con il suo solito tono di voce calmo e amorevole.
Ginevra iniziò ad avvertire uno strano bruciore agli occhi; la rabbia accumulata minacciava di esplodere. - Sarebbe stato meglio se si fosse fatto gli affari suoi – sibilò a denti stretti.
Come le era già successo in passato, le sue dita iniziarono a farsi calde e il calore iniziò ad espandersi verso il pomello della porta stretto nella sua mano.
Quando sentì la mano di Silente posarsi sulla sua spalla, gli lanciò uno sguardo furioso, dopodiché divenne tutto confuso. Sentì una forza completamente nuova che le ribolliva dentro che scalpitava per uscire. Lei l’accontentò senza pensarci.
Silente lasciò la spalla di Ginevra e si accasciò a terra, in preda al dolore. Era successo tutto in un’istante, sembrava quasi surreale.
Questa volta, anche se era molto distante dalla ragazza, Regulus si svegliò di soprassalto e, avvertendo quella piccola esplosione di potere, provò a fermarla prima che facesse qualcosa di cui poteva pentirsi.
Quando divenne cosciente di ciò che aveva fatto, Ginevra iniziò a tremare.
Albus Silente era ai suoi piedi, in ginocchio, e teneva una mano sul petto ansante; faticava a respirare.
Ginevra chiuse gli occhi e tutto cessò. Il cuore batteva all’impazzata.
Il vecchio mago riprese a respirare, tossendo. Con una mano alla gola, cercò il suo viso senza vederlo. Per lui c’era solo il buio.
Lei tremava ancora. Era sconvolta. - Mi dispiace – disse e scappò via.
“Cosa mi sta succedendo? Cosa sono?”, fu l’unica domanda che la tormentava mentre delle lacrime le rigavano il viso.
Era talmente spaventata dall’accaduto da non vedere il professore di Pozioni fino a quando non gli andò a sbattere contro.
- Black. Cosa… - iniziò il professore, infastidito. Ma, quando la vide con il volto rigato di lacrime e l’espressione terrorizzata, si incupì. - Che succede?
Ginevra non rispose. Lo abbracciò e basta, senza preavviso, lasciandolo per un attimo interdetto. Severus era immobile come una statua. All’inizio cercò un modo per allontanarla e liberarsi da quella stretta, ma quando la sentì singhiozzare non riuscì a trattenersi dall’avvolgerla con il suo mantello e abbracciarla a sua volta.
Si stupì per la sua stessa reazione.
Era sempre stato protettivo nei suoi confronti e al solo pensiero che qualcuno potesse farle del male provava tanta di quella rabbia da fargli ribollire il sangue nelle vene.
- Va tutto bene – le sussurrò soave. - Va tutto bene.
- No – singhiozzò lei. - Ho fatto una cosa… orribile.
Severus la prese per le spalle e l’allontanò piano da sé, quel tanto che bastava per poterla guardare negli occhi.
Inarcò un sopracciglio, confuso. - Che intendi dire?
Lei provò a rispondere ma le lacrime scendevano sempre più copiose e la sua voce era strozzata dai singhiozzi. Tutto il suo corpo tremava per la paura, che si concretizzò solo in quel momento; il professor Piton la strinse nuovamente al suo petto e la portò lontano da quel luogo.

Una volta rimasto solo nel suo studio, Silente si appoggiò al muro più vicino, cercando di ristabilire il battito cardiaco e il respiro. Perse l’equilibro, barcollò all’indietro e andò a sbattere contro una libreria la quale riversò sul pavimento alcuni libri, ma Silente non riuscì nemmeno a distinguerli. La sua vista stava tornando pian piano ma vedeva comunque delle chiazze scure ovunque posasse lo sguardo.
I ritratti appesi ai muri vicino a lui si allarmarono. Erano rimasti sconvolti da ciò che era accaduto e volevano chiamare aiuto, ma Silente lo impedì.
Non doveva saperlo nessuno.
Abbassò la testa e iniziò a pensare. Aveva visto gli occhi della ragazza diventare sempre più scuri fino a diventare neri.
Fanny, che era scesa dal suo trespolo, si adagiò accanto al suo padrone e provò a curarlo con le sue lacrime. In questo modo Silente riuscì a rimettersi in piedi e cominciò farsi tante di quelle domande che riuscirono solo a confondergli ancora di più la mente. Aveva provato sulla sua stessa pelle ciò il giovane James Potter aveva subito anni prima. Ginevra gli aveva annebbiato la vista e tolto la facoltà di respirare e, per un solo istante, fu completamente terrorizzato da lei.
Sospirò.
Liquidò i ritratti dei vecchi Presidi appesi ai muri con un gesto della mano dopodiché andò al piano di sopra dove, aldilà di una libreria, si nascondeva la sua camera da letto.
Se voleva trovare delle risposte alle sue domande aveva bisogno di riposare.

Severus la portò nell’unico luogo che riteneva sicuro: i suoi alloggi privati.
Dopo aver tolto l’incantesimo di protezione che bloccava la porta la invitò ad entrare. La porta si richiuse alle sue spalle subito dopo, Severus l’aveva accompagnata alla poltrona di pelle nera più vicina e, in pochi istanti, le preparò una tazza di tè caldo che lei accettò con mano tremante. Si portò la tazza alla bocca e bevve un sorso alla volta.
Severus prese posto nella poltrona di fronte alla sua, si piegò in avanti e restò in attesa che la ragazza si calmasse.
Poco prima, durante il tragitto, mentre percorrevano i corridoi del castello, non l’aveva lasciata nemmeno per un’istante. L’aveva tenuta stretta a sé con il timore di farla cadere; l’aveva sentita piangere e tremare terrorizzata, ma si era lasciata guidare dal suo insegnate senza obbiettare.
Quando l’aveva stretta tra le braccia non aveva riflettuto molto sul da farsi, preferì agire d’istinto. L’aveva portata nella sua camera, lontano da occhi indiscreti, in modo tale da poterla aiutare a calmarsi e sfogarsi.
In quel momento Severus vedeva una bambina spaventata e indifesa in cerca di aiuto. Lui si sentiva in dovere di proteggerla.
Maledizione, Severus! Questa ragazza sarà la tua rovina”, lo rimproverò la vocina nella sua testa. Ma lui la ignorò. La sua priorità era assicurarsi che Ginevra stesse bene.
Quando notò che si era calmata decise di parlarle. Voleva capire cosa le fosse successo senza ricorrere alla Legilimanzia.
- Va meglio? - le chiese con voce bassa.
Lei teneva gli occhi bassi. Le dita affusolate che stringevano la tazza tremavano ancora, così come il resto del suo corpo. Sentiva di aver perso il controllo. Provò a parlare con l’entità Oscura, ma non riuscì nemmeno a percepirla. Sembrava dispersa.
Ripensò ancora una volta a ciò che era successo nell’ufficio del Preside provando un gran senso di colpa. In quel momento temeva per l’incolumità del vecchio mago.
- Deve aiutare il Preside – sussurrò con un filo di voce.
Il professore di Pozioni inarcò un sopracciglio, ma non proferì alcun verbo. Rimase semplicemente in attesa di spiegazioni con tutta la calma e compostezza che possedeva.
- Io… Io ho... - mormorò la ragazza, ma le parole le morirono in gola. Chiuse gli occhi e sospirò. - Ho discusso con Silente e... – la sua voce s’incrinò e sentì i suoi occhi gonfi pronti alle lacrime per la seconda volta. - N-non volevo. Io ero arrabbiata… non volevo fargli davvero del male…
Alzò gli occhi su Severus. Era incredulo.
- Mi dispiace – sussurrò iniziando a lacrimare. - Non sono riuscita a controllarmi.
Severus non riusciva a crederci. Come poteva lei aver fatto del male a qualcuno?
- Resta qui – le ordinò a mezza voce. - Torno subito – promise, dopodiché abbandonò la stanza, chiudendo la porta a chiave dietro di sé.
A passo svelto raggiunse l’ufficio del Preside, al suo ingresso i ritratti si lanciarono in un coro spaventato senza che lui capisse ciò che gli stavano dicendo. Li ignorò.
Cercò il vecchio mago per tutta la stanza come un forsennato, ma senza trovarlo. Poi uno dei ritratti, Phineas Black, gli disse che Silente era nella sua camera, al piano di sopra.
Severus non esitò un solo istante. Corse al piano di sopra e aprì il passaggio segreto dietro la libreria e entrò nella camera del Preside. Quando lo vide per poco non gli venne un colpo: era disteso sul letto e un braccio penzolava fuori dal letto. Non muoveva neanche un muscolo. Qualche secondo dopo, quando lo sentì russare, sospirò di sollievo.
Allungò la mano per scuoterlo e cercare di svegliarlo con delicatezza, ma alla fine i suoi modi di fare risultarono bruschi e frettolosi; il vecchio mago si svegliò di soprassalto emettendo un grugnito soffocato. Per un attimo rimase a guardarlo confuso poi gli sorrise. - Severus – disse. - È già ora di pranzo?
- Non è il momento di fare battute! - sbottò acido il professore. - Ho incontrato la signorina Black ed era sconvolta. Dice di averti fatto del male.
Silente si mise a sedere sul letto trattenendo un gemito di dolore, e ampliò il suo sorriso. - Sciocchezze. Sto benissimo, vedi? Dille di stare tranquilla.
Severus lo guardò, interdetto. Poi assottigliò lo sguardo. - Credi che io sia un’idiota? - sputò acido. - Lo vedo che non stai bene!
Infatti il volto di Silente era più magro, pallido e stanco del solito. I contorni dei suoi occhi erano diventati più scuri e incavati. Sembrava fosse invecchiato di dieci anni in una sola volta.
Senza troppe cerimonie Severus scortò il vecchio mago al piano di sotto dove in quattro e quattr’otto gli preparò una pozione Rinvigorente.
Fanny, la dolce fenice, volò vicino a Silente e si appollaiò al suo fianco strofinando la sua testolina piumata contro il suo mento. Egli abbozzò un piccolo sorriso e le accarezzò il mento con tenerezza ma si stancò quasi subito. Era senza forze.
Piton sperava, anzi era convinto, che con l’aiuto della pozione avrebbe ripreso le forze e ogni dolore sarebbe sparito in meno di mezz’ora. Lo obbligò a bere tutto d’un fiato ma le cose non andarono come si aspettava. La pozione riuscì solo in parte nel suo compito; il volto era comunque pallido e stanco, gli occhi avevano ripreso solo un po’ di vitalità ma i suoi contorni erano rimasti immutati.
- Dovrò provare con qualcos’altro – mormorò Piton iniziando ad armeggiare con altre fiale che trovò nel cassetto lì accanto. A quel punto Silente gli poggiò la sua mano scheletrica sul suo braccio, fermandolo.
- Non posso mentirti, Severus – disse con voce stanca e il fiato corto. - Le tue Pozioni non serviranno a molto. Sono vecchio. Ginevra ha prosciugato le mie forze, ha annebbiato la mia vista e la mia mente, togliendomi persino la facoltà di respirare.
Ci fu una breve pausa.
Il professore di Pozioni era sconcertato. Non capiva come fosse possibile che una ragazza di appena diciassette anni avesse messo fuori gioco un mago esperto come Albus Silente e a ridurlo in quello stato.
- L’ho provocata intenzionalmente e questo è quello che mi merito – sospirò.
Severus era confuso e al tempo stesso disgustato. - Tu cosa? Che vorresti dire che l’hai provocata?
- Volevo accertarmi di una mia teoria e adesso che ho le risposte inizio a farmi delle idee su cosa fare – spiegò, massaggiandosi le tempie. - Lei non ha agito con il desiderio di farmi davvero del male, ne sono assolutamente certo. Fin da quando era una bambina, Ginevra ha sempre avuto delle doti fuori dal comune. Un potere molto speciale, se vogliamo dirlo. Vedi, con il passare degli anni, ho avuto modo di studiarla. Dentro di lei vive un demone che cerca in ogni istante di prevalere, di prendere il controllo della sua mente e del suo corpo. Quello che ha fatto a me lo aveva già fatto in passato. Ora, il suo potere è aumentato e il nostro compito è tenerla sotto controllo, al sicuro. Dobbiamo sopprimere quell’essere prima che succeda qualcosa di terribile.
Piton era decisamente perplesso. - Da quanto sai tutto questo?
- Oh, lo so da molto tempo ormai. Ero già a conoscenza di questa sua abilità, ma non l’avevo mai vista all’opera. Ho voluto provare… l’ho fatta arrabbiare e questo è il risultato – disse indicando lo stato in cui si trovava.
- E non hai mai pensato di dirmelo?
- Perché avrei dovuto? - domandò Silente con tono tranquillo.
Il professore di Pozioni stava per ribattere ma preferì tacere.
Silente gli sorrise divertito.
- Smettila di prendermi in giro.
- Ti chiedo scusa– disse Silente cercando di nascondere il suo sorriso. - Ma hai ragione. Avrei dovuto dirtelo prima.
Piton incrociò le braccia al petto e rimase in attesa che Silente continuasse a parlare.
Era impaziente. In quel momento, il suo unico desiderio era tornare da Ginevra e darle tutto l’aiuto possibile.
Calò un lungo silenzio, interrotto solo dal ticchettio dell’orologio a pendolo. Dopo un profondo respiro Silente chiuse gli occhi. - Io mi fido di te, Severus. Ed è per questo che ti chiedo un favore – disse. - Ginevra ha bisogno del nostro aiuto. Lei era solo una bambina quando io e Regulus abbiamo cercato di sopprimere questo parassita. Per anni e anni abbiamo cercato di proteggere lei e Harry, ma a quanto pare non siamo riusciti nel nostro intento. È solo questione di tempo prima che... – sospirò, dopodiché incatenò i suoi occhi azzurri a quelli neri dell’uomo che gli stava davanti. Nonostante i suoi tentativi di mantenerla forte, la sua voce si stava affievolendo sempre più. Era stanco e non vedeva l’ora di tornare a letto e riposare. - Presto o tardi, il demone cercherà una seconda fonte di magia da poter risucchiare… Tempo fa ha utilizzato il piccolo Harry, ed è per questo motivo che li ho tenuti lontani per tutto questo tempo. Ma se facciamo attenzione possiamo usare questo parassita a nostro vantaggio, dobbiamo solo convincere Ginevra a sbarazzarsene.
Severus inarcò un sopracciglio. - L’ho sempre sospettato, ma adesso ne ho la certezza – disse. - Tu non sei altro che un folle! È una ragazzina, per l’amor del cielo! Per tutto questo tempo non hai fatto altro che manovrare la sua vita e, adesso, nonostante lei abbia sofferto così tanto vuoi confonderle la mente per usarla? - urlò, disgustato. - Be’, puoi scordarti il mio aiuto! Non questa volta, Silente. Te lo puoi scordare.
Voltò le spalle al vecchio mago pronto ad abbandonare la stanza, ma il Preside lo richiamò.
- Hai promesso, Severus.
Quelle parole furono in grado di gelarlo sul posto.
- Hai promesso che avresti fatto qualsiasi cosa per me e ora io ti chiedo di aiutarmi a proteggere questa ragazza.
- Proteggere da cosa? - sbottò puntando lo sguardo sul vecchio mago.
- Voldemort è a conoscenza di questo demone e vuole usarlo per i suoi scopi. Lo cerca da anni. Lo brama ardentemente e per un attimo è stato talmente vicino da averla.
- La Fonte – sussurrò Severus, sconvolto.
Silente si limitò ad annuire. - Sai meglio di me che se Lord Voldemort entra in possesso di quel potere per Ginevra sarà la fine.

Quando Severus tornò in camera trovò la ragazza rannicchiata sulla grande poltrona di pelle nera dove l’aveva lasciata poco prima. Aveva le ginocchia strette al petto e il mento appoggiato su di esse. I lunghi capelli neri le ricadevano sul viso e lo coprivano in parte. Sembrava una piccola bambina indifesa.
Era talmente persa nei suoi pensieri da non essersi nemmeno accorta del suo ritorno, malgrado il rumore provocato dalla porta.
Le sfiorò il braccio per attirare la sua attenzione. Un piccolo contatto che gli procurò una reazione inaspettata.
Una volta incrociato il suo sguardo Piton poté vedere la paura. Era completamente terrorizzata.
- Lui sta bene? - domandò, tremante.
Una piccola piega apparve fra gli occhi di Piton. Sospirò piano. Doveva tenere a freno l’irritazione.
Ho voluto provare… l’ho fatta arrabbiare e questo è il risultato”, aveva detto Silente. L’ho provocata intenzionalmente”.
Quanto poteva essere stupido e irresponsabile un uomo pur di raggiungere i suoi scopi? Severus non lo capiva. In effetti non aveva mai capito quello che passava per la testa di quel folle di Silente e non voleva capirlo.
- Sì, lui sta bene – disse e la ragazza ricominciò a respirare serenamente. - Si rimetterà.
La vide passarsi una mano tra i capelli e abbassare lo sguardo sul pavimento.
- So cosa provi – disse il professore con tono delicato. - Silente mi ha parlato di ciò che è successo.
Ginevra batté forte gli occhi e si costrinse a distogliere lo sguardo. - Scommetto che penserà che io sia un mostro, non è vero? - Si sforzò di non piangere, strofinandosi gli occhi con il dorso della mano.
Guardandola, Severus si ritrovò a pensare per l’ennesima volta quanto lei fosse simile a sua madre. In quel momento rivide Lily, che piangeva a causa della sorella. Tunia mi odia. Per lei sono un mostro, Sev”, gli aveva detto con le lacrime agli occhi dopo aver ricevuto l’ennesima lettera piena di rancore della sorella Petunia.
Lily e sua figlia erano talmente simili e diverse allo stesso tempo quasi da confonderlo. Lily era sempre stata il suo punto debole.
Ginevra era bella come Lily, nonostante le differenze fossero evidenti. La carnagione bianchissima, i capelli scuri, gli occhi verdi e le labbra carnose. Nessun uomo poteva resistere a tanta bellezza.
Severus si schiarì la voce. - Posso aiutarti se vuoi. Posso aiutarti a controllare i tuoi poteri.
Ginevra scosse la testa e sospirò, probabilmente, pensò Severus, con l’intenzione di tenere a freno le lacrime. Poi incrociò i suoi occhi. - La ringrazio, professore, ma nessuno può aiutarmi.
Nonostante si trovasse in quella stanza già da un po’, notò solo in quel momento che ogni cosa all’interno di quella camera era rimasta immutata dall’ultima volta che vi era entrata. O almeno così le sembrava: tutta la stanza era ben illuminata e ogni cosa era in perfetto ordine. Nulla era fuori posto e sul caminetto vi era ancora il vaso con solo quel bellissimo e candido giglio. Trovarlo ancora lì lo trovò molto rassicurante.
Sospirò.
All’improvviso si sentì molto stanca.
Si alzò in piedi e mostrò al professore la debole imitazione di un sorriso. - Grazie ancora per l’aiuto e per il tè. Adesso ho solo bisogno di riposare.
Il professore annuì e l’accompagnò alla porta. Il suo sguardo era basso. - Qualunque cosa succeda – disse con tono lento. - Per qualsiasi motivo o se avrai bisogno di aiuto, la mia porta sarà sempre aperta.
Poi Severus alzò lo sguardo incrociando nuovamente quello della ragazza e notò che i suoi occhi tremavano ancora di paura, ma si sforzava di sorridere. - La ringrazio, professore – la sentì sussurrare, poi lasciò la camera sparendo dalla sua vista.
Severus rimase solo, a rimuginare sul da farsi.
Cosa doveva fare? Doveva assecondare il volere di Silente per quella stupida promessa o doveva tenere la ragazza lontana da lui?
Confusione.
Solo confusione.
Si passò una mano tra i capelli, ormai preda dall’indecisione. Poi sospirò.
Lanciò un’occhiata sul tavolino di fronte a lui dove la tazza di tè era stata abbandonata sul tavolino. Poi i suoi occhi andarono sull’orologio lì accanto.
Mancavano ancora dieci minuti alla lezione con gli studenti del terzo anno, ma pensò che era meglio incamminarsi. Almeno avrebbe passato due ore a sfogare la sua frustrazione su quei poveri ragazzi.
Ma, mentre camminava per i corridoi, si ripromise di parlare con Regulus Black. Aveva bisogno di uno scambio di opinioni e chi meglio di lui?





ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti! Perdonate il ritardo ma ho avuto un grande blocco per la scrittura. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e di pubblicare un nuovo capitolo al più presto così da concludere "l'odine della fenice". 
Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate con un commentino qui sotto  :)
Grazie ancora per la pazienza <3
A presto, 
18Ginny18

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 - NIENTE PIÙ SEGRETI ***


Capitolo 28 – Niente più segreti

La testa di Ginevra era in completo silenzio da quasi due giorni. Nonostante avesse provato più volte a mettersi in contatto con l’entità Oscura, ogni tentativo era vano.
Era completamente sparita.
Cominciava a preoccuparsi.
“Ironico”, pensò a quel punto, “prima non tolleravo la sua presenza e adesso mi preoccupo per la sua incolumità”.
Aveva anche tentato di contattare Regulus fino a notte fonda, ma neanche lui dava segnali.
Sospirò e si lasciò cadere sul letto. Il suo sguardo era fisso nel buio; la stanza era immersa dal silenzio, fatta eccezione per il russare di una delle sue compagne di stanza che, di tanto in tanto, la faceva sobbalzare.
La sua mente era invasa dagli stessi pensieri da quando aveva lasciato la camera del professore di pozioni. Continuavano a tormentarla. Aveva bisogno di tranquillizzarsi dopo quello che era successo, ma non riusciva a dimenticare l’immagine di Silente in preda al dolore, disteso ai suoi piedi.
Stava per ucciderlo? Voleva farlo?
Non ne era sicura.
Perché lo aveva attaccato?
Non ne aveva idea.
Forse aveva davvero bisogno d’aiuto... Ma poteva fidarsi di Piton? Era dalla parte di Silente?
Troppe domande. Troppi dubbi.
Mi stai facendo venire il mal di testa”, mormorò una voce.
Ginevra scattò subito a sedere e si guardò intorno. Le sue compagne dormivano ancora, quindi la voce che aveva sentito era nella sua testa.
“Ma dov’eri finita?”, esclamò Ginevra in preda all’ansia. “Ero preoccupata...”.
Tu? Preoccupata per me?”, domandò l’entità con un filo di voce. Poi Ginevra immaginò di vederla sorridere. “Allora è vero che ti stai affezionando”.
Il viso di Ginevra era corrucciato. “Ti senti bene?”.
Mi sento tutta ammaccata in effetti. Sarà dovuto al fatto che hai prosciugato le mie forze”.
“Ti ho... prosciugato?” Ginevra era confusa. “Cosa? Come?”.
E io che ne so? L’ultima cosa che ricordo è che ti sei arrabbiata e mi hai tolto tutte le forze. Non è stato molto carino da parte tua. Potevi anche chiedere, eh!”.
All’improvviso, Ginevra sentì la sua stessa debolezza. Si sdraiò nuovamente sul letto e cominciò a massaggiarsi le tempie. "Non capisco”, mormorò. “Com’è possibile? Pensavo che fossi tu a prenderti le mie forze”.
Lo stai davvero chiedendo a me?”, domandò l’entità Oscura con voce flebile. “Comunque, ho bisogno di riposare quindi, ti prego, cerca di non pensare troppo”, disse, dopodiché ci fu silenzio.
Ginevra sentiva le palpebre farsi sempre più pesanti. Si lasciò andare ad un lungo sospiro e l’oscurità la inghiottì. Per sua fortuna fu un sonno senza sogni.
Si svegliò dopo qualche ora con il cuore che le batteva all’impazzata, con l’incessante trillare della sveglia nelle orecchie. Attorno a lei era ancora buio, ma a giudicare dai suoni infastiditi che provenivano dagli altri letti, intuì che anche le altre ragazze si stavano per svegliare.
- Maledetta sveglia – brontolò Katie. - Stavo facendo un sogno bellissimo.
- Buongiorno, ragazze! - esclamò Angelina, gioiosa. Le altre ragazze borbottarono un buongiorno piuttosto spento prima di rituffarsi tra le coperte.
Angelina sembrava di ottimo umore.
Nonostante i vari insulti che le lanciarono alcune compagne, aprì le tende facendo entrare la luce del sole e, mentre prendeva la divisa di Grifondoro dal suo armadio, Katie e Ginevra rimasero un po’ sorprese di sentirla canticchiare un motivetto allegro mentre saltellava per tutta la stanza. Un comportamento piuttosto singolare per la Cacciatrice di Grifondoro.
- Oggi sei particolarmente raggiante, Angie – osservò Katie dopo un lungo sbadiglio e, nonostante fosse ancora assonnata, sorrise. La felicità dell’amica era contagiosa.
- Oh, davvero? - domandò Angelina. - Be’, penso sia merito del riposo. Dormire fa così bene... Non trovate?
Nonostante si sentisse ancora un po’ debole Ginevra si trovò a concordare con lei. Quelle poche ore di sonno l’avevano aiutata a recuperare le forze.
L’entità Oscura non emetteva nemmeno un fiato, probabilmente dormiva ancora, quindi Ginevra decise di non disturbarla.
Katie saltò in piedi e si stiracchiò. - Già – disse con uno sbadiglio. - Comunque vado a fare una doccia – annunciò, dopodiché corse ad occupare il bagno prima che una delle ragazze ancora in dormiveglia potesse protestare.
Ginevra scosse la testa e ridacchiò. Katie era sempre la solita.
In attesa che arrivasse il suo turno per il bagno, dopo aver recuperato la divisa dall’armadio, il suo sguardo vagò per tutta la stanza fino a fermarsi nuovamente su Angelina.
Aveva un sorriso sulle labbra e lo sguardo perso nel vuoto. La sua mano era poggiata sulla pancia tonta che ancora non c’era. Poi guardò Ginevra e il suo sorriso si ampliò. - Sai, credo che glielo dirò oggi. È vero che fino a ieri dicevo che non ero ancora pronta ma… sento che è il momento giusto – disse a voce bassa, per paura di farsi sentire dalle altre ragazze. Poi però il suo voltò si rabbuiò all'istante. - Ma temo lo sguardo degli altri. Cosa diranno?
Ginevra non sapeva cosa dire, ma quando parlò cercò di essere il più rassicurante possibile. - Be’, forse parleranno all’inizio, ma poi si abitueranno!
Un piccolo sorriso apparve nuovamente sul volto della Cacciatrice di Grifondoro. - Ti ringrazio – disse. - Io detesto i segreti e so che Fred la pensa allo stesso modo. Ed è per questo motivo che ho deciso di spuntare il rospo – si sfiorò ancora una volta la pancia e poi aggiunse: - Per questo motivo e anche perché ho fatto un sogno bellissimo - sorrise, persa tra i suoi pensieri, e sospirò. - Spero solo che diventi realtà.
La giovane Black non poté fare a meno di risponderle con un sorriso. Poteva solo immaginare la felicità di Angelina. Sembrava sprizzare felicità da tutti i pori.
Poi, i suoi pensieri andarono a George. Anche lui, come il fratello, odiava i segreti. Fin da quando erano bambini si erano sempre detti tutto. Con il passare degli anni, però, Ginevra aveva smesso di confidarsi soprattutto con lui.
Fu in quel momento che si chiese se avrebbe mai trovato lo stesso coraggio di Angelina. Ma aveva così tanti segreti da confessare che temeva di esplodere da un momento all’altro. Ma George? Come avrebbe reagito?
Non sapeva se avrebbe mai trovato il coraggio di rischiare di scoprirlo.

Quella mattina, mentre faceva colazione nella Sala Grande, Ginevra notò il volto corrucciato di Neville Paciock. Era seduto al suo fianco e La Gazzetta del Profeta che aveva tra le mani era in bella vista, ma lei non riusciva a vedere ciò che vi era scritto. Lui lo teneva stretto, in modo che nessuno a parte lui potesse leggerlo. Non lo aveva ancora sfogliato, il suo sguardo era fisso sulla prima pagina. Ma quello che aveva catturato l’attenzione della ragazza furono le mani di Neville che tenevano quel giornale strette ai lati e, man mano che stringeva la carta, i suoi pugni sbiancavano.
Anche Katie sembrò notarlo, infatti non poté fare a meno di preoccuparsi per lui. - Neville, va tutto bene? - domandò.
Quando gli toccò il braccio, lui si alzò di scatto e corse via senza dire una sola parola. Sembrava una furia.
- Ma che gli è preso? - domandò Fred, confuso.
- Avrà dimenticato i libri in camera – bofonchiò Lee ingozzandosi di frittelle. Come al solito era indifferente a ciò che lo circondava, a meno che non si trattasse di cibo. A volte, pensò Ginevra, sembrava il gemello perduto di Ron.
Katie aggrottò la fronte e agguantò il giornale che Neville aveva abbandonato sul tavolo. I suoi occhi andavano avanti e indietro velocissimi lungo l’articolo che stava leggendo. Ginevra notò la sua espressione mutare man mano che leggeva e poi si portò una mano alla bocca, trattenendo un’esclamazione. - Oh, no! Povero Neville.
- Che cosa c’è? - chiesero all’unisono Angelina e Ginevra.
Katie prese il posto che poco prima occupava Neville, avvicinandosi a Ginevra, e distese il giornale sul tavolo davanti ai suoi amici, in modo che tutti loro potessero leggere. Indicò il titolo che spiccava in alto alla pagina:

 
EVASIONE DI MASSA DA AZKABAN
IL MINISTERO TEME CHE BLACK SIA
IL ‘PUNTO DI RIFERIMENTO’
PER GLI EX MANGIAMORTE

Ginevra cercò di trattenere la rabbia. - Che branco di idioti – sibilò tra i denti. Odiava il Ministro della Magia per aver incolpato suo padre e odiava tutti quelli che credevano alle sue parole.
Sentì le dita di George sfiorarle la mano fino a intrecciarla con la sua; quel contatto riuscì a ristabilire un po’ di calma dentro di lei. Fin da quando erano bambini, George riusciva sempre a capirla e si era sempre schierato dalla sua parte quando qualcuno iniziava a insultare lei o Sirius. Era sempre stato il suo cavaliere, pronto a tutto pur di proteggerla persino da sé stessa.
Ancora una volta, gliene fu grata.
Non lo guardò, ma strinse la sua mano e se la portò alle labbra, sfiorandolo appena con un piccolo bacio. Un gesto spontaneo che lui imitò baciandole la testa e stringendosi forte a lei, seguendo il suo sguardo sulle pagine del giornale.
Poi, gli occhi di lei andarono verso le dieci fotografie sotto il titolo. Erano in bianco e nero e occupavano tutta la prima pagina: erano nove maghi e una strega. Alcuni si limitavano a esibire un’espressione beffarda; altri tamburellavano con le dita sulle cornici delle loro foto, con aria insolente. Sotto ciascuna immagine erano scritti il nome della persona e il crimine per cui era stata rinchiusa ad Azkaban.
I nomi erano tanti, ma lo sguardo di Ginevra fu però attratto dalla strega; l’aveva riconosciuta subito. Aveva lunghi capelli scuri arruffati e incolti, un sorriso di arrogante disprezzo e uno sguardo folle.
- Non può essere – sussurrò appena.
Bellatrix Lestrange.
La ragione dei suoi incubi era evasa da Azkaban la sera precedente.
- Povero Paciock – disse Angelina, cercando di trattenere le lacrime. - Per questo era sconvolto. I suoi genitori…
In quel momento Ginevra poteva quasi vedere il momento in cui Frank e Alice Paciock venivano torturati da Bellatrix Lestrange. Se si sforzava abbastanza poteva anche immaginare il suono stridulo della sua risata divertita. Dopotutto l’aveva sentita così tante volte nei suoi incubi…
- Ho ucciso Sirius Black!
Ginevra si voltò di scatto, spaventata. Si guardava intorno nella Sala Grande cercando il volto sorridente di Bellatrix, ma senza trovarlo. Quello stupido incubo era talmente impresso nella sua mente da presentarsi anche quando era lucida? Sperava proprio di no.
L’eco orribile di quella risata le sfiorò le orecchie, facendola voltare una seconda volta e per poco non le venne un colpo: Bellatrix era lì. Aveva un sorrisetto inquietante, sembrava prendersi gioco di lei.
- Non può essere – sussurrò ancora una volta.
Premette le mano sugli occhi, poi guardò lo stesso punto dove prima vi era Bellatrix, ma lei non c’era.
Era tutto nella sua mente.
- Ehi, tutto bene? – le domandò George, cercando il suo sguardo. Le accarezzò i capelli, con tenerezza, poi le sistemò una ciocca dietro l’orecchio.
Ginevra aveva iniziato a tremare. - No, non va bene. Non va bene per niente – disse. Poi si portò una mano al petto, respirando a fatica. - Ho bisogno d’aria. Ti prego, portami via.
Quando George incrociò il suo sguardo, e vide i suoi occhi velati di lacrime, scattò immediatamente in piedi. L’attirò a sé con dolcezza e la portò via dalla Sala Grande.
Ginevra si lasciò guidare, in silenzio. Le lacrime iniziarono a scendere, silenziose.
George sapeva dove portarla; avevano bisogno di un posto tranquillo, lontano da occhi indiscreti, dove lei potesse tranquillizzarsi. Secondo lui la Torre di Astronomia era il luogo perfetto in quel momento. Di mattina era sempre deserta, quindi potevano stare lì tutto il tempo che volevano e non gli importava di perdere le lezioni. Ginevra aveva bisogno di lui, importava solo questo.
Una volta raggiunta la meta Ginevra si allontanò da George e andò dritta verso la balaustra, respirando a pieni polmoni. Le lacrime continuavano a scendere, ormai copiose, ma non riusciva a fermarle. Nascose il volto tra le mani e cominciò a singhiozzare.
- Gin- sussurrò George con voce delicata. Era preoccupato e l’unica cosa che gli venne in mente era stringerla tra le sue braccia.
Lei gli dava le spalle. La circondò in un abbraccio colmo d’affetto e lei si voltò appena, così da poter affondare il viso nel suo petto.
- Non ce la faccio più – singhiozzò contro la sua spalla.
Restarono abbracciati senza parlare mentre lei piangeva. George lasciò che si sfogasse. Poi le sollevò il viso e le disse: - Che ti succede? - le domandò con voce calma.
La paura si impossessò di lei ancora una volta. Sapeva che era arrivato il momento di confessare a George tutta la verità e tutti i suoi segreti, ma temeva la sua reazione.
- Se te lo dicessi, mi odieresti.
- Non potrei mai odiarti – affermò lui, in tono risoluto. - Puoi dirmi tutto.
Le accarezzò il viso, asciugando le sue lacrime, e restò in attesa.
Dopo un lungo sospiro, Ginevra decise di raccontargli tutto. Una volta per tutte. Il problema era che non sapeva da dove cominciare.
- Ricordi l’incubo di cui ti ho parlato? In cui mio padre veniva…
George annuì, impedendole di terminare la frase. Sapeva quanto fosse doloroso per lei solo il pensiero che suo padre potesse morire. E sapeva che, nel suo incubo, era proprio Bellatrix Lestrange ad ucciderlo.
Continuò ad accarezzarle il viso, con tenerezza, e lei gliene fu grata.
- Be’ – continuò, - quello non era affatto un sogno. Posso vedere la morte di alcune persone prima che accada.
George era confuso e il suo viso parlava da sé. Voleva farle delle domande, ma non oso esprimersi. Lasciò che Ginevra continuasse a parlare e l’ascoltò con attenzione.
- Lo so, sembra una cosa impossibile da credere, ma è tutto vero. Era già successo in passato, - spiegò lei, - più e più volte, e non ho potuto fare nulla per impedirlo. Non sapevo che questi sogni fossero in realtà degli avvertimenti, delle premonizioni.
Tutto venne fuori da sé. Era stanca di dover dire sempre bugie. Aveva bisogno di liberarsi di quel peso. Gli parlò di ogni cosa: del graffio che aveva sul braccio sinistro, della sua capacità di trasformarsi in un lupo quando voleva, dei piani contorti di Silente, dell’entità Oscura e della Profezia. Quando arrivò il momento di confessare ciò che era successo qualche giorno prima nell’ufficio del Preside esitò, tremando ancora al pensiero, ma alla fine non tralasciò nulla.
Una volta finito di parlare, nonostante provasse una sensazione di liberazione, non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi.
Come sempre, George era stato molto dolce e comprensivo e aveva ascoltato senza interrompere. Poi, però iniziò a farle domande. La sua voce, notò Ginevra, tremava. Era forse spaventato? Disgustato?
Sì, la disgustava. Ne era certa. La odiava e, sicuramente, l’avrebbe lasciata. Al solo pensiero il suo cuore sembrò perdere un battito.
“È ovvio che sia spaventato. Chi non lo sarebbe?”, pensò lei, terrorizzata. “Ora mi lascerà. Non vorrà più avere a che fare con una bugiarda come me! Mi odierà per sempre”.
Il fiato iniziava ad accelerare e gli occhi a pizzicare. No, non poteva assolutamente sostenere il suo sguardo sapendo ciò che sarebbe successo.
Perciò, dopo aver risposto alle sue domande, lei concluse con un semplice: - Mi dispiace.
- Ti dispiace di cosa?
- Non volevo spaventarti.
Lui si passò una mano sul viso. - Sì, sono spaventato, ma non nel modo che pensi tu. Sono preoccupato per te. - La sua voce tremava e non riusciva a calmarsi. In quel momento sembrava persino arrabbiato, ma non con lei. L’unica cosa lui desiderava in quel momento era abbracciarla, stringerla e dirle che non l’avrebbe mai lasciata sola. Lei, però, non lo stava nemmeno guardando in faccia. Gli dava di nuovo le spalle. - Non posso pensare che hai dovuto affrontare tutto questo da sola. Perché non me ne hai mai parlato? Non ti fidavi di me?
Ginevra si voltò di scatto. - No! - esclamò, con sgomento. - Certo che mi fido di te.
- E allora perché mi nascondi le cose?
Prima di rispondere lei sospirò e abbassò lo sguardo. - Ho avuto paura. Non sapevo come o quando dirtelo. Volevo trovare il momento giusto. Temevo che mi avresti allontanata una volta saputo tutto… soprattutto dopo aver saputo quello che ho appena fatto. - Un altro sospiro, poi decise di guardarlo negli occhi e sprofondare nelle sue iridi verde foglia. Se doveva affrontare gli scheletri nel suo armadio voleva farlo con coraggio, ignorando le gambe che le tremavano e gli occhi che erano pronti a scoppiare di lacrime ancora una volta. - Ho… Ho quasi ucciso un uomo, George. Non è una cosa tanto facile da digerire. Ho perso il controllo e potrebbe succedermi ancora. Sono un pericolo.
Fu allora che George decise di avvicinarsi e circondarle i fianchi, stringendola in un forte abbraccio. Dopo averle baciato la guancia sospirò e disse: - Non succederà. Ci sono io qui con te. Non pensare nemmeno per un momento che io possa allontanarmi da te. Lo so che hai avuto paura, ma adesso non sei sola. Affronteremo tutto questo insieme. Te lo prometto.
Ginevra tremava per l’emozione. - Dici sul serio?
- Non potrei mai mentirti.
Un sorriso le curvò le labbra e iniziò a piangere, ma cercò di contenersi. Non voleva trasformarsi in una fontana.
Lui la baciò e fu come la prima volta... un bacio lento, dolce. Le prese il volto tra le mani, tenendola vicina a sé.
Forse all’inizio era rimasto un po’ sconvolto nel scoprire tanti segreti in una volta, ma non riusciva ad essere arrabbiato con Ginevra. In un certo senso era felice che si fosse confidata con lui. In quel momento sentiva che il loro legame era diventato più forte e profondo, sfidando tutto ciò che Ginevra aveva temuto fino a quel momento.
Niente più segreti.

- Angie, che ti prende? - le domandò Fred. - Dove mi stai portando?
Sembrava che neanche lei sapesse dove andare. Era agitata. Si guardava intorno con circospezione, come se si aspettasse che qualcuno spuntasse da dietro l’angolo per sorprenderli.
“- Devo dirti una cosa – gli aveva detto, - ma ho bisogno di un posto tranquillo. Nessuno deve ascoltare”.
All’inizio Fred trovò la cosa divertente pensando che, con molta probabilità, tutto quel mistero si sarebbe trasformato in una notte di folle passione… ma durante il tragitto, dopo aver osservato le varie espressioni sul viso di Angelina, iniziò a preoccuparsi.
Si tennero per mano per tutto il tempo; Angelina gli stringeva la mano come per darsi forza, ma non si era voltata a guardarlo nemmeno una volta.
Per un breve istante Fred pensò che Angelina fosse fuori di testa. Lo aveva trascinato per tutto il castello senza dargli delle spiegazioni fino a portarlo davanti alla Stanza delle Necessità.
Non poteva dirgli prima dove lo stava portando? Perché tanti segreti?
Angelina aveva chiesto alla Stanza di trasformarsi nella sua camera da letto a Notting Hill. Quando varcarono la soglia lo sguardo di Fred cadde sulla copia esatta del letto di Angelina, non riuscendo a reprimere un piccolo brivido di piacere quando ripensò alla notte in cui ci avevano dato dentro. Che nottata!
Poi, il desiderio si trasformò in confusione. Angelina stava guardando sotto il suo letto e esaminava la stanza.
- Tesoro, cosa succede? Di cosa volevi parlarmi? Va tutto bene?
- Siediti... ti prego.
Il tono tremolante di Angelina non gli aveva lasciato scelta. Obbedì, prendendo la sedia della scrivania lì vicino. Lei, invece, si era seduta di fronte a lui, ai piedi del letto, e guardandolo in silenzio per un minuto intero.
Non smetteva di contorcersi le dita e i suoi occhi erano lucidi. - Angie? È successo qualcosa?
Angelina non rispose. Si portò una mano al ventre e iniziò a mormorare tra sé e sé, agitata. - Non c’è un modo facile per dirlo.
- Dire cosa? Mi stai spaventando.
Prese un respiro profondo e lo guardò negli occhi. - Sono incinta – disse tutto d’un fiato.
In quel momento nella stanza calò un silenzio irreale. Per Fred ci volle qualche secondo per recepire bene quelle parole perché quando udì la parola incinta il suo cervello sembrò annebbiarsi. - Cosa? - chiese con un filo di voce.
Angelina aveva le lacrime agli occhi e un piccolo sorriso esitante sulle labbra. - Sono incinta – ripeté.
Fred era rimasto a bocca aperta.
Aveva capito bene? Angelina era incinta? Di suo figlio?
Doveva trovare il tempo di digerire la notizia.
Angelina lo guardava, arrossendo. Poi, quando lui non disse più nulla, iniziò a farsi prendere dal panico e a parlare senza sosta. - Quando l’ho saputo ero morta di paura e allo stesso tempo… Ero così contenta! - disse. - Mi sono fatta un sacco di domande: il Quidditch, gli studi, il resto. Ma adesso non mi importa più nulla. So che non era in programma… che non era decisamente in programma, ma voglio tenerlo, Fred. Te lo dico perché hai il diritto di saperlo. Avevo bisogno di parlartene e mi dispiace se ci ho messo così tanto tempo a trovare il coraggio.
Fred aveva ascoltato le sue parole in silenzio, ma ad un tratto lo sguardo di lei gli fece capire che era arrivato il suo turno di parlare. Ma da dove poteva cominciare?
Sospirò. Gli occhi iniziavano a pizzicare. - Da quanto lo sai?
- Otto settimane.
Fred annuì e si passò una mano sul viso. Non era difficile capire come o quando fosse successo. Si guardò intorno e sorrise, pensando a quanto fosse azzeccata la scelta di Angelina riguardo la stanza dove si trovavano. Era un modo per richiamare quella sera.
- E stai bene?
Lei annuì. Le salirono le lacrime agli occhi e il suo sorriso andava da un orecchio all’altro. - E tu?
Fred ricambiò il sorriso, ma non sapeva come esprimere a parole ciò che provava in quel momento. Aveva paura, ovviamente. Però era anche molto felice. Si sentiva come una bomba pronta ad esplodere, ma non sapeva con certezza se più per il terrore che per la gioia. Stava per diventare padre! Un traguardo non da poco per uno della sua età. Era pronto ad avere un figlio? Sarebbe stato un buon padre? Poi, l’idea di avere tra le braccia un piccolo frugoletto che lo avrebbe chiamato papà cancellò tutti i suoi timori. Aveva già l’istinto di proteggere il piccoletto! Già riusciva a vedersi mentre gli insegnava ad andare sulla scopa e a fare scherzi allo zio Ron. Sì, un piccolo Fred Weasley a piede libero era un’idea che gli andava proprio a genio.
Fu in quel momento che Fred pensò che forse le parole non servivano e così, sopraffatto dall’emozione, afferrò Angelina per stringerla a sé in un abbraccio. - Non vedo l’ora che arrivi. Sono davvero felice, tesoro. Mi preoccupo, ma sono felice.
A quelle parole gli occhi lucidi di Angelina iniziarono a lacrimare. - Cavolo, sono così sollevata di avertelo detto finalmente! - disse. - È da settimane che cerco d’immaginare la tua reazione, pensavo che ce l’avresti avuta con me o che saresti rimasto scioccato, ma non che saresti stato felice come me! Ti amo così tanto.
- Ti amo anch’io – disse dandole un bacio soave sulle labbra. E mentre lo diceva non riuscì trattenere qualche lacrima. - D’ora in avanti – le mormorò all’orecchio, - affronteremo tutto insieme.
A quelle parole, Angelina sorrise e si strinse a lui mentre tutta la felicità le scaldava il cuore.
Era un momento decisivo e stentava ancora a crederci, ma era felice. Lo erano entrambi.

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 - COME TESSERE DI UN PUZZLE ***


Capitolo 29 – Come tessere di un puzzle


Quella sera Emily era bellissima. Indossava un abito verde scuro a maniche lunghe con dei fiorellini bianchi, lungo fino al ginocchio. La scollatura lasciava intravedere il seno prosperoso. Dal momento in cui l’aveva vista, Regulus aveva un solo desiderio: sfilarle quell’abito e accarezzare ogni curva del suo corpo con le dita, per scoprire se la sua pelle era davvero così morbida come la immaginava.
In realtà era da parecchi giorni che quel desiderio lo tormentava, ma lui era riuscito a sopprimerlo quasi sempre.
Non ci pensare”, era diventato il suo mantra. Lo ripeteva finché non riusciva a togliersela dalla testa, però Emily aveva molti modi per rovinare tutto. Era inevitabile.
Fissò il sguardo su di lei.
Aveva appena raccolto i capelli in una crocchia improvvisata ma qualche ciocca era sfuggita al suo controllo e le incorniciava il viso imbronciato.
L’istinto di rubarle un bacio era forte.
- Cosa c’è? - domandò notando il suo sguardo. Le sue guance si tinsero di rosa e, sorridendo un po’ impacciata, si passò una mano tra i capelli color grano controllando che fossero in ordine. - Ho qualcosa tra i capelli?
Regulus scosse la testa e scrollò le spalle. - Niente – disse, dopodiché la sua attenzione tornò sul signor Edward Green che, in quel momento, si stava dedicando alla lettura dei documenti che aveva tra le mani.
Annotò ogni cosa, anche la più stupida. Tutto, pur di non pensare a lei. Tutto pur di non guardarla e lasciarsi inebriare dal suo dolce profumo e…
Non ci pensare, idiota! Concentrati!”, si disse.
Trattenne un silenzioso ringhio di frustrazione. Sentì il bisogno di bere e, senza distogliere lo sguardo dal signor Green, allungò la mano verso il tavolino al suo fianco in cerca del bourbon. Sentì il freddo del bicchiere ancora pieno di ghiaccio che gli pizzicava le dita. Buttò giù tutto il liquido ambrato in un solo sorso e continuò a seguire i movimenti dell’Impiegato del Ministero come se fosse la sua ombra.
Regulus si accertò che il signor Green fosse da solo in quella stanza, controllando anche che non ci fosse nessuno né alla porta né davanti alla finestra. “Non si può mai sapere da dove potrebbero colpire i Mangiamorte”, si disse.
- Allora? - sollecitò Emily ad un certo punto, stanca di quel silenzio opprimente.
Regulus sospirò e si versò un altro bicchiere di bourbon. - Credo che qui ne avremo per molto – bevve un sorso e si concentrò nuovamente verso il mago e le sue scartoffie. - Passiamo al prossimo?
Non la guardava. Non poteva. Era troppo da sopportare.
La sentì rovistare i fascicoli tra le sue mani con un po’ di nervosismo, ma questa volta si trattenne dal sbirciare nella sua testolina bionda.
- Oliver Davies – pronunciò lei, sempre con professionalità. - Alla tua destra, a sette camere di distanza da qui.
Il binocolo che fino a quel momento era centrato sul signor Green andò oltre, fino a intercettare un uomo di basta statura, stempiato e con dei grandi baffi grigi che stava sonnecchiando sul divanetto. Regulus lo fissò per qualche minuto, per accertarsi che stesse effettivamente dormendo e, come aveva fatto per il signor Green, controllò che nessun altro, a parte il signor Davies, fosse in camera o appostato da qualche altra parte nelle vicinanze.
Emily, nel frattempo, si stava dedicando al controllo di altri due Impiegati: la signora Samantha Walker e Damian Cooper, che si trovavano rispettivamente al piano di sotto e al piano di sopra, quindi, ogni tanto Regulus la vedeva salire e scendere dal letto per poter raggiungere con più facilità il soffitto con l’apparecchio dato in dotazione dal Ministero. Ma, stranamente, quell’aggeggio non era efficace come quello dei gemelli Weasley. Alla fine, stanco di sentirla imprecare contro l’oggetto, le offrì di fare a cambio con il suo. Lei accettò con un “grazie” appena sussurrato. Si sdraiò sul letto a pancia in su e inforcò il binocolo con un sospiro soddisfatto: - Finalmente riesco a vedere cosa tiene tra le mani il signor Cooper… ed era meglio che non guardavo – rabbrividì e passò al piano inferiore, dove si trovava la signora Walker.
Regulus si lasciò sfuggire una piccola risata e lei sobbalzò, sentendo una miriade di farfalle nello stomaco svolazzare contente.
Trascorsero svariate ore, nelle quali sia Emily che Regulus stilavano pagine e pagine di rapporti su i quattro Impiegati dell’Ufficio Misteri scambiandosi un “come sta andando?” di tanto in tanto per rompere un po’ il silenzio, ma sembrava comunque una noia senza fine.
- Quanti giorni dobbiamo passare ancora in questo modo? - domandò Regulus dopo un sonoro sbadiglio.
Dopo il suo riposino pomeridiano, il signor Davies aveva iniziato una lunga e noiosa partita a scacchi magici… da solo. Lo aveva visto andare da un posto all’altro con estrema lentezza, impersonando entrambi i giocatori con entusiasmo, come se fosse una cosa normale. All’inizio Regulus pensò che fosse una cosa molto triste e allo stesso tempo molto tenera, ma alla fine il tutto si trasformò in pura noia. Non riusciva a credere che quell’uomo giocasse alla stessa partita da sette lunghissime ore senza annoiarsi.* Era impossibile!
Emily rispose alla sua domanda, contagiata dal suo sbadiglio. - Altri due giorni – disse, alzando un pugno verso l’alto fingendo di esultare.
Si stiracchiò, per poi continuare a spiare la signora Walker che stava preparando l’occorrente per andare a dormire. Emily guardò l’orologio appeso al muro della camera da letto.
Erano le 22:04.
Mancavano otto ore prima che i quattro impiegati raggiungessero il Ministero per un altro giorno di lavoro. Una parte di Emily sperava che quelle ore passassero in fretta o che, perlomeno, la signora Walker andasse a dormire in fretta come aveva già fatto il signor Cooper. Così avrebbe potuto schiacciare un pisolino anche lei. Poi, una volta arrivato il mattino, quei due sarebbero diventati il problema di qualcun altro fino alle ore 14:30.
Poteva resistere.
Sbadigliò sonoramente per la seconda volta e Regulus le sorrise. - Stai tranquilla, vai pure a dormire. Farò io il turno di notte. Questi due sono crollati – disse, riferendosi al signor Green e al signor Davies.
- Non ti preoccupare – ribatté Emily. - Sono ancora in grado di svolgere il mio dovere per qualche altra ora. Non sarà uno sbadiglio a frenarmi.
Regulus distolse lo sguardo dal signor Green per concentrarlo su di lei e scosse la testa. - Hai la testa più dura di un muro, Emily. Io cercavo solo di essere gentile.
Lei sussultò nel sentirgli pronunciare piano il suo nome.
- Lo so bene – disse, cercando di non tradire l’emozione che provava in quel momento. - Ma detesto quando qualcuno mette in dubbio le mie capacità. Questa non è la prima volta che sorveglio qualcuno. L’ultima volta sono rimasta sveglia per quarantottore prima che qualcuno venisse a darmi il cambio. Non ho schiacciato nemmeno un pisolino.
- Ah sì? E quanti caffè hai bevuto? - domandò lui divertito.
Emily sembrò esitare. - Quindici… credo.
Regulus si voltò nuovamente a guardarla e inarcò un sopracciglio. - Quindici? - esclamò, stupito. - E sei ancora viva?
Rise piano. Emily sbuffò un sorriso e riportò la sua attenzione sulla signora Walker. - Sei solo invidioso.
Regulus scosse la testa, sogghignando. - Oh, Emily… - sospirò con voce roca.
Ad un tratto la vide sussultare e l’istinto gli impose di dare un’occhiata ai suoi pensieri, troppo curioso per resistere. Non fu proprio una violazione della privacy, bensì un invito. Anche se inconsapevolmente, Emily lo stava invitando a leggerle la mente.
Lei aveva un’immagine ben precisa in mente. Un desiderio che le aveva fatto accelerare i battiti del cuore e che la stava facendo eccitare molto. Riusciva a vederlo come se quel desiderio fosse suo: La pioggia che martellava incessantemente su di loro, incollando i vestiti ai loro corpi. Dopo averle dato un lungo e focoso bacio, Regulus le aveva tirato su la gonna e l’aveva spinta contro un muro di un vicolo mentre lei gli avvolgeva le gambe intorno alla vita e gli chiedeva di farla sua.
Regulus tremò.
Avvertì un brivido eccitante l’ungo tutto il corpo.
Anche se il desiderio di continuare a spiare i pensieri di Emily era forte, lui decise di smettere.
Si rese conto che nei suoi pantaloni iniziava ad esserci del movimento, che quasi gli provocò una smorfia mista di piacere-dolore.
Si passò una mano tra i capelli, come faceva sempre quando era esasperato. Imprecò silenziosamente, cercando di mantenere il controllo e darsi un contegno. Non voleva che lei pensasse che fosse un lurido pervertito, ma di sicuro Emily non lo aiutava dato che continuava a fare pensieri poco casti che lo stavano facendo impazzire.
Poi i loro sguardi s’incrociarono.
Lei si stava mordendo il labbro inferiore, come per provocarlo. Qualunque cosa stesse immaginando in quel momento, la stava eccitando molto.
Regulus sentì il sangue ribollire nelle vene. Non voleva più leggere. Voleva agire e basta.
Gli aveva appena fatto una domanda, ma lui non le diede nemmeno ascolto. Sentiva il bisogno di un contatto ancora più ravvicinato.
Soffocando un’imprecazione, si alzò in piedi, le prese il viso fra le mani e si avventò sulle sue labbra.
Non era riuscito a resistere.
- Regulus – mormorò lei sulle sue labbra. Anche se colta alla sprovvista, lei rispose con la stessa foga ai suoi baci, gli avvolse le braccia intorno al collo e si strinse forte a lui. Non voleva più lasciarlo andare. Lo desiderava e lui desiderava lei. Adesso lo sapeva. Lo sentiva.
Dentro di sé, sorrise compiaciuta.
Nient’altro aveva più importanza in quel momento. Né il tempo, né il luogo.
Gli premette le dita sulla nuca desiderando che quel bacio caldo e intenso durasse per sempre.
Lui si sdraiò al suo fianco sul letto e l’attirò a sé, appoggiandole le mani sui fianchi. In quel bacio cercò di farle sentire tutta la passione e il desiderio che provava per lei. Quando si allontanarono avevano entrambi il fiato corto.
Emily era sicura che le sue guance fossero diventate ancora più rosse, ma non le importava. Desiderava baciare ancora una volta le labbra di Regulus senza il timore che Sirius o qualcun altro entrasse in camera distruggendo l’atmosfera.
Regulus poggiò la fronte sulla sua e sorrise. - Tu hai… un grosso potere su di me – ansimò. Poi il suo sorriso svanì. Alzò una mano per scostarle un ricciolo dagli occhi con una carezza. - Mio Dio, quanto sei bella – le disse. Abbassò la testa le catturò la bocca con l’intenzione di darle un altro bacio, questa volta più soave dei precedenti.
Un sorriso spontaneo curvò le labbra di Emily e ricambiò il bacio con dolcezza ma che ben presto sfuggì al loro controllo trasformandosi in pura passione.
La camicia nera di Regulus dalla quale lei aveva potuto ammirare i suoi invitanti addominali perfettamente scolpiti era già sparita. Emily non ricordava come o quando l’avesse tolta, in realtà non le importava davvero.
Impaziente, si strusciò contro di lui. Appoggiò i palmi sul torace; era una sensazione inebriante sentire i muscoli fremere al suo tocco. Con la punta delle dita scese dal petto fino all’addome e quando le sue mani raggiunsero la cintura dei pantaloni lo sentì tremare.
Era stanca: aveva aspettato troppo a lungo. L’unica cosa che desiderava era trasformare le sue fantasie in realtà.
Prima di sbottonargli i pantaloni e abbassare la zip, gli rivolse un piccolo sorriso malizioso che aumentò la sua eccitazione.
Lo accarezzò con dita leggere, dopodiché infilò una mano all’interno dei pantaloni, sentendo il suo respiro accelerare e il desiderio crescere. Quando fece per liberarlo completamente dai vestiti, lui la fermò.
- Sei sicura? È quello che vuoi? - le domandò in sussurrò eccitato.
Lui la desiderava. Eccome se la desiderava! Ma voleva essere sicuro che lei non se ne sarebbe pentita.
Emily si sciolse i capelli ravvivandoli con le mani e poi le sue labbra tornarono a sigillare quelle di Regulus in un nuovo bacio, chiarendo una volta per tutte le sue intenzioni. Sì, era quello che voleva.
Regulus non riuscì a resistere oltre. Pose fine alla piccola tortura che stava subendo e la spinse contro la spalliera del letto, insinuando una gamba tra le sue. Poi, le sue mani cominciarono a scendere, accarezzandole il seno attraverso quell’insopportabile tessuto. Era arrivato il momento di ricambiare.
Lei trattenne il respiro e chiuse gli occhi. Nel frattempo le mani di lui continuarono a sfiorarla dappertutto, dai fianchi fino a raggiungere le gambe… Il tocco delle sue dita la eccitava.
A quel punto Regulus sorrise e le sollevò il vestito, insinuando le mani sotto il tessuto. Le accarezzò la pelle calda e particolarmente sensibile delle cosce con le labbra e con le dita, strappandole un gemito dopo l’altro. Tutto il suo corpo era morbido proprio come aveva immaginato che fosse.
Le sfilò gli slip e li gettò sul pavimento. Dopodiché diede inizio a una lenta tortura che la mandò in estasi, accarezzando la sua femminilità con delicatezza.
Lei lo tirò a sé e lo baciò di nuovo, stringendogli le mani attorno alla nuca per poi scendere fino ai fianchi facendo scivolare i suoi boxer lungo le gambe, lasciandolo completamente nudo.
Lui le sorrise, avvicinando il viso al suo per poi coprirle il collo di baci e, quando la penetrò, un gemito di piacere le sfuggì dalle labbra mandandolo fuori di testa.
I loro gemiti si trasformarono in grida soffocate di piacere. I loro corpi si muovevano all’unisono, guidati da una passione ardente, penetrante, troppo a lungo trattenuta.
L’uno aveva sete dell’altra.
- Vorrei che questa notte non finisse mai – le bisbigliò con voce roca, in preda al piacere.
Emily non poté reprimere l’emozione di fronte a quelle parole. Sorrise e lo baciò con ardente passione.
Si amarono tutta la notte e rimasero stretti l’uno all’altra, ansimanti e sudati, inebriati di piacere. Emily si rannicchiò contro il suo petto e si addormentò, ignorando che fosse già mattino.

Finalmente, dopo una settimana in missione sotto copertura, Emily e Regulus stavano per lasciare l’albergo.
Quegli ultimi due giorni erano passati davvero in fretta e un po’ gli dispiaceva di lasciare quella camera e tornare alle loro vite.
- È un vero peccato lasciare questo letto, signora Wood – la stuzzicò Regulus quella mattina. La stava abbracciando da dietro, accarezzandole con tenerezza la schiena e il collo, tracciando con le labbra una serie di baci, facendole provare dei piccoli brividi lungo la schiena.
Erano ancora a letto, avevano appena finito di fare l’amore.
Emily sospirò. - Già. Un vero peccato – poi lanciò un’occhiata all’orologio sul comodino e sbuffò, contrariata. - È quasi mezzogiorno, dobbiamo fare il check out.
- Dobbiamo proprio? - continuò lui, sorridendo malizioso, mentre le sue dita percorrevano con delicatezza i fianchi della bionda.
Emily si mise a ridacchiare e si voltò verso di lui. - Reg, ne abbiamo già parlato. Niente solletico!
- Perché? - domandò lui, iniziando a farle il solletico, e le risatine di Emily riempirono la stanza. Poi la baciò sulle labbra.
Amava baciarla.
Qualcuno bussò alla porta.
Emily provò ad alzarsi dal letto, ma Regulus glielo impedì.
- Ignoralo – le sussurrò riprendendo a baciarla e lei, felice di quell’opzione, gli strinse le mani attorno alla sua nuca rispondendo al bacio.
Purtroppo per loro, però, bussarono ancora alla porta e questa volta con più insistenza. - Signori Wood? È l’ora del check out! - disse la voce aldilà della porta.
Emily imprecò e, anche se controvoglia, allontanò le labbra di Regulus dalle sue. - Sì, ci dia solo venti minuti, per favore! - urlò, in modo da farsi sentire.
Regulus, però, che stava continuato a baciarle l’interno del collo, le impedì di alzarsi, sovrastandola con il suo corpo.
- Reg, ti prego – gli sussurrò lei, attraversata da un brivido di piacere. - Dobbiamo andare…
- Ne sei convinta?
Emily si morse il labbro inferiore e disse: - Sì.
Quanto maledì quella parola! Avrebbe tanto voluto mandare al diavolo tutto e tutti e restare in quel letto con Regulus per ore e ore a fare l’amore, ma la parte più razionale di lei la convinse che era meglio lasciare quell’albergo il più presto possibile suggerendole un’alternativa migliore.
- Magari… potremmo continuare da un’altra parte – propose. - Magari a casa mia…
Un sorrisetto malizioso illuminò il viso di Regulus. - D’accordo. Hai vinto tu.
E dopo averle rubato un altro bacio, si alzò in piedi e andò a prepararsi.
Emily non riusciva ancora a crederci: Regulus Black era suo. E lei, ovviamente, era completamente di Regulus.
Che cos’erano, però, ancora non lo sapeva. Fidanzati? Amanti? Amici con benefici?
Sospirò. Non era sicura di volerlo sapere.
Il rumore dell’acqua che scorreva dalla doccia attirò la sua attenzione e, subito dopo, la testa di Regulus fece capolino dal bagno insieme al suo sorriso impertinente. - Vieni a fare la doccia con me?
Emily scosse la testa. Sapeva cosa voleva dire quel sorriso.

Una volta raggiunto il pianerottolo l’appartamento di Emily, Regulus ricevette un messaggio da Severus Piton. Voleva vederlo il prima possibile.
Una parte di lui lo maledì, ma se voleva vederlo con tanta urgenza doveva essere importate. Subito i suoi pensieri andarono alla nipote, Ginevra, e tutto ebbe un senso.
A malincuore disse a Emily che doveva raggiunge Hogwarts per una nuova missione, omettendo tutto il resto. Era una piccola bugia, ma a fin di bene. Voleva proteggere Emily da tutto quel caos a cui lui e Ginevra erano legati. La situazione era troppo delicata.
Emily ci rimase un po’ male e non riuscì a nasconderlo, pensava infatti di passare ancora molto tempo con lui prima di tornare a lavoro.
- Mi dispiace – mormorò Regulus, accarezzandole il viso.
- Tranquillo, lo capisco. Bisogna sempre correre quando si parla di lavoro – disse lei, poi si alzò sulle punte e lo baciò. Un bacio dolce, sincero, che riuscì a fargli perdere un battito. - Quando avrai finito torna da me… solo se lo vuoi, ovviamente – aggiunse, mordendosi il labbro inferiore.
Regulus le sorrise, la strinse tra le braccia e la baciò ancora. - Non ti mollo, Tonks.
Dopo aver portato le sue valigie in casa la salutò con un altro bacio e poi raggiunse il vicolo più vicino per smaterializzarsi a Hogsmeade, dopodiché si tramutò in gatto e zampettò verso Hogwarts.
Fu un percorso lungo e faticoso ma alla fine riuscì a raggiungere il castello. Trovare il professore di Pozioni, invece, fu molto più semplice. Si trovava vicino l’ingresso della sala professori, concentrato nella lettura del libro che aveva tra le mani. Regulus, o meglio dire Ice si avvicinò a lui quel tanto che bastava per farsi vedere senza attirare troppo l’attenzione degli altri insegnanti.
Ormai conosceva bene la procedura: Severus fingeva di non vederlo, iniziava a camminare e Ice doveva seguirlo a debita distanza fino a raggiungere il posto prestabilito.
Infatti, tutto andò secondo i piani. Severus si era rifugiato in una delle aule abbandonate del quarto piano e Ice gli andò subito dietro.
Era certo che nessuno li avrebbe disturbati ma, per maggior sicurezza, Severus sigillò la stanza e applicò vari incantesimi, in modo tale che nessuno potesse sentire ciò che si sarebbero detti dentro quelle quattro mura.
L’aula in cui si trovavano in quel momento era piena di polvere e ragnatele che ricoprivano ogni superficie e qua e là vi erano delle sedie ribaltate che nessuno aveva rialzato.
Dopo un piccolo starnuto il gatto si tramutò in uomo e Regulus cacciò fuori un fazzoletto, nel quale si soffiò il naso. - Odio questo posto! - borbottò. - La prossima volta non potresti scegliere un posto meno infestato dalla polvere?
Severus lo ignorò, troppo impegnato con gli incantesimi per dargli retta ma Regulus non gli diede troppo peso. Si guardò intorno. Per quello che ricordava, un tempo quella era la sua vecchia aula di Pozioni… be’, lo era almeno fino al giorno in cui suo fratello maggiore Sirius e quello scapestrato del suo compare Potter decisero di farla esplodere. Sirius sosteneva che quello fosse stato un’incidente, ma Regulus non gli aveva mai creduto, ovviamente.
Si potevano ancora vedere le tracce di esplosione per la stanza.
Al contrario dell’animagus, Severus non era in vena di reminiscenze. Con un colpo di bacchetta dispose due sedie una vicina all’altra e le pulì con un colpo di bacchetta, dando loro un aspetto migliore rispetto alle altre alle quali mancavano le gambe o persino la seduta.
Per quanto fosse decadente, quello era uno uno dei pochi luoghi più sicuri in tutto il castello; lontano da occhi e orecchie indiscrete come quelle della Umbridge. Quell’orribile megera stava diventando sempre più fastidiosa man mano che il tempo passava, soprattutto dopo l’ultimo decreto. Nessun professore poteva fare un passo senza che lei lo sapesse, ma Severus trovava sempre il modo per depistarla.
- Adesso siamo completamente soli – sospirò. - Possiamo parlare.
Regulus prese posto e disse: - Dimmi tutto, Severus. Sono a tua completa disposizione.
Il professore iniziò a misurare la stanza a grandi passi davanti a Regulus, parlandogli di tutto ciò che era successo durante la sua assenza. Aveva bisogno di un confronto e, per quanto fosse difficile ammetterlo, lui era l’unico con cui potesse parlare. Ignorava che l’animagus sapesse già cosa fosse successo tra Silente e Ginevra, ma gli raccontò ogni cosa, in particolar modo tutto ciò che gli aveva confessato il Preside.
- Un folle! Non è altro che un folle! - esclamò Severus. - È una ragazzina, per l’amor del cielo! Per tutto questo tempo non ha fatto altro che manovrare la sua vita e adesso vuole confonderle la mente per i suoi scopi! L’ha provocata intenzionalmente, capisci? Intenzionalmente!
Il suo tono di voce aumentava man mano, così come la rabbia che covava dentro di sé. Era frustrato.
In quel momento si trovava a un bivio e non sapeva come agire.
- Nonostante io sia assolutamente contrario a tutto questo, e lui lo sa, vuole che io convinca la ragazza a dargli ascolto, a lasciarsi manovrare come un’arma! Quel beota! - sputò Severus, rabbioso. Non gli importava di inveire contro l’uomo che lo aveva accolto e aiutato per ben quindici anni. Non gli importava di apparire isterico e men che meno di sfogare tutta la sua frustrazione sul suo vecchio compagno Serpeverde. Voleva solo un aiuto sincero. Una risposta sincera altrimenti sarebbe impazzito.
Finalmente, dopo aver camminato avanti e indietro per tutta la stanza, Severus arrestò il passo e si accasciò sulla prima sedia che trovò, quella accanto a Regulus. Si portò le mani sul viso e si coprì gli occhi per un istante, poi aggiunse con tono greve: - Mi ha detto che la ragazza è la Fonte e tu sai cosa significa. Se l’Oscuro Signore la trova… - le parole gli morirono in gola. Non voleva nemmeno pensare a cosa sarebbe successo. Sospirò. - Cosa devo fare, Regulus? - domandò. - Ho promesso che avrei fatto qualsiasi cosa per Silente… ma non posso lasciare che prenda il controllo sulla ragazza ancora una volta. Lui vuole usare il parassita a suo vantaggio, ma vuole che io la convinca a sbarazzarsene.
Lo sguardo di Regulus era fisso sul pavimento. Aveva ascoltato le parole di Severus con attenzione e sembrava che, finalmente, qualcosa stava andando al posto giusto, dissolvendo tutti i suoi dubbi una volta per tutte.
Quell’odiosa vocina nella sua testa che aveva ignorato per tutto quel tempo gli ricordò tutti i dubbi che aveva avuto nel corso degli anni nell’eseguire gli ordini di Silente. Tutti quei sotterfugi, gli incantesimi, le pozioni...
Era come se fino a quel momento nella testa di Regulus vi fosse stato un puzzle al quale mancavano delle tessere ma che, grazie a Severus, era finalmente riuscito a trovare le parti mancanti.
Una tessera, una risposta.
“Quindi era questo il vero scopo di Silente? Trasformare Ginevra in un’arma?”, si domandò.
Una tessera andò al suo posto.
“Ha ingannato anche me? Mi ha usato per tutti questi anni? Voleva davvero che io proteggessi mia nipote o voleva che io la controllassi in modo tale da usare la cosa a suo vantaggio?”.
Un’altra tessera.
L’immagine iniziava a prendere forma.
Ma c’era una cosa che ancora non riusciva a capire.
Nonostante avesse già provato più volte nel corso degli anni a sopprimere il parassita dentro Ginevra quello sopravviveva. Era parte di lei. E man mano che la ragazza utilizzava il suo potere diventava un pericolo…
“Ma se così non fosse?”, si domandò l’animagus.
“Certo che è così! Deve essere così”, si rispose prontamente.
“E perché?”, continuò a chiedersi.
“Perché l’ha detto Silente…”.
A quel punto Regulus capì.
Ed ecco che un’altra tessera del puzzle andava al suo posto, rendendo l’immagine sempre più comprensibile.
Scattò subito in piedi come una molla. Imprecò e diede un calcio a una sedia malconcia, facendola arrivare dall’altra parte dell’aula. - Porca puttana! Mi sono lasciato ingannare così facilmente… Come ho potuto cascarci?
Severus inarcò un sopracciglio, ma non disse una parola. Si limitò a guardarlo, in attesa di spiegazioni che non tardarono ad arrivare.
Regulus si passò una mano tra i capelli e iniziò a camminare avanti e indietro come aveva fatto Severus fino a poco prima. - A conti fatti, tutto quello che sostiene Silente è solo una massa di supposizioni. Lui non ha certezze… Ginevra ha sempre avuto delle doti fuori dal comune. Non le controlla, questo è vero, ma questo perché Silente ha voluto subito prendere il controllo della situazione… e noi ci siamo cascati come degli idioti! È rimasto in attesa per tutti questi anni, lasciando che il potere dentro di lei aumentasse. Il mio compito era tenerla d’occhio e fare rapporto su tutto quello che succedeva… e io da bravo soldatino gli ho sempre detto tutto – esclamò, frustrato.
- E come mai non hai pensato tutto questo prima che io te ne parlassi?
- Perché sono un’idiota! - sbottò Regulus. - Credevo di agire nel bene, di aiutare mia nipote – poi sbuffò un sorriso ricco di amarezza. - Silente mi ha persino convinto a legare la mia vita a quella di Ginevra.
- Che cosa? - sbraitò Severus a occhi sbarrati. - Sai cosa comporta? Se tu dovessi...
- Lo so benissimo, ma pensavo che in questo modo l’avrei tenuta al sicuro – spiegò Regulus. Poi sospirò e disse: - E invece era per tenere al sicuro il demone! Che idiota sono stato!
I suoi occhi avevano iniziato bruciare di rabbia, poi apparvero le lacrime insieme alla consapevolezza che a Silente non era mai importato nulla di Ginevra. Voleva solo tenere al sicuro il demone.
Severus scosse la testa. Anche lui era arrivato alla stessa conclusione. - Non credevo che l’avrei mai detto ma… Dobbiamo tenerla lontana da lui. Dobbiamo proteggerla – disse.
Regulus sembro calmarsi e annuì. Era grato di non essere solo. Era grato a Severus per avergli aperto gli occhi. Ma Silente aveva ragione su una cosa: Ginevra doveva controllare i suoi poteri e loro dovevano aiutarla. Ma come? Persino le ricerche erano arrivate a un punto morto. Purtroppo per lui, il libro che gli aveva procurato Emily aveva delle pagine strappate.
La sua solita fortuna! Quando era vicino alla soluzione quella gli sfuggiva dalle mani.
Dovevano elaborare un piano e anche alla svelta, prima che fosse troppo tardi.



*Scena ispirata dal corto Pixar “La partita di Geri”.

 

ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti! Perdonate l'assenza, ma ultimamente non molto tempo per scrivere. Comunque ringrazio tutti coloro che continuano a leggere questa storia nonostante tutto. Grazie, grazie, grazie! 
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che continuerete a leggere i prossimi capitoli dove, finalmente, concluderò "L'Ordine della Fenice".
Detto questo vi mando un bacio e vi lascio in compagnia del bel Regulus ;)
A presto, 
18Ginny18

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 – IN CERCA DI SOLUZIONI ***


Capitolo 30 – In cerca di soluzioni


 Purtroppo i problemi per la giovane Black tendevano ad aumentare con il passare dei giorni.
 La poverina sembrava non avere un attimo di pace.
 Ovunque si girasse vi erano incubi, allucinazioni e chi più ne ha più ne metta. E, incredibile ma vero, aveva anche la sensazione che la Umbridge la pedinasse; o perlomeno che la tenesse d’occhio quel tanto da farle avvertire la sua presenza ovunque andasse.
 Forse la sua era solo un’impressione, ma per lei quella rimaneva comunque “una settimana da incubo”.
 Da quando aveva saputo dell’evasione da Azkaban di Bellatrix Lestrange, non riusciva più a chiudere occhio e la sua mente le giocava brutti scherzi.
 Vedeva la Mangiamorte ovunque: per i corridoi, in classe, persino sotto la doccia. Era diventato un vero incubo.
 Odiava la sua stupida immaginazione ma, soprattutto, odiava perdere il controllo.
 Come quel pomeriggio, per esempio: lei e Hermione stavano passeggiando per i corridoi in tutta tranquillità, parlando del più e del meno, e poi ecco che una volta girato l’angolo la sua assurda immaginazione decise di scombinarle il cervello.
 Le era quasi venuto un colpo quando vide che Bellatrix era lì, di fronte a lei; con il suo sguardo folle e inquietante, tanto da darle i brividi.
 Quando Ginevra arrestò il passo Hermione la imitò, guardandola con la fronte aggrottata.
 - Stai bene? - le domandò, poggiandole una mano sulla spalla.
 Solo allora Ginevra si rese conto di aver trattenuto il respiro.
 Era successo davvero? Aveva avuto un’altra allucinazione?
 Chiuse gli occhi e scosse la testa. - Sì… tutto bene - rispose, inspirando profondamente e poi espirando.
 Continuò a camminare, fingendo che non fosse successo nulla, ma Hermione insistette. - Sei sicura? Ti direi che sembra tu abbia visto un fantasma ma…
 - Hermione – la richiamò Ginevra con voce pacata, - va tutto bene. Ho solo avuto un capogiro – la rassicurò sorridendo.
 Mentire era il suo forte e questo lo sapevano tutti, le volte in cui c’era qualcosa che riusciva a tradirla erano davvero rare. Temeva solo che proprio in quel momento Hermione potesse scoprire il suo bluff e continuare a insistere fino a farla crollare. Per sua fortuna non accadde.
 Anche se non sembrava molto convinta, la riccia annuì.
 Le aveva creduto, anche se purtroppo Ginevra non poté evitare gli sguardi sospettosi e preoccupati che le lanciava di tanto in tanto.
 Sospirò.
 Continuarono a camminare in direzione della sala comune, chiacchierando e scherzando come sempre.
 La cosa peggiore, però, era che Bellatrix aveva cominciato a seguirla per tutto il castello, ridendo di gusto e saltellando di qua e di là come una bambina per poi cominciare a canticchiare con la sua vocetta acuta: - Ho ucciso Sirius Black!
 Ginevra dovette attingere a tutto l’autocontrollo possibile per non fermarsi ed esplodere davanti ad Hermione, che era ignara di tutto ciò che stava accadendo nella testa dell’amica.
 Era stanca, sfinita, e forse sarebbe svenuta da un momento all’altro, ma era troppo testarda per ammetterlo.
 - Cavolo! - sbottò ad un certo punto la riccia. - Avevo promesso a Harry che l’avrei aiutato a preparare la lezione di oggi dell’ES. Ti dispiace se ti lascio qui? - chiese mentre rovistava nella sua borsa alla ricerca di qualcosa.
 - Oh – mormorò a quel punto Ginevra, un po’ colta alla sprovvista. - Certo… vai, tranquilla.
 Non appena le due ragazze si salutarono i pensieri di Ginevra andarono a Harry.
 Non si parlavano da quasi due mesi.
 Be’, più che altro si ignoravano; o almeno era lui ad ignorare lei. In effetti il loro rapporto era diventato un po’ complicato. L’unica volta in cui si scambiavano qualche parola era per i soliti convenevoli, qualche saluto e poi ognuno per la sua strada.
 La stava evitando deliberatamente e il motivo non era affatto un segreto per lei: Harry era arrabbiato, si sentiva messo da parte. Sapeva che Ginevra gli stava nascondendo qualcosa, qualcosa di molto importante, e non gli andava giù. Rimanere all’oscuro lo faceva imbestialire.
 Per quanto il desiderio di confessargli ogni cosa fosse forte, Ginevra non poteva ancora rivelargli nulla sulla Profezia o sulla sua premonizione della morte di Sirius. Sarebbe stato troppo.
 Era dura sopportare i suoi sguardi e il suo tono freddo ogni volta che si scambiavano qualche parola, ma doveva proteggerlo. E se per farlo doveva farsi odiare… allora avrebbe pagato quel prezzo.
 Continuò a pensare a lui fino a quando non entrò nella sala comune.
 Cercò George con lo sguardo, sperando di trarre conforto dal suo sorriso. Sentiva anche il forte bisogno di fiondarsi tra le sue braccia e stringerlo forte, inspirando il suo dolce profumo.
 Lui era l’unico che riusciva a tranquillizzarla e a svuotarle la mente.
 Lo trovò davanti al fuoco, appoggiato su uno dei braccioli del divano. Parlava con Fred in modo fitto fitto e con un sorriso malandrino stampato sulle labbra.
 Ginevra notò che indossava un maglione di lana a girocollo blu scuro, il suo preferito. Quel piccolo dettaglio riuscì a farla sorridere.
 Stava per avvicinarsi a lui per abbracciarlo, ma dal modo in cui lui e il gemello confabulavano si trovò indecisa se avvicinarsi o meno. Era da tanto tempo che non li vedeva chiacchierare in quel modo e non voleva rovinare l’atmosfera e fare la parte della fidanzata rompiboccini di turno o la terza incomodo.
 Era sul punto di desistere quando incrociò lo sguardo di George e a quel punto i suoi piedi cominciarono a muoversi da soli verso di lui.
 George le sorrise e l’accolse fra le braccia, stringendola a sé con dolcezza.
 - Ehi, principessa – le sussurrò, poco prima di rubarle un bacio a fior di labbra.
 - Ehi.
 - Dov’eri finita? Stavo per venire a cercarti.
 Lei sorrise appena e fece spallucce. - Ho fatto una passeggiata con Herm.
 George aggrottò la fronte. - Va tutto bene? - le domandò, notando la sua espressione. Sembrava stremata.
 Ovviamente Ginevra non voleva che lui si preoccupasse ulteriormente, dato che solo qualche giorno prima gli aveva rivelato ogni cosa sui suoi problemi e soprattutto tutti i suoi segreti. Era un macigno già molto grande e pesante da sopportare e non voleva opprimerlo ancora di più, quindi decise di percorrere la via più breve e facile: mentire.
 - Sì, certo.
 Per quanto il sorriso e il tono che aveva usato fossero convincenti, George non si lasciò infinocchiare. La conosceva troppo bene e di certo non era così ingenuo come Hermione. Sapeva che c’era qualcosa che non andava. Inclinò il capo e la guardò dritta negli occhi, inarcando un sopracciglio.
 - Sei sicura di quello che dici? - le sussurrò, lasciandole intendere che ovviamente non le aveva creduto.
 Iniziò a stuzzicarla, strofinando il naso con il suo con tenerezza.
 Colta in flagrante, Ginevra sospirò, sussurrando appena un “dopo”. In quel momento non era molto in vena di parlare, voleva solo stare fra le sue braccia e spegnere il cervello per qualche minuto.
 George sembrò capire al volo e annuì.
 L’abbracciò e la cullò fra le sue braccia, senza più aggiungere una parola. Lei chiuse gli occhi, perdendosi in quella coccola e inspirando il dolce profumo che tanto agognava.
 A quel punto riuscì a rilassarsi e a svuotare la mente.
 Fra le braccia di George si sentiva come a casa.

 Anche per Harry quella poteva definirsi una “settimana da incubo”.
 Tra i suoi sogni su Voldemort e la Umbridge che lo tampinava infiggendogli punizioni un giorno sì e uno no, non sapeva più dove sbattere la testa.
 Poi, come ciliegina sulla torta, Hagrid era in verifica e nessuno era più turbato di lui.
 Sembrava che quella iena della Umbridge fosse determinata a ottenere il licenziamento del mezzogigante quanto prima; il suo o quello della professoressa Cooman. In ogni caso per lei sarebbe stato un successo.
 Hagrid era sempre nervoso, distratto, suscettibile e, nonostante le sue lezioni fossero diventate più tranquille del solito, (grazie a qualche suggerimento di Hermione e Regulus), non riusciva comunque a darsi pace. Perché per quanto lui provasse a cambiare e a fare una buona impressione portando a lezione soltanto unicorni, cuccioli di Crup e Puffole Pigmee, niente riusciva a sedare il desiderio di quella vecchia megera di “farlo fuori”.
 Infatti, ad ogni lezione a cui la Umbridge partecipava, soprattutto quelle di Divinazione e di Cura delle Creature Magiche, Harry notò che sembrava decisamente agguerrita mentre scriveva sul suo stupido taccuino. A volte aveva anche un sorrisetto soddisfatto stampato sulle labbra che alimentava la rabbia e il disgusto del ragazzo che è sopravvissuto.
 Insomma, per colpa sua non poteva nemmeno andare a trovare Hagrid!
 Se solo avesse potuto, Harry avrebbe fatto sparire la Umbridge dalla faccia della terra, così da risolvere tutti i suoi problemi… o almeno una parte.
 Ma, per sua fortuna, c’era l’ES a distrarlo.
 Harry si sforzava al massimo per migliorare ogni “lezione” e ogni membro del gruppo ricambiava i suoi sforzi lavorando più intensamente da quando i Mangiamorte erano in libertà, ma se c’era qualcuno di cui andare proprio fieri era Neville.
 L’evasione degli aggressori dei suoi genitori lo aveva turbato molto ma, in qualche modo, gli aveva dato anche la giusta carica che gli mancava.
 Durante gli incontri dell’ES non diceva quasi niente, ma bastava guardarlo per capire cosa gli frullava per la testa. Si dedicava anima e corpo ad ogni incantesimo e contromalezione che Harry spiegava, indifferente alle ferite e ai piccoli incidenti di percorso che si procurava, lavorando anche più degli altri. A volte si tratteneva nella Stanza delle Necessità quando gli altri andavano via, allenandosi senza sosta.
 Migliorava di giorno in giorno.
 La luce nei suoi occhi era come una fiamma che rifletteva la furia e la sete di vendetta che tanto bramava. La stessa furia che, notò George, era anche negli occhi di Ginevra.
 Durante gli incontri dell’ES lei e Neville erano i più aggressivi. Ma quella sera in particolare Ginevra aveva fatto esplodere quattro manichini in una volta, ignorando gli sguardi e i mormorii spaventati di chi la circondava.
 Sembrava sfinita. Aveva delle occhiaie spaventose che lasciavano intendere che non chiudeva occhio da giorni.
 George le stava vicino, ovviamente, ma l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che tutta quella rabbia e le notti insonni non le facevano affatto bene. Era molto preoccupato per lei e non sapeva cosa fare per aiutarla.
 La guardò con apprensione e scosse la testa con aria abbattuta.
 Dovevano trovare una soluzione al più presto.

 A fine lezione, mentre la Stanza si stava lentamente svuotando, Neville decise di restare e continuare ad allenarsi, come capitava spesso nelle ultime settimane. Quella sera, però, l’istinto suggerì a Harry di restare con lui.
 Non voleva lasciarlo solo. Voleva aiutarlo.
 Si avvicinò a lui, iniziando a sistemare l’attrezzatura, senza dire una parola.
 Per quanto all’inizio fosse confuso, Neville lo lasciò fare e alla fine, quando Harry sguainò la bacchetta, sorrise.
 Aveva capito le intenzioni del suo amico e gliene fu molto grato.
 Mentre Ginevra e George lasciavano la Stanza delle Necessità lei guardò suo fratello Harry con nostalgia. Una parte di lei continuava a chiedersi se aveva preso la decisione giusta, decidendo di non raccontargli nulla.
 Si morse il labbro e scosse la testa, reprimendo l’istinto di andare da lui e chiarire una volta per tutte.
 No. Non doveva cedere. Lo faceva per il suo bene.
 George richiamò la sua attenzione stringendole piano la mano. - Dobbiamo andare.
 Lei annuì, seguendolo fuori dalla Stanza delle Necessità. Però non poté fare a meno di chiedersi se e quando si sarebbero sistemate le cose tra lei e Harry.

 Una volta tornati in sala comune lei e George si accoccolarono sul divano davanti al camino, il posto che occupavano ormai ogni sera.
 La sala comune era quasi deserta quindi potevano starsene lì in tutta tranquillità, ovviamente stando sempre ben attenti a quello che dicevano perché non si poteva mai sapere chi fosse in ascolto.
 La Umbridge aveva occhi e orecchie ovunque.
 Ginevra appoggiò la testa sulle gambe di George mentre lui iniziò ad accarezzarle dolcemente i capelli.
 All’inizio parlarono di cose banali, poi, quando anche l’ultimo ragazzo nella sala comune decise che era arrivato il momento di andare a dormire, cadde il silenzio.
 Ginevra sembrò rabbuiarsi. George inclinò la testa di lato e la guardò. - Va tutto bene? - le domandò, continuando a passare le dita tra i suoi capelli corvini.
 Lei sospirò piano e disse: - Sì - poi aggrottò la fronte, dandosi della stupida. Non c’era motivo di mentirgli. - No.
 Si mise a sedere e si passò una mano sul viso stanco. Poi portò le braccia al petto e fissò lo sguardo sul fuoco che scoppiettava allegro nel camino, chiedendosi se prima o poi tutti i suoi problemi sarebbero scoppiati sparendo in una nuvola di fumo.
 - Sento che la mia testa sta per esplodere.
 George si avvicinò a lei, accarezzandole la schiena con le dita. - Ti va di parlarne?
 Lei lo guardo.
 Era infinitamente grata che fosse al suo fianco e di non avere più nessun segreto con lui. Finalmente poteva confidarsi senza avere il timore di dover stare attenta a tutto ciò che diceva, ma una parte di lei continuava non voler torturare ancora George con i suoi problemi. Non voleva tormentarlo fino alla nausea.
 George sembrò capire che cosa stava pensando, perché le sorrise incoraggiante e disse: - Puoi dirmi tutto, lo sai. Niente più segreti. Ricordi?
 Lei annuì.
 Niente più segreti.
 Sospirò.
 - L’ho vista ancora – gli confessò. - Durante l’incontro dell’ES e anche quando ero con Hermione, nel pomeriggio.
 Per lui non fu difficile capire a chi si stava riferendo, anche perché quello era diventato il loro argomento principale nelle ultime settimane: Bellatrix Lestrange.
 George annuì piano. Era facile intuire che le visioni erano la causa dell’esplosione di quei quattro manichini, ma decise di tenerlo per sé. Era molto preoccupato per Ginevra e voleva aiutarla a distrarsi da suoi cupi pensieri, anche se trovare il modo sembrava ancora più difficile.
 L’ascoltò senza fiatare, lasciando che si sfogasse.
 Ginevra gli raccontò i suoi incubi; delle illusioni di Bellatrix che il suo cervello le mostrava sempre più spesso, del ricordo di Silente ai suoi piedi in preda al dolore che le dava il tormento e della paura che provava al solo pensiero che tutto quello che le stava accadendo non avrebbe avuto fine.
 - Finirà per farmi diventare pazza.
 George le poggiò una mano sulla spalla. - Ne hai parlato con Reg o con Felpato?
 Lei lo guardò, scosse la testa. - Non ricevo lettere da da settimane, quindi è molto probabile che la mia posta è sotto controllo. E non riesco nemmeno a comunicare con Reg. Nella mia testa c’è un silenzio di tomba. Ho solo quelle stupide visioni.
 - Magari è un effetto collaterale delle tue visioni – continuò George con tono comprensivo. - Oppure il fatto che tu l’abbia vista sul giornale l’altra volta ha reso tutto… un po’ reale. Dovresti rilassarti un po’, pensare ad altro.
 - E come? - domandò, malinconica.
 - Ignorala e basta. Pensa ad altro – disse, cogliendo la palla al balzo. - Per esempio, quando la vedi o quando senti che stai per crollare pensa subito a qualcos’altro. Al Quidditch, a una torta, un libro, un cucciolo di Snaso… Oppure inizia a canticchiare una canzone! L’importante è che svuoti la mente e non trascuri le ore di sonno. Non devi avere paura di addormentarti.
 Ginevra abbassò lo sguardo, imbarazzata. - Non ho paura… è solo che penso a così tante cose che non riesco ad addormentarmi– mormorò a mo’ di scusa.
 Per tutta risposta lui la guardò, inarcando un sopracciglio. - Ehi, guarda che ti conosco anche meglio delle mie tasche, Gin. – La sua voce iniziò a tremare. - Ricordo ancora che quando eri piccola e avevi un incubo, non riuscivi a stare tranquilla e pur di non riaddormentarti preferivi rimanere sveglia tutta la notte. Credi davvero che sia questa la soluzione? Ti stai solo facendo del male.
 Quando George la guardò dritta negli occhi vide che era molto dispiaciuta.
 In quel momento, sembrava proprio una bambina e l’istinto di stringerla fra le sue braccia era troppo forte per ignorarlo.
 L’attirò a sé e lei nascose il viso sul suo petto, stringendolo forte. - Non voglio che ti trascuri. Non fare vincere la paura, ti prego – le sussurrò.
 Ginevra annuì, piano. Ripetendo: “Mi dispiace”, e lasciando che una piccola lacrima silenziosa sfuggisse al suo controllo.
 Sapeva che George aveva ragione e voleva dargli ascolto, ma era troppo difficile. Non poteva farlo da sola.
 - Posso dormire con te? - domandò piano.
 George sorrise e le baciò i lunghi capelli neri. - Certo, amore mio.

 La mattina dopo George e Ginevra scesero a colazione stretti l’uno all’altra. Lei sembrava ancora un po’ stanca ma il consiglio di George le era servito molto. Per la prima volta dopo settimane, aveva dormito bene e quando si svegliava di soprassalto per un incubo, George era lì.
 Il divano della sala comune non era molto comodo come il suo letto, ma pur di dormire insieme e aiutare la Grifondoro, George era disposto anche a farsi venire il mal di schiena.
 Grazie al suo aiuto, anche se ignorare tutte quelle stupide visioni che le davano il tormento non fu affatto facile, Ginevra era riuscita a riposare giusto un paio d’ore prima che Fred e Angelina li svegliassero.
 Mentre facevano colazione nella Sala Grande, George lanciò qualche occhiata discreta al fratello e alla Cacciatrice di Grifondoro con un piccolo sorriso. Parlavano di Quidditch, ma si tenevano per mano e sorridevano complici, come se le parole ‘Quidditch’ o ‘Pluffa’ avessero dei significati diversi. E George sapeva bene a cosa si riferivano in realtà.
 Ad un certo punto non riuscì a trattenersi e si avvicinò all’orecchio di Ginevra, sussurrando: - Sai, non riesco ancora a credere che diventeremo z-i-i – scandì eccitato. - È assurdo!
 Ginevra gli sorrise.
 Da quando Angelina aveva rivelato a Fred di essere incinta, lui era andato subito a confidarsi con il gemello.
 Dire che erano entrambi al settimo cielo era un eufemismo.
 Anzi, per dirla tutta, dal modo in cui si comportavano non era chiaro chi dei due fosse più felice. Ginevra li aveva persino sentiti confabulare tra di loro su possibili scherzi da fare con la partecipazione del piccolo Weasley in arrivo.
 “- Il bambino non è ancora nato ed è già un delinquente”, scherzò Katie quando sentì Fred e George parlarne.
 L’idea di diventare zio e di poter coccolare il nipotino entusiasmava molto George, forse anche più del fratello gemello.
 - Diventerò zio – sussurrò ancora una volta, emozionato.
 - Vacci piano, Georgie – lo rimproverò lei, ridendo piano. - Non deve saperlo nessuno.
 - Lo so – continuò lui, sempre più raggiante. - Ma non posso farci niente. Ogni volta che ci ripenso sono felice.
 Intenerita, Ginevra lo baciò sulla guancia e gli sorrise.
 Una volta finita la colazione lei e George lasciarono il tavolo di Grifondoro per raggiungere l’aula di Incantesimi, quando un manipolo di ragazze, tra cui Pansy Parkinson, passò loro accanto.
 - Black e Weasley! - squittì Pansy, accompagnata da un coro di risatine di scherno. - Sapete, ancora non ci credo che state insieme.
 - Sai che me ne frega di quello che pensi tu, Parkinson – ribatté Ginevra cercando di sorpassare lei e le sue seguaci.
 Non aveva né la voglia né la forza di battibeccare con lei.
 La Serpeverde le bloccò il passaggio e la guardò con disgusto. - Bleah, hai una faccia orribile! Oggi fai più schifo del solito.
 - Sta parlando miss Universo – esclamò Angelina affiancando Ginevra, pronta a darle man forte.
 Fred, dal canto suo, era al fianco della Cacciatrice di Grifondoro, mano nella mano. Restò in silenzio mentre i suoi occhi fissavano con astio l’irritante Serpeverde. Aveva sempre odiato quella ragazza ed erano anni che voleva fargliela pagare e toglierle quel sorrisetto dalla faccia una volta per tutte. Aspettava solo il segnale del suo gemello per attaccare.
 Pansy li ignorò. La sua concentrazione era solo sulla giovane Black. - Be’, Diggory lo aveva capito subito che facevi schifo – disse. - Ancora oggi penso che mollarti per Cho Chang sia stata la cosa più sensata che potesse fare. Lei sì che è una bella ragazza!
 - Allora perché non te la sposi? - esclamò Fred, ironico. - Forse è proprio il tuo tipo!
 Era la prima volta che difendeva l’amica dopo tanto tempo.
 Proprio come tra lei e Harry, con Fred c’era un rapporto teso, pieno di convenevoli seguiti da lunghi silenzi.
 Ma Ginevra non prestò molta attenzione a ciò che le stava succedendo intorno. Da quando Pansy aveva nominato Cedric il suo cervello era andato in tilt.
 “Cosa c’entra Cedric Diggory?”, pensò, sempre più confusa.
 Poi provò a ricordare come era il volto del povero Tassorosso, ma non ci riuscì.
 Com’era fatto? Lo aveva dimenticato? No, impossibile. Era suo amico. Uno dei suoi primi amici a Hogwarts!
 Le aveva insegnato ad evocare un Patronus… il suo era un panda. Questo lo ricordava. Ma allora perché non riusciva a ricordare il suo aspetto o il suo sorriso?Cedric aveva mai sorriso insieme a lei?
 Mentre lei continuava a cercare di richiamare alla memoria il volto dell’amico perduto, Pansy continuò a straparlare.
 - Sarà meglio che apri gli occhi anche tu, Weasley. Meriti di meglio!
 - Chiudi quella fogna, faccia da carlino – ribatté George.
 Pansy fece spallucce, per niente toccata dagli insulti che continuava a ricevere. - Ognuno ha i suoi gusti – disse, poi lei e le altre ragazze passarono oltre, parlando e strillando in modo allusivo, lanciando occhiate spudorate a George e Ginevra, lasciandosi dietro un silenzio lugubre che il ragazzo decise di rompere subito.
 Alzò gli occhi al cielo e sbuffò infastidito. - Quella serpe non è mai contenta se non spara un po’ di veleno.
 - Vorrei tanto far sparire quello stupido sorriso dalla sua faccia una volta tanto – borbottò Angelina, nervosa.
 - Non sei l’unica, Angie – disse Fred, poi abbassò la voce in modo che solo lei potesse sentire. - Non sono un esperto, ma non dovresti strapazzarti troppo. E non credo che questi attacchi di nervosismo ti facciano bene.
 - Io sto benissimo, ma quella merita una bella lezione – esclamò Angelina, sempre più nervosa. - Ma come si è permessa? La detesto! - Poi guardò Ginevra e la sua espressione si addolcì. - Mi dispiace tanto, tesoro.
 Ginevra annuì distrattamente.
 Aveva lo sguardo basso e la fronte aggrottata. George le circondò le spalle con un braccio e l’avvicinò a sé, dandole un bacio sulla testa. - Stai bene? - le sussurrò.
 - Sì – rispose lei, corrucciata. - Ma cosa diavolo voleva dire?
 - Che intendi? Sai che a quella scema piace sempre rompere i boccini.
 - Lo so… Ma… – borbottò.
 “Perché ha detto quella cosa su Cedric?”, si domandò, sempre più confusa. “Insomma… Io e Cedric insieme?”.
 L’entità Oscura, ascoltando i pensieri della sua ospite, decise di intervenire. “Forse voleva solo mettere un po’ di zizzania tra te e il tuo ragazzo”, disse, ma neanche lei sembrava molto convinta delle sue stesse parole.
 “Non credi che ci sfugge qualcosa?”, le domandò Ginevra.
 L’entità ci pensò un attimo, ma alla fine confermò la sua teoria. “Non ricordo molto di questo Cedric di cui tutti continuano a parlare”, disse. “Ricordo solo che lo conoscevamo”.
 “Già”, sospirò Ginevra. “Io ricordo soltanto che eravamo amici, che passavamo del tempo insieme… ma se ci penso non mi viene in mente nient’altro. Ricordo che quando è morto…”.
 A quel punto provò una strana fitta allo stomaco e, pian piano, le si annebbiò la mente.
 “Ricordo che ho pianto”, disse. “Era un mio caro amico”.
 “Già”, le fece eco l’altra voce. “Era un caro amico. Un bravo ragazzo”.
 Ginevra continuò a domandarsi perché entrambe non riuscissero a ricordarsi di Cedric Diggory. C’era qualcosa che non andava. Ma cosa?
 Scosse la testa e sospirò.
 “Probabilmente mi faccio problemi per nulla e la Parkinson voleva solo farmi litigare con George, dopotutto è nel suo stile”.
 “Sicuramente”, ripeté l’ospite. “Quella ci odia! E poi ha davvero una fervida immaginazione”.
 Ginevra si ritrovò a sorridere, divertita. “Decisamente. Cioè è assurdo anche solo pensare che io e Cedric fossimo una coppia, no?”.
 Avvolse il braccio attorno alla vita di George e gli sorrise. - Non importa cosa pensa o dice quella vipera. Tu sei solo mio – sussurrò prima di alzarsi sulle punte e baciarlo sulle labbra.
 Un po’ sorpreso, George ricambio il bacio e le sorrise con dolcezza.
 All’inizio sembrava che le parole della Serpeverde l’avessero ferita e che parlare di Cedric sarebbe stato troppo da sopportare ma Ginevra, pensò lui, era troppo forte per lasciarsi abbattere.
 “Ma, ora che ci penso, non abbiamo ancora parlato di Cedric. Di quello che c’è stato tra loro, di come si sente a riguardo...”, si disse, un po’ preoccupato.
 Avrebbe dovuto parlarne lui per primo? Doveva permetterle di confidarsi?
 No, probabilmente no.
 “Quando sarà il momento, ne parleremo”.

 Quel pomeriggio, a lezione di Pozioni, il professor Piton tenne d’occhio la giovane Black per tutto il tempo. Vedere il suo volto emaciato e stanco lo preoccupò molto.
 Cominciò a domandarsi se il demone dentro di lei la stesse prosciugando pian piano o se, per qualche assurdo e agghiacciante motivo, fosse proprio Silente l’artefice del suo stato. Dopotutto la cosa non lo avrebbe sorpreso più di tanto dato che le aveva somministrato per anni una pozione anti-crescita senza che lei se ne accorgesse. Cose gli impediva di prendersi gioco di lei ancora una volta senza destare sospetti?
 Doveva indagare.
 Mentre passava tra i banchi degli studenti di Grifondoro e Tassorosso del settimo anno, Severus cominciò a pensare all’approcciò migliore da usare per parlare con la ragazza senza attirare troppo l’attenzione.
 Magari con una scusa. Ma qualunque tattica decidesse di adottare, l’importante era darle il messaggio.
 Voleva parlare da settimane ma non ne aveva mai avuto l’occasione, soprattutto a causa delle restrizione imposte dalla Umbridge.
 Quell’ennesimo e stupido decreto vietava agli alunni di parlare con gli insegnanti se non su argomenti inerenti alle lezioni. Poi, per rendere tutto più semplice, Regulus era tornato a Grimmauld Place per aggiornare Sirius sugli ultimi sviluppi, affidando la ragazza alle cure di Severus e, di conseguenza, consegnarle il messaggio.
 - Devi aggiungere i semi di papavero, non di girasole – sbottò acido quando passò accanto a Lee Jordan.
 - Sai che differenza – borbottò il ragazzo in risposta. Ma non appena il professore si voltò di scatto e lo guardò con aria truce, facendolo pietrificare per il terrore, se ne pentì amaramente. Iniziò a temere che l’avrebbe scorticato vivo o che lo trasformasse in insetto da poter schiacciare. Per sua fortuna non accadde nulla di tutto ciò.
 Alla fine il professore sospirò un “idiota” e continuò il suo giro.
 Era inutile negare quanto Severus si divertisse a far tremare i suoi studenti. In realtà era uno dei suoi passatempi preferiti. Un modo come un altro per ammazzare il tempo.
 A fine lezione Severus poté finalmente agire.
 L’aula iniziò a svuotarsi. Ginevra stava raccogliendo le sue cose mettendole alla rinfusa nella sua borsa.
 Non era mai stata un tipo molto ordinato, al contrario di sua madre Lily.
 Guardandola Severus non poté fare a meno di pensarci. Ricordando persino la “mania” che la sua vecchia amica aveva nel disporre tutto per colore, grandezza o ordine alfabetico; che fossero libri o calzini non aveva alcuna importanza. Era una cosa che trovava adorabile. Tutto in lei era impeccabile.
 Gli mancava ogni cosa di quella donna, pregi e difetti.
 Dopotutto era il suo primo amore e unica amica.
 A quel pensiero si lasciò sfuggire un sospiro. Poi tornò alla realtà.
 - Signorina Black – la chiamò Severus. - Vorrei scambiare due parole con lei, se è possibile.
 - A che proposito, professore? - domandò lei, gentile come sempre.
 - Riguarda il compito di ieri – rispose prontamente il professore. - Non ci metteremo molto.
 George Weasley, che era ancora al fianco della ragazza, le lanciò un’occhiata che lei ricambiò con un tacito consenso e lasciò l’aula, chiudendo la porta dietro di sé.
 Erano rimasti soli.
 - Di cosa voleva parlarmi, professore? - domandò Ginevra, un po’ esitante.
 L’ultima volta che si erano parlati lei era in lacrime e si era confidata con lui.
 Il solo ricordo di quel giorno le metteva ancora i brividi e ogni volta non pensava a nient’altro che a Silente piegato in due dal dolore davanti ai suoi piedi.
 Sospirò.
 “Ricorda cosa ha detto George”, si disse. “Pensa ad altro”.
 Si concentrò sulle pieghe del mantello del professore, ripensando a quanto fosse divertente quando lo vedeva svolazzare per i corridoi. Sembrava un pipistrello. Poi la sua mente la portò a pensare ai pipistrelli; piccoli, neri e pelosi. Erano carini in un certo senso, con quegli occhioni acquosi... almeno per quanto riguardava i cuccioli.
 Alla fine, mentre il professore parlava del risultato del compito del giorno prima, si trovò a pensare a Batman, il personaggio del fumetto preferito di sua cugina Nymphadora.
 Nessuno poteva toccare i suoi fumetti babbani. Guai a chi osava farlo!
 Inevitabilmente una strofa della sigla del cartone animato che avevano guardato insieme davanti a quel macchinario babbano chiamato televisione qualche anno prima le tornò in mente come un tormentone.
 “Wow, funziona!”, pensò entusiasta.
 Quando la vide sorridere il professor Piton inarcò un sopracciglio, confuso.
 Perché sorrideva? Lo stava prendendo in giro? Aveva qualcosa fuori posto?
 Scosse la testa e decise di non farci caso.
 - Come dicevo, il suo compito è stato un disastro – disse, imperturbabile. - Ha fatto degli errori davvero stupidi. Non me lo sarei mai aspettato da lei, signorina Black. Una delle migliori studentesse del mio corso...
 Ginevra aggrottò la fronte, confusa.
 Era più che certa di aver fatto un compito impeccabile. Aveva studiato molto ed era strano che il professore sostenesse il contrario. Ogni volta che durante la lezione avevano trattato i vari argomenti citati nel compito lei era sempre stata la prima a rispondere correttamente, guadagnando persino molti punti per Grifondoro.
 Quando provò a chiedere spiegazioni il professore si portò un dito alle labbra facendole segno di fare silenzio.
 - Sarò costretto a metterle un’insufficienza - continuò il professor Piton. - Spero che questo non accada una seconda volta altrimenti verrà bocciata nella mia materia.
 Le passò una busta bianca intimandole con gesti discreti di nasconderla e lei capì il perché di tanta segretezza.
 “I muri hanno orecchie”, le fece eco l’entità Oscura dando voce ai suoi pensieri.
 Prese la busta e la nascose immediatamente.
 Lanciò un’occhiata verso la porta e notò un’ombra. Anche il professore sembrò notarlo; qualcuno stava ascoltando la loro conversazione.
 - Ha ragione, professore. – La voce della ragazza iniziò a tremare. - Ho… ho perso la concentrazione. Ma non accadrà più… lo prometto – disse tra un finto singhiozzo e l’altro. - La prego… non mi bocci!
 Severus la guardò con tanto d’occhi, all’inizio confuso poi sinceramente stupito dalla bravura della ragazza nel recitare. Lui si aspettava una reazione impassibile, neutra, ma sicuramente non delle lacrime.
 Si trovò spaesato, incapace di reagire in quella situazione.
 Poi la ragazza gli sorrise destabilizzandolo completamente.
 Qualcuno aprì la porta e Ginevra si portò le mani sul viso, nascondendolo.
 Severus si voltò e vide che Dolores Umbridge era sulla soglia, vestita con la sua solita tenuta rosa che gli dava la nausea. L’orribile sorriso che mostrava accresceva la sua somiglianza con un grosso rospo.
 Anche se disgustato, la salutò con un cenno del capo. - Professoressa Umbridge – disse, atono. - Posso esserle d’aiuto?
 Il sorriso della donna si ampliò ancora di più quando vide la giovane Black piangere, ignorando che in realtà stesse fingendo.
 - Le chiedo scusa, professor Piton, ma passavo di qua e non ho potuto fare a meno di sentire ciò che vi siete detti – disse, con il suo tono dolce e irritante.
 Severus immaginava che quell’orribile donna sarebbe spuntata all’improvviso dato che sembrava ossessionata dalla giovane Black. Credeva di passare inosservata, ma l’intero corpo insegnanti sapeva che lei seguiva la ragazza come un’ombra ovunque andasse da settimane, cercando di assegnarle punizioni su punizioni anche per i motivi più insensati solo per tenerla sott’occhio tutto il tempo.
 Per sua fortuna, pensò Severus, quella donna era tanto sciocca quanto orribile e ingannarla diventava sempre più facile.
 Infatti, fingendo di non aver sentito entrare la Umbridge, Ginevra simulò un’altra scossa di singhiozzi, lasciando scorrere anche qualche lacrima per accrescere la credibilità.
 Forse le lacrime erano un po’ eccessive, ma l’aria soddisfatta della Umbridge indicava che ci era cascata.
 Dal modo in cui la vedeva avanzare verso la ragazza, Severus notò che il suo passo diventava sempre più frizzante ed energico. Evidentemente era di ottimo umore.
 - Hem, hem – gracidò, richiamando l’attenzione della ragazza. - Se fossi in lei, signorina, prenderei molto sul serio le parole del professore. Anche perché… questa non è l’unica materia in cui lei è rischio – disse con un sorriso che andava ad ampliarsi man mano che parlava. - Ma se devo essere sincera spero proprio di prendere provvedimenti quanto prima.
 Ridacchiò.
 Ginevra la guardò, boccheggiando spaventata. Ovviamente non lo era davvero, ma prendere per i fondelli la vecchia megera cominciava a piacerle.
 Severus ne rimase piacevolmente colpito.
 Se lei era tanto brava a fingere in quel frangente, non osava immaginare di cosa sarebbe stata capace se fosse stata una spia sotto copertura.
 No, probabilmente la stava sopravvalutando un po’ troppo.
 “E poi”, pensò Severus, “non augurerei a nessuno il mio stesso destino”.
 - Adesso ci lasci – disse la Umbridge alla ragazza. - Devo parlare con il professor Piton in privato.
 Ginevra non se lo lasciò ripetere due volte e, simulando un’altra serie di singhiozzi, abbandonò la stanza per raggiungere George nella sala comune.
 Una volta rimasti soli, Severus si azzardò a dar voce a un pensiero che aveva iniziato a vorticargli nella testa. - Cosa intendeva con “Prendere provvedimenti”? - domandò con sospetto. I suoi occhi puntanti sulla donna si erano ridotti a due fessure.
 La Umbridge si voltò verso di lui, sempre con il sorriso gioviale stampato sulle sue labbra da rospo. - Oh, intendo proprio quello che lei sta pensando, professore. Ho intenzione di sbattere fuori quella ragazza. Il Ministro in persona mi ha incaricato di estirpare da questa scuola tutte le “erbacce”. Perché, come penso lei saprà, noi non possiamo permettere che soggetti di questo genere, pericolosi per la nostra comunità, vengano elogiati o che persino venga data loro la speranza di poter far parte del comando del nostro governo – ridacchiò, come se per lei il solo pensiero fosse a dir poco ridicolo. - Dobbiamo salvaguardare la selezione dei maghi di domani. Non è d’accordo?
 Severus non rispose subito. Era troppo allibito da quelle agghiaccianti parole.
 - Ma certo – disse poi, con un sorriso tirato.
 La Umbridge ne sembrò deliziata. Si avvicinò a lui, sfoggiando un sorrisetto più inquietante del solito, e disse: - Ed ecco perché sono molto fiera di lei, professor Piton. Nonostante la signorina Black fosse una delle sue studentesse predilette, lei non si è fatto alcuno scrupolo e le ha assegnato un pessimo voto pur di farle capire che non è affatto una studentessa privilegiata. Quando la boccerà avrà tutto il mio appoggio.
 Quando.
 Non aveva detto se.
 Severus cercò di trattenere il suo disgusto mascherandolo con un piccolo sorriso. - La ringrazio per le sue gentili parole – disse con tono puramente ironico.
 Lei lo ignorò e cominciò a passeggiare tra i banchi, con un’espressione amareggiata. - Ma devo essere sincera con lei, professor Piton – disse. - Fino a qualche tempo fa temevo che tra lei e la signorina Black ci fosse un legame un po’ strano. Uno di quelli non dovrebbe nemmeno esistere tra un’insegnante e un’alunna. Il che è a dir poco sconveniente. Lei mi capisce, vero?
 Al solo sentire quelle parole, il professore iniziò ad avvertire un gran caldo. Sul suo volto apparve un’espressione di pura sorpresa, subito sostituita da confusione e rabbia. - Perché mai dovrebbe insinuare una cosa del genere?
 La Umbridge fissò i suoi occhietti acquosi sull’arcigno professore, mal celando la soddisfazione sul suo volto.
 - Be’, mi è stato riferito che la signorina Black a volte si sia intrattenuta nella sua camera privata, professore, soprattutto durante la notte. Sa… le voci… non è mai un bene – cinguettò allusiva. - E poi, se devo essere sincera, ho sempre avuto dei piccoli sospetti sul suo rapporto con questa alunna. E credo sia inutile ricordarle che avere una relazione intima con uno studente è contro la legge, oltre che disdicevole e disgustoso.
 - Non credo sia necessario continuare questo discorso – la interruppe Severus, ormai rosso in viso per l’imbarazzo e per la rabbia. - Non permetto che ci siano simili insinuazioni sul mio conto. Tra me e la signorina Black non c’è alcun rapporto. È solo una mia studentessa e io sono il suo professore. Spero che lei non intenda continuare a sollevare la questione.
 Certo, era inutile negare a sé stesso che provava qualcosa per la giovane Black, ma non poteva permettere che quell’ameba insinuasse cose di quel genere.
 “Ho appena compiuto trentasei anni, per Diana!”, imprecò in silenzio. “Non mi metterò di certo a sbavare dietro la gonnella di una mia studentessa!”.
 Avrebbe tanto voluto urlare quelle parole in faccia alla Umbridge, ma preferì tacere.
 - Ha ragione, professor Piton. - La Umbridge s’imbronciò, nonostante cercasse di nascondere la soddisfazione. - Sono stata una stupida pettegola. È ovvio che lei non ha alcun interesse per quella giovane.
 Man mano che parlava cominciò ad avvicinarsi al suo collega con passo lento e un sorriso malizioso. Mentre la guardava Severus avvertì dei brividi di repulsione percorrergli tutto il corpo.
 “Che hai in mente questa pazza?”, pensò, sconcertato, cominciando ad avvertire un pizzico di paura.
 - Scommetto che lei è interessato a donne più mature… più forti – gracchiò cercando di risultare suadente.
 A quel punto Severus capì le sue intenzioni e il terrore si impossessò di lui.
 - Oh, merda – sibilò piano, arretrando mentre lei continuava ad avanzare.
 La donna gli sorrise. - Capisco quello che prova.
 - Ne dubito fortemente – sospirò lui, cercando una via di fuga.
 Nonostante l’evidente differenza di altezza tra di loro, la Umbridge si alzò sulla punta dei piedi, alitandogli sul viso e provocandogli ulteriore disgusto. Era pericolosamente vicina al suo viso, pronta a fare chissà che cosa.
 - Io provo esattamente la stessa cosa – insistette. - Ho provato a reprimere i miei istinti, ma non ci sono riuscita. Io e lei siamo uguali… Severus.
 Il modo in cui sussurrò il suo nome gli provocò un coniato di vomito che riuscì a frenare appena in tempo, allontanandosi immediatamente. - Mi creda, professoressa – disse. - Io non ho alcuna interesse di intraprendere una relazione. Di qualunque genere essa sia. Per me esiste solo il mio lavoro. Ora, se permette devo prepararmi per la prossima lezione. Gli studenti saranno qui a breve – e nel dirlo aprì la porta, invitandola a uscire senza troppe cerimonie.
 Dopo un attimo di esitazione, la Umbridge si avvicinò alla porta. - Ne sei proprio sicuro?
 Severus non si scompose, aprì la porta ancora di più accompagnando le parole al gesto secco. - Sicurissimo. Buona giornata.
 Senza nascondere il risentimento, la Umbridge lasciò l’aula facendo ticchettare i suoi insopportabili tacchi.
 Mentre tornava alla cattedra Severus rabbrividì. Sperava di essere in un incubo. Un incubo orribile dal quale si sarebbe svegliato presto.
 - Che schifo – sibilò, sempre più disgustato mentre si passava una mano sul volto.
 “Quell’orribile rospo stava per baciarmi? Bleh!”.

 Una volta raggiunto George nella sala comune, Ginevra gli sussurrò che doveva parlargli in privato. Allora raggiunsero il dormitorio maschile e si chiusero dentro la stanza che lui condivideva con Fred e Lee, applicando i vari incantesimi per rendere quelle quattro mura insonorizzate.
 Ginevra prese posto sul letto del ragazzo, sedendosi a gambe incrociate. Quando George le fu accanto prese la lettera che le aveva consegnato il professor Piton e gliela mostrò, raccontandogli la riservatezza del professore e anche dell’arrivo della Umbridge.
 - Ti ha praticamente minacciata!
 Ginevra fece un breve cenno affermativo. - Già. Sembra stia cercando in tutti i modi di “farmi fuori” – disse, sottolineando le virgolette con le dita. Ma la questione non la turbava più di tanto. Aveva altro a cui pensare. Come alla lettera che aveva in mano. - La leggiamo insieme? - domandò, sventolandola.
 - Va bene – George si avvicinò a lei ancora di più, in modo da poter leggere il contenuto della lettera.
 Quando tirò fuori il foglio dalla busta Ginevra riconobbe la calligrafia di Regulus. Era sempre piccola ed elegante e non vi era nemmeno una sbavatura o una sola macchia d’inchiostro a contaminare il foglio di pergamena.
 Tutto il contrario della sua calligrafia, purtroppo. Era sempre stata una gran pasticciona e invidiava molto Regulus proprio per quel motivo.
 Dopo il breve attimo di autocommiserazione, cominciò a leggere la lettera.


 Cara Ginevra,
 Mi dispiace di essermene andato senza dirti una parola. Purtroppo sono venute a galla molte questioni importanti con l’evasione dei Mangiamorte e l’Ordine ha ritenuto che la mia presenza fosse essenziale per scovare i nascondigli di cui sono a conoscenza, con la speranza di sorprenderli prima che si ricongiungano a Voldemort… sempre che non sia già successo.
 Ho provato a contattarti telepaticamente ma non ci sono riuscito, quindi sono stato costretto a scriverti questa lettera.
 Ad ogni modo, volevo mettere te e Harry in guardia: non fidatevi di Silente, qualunque cosa accada. Lui vuole il demone che è dentro di te per poterlo sfruttare a suo vantaggio. Non gli è mai importato nulla di te o di Harry. Siete solo delle pedine sulla sua scacchiera. Prima o poi troverà anche il modo per usare anche tuo fratello, ma tu non lasciare che questo accada.
 Non lasciare che vi manipoli.
 Io e Severus stiamo cercando un modo aiutarti e tenerlo lontano, ma tu devi cercare di tenere a bada il demone prima che Silente ne approfitti in qualche modo.
 Ricorda: lui è un mago molto potente e non rinuncerà facilmente a ciò che desidera. Vuole usarti. Non permetterglielo.
 Nel frattempo io e Felpato stiamo consultando vari testi per trovare una soluzione al tuo problema. Purtroppo non abbiamo trovato molto, ma contiamo sul fatto che presto troveremo una soluzione.
 A questo proposito, Felpato dice che gli manchi tanto e che vorrebbe abbracciarti. Ti manda un bacio.
 So che non è molto, ma presto potrò dirti di più.
 Fidati di Severus. È un buon alleato.
 Fidati di me.
 Tornerò presto e spero di portare buone notizie.
 Con affetto,
 R.A.B.


 Dopo aver letto lettera, Ginevra alzò lo sguardo per incontrare quello di George. - Non mi faccio mancare niente, eh?
 Lui abbozzò un mezzo sorriso. - Be’, altrimenti sarebbe troppo facile, non credi?
 Stranamente entrambi avevano preso la notizia molto bene. Quasi come se si aspettassero le vere intenzioni di Silente.
 Anzi, lei si diede della stupida per non averci pensato prima.
 - È una situazione sempre più stressante – sussurrò Ginevra. - Ci sono troppi problemi. Troppe cose da affrontare…
 Si passò una mano tra i lunghi capelli corvini, ravvivandoli. Poi scosse la testa, mordendosi il labbro fino a che George non la strinse tra le braccia. - Non preoccuparti – disse. - Ci sono io.
 Le scoccò un bacio sulla testa e lei emise un sospiro, sdraiandosi accanto a lui nel letto.
 Cullata dal caldo abbraccio di George, pian piano le si appannò la vista e i pensieri sprofondarono in una pozza di oscurità.





 ANGOLO AUTRICE:
 Salve a tutti e grazie per aver letto questo capitolo!
 Lo so: è un po' "Meh", ma mi serviva per introdurre ciò che accadrà in seguito. 
 Che ne pensate della scena della Umbrige che ci prova con Piton? Vi ha fatto ridere? Inorridire? 
 Se vi va fatemelo sapere qui sotto nei commenti ;) Sono molto curiosa ahahah
 Come sempre vi chiedo scusa per il ritardo, ma ultimamente ho poco tempo per scrivere, ma sto cercando di recuperare, scrivendo più capitoli in una volta, così da poter pubblicare più spesso. 
 Con la speranza di aggiornare al più presto, vi mando un bacio e un abbraccio.
 Saluti dalla vostra ritardataria,
18Ginny18

 

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 – ENTITY ***


Capitolo 31 - Entity


Il giorno seguente Ginevra s’incamminò verso l'ufficio del professor Piton, decisa di seguire il consiglio di Regulus.
Una volta davanti alla sua porta, si fermò un istante chiedendosi, per un secondo, se quella fosse la scelta giusta. Poi trasse un profondo respiro e bussò.
La voce del professore arrivò subito dopo, invitandola ad entrare.
Era seduto alla sua scrivania quando Ginevra varcò la soglia. Sembrava impegnato a leggere una pila di documenti che, probabilmente, altri non erano che compiti di Pozioni dei suoi studenti.
Senza neanche alzare lo sguardo da quello che stava facendo, alzò un dito e disse: - La porta.
Ginevra annuì ubbidiente, chiudendo la porta dietro di sé, e rimase in attesa che il professore terminasse di scrivere, in religioso silenzio. Concentrò la sua attenzione alle pareti della stanza, che erano occupate da scaffali carichi di centinaia di barattoli di vetro, in cui viscidi pezzi di animali e piante erano sospesi in pozioni di vari colori.
La ragazza non poté fare a meno di pensare a quanto quella stanza nella penombra fosse tutto l’opposto dalla camera privata dell’arcigno professore, ma riuscì a notare comunque la precisione e la cura che le accomunava in ogni oggetto attorno a lui.
L’attenzione di Ginevra fu però attratta dalla scrivania, sulla quale era posato un bacile di pietra poco profondo, coperto di rune e simboli incisi, immerso nella luce delle candele. Lo riconobbe all'istante: era il Pensatolo di Silente.
Il ricordo di quella sera in qui la sua vita cambiò le tornò subito in mente. Il momento in cui scoprì di essere la sorellastra di Harry Potter.
Sembrava fosse passato solo un giorno da allora, eppure erano già passati tre anni.
Stentava a credere che fosse passato tanto tempo.
“E ora Harry mi odia”, pensò, amareggiata, sentendo un groppo allo stomaco.
Vedrai che le cose si sistemeranno”, la incoraggiò l’entità Oscura.
Ginevra sperava tanto che avesse ragione.
Sospirò, continuando a guardarsi intorno.
Dopo qualche istante il professore di Pozioni mise da parte fogli e calamaio e si dedicò alla sua ospite.
Quando la vide, Severus non riuscì a nascondere la propria sorpresa. Non si aspettava una sua visita. - Ah, signorina Black… - la salutò lentamente, con cautela. - A cosa devo la sua visita?
- Buonasera, professore – disse. - Le chiedo scusa se sono venuta qui senza avvisare, ma volevo parlarle.
Con un gesto della bacchetta Piton silenziò l’intero ufficio, così da evitare che la Umbridge ficcasse troppo il naso. Dopodiché le indicò la sedia di fronte alla scrivania in un tacito invito.
Ginevra prese posto e cominciò a parlare.
Gli parlò della lettera che le aveva consegnato il giorno prima e di quello che vi era scritto, continuando con tutto quello che le stava succedendo tra incubi e visioni.
Il professore rimase in silenzio, ascoltando con attenzione. Poi, la ragazza disse qualcosa che riuscì a stupirlo.
- Io mi fido di lei, professore. L’ho sempre fatto e non ho intenzione di smettere proprio ora.
Poche semplici parole che però avevano un significato enorme per lui e che riuscirono a colpirlo dritto al cuore. Non era nemmeno sicuro di averne ancora uno. In realtà, non aveva sentito parole tanto sincere da quando era solo uno studente a Hogwarts. L’unica ad averle pronunciate era stata Lily… poi lui aveva rovinato tutto.
Scacciò via quel pensiero malinconico dalla sua mente e si concentrò sulla giovane Black. Quello non era affatto il momento adatto per piangersi addosso.
Le parlò con voce calma, ringraziandola con un debole sorriso della fiducia, dopodiché cominciò a chiederle di parlare meglio del Parassita annidato dentro di lei.
- La prego, professore – lo interruppe lei. - Preferirei che non la chiamasse in quel modo. A lei non piace.
Piton inarcò un sopracciglio. Guardò Ginevra, passandosi un lungo dito magro sulle labbra. - E in che modo dovrei riferirmi a... lei?
Ci fu un attimo di silenzio nel quale Severus vide la ragazza come un po’ persa. Capì che in quel momento stava parlando con la creatura. Ne fu in qualche modo affascinato. Non era cosa di tutti i giorni assistere a una cosa di quel genere. Quella situazione aveva cominciato a stuzzicare il suo interesse oltre che la sua curiosità.
Ginevra sospirò e si rivolse all’insegnante, un po’ esitante. Come se quello che stava per dire le creasse un po’ d’imbarazzo. - Io la chiamo entità Oscura, ma lei ha deciso che preferisce essere chiamata Entity. Lo trova più carino.
- Entity?
Le guance della Grifondoro si imporporarono leggermente. - Già.
Quello che Severus ignorava era che in realtà nella testa della ragazza si era appena conclusa una piccola lotta mentale, nella quale l’entità Oscura, ora detta anche Entity, pretendeva di avere un nome. Proprio come lei.
Ne ho tutto il diritto!”, aveva esclamato la voce. “Perché tu puoi avere un nome e io no?”.
Le proposte erano state tante e tutte bocciate dalla ragazza, ma l’entità non si era arresa nemmeno un attimo per ottenere ciò che voleva. Alla fine Ginevra aveva ceduto, soprattutto perché stava per venirle un gran mal di testa a forza di sentirla protestare.
Anche se all’inizio era un po’ confuso, il professore sembrò accettare di chiamare l’entità per nome.
Cominciò a fare domande alla sua studentessa, chiedendole più informazione riguardo Entity. Era un po’ strano parlare di quel demone come se in realtà fosse un essere umano, ma provò a guardare la situazione da un’altra prospettiva; voleva capire il più possibile per arrivare a una soluzione e aiutare la ragazza.
Stando a quello che stava raccontando Ginevra tutto era iniziato anni addietro, poco prima che Silente le rivelasse la sua vera età e tutti i segreti che le aveva tenuto nascosto fino a quel momento. Regulus le aveva confessato di essere stato proprio lui a sciogliere quel sigillo nella sua mente per ordine del Preside, liberando l’entità Oscura. A quei tempi lui non poteva immaginare le vere intenzioni del vecchio mago e aveva eseguito gli ordini da bravo soldato. Una volta libera, Entity seguì l’istinto di prendere il controllo del corpo della sua ospite, nutrendosi delle sue emozioni più forti. Poi, però qualcosa era cambiato e il rapporto tra lei e l’entità era diventato più sopportabile.
Raccontò al professore anche del loro modo di comunicare; tramite pensieri e attraverso gli specchi dove poteva vederla e parlarle come se in realtà fosse solo il suo riflesso, cosa che lui trovò affascinante ma lo tenne per sé.
Dopo aver terminato il racconto Ginevra abbassò lo sguardo sulle sue dita intrecciate in grembo. - Poi però sono cominciati gli altri problemi: le visioni. E ora vorrei sapere cosa sta succedendo, professore – confessò la ragazza. Lo guardò negli occhi. - Sono stanca. La prego, mi dica che lei puoi aiutarmi.
Severus sospirò, appoggiandosi completamente allo schienale della sua poltrona; restò in silenzio qualche istante, come per soppesare le parole da usare. - Se vuoi che ti aiuti, dovrò esaminarti.
Esaminarti? In che senso?”, sbottò Entity, in prenda al panico.
“Tranquilla. Possiamo fidarci”, la rassicurò Ginevra.
Entity non sembrava molto convinta, ma acconsentì.
- D’accordo – disse Ginevra rivolgendosi al professore.
- D’accordo – ripeté Severus per poi alzarsi dalla sua poltrona per raggiungerla. Erano uno di fronte all’altra, lei era rimasta seduta alla poltrona. - Userò una tecnica un po’ particolare, potrebbe fare un po’ male. Sei sicura di voler procedere?
Ginevra sospirò a fondo prima di rispondere. - Se questo potrà aiutarmi allora sì. Sono sicura.
Il professore chiuse gli occhi e le poggiò le mani sulle tempie. Quel contatto le provocò un piccolo brivido, le sue dita erano fredde.
- Ora concentrati. - Severus trasse un lungo, lento sospiro e disse: - Chiudi gli occhi.
Lei obbedì.
L’incantesimo avvenne pochi istanti dopo, Ginevra lo capì perché sentì una forte scossa alle tempie. L’ufficio iniziò a svanire davanti ai suoi occhi e una sensazione di freddo l’avvolse completamente, come una coperta. Provava dolore, ma pian piano divenne sopportabile.
Quando Severus arrestò il contatto Ginevra aprì gli occhi, trovandosi a sbattere più volte le palpebre; aveva la vista annebbiata. Ci volle qualche istante prima che l'ufficio tornasse visibile.
Guardò il professore, che nel frattempo era tornato alla sua poltrona. Aveva tolto la giacca nera, restando con la camicia bianca. I primi tre bottoni erano aperti mostrando la pelle nuda e lucida di sudore. Sembrava stremato, lo sguardo perso nel vuoto.
Uh-uh”, mormorò ad un tratto Entity. “Ora ricordo perché il bel tenebroso mi piace”.
Emise qualche verso strano e Ginevra avvertì la sua eccitazione, confondendola, per un breve istante, con la sua. Quando se ne rese conto Ginevra provò un brivido lungo la schiena.
“Ma che diavolo mi metti in testa?”, esclamò disgustata. “Smettila di pensare a queste cose!”.
Ah, quindi tu puoi pensare ai bei gemellini e io non posso pensare a un bell’uomo come il nostro professore? Sei un po’ egoista”.
“Ti prego, taci”, sibilò Ginevra e Entity le scimmiottò la stessa cosa, proprio come una bambina fastidiosa.
Ginevra cercò di pensare ad altro e di ignorare i pensieri impuri della sua “compagna di stanza”. Però dovette ammettere che il professor Piton era un bell’uomo e aveva un che di attraente.
Hai visto che ho ragione?”, continuò ad insistere Entity, soddisfatta.
Ginevra la ignorò e decise di ignorare anche i suoi strani pensieri.
Rimase qualche minuto in attesa prima di domandare al professore cosa avesse scoperto.
Improvvisamente vide il volto di Severus contrarsi e lei cominciò a spaventarsi. - È così terribile?
Gli occhi di Severus si concentrarono su di lei, corrugò la fronte. - Non so da dove cominciare.
Con il cuore in gola, Ginevra si preparò al peggio.
Il professor Piton si sistemò meglio sulla sua poltrona, poggiando i gomiti sul tavolo della scrivania. La sua espressione era indecifrabile.
Dopo quelli che alla ragazza sembrarono svariate ore, Severus cominciò a parlare di ciò che aveva visto.
- La tua mente si è completamente deteriorata – disse con voce greve. - Non può funzionare senza la creatu…Entity – fece una pausa prima di continuare, si passò una mano sul viso e sospirò. - La maledizione alla quale sei legata è forte e anche molto potente. Sembra aver creato una sorta di connessione fra di voi, ed è come se tu avessi due personalità. Sei te stessa… ma anche il parassita allo stesso tempo.
Il cuore di Ginevra cominciò a battere forte.
Era sconvolta.
Non riusciva a credere che tutto quello che le stava dicendo fosse vero. - Cosa mi sta succedendo? - la sua voce cominciò a tremare.
Quando parlò di nuovo, il professor Piton lo fece con deliberata lentezza, come soppesando le parole. - A quanto pare sembra che tu e... Entity condividete pensieri e emozioni. Tuttavia, la visione che hai avuto su tuo padre... rappresenta un potere che scaturisce solo da te e non dalla creatura… Lei è più un catalizzatore, ma non posso dirlo con certezza.
- C’è qualcosa che possiamo fare?
- Non al momento. Ho bisogno di più informazioni per analizzare con attenzione il tuo caso. Adesso abbiamo bisogno entrambi di riposo – spiegò Severus. - Ma se lo desideri posso darti un elisir che ti aiuti ad alleviare le visioni. Purtroppo è l’unica cosa che posso fare.

Nei due mesi seguenti tutto divenne più sopportabile per Ginevra.
L’elisir le era servito molto. Le sue visioni erano meno frequenti e, finalmente, poteva dire di dormire sogni tranquilli… almeno il più delle volte. La visione di Bellatrix era sempre presente nella sua mente, ma col tempo era diventata sempre più sfocata.
Ginevra incontrava il professore una volta alla settimana, in modo da poter studiare meglio la situazione e anche Entity cercava di dare il suo contributo, per quanto le fosse possibile. Anche perché voleva sapere come fosse finita nel corpo della sua ospite.
A volte si scambiavano opinioni, teorie, con la speranza di velocizzare la ricerca. Era una situazione frustrante per entrambe.
Quella sera, dopo l’incontro con il professore di Pozioni, Entity domandò un po’ esitante: “Secondo te scoprirò mai da dove vengo?”.
All’inizio Ginevra non sapeva come rispondere a quella domanda. In qualche modo riuscì a commuoversi e a provare la stessa sofferenza di Entity. Aveva paura; una parte di lei voleva trovare le risposte, l’altra invece temeva di scoprire qualcosa che le avrebbe fatto male.
Cosa sarebbe successo una volta scoperta la verità? Si sarebbero separate? Nessuna delle due voleva pensarci.
“Vedrai che lo scopriremo”, disse Ginevra, cercando di essere il più rassicurante possibile e Entity sembrò rilassarsi un po’.
Cadde il silenzio.
La stanchezza della giornata iniziò a farsi sentire e Ginevra decise di assecondare il suo desiderio di buttarsi nel letto e dormire.

Il mattino seguente, quando lei e George entrarono nella Sala Grande per la colazione, trovarono Fred e Angelina immersi in una fitta conversazione. Quando la Cacciatrice li notò li salutò con un sorriso, invitandoli a sedersi insieme a loro.
- Buongiorno! - li salutò. - Avete dormito bene?
Angelina aveva un sorriso un po’ esitante. Sembrava nervosa. Fred, invece, era indifferente. Iniziò a spalmare la marmellata su una fetta di pane come se niente fosse.
Avevano interrotto una conversazione importante?
Si scambiarono qualche chiacchiera, fingendo che la situazione non fosse strana. Fred e George iniziarono a parlare del negozio che avevano intenzione di aprire e dei vari prodotti che erano già pronti, Angelina, invece, stuzzicava il cibo nel suo piatto senza mangiarne nemmeno un boccone; parlava con Ginevra come se tutto andasse bene. Come se non in realtà niente la preoccupasse, ma sapevano entrambe che non era così.
Era chiaro che qualcosa non andava, tuttavia Angelina non sembrava molto disposta a parlarne. Preferiva parlare di cose futili come le lezioni e gli esami imminenti, quindi Ginevra decise di accontentarla e di non forzare la mano.
Poi, quando nella Sala entrò Harry, il cuore di Ginevra perse un battito. La nostalgia aumentava giorno dopo giorno, ma nonostante lei provasse il desiderio di sistemare il loro rapporto, Harry era diventato sempre più freddo e distante.
La piccola Ginny Weasley, che camminava al suo fianco, la salutò con un sorriso e un cenno della mano. Lei stessa aveva provato più volte ad aiutarla a far pace con il fratello, ma senza successo. Harry era davvero una testa dura.
Nonostante fossero seduti allo stesso tavolo, con Ron, Fred e Angelina che li separavano, Harry la ignorò completamente, come se in realtà fosse invisibile.
Un vero colpo al cuore.
Proprio in quel momento arrivarono i gufi che recapitavano la posta del mattino e la giovane Black iniziò a sperare che quella fosse una buona occasione per riconciliarsi.
I suoi occhi si fissarono su Harry e sul gufo che era appena atterrato davanti a lui.
Ginevra aspettava con ansia che leggesse la sua lettera. Ormai le aveva provate tutte con lui e quella era l’ultima opzione che le era venuta in mente per avere la sua attenzione.
Aveva scritto solo poche righe, ma sperava che funzionassero o che almeno le leggesse.


 
Caro Harry,
so che sei arrabbiato con me,
ma se mi darai l’occasione
ti prometto che ti spiegherò tutto.
Ti prego”.


Non aveva firmato la busta per paura che, vedendo chi la mandava, non l’aprisse nemmeno. Sperava solo che le desse un’occasione.
- Ti prego leggila. Ti prego, ti prego, ti prego – mormorò tra sé Ginevra.
Quando Harry prese in mano la lettera il gufo volò via. Stava per aprirla quando un altro gufo atterrò consegnandogli una seconda lettera.
Ginevra lo vide aggrottare la fronte, confuso. Evidentemente non si aspettava nessuna lettera, due erano già troppe stando ai suoi standard degli ultimi mesi.
Prima che Harry riuscisse a prendere anche quella lettera, arrivarono altri cinque gufi, che facevano le acrobazie nel tentativo di consegnare la loro lettera per primi.
Intorno a lui si era creata una vera e propria baraonda e a quel punto fu costretto a mettere da parte la lettera della sorella per prendere tutte le altre.
Ginevra sospirò, affranta.
Sembrava proprio che anche l’universo ce l’avesse con lei.
- Che succede? - le chiese Angelina.
Ginevra fece spallucce e si dedicò alla sua colazione. - Niente. Harry mi ignora.
- Mi dispiace – disse. - Vedrai che gli passerà.
Nonostante il tentativo di Angelina di tirarle su il morale, Ginevra non era tanto sicura che Harry fosse disposto a parlarle.
Nel frattempo, Ron, Hermione e Fred, che si era unito alla loro conversazione, iniziarono a leggere le varie lettere che erano arrivate a Harry. Stando a quello che riuscirono a sentire George e Ginevra, Harry aveva ricevuto molta posta da ammiratori per aver rilasciato un’intervista sul Cavillo, la rivista del padre di Luna Lovegood.
In qualche modo, in mezzo a tutta quella confusione, Fred riuscì a passare la rivista al fratello gemello e Ginevra riuscì a leggerne il contenuto.
La faccia sorridente di Harry era in copertina insieme al titolo a grandi caratteri rossi:

 

HARRY POTTER PARLA CHIARO:
LA VERITÀ SU COLUI-CHE-NON-DEVE-ESSERE-NOMINATO
E LA NOTTE IN CUI IO LO VIDI TORNARE


Ginevra iniziò a leggere con attenzione l’articolo, provando una grande soddisfazione. Finalmente qualcuno si era deciso a dar ascolto alle parole di Harry. Dopotutto qualcuno doveva pur contrastare le parole del Ministro della Magia e della Gazzetta del Profeta.
L’articolo suscitò l’ira della Umbridge, che bandì tutte le riviste del Cavillo da Hogwarts, ma così facendo l’interesse degli studenti non fece altro che aumentare.
Ovunque si girasse Harry sentiva sussurrare i suoi compagni della sua intervista. Non si parlava d'altro.
- Penso che ti credano, - gli confessò Hermione, raggiante. - Sul serio, credo che tu li abbia finalmente convinti!
Persino Draco, Blaise, Daphne e Theodore, nonostante nell’articolo fossero citati i loro genitori Mangiamorte, erano rimasti dalla parte di Harry.
- Mio padre ha sempre detto che sei un bugiardo – raccontò Theodore durante l’incontro dell’ES. - Ma io non sono stupido e ho sempre saputo quello che è in realtà. Quando sono tornato a casa, a giugno, e gli ho raccontato ciò che è successo quella notte, mi ha dato anche un ceffone e mi ha tenuto in punizione tutta l’estate.
Nel frattempo la professoressa Umbridge pattugliava la scuola, fermava gli studenti a caso e chiedeva loro di vuotare le tasche e aprire i libri: Harry sapeva che stava cercando copie del Cavillo, ma gli studenti erano diversi passi avanti a lei. Le pagine con l'intervista erano state stregate per sembrare libri di testo se lette da estranei, o diventavano bianche finché il proprietario non voleva rileggerle. In breve fu chiaro che a scuola l'avevano letta tutti.
Ma c’era un’altra notizia che aveva iniziato a fare scalpore tra gli studenti e Ginevra lo venne a sapere proprio da quell’odiosa di Pansy Parkinson e dalla sua cricca.
- Ehi, Black – la salutò la Serpeverde, stranamente sorridente. L’aveva bloccata nel corridoio, poco prima che raggiungesse la Sala Grande per la cena. - Hai sentito l’ultima notizia?
- Se è quella di te che hai deciso di sposare un acromantula, allora no – rispose lei. - Purtroppo non sono stata io a metterla in giro.
- Ah, ah. Sei divertente, Black. Davvero divertente – commentò Pansy, incrociando le braccia al petto. - Comunque Lucinda di Tassorosso, ha detto a tutti che qui a Hogwarts c’è una ragazza incinta! - spiegò. Gli occhi le brillavano di cattiveria. - Ha sentito parlare due ragazze, ma non le ha viste in faccia. Non che importi molto, no?
Ginevra strabuzzò gli occhi, incredula. - Incinta?
Istintivamente si guardò intorno.
Quella sera né Angelina né Katie erano nella Sala Grande. La preoccupazione si impossessò di lei. Le probabilità che quella Tassorosso avesse sentito parlare loro due erano alte.
Lo sapevano già? Sapevano che Angelina era stata quasi scoperta?
- Già! - esclamò estasiata la Parkinson interrompendo i suoi pensieri sul nascere. - Quindi… a quando il lieto evento?
- Che intendi dire? - domandò Ginevra, confusa. Inarcò un sopracciglio davanti al sorriso malizioso dalla Serpeverde.
- Ma come? Non sei tu quella incinta? Oh, che strano. E io che pensavo che fossi come quella babbana di tua madre. E stata lei a farsi mettere incinta mentre era qui a Hogwarts, no?
Avrebbe voluto mandarla al diavolo con tanto di calci nel sedere, ma qualcuno riuscì ad anticipare le sue intenzioni.
- Ok, Parkinson, ora leva i tacchi!
Con sua grande sorpresa Harry era sbucato alle sue spalle per poi mettersi tra lei e la Serpeverde.
- Oh, Pottino Potter! - squittì eccitata Pansy. - E da tanto tempo che io e te non ci facciamo una bella chiacchierata.
Si avvicinò a Harry con sguardo languido fino a sussurrargli qualcosa all’orecchio, ma Harry l’allontanò in malo modo, mandandola al diavolo. - Vattene. Non sto scherzando.
Immediatamente la malizia della Serpeverde si dissolse e la sua espressione divenne ostile. - Te ne pentirai, Potter – sussurrò a denti stretti. Dopodiché gli voltò le spalle e andò via seguita dalle sue compagne.
Una volta rimasti soli nel corridoio, calò il silenzio.
Harry si era messo in disparte, prendendo a calci un sassolino che rotolava davanti a lui. Le mani affondate nelle tasche dei pantaloni.
Per quanto fosse felice di vederlo, però, Ginevra era anche un po’ arrabbiata per il suo intervento tempestivo.
- Me la sarei cavata benissimo anche da sola – sbottò Ginevra. - So gestire quelle come la Parkinson.
- Be’, questo lo so. Ma un semplice grazie sarebbe bastato – ribatté Harry, continuando a calciare il sasso che, notò Ginevra, si stava avvicinando a lei pian piano.
“Lo sta facendo a posta”.
Quel pensiero riuscì a sopprimere quella stupida rabbia che stava provando e, a quel punto, un sorriso spontaneo le piegò le labbra, facendole provare nuovamente nostalgia.
“Sta provando ad avvicinarsi”, pensò e Entity si trovò a concordare, entusiasta.
Forza, fai il prossimo passò”, la incoraggiò. “E mi raccomando, se hai bisogno io sono qui, capito?”.
Ginevra annuì, ringraziandola, dopodiché si concentrò nuovamente sul fratellastro.
- Grazie – disse. - Ma me la sarei cavata benissimo anche da sola – ribadì, ostinata, senza però nascondere il sorriso.
Lui sospirò e ricambiò il sorriso, come se avesse ricevuto la risposta che si aspettava e la trovasse incredibilmente divertente. - Sei sempre la solita.
Ginevra allargò le braccia in un gesto eloquente, come per dire: “Che posso farci? Mi conosci”.
Poi cadde nuovamente il silenzio e il sorriso di Harry sparì. A forza di calciare quel sassolino, si ritrovò faccia a faccia con la sua sorellastra.
Dalla tasca uscì un biglietto, che lei riconobbe subito.
- L’ho letto – disse Harry dando voce ai pensieri di lei. Poi fece spallucce, incitandola a parlare. - Spero che non sia uno scherzo e che mi dirai davvero tutto.
- No, Harry. Non è uno scherzo.
- Bene. Perché sono stanco di essere trattato come un bambino.
Rimase in attesa, in silenzio, mentre Ginevra si guardava intorno con circospezione.
L’insegnamento di Malocchio era come marchiato a fuoco nella sua mente ed era inevitabile ormai evitarlo: “- Vigilanza costante, ricordatelo!”, le diceva sempre.
Be’, sarà fiero di noi dato che lo prendiamo alla lettera”, le sussurrò Entity, divertita.
- Allora? - insisté Harry, confuso. - Vogliamo parlare sì o no?
Ginevra lo prese per un braccio, avvicinandolo a sé. - Non qui – gli sussurrò all’orecchio quando vide un ragazzo avvicinarsi a loro. Lo riconobbe subito: era proprio il Corvonero attaccabrighe con cui lei e Paul si erano azzuffati mesi prima. Chris Turner.
Per quanto ne sapeva era un simpatizzante della Umbridge e delle sue regole, infatti, era uno dei pochi a non aver mai ricevuto delle punizioni dall’insegnante. Era, come dicevano i babbani, “il cocco della prof”. Semplicemente disgustoso.
Probabilmente la stava seguendo sotto ordine della Umbridge, cosa non l’avrebbe stupita più di tanto. Erano mesi che quel rospo le stava addosso, ma aveva bisogno di una copertura e uno studente era quello che faceva al caso suo. Peccato che Ginevra non fosse una stupida.
Quando Turner si appoggiò al muro poco distante da loro, fingendo di leggere una lettera, Ginevra notò che in realtà lui stava osservando proprio lei e Harry.
Quell’idiota non sa nemmeno pedinare qualcuno!”, sbottò Entity, divertita.
- Andiamo – disse a Harry. - Fa finta di parlare del più e del meno. Ci stanno seguendo.
- Cosa? - Dire che Harry fosse sorpreso era poco e, se non ci fosse stata lei ad impedirglielo, si sarebbe girato in cerca del impiccione.
- Andiamo in Sala Comune – gli sussurrò, per poi parlare di Quidditch e delle manovre fantastiche che gli aveva visto fare agli allenamenti di qualche giorno prima.
Il Corvonero continuava a seguirli.
La discrezione non era di certo il suo forte, ma quando arrivarono alla meta egli non poté più seguirli. Ginevra sussurrò al ritratto della Signora Grassa la parola d’ordine, in modo tale che Turner non fosse a portata di orecchio, ma poco prima di attraversare il ritratto vide il Corvonero confabulare con uno studente del primo anno di Grifondoro, forse nella speranza di corromperlo e usare lui come “spia”.
Che idiota”, ripeté Entity, divertita. “Sai, mi fa quasi tenerezza”.
Una volta nella Sala Comune, Ginevra si guardò intorno. Non riusciva a stare tranquilla. - Possiamo andare in camera tua?
Harry annuì e fece strada.
Salirono la rampa di scale e una volta dentro la camera, lei applicò i vari incantesimi per sigillare e insonorizzarla in modo tale che nessuno potesse ascoltare. - Scusa, ma la prudenza non è mai troppa.
Harry, seduto sul suo letto, la guardò confuso. - No… certo. Ma ora mi vuoi dare delle spiegazioni?
Dopo qualche respiro profondo per infondersi coraggio, Ginevra prese posto sul letto di Ron, così da poter guardare Harry in faccia. - È un po’ complicato da spiegare, ma ci proverò.
Gli raccontò tutto per filo e per segno; del suo incubo su Sirius e delle premonizioni; della Profezia che li legava e che Voldemort desiderava ardentemente. E, soprattutto, gli parlò di Entity.
- Voldemort e Silente sono alla ricerca della Fonte da molti anni. – spiegò. - Non so perché la chiamino così. So soltanto che Silente mi ha trovata per primo e che ha escogitato tutto quel macello sulla mia età per nascondermi a Voldemort e avere il controllo su di me. Io e Entity cerchiamo risposte, ma senza trovarle. Non sappiamo come sia entrata in contatto con me, ma una cosa è sicura: devo stare lontana da Silente. Vuole usare Entity per i suoi scopi e io non posso permetterlo. Non possiamo fidarci. Soprattutto tu, Harry. Non fidarti di lui. Prima o poi troverà il modo di usare anche te.
L’espressione di Harry era indecifrabile. Era confuso, sollevato e arrabbiato allo stesso tempo, ma era impossibile decidere quale fosse il sentimento predominante.
- Quindi… è questo che ti sei tenuta dentro per tutto questo tempo?
Ginevra annuì. - Mi dispiace di non averti detto nulla, ma avevo paura. E mi era stato detto di non dirti niente sulla Profezia, quindi… ho dovuto mantenere il segreto. Mi dispiace, Harry.
- No, – mormorò lui, - non devi scusarti. Lo capisco.
Saltarono la cena, ma continuarono a parlare fino a tardi. Ginevra rispose a tutte le sue domande, ma per quanto riguardava la Profezia ebbe alcune lacune. Non riusciva a ricordare cosa dicesse con esattezza, quindi non riuscì a rivelare a Harry di cosa parlasse. - Ricordo solamente che siamo entrambi nella Profezia. Nient’altro.
Harry sembrò deluso. - Quindi chi è che può dirci di più?
- Silente – rispose Ginevra. - Purtroppo è l’unico che la ricorda a memoria. Ma la Profezia c’è ancora. È nell’ufficio Misteri. Alcuni membri dell’Ordine fanno la guardia.
Harry si passò le mani tra i capelli. La cicatrice gli diede una fitta, ma non vi badò. - Quindi avevo ragione – sospirò.
- Che intendi dire? - domandò allora la sorellastra.
Così Harry le raccontò cosa era riuscito a scoprire negli ultimi mesi dopo aver sognato quasi ogni notte il corridoio senza finestre di cui le aveva parlato mesi prima. Quel corridoio terminava con una porta chiusa a chiave e, fino quel momento, non era riuscito a capire che si trattava di un luogo vero. Poi aveva capito di aver sempre sognato il corridoio che portava all'Ufficio Misteri, che lui aveva visto il giorno della sua udienza al Ministero.
- E adesso che mi dai la conferma che è lì che si trova… vuol dire che la mia intuizione è esatta – disse Harry, scattando in piedi come una molla. - È lì che vuole andare Voldemort.
Ad un tratto si portò una mano alla fronte, massaggiandola.
Il bruciore stava diventando sempre più forte. Una risata folle rimbombava nelle sue orecchie... era più felice di quanto fosse stato da molto tempo... esultante, estatico, trionfante... era successa una cosa stupenda, meravigliosa...
Le gambe cedettero.
- Harry? HARRY! - Ginevra era scattata subito verso di lui. Lo aveva preso appena in tempo prima che cadesse a terra.
Inconsciamente Harry cominciò a reggersi a lei; la teneva stretta per un braccio. Rideva come un pazzo e la cosa la spaventò non poco.
Non era in sé. I suoi occhi verdi stavano sbiancando lentamente.
- Harry! - urlò ancora Ginevra, mentre un sorriso inquietante deformava il viso di suo fratello. - Svegliati! Controllati.
- Ti ho trovata! - sussurrò esultante.
Quella voce… non era di Harry.
Come sotto shock, Ginevra guardò il fratello. - Harry…
Lui continuò a ridere finché i suoi occhi non tornarono normali.
Quando riuscì a riprendersi Harry si rese conto di essere sul pavimento, tra le braccia della sorella. La cicatrice che pulsava terribilmente.
- Cos’è successo? - domandò, iniziando a tossire.
Sentiva un forte bruciore alla gola.
Ginevra aveva lo sguardo perso. Era molto preoccupata, quasi spaventata. - Io... non lo so… - mormorò. Tornò a guardarlo negli occhi, aiutandolo a rialzarsi. - Tu cosa ricordi?
Con il suo aiuto, Harry si mise a sedere sul letto. Stava tremando come quando aveva visto il serpente attaccare il signor Weasley, e si sentiva malissimo. - Ho visto Voldemort. È felice... molto felice… - mormorò. - È successo qualcosa di buono. Qualcosa in cui sperava.
Mentre lo aiutava ad andare a letto, la mente di Ginevra era in pieno panico.
Merda. Merda. Merda!”, esclamò Entity, spaventata. “Cosa facciamo adesso?”.
Provarono entrambe a pensare a una soluzione, ma senza successo. La voce di Voldemort echeggiava nella sua mente come per darle il tormento.
Ti ho trovata, aveva detto. Sapeva di aver trovato la Fonte; sapeva di aver trovato l’ospite dell’entità Oscura.
Sembrava impossibile. Ginevra stentava ancora a crederci.
No”, concordò Entity, cercando di calmarsi. “Non può essere. Lo abbiamo immaginato... vero?”.
Harry si lasciò cadere sui cuscini, dolorante per la cicatrice che ancora bruciava. Non poteva fare a meno di chiedersi con grande trepidazione che cosa rendesse Lord Voldemort felice come mai era stato negli ultimi quattordici anni.
- Ho detto qualcosa, mentre ero svenuto? - domandò a quel punto alla sorella.
Ginevra sobbalzò, destandosi dai suoi pensieri.
Svenuto?”, Entity era sempre più confusa. “Quindi non ricorda che si è messo a ridere come un pazzo?”.
“Non era lui a ridere”, mormorò Ginevra, rassegnandosi alla realtà. - Mi ha trovata – disse. - Voldemort mi ha trovata.

 

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 – CONTROLLO ***


Capitolo 32 - Controllo


Sapere che Voldemort era entrato in possesso del suo corpo, anche se per un breve istante, per Harry fu un duro colpo.
Aveva sempre avuto il controllo della situazione, soprattutto da quando partecipava alle lezioni di Occlumanzia con il professor Piton. Ma allora… cos’era cambiato?
Al solo pensiero di quell’intrusione si sentì sporco.
- Mi dispiace, Gin. Non avevo idea che potesse succedere una cosa del genere – mormorò, dispiaciuto. - Forse era meglio se rimanevo allo scuro di tutto.
- Non dire così, Harry – provò a rassicurarlo Ginevra. - Tu dovevi sapere.
- Ma adesso anche lui sa – sbottò Harry, in piena collera.
Ginevra gli passò una mano sulla fronte sistemando i ciuffi ribelli dei suoi capelli. Un gesto istintivo che riuscì a tranquillizzarla.
Lo guardò dritto negli occhi e si trovò a sorridere.
Era sollevata di vedere il verde dei suoi occhi e non più quel bianco agghiacciante.
- Vedrai che si sistemerà tutto – gli accarezzò la guancia con tenerezza e sorrise. - Troveremo una soluzione. Te lo prometto.
Harry annuì senza la minima convinzione.
Sua sorella era in pericolo ed era tutta colpa sua. Era lui a dover trovare una soluzione.
Le prese la mano che gli stava accarezzando il viso e la strinse nella sua. - Ti aiuterò – promise.

La settimana non migliorò.
La Umbridge tampinava tutti gli studenti, invitandoli a bere un tè, con la speranza di estorcere informazioni su eventuali incontri proibiti fuori dalle lezioni con l’inganno, e Harry cominciò a temere per l’incolumità dell’ES; era ancora sulle spine all'idea che Hagrid potesse essere licenziato; e non poteva fare a meno di ripensare a quello che era successo quando Voldemort si era impossessato del suo corpo, anche se non ne parlò ai suoi amici: non voleva farli preoccupare, ma soprattutto non voleva peggiorare la situazione di sua sorella. Avrebbe tanto desiderato poterne parlare con Sirius, ma era fuori discussione, perciò cercò di respingere il pensiero in fondo alla mente buttandosi a capofitto nell’Occlumanzia.
- In piedi, Potter – sputò acido il professore di Pozioni.
Dopo la possessione improvvisa di Voldemort, Harry si trovava ancora una volta in ginocchio sul pavimento dell'ufficio di Piton, cercando di rafforzare la sua mente. Era appena stato costretto a rivivere un flusso di ricordi molto remoti, che non sapeva nemmeno di possedere ancora, la maggior parte dei quali riguardava le umiliazioni che gli erano state inflitte da Dudley e dalla sua banda alle scuole elementari.
- Non ti stai impegnando - disse Piton.
- Ci sto provando - rispose Harry, alzandosi esausto.
- Vuoi che il Signore Oscuro prenda di nuovo il controllo? - mormorò Piton.
- No - balbettò Harry.
Gli occhi scuri di Piton perforarono quelli di Harry. - Vuoi che arrivi a tua sorella?
- No – ripeté Harry, serrando le mascelle e stringendo più forte la bacchetta tra le dita.
Anche se gli risultava ancora molto difficile, aveva imparato a sopportare il tono acido e i modi bruschi del suo odioso professore. Ma solo perché sua sorella gli aveva assicurato che Piton era davvero dalla loro parte e che ci si poteva fidare.
“- È uno dei pochi in grado di aiutarci – gli disse Ginevra. - Ti prego, fa un piccolo sforzo”.
Un piccolo sforzo… più facile a dirsi che a farsi ma, pur di raggiungere il suo scopo, Harry era disposto a mettere da parte tutto il suo astio e andare d’accordo con lui.
- Allora dimostrami che puoi farcela, Potter – disse Piton a denti stretti. - Dimostrami che sbaglio a pensare che tu sia una nullità.
Per un lungo momento rimasero a fissarsi; Harry tremava per la stanchezza ma non aveva alcuna intenzione di arrendersi.
- Ora, se sei pronto, ricominciamo – disse. Poi levò la bacchetta: - Uno... due... tre... Legilimens!
Provarono ancora una volta, attraversando i ricordi di Harry: la Coppa del Mondo di Quidditch… i Mangiamorte… la morte di Cedric… sua sorella distrutta dal dolore… il giorno in cui aveva riabbracciato Sirius… la notte in cui lui e Ginevra avevano mangiato cioccolata calda e biscotti… contrasse il viso per concentrarsi, riuscendo a vedere ancora Piton in piedi davanti a lui, gli occhi fissi sul suo viso, che mormorava a mezza voce... e in qualche modo l'immagine di Piton si faceva più chiara, mentre quella dei suoi ricordi sfumava lentamente…
Harry alzò la bacchetta
- Protego!
Piton barcollò, la sua bacchetta volò verso l'alto, lontano, e all'improvviso la mente di Harry si riempì di ricordi non suoi: un uomo dal naso adunco che urlava contro una donna che cercava di difendersi, mentre un bambino piccolo coi capelli neri piangeva in un angolo... un adolescente dai capelli unti sedeva solo in una camera buia, puntando la bacchetta al soffitto per ammazzare le mosche... una ragazza rideva mentre un ragazzo ossuto tentava di cavalcare una scopa imbizzarrita... Harry riuscì a riconoscerla: era sua madre.
Cosa ci faceva sua madre nei ricordi di Piton?
- BASTA COSÌ!
Harry sentì una forte spinta sul petto; indietreggiò di vari passi e per poco non cadde con il sedere per terra. Piton tremava leggermente ed era molto pallido.
- Bene, Potter... finalmente… un vero miglioramento… - Con il respiro un po' affannoso, Piton sistemò meglio il Pensatoio in cui aveva riposto alcuni pensieri prima della lezione, come per assicurarsi che ci fossero ancora. - Non ricordo di averti insegnato a usare un Sortilegio Scudo... ma senza dubbio è stato efficace...
Harry non disse nulla; nonostante le tante domande che gli vorticavano in testa, sentiva che parlare poteva essere pericoloso. Era sicuro di essersi intromesso nei ricordi di Piton, di aver appena visto immagini della sua infanzia. Era fastidioso pensare che il bambino che poco prima aveva visto piangere mentre i suoi genitori urlavano ora si trovava di fronte a lui.
Harry fu percorso da un brivido di terrore; stava quasi per provare pena per il suo professore che tanto odiava.
- Riproviamo? - disse Piton.

Nel frattempo, nella Sala Comune di Grifondoro, seduta sul divano davanti al caminetto tra le braccia di George, Ginevra ripensava alla conversazione telepatica che aveva avuto qualche giorno prima con suo zio Regulus.
Lo aveva aggiornato sugli ultimi avvenimenti e lui ne era letteralmente terrorizzato.
“Devi andare via da lì”, le aveva detto. “Non possiamo rischiare che Voldemort o qualche Mangiamorte venga per te”.
Ingenuamente lei pensò di essere al sicuro finché si trovava a Hogwarts, dopotutto l’intero castello era pieno di protezioni e nessuno poteva materializzarsi all’interno o nei dintorni del castello. Poi però, il ricordo dell’anno prima, quando Barty Crouch jr era riuscito a penetrare nel castello indisturbato, le tornò in mente come una doccia fredda. Per un attimo aveva sperato che tutto quello che le era successo fosse solo un sogno; il rapimento, le torture mentali da parte di uno psicopatico Mangiamorte… ma si sbagliava. Era tutto reale.
E no. Non era al sicuro nemmeno a Hogwarts.
Quando ne aveva parlato a George, lui era entrato nel panico proprio come Regulus. Poi si era tranquillizzato, trovando persino una soluzione.
- Ho già un piano – disse. - Verrai via con me e Fred.
- Cosa? - esclamò lei, sorpresa. - E dove?
George le aveva spiegato il piano. Sembrava tutto così facile da sembrare infallibile; molto presto lui e Fred avrebbero lasciato Hogwarts per aprire ufficialmente il loro negozio di scherzi, quindi per tenerla al sicuro l’avrebbero portata al quartier generale dell’Ordine.
- Lui non sa dove si trova il quartier generale, no?
- No – mormorò Ginevra, facendosi prendere dall’ansia man mano che parlava. - Almeno lo spero. Potrebbe sempre guardare nella mente di Harry.
È vero. Potrebbe”, concordò Entity.
“Non sei per niente incoraggiante”, la rimproverò Ginevra.
Ma se ti ho appena dato ragione?!”.
- Be’, tu devi pensare al lato positivo e non a quello negativo – disse George. - Fidati di me. Ti porterò al sicuro.
Nonostante fosse spaventata, Ginevra si lasciò rassicurare dalle sue parole e dai suoi abbracci.
Grazie a George poteva svuotare la mente ed evitare i cattivi pensieri. Si sentiva al sicuro, come se nulla potesse farle del male finché era con lui.

Poco dopo, quando Katie e Angelina entrarono nella Sala Comune di Grifondoro, George e Ginevra scattarono subito in piedi: Angelina era in lacrime.
- Ehi, che cosa è successo? - domandò George preoccupato. - Dov’è Fred?
- Va tutto bene? - gli fece eco Ginevra.
Domanda stupida. Era ovvio che non andava bene.
Bastava guardarla per capirlo.
Angelina provò a parlare ma non ci riuscì; le lacrime scendevano copiose e i singhiozzi le impedivano di proferire parola. Ginevra la avvicinò al divano, facendola sedere.
Con un colpo di bacchetta George evocò un bicchiere d’acqua e lo offrì alla ragazza.
- Fred è dal Preside – rispose Katie, sedendosi al fianco della sua amica. Cominciò ad accarezzarle i capelli, cercando di calmarla, ma quando Angelina sentì il nome del suo ragazzo nascose il volto tra le mani, continuando a piangere.
Katie le passò un fazzoletto bianco, per poi spiegare la situazione a George e Ginevra.
- Qualcuno ha scoperto che la ragazza incinta di cui si continua a parlare è Angelina e lo ha spifferato alla Umbridge – disse. - Ero con loro quando li ha trovati. Stava per sospenderli entrambi, ma per fortuna c’era la McGranitt e ha cercato di sistemare le cose.
- Cosasu… cceder… àad… esso? - piagnucolò Angelina, tra un singhiozzò e l’altro.
George e Ginevra la guardarono, senza capire cosa avesse detto e questo alimentò il suo pianto. Sembrava una lingua aliena.
- Ha detto “cosa succederà adesso?” - spiegò Katie, pacata e tranquilla come sempre. Poi si rivolse alla Cacciatrice. - Tranquilla, tesoro. Andrà tutto bene. Vedrai che Silente risolverà tutto.
Le due ragazze non notarono l’occhiata che si erano scambiati George e Ginevra, perché in quel momento il ritratto della Signora Grassa si aprì e Fred fece il suo ingresso nella Sala Comune accompagnato dalla professoressa McGranitt.
Angelina scattò subito in piedi, ma non ebbe il coraggio di avvicinarsi a lui. Si soffiò il naso con il fazzoletto che teneva stretto al petto, senza però riuscire a frenare le lacrime.
Fred restò immobile, di fronte a lei, con la testa fra le mani e lo sguardo basso. Sembrava stanco.
- Allora? - domandò George, impaziente.
Fred esitò un solo istante prima di rispondere. Sospirò e guardò il fratello. - Hanno contattato le nostre famiglie – disse. - Verranno domani.
La professoressa sospirò, affranta, e concentrò la propria attenzione su Angelina. - Purtroppo io e il professor Silente non potevamo fare altrimenti – disse.
- Era l’unico modo per ritardare l’espulsione e tenere chiuso il becco di quella bastarda della Umbridge.
Solitamente la professoressa McGranitt avrebbe redarguito Fred per il suo linguaggio, ma in quel momento sembrò infischiarsene. Anzi, sembrava quasi incoraggiarlo.
- È inconcepibile – borbottò tra sé e sé, contrariata. Si tormentava le dita delle mani ripetendo quanto fossero assurde le richieste della Umbridge. - Come può aver anche solo pensato di espellervi! Questa non è la prima volta che una delle nostre studentesse sia in dolce attesa! E nessuno, ripeto, nessuno è mai stato espulso per questa ragione e mai accadrà – ribadì, ferma.
I singhiozzi di Angelina riecheggiavano nella stanza e Fred le andò incontro, stringendola forte tra le sue braccia.
- Andrà tutto bene – le sussurrò, piano, ma Angelina non sembrava convinta.
Stava piangendo a dirotto, mettendo a nudo tutta la sua sofferenza e le sue paure.
Tra un singhiozzo e l’altro riuscì a parlare di ciò che la spaventava di più.
I signori Johnson erano molto tradizionalisti e per loro il matrimonio era molto importante, un obbiettivo che non doveva essere aggirato, per così dire. Come le dicevano sempre: “- Prima viene il matrimonio, poi i figli”.
- Non fanno altro che ripetermelo da tutta la vita – singhiozzò Angelina. - Mi odieranno.
Non smise un attimo di piangere e Fred restò accanto a lei tutto il tempo necessario. Quando la Sala Comune iniziò a popolarsi di studenti che andavano e venivano dalla Sala Grande o dalle lezioni, George, Ginevra e Katie li fulminavano puntualmente con lo sguardo facendoli scappare a gambe levate ogni qual volta li sentivano mormorare qualcosa su Angelina o si fermavano troppo a guardarla.
Come quando una ragazza del sesto anno mormorò alla sua compagna: - Sapevo che avrebbe fatto questa fine.
Purtroppo per lei, Katie riuscì a sentirla. Le andò incontro. I suoi occhi erano ridotte a due fessure. - Prova a ripeterlo – la minacciò a denti stretti.
La ragazza sgranò gli occhi, spaventata. Tutto il coraggio che aveva si dissolse e scappò via seguita dalla sua amica.
Alla fine i curiosi intorno a loro smisero di girare come avvoltoi e ognuno tornò alle proprie faccende.
Angelina sembrò calmarsi, ma non aveva il coraggio di uscire dalla Sala Comune per andare a cena o a lezione. Un conto era avere addosso lo sguardo dei Grifondoro, un altro era avere quello di tutta la scuola.
Troppo imbarazzante.
La professoressa McGranitt si comportò come una madre amorevole e premurosa persino con Fred. Incoraggiò la ragazza a riposarsi, mettersi a letto, promettendole di inviarle la cena direttamente in camera.
La McGranitt era fatta così. I suoi figli erano i suoi studenti e li amava nonostante tutto.
Prima di lasciare la Sala Comune promise a entrambi che non li avrebbe abbandonati dicendo che era persino disposta a remare contro ai loro genitori, ad accoglierli in casa sua e ad aiutarli a crescere il bambino, se necessario.
Ginevra la guardò, non potendo fare a meno di domandarsi se la professoressa avesse fatto quella stessa conversazione anche a sua madre, diciassette anni prima.
Quel momento era come un déjà vu per lei? Aveva aiutato Lily Evans quando era incinta?
La donna sembrò accorgersi del suo sguardo e le sorrise, come se le avesse appena letto nel pensiero.

La professoressa McGranitt mantenne la promessa.
L’indomani rimase al fianco di Fred e Angelina per tutto il tempo, proteggendo soprattutto la Cacciatrice dagli attacchi della Umbridge. Ma ad un certo punto non poté fare molto; nonostante lei e i signori Weasley fossero contrari alla cosa, Fred venne scortato fuori dall’ufficio del Preside sotto richiesta dei signori Johnson. A quanto pare non gradivano molto la sua presenza e non trovavano molto “consono” che lui si opponesse alle loro decisioni.
Allora Fred tornò nella Sala Comune. Era stremato, arrabbiato, ma quando vide il gemello non poté fare a meno di sfogarsi con lui e raccontargli tutto.
- I genitori di Angelina sono contrari – disse. - Non vogliono che tenga il bambino.
- E mamma e papà? - domandò George. - Come l’hanno presa?
Le labbra di Fred si curvarono istintivamente all’insù. - Be’, lo sai come sono fatti. All’inizio hanno dato i numeri… poi però si sono calmati e hanno cercato di far ragionare i genitori di Angie. “Siamo sorpresi quanto voi, ma di certo non permetteremo che i nostri ragazzi rinuncino a questo bambino!” - scimmiottò imitando la voce della madre.
Sogghignò, poi la sua espressione si fece cupa.
Abbassò lo sguardo, traendo un profondo sospiro dal naso.
- Ma sembra che non sia servito a nulla – disse, prendendosi la testa tra le mani. - Vogliono portare Angelina al San Mungo domani stesso e… – la voce cominciò a tremare, ma cercò di mantenere la calma. - Dovevi sentire come parlavano. Angie piangeva e io...
George non fece domande.
Restò in silenzio, con lo sguardo perso nel vuoto, a pensare.
Poteva solo immaginare la scena.
In quel momento era come se riuscisse a sentire la sofferenza di suo fratello. Sentiva il dolore in ogni sua parola e lo vedeva anche nel suo sguardo. Per un attimo riuscì persino a seguire il filo dei suoi pensieri.
I genitori di Angelina volevano farla abortire a tutti i costi e di Fred non ne volevano sapere. Due diciassettenni genitori e squattrinati? Meglio l’aborto!
Quell’orribile pensiero gli dava i brividi.
- Ma non puoi fare niente per impedirlo? Dopotutto sei il padre, no?
Fred abbozzò un sorriso triste. - Chi, io? - domandò ironico. - Io sono solo il bastardo che l’ha messa incinta. Dovevi sentirli! Non volevano nemmeno guardarmi, parlavano come se io non fossi lì. Vogliono che io venga espulso.
- Be’, questo non ha importanza – disse George, cercando un lato positivo. - Avevamo già deciso di filarcela e abbandonare gli studi. Porteremo anche lei con noi. La McGranitt vi aiuterà, l’ha detto lei.
- Questa era la mia idea. Io e Angie ne abbiamo parlato e lei sarebbe anche disposta a farlo, ma... – sospirò Fred. - L’idea che i suoi genitori non mi danno alcun diritto sul piccolo… mi fa arrabbiare! Ma mi fa anche soffrire in un modo che non credevo neanche possibile.
Fred tremava di rabbia e dal dolore. Si era talmente abituato all’idea di avere un figlio con Angelina, da immaginare la sua vita con lui: voleva vederlo crescere, gattonare, sentirgli dire le prime parole, giocare con lui a Quidditch. La sola idea di perderlo lo faceva stare davvero male.
- Immaginavo già di tenerlo tra le braccia… Non voglio che lo portino via.
Gli sfuggì una piccola lacrima e George lo notò. Si avvicinò al fratello e sedette al suo fianco, poggiando una mano sulla sua spalla. - Non parlare così. Tu avrai questo bambino. Troveremo una soluzione. Scapperemo oggi stesso se necessario. Fidati di me, Freddie.

Nel frattempo, nell’ufficio del Preside continuava la faida tra i Weasley e i Johnson. Dopo che Fred aveva abbandonato la stanza, la signora Weasley si era lanciata in una accesa discussione contro la signora Johnson, difendendo il figlio con le unghie e con i denti da tutti gli insulti che quella donna acida dispensava senza sosta.
Angelina ascoltava in silenzio, mentre delle calde lacrime continuavano a rigarle il volto. Era seduta in una morbida poltrona davanti alla scrivania del preside, ma era talmente agitata da non riuscire a stare comoda. Continuava a muoversi, incerta, mentre lo sguardo andava da destra a sinistra tra le due famiglie che si scontravano.
Il suo unico conforto era la professoressa McGranitt. Le stava accanto, proprio come aveva promesso, battendosi per la sua sicurezza e quella del bambino meglio che poteva.
Quando i Johnson avevano detto che la loro figlia avrebbe dovuto abortire, la McGranitt sbraitò a gran voce insieme alla signora Weasley, incurante degli occhietti acquosi e soddisfatti della Umbridge che la fissavano.
Non tollerava la scelta dei signori Johnson di far operare la loro figlia così da risolvere “il problema”.
Il bambino non era un “problema da risolvere”!
Esistevano ancora persone talmente ottuse e prive di cuore da pensare una cosa del genere? Sperava di non porsi più una domanda del genere in futuro.
Il professor Silente, al contrario di come la pensavano i signori Johnson, andò in contro ai pensieri della professoressa di Trasfigurazioni, sostenendo che Angelina dovesse rimanere a Hogwarts.
Ovviamente c’era chi era contrario: la Umbridge, per esempio. Ma quella vecchia cornacchia, così la chiamava la McGranitt, non poteva fare nulla per scavalcare il Preside.
- La signorina Johnson e il signor Weasley rimarranno a Hogwarts – disse il vecchio mago, in tono fermo e deciso.
Era stanco di sentir urlare tutte quelle persone nel suo ufficio e, nonostante avesse ben altro a cui pensare, prendere le difese dei due ragazzi sembrava la decisione migliore.
I signori Johnson stavano già per ribattere, ma Silente li zittì immediatamente rivolgendosi alla sua collega, (nonché amica di lunga data), Minerva McGranitt. - Posso chiederle di scortare la signorina Johnson nel suo dormitorio, professoressa?
- Ma certo – rispose la McGranitt.
- Ma è inconcepibile! - sbottò indignata la signora Johnson. La cascata di capelli neri le coprivano il lato destro del viso e metà del suo cipiglio severo.
Arthur e Molly Weasley notarono che la donna era bella quasi quanto la figlia, ma in quel momento la sua bellezza esteriore era stata surclassata dal suo carattere orribile. Erano addolorati per la povera Angelina che aveva per madre quella donna, e sentivano il cuore farsi pesante ad ogni sua parola.
- Mia figlia non può rimanere in questo stato – continuò la signora Johnson indicando il ventre gonfio di Angelina. - Pretendo che venga con noi in modo da risolvere la faccenda una volta per tutte. Altrimenti sarò costretta a chiedere l’intervento del Ministro in persona!
- Ma non pensa al dolore che sta recando a sua figlia? - esclamò la signora Weasley, con il cuore in mano. - Non vede come piange?
La signora Johnson schioccò la lingua e le sue labbra si incurvarono in una smorfia sprezzante. - È ovvio che piange! Prima aveva un futuro radioso! Un futuro nel Quidditch! E invece quel maiale di vostro figlio le ha rovinato la vita!
- Badi a come parla, signora! - sbottò il signor Weasley in difesa della moglie; nonostante usasse un bastone di legno come sostegno e zoppicasse un po’, non esitò un solo istante a fronteggiare i coniugi Johnson.
- Mamma ti prego – pigolò Angelina, proteggendosi con la mano il ventre mentre la professoressa McGranitt la aiutava ad alzarsi.
La signora Johnson la ignorò, come se non avesse nemmeno aperto bocca. - Non permetterò a nessuno di decidere per il bene di mia figlia. La sua vita è importante! Non può rovinare tutto per una storiella scolastica.
La professoressa aiutò Angelina a reggersi in piedi, stringendola in un mezzo abbraccio. - Vedrai che andrà tutto bene – le sussurrò incoraggiante, scortandola fuori dall’ufficio del Preside.
Per la prima volta dopo ore di urla e insulti che aveva sentito in quelle quattro mura, Angelina sentì finalmente parole di conforto da una faccia amica e si sentì più leggera e tranquilla.
Le sue mani erano appoggiate nello stesso punto da tutto il giorno, sul suo grembo. Lo accarezzava come se in realtà stesse accarezzando il bambino stesso, pensando in qualche modo di proteggerlo, rassicurarlo.
- Angelina – esclamò sua madre, imperiosa. - Ti proibisco di uscire da questa stanza senza di noi. Se esci di qui non avrai più una famiglia!
La McGranitt arrestò il passo per un istante insieme alla ragazza. Guardò la signora Johnson con disgusto.
C’erano parecchie cose che voleva dire in quel momento, ma Angelina riuscì a batterla sul tempo.
- Io ho una famiglia, mamma – disse, continuando a sfiorarsi il ventre con dolci carezze.
Finalmente aveva trovato il coraggio di affrontare sua madre e di imporsi al suo volere. Non le importava se il suo rapporto con lei si sarebbe spezzato una volta per tutte, in quel momento, i suoi pensieri e il suo cuore erano per il suo bambino.
- Non puoi – obbiettò la donna, stralunata. I suoi occhi erano talmente sgranati da farla sembrare una cerbiatta davanti ai fanali di una macchina.
- Oh, sì che può – esclamò la McGranitt, sorridendo. Non aveva smesso nemmeno per un secondo di stringerla tra le sue braccia e Angelina non poteva che essergliene grata. Senza il suo sostegno non avrebbe mai trovato la forza di reagire.
La signora Weasley annuì, commossa, sostenendola con tutto il suo cuore. - Sarai sempre la benvenuta nella nostra famiglia, cara.
Angelina la ringraziò e uscì dall’ufficio.
Sua madre rimase immobile per qualche secondo, con lo sguardo fisso dove prima vi era sua figlia, incapace di accettare la realtà dei fatti. Poi riuscì a balbettare qualcosa. - Fa qualcosa, Clive!
Guardò il marito in cerca di man forte, ma prima che lui potesse pronunciare un’altra parola, Silente sbatté le mani sul tavolo con decisione, facendoli trasalire.
- Non c’è nulla che possiate dire o fare. La decisione è stata presa – sbottò perentorio. - Ogni studente di questa scuola ha il diritto e il dovere di continuare gli studi fino a quando non lo ritiene opportuno e, per quanto riguarda la signorina Johnson, essendo maggiorenne è in grado di prendere le sue decisioni. E, in questo caso, ha deciso di tenervi fuori dalla sua vita.
La Umbridge si schiarì la voce. - Hem hem.
Silente alzò gli occhi al cielo e sospirò pesantemente; l’ultima cosa che desiderava era ascoltarla.
- Le chiedo scusa se mi intrometto, signor Preside - disse in tono lezioso la professoressa Umbridge, - ma non credo che una ragazzina possa decidere a comodo suo. I suoi genitori hanno la priorità su tutto. Dico bene?
Lanciò un’occhiata ai signori Johnson, sicura di trovare approvazione. Quando loro annuirono, si rivolse nuovamente al Preside: - Visto che non sono l’unica a pensarlo, credo sia meglio che…
- La decisione non spetta a nessuno di noi - ribatté prontamente Silente. - Alla signorina Johnson è stata posta una scelta. Una scelta che lei ha affrontato con molto coraggio.
- Temo che lei non capisca la situazione, Silente - disse la Umbridge, sorridendo. - Il coraggio non servirà a molto a quella ragazza. I suoi genitori vogliono solo il suo bene.
Con grande sorpresa dei signori Weasley e dei signori Johnson, Silente sorrise. - Oh, per quanto io possa essere vecchio, non sono ancora stupido, professoressa. Capisco molte cose – disse. - Quello che voi non capite è che Angelina non è più una bambina. È una donna adulta in grado di badare a sé stessa. Cercava l’amore e la comprensione dei suoi genitori e ha ricevuto solo disprezzo. Ora, se fossi in voi, non mi sorprenderei più di tanto che lei abbia preso la scelta di non seguirvi.

Appena varcata la soglia della Sala Comune di Grifondoro, Angelina si lanciò tra le braccia di Fred e gli raccontò ogni cosa. Alla fine per lui fu come se il peso che aveva nel petto fosse sparito come per magia.
Nonostante i signori Johnson fossero ancora contrari al bambino, a Fred non importava. Per lui l’obbiettivo principale era lasciare Hogwarts, aprire il negozio di scherzi con George e andare a vivere con Angelina e il loro piccolo Weasley in arrivo.
Nient’altro aveva importanza. Dovevano solo decidere quando lasciare il castello.
Continuarono a frequentare le lezioni, senza badare alle occhiate e ai bisbigli dei curiosi, come se niente fosse.
I genitori di Angelina le mandarono una lettera al giorno per i tre giorni seguenti, cercando di convincerla che la scelta migliore era rinunciare al bambino. Lei li ignorò senza pensarci due volte e loro rinunciarono.
Troncare i rapporti per lei fu abbastanza difficile, ma grazie a Fred e ai suoi amici era riuscita a non toccare il fondo.
Poi c’erano le lezioni dell'ES.
Passavano ore e ore nella Stanza delle Necessità, a lavorare sodo ma anche a divertirsi. Ron e Ginny erano talmente felici di diventare zii da litigare su chi dei due doveva prendere in braccio il bambino per primo una volta nato. Ma poi ci pensava George a surclassarli: - È inutile che litigate, tanto sarò io il primo a prendere in braccio il mio nipotino – disse, gonfiando il petto con orgoglio.
- O nipotina – ribatté la sorella. - Guarda che ancora non sappiamo se sarà maschio o femmina.
George agitò pigramente una mano, come per scacciare una zanzara fastidiosa. - Non è così importante - disse. - L’importante è che io lo vizierò tantissimo.
- Non vorrei interrompere l’idilliaca lotta familiare su chi sarà lo zio migliore – disse Harry. - Ma se siete ancora interessati oggi cominceremo a lavorare sui Patronus.
Gli occhi della piccola Weasley si illuminarono. - Davvero? Non me l’avevi detto! - disse, fingendosi offesa.
Harry fece spallucce e la prese per mano, accompagnandola alla postazione principale.
Tutti lo guardavano entusiasti.
Non vedevano l’ora di imparare ad evocare un Patronus, anche se, come continuava a ricordare loro Harry, evocarne uno in tutta sicurezza e in un'aula illuminata a giorno era ben diverso dall'evocarlo di fronte a un Dissennatore.
- Questo “teoricamente” è un incantesimo da settimo anno, ma sappiamo tutti che la Umbridge non proverà nemmeno ad insegnarlo… Ma è per questo che siamo qui, no? – disse Harry, incoraggiandoli. Tirò fuori la bacchetta ed evocò il suo Patronus e un cervo cominciò a camminare con passo maestoso vicino a lui. - Se all’inizio non riuscirete non preoccupatevi, abbiamo tutto il tempo.
Ginevra guardò il cervo con un ghigno beffardo sulle labbra.
Non disse nulla, ma dalla punta della bacchetta fuoriuscirono dei fasci di luce argentei che si unirono fino a formare un cane di taglia medio-grande con un manto di pelo foltissimo e gli occhi dallo sguardo intenso e penetrante.*
Un mormorio stupito e ammirato accolse il cane argenteo che zampettò tra loro, per poi sedersi al fianco di un Harry sbalordito.
Guardò la sorella e sorrise. - Da quando sai evocare un Patronus corporeo?
Ginevra fece spallucce. - Forse sei un bravo insegnante.
- Ah ah. Divertente.
Si spintonarono giocosamente e il cane zappettò vicino al cervo per giocare con lui.
- Vuoi una mano? - domandò Ginevra e Harry accettò con gioia. Una mano faceva sempre comodo.
- Quando avevi intenzione di dirmi che sai evocare un Patronus? E perché non me l’hai mai insegnato? - la rimproverò allegramente George quando la raggiunse.
- Sinceramente avevo quasi dimenticato che ne ero in grado – rispose lei. - È passato molto tempo dall’ultima volta.
Un sorriso malizioso incurvò le labbra di George.
Appoggiò le mani sui fianchi di lei e la avvicinò a sé, sussurrandole all’orecchio: - Allora puoi darmi lezioni private.
Il suo respiro caldo le solleticava il collo, provocandole dei brividi di piacere. -Le diede un lento e delicato bacio sul collo, aumentando notevolmente i brividi, ma di certo quello non le impedì di provocarlo a sua volta.
Si morse il labbro inferiore, sapendo che in quel modo lo faceva sempre impazzire. Poi si alzò sulle punte dei piedi quel tanto che bastava per sfiorargli l'orecchio con le labbra, per bisbigliare con voce seducente: - Se è quello che vuoi, Weasley.



*Il Patronus di Ginevra è un Samoiedo

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 – L’ES ***


Capitolo 33 – L’ES

Durante la loro ultima lezione dell’ES, prima delle vacanze pasquali, la maggior parte del gruppo era riuscita a evocare un Patronus corporeo anziché dei soliti sbuffi di vapore argenteo, grazie anche all’ausilio di un Molliccio che la Stanza delle Necessità fece apparire dal nulla.
- Pensate a qualcosa che vi rende felici – ricordò loro Harry, camminando tra di loro dando suggerimenti.
Fred e George furono tra i primi ad evocare un Patronus corporeo. Quello di Fred era una volpe, mentre quello di George era un dolcissimo scimpanzé; i due fratelli avevano persino dato inizio ad una discussione su quale dei due Patronus fosse più potente, battibeccando proprio come due bambini.
Nel frattempo la Stanza delle Necessità si stava riempendo di Patronus e di esclamazioni gioiose.
- Sono così carini! - esclamò allegramente Katie guardandosi intorno.
Era come essere in un parco giochi pieno di animali luminosi: cavalli, cigni, procioni, cani, gatti, uccellini, ippogrifi, grifoni… una vera meraviglia.
Paul annuì, trovandosi completamente d’accordo con lei, mentre guardava con affetto il suo Patronus; uno scintillante quokka argenteo che continuava a saltellargli attorno e a guardarlo con i suoi dolci occhioni.
- Wow! - gridò Draco, seguendo con lo sguardo il proprio Patronus che pian piano prendeva forma; era un bellissimo ed elegante pavone. - Non mi aspettavo di riuscirci davvero!
- Bravissimo, Draco – si congratulò Harry quando gli passò vicino, felice che anche lui fosse riuscito ad evocarne uno.
Anche Draco era felice. Anzi, ne era a dir poco emozionato.
Istintivamente lanciò un’occhiata a Hermione, incrociando il suo sguardo luminoso e sorridente. Anche lei era appena riuscita ad evocare il suo Patronus: una lontra argentea stava volteggiando nella Stanza delle Necessità, per poi tornare da lei per giocare.
- Ma come ci riesci? - gli domandò Daphne, dalla cui bacchetta uscivano solo sputacchianti sbuffi di vapore argenteo. - Sono giorni che ci provo! - aggiunse imbronciata.
- Devi pensare a qualcosa che ti renda felice - le ricordò, con un sorriso smagliante.
- E tu a cosa pensi, Drake? - lo provocò Blaise, spintonandolo giocosamente.
Draco abbassò lo sguardo, senza riuscire a nascondere il rossore sulle guance diafane e un piccolo sorriso imbarazzato.
Theodore e Daphne iniziarono a ridacchiare insieme a Blaise, ma non con cattiveria, bensì nel modo scherzoso che usavano sempre tra di loro per stuzzicarsi.
I tre Serpeverde sapevano benissimo qual’era il pensiero felice del loro amico Draco o meglio chi.
Hermione era l’unica a renderlo felice. Davvero felice. Grazie a lei il vero Draco era emerso, abbandonando i pregiudizi e gli ideali della sua famiglia e trovando persino dei nuovi amici.
Chi l’avrebbe mai detto?
Draco Malfoy era felice grazie a Hermione Granger.
I due tornarono a guardarsi, come due fidanzatini.
L’uno non poteva fare a meno dello sguardo dell’altra. Lui stava sorridendo. Un sorriso genuino, dolce, ed era indirizzato proprio a lei.
Hermione sospirò. Amava quel sorriso.
In realtà non c’era una sola cosa che non amasse di lui: la sua dolcezza, il suo senso dell’umorismo, il suo carattere, la sua passionalità. Ma se c’era una cosa di lui che amava più di ogni altra cosa erano i suoi occhi azzurri e penetranti, nei quali si perdeva ogni volta, e amava il modo in cui i suoi pensieri si riflettevano in essi, quasi fossero lo specchio della sua anima.
Lo amava con ogni fibra del suo essere.
Quando Ginevra notò lo sguardo di Hermione sul biondo, non poté fare a meno di stuzzicarla.
- Smettila di mangiare mio cugino con gli occhi, Granger – la rimproverò, maliziosa.
Hermione distolse immediatamente lo sguardo dal Serpeverde con un piccolo sorriso, mentre le sue guance si tingevano lentamente di rosso. - Non lo stavo… mangiando con gli occhi – provò a replicare, un po’ tra l’imbarazzo e il divertito.
- Oh, ti prego! - disse l’altra con un sospiro esagerato e un sorriso. - Chi vuoi prendere in giro?
Hermione sbuffò, fingendosi offesa. - E allora tu e George? - replicò. - Anche voi vi mangiate con gli occhi! Persino adesso…
Lo indicò con un cenno del capo e Ginevra si voltò a guardarlo.
George era in piedi dall’altro lato della stanza, che giocherellava distrattamente con la bacchetta, facendola scivolare tra le dita affusolate, mentre con lo sguardo accarezzava le curve del suo corpo con una tale intensità da farla tremare.
Il ricordo della notte precedente le tornò in mente nello stesso istante. Tutti quei sospiri, i gemiti, il corpo scolpito di George, i suoi baci infuocati, i muscoli delle sue braccia tesi… le grida a mezza voce che risuonavano nell’aula abbandonata di Babbanologia…
Fortuna che lei era Caposcuola e che intrufolarsi era la loro specialità, altrimenti Gazza li avrebbe beccati in meno di venti secondi.
Essere Caposcuola dava molti privilegi.
In quel momento George stava passando su di lei uno sguardo lento e sensuale che le faceva accelerare i battiti del cuore.
Ginevra si morse il labbro inferiore nel tentativo di nascondere la sua eccitazione. Lui lo notò. Alzò un sopracciglio, compiaciuto, mentre il divertimento gli scintillava negli occhi.
Le fece l’occhiolino con un sorriso malizioso.
Adorava provocarla.
- Visto? - esclamò Hermione, divertita, attirando nuovamente l’attenzione della ragazza. - Avevo ragione…
- Ma piantala. - Ginevra rise e la spintonò giocosamente, ma improvvisamente la sua attenzione venne catturata dalla porta della Stanza delle Necessità che si aprì e si richiuse in un’istante, ma non entrò nessuno. O almeno così credeva.
Incrociò lo sguardo di Harry.
Anche lui aveva notato il movimento della porta e si era voltato per vedere chi fosse entrato, ma neanche lui sembrò aver visto nessuno.
Nella Stanza delle Necessità cadde un silenzio attonito e i ragazzi si avvicinarono alla porta, confusi e preoccupati.
Un attimo dopo Harry si sentì strattonare i pantaloni all'altezza del ginocchio, e abbassando stupefatto lo sguardo vide Dobby l'elfo domestico che lo guardava da sotto i suoi otto berretti di lana.
- Dobby! - disse. - Ci hai fatto quasi venire un colpo. Che cosa fai... Cosa succede?
L'elfo aveva gli occhi sbarrati e tremava da capo a piedi. Gli studenti più vicini a Harry fissarono i loro occhi su Dobby. I pochi Patronus che erano riusciti a evocare svanirono in una nebbiolina perlacea, lasciando la stanza molto più buia di prima.
- Harry Potter, signore… - squittì l'elfo, senza smettere di tremare. - Harry Potter, signore... Dobby viene per avvertire...
- Cos'è successo, Dobby?
- Harry Potter... lei... lei... - Dobby cominciò a guardarsi intorno, spaventato.
- Chi è “lei”, Dobby? - chiese Harry, ma sospettava di conoscere la risposta; soltanto una lei poteva terrorizzare Dobby fino a quel punto. - La Umbridge? - sussurrò Harry inorridito.
Dobby lo fissò strabuzzando gli occhi e mosse le labbra senza emettere suono, poi annuì, e subito nascose la testa tra le pieghe dei pantaloni di Harry. - Lei sta arrivando.
- Che cosa? - esclamò Harry ad occhi sgranati.
- Lei ha scoperto tutto… ha scoperto il gruppo segreto di Harry Potter... - tremò il piccolo elfo. Lanciò un ululato e cominciò a pestare i piedi nudi sul pavimento. - Dobby è dispiaciuto. Dobby ha provato a fermarla ma è stato inutile. Cattivo Dobby! Cattivo!
Tentò di darsi dei pugni in faccia, ma Harry, ormai abituato alle autopunizioni di Dobby, si affrettò a bloccargli le braccia.
Harry si raddrizzò di scatto a fissare i compagni che assistevano paralizzati alle contorsioni dell'elfo.
- CHE COSA ASPETTATE? - urlò. - SCAPPATE!
Quelle parole furono come una doccia fredda.
I ragazzi si lanciarono tutti insieme verso l'uscita a passo di corsa, accalcandosi sulla porta; poi cominciarono a riversarsi nel corridoio per disperdersi.
Mancavano ancora dieci minuti alle nove e sarebbe stato stupido e sospetto da parte loro raggiungere i dormitori. Il modo più semplice per crearsi un alibi era rifugiarsi in biblioteca o nella Guferia, entrambe vicine alla Stanza… ma ovviamente non potevano andare tutti nello stesso posto.
Ginevra si guardò intorno: vicino a lei c’erano Paul, Katie e George. Intorno a loro vi era una vera e propria baraonda. Dall’altro lato del corridoio vide Fred e Angelina allontanarsi dalla mischia, cercando di trovare il nascondiglio migliore. Draco e Hermione si erano separati, lei raggiunse la piccola Weasley e Ron; lui, invece, seguì i suoi compagni Serpeverde.
- Da che parte andiamo? - domandò Katie, cercando di mantenere la calma.
- Forse è meglio separarci – esclamò Paul, lanciando delle occhiate a destra e sinistra. - Potremmo nasconderci nella Guferia.
- D’accordo. Andate voi due – disse George, dopodiché prese per mano Ginevra. - Noi andremo nell’aula di Trasfigurazione, dove incontreremo Fred e Angelina.
Ginevra annuì, anche se un po’ risentita. Lui aveva ideato un piano di fuga senza consultarla?
Ah, i maschi! Che vuoi farci?”, borbottò Entity.
- Quindi il vostro piano è appena cominciato? - domandò poi Katie, confondendola.
George le sorrise e le diede un buffetto sulla testa. - Già.
- Piano? Quale piano? - domandarono in coro Ginevra e Paul, sempre più confusi.
- La grande fuga, piccola – spiegò George sfoggiando un grande sorriso. - Stasera lasceremo Hogwarts col botto!
- E quando avevi intenzione di dirmelo? - esclamò Ginevra, cominciando ad arrabbiarsi.
- Hai ragione. Scusa - George si passò una mano tra i capelli, con un sorrisetto imbarazzato. - Ma la segretezza non è mai troppa.
- Però Katie lo sa! - protestò Ginevra. Poi guardò Katie. - Come fai a saperlo?
- Fred mi aveva accennato qualcosa…
Scommetto che anche Agnellina lo sa”, sbottò Entity, ironica. “Perché siamo sempre le ultime a sapere le cose?”.
“Non si chiama Agnellina”, disse Ginevra. Provò a nascondere il divertimento per quella storpiatura del nome della Cacciatrice, ma fallì miseramente.
Ah-ah! Mi trovi divertente”, gongolò Entity.
- Ok, non mi sembra il momento di parlarne – disse Paul, guardandosi intorno in quel caos di ragazzi che scappavano da una parte all’altra.
- Hai ragione. È solo che… odio non sapere le cose. Soprattutto quando mi riguardano – disse assottigliando lo sguardo verso George.
- Lo so… Ma mi farò perdonare – le sussurrò all’orecchio.
Anche se era ancora un po’ offesa, Ginevra si lasciò convincere.
Finalmente stavano per lasciare Hogwarts. Non credeva che un giorno avrebbe trovato quel pensiero tanto appagante.
- D’accordo – disse Katie. - Noi andiamo.
Mentre si allontanavano, Paul si portò due dita alla fronte in segno di saluto. - Buona fortuna ragazzi – esclamò, dopodiché lui e Katie cominciarono a correre, fino a sparire dietro il corridoio in fondo.
- Andiamo anche noi.
- Aspetta – disse Ginevra all’improvviso. - Dov’è Harry? L’hai visto?
Aveva una strana sensazione.
Guardò George, sperando di trovare risposte, ma lui scosse la testa.
Ginevra si guardò intorno un’ultima volta in cerca del fratello, trovandolo subito dopo: era appena uscito dalla Stanza delle Necessità, sbattendosi la porta alle spalle. Stava sollevando di peso Dobby, che ancora tentava di procurarsi qualche ferita grave.
- Dobby… - disse. - Questo è un ordine: torna in cucina con gli altri elfi, e se lei ti chiede se mi hai avvertito, menti e rispondi di no! E ti proibisco di farti del male! - aggiunse, poi lo lasciò andare.
- Grazie, Harry Potter! - squittì Dobby e filò via.
- Harry! - lo chiamò Ginevra.
Harry le andò incontro subito e la incitò a scappare con George. - Che ci fate ancora qui? Andate!
- Vieni con noi – disse Ginevra.
- No – ribatté prontamente Harry. - In questi casi è meglio separarsi.
- Hai un posto dove nasconderti? - gli domandò George.
Harry sembrò esitare. - Troverò qualcosa. Voi andate.
Spinse delicatamente la sorella, nonostante le sue continue proteste, dopodiché si slanciò verso destra; più avanti c'era un bagno, se fosse riuscito a raggiungerlo poteva fingere di essere sempre stato lì… o magari raggiungere la Torre di Astronomia…
Dall’altro lato del corridoio, Ginevra continuava a guardarsi indietro cercando di convincersi che Harry se la sarebbe cavata ma non ci riusciva. La sua ansia non faceva che crescere ad ogni passo che la teneva lontano da lui.
George sembrò leggerle il pensiero.
- Se la caverà – le sussurrò, stringendole la mano delicatamente. Non l’aveva lasciata nemmeno per un secondo.
Lei sospirò, concentrando il suo sguardo in avanti.
- Lo spero – disse. - Altrimenti lo ammazzo.
George sbuffò una piccola risata e le accarezzò il dorso della mano con il pollice, un piccolo gesto che riusciva sempre a rassicurarla.
- Lì c’è il passaggio segreto – disse poi, indicando la statua di una nobildonna dal volto delicato e con le mani giunte posta a muro, vicino a una grande finestra che dava sul cortile del castello.
George lasciò la mano di Ginevra solo per un momento, per aprire il passaggio. Anche se non utilizzavano quel passaggio da molto tempo, per lui era tutto istintivo: si muoveva così in fretta da sembrare quasi impercettibile. Pochi secondi dopo la statua si spostò di lato, rivelando il passaggio segreto.
L’eco di passi ticchettanti nel corridoio indicava che la Umbridge era vicina.
Si fiondarono subito nel passaggio, ma poco prima che esso si richiudesse dietro di loro, nel corridoio risuonò un grido che riconobbero immediatamente.
- AAARGH!
Ginevra si voltò di scatto. - Harry…
Cominciò a battere i pugni sul muro che si interponeva tra lei e il corridoio, ma quello non si apriva. Iniziò a calciare, dare spallate, ma era tutto inutile. George riuscì ad afferrarla poco prima che potesse farsi male sul serio.
- Lasciami – protestò lei. Gli occhi iniziarono pizzicare. - Devo andare da lui!
- Non puoi – disse. - Non si può uscire da qui. Ormai la porta è sigillata.
- Allora farò un buco.
Tirò fuori la bacchetta, ma George la bloccò ancora una volta. - Devo ricordarti cosa ha combinato Fred con l’ultimo passaggio segreto?
Il ricordo di due anni prima quando, per aver dimenticato quale fosse il meccanismo per uscire dal tunnel, Fred si era fatto venire in mente la brillante idea di usare l’incantesimo ‘Bombarda’ per uscire le tornò in mente.
Per chissà quale miracolo ne erano usciti vivi… ma il tunnel era crollato e, quindi, inutilizzabile.
Ginevra annuì, riprendendo pian piano la calma, e George lasciò la presa sul suo braccio.
- Lumos – sussurrò lei, così che la sua bacchetta facesse luce in quel tunnel buio.
Le lacrime di frustrazione minacciavano di uscire, ma lei ricacciò indietro. George le mise un braccio attorno alle spalle e depose un bacio sulla sua fronte.
- Andrà bene. Lo troveremo – la rassicurò.
E si incamminarono verso la fine del lungo tunnel, superando i gradini improvvisati e le piccole buche che insinuavano il passaggio.
Il grido di dolore di Harry stava echeggiando nelle loro menti, spingendoli ad avanzare con maggiore velocità. Entrambi speravano che Harry stesse bene.

Nel frattempo Harry, disteso sul pavimento del corridoio, stava lottando contro le convulsioni. Le sue urla echeggiavano in tutto il settimo piano.
Il suo corpo venne invaso da atroci dolori e da una sensazione di forte bruciore, come se qualcuno gli avesse infilato dei coltelli incandescenti nello stomaco e nel cervello.
Lo avevano colpito con una Maledizione senza Perdono.
La Maledizione Cruciatus.
Harry la conosceva bene. Voldemort l’aveva usata contro di lui qualche mese prima. Ormai il ricordo era marchiato a fuoco nella sua mente.
Qualcuno rideva alle sue spalle. - Ti ho trovato, Potter – esultò la Umbridge.
Nonostante le convulsioni, Harry rotolò sulla schiena e vide il sorriso deliziato della donna.
- L’ho trovato, signor Ministro! - urlò soddisfatta.
A quel punto il dolore provocato dalla Maledizione Cruciatus si placò e, dopo qualche colpo di tosse, Harry tornò a respirare normalmente.
Il Ministro in persona, Cornelius Caramell, arrivò di gran carriera dall’altro capo del corridoio, col fiato corto e la mano che reggeva il cappello sulla testa. Insieme a lui vi erano altri due uomini.
- Potter – disse il Ministro, guardandolo dall’alto in basso. - Dovevo immaginare che ci fossi tu dietro a tutto questo.
- Probabilmente cercava di raggiungere la Torre di Grifondoro - disse la Umbridge. Nella sua voce vibrava un'eccitazione indecente. - Ecco la sua bacchetta.
- Che gli è successo? - domandò poi il Ministro, dopo averlo guardato con più attenzione.
- Ho usato un incantesimo d'Inciampo, per non farlo scappare – mentì lei, continuando a sorridere. - Ha battuto la testa.
Harry vide il Ministro fare un gesto alla professoressa, poi si voltò a parlare con gli altri due uomini, ma non poteva dirlo con certezza. La sua vista era un po’ annebbiata. Quando era caduto aveva sbattuto la testa contro il pavimento in pietra e il colpo era stato così violento da fargli venire la nausea. Se poi si consideravano anche i danni provocati dalla Maledizione Cruciatus… be’, diciamo che quello non era un buon momento per fare una piroetta.
- In piedi, Potter! - intimò la Umbridge, sfoggiando un sorriso raggiante.
Anche se a fatica, Harry si tirò su, fulminandola con lo sguardo. Non aveva mai visto la Umbridge così soddisfatta. Gli strinse le dita come una morsa attorno al braccio e si voltò sorridendo verso qualcuno alle sue spalle.
Harry cercò di mettere a fuoco almeno il volto di qualcuno, riuscendoci a fatica. Riconobbe una divisa di Corvonero e alcuni tratti del viso dello studente gli ricordarono quelli di Chris Turner, il ragazzo che aveva pedinato lui e Ginevra qualche giorno prima.
Guardando con più attenzione, notò anche Pansy Parkinson e qualche altro Serpeverde e Corvonero, ma alcuni di loro avevano, come Chris Turner, una faccia sconvolta, quasi spaventata. I loro occhi passavano da Harry alla Umbridge come in una partita di Tennis ma con la suspense di un film Horror.
Harry non riuscì a capirne il motivo, poi un rivolo di sangue cominciò a bagnargli la fronte, colpendo anche l’orecchio. Evidentemente il colpo alla testa era stato talmente forte da farlo sanguinare.
Ma c’era qualcos’altro che sconvolgeva quegli studenti.
Pian piano la vista di Harry tornò ad essere nitida e capì la loro paura: la Umbridge.
Erano lì quando lei gli aveva lanciato la Maledizione senza Perdono? Probabilmente sì.
Il gesto inaspettato della donna li aveva sconvolti a tal punto da non voler incrociare il suo sguardo.
- Voi cercate di acchiapparne qualcun altro – diceva la Umbridge a Chris e agli altri studenti del gruppo. - Dite agli altri di controllare in biblioteca… chiunque abbia il fiatone… e anche nei bagni, la signorina Parkinson può controllare quello delle ragazze… andate, svelti… Quanto a lei, Potter - aggiunse con la sua voce più sommessa e più pericolosa, mentre Chris e gli altri si allontanavano, ancora attoniti, - verrà con me e il Ministro nell'ufficio del Preside.

Quando George e Ginevra raggiunsero l’aula di Trasfigurazione lei scattò subito verso la porta, ignorando gli sguardi confusi di Fred e Angelina.
- Che succede? - domandò Angelina, iniziando a preoccuparsi.
Istintivamente portò una mano sul grembo, come faceva sempre nell’ultimo periodo.
- Harry – rispose George in tono greve, avvicinandosi anche lui alla porta. - L’hanno preso.
Ginevra provò ad aprire la porta, ma non ci riuscì. Era sigillata.
Puntò la bacchetta e provò ad aprirla con un incantesimo ma, stranamente, non accadde nulla. Anche George provò ad aprirla, ma smise dopo il terzo tentativo.
Incrociando lo sguardo del suo gemello capì il perché fosse bloccata.
- Perché questa dannata porta non si apre? - esclamò allora Ginevra, cominciando a picchiare la mano su di essa, furiosa.
- Gin - provò a chiamarla George.
Lei lo ignorò.
Angelina provò a calmarla, spiegandole che Fred l’aveva sigillata con un congegno di sua invenzione che neutralizzava gli incantesimi e ogni forma di apertura manuale. - Dura solo un’ora.
Ma l’informazione non riuscì a consolarla.
Harry era lì fuori, ed era in pericolo. Aveva bisogno di aiuto.
Lo troveremo”, disse Entity. Stava cercando di mantenere un tono fiducioso, ma Ginevra sentiva che anche lei stava provando la sua stessa rabbia e preoccupazione.
Ginevra urlò a pieni polmoni e tirò una serie di calici alla porta con tutta la sua forza, fino a quando qualcuno la prese per le spalle e la tenne ben ferma.
Era Fred.
- Mi dispiace – le sussurrò, stringendola in un abbraccio.
Lei si lasciò andare a quell’abbraccio, nascondendo il viso contro il suo petto, stringendolo a sua volta. Strinse forte gli occhi, cercando di trattenere le lacrime che presero comunque a scorrere.
Fred la strinse forte.
Odiava vederla piangere.
In quel momento odiava persino sé stesso perché, per colpa sua, lei era bloccata lì senza poter aiutare suo fratello. Non si sarebbe stupito più di tanto se lei lo avesse allontanato in malo modo urlandogli contro.
George si avvicinò a loro e si unì a quell’abbraccio che l’avvolse completamente, come una coperta calda.
L’abbraccio da orso.
Il loro abbraccio.
Quello era un momento raro e per Ginevra fu davvero come una coperta calda e avvolgente. Quell’abbraccio riusciva a calmarla come nient’altro.
La magia de “l’abbraccio da orso” era proprio quella di farli sentire protetti, al sicuro. E, per l’ennesima volta, l’abbraccio fece la sua “magia”: lentamente, Ginevra smise di piangere e tornò calma.
Rimasero lì, stretti tra loro, sotto lo sguardo un po’ confuso di Angelina, mentre le loro menti vagavano perdendosi nei loro pensieri. Proprio come l’ultima volta che si erano dati quell’abbraccio l’anno prima, George non pensava a nient’altro che Ginevra e al desiderio di proteggerla anche a costo della propria vita. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei.
L’amava con tutto sé stesso.
Fred, invece, pensava a quanto fosse stato stupido ad allontanarsi da lei e maledì ogni secondo in cui le era stato lontano. Promise a sé stesso che non sarebbe successo di nuovo.
I pensieri di Ginevra, invece, erano solo per il fratello. Sperava che stesse bene e che riuscisse a cavarsela anche senza di lei. Lo sperava con tutto il cuore.
I suoi leggendari angeli custodi erano riusciti a sedare la sua sofferenza e la sua rabbia con un semplice gesto.
Fred e George erano una vera magia.
Passò un bel po’ di tempo quando si separarono.
Fred le aveva accarezzando la guancia, senza smettere di guardarla dritta negli occhi. Le rivolse un sorriso carico di dolcezza, dopodiché le pizzicò la guancia e si allontanò.
George la fece voltare lentamente verso di lui. Si chinò sulle sue labbra e la baciò teneramente.
Il suo dolce sorriso era in grado di scioglierle il cuore.
Entity sospirò nella testa di lei. “Menomale che ci sono loro a calmarci”.
Per una volta Ginevra decise di non ribattere, trovandosi d’accordo con lei.
Senza Fred e George non sapeva come fare. Loro erano la sua ancora di salvezza. Lo erano sempre stati.
- Grazie – sussurrò vicino alle labbra di George ricambiando il suo dolce sorriso.

Quando si trovò davanti al gargoyle di pietra insieme alla Umbridge, il Ministro e i suoi accompagnatori, Harry continuava a chiedersi se avevano catturato qualcun altro, sperando che nessuno dei suoi amici fosse compreso. Forse era egoista da parte sua, ma non voleva metterli in mezzo. Pensò a Ron, Hermione, Ginny, Draco, Neville e al resto del gruppo con un groppo alla gola. Poi il suo pensiero andò a sua sorella, sperando che anche lei fosse riuscita a scappare in tempo.
- Ape Frizzola - cantilenò la Umbridge; il gargoyle si scostò, la parete si spalancò e tutti salirono la scala mobile di pietra.
- Che stupida parola d’ordine – borbottò uno dei due uomini alle spalle del Ministro, trovando la complicità della Umbridge, che ridacchiò gioviale.
Harry aveva la nausea.
Quando raggiunsero la lucida porta col batacchio a forma di grifone, la Umbridge, sempre tenendo stretto Harry, entrò senza nemmeno bussare.
L'ufficio era pieno. Silente era seduto dietro la scrivania, l'espressione serena, le lunghe dita unite in punta. La professoressa McGranitt gli stava accanto, irrigidita dalla tensione. Kingsley Shacklebolt e un mago alto e atletico, con i capelli biondi, che Harry non aveva mai visto, erano piazzati ai lati della porta come guardie.
Quella sera i ritratti degli antichi Presidi non stavano sonnecchiando. Erano tutti vigili e seri, lo sguardo fisso su quanto accadeva sotto di loro. Quando Harry entrò, alcuni si spostarono nei quadri vicini, scambiandosi bisbigli ansiosi.
Mentre la porta si chiudeva alle loro spalle, Harry si divincolò dalla stretta della Umbridge. Cornelius Caramell lo sorpassò, guardandosi intorno con aria di maligna soddisfazione. Percy Weasley lo seguì, come un’ombra, con un penna d’oca e un rotolo di pergamena fra le mani, pronto a prendere appunti.
Harry non si era minimamente accorto che fosse lui l’altro uomo alle spalle del Ministro. Lo stava ignorando, proprio come il giorno della sua udienza.
Quando la professoressa McGranitt lo guardò, invece, sembrava sul punto di marciare spedita verso di lui, ma Silente la fermò. Nonostante la sua lampante preoccupazione per lo stato del ragazzo, la professoressa dovette ubbidire. I suoi occhi rimasero su Harry per tutto il tempo.
- Bene, bene, bene... - disse Caramell, mettendosi al centro della stanza. - Direi che ci siamo tutti.
Il secondo uomo che era rimasto con loro per tutto il tragitto lo seguì, mettendosi alle sue spalle, guardando a destra a sinistra con fare circospetto, assottigliando lo sguardo su ogni persona presente nella stanza.
Forse, pensò Harry, era la sua guardia del corpo.
Dal modo in cui l’uomo alternava lo sguardo da lui a Silente, Harry lo trovava abbastanza ridicolo. Tutto sembrava ridicolo.
- Bene, Potter… - disse il Ministro, richiamando la sua attenzione, - suppongo che tu sappia perché sei qui, vero?
Harry gli lanciò la sua occhiata più velenosa. Si sentiva il cuore in gola, ma il cervello stranamente freddo e lucido, nonostante la vista fosse ancora un po’ annebbiata.
Era pronto a rispondere con un Sì” di sfida: aveva già aperto la bocca e la parola gli era già quasi uscita dalle labbra quando vide il volto di Silente. Non guardava esattamente lui, teneva gli occhi fissi su un punto appena sopra le sue spalle, ma lo vide chiaramente scuotere il capo di una frazione di centimetro.
Perché doveva dargli retta? Dopotutto lui era un manipolatore.
Non era nemmeno sicuro di potersi fidare ancora di lui dopo tutto quello che aveva fatto a sua sorella.
Alla fine decise di non rispondere come si era impuntato di fare e, senza esitare, cambiò idea a metà parola.
- Sss… sinceramente vorrei sapere cosa ci fa tutta questa gente qui.
- Prego? - chiese Caramell.
- Ah, è sordo? Va bene, allora ripeto. Cosa ci fa tutta questa gente qui? Giochiamo a Bingo? - chiese Harry, infischiandosene di tutti gli sguardi su di sé.
Era stanco di fare il bravo soldatino. Non avrebbe dato ascolto né a Silente né a nessun altro. Tutto quello che faceva era per proteggere il suo gruppo dell’ES. Per i suoi amici.
Caramell alzò un sopracciglio e lo guardò, confuso. - Non… Non sai perché sei qui?
- No, non lo so.
Lo sguardo incredulo di Caramell si spostò da lui alla professoressa Umbridge.
Quella specie d’interrogatorio andò avanti per un tempo che parve indefinito. Era stato accusato di infrangere le regole della scuola, o meglio i “Decreti del Ministero”, ma Harry continuò a rispondere con tono affabile e carico di sarcasmo.
Valeva quasi la pena di mentire così spudoratamente per vedere alzarsi la pressione di Caramell, ma non capiva come questo potesse aiutarlo a cavarsela: se qualcuno aveva spifferato alla Umbridge dell'ES, tanto valeva che lui, suo organizzatore e capo, facesse i bagagli sui due piedi.
Preferiva addossarsi tutta la colpa pur di salvare i suoi amici.
- Insomma, è una novità per te - riprese Caramell con voce fremente di collera, - apprendere che in questa scuola è stata scoperta un'organizzazione illegale?
- Davvero? - disse Harry, ostentando un'aria stupita. - Hanno organizzato una bisca clandestina? Se solo lo avessi saputo prima...
- Ritengo, Ministro - intervenne melliflua la Umbridge, ancora accanto a lui, -che potremmo compiere maggiori progressi se mi fosse permesso convocare la nostra informatrice.
“Ah, la fantomatica traditrice”, pensò Harry con amarezza. “Vorrei tanto sapere chi è, così da fargliela pagare”.
- Sì, sì, permesso accordato.
Mentre la Umbridge usciva svelta dall'ufficio, Caramell lanciò un'occhiata maligna a Silente. - Non c'è nulla di meglio di un buon testimone, eh, Silente?
- Assolutamente nulla, Cornelius - concordò Silente in tono grave, inclinando la testa di lato.
Dopo un'attesa di vari minuti, durante i quali tutti evitarono di guardarsi, Harry sentì aprirsi la porta. La Umbridge gli passò accanto, tenendo una mano sulla spalla della ricciuta amica di Cho Chang, Marietta, che si nascondeva la faccia tra le mani.
Harry la guardò, senza poter fare a meno di domandarsi perché la ragazza si nascondesse. Aveva paura di lui?
Marietta era sempre stata presente agli incontri dell’ES. Lei e Cho erano sempre insieme, l’una vicino all’altra. Anche se Harry non le prestava attenzione più di tanto, non si sarebbe mai immaginato un tradimento da parte sua né da nessun altro membro del gruppo.
Perché lo aveva fatto?
La Umbridge continuava ad incoraggiarla a scoprire il viso, dandole dei colpetti rassicuranti sulla schiena. - Andrà tutto bene. Ha fatto la cosa giusta – disse.
Marietta continuava a scuotere la testa, spaventata.
- Su, cara, non essere timida - disse calorosamente Caramell. - Sentiamo cos'hai da dire... Per tutti i gargoyle galoppanti!
Marietta quasi non fece in tempo ad abbassare le mani e alzare la testa che Caramell indietreggiò sgomento, evitando per un pelo di finire nel fuoco del camino, e prese a calpestare imprecando l'orlo bruciacchiato del mantello. Con un gemito, Marietta si tirò il colletto della veste fin sopra gli occhi, ma tutti fecero in tempo a vederle la faccia orribilmente sfigurata da una serie di fitte pustole purpuree che le si allargavano sul naso e sulle guance formando la parola spia.
Harry pensò subito alla sua amica Hermione e al suo brillante cervello, provando un impeto di orgoglio per la sua abilità negli incantesimi, ringraziando persino il cielo per aver avuto un’idea tanto geniale ed efficace.
La Umbridge provò più volte a far scoprire nuovamente il volto alla ragazza, ma Marietta non faceva altro che gemere e scuotere la testa freneticamente.
Dentro di sé Harry cominciò a gongolare.
La Corvonero meritava quella punizione.
- E va bene, sciocca ragazza, glielo dirò io - scattò la Umbridge. - Le cose stanno così, signor Ministro - cominciò, stampandosi sul viso il solito sorriso nauseante. - Questa sera dopo cena, la signorina Edgecombe è venuta nel mio ufficio e ha detto di volermi confidare qualcosa. Se fossi andata in una stanza appartata al settimo piano, nota come Stanza delle Necessità, vi avrei trovato qualcosa di molto interessante. L'ho interrogata più a fondo, e alla fine lei ha ammesso che lassù si sarebbe svolta una specie di riunione. Purtroppo a questo punto è entrata in azione una fattura – disse, stizzita, accennando alla faccia sempre nascosta di Marietta, - e non appena la ragazza si è vista allo specchio è rimasta troppo sconvolta per aggiungere altro.
- Bene bene - ripeté Caramell, fissando Marietta con quella che secondo lui era un'espressione gentile e paterna. - Sei stata molto coraggiosa, mia cara, a raccontare tutto alla professoressa Umbridge. Hai fatto bene. Adesso, da brava, perché non mi dici che cosa succedeva durante queste riunioni? Qual era il loro scopo? Chi vi partecipava?
Marietta scosse di nuovo il capo in silenzio, gli occhi sgranati e impauriti.
- Non c'è una controfattura? - chiese impaziente Caramell alla Umbridge, accennando alla faccia di Marietta. - In modo che possa parlare liberamente?
- Non sono ancora riuscita a trovarla - ammise imbronciata la Umbridge, e l’orgoglio di Harry per Hermione aumentò ulteriormente.
Poi la Umbridge cominciò a raccontare di come, qualche mese prima, uno studente, o meglio uno dei suoi informatori, aveva assistito all’incontro segreto del gruppo alla Testa di Porco, a Hogsmeade, per poi riferirle ogni cosa, parola per parola.
- Lo scopo della riunione - proseguì la professoressa Umbridge, - era persuadere i convenuti a aderire a un'associazione illegale, al fine di apprendere incantesimi e maledizioni che il Ministero ha ritenuto inadatti a studenti così giovani...
- Penso che a questo proposito scoprirà di essersi sbagliata, Dolores - disse pacato Silente, scrutandola al di sopra degli occhialetti a mezzaluna appollaiati a metà del naso storto.
Harry lo fissò, provando un'orribile sensazione di vuoto allo stomaco.
Non riusciva a capire come il Preside potesse sperare di tirarlo fuori dai guai; se l’informatore della Umbridge aveva davvero sentito tutto quello che era stato detto alla Testa di Porco, per lui non c'era scampo e nemmeno per l’ES.
- Oho! - esclamò Caramell, oscillando sulla punta dei piedi. - Sì, sentiamo la tua ultima trovata per salvare il collo a Potter! Avanti, Silente, va' avanti... L’informatore ha mentito, no? O forse quello alla Testa di Porco era il gemello di Potter? O magari è la solita spiegazione semplice semplice che coinvolge un viaggio nel tempo, un morto che torna in vita e un paio di Dissennatori invisibili?
Percy Weasley scoppiò a ridere.
- Questa è buona, Ministro, davvero buona!
Harry soffocò l'impulso di prenderlo a calci. Da quando era diventato così viscido?
Poi, stupefatto, vide Silente sorridere affabile.
“A che gioco sta giocando?”, si domandò, sospettoso.
Si toccò la tempia destra, provando una fitta di dolore acuto e bruciante. Sentì qualcosa di umido sfiorargli le dita e ricordò che il sangue continuava a scorrere a causa della botta.
A lungo andare, il dolore che aveva ignorato fino a quel momento tornò, aumentando ulteriormente.
La vista cominciò ad annebbiarsi, la stanza a vorticare.
Stava per svenire.
La sua mano cercò freneticamente un appiglio per non cadere. La professoressa McGranitt lo notò e attraversò la stanza appena in tempo per sorreggerlo.
Lo accompagnò alla sedia più vicina, esaminando accuratamente la ferita. Harry sembrò non notarlo nemmeno.
Era tutto così confuso...
- Perché non l’avete portato in infermeria? - esclamò la professoressa. Accarezzò il volto di Harry con una mano mentre con l’altra tamponava delicatamente la ferita con un fazzoletto.
- Oh, sta bene – ribatté la Umbridge. - La sua è tutta scena.
La McGranitt si voltò, guardandola con occhi fiammeggianti. - Tutta scena? - sbraitò, in preda alla collera.
- Minerva, saresti così gentile da scortare il signor Potter in infermeria? - chiese Silente a voce bassa.
- Eh, no! - protestò il Ministro. - Il ragazzo non si muove da qui. È sotto accusa fino a prova contraria.
- Non siamo di certo in un tribunale – protestò Silente. - Il signor Potter ha bisogno di cure. Non vorrai che perda coscienza per un tuo capriccio, vero Cornelius?
Il Ministro si sentì avvampare sulle guance. Si schiarì la voce e fece cenno all’uomo dai capelli biondi vicino a Kingsley di avvicinarsi. - Scorta il ragazzo in infermeria. Nessuno deve avvicinarsi a lui. Tienilo d’occhio.
L’uomo annuì, ubbidiente, e si avvicinò a Harry e lo aiutò a sollevarsi un po’. Sorreggendolo per la vita lo portò verso l’uscita.
Harry sentì la voce sommessa della professoressa McGranitt dire qualcosa al Ministro, ma non riuscì a cogliere bene le parole. Intuì che fosse una specie di insulto velato, una protesta, ma prima che riuscisse a indovinare le gambe cedettero e l’uomo fu costretto a prenderlo in braccio.
- Piano, Potter – sussurrò l’Auror, Simon Clarke.
Mentre lo scortava di peso verso l’infermeria, in quel momento, Simon provò una gran pena per Harry.
Conosceva bene la sua storia, come ogni mago o strega, e ammirava il modo in cui aveva lottato per tutti quegli anni, sovrastando anche la famigerata Dolores Umbridge: la piaga del Ministero.
Era persino riuscito a mettere i piedi in testa al Ministro! Quel ragazzo aveva fegato da vendere. Ma in quel momento era completamente inerme tra le sue braccia.
Guardarlo fece scattare un gran senso di colpa nella mente di Simon. Harry era solo un ragazzo… e in quel momento aveva tutto il mondo magico contro. La sua unica colpa era sostenere che il Signore Oscuro era tornato.
“Sarebbe da stupidi mentire su una cosa tanto delicata e importante, no?”, pensò. Infatti, lui credeva ciecamente a Harry, nonostante questo significasse remare contro il Ministro in persona.
Nonostante avesse paura, mentre teneva stretto tra le braccia il ragazzo sopravvissuto, Simon Clarke promise che avrebbe lottato al suo fianco per portare la pace nel loro mondo, o sarebbe morto provandoci, con la bacchetta stretta tra le dita.

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 – FUOCHI E FIAMME ***


Capitolo 34 – Fuochi e fiamme

Harry si risvegliò poco dopo in infermeria, con un grosso cerchio alla testa. Si guardò intorno. Madama Chips era lì, tra un sospiro e l’altro, ad armeggiare con pozioni e bendaggi.
- Come ti senti, Potter? - domandò con il suo solito tono burbero e, allo stesso tempo, amorevole.
Harry si mise a sedere sul letto aiutandosi con i gomiti. - Come uno che è stato messo in un frullatore gigante – biascicò con un sorriso.
- Smettila di sorridere, Potter. È una cosa seria – lo rimproverò Madama Chips, cambiando il bendaggio attorno alla sua testa. - Somigli sempre di più a tuo padre – sussurrò debolmente.
Harry ne fu lusingato, nonostante la circostanza non fosse tanto felice per la sua povera testa.
Continuò a sorridere, lasciando che l’infermiera gli medicasse la ferita. Bruciava un po’, ma era sopportabile.
Fu in quel momento che notò la figura alta e atletica di un uomo ai piedi del suo letto. Era lo stesso uomo che era nell’ufficio di Silente. Le maniche della camicia bianca erano arrotolate fino ai gomiti, scoprendo gli avambracci muscolosi. La giacca scura era appesa alla sbarra di ferro del letto.
Dal modo in cui quell’uomo gli sorrideva, sembrava felice di vederlo.
Harry lo guardò, confuso, cercando di ricordare perché fosse lì con lui. Socchiuse leggermente gli occhi. - Mi ha portato lei qui? - gli domando, diffidente.
Il sorriso dell’uomo si ampliò. - Sì, signor Potter – rispose nel tono più educato possibile. - Il mio nome è Simon. Simon Clarke.
- Lei è un Auror?
Simon annuì. - E, nonostante questa sia una circostanza un po’ particolare, ci tenevo a dirle che per me è un vero piacere conoscerla.
Harry lo guardò, un po’ dubbioso. - Amh... Grazie?
Ci fu un breve silenzio, nel quale l’Auror si passò una mano tra i capelli biondi per poi sbuffare a ridere. - Patetico, eh? Come minimo avrà sentito un milione di volte una frase così...
Harry rispose facendo spallucce, poi un sorriso affiorò nuovamente sulle sue labbra, contagiato da quello di Simon. Aveva un che di affascinante.
Harry si fermò a studiarlo per bene; sembrava una brava persona, tranquilla. Sapeva, però, per esperienza personale, quanto l’apparenza potesse ingannare. Per un attimo ripensò all’anno prima, quando si era fidato del falso Alastor Moody.
Era stato un cieco. Un vero sciocco.
Ma quell’esperienza gli era servita come monito, quindi era sempre meglio tenere un occhio aperto. Anche due, se necessario.
L'Auror abbassò lo sguardo e sospirò. - Mi… mi dispiace per quello che è successo. La Umbridge… - disse, - sa essere un vero incubo.
- Oh, ha sicuramente dei metodi singolari.
- Quel lurido anfibio da strapazzo – borbottò Madama Chips, entrando brevemente nella conversazione. - È sempre stata un po’ schizzata, se volete un mio parere.
“Se solo sapesse quanto…”, si disse Harry ripensando alla Maledizione Cruciatus. Un brivido gli percorse la schiena, dandogli la breve sensazione di essere ancora sotto l’influsso dell’incantesimo.
Simon lo aveva visto tremare, provando una spiacevole sensazione. Come un presentimento. Fissò lo sguardo su di lui per qualche istante, cercando di capire a cosa stava pensando, senza riuscirci. Harry aveva un’aria piuttosto strana.
Quando Madama Chips terminò la medicazione, li lasciò soli. Con la speranza di tenere a freno il mal di testa, Harry appoggiò la testa sul cuscino e chiuse gli occhi per un breve istante. Poi sospirò.
- Ha intenzione di rimanere qui a fissarmi ancora per molto? È un po’ inquietante.
Simon sorrise appena, divertito, e disse: - Sono qui per tenerti d’occhio, Potter. Ordini del Ministro…
- Oh, fantastico – commentò Harry, ridendo senza allegria.
- Posso… posso chiamarti Harry? - domandò dopo un po’ l’Auror.
Harry annuì. Odiava quando lo chiamavano “signor Potter”. La maggior parte delle persone tendeva a chiamarlo in quel modo soprattutto in quel periodo. “Signor Potter di qua”, “signor Potter di là”… era davvero fastidioso.
- Volevo solo dirti che… io ti credo – disse Simon, ed era sincero. - Non approvo le scelte del Ministero in questi tempi. E… detto tra noi… il Ministro è un po’ fuori di testa – sussurrò infine.
Quelle parole furono come un dolce balsamo per Harry e riuscirono a farlo sentire meglio, ma non abbassò comunque la guardia. Non poteva fidarsi di lui.
La voce di Moody gli risuonò nelle orecchie: “Ci vuole vigilanza costante!”.
- Grazie, Simon.
L’uomo gli fece l’occhiolino e gli diede una piccola pacca sul ginocchio, con un sorriso stampato sulle labbra.
Harry lo trovava simpatico… ma forse era a causa del colpo che aveva preso alla testa.

A qualche piano di distanza, invece, Ginevra, Angelina e i gemelli Weasley stavano cercando Harry in lungo e in largo. Quando raggiunsero la Sala Comune di Grifondoro, incontrarono Ron e Hermione. Avevano l’aria preoccupata.
- Avete visto Harry? - chiesero tutti contemporaneamente.
Hermione sospirò, battendo il piede sul pavimento nervosamente. - Spero non gli sia successo niente. forse è scappato e ha raggiunto uno dei nascondigli o magari...
Ginevra scosse la testa. - È stato preso.
Ron imprecò. Tirò un calcio al divanetto lì accanto. - E ora che si fa? È da solo!
- Lo troveremo – disse Fred. Il suo tono era rassicurante, ma c’era qualcosa nel suo sguardo che andava in contrasto con la sua voce. Anche lui era preoccupato per Harry.
Più il tempo passava, più l’ansia aumentava.
Alla fine decisero di separarsi, così da avere più probabilità per trovare Harry e Fred diede a ognuno di loro una spilla arancione con una ‘W’ stampata sopra. - Se trovate Harry toccate la spilla.
- Chi lo farà lancerà un segnale agli altri…
- … e noi sapremo che è al sicuro.
- Poi ci incontreremo tutti nel cortile – continuò George.
- Perché? - domandò Ron.
- Io e George abbiamo un piano per distrarre la Umbridge…
- … e riteniamo che un po’ di confusione...
- … sia proprio quello che ci vuole per uscire di scena col botto – concluse Fred.
- Ma non dovete! - esclamò Hermione. - Assolutamente! Ne approfitterebbe per espellervi!
- Silente non lo permetterebbe mai – disse Ron. - Gliela farà passare liscia come sempre.
- Ma la Umbridge ha il Ministero dalla sua parte! - si intestardì Hermione. - Non possono rischiare il loro futuro solo per distrarla!
- Proprio non ci arrivi, eh? - Fred le sorrise. - Non c'interessa restare qui. A nessuno di noi – disse indicando anche Angelina e Ginevra. - Hogwarts non è più come un tempo.
Ginevra annuì, trovandosi d’accordo con lui. Un tempo Hogwarts era come una casa per lei, ma ora non lo era più. Quel castello era diventata una vera prigione.
- Ce ne andremo non appena troveremo Harry, d’accordo? – disse. Guardò George e lo prese per mano, intrecciando le dita alle sue e sfiorandone dolcemente ogni centimetro.
George annuì e controllò l’orologio al suo polso. - Speriamo solo che lo spettacolo non cominci senza di noi…
- … altrimenti possiamo dire addio alla nostra via di fuga.
- Che intendete dire? - domandò Angelina, curiosa.
- Lo vedrai… Lo vedrai – le rispose Fred enigmatico.

Nel frattempo in infermeria, l’aria era un po’ più rilassata. Ma ancora per poco. Harry e Simon avevano passato un bel po’ di tempo a chiacchierare e a scherzare tra loro. Poi Kingsley li raggiunse e Simon scattò subito in piedi come una molla, proprio come uno di quei soldati che Harry aveva visto nei vecchi film sulla guerra.
Kingsley lanciò a Harry una semplice occhiata, senza dire una parola. Aveva una faccia strana, quasi gongolante, ma sembrava che si stesse trattenendo. Si avvicinò a Simon, sussurrandogli qualcosa all’orecchio, con circospezione. Purtroppo Harry non riuscì a sentire una sola parola di quello che si dicevano, ma la risposta non tardò ad arrivare. In infermeria erano appena entrati anche il Ministro, la guardia del corpo, la Umbridge e Percy Weasley. Sembrava che tutti loro avessero un diavolo per capello.
- Dov’è? - strepitò Caramell, furioso. - Dov'è?
- Non è qui, signore – disse Kingsley, voltandosi verso di lui.
Gli occhi del Ministro si fissarono su Harry. Avanzò in fretta verso di lui puntandogli il dito contro. - Tu sai dov’è – lo accusò. - Tu sai dov’è, non è vero? Dimmelo!
Harry aggrottò la fronte. - Chi?
- Non prendermi in giro, Potter – sbottò Caramell. - Dov’è Silente?
- Silente? - ripeté Harry, confuso.
- Mi permetta, Ministro, ma credo che il ragazzo non sappia nulla – intervenne Kingsley, con voce lenta e profonda.
Il Ministro riacquistò faticosamente la calma. Si allontanò quel tanto che bastava per spolverarsi la veste, come per evitare gli sguardi di chi lo circondava. Dopodiché chiese a Percy di contattare una squadra di Auror e di informarli della fuga di Silente, attivando una caccia all’uomo.
Quando Percy uscì dall’infermeria seguì un lungo silenzio impacciato nel quale un sospetto improvviso, connesso al sussurri di Kingsley e Simon, si affacciò nella mente di Harry.
- Dolores – disse Caramell, con l'aria di chi voleva chiarire la faccenda una volta per tutte, - mi dia la lista...
Inorridito, Harry la vide estrarre dalla tasca la lista di nomi che avevano affisso alla parete della Stanza delle Necessità e consegnarla a Caramell.
“Come l’hanno avuta?”, pensò, cominciando ad avvertire il panico.
Ora il Ministro sfoggiava un sorriso soddisfatto. - Riconosci questa lista? - domandò senza smettere di sorridere, sventolandogli la lista davanti agli occhi. - Mi è bastato vedere il tuo nome per avere la conferma di cosa si trattava.
Kingsley lanciò a Harry uno sguardo di avvertimento.
Doveva mantenere la calma, ma non poté fare a meno di domandare: - Dov’è Silente?
- Oh, è curioso che tu lo chieda, Potter – disse il Ministro. - Il tuo caro “generale” è scappato. Ha abbandonato te e il suo caro Esercito di Silente.
Harry sgranò gli occhi.
“Scappato? No, non può essere!”.
- Harry! - urlò una voce.
Lui alzò lo sguardo, ancora un po’ sconcertato dalla notizia, verso l’ingresso dell’infermeria: sua sorella era lì, trafelata. Aveva l’aria di una che aveva corso per tutto il castello per trovarlo. Stava per avvicinarsi al suo letto, ma la guardia del corpo di Caramell la fermò, trattenendola per le braccia.
- Ehi! - protestò Harry. Stava per scattare fuori dal letto, ma Kingsley lo fermò per la seconda volta.
- Oh, signorina Black. Stavo giusto per mandare qualcuno a cercarla – disse il Ministro, fissandola con una soddisfazione terrificante.
- Che cosa significa tutto questo? - sbottò Ginevra, furiosa. I suoi occhi erano fissi sul Ministro della Magia.
Lui guardò la lista e sorrise maligno, fingendo che lei non avesse nemmeno parlato. - Lei è la seconda sulla lista. Mi ha risparmiato un gran fastidio.
Ginevra cercò di liberarsi dalla morsa dell’uomo, ma fallì. I suoi occhi, notò Harry, sembravano bruciare di rabbia.
- Bene, bene, bene... Silente è sparito, ma questo è un problema che risolverò in seguito. Ero venuto qui pensando di espellere Potter, e invece… - disse il Ministro. Sembrava che si sforzasse di essere premuroso, ma continuava a guardare Harry e Ginevra con una specie di folle esultanza. - Vi espellerò entrambi.
- NO! Non può farlo! - gridò Harry.
- Mantenga la calma, signor Potter – lo zittì Caramell. - Possiamo evitare tutto questo solo se… - guardò Ginevra, - risponderete a delle domande.
Harry aggrottò la fronte, confuso. Davanti a sé vide la Umbridge sorridere beata e porgere una fialetta all’uomo che bloccava Ginevra, poi la sua visuale su di lei venne oscurata da quella imponente di Kingsley che avvicinava la stessa fialetta alla sua bocca: il Veritaserum.
- Fingi di bere – lo avvisò in un sussurrò appena percettibile, in modo che solo lui potesse sentirlo. Harry obbedì, dopodiché Kingsley si allontanò, riponendo la fialetta ancora piena nella sua tasca.
Quando Harry lanciò un’occhiata verso Ginevra un brivido gli percorse la schiena. Quell’Auror le aveva fatto bere il Veritaserum con la forza e la Umbridge sorrideva soddisfatta come una bambina alle prese con un giocattolino nuovo.
Il Ministro si protese verso Ginevra. - Dov'è Albus Silente?
- Perché dovrei saperlo? - rispose lei, assottigliando lo sguardo. Continuò a muoversi, nel tentativo di liberarsi da quell’energumeno che la teneva stretta, ma quello non la mollava.
- D’accordo. Proviamo di nuovo - disse il Ministro, sempre sorridendo. Si voltò verso Harry. - Allora, Potter, smettiamola con questi giochetti. Io so che tu sai dove si trova. Voi due ci siete dentro fino al collo, dall'inizio.
- Non so dov’è - ripeté Harry.
- Molto bene - disse il Ministro, decisamente contrariato. - In tal caso dovete dirmi dove si trova Sirius Black.
Harry sentì una morsa chiudergli lo stomaco. Ginevra gridò una serie di insulti a Caramell, muovendosi con più ferocia tra le braccia della guardia del corpo del Ministro fino a quando la Umbridge non le puntò la bacchetta contro, legandola con una corda.
- Non lo so – rispose Harry, un po' troppo in fretta.
- Signor Potter - disse la Umbridge, - le ricordo che in ottobre ho quasi catturato il criminale Black nel camino di Grifondoro. So perfettamente che era lì per incontrarsi con lei, e se ne avessi avuto le prove nessuno di voi due sarebbe in libertà al momento, glielo assicuro. Allora, signor Potter… faccia il bravo e ci dica dov'è Sirius Black.
Harry serrò la mascella e la fulminò con lo sguardo. - Io non lo so – ripeté a denti stretti. - Non ne ho la minima idea.
La professoressa Umbridge agguantò Harry per una spalla, tirandogli uno schiaffo violento sulla guancia. - Bugiardo - sussurrò.
- Non osare toccarlo, stronza! - urlò Ginevra, sempre più in collera.
In un secondo, Kingsley si fece avanti e la Umbridge si allontanò di scatto da Harry, agitando la mano come se si fosse scottata.
- Farà meglio a calmarsi, Madama Umbridge - la invitò Kingsley con la sua lenta voce profonda. - Non vorrà mettersi nei guai…
- Sono spiacente – disse lei guardando il Ministro. - Non accadrà più.
Non era affatto dispiaciuta, lo si poteva leggere nei suoi occhietti acquosi carichi di soddisfazione.
- Farò finta di non aver visto nulla, Dolores – commentò invece Caramell, abbassando la voce, turbato da quell'aggressione improvvisa. Le voltò le spalle e guardò Harry, un po’ mortificato. Sospirò. - Il signor Potter ha bevuto il Veritaserum, quindi non ha mentito.
Harry era rimasto immobile esattamente dove la Umbridge l'aveva lasciato. La guancia bruciava, ma non gli importò più di tanto. Pensò, piuttosto, a tutto quello che aveva subito a causa di quella donna negli ultimi mesi: le torture, le punizioni, la Maledizione Cruciatus…
Assottigliò lo sguardo, fissandolo sulla donna. Provava un odio talmente profondo da ribollirgli nelle vene.
Era stanco.
Voleva farle del male.
Voleva farle provare la stessa sofferenza che aveva provato lui. La stessa con la quale aveva marchiato ogni studente a Hogwarts. Doveva pagare.
Quelli erano gli stessi pensieri di sua sorella. Tutta la rabbia che aveva accumulato sembrava averle dato la forza necessaria per reagire. In un attimo si sentì come pervasa da un forte calore in tutto il corpo… le sue mani bruciavano… le corde attorno al suo corpo si sciolsero e lei fu libera.
Una volta in piedi si avvicinò alla Umbridge. Le afferrò il braccio sinistro, stringendo forte, facendola voltare.
- Non toccare mio fratello – sibilò Ginevra a denti stretti. I suoi occhi erano pieni di furia.
La Umbridge sembrava terrorizzata a morte, ma tentò comunque di apparire forte. - Come osi toccarmi! - strillò. - Levami subito le mani di dosso!
Gli occhi della ragazza si assottigliarono e la stretta attorno al braccio della Umbridge aumentò. Delle fiamme sgorgarono dalla sua mano, cominciando a bruciare il braccio della donna.
Le urla arrivarono poco dopo.
Gli Auror provarono a fermarla, senza successo; il primo cadde a terra con un’ustione al braccio prima ancora che potesse scagliarle contro un incantesimo. Lei si era voltata di scatto, guardandolo con occhi spiritati, e lo atterrò con un semplice gesto della mano.
Simon Clarke fu il secondo ad attaccare e a cadere subito dopo, così come Kingsley; entrambi sbalzati via da una forte fiammata scaturita dalle mani della ragazza.
Si voltò nuovamente verso la Umbridge che cominciò a supplicare: - Lasciami andare, ti prego! Non lo toccherò più... L-lasciami andare! - ma Ginevra rimase impassibile. Alla fine la donna cominciò a piangere e a gridare sempre di più per il dolore al braccio, ancora stretto nella morsa di fuoco.
Harry guardò la scena a occhi sgranati. Sua sorella non era in sé. Sembrava posseduta, oscura e sinistra. Il fuoco che aveva avuto origine dalle sue mani, in quel momento, le avvolgeva tutto il corpo. I suoi occhi erano diventati rossi come il sangue.
Sentì uno squittio spaventato da sotto il suo letto, ma non si abbassò per vedere chi fosse. Lo sapeva già: era il Ministro Caramell. Si era nascosto nella speranza di non essere preso di mira come gli altri.
- Lasciami andare, Black! - protestava la Umbridge, in lacrime. - Abbi pietà…
- Pietà? - rise lei, schernendola. - Perché mai dovrei avere pietà per una come te? - Si chinò improvvisamente su di lei, gli occhi scintillavano d’odio. - Sarebbe tempo sprecato – disse minacciosa. Poi la sua mano si strinse attorno al collo della Umbridge.
Harry poté quasi sentire il battito della donna accelerare. Preoccupato per ciò che stava per accadere, provò a fermarla: - Ginevra, non farlo.
Lei lo ignorò. Aumentò la stretta attorno al collo della Umbridge, sfoggiando un sorriso spietato sulle labbra.
La Umbridge non riusciva a respirare, non riusciva a fare nulla.
- Gin… ti prego, non farlo – disse Harry. Provò ad alzarsi dal letto, nonostante l’incessante mal di testa che lo privava della libertà di movimento.
- Abbiamo già sopportato a sufficienza i soprusi, le torture fisiche e mentali – sibilò Ginevra. - Direi che è giunto il momento di porre fine a tutto questo.
Accadde in un’istante.
Harry scattò verso la sorella, afferrandole il braccio, e un’improvvisa ondata di calore li invase. La luce emanata dal loro contatto lo accecò temporaneamente, destabilizzandolo.
Quando riaprì gli occhi vide Ginevra con le mani ancora strette attorno al collo della Umbridge. - Perché vuoi fermarmi? - domandò, in preda alla collera. - Ti ha fatto del male. Lo so. Lo sento… è colpa sua se sei qui – indicò il letto dell’infermeria e poi si voltò nuovamente verso la strega. - Merita di soffrire.
- Non così – protestò Harry. Il suo viso era stravolto dalla paura. - Non in questo modo. Non per mano tua… lasciala andare. Non voglio che tu faccia questo. Io non… non voglio perderti.
Ginevra si voltò nuovamente verso il fratello, guardandolo dritto negli occhi velati. E fu allora che qualcosa s’incrinò dentro di lei.
Tornò in sé, cominciando a tremare, spaventata.
Allentò la presa sul collo della Umbridge che scivolò sul pavimento cominciando a tossire rumorosamente.
- Io… Io non… - balbettò Ginevra. Era tutto confuso.
Guardò la Umbridge, sdraiata ai suoi piedi, che si stringeva la mano sana attorno al collo cercando di respirare regolarmente tra un colpo di tosse e l’altro.
Ginevra cominciò a pensare a ciò che era appena successo.
Non sapeva da dove fosse nata tutta quella rabbia…Sapeva solo che non aveva intenzione di uccidere la Umbridge, voleva solo torturarla. O almeno così credeva all’inizio.
Quella rabbia… Non aveva mai provato una rabbia tanto feroce. L’aveva fatta crescere dentro di sé, senza sapere di averne pieno controllo. La sensazione di potere in cui era stata avvolta era diventata talmente appagante da sopraffarla.
Poi arrivò il fuoco.
“Da quando so padroneggiare il fuoco?”, si domandò spaventata.
Sperava di sentire la voce di Entity, ma, proprio come temeva, lei rimase in silenzio. Era sparita. Aveva assorbito il suo potere come l’ultima volta.
Ma prima che Ginevra cadesse preda del potere Entity l’aveva avvertita di non esagerare, di smettere di prendere il suo potere, ma lei non l’aveva ascoltata. In quel momento la rabbia le aveva offuscato la mente. Il ricordo della sua debole voce le rimbombava ancora nella testa. La speranza che si riprendesse presto venne subito sostituita dal terrore di ciò che aveva fatto.
Si guardò attorno e vide gli Auror privi di sensi agli estremi della stanza. Il povero Kingsley aveva persino una bruciatura sul volto… Quella scena riuscì ad aumentare i suoi sensi di colpa.
- Che cosa ho fatto?
Harry la attirò a sé e l’abbracciò. - Non è successo niente. Non è colpa tua – le ripeteva, ma lei sapeva che non era la verità.
Era colpa sua. Era stata lei a fare tutto quello. L’aveva voluto.
Quando la Umbridge tornò a respirare cominciò a minacciarla con la sua vocetta stridula. - Non te la farò passare liscia. Mi hai sentito? Non mi interessa chi sei o cosa sai fare, io ti distruggerò! Ti spedisco ad Azkaban seduta stante! - urlò, additandola. Poi si toccò il braccio, ormai quasi carbonizzato, cercando di trattenere le lacrime e le urla di dolore.
La fulminò con lo sguardo e tornò a minacciarla sguainando la bacchetta.
Harry si interpose tra loro, facendo scudo a sua sorella con il suo corpo. - Lei non farà niente di tutto ciò, professoressa.
- Come prego?
A quel punto il Ministro uscì dal suo nascondiglio. Tremava e guardava Ginevra a occhi sgranati. - È finito? È tutto finito? - domandò.
- Scappa – sussurrò Harry alla sorella. - Qui ci penso io. Vai!
Nonostante fosse disarmato, era pronto a combattere.
- No – ribatté Ginevra, riacquistando un po’ di lucidità. - Io non ti lascio.
Le sue mani erano nuovamente avvolte dalle fiamme. Caramell la guardò, spaventato, reprimendo l’istinto di nascondersi nuovamente sotto il letto.
Anche la Umbridge notò le fiamme e indietreggiò. - Non oserai...
Ginevra immaginava le fiamme attecchire dappertutto, facendo divampare l’incendio all’interno dell’infermeria. L’istinto non faceva altro che urlare “fallo”, ma lei non voleva. Non poteva.
L’unica voce che voleva sentire era quella di Entity. Almeno, pensò Ginevra, lei poteva mandarla al diavolo per poi trovare una soluzione migliore di quella. Appiccare un incendio non poteva essere la soluzione.
Quando Madama Chips entrò nell’infermeria calò il silenzio. Si guardò intorno. Aveva tutta l'aria di aver appena ricevuto un ceffone sul viso. - Cosa diamine è successo qui? - urlò, correndo verso i tre Auror privi di sensi a terra.
Chiamò a gran voce Bernadette, la sua specializzanda, in cerca di aiuto, e Ginevra decise di cogliere la palla al balzo: quella era l’occasione giusta per scappare.
- Corri – sussurrò a Harry e insieme si precipitarono fuori dall’infermeria.
- FERMI! - urlava la Umbridge, lanciando un incantesimo dopo l’altro per bloccarli. Ginevra rispondeva lanciando lingue di fuoco dalle mani, così da rallentarla.
Nonostante il suo nuovo e sconosciuto potere fosse difficile da padroneggiare lei si lasciò guidare dall’istinto. Pensava solo a dove voleva rivolgere il getto di fuoco e il potere eseguiva… anche se non proprio alla lettera; più volte si era trovata a sbagliare mira, colpendo arazzi e qualche quadro appeso al muro, ma almeno erano riusciti a scappare.
Avevano raggiunto l’ufficio di Silente. Non sapevano se erano arrivati fino a lì consapevolmente o se era stato proprio Harry a portarli, ma quando si trovarono al suo interno si sentirono fuori posto più del solito. I quadri dei vecchi presidi appesi ai muri li guardavano dall’alto in basso, chiacchierando tra loro. Poi Phineas Black si rivolse ai due ragazzi sfoggiando un sorriso pomposo: - Avete saputo, eh? - disse. - Certo, non si può negare che Silente abbia stile.
- Cos’è successo? Dov’è Silente? - domandò allora Ginevra.
- Silente è scappato – disse Harry. - Me l’ha detto Caramell.
- Scappato?
- A quanto pare il Ministro crede che l’ES sia opera sua e voleva arrestarlo, ma lui è scappato – spiegò Harry brevemente.
- Come stai, Potter? Ti senti meglio? - domandò una donna in un quadro in alto.
- Meglio. La ringrazio – rispose, toccando istintivamente la fasciatura alla testa. Erano successe così tante cose che aveva quasi dimenticato di averla.
- Siamo al sicuro qui?
- Oh, non preoccuparti, mia cara nipote – disse Phineas. - Silente si era preparato a questo momento. In caso di fuga, il passaggio si chiude automaticamente. Il gargoyle vi ha fatto passare perché voi siete gli unici autorizzati, ma per la Umbridge e per chiunque altro è sigillato.
- Spero che lei e il Ministro stiano correndo per il castello in cerca di Silente – sghignazzò il quadro di un mago dai lunghi capelli bianchi. - Sarebbe uno spettacolo divertente.
- Smettila, Dippet! - lo rimbrottò una strega. - Non vedi che questi ragazzi hanno bisogno di aiuto?
Il preside Dippet le fece la linguaccia, dopodiché sorrise ai due ragazzi con fare amorevole. - In cosa possiamo aiutarvi, miei cari ragazzi?
- Stiamo scappando dal Ministro e dalla Umbridge.
- Sì, lo sappiamo. Madama Olivia ci ha raccontato tutto – disse il quadro di una bella strega dai capelli corvini sopra Dippet. Aveva indicato il ritratto di una donna accanto a lei: aveva quasi la stessa uniforme da infermiera vittoriana di Madama Chips, tranne per il colore. Anziché bordeaux era blu. Sul petto sfoggiava una grande spilla da Guaritrice, proprio come Madama Chips. Né Harry né Ginevra riuscirono a ricordare che in infermeria ci fosse un ritratto di quella Guaritrice.
Madama Olivia li salutò con un breve cenno del capo e un dolce sorriso, ma i due fratelli notarono subito che quel sorriso andava in contrasto con i suoi movimenti. La Guaritrice sembrava agitata e i suoi occhi andavano da una parte all’altra, pur di non incrociare quelli di Ginevra.
- Possiamo usare una passaporta? - domandò Harry a Phineas.
- Passaporta? Vuoi scherzare? Solo Silente può giocare con le regole del castello. Noi non possiamo aiutarvi. Siamo solo dei quadri.
- Quanto sei borioso, Phineas! - esclamò la strega dai capelli corvini. Il suo bel volto era corrucciato. - Non puoi contattare qualcuno nel tuo altro quadro e chiedere aiuto per questi poveri ragazzi?
Phineas sbuffò, annoiato. - Va bene… ma solo perché sono io a volerlo fare e non perché me l’hai chiesto tu, Emilia – e dopo averlo detto sparì.
- Vedrete, tornerà subito – disse la strega di nome Emilia con un sorriso rassicurante.
Harry annuì, sforzandosi di sorridere, ma dentro di sé vi era il pieno caos. Una confusione tale da mandargli quasi in pappa il cervello.
Cos’era successo in infermeria? Sua sorella aveva davvero evocato il fuoco senza l’uso della bacchetta? Avrebbe ucciso la Umbridge se lui non l’avesse fermata? Troppe domande a cui temeva di dare delle risposte.
Guardò Ginevra. Aveva incrociato le braccia al petto, come per difendersi da qualcosa o persino, pensò lui, da sé stessa. Il suo sguardo era basso, impaurito, dandogli la sensazione che, in realtà, temeva di incrociare proprio il suo sguardo.
Le passò un braccio attorno alle spalle, un gesto che non era riuscito a reprimere, e la attirò a sé. - Vedrai che andrà tutto bene.
- No, Harry. Non è vero – rispose lei con un amaro sorriso sulle labbra. Incrociò il suo sguardo e lui poté vedere la sofferenza nei suoi occhi. - Ho quasi ucciso una persona.
- Quasi – ripeté Harry. - Ma non l’hai fatto. C’è differenza.
Ginevra abbassò nuovamente lo sguardo, affranta. - No. La differenza c’è. Mi sto trasformando in un…
- Non osare finire la frase – la interruppe Harry a mezza voce.
Sapeva già cosa stava per dire: “Mi sto trasformando in un mostro”. Era una bugia, Ginevra non era un mostro e lui lo sapeva. Ne era più che convinto.
- Hai una voce nella testa, e allora? - continuò. - Hai la capacità di evocare il fuoco, e allora? Tutto questo, e molto altro ancora, ti rende ancora più speciale di quello che eri già. Sei mia sorella… non sei un mostro.
Ginevra tremò e si lanciò tra le braccia di Harry, stringendolo forte. Lui posò il mento sulla sua spalla e l’abbraccio a sua volta, tenendola stretta come se non volesse lasciarla andare via mai più.
Passo parecchio tempo prima che lui parlasse di nuovo. - Qualunque cosa accada, sarai sempre mia sorella.
- E tu sarai sempre mio fratello – riuscì a sussurrare lei tra le lacrime che scendevano silenziose. - Ti voglio bene, Harry.
Lui sorrise e le diede un piccolo bacio sulla guancia, ripetendole quanto le volesse bene.
Ad un tratto ci fu un gran boato al piano inferiore che fece perfino tremare il pavimento. Harry e Ginevra sciolsero appena l’abbraccio, restando comunque uniti per mantenere l’equilibrio.
Sbigottiti, i vecchi presidi scivolarono di lato nei loro ritratti come una serie di tessere del domino.
- Che cosa succede? - urlò la strega di nome Emilia, mentre urtava un’altra strega con il suo peso.
Harry stava guardando la porta. Dal piano di sotto arrivava un frastuono di urla e passi di corsa.
- Oh, merda! - imprecò Ginevra. Levò la bacchetta e si precipitò fuori dall'ufficio.
- Cosa? Che succede? - Harry era confuso, ciononostante si affrettò a seguirla per vedere l'origine di quel pandemonio.
Un piano più sotto regnava il caos. Qualcuno aveva dato fuoco a quella che sembrava un'intera cassa di fuochi d'artificio magici.
Draghi formati da scintille verdi e oro sfrecciavano nei corridoi emettendo vampe roventi e botti assordanti; girandole rosa shocking grandi quasi due metri sibilavano nell'aria, simili a pericolosi dischi volanti; razzi dalle lunghe code di luccicanti stelle argentate rimbalzavano sui muri; bengala tracciavano parolacce a mezz'aria; petardi esplodevano dappertutto come mine; e invece di consumarsi e svanire, (o fermarsi e spegnersi), tutte quelle meraviglie pirotecniche sembravano acquistare energia e velocità.*
Ginevra ne era estasiata. - Quei pazzi l’hanno fatto davvero! - sussurrò. Ma Harry credeva lo dicesse più a sé stessa che a lui.
- Fred e George? - domandò, conoscendo già la risposta.
Lei annuì, toccando la spilla arancione appuntata sulla propria maglietta. Harry notò la grossa ‘W’ e aggrottò la fronte. - Avete un piano? - domandò, curioso.
A qualche metro di distanza vide la Umbridge, il Ministro e Gazza il guardiano, che si chinavano di scatto con uno strillo atterrito mentre una delle girandole più grandi sfrecciava fuori dalla finestra alle loro spalle. Nel frattempo, diversi draghi e un grosso pipistrello violetto che emetteva minacciosi sbuffi di fumo approfittarono della porta aperta in fondo al corridoio per svignarsela verso il secondo piano.
- Bene, Dolores – disse Cornelius Caramell. - Vedo che lei ha pieno controllo della situazione. Le lasciò sbrigare la faccenda. Io ho… ho molto da fare. Buona giornata! - E corse via, lasciando Gazza e la Umbridge da soli contro la schiera di fuochi d’artificio impazziti.
- Svelto, Gazza! - strillò la Umbridge, dall’altra parte del corridoio. - Se non facciamo qualcosa si spargeranno per tutta la scuola... Stupeficium!
Uno zampillo di luce rossa scaturì dalla punta della sua bacchetta e centrò un razzo... ma invece di bloccarsi, quello esplose con tanta violenza da aprire un foro nel quadro di una strega dall'aria melensa in mezzo a un campo; la strega riuscì a fuggire appena in tempo, per riapparire pochi secondi dopo schiacciata nel quadro vicino, dove due maghi impegnati in una partita a carte si alzarono galantemente per farle posto.*
Ginevra prese il fratello per mano, ridendo, e insieme cominciarono a correre verso il cortile. Una volta raggiunta la meta trovarono anche Fred, George e Angelina, che ascoltavano gli strilli della Umbridge e di Gazza soffocando a stento le risate.
- Notevole - commentò Harry piano, sorridendo. - Davvero notevole... di questo passo manderete in rovina il dottor Filibuster...
- Lo spero - sussurrò George, asciugandosi le lacrime. - Oh, mi auguro che provi a farli Evanescere... a ogni tentativo si moltiplicano per dieci.
I fuochi d'artificio continuarono a sfrigolare e a dilagare per tutta la scuola, ma anche se erano decisamente rumorosi, in particolare i petardi, gli altri insegnanti non parvero preoccupati. Anzi ne erano quasi entusiasti.
- Sono davvero fantastici, quei fuochi – disse Ginevra ammirata.
- Grazie. - Fred sembrava al tempo stesso sorpreso e compiaciuto. - I Fuochi Forsennati Weasley. Purtroppo abbiamo dato fondo a tutte le nostre scorte; adesso ci toccherà ricominciare da capo.
- Ne è valsa la pena, però - disse George, mettendo un braccio attorno al collo del gemello. Poi guardò Harry, stralunato. - Che ti è successo? Che hai fatto alla testa?
- Oh – disse Harry, esitante. Toccò di nuovo la benda attorno alla testa provando un po’ di dolore al tatto. - Amh… un’incidente.
Ginevra sbuffò, cercando di reprimere la rabbia che minacciava di uscire. - È stata quella stronza della Umbridge!
- E come? - domandò Angelina, sconvolta.
Harry esitò. - Non è importante… Ho solo battuto la testa contro il pavimento.
- No, non è solo questo – intuì Fred, scuro in volto. - È successo qualcos’altro, vero?
Harry lo guardò ad occhi sgranati. Come aveva fatto a capirlo? Gli leggeva la mente?
Ci fu un’altra esplosione di fuochi nel corridoio lì accanto e Harry ne approfittò per cambiare argomento. Se sua sorella avesse scoperto che la Umbridge lo aveva colpito con la Maledizione Cruciatus era certo che sarebbe tornata dentro a finire ciò che aveva cominciato e a quel punto lui non avrebbe potuto fermarla.
- Avete visto Ron e Hermione?
Ma non fece in tempo a chiederlo che i suoi due migliori amici varcarono la soglia del cortile insieme a tutti gli studenti della scuola, che gridavano di gioia per i fuochi d’artificio; Pix, librandosi al di sopra della calca, guardava Fred e George, eccitato come non mai.
- Ah! - esultò Fred. - Il nostro pubblico è arrivato…
- … manca solo l’ospite d’onore – concluse George, sogghignando.
- Siete pronti a partire, miei capitani? - domandò Pix a Fred e George.
- Ovvio che sì, Pix! - disse Fred.
- Partire? In che senso? - domandò, invece, Harry, confuso. Poi iniziò a capire e guardò la sorella. - Quando? Per dove? Perché?
Ignorò le domande preoccupate di Ginny e Hermione sulla sua ferita alla testa, un po’ perché non aveva voglia di rispondere e un po’ perché la sua testa era altrove. Aspettava una risposta da sua sorella.
- Amh... Vedi, Harry… - cominciò lei, esitante. - Noi ce ne andiamo adesso. - Harry sgranò gli occhi. - E credo che sia meglio così, soprattutto dopo tutto quello che è successo.
- Perché cos’è successo? - domandarono Fred e George in coro.
Istintivamente Harry trattenne il respiro. Attorno a loro c’era l’intera scuola e sua sorella era ancora sotto effetto del Veritaserum. Temeva che di lì a poco sarebbe scoppiato un putiferio, ma Ginevra sembrò aggirare la verità omettendo qualcosa e lui tornò a respirare normalmente.
- Ho combinato un casino in infermeria, ma vi spiego dopo – disse loro, poi tornò a guardare il fratello. - Mi dispiace, Harry.
Harry fece spallucce, non potendo fare a meno di intristirsi.
Sapeva già che doveva andare in quel modo, solo che non immaginava che accadesse così presto. Era la seconda volta che Ginevra scappava da Hogwarts lasciandolo da solo. Una parte di lui voleva seguirla e scappare via con lei, ma Hogwarts era casa sua e non poteva abbandonarla, soprattutto nel momento del bisogno, e lei lo sapeva.
Lo conosceva troppo bene.
Per lei, Harry era come un libro aperto. Le bastava guardarlo negli occhi per capire cosa gli passasse per la testa. Gli lanciò un’occhiata e disse: - Tu non verrai, vero?
Harry scosse la testa e lei sospirò, un po’ rassegnata.
Si distanziarono un po’ dal gruppo, per salutarsi, ignorando gli sguardi di tutti su di loro.
Si abbracciarono forte, separandosi con la promessa che molto presto si sarebbero rivisti e avrebbero vissuto con Sirius, Remus e Regulus come una grande famiglia felice e niente e nessuno poteva impedirlo. Nemmeno Silente con i suoi stupidi piani o le stupide premonizioni di morte di Ginevra.
Per Harry quella fu la proposta migliore del mondo. Desiderava da tempo vivere con loro e abbandonare i Dursley. Finalmente, forse, tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Ad un certo punto la folla di studenti pose fine agli schiamazzi e, istintivamente, Harry e Ginevra si girarono per vedere cosa fosse successo.
- Eccola… - lo sguardo di Fred si era illuminato.
La Umbridge aveva appena varcato il cortile della scuola, tutta arruffata e sporca di fuliggine. Il braccio fasciato alla bell’e meglio con una garza, il vestito rosa un po’ bruciacchiato, la faccia lucida di sudore e l’espressione ringhiosa. Dietro di lei ci fu una grande esplosione che la investì in pieno con una sostanza simile a Puzzalinfa.
Fred e George scoppiarono in un grido di gioia, lasciandosi andare alle risate, incitati da un grosso applauso degli studenti.
- Bene! - esclamò la Umbridge, furiosa, una volta guardato i danni provocati dall’esplosione. - Devo dedurre che tutto questo sia opera vostra.
- Colpevoli, vostro onore – Fred e George si inchinarono, teatralmente.
- Allora, vi sembra divertente trasformare un corridoio in una palude, eh? - disse, avanzando verso di loro con la bacchetta sguainata.
- Molto divertente, sì - rispose Fred, fissandola senza la minima traccia di paura.
- Voi – oltre a Fred e George, la Umbridge additò anche Ginevra. Il suo sguardo era quasi omicida, - scoprirete molto presto che cosa succede a chi mi fa arrabbiare.
- Sa una cosa? - replicò Fred. - Credo proprio di no.
Si voltò verso il gemello e le due ragazze.
- Ragazzi - disse, - credo che abbiamo raggiunto l'età per interrompere la nostra carriera accademica.
- Condivido in pieno la tua opinione - rispose disinvolto George.
- Assolutamente – concordò Angelina lanciando un sorriso a Ginevra.
E prima che la Umbridge potesse dire una sola parola, Fred e George levarono le bacchette e dissero all'unisono: - Accio scopa!
In lontananza risuonò uno schianto fragoroso. Le scope sfrecciarono nei corridoi, fino ai loro proprietari.
- A mai più rivederci - disse Fred alla professoressa Umbridge e salì a cavallo della sua scopa insieme ad Angelina.
- Sì, non si disturbi a darci sue notizie - aggiunse George, montando sulla sua. Ginevra si avvinghiò a lui, cercando di non incrociare troppo lo sguardo della Umbridge.
Non riusciva ancora a sopportare il pensiero di aver quasi commesso un omicidio, ma ciò che era peggio era il piacere che ne avrebbe provato una volta fatto. La tentazione era ancora forte. Si sentì come se un desiderio primordiale stesse lottando dentro di lei per emergere.
Sospirò, cercando di scacciare quel pensiero rivoltante, e affondando il viso nella schiena di George.
Dietro di lei, Fred si rivolse alla folla esultante.
- Se a qualcuno servisse una Palude Portatile, identica a quella che avete visto all'opera, o ai Fuochi Forsennati, si presenti al numero novantatré di Diagon Alley... Tiri Vispi Weasley - annunciò a voce alta. - La nostra nuova sede!
- Sconti speciali per gli studenti di Hogwarts che giureranno di usare i nostri prodotti per sbarazzarsi di quella vecchia megera - aggiunse George, accennando alla Umbridge.
- FERMATELI! - strepitò lei, ma era troppo tardi. I quattro fuggitivi si staccarono dal pavimento, schizzando a quasi cinque metri da terra. Fred individuò il poltergeist che si librava alla sua stessa altezza.
- Falle vedere i sorci verdi anche per noi, Pix.
E Pix levò il berretto a sonagli e scattò sull'attenti mentre, tra gli applausi tumultuosi degli altri studenti.
- Ehi, Dolores – urlò Angelina, mostrandole il dito medio. - Baciami il culo!
Udendo quelle parole Ginevra non poté trattenersi dal ridere, così come Fred e George.
Lasciandosi dietro una scia di fuochi d’artificio, volarono verso il tramonto radioso.



*Harry Potter e l’Ordine della fenice (CAPITOLO 28 -
IL PEGGIOR RICORDO DI PITON)

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 – LA PROMESSA ***


Capitolo 35 – La promessa


Arrivarono a Grimmauld Place qualche ora più tardi.
Quando Sirius vide sua figlia non poté trattenere l’emozione. L’abbracciò molto forte, togliendole quasi il respiro, e le diede un tenero bacio sulla fronte. Sciolto l’abbraccio, si osservarono a vicenda, senza dire una parola.
Sirius le accarezzò il viso, scostando qualche capello ribelle con le dita.
Aveva sentito molto la mancanza della sua bambina.
Guardandola dritto negli occhi capì che c’era qualcosa che la turbava. Nonostante sapesse cosa fosse successo a Hogwarts, grazie alla parlantina del suo prozio Phineas, poté solo immaginare quello che lei stava provando in quel momento.
La tranquillizzò con uno sguardo.
Avrebbero parlato in un secondo momento.
Ginevra accennò un sorriso. - Mi sei mancato, papà.
- Anche tu, piccola mia.
Poi Ginevra si allontanò dicendo di aver bisogno di una doccia. In realtà quella era solo una scusa. Aveva solo bisogno di stare sola per qualche minuto. Sirius capì al volo e la lasciò andare, dopodiché si rivolse ai suoi nuovi ospiti. Fred e George lo salutarono sfoggiando un gran sorriso, dandogli la sensazione che si erano appena tolti un gran peso dal petto.
- Finalmente liberi, eh? - ridacchiò, battendo una mano sulla spalla di Fred.
- Già – concordò lui. - Ora possiamo mettere in cantiere la nostra attività!
- Domani andremo a sistemare il negozio. Tra due giorni ci sarà l’inaugurazione – disse George, elencando distrattamente i mobili ancora da montare e i vari prodotti ancora da preparare. Ma mentre parlava lanciava occhiate preoccupate in direzione della scala.
Aveva notato l’ombra scura sul viso di Ginevra e il suo unico pensiero era scoprire cosa c’era che non andava. Non faceva altro che chiedersi cosa fosse successo di tanto orribile a Hogwarts da turbare Ginevra a tal punto da scappare persino dal suo sguardo.
Una parte di lui moriva dalla voglia di seguirla e stringerla a sé.
Alla fine Fred riuscì a coinvolgere il gemello in un dettagliato racconto della loro fuga da Hogwarts, alla quale Sirius sembrava molto interessato, ma la loro conversazione ebbe vita breve poiché venne interrotta da un lieve colpo di tosse. Dopo svariati e inutili tentativi di attirare l’attenzione su di sé, Angelina era riuscita nel suo intento.
Fred si voltò a guardarla. Si era quasi dimenticato di lei.
Quando Sirius guardò la ragazza notò il suo ventre leggermente gonfio e gli tornarono in mente tanti ricordi. Per lui fu come un vero tuffo nel passato di diciotto anni prima, quando Lily era incinta sua figlia Ginevra. I rimorsi e la nostalgia tornarono a colpirlo come un’onda improvvisa e Sirius non poté fare a meno di ricordare il grosso pancione di Lily e l’infinita bellezza del suo viso radioso. Nonostante fossero passati tanti anni ricordava ancora il suono della sua risata e il suo tenero sorriso.
Anche quella ragazza, pensò, era molto bella. La carnagione scura sembrava morbida come la seta e i capelli corvini erano intrecciati in una lunga treccia che le ricadeva sulla spalla. Ma la sua bellezza non era assolutamente paragonabile a quella di Lily.
“Lily era troppo bella”, pensò Sirius, rimpiangendo il giorno in cui l’aveva lasciata proprio diciott’anni prima.
Fu solo per un’istante, poi si pentì di quel vile pensiero ricordando a sé stesso che se non avesse lasciato Lily, Harry, quel caro ragazzo che per lui era come un figlio, non sarebbe mai nato.
“No”, si disse. “Devo smetterla di pensare a Lily”.
Sospirò piano, allontanando quei ricordi dalla sua mente, e sorrise alla ragazza.
- Che idiota che sono – sbottò Fred avvicinandosi a lei. - Sirius, ti presento Angelina, la mia ragazza. Angelina, lui è Sirius, il padre di Gin.
- Sì, mi sa che lo avevo intuito – rise, imbarazzata. Sirius le tese la mano ma, quando Angelina gli porse la propria, invece di stringerla lui la sorprese portandosela alle labbra e sfiorandola con un bacio, come un vero gentiluomo.
- Lieto di fare la vostra conoscenza, signorina – disse con un ghigno divertito.
Angelina avvampò, sentendosi sempre più imbarazzata, oltre che lusingata dai modi di Sirius.
- Come sei antiquato – borbottò Fred, provando un pizzico di gelosia.
Sirius lo notò e gli angoli della bocca si curvarono in un sorriso provocatorio. - Geloso?
- Geloso io? Di un vecchio come te? - disse lui ridendo.
- Ehi, vacci piano, ragazzo – protestò Sirius. - Non sono così vecchio!
- Certo che no. Paragonato a Merlino…
- Ho trentasette anni, non ho ancora un piede nella fossa.
George strabuzzò gli occhi. - Trentasette?! Wow, roba da non crederci… Questo vuol dire che hai visto con i tuoi occhi i quattro fondatori di Hogwarts? - Scoppiò a ridere, ma quando Sirius lo fulminò con lo sguardo smise.
- Sei ancora in pericolo di vita da quando ti sei messo con mia figlia. Sei sicuro di voler continuare a prenderti gioco di me? - lo minacciò, sorridendo beatamente. Una parte di lui stava pregando che gli desse una buona ragione per fargli male. Moriva dalla voglia di mettergli le mani addosso da quando lo aveva sorpreso a letto con la sua adorata figlia. Le mani gli prudevano ancora.
George sgranò gli occhi e deglutì a vuoto. - E dai, Sirius. Stavo scherzando…
- Guarda che per te sono ancora il signor Black – lo avvertì, puntandogli il dito contro.
- Sì, signor Black. Mi dispiace, signor Black.
Sirius gli sorrise beffardo, dandogli una forte pacca sulla spalla. - Bravo ragazzo.
Dal piano di sotto accorse Molly, la matriarca Weasley, attirata dalla gran confusione creata da Sirius e dai suoi figli.
- Che diamine ci fate voi qui? Dovreste essere a scuola! - sbraitò. Le mani erano poggiate sui fianchi e l’espressione sul suo volto era severa.
George corse subito ad abbracciarla, sgusciando dalla presa di Sirius. - Mamma! - esclamò. - Che bello vederti!
Gli occhi di Molly erano ridotti a due fessure. - Che avete combinato?
- Ma come! - protestò Fred. - Noi veniamo qui, solo per te...
- … che sei la nostra cara mamma…
- … alla quale vogliamo tanto bene…
- … e tu ci accogli in questo modo?
- Non si fa mamma. Non si fa – Fred scosse la testa, fingendosi offeso.
Guardandoli Sirius si coprì la bocca con la mano, trattenendo a stento le risate.
Quei due ragazzi lo facevano proprio ridere. A volte si comportavano proprio come facevano lui e James. Ricordava ancora la faccia arrabbiata della signora Potter quando ne combinavano una delle loro… per loro fortuna era una santa donna e la passavano sempre liscia. Ma era inutile negare che si divertivano un mondo a farla arrabbiare.
In un certo senso, Molly Weasley gli ricordava molto Euphemia Potter.
Proprio come Molly, Euphemia era una casalinga a tempo pieno che faceva da madre anche a chi non era figlio suo. Era una madre generosa, affettuosa e protettiva, ma anche severa e apprensiva all’occorrenza. Euphemia e Flemont Potter erano stati la sua ancora di salvezza quando lo avevano accolto in casa loro dopo che era scappato di casa all’età di sedici anni. Dicevano sempre che per loro era come un secondo figlio e continuarono a trattarlo come tale anche dopo aver quasi rovinato il matrimonio di James.
Euphemia era una donna piena d’amore e di perdono. La madre che Sirius aveva sempre voluto.
Molly guardò i suoi figli, alzò gli occhi al cielo e sospirò rumorosamente. - Oh, piantatela – disse, poi li abbracciò forte. Due volte per uno.
Quando vide che Angelina era rimasta in disparte accanto a Sirius, Molly le sorrise amorevolmente e, seguendo il suo istinto materno, l’accolse tra le braccia e le diede un tenero bacio sulla guancia. - Stai bene, cara?
Angelina tremava per l’emozione, ma le sorrise. - Sì, grazie signora Weasley.
- Oh, chiamami Molly – la rimproverò bonariamente. - Hai fame? Ho fatto la torta al cioccolato. Ma se non ti piace posso prepararti qualcos’altro in un attimo.
Al solo sentire le parole “torta al cioccolato” gli occhi della ragazza si illuminarono. - Va benissimo. Amo la torta al cioccolato – disse.
Molly sorrise, contenta. Con la coda dell’occhio vide Fred e George che sgattaiolavano alle sue spalle e in un attimo il suo dolce sorriso sparì. Si voltò di scatto verso di loro e li minacciò. - Non vi azzardate a rubare una sola fetta di quella torta!
Fred e George alzarono le mani, in segno di resa. - Ci abbiamo provato…
Sirius si morse le labbra, trattenendo un sorriso e camminò a testa bassa verso le scale. - Vado a vedere come sta Ginevra – disse.
La signora Weasley si voltò a guardarlo. - Ginevra è qui? - domandò per poi rattristarsi. - E perché non me l’avete detto? Io non l’ho nemmeno vista...
- Aveva bisogno di rilassarsi un po’, mamma – le spiegò George mentre il suo sguardo seguiva la figura di Sirius su per le scale.
Aggrottò un po’ la fronte, senza che la preoccupazione lo avesse abbandonato un solo minuto. Non poteva fare a meno di chiedersi cosa fosse successo a Ginevra con la Umbridge.

Sirius bussò alla porta della stanza di Ginevra, ricevendo un flebile invito a entrare.
Quello non era di certo un buon segno.
Entrò, richiudendo la porta dietro di sé, e le vide rannicchiata sul letto, con le ginocchia strette al petto e le braccia avvolte intorno alle gambe. Aveva lo sguardo vacuo e l’aria di chi aveva mille pensieri per la testa.
Prima di sedersi al suo fianco, tirò un lungo e lento sospiro. Le passò la mano sulla schiena, accarezzandola dolcemente. - Vuoi parlarne? - le domandò dopo un po’.
Lei annuì piano. Ne aveva bisogno.
Appoggiò la testa sulla sua spalla e gli raccontò ogni cosa, senza tralasciare nemmeno un dettaglio: la fuga dalla Stanza delle Necessità, la spiacevole sensazione che stava per succedere qualcosa che le martellava la testa, il grido di Harry, la paura, la rabbia, la folle corsa fino all’infermeria di Hogwarts, il Veritaserum e, infine, raccontò la tortura che aveva inflitto alla Umbridge.
- Io non mi ero accorta di tutta la rabbia che stavo provando – disse in un sussurrò. - Non sapevo di avere tutto quel potere e di essere in grado di fare…
Le mancarono le parole.
Le immagini erano ancora vivide nella sua mente.
- Stavo per ucciderla – sussurrò. Gli occhi cominciarono a pizzicarle. - Volevo farlo davvero.
Si passò una mano sul viso. Prese un profondo respiro, poi un altro, cercando di rallentare il battito del cuore, ma non ci riuscì.
Sirius, che era rimasto ad ascoltare in silenzio, le sollevò il viso e vide che il suo sguardo era pieno di lacrime.
- Cosa c’è che non va in me?
- Ehi, ehi, ehi… - le sussurrò dolcemente, stringendola a sé. - Non c’è niente che non va in te. Niente. Sei la persona migliore del mondo.
- Ma ho perso il controllo… - singhiozzò lei. - Que-questo fa di me una persona cattiva?
- No - mormorò, tenendola fra le braccia e guardandola dritto negli occhi. - Tu sei buona. Tutti abbiamo luce e oscurità dentro di noi.
- Allora dentro di me c’è molta più oscurità di quanto pensassi.
- Sai bene che non intendevo questo – disse Sirius. - Ogni persona combatte i propri demoni, altri più di chiunque altro. - Le accarezzò il viso. Gli occhi di lei erano ancora velati di tristezza e paura. - So quello che provi, cos’hai provato in quel momento. La violenza ci cambia, è vero. Ma ammettere di avere paura non ci rende deboli. E io ti prometto che ti aiuterò a controllarti. Troveremo una soluzione, insieme.
Lei gli rivolse un debole sorriso e lo abbracciò, affondando il viso sul suo petto.
Non le importava di sembrare una bambina, vulnerabile e insicura. Aveva bisogno di conforto; aveva bisogno di lui e delle sue parole. Aveva bisogno di suo padre e del suo caldo abbraccio.
Sirius la tenne fra le braccia per un tempo indefinito.
- Ci riusciremo, Ginevra - la rassicurò, accarezzandole il viso. - Risolveremo tutto.

Quando si sentì meglio Ginevra parlò anche con George, raccontandogli ogni cosa, proprio come aveva fatto con Sirius qualche ora prima. Lui la ascoltava con attenzione, ma quando lei cominciò a descrivere il momento in cui il fuoco fuoriusciva dalle sue mani George non ne sembrò poi tanto sorpreso.
Lei lo guardò, confusa e gliene domandò il motivo.
Allora George si massaggiò il collo, imbarazzato, poi si rilassò, come se affrontare l’argomento lo rendesse felice. - Ricordi quando la Umbridge ha interrogato me e Fred su ciò che era successo la notte in cui è stato attaccato mio padre? - Ginevra annuì e lui continuò. - Be’, quando ha parlato anche te e poi sono venuto a salvarti dalle sue grinfie… ho visto le tue mani in fiamme – confessò, per poi affrettarsi ad aggiungere: - Ma non ci avevo dato troppo peso. Anzi, pensavo lo sapessi ma che non me ne volessi parlare.
Lei era sbalordita.
La sua mente stava cercando di ricordare quel momento, sperando di trovare una connessione con il fuoco, ma non ne trovò. Poi, all’improvviso, ricordò quello strano calore e la rabbia che aveva provato nei confronti della Umbridge che andava ad aumentare sempre di più.
L’avrebbe colpita anche in quell’occasione se George non l’avesse fermata?
George le mostrò un sorriso esitante. - Sei arrabbiata?
- No. Ma…
Non trovava le parole per esprimere ciò che pensava.
La sua mente era in totale confusione.
- Tempo fa Regulus mi ha raccontato che quando ero bambina padroneggiavo gli elementi con una facilità disarmante – disse, ma sembrava che lo dicesse più a sé stessa che a George. - Lo avevo quasi dimenticato.
George era sorpreso. - Gli elementi? Quindi puoi usare anche acqua, aria e cose così? - le domandò, quasi eccitato. - È una cosa pazzesca! Ma com’è possibile che non te ne sei mai accorta?
- Silente aveva imposto a Regulus di limitare i miei poteri, ponendo una specie di sigillo – disse, ricordando frammenti di quella conversazione. - Silente diceva che io ero pericolosa… E forse aveva ragione. Questa non è una cosa normale! Nessun mago o strega è in grado di fare quello che faccio io.
La fronte aggrottata di George sembrava dire il contrario.
- Normale? Pericolosa? Ma di che parli? - ripeté lui, incrociando le braccia al petto. - Chi è che decide cos’è normale e cosa non lo è? Io penso che non ci sia niente di male a…
Ginevra lo fermò. - Niente di male? Come fai a dire questo? - domandò, allarmata. - Hai sentito quello che ti ho appena detto? Ho quasi… - Un brivido le percorse tutto il corpo. - Ho quasi ucciso una persona.
- Tecnicamente la Umbridge non è una persona, ma un mostro – protestò George, avvicinandosi a lei con un ghigno sulle labbra. - E poi intendevo che non c’è niente di male ad avere un’abilità fuori dal comune. È vero, non riesci a controllarlo, ma questo non vuol dire che tu non possa imparare a gestirlo e trarne vantaggio!
Ginevra abbassò lo sguardo sul pavimento di legno.
“Anche papà la pensa così… ma allora perché io non sono ancora convinta? Perché ho paura di peggiorare le cose se tento di fare qualcosa?”, si domandò, preoccupata.
Il pensiero di perdere completamente il controllo la terrorizzava.
George le circondò le braccia, sfiorandole la guancia con il naso. - Ho sempre pensato che tu fossi speciale. Forse è arrivato il momento che te ne renda conto anche tu.
Mentre la sua mente assimilava le parole di George, gli occhi di lei erano ancora fissi al pavimento. Continuava a chiedersi se in quello che diceva vi fosse un fondo di verità.
Lo guardò, cominciando a vedere quella situazione secondo la sua prospettiva. - Dici che potrebbe essere una buona cosa? - domandò esitante.
George fece spallucce. - È quello che penso – disse. - Forse era destino che tu avessi questo potere.
Ginevra annuì. - Forse hai ragione.
- Forse? - ripeté lui, imbronciato. - Io ho sempre ragione!
Lei aprì la bocca per correggerlo, poi ci ripensò. - È vero – disse, sorridendo. Gli baciò la guancia.
- Wow… Mi hai appena dato ragione – mormorò lui a bassa voce, come se quello fosse un incredibile segreto.
Assottigliò lo sguardo mentre un sorrisetto compiaciuto si allargava sul suo viso.
- Mi piace questa sensazione – mormorò ancora sollevando e abbassando più volte le sopracciglia in modo beffardo, facendola ridere.

La sera arrivò in un attimo. Regulus tornò a casa poco prima di cena, dopo un’importante missione per l’Ordine. Venne accolto da una gran confusione che lo avvisò che i gemelli Weasley erano in casa. Da quello che riuscì a intuire, Molly stava litigando con uno dei due ragazzi ma, nonostante le urla, capirne la ragione era molto complicato.
- Bentornato, padron Black - Kreacher gli fece un profondo inchino.
- Ciao, Kreacher. È bello essere accolti da qualcuno – lo salutò Regulus. - Che succede? - domandò poi, alludendo alle urla al piano di sotto.
- La signora dai capelli rossi urla contro il figlio perché non vuole che dorma con la ragazza incinta - spiegò l’elfo domestico, storcendo il visetto rugoso per le urla fastidiose.
Regulus annuì, anche se non molte cose gli erano chiare. Lo ringraziò e scese in cucina dove le urla divennero ancora più forti e chiare.
- Non potete dormire insieme – diceva Molly, con tono perentorio.
- Ma perché no, scusa? - esclamò Fred in risposta. - Mi sembra evidente che non è la prima volta che io e Angelina dormiamo insieme.
Indicò la ragazza seduta al suo fianco con un gesto eloquente della mano, alludendo al suo ventre gonfio. La signora Weasley lo ignorò, continuando a insistere che suo figlio doveva fare come diceva lei.
Nessuno, a parte Sirius, sembrò notare la presenza di Regulus.
Erano tutti riuniti attorno al tavolo della cucina, troppo impegnati a seguire la vicenda per accorgersi del suo arrivo.
- Non è decoroso – insisté Molly. - Siete troppo giovani. E poi finché sarai sotto il mio tetto non dormirai con nessuno.
- Ma qui non siamo a casa nostra. Non siamo sotto il tuo tetto – Fred incrociò le braccia al petto e guardò Sirius con un sorriso furbo stampato sulla faccia. - Sirius, diglielo pure tu che lei qui non comanda.
Da bravo e coraggioso Grifondoro, Sirius alzò le braccia in segno di resa e si allontanò da loro. - Non mettermi in mezzo.
- Visto? - esclamò Molly. - Anche Sirius pensa che sia sbagliato.
Regulus si appoggiò allo stipite della porta godendosi la scenetta con un sorriso divertito. Sirius si servì di un bicchiere di bourbon dandone uno anche a lui.
- Che bell’atmosfera – fu il commento ironico di Regulus.
- Non me ne parlare – mormorò Sirius facendo tintinnare i loro bicchieri. Poi vuotò il contenuto del bicchiere in un solo colpo. Il bourbon gli bruciò la gola ed esplose nel suo petto, ma dopo tanto tempo si era ormai abituato a quella sensazione, trovandola persino piacevole.
Regulus, invece, si limitò a sorseggiare il bourbon lentamente, godendoselo a pieno.
I suoi occhi si fissarono sulla nipote.
Era seduta sulle gambe di George, rannicchiata tra le sue braccia, ed entrambi cercavano di trattenere le risate mentre ascoltavano Fred e sua madre battibeccare.
Sembrava spensierata, ma c’era qualcosa, nel profondo, che la turbava. Regulus riusciva a sentirlo.
- Come va? - domandò al fratello prima di bere un altro sorso di bourbon.
Sirius emise un sospiro profondo e disse: - Non tanto bene. È successa una cosa.
Mentre lo diceva, Sirius si versò il secondo bicchiere che bevve quasi subito, ma era già pronto a bere il terzo. La sua mano era chiusa come una tenaglia sul bicchiere di vetro. Regulus lo guardò con la fronte aggrottata. Quando suo fratello cominciava a bere in quel modo allora la situazione era grave.
Lo esortò a continuare a parlare.
- Ginevra ha perso il controllo – spiegò Sirius con una scrollata di spalle. - Ha attaccato la Umbridge e le ha bruciato il braccio. - Regulus stava per dire qualcosa, ma lui lo anticipò. - Lo so. I suoi poteri sono tornati. E, a quanto pare, ha assorbito inconsapevolmente le forze dell’entità Oscura usandola come amplificatore del suo potere. E ora Ginevra è preoccupata perché l’entità Oscura è sparita.
Regulus guardò nuovamente la nipote.
Non si era accorto di nulla tramite la loro connessione.
Tra tutte le domande che affollavano la sua mente, una sola gli salì spontanea alle labbra. - Com’è possibile? Insomma… Credevo che fosse il demone ad assorbire le forze di Ginevra...
- Lo pensavo anch’io - disse Sirius, portandosi il bicchiere alle labbra. - Credo proprio che abbiamo sbagliato tutto, fratellino. Dobbiamo ricominciare daccapo le ricerche.
Bevve il terzo bicchiere.
Regulus lo imitò, buttando giù tutto il contenuto del suo bicchiere. Provò un forte bruciore alla gola, ma quella sensazione non riuscì a placare il suo stato d’animo.
Il suo cervello continuava a lavorare alla massima velocità.
- Allora il fuoco è legato alla sua rabbia – disse, mettendo in ordine tutte le informazioni che avevano. - Ha manifestato anche altri elementi?
- Non che io sappia – sussurrò Sirius e anche lui guardò Ginevra. Continuava a ridere insieme a George.
L’atmosfera allegra sembrava farle bene.
Dopo qualche attimo di silenzio, il tono di Sirius si fece più cupo e profondo. - Non le succederà niente, vero? La terrai al sicuro?
La profezia della sua morte piombò nella mente di Regulus alla velocità della luce accompagnata dalla paura.
Gli si seccò la gola. - Che vuoi dire?
Sirius sorrise appena. - Sai bene cosa voglio dire.
Il cuore di Regulus sembrò perdere un battito. Poi un altro.
- Risolveremo tutto, Sir – disse. La sua voce divenne un balbettio. - Te l’ho promesso.
- Ti chiedo solo una promessa – ribatté Sirius, guardandolo dritto negli occhi. - Quando sarà il momento, voglio che tu ti prenda cura di lei. Voglio che tu l’aiuti a controllare il suo potere. Voglio che tu le stia vicino. Voglio… - sospirò, avvertendo un piccolo tremore alle gambe.
Parlare del suo futuro incerto gli costava un certo sforzo perché la sola idea di abbandonare la sua bambina per la seconda volta gli lacerava il cuore. Era un dolore insopportabile.
“Evidentemente”, pensò con amarezza, “non sono destinato ad essere felice”.
- Voglio che tu le dica, che le ricordi costantemente, quanto le voglio bene.
- Glielo dirai tu – insisté Regulus. - Tu le starai vicino.
Dopo il quarto bicchiere Sirius annuì, senza senza esserne davvero convinto, e si allontanò ignorando Regulus e i suoi tentativi di convincerlo che tutto sarebbe andato per il verso giusto. Ma lui sapeva cosa sarebbe successo, aveva imparato ad accettarlo. Anche se Regulus non era dello stesso avviso.

Regulus saltò la cena e si fiondò sui libri. Era troppo turbato dalla conversazione con il fratello per pensare al cibo. Doveva trovare le informazioni necessarie sul parassita annidato nella mente di Ginevra. Doveva scoprire se era possibile aggirare la visione di quella che sembrava una fine inevitabile.
Non poteva permettere che Sirius morisse.
Giurò a sé stesso che avrebbe lottato fino all’ultimo respiro per impedire che l’orribile incubo di Ginevra si avverasse.
Dopo aver passato ore e ore sull’ennesimo libro Regulus lo scagliò dalla parte opposta della stanza facendo volare tutti gli appunti che aveva raccolto fino a quel momento.
Puntò i gomiti sulla scrivania e si passò le dita fra i capelli, chiudendosi la testa fra le mani. Avrebbe voluto mettersi a urlare tanta era la frustrazione.
- Un altro buco nell’acqua – mormorò con un filo di voce.
Trovare risposte e al contempo affrontare l’uragano di emozioni che si scatenavano in lui senza crollare non era un’impresa facile.
Il solo pensiero, la possibilità, di perdere Sirius gli provocava un dolore lancinante nel petto. Ma non poteva lasciare tutto a metà. Lo aveva giurato. Doveva trovare una soluzione.
Si guardò intorno.
La mezzanotte era passata da un bel pezzo e non c’erano segni di movimento in tutta la casa, quindi era l’unico sveglio.
La grande stanza dove si trovava era ormai immersa nel buio e l’unica fonte di luce era la lampada accanto a lui. Gli facevano male gli occhi, ma non gli importava. Doveva continuare le ricerche.
Non si sarebbe arreso tanto facilmente.
Se c’era anche una remota possibilità di scoprire come aggirare la visione di Ginevra, lui doveva scoprirlo. Doveva farlo.
Con un sospiro, prese il libro successivo dalla torre di libri alla sua destra e continuò la ricerca.

Ginevra si era girata e rigirata nel letto, ancora nervosa per tutto quello che era successo il giorno prima. Avvolta dal buio, il solo pensiero di ciò che aveva fatto, o che stava per fare, l’aveva resa talmente ansiosa da non riuscire nemmeno ad affondare la testa sul cuscino.
Ad un certo punto aveva persino cercato di parlare con Entity, ma era tutto inutile: era proprio sparita. Cominciava davvero a preoccuparsi della sua assenza.
Il sonno arrivò solo poco prima dell’alba, per poi svegliarsi verso mezzogiorno. Aveva dormito profondamente… senza sogni.
Non le importava di scendere in cucina con i capelli arruffati e con il pigiama ancora addosso. Era assonnata e l’unica cosa di cui aveva bisogno in quel momento era qualcosa da mettere sotto i denti.
In cucina trovò Molly, che preparava il pranzo, e Angelina, intenta a mangiare una fetta di torta al cioccolato del giorno prima. Sopra le loro teste volteggiavano la tovaglia da tavola, piatti, bicchieri e posate che si apparecchiavano da soli con movimenti delicati. Al centro del lungo tavolo da pranzo si era appena posato un cestino di vimini colmo di frutta fresca: mele, banane, pere e arance.
- Ehi, Gine! - la salutò Angelina quando la vide. Era a dir poco raggiante. - Dormito bene? Non ti volevo svegliare.
Ginevra annuì, sbadigliando un ‘grazie’. Per la gioia e la soddisfazione della signora Weasley, Angelina aveva trascorso la notte lontana da Fred, condividendo la stanza con Ginevra.
Molly le sorrise, senza però poter nascondere la preoccupazione sul proprio volto. - Vuoi che ti preparo qualcosa?
- No, ti ringrazio, Molly – biascicò Ginevra dopo un altro sbadiglio. Prese una mela rossa dal cesto. - Prenderò solo questa. Dove sono gli altri? - chiese poi notando quanto silenzio ci fosse in casa.
- Fred e George sono andati al negozio – disse subito Angelina dando un piccolo morso alla sua abbondante fetta di torta. - Prima di andare via George è passato in camera e ti ha dato un bacio cercando di non svegliarti – sospirò sognante. - È stato così dolce…
Ginevra sorrise, senza poterne fare a meno. Era proprio una cosa che avrebbe fatto lui.
- Remus e tuo padre sono al piano di sopra, a parlare – disse Molly, senza distogliere lo sguardo da pentole e padelle. - Arthur sta riposando in soggiorno e Regulus… be’, in effetti lui non lo vedo da un po’, ma conoscendolo sarà rinchiuso in camera sua o nello studio. Ultimamente si chiude lì dentro insieme ai suoi libri. Quel ragazzo mi preoccupa. Credo che ieri non abbia nemmeno toccato cibo.
Sospirò, contrariata, e Ginevra intuì che presto o tardi suo zio avrebbe ricevuto una bella strigliata da mamma Weasley in persona, quindi gli conveniva scappare se non voleva subire la sua collera.
Prima che uscisse dalla cucina, Molly la richiamò. - Se trovi tuo zio digli che tra poco è pronto e che ho preparato tante cose buone. Inclusi i suoi piatti preferiti come mi ha insegnato Kreacher.
Non era necessario che lo dicesse. La casa era ormai invasa dal dolce profumo dei suoi piatti gustosi e prelibati. La signora Weasley aveva sempre avuto un dono per la cucina.
Ginevra annuì e lasciò la cucina. Mentre saliva le scale diede un morso alla mela. Si fermò davanti alla stanza di Regulus e bussò alla porta. Nessuna risposta. Aprì la porta ma lui non c’era.
Sospirò e bussò alla porta accanto, la stanza di suo padre, ricevendo subito l’invito ad entrare solo dopo qualche istante.
Come aveva detto la signora Weasley, Remus era lì e, dall’espressione che aveva, sembrava che lui e Sirius avessero appena interrotto una conversazione molto importante. Nonostante il sorriso sulle labbra, i suoi occhi lucidi lanciavano occhiate frustrate in direzione del suo amico.
- Ciao, Ginevra – la salutò il suo padrino. - È bello vederti.
- È bello anche per me, Rem.
Si abbracciarono. Lei aveva sentito davvero la sua mancanza.
- Resti con noi? - gli domandò, dando un piccolo morso alla mela. Nonostante la fame, era come se quel frutto non la aiutasse a smorzare il buco allo stomaco. Come se andasse a vuoto.
- Sì – rispose Sirius al suo posto. - Si trasferirà qui per un po’.
Remus gli lanciò un’altra occhiata, ma lui la ignorò.
C’era qualcosa di strano tra di loro due. Qualcosa che disturbava molto Remus, che lo faceva soffrire.
- Hai dormito bene? - le domandò Sirius, distraendola per un’istante.
- Sì – rispose lei dando un ultimo morso alla mela. - Ho solo… avuto un po’ di difficoltà ad addormentarmi. Ma adesso è tutto okay. Voi invece? Qualcosa non va? Di cosa parlavate?
Quando Remus sentì quelle parole i suoi occhi si fissarono su di lei, lo sguardo era sofferente, quasi malinconico.
- Niente di che, tesoro – si affrettò a rispondere Sirius. - Sai, turni da organizzare… cose da comprare…
Nel frattempo diede qualche colpetto alla schiena del suo amico, come incitarlo a dargli ragione.
Le stavano decisamente nascondendo qualcosa.
- Non mi state nascondendo qualcosa, vero?
- Ma no, tesoro – continuò Sirius, sorridente. - Cosa ti viene in mente!
Bugia”, sussurrò Entity con un filo di voce. “Nasconde qualcosa”.
Ginevra dovette attingere a tutto il suo autocontrollo per non saltare di gioia al suono della sua voce. In quel momento era come se un masso gigantesco si fosse frantumato dentro di lei liberandola dal peso.
- Bene – disse, cominciando ad allontanarsi dalla camera del padre. - Io vado a darmi una ripulita. Molly ha detto che tra poco si mangia quindi…
Sirius annuì, sempre con il sorriso sulle labbra. - D’accordo. A dopo.
Prima che chiudesse la porta Ginevra vide Remus passarsi le mani tra i capelli. Aveva un’aria molto strana.
Che aspetti? Corri davanti alla porta e ascolta quello che si dicono”.
La sua voce era debole e Ginevra non riuscì a trovare una ragione per ribattere. Anche perché voleva scoprire cosa stavano nascondendo quei due.
Con passo felpato raggiunse nuovamente la porta di Sirius e accostò l’orecchio, in ascolto.
Ci fu un tonfo ovattato, come un piccolo calcio contro qualcosa, poi una voce ruppe il silenzio. Era Remus. - Perché ti comporti così? Non puoi chiedermi questo! Come puoi?
- Shhh! Potrebbe sentirti – disse Sirius a voce bassa. Dopodiché le loro voci divennero un sussurro appena udibile fino a perdersi nel silenzio.
Confusa da ciò che aveva appena sentito, Ginevra si allontanò dalla porta e raggiunse il bagno chiudendosi a chiave.
Guardando il suo riflesso nello specchio cominciò a domandarsi cosa potesse spaventare tanto Remus in quel modo.
Il suo riflesso si mosse. Aveva un’aria stanca. Sembrava senza forze e parlare le costava un certo sforzo.
Sembra che ci sia un segreto tra loro, eh?”, sorrise Entity nello specchio. “Magari hanno una relazione… intima”.
Ridacchiò per poi trattenersi. Soffriva molto.
Ginevra avvertì i sensi di colpa aumentare sempre di più.
- Mi dispiace per quello che ti ho fatto – sussurrò allo specchio. - Ho perso il controllo…
Un sorriso obliquo si allargò nel suo riflesso. “Non ti preoccupare”, disse Entity. “Non è niente di grave. Però… avvertimi la prossima volta, così cerco riparo”.
Ginevra annuì, trattenendo a fatica le lacrime improvvise.
Non piangere, altrimenti non ne usciamo”, disse, cominciando a piangere anche lei. Ma Ginevra non sapeva dire se fosse solo un effetto della sua immagine o se in quel momento anche Entity provava i suoi stessi sentimenti.
Si asciugò le lacrime e Entity la imitò poco dopo.
Ti sei divertita senza di me?”.
- Ho fatto un casino.
Oh, lo so”, le sussurrò Entity. Il suo sorriso era triste. “So come ti senti… ma non devi fartene una colpa. Ho sentito quello che ti hanno detto George e papà e posso confermarti che hanno ragione… non è colpa tua. Ne verremo a capo. Te lo prometto”.
- Ma perché non sei arrabbiata? Ho infranto la promessa. Ho prosciugato di nuovo le tue forze e stavo per… - La sua voce si incrinò.
Il riflesso nello specchio fece spallucce. “Be’, la Umbridge se lo meritava. Quindi ti perdono”.
Cercando di tranquillizzarsi, Ginevra chiuse gli occhi e sospirò profondamente. Entity divenne silenziosa e lei intuì che dopo aver perso tutte quelle forze aveva bisogno di riposo.
Più passava il tempo e più Ginevra cominciava a pensare che forse Entity aveva ragione e che la Umbridge aveva avuto quello che si meritava, quindi era inutile continuare a piangersi addosso.
Decise di fare una doccia veloce, dopodiché tornò in camera e recuperò una camicia e un paio di jeans dalla sua valigia che, per sua fortuna, si era materializzata lì poco dopo il suo arrivo a Grimmauld Place.
I gemelli avevano pensato proprio a tutto.
Una volta vestita scese in cucina dove tutti stavano prendendo posto. Fred e George non erano ancora arrivati e, facendo vagare lo sguardo per la stanza, notò che neanche Regulus aveva lasciato lo studio.
Attraversò il corridoio e andò a chiamarlo. Bussò alla porta dello studio, ma nessuno rispose. Ginevra sospirò e aprì la porta.
Lo sguardo di Regulus era chino su un enorme libro sulla scrivania, con la fronte appoggiata alla mano e le dita tra i capelli. Era talmente assorto da non accorgersi nemmeno che lei avesse bussato.
Alzò lo sguardo solo quando lei lo pungolò col dito. Aveva gli occhi cerchiati. - Che succede? - domandò, confuso.
Si guardò attorno con gli occhi ridotti a due fessure, come se si fosse appena reso conto di che ora fosse. Lasciandosi andare a un sonoro sbadiglio si stiracchiò, facendo scrocchiare le ossa della schiena.
- Buongiorno, zietto. O forse dovrei dire buon pomeriggio? - lo salutò lei, mostrandogli un mezzo sorriso.
Per la stanza erano seminati una moltitudine di libri, tutti aperti: sulla scrivania, per terra e persino sul divano.
Li scrutò attentamente. - Hai fatto ricerche tutta la notte?
- Già – ammise lui a mezza voce.
Si alzò dalla poltroncina su cui era rimasto seduto tutta la notte e si stiracchiò ancora una volta. Gli faceva male tutto il corpo.
La guardò con un sorriso obliquo. - Come stai?
- Bene - disse, ma non aggiunse altro. Non voleva raccontare la stessa storia ancora, ancora e ancora e poi era certa che lui sapesse già ogni cosa. Era stanca e aveva bisogno di distrarsi.
Anche senza l’aiuto della loro connessione mentale o della sua abilità di Legilimens, Regulus sembrò capire e decise di non prolungare il discorso più del dovuto.
- Hai trovato qualcosa? - domandò Ginevra sfogliando le pagine del primo libro che si trovò davanti.
- Non ancora. Ma sono a tanto così - mimò avvicinando pollice e indice. - La risposta è qui. È vicinissima, sono certo.
Ginevra fece una piccola smorfia e lo guardò. - Non voglio che ti trascuri.
- Ma non lo faccio, te lo garantisco.
- Ma se non hai nemmeno chiuso occhio!
Regulus fece un gesto della mano, come a voler scacciare un insetto fastidioso. Si diresse verso la porta e, prima di sorpassarla, si voltò a guardarla. - Non preoccuparti. So quello che faccio.
Ginevra sbuffò. - Sei proprio una testa dura – disse. - Ma almeno adesso potrò aiutarti con le ricerche e tu potrai riposare.
Lo raggiunse e, insieme, si incamminarono verso la cucina. - Andiamo, prima che Molly venga a tirarti per i capelli per farti mangiare.
Lui si sforzò di sorriderle, ma gli riuscì solo un sorriso smorzato. Annuì piano. - D’accordo.
Una volta raggiunta la cucina, oltre a Fred e George, trovarono anche Kingsley. Nell’istante in cui lo vide Ginevra sembrò pietrificarsi sul posto.
I sensi di colpa tornarono a tormentarla quando i suoi occhi si spostarono sulla bruciatura sul lato destro del volto del povero Auror.
- Cosa ti è successo, Kingsley? - domandò il signor Weasley notando quella grossa bruciatura.
- Un incidente sul posto di lavoro – rispose, atono. Poi lanciò una breve occhiata verso la porta e tutti si voltarono a guardare Regulus e Ginevra, fermi sulla soglia.
Kingsley la osservò con i suoi profondi occhi scuri. Salutò con un breve cenno del capo, ma non era certa che fosse indirizzato a lei dato che Regulus era proprio alle sue spalle.
Ginevra provò a dire qualcosa, ma non riuscì ad emettere un solo suono. Il panico si era impossessato di lei e fu impossibile celarlo a chi le stava intorno.
Istintivamente cercò Sirius e George con lo sguardo. La stavano guardando entrambi e i loro occhi sembravano lanciarle lo stesso messaggio: “Stai tranquilla. Respira. Andrà tutto bene”.
Avrebbe tanto voluto che quella fosse un’impresa facile, ma non lo era affatto. In quel momento, una cosa così semplice come respirare, sembrava una cosa molto ardua, soprattutto se nulla poteva fermare il battito accelerato del suo cuore.
- Non preoccuparti – le disse poi Kingsley. - Sono qui in veste di membro dell’Ordine. Da amico.
Purtroppo quelle parole non riuscirono a tranquillizzarla. I signori Weasley, Fred e Angelina cominciarono a guardarla, confusi.
Qualcuno poggiò una mano sulla spalla e le si accostò all’orecchio sussurrandole: - Non perdere la calma.
Non si voltò a guardarlo, ma sapere che Regulus era ancora al suo fianco la fece sentire meno sola.
Tra le mani Kingsley teneva una copia de La Gazzetta del Profeta. - Sono successe molte cose in pochissime ore – disse, riacquistando l’attenzione di tutti. Gettò il giornale al centro del tavolo così che tutti potessero leggere.
Due titoli in particolare svettavano a caratteri cubitali in prima pagina insieme alle fotografie di Ginevra e Silente.

 
ALBUS SILENTE IN FUGA


SIRIUS BLACK ANCORA LATITANTE
LA FIGLIA PRENDE LE SUE ORME!

Nel leggere quelle poche righe, Ginevra provò un brivido lungo la schiena.
Doveva immaginare che il Ministro non avrebbe rinunciato a spiattellare tutto ciò che era successo e in quel modo tutto il mondo magico era a conoscenza di ciò che aveva fatto.
Il signor Weasley cominciò a leggere a voce alta, mentre Ginevra faceva un passo indietro fino a poggiarsi con la schiena al muro.
Deglutì a vuoto.
- Ieri pomeriggio, dopo la fuga di Albus Silente, (leggi l’articolo a pagina 3, 4 e 5), – borbottò sbrigativo il signor Weasley, - la giovane criminale, Ginevra Andromeda Black, ha aggredito fisicamente l’Inquisitore Supremo nonché nuova Preside di Hogwarts, Dolores Jane Umbridge, senza la minima ragione. In un vero e proprio scatto d’ira.
Avvertendo gli occhi di tutti su di sé, Ginevra abbassò lo sguardo sul pavimento. Non aveva il coraggio di guardarli, di vedere le loro espressioni orripilate.
- La Preside – continuò il signor Weasley, - ha riportato gravi lesioni al braccio sinistro e ci ha confessato di non essere rimasta molto sorpresa dall’attacco, dichiarando: - Ho sempre pensato che fosse pericolosa.
- Oh, cielo – esclamò la signora Weasley senza riuscire a trattenersi,
portandosi una mano alla bocca. Il marito continuò a leggere.
- Il Ministro della Magia, Cornelius Caramell, ha confermato di aver abilitato l’intera forza degli Auror per la cattura della ragazza e quella di suo padre, Sirius Black, e chiede alla comunità magica di mantenere la calma.
Il signor Weasley smise di leggere.
Era troppo.
Tutti gli occhi erano fissi su Ginevra e tutti esprimevano un uragano di emozioni diverse.
Senza pensarci due volte, la signora Weasley si fiondò verso di lei e la attirò a sé in un abbraccio, accarezzandola come solo una mamma sapeva fare. All’inizio Ginevra ne rimase un po’ sorpresa, ma poi si lasciò andare e si strinse a quell’abbraccio materno di cui aveva tanto bisogno.

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Capitolo 36
*** Capitolo 36 – I DIARI DI M. DARCY ***


Capitolo 36 – I diari M. Darcy


Grimmauld Place sembrava immersa nel silenzio, ogni suo abitante era affaccendato con qualcosa: Regulus e Ginevra si trovavano nello studio, a cercare informazioni utili sull’entità Oscura; Sirius era al piano di sopra con Fierobecco; Kreacher puliva la casa; Angelina dormiva e Molly era appena uscita per andare a fare un po’ di spesa e, magari, passare per Diagon Alley a sbirciare la nuova attività di quegli scapestrati dei suoi figli.
In cucina, invece, seduto al lungo tavolo di legno, Remus meditava nel silenzio osservando la Gazzetta del Profeta.
Sospirò più volte nel leggere le ultime notizie.

CONTINUANO LE RICERCHE:
I FAMIGERATI BLACK SEMBRANO SPARITI NEL NULLA, MA GLI AUROR NON DEMORDONO.

 
UNA FAMIGLIA DI BABBANI TROVATA MORTA:
LA CASA È COMPLETAMENTE IN FIAMME. SI PENSA SIA STATA LA FIGLIA DI BLACK. IL MINISTRO AFFERMA: IL PADRE È SICURAMENTE SUO COMPLICE!

Ogni cosa che leggeva era peggiore della precedente.
Alla fine lo sconforto ebbe la meglio su di lui e si portò le mani sul viso. - Quando finirà? - sbuffò, sfregandosi gli occhi.
Ad un tratto udì una voce che invase la stanza.
- Sirius?
Remus sussultò e si voltò di scatto verso la voce. La testa di Harry era tra le fiamme smeraldine del camino.
- Harry! - esclamò sbigottito. - Che cosa... cos'è successo, va tutto bene?
- Sì - rispose Harry. - Volevo solo... ecco, mi sarebbe piaciuto... parlare con Sirius.
- Te lo chiamo subito. - Remus si alzò in piedi, ancora perplesso. - È andato di sopra a dare da mangiare a Fierobecco...
Uscì in fretta dalla cucina, e Harry rimase a fissare la sedia e le gambe del tavolo. Si chiese perché Sirius non gli avesse mai detto quanto era scomodo comunicare via camino; le sue ginocchia stavano già protestando per il prolungato contatto col duro pavimento di pietra della Umbridge.
Dopo pochi istanti, Remus fu di ritorno con Sirius alle calcagna.
- Che cosa succede? - chiese ansioso Sirius. Si scostò dagli occhi i lunghi capelli neri e si sedette in terra in modo che lui e Harry fossero alla stessa altezza. Lupin s’inginocchiò accanto a lui con aria preoccupata. - Stai bene? Ti serve aiuto?
- No - rispose Harry, - niente del genere... volevo solo parlare... di mio padre.
I due si scambiarono un’occhiata stupefatta, ma Harry non aveva tempo per sentirsi a disagio; le ginocchia gli facevano sempre più male. Perciò, senza indugiare, raccontò quello che aveva visto nel Pensatoio.
Ginevra, dopo aver passato una giornata intera piegata su quei pesanti ed enormi libri che lei e Regulus stavano studiando, si era trovata a sostare davanti alla porta della cucina. Tese l’orecchio, in ascolto. Voleva solo mettere qualcosa sotto i denti e rilassarsi un po’ prima di buttarsi nuovamente sui libri, ma non si aspettava minimamente di sentire la voce di Harry. Quello che stava dicendo su James e i Malandrini l’aveva lasciata senza fiato.
Si portò una mano alla bocca per trattenere lo stupore.
Una parte di lei si sentì un po’ tradita dal comportamento che suo padre aveva avuto in passato. Non si aspettava minimamente che fosse un bullo. Certo, sapeva degli scherzi e delle scazzottate che alle quali lui e i Malandrini prendevano parte, ma non avrebbe mai immaginato la cattiveria che vi era dietro i loro piani.
Quando Harry ebbe finito, Sirius e Remus rimasero un momento in silenzio. Ginevra si nascose dietro la porta, in modo da non farsi vedere nel caso uno dei due si fosse voltato verso di lei. Il cuore le batteva a mille.
Non poteva fare a meno di chiedersi se quando era giovane suo padre fosse davvero come Harry aveva appena raccontato: Uno stronzetto attaccabrighe, arrogante, presuntuoso e senza un briciolo di pietà verso il prossimo. Quello non era il Sirius che aveva visto lei. Non era quello dei ricordi di Lily.
Perché Lily non le aveva mostrato anche quel lato di suo padre?
Alla fine Lupin disse piano: - Non giudicare tuo padre da quello che hai visto, Harry. Aveva solo quindici anni...
- Anch’io ho quindici anni! E non mi diverto a gettare incantesimi sulla gente tanto per divertirmi - protestò Harry.
- Il fatto è - intervenne Sirius, - che James e Piton si sono odiati fin dal primo istante, è una di quelle cose... puoi capirlo, no? Perché James era tutto quello che Piton avrebbe voluto essere: popolare, un asso nel Quidditch... un asso praticamente in tutto. Mentre Piton era solo un piccolo stravagante immerso fino al collo nelle Arti Oscure, e James ha sempre detestato le Arti Oscure. Credimi, Harry.
“Questo, però, non è di certo un buon motivo per attaccare o denigrare qualcuno!”, in qualche modo Ginevra riuscì a trattenersi dal gridare quelle parole.
Sbuffò dal naso e incrociò le braccia al petto.
Harry invece sospirò. - D’accordo, però ha attaccato Piton senza motivo, solo perché... be', solo perché tu hai detto che ti annoiavi - concluse quasi scusandosi.
- Non ne vado fiero - rispose in fretta Sirius.
Ginevra abbassò lo sguardo sulla punta delle sue scarpe. Non poteva fare a meno di pensare al povero professore di Pozioni e a tutte le umiliazioni che James e Sirius gli avevano inflitto quando era solo un ragazzo.
Finalmente capiva tante cose.
Capiva il motivo di tutto quel risentimento che il professore aveva avuto fin dal primo istante nei confronti di Harry.
“All’inizio, però,” si trovò a riflettere la ragazza, “Piton mi trattava allo stesso modo. Poi qualcosa è cambiato. È diventato persino più gentile nei miei confronti”.
Entity sentì l’impellente bisogno di dire la sua: “Forse perché si è preso una bella cotta per te?”, la canzonò con disinvoltura.
“Non dire sciocchezze”, ribatté seccamente, avvertendo però un po’ di rossore sulle guance.
Io te l’ho sempre detto che il bel tenebroso è un tipo molto attraente”, tentò ancora Entity con tono allusivo.
Per evitare quel pensiero si insinuasse nella sua mente, concentrò nuovamente l’attenzione su ciò che Harry raccontava a Remus e Sirius, ma quando capì che la conversazione si era spostata su James cominciò a sentirsi di troppo.
Aveva ascoltato abbastanza. Era arrivato il momento di allontanarsi e lasciarli soli. E poi era giusto che Harry avesse un po’ di privacy mentre chiedeva informazioni su suo padre.
Lei non ricordava molto di James Potter.
Nella sua mente vi erano solo immagini sfocate di bei momenti passati insieme a lui, gli unici vividi erano i ricordi rubati di sua madre. Non ci voleva molto per ricordare il volto di James: era la copia carbone di Harry.
Sospirò.
Prima che lei si allontanasse dalla cucina per raggiungere nuovamente lo studio dove Regulus la stava aspettando, qualcosa attirò nuovamente la sua attenzione.
- Si comportava sempre da sciocco quando c’era Lily – sospirò Sirius. - Non poteva fare a meno di esibirsi ogni volta che lei era nei paraggi.
- Ma perché lo ha sposato? - chiese Harry, desolato. - Lo odiava! L’ho visto.
Ci fu un breve silenzio che Sirius ruppe solo dopo essersi schiarito la gola.
- Ma no – replicò, con un certo sforzo. - Lui era solo un po’… idiota, a volte. Ma ti assicuro che lei non lo odiava.
- Cominciarono a uscire insieme al settimo anno – spiegò in fretta Remus.
- Dopo che James aveva abbassato un po’ la cresta - precisò Sirius, sforzandosi di ridere.
- E smesso di gettare incantesimi sulla gente tanto per divertirsi – aggiunse subito dopo Lupin.
- Anche su Piton? - chiese Harry.
- Be’ - rispose Lupin pensieroso, - Piton era un caso speciale. Insomma, non perdeva mai occasione per lanciare maledizioni su James, perciò era logico che lui reagisse...
- E mia mamma era d’accordo? - domandò Harry, confuso. - Ho visto… Ho visto lei e Piton. Erano amici.
“Il professor Piton era un amico di mamma?”, si domandò Ginevra, strabuzzando gli occhi per la sorpresa. “Perché non l’ho visto nei suoi ricordi? Perché non ne sapevo niente?”.
Dentro di sé sentì Entity fare spallucce. “Lo stai chiedendo alla persona sbagliata, sorella”.
- Lei non lo sapeva - disse Sirius. - Quando James aveva un appuntamento con Lily non portava certo Piton con sé, e non si metteva a fargli incantesimi davanti a lei.
- Ma perché tu e mamma vi siete lasciati? - domandò ad un tratto Harry, curioso.
Quella domanda riuscì a spiazzarlo più della precedente.
Ginevra si accorse di aver trattenuto il fiato solo una volta che Harry parlò di nuovo, rompendo il silenzio irreale che si era creato.
- Scusa, non volevo essere così diretto – disse in un sussurro. - Il fatto è che non so quasi nulla di voi due.
- No… No… - mormorò Sirius, sforzandosi di sorridere. - Non preoccuparti. È giusto che tu lo chieda. - Si scambiò una breve occhiata con Remus, dopodiché rispose alla domanda del figlioccio. - Io e tua madre ci siamo lasciati perché ci siamo accorti che non ci amavamo. E poi… Lily si era resa conto di provare qualcosa per tuo padre e così abbiamo deciso di troncare.
- Certo, certo – Harry annuì, anche se non sembrava affatto convinto dalle parole di Sirius. - Ma è strano – disse poi, ormai sembrava deciso a dire tutto quello che gli passava per la testa, - perché ho visto un altro ricordo di Piton… Aveva visto mia madre piangere dopo che tu le avevi urlato contro di non amarla affatto e di aver giocato con lei per tutto il tempo.
Quelle parole riuscirono a gelare Sirius sul posto: il suo viso si contrasse e divenne pallido, quasi come se avesse perso le forze tutte in una volta, e nella confusione del momento, nel panico che vinceva su tutto il resto, capì che Harry sapeva più di quanto lasciasse credere.
Lo fissò accigliato. - Senti - disse, - tuo padre era il mio migliore amico, ed era una brava persona. Molti si comportano da idioti a quindici anni. Ma poi gli è passata e poi tua madre si resa conto di provare qualcosa per lui. Io non volevo trattenerla in una relazione che non aveva futuro.
- Ma stavate per avere una figlia – ribatté Harry, testardo
Sirius sospirò, passandosi una mano sul viso. Mentre parlava al figlioccio, rivelandogli ogni cosa, mantenne lo sguardo basso. Non aveva il coraggio di guardare quei meravigliosi occhi verdi che gli facevano ancora male. - Ai tempi non sapevo che la bambina che tua madre aveva in grembo fosse mia figlia – disse. - Lily mi aveva fatto credere che fosse di James. Ho scoperto la verità il giorno delle loro nozze... È stato allora che tua madre mi ha detto la verità. Ed è stato allora che James stava per uccidermi – un sorriso amaro sbucò impertinente sulle sue labbra. - Poi però è andato tutto bene. Ci siamo perdonati a vicenda e dal loro amore sei nato tu. Ti assicuro che i tuoi genitori si amavano davvero, Harry. Più di chiunque altro al mondo. E amavano te. Immensamente.
Harry si sforzò di annuire. - È che non avrei mai pensato di sentirmi tanto in collera con mio padre. Per un attimo ho persino provato una grande vergogna ad essere suo figlio – confessò. La sua voce tremava. - E ho provato molta empatia nei confronti di Piton. Non riesco ancora a credere che mio padre fosse un bullo! - sospirò rumorosamente. Ginevra intuì che forse lo faceva per frenare delle lacrime di nervosismo. Capitava spesso anche a lei.
- Harry… - cominciò Remus, con tono premuroso, ma lui lo frenò.
- So già cosa stai per dire: il passato non definisce ciò che siamo. Quello che è successo in passato ci da l’occasione di crescere. Dico bene?
Remus annuì, sorridendo. - Sì, una cosa del genere.
- Mi dispiace che tu abbia assistito a quella scena – disse Sirius. - Ma voglio che tu sappia che non era mia intenzione ferirla.
- Lo so – rispose Harry. - Sono rimasto anche dopo che mia madre è andata via e… ti ho visto. Mi dispiace – aggiunse, tristemente.
Per quella che doveva essere la milionesima volta in poche ore, Sirius rimase spiazzato dalle parole del figlioccio. Non si aspettava minimamente che lui sapesse davvero.
Non sapeva più come reagire.
Fu Remus a tirarlo fuori da quella situazione, portando l’attenzione altrove. - A proposito - disse, aggrottando la fronte, - come ha reagito Piton quando ha scoperto quello che avevi visto?
- Si è infuriato, ovviamente, e mi ha cacciato dalla stanza. Era molto a disagio - rispose Harry grattandosi il capo. Dovevate vederlo quando...
Tacque. Udì un lontano rumore di passi.
Il cuore saltò parecchi battiti.
Qualcuno stava per raggiungerlo.
- Merda! - imprecò a mezza voce, per poi esclamare: - Devo andare!
- Harry, aspetta! - lo chiamò Remus, ma era tutto inutile.
La testa di Harry sparì dal camino di Grimmauld Place, lasciando i due uomini da soli.
Sirius si lasciò cadere sul pavimento, appoggiando la schiena al muro accanto al camino. Si portò una mano alla fronte, sfregandola delicatamente. Strinse le labbra in una smorfia e lasciò andare un sospiro esausto.
Non si aspettava di essere sottoposto ad un interrogatorio da parte di Harry. Rispondere alle sue domande era stata la cosa più difficile che potesse succedergli quel giorno. Era come se parlare di Lily e James lo avesse completamente svuotato.
- È andata bene – commentò Remus sedendosi al suo fianco.
Sirius si voltò a guardarlo. Il sopracciglio inarcato. - Fai sul serio?
- Dico solo che poteva andare peggio – si giustificò il lupo mannaro alzando le mani. Poi sorrise e lo spintonò giocosamente, come facevano da ragazzi. - È un bravo ragazzo, Sir. Voleva solo delle risposte. È normale!
Ancora nascosta nella semioscurità del corridoio, Ginevra non ascoltò tutta la conversazione. Con il cuore in fermento per ciò che aveva udito, si diresse nello studio di Grimmauld Place, dimenticando persino dello spuntino che aveva intenzione di divorare poco prima. Le si era chiuso lo stomaco.
Era molto combattuta.
Una parte di lei era delusa dal giovane Sirius che bullizzava l’intera scuola e che cercava solo attenzioni insieme al suo compagno di scorribande… l’altra invece era molto dispiaciuta per lui. Aveva deciso di rinunciare a Lily, per permetterle di ricevere tutto l’amore di cui aveva bisogno da James. Di crearsi una vera famiglia… e aveva sofferto in silenzio, nascondendo la verità a tutti, Ginevra lo sapeva. Lo aveva sempre saputo e ora anche Harry sapeva.
Decise che non avrebbe mai parlato con suo padre di quello che aveva appena origliato. Fingere di non sapere quello che era un tempo era più facile che affrontare la realtà.
Harry aveva ragione: le scelte del passato non definivano ciò che si era da adulti. O almeno il più delle volte.
Sirius era un brav’uomo. Ne aveva passate tante e tutto ciò di cui aveva bisogno era di poter respirare e vivere una vita tranquilla, con le persone che amava. Lei non voleva di certo rovinare tutto per rimproverarlo per i suoi vecchi comportamenti. Era tutto inutile, fiato sprecato.
Il Sirius Black del presente era un uomo migliore e lei lo amava con tutta sé stessa.
Una volta all’interno dello studio trovò Regulus proprio come lo aveva lasciato: chino sull’ennesimo libro, intento a studiare persino la consistenza della pagina, tanta era la dedizione con cui leggeva ogni parola.
Sembrava non si fosse nemmeno accorto che fosse tornata; o almeno era così che la pensava lei.
- Non mi hai portato niente di buono? - domandò senza alzare lo sguardo dalla pagina.
- Ahm… no, mi dispiace – rispose lei, esitante. - Non c’era nulla che stuzzicasse il mio appetito.
Prese il primo libro che le capitò a tiro dalla lunga pila che dovevano ancora consultare e andò a sedersi sulla grande poltrona di pelle accanto alla finestra.
- Mh – mormorò lui in risposta, ma non sembrava tanto convinto.
- Trovato qualcosa mentre ero via? - si affrettò a chiedere Ginevra, sfogliando alcune pagine. Non voleva che le chiedesse qualcosa riguardo la sua “piccola gita” in cucina.
Con un tonfo Regulus chiuse il libro di scatto e lo spinse in avanti. - No – sbuffò. - Solo scarabocchi.
Incrociò le braccia al petto, guardandosi intorno.
- Tu hai scoperto qualcosa di nuovo?
Ginevra si limitò a scuotere la testa e continuò a sfogliare il libro che aveva tra le mani. Non sapeva se, nonostante gli scudi mentali che aveva issato, suo zio fosse riuscito a leggerle la mente o, semplicemente, avesse approfittato della loro unione mentale per scoprire perché ci mettesse tanto a tornare dalla cucina. Se era così lui lo tenne per sé.
- D’accordo! - esclamò, sfregandosi le mani con finto entusiasmo. - Questo libro sembra quello giusto.
Ginevra sorrise appena e scosse la testa. Ripeteva quella frase ogni volta, come se in quel modo invogliasse il libro giusto a saltare fuori.
Ma magari fosse così!”, sbuffò Entity. “Almeno se i libri fossero senzienti ci saremmo tolti il pensiero da tempo!”.
Aveva ragione.
Ma trovare informazioni su qualcosa di unico come lei era come trovare un ago in un pagliaio.
Aw”, mormorò intenerita. “Hai appena pensato che sono unica? Così mi commuovo.
Ginevra sospirò, nascondendo un sorriso divertito con la mano. “Smettila”, la rimproverò poi, fingendosi arrabbiata. “Così mi distrai”.
Sentì Entity fremere dentro di lei, come se stesse ridendo. Fu una piacevole sensazione.
Passarono le ore, il silenzio era accompagnato solo dal leggero ticchettio del vecchio orologio sul caminetto spento. Nonostante vivesse lì da un po’ di tempo, Ginevra trovava ancora incredibile che ci fossero così tanti camini in quella casa. Praticamente c’è n’era uno in ogni stanza, il che era un po’ superfluo secondo lei.
Ad un tratto Regulus esclamò, in preda all’entusiasmo: - Non ci credo! Sono un’idiota! Non sono scarabocchi… sono un vero coglione!
- Ehi, piano con i complimenti. Troppa autostima può farti male – sbottò Ginevra ironica.
Lui la ignorò.
- Ho trovato qualcosa. Vieni qui!
Ginevra scattò subito in piedi. - Dici sul serio?
Nella foga di andargli subito incontro, rischiò di inciampare in un grosso libro abbandonato sul pavimento. Entity fremeva quasi quanto lei, se non di più.
Finalmente stavano per avere le risposte alle loro domande.
Regulus la incitò a fare in fretta con un gesto inquieto della mano e alla fine, col rischio di inciampare nei suoi stessi piedi, Ginevra lo affiancò subito dopo.
- Leggi qui – le indicò la pagina, picchiettando una parte ben precisa con il dito indice.
Effettivamente Regulus aveva ragione. Quelli sembravano devi veri e propri scarabocchi e bisognava assottigliare lo sguardo per poterli decifrare: Era tutto scritto a mano, in una grafia molto piccola e alcune parti del testo sembravano cancellate dal tempo, altre avevano delle macchie di inchiostro qua e là, come se qualcuno le avesse censurate intenzionalmente.
Impaziente, cominciò a leggere.

Si dice che più di duecento milioni di anni fa nacquero delle creature incorporee, che diedero vita alla magia stessa. Erano entità senzienti che camminavano sulla terra solo tramite un ospite corporeo, un umano.
Il primo essere diede vita ai primi maghi, insegnando loro come padroneggiare la magia, ma ben presto questa razza primordiale cominciò ad estinguersi poiché gli uomini, invidiosi del loro potere illimitato e della loro “immortalità”, cominciarono a sterminarli. Rimasero in pochi e si rifugiarono in un luogo nascosto dove continuarono a prosperare in silenzio. Vengono definiti Esseri superiori.

Ginevra smise di leggere e aggrottò la fronte. Nel silenzio che si era creato, mentre Regulus cercava come un forsennato un altro libro nel quale sosteneva di aver visto altri scarabocchi come quello, Entity mormorò con esitazione: “Quindi… sono un Essere superiore?”.
“A quanto pare è… probabile”.
Figo!”, esclamò Entity, estasiata.
“Non ti esaltare troppo”, la ammonì la ragazza. “Potrebbe essere solo una coincidenza”.
Entity sbuffò sonoramente. E va bene! Ma non c’è scritto altro?”.
Ginevra prese a sfogliare il libro che, notò solo in quel momento, in realtà era una specie di vecchio diario di un certo M. Darcy. Stando alle varie date segnate in alto a destra in ogni pagina, e dal loro contenuto, Ginevra scoprì che era un giovane mago della fine del 1700; documentava ogni cosa.
All’interno del diario trovò persino alcune lettere, ormai ingiallite dal tempo, da parte di una nobile donna che, a quanto vi era scritto, era la sua amata. Ma Ginevra non sapeva dire se fosse una babbana o una strega. Nelle lettere e nelle pagine del diario, Darcy non ne faceva parola. E lo stesso valeva anche per altre informazioni sulle Entità superiori.
Non trovò nient’altro.
In realtà, notando le altre pagine di quel diario, sembrava quasi che quegli appunti scarabocchiati fossero stati scritti in fretta e furia o persino da un’altra persona. Le pagine restanti, invece, avevano una calligrafia molto chiara ed elegante, tutto l’opposto di quella che raccontava la possibile storia sulle origini di Entity.
Ben presto, Regulus trovò altri diari del signor Darcy; erano circa una decina e ognuno di essi possedeva pagine o anche solo poche righe di scarabocchi in cui la storia degli Esseri superiori continuava ad essere descritta.
Ginevra e Regulus cominciarono a leggeri uno ad uno, scambiandoseli una volta finiti.
Era come se il signor M. Darcy, o chiunque avesse preso possesso di alcuni dei suoi diari, avesse lasciato delle informazioni in modo tale che gli Esseri superiori non venissero dimenticati. Qualunque fosse la verità, il perché quei diari si trovassero lì, nella biblioteca privata della famiglia Black, era un vero mistero.

Sebbene né le loro origini, né i confini dei loro poteri siano mai stati definiti in modo specifico, sembra che ogni Essere superiore possieda straordinari poteri soprannaturali in determinate circostanze. Molti dei loro poteri sono ancora sconosciuti ma è possibile confermare che tra di essi vi sia la capacità di mutare la propria forma, controllare gli elementi della natura… sembra che vi sia anche chi possa inibire i sensi e piegare al proprio volere qualunque altra specie.

Prima dello sterminio di questa razza, alcuni maghi, stanchi di essere solo dei gusci mortali per gli Esseri superiori, cominciarono a pensare di sfruttare il loro potere e di imprigionarli. Bramavano l’immortalità e il potere assoluto. Dopo una lotta estenuante, gli Esseri superiori decisero di emigrare appena in tempo e lasciare la Terra.

Esseri soprannaturali con un potere supremo e in tempi antichi erano persino venerati come dei da ogni mago o strega del mondo intero. Alcuni li temevano, affermando che essi fossero dei demoni malvagi, dei fantasmi malevoli in grado di assorbire la linfa vitale dell’essere umano.

Secondo alcuni storici, quando le forze primordiali che erano considerate buone e cattive presero forma, quelle malevole crebbero di potere e iniziò l’era degli Antichi. Coloro che avevano avuto la forza di resistere al fascino del male lasciarono la Terra e si accontentarono di guardare da un’altra realtà, dirigendo solo le restanti forze del bene sulla Terra e non prendendo parte attiva alla battaglia contro il male.

I Primordiali sono delle creature nate millenni prima della magia stessa. Sono misteriosamente scomparsi dopo la prima Grande Guerra dei Maghi, ma sembra che alcuni di loro vivano ancora nel mondo magico, sotto forma umana.
Quando un Primordiale muore, il suo potere magico cessa di esistere ma, prima di lasciarsi andare, ha il compito di trovare un nuovo ospite al prossimo Essere superiore che lo sostituirà in quel mondo.

Non trovarono altro.
Era tutto talmente confuso che dovettero rileggere quelle parole più e più volte. Sembrava che i diari rimanenti fossero scritti in un’altra lingua, gli scarabocchi erano diventati simili a geroglifici e decifrarli divenne molto più complicato.
Entity non trovò molta familiarità con quella storia. I suoi ricordi erano ancora molto annebbiati. Ciononostante l’aver trovato quelle informazioni le aveva dato speranza: se esisteva un altro mondo del quale lei “probabilmente” faceva parte, allora poteva anche tornarvi. Dovevano solo trovare altre informazioni. Dovevano scoprire qualcosa sulle premonizioni.
- Voi due siete ancora qui? - esclamò una voce maschile dal fondo della stanza. - È ora di cena!
Il cuore di Ginevra perse un battito. Era talmente abituata al silenzio e ai sussurri che lei e Regulus si erano scambiati fino a quel momento che il solo sentire una voce diversa dalle loro l’aveva spaventata.
Alzò la testa di scatto, incrociando lo sguardo di suo padre.
Era appoggiato allo stipite della porta, con le braccia incrociate al petto e un mezzo sorriso sulle labbra.
Sembrava che gli fosse tornato il buon umore.
- Scusa, papà – mormorò la ragazza, abbassando lo sguardo sul diario che aveva tra le mani. - Eravamo concentrati sulla nostra nuova scoperta.
- Davvero? - domandò Sirius, sorpreso.
Si avvicinò alla scrivania e si piegò su quei libri dalla copertina scura.
Regulus si scambiò un’occhiata in tralice con il fratello. - Sembra che abbiamo scoperto qualcosa sulle origini di Entity – spiegò. - Stento ancora a crederci.
- Entity sta scalpitando – ridacchiò Ginevra, mostrando uno dei messaggi al padre. - Sembrano scarabocchi, – si affrettò ad aggiungere notando il suo sguardo corrucciato, - ma in realtà sono informazioni molto utili. Basta solo guardare meglio.
- Sai per caso come ci siano arrivati qui questi diari? - gli domandò Regulus, corrucciato.
- M. Darcy – mormorò Sirius sfiorando il nome con le dita. - M. Darcy… M. Darcy… - ripeté, poi aggrottò la fronte e disse: - Non credo di averne mai sentito parlare.
- Forse qualche vostro antenato li ha rubati al signor Darcy – tentò Ginevra, alternando lo sguardo dal padre allo zio.
Sirius si grattò il mento con aria riflessiva. - È un’incredibile coincidenza che si trovino qui, a Grimmauld Place… quindi è possibile. La cosa non mi stupisce più di tanto.
- Sembra quasi che volessero essere trovati – mormorò Regulus tra sé e sé.
Calò il silenzio.
Sirius e Regulus continuavano a guardare quei diari con aria assorta, quasi come se entrambi si interrogassero sulla loro comparsa improvvisa… a pochi passi da loro.
Strano era strano.
La biblioteca della famiglia Black era grande e aveva una vasta gamma di antichi libri di Incantesimi e di storia, ma non era come la Stanza delle Necessità; non era in grado di far apparire ciò che si desiderava come per magia. Non lo aveva mai fatto.
Entity sembrò pensarci su. “Be’, allora sembra che per una volta... abbiamo avuto una vera botta di culo!” esclamò tutt’a un tratto.

L’entusiasmo di Entity per la nuova ed esaltante scoperta riuscì a contagiare anche Ginevra. Quella era una scoperta sensazionale e meritava di essere acclamata in tutto il suo splendore.
Non stava più nella pelle. Doveva dire tutto a George.
Prima di andare a dormire, approfittando dell’assenza di Angelina, Ginevra attirò il ragazzo nella sua camera e gli raccontò ogni cosa, senza tralasciare neanche il minimo dettaglio. Gli parlò anche dei dubbi e delle speranze che si accavallavano dentro di lei fin da quando aveva letto quei diari.
Sembrava tutto così facile da sembrare troppo perfetto. Forse si trovava in un sogno.
Di fronte a quei dubbi George fece la prima cosa che gli venne in mente per testare la teoria della Grifondoro: le diede un pizzicotto al braccio.
- Ahi! Mi hai fatto male - mentì lei, protestando imbronciata.
Lo schiaffeggiò sulla spalla.
- Dovresti ringraziarmi - ribatté lui. - Almeno così hai la certezza che è tutto vero.
Scoppiarono a ridere. Le mise un braccio intorno alla vita e la attirò a sé, sbaciucchiandole il collo.
Lei lanciò un gridolino divertito e si dibatté. - Mi fai il solletico - protestò, riuscendo poi a sgusciare via quel tanto che bastava per fermare quella tortura.
Restarono a guardarsi per quella che sembrò un’eternità. In quel momento c’erano solo pochi centimetri a dividerli. George intrecciò le dita alle sue e le accarezzò con dolcezza.
- Era da un po’ che non ti vedevo così… leggera.
Le sue parole riuscirono a scaldarle il cuore.
Nemmeno lei riusciva a ricordare quand’era stata l’ultima volta che aveva provato tanto sollievo. Forse quello era l’inizio di una nuova pagina della sua vita. Una nuova speranza. Nemmeno i dubbi che aveva riguardo a quei diari riuscirono a scalfire quella prospettiva allettante.
Andò a dormire col cuore più leggero. Ma era talmente entusiasta dalle sue nuove scoperte e dalle prospettive, che dimenticò completamente di bere la pozione che il professor Piton le aveva tanto raccomandato. Non aveva mai dimenticato di bere il suo elisir, nemmeno una volta. Per evitare che ciò accadesse lasciava sempre un’ampolla sul comodino, così da averla sempre sott’occhio ed era un metodo perfettamente collaudato… fino a quel momento.
Mentre la pozione giaceva dimenticata sul comodino, gli incubi si erano ripresentati con prepotenza.
Ginevra cominciò ad agitarsi nel letto, rotolando da una parte all’altra.
Bellatrix.
Bellatrix colpiva Sirius.
Poi George.
Regulus, Fred, Hermione… tutti cadevano per mano di Bellatrix. Li uccideva tutti, senza pietà, godendosi il suono della sua stessa risata divertita. Sembrava una bambina il giorno di Natale.
Ginevra non riusciva a reagire. Era bloccata da delle grandi corde. Qualcuno le sussurrò qualcosa all’orecchio provocandole un brivido agghiacciante lungo tutto il corpo. No. Non un sussurro. Era un sibilo.
Il sibilo di un serpente.
Guardò meglio la corda che pian piano aveva cominciato a stringersi sempre di più, notando con orrore che in realtà si trovava nella morsa di un serpente.
Provò a dimenarsi, a scappare, ma non ci riuscì. Il serpente continuava ad avvolgerla ad ogni suo tentativo come le radici del Tranello del Diavolo.
Davanti a sé trovò due lucenti occhi rossi a fissarla nel buio.
Quegli occhi cominciarono ad avanzare, finché la luce fioca della grotta in cui si trovava non illuminò il volto di quella creatura.
Non aveva mai visto il suo volto, ma in quel momento capì che era lui. Ne era più che certa; alto e scheletrico, la carnagione più bianca di un teschio, con quegli occhi grandi e scarlatti che svettavano come due rubini e un naso piatto come un serpente con fessure al posto delle narici.
Non poteva essere altri che lui.
Con le labbra strette in un sorriso di puro trionfo, Voldemort si avvicinò a lei. - Finalmente sei mia.
Ginevra gridò con tutto il fiato che aveva in corpo quando la mano di quel immonda creatura cominciò ad allungarsi verso di lei.
Non serviva a nulla dimenarsi.
Ormai era stata presa.
Harry aprì gli occhi e scatto a sedere come una molla. Il forte russare di Ron lo riportò alla realtà. Intorno a sé vi era solo il buio del dormitorio.
Era solo un incubo.
Solo un incubo.

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 – LA PORTA ***


Capitolo 37 – La porta

Quando Ginevra riaprì gli occhi, era in preda al terrore.
Ciò che si trovò davanti fu anche peggio dell’incubo. Per un attimo credette di stare ancora sognando, ma si sbagliava.
Quella era la realtà.
Tutto intorno a sé era avvolto dalle fiamme. Il fuoco lambiva il suo letto con le sue lingue forsennate, circondandola.
Abbandonò in fretta il materasso, per sfuggirgli, ma era quasi come se le fiamme seguissero ogni suo passo fino ad espandersi.
Il panico cominciò ad impadronirsi di lei, sembrava che nessun altro si fosse accorto che era appena scoppiato un incendio. Angelina dormiva beata dall’altro lato della stanza, con il suo leggero russare appena udibile.
La casa era avvolta nel silenzio più totale.
Ginevra allungò la mano verso il comodino, in cerca della sua bacchetta, ma non la trovò.
Cominciò a cercarla con lo sguardo... Era sparita.
Il pensiero che fosse andata persa tra le fiamme si trasformò in una certezza.
Stava per chiamare aiuto quando Entity la fermò.
La sua voce era gentile.
Calma”, le disse. “Stai calma. Andrà tutto bene”.
Ginevra si portò le mani ai capelli, tirando con forza. I battiti del suo cuore erano accelerati notevolmente e non riusciva a placarli.
Ascoltami”, fu la richiesta insistente di Entity. “Ginevra, ascoltami!”, ripeté con voce più alta, ma senza cambiare il tono.
Ginevra provò a darle ascolto, ma in quel momento la crisi di panico era molto difficile da sopprimere.
Chiudi gli occhi”.
Nonostante il suo corpo tremava come una foglia, lei obbedì.
Ora, respira profondamente e concentrati sul tuo legame con il fuoco. Come hai fatto l’ultima voltadisse, senza mai abbandonare il tono gentile. “Ti aiuterò io. Rilassati. Non pensare a nient’altro”.
Ginevra respirò a fondo, e lentamente, e provò a concentrarsi sul fuoco che era attorno a lei, sul suo calore. Il suo unico errore fu quello di riaprire gli occhi. Il fuoco divampava sempre di più.
Il panico era sempre lì, pressante più che mai.
- Che cosa faccio? Che cosa faccio? - supplicò in un sussurro.
Entity non la lasciò sola nemmeno per un’istante. “Ehi, concentrati”, disse. “Andrà tutto bene. Devi solo chiudere gli occhi e fidarti di me”.
Per la seconda volta Ginevra chiuse gli occhi, ma non riusciva a concentrarsi del tutto. Non da sola, almeno.
Concentrati”, le sentì ripetere.
Un respiro profondo dopo l’altro, Entity la aiutò a rimanere in sé.
La sua mente la portò in un posto lontano, ma allo stesso tempo familiare. Si trovava in un lungo corridoio avvolto dal buio, nel quale si era già trovata in passato.
Per la prima volta, però, non provò l’istinto di correre.
La paura di poco prima era come svanita nel nulla. In quel luogo vi era solo pace.
Davanti a sé apparve la porta rossa che aveva popolato più volte i suoi sogni. Era sempre la stessa, con la sola differenza che quella volta non vi era alcuno spiraglio di luce. Era completamente chiusa, ciononostante Ginevra sembrava sapere con esattezza cosa fare. Quando toccò il legno cremisi la porta si aprì, al suo interno trovò un immenso focolare che spiccava nell’oscurità della stanza.
Il fuoco sembrava chiamarla a sé come il canto di una sirena.
Avanzò con esitazione, mentre il suo sguardo veniva catturato dalla danza ipnotica dalle sfumature rosse e arancioni del fuoco.
Toccalo”, la incitò Entity.
Ginevra si voltò di scatto, trovandola al suo fianco.
Era come un’immagine riflessa, proprio come in uno specchio. Indossava il suo stesso pigiama, il viso era uguale al suo, così come i capelli. Era la sua gemella, la sua copia esatta. Solo un occhio attento avrebbe notato le differenze tra di loro.
Stando a quello che riuscì a notare, Entity aveva apportato qualche modifica al suo aspetto: i capelli erano neri, proprio come quelli di Ginevra, intrecciati in una morbida treccia che le cadeva sulla spalla, ma con una leggera sfumatura di blu sulle punte; i suoi occhi non erano più tra il verde e il castano chiaro, bensì due profonde pozze blu.
Istintivamente, Ginevra le sorrise, a mo’ di saluto, e Entity la imitò subito dopo.
Quella non era la prima volta che si trovavano l’una di fianco all’altra. Tempo prima Entity aveva provato a prendere il controllo attraverso una lotta mentale, nella quale Ginevra aveva rischiato più volte di soccombere. Quella volta, però, erano lì come amiche.
Entrambe si voltarono verso le fiamme, ne sembravano quasi rapite.
Prima di avanzare ulteriormente verso il focolare, Entity intrecciò la sua mano a quella di Ginevra. “Sono qui con te. Non ti lascio sola”, la rassicurò con dolcezza.
Fu moto rassicurante averla accanto.
Ginevra tese un braccio verso le fiamme, provando un leggero formicolio quando il fuoco venne risucchiato completamente dalle sue dita.
L’istinto le suggerì di chiudere gli occhi mentre la sensazione piacevole del fuoco le guizzava dentro.
Adesso puoi aprire gli occhi”, le sussurrò dolcemente Entity all’orecchio.
Riaprì gli occhi ritrovandosi nella sua stanza, avvolta dal silenzio e dal buio della notte.
Un sospiro di sollievo le sfuggì dalle labbra.
Il fuoco era sparito.
Angelina dormiva ancora e la casa era ancora immersa nel silenzio, come se non fosse successo niente.
“Grazie, Entity”, disse.
Era solo grazie a lei se era riuscita a controllarsi e a far sparire le fiamme. Senza il suo aiuto sarebbe sprofondata nel panico più totale. Grazie a lei aveva ritrovato la sicurezza e con essa la sensazione di un calore tutto nuovo.
Avvertì Entity stringersi nelle spalle, come se il suo aiuto non fosse stato poi un granché. “Hai fatto tutta da sola” disse. “Io ti ho solo stretto la mano per evitare che ti perdessi”.
Nonostante lei minimizzasse la cosa, il fatto che fosse rimasta al suo fianco per Ginevra significava davvero molto.

Quella mattina Harry non smise di pensare a quell’orribile incubo nemmeno per un’istante. Era quasi diventato un’ossessione. Nonostante cercasse di auto convincersi che era stato solo un sogno, una parte di lui sosteneva il contrario. Dovette trattenersi più volte dall’usare la Metropolvere della Umbridge per contattare la sorella e accertarsi che tutto andasse bene. E poi, se si fosse intrufolato nuovamente nell’ufficio di quell’arpia, non era certo di farla franca per la seconda volta. La prima era andata bene, ma la seconda… non era certo di essere altrettanto fortunato.
La dea bendata non era sempre tanto benevola con lui, quindi era meglio non abusare della sua bontà.
Per esorcizzare ogni suo dubbio sentiva il bisogno di parlare di quell’incubo con qualcuno dell’Ordine, come la professoressa McGranitt, ma la Umbridge gli stava con il fiato sul collo e non poteva andare nell’ufficio dell’insegnante di Trasfigurazioni senza una ragione valida che potesse sviare ogni sospetto.
Nonostante una parte di lui non aveva alcuna intenzione di raccontare nulla dell’incubo a Ron e Hermione per paura che lo prendessero per pazzo, alla fine aveva ceduto. Aveva bisogno di sfogarsi e di ricevere un parere esterno. Ma una volta aperta bocca se ne pentì all’istante.
- Ieri notte ho avuto un incubo – esordì quando si trovarono nella Sala Comune, ormai deserta.
- Lo sappiamo – dissero Ron e Hermione in coro.
Dire che Harry fosse sorpreso era un eufemismo. - Cosa?
Hermione si schiarì la voce e accantonò il libro che aveva tra le mani. Jane Austen poteva aspettare. - Ron mi ha detto che ieri notte borbottavi di nuovo nel sonno - si affrettò a spiegare.
Sotto l’occhiataccia di Harry, il rosso assunse un’aria colpevole. - Credevo che dormissi? - lo accusò, provando a nascondere il disagio che stava provando.
- Scusa… tentò Ron, imbarazzato. - Ma sai anche tu com’è Hermione. Mi tallona ogni giorno per sapere come stai!
Harry incrociò le braccia al petto e assottigliò lo sguardo sui suoi migliori amici. - Mi tenete d’occhio? - domandò, sconcertato.
- Harry – disse Hermione. - Siamo solo preoccupati per te.
Harry sbuffò una risatina. - Non sono mica un bambino.
La mano di Hermione gli accarezzò la spalla. Il suo tocco era tenero, come sempre, e riuscì ad ammansirlo. - Raccontaci tutto.
Nonostante tutto Harry si trovò a cedere e raccontò ogni cosa.
Alla fine del racconto Hermione disse: - Ne hai parlato con il professor Piton?
- Non ancora – confessò Harry con un lungo sospiro.
Si passò una mano sul viso.
Non parlava con Piton da quando si era intromesso accidentalmente nei suoi ricordi. Temeva che una volta rimasti soli, lui l’avrebbe ucciso. Gli sguardi che gli lanciava durante le lezioni gli davano quella sensazione ogni volta.
Per il professore quella sera sarebbe stata la volta buona per liberarsi di lui, dato che era prevista la loro lezione di Occlumanzia.

Il professor Piton lo accolse con il suo solito tono acido e scontroso. - Sei in anticipo, Potter – disse, senza nemmeno alzare lo sguardo.
Harry guardò l’orologio che aveva al polso.
Per la prima volta era davvero in anticipo, di ben cinque minuti. La sua reputazione da ritardatario era ben nota, e quella era la prima volta che arrivava puntuale ad un incontro con il suo insegnante. C’era di esserne orgogliosi... Ma quello non era il momento per festeggiare.
Piton era più glaciale che mai.
- Chiudi la porta – tuonò imperioso.
Harry fece come gli era stato ordinato, senza obbiettare e senza sbuffare contrariato.
Quando si mise davanti alla scrivania, come faceva sempre, restò in piedi, in attesa delle prossime direttive del professor Piton, ma lui non lo degnò nemmeno di uno sguardo. Continuava a sistemare una pila di fogli posti sulla sua scrivania, pulita e ordinata come sempre, fingendosi indaffarato.
Harry si soffermò a osservare il professore senza poter ignorare il velo di tristezza che provava ogni volta che ripensava alle cose terribili che suo padre gli aveva causato.
Nonostante non avesse alcuna colpa del comportamento dei Malandrini, Harry sentiva comunque un gran senso di colpa. E se fino a poco tempo prima prova un certo orgoglio quando lo paragonavano a James, in quel momento non era certo che gli facesse poi tanto piacere il paragone.
Se suo padre si fosse comportato diversamente, forse Piton sarebbe una persona meno scontrosa. Magari persino gentile.
Nei ricordi di Piton aveva visto solo cose terribili. Aveva visto un ragazzo spezzarsi e provare tanto di quel dolore e di risentimento da distruggerlo.
Sì, provava una gran compassione per lui e cominciava a guardarlo sotto una luce diversa. Provava compassione per il bambino che era stato, che Harry aveva visto trattenere le lacrime quando suo padre lo frustrava alla schiena con la cintura solo perché era in grado di fare magie come sua madre… provava compassione per il ragazzo al quale toglievano i pantaloni davanti a tutta la scuola, solo perché era una giornata noiosa… provava compassione per l’uomo che si era indurito nel tempo, senza fidarsi di nessun altro se non di sé stesso.
Harry si riscosse da quei pensieri solo quando avvertì un tocco leggero sul muro che aveva imparato ad erigere nella sua mente. Nonostante la sorpresa iniziale, Harry rafforzò quel muro invisibile in modo da proteggersi da qualunque tentativo di intrusione.
Quando vide l’angolo della bocca del professore curvarsi leggermente all’insù, capì di averlo sorpreso.
- Ti sei esercitato – notò Piton, mantenendo lo sguardo sulle sue scartoffie.
Harry annuì. - Sì, professore.
Non poteva fare a meno di provare un pizzico di orgoglio.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, era riuscito a respingere un attacco a sorpresa del professore, ma ogni vittoria, come gli ripeteva ad ogni lezione, non doveva dargli la libertà di abbassare la guardia.
Aveva imparato a tenere il muro sempre alzato. Sempre pronto.
Piton non lo guardò. Una volta in piedi, iniziò a girare tra gli scaffali prendendo tutto il necessario per la lezione di quel giorno.
- Hai più sognato quella porta? - gli domandò nel frattempo.
Alludeva alla porta che conduceva allo stanzone pieno di sfere polverose. La stanza delle Profezie.
Quel sogno tormentava Harry da mesi, ormai, ed era uno degli argomenti principali che il professor Piton trattava ad ogni incontro. Ma da quando la sorella gli aveva rivelato cosa c’era in quella stanza la sua curiosità lo tentava sempre ad entrare e esplorare.
Una parte di lui voleva ascoltare con le proprie orecchie le parole della Profezia che, per disdetta, la sorella non ricordava. Ma quando percorreva il corridoio verso la porta nera, una parte della sua mente sembrava sentirsi in colpa per la sua curiosità e, il più delle volte, finiva col svegliarsi ancor prima di attraversare quella porta.
- Negli ultimi giorni con più frequenza – rispose.
Piton annuì, cominciando a sfogliare un libro preso a caso dallo scaffale al suo fianco. Sembrava facesse tutto il possibile per non incrociare il suo sguardo.
Fu allora che Harry perse un po’ la pazienza e raccontò l’ultimo sogno che aveva fatto.
- Ho sognato anche una grande stanza. Al suo interno c’era mia sorella ed era in pericolo – deglutì a vuoto, mentre i ricordi riaffioravano ancora una volta. - Un grosso serpente la stava stritolando, lentamente. Era lo stesso serpente che ha attaccato il signor Weasley. Ne sono sicuro.
- Eri di nuovo il serpente?
La domanda fulminea del professore lo fece esitare solo un momento. Non doveva mentire. Non poteva. - Sì – ammise, abbassando lo sguardo per un breve istante.
Aveva omesso quel dettaglio quando ne aveva parlato a Ron e Hermione.
Non voleva che lo guardassero diversamente. Non voleva che cominciassero ad avere dei sospetti e ad avere paura di lui.
- Hai visto altro? - domandò ancora Piton.
- Lei non riusciva a scappare. Nonostante ci provasse… era in trappola – rispose Harry. - Poi è arrivato Voldemort e ha allungato una mano verso di lei e ha sibilato, tutto trionfante: “- Finalmente sei mia”.
Harry si fermò, sondando l’espressione del professore celata dai lunghi capelli scuri. Non non aveva osato incrociare il suo sguardo nemmeno la volta.
- Per un attimo ho temuto che non si trattasse di un sogno – confessò il ragazzo ad un tratto. - Era quasi come… come quando ho visto il signor Weasley. Troppo reale.
Piton parve irrigidirsi, ciononostante il suo tono rimase impassibile. - Probabilmente il Signore Oscuro vuole giocare con la tua mente. Vuole portarti a credere quello che vuole. È evidente che i tuoi sforzi non sono ancora sufficienti a sovrastarlo. Devi continuare ad esercitarti.
Harry annuì.
Sapeva che lo avrebbe detto.
Cadde il silenzio, nel quale il professore continuava a fingersi indaffarato con ciò che gli stava attorno.
Lo stava deliberatamente evitando. Ancora.
- Sei pronto? - domandò, puntandogli la bacchetta contro.
Harry non rispose. Si limitò a sguainare la propria bacchetta, restando in allerta.
Finalmente Piton lo guardò. Nei suoi occhi neri come la notte, Harry vide un attimo di esitazione.
- Non guardarmi in quel modo, Potter – sputò Piton, acido.
Harry strinse le dita attorno alla sua bacchetta, con forza.
Il senso di colpa dentro di sé non faceva altro che divorarlo da quando era entrato nella stanza e, evidentemente, la sua faccia lo aveva tradito.
- Le chiedo scusa, professore – tentò Harry, ma Piton lo interruppe.
- Concentrati! - sbraitò, per puntare la bacchetta ed esclamare: - Legilimens!
Harry riuscì a schermarsi appena in tempo, lanciando un “Protego”. Ormai aveva imparato. Sapeva come reagire, come proteggersi. Non doveva mai abbassare la guardia.
Piton attaccò ancora.
Ancora, ancora e ancora, in preda a una furia feroce che non riusciva più a controllare.
Non sopportava più lo sguardo compassionevole del ragazzo. Non poteva sopportare di vedere gli occhi di Lily guardarlo di nuovo in quel modo. Temeva di crollare e perdere ogni briciola di autocontrollo. Ma non era più un bambino. Non doveva farsi vedere debole. Non più.
La lezione si era trasformata in breve tempo in un duello, nel quale Harry non attaccò nemmeno una volta.
Nonostante faticasse un po’ a stargli dietro, lasciò che il suo insegnante sfogasse la sua rabbia senza protestare.
Ma quell’atteggiamento… Quegli occhi… per Severus erano una condanna.
Urlò a pieni polmoni, scagliando il ragazzo a terra con incantesimo, per poi lasciarsi cadere sul pavimento di pietra.
Si ripeteva di non cedere. Di non piangere. No, non doveva. Non poteva.
Un po’ stordito e acciaccato, Harry si rimise in piedi.
Con una mano raddrizzava gli occhiali sul naso, mentre con l’altra si massaggiava la schiena dolorante. Aveva urtato l’armadio di legno che si trovava sul fondo della stanza che si era, inevitabilmente, spaccato in mille pezzi sotto il suo peso.
Aveva preso una bella botta!
Il suo sguardo vagò fino a quando non vide il professor Piton inginocchiato sul pavimento, tremante.
Istintivamente si avvicinò a lui.
Lentamente, a causa di qualche fitta alla schiena e alla spalla, si inginocchiò e poggiò una mano sulla spalla del professore.
A quel tocco Severus trasalì e puntò lo sguardo sugli occhi del ragazzo. Rivedere quella compassione gli provocò un brivido.
Stava per crollare.
Prima che potesse inveire contro il ragazzo, in modo da allontanarlo, Harry lo stupì.
- Mi dispiace per quello che le hanno fatto – disse. - Non lo meritava.
Piton restò immobile, a guardarlo, anche quando lo vide alzarsi e abbandonare la stanza.
Uno strano calore si stava facendo strada dentro di lui. Un calore che non provava da tempo.
Mi dispiace per quello che ti hanno fatto, Sev”, aveva detto. “Non lo meritavi”.
Aveva usato le esatte parole di Lily.
Come quando era solo un bambino, Severus si portò le gambe al petto e le strinse forte, lasciandosi andare a un pianto silenzioso.

Quando Harry tornò nella Sala Comune di Grifondoro, per sua fortuna Ron e Hermione non erano presenti. Non guardò l’orario al suo polso, era sicuro che fosse l’ora di cena, quindi erano tutti nella Sala Grande.
“Meglio così”, pensò. “Almeno potrò rilassarmi un po’ prima di raggiungerli”.
Non aveva voglia di attirare l’attenzione.
Si distese sul letto, provando un grande sollievo per la sua schiena dolorante. Chiuse gli occhi e affondò il viso fra le mani, finché il rosso acceso delle sue palpebre diventò oscuro e fresco. Non era arrabbiato con il professor Piton… aveva visto il dolore nei suoi occhi e non poteva biasimarlo.
Certo, fin dal suo arrivo a Hogwarts Piton era stato un vero tormento nei suoi confronti, ma finalmente Harry ne capiva il motivo. Capiva tutto l’astio che gli riservava ogni volta che lo guardava. Il disgusto.
Tutti gli hanno sempre detto che era la copia sputata di James Potter e, evidentemente, per Piton era stato troppo trovarselo davanti. Trovarsi davanti alla sua nemesi giorno per giorno.
Nonostante fosse stato un’errore prendersela con un ragazzino per gli errori del padre… Harry lo capiva. E più ripensava a ciò che aveva visto, più lo compativa.
Se fino a qualche mese prima, qualcuno gli avesse detto come sarebbero andate le cose probabilmente gli avrebbe riso in faccia.
Lentamente, con quei pensieri per la testa, cadde in un sonno profondo e cominciò a sognare.
Era di nuovo nel freddo, buio corridoio dell’Ufficio Misteri; camminava a passo svelto e deciso, a tratti correva, per raggiungere infine la sua meta... come al solito, la porta nera gli si spalancò davanti... era nella stanza circolare con tante porte...
Lanciò un’occhiata al suo riflesso sul lastricato lucido e un gran senso di repulsione lo investì: non era il suo corpo o quello del serpente. Era Voldemort.
Una parte di lui sapeva di non dover avanzare, che era un’errore. Sapeva di dover scappare da quel sogno prima che Voldemort avvertisse la sua presenza… ma non poteva farne a meno. Era troppo curioso.
Si impose di non fare niente di avventato, di cercare di non farsi scoprire. Si era allenato. Era forte.
Poteva farcela.
Attraversò il pavimento di pietra e varcò anche la seconda porta... chiazze di luce danzanti, lo strano ticchettio, ma non c’era tempo di esplorare, doveva sbrigarsi...
Avanzò verso la terza porta, e anche quella si aprì.
Ancora una volta era nella stanza grande come una cattedrale, colma di scaffali e sfere di vetro.
Il cuore di Harry batteva fortissimo... La Profezia era vicina. Stavolta ce l’avrebbe fatta.
Voldemort raggiunse la fila novantasette, svoltò a sinistra. Il suo passo era così leggero che sembrava più che fluttuasse tra quelle file di scaffali...
Però Harry non trovò ciò che stava cercando. Là in fondo c’era una sagoma accasciata per terra, una sagoma nera che sussultava come una bestia ferita… Una donna dalla folta massa di capelli neri, che Harry aveva visto solo sulla prima pagina de Il Profeta, sovrastava quell’uomo saltellando di qua e di là come se si trovasse su un grande prato verde pieno di margherite.
Bellatrix Lestrange teneva la bacchetta ricurva tra le dita, ondeggiandola come un direttore d’orchestra, sorridendo soddisfatta ogni qual volta l’uomo emetteva dei versi agonizzanti.
Harry sorrise... No. Non Harry. Voldemort sorrise soddisfatto.
Sentì lo stomaco contrarsi di paura... di eccitazione…
Gli occhi di Bellatrix si illuminarono quando vide il suo Signore. Si inchinò, facendosi da parte.
Harry sentì uscire dalla propria bocca una voce acuta, gelida, disumana…
- Prendila per me... tirala giù subito... io non posso toccarla... ma tu sì...
La sagoma nera ebbe un fremito.
In fondo al proprio braccio Harry vide levarsi una mano bianca, le lunghe dita strette attorno a una bacchetta. La fredda voce acuta di Voldemort disse: - Crucio!
L’uomo sul pavimento lanciò un urlo e tentò di alzarsi, ma poi ricadde, contorcendosi. Harry rideva. Levò la bacchetta, scagliò di nuovo la maledizione, e la figura gemette e restò immobile.
- Lord Voldemort sta aspettando...
Lentamente, facendo forza sulle braccia tremanti, l’uomo a terra alzò le spalle e la testa. Il suo volto scarno, coperto di sangue e deformato dalla sofferenza, si irrigidì in una maschera di sfida.
- Prima dovrai uccidermi - mormorò Sirius.
Harry era nel panico.
Cosa ci faceva lì Sirius?
La sua bocca si mosse da sola. - Oh, lo farò - disse la voce fredda che non gli apparteneva. - Ma prima devi prenderla per me, Black... Credi di aver provato dolore, finora? Pensaci bene... abbiamo ore davanti a noi, e nessuno sentirà le tue urla… Quello che ti ha fatto Bella era solo un assaggio… Infatti, posso farti fare quello che voglio… Potrei persino usare lei…
Alle loro spalle, Bellatrix strattonava qualcuno per i capelli, obbligandola a inginocchiarsi ai piedi del suo padrone.
Sirius era sconvolto. - No…
Arrancò verso la figlia, strisciando. Bellatrix però fu abbastanza lesta da impedirglielo, tirandogli un calcio sul fianco. Davanti al suo dolore la strega ridacchiò. - Non si gioca così, cugino – cinguettò. - Devi dare al Signore Oscuro quello che vuole… altrimenti lei potrebbe farsi male. Tanto male.
- No – ansimò Sirius. - Vi prego...
La risata divertita di Voldemort era come un’eco. Mentre calava la bacchetta verso Ginevra, Harry gridò; gridò a pieni polmoni, scivolò giù dal letto e cadde sul freddo pavimento di pietra.
Si svegliò, urlante.
La cicatrice bruciava.
Rimase immobile, fissando il pavimento, lasciandosi invadere dal terrore.
Sirius e Ginevra erano in pericolo.

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Capitolo 38
*** Capitolo 38 – UFFICIO MISTERI ***


Capitolo 38 – Ufficio Misteri

- Bene. Passiamo a un nuovo esercizio.
- Ah sì, e quale?
Ginevra seguì Regulus attraverso il Quartier Generale e la portò nel soggiorno. Si stavano allenando da ore, ormai, ma non era affatto stanca.
Sentiva che era ben lontana dall’essere priva di forze.
Dopo aver assorbito il fuoco dell’incendio che lei stessa aveva appiccato, aveva raccontato tutto a Regulus, che ritenne opportuno che lei cominciasse ad allenare le sue abilità fuori dal comune.
Avevano iniziato con il fuoco. Lui lo evocava con l’incantesimo Incendio e lei lo assorbiva con un semplice gesto della mano o lo manipolava a suo piacere, creando persino delle creaturine di fuoco. Entity le trovava adorabili.
Pian piano avevano esplorato gli altri elementi: acqua, terra e aria.
Quando era piccola lo trovava facilissimo, ma col tempo aveva dimenticato come fare. Per sua fortuna c’era Entity ad aiutarla a ricordare.
Controllare l’elemento dell’acqua non fu affatto facile all’inizio. Infatti, senza che ne avesse la minima intenzione, Ginevra colpì più e più volte Regulus in pieno viso. Ma alla fine, dopo aver familiarizzato con l’elemento, trovò piuttosto semplice manipolarlo quasi quanto il fuoco.
Entity la aiutò ad aprire le altre porte mentali dove ogni elemento vi era rinchiuso, proprio come aveva fatto la sera prima. Per ogni elemento che assorbiva, entrambe si sentivano come se avessero ritrovato un vecchio amico.
Tutto diventava familiare.
Era una bella sensazione.
- Dato che non puoi usare la bacchetta, adesso passiamo al combattimento corpo a corpo – disse Regulus, piazzandosi dal lato opposto della stanza.
Ginevra si imbronciò un po’.
La sua bacchetta era andata letteralmente in fumo, proprio come aveva pensato.
Provava un senso di vuoto ogni volta che ci ripensava, era abituata a quel bastoncino di legno di ebano. Quella bacchetta era stata la sua fedele compagna per cinque anni… perderla era stato un colpo al cuore.
- Kreacher – chiamò Regulus e un secondo dopo l’elfo domestico apparve al suo fianco.
- Padron Regulus – Kreacher si inchinò, servizievole.
- Sei pronto? - gli domandò l’animagus e il vecchio elfo annuì.
Sotto lo sguardo curioso di Ginevra, Kreacher sparì in un sonoro Pop.
- Che hai in mente?
Regulus le sorrise. - Lo vedrai - disse. - Ora attaccami, ma senza usare i tuoi nuovi poteri.
Lei assottigliò lo sguardo, dubbiosa.
- Coraggio. Attaccami - la invitò, facendole cenno con le mani. - Non avrai paura di me, vero?
Davanti a quella provocazione Ginevra sbuffò a ridere. - Nei tuoi sogni, caro zietto.
Si allenarono per un po’ di tempo, con Kreacher che appariva dal nulla, distraendola. Regulus la attaccava senza sosta, atterrandola più volte. All’inizio l’orgoglio di Ginevra bruciava, soprattutto con le provocazioni che le lanciava Regulus ogni volta che lei commetteva un’errore: “Stai baciando il pavimento?”, “Come speri di battermi se non presti nemmeno attenzione?”, “Non pensare al tuo ragazzo”.
Era frustrante.
Alla fine, il piano di Regulus le fu chiaro dopo che l’elfo apparve per la terza volta: usava Kreacher per distrarla, in modo da attaccarla quando meno se lo aspettava.
Un gioco astuto. Ma al quale lei decise di giocare a modo suo.
Regulus aveva detto “- Senza usare i tuoi nuovi poteri”. Non aveva parlato di qualcosa di vecchio.
Approfittando del breve momento di distrazione causato dall’ingresso di Remus e Sirius nella stanza, Ginevra si tramutò in un lupo, atterrando con le zampe anteriori sul petto di Regulus e lo buttò a terra.
Il colpo fu più violento del previsto e Regulus batté la testa sul pavimento per il contraccolpo.
Il lupo saltò giù dal suo petto e Ginevra riprese forma umana. - Scusa, Reg. Non volevo farti male – esclamò, in preda all’ansia.
Inaspettatamente Regulus scoppiò a ridere. - Non male, ragazzina – disse. - Davvero niente male.
Ginevra sospirò, sollevata.
Temeva di non aver controllato la sua forza e di aver provocato un danno irreparabile. Fortuna che Regulus aveva la testa dura.
- Ma che fate? - domandò Sirius.
Ginevra lo guardò. Aveva la fronte aggrottata e un sorriso obliquo.
Non era affatto sorpreso per ciò che aveva appena visto. Sapeva che lei era in grado di trasformarsi in un lupo, perché tempo prima la ragazza gli aveva rivelato quella sua abilità confessandogli anche tutte le scappatelle che aveva fatto nel corso di quei mesi lontana da Hogwarts.
All’inizio lui non ne era stato molto contento e si arrabbiò non poco, ma poi aveva accettato la cosa, rassegnandosi all’idea di avere una figlia in grado di trasformarsi in lupo. Ma le suggerì di agire comunque con cautela. Dopotutto non sapevano ancora come funzionava quella sua abilità e poteva essere pericoloso.
Lei aveva acconsentito senza obbiettare, giurando che avrebbe usato quel potere di rado.
L’unico ad essere sconvolto da quella improvvisa trasmutazione era Remus. Restò a guardarla a bocca aperta, interdetto.
“La mia figlioccia è diventata un’animagus?”, pensò. “E quando aveva intenzione di dirmelo?!”
Si sentì un po’ tradito per averlo scoperto in quel modo.
Perché tutti gli nascondevano le cose? Perché lo cercavano solo per rivelargli qualcosa di scomodo?
Non faceva altro che riempire la sua testa di domande che, era certo, non avrebbe mai posto a nessuno.
- Mi alleno a fargli il culo – disse Ginevra, colpendo Regulus al petto con un pugno leggero.
- Ah! Ne hai di strada da fare prima che accada - esclamò Regulus in risposta.
- A me sembra che se la stia cavando bene – disse Sirius. - Ti ha buttato giù come un sacco di patate.
Soddisfatta dalle parole del padre, Ginevra fece la linguaccia a Regulus. - Ho vinto io. Ho vinto io – cantilenò come una bambina.
- Scommetto che potrei batterti ad occhi chiusi.
- Io credo di no. Semmai è lei quella che può batterti ad occhi chiusi – ribatté Remus, divertito. - Lei era una delle migliori del suo anno quando insegnavo io e, di certo, non è cambiato nulla dall’ultima volta.
- Visto? - esclamò Ginevra, allusiva, guardando lo zio. - Ginevra 1… Regulus 0 – aggiunse poi segnando quei punti su un tabellone immaginario.
Sirius scosse la testa, divertito. Poi però sembrò rabbuiarsi. - È necessario? Questo allenamento? - precisò quando vide le loro facce confuse.
- Be’, dovrà pur imparare a controllarsi – rispose Regulus, cauto.
Sirius sospirò, poi annuì e si avvicinò alla figlia. - È che… ho solo paura che tu ti faccia male.
- Tranquillo, papà – disse Ginevra. - So cavarmela.
- Sì – mormorò Sirius. La preoccupazione sul suo volto era ben visibile, ciononostante, le diede un buffetto sulla guancia e sorrise. - Sì, lo so.
Una luce argentea apparve davanti a loro, all’improvviso, muovendosi tra i mobili con grazia, senza far alcun rumore. Sotto lo sguardo sorpreso dei tre Black e del lupo mannaro, la luce mutò in una cerva d’argento, splendente come la luna e abbagliante e con grandi occhi orlati di lunghe ciglia. La splendida creatura parlò con la voce di Severus Piton.
- Potter crede che il Signore Oscure abbia preso Black e sua figlia, portandoli all’Ufficio Misteri. Ieri notte ha avuto un incubo legato alla ragazza. La Umbridge lo ha sorpreso mentre cercava di contattarvi. Non posso fare altro.
Ginevra fissò il Patronus, trovandolo stranamente familiare.
La cerva sembrò accorgersene, ma forse era solo una sua impressione. Si guardarono intensamente per alcuni istanti, poi il Patronus si voltò e se ne andò, svanendo nell’aria.
Il silenzio cadde in quella stanza come un velo, lasciando Remus e i tre Black completamente attoniti.
- Harry crede che siamo in pericolo? - domandò Ginevra a voce alta e Entity le rispose.
Ho una brutta sensazione”, disse e Ginevra provò la medesima sensazione.
Non diede ascolto a ciò che Sirius e Regulus stavano dicendo, si precipitò in camera sua dove, nel caos della sua valigia, teneva nascosto un portachiavi della Tour Eiffel, un souvenir del viaggio a Parigi con Hermione. Anche lei ne aveva un gemello. Infatti le due ragazze avevano posto un incantesimo su quegli oggetti, in modo da poterli usare per comunicare tra loro in gran segreto durante le punizioni con la Umbridge, ma avevano smesso di usarlo da tempo.
Ginevra non sapeva se Hermione lo avrebbe avuto con sè, ma provò comunque a contattarla.
Nessuna risposta.
Provò ancora una volta, poi ancora, ancora e ancora, e alla fine riuscì a sentire la voce di Hermione attraverso quella piccola torre di ferro. La voce era strana, distorta. Il segnale sembrava disturbato.
- Herm! - esclamò Ginevra. - Va tutto bene?
- GIN! - urlò la voce della ragazza dal portachiavi. - …ai be...e?
- Hermione! - la chiamò ancora Ginevra. - Non ti sento! Dove siete?
- Sia…o … Ufficio Miste… Mangiam… orte… Trappo… Harry… Peri… lo.
Il segnale si interruppe di colpo, lasciando Ginevra con il cuore in gola.
- Hermione! Hermione! - chiamò a vuoto, consapevole che la ragazza non potesse sentirla.
La testa cominciò a girare e la nausea a salire.
Nonostante il segnale fosse disturbato, aveva capito quello che Hermione le stava dicendo.
“Harry… Harry è in pericolo”, pensò, mentre la sua mente le mostrava l’immagine del ragazzo che cadeva per mano di Bellatrix Lestrange. Il suo incubo si stava forse avverando?
No”, protestò in fretta Entity. “Lo impediremo!”.
Con lo sguardo perso nel vuoto, Ginevra annuì.
Dovevano impedirlo.
Corse al piano di sotto, scendendo gli scalini a due a due, rischiando anche di cadere e rompersi l’osso del collo più volte.
Tornò da Remus, Sirius e Regulus, trafelata e con il fiato corto.
- Harry – ansimò sotto lo sguardo allarmato dei due uomini. - Harry è in pericolo.
- Cosa? - sbottarono Sirius e Regulus.
- Sei sicura di quello che dici? - domandò invece Remus, cercando di mantenere la calma.
Ginevra deglutì a vuoto, provando a controllare i battiti del suo cuore. Sospirò. - È andato nell’Ufficio Misteri! Era una trappola dei Mangiamorte. Dobbiamo aiutarlo!

Dopo aver radunato alcuni membri dell’Ordine e raccontato cosa fosse successo, la famiglia Black organizzò una missione di salvataggio. Regulus organizzò le squadre: Kingsley, Moody, Nymphadora e Remus avrebbero fatto parte del primo gruppo mentre Regulus, Emily, Ted Tonks e Ginevra, invece, nel secondo gruppo.
Ma nonostante gli sforzi e le continue preghiere di Ginevra per convincere il padre a rimanere a Grimmauld Place, al sicuro, Sirius decise di prendere parte alla missione.
Non voleva sentire ragioni. Voleva salvare Harry e sembrava che niente e nessuno potesse impedirglielo.
Il solo pensiero che le sue premonizioni potessero avverarsi, Ginevra provò un gran senso di vuoto. Non riusciva quasi a respirare.
Non voleva che si facesse ammazzare.
- Papà… ti prego… - pigolò, con le lacrime pronte a uscire.
- Andrà tutto bene – le sussurrò Sirius.
Le sue parole però non le suscitarono alcuna sicurezza. Sapeva che era solo una bugia.
All’ennesimo tentativo fallito di convincerlo, la ragazza guardò lo zio, implorante, ma egli non sapeva come aiutarla. Sapevano entrambi quanto potesse essere cocciuto Sirius Black e che era inutile cercare di trattenerlo con la forza.
Però Regulus promise alla nipote e a sé stesso che avrebbe fatto tutto il possibile per impedire che la sua visione si avverasse.
A qualunque costo.

Volavano nell’oscurità sempre più fitta dei cieli di Londra a folle velocità; Ginevra aveva il volto congelato e rigato di lacrime silenziose. Si stringeva così forte i fianchi di Sirius da sentire i muscoli bruciare, ma non osava allentare la presa per paura di perdere la sensazione di calore che solo lui era in grado di darle.
Aveva paura di perdere lui. Temeva che sparisse, che si trasformasse in fumo, lasciandola sola. Con un vuoto incolmabile nel petto.
Il solo immaginare una vita senza lui era insopportabile.
Forse quella che abbiamo visto non era una premonizione…”, le sussurrò Entity, nel tentativo di sembrare incoraggiante. “Forse era solo un incubo. Anzi, sono sicura che è così!”. Il suo tono si fece più squillante e speranzoso, ma Ginevra sapeva che neanche lei era convinta dalle sue stesse parole.
La ringraziò comunque per aver cercato di consolarla e tornò a stringere suo padre più forte che poté, affondando il viso nella sua schiena.
Il suo odore.
Non voleva dimenticare il suo odore.
Non voleva perderlo.
Il freddo vento notturno le aveva seccato e ghiacciato la bocca e non aveva il coraggio per dire qualcosa a suo padre. Non sapeva come dirgli che lo amava con tutto il cuore.
C’erano ancora tante cose che dovevano dirsi. Dovevano ancora recuperare il tempo perduto… Il suo unico timore era che quella fosse l’ultima volta in cui lo avrebbe stretto a sé. L’ultima volta per dirgli tutto quello che le passava per la mente.
Sirius si voltò appena a guardarla. - Siamo arrivati – urlò per sovrastare il suono del vento.
Harry.
Dovevano salvare Harry.
Per un attimo lo aveva quasi dimenticato.
Si sentì un verme quando se ne rese conto. Ma la sofferenza che provava era talmente grande da confonderle la mente.
Cercò di mettere a fuoco le idee e di ricordare le direttive di Moody e Kingsley: i Mangiamorte erano avversari temibili, ma non imbattibili. Dovevano fare squadra e dividerli per riuscire a salvare Harry.
Non dovevano fare gesti avventati, altrimenti sarebbe stata la loro rovina.
Se fossero arrivati troppo tardi…
Lo stomaco di Ginevra sussultò: non poteva perdere anche Harry.
Harry è ancora vivo, sta ancora lottando. Ne sono sicura”, disse l’entità Oscura.
Sperava solo che avesse ragione.

Una volta dentro il Ministero sentirono dei suoni ben distinti provenire da luoghi diversi: rumori di passi e grida che risuonavano in un’eco insopportabile. Ginevra provò la strana sensazione di trovarsi in dedalo nel quale era impossibile trovare una via d’uscita.
- Che facciamo? - domandò Ted Tonks, guardandosi intorno. - Da che parte?
Kingsley disse: - Dividiamoci.
E così fecero.
Sirius restò al fianco della figlia, senza mai lasciarla un solo istante. Ginevra dovette trattenersi più volte dal prendergli la mano e stringerla nella sua, come una bambina spaventata. Ma il problema era proprio quello: in quel momento lei sentiva di essere una bambina spaventata.
- Non avere paura – le sussurrò Sirius. La mano destra stringeva la bacchetta, mentre la mano sinistra trovò quella di sua figlia.
Il cuore di lei fece un salto. Ne era sicura.
Quel contatto, la sensazione di calore della sua mano, le aveva dato la forza di non scoppiare a piangere.
Si sforzò di sorridergli. - Non ho paura se tu sei con me.
Sirius si voltò un solo istante a guardarla e le sorrise a sua volta. - Nemmeno io ho paura se tu sei con me, principessa.
Non potevano sapere che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbero parlato. L’ultima occasione in cui avrebbero potuto dirsi “Ti voglio bene”.

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Capitolo 39
*** Capitolo 39 – I BUONI E I CATTIVI ***


Capitolo 39 – I buoni e i cattivi


Era come nel suo incubo: una grande stanza di pietra, fredda e poco illuminata.
Non appena vi entrò, Ginevra si sentì attanagliare la gola dalla paura.
C’era persino l’enorme arco di pietra… Era tutto uguale.
Regulus e Emily arrivarono poco dopo. Le bastò scambiare una breve occhiata con lui per intuire che stavano pensando alla stessa cosa: Stava per succedere.
Gli altri membri dell’Ordine li raggiunsero, lanciandosi nella battaglia che i Mangiamorte avevano scatenato con i membri dell’ES. Ginevra non si aspettava di trovarli lì: Hermione, Ron, Neville, Luna Lovegood, Ginny Weasley, Draco, Blaise, Theodore, Daphne… facevano tutti da scudo a Harry.
Era steso a terra, sembrava svenuto; o almeno era quello che sperava Ginevra.
Si guardò intorno, tenendo d’occhio suo padre: abbatteva Mangiamorte come un forsennato e dal sorriso che sfoggiava sembrava divertirsi un mondo.
Regulus, Emily e Nymphadora proteggevano i ragazzi, combattendo a suon di Schiantesimi contro tutti i Mangiamorte che osavano farsi avanti; Draco e gli altri Serpeverde, però, sembravano impegnati in una lotta verbale con altri quattro Mangiamorte dai volti nascosti sotto i cappucci neri e le maschere.
Continuando a combattere al fianco di Moody, Ginevra riuscì a captare la loro conversazione.
- Come hai potuto schierarti dalla loro parte? - gridava uno dei Mangiamorte a Daphne. Le puntava contro la bacchetta, ma non era certo se le avrebbe lanciato contro un incantesimo.
- Come hai potuto tu – ribatté la ragazza, senza nascondere il disgusto. - Dove credi che ti porterà tutto questo? Dove porterà tutti voi?
- Che ragazza sciocca – disse un altro Mangiamorte. - Non capisci che tutto questo ci porterà alla vittoria? Avremo finalmente tutto ciò che abbiamo sempre sognato!
- Davvero, padre? - sbottò Theodore, spalleggiando la sua amica. Chiamare il Mangiamorte in quel modo gli dava il voltastomaco. - Credete davvero a tutte quelle assurdità? Mi fate quasi pena – mormorò infine, come se ammetterlo gli costasse un certo sforzo.
- Abbiamo sopportato a sufficienza le vostre continue pretese, le vostre torture – disse Blaise, fronteggiando i quattro Mangiamorte che stavano di fronte a loro. - Non non vogliamo essere come voi.
Un uomo dai lunghi capelli biondi, sghignazzò. Ginevra lo riconobbe subito: era Lucius Malfoy.
A quel punto capì che davanti ai suoi amici Serpeverde c’erano i loro padri, ma era troppo impegnata a fronteggiare uno spietato Mangiamorte per reagire a quella scoperta. Non osava nemmeno immaginare quello che stavano provando i suoi amici in quel momento.
- Presto vi renderete conto che non potete scegliere – disse Lucius Malfoy. Il suo tono era glaciale, così come i suoi occhi.
- Ti sbagli! – gridò Draco al padre. - Finalmente ho trovato il mio posto! Tutti noi lo abbiamo trovato – e nel dirlo indicò anche i suoi amici.
- Quegli schifosi Mezzosangue gli hanno fatto il lavaggio del cervello – disse uno dei Mangiamorte.
- Daphne – chiamò un altro con tono imperativo. - Ti ordino di…
- Tu non mi ordini proprio niente! Nono sono una tua proprietà! Non più.
Blaise levò la bacchetta contro il proprio padre. Il suo volto esprimeva tutta la rabbia che provava. - Noi. Non. Vogliamo. Essere. Come. Voi.
- Allora morirete. Tutti voi - sibilò il padre di Theodore, scoppiando in una grassa risata. - Avada...
Con somma sorpresa dei ragazzi, e in particolare di Draco, Lucius Malfoy gridò: - No!
Per loro fortuna Alastor Moody pietrificò il padre di Theodore Nott prima che potesse lanciare l’incantesimo contro il suo stesso figlio.
Gli altri Mangiamorte iniziarono a lottare contro l’auror, ignorando Lucius Malfoy che lanciava una supplica al figlio. - Draco… vieni da me.
Allungò la mano, ma il ragazzo non la prese.
Alzò la bacchetta. - Non ti seguirò, padre. Non lo farò mai! - disse, per poi gridare: - STUPEFICIUM!
Lucius Malfoy lo schivò appena in tempo. Nei suoi occhi era apparsa la furia, il disgusto. Aveva perso il suo unico figlio, ed era tutta colpa di Potter.
Gridò, lanciando un incantesimo dopo l’altro contro il proprio figlio, in preda alla furia.
Come aveva potuto schierarsi dalla parte di Potter? Come?!
- Protego! - esclamò qualcuno poco lontano, schermando il giovane Malfoy.
Lucius si voltò, furioso. Doveva scoprire chi gli aveva impedito di punire suo figlio.
Quando vide Ted Tonks sorridere con aria di scherno, capì che era stato lui.
- Cognato – lo salutò Ted con un cenno. - È da tempo che non ci vediamo… Quanti saranno? Quindici anni?
- Sempre troppo poco – ringhiò Malfoy. - Crucio!
Ted fu abbastanza lesto da evitarlo.
- Devo essere sincero, caro cognato – disse, senza abbandonare il sorriso che infastidiva tanto il Mangiamorte. - Mi aspettavo più affetto da parte tua.
- Smettila! - gridò l’altro, lanciandogli la Maledizione senza perdono, che venne prontamente evitata per la seconda volta.
Ted fece spallucce. - Se è quello che vuoi… - disse, lanciandogli uno Schiantesimo dopo l’altro.
Intrapresero un duello serio, senza scherzi e senza battutine. C’erano solo il bene e il male. Rabbia contro rabbia.
Un Mangiamorte stava per colpire Ted alle spalle, ma Nymphadora gli aveva già spedito contro uno Schiantesimo, colpendolo in pieno. Ted la ringraziò con un sorriso e riprese a duellare.
Ogni Mangiamorte era concentrato su uno o più membri dell’Ordine, che scendevano in fretta i gradini di pietra facendo piovere su di loro un incantesimo dopo l’altro. Attraverso i corpi in corsa e i lampi di luce di incantesimi, Ginevra raggiunse i membri dell’ES e Harry. Stavano tutti bene. Proprio come aveva pensato, il fratellastro era semplicemente svenuto.
Cominciò a schiaffeggiargli le guance, per fargli riprendere i sensi. Poi Harry aprì gli occhi, sbattendo più volte le palpebre. - Che è successo? - biascicò.
- Sei svenuto.
Harry mise a fuoco ciò che aveva intorno, poi guardò la sorella. - E tu che ci fai qui? - domandò sorpreso.
- E c’è da chiederlo? - ribatté la ragazza, inarcando un sopracciglio. - Sono venuta a salvarti le chiappe, Potter!
Lo aiutò a rimettersi in piedi. E alla fine, senza riuscire a trattenersi, cominciò ad urlargli contro.
- Come diavolo ti è venuto in mente di venire qui? Volevi farti ammazzare?
Lui abbassò lo sguardo, colpevole. - Credevo che tu e Sirius foste in pericolo…
- Be’, potevi accertartene prima di trarre conclusioni affrettate, no? - lo accusò lei, in preda al nervoso.
I suoi occhi vagarono per tutta la stanza fino ad incrociare Sirius.
Stava bene.
Lottava contro tre Mangiamorte alla volta, ma stava bene.
Ginevra sospirò, buttando fuori la rabbia accumulata, e abbracciò il fratello. - Non fare più cazzate, ok?
Anche se non poteva guardare il suo volto, Ginevra sentì Harry sorridere. - Ci proverò.
Quando sciolsero quel breve abbraccio lei notò la strana sfera blu tra le mani di Harry. - È quello che penso che sia?
Harry annuì.
Era la profezia.
- Dobbiamo andare! - urlò Kingsley da qualche parte della stanza.
Il pavimento sotto di loro esplose, colpito da un incantesimo, e un cratere si aprì là dove pochi secondi prima c’erano Blaise e Theodore; i Mangiamorte erano spietati persino contro i loro stessi figli.
Per fortuna i ragazzi si erano spostati, in modo tale da non essere un bersaglio facile.
Harry ripose la sfera nella tasca della felpa e agguantò la bacchetta, pronto a tornare nella mischia. - Dov’è la tua? - domandò alla sorella notando che lei non l’aveva con sé.
Per la prima volta da quando era entrata in quella stanza, Ginevra sorrise. - Non ne ho bisogno.
Senza aspettare di scoprire come avesse reagito alle sue parole, Ginevra saltò giù dalla piattaforma ed evocò il fuoco, colpendo uno dei Mangiamorte che avevano messo in difficoltà Neville e Luna.
I due si guardarono intorno, sorpresi, fino ad incrociare il suo sguardo. Poi si aprirono in un sorriso di gratitudine.
Dentro di sé, avvertì che Entity era a dir poco elettrizzata. “È così divertente!”, esclamò. “Possiamo uccidere qualcuno?”.
“No”, rispose come se quella fosse l’ennesima volta che sentiva la stessa domanda.
Neanche uno?”, protestò la voce. “Ma sono tutti cattivi!”.
“Ho detto no!”, ripeté Ginevra, perentoria. “Vivi nel mio corpo, vivi secondo le mie regole.
Allora Entity sbuffò, contrariata. Ma allora dov’è il divertimento?”.
Intrappolando un Mangiamorte in una sfera d’acqua, Ginevra scosse la testa. “Al momento il divertimento non è opinabile, Entity”.
Cattiva”, borbottò l’entità Oscura. “Non ci parlo più con te”.
Ma Ginevra sapeva benissimo che non diceva sul serio. Avevano già avuto mille conversazioni che si concludevano in quel modo e alla fine Entity cedeva sempre.
Lanciò l’ennesima occhiata a Sirius: era poco distante da lei, stava duellando contro un Mangiamorte con tale accanimento che non si vedevano quasi le loro bacchette. Harry era al suo fianco, spalleggiandolo senza problemi.
Come ha fatto a raggiungerlo così in fretta?”, domandò Entity, confusa.
Ginevra non rispose.
Era pronta a raggiungerli, ma qualcuno la attaccò alle spalle. - Crucio! - e lei cadde in ginocchio, senza riuscire a impedire le scosse di dolore lungo tutto il suo corpo. Provava un immenso dolore bruciante lungo tutto il corpo, tanto forte da impedirle di stare in piedi. Si contorceva sul pavimento, ululando per il dolore, ma solo per poco.
Le veniva da vomitare.
- Bene, bene, bene… Chi abbiamo qui? - mormorò tra sé e sé il Mangiamorte, piazzandosi davanti a lei. La guardava con un sorriso sadico dipinto sulle labbra. - Oh, ma che tenero uccellino. Peccato che abbia un’ala spezzata – ringhiò tra i denti prima di tirarle un calcio al braccio destro.
Incapace di nascondere la sofferenza, Ginevra urlò. Il suo dolore echeggiò per tutta la sala.
Aveva sentito il suono di un osso che si rompeva.
Lanciò una serie di imprecazioni contro l’uomo incappucciato, ansimando.
Entity era spaventata. Lo sentiva.
In quel momento mormorava frasi come: “Posso farcela. Lo posso aggiustare”, ma forse era solo l’immaginazione di Ginevra.
Il Mangiamorte si stava preparando a colpire di nuovo, ma Ginevra lo aveva previsto: allungò il braccio sinistro verso l’uomo, evocando una forte folata di vento che lo fece volare lontano da lei.
Ansante, e ancora un po’ stordita per la Maledizione che le era stata lanciata, Ginevra si tirò in piedi. Il braccio faceva un male indescrivibile, ma doveva farsi forza. Non poteva soccombere per così poco.
Con suo grande orrore, vide il Mangiamorte rimettersi in piedi e avanzare verso di lei. Fissava i suoi occhi freddi con il fiato sospeso.
Prima non se n’era accorta, ma in quel momento capì di conoscere già quell’uomo. Era il Mangiamorte del suo incubo.
Proprio come nei suoi ricordi, il Mangiamorte ricambiò il suo sguardo con un sorriso sadico. Fece un passo lento e sfrontato verso di lei, pronto a puntare la bacchetta.
- Ci dai dentro, eh? - Sembrava colpito. Una luce folle gli illuminò gli occhi famelici. - Mi piace…
Aveva tutta l’aria di voler giocare.
Ginevra voleva attaccarlo, difendersi, ma non riusciva proprio a muoversi. La paura le attanagliava lo stomaco: la sua premonizione era vera. Non era solo un sogno. Ora ne aveva la conferma.
I suoi occhi si muovevano frenetici, dal Mangiamorte all’enorme arco di pietra al centro della stanza, sperando di trovare una soluzione o un aiuto, ma non trovò nulla. Non riusciva a vedere nemmeno Regulus, Sirius o Harry in quel viavai di lampi di luce che andavano da un lato all’altro della stanza.
Provò a mutare forma, ma il dolore al braccio glielo impedì.
Era finita.
Harry sbucò dal nulla, urlando: - Petrificus Totalus! - mandandolo al tappeto.
Ginevra si voltò a guardarlo. - Harry – ansimò. Aveva le lacrime agli occhi. - Dov’è papà? Ti prego, dimmi che è al sicuro.
Gli attanagliava la maglietta, pregando con tutta sé stessa che non stava per accadere quello che più temeva. Pregava che Harry le dicesse che Sirius era lontano, insieme agli altri membri dell’Ordine e dell’ES. Che erano rimasti gli ultimi a lasciare la sala. Desiderava che lui le dicesse che tutto andava bene e che stavano per tornare a casa… ma non fu così.
- È lì – rispose lui, guardando in un punto ben preciso alle spalle della ragazza.
E fu allora che la sentì.
Quella risata... Quell’orribile risata che aveva popolato i suoi incubi per mesi interi. Echeggiava nella stanza come un presagio orribile.
Ginevra si voltò e fu allora che la vide: una donna dai folti capelli neri e dal viso smagrito come un teschio: Bellatrix Lestrange.
Era proprio lì, a pochi metri di distanza, più terrificante di quanto credesse. Lottava a suon di incantesimi contro Sirius, sfoggiando un sorriso malvagio. Era quasi come se anche lei sapesse cosa stava per accadere.
Il panico si impossessò della ragazza. - Sta per succedere…
- Cosa? Cosa sta per… - Harry si fermò. La domanda gli morì sulle labbra.
La sua mente stava collegando tutte le informazioni, tutto quello che sua sorella gli aveva rivelato, tutti i segreti… o almeno credeva fossero tutti. Ricordò quando lei gli aveva parlato di aver sognato più volte la morte di James e Lily quando era bambina… e che poi era successo ancora una volta con Cedric…
Fu allora che Harry ricordò lo strano comportamento che la sorella aveva avuto negli ultimi tempi. Il motivo che lo aveva spinto a distanziarsi da lei… sapeva che gli stava nascondendo qualcosa, lo aveva sempre saputo, ma fino a quel momento credeva che il problema fossero Entity, la Profezia e tutto il resto. Credeva che gli avesse detto tutto quando si erano riappacificati.
Evidentemente si sbagliava.
Guardò Sirius ed era come se nella sua testa fosse appena scattato un campanello d’allarme. Fu allora che capì ogni cosa.
Harry iniziò a correre verso Sirius, che lottava contro la sua folle cugina, senza prestare ascolto alle proteste di Ginevra.
La sentiva correre dietro di sé, ma non voleva fermarsi a guardare. Non si accorse nemmeno che uno dei Mangiamorte alle loro spalle l’aveva pietrificata.
Per lui c’era un solo obbiettivo: doveva impedire che Bellatrix facesse del male a Sirius. Doveva fare qualcosa. Non poteva stare con le mani in mano.
Quando vide un bagliore febbrile negli occhi scuri di Bellatrix puntare Sirius, Harry agì d’istinto, lanciandole uno Schiantesimo talmente potente da destabilizzarla.
- Bel colpo! - gridò Sirius quando incrociò il suo sguardo.
Un getto di luce verde vagò verso di loro, ma riuscirono a chinarsi in tempo per evitarlo.
Ginevra, ancora pietrificata, vedendo la scena da lontano perse un battito.
C’era mancato poco. Molto poco.
Non le importava se attorno a sé c’era ancora chi si dava battaglia, i suoi occhi erano puntati su Harry, Sirius e Bellatrix.
Dal modo in cui la donna batté il piede per terra, si poteva ben notare quanto fosse furiosa per aver mancato il bersaglio.
Ginevra si sentiva impotente, come nei suoi incubi. Non riusciva a reagire, non poteva avvicinarsi. Nessuno la sentiva urlare… era tutto dannatamente uguale. Entity provò ad aiutarla in tutti i modi possibili, proponendole persino di attingere al suo potere per liberarsi, ma Ginevra non ci riusciva. Era troppo debole per fare qualunque cosa e il braccio sul quale poggiava il suo corpo pietrificato era lo stesso braccio che il Mangiamorte le aveva rotto con un calcio e provava un dolore immane.
La sua unica speranza era che qualcuno si accorgesse di lei e che la liberasse da quello stupido incantesimo, ma sembrava che tutto le remasse contro.
La fine era inevitabile.
Osservava inerme Sirius e Bellatrix che continuavano a duellare, le scintille che sprizzavano dalle bacchette guizzanti come spade… Harry interveniva in modo da poter proteggere il padrino dai colpi.
Poi, qualcuno gridò; chi spaventato e chi entusiasta: era arrivato Albus Silente.
Harry si voltò e vide: il suo volto pallido e furente. Si sentì attraversare da una sorta di scarica elettrica... erano salvi.
Senza smettere di camminare, Silente stordì un numero indefinito di Mangiamorte in un solo colpo. Ormai erano rimasti davvero in pochi.
Scese i gradini in fretta, passando accanto al ragazzo come se niente fosse. Puntava dritto verso un corridoio ben preciso.
Bellatrix lo notò e gli urlò contro, adirata. - Non ci provare nemmeno, vecchio!
Provò a fermarlo con le Maledizioni Senza Perdono, ma Silente sembrava evitare i tre incantesimi senza il minimo sforzo, quasi come se se fossero delle zanzare fastidiose.
Bellatrix si lanciò in un grido isterico, senza smettere di attaccarlo. Non doveva permettere che Silente raggiungesse quella stanza. Il Signore Oscuro era stato chiaro: doveva essere Potter a varcare quella soglia.
Sirius e Harry approfittarono della distrazione della Mangiamorte per attaccarla. Le lanciarono contro tutti gli incantesimi che conoscevano, ma Bellatrix si riprese in fretta.
Attaccò come una furia, disarmando Harry in meno di un secondo, dopodiché lo colpì con un incantesimo stordente.
Harry cadde a terra, sconfitto, ma almeno era ancora vivo. Quella era l’unica consolazione che Ginevra riuscì a trarre in quel momento. La sua visione non era completa… forse c’era ancora una speranza. Forse anche Sirius poteva ancora salvarsi…
In quel momento Ginevra sentì qualcuno chinarsi al suo fianco pronunciare: - Finite Incantem! - e lei riuscì finalmente a muoversi. Con le lacrime agli occhi, guardò il suo salvatore.
Ted Tonks l’aiutò ad alzarsi, facendo attenzione al braccio rotto. - Stai bene? - le domandò, ma Ginevra non lo ascoltò nemmeno. Scattò in fretta verso il padre, intenzionata a ingannare il destino.
Sirius aveva appena schivato il fiotto di luce rossa di Bellatrix, deridendola.
- Avanti, puoi fare di meglio! – le gridò.
Quella frase… Ginevra l’aveva già sentita.
- Papà! NO! - urlò, senza arrestare la sua corsa contro il tempo.
Il secondo getto luminoso partì dalla bacchetta di Bellatrix, puntando dritta su Sirius. Ginevra si lanciò contro di lui, spingendolo di lato fino a farlo cadere.
Prima di chiudere istintivamente gli occhi, come per proteggersi dall’urto, vide la sorpresa sul volto di Sirius. Poi il buio.
Caddero entrambi, atterrando sul pavimento lastricato di pietra, rotolando l’uno lontano dall’altra.
Ginevra riaprì gli occhi a fatica, provando un gran dolore al braccio rotto. Probabilmente il suo gesto eroico non aveva migliorato la situazione. Aveva sentito un altro crack, il che poteva significare che le sue ossa si erano rotte ulteriormente.
Aiutandosi con il braccio buono, si tirò su.
Nonostante all’inizio la sua vista fosse annebbiata, riuscì a distinguere una figura alta e imponente che le dava le spalle: Regulus stava proteggendo lei e Sirius.
Il cuore della ragazza ebbe un attimo di leggerezza.
La visione non si era avverata. Aveva salvato Sirius.
- Togliti di mezzo, idiota – ringhiò Bellatrix a Regulus. - È una questione che non ti riguarda.
- Oh, mi riguarda, eccome... cugina! – ribatté Regulus. Il suo tono era pacato, ma dentro di sé vi era la tempesta.
Bellatrix lo studiò con attenzione, ondeggiando la testa da un lato all’altro come un cucciolo curioso.
Assottigliò lo sguardo e lo puntò su di lui.
I suoi occhi si illuminarono di una luce divertita. Poi, d’un tratto, si fece di nuovo seria, come colta da una rivelazione improvvisa. - Non può essere… - sussurrò. Sul suo volto apparve un sorriso indecifrabile. - Tu sei morto!
Senza smettere un solo istante di puntarle contro la bacchetta, Regulus rispose con un sorrisetto più simile a una smorfia: - Strano… non credevo di esserlo. Io mi sento molto vivo. Te lo dimostro? - la incalzò, iniziando uno scontro senza esclusione di colpi.
- Ci hai traditi, allora – lo accusò Bellatrix. - Come hai potuto lasciare il Signore Oscuro?
Una luce rossa per poco non colpì Regulus, che rilanciò subito dopo.
- Ti sei unito al nemico! - gli sputò contro la donna, scoppiando a ridere come una pazza. - Avevi un grande futuro davanti a te, Regulus. Ma a quanto pare sei solo un piccolo, stupido, traditore. Dovevi rimanere morto!
Schermandosi dall’ennesimo attacco, Regulus le rivolse un sorriso obliquo, provocatorio. - E tu parli troppo, Trixy – disse, per poi colpirla in pieno petto con un getto verde luminoso.
Sorpresa di essere stata colpita, Bellatrix sgranò gli occhi e il sorriso maligno le si congelò sulle labbra: per una frazione di secondo sembrò capire cos’era successo, poi si lasciò cadere all’indietro.
Un suono sordo del suo corpo senza vita rimbombò sul terreno, seguito dai mormorii sorpresi dei Mangiamorte rimasti che si smaterializzarono subito dopo.
Fu allora che, finalmente, Ginevra sentì il cuore farsi più leggero. Come se un peso enorme fosse stato sollevato dal suo petto.
Bellatrix Lestrange, colei che aveva tormentato i suoi giorni fino a quel momento, era morta.
Quello che stava provando in quel momento era una sensazione strana, che non aveva mai provato prima e che le metteva un po’ paura. Temeva che quello fosse tutto un sogno… come se tutto quello che era appena successo in realtà fosse tutta una visione.
Entity la rassicurò, provando la sua stessa leggerezza. “Non è un sogno”, disse. “È morta davvero”.
Un sorriso spontaneo spuntò sulle sue labbra e sospirò, sollevata. Incrociò lo sguardo di Regulus che sorrideva a sua volta.
Erano liberi. Avevano evitato che la visione si avverasse.
Stavano tutti bene.
Si voltò verso suo padre, per condividere la gioia di quella conquista… ma quando abbassò lo sguardo su di lui, il sorriso le morì sulle labbra.
- Papà?
Sirius era disteso a terra, in una pozza di sangue che gli circondava la testa. Aveva gli occhi chiusi e non muoveva un muscolo.
Ginevra si avvicinò a lui, esitante. Il cuore sembrava incespicare ad ogni passo che faceva verso di lui. - Papà…?

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Capitolo 40
*** Capitolo 40 - È PIÙ VELOCE CHE ADDORMENTARSI ***


Capitolo 40 – È più veloce che addormentarsi

Un grido di terrore e disperazione che non riuscì a sopprimere, le sfuggì dalla gola.
Davanti a tutto quel sangue, Ginevra sentì le gambe cedere. Si lasciò cadere in ginocchio su quel pavimento freddo, con il corpo che tremava e con la mente incapace di mettere a fuoco nient’altro se non il sangue.
Sangue. Vedeva solo sangue.
Suo padre era a terra… e ne era circondato.
Esitante, cominciò a scuotere Sirius con le poche forze che le erano rimaste. Non le importava del dolore al braccio, voleva solo che lui aprisse gli occhi.
- PAPÀ! APRI GLI OCCHI! - urlava. Lui, però, non si muoveva. - Apri gli occhi… - tentò ancora, con la voce che si affievoliva pian piano e le lacrime che le rigavano il volto. - Ti prego...
Il dolore era troppo da sopportare. Si portò le mani alla testa e scoppiò in lacrime.
“È colpa mia. È tutta colpa mia”, si accusò. Non diede nemmeno ascolto a ciò che Entity le stava dicendo. Non riusciva a sentire niente di quello che stava accadendo intorno a lei.
Piangeva, si disperava e si colpevolizzava.
Urlava con tutto il fiato che aveva in corpo.
Non riusciva nemmeno a muovere più un muscolo verso suo padre. Temeva di scontrarsi con la realtà e avere la conferma che era morto.
Era tutta colpa sua.
All’inizio Regulus non si accorse nemmeno di ciò che era successo. Attorno a lui c’era il caos: un tumulto di lampi di incantesimi che schizzavano a destra e a sinistra e di grida dei pochi Mangiamorte rimasti, che avevano persino sovrastato le grida di dolore della ragazza.
Aveva appena disarmato un Mangiamorte con molta facilità.
Dopo che aveva ucciso Bellatrix, la luogotenente di Voldemort, tutti gli altri sembravano talmente spaventati che non si impegnavano nemmeno ad attaccare.
Fu in quel momento che udì la voce di Ginevra nella sua mente.
“È colpa mia. È tutta colpa mia”, diceva. “È colpa mia”.
Ma più che un sussurro, come gli capitava spesso di sentire i pensieri della ragazza, quello era più un urlo distrutto dal dolore.
Si voltò di scatto, cercandola con lo sguardo. Quando la trovò accanto al corpo del fratello, sentì il cuore in gola per lo spavento.
Morto.
Quella era stata la prima parola che gli venne in mente e che gli gelò il sangue nelle vene.
Senza pensarci un minuto di più, si precipitò verso di lui.
Si inginocchiò in fretta, provando ad ignorare tutto quel sangue che gli sporcava i pantaloni.
Ginevra continuava a piangere, disperata.
- Cos’è successo? - le domandò avvertendo il panico crescere sempre di più, mentre poggiava due dita sul collo tiepido di Sirius.
Regulus non era mai stato un tipo religioso, ma in quel momento pregò con tutto sé stesso di sentire ancora il battito del suo cuore.
Era debole, ma batteva.
C’era ancora una speranza.
Tra un singhiozzo e l’altro, Ginevra disse che Sirius aveva battuto la testa, poi cominciò a farfugliare e Regulus non riuscì a cogliere nient’altro. Per lui erano parole senza senso.
- Oh, buon dio… - mormorò qualcuno.
Regulus alzò la testa verso Ted Tonks, guardandolo mentre si toglieva la giacca per coprire il corpo di Sirius.
- Dobbiamo fare in fretta. Dobbiamo portarlo al San Mungo. Subito! - disse una voce che sembrava rotta dalle lacrime. Ci volle un bel po’ prima che Regulus si rendesse conto che quella era proprio la sua voce.
Mentre estraeva la bacchetta per frenare l’emorragia sulla testa del fratello, Regulus si sorprese a tremare solo quando Ted poggiò la mano sulla sua.
- Ci penso io – lo rassicurò, in tono fermo ma gentile.
Regulus lo lasciò fare.
Si guardò intorno solo per un breve istante, notando che finalmente i Mangiamorte rimasti erano stati abbattuti.
I membri dell’Ordine e gli amici di Harry si fecero avanti. Ginevra, invece, si allontanò. La vide camminare inquieta, avanti e indietro, lanciando continue occhiate verso Sirius. Tirava su con il naso, cercando a stento di trattenere le lacrime, mentre si passava la mano tra i lunghi capelli neri.
- Che succede? - ringhiò Alastor Moody, zoppicando in fretta verso di lui.
Regulus non ebbe la forza di rispondere, nemmeno quando Emily gli fu accanto. Gli aveva poggiato una mano sulla spalla e lui l’aveva stretta con tutte le sue forze, come se lei fosse l’unico contatto che aveva con la realtà. L’unica speranza che aveva per non crollare e lasciarsi sopraffare dal panico e dal dolore.
Non riusciva a distogliere lo sguardo da Sirius. Osservava ogni movimento di Ted Tonks, senza nemmeno muovere un solo muscolo.
Moody e Kingsley Shacklebolt parlavano in fretta, scambiando qualche parola sul da farsi. Poco prima di sparire, Kingsley promise di tornare con i Medimaghi.
Con la coda dell’occhio, Regulus vide Nymphadora abbracciare Ginevra. Provava a confortarla, ma senza successo; ogni tentativo faceva piangere la giovane Black ancora più di prima.
Nemmeno Entity, riusciva a consolarla.
Alla fine Nymphadora dovette allontanarsi da lei e, seguendo il comando di Malocchio Moody, si smaterializzò insieme a due ragazzi dell’ES. Doveva portarli al sicuro, al Quartier Generale.
Due per volta i ragazzi vennero portati via. Gli ultimi rimasti erano la piccola Ginny Weasley e Harry, che Remus aveva appena fatto rinvenire.
La Weasley lo cullava, accarezzandogli i capelli con le dita tremanti. Per quanto ci provasse, non smetteva di alternare lo sguardo da Harry a Sirius.
Al contrario di Regulus, che osservava la scena da lontano, Remus non vi badò; perché se lo avesse fatto non avrebbe pensato lucidamente e l’ansia che provava in quel momento lo avrebbe spinto a fiondarsi su Sirius come tutti gli altri, dimenticandosi di Harry.
Nonostante il pianto della sua figlioccia lo facesse morire dentro, sapeva che non poteva lasciarsi sopraffare dal panico.
Sirius era vivo e presto lo avrebbero portato al sicuro.
Tutto sarebbe tornato come prima.
Doveva solo trovare il modo di dire a Harry cos’era successo, e non era certo di esserne in grado.
- Hai bisogno di riposo – disse al ragazzo. - Lo Schiantesimo è stato molto forte.
Lo aiutò a mettersi a sedere e controllò attentamente se vi erano tracce di qualche ferita o se lo Schiantesimo di Bellatrix lo avesse stordito più del dovuto. Per fortuna andava tutto bene.
Harry annuì leggermente e si lasciò controllare senza obbiettare. Strizzò gli occhi più volte, la vista era annebbiata e gli occhiali che poggiavano storti sul naso, ma non gliene importava poi un granché.
Si guardò intorno, confuso, fino ad incontrare gli occhi azzurri della sua Ginny. Aveva qualcosa di strano.
- Cos’è successo? - biascicò.
Si massaggiò la mandibola. Faceva un po’ male.
Davanti al silenzio del lupo mannaro e della sua ragazza, Harry si guardò intorno ancora una volta. La vista stava tornando lentamente più nitida.
- Dov’è Sirius?
Non lo vedeva da nessuna parte.
Quello che vide, però, fu il corpo senza vita di Bellatrix Lestrange, a pochi passi da dove l’aveva vista lui poco prima di svenire sotto i suoi colpi. Era sorpreso di trovarla in quelle condizioni, ma non provò alcuna pietà. Anzi, ne era felice.
Era un pensiero in meno a cui badare.
Davanti a quella prospettiva il cuore si fece più leggero.
Si guardò ancora intorno, senza riuscire a vedere dove fosse il suo padrino. C’era solo una piccola folla poco più in là, formata da Regulus, Ted e Emily Tonks e Malocchio Moody. Sembrava che circondassero qualcuno che era disteso lì, sul pavimento. Forse Sirius era lì con loro e lui non riusciva a vederlo…
Allungò il collo per vedere chi fosse, ma non riusciva a vedere.
Udì qualcuno piangere e, senza poterne fare a meno, come se quel semplice suono lo avesse chiamato a sé, si voltò fino a incrociare la figura tremante della sorella poco più in là.
Perché sua sorella piangeva? Non riusciva a capirlo.
Guardò Remus, in cerca di spiegazioni, e lo trovò con lo sguardo basso.
- Harry… Sirius è…
Il cuore di Harry tornò a farsi pesante nell’istante esatto in cui Remus esitò a terminare la frase.
Scattò subito in piedi.
- Cos’è successo? - disse Harry, per poi urlare: - DOV’È SIRIUS?
Il signor Tonks si voltò a guardarlo, gli occhi pieni di sofferenza. Si scostò appena, permettendogli di vedere chi fosse l’uomo disteso… e con orrore, scoprì che era proprio Sirius.
Gli si mozzò il fiato, i polmoni sembravano in fiamme.
Fece per lanciarsi verso di lui, ma Remus lo bloccò, circondandolo con le braccia, e lo trattenne.
- Aspetta, Harry – disse con voce spezzata, mentre lottava per trattenerlo. - Ha... perso molto sangue.
- Voglio andare da lui - Harry si divincolò con violenza, ma Lupin non lo lasciò andare.
- Cos’è successo? - urlò ancora, cominciando a piangere.
Non ci credeva; non ci voleva credere; si divincolò con tutte le sue forze, ma la stretta di Remus era salda.
- Crediamo che abbia battuto la testa durante lo scontro con Bellatrix – spiegò Remus, con voce tremante.
Harry si sentì perso.
Poi si accorse del sangue che macchiava i vestiti di Regulus, Ginevra e Ted: il sangue di Sirius.
Tutto quel sangue…
Harry smise di combattere, ma Remus non lo lasciò. - È ancora…
Trattenne il respiro. Non riusciva nemmeno a chiederlo.
Remus annuì.
- Andrà tutto bene, Harry – disse Ginny, poggiandogli una mano sul braccio.
Harry voleva crederle. Voleva che quello che Ginny aveva appena detto fosse vero. Una certezza. E voleva che lo avesse detto con più sicurezza.
Certo che sarebbe andato tutto bene!
Sirius era forte. Aveva solo perso un po’ di sangue… andava tutto bene. Tutto bene.
Proprio come quando era arrivato in quella stanza, Silente passò accanto a Harry, ignorandolo. Si guardava intorno con attenzione, come alla ricerca di qualcosa. Le sue dita ossute e grinzose tenevano la bacchetta pronta, in attesa di uno scontro.
Sembrava che non importasse nulla di ciò che era successo; sembrava indifferente al pianto di Ginevra, che spezzava il cuore di Harry ad ogni singhiozzo; era indifferente a tutto.
Harry cominciò a provare un odio viscerale.
Come poteva quell’uomo essere tanto freddo e insensibile? Dov’era quando loro combattevano contro i Mangiamorte? Dov’era lui quando Sirius era stato colpito? Perché non li aveva aiutati quando era arrivato?!
Se Sirius era ferito era solo colpa sua.
Harry si liberò dalla stretta di Remus e scattò dritto verso il vecchio mago.
- Harry… cosa…? - gridò il lupo mannaro quando gli vide sfoderare la bacchetta e puntarla contro Silente.
- PERCHÉ NON HA FATTO NULLA? - urlò Harry. - PERCHÉ NON HA SALVATO SIRIUS?
Silente non si voltò a guardarlo. Continuava a girarsi intorno, con sguardo attento, in ascolto. Il suo atteggiamento riuscì a far infuriare Harry ancora di più.
- MI GUARDI! - urlò Harry.
Silente lo guardò.
Solo per un istante, gli occhi azzurri del vecchio incontrarono quelli color giada del ragazzo; sembravano cercare qualcosa, poi la sua attenzione tornò altrove. Spostandosi su qualcuno in particolare: Ginevra.
Anche Harry si voltò a guardarla.
Si era lasciata cadere a terra, con le braccia strette alle gambe, e sembrava come chiusa in un bozzolo. L’intero corpo era scosso dai tremori. Non aveva smesso di piangere un solo istante.
Guardandola, Harry aveva il cuore a pezzi. Voleva andare da lei e stringerla forte a sé.
- Lo vede? - indicò la sorella al vecchio mago. - Questa è tutta colpa sua… Se mia sorella è ridotta in questo stato è solo colpa sua!
Si avvicinò a lei, pronto ad abbracciarla.
Non gli importava più di Silente. Non gli importava più di niente e di nessuno. Voleva solo proteggere sua sorella.
Ma prima che potesse fare solo un altro passo verso di lei, Harry si fermò.
C’era qualcosa che non andava. Qualcosa di strano.
La cicatrice sulla sua fronte cominciò a bruciare: era un dolore inimmaginabile, insopportabile... Il suo corpo cominciò ad irrigidirsi.

“È colpa mia. È tutta colpa mia”, continuava a ripetersi Ginevra e quando Entity provava a obbiettare, puntualmente, lei la ignorava e continuava a colpevolizzarsi.
Quel lamento continuava a invadere anche i pensieri di Regulus, come in un loop senza fine. Lo stava facendo diventare pazzo.
Ad un tratto, oltre al sussurro della ragazza, Regulus captò un’altra presenza in quel filo che lo collegava a lei. Non si trattava di Entity. Era un’altra voce, ne era certo; una voce acuta, gelida…
Quando la riconobbe, Regulus sbarrò gli occhi, impietrito.
Un brivido gli correva lungo la spina dorsale.
Non sentiva quella voce da più di quindici anni.
Sì… è tutta colpa tua...”, sussurrava la voce di Voldemort nei pensieri di Ginevra. “Ora il tuo caro padre morirà… e sarà tutta colpa tua....
Terrorizzato, Regulus si voltò di scatto verso la nipote. E fu allora che la vide: una strana ombra scura; una nebbia che le vorticava attorno come un piccolo tornado, tenendola prigioniera al suo interno senza che lei se ne rendesse conto.
- Non lo ascoltare… - urlò, facendo un passo verso di lei, ma qualcosa, una forza invisibile, gli impedì di muoversi.
- Regulus… Cosa c’è? Che succede? - Emily lo guardava, allarmata. Gli altri membri dell’Ordine lo fissavano senza capire.
Lui provò a dire qualcosa ma dalla sua bocca non uscì alcun suono; annaspava cercando aria, come se qualcuno gliela stesse strappando dai polmoni.
Nel frattempo la voce di Voldemort si era fatta bassa e suadente, come una calda e invitante coperta.
Non puoi fare niente per lui...”, diceva. “Ma io posso aiutarti… Insieme possiamo fare grandi cose… Possiamo impedire che lui muoia…”.
Regulus vide il corpo della ragazza smettere di tremare. Non piangeva più, non continuava a darsi la colpa… Ascoltava le parole del viscido tentatore, come soggiogata dalle sue promesse.
Ancora una volta Regulus tentò di farsi avanti, di fermare il Mago Oscuro, e liberare la nipote, ma quella forza invisibile era ancora lì e lo attanagliava senza dargli vie di scampo.
- Regulus mi stai spaventando – Emily si guardò, come alla ricerca di qualcosa che giustificasse il suo stato, poi vide l’ombra sulla ragazza. Sbarrò gli occhi e levò la bacchetta. - Ma che succede? - esclamò, allarmata.
“Dannazione!”, imprecò l’animagus dentro di sé, colmo di rabbia. “GINEVRA NON LO ASCOLTARE!”, urlò, con la speranza che lei potesse sentire.
Ogni suo tentativo, però, sembrava vano.
Si sentiva chiuso in una gabbia di vetro insonorizzata… dove nessuno poteva sentirlo gridare.
Attorno a lui i membri dell’Ordine avevano iniziato a scagliare incantesimi contro l’ombra, finché Silente non li fermò.
- Smettetela o colpirete lei – li avvertì, dopodiché allontanò Harry da quell’ombra.
La cicatrice continuava a bruciargli. Remus e la piccola Weasley gli facevano da scudo con i loro corpi, nell’eventualità che Voldemort decidesse di attaccarlo. Silente, invece, si avvicinò senza remore alla nebbia di pura oscurità e si piegò verso di essa, osservandola. La studiava con attenzione, senza però tentare di mandarla via.
Regulus lo conosceva abbastanza da riconoscere quella strana luce nei suoi occhi, da capire che era in attesa di qualcosa.
Posso liberarti dal tuo fardello…” continuava a sussurrare Voldemort all’orecchio della ragazza. “Potrai finalmente vivere come una ragazza normale… senza incubi… senza veder morire la tua famiglia… Posso darti tutto quello che vuoi…”.
Ginevra non vedeva l’oscurità attorno a sé; vedeva sé stessa: era felice, spensierata… con lei c’erano Harry, Sirius, George, Regulus, Remus, Fred, Emily, Nymphadora… andava tutto bene. Erano felici, stavano tutti bene.
- Allora è possibile – disse Ginevra, allungando una mano verso quella visione felice.
È così...”, continuò la voce suadente nella sua testa. “Devi solo fidarti di me…”.
Lentamente, però, la visione cominciò a cambiare. Ginevra vide suo padre voltarsi a guardarla, senza nemmeno la traccia di un sorriso sul volto. Man mano la sua carnagione divenne sempre più pallida e i suoi lunghi capelli corvini cominciarono a sporcarsi di sangue…
Ginevra provò un brivido di paura.
Le labbra di Sirius si mossero e la sua voce parlò all’unisono con quella di Entity. SVEGLIATI!”, urlarono, assordandola.
Ginevra tornò alla realtà e quando vide il vortice di oscurità che l’avvolgeva, gridò, spaventata.
- Cosa sta succedendo?
Fino a quel momento non si era minimamente accorta di ciò che stava accadendo; credeva di stare sognando, di aver perso i sensi… di certo non si aspettava di trovarsi in una trappola di fumo!
Si guardò intorno, in cerca di una via di fuga, ma senza trovarne nemmeno una. Non osò nemmeno toccare quella strana nube: una parte di lei sapeva che se lo avesse fatto, probabilmente ci sarebbero state delle conseguenze.
Nell’oscurità vide due occhi rossi che la scrutavano, bramosi.
Poi, la voce che aveva udito per tutto il tempo nella sua testa, si fece più tangibile. Più forte.
- Non temere – disse Voldemort. - Sono pronto ad accoglierti… Devi solo fidarti di me…
Proprio come in uno dei suoi incubi, Ginevra vide una mano bianca e scheletrica tendersi verso di lei.
- Vieni con me…
Un brivido le attraversò il corpo come una scossa elettrica.
Entity, nella sua mente, la parlava senza nascondere la propria paura. “Non ascoltarlo! Non vuole aiutarti… ti vuole usare!”, esclamò. “Pensa a papà! Pensa a Harry! A George! Non devi farti ingannare.
Ginevra guardò la mano, poi guardò gli occhi rossi di quella creatura di fumo. Entity aveva ragione. Non doveva lasciarsi incantare.
Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi su qualcosa che fosse in grado di aiutarla a uscire da quella trappola.
Sospirò.
Entity era felice che fosse tornata in sé e l’aiutò volentieri. Le cedette un po’ della sua forza, lasciando che evocasse il vento. All’inizio fu come se un fazzoletto di seta le accarezzasse le dita, dolcemente; il vento da che era leggero divenne sempre più forte, fino a trasformarsi in una potente folata di vento che esplose.
La nube di oscurità si dissipò.
Voldemort era solo stato sbalzato di qualche metro lontano da lei, ma vederlo in carne e ossa le fece uno strano effetto… E non era affatto piacevole.
Era esattamente come nel suo incubo: carnagione pallida, occhi rossi come il sangue e il naso piatto come quello di un serpente.
- Ammirevole – disse con sorriso crudele sulle labbra. - Sei proprio tu quella che cerco…
Inclinò la testa di lato, senza smettere di osservarla, rapito.
Avanzò nuovamente verso di lei, ma Silente gli si parò davanti con la bacchetta ben in alto.
- Non osare fare un altro passo, Tom – lo avvertì.
Una risata divertita affiorò dalle labbra serpentine del mago Oscuro. - Cosa credi di farmi, mio vecchio amico? - domandò. - Non ti è bastato lo scontro che abbiamo avuto prima?
Ginevra sentiva le gambe sul punto di cedere sotto il proprio peso. La vista cominciava ad annebbiarsi… Aveva perso troppe energie e stava per svenire.
Senza che se ne accorgesse Voldemort le fu a un palmo di naso, facendola trasalire. Quegli orribili occhi rossi non smettevano di osservarla.
“Ma com’è possibile?”, si chiese lei. “Come ha fatto ad essere così veloce? Come ha fatto a superare Silente?”.
Poi si accorse che Silente continuava a parlare con Voldemort, come se niente fosse. Allora si sforzò di guardare il punto esatto in cui aveva visto il mago Oscuro parlare e, sorprendentemente, lo trovò ancora lì.
Era in due posti contemporaneamente.
Era nella sua testa.
- Vieni con me, bambina mia… ti aiuterò… - le sussurrò con voce suadente.
Un altro brivido le attraversò il corpo.
La gola si seccò di colpo.
La mano di Voldemort si tese nuovamente verso di lei, invitandola a stringerla.
Ma Ginevra non aveva più dubbi su cosa fare.
Nonostante le forze le venissero meno, trovò la forza e il coraggio di guardare il mago Oscuro dritto negli occhi e dire ciò che pensava: - Preferirei farmi torturare… Preferirei morire, piuttosto che unirmi a te.
Voldemort ritrasse la mano di scatto, e gli occhi rossi come rubini si assottigliarono.
Improvvisamente la voce di Silente si interruppe e si udirono dei passi in avvicinamento.
Ginevra non riuscì più a trattenersi dal cadere in ginocchio, stremata. Ma prima di lasciarsi avvolgere dal buio, vide ancora una volta gli occhi rossi di Voldemort su di lei.
Un’eco minaccioso le risuonò nelle orecchie: - Al prossimo incontro scoprirai cos’è il vero dolore...
Dopodiché non vide altro che buio.

Al suo risvegliò avvertì un gran senso di nausea. Provò a mettere a fuoco la stanza in cui si trovava, e per un istante rimase accecata da una luce abbagliante. Si trovava in una stanza che non conosceva, completamente bianca. La schiena le faceva male: era sdraiata su un letto duro e irregolare. I cuscini erano piatti e bitorzoluti.
Fu il risveglio più scomodo che avesse mai provato in vita sua.
Si guardò intorno e, con suo grande orrore, capì di trovarsi nel luogo che più detestava: su un letto di ospedale.
Cercò di sedersi, ma davanti a quel tentativo la testa aveva iniziato a girare, e delle mani calde e delicate la riaccompagnarono sul cuscino.
- Fai attenzione. Non vorrai romperti anche l’altro braccio, vero?
Ginevra si voltò un poco, fino a incrociare il sorriso appena accennato di George a pochi centimetri di distanza dal suo volto.
- George – sospirò, sforzandosi di sorridere. Era felice di vederlo. Le sembrava fossero passati anni dall’ultima volta.
- Ben svegliata, principessa – prese la mano sinistra di lei e la strinse con dolcezza. - Come ti senti?
- Devo essere sincera? - sbuffò lei, con un pizzico di ironia. - Un vero schifo.
Il mezzo sorriso di George si accentuò, sembrava si stesse sforzando di ridere.
Ginevra lo trovò molto strano. Non era da lui.
Solitamente quando George rideva o sorrideva era vero, autentico… Era un gesto naturale, non uno sforzo.
- Cos’è successo? Che ci faccio qui? - domandò a mezza voce.
Ricordava ben poco, e la sua mente si rifiutava di collaborare. Capì che Entity non c’era solo perché dentro di sé trovò solo un silenzio cupo e inquietante. Probabilmente aveva attinto un po’ troppo dai suoi poteri durante la lotta contro i Mangiamorte.
Si sentì inevitabilmente in colpa.
- Dove sono Harry e mio padre? - fu allora, proprio mentre pronunciava quelle parole, che la consapevolezza si fece strada attraverso la nebbia. - George… dov’è mio padre?
George distolse lo sguardo. - Quel Medimago lo aveva detto che potevi soffrire di una leggere amnesia – lo mormorò appena, come se in realtà stesse parlando tra sé e sé.
Cominciò ad accarezzarle il dorso della mano con il pollice e in quell’istante Ginevra si rese conto che il suo braccio destro era completamente fasciato dalla spalla fino al polso. Non poteva muovere nemmeno un dito senza provare dolore, ma in quel momento la cosa non la turbava più di tanto.
Il silenzio di George la stava uccidendo.
Perché non le diceva cos’era successo? Perché non le diceva dov’era suo padre?
Il cuore cominciò a batterle all’impazzata.
La sua mente le mostrò immagini fugaci: mani sporche di sangue, urla di dolore, Sirius disteso per terra… e sangue… tanto sangue…
Era forse un incubo?
- Harry è tornato a Hogwarts con gli altri, sotto la custodia di Silente – disse George. - Stanno tutti bene.
Ginevra provò un leggero sollievo, ma che durò poco.
Un tremore all’altezza del petto le faceva mancare il respiro. - E mio padre?
George esitò. Non riusciva a guardarla negli occhi mentre sussurrava: - È qui. Al San Mungo – la sua voce era tormentata.
- Qui? - domandò lei esitante. - Qui… fuori? In sala d’attesa?
Deglutì a vuoto, pregando con tutta sé stessa che suo padre fosse davvero lì fuori, in attesa di entrare e abbracciarla.
Quando George alzò lo sguardo incrociando i suoi occhi, lei perse un battito e le mancò il respiro. - Non so come dirtelo… - disse, affranto. - Tuo padre è… tuo padre è in coma.
Quella parola fu come una pugnalata al cuore.
Sperava di aver capito male. Quello che aveva appena detto George era terribile.
Coma. Suo padre era in coma.
- I Medimaghi hanno fatto tutto il possibile, ma dicono che non hanno ancora certezze su ciò che accadrà.
Ginevra non riusciva a crederci.
Come poteva essere in coma? Non aveva senso.
Si sforzò di mantenere la calma, di non farsi sopraffare dal dolore, di non esplodere… ma non ci riuscì. Il respiro si fece affannoso, i battiti del cuore erano accelerati. I suoi occhi si riempirono di lacrime.
Abbassò lo sguardo sul lenzuolo bianco sul quale era seduta, stringendolo forte tra le dita.
- Mi dispiace – le sussurrò George.
La avvicinò a sé, stringendola tra le braccia. La lasciò piangere, baciandole la fronte. La cullò in quel tenero abbraccio per un tempo che pareva interminabile; o almeno finché lei non lo allontanò, sbottando: - L’ho spinto io. È tutta colpa mia – piangeva, disperata.
- Di che parli? Non è colpa tua!
- Bellatrix stava per ucciderlo… come nella mia visione… e io… io... ho agito d’istinto. L’ho spinto! Non capisci?
- Ehi – mormorò George portandole la mano sotto il mento per alzarle il viso verso il suo. - Non è colpa tua. E non osare pensarlo nemmeno per un’istante. So perché l’hai fatto – cercò di confortarla. - Al tuo posto avrei fatto la stessa cosa.
- Ma è colpa mia se adesso mio padre è in coma!
- È stato un’incidente.
- Io… - Ginevra cercò le parole. - Mi sento… Non voglio perderlo.
L’attirò nuovamente tra le sue braccia e lei vi si aggrappò con tutte le sue forze. Si sentiva come sul punto di affogare e George era la sua unica fonte di ossigeno.
- Non lo perderai. Vedrai che andrà bene – le sussurrò. Ma per quanto George continuasse a ripeterlo, lei sapeva come stavano realmente le cose. Era tutta colpa sua e nessuno poteva convincerla del contrario.
“Silente aveva ragione”, si trovò a pensare. “Sono pericolosa”.
Non pensarlo nemmeno”, la ammonì la voce flebile di Entity. “Lui si salverà… Non è morto... È a questo… che devi pensare”.
“Vivo?”, ribatté Ginevra con voce tremante. Il suo cuore era a pezzi. “La sua vita è appesa a un filo! Per quegli stupidi Medimaghi questo è un modo come un altro per dire: ehi, è praticamente morto, ma forse c’è l’1% di probabilità che non sia così! Incrociamo le dita!”, sputò acida. “Non puoi dire che non è colpa mia. Sai bene anche tu cos’è successo”.
Non essere pessimista, piccola”, borbottò Entity, per nulla toccata da quello sfogo rabbioso. Sapeva che Ginevra stava soffrendo, sentiva la sua sofferenza. Non poteva lasciare che il dolore la consumasse. “Lui è forte. Si sveglierà prima di quanto pensi. Abbi fiducia”.
Fiducia.
Non sapeva se era ancora in grado di provarne.
Quand’era stata l’ultima volta? Ormai non lo sapeva più.
Che senso aveva continuare ad illudersi che tutto poteva finire bene? Il lieto fine era solo per le favole!
Sembrava che tutto attorno a lei fosse destinato a sparire, a perdersi. Aveva già perso suo padre una volta e lo stava per perdere ancora. Aveva fatto tutto il possibile per evitarlo, e invece eccola lì, a piangere tutte le sue lacrime mentre suo padre era chissà dove in quell’ospedale. Lontano da lei.
Non sto dicendo che è facile, ma devi essere forte anche tu…”.
“E perché? Tanto non ha alcun senso”.
Perché è quello che vorrebbe tuo padre. Ha bisogno di te”, la interruppe Entity.
Anche con il cuore straziato, Ginevra dovette darle ragione.
Sirius era forte.
Non era morto.
Poteva farcela.
E aveva bisogno di lei. Doveva essere forte come lui.
Dopo un po’, cercando di tenere a freno le lacrime, Ginevra sciolse l’abbraccio e si sforzò di concentrare l’attenzione completamente su George. Aveva l’aria stanca. Un accenno di barba gli oscurava il viso e i suoi fiammeggianti capelli ribelli puntavano in ogni direzione. I vestiti erano stropicciati.
- Da quanto sono qui?
George si passò una mano sul viso e abbozzò un piccolo sorriso. - Quasi tre giorni.
- Tre giorni? - Era sbalordita. Aveva dormito un bel po’. Solitamente era Entity quella che si perdeva nel silenzio per giorni interi.
- Mi hai fatto preoccupare – le confessò George ad un certo punto. - Sembrava che non ti volevi svegliare.
Anche se George non era presente all’Ufficio Misteri, Ted Tonks era andato fino ai Tiri Vispi Weasley per raccontargli tutto quello che era successo. Poi George non aveva esitato un solo istante a lasciare il negozio nelle mani del gemello e partire in direzione del San Mungo.
Il suo unico pensiero era Ginevra.
Era rimasto al suo fianco tutto il tempo, vegliando su di lei giorno e notte in attesa del suo risveglio. Non aveva permesso a nessuno di sostituirlo, né a Ted, né a Regulus né a nessun altro che sostenesse che lui aveva bisogno di una pausa.
Non aveva bisogno di una pausa. Aveva bisogno di lei.
Voleva starle accanto. Confortarla e darle tutto l’amore di cui aveva bisogno in quel momento.
- Scusa.
- Non devi scusarti – ribatté lui. - Non hai niente di cui scusarti. Non è colpa tua.
Ginevra non ne era tanto sicura.
Prima di svegliarsi, quando era priva di sensi non provava alcun dolore; non aveva nessuna paura e sembrava che una parte di lei non volesse nemmeno aprire gli occhi… o forse era talmente stanca da non riuscire a riprendere le forze.
Cercò comunque di non pensarci.
- Cos’è successo? - domandò, sforzandosi di pensare ad altro.
La aggiornò su tutto ciò che era successo dal momento in cui era svenuta, senza tralasciare il minimo dettaglio: poco prima di volatilizzarsi, Voldemort aveva chiamato a sé la Profezia, sottraendola in fretta dalla tasca di Harry; gli Auror e il Ministro Cornelius Caramell in persona erano appena arrivati e ognuno di loro aveva visto Voldemort con i propri occhi, quindi né Caramell né nessun altro poteva più negare che era tornato; gli Auror avevano arrestato tutti i Mangiamorte storditi e pietrificati dai membri dell’Ordine che erano rimasti lì, acciuffando persino Peter Minus, nascosto sotto una di quelle maschere. La sua cattura era un’ottima notizia, dato che finalmente scagionava Sirius da tutte le accuse.
Era un uomo libero.
Davanti a quella notizia la ragazza non poté fare a meno di pensare che purtroppo suo padre non poteva godersi quel momento come doveva.
Dopo quattordici anni, finalmente, aveva avuto giustizia.
Le venivano le lacrime agli occhi ogni volta che ripensava a suo padre.
C’era qualcuno al suo fianco? Qualcuno che gli tenesse la mano e gli facesse sentire che non era solo?
Voleva andare da lui. Doveva andare da lui, al più presto.
- Ho lasciato il negozio nelle mani di Fred e mi sono precipitato qui con tuo zio Ted immediatamente – spiegò George. Poi abbassò lo sguardo in tono di scuse. - Quando siamo arrivati ci hanno detto di tuo padre…
- Devo andare da lui – sentenziò Ginevra, mettendosi a sedere e scendendo dal letto un istante dopo.
George non provò nemmeno a fermarla. Sapeva che lo avrebbe fatto, la conosceva bene.
L’accompagnò fino al reparto in cui era ricoverato suo padre.
Non le stava addosso, non la soffocava di premure ansiose, non la inondava con frasi di circostanza cariche di compassione e non le rimproverava nulla, ma durante il tragitto non riuscì a trattenersi dal farle l’unica domanda che di tanto in tanto gli pungolava la mente da quando era arrivato all’ospedale: - Perché non mi hai detto niente? Perché non mi hai detto che stavi andando al Ministero, l’altra sera? Avresti dovuto dirmelo.
Continuando a camminare, Ginevra incrociò i suoi occhi per poi abbassare lo sguardo subito dopo, colpevole.
George aveva l’aria ferita. Era arrabbiato, ma non con lei.
Provava un gran senso di colpa. Ogni volta che le guardava il braccio rotto, la voglia di picchiare il Mangiamorte che le aveva fatto del male saliva a dismisura.
Se fosse stato al suo fianco, non avrebbe permesso a nessuno di toccarla. Nemmeno con un dito.
Ginevra si rabbuiò. - Non mi avresti lasciata andare.
- In effetti no – disse. - Non ti avrei lasciata andare da sola. Sarei venuto con te.
Intrecciò le dita nella mano sinistra di lei e la strinse, dolcemente.
Ginevra era certa che l’avrebbe fatto ed era proprio quello che la spaventava. Non voleva che qualcuno gli facesse male proprio come nei suoi incubi peggiori. Ma non gliel’avrebbe mai detto.
- Scusa. Ho agito d’istinto.
- Lo so – George si portò la mano di lei alle labbra e ne baciò il dorso. Anche se quello era solo un piccolo gesto che faceva parte della loro quotidianità, lei non poté fare a meno di sentire le farfalle nello stomaco, come ogni singola volta.
Quando raggiunsero il reparto in cui si trovava Sirius, trovarono due Auror ai lati della porta. Era impossibile non riconoscerli: la loro divisa era un tratto distintivo.
Trovarli lì provocò a Ginevra una spiacevole sensazione. Li vedeva come un divieto, qualcosa che le impediva di raggiungere suo padre. Non le piacevano affatto; il modo in cui stavano lì, in piedi, a guardarla le dava una sensazione spiacevole.
Era assurdo ma, ad un tratto, trovò fastidiosa persino l’aria che condividevano in quel corridoio.
“Che cosa hanno da guardare? Perché si sono piazzati lì? Cosa vogliono?”. Quelle domande trovarono presto una risposta grazie a Emily.
La donna era proprio lì, a pochi passi da loro, e quando vide Ginevra l’accolse con un sorriso. La strinse in un abbraccio un po’ goffo, per evitare di farle troppo male al braccio fasciato.
- Stai bene? - le domandò.
Ginevra annuì in modo frettoloso. Il suo unico pensiero era per il padre. - Che ci fanno quegli uomini davanti alla porta?
Emily alzò gli occhi al cielo e sbuffò, come se non potesse farne a meno. - Sono qui perché questo è il modo contorto e privo di senso che il Ministero ha per chiedere perdono – spiegò Emily, sibilando a denti stretti in modo che i suoi colleghi potessero sentirla. - Ora che il Ministero ha aperto gli occhi e che Minus è finalmente ad Azkaban… hanno capito che tuo padre è innocente e… e questo è il loro modo per risarcirlo per i dodici anni che ha scontato: una guardia attiva ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette.
Lanciò un’occhiata ai due Auror e Ginevra la imitò.
A giudicare dalla loro posa rigida nelle divise scure, sembravano voler imitare le guardie di Buckingham Palace. Erano ridicoli e trovarli lì le dava parecchio sui nervi.
- Perché mai montare una guardia? - domandò Ginevra, confusa.
- Perché sono state uccise molte persone qui, al San Mungo nell’ultimo anno – confessò Emily, esitante.
- Cosa? - esclamò Ginevra in preda al panico.
Emily annuì, l’aria abbattuta. Molte di quelle persone le conosceva bene. Oltre che essere colleghi erano anche amici.
- I Mangiamorte hanno fatto di tutto per infiltrarsi nel Ministero, soggiogando e tramortendo molti impiegati, soprattutto dell’Ufficio Misteri - Sospirò, mentre Ginevra si tratteneva dallo scoppiare in lacrime.
Suo padre era in pericolo? Perché? Che motivo c’era?
- Probabilmente temono per la sua vita – continuò Emily, come a rispondere a quelle domande silenziose. - Dato che l’intero mondo Magico adesso ha cambiato opinione su di lui. O forse lo fanno solo perché Caramell teme di perdere ulteriormente la faccia.
Nel dirlo le passò una copia de La Gazzetta del Profeta dove il titolo svettava in prima pagina insieme alla foto di Peter Minus, che sbraitava aggrappato alle sbarre di in una cella di Azkaban.

BLACK È INNOCENTE!
PETER MINUS È VIVO E HA SERVITO
COLUI CHE NON DEV’ESSERE NOMINATO
PER TUTTI QUESTI ANNI.

Ginevra fece un sorriso più simile a una smorfia.
“Era ora che aprissero gli occhi”, pensò trattenendosi dal scoppiare a piangere.
Giustizia”, mormorò Entity con voce fievole.
Nonostante si sentisse rincuorata dalle sue parole, Ginevra la incoraggiò a riposare e a non sforzarsi. Dopodiché vi fu silenzio e lei continuò a leggere, controllandosi dal non incendiare la foto di Minus con lo sguardo; non sapeva se ne era capace, ma non era molto propensa a provarlo in quel momento.

MINUS AD AZKABAN – BLACK AL SAN MUNGO.
FINALMENTE BLACK OTTIENE GIUSTIZIA!

DOPO AVER ASSOLTO SIRIUS BLACK DA TUTTE LE ACCUSE,
I
L MINISTRO DELLA MAGIA HA RILASCIATO UNA DICHIARAZIONE:
“BLACK NON È MAI STATO UN UOMO MALVAGIO.

A NOME DELL’INTERO WIZENGAMOT E DEL MONDO MAGICO
CHIEDO SCUSA A SIRIUS BLACK PER LA SUA INGIUSTA CONDANNA
”.

Ginevra restituì il giornale a Emily, nauseata da ciò che aveva appena letto.
- Come se le sue scuse risolvessero qualcosa – sbottò, contrariata. - E poi che motivo c’è di montare una guardia? Chiunque potrebbe entrare e fare del male a mio padre! Esistono la Pozione Polisucco, la Maledizione Imperius… e questi idioti non fanno paura proprio a nessuno! Figuriamoci ai Mangiamorte!
Una sfumatura di odio puro era sopraggiunta a incupire la sua voce.
Furiosa, marciò verso i due Auror e li fulminò con lo sguardo.
- Andatevene.
I due Auror non si mossero. La ignorarono e basta, proprio come avevano fatto con la sua sfuriata. La trattavano come un insetto fastidioso.
- Ho detto andatevene – ripeté a denti stretti, invocando una piccola fiammella con la mano sinistra.
Era furiosa e non aveva alcuna intenzione di nasconderlo.
Calmati, piccola”, mormorò Entity con voce stanca. “Non sono nelle condizioni di godermi un barbecue al momento”.
La sentì ridere, piano, ma la ignorò.
I suoi occhi erano ancora fissi sui due Auror che, davanti al fuoco vivo che usciva dalla mano della ragazza, sbarrarono gli occhi spaventati.
- Via – sibilò, pronta a colpire se necessario, e loro obbedirono senza voltarsi mai indietro.
Né Emily né George osavano fiatare.
Nessuno di loro, così come i membri dell’Ordine, approvava la presenza di quei due omini da strapazzo, e se c’era qualcuno che poteva opporsi a quell’idiozia del Ministro, quella era proprio Ginevra.
La mano di George sfiorò con delicatezza il braccio di Ginevra e a quel punto le fiamme si assopirono.
Ginevra sospirò, tremante. Dentro di sé provava una rabbia immane e non sapeva come farla uscire. La sua unica alternativa, in quel momento, era sopprimerla.
I suoi occhi incontrarono quelli di George. Non era affatto spaventato, anzi, sembrava divertito.
- Peccato che non gli hai affumicato le chiappe – disse, con un sorriso sghembo che gli disegnava le labbra. - Sarebbe stato uno spettacolo molto divertente – commentò infine.
Lei cercò di ricambiare il sorriso almeno un po’, ma tutto quello che le riuscì fu una smorfia. Poi guardò la porta e ad un tratto la terra sembrò mancarle sotto i piedi.
Aveva paura di ciò che avrebbe visto una volta oltrepassata la soglia.
Emily la incoraggiò ad entrare, promettendole che sarebbe rimasta lì ad aspettarla.
Un sussurro leggero le solleticò leggermente l’orecchio. - Io sono qui con te. - George le depose un leggero bacio sul collo, facendole provare un leggero fremito che si unì all’ansia e alla paura di quel momento, ma in qualche modo il suo gesto riuscì a rincuorarla.
La mano di Ginevra si allungò verso il pomello della porta e lo girò, facendo scattare la serratura. La porta si aprì e, con il cuore in gola, entrò nella stanza. George l’affiancò, ma senza soffocarla.
Si limitava ad assicurarle la sua presenza, e ogni volta che i loro occhi s’incrociavano lui le sorrideva, come a ribadire le parole che le aveva sussurrato all’orecchio poco prima: “Sono qui con te”.
La sua presenza le era molto d’aiuto, soprattutto dopo aver visto Sirius disteso su quel letto.
C’era una cosa, però, che Ginevra odiava maggiormente di quell’ospedale ovvero l’eccessivo utilizzo del colore bianco: i muri e il soffitto erano bianchi, le tende erano bianche, il pavimento era lastricato di mattonelle bianche, le lenzuola erano anch’esse bianche… Anche il pigiama che indossava Sirius lo era!
Ovunque guardasse non vi era altro che puro bianco, e le faceva male agli occhi oltre che darle la nausea.
Era agghiacciante.
Sospirò, ricacciando indietro le lacrime che stavano lottando per uscire.
Suo padre aveva un’aria insolitamente serena e pacifica. Disteso su quell’odioso letto, immobile, con la parte superiore della testa fasciata da bende rigorosamente bianche. Sembrava dormire.
Si avvicinò lentamente a lui, mentre la sua mente le riproponeva con prepotenza ciò che era successo nell’Ufficio Misteri: la sorpresa sul volto di Sirius… il sangue… le urla… le lacrime… il dolore… Tutto sembrava ripetersi senza una fine.
- Papà - sussurrò, con voce rotta, e il calore delle lacrime le sfiorò le guance.
Sperava che lui aprisse gli occhi e urlasse: “Scherzetto! Ci sei cascata”, ma non fu così.
Perché non apriva gli occhi?
- Papà – lo chiamò con voce tremante. - Papà… sono io. Mi senti?
Gli teneva la mano, aspettando invano una risposta, un gesto, che una parte di lei sapeva non sarebbe mai arrivato.
- Apri gli occhi… ti pregò…
Alla fine non riuscì più a trattenersi e scoppiò a piangere come una bambina, in preda alla disperazione.
George rimase al suo fianco tutto il tempo. Non la lasciò sola nemmeno un secondo.
La consolò, accogliendo ogni sua lacrima senza protestare. Neanche quando lei si fiondò tra le sue braccia, bagnandogli la camicia di lacrime.
- Non posso vivere senza di lui – si disperò lei. – Non posso.
La prese tra le braccia e la strinse forte a sé. Le accarezzò i lunghi capelli neri con tenerezza. Il corpo di lei premuto contro il suo tremava.
- Andrà tutto bene. Te lo prometto – le sussurrò.
Regulus osservava tutto dalla porta, provando un gran vuoto all’altezza del petto. Emily era con lui. Gli teneva una mano sulla spalla e gli parlava con voce bassa e tranquillizzante, ma Regulus non dava segno di ascoltare una sola parola.
Non smetteva di guardare il fratello maggiore, disteso su quel letto, e di immaginarlo ancora circondato da quella pozza di sangue.





ANGOLO DI QUEL BRADIPO AUTRICE:
Ebbene... siamo giunti alla fine di questa “storia”.
Ho cominciato a scrivere “Light and Darkness” subito dopo “Secrets”: il 25/09/2016 ho pubblicato il primo capitolo e oggi, finalmente, mi sono decisa a concludere questo capitolo della storia. Vi chiedo scusa per averci messo tanto e vi ringrazio per essere rimasti e non aver abbandonato la lettura nonostante le lunghe attese tra un capitolo e l'altro.
Vi ringrazio tutti, nessuno escluso: chi ha continuato a leggere, che mi hanno sostenuto, chi ha lasciato un suo parere, chi si è affezionato ai personaggi, chi li ha odiati, chi ha letto in silenzio... TUTTI! Siete davvero fantastici. Grazie.
Spero di non aver creato un obbrobrio e che, nonostante il finale, vi sia piaciuto.
Per adesso vi dico arrivederci, ma vi lascio con la promessa che presto tornerò con l'ultimo e terzo “libro” della serie: “In the end”.
Un bacio,
18Ginny18

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