Il lupo ed il falco di mikimac (/viewuser.php?uid=775246)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Strani compagni di viaggio ***
Capitolo 2: *** La Torre ***
Capitolo 3: *** Ombre dal passato ***
Capitolo 4: *** La maledizione ***
Capitolo 5: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 1 *** Strani compagni di viaggio ***
Strani compagni di viaggio
In questa fine
agosto, con il rientro al lavoro definitivo ormai vicino (domani) e le
prossime ferie decisamente lontane (Natale?), ecco a voi una storia
romantica e tranquilla.
Questo racconto è ispirato ad un film di qualche tempo fa, che
io ho amato moltissimo. Immagino di non essere la sola a sapere cosa
sia “Lady Hawke”. Per chi non lo conoscesse ed avesse
voglia di trascorrere un paio d’ore davanti ad fantasy romantico,
si tratta di un film di Richard Donner del 1985 con Rutger Hauer,
Michelle Pfeiffer e Matthew Broderick. Non mi addentro nel racconto
della trama del film, perché è ripresa dalla mia storia.
Ho messo l’avvertimento OOC perché i personaggi di
Sherlock si dovranno adattare a quelli del film. Cercherò di
mantenere IC i personaggi della nostra serie preferita, ma non posso
esserne sicura.
I diritti sui personaggi sia di Sherlock che di Lady Hawke non mi appartengono.
Spero che questo racconto non ne ricordi altri, ma sarebbe assolutamente involontario.
Buona lettura.
Strani compagni di viaggio
Non sapeva se fuori ci fosse il sole o se la giornata fosse grigia,
nebbiosa o piovosa. A dire il vero, non sapeva nemmeno se fosse giorno
o notte. Da quando era stata buttata nelle segrete della prigione di
Londra, Mary Morstan aveva perso la cognizione del tempo. Sembrava che
a sua maestà, Re Edoardo I dei Plantageneti, non importasse
molto che i prigionieri sapessero quando sarebbe scoccata la loro
ultima ora.
Mary Morstan era una ragazza di quasi vent’anni magra, non troppo
alta, bionda, con vispi ed intelligenti occhi azzurri, dotata di una
parlantina veramente efficace e stordente. Rimasta orfana, non aveva
parenti che si prendessero cura di lei, così si era trasferita a
Londra, nella città in espansione, per trovare un lavoro.
Purtroppo per lei, nel XIII secolo la maggior parte delle ragazze sole
finivano quasi sempre per fare due lavori. Uno era il mestiere
femminile più antico del mondo. Per quanto non fosse certo una
brutta ragazza, Mary non si sentiva portata a fare la prostituta,
soprattutto perché aveva saputo che si prendevano troppe
malattie. Non le era rimasto, quindi, che adattarsi alle circostanze e
trasformarsi in una provetta ladra. Questo le aveva permesso di
sopravvivere dignitosamente, fino a quando le guardie del Re la avevano
catturata e buttata nelle segrete, da cui sarebbe uscita solo per
essere giustiziata.
Rannicchiata sulla brandina scalcagnata, che le faceva da letto, nella
cella umida e buia, senza nessuno con cui parlare, la ragazza cercava
un modo per salvarsi la vita.
“Ma io sono ancora giovane, Signore. – borbottò al
nulla, in tono lamentoso e leggermente piccato – Non permetterai
veramente che io venga uccisa! Cosa ho fatto di male, in fin dei conti?
Certo, lo so che non si dovrebbe rubare, ma nessuno di quelli a cui ho
sottratto un po’ di soldi morirà di fame! Io, invece,
sarei morta sicuramente, se non avessi alleggerito quella gente di
qualche moneta. È forse giustizia questa? Ti prego, Signore, non
permettere che io sia impiccata. Ti prometto che non ruberò mai
più nulla e che mi troverò un lavoro onesto.”
Non ottenendo nessuna risposta, con un sospiro esasperato, Mary si
alzò dalla brandina, facendo un piccolo balzo. Con sua grande
sorpresa, si rese conto che una delle piastre, che componevano il
pavimento, si era mossa. Incredula, fece alcuni altri saltelli, per
tastare la resistenza della piastra. Si muoveva veramente! La piastra
non era molto grande, ma Mary era sicura che, se fosse riuscita a
rimuoverla, avrebbe potuto passarci, dato che aveva una corporatura
minuta.
“Grazie, Signore! – esclamò, con entusiasmo – Sapevo che non mi avresti abbandonata!”
Con uno sguardo rapido, Mary trovò il cucchiaio che usava per
mangiare, quando si ricordavano di portarglielo. Lo prese ed
iniziò a lavorare per smuovere sempre più la lastra, fino
a quando riuscì a sollevarla. Sotto di lei scorreva
dell’acqua. Era scura e non profumava di fiori, ma era un
passaggio sicuro verso l’esterno e verso la libertà:
“Questo è sicuramente un bel dono, Signore, –
ringraziò, con gratitudine – però sarei veramente
delusa se si trattasse di un canale di scolo delle fogne. Se posso
esprimere la mia preferenza, gradirei immergermi in acque piovane, ma
se tutto quello che puoi darmi sono le fognature, vedrò di
accontentarmi.”
Si guardò intorno rapidamente, per capire se potesse prendere
qualcosa di utile, ma la cella era veramente squallida e spoglia. Senza
pensarci troppo, afferrò il cucchiaio, che decise essere il suo
portafortuna, e si infilò nella piccola apertura, con un
po’ di fatica, cadendo nel vuoto. Il salto non fu molto alto e
l’impatto con l’acqua non fu doloroso. Le acque gelide che
la accolsero erano sicuramente puzzolenti, ma decisamente piovane.
“Grazie, Signore! Sapevo che non mi avresti delusa!” gridò, con entusiasmo.
La corrente iniziò a trascinarla verso lo sbocco del canale di
scolo e Mary si lasciò trasportare, opponendo la resistenza
necessaria a mantenere la testa fuori dall’acqua. Tutto sembrava
procedere nel migliore dei modi. La luce era sempre più forte,
facendole capire che fuori fosse giorno e che la libertà fosse a
portata di mano. Improvvisamente, davanti a Mary si presentò
un’apertura che le permetteva di vedere il fiume,
dall’altra parte, ma un grido di disappunto le uscì dalla
gola, senza che potesse fare nulla per fermarlo: “Ah, no! Questo
no! So che merito, sicuramente, una punizione per le mie azioni non
proprio legali, anche se giustificate dalla necessità,
però, non puoi illudermi, facendomi credere che sarò
libera, poi mi presenti delle sbarre! Mi spieghi a cosa servano delle
sbarre all’uscita di un canale di scolo? Hanno forse paura che
possano entrare i ladri? Gente di poca fede!”
Arrivata alla grata, che ostruiva l’uscita del canale, Mary la
afferrò e la strattonò con rabbia. Si rese conto
immediatamente che i cardini erano corrosi e potevano cedere facilmente.
“Ti chiedo scusa, Signore. – ridacchiò, sollevata
– Avrei dovuto sapere quanto tu mi voglia bene ed avere
più fede. Cercherò di non lamentami, fino a quando non ne
avrò veramente ragione.”
Con il suo inseparabile cucchiaio, Mary lavorò i cardini
febbrilmente. Quando cedettero, lanciò un piccolo grido di
gioia. Spostò, a fatica, una parte della grata e passò,
cercando di non ferirsi con le sbarre arrugginite. Scivolò nel
fiume, facendo attenzione a non farsi trascinare al largo dalla
corrente. Sarebbe stato stupido arrivare fino a lì per morire
annegati. Fortunatamente per Mary, quel giorno il Tamigi scorreva
placido e tranquillo, così lei riuscì a risalire la riva,
senza farsi notare da occhi indiscreti.
La prima cosa che vide, appena arrivata in cima all’argine, fu la
casa di un commerciante, con davanti stesa la biancheria ed un cavallo
con le sacche da viaggio ancora appese.
Mary alzò gli occhi al cielo: “Tu mi capisci, vero?
– domandò, in tono dispiaciuto – Sai quanto mi
dispiaccia rompere subito la promessa che ti ho fatto solo poco fa, ma
lo vedi anche tu! Se non mi metto vestiti asciutti, posso prendermi una
polmonite e morire. Avresti fatto tutto questo per nulla, non credi?
Per quanto riguarda quelle sacche… insomma… se tu non
avessi voluto che io le alleggerissi, non me le avresti fatte trovare!
Con quei soldi, potrò mantenermi e trovare un lavoro onesto, in
modo da rispettare la promessa che ti ho fatto. Affare fatto?”
Mary rimase in attesa di un segno. Nessuno uscì dalla casa.
Nessuno si avvicinò dalla strada vicina. Non ci furono lampi o
fulmini: “Lo prendo per un sì!” concluse,
soddisfatta.
Mary si avvicinò al cavallo, accarezzandolo e mormorandogli
parole rassicuranti. Il cavallo scalpitò nervosamente, ma non
nitrì, permettendo alla giovane ladra di frugare nelle sacche.
Con un sorriso soddisfatto, si impossessò di un sacchetto, che
sembrava contenere un bel malloppo di monete. Svelta e guardinga, Mary
si avvicinò agli abiti appesi, che erano asciutti e adatti a
lei. La giovane donna si cambiò velocemente e si
allontanò dalla casa e dalla città. Era ora di trovare un
altro posto in cui vivere.
Mary camminò tutto il giorno e tutta la notte, allontanandosi il
più velocemente possibile dalla città. Nel tardo
pomeriggio del giorno seguente, arrivò in vista di una locanda,
costruita in uno spiazzo, vicino alla foresta. Si sentiva sicura ed
invincibile, perché quello era il suo periodo fortunato. Come
poteva non esserlo, quando era riuscita a fuggire dalle segrete di sua
maestà, trovando pure un piccolo capitale, che le avrebbe
permesso di sopravvivere fino all’arrivo in una nuova
città? Mary aveva voglia di festeggiare e di vantarsi della sua
incredibile impresa. La giornata era luminosa e c’erano diversi
avventori seduti ai tavoli, che si trovavano davanti alla locanda.
“Oste porta fuori dalla cantina il tuo vino migliore! –
esordì Mary, a voce alta – Dobbiamo festeggiare! Non
capita certo tutti i giorni di fuggire dalle galere del re e di
sottrarsi al cappio del boia.”
“E chi lo avrebbe fatto?” chiese uno degli avventori.
Mary era troppo entusiasta per notare il tono tagliente
dell’uomo, di cui vedeva solo la schiena, coperta da un lungo
mantello nero.
“Io! Mary Morstan! – rispose, allegramente – Fino a
poche ore fa, ero prigioniera nelle segrete di Londra. Guardatemi! Ora
sono qui! Beviamo alla mia salute, amici! Oggi è una bella
giornata.”
“Non se sarei così sicuro,” sibilò lo stesso uomo, alzandosi dal tavolo a cui era seduto.
Mentre si girava verso Mary, il cappuccio gli cadde dalla testa ed il
mantello si aprì, rivelando la divisa delle guardie del re. Mary
impallidì.
“Ora non fare nulla di stupido. – la avvertì
l’uomo, in tono minaccioso – Stiamo rientrando da un giro
di perlustrazione lungo e faticoso. Siamo stanchi ed arrabbiati,
perché non abbiamo trovato l’uomo che stavamo cercando.
Lasciati prendere e riportare nelle segrete, senza opporre resistenza.
Se lo farai, potrei decidere di non divertirmi con te, prima di
consegnarti al boia.”
Il cuore di Mary batteva impazzito, come se volesse uscire dalla gabbia
toracica. Non poteva finire così! Non poteva tornare indietro!
Fissò lo sguardo negli occhi gelidi e duri del capitano delle
guardie. Erano sei uomini, grandi, grossi e probabilmente ben
addestrati. Se avesse tentato di fuggire, non si sarebbero limitati a
picchiarla. Le avrebbero fatto sicuramente di peggio, ma, tanto, non
sarebbe importato a nessuno. Del resto, come poteva essere sicura che
non l’avrebbero violentata ugualmente? Come avrebbe potuto
fermarli? Non aveva nulla da perdere. Doveva provare a scappare.
Mary scattò, cercando di andare verso la foresta, ma il soldato
fu più rapido di lei. L’uomo afferrò il collo della
maglia della ragazza, tirandola verso di sé. Alla ladra
mancò l’aria, ma ne andava della sua vita, quindi si
girò versò l’uomo, cercando di colpirlo con un
calcio. Il soldato la prevenne, respingendo la gamba della giovane, e
con uno sbuffo annoiato le diede una sberla, che la stordì:
“Pensi di andare avanti ancora per molto? – domandò,
irritato – Stai solo rendendo più difficile la tua
posizione.”
Per tutta risposta, Mary affondò i denti nella mano, che la
aveva appena schiaffeggiata. Il soldato lanciò un grido di
dolore, lasciando andare la maglia della ragazza. Mary cercò di
scappare, ancora, ma un altro soldato le afferrò le braccia,
bloccandola e ridendo sguaiatamente: “Anderson, se non riesci ad
avere la meglio su uno scricciolo di ragazza come questa, come pensi di
affrontare e battere il capitano Holmes?”
“Questa piccola vipera mi ha colto di sorpresa, –
sibilò Anderson, furioso, soprattutto per essere stato deriso
dal commilitone – ma ora me la pagherà cara!”
“Davvero un bello spettacolo. – una voce bassa e grave si
levò da un uomo con un mantello nero, seduto ad uno dei tavoli
più esterni – Siete sei uomini grandi, grossi ed armati
contro una ragazzina minuta ed indifesa. Il re deve essere veramente
orgoglioso dei suoi soldati.”
Anderson si girò verso lo sconosciuto. Poteva a stento
sopportare di essere canzonato da un compagno d’armi. Non avrebbe
mai permesso ad un semplice villico di prendersi gioco di lui:
“Chi credi di essere? Vuoi andare a fare compagnia a questa ladra
nelle segrete di Londra?”
L’uomo si alzò, scostando il cappuccio, che gli nascondeva il volto.
Il soldato venne perforato da due occhi di un azzurro chiarissimo,
freddi e duri come l’acciaio. Una chioma disordinata di capelli
ricci e neri li sovrastava, scompigliata dalla leggera brezza
preserale, che si era alzata da qualche minuto. Le labbra erano
serrate, una sottile linea irata. L’uomo, che dimostrava
venticinque anni, era vestito completamente di nero, con abiti che
indicavano chiaramente le sue origini nobili.
Anderson rimase paralizzato dalla sorpresa, quando riconobbe l’uomo che aveva davanti.
Un soldato si staccò dai quattro rimasti vicini al loro tavolo,
per avvicinarsi al nuovo venuto, con un sorriso cordiale e felice:
“Capitano Sherlock Holmes! È un piacere rivederla,
signore. Non credo alle accuse di stregoneria, che le sono state
rivolte, signore. Mi dia un ordine ed io le ubbidirò, senza
esitazione.”
Anderson si riprese in fretta dalla sorpresa. Estratta la spada,
infilzò il soldato, che aveva appena dichiarato la propria
lealtà al cavaliere nero: “Traditore! – gridò
– Questa è la fine che meriti!”
“NO,” urlò Sherlock, ma era troppo tardi. Il giovane soldato cadde a terra, morto.
Sherlock, con un lampo di gelida ira negli occhi, sfilò la lunga
spada dal fodero, che portava al fianco: “Fammi vedere cosa sai
fare,” mormorò, in tono di sfida.
Anderson lo caricò, ma Sherlock lo disarmò con pochi
tocchi e lo trafisse. Gli altri quattro uomini fecero per avventarsi su
di lui, con rabbia e violenza. Sherlock ne affrontò due, mentre
gli altri due vennero attaccati da un magnifico falco, con un piumaggio
grigio-biondo. Sherlock mise, velocemente, fuori combattimento i suoi
due avversari ed affrontò gli altri due, facendoli finire in
terra.
Mary aveva approfittato dello scontro per fuggire il più lontano
possibile dalla locanda. Stava per arrivare all’inizio della
foresta, quando sentì un rumore di zoccoli avvicinarsi a lei
rapidamente. Tentò di aumentare la velocità, ma venne
afferrata alla maglia, sollevata in aria e depositata, senza troppi
complimenti, di traverso su un cavallo.
“Lasciami andare! – urlò, scalciando – Non è così che si tratta una signora!”
“Ti ho appena salvato la vita. – ribatté una voce
seria e profonda – Potresti essermi un po’
riconoscente.”
“Grazie, ma mettimi giù. Non sono comoda.”
Mary non ricevette alcuna risposta. Il cavallo continuò la sua corsa, mentre il maestoso falco li seguiva.
Cavalcarono per un po’ di tempo, fino a quando trovarono una casa
abbandonata: “Questo posto andrà bene per passare la
notte,” disse il cavaliere, scendendo da cavallo.
Mary scivolò giù, grata di poter cambiare posizione, ma
offesa per essere stata trattata come un sacco: “Non hai ucciso
tutti quei soldati e potrebbero seguirci. Ci sarà luce anche per
qualche tempo, potremmo andare più lontano.”
“Il sole calerà fra poco. – ribatté Sherlock,
in un tono secco, che non ammetteva repliche – Quei soldati non
ci seguiranno. Si staranno leccando le ferite e cercheranno rinforzi.
Striglia il cavallo. Nella sacca troverai qualcosa da mangiare.
Chiuditi nella casa e non uscire. Qui sarai al sicuro, per
stanotte.”
Sherlock si era tolto i guanti ed il mantello, infilandoli in una delle sacche.
Mary lo osservò interdetta, perché sembrava quasi che la
stesse lasciando da sola. Non capiva cosa volesse da lei
quest’uomo così severo e compassato, ma, ogni volta che
Sherlock posava gli occhi sulla ragazza, lei sentiva un brivido gelido
percorrerle la schiena. Quell’uomo portava guai e pericoli ed era
meglio stargli il più lontano possibile. Se l’avesse
veramente lasciata da sola per la notte, avrebbe potuto fuggire.
“Non farti venire l’idea di scappare. – la
ammonì Sherlock – Potresti incappare in quei soldati ed io
non sarei lì a proteggerti. Ci vediamo domani mattina. Dormi.
Domani ci aspetta un lungo viaggio.”
Sherlock alzò il braccio sinistro, tenendo il gomito ad angolo.
Il falco planò dolcemente, appoggiandosi all’avambraccio
di Sherlock, che lo accarezzò. Negli occhi colore del ghiaccio
apparve una luce triste e dolce.
Senza aggiungere altro, Sherlock si allontanò, con il falco.
Rimasta sola, Mary entrò nella capanna, portandovi anche il
cavallo, e cercò di capire cosa fosse meglio fare. I soldati
lasciati vivi dal misterioso cavaliere nero stavano, sicuramente, dando
loro la caccia, anche se era calata la notte. Lei non sapeva se e dove
avrebbe trovato un altro rifugio. Il tenebroso Sherlock Holmes, come le
era sembrato che lo avessero chiamato i soldati, sapeva decisamente
combattere, quindi poteva ritenersi moderatamente al sicuro, con lui.
Certo, non sapeva cosa aspettarsi da quell’uomo, ma non le
sembrava il tipo che andasse in giro a violentare fanciulle indifese.
Non aveva quello sguardo viscido e lussurioso che le riservava quel
tipo di uomini. Il soldato ucciso dal commilitone aveva parlato di
stregoneria. Ecco. Questa cosa la spaventava. Anche tanto. Con quegli
occhi, quel portamento regale e gli abiti neri, Sherlock Holmes avrebbe
potuto essere un potente stregone. Per non parlare del bellissimo
falco, che lo aveva aiutato e che li aveva seguiti. Aveva sentito
parlare della falconeria, era un’attività da nobili, lo
sapeva benissimo. Però… però… il modo in
cui Sherlock aveva accarezzato e guardato quel falco aveva qualcosa
di… di… romantico ed infelice. Non trovava altro termine,
per descrivere ciò che aveva visto. E ciò la faceva
rabbrividire.
“Non ti dispiace, se decido di andarmene, vero? – chiese,
rivolta al cavallo – Nulla mi fa più paura della magia.
Preferisco affrontare tagliagole e stupratori, piuttosto che essere
invischiata in queste cose bizzarre, strane e pericolose. Sono sicura
che lui tornerà molto presto e che ti darà una bella
strigliata. Io vado.”
Aprì la porta. La notte era illuminata dalla luna piena, che le
avrebbe permesso di capire dove stesse mettendo i piedi. Aveva fatto
pochi passi, quando un maestoso e grosso lupo nero le sbarrò il
passo. Mary fissò gli occhi color del ghiaccio del lupo:
“Buono, cagnolino. – mormorò, senza riuscire a
nascondere la paura – Tu sei buono, vero? Non sei affamato.
Guardami! Sono tutta ossa! Non ti sfameresti troppo, se mi
mangiassi.”
Mentre parlava, Mary cercò di spostarsi verso la casa, ma un
ringhio profondo la paralizzò. Non sapeva cosa fare, quando una
voce dolce arrivò dal buio: “Smettila di comportarti in
modo così feroce. La stai spaventando e non è certo una
grande minaccia.”
Mary, con un enorme sforzo di volontà, alzò gli occhi dal
lupo. La luce fredda della luna piena illuminò i capelli biondi
di un uomo, non troppo alto, ma ben proporzionato, che si stava
avvicinando al lupo. L’uomo dimostrava più o meno la
stessa età del cavaliere nero ed indossava degli abiti comodi,
ma fabbricati con stoffe pregiate. Mentre si avvicinava, rivolgeva un
sorriso rassicurante alla ragazza e non sembrava per nulla preoccupato
dalla presenza del grosso lupo nero. Mary aprì la bocca, senza
riuscire ad emettere un solo suono, mentre si perdeva negli occhi color
dell’oceano profondo del misterioso visitatore.
“Torna pure dentro. Nessuno di farà del male,” sussurrò l’uomo, con voce dolce.
Raggiunto il lupo, appoggiò una mano sulla testa
dell’animale, che alzò il muso, guaendo dolcemente.
Insieme, si allontanarono nel bosco.
“Questa è magia!” sbottò Mary, terrorizzata e
corse dentro la casa, barricandovisi dentro. Era meglio attendere la
luce del sole, per fuggire o prendere qualsiasi decisione. In questa
strana notte, troppe forze misteriose erano all’opera, per
trovarsi, da sola, nella foresta.
Angolo dell’autrice
Vorrei fare una piccola precisazione sul personaggio di Mary. Lei
“interpreta” Philippe Gaston (nel film era impersonato da
Matthew Broderick) che aveva questo particolarissimo rapporto con Dio,
che ho riproposto nel racconto. Quindi, mi scuso, se qualcuno dovesse
trovarlo inappropriato, ma ho solo ripreso una delle caratteristiche
fondamentali di uno dei personaggi del film.
Ogni commento è sempre benvenuto.
A domenica prossima.
Ciao!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** La Torre ***
La Torre
La Torre
La giovane ladra aveva fatto molta
fatica a prendere sonno. Aveva bloccato la porta di ingresso e le
finestre con tutto quello che aveva trovato nel piccolo rifugio
abbandonato, ma nessuno sapeva meglio di lei, che anche la casa con le
migliori misure di sicurezza poteva essere violata. Mary aveva
ascoltato, con apprensione, ogni suono proveniente dall’esterno
ed ogni scricchiolio prodotto dalle vecchie assi della casa. Ad
aggiungere ansia all’ansia, si era levato un vento dispettoso,
che aveva contribuito ad aumentare i rumori, mentre gli animali, che
popolavano la foresta, sembravano avere deciso di parlare tutti
insieme, in quella notte magica. La stanchezza aveva avuto la meglio
sulla ragazza, quando la notte buia stava lasciando il posto ad una
mattina grigia. Allora, il sonno la aveva avvolta in un abbraccio
profondo e senza sogni.
Mary si svegliò, sentendo un
piacevole profumo di carne abbrustolita. Il suo stomaco brontolò
poco dignitosamente, ricordandole che fossero giorni, che non mangiava
un pasto decente.
Ancora piuttosto assonnata,
cercò di ricordare dove si trovasse. Gli eventi della notte
precedente le balzarono subito alla mente. Il piacevole torpore del
risveglio venne cacciato via e lei si svegliò completamente,
decisa a scappare il più lontano possibile dal misterioso
cavaliere, che la aveva salvata, e da Londra.
“Dato che sei sveglia, mi
sembra il caso che tu venga a mangiare, prima che i brontolii del tuo
stomaco portino i soldati del re fino a noi,” ordinò una
voce profonda, in tono secco.
Mary sospirò. Non aveva
senso fingere di dormire, perché non avrebbe ingannato il
cavaliere. Un pensiero fugace la portò a chiedersi come avesse
fatto Sherlock ad entrare in casa, ma sorvolò sulla risposta.
Per quanto ne sapeva, il cavallo poteva essersi trasformato in un
essere umano ed avere aperto la porta al suo padrone. Mary era
più che decisa: sarebbe scappata alla prima occasione ed avere
la pancia piena sarebbe stato decisamente d’aiuto. Si
stiracchiò, come se si fosse appena svegliata, e raggiunse
l’uomo, che stava finendo di mettere un po’ di carne e pane
in alcuni piatti, appoggiati su un tavolo, piuttosto traballante. La
ragazza studiò quello che c’era nel piatto. Il profumo era
invitante, ma, forse, era solo la sua grande fame a fare apparire quel
misero pasto appetitoso come se fosse stato un banchetto da re. Senza
dire una parola, si sedette al tavolo e si avventò sul cibo,
mangiando di gusto.
Il cavaliere nero la
osservò, per qualche secondo, poi si sedette e
sbocconcellò la carne, come se non avesse appetito. Mary
finì di mangiare, che Sherlock aveva appena intaccato il proprio
cibo.
“Se non hai fame, potrei
finire io il tuo piatto. – propose la ragazza, senza troppi
indugi – Sai, nelle prigioni del re non sono molto abbondanti con
il mangiare, soprattutto per i condannati a morte. Sembra che reputino
uno spreco di cibo, nutrire chi stia per morire.”
“In effetti, la cosa ha una sua logica,” ribatté il cavaliere in tono neutrale e con lo sguardo indifferente.
Mary si chiese se l’uomo si
stesse prendendo gioco di lei o se pensasse veramente che i condannati
a morte meritassero di essere affamati. La ragazza si era sempre fatta
un vanto di capire tutti in pochissimo tempo, ma, stavolta, non
riusciva ad inquadrare il suo salvatore e la cosa la innervosiva molto.
Mary aveva terminato di mangiare,
in assoluto silenzio. Era strano, che lei non parlasse per tanto tempo,
però quell’uomo la metteva in soggezione. Non lo avrebbe
mai ammesso nemmeno sotto tortura, ma quegli occhi chiari e severi la
facevano sentire nuda e vulnerabile.
“Verrai a Londra con me,” la voce profonda di Sherlock interruppe i suoi pensieri.
“Perché?” il
tono era più alto di un’ottava, rispetto al solito.
Tornare a Londra era l’ultima delle opzioni di Mary. In quella
città la aspettava la forca. Lei non aveva alcuna voglia di
finire appesa e morire soffocata, lentamente, davanti ad un pubblico
che schiamazzava e rideva, sbeffeggiandola, mentre lei agonizzava.
“Ho bisogno che mi aiuti ad
entrare in una casa molto ben difesa. Sei una ladra, in fin dei conti,
e non ti sarà difficile trovare un modo per farmi entrare, senza
che nessuno mi noti. Dopo, potrai andartene per la tua strada.”
“Sono stata accusata
di essere una ladra. – puntualizzò Mary, drizzando la
schiena e mostrandosi offesa – Ci sono tante persone malfidate,
in questo mondo, che interpretano in modo sbagliato quello che
…”
Sherlock alzò una mano, con
un gesto imperioso. Gli occhi chiari dell’uomo la perforarono:
“Sappiamo entrambi che sei una ladra. Non ha senso perdere tempo
a negarlo.”
Un silenzio teso cadde nella
piccola stanza. Si sarebbe potuto sentire un granello di polvere, che
si adagiava pigramente sul tavolo. A rompere il silenzio, invece, fu il
verso di un falco.
Mary si voltò di scatto
verso la finestra. Solo in quel momento si rese conto che fosse aperta.
Sul davanzale, era appoggiato il falco che aveva visto il giorno prima.
La luce del sole donava al suo piumaggio un alone dorato, che lo faceva
apparire incantato. Il rapace inclinò la testa da un lato,
studiando attentamente i due umani. Quando aprì le maestose ali
e si librò in volo, all’interno della stanza, Mary si
protesse la testa con le braccia, temendo che il falco potesse
aggredirla. Invece, non successe nulla. Nella stanza era caduto, di
nuovo, il silenzio. Con molta circospezione, la ragazza spostò
le braccia e alzò gli occhi sul cavaliere. Il rapace era
appoggiato sul suo avambraccio e si stava lasciando accarezzare il
petto candido, come se fosse stato un dolce cardellino e non un uccello
capace di levare gli occhi ad un uomo, con i suoi artigli appuntiti. Lo
sguardo di Sherlock aveva un’espressione dolcemente triste,
mentre osservava il falco.
Mary rabbrividì, chiedendosi
che cosa, o forse chi, vedesse il cavaliere in quell’uccello. Era
sempre più convinta che fossero in gioco forze oscure e malvagie
e lei non voleva averci assolutamente nulla a che fare. Doveva prendere
tempo per organizzare la fuga: “Va bene, mi hai convinta. –
sospirò, in tono rassegnato – Ti aiuterò.
Però, voglio la tua parola d’onore che mi lascerai andare
e che non mi consegnerai alle guardie del re.”
Sherlock non si voltò
nemmeno a guardarla, intento ad accarezzare le piume del falco:
“Hai la mia parola. Ora, se hai finito di ingozzarti, possiamo
partire.”
Con un movimento fluido, Sherlock
si alzò da tavola, sempre tenendo il falco in perfetto
equilibrio sull’avambraccio, e si avviò verso la porta.
“Io non mi sono ingozzata!
Solo perché non sono nata in un castello o in un palazzo
affrescato, non significa che non sia una signora e che non sappia
comportarmi come tale!” Le sue parole indignate caddero nel
vuoto. L’uomo era già uscito.
Si misero in viaggio subito dopo
colazione. Sherlock aveva fatto salire Mary sul cavallo, facendola
montare davanti a lui. Il destriero era un possente frisone, addestrato
per la guerra, con il mantello completamente nero, che Sherlock aveva
chiamato Golia*. Procedevano in completo silenzio.
Mary aveva tentato di attaccare
discorso: “Cosa devi fare a Londra e perché devi entrare
in un palazzo di nascosto? Potresti bussare alla porta sul retro, se
non vuoi farti vedere alla principale,” ricevendo in risposta un
secco: “Non sono affari tuoi,” che le aveva tolto ogni
altra velleità di chiedere informazioni.
Il silenzio ostinato del compagno
di viaggio permise a Mary di elaborare una lunga serie di piani di
fuga, da mettere in pratica alla prima occasione.
Il falco li seguiva, volando in
alto, ad ali spiegate. Il viaggio procedeva lento, dato che Sherlock
non voleva affaticare il cavallo, costretto a trasportare due persone.
Erano in un bosco, quando Sherlock
fermò il destriero e scese: “Faremo qui il campo, per
trascorrere la notte. Il sole sta per tramontare.”
Mary osservò il cielo,
scendendo da cavallo: “Ci saranno ancora un paio d’ore di
luce. Potremmo continuare ancora un po’, in modo da avvicinarci a
Londra ed arrivarci entro domani.”
“Ci fermiamo qui,” ribadì Sherlock.
Mary aveva capito quanto fosse
inutile contraddire il cavaliere e scrollò le spalle:
“Come il signore comanda,” ribatté in tono beffardo,
accennando ad un inchino.
“Togli la sella a Golia e striglialo, mentre io preparo la cena. Stai attenta che morde.”
“Non sono un garzone di
stalla,” borbottò Mary, avvicinandosi, comunque, al
cavallo. Golia sbuffò e scalpitò nervosamente, ma
lasciò che la ragazza gli levasse la sella e lo strigliasse,
senza tentare di aggredirla.
Sherlock aveva preparato una zuppa,
ma solo per Mary. Mentre la ragazza mangiava, l’uomo prese la
sacca da viaggio e ne estrasse una corda.
“Cosa vuoi fare con quella cosa?”
“Io non passerò la
notte qui con te, perciò ti lego ad un albero, così
sarò sicuro di trovarti ancora, domani mattina. Non penserai che
non abbia capito, che tenterai la fuga alla prima occasione.”
“Io non…”
“Credevo che avessi compreso
che fosse inutile cercare di ingannarmi. Sei piuttosto facile da
leggere, sai? Dici solo quello che fa piacere a chi tu abbia di fronte
a te, in modo da ottenere ciò che vuoi, ma spesso pensi
l’esatto contrario di quello che affermi. Io ho bisogno che tu mi
aiuti ad entrare in quel palazzo di Londra, dopo di che potrai fare
quello che vorrai. Ora, lasciati legare, non costringermi a diventare
rude. Non voglio farti del male, ma non esiterò a farlo, se non
mi obbedirai.”
“Uomo malfidente! –
sbottò Mary, offesa – Se mi leghi, come farò a
difendermi, se dovessero arrivare dei soldati del re, dei malviventi o
qualche animale selvatico non proprio amichevole? Ieri sera ho visto un
lupo, nero e grosso, che sembrava arrivare direttamente
dall’Inferno. Ti sarei utile, se quella belva mi sbranasse?”
“Quel lupo non ti farà nulla. – ribatté Sherlock, in tono cupo – E non sarai sola.”
Mary sapeva di non avere speranze e si lasciò legare al tronco di un albero.
Appena finito, Sherlock si dileguò nel bosco.
Era calata la sera. Mary aveva
tentato di liberarsi, ma i nodi erano veramente ben fatti ed aveva
dovuto desistere, non trattenendo un lamento a voce alta:
“Signore, lo so che devo espiare i miei peccati, ma non potevi
trovare una punizione che non mi riportasse al punto di partenza e
troppo vicino alla forca? Perché mi hai illusa, facendomi
credere che mi sarei salvata, se poi hai deciso che dovessi soccombere
al mio triste destino? Non pensi che sia un castigo troppo severo per
le mie misere colpe?”
Naturalmente, non ottenne alcuna
risposta e si rassegnò ad attendere una migliore occasione per
fuggire, chiedendosi a chi si riferisse Sherlock, quando le aveva detto
che non sarebbe stata sola.
Improvvisamente, sentì dei
rumori, come se qualcuno si stesse avvicinando. Spaventata, la ragazza
iniziò a parlare, camuffando la voce in modo tale, che
sembrassero esserci molte persone, non solo lei: “Frank, hai
sentito?... Sì, Tom, qualcuno si avvicina… Prendi
l’arco Jim e preparati a colpire… Aspetta Carl, potrebbe
essere Paul…”
“Sei brava, ma si vede che sei sola e legata ad un albero,” disse una voce divertita dal folto degli alberi.
Mary smise di parlare. Aveva
riconosciuto la voce. Era quella dell’uomo biondo della notte
precedente. Da dove era saltato fuori? Dove era stato tutto il giorno?
Era sicura che nessuno li avesse seguiti, quindi, come poteva essere
nel bosco, insieme a loro? Perché compariva solo di notte? Aveva
fissato un appuntamento con Sherlock? E, se era così, dove era
sparito il simpatico chiacchierone vestito di nero?
L’uomo biondo apparve nella radura, sorridendo gentilmente: “Non ti farò del male,” sussurrò.
“Sei reale o sei un’illusione?”
“Io sono dolore,”* mormorò con tono triste.
L’uomo si avvicinò al
fuoco, scaldandosi le mani. Mary non aveva capito il senso della sua
risposta, ma la spaventò ancora di più. L’aria
intorno a loro era elettrica, carica di magia. Se fosse rimasta
coinvolta in questa storia, avrebbe potuto essere accusata di
stregoneria. La forca era decisamente meglio del rogo. Doveva fuggire.
Non sarebbe mai riuscita ad ingannare Sherlock, ma, forse, poteva
tentare con questo uomo: “Non ci hanno presentati. Io mi chiamo
Mary e tu?”
“John.”
“Piacere di conoscerti, John.”
“Hai fatto arrabbiare Sherlock? È per questo che ti ha legata?”
“Il fatto è che mi ha
spiegato tutto il suo piano ed io non ne ero molto convinta, ma ho
avuto modo di rifletterci bene e ho deciso di aiutarlo. Dato che siamo
alleati, potresti liberarmi, non credi?” Mary concluse il suo
discorso con il sorriso più convincente ed amichevole che
riuscì a sfoderare.
John inclinò la testa di
lato e strinse gli occhi, osservando bene la ragazza: “Sherlock
ti ha spiegato che vuole uccidere il Primo Consigliere del re?”
Mary sbiancò, perché
questa sembrava proprio una cosa che il cavaliere nero avrebbe potuto
fare, senza battere ciglio. Se l’avessero catturata mentre
attentava alla vita del Primo Consigliere, l’avrebbero impiccata,
tagliato la testa e bruciata sul rogo. Scappare diventava urgente ogni
secondo che trascorreva con quei due strani uomini. Sperando che John
non avesse notato la sua reazione, la ragazza mormorò, con tono
cospiratorio: “Esatto. Vuole entrare a Londra e vendicarsi del
Primo Consigliere, anche se non si è addentrato a spiegarmi il
perché.”
“Sarei veramente curioso
anche io di sapere perché Sherlock vorrebbe uccidere il proprio
fratello. Anche se, detto fra te e me, probabilmente in qualche
occasione entrambi hanno preso in considerazione la possibilità
di eliminare l’altro. Ciò non toglie che, per quanto siano
in disaccordo e non lo ammettano nemmeno con loro stessi, i fratelli
Holmes si amino molto e non torcerebbero mai un capello
all’altro.”
Mary emise un lamento.
John sorrise dolcemente:
“Conosco molto bene Sherlock e sono sicuro che non ti abbia detto
assolutamente nulla, riguardo ai suoi piani.”
“E tu? Cosa ne sai? Se il
Primo Consigliere del re è suo fratello, perché le
guardie lo hanno aggredito e lui si comporta come un fuggiasco?”
John distolse lo sguardo, girandosi verso il fuoco.
Nessuno dei due parlò per un po’ di tempo. Fu John a rompere il silenzio: “Hai mangiato?”
“Sì, prima che
Sherlock mi legasse a questo albero come un salame. Neanche potessi
scappare chissà dove. Insomma, sono solo una ragazzina indifesa,
in un luogo pieno di insidie e lui mi tratta come se fossi il
più pericoloso di tutti i criminali. Ha stretto così
tanto queste corde, che mi stanno tagliando la pelle.”
John si voltò di nuovo verso
Mary, sorridendole con simpatia: “Se allento un po’ i nodi,
mi prometti di non fuggire?”
“Certo! Parola d’onore.”
John si avvicinò ed allentò i nodi, in modo che Mary potesse muoversi appena un po’.
“Oh, grazie John. Tu sei tanto gentile. Mi potresti dare dell’acqua, per favore?”
John si voltò per andare a
prendere la borraccia dell’acqua. Tanto bastò a Mary per
liberarsi dalle corde e sgattaiolare silenziosamente in mezzo al bosco.
Quando John si girò nuovamente verso la ragazza, lei si era
eclissata. L’uomo si rizzò in piedi cercando di
vedere dove fosse finita e chiamando a gran voce la giovane:
”Mary! Mary torna indietro! Finirai per metterti nei guai.
È buio! Mary! Non vogliamo farti del male. Abbiamo bisogno del
tuo aiuto. Mary!” Non ottenne nessuna risposta.
John attese qualche minuto, ma non
accadde nulla. Con un gesto rassegnato, scrollò le spalle:
“Sherlock mi ucciderà,”* borbottò, sedendosi
accanto al fuoco. In attesa.
Un grosso lupo nero arrivò pochi minuti dopo. Annusò le corde e il luogo in cui Mary era stata legata.
“È scappata. Mi sono lasciato ingannare, come uno stupido. Mi dispiace,” sospirò John.
Il lupo si avvicinò
all’uomo biondo, sfregò delicatamente la punta del muso
sul suo braccio, uggiolando, e gli si accucciò vicino.
Un sorriso malinconico
illuminò gli occhi di John, nel riverbero del fuoco.
Sollevò una mano e la appoggiò alla testa del lupo,
accarezzandola. Nel silenzio del bosco, si sentiva solo il crepitare
del fuoco.
Mary aveva camminato per tutta la
notte. E per buona parte della mattina. Non era sicura di dove si
stesse dirigendo, ma si stava allontanando da Londra. Dalla forca. Da
Sherlock e John. Questa era la cosa importante. Essere lontana dalla
città e dal cavaliere nero. Le dispiaceva avere ingannato John.
Lui era gentile e dolce. Sorrideva. Aveva un bel sorriso. Sì.
Decisamente John le piaceva, ma non era una buona ragione per farsi
mettere una corda intorno al collo.
Aveva raggiunto una radura ed una
delle tante locande, che si trovavano sparse tra una città e
l’altra. Sherlock non le aveva confiscato il sacchetto di monete,
rubato quando era fuggita dalla prigione. Stavolta, però, decise
che non fosse il caso di attirare l’attenzione, quindi si sedette
ad un tavolo ed ordinò da mangiare. Gli unici altri avventori
erano quattro uomini coperti dai mantelli, che la innervosivano. Uno di
loro si alzò e scoprì la testa. Il ghigno dipinto sul suo
viso era familiare a Mary. Anche troppo.
“Guarda guarda chi abbiamo
qui. – sogghignò il soldato, che aveva bloccato la ragazza
due giorni prima – La nostra piccola ladra è davvero in
gamba. È riuscita a sfuggire persino a quel bastardo del
capitano Holmes. Però, piccola, ora tu ci porterai da lui ed io
ti prometto, in cambio, di non farti troppo male, prima di consegnarti
al boia.”
Mary si alzò di scatto,
pronta a lottare per non farsi catturare, ma il soldato si aspettava la
sua reazione e la schiaffeggiò con forza, facendola finire in
terra. Prima che l’uomo potesse infierire sulla giovane, un falco
si avventò su di lui. Il militare alzò le braccia, per
scacciare il rapace, che lo ferì alle braccia. Allo stesso
tempo, un cavallo arrivò al galoppo, avendo in sella un
cavaliere di nero vestito, con la spada sguainata.
“Sherlock!”
gridò Mary. Non era mai stata tanto felice di vedere qualcuno,
in vita sua. Afferrò una sedia e la sbatté sulla testa
del suo aggressore, tramortendolo, mentre il falco si spostava su un
altro uomo e Sherlock, balzato a terra, era impegnato in un duello con
la spada con un terzo soldato. Il quarto aveva una balestra e
caricò il colpo, facendolo partire, per colpire Sherlock. Il
falco si spostò sulla traiettoria del dardo, che penetrò
la sua ala sinistra. Il rapace precipitò a terra, emettendo un
verso stridulo, pieno di dolore.
Sherlock, che si era liberato del suo avversario, si voltò verso il falco, con un urlo disperato: “NOOOOOO!”
Tutto si fermò.
I soldati superstiti.
Mary.
Sherlock.
Forse il tempo stesso.
Sherlock si erse in tutta la sua
altezza, dritto e fiero, terribile e ferale. Gli occhi chiarissimi
esprimevano una rabbia feroce ed un dolore immenso. La sua voce era
bassa e cupa, ma il tono era deciso ed autoritario: “Mary, prendi
il falco e sali su Golia. Dirigiti verso ovest, al galoppo. In un paio
d’ore arriverai ad una torre parzialmente diroccata. Fermati
lì. Vi abita un uomo, un medico. Si chiama Mike Stamford. Digli
che il falco è mio.”
“Ma…” Tentò di protestare la ragazza, senza troppa convinzione.
“VAI! – le
ordinò Sherlock, in un sibilo furioso – Devi arrivare alla
torre prima del tramonto. Il falco si deve salvare. Ad ogni costo. O
nulla avrà più importanza.”
Mary non se lo fece ripetere. Si
avvicinò al rapace e lo sollevò fra le braccia, con
delicatezza, come se stesse prendendosi cura di un neonato. Senza che
nessuno tentasse a fermarla, corse da Golia e salì in groppa,
partendo al galoppo.
Non si voltò indietro, quando sentì il clangore delle spade.
Mary corse come non aveva mai fatto
in vita sua. Spronò Golia, affinché volasse. Il falco,
fra le sue braccia, non si muoveva. Emetteva suoni flebili, come deboli
lamenti.
“Non morire, piccolo.
Resisti. Andrà tutto bene, vedrai. Presto guarirai e tornerai a
guardare il mondo dall’alto, librandoti libero sopra le nostre
teste,” si trovò a sussurrare, rassicurante. Non sapeva
perché, ma sentiva che doveva salvare il falco, quasi fosse
stato un essere umano. Inoltre, era curiosa. Sembrava assurdo, ma
avrebbe giurato che il rapace si fosse messo apposta fra Sherlock e la
freccia.
Cominciava a temere di avere
sbagliato strada, quando la vide. La torre si ergeva solitaria in mezzo
alla pianura, su un lieve dislivello, circondata da un profondo fossato
pieno di acqua. Non era molto alta. Doveva essere una antica torre di
avvistamento, costruita durante le invasioni dei Sassoni. Sembrava che
stesse in piedi per miracolo. Mary non capiva chi potesse vivere in un
posto come quello. Forse Sherlock si era sbagliato. In quel caso, cosa
avrebbe fatto con il falco?
“Ehilà! C’è nessuno? Ho bisogno di aiuto!” urlò al nulla.
Silenzio.
“Sto cercando un uomo che si chiama Mike Stamford! Ho bisogno del suo aiuto!”
Mary notò un movimento sulla
sommità della torre: “La prego, mi faccia entrare. Il
falco è ferito.”
“Vattene ragazza! Qui non c’è nulla per te,” rispose una voce irritata di uomo.
“Aspetti, per favore! Mi manda Sherlock Holmes! Il falco ferito è suo. Ha bisogno di cure.”
Tra due merli apparve una figura corpulenta, i cui lineamenti non erano distinguibili, essendo contro sole.
“Che nome hai detto?” domandò l’ombra nera, in tono allarmato.
“Sherlock Holmes. Questo è il suo…”
L’ombra scomparve. Mary
udì una serie di rumori, come di passi che si avvicinassero
all’ingresso della torre, sbarrato da un ponte levatoio. Con un
fastidioso cigolio, il ponte iniziò ad abbassarsi. Un uomo
grassoccio, con i capelli neri scompigliati e gli occhi scuri, si
precipitò verso la ragazza: “Che cosa gli è
successo? Presto presto! Dobbiamo fare presto. Il sole sta per
tramontare.”
Con estrema delicatezza, Mike prese
il falco dalle mani di Mary: “Porta il cavallo nel cortile della
torre, poi seguimi al suo interno. Metti i piedi esattamente dove li
appoggio io o finirai in qualche trappola.”
Mary eseguì gli ordini che
le erano stati impartiti e, seguendo lo strano uomo, raggiunse la parte
abitata della torre, arredata in modo semplice, ma funzionale.
“Tu, ragazza, vai in quella
stanza e non uscire per alcun motivo. Troverai del cibo. Mangia. Sembra
che tu ne abbia bisogno. Io porterò il falco in
quest’altra camera. Non entrare. Per nessun motivo.”
Mary non ebbe modo di replicare,
perché l’uomo era già sparito nella stanza, con il
falco. Il suo stomaco brontolò rumorosamente: “In effetti
è da ieri sera che non mangio. Il falco sembra essere in buone
mani, quindi, posso pensare a me stessa. Sperando che il cibo sia
commestibile e non in putrefazione.”
Mary entrò nella stanza che
le era stata indicata. Era una cucina, calda ed accogliente.
Trovò pane e formaggi freschi e ne prese una porzione
abbondante. Mentre mangiava, il sole terminò il suo percorso
giornaliero nel cielo invernale. Terminato di cenare, attese che Mike
la raggiungesse. Lo aveva sentito andare avanti ed indietro dalla
stanza accanto, borbottando parole incomprensibili. L’uomo,
però, non si fece vedere. In lontananza, ma non troppo, il
silenzio della sera venne squarciato dall’ululato disperato di un
lupo. Incapace di resistere alla curiosità, Mary uscì,
dirigendosi alla stanza in cui Mike era entrato con il falco. La porta
era socchiusa, così la ragazza poté sbirciare al suo
interno. Su un giaciglio di pellicce, vicino al caminetto, era disteso
John, con una freccia infilata nella spalla sinistra.
“Visto che sei tanto curiosa, entra, così mi aiuti ad estrarre la freccia.”
Mary sobbalzò, presa
completamente di sorpresa: “Perché John è qui?
Quando è arrivato? Per quale motivo ha una freccia nella spalla?
Dove è il falco?”
“Non ora, signorina. –
la ammonì Mike, in tono teso – Dobbiamo estrarre la
freccia e medicare John.”
Mike sorpassò la ragazza e
si diresse verso l’uomo biondo, avvolto dalle pellicce, vicino al
fuoco: “Andrà tutto bene, amico mio. Ti farà male e
mi dispiace, ma cercherò di essere rapido.”
“Non ti preoccupare. Fai quello che devi.” La voce di John era un sussurro appena udibile.
Mary si avvicinò ai due
uomini, con passi esitanti. Il viso di John era pallido, ma le fece un
sorriso: “Vedo che non sei andata molto lontana.”
“Sherlock ed il suo falco mi hanno trovata e salvata… un’altra volta.”
John assentì, mentre Mike
spostava le pellicce, scoprendolo fino ai fianchi: “La freccia
è passata da parte a parte. Devo spezzarla ed estrarla,
tirandola fuori di forza, poi procederò con la
medicazione.”
“So cosa devi fare, Mike. Sono un medico anche io, ricordi? Fai ciò che devi. Mi fido di te.”
Mary vide Mike distogliere lo
sguardo con imbarazzo… no… con vergogna. Perché?
Quale mistero circondava Sherlock, John e Mike?
“Non stare lì
imbambolata, ragazzina! – sbottò Mike, irritato –
C’è del lavoro da
fare.”
Mary si riscosse: “Cosa devo fare?”
“È importante che John non si muova, mentre io estraggo la freccia. Questo sarà compito tuo.”
Mary si chinò dietro la
testa di John, sdraiato su un fianco, ed appoggiò le mani al
corpo dell’uomo biondo, per bloccarne ogni possibile movimento.
Con un colpo rapido e secco, Mike spezzò il dardo e lo estrasse.
John urlò, mentre il sangue usciva, copioso, dalla ferita.
“Premi questa garza il
più forte possibile dietro la spalla, mentre io cerco di
tamponare e pulire il davanti.”
Mary obbedì, senza fiatare.
Osservò la maestria con cui Mike medicava John. Doveva essere un
ottimo medico. Perché viveva come un eremita in una torre
diroccata? Era come se stesse espiando un peccato. Questa storia stava
diventando sempre più misteriosa e Mary capì, con un
certo disagio, di esserne più incuriosita che spaventata.
John svenne, ma Mike aveva cominciato a fasciare la ferita: “Ora vattene. Posso finire da solo.”
Mary esitò. Erano tante le domande che le frullavano in testa, in attesa di una risposta.
“Torna in cucina. Quando sarò sicuro che John stia bene, ti raggiungerò.”
Mary fece un cenno affermativo con
la testa ed uscì dalla stanza. Fu solo quando tornò in
cucina che lo sentì. Il lupo si era ulteriormente avvicinato ed
ululava. Un brivido freddo attraversò la schiena della ragazza.
Il verso del lupo non sembrava un richiamo, ma l’urlo disperato
di qualcuno che stesse per perdere la persona più importante
della propria vita.
Angolo dell’autrice
*: le cose segnate con
l’asterisco non sono farina del mio sacco. Il cavallo di Etienne
Navarre si chiama Golia, nel film, mentre le battute “Io sono
dolore” e “Sherlock mi ucciderà” sono riprese
direttamente dal film (la seconda adattata).
Ebbene sì. Chi conosca il
film, lo sa già. Per chi non lo abbia visto potrebbe essere
intuibile. John ha la parte di Isabeau D’Anjou (Michelle
Pfeiffer), mentre Sherlock è Etienne Navarre (Rutger Hauer). Ho,
di nuovo, rifilato a John una parte da donna (mi riferisco al fatto
che, in un adattamento di Romeo e Giulietta, io gli abbia affibbiato la
parte di Giulietta). Martin Freeman non mi perdonerebbe mai, ma non
potevo fare diversamente. Non ha il physique du rôle per
“interpretare” Etienne Navarre. Quindi, sì, gli
è toccato Isabeau, con cui John ha in comune la dolcezza.
Inoltre, anche nel film il falco viene ferito ad un’ala ed
Isabeau viene ingannata da Philippe e lo libera, malgrado fosse stato
Etienne a legarlo, per impedirgli di fuggire. Entrambi questi segni mi
hanno convinta del fatto che la “parte” di Isabeau
dovesse essere proprio di John.
Imperius, l’uomo a cui
Philippe porta il falco ferito, nel film è un prete. Qui
è “impersonato” da Mike Stamford, ma, del suo
“ruolo”, parlerò meglio al termine del terzo
capitolo.
Grazie a naisia, Blablia87, 0803Anna ed adlerlock per le recensioni lasciate allo scorso capitolo.
In attesa dei vostri commenti, se
volete dirmi cosa pensiate di questo adattamento, l’appuntamento
è per domenica prossima.
Ciao! 😊
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Ombre dal passato ***
Ombre dal passato
Ombre dal passato
Mary si era seduta al tavolo, con
le spalle al focolare, in cui brillava un allegro fuoco, ed il viso
concentrato sulla porta chiusa. Voleva delle risposte e non avrebbe
permesso a Mike Stamford di eludere le sue domande. La notte era
diventata molto silenziosa. Anche il lupo aveva smesso di ululare. La
torre era piena di scricchiolii, ma Mary riconobbe ugualmente i passi,
lenti e stanchi, di Mike. La ragazza si irrigidì sulla sedia,
pronta a correre fuori, se l’uomo non l’avesse raggiunta.
La porta, invece, si aprì.
Mike entrò e si diresse al tavolo, lasciandosi pesantemente
cadere sulla sedia di fronte a Mary: “Immagino che tu abbia molte
domande, per me.”
“Mi risponderai sinceramente?”
“Non ho motivo per non dire la verità, ragazzina. Cosa vuoi sapere.”
“Tutto. Di Sherlock e John. Perché non sono mai insieme? Cosa hanno a che fare con loro il lupo ed il falco?”
Mike sospirò. Spostò
lo sguardo verso il fuoco, come se vi scorgesse qualcosa di doloroso,
incrociando le dita sul tavolo: “Ricordo ancora il giorno in cui
John e Sherlock si conobbero. Andarono subito d’accordo. E questo
fu un vero miracolo, considerando il carattere difficile di
Sherlock…
… È una mattina di novembre.
I soldati della Guardia Privata del Re si trovano nel piccolo cortile usato per l’addestramento.
Sherlock Holmes è il
loro Comandante. I soldati provano sentimenti contrastanti, nei suoi
confronti. C’è chi lo rispetta profondamente e si
getterebbe nel fuoco, ad un suo segnale, e chi lo odia implacabilmente.
Questo è Sherlock Holmes. O lo ami o lo detesti. Ovunque passi,
lui lascia il segno. Non c’è pericolo che resti
inosservato. Non è nella sua natura. Pretende il massimo dai
suoi uomini e non tutti sono disposti a sopportare i suoi metodi, ma
nessuno osa lamentarsi a voce alta. È pur sempre il
fratello minore del Primo Consigliere del Re, Mycroft Holmes.
I fratelli Holmes,
così diversi, così uguali. Più intelligenti di
tutti gli altri, consapevoli della loro superiorità.
Affascinanti, con quella bellezza algida e regale, che li
contraddistingue. I loro occhi sembrano sempre guardare tutto e tutti
dall’alto in basso, arrivando al centro della tua anima con una
facilità, che spiazza, intimorisce ed infastidisce. Davanti a
loro sei nudo e vulnerabile. Gli Holmes conoscono i tuoi punti deboli e
devi sperare che non decidano di usarli contro di te.
Mycroft è affabile e
cordiale, ma è la facciata dietro cui nasconde i suoi veri
pensieri. Se anche le sue labbra ti sorridono, devi osservare i suoi
occhi. Spesso questi sono gelidi e duri come il ghiaccio.
Sherlock è molto
più introverso, quasi intrattabile. Non gli importa quello che
pensano gli altri di lui, sorride pochissimo, almeno fino
all’arrivo di John.
Quella mattina, Sherlock
sta chiamando i soldati uno alla volta, affrontandoli in duello, con le
spade da allenamento. Li sta umiliando, uno alla volta, rimproverandoli
con commenti sprezzanti e taglienti.
John è stato
assegnato come medico alla Guardia Privata del Re da poco tempo ed
è arrivato a Londra solo da alcuni giorni. È il primo
allenamento a cui assiste, pronto ad intervenire nel caso in cui
qualcuno si ferisca. John ha un carattere solare ed affabile. È
sempre pronto a sorridere, disponibile, premuroso e comprensivo, anche
se non è adulatore o compiacente. Io sono l’altro medico
della Guardia e lavoro a Palazzo da qualche anno. Ho accompagnato John,
per presentarlo e spiegargli quali siano le regole. Inoltre, quando a
condurre l’addestramento è Sherlock, è sempre
meglio essere in due. Lui non è mai tenero con i suoi uomini.
Quel giorno non fa
eccezione. Sherlock ha disarmato ed atterrato Phillip Anderson in pochi
secondi: “Se vuoi fare parte della Guardia Privata del Re, devi
imparare a stare in piedi. Se non ne sei capace, torna ad essere carne
da macello. Potrebbe essere l’unica cosa per cui tu sia
utile,” lo ha liquidato in tono sarcastico.
Anderson si è
procurato un piccolo taglio e si dirige verso John: “Maledetto
bastardo arrogante. – sibila fra i denti, in tono basso, ma non
abbastanza da non essere sentito – Un giorno qualcuno ti
farà mangiare la polvere. Spero di essere presente. Vedrai
quanto sarà divertente.”
L’espressione sul
viso di John è severa, come il tono che usa: “Dovrebbe
essergli grato, soldato. Il suo comandante la sta addestrando per
sopravvivere alla guerra. Quando starà combattendo, crede di
poter chiedere al nemico di fermarsi perché ha commesso uno
sbaglio e le hanno fatto la bua? Dalle sue sconfitte, durante
l’addestramento, può capire gli errori che commette e
migliorare. Questo le salverà la vita, quando si batterà
contro qualcuno che la vuole veramente morto.”
Anderson guarda John con
ira, ma non osa ribattere. Ha notato Sherlock, alle spalle del dottore.
Sa che il comandante ha sentito tutto e teme la sua punizione. Invece,
Holmes non interviene. Aspetta che John finisca la medicazione e che
Anderson se ne vada, poi si avvicina al dottore. È la prima
volta che lo vedo perplesso: “Perché mi ha difeso? Sa chi
io sia, ma non sta cercando di rendersi simpatico per ottenere qualche
piacere o raccomandazione. Lei non si è accorto che stessi
ascoltando.”
“Ho detto a quel soldato quello che penso. Sono così tanti quelli che la adulano per ottenere favori da lei?”
“Non da me. Da mio
fratello. Tutti pensano che io possa intercedere presso di lui, in modo
che possano ottenere una piccola parte del suo potere. Nessuno capisce
che Mycroft non si lascia certo influenzare da quello che potrei o non
potrei dire su qualcuno. E nella maggior parte dei casi, questo
è un vantaggio per chi è in cerca di favori.”
“Davvero pensa che
tutti la avvicinino solo per ottenere dei piaceri da suo fratello e non
perché vogliano instaurare un qualche tipo di rapporto con
lei?”
“Non lo penso. Lo so.
È un dato di fatto. Questa è Londra. È il centro
del potere e l’uomo lo ricerca da sempre, per desiderio di
tiranneggiare e prevaricare gli altri. Le belle maniere dietro cui la
gente si nasconde, sono solo la manifestazione dell’ipocrisia
dell’umanità, che non ammetterà mai di essere
egoista, invidiosa, crudele e sadica. Mio fratello è un uomo
potente. C’è chi ucciderebbe, per essere al suo posto. O
per poter vivere nella sua ombra, per risplendere della luce riflessa
del suo potere.”
“Non ha una bella opinione dell’umanità,” sorride John, con le labbra e con gli occhi.
Ed è qui che accade
qualcosa di strano. Sherlock ricambia il sorriso. Un sorriso vero e
sincero, non quella smorfia sarcastica o di derisione, che di solito
stira la sua labbra. Siamo in molti a fissarli straniti. Praticamente
nessuno ha mai visto Sherlock sorridere sinceramente.
“Sono solo realista.
– Sherlock scuote la testa – Mi baso su quello che vedo
accadere ogni giorno sotto i miei occhi. Rimanga qui per un paio di
mesi e non potrà che darmi ragione.”
Smettono di sorridere. Si guardano negli occhi. Studiandosi.
L’aria sembra quasi
crepitare elettrica, fra loro. Si potrebbe evocare la magia, ma non
è questo. Anzi. È la massima espressione della parte
migliore dell’umanità. Due persone che si trovano, si
capiscono, si completano. Due anime che trovano l’altra parte di
se stessa.
È John a riprendere
a parlare: “Potrei esercitarmi con lei? Sono un po’
arrugginito con la spada e mi farebbe piacere riprendere ad allenarmi.
Se per lei non è un disturbo.”
“Sarebbe un onore ed un piacere, dottor Watson.”
“Io sono John… come fa a sapere chi io sia? Non siamo stati presentati!” la sorpresa è palese.
“Lei non può
che essere il dottor John Watson, il nuovo medico, arrivato la scorsa
settimana dal Sussex, per prendere il posto del dottor Miller, che si
è ritirato dalla vita militare. Il modo in cui ha medicato
Anderson, professionale e competente, la qualifica come medico. Il
fatto che sia interessato alle armi ed abbia imparato ad usarle, indica
che è attratto dalla vita militare e dall’avventura, anche
se preferisce salvare qualcuno, piuttosto che ucciderlo. Quindi, lei
è il nuovo medico. John Watson.”
“Brillante deduzione!” Sorride John, ammirato.
“Ho solo unito alcune
informazioni, che avevo ricevuto, con quello che ho osservato con i
miei occhi e ho tratto delle semplici deduzioni logiche. Non è
una cosa difficile. Si chiama usare il cervello.”
“Giusto. – John
è veramente affascinato dalle capacità di Sherlock e non
è infastidito dalle sue maniere brusche, a differenza di tante
altre persone, che le trovano irritanti – Cominciamo?”
Sherlock gli fa cenno con
il braccio di andare verso il centro del campo, mentre inclina
leggermente il capo, come se stesse invitando John a battersi con lui.
Incrociano le spade. Inizia la danza. Sherlock saggia le
capacità di John, che risponde colpo su colpo. Il medico non
è certo elegante e fluido nei movimenti, come il comandante, ma
sa tenergli testa. Non si lascia sconfiggere facilmente. Non si rendono
conto del tempo che passa. Si divertono. Si conoscono. Imparano a
provare rispetto l’uno per l’altro. È un piacere
osservarli.
In breve, John diventa un
avversario difficile da battere, per Sherlock. Hanno tacitamente
instaurato una ruotine quotidiana, che permette loro di trascorrere
molto tempo insieme. Una volta terminato l’addestramento della
truppa, Sherlock e John si allenano per ore. Nessuno si lamenta.
Nessuno disapprova. John, così paziente ed empatico, addolcisce
leggermente il carattere spigoloso e scontroso di Sherlock. Non
trascorre molto tempo, prima che la loro amicizia si trasformi in
qualcosa di diverso e profondo…
“COSA?!” La voce di
Mary, che interruppe il racconto di Mike, era più alta di quasi
due ottave. Il medico alzò uno sguardo infastidito sulla
ragazza: “Che c’è?”
“Loro… Sherlock e John… SONO DUE UOMINI!!” il tono era scandalizzato.
“E con ciò?”
“Cosa vuole dire ‘E con
ciò?’ Tu stai dicendo che loro… Sherlock e John si
sono… si sono… insomma, si sono innamorati. Giusto?”
“E allora? Cosa c’è di male?”
“Come sarebbe a dire ‘cosa c’è di male?’ Due uomini non possono innamorarsi!”
“Davvero? Cosa fanno di
sbagliato? A chi fanno del male? Si amano. Vuoi dire che
nell’amore c’è qualcosa di errato?”
“No… nell’amore
non c’è nulla di sbagliato, ma… due uomini…
andiamo!… Loro non possono amarsi!”
“Chi sei tu per dire che due uomini non possano amarsi?”
“Non lo dico io! – ribatté Mary, in tono difensivo, irrigidendosi sulla sedia – Lo dicono tutti. Lo sanno tutti. Non avrebbero dovuto andare contro natura. Se sono stati puniti…”
“Sciocchezze! –
sbuffò Mike, interrompendola, in tono secco – Qualsiasi
cosa si pensi dell’amore fra due uomini, nessuno merita
ciò che è capitato a loro. Non sono stati colpiti da una
punizione divina. Anzi…
… All’inizio
cercano di lottare contro il sentimento che sta nascendo fra di loro.
È soprattutto John ad opporre resistenza.
Sherlock è un uomo
razionale, che analizza tutto in modo spietato e che non crede nelle
convenzioni sociali. Pensa che siano solo regole imposte in modo
ipocrita, usate per tarpare le ali dell’intelletto e per far
sentire importanti piccoli uomini, che, altrimenti, sarebbero
nullità. Arrivato alla conclusione che si sia innamorato di
John, non ci vede nulla di male. Se non lo sbandiera impunemente ai
quattro venti, è solo perché capisce che John soffre per
quella situazione. Sherlock non farebbe mai nulla che ferisse John.
Anche a costo di strapparsi il cuore dal petto, per non provare i
sentimenti che sente.
Per John è
più difficile accettare di essersi innamorato di qualcuno del
proprio sesso. Lui è stato cresciuto nel rispetto di quelle
regole che Sherlock biasima tanto. John pensa che siano la base del
vivere civile. Andarci contro, per lui, equivale a tradire i propri
genitori e tutto ciò che gli hanno insegnato. Malgrado
ciò, John si deve arrendere all’evidenza di quello che
prova il suo cuore, che accelera i battiti, in presenza di
Sherlock. Iniziano a vedersi di nascosto. Ad avere rapporti
sessuali. Devono stare attenti, però. Se qualcuno li scoprisse,
sarebbe la fine, per loro. Li potrebbero imprigionare, torturare,
costringere a prendere i voti. Sarebbe comunque il meno. Li
separerebbero per sempre. Questo sarebbe peggio della morte.
Ed è a questo punto che entro in gioco io, purtroppo…
È un pomeriggio
piovoso. Londra non vede il sole da giorni, quasi stesse presagendo
ciò che si abbatterà sui due giovani amanti.
Siamo nello studio medico.
John ed io. Da soli. Non può allenarsi con Sherlock, a causa
della pioggia. Lui è davanti alla finestra, rigata di gocce
fredde ed indifferenti agli avvenimenti degli uomini. Lo osservo e mi
chiedo a cosa stia pensando. I suoi occhi hanno una strana luce
malinconica, quasi triste. Distolgo lo sguardo, sentendomi invadente ed
inopportuno.
“Sai che ti considero un amico, vero, Mike?”
La sua domanda mi coglie di
sorpresa ed impreparato. Alzo lo sguardo. Gli occhi azzurri di John si
ancorano nei miei. Sono così disperati. Mi tolgono il fiato.
“Anche io ti
considero un amico, John. Uno dei più cari. Puoi contare su di
me, per qualsiasi cosa. Non ti tradirei mai.” Non ho mai
pronunciato parole più false, in vita mia. A mia parziale
discolpa, posso dire che allora lo pensavo veramente. Non potevo
prevedere… non potevo sapere… che idiota io fossi…
John mi sorride. Lo hai mai
visto sorridere, ragazzina? I lineamenti del suo viso si distendono. Ai
lati degli occhi si formano piccole rughe gioiose. Sembra che una luce
lo illumini e, con lui, la stanza intera.
“Inoltre, sei un
medico. – continua, quasi imbarazzato – Il mio medico. Sei
tenuto a mantenere segreto ciò che il paziente ti confida, come
se tu fossi un prete confessore.”
Annuisco. Non capisco… non so cosa voglia arrivare a dire. Non posso lontanamente immaginare quale sia il suo segreto.
“Sono innamorato, Mike,” sussurra, sedendosi davanti a me, con un sorriso dolce sulle labbra.
Il mio cuore salta un battito: “Chi è lei?” Domando, mentre la bocca si secca e mi sembra difficile parlare.
L’espressione sul
viso di John si fa seria, quasi preoccupata, come se temesse la mia
reazione: “Non lei. Lui.”
Rimango interdetto dalla risposta. Non capisco il senso di quello che ha detto.
“Si tratta di un uomo,” chiarisce John, vedendo il mio sconcerto.
Per un attimo, solo per un
attimo, il mio cuore spera, ma ricordo in fretta che mi ha definito
‘amico’. Non definisci amico la persona che ami. Non inizi
il discorso come ha fatto John, ricordandoti che sta mettendo la
propria salvezza nelle tue mani, rivelandoti un segreto, che potrebbe
distruggerlo.
“Mi sono innamorato di Sherlock.”
Un lampo illumina la stanza.
“E lui ama me,” conclude, in un mormorio.
Un tuono squarcia il silenzio, facendo vibrare i vetri delle finestre.
“Sherlock…” Ripeto, quasi non credessi alle mie orecchie.
“Sherlock,” conferma.
“Non devi. È pericoloso. Se ti scoprissero…”
“Non possiamo farci
nulla. Abbiamo provato a resistere, Mike, ma non è servito a
niente. Ho bisogno del tuo aiuto.”
“Ti ha fatto del male?” il mio è un sibilo rabbioso.
“NO! Sherlock non mi
farebbe mai del male. Noi ci amiamo, Mike. Sherlock è dolce,
attento, tenero, premuroso. Non potrei desiderare un amante migliore di
lui.”
“Sono felice per te. – cerco di sorridere, ma non so cosa ne esca – In cosa posso esserti utile?”
“Abbiamo bisogno di
qualcuno che ci aiuti ad incontrarci, senza destare sospetti. Non oso
pensare a cosa ci farebbero, se ci scoprissero. Non voglio metterti in
difficoltà. Se non te la senti, puoi dirmelo chiaramente ed io
non ti biasimerò. So che ti sto chiedendo molto.”
“Lo farò,” ribatto velocemente, prima di riflettere. Mi sorprendo io stesso della mia disponibilità.
Il suo sorriso felice mi ricompensa di tutto.
Ora che li osservo insieme
e so cosa ci sia fra loro, noto i loro sguardi complici, i lievi tocchi
fugaci, i sorrisi appena accennati. È tutto così
romantico, così speciale. Sono felici. Sono belli. Quasi
luminosi. Io li aiuto. Faccio credere che John sia da me, mentre
è con Sherlock.
Io sono così
orgoglioso del fatto che mi abbiano concesso la loro fiducia, che mi
dimentico della stretta che ho provato al cuore, quando John mi ha
confessato il suo amore per Sherlock. Non avrebbero dovuto credere in
me. Ciò che è accaduto è solo colpa mia.
La fine della
felicità e l’inizio della tragedia hanno un nome e
cognome. La regina ha una dama di compagnia. Una donna molto bella,
sensuale. E potente. Irene Adler sa sempre come ottenere ciò che
vuole. Il suo interesse per Sherlock è palese. Forse se ne
è invaghita. Forse se ne è davvero innamorata. Forse
è una sfida, una scommessa, un capriccio. Forse vuole arrivare a
Mycroft, attraverso il fratello minore, per aumentare ulteriormente il
proprio potere. Chi lo sa? Nessuno capisce cosa passi veramente per la
mente di quella donna. Persino gli Holmes si trovano in
difficoltà, quando si tratta di prevenire le sue mosse. Lei fa
di tutto per arrivare a Sherlock, che la ignora. Lui ama John. Irene
gli è indifferente.
Un giorno, Irene ferma
John, mentre stiamo andando all’addestramento: “Dottor
Watson avrei bisogno del suo aiuto.”
“Cosa posso fare per lei, Lady Irene?”
“Mi sveli come posso
arrivare al cuore di Sherlock. Lui mi ignora, eppure non può
essere così insensibile, come vuole far credere. Sono sicura che
sotto tutto quel ghiaccio si nasconda un cuore caldo ed un amante
passionale. Io lo amo e so che potrei renderlo felice, se me ne
concedesse l’opportunità. Mi insegni a superare quei muri,
dietro cui si nasconde. Potrei farla diventare un uomo ricco…
molto ricco.”
“Non posso aiutarla.
– ribatte John, in tono teso – Sherlock è un mio
amico e non tradirei mai la sua fiducia, per tutto l’oro del
mondo. Deve trovare da sola la strada per conquistare il suo
cuore.”
“Ho qualche speranza, secondo lei, oppure il cuore di Sherlock batte già per qualcuno?”
“Non vorrei sembrare
scortese, Lady Irene, ma non è mia abitudine parlare dei
sentimenti dei miei amici, con persone che non siano loro stessi. Ora
mi scusi, ma mi stanno aspettando al campo di addestramento.”
John fa un piccolo inchino e si allontana da lei.
Io lo seguo, voltandomi per osservare Lady Irene, il cui viso è una maschera, che non esprime sentimenti.
“Devi stare attento a lei, John. – mormoro preoccupato – Lo sai cosa si sussurri su Irene Adler!”
John trattiene a stento una
risata: “Oh, Mike, non essere assurdo! Quella donna non è
una strega. Tutte le voci maligne, che girano su di lei, sono state
messe in giro da gente che la invidia per la posizione di prestigio e
potere, che ha raggiunto. Le maledizioni ed i sortilegi non esistono.
Sono leggende che servono a spaventare chi non sappia nulla di
scienza.”
“Non ne sarei così sicuro,” ribatto, piccato.
John si ferma e mi osserva, sorpreso: “Veramente pensi che lei sia una strega?”
Mi sento stupido. Non
voglio che John pensi che io sia stupido: “Stai attento. Non
sarà una strega, ma è pericolosa. Se scoprisse che il
cuore di Sherlock batte per te, potrebbe fare qualsiasi cosa, per
vendicarsi.”
“Su questo hai ragione. Dovremo stare ancora più attenti, da ora in poi.”
Sospiro di sollievo. Se non
altro ho convinto John che debbano essere più prudenti. Ancora
non so che lui e Sherlock si siano fidati della persona sbagliata.
Hanno riposto il loro segreto nelle mie mani, credendo di essere al
sicuro. Sarebbe stato meglio che mi avessero tagliato la gola. Ora non
sarebbero in questa situazione.
Irene non si arrende.
Quella donna non sa cosa significhi perdere. Quando si mette in testa
di raggiungere un obbiettivo, nulla la può fermare. Sa essere
paziente. Molto paziente. Stende la sua ragnatela intorno alla vittima
e ve la fa cadere dentro, senza che questa possa fare nulla per
evitarlo.
Lascia credere a tutti che
abbia rinunciato a conquistare Sherlock e si concede qualche piccolo
flirt, innocuo e senza importanza. Tutti si lasciano irretire
volentieri da lei. L’altra voce che gira per i corridoi della
reggia è che lei sappia essere un’amante piena di fantasia
e passione. Molti vorrebbero scoprire quanto ci sia di vero in questi
sussurri, ma lei sceglie con cura la persona a cui concedere i propri
favori. E nessuno dei prescelti va in giro a raccontare cosa accada tra
le lenzuola con Irene Adler.
Una sera mi invita a casa
sua. Io mi sento lusingato. Non posso credere che una donna così
bella sia attratta da me. Che stupido! Sono giorni che mi corteggia,
con discrezione. Io non ho detto nulla a John, perché non posso
credere nella mia fortuna e non voglio rompere l’incantesimo,
rivelando a voce alta quello che sta accadendo. Non penso più
che voglia arrivare a Sherlock. Ho dimenticato gli avvertimenti che io
stesso ho dato a John. Mi fa bere… non che questo giustifichi il
mio tradimento… mi porta nel suo letto. E io perdo ogni
inibizione. Ogni restrizione. Ogni ricordo delle promesse che ho fatto.
Le dico tutto. Di John e Sherlock. Lei sembra indifferente. Sono
felice. Forse ho trovato la mia metà.
Che idiota…
Una settimana dopo,
è stata pianificata una esercitazione poco dopo l’alba.
John e Sherlock sono fra i primi ad arrivare. Io li raggiungo
assonnato. All’apparire del primo raggio di sole, John si
trasforma in un falco, sotto gli occhi attoniti dei presenti.
“Stregoneria! –
urlano i soldati – Dobbiamo uccidere il falco. È un
stregone! Ci maledirà tutti!”
I più reattivi prendono le balestre e le caricano, pronti a colpire il falco.
“NO!”
L’urlo di Sherlock è disperato e rabbioso. Colpisce un
paio di uomini con un pugno, poi corre al cavallo ed insegue il falco.
Non so come io ci riesca, ma li seguo. Forse posso aiutare John. Non
che sappia come spezzare un incantesimo, ma sono pur sempre un uomo di
scienza. Loro sono miei amici, devo aiutarli.
È molto presto e
lasciamo Londra senza che nessuno ci fermi. Sherlock insegue il falco,
instancabile. Io riesco a stargli dietro con grande fatica. È
quasi il tramonto, quando finalmente il rapace… John… si
ferma. Plana verso Sherlock, appoggiandosi al suo avambraccio.
Scendiamo da cavallo. Il petto del falco si alza e si abbassa
velocemente, come se facesse fatica a respirare. È agitato e
spaventato. Se volasse via, non sono sicuro che riusciremmo a
raggiungerlo, ancora. I cavalli sono stanchi.
“Calmati, John.
– gli sussurra Sherlock, in tono dolce e rassicurante, mentre lo
accarezza – Andrà tutto bene. Capirò che cosa stia
succedendo e ti farò tornare come prima. Hai la mia
parola.”
“Hai un cappuccio? Devi metterglielo, così non fuggirà.”
“Non accecherò John!” La risposta di Sherlock è come un ringhio feroce.
Il sole si abbassa sempre
più all’orizzonte. Quando l’ultimo raggio lascia il
cielo, sono l’unico ad assistere all’atto finale della
tragedia. John torna umano, certo, ma Sherlock si trasforma in
lupo…
Mike ha finito il suo racconto, lo sguardo perso in memorie lontane e dolorose.
“Stai dicendo che John di giorno è il falco e Sherlock di notte il lupo?” domandò Mary, incredula.
“Sì. Da allora, ogni
giorno la maledizione li trasforma. Sai che sia i falchi che i lupi si
accoppiano con lo stesso compagno per tutta la loro vita? Nemmeno
questo ha concesso loro quella strega. Li ha separati per sempre, anche
se loro continuano a stare insieme.”
“Quello che è capitato
a John e Sherlock è terribile, ma come fai a dire che sia colpa
di quella Irene Adler? Quali prove hai che lei abbia lanciato una
maledizione su loro due, per vendicarsi del fatto che Sherlock non la
abbia ricambiata? John potrebbe avere ragione. Forse sono voci messe in
giro da persone invidiose e il vero colpevole è qualcun
altro.”
Mike scosse la testa: “Io sono sicuro che la strega sia lei…
… John si è
trasformato in falco davanti ai miei occhi. Sono sconvolto. Non riesco
a credere a quello che ho visto. Forse sto ancora dormendo. E sto
sognando. Quando mi sveglierò, racconterò questo strano
incubo a John e ne rideremo insieme. Però, non sono nel mio
letto. Un soldato mi spintona, per avere una buona visuale e mirare al
falco, con la sua balestra. Senza riflettere, lo colpisco alla testa
con la cassetta del pronto soccorso, che porto con me agli
addestramenti. L’uomo cade a terra, senza un lamento. Alzo lo
sguardo per seguire il volo del rapace e la vedo.
Irene Adler.
In tutta la sua straordinaria bellezza.
È ad una delle
finestre di uno dei corridoi del primo piano, uno dei pochi che abbiano
una perfetta visuale sul cortile adibito all’addestramento della
truppa. La osservo. Lei non è sorpresa. Inorridita. Incredula.
No. Nulla di tutto ciò. Le sue labbra, rosse come il sangue,
sono leggermente piegate in un sorriso soddisfatto e crudele. I suoi
occhi brillano di una gioia malsana e spietata…
… Ti posso assicurare che
sia stata lei. Non aveva motivo per essere in quel corridoio a
quell’ora del giorno, se non per assistere a ciò che
è accaduto. E poteva sapere ciò che sarebbe successo,
solo se lei ne fosse stata l’artefice. Lei è la strega che
ha lanciato la maledizione. Lei è il nostro avversario. Un
nemico scaltro, senza scrupoli e disumano. Pronto a qualsiasi mossa, ad
usare tutto ciò che ritenga utile, per ottenere ciò che
vuole. Non le importa nulla degli altri. A lei interessa solo di se
stessa e di raggiungere i propri fini. ”
“Ti hanno cacciato da Londra quando hanno scoperto che li avevi traditi?”
“No. Persino Sherlock ha
pensato che lasciarmi vivere, con il rimorso di ciò che avevo
fatto, fosse la giusta punizione per il mio peccato. Io sono venuto
qui, in questo luogo dimenticato da Dio e dagli uomini, per tentare di
porre rimedio ai miei errori. Sto cercando un modo per spezzare la
maledizione, affinché John e Sherlock possano tornare
insieme.”
“Il fratello di Sherlock è ancora il Primo Consigliere del re?”
“Sì. Questa storia non
ha scalfito il potere di Mycroft. Tutti pensano che la maledizione sia
stata scagliata da John, perché non poteva avere Sherlock.
Ritengono che il giovane Holmes sia solo la vittima di un amore malato.
Per quanto possa essere indisponente ed irritante, tutti sanno che
Sherlock non si è mai interessato di stregoneria. Il re sa che
la vera responsabile di tutto è Irene Adler, ma non esistono
prove. Quella strega tiene in pugno la regina, chissà come. Il
re non può farle nulla, per non correre il rischio che lo
scandalo coinvolga la sua stessa famiglia. Ha troppi nemici che
aspettano una buona occasione per detronizzarlo.”
“Se è così, perché le guardie del re danno la caccia a Sherlock e John?”
“Non sono soldati mandati dal
re. Sono uomini pagati da Irene. Lei pensava che Sherlock sarebbe
andato a chiederle di rompere l’incantesimo, accettando di
diventare il suo amante, o qualsiasi cosa lei avesse voluto, pur di
mettere fine alla maledizione. Sherlock non lo ha fatto. Ora, Irene sta
cercando di catturarli, forse persino di ucciderli. Come ti ho detto,
nessuno sa davvero cosa passi per la testa di quella strega.”
“Il fratello di Sherlock non sta facendo nulla, per salvarli?”
“Non pensare che il maggiore
degli Holmes sia indifferente alla loro sorte. Mycroft può non
approvare la scelta di Sherlock, ma ama profondamente il fratello e
farebbe di tutto, pur di saperlo al sicuro e felice. Anche lui,
però, si deve muovere nell’ombra. Sta cercando di
raccogliere prove contro Irene, ma deve stare attento a non essere
scoperto. Potrebbero accusarlo di voler proteggere uno stregone, per
riavere il fratello, e sarebbe la fine del suo potere a corte. Persino
il re dovrebbe abbandonarlo al proprio destino, malgrado abbia piena
fiducia in Mycroft. I giochi di potere sono complessi e difficili da
capire, per chi non ne sia coinvolto. È stato Mycroft che ha
fatto credere a tutti che il dolore per la triste sorte dei miei amici
ed il tradimento di John mi abbiano fatto impazzire, facendomi scappare
da Londra. In questo modo, nessuno sospetta cosa io stia facendo,
veramente. Mycroft stesso mi ha consigliato questo posto, per i miei
studi. Mi procura ogni tomo che trova, che pensi mi possa aiutare, ed
il cibo con cui mi sostengo.”
“Hai scoperto qualcosa?”
Un sorriso sornione illuminò il volto del medico: “Forse. Devo solo convincere Sherlock a darmi fiducia.”
Mary lo fissò. Pensava che
non sarebbe stato semplice convincere il cavaliere a fidarsi di
qualcuno, soprattutto perché quel qualcuno lo aveva già
tradito. Il lupo ululò di nuovo. Era sempre più vicino.
“Questo è lui.”
Mike si alzò ed andò alla finestra, ma fuori era buio. La
luna era nascosta da fitte nubi nere.
“Sta venendo da John. – mormorò Mary – Sempre insieme, ma eternamente separati.”
Il nodo alla gola si rifiutava di
andare giù, mentre gli occhi pizzicavano fastidiosamente. Il
silenzio che invase la stanza e la notte scura era opprimente.
L’alba del giorno dopo avrebbe visto il ripetersi della
maledizione. In una ripetizione senza fine e senza speranza.
Angolo dell’autrice
Come ho anticipato nel capitolo
precedente, Mike Stamford “interpreta” la parte di
Imperius, il prete confessore che tradisce il segreto di Isabeau ed
Etienne, rivelando il loro amore al Vescovo, che lancerà la
maledizione sui due giovani amanti.
Avendo deciso di dare ad Irene
Adler la parte del Vescovo, ho pensato che andasse bene lo stesso che
Imperius non fosse un prete, ma un medico. In fin dei conti, i medici
sono tenuti al segreto professionale. Forse io anticipo questo concetto
un po’ troppo, ma il giuramento di Ippocrate non è
recente, quindi potrebbe anche starci che il segreto professionale
fosse previsto già nel Medioevo. Se così non fosse,
concedetemelo come “licenza poetica”. Inoltre, Mike
è amico di John e Sherlock nella serie, come Imperius lo
è nel film di Isabeau ed Etienne, quindi la parte del traditore
spettava proprio a lui. Credo che vi siate accorti che Mike lasci quasi
intendere di essere invaghito di John anche lui, proprio come
l’Imperius del film lo è di Isabeau.
Altro cambiamento decisamente
rilevante è l’attribuzione ad Irene Adler della parte del
Vescovo ed il fatto che lei cerchi di conquistare Sherlock e non John.
Quando si è trattato di
decidere a chi dare la parte del Vescovo, avevo pensato ai tre
personaggi maschili “cattivi” più gettonati:
Moriarty, Magnussen e Moran. Per quanto nel fandom siano state scritte
tantissimi racconti in cui uno dei tre abbia una attrazione e/o
relazione con John o con Sherlock (ne ho scritte anche io), in questo
caso non mi convincevano, anche se Magnussen mi sembrava quello
più papabile.
Avendo eliminato Mary dalla lista
dei “cattivi”, l’unico altro personaggio adatto alla
parte era Irene Adler. Questo presupponeva uno scambio di ossessione da
John a Sherlock, ma la storia, nella mia testa, scorreva ugualmente in
modo lineare. Così Irene Adler ha vinto la parte. Naturalmente,
non poteva più essere un Vescovo, dato che la storia si svolge
nel Medioevo, ma la potente Dama di Compagnia della regina, sì.
Spero che la storia continui a piacervi, anche se ci sono delle differenze, rispetto all’originale.
Aspetto i vostri commenti, se vorrete lasciarne.
Per il prossimo capitolo, l’appuntamento è per domenica.
Ciao! 😊
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** La maledizione ***
La maledizione
La maledizione
La notte aveva avvolto la torre nel
suo freddo abbraccio. Mary si girò, di nuovo, nel giaciglio
improvvisato, che Mike le aveva preparato, accanto al camino della
cucina. Dopo averle raccontato la storia dei due amanti sfortunati, il
medico la aveva lasciata sola, affinché potesse riposare. Lui
era tornato da John, per accertarsi che tutto stesse andando bene.
Malgrado fosse stanca, Mary non riusciva a prendere sonno, a causa
dell’adrenalina che le scorreva veloce nel sangue. Gli ultimi
giorni erano stati ricchi di avvenimenti e di scoperte, che stavano
mettendo in discussione tutte le decisioni, prese nella sua breve
esistenza.
Rimasta sola in giovane età,
Mary era cresciuta pensando esclusivamente a se stessa. Non si era mai
preoccupata per nessun altro. Non si era mai voluta legare a nessuno.
Affezionarsi o, Dio non volesse, innamorarsi era troppo pericoloso e
fuori discussione. Avrebbe voluto dire rinunciare alla propria
libertà e sacrificare una parte di sé per il bene di un
altro. Avrebbe significato prendersi cura di qualcuno ed assumersi
delle responsabilità nei suoi confronti, mettendo la propria
felicità nelle mani di uno sconosciuto ed esponendosi al rischio
di essere ferita ed ingannata. In poche parole, soffrire: “Non
succederà mai. Non permetterò mai a nessuno di avere
tanto potere sulla mia vita. L’unica persona importante sono io.
Gli altri non contano nulla.” Questa era stata la filosofia che
aveva sempre seguito, fino a quel momento.
Ora… ora, nella penombra del
fuoco morente, i suoi pensieri stavano prendendo una piega inaspettata
e sorprendente. Si era scoperta a considerare l’idea di
accompagnare Sherlock a Londra, per aiutarlo a spezzare la maledizione
e ricongiungersi con John, nonostante questo volesse dire mettere a
repentaglio la propria vita: “Per chi dovrei sacrificarmi,
Signore? Per un uomo che a malapena sorride e che mi considera
insignificante? Siamo sinceri, a Sherlock non importa cosa ne
sarà di me. Una volta che avrà raggiunto il proprio
scopo, lui avrà John, mentre io sarò sempre sola e mi
troverò in una città in cui vogliono appendermi ad una
corda. Perché dovrei rinunciare alla mia vita per loro, Signore?
Per il sorriso di John?”
A questo punto le si strinse il cuore.
John.
John aveva un bel sorriso. Dolce.
Sincero. Rassegnato. E stupendi occhi di un azzurro profondo, striati
d’oro, come non ne aveva mai visti. Le faceva male vedere
l’ombra che li offuscava, quando John pensava che lei non lo
stesse guardando.
Le prime luci del mattino avevano
trovato Mary in uno stato di agitato dormiveglia, popolato da lupi,
falchi, risate diaboliche e sorrisi tristi, quando venne svegliata da
un urlo.
Spalancò gli occhi,
mettendosi a sedere di scatto, le orecchie tese, ancora frastornata.
Dall’esterno arrivarono urla e ringhi feroci. Mary si alzò
e corse verso la porta, spalancandola ed uscendo. Non fece in tempo ad
oltrepassarne la soglia, che venne afferrata saldamente e spinta contro
il muro, mentre una mano le tappava la bocca ed un corpo la pressava,
affinché non si staccasse dalla parete.
“Non fiatare. Qualcuno
è entrato nella torre e non ha intenzioni amichevoli,”
sussurrò una voce conosciuta.
Mary alzò gli occhi ed
avvampò, mentre il suo cuore saltava un colpo. Era John, che la
stava tenendo contro il muro. L’uomo si era infilato una casacca
chiara su dei pantaloni marroni ed aveva una smorfia di dolore sul
viso. La mano, che premeva sulla bocca di Mary, era la sinistra.
Tenerla in quella posizione doveva fargli sentire male alla spalla
ferita. Nella destra stringeva una spada.
Mary si rese conto di essere
cosciente di ogni centimetro del corpo di John, che si trovava a
contatto del suo. Ne percepiva il calore. Il leggero profumo di erbe,
proveniente da qualche medicamento.
“Abbiamo dimenticato di alzare il ponte levatoio,” mormorò Mike, alle spalle di John.
Mary non osava muovere un muscolo.
Osservava John, la sua espressione seria ed attenta. Il suo corpo teso
e pronto all’azione. Dall’esterno, provennero altre urla ed
altri ringhi. John si staccò da Mary e fece per precipitarsi
verso la fonte dei suoni.
“Dove stai andando?” Gli chiese Mike, afferrandolo per il braccio, che impugnava la spada.
“Vado ad aiutare
Sherlock,” ribatté John, in tono irritato, liberandosi
dalla stretta dell’amico e correndo per le scale.
Mary sentì improvvisamente
freddo. Senza riflettere, tornò nella cucina, afferrò un
attizzatoio e si precipitò dietro a John. Un piccolo gruppo di
soldati era entrato nel cortile della torre diroccata. Il lupo ne aveva
aggredito uno, procurandogli ferite mortali, ma altri tre, si erano
infilati lungo le ampie scale, che portavano ai piani superiori. John
affrontò il primo, ingaggiando uno scontro con le spade. Il lupo
aveva azzannato l’ultimo della fila, mentre Mary era sgattaiolata
oltre John ed il suo avversario, attaccando il soldato in mezzo,
brandendo l’attizzatoio, come se fosse stata una spada.
L’uomo, però, si dimostrò troppo abile, per lei.
Dopo averla disarmata, stava per colpire Mary, quando John, che aveva
ucciso il suo antagonista, intercettò l’arma del soldato e
ne bloccò la corsa verso la ragazza. I due uomini lottarono per
prendere il sopravvento l’uno sull’altro, finendo contro
un’ampia finestra, rimasta senza vetri, che dava sul cortile
interno della torre e portava luce alla scala. Nella foga della lotta
John riuscì a far cadere l’avversario fuori dalla
finestra, ma l’uomo si aggrappò al biondo medico,
trascinandolo con sé. L’armigero perse la presa,
urlò e si dibatté, ma nulla fermò la sua caduta.
John era riuscito ad afferrarsi al bordo della finestra, con la mano
destra, ma non riusciva ad alzare la sinistra. Mary afferrò il
braccio di John: “Resisti! Ti tiro su!” E cercò di
farlo, con tutte le proprie forze. La ragazza tentò di portare
John oltre il davanzale della finestra, ma il peso dell’uomo era
troppo, per lei. John scivolò lentamente, ma inesorabilmente,
dalle mani di Mary.
“Lasciami andare o cadrai con me!”
“Non ti mollo! Non ti lascerò mai andare! Io ti salverò!”
Il lupo, con l’aiuto di Mike,
aveva ucciso l’ultimo soldato. Accortosi di cosa stesse
accadendo, il medico corse ad aiutare Mary, ma arrivò tardi. Gli
sforzi della ragazza per impedire la caduta di John furono inutili.
L’uomo precipitò nel vuoto, senza agitarsi, senza urlare.
“NOOOOOOOOOO!”
gridò la giovane ladra, allungando le braccia, in un ultimo vano
e disperato tentativo di afferrare John. Mary, inorridita, fissò
gli occhi dell’uomo che stava cadendo. Erano calmi, sereni,
grati, pronti ad accogliere quella morte quasi fosse una liberazione.
C’era solo una piccola traccia di rimpianto, come se non avesse
avuto il tempo di fare qualcosa e ne fosse dispiaciuto.
Fu in quel momento che il primo
raggio di sole illuminò la giornata. Sotto lo sguardo allibito
di Mary, John si trasformò in falco e sbatté le ali,
giusto in tempo per evitare di schiantarsi a terra, mentre i suoi abiti
si libravano nell’aria, vuoti. Allo stesso tempo, una figura alta
e slanciata la spostò di peso dalla finestra, senza troppi
complimenti. Mary si girò verso il nuovo venuto e
spalancò la bocca per la sorpresa. Accanto a lei, Sherlock,
completamente nudo, si stava sporgendo alla finestra:
“JOHN!”
Il cavaliere allungò un
braccio ed il falco vi si posò sopra. Sherlock gli sorrise e lo
accarezzò, delicatamente: “Stai bene, sei salvo. Non so
cosa farei, se ti perdessi.” Il suo era un sussurro appena
udibile. Un mormorio colmo di amore e sollievo.
Mary non riusciva a staccare gli
occhi da Sherlock e John. Aveva visto la maledizione prendere forma
sotto i propri occhi. Una piccola parte di lei aveva creduto e sperato
che Mike le avesse raccontato una favola, una storia ben orchestrata
per convincerla a cooperare con loro. Ora sapeva quanto fosse tutto
vero.
“Ragazzina, vergognati! Torna in cucina! Di corsa!” la voce irata di Mike la fece sobbalzare.
Sherlock li ignorò
completamente, continuando ad accarezzare il falco, come se non ci
fosse nulla di strano o di inopportuno nell’essere nudo davanti
ad altre persone.
Mary arrossì, bofonchiò qualcosa di inintelligibile e corse in cucina.
Il cuore della giovane ladra
batteva all’impazzata, quando entrò nella stanza,
sbattendo la porta ed appoggiandovisi contro, con la schiena. Mary si
lasciò scivolare lungo il battente, sedendosi in terra, con le
gambe raccolte al petto e le braccia intorno, a stringerle forte. La
sua mente non riusciva a smettere di pensare alla trasformazione di
John ed al corpo nudo di Sherlock. “Signore, che cosa mi sta
succedendo? Perché mi stai sottoponendo a questa prova? Se
vuoi salvare la mia anima, non potresti farlo senza farmi correre il
rischio di perdere la vita o la mia sanità mentale? Capisco che
un’espiazione debba essere una specie di punizione, ma non ho mai
ucciso nessuno! Se tu dovessi castigare tutti coloro che si sono
comportati in modo egoista, passeresti l’eternità a punire
l’umanità intera, solo per questo motivo e dovresti
tralasciare peccatucci da nulla come l’omicidio o lo stupro
o…”
“MARY!”
La ragazza irrigidì la
schiena. Non aveva senso non rispondere. Non poteva far finta di non
averlo sentito. Sherlock stava gridando praticamente dall’altra
parte della porta: “Mary dobbiamo andare. Non ho più molto
tempo. Mike mi ha detto che ti ha raccontato ogni cosa. Mi devi aiutare. Ti prometto che farò di tutto per farti lasciare Londra, senza che tu corra dei rischi.”
Mary si alzò ed aprì
la porta. Sherlock era perfettamente vestito, di nero, come al solito.
Evidentemente, doveva avere un cambio per sé e per John nelle
sacche da viaggio. Mary lo osservò, con aria critica: “Non
credi che le persone potrebbero trovarti più allegro e
simpatico, se, qualche volta, ti vestissi con colori più vivaci?
Il nero è così deprimente…”
Sherlock la osservò,
lievemente disorientato: “Il colore dei miei abiti non ha nulla a
che fare con quello che la gente può pensare di me.”
“Non hai molto senso dell’umorismo, vero?”
“Non ho molti motivi per fare battute di spirito.”
Mary annuì: “Posso fidarmi di te?”
“Capisco che tu non abbia
motivi per avere fiducia in me, ma ti dò la mia parola
d’onore che non ti tradirò.”
“Allora andiamo.”
Sherlock accennò un sorriso riconoscente e si avviò verso il cortile della torre.
Il sole splendeva alto in cielo.
Era una bella giornata invernale, fredda, ma limpida. Il falco si
trovava sul pomello della sella di Sherlock, in attesa che lo
raggiungessero. Mike accarezzava Golia, in modo pensieroso. Quando
Sherlock e Mary arrivarono in cortile, i due uomini non si scambiarono
uno sguardo. Il silenzio era teso.
“Mary, oggi starai dietro. Il falco non può sforzare l’ala e lo voglio tenere sul pomello.”
“Sherlock mi devi ascoltare,” lo supplicò Mike.
Il cavaliere ignorò il medico, salendo in groppa a Golia ed allungando un braccio per aiutare Mary.
“C’è un modo per
spezzare la maledizione. – insisté Mike – Non
è necessario uccidere Irene, per farlo. Anzi, lei deve essere
assolutamente viva.”
“Stai vaneggiando. Lascia andare le redini di Golia. Grazie per avere curato John, ma ora dobbiamo andare.”
“Concedimi la tua fiducia,
Sherlock. Aspetta solo tre giorni. Allora vi presenterete entrambi al
cospetto della strega che ha lanciato la maledizione, in un giorno
senza notte ed una notte senza giorno. In quel momento, la maledizione
sarà annullata e voi potrete tornare alla vostra vita di sempre.
”
Sherlock lanciò a Mike
un’occhiata furiosa: “Sei di nuovo ubriaco, Mike? Mio
fratello ti fornisce degli alcolici, invece di legna, per scaldarti
nelle notti fredde? Quello che dici non ha senso.”
Mike si ritrasse, come se fosse stato colpito da una sberla, in pieno viso.
“Smetti di cercare di aiutarci. Possiamo fare senza il tuo supporto. Hai già fatto abbastanza danni.”
Con uno strettone, Sherlock liberò le redini dalla mano di Mike, fece girare il cavallo ed uscì dalla torre.
Mentre attraversavano il ponte
levatoio, Mary si voltò indietro ad osservare il povero medico,
che si era accasciato nel cortile, con la testa abbassata. La ragazza
non poteva vederlo in viso, ma tutto dimostrava quanto Mike fosse
disperato e ferito. Sherlock era stato duro con lui. Certo, li aveva
traditi ed era colpa sua se erano in quella situazione assurda, ma Mike
stava cercando di rimediare agli errori che aveva commesso. Era giusto
dargli una possibilità di farlo. Tutti meritavano una seconda
occasione. E se avesse avuto ragione? Se avesse veramente scoperto come
spezzare la maledizione? Quello che aveva detto, però, era privo
di senso. Come ci poteva essere un giorno senza notte ed una notte
senza giorno? Forse Sherlock aveva ragione. Forse Mike era ubriaco.
Oppure era davvero impazzito. Eppure…
Cavalcarono in silenzio. Sherlock
sembrava tranquillo, ma Mary poteva sentire la tensione delle sue
spalle. Ogni tanto, il cavaliere accarezzava il falco, mormorandogli
qualche parola, che lei non capiva. Il rapace gli rispondeva, con
stridi sommessi. Appoggiata con il viso alla schiena di Sherlock, Mary
sorrideva, chiedendosi come facessero quei due a comprendersi, malgrado
la situazione in cui si trovavano: “Che l’amore sia questo? Capirsi sempre e comunque?”
Nel primo pomeriggio, nuvole nere
offuscarono il cielo. L’aria profumava di pioggia ed era carica
di elettricità. Mary sentì la voce di Sherlock
riverberare attraverso il corpo: “Stanotte pioverà ed
anche molto. Non è il caso che vi accampiate all’aperto.
C’è una taverna nel bosco. Chiederemo all’oste di
poter dormire nella stalla, per non lasciare solo il cavallo. In questo
modo, non si accorgerà della comparsa di John e della mia
sparizione.”
“Va bene.”
Mary avvertì
un’esitazione nel respiro di Sherlock. Era come se volesse dire
qualcosa, ma non trovasse le parole giuste. La ragazza fece un sorriso
divertito. Non doveva capitare molto spesso che Sherlock Holmes
rimanesse a corto di parole. Avrebbe voluto vedere il suo viso, per
osservarne l’espressione, piena di dubbio. Quello che
l’uomo disse, però, fece svanire il sorriso dalle labbra
di Mary.
“Ho bisogno che tu faccia una
cosa. Non dire a John che Mike pensa di avere trovato un modo per
spezzare la maledizione. Io credo che Mike sia in buona fede, ma che
non sappia ciò che dice. Il suo disperato desiderio di aiutarci
ed il suo profondo senso di colpa lo fanno straparlare.”
“Perché non vuoi che
ne parli a John? È giusto che lui sappia che potrebbe esserci
una fine alla vostra maledizione.”
“Quella di Mike è una
falsa soluzione e John potrebbe illudersi. Non c’è nulla
di peggio di una speranza che viene distrutta.”
Il silenzio tornò a regnare
sovrano. Mary ricordò gli occhi di John, mentre precipitava. La
rassegnazione ed il sollievo presenti in essi. Quella non era vita.
Sherlock e John stavano sopravvivendo, perché sapevano che la
morte di uno avrebbe annientato l’altro. Stavano tenendo duro e
affrontando un giorno dopo l’altro, solo perché erano
insieme, malgrado tutto.
“Mary, posso contare su di te? Posso essere sicuro che non dirai nulla a John? Soffrirebbe inutilmente.”
“Te lo prometto, non gli
dirò nulla,” fu il sussurro della ragazza. Non poteva dire
altro. Non era sicura che la voce non le si spezzasse, mentre parlava.
Sherlock si era accordato con
l’oste per occupare la stalla, durante la notte. Aveva strigliato
Golia e preparato degli abiti di ricambio per John. Mary lo aveva
osservato svolgere quelle mansioni abitudinarie, con la mente persa nei
propri pensieri.
Era giusto non dire a John che
poteva esserci una speranza per loro? Era una menzogna non riferire
questa cosa? Oramai aveva promesso. Aveva fatto male? Se lei non avesse
mantenuto la propria parola, cosa poteva farle Sherlock? Aveva bisogno
di lei per il suo piano. Sherlock voleva uccidere quella Irene,
pensando di mettere fine alla maledizione. La cosa aveva un suo senso.
Una volta uccisa la strega che aveva lanciato il maleficio,
perché questo avrebbe dovuto continuare? Però…
però… e se questo fosse stato un incantesimo diverso
dagli altri? Se Mike avesse avuto ragione? Se per spezzarlo John e
Sherlock avessero dovuto essere davanti ad una Irene viva e vegeta? Se
uccidendola, Sherlock li avesse condannati ad un eterno dolore?
“Smetti di pensare, Mary!
Rimuginando in quel modo, non troverai la soluzione a qualcosa che non
è governato dalla logica.”
Mary alzò uno sguardo contrito su Sherlock, come se fosse stata colta a fare qualcosa di sbagliato.
“Mi hai promesso di non dire
nulla a John. Mantieni la tua parola. Fallo per lui. Soffre già
abbastanza così. Dargli una speranza, sarebbe crudele. Tu non
vuoi che lui soffra.”
Mary vide un’ombra dolorosa
offuscare gli occhi colore dell’acqua trasparente di Sherlock.
Ora era sicura che anche lui avesse i suoi stessi dubbi. Chi era lei
per decidere cosa fosse meglio? Cosa sapeva del mondo, della magia e
della scienza, lei? Era solo una piccola ladra, ignorante e senza arte
né parte: “Non gli dirò nulla,”
confermò, in tono convinto.
Sherlock uscì, lasciandola sola con il falco.
John si stava vestendo, quando dalla locanda iniziò a provenire della musica.
“Sherlock sta bene? –
domandò, mentre si infilava la maglia – È rimasto
ferito, nello scontro con i soldati?”
“No, puoi stare tranquillo John. Lui sta bene.”
John uscì da un box per
cavalli, il cui ingresso era stato chiuso con una coperta, in modo che
potesse trasformarsi e vestirsi senza mettere in imbarazzo Mary.
“Sta mangiando? Sai lui, non
mangia mai molto. Non vorrei che, preoccupato per questa situazione,
non mangiasse a sufficienza.”
“Se non mangia molto non
è certo per la preoccupazione. Sherlock è un cuoco
veramente pessimo, lo sai?”
John fissò Mary e vide un
lampo irridente, nei suoi occhi azzurri: “Ti sei lamentata con
lui della sua cucina?”
“Fossi matta! Sarebbe capace di costringermi a cucinare. Ed io sono una cuoca peggiore di lui!”
John scoppiò a ridere. Una
risata sincera e di gusto. Mary, felice di avere rallegrato il giovane
biondo, si unì alla sua risata. Quando smisero, nella stalla
risuonò ancora la musica. Mary era seduta su una balla di fieno.
Dondolava i piedi e muoveva la testa a tempo con il motivo,
canticchiando. John la osservò per qualche secondo, poi si
avvicinò a lei, allungando una mano ed esibendosi in un elegante
inchino: “Permette questo ballo, damigella?”
Mary lo fissò, arrossendo: “Non so ballare,” confessò a voce bassissima.
Con un sorriso complice, John
allungò di più la mano: “Confessione per
confessione. Nemmeno io sono un gran ballerino. Quello bravo è
Sherlock, ma, se ti accontenti, potremmo fare quattro salti.”
Il viso di Mary si aprì in
un sorriso raggiante. Saltò giù dalla balla e prese la
mano di John, ricambiando l’inchino: “Accetto volentieri,
cavaliere.”
John cinse Mary, circondandole i
fianchi con un braccio, ma mantenendo più distanza possibile fra
loro. Alzò l’altra mano e cominciò a muovere i
primi passi, seguendo la musica. All’inizio, i ballerini erano
impacciati, ma riuscirono a farsi trascinare dall’allegra
melodia, sciogliendosi e divertendosi. Mary osservava il viso
sorridente e disteso di John, ammirandone i profondi occhi azzurri ed i
lineamenti morbidi: “Cosa farebbe, se io lo baciassi? Mi ricambierebbe o mi tratterebbe come una donnaccia?”
Mary accorciò la distanza fra il suo corpo e quello di John,
decisa a tentare. Non c’era nulla di male in un bacio, no?
Nessuno avrebbe mai saputo nulla. Sarebbe stato un segreto fra loro
due. Lei non lo avrebbe certo detto Sherlock, mentre John non avrebbe
potuto farlo, nemmeno volendo. Forse John l’avrebbe biasimata, ma
se un suo bacio avesse spezzato la maledizione, non la avrebbe amata?
Almeno un po’? A causa dell’amore per Sherlock, John stava
soffrendo tanto. Non sarebbe stato più felice con lei? Non seppe
mai cosa sarebbe accaduto. La porta si spalancò. John si mise
fra la porta e Mary, staccandosi da lei, pronto a difenderla da un
eventuale assalitore: “Chi sei?” domandò, in tono
perentorio.
La pioggia aveva iniziato a cadere,
abbondante, poco prima del tramonto. L’uomo, non troppo alto e
grassoccio, che entrò, aveva il mantello ed il cappuccio bagnati
di pioggia.
“Sono io, John. Chi vuoi che
vada in giro con questo tempo da lupi, se non un pazzo come me?”
L’uomo scostò il cappuccio, rivelando il volto sorridente
di Stamford.
“Mike! Cosa ci fai qui? Non sapevo che Sherlock avesse deciso di farti venire con noi.”
“Infatti, Sherlock non sa che io sia qui. Se lo sapesse, sono certo che mi ucciderebbe.”
“Non capisco…”
“Credo che sia il caso che tu
vada alla locanda, Mike. – lo interruppe Mary, che aveva capito
perché il medico li avesse raggiunti – Sono sicura che
abbiano una stanza per te. Sarebbe sospetto se decidessimo di dormire
tutti nella stalla, invece che in comodi letti, non credi?”
“Gli hai detto che so come spezzare la maledizione?”
Nella stalla cadde il silenzio.
Persino la musica e la pioggia sembravano lontane, come se avessero
abbassato il volume dei loro suoni. Mary sbirciò il viso di
John, non avendo il coraggio di guardarlo negli occhi, che fino a pochi
secondi prima le avevano sorriso.
“Cosa… cosa stai
dicendo? Hai trovato un modo per spezzare il maleficio? Sherlock lo sa?
Perché non mi hai detto nulla, Mary?”
La ragazza era arrabbiata con Mike.
Aveva interrotto il ballo ed aveva rivelato a John quello che Sherlock
non voleva che lui sapesse. Mary vedeva la speranza, negli occhi John.
Come poteva spegnere quella luce?
“Mary, rispondimi! Perché non mi hai detto che avete trovato un modo per spezzare la maledizione?”
“Sherlock mi ha fatto promettere di non farlo.”
La speranza si gelò e svanì dagli occhi di John: “Sherlock… perché…”
“Pensa che Mike si sbagli e non voleva darti delle false speranze. Non voleva che tu soffrissi.”
John fissò lo sguardo spento lontano, nella notte: “Sì. Questo è da lui,” mormorò.
“Non mi sto sbagliando!
– intervenne Mike, con veemenza – Io sono sicuro di quello
che ho trovato. Solo perché è criptico e poco chiaro, non
significa che non sia la soluzione giusta.”
“Cosa è che non si capisce?” Chiese John.
“Il brano che ho trovato,
dice che questa maledizione sarà spezzata, se entrambi vi
troverete al cospetto di chi la abbia pronunciata in un giorno senza
notte ed in una notte senza giorno.”
John aggrottò la fronte:
“Quello che dici non ha senso. Come può esistere un giorno
senza notte ed una notte senza giorno?”
“Lo so che sembra assurdo, ma
il testo è scritto da un esperto, che indica le date in cui
sarà possibile spezzare il maleficio! Una di queste cadrà
fra due giorni.”
“Ne sei sicuro, Mike? –
il tono di John era disperato – Se ti dovessi sbagliare e
cadessimo nelle mani degli uomini del re, sarebbe la fine delle nostre
esistenze. Se questo lo possiamo definire vivere. In realtà,
è un trascinare avanti le nostre vite, in attesa che qualcosa ci
permetta di tornare normali. Vorrei che quella freccia mi avesse ucciso
o che quel raggio di non sole non fosse giunto in tempo a salvarmi.
Forse, se io morissi, la maledizione si spezzerebbe e Sherlock
potrebbe, finalmente, tornare a Londra, alla sua vita.”
“Non dire queste cose! – lo rimproverò Mary – Sherlock morirebbe, se ti accadesse qualcosa.”
“Cosa ne sai tu di cosa proverebbe Sherlock, ragazzina?” sbottò John, irritato.
Era la prima volta che John
rispondeva male a Mary. Il tono le strinse il cuore, ma la giovane
ladra non si offese. Poteva solo lontanamente immaginare quanto
soffrisse John… e Sherlock, certo… anche Sherlock.
“Io non lo conosco, ma so quanto tenga a te. Quando il falco
è stato ferito, mi ha detto di portarlo in salvo, perché,
senza di lui, la sua vita non aveva più motivo di essere
vissuta. Mi ha fatto promettere di non dirti nulla per evitarti il
dolore di una speranza spazzata via dalla dura realtà. I suoi
occhi si illuminano solo quando parla con te… di te. Forse non
saprò molto di Sherlock, ma conoscono le persone e so che lui
non sopporterebbe di vivere senza di te.”
“Scusami, hai ragione.
– sospirò John – Questo è il motivo per cui
non ho ancora messo fine alla mia vita, pur avendone avuto tante
occasioni. Come io non potrei vivere senza di lui, se gli accadesse
qualcosa, so che per lui sarebbe la stessa cosa.”
“Devi aiutarmi a convincerlo che la mia soluzione sia quella giusta,” lo sollecitò Mike.
Lo sguardo angosciato di John
spezzò il cuore di Mike e Mary: “Se anche pensassi che tu
abbia ragione, come posso convincere Sherlock che deve darti
retta?”
La discussione venne interrotta
dalle urla che, improvvisamente, arrivarono dalla locanda. Attraverso
la porta aperta, anche i tre nella stalla poterono sentire quello che
veniva detto: “Vi dico che c’è un lupo enorme, che
si aggira nei paraggi. Dobbiamo ucciderlo, prima che arrivi ai nostri
figli ed al nostro bestiame.”
“Andiamo! Prendiamo le balestre, le spade e le lance. Uccidiamo la bestia giunta dall’inferno.”
“Sherlock…” sussurrò John, precipitandosi fuori dalla stalla.
“John, fermati! Potrebbe
essere pericoloso!” urlò Mary, ma l’uomo biondo era
scomparso nel bosco. La ragazza lo seguì, mentre Mike raccolse
velocemente le loro cose, le caricò sul carro, con cui era
arrivato, e prese Golia. Radunato tutto, li seguì.
“SHERLOCK!” urlava
John, incurante della pioggia, che gli cadeva addosso da ogni dove. La
paura che quei contadini potessero trovare il lupo ed ucciderlo, gli
faceva battere il cuore all’impazzata. Lui sapeva che Sherlock
gli stava sempre vicino, ovunque lui si trovasse. Era cosciente che
fosse pericoloso per Sherlock, aggirarsi nei pressi di villaggi e
fattorie, quando era un lupo, ma non aveva mai potuto parlargli, per
convincerlo a stare lontano ed i messaggi, che gli aveva lasciato, non
avevano mai sortito l’effetto desiderato. Ora, doveva tenere al
sicuro il lupo, lottando contro chiunque avesse tentato di ucciderlo.
Lungo il percorso, si trovò davanti un torrente, le cui acque
erano impetuose, a causa delle abbondanti piogge di quel periodo. Un
tronco, posto di traverso sul torrente, gli permise di attraversarlo.
Mary fece lo stesso, raggiungendolo: “Devi tornare indietro. Non
possiamo trovarlo, in questo modo. Vedrai che Sherlock sarà al
sicuro, fino al momento della trasformazione.”
“Quegli uomini sono decisi a
scovarlo ed ucciderlo. Non si fermeranno fino a quando non lo avranno
fatto. Non permetterò che accada.”
Un ringhio sommesso provenne
dall’altra parte del torrente. Pochi secondi dopo, il lupo nero
dagli occhi chiari apparve al limitare del bosco. Senza esitazione, il
grosso animale iniziò ad attraversare il torrente, passando sul
tronco. La pioggia, però, lo aveva reso scivoloso. A metà
percorso, il lupo scivolò giù dal tronco, con la parte
posteriore del corpo. La forza dell’acqua gli impediva di tornare
sul tronco, minacciando di trascinarlo via. Il lupo cominciò a
guaire, per la paura e la disperazione.
“NO! SHERLOCK!”
urlò John, andando verso lui, ma Mary lo fermò:
“Quel tronco non reggerà entrambi. Lascia andare me.
Tienimi saldamente per i fianchi, in modo che non cada anche io nel
torrente. Lo tirerò fuori.” Avrebbe voluto aggiungere
“Per te,” ma non lo fece. John annuì.
Mary si sdraiò sul tronco ed
afferrò il lupo al collo, saldamente, tirandolo su, mentre
faceva forza sulla schiena e sulle gambe. John la teneva stretta, in
modo che non scivolasse nel torrente. Il lupo era terrorizzato e
cercò di arrampicarsi sulla ragazza, per mettersi al sicuro,
conficcando gli artigli nella schiena di Mary, che urlò per il
dolore, ma continuò a mantenere la presa sull’animale,
che, lentamente, riuscì a tornare sul tronco e finì di
attraversare il torrente.
John aiutò Mary a rimettersi in piedi: “Fammi vedere cosa ti ha fatto.”
“Non è nulla.”
“Sei un medico, ora?”
John la fece girare, in modo da
poterle esaminare la schiena. Mani delicate e gentili si mossero
prudentemente sul corpo di Mary, facendola rabbrividire. Il lupo si
accucciò al loro fianco.
“Dobbiamo tornare alla taverna. Nelle sacche di Golia c’è qualche medicamento.”
“Non possiamo tornare
là. – lo contraddisse Mary – Sherlock ci seguirebbe
e sarebbe in pericolo. Dobbiamo rimanere nel bosco.”
John stava per ribattere, quando si
sentì il cigolio di un carro. Mike li aveva raggiunti. Aveva
anche smesso di piovere. Sembrava quasi che il cielo avesse deciso di
stare dalla loro parte.
John medicò Mary, mentre
Mike accese il fuoco e preparò qualcosa da mangiare, oltre che i
giacigli, per la notte. Il lupo non abbandonava il fianco di John,
appoggiando il muso sulle sue gambe, ogni volta che ne avesse
l’occasione. John lo accarezzava, immerso nei propri pensieri. Si
alzò, per raggiungere il proprio giaciglio, ma si voltò
verso Mike, fissandolo intensamente: “Stiamo per mettere, di
nuovo, le nostre vite nelle tue mani, amico mio. Spero tanto che tu non
ti stia sbagliando. Dì a Sherlock, da parte mia, che io voglio
crederti, che possiamo aspettare un giorno in più, se
tutto avrà fine, ma aggiungi che ho piena fiducia nella sua
capacità di giudizio e scelta. Quello che lui deciderà,
andrà bene anche per me.”
“Grazie John. Non te ne pentirai. Te lo giuro.”
“Lo spero, Mike. Lo spero, per Sherlock… per me… questa non è vita.”
“Andrà bene. – intervenne Mary, con un sorriso – Convinceremo Sherlock.”
John annuì e si allontanò dal fuoco, con il lupo sempre al suo fianco.
Da quando aveva incontrato Sherlock
e John, la vita di Mary era divenuta molto complicata. Era diventato
difficile persino prendere sonno. Quella notte non fece eccezione. John
era un ottimo medico, ma il dolore per le ferite, riportate sulla
schiena, non accennava a diminuire. Mary cercava una posizione che le
permettesse di addormentarsi, ma le era impossibile trovarla. Lei e
Mike erano vicino al fuoco, mentre John ed il lupo erano più
distanti. John si era appisolato con un braccio sul lupo, che era
accucciato accanto a lui e non si muoveva. Mary li osservava, stupita
ed un po’ invidiosa: “Quanto
amore ci vuole, per restare insieme anche in queste condizioni? Quanto
amore si deve provare, per non scappare lontano da chi è la
causa del tuo dolore? È sempre così l’amore? Oppure
sono loro due ad essere così speciali?”
L’alba si stava avvicinando.
La luce del sole stava rischiarando la notte buia. Non c’erano
più nubi che oscurassero il cielo.
John si mosse. Si era svegliato,
quasi avvertisse l’approssimarsi del nuovo giorno. Il cielo era
sempre più chiaro. Il giovane medico biondo si tolse la coperta
di dosso e coprì il lupo. Mary pensò che la mossa di John
fosse insensata, ma capì perché lo avesse fatto, quando
lo vide accadere.
Il lupo cominciò a tremare,
come se fosse vittima di una forte febbre. Lo stesso accadde a John. Le
due figure si sfuocarono, come se fossero circondate da un banco di
nebbia, ma di una innaturale luce bianca.
Mary sbatté le palpebre
diverse volte, per cercare di mettere a fuoco le immagini, ma non
servì a nulla. Più il giorno si faceva chiaro, più
quella strana nebbia circondava i due esseri che aveva davanti.
Improvvisamente, la figura del lupo venne sostituita da Sherlock.
Il cavaliere era lì.
Davanti a John.
E si guardavano.
Occhi chiari come l’acqua trasparente in occhi del colore dell’oceano.
Il cuore di Mary fece un salto ed
il suo viso si illuminò in un sorriso di gioia. I due amanti si
erano riuniti! La maledizione era stata cancellata! Forse Mycroft
Holmes aveva trovato un modo per sconfiggere Irene Adler e tutto era
finalmente finito!
John alzò una mano, con il
palmo aperto rivolto verso Sherlock. Il suo sorriso era triste, gli
occhi pieni di una malinconica rassegnazione. Sherlock alzò una
mano, per toccare quella di John. Il dolore e la disperazione, che
colmavano gli occhi del giovane Holmes, sembravano senza fine. Le loro
mani si avvicinarono desiderose ed bramose di toccarsi.
Mary era perplessa. Non capiva la
tristezza e la disperazione presenti negli occhi dei due uomini. Si
stavano vedendo, nella loro forma reale! In pochi istanti si sarebbero
toccati! Era tutto finito!
La strana foschia avvolgeva sempre
più i corpi di John e Sherlock, rendendoli quasi splendenti, in
modo magico. Le dita cercavano di sfiorarsi, di afferrarsi, ma erano
ancora immateriali, trasparenti. Era come se cercassero di prendere e
stringere la nebbia.
Il cuore di Mary iniziò a
battere sempre più velocemente. Il sorriso si spense, mentre un
nodo le stringeva la gola, impedendole di deglutire. C’era
qualcosa che non andava.
Le figure di Sherlock e John
stavano diventando più materiali, meno evanescenti, ma loro non
erano felici. Le loro dita stavano finalmente per toccarsi, quando il
primo raggio di sole illuminò il cielo.
John sparì, mentre il falco volò via, stridendo per il dolore.
Sherlock, nudo sotto la coperta,
sfogò la rabbia e la disperazione, con un urlo furioso,
picchiando il terreno con i pugni chiusi.
Il falco era lontano, in alto nel cielo.
Mary si chiese se sarebbe tornato indietro o se avrebbe deciso di fuggire via.
Sherlock rimase immobile, i pugni
piantati in terra, le spalle e la testa piegate, sotto un peso
insopportabile da sostenere, per non mostrare il dolore, che gli stava
devastando il cuore.
Mary sentì le lacrime,
inarrestabili, solcarle le guance. Non tentò di fermarle. Non le
asciugò: “Signore, tutto questo si ripete ogni mattina? Ad
ogni alba John e Sherlock si vedono per pochi secondi, senza potersi
nemmeno toccare? Senza potere sentire il calore emanato dal corpo
dell’altro? Signore, tutto ciò non è giusto!
È crudele e disumano. Nessuno merita una punizione così,
qualsiasi sia la colpa che debba scontare. Soprattutto, non due persone
il cui unico peccato sia amarsi tanto, come si amano John e Sherlock.
Ti prometto che farò qualsiasi cosa in mio potere per aiutarli a
tornare insieme, mettendo fine a questa tragedia. E stavolta non ci
saranno sotterfugi. Non mi rimangerò la parola che ti ho dato.
Non cercherò un modo per aggirare la promessa che ti ho fatto.
Dovessi impiegare tutta la vita, dovessi sacrificare la mia stessa
esistenza, farò di tutto affinché quella strega paghi per
quello che ha fatto. Romperemo la maledizione. Fosse l’ultima
cosa che farò, nella mia inutile vita, John e Sherlock
torneranno insieme.”
Angolo dell’autrice
Per prima cosa, sono imperdonabile,
lo so, ma domenica scorsa mi sono dimenticata di ringraziare chi stia
leggendo e segnando la storia in qualche categoria e chi abbia
lasciato un commento. Purtroppo, me ne sono accorta troppo tardi, per
rimediare. Cosa volete? L’età che avanza non è una
cosa da poco!
I ringraziamenti non sono una
formalità, per me, ma sono fatti con il cuore, perché
è grazie a voi che io continuo a divertirmi, scrivendo racconti
sui nostri personaggi preferiti.
Quindi, grazie a chi stia leggendo
la storia, a chi la stia segnando in qualche categoria e grazie a
0803Anna, Blablia87, AkaNagashima, adlerlock,, naisia, emerenziano,
klonoa75 e Koa_ per i commenti ai vari capitoli precedenti.
Mary si è infatuata di John, ma, state tranquilli, qui non lo sposerà!
L’ultima scena è
presente nel film. Ho sempre pensato che fosse la scena più
romantica ed angst, che avessi mai visto. Spero di essere riuscita a
trasporla su carta come merita.
Chi volesse lasciare un commento, è sempre benvenuto.
A domenica prossima, per la fine della storia.
Ciao! 😊
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Faccia a faccia ***
Faccia a faccia
Faccia a faccia
Nel piccolo campo le
attività giornaliere erano iniziate poco dopo il sorgere del
sole. I tre facevano finta che non fosse accaduto nulla, che non si
fosse ripetuto il dramma di ogni giorno. John era sparito e Sherlock
non mostrava alcun segno del dolore, che aveva urlato al sole nascente.
Nessuno parlava.
Sherlock stava sellando Golia,
quando si sentì lo stridio di un rapace. All’orizzonte
apparve il falco, dai riflessi dorati, che stava planando verso il
piccolo accampamento. Sherlock distese le labbra in un lieve sorriso,
quasi sollevato, ed alzò un braccio, pronto a fornire a John il
solito appoggio, per salutarlo ed accarezzarlo, ma, con grande sorpresa
di tutti, il rapace oltrepassò il cavaliere e si andò a
posare sull’avambraccio di Mary, che si stava stiracchiando.
Sherlock li fissò interdetto.
“Vai da Sherlock. Su. Fai il
bravo falchetto. Vai da Sherlock. Lo sai che lui ti vuole bene. Vai,
su!” Mentre sollecitava John ad andare dal cavaliere, Mary
sbatteva energicamente il braccio su cui il rapace si era appollaiato,
per sbilanciarlo e costringerlo a volare da Sherlock, ma il cocciuto
falco non voleva saperne di andarsene. Un po’ irritata, un
po’ spaventata ed un po’ lusingata, Mary continuò a
parlare con il falco: “Vai da Sherlock, che ti ama tanto. Su, da
bravo, vai!” La ragazza era quasi disperata, quando il falco
saltò sul braccio di Sherlock, che gli accarezzò il petto
candido, mentre fissava Mary con un sorriso divertito sulle labbra:
“Si direbbe che siate diventati amici.”
“Non è successo nulla strano. Abbiamo ballato…”
“Avete ballato?”
Sherlock aveva smesso di sorridere ed aveva assunto una espressione
infastidita ed irritata, che preoccupò Mary: “Solo un
po’, nella stalla, dopo che lui si era vestito…”
“Eri nella stalla, mentre John si trasformava?”
“Lui era dentro il box, non lo potevo vedere! Fuori diluviava! Cosa volevi, che prendessi una polmonite?”
Sherlock scosse la testa. La sua
espressione si addolcì: “Cerca di capire Mary. Io ti
invidio. Tu puoi trascorrere del tempo con John. Vederlo sorridere.
Osservare le stelle nelle sue iridi. Sentire la sua pelle calda sotto
le tue dita. Sai da quanto tempo io non posso fare nulla di tutto
ciò?”
“Anche John sente la tua mancanza.”
“Davvero?” Un lampo di
dolore attraversò gli occhi di Sherlock, facendo arretrare Mary.
Il cavaliere fece un sospiro, spostò il falco sul pomello di
Golia ed appoggiò una mano alla spalla della ragazza: “Non
devi preoccuparti. Mi fa piacere, se mi parli di lui, ma stai attenta a
quello che mi dici. Io capirò se siano davvero sue parole.”
Mary deglutì e si
stropicciò nervosamente le mani, cercando di capire cosa potesse
dire a Sherlock: “All’inizio era preoccupato che tu non
mangiassi a sufficienza. Poi, ha sorriso e ha detto che ti ama, che ha
fiducia in te e che sa che farai qualsiasi cosa per mettere fine alla
maledizione, che vi ha colpito.”
“Grazie,”
sussurrò Sherlock, stringendo la spalla di Mary, che fece una
smorfia di dolore. Il cavaliere la studiò per qualche secondo:
“Sei ferita,” concluse, attonito.
“Ieri notte ti ha tirato fuori dal torrente e tu la hai ferita,” intervenne Mike.
Sherlock fissò Mary, addolorato: “Mi dispiace averti ferita.”
“Oh, non è nulla. John
mi ha curata. È un ottimo medico. Ha delle mani delicatissime e
non ho…” si interruppe, quasi mordendosi la lingua. Non
voleva causare altro dolore a Sherlock.
Il cavaliere si diresse verso Golia: “Sei libera, Mary. Vai per la tua strada.”
“Cosa vuoi dire?”
“Non c’è bisogno
che tu torni con me a Londra. Sarebbe pericoloso. Troverò un
modo per entrare in casa di Irene, anche senza di te. Vai. E buona
fortuna.”
“No, aspetta! Oramai mi hai coinvolta in questa storia, non puoi lasciarmi indietro.”
Sherlock stava per montare in
sella. Si voltò verso Mary, con un sorriso triste sulle labbra:
“Non vuoi venire, credimi. Lo leggo in ogni parte del tuo essere.
Sei giovane. Dimenticati di noi. Addio Mary.”
“Aspetta domani, Sherlock.
– si intromise Mike – John crede che io abbia ragione e che
la maledizione possa essere spezzata, come è scritto in quel
libro che ho trovato. Il testo è molto preciso. Cosa ti costa
aspettare un altro giorno?”
“Stai vaneggiando. Non
esistono un giorno senza notte ed una notte senza giorno. Oggi
tornerò a Londra ed ucciderò Irene. Solo così,
tutto avrà fine.”
“Hai ragione, Sherlock,
sicuramente Mike straparla. – Mary concordò con il
cavaliere – Ricorda, però, che stai decidendo per
te… e per John. Mike
potrebbe sbagliarsi, ma se invece avesse ragione? Se tu ti comportassi
in modo avventato, uccidendo oggi Irene Adler e condannando John a
vivere in eterno la vostra maledizione, per poi scoprire che domani
sarebbe stato il giorno giusto per spezzarla e permettervi di vivere
insieme, felici per sempre, come ti sentiresti? John ti ama. Si fida di
te e delle tue decisioni, però crede anche negli studi di Mike e
ritiene che possiate attendere. Non vuoi ascoltare il suo parere? Non
vuoi dare alcun peso a quello che John pensa? Sono solo ventiquattro
ore. Un altro tramonto ed un’altra alba. Capisco che sia
terribile, quello che vi succede. Lo ho visto questa mattina e non so
come abbiate potuto sopportarlo per tanto tempo. Però, il
tramonto di stasera e l’alba di domani mattina saranno comunque
gli ultimi che vi divideranno. Cosa hai da perdere ad aspettare?”
Sherlock fissò Mary e Mike,
valutando quello che gli stavano dicendo. Si girò verso il
falco, che emise un delicato stridio, allungando il collo verso di lui.
Con un profondo sospiro, Sherlock si allontanò da Golia:
“E sia. Avete vinto. Aspetterò fino a domani.”
Mary saltò al collo di
Sherlock, abbracciandolo. Il cavaliere rimase rigido e la ragazza si
allontanò, rossa per l’imbarazzo: “Scusa, ma pensavo
che non saremmo mai riusciti a farti cambiare idea. Sei un testone sai?
Senza offesa, naturalmente.”
“Anche tu non scherzi, in
quanto a cocciutaggine… sempre senza offesa. Dato che abbiamo
del tempo da perdere, sarà meglio che vi insegni come si tratti
con i lupi, in modo da non farsi artigliare.” I tre risero,
mentre il falco si spostava sul braccio di Sherlock, come se volesse
dare la propria approvazione a ciò che era accaduto sotto i suoi
occhi azzurri, striati d’oro.
Il sole aveva seguito il suo
normale percorso, illuminando un’altra giornata fredda, ma tersa.
I tre erano arrivati vicino a Londra, in attesa del tramonto. Poco
lontano da uno degli ingressi secondari, ripassarono il loro piano,
prima di dividersi.
“Ti lascerò degli abiti asciutti dove abbiamo concordato,” disse Mike, sorridendo rassicurante a Mary.
“In caso prendessi una
polmonite, avrò ben due medici a curarmi. Non posso che
ritenermi fortunata, non credi?” La ragazza ricambiò il
sorriso.
“Ti ricordi dove si trovi la casa di Irene, vero?” Intervenne Sherlock, impaziente.
“Certo. Domattina sarò lì e ti farò entrare dalla porta principale,” lo rassicurò Mary.
Sherlock alzò lo sguardo
verso il sole: “Il tramonto si sta avvicinando,”
sussurrò, accarezzando il falco.
“A domani, allora,” li salutò Mary, avviandosi per raggiungere il Tamigi.
“A domani,” ricambiò Mike.
La giovane si voltò
indietro, per osservare i suoi compagni d’avventura. Sherlock
aveva iniziato a svestirsi, piegando e riponendo gli abiti in una delle
sacche. Il falco lo guardava, appoggiato alle sbarre di una gabbia,
costruita in legno robusto, che si trovava sul carro di Mike e che
sarebbe servita per portare Sherlock all’interno di Londra, senza
che nessuno sapesse che lui stesse arrivando.
Il fuoco illuminava
l’ingresso del ponte levatoio. Le guardie, annoiate, fermavano
chiunque arrivasse, sottoponendolo ad una perquisizione anche troppo
minuziosa. Malgrado l’orario, si era formata una piccola coda.
Mike e John erano seduti a cassetta, con Golia attaccato al carro, come
se fosse stato un semplice cavallo da tiro. Nella gabbia, coperta da un
panno, il lupo era sdraiato, in modo apparentemente tranquillo. Quando,
finalmente, arrivò il loro turno, l’ufficiale a capo del
turno di guardia si avvicinò al carro: “Cosa abbiamo
qui?” domandò, in tono baldanzoso.
“Si tratta di una consegna
per Lord Mycroft Holmes,” rispose Mike, mentre John cercava di
celare il viso nel cappuccio del suo mantello. Erano trascorsi alcuni
anni, dall’inizio della maledizione. Probabilmente, i soldati si
erano scordati del suo volto, ma non poteva esserne sicuro. Doveva
stare attento a non essere riconosciuto e catturato. Mike, invece, non
era ricercato. Se anche qualcuno si fosse ricordato di lui, poteva dire
di avere avviato una nuova attività. Il militare si era
avvicinato alla gabbia, scoprendola. Il lupo era scattato in piedi,
ringhiando al soldato. L’uomo fece un salto indietro, sguainando
la spada, pronto ad usarla contro il lupo. Mike sentì il corpo
di John tendersi, pronto ad aggredire la guardia, ma lo afferrò
per un polso, affinché non si muovesse dal suo posto:
“Fallo, signor ufficiale. Usa pure la tua spada sul lupo. Tutti
sappiamo quanto sappia essere magnanimo Lord Holmes, con chi rompa i
suoi giocattoli.”
La guardia bloccò il colpo a
mezz’aria. Da quando il fratello minore era stato colpito da una
maledizione, Mycroft Holmes era diventato ancora più freddo ed
intollerante. Tutti lo avevano visto punire soldati o svergognare
civili, anche influenti, per i motivi più futili. Nessuno voleva
essere iscritto nella sua lista nera. Soprattutto se non aveva amicizie
influenti, a cui chiedere un eventuale intervento di mediazione. Con un
grugnito di rabbia, il soldato rinfoderò la spada:
“Vattene, portati via questa bestiaccia. Che si diverta Lord
Holmes a farla a pezzi.”
“Con molto piacere, signore. Riferirò a Lord Holmes quanto lei sia stato saggio,” lo salutò Mike.
John si rilassò. Erano riusciti ad entrare a Londra. Sperava che anche per Mary fosse andato tutto bene.
Aveva impiegato circa
mezz’ora per arrivare al Tamigi. Nella luce del sole morente,
Mary ammirò le mura di Londra, che si stagliavano imponenti,
contro l’orizzonte. Il Tamigi scorreva lento e pigro, nella sera
fredda. “Ed eccomi tornata al punto di partenza. Se in tutto
questo c’è un significato, Signore, devo confessare che mi
sfugge. Con ciò, non voglio dire che io mi tiri indietro. Come
ti ho detto, farò di tutto per aiutare John e Sherlock.
Solo… insomma… vabbé… è inutile
stare a rimuginare su tutto questo. Tanto vale buttarsi.”
Mary si tolse una parte dei
vestiti, affinché non la ostacolassero a nuotare, e si
lasciò scivolare nell’acqua gelida. Furono le luci delle
fiaccole a guidarla verso le mura. “Speriamo che a nessuno sia
venuto in mente di chiudere la grata o la mia parte finirà prima
ancora di cominciare.” Mary nuotò fino a ridosso delle
mura, verso il punto da cui ricordava di essere uscita. Preso fiato, si
immerse. Dopo poche bracciate, ritrovò la grata, ancora aperta,
come la aveva lasciata. Con un sorriso ed un “Grazie,
Signore,” gridato con la mente, vi passò attraverso,
rientrando nella città, da cui era fuggita solo pochi giorni
prima. Riemersa, nuotò contro una corrente tranquilla, facendo
attenzione a non sbattere la testa contro il basso soffitto, fino a
vedere una grata sopra la propria testa. Attraverso l’apertura,
poté ammirare le stelle. Dalle acque di scarico alla grata,
c’erano pochi metri da fare in salita. Mary valutò le
pareti e notò che si intravedevano diversi appigli.
Evidentemente, uno dei lampioni che illuminavano le strade di Londra si
doveva trovare proprio sopra l’apertura. Con grande fatica e
lentezza, Mary iniziò la scalata, attaccandosi ad ogni
sporgenza, anche minima, che la parete le permetteva di trovare.
Salendo verso la superficie, l’apertura si faceva sempre
più stretta. Mary poté, così, appoggiare la
schiena ad una parete e fare forza con le gambe sull’altra per
andare verso l’alto. Arrivata alla grata, ascoltò ogni
rumore e guardò attentamente fuori, per controllare che non
stesse giungendo nessuno, quindi uscì, nella notte gelida.
Infreddolita e bagnata, corse verso il luogo in cui Mike doveva
lasciarle il cambio. Insieme ai vestiti, c’era anche un po’
di cibo. Mary sorrise ed addentò il pezzo di carne secca, mentre
si toglieva gli abiti bagnati e si infilava quelli asciutti. Si
appoggiò alla parete di una casa, per riposare qualche ora,
prima di entrare in azione. Un sorriso le illuminò il volto.
Tutto stava andando come pianificato. Tutto sarebbe andato bene.
L’alba del nuovo giorno colse
John e Mike nella stalla di casa Stamford. I genitori di Mike avevano
una abitazione a Londra, che, di solito, usavano solo per qualche mese
all’anno, dato che preferivano stare lontani dalla ambigua vita
di corte, troppo piena di intrighi e macchinazioni per un piccolo
signore di campagna. Mike era vissuto nella casa, durante il periodo in
cui prestava servizio come medico per la Guardia Privata del Re. Dopo
la sua fuga da Londra, i genitori avevano preferito non venire
più in città, ma avevano tenuto l’abitazione, per
salvare le apparenze. Mike e John erano entrati nella stalla, celati
dal buio della notte, ed avevano liberato il lupo dalla gabbia. Mentre
la notte si trasformava in giorno, John prese il muso del lupo fra le
mani, con un sorriso pieno di speranza sulle labbra: “Fra qualche
ora accarezzerò il tuo viso, Sherlock. Bacerò le tue
labbra. Sentirò la tua pelle calda a contatto con la mia.
È così tanto tempo che non succede, che non so se
riuscirò a staccarmi da te. Ti starò così
appiccicato, che ti arrabbierai con me. – si interruppe, per una
breve risata – Farò qualsiasi cosa, affinché tu sia
felice. Nulla è più importante di te, Sherlock. Tu sei
tutto per me.”
Il sole comparve ad illuminare
Londra. Come ogni mattina, John si trasformò in falco, mentre
Sherlock tornò ad essere umano. Stavolta, però, nel breve
istante in cui si incrociarono, i loro sguardi non esprimevano dolore,
ma erano pieni di speranza, aspettative e promesse. Il rapace non si
allontanò, non volò via. Rimase accanto all’umano,
tranquillo. Sherlock lo accarezzò: “Questa è stata
l’ultima volta, John. Qualsiasi cosa dovesse accadere oggi, non
ci saranno altre trasformazioni. In un modo o in un altro,
metterò fine a questa maledizione. Farò qualsiasi cosa,
affinché tu sia felice. Nulla è più importante di
te, John. Tu sei tutto per me.”
Mary si sentiva piena di energia
positiva. Era sicura che, entro la fine della giornata, Sherlock e John
sarebbero finalmente stati insieme. Per sempre. Quando il sole sorse
sulla città assonnata, la giovane si diresse verso il palazzo di
Irene Adler. Sherlock glielo aveva descritto minuziosamente, in modo
che non si sbagliasse. Doveva trovare un modo per intrufolarvisi ed
aprire la porta principale, affinché Sherlock potesse entrare e
saldare i conti con la strega. Girando intorno alla costruzione, Mary
si accorse che c’era una fervente attività nelle cucine.
“Quella piccola scansafatiche
me la pagherà cara! – stava urlando quella che sembrava
essere la cuoca – Scommetto che ieri sera è andata a bere
con quel poco di buono di Benton ed ora se la dorme tranquilla. Questa,
però, è l’ultima che mi fa! Potrà strisciare
ai miei piedi, ma non la riprenderò mai più a lavorare in
questa casa! Farmi questo scherzo proprio stasera, che Lady Adler ha
organizzato il banchetto per il compleanno della regina. Chi
laverà i piatti? Il re in persona?” La donna era veramente
furiosa. Mary fece un sorriso soddisfatto e si presentò alla
porta della cucina con un’aria dimessa ed affranta, schiarendosi
la gola, in modo da attirare l’attenzione della cuoca:
“Buongiorno, signora. Non ho potuto fare a meno di sentire quello
che avete detto. Potrei lavare io piatti e pentole. Ho tanto bisogno di
lavorare, signora. Non ho nessuno che si prenda cura di me. Sono giorni
che non mangio. Se lei non mi aiuterà, l’unica soluzione
che mi resterà, sarà trovare un posto in cui vendere il
mio corpo. La prego, signora… io… io…” Le
lacrime scesero lungo le guance, silenziose e piene di dignità.
La cuoca osservò la giovane,
che aveva davanti, socchiudendo gli occhi: “Ho bisogno di una
sguattera, quindi ti darò questa possibilità. Se oggi ti
comporterai bene, ti sarai sistemata a vita. Deludimi, ragazzina, e
farai fatica a trovare un lavoro anche come prostituta, in questa
città. Sono stata chiara?”
“Chiarissima, signora.
Grazie, signora. Non la deluderò, signora. Non si pentirà
di avermi aiutata, signora…”
“Poche parole e vai al lavoro! C’è già tutta quella roba da lavare. E fallo bene!”
Mary si rimboccò le maniche
e si mise al lavoro. Se tutto fosse andato come sperava lei, la cuoca
non la avrebbe più considerata, dopo averla sorvegliata per un
paio d’ore. E lei avrebbe potuto agire proprio nell’orario
per cui si era accordata con Sherlock.
Il sole era alto in cielo. La
giornata stava procedendo come di consueto. Sherlock si era vestito ed
aveva sellato Golia, pronto ad andare alla casa di Irene, per mettere
fine alla maledizione.
Nella stalla, il silenzio era
opprimente. Il sole brillante ed il cielo azzurro, privo di nubi,
sembravano uno schiaffo alle parole scritte nell’antico testo,
che spiegava come spezzare il maleficio. Mike non osava guardare
Sherlock, per timore di vedere il biasimo nei suoi occhi.
“Non aspetterò oltre.
Non posso lasciare Mary in casa di Irene per tanto tempo. –
esordì Sherlock, con un sospiro – Non te ne faccio una
colpa, Mike. So che tu eri in buona fede. Ti chiedo solo una cosa. Se
la campana di Southwark dovesse suonare le due ed io non fossi ancora
tornato… uccidi il falco.”
“Cosa…? Tu non puoi aspettarti che io uccida il falco! Lui è…”
“So meglio di te chi sia il
falco, Mike. Ed è proprio per questo che ti chiedo di porre fine
alla sua vita. Se non dovessi tornare, vorrebbe dire che ho fallito.
Potrei essere stato ucciso io stesso. In ogni caso, non permettere che
questa maledizione continui a rovinare la vita di John. Uccidendo il
falco, non farai altro che rendere John finalmente libero.”
Mike abbassò il capo, sconvolto: “Come vuoi tu, Sherlock.”
Il cavaliere accarezzò per
l’ultima volta il falco. Salì in sella a Golia ed
uscì, incontro al proprio destino.
Mary aveva lavorato a testa bassa,
senza fermarsi ed eseguendo prontamente ogni ordine, che le venisse
impartito, senza lamentarsi. Quando sentì la mano della cuoca
sulla spalla, Mary capì di avere raggiunto il proprio
obbiettivo: “Riposati, ragazzina. Sei stata brava, ma persino tu
hai bisogno di fermarti. Prendi questo piatto. Ci sono pane e
formaggio. Ti rivoglio al tuo posto fra dieci minuti. Poi, parleremo
anche del lavoro per i prossimi giorni.”
Mary si esibì in un sorriso
radioso, pieno di riconoscenza: “Grazie, signora! Grazie! Non se
ne pentirà!”
“Helen. Puoi chiamarmi Helen…”
“Molly. Mi chiamo Molly.”
“Dieci minuti, Molly,” le ricordò la cuoca, dandole un buffetto sulla guancia.
Mary addentò il pane,
masticando con gusto. Senza dare nell’occhio, sgattaiolò
verso il corridoio che portava verso l’interno della casa e la
porta di ingresso. Dal salotto giungevano le voci di un uomo e di una
donna, che stavano discutendo, ma Mary non riuscì a capire cosa
dicessero. Controllando che nessuno la vedesse, la ragazza andò
alla porta e la aprì, giusto in tempo per permettere a Sherlock
di entrare.
“Grazie per il tuo aiuto,
Mary. Ora vai a casa di Mike. Lui ti aiuterà a lasciare la
città. Buona fortuna.” Sherlock le fece un sorriso tirato,
poi si diresse, con passo deciso, verso la porta della stanza da cui
provenivano le voci irate.
Sherlock spalancò la porta, che andò a sbattere contro il muro.
Mary intravide una bellissima donna
mora, altera e sicura, che indossava l’abito più bello che
avesse mai visto, seduta su una poltrona, accanto ad un camino acceso.
Le sue labbra si piegarono in un sorriso irriverente, mentre i suoi
occhi rimanevano di ghiaccio: “Non c’è bisogno di
buttare giù la parete, per avere la mia attenzione, caro
Sherlock. Sai cosa devi dirmi e ti darò anche quello che non sai
di volere,” sussurrò suadente Irene Adler. Prima che
Sherlock potesse ribattere, la porta d’ingresso si
spalancò. Un piccolo drappello di soldati entrò in casa a
passo marziale, facendo spazio a due uomini, che Mary fissò con
curiosità. Entrambi dovevano avere passato i trentacinque anni,
ma avevano un fisico atletico ed asciutto, vestiti con abiti raffinati,
che sembravano molto costosi. Entrambi si muovevano come se fossero i
padroni del mondo. Sicuri, quasi arroganti. Quando entrarono nel
salotto, Irene si alzò dalla poltrona e fece un elegante
inchino, ma il sorriso beffardo non scomparve dal viso: “Quale
onore mi fate a visitare la mia umile casa, sire. In compagnia del
Primo Consigliere, oltretutto. È una bella riunione di famiglia,
non credete?”
Sherlock si voltò verso i
nuovi venuti: “Questa donna è una strega. Ha lanciato una
maledizione su me e su John Watson. È giunto il tempo di porre
fine a tutto.”
“Non uccidendola. –
ribatté il più basso dei due uomini, con i capelli e gli
occhi neri – Siete ancora il comandante della nostra guardia,
Capitano Sherlock Holmes. In qualità di vostro re, noi vi
ordiniamo di non estrarre la spada.”
“Sire, non capite. Solo così avrà fine il maleficio che questa strega…”
“Non osare chiamarla in quel modo, cane!” sbottò l’uomo che si trovava nella stanza con Irene.
Sherlock si voltò appena
verso di lui, squadrandolo sprezzante: “Dimmock, non
intrometterti in cose che il tuo limitato cervello non potrebbe capire
nemmeno in cento anni.”
“L’accusa che rivolge a
Lady Irene è grave. – intervenne il re, prima che i due
uomini si prendessero a pugni – Capitano Holmes, ha delle prove a
suffragio della sua tesi?”
“No, sire. Non ho prove materiali, ma sono convinto che siano in questa casa e…”
“Mi sento oltraggiata. Voglio che la mia innocenza sia provata da una tenzone,” lo interruppe Irene.
Tutti si voltarono verso di lei.
Mary poteva intravederla, essendo riuscita ad infilare la testa fra due
dei soldati del re. La donna non era per nulla intimorita dalla
situazione. Anzi. Sembrava assolutamente a proprio agio. Quasi
divertita.
“Se è ciò che vuole, Lady Irene, stabilisca un quando, un dove e nomini un suo campione.”
“Ora, qui e nomino Mycroft Holmes come mio difensore.”
“NO!” strillò l’uomo che Sherlock aveva chiamato Dimmock.
Sherlock si voltò verso il
fratello, sorpreso. Mary osservò attentamente l’altro uomo
elegante, che non aveva ancora detto una parola. Freddo e distaccato,
sembrava non essere interessato da quello che stava accadendo, come se
tutto ciò non lo riguardasse. Eppure, Mary avrebbe quasi giurato
di avere intravisto un leggero tremore, quando la strega lo aveva
nominato suo difensore. Paura? Rabbia? Preoccupazione? Indignazione? Se
quel tremore c’era mai stato, era stato troppo rapido, per capire
cosa lo avesse causato.
“Solo io ho il diritto di difendere il tuo onore, Irene,” continuò ad urlare Dimmock, ma nessuno gli dava retta.
“Voglio che sia uno scontro al…”
“Al primo sangue, naturalmente,” concluse il re, al posto della donna.
Fu la prima volta che Mary vide
l’ira balenare negli occhi di Irene. Non aveva previsto che il re
potesse anticipare la sua mossa e ne era furiosa, ma si
controllò: “Sire, mi permetto di dissentire. Lord Mycroft
potrebbe lasciarsi sconfiggere dal fratello solo per farmi dispetto. In
uno scontro all’ultimo sangue, invece, sarebbe costretto a
lottare veramente, per dimostrare la mia innocenza. Il duello sarebbe
più regolare.”
“Noi non torneremo sulla
nostra decisione, Lady Irene. Non abbiamo intenzione di perdere un
fidato Primo Consigliere o un ottimo comandante della Guardia, solo per
provare che voi non siate una strega. Se non vi fidate di Mycroft, non
avreste dovuto sceglierlo come campione. Ormai lo avete nominato e non
potete più tirarvi indietro. Del resto, noi contiamo sul senso
dell’onore del Primo Consigliere. Siamo sicuri che non
farà nulla per coprire di biasimo la propria persona,
soprattutto ai nostri occhi. Che il duello abbia inizio.”
I due fratelli si fissarono negli
occhi. Mary aveva pensato che non si somigliassero molto. Ora,
però, vide la stessa determinazione, lo stesso orgoglio e la
stessa fiducia in se stesso, nello sguardo dei due uomini.
“Che sia come Dio vorrà, fratello caro,” disse Mycroft, levandosi il mantello.
I due fratelli Holmes si misero al
centro del salotto, che i soldati avevano provveduto a sgombrare
dell’arredamento. Entrambi estrassero la spada e la portarono al
viso, in segno di saluto. Iniziarono a girare in cerchio,
fronteggiandosi ad arma abbassata, come se ognuno dei due stesse
attendendo che fosse l’altro, a fare la prima mossa. Si
conoscevano molto bene. Avevano trascorso ore intere ad allenarsi
insieme. Mycroft era stato l’unico avversario che avesse mai dato
veramente del filo da torcere a Sherlock. All’inizio, era sempre
stato il fratello maggiore a vincere i duelli. Solo con il tempo,
Sherlock aveva capito quali fossero i suoi punti deboli e li aveva
sfruttati per batterlo, anche se non sempre ci riusciva.
Nessuno fiatava. Persino Mary li osservava, trattenendo il respiro.
Sherlock e Mycroft alzarono le
spade insieme, facendo battere le lame l’una contro
l’altra. Una serie di colpi rapidi ruppe il silenzio della
stanza. L’aria si riempì di scintille. I duellanti si
allontanarono, riprendendo a studiarsi. Seguì un altro scambio,
che non portò nessuno dei due a prevalere sull’altro.
Stavano per ricominciare, quando l’attenzione di Sherlock venne
attratta dal sole, che si intravedeva da una delle finestre. Una parte
dell’astro era oscurata da qualcosa di tondo, che gli stava
passando davanti. La luce solare diminuì, come se si stesse
avvicinando il tramonto, ma era troppo presto. I presenti seguirono il
suo sguardo e videro il prodigio compiersi davanti ai loro occhi: il
sole era stato coperto dalla luna. La luce si era attenuata, gli
uccellini avevano smesso di cinguettare, quasi stessero preparandosi
per la notte. Sherlock stesso percepì ciò che stava
avvenendo, in ogni parte del proprio essere, come se dovesse
trasformarsi in lupo, a causa della maledizione. Allo stesso tempo,
però, non accadde nulla.
“Un giorno senza notte ed una
notte senza giorno,” mormorò Mycroft. Proprio come era
stato annunciato dall’autore del testo che Mike aveva trovato.
Sherlock si voltò verso il
fratello, incredulo. La maledizione poteva essere spezzata, ma John
avrebbe dovuto giungere in fretta. Non potevano sapere quanto sarebbe
durato quello strano fenomeno. La gioia di Sherlock si trasformò
in orrore, quando sentì il primo rintocco della campana di
Southwark. Non si era reso conto che fosse trascorso tanto tempo:
“Mike! NO!” gridò, disperato. Sherlock
ascoltò il secondo rintocco, con gli occhi pieni di sgomento.
Mentre la campana continuava a suonare in modo lugubre, il cavaliere
cercò di correre verso la porta, ma trovò il cammino
sbarrato dai soldati della Guardia, che non capivano perché il
loro comandante si stesse comportando come un vigliacco.
“Sherlock… cosa stai facendo?” domandò Mycroft, allibito.
Quando l’ultimo rintocco
vibrò nell’aria, Sherlock si lasciò cadere in
terra, la testa bassa: “Mike. Non lo fare, ti prego. Non darmi
retta.”
Nessuno osava avvicinarsi al
giovane Holmes. Tutti avevano compreso che fosse accaduto qualcosa di
terribile, ma non sapevano cosa fare. Mycroft fece un passo verso il
fratello, quasi esitante: “Non continuiamo il duello? Vuoi che
Irene sia la vincitrice di questa disfida?”
“Nulla ha più
importanza. John è morto. Ho detto a Mike di uccidere il falco,
se non fossi tornato prima che la campana di Southwark suonasse le
due.”
Mary si portò una mano alla
bocca, per sopprimere l’urlo che le stava salendo direttamente
dal cuore. Non poteva essere vero. John non poteva essere morto. Non
ora. Non nel momento in cui il loro dolore stava, finalmente, per avere
fine. Non poteva essere vero. Non poteva… non poteva… non
poteva…
“Per fortuna Mike non ti dà mai retta,” sussurrò una voce alle spalle di tutti.
Mary si voltò di scatto
verso la porta d’ingresso, rimasta aperta dopo l’entrata
del re e del suo seguito. Sherlock alzò la testa, incredulo e
pieno di speranza. Mycroft spostò lo sguardo verso l’uomo
che, al tempo stesso, aveva salvato e condannato suo fratello, grato
che fosse ancora vivo. Solo Irene Adler fissò John con occhi
pieni d’odio.
Il giovane medico indossava una
semplice casacca chiara, sui pantaloni marroni. Si avvicinò ai
soldati, che si allargarono, per lasciarlo passare. John superò
Sherlock, senza guardarlo, senza dire un’altra parola.
Sorpassò anche Mycroft, sempre tenendo gli occhi fissi sulla
persona più importante, in quell’istante. Arrivato davanti
ad Irene, John alzò un braccio e le mostrò i lacci, che
venivano attaccati alle zampe dei falchi addomesticati, simboli della
sua maledizione. Con un gesto lento, John li lasciò cadere a
terra: “Hai perso,” disse con voce sicura.
La donna non reagì. Si
limitò a fissare John, con uno sguardo che avrebbe potuto
incenerirlo. Il giovane, però, non si fece intimorire. Le
sorrise e le girò le spalle, per andare da Sherlock.
Il cavaliere si era alzato,
incredulo. Non riusciva a credere di avere davanti a sé John, in
carne ed ossa. Di avere sentito la sua voce.
John sorrideva, con una mano protesa in avanti, pronto a sfiorare, toccare, accarezzare, il viso di Sherlock.
Nella mano di Irene brillò
un pugnale, dalla lama lunga e sottile. La donna alzò di scatto
il braccio, lanciandosi contro John: “Io non perdo mai,”
sibilò, in tono tagliente.
Mycroft si frappose fra John ed Irene, infilzando la donna con la propria spada.
Irene lasciò cadere il
pugnale a terra, guardando il maggiore dei fratelli Holmes dritto negli
occhi, sorpresa. Senza dire una parola, Irene Adler spirò fra le
braccia di Mycroft Holmes, mentre l’ombra che oscurava il sole si
spostava, permettendo all’astro di tornare a splendere, alto nel
cielo, come sempre.
“SÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌ!”
L’urlo provenne dalle spalle dei soldati. Tutti si voltarono,
trovandosi davanti una ragazzina minuta e bionda che saltellava,
felice. Rendendosi conto di avere attirato troppo l’attenzione,
Mary si schiarì la gola: “Ehm… scusate… non
volevo… solo… ecco… “
“Noi ci conosciamo,” la
interruppe uno dei soldati. Mary lo fissò e riconobbe
nell’uomo una delle guardie della prigione. La giovane
impallidì notevolmente, biascicando: “Non credo. Ho un
viso molto comune,” che non suonò molto convincente. Il
soldato la fissò dritto negli occhi, sicuro di quello che stava
dicendo: “Tu sei Mary Morstan. Sei la ladra fuggita dalla
prigione alcuni giorni fa. È giunto il tempo di farti pendere da
una forca, come meriti.”
“Soldato, non so come tu
possa dire una cosa del genere. Conosco benissimo questa giovane
donzella e ti assicuro che non sia una ladra. Si chiama Sarah…
Sarah Sawyer ed è la mia aiutante,” intervenne Mike,
entrando con passo disinvolto e lanciando un’occhiata
d’intesa a Mycroft.
“Non so chi sia lei, buon uomo, ma questa ragazza è una pericolosa ladra,” insisté il soldato.
“Tu non sai chi sia io?” sbottò Mike, oltraggiato.
“Il dottor Mike Stamford
è stato medico della Guardia Privata del Re, molto prima che vi
entrassi tu. Anche se ha lasciato il servizio, è un uomo di
comprovata fedeltà al re e degno di fiducia,” si intromise
Mycroft.
Il militare osservò ancora la ragazza, non molto convinto delle parole dei due uomini.
“Stai mettendo in dubbio la
mia parola, soldato?” chiese il Primo Consigliere del Re, in tono
gelido. Il soldato si irrigidì visibilmente. Per quanto fosse
appena stato trasferito alla Guardia Privata, sapeva benissimo quanto
fosse poco opportuno contraddire il Primo Consigliere: “Certo che
no, signore. Mi devo essere sbagliato,” ribatté
velocemente, girandosi verso il suo superiore. Mary sospirò di
sollievo, mentre Mike le stringeva un braccio, in modo rassicurante.
“Veniamo a cose più
importanti. – si intromise il re – La strega è
morta. Il comandante della Guardia ed uno dei nostri medici sono stati
liberati dalla maledizione. Vi concediamo di riprendere il vostro
posto, se lo desiderate,” concluse, cercando di celare un sorriso
divertito.
Sherlock e John erano inconsapevoli
di ciò che stava accadendo intorno a loro. John aveva appoggiato
il palmo della mano destra sulla guancia sinistra di Sherlock e lo
stava accarezzando. Sherlock, aveva inclinato la testa, per mettere
più pelle possibile a contatto con quella di John. Con gli occhi
chiusi, ancora incredulo, si godeva il calore del dottore. Non osava
aprirli, timoroso che tutto fosse un sogno e di scoprire, al risveglio,
che John fosse morto.
“Apri gli occhi,”
sussurrò John, avvicinandosi ulteriormente a Sherlock, quasi
toccandolo con il proprio corpo. Sherlock li aprì lentamente. E
si perse nel profondo oceano, che erano gli occhi azzurri di John.
“Crediamo che i dettagli
possano essere decisi anche domani… o dopo. Ci farete sapere
tutto voi, vero, nostro fidato consigliere?” Ridacchiò il
re.
“Naturalmente, sire,” rispose Mycroft, accennando un inchino con il capo.
“Non vi saranno conseguenze per l’uccisione della strega.”
“Cosa? Mycroft Holmes non
sarà perseguito per l’omicidio di Lady Adler? Non è
giusto maestà…”
“State difendendo una strega,
Dimmock? Sapete che vi aspetta il rogo, se scopriamo che siete un
complice della strega,” lo prevenne il re, in tono volutamente
minaccioso.
Dimmock indietreggiò,
terrorizzato: “Non sia mai, maestà. Quello che voi
decidete è legge, per me.”
“Non abbiamo altro da fare in
questo luogo maledetto. Pensate voi a tutto, consigliere. Occupatevi
del cadavere della strega, fate mettere in sicurezza questa casa ed
assicuratevi che niente di pericoloso possa cadere in mano a chi
potrebbe sfruttarlo per fini indegni. Poi fateci rapporto. Noi andiamo
a comunicare alla regina, che la donna che la spaventava tanto non ha
più alcun potere. Né su di lei né su nessun
altro.”
“Sarà fatto come voi ordinate, maestà,” si inchinò Mycroft.
Il re lasciò il salotto,
seguito dagli uomini della Guardia Privata. Dimmock si dileguò,
approfittando del fatto che nessuno lo stesse considerando. Nella
stanza rimasero solo Sherlock, John, Mycroft, Mike e Mary.
Se ne erano andati. Le persone
rimaste nella stanza potevano non approvare quello che John e Sherlock
provavano l’uno per l’altro, ma non li avrebbero biasimati,
vedendoli esprimere apertamente i loro sentimenti. John si
avvicinò ulteriormente a Sherlock ed appoggiò le labbra
su quelle dell’altro. Un bacio casto, delicato, tenero, dolce,
quasi avesse paura di fare del male a chi lo ricevesse. Le loro labbra
si sfiorarono, ancora incerte se credere che quella fosse la
realtà o temere che non si trattasse altro che di un sogno.
Sherlock strinse John fra le braccia, in modo che i loro corpi
venissero a contatto. Completamente. Il bacio si fece più
profondo, colmo di desiderio e passione.
“Ehm… va bene, direi
che così possa bastare. Abbiamo tutti visto anche più di
quello che avremmo voluto vedere. Siamo felici che siate tornati
normali, ma non mi sembra proprio il caso che facciate… questo
ed altro davanti a noi. Sei d’accordo, fratello caro?”
Malgrado cercasse di esprimere fastidio, la voce di Mycroft aveva una
nota sollevata, che la rendeva quasi dolce.
Con molta riluttanza, John e
Sherlock staccarono le labbra, ma rimasero ancora abbracciati:
“Sai sempre essere seccante, Mycroft,” sbuffò il
minore degli Holmes.
“Scusa se ti ricordo una cosa così superflua come l’educazione.”
Sherlock, improvvisamente si
separò da John, per affrontare il fratello: “Come mai
siete venuti qui proprio oggi? Mike ti ha avvisato, dicendoti cosa vi
fosse scritto nel testo, che aveva trovato.”
“Mike mi ha lasciato un
messaggio alla torre, prima di seguirti. Ogni settimana inviavo un mio
uomo di fiducia, per avere un rapporto. Mike sapeva che sarebbe
arrivato il giorno dopo la sua partenza. Mi ha spiegato quello che
aveva scoperto, così ho fatto sorvegliare la casa di Irene. Il
resto, penso che sia facilmente deducibile.”
“Cosa è successo al sole?” domandò Mary.
“Un’eclissi di sole,” risposero John, Mike e Mycroft, all’unisono. Sherlock li fissò interdetto.
“Naturalmente, tu non sai di cosa stiamo parlando,” sospirò Mycroft, alzando gli occhi al soffitto.
“Se anche ho letto qualcosa
al riguardo, è una nozione che ho ritenuto superfluo ricordare.
Bisogna essere selettivi, quando si tratta di decidere con che cosa
riempire la propria mente. L’astronomia è una scienza
nebulosa e di nessuna utilità pratica. È inutile sprecare
energie per conservarne la memoria.”
“Si tratta di un fenomeno che
capita ogni tanto, per cui la Luna passa davanti al Sole e lo
oscura,” spiegò Mike.
“Niente stregonerie?” Insisté Mary.
“Solo scienza,” confermò John.
“Ed io? Cosa faccio, ora?” Chiese Mary.
“Che ne dici di venire a parlare con me, Sarah Sawyer? O dovrei dire Mary Morstan…” propose Mycroft.
Mary scrollò le spalle:
“Un nome vale un altro. Non è quello a fare una persona.
Che cosa hai da propormi?”
“Un lavoro che sfrutti le tue
innate ed innumerevoli capacità,” continuò Mycroft,
avviandosi verso la porta.
“Mi pagherai, vero?”
“Certamente.”
“E sarà… avventuroso?”
“Assolutamente sì!”
“Allora si può fare.” Mycroft e Mary uscirono, continuando a parlare del futuro lavoro della ragazza.
Mike sospirò: “Mycroft
ha sempre detto che mi avrebbe ridato il mio lavoro di medico per la
Guardia Privata del Re. Speriamo che se lo ricordi.”
“Mio fratello ricorda sempre tutto. Manterrà la sua parola,” lo rassicurò Sherlock.
“Grazie per quello che hai
fatto per noi, Mike. – gli disse John – Hai sacrificato una
parte della tua vita per aiutarci. Non potremo mai sdebitarci con te,
per questo.”
“Era il minimo che potessi fare. Se io non fossi stato così stupido…”
“Il passato è passato.
– lo interruppe Sherlock – Non hai più nessun
motivo, per sentirti in colpa. Se siamo qui, lo dobbiamo a te. Grazie,
Mike.”
L’uomo era imbarazzato, ma felice: “Ora cosa farete?”
Sherlock allungò una mano
per prenderne una di John: “Credo che sia ora di tornare a casa.
Abbiamo tanto tempo da recuperare.”
John strinse forte la mano di Sherlock: “Ovunque, con te.”
Il sole splendeva alto in cielo, riscaldando la fredda giornata ed illuminando i volti felici di John e Sherlock.
Finalmente riuniti.
Finalmente insieme.
Per sempre.
Angolo dell’autrice
N.B. Soutwark è una Cattedrale, ristrutturata nel corso dei secoli, che esisteva nella Londra del XIII secolo.
Innanzitutto, spero che nessuno sia
troppo dispiaciuto per la morte di Irene. Questa è la fine che
fa il Vescovo nel film e ho deciso di mantenerla. Naturalmente, non
possono esserci troppi abbracci e baci in pubblico, per John e
Sherlock, visto che nel XIII secolo non sarebbero stati troppo
apprezzati, anche da chi simpatizzasse per loro.
Ringrazio chi abbia letto la storia e chi la abbia segnata in qualche categoria.
Un enorme grazie a Blablia87,
adlerlock, Koa_, AkaNagashima ed emerenziano per le stupende recensioni
lasciate allo scorso capitolo.
Spero che la storia ed il suo finale vi siano piaciute e ringrazio fin da ora chi lasci un commento.
Ciao! 😊
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3519033
|