Recovery

di HadleyTheImpossibleGirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Scelta OC ***
Capitolo 3: *** Novembre ***
Capitolo 4: *** Dicembre ***
Capitolo 5: *** Gennaio ***
Capitolo 6: *** Febbraio ***
Capitolo 7: *** Marzo ***
Capitolo 8: *** Aprile ***
Capitolo 9: *** Maggio ***
Capitolo 10: *** Giugno ***
Capitolo 11: *** Luglio ***
Capitolo 12: *** Agosto ***
Capitolo 13: *** Settembre ***
Capitolo 14: *** Ottobre ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Recovery

The world is a filthy place

It’s a filthy goddamn horror show.

There’s so much pain, you know?

 

Tutti i giornali quella mattina riportavano la notizia della caduta del signore oscuro per mano di un bambino: Harry Potter, il bambino che è sopravvissuto all’Anatema che Uccide.

Allo stesso tempo le notizie riportavano l’arresto del criminale Sirius Black avvenuto dopo il massacro che aveva provocato. Era accusato di aver consegnato la famiglia Potter in mano al Signore Oscuro e poi di aver ucciso Peter Minus, uno dei suoi migliori amici, insieme a dodici babbani.

Del giovane mago era stato ritrovato solo la falange di un dito.

Molti maghi e streghe, soprattutto nei paesi magici, avevano festeggiato la fine della Prima Guerra Magica per strada, stappando bottiglie di alcolici e gioendo del lieto fine.

C’è sempre un prezzo da pagare per il lieto fine.

Voldemort e i suoi seguaci si erano portati via molte vite. Intere famiglie erano state spezzate, amanti e amici avevano perso le persone a cui tenevano di più.

La morte è certamente una cosa terribile, ma il peggio è per chi resta, per chi deve rialzarsi dopo la botta, dopo la caduta.

Si dice che il tempo cura ogni ferita…mah, il tempo da solo serve a ben poco. Non si può sperare di dimenticare cosa è accaduto. Si può solo sperare di riuscire, un giorno, a superare la cosa.

Adesso bisognava rimboccarsi le maniche, aiutarsi l’un l’altro a ricostruirsi e ricostruire il mondo magico.

 

 

Salve a tutti!

Per chi non mi conosce mi presento: sono Hadley e da quando l’anno scorso ho scoperto le fanfiction interattive sono diventata una specie di drogata. Questa è la mia seconda interattiva, nonché la seconda che pubblico e sono fiera di averne alle spalle una completata oggi.

Questa fanfiction parla del primo anno post-prima guerra magica, quindi sarà ambientata dal Novembre 1981 al 31 Ottobre 1982, e sarà strutturata in 12 capitoli (uno per ogni mese dell’anno).
La storia girerà intorno a come i vostri OC si riprenderanno dalla guerra.

Ora, alcune regole:

  • ·         Potete creare massimo 2 OC ciascuno, di sesso diverso. Se create 2 OC essi possono essere amici/nemici/parenti/affini ma non fidanzati.
  • ·         Gli OC dovranno avere più di 20 anni
  • ·         Mi piacerebbe lavorare su OC che hanno perso qualcuno o subito un trauma. Per quanto riguarda i personaggi morti essi possono benissimo essere parenti/amici/fidanzati.
  • ·         I vostri OC possono essere amici/fidanzati con personaggi canon ma attenetevi al canon (es la famiglia Black è composta dai personaggi che ci sono rappresentati nell’albero genealogico, quindi non tiratene fuori altri dal cilindro; Molly Prewett non può avere altre sorelle/fratelli, solo Gideon e Fabian). Spero di essere stata chiara
  • ·         Le iscrizioni sono aperte fino al 18/7. Le schede devono essere inviate entro le ore 12 del 19/7
  • ·         Per le schede (da mandare rigorosamente tramite messaggio privato) attenetevi al format che vi propongo (i punti con * sono facoltativi). Le schede che non seguiranno lo schema o arriveranno dopo la scadenza non saranno considerate.

 

Nome e cognome:

Soprannome*:

Età:

Ex-casa*:

Lavoro:

Famiglia e stato di sangue:

Descrizione fisica:

Prestavolto (non link, solo il nome):

Carattere:

Bacchetta*:

Storia del personaggio:

Traumi (il vostro personaggio ha perso qualche persona cara? È stato torturato? Ha ucciso qualcuno?)*:

Relazione e orientamento sessuale (compreso come vorreste che fosse la relazione):

Cosa ama/odia:

Amicizie/Inamicizie:

Altro (amortentia, molliccio, patronus e tutto il resto che vi viene in mente)*:

 

Detto questo vi saluto
Spero che partecipiate in molti
H.

Ed ecco a voi alcuni personaggi come me li sono sempre immaginati io:

James Potter

Lily Evans

Sirius Black

Remus Lupin

Peter Minus

Marlene McKinnon

E poi ce ne sarebbero molti molti altri (Mary McDonald, Emmeline Vance, Caradoc Dearborn, i Prewett, Benji Fenwick, Edgar Bones ecc ecc)

 

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Capitolo 2
*** Scelta OC ***


Salve gente!
Ho letto all’incirca una venticinquina di schede (di cui alcune chilometriche). Ero partita con l’idea di scegliere pochi OC, tipo 5 o 6 ma alla fine sono arrivata a 8.
I personaggi erano tanti (soprattutto le ragazze), molti si somigliavano, altri erano praticamente agli antipodi e ce n’erano davvero tanti che mi piacevano ma non sarei riuscita a gestirli.
Alla fine per la scelta degli OC mi sono basata anche sulla possibilità di collegarli tra loro e sono stata quindi costretta ad escludere personaggi che mi piacevano ma non sapevo come inserire.
Non so chi è l’autore di chi perché ho copiato tutte le schede su un file e non ho controllato, ad ogni modo mi dispiace per chi non ha nessuno OC scelto, mentre magari qualcuno ne ha 2 scelti.
Spero di riuscire ad aggiornare in tempi ragionevoli

H.

 

Ora vi lascio agli OC, in ordine alfabetico:

Barton Lucas, 22 anni

 

Burke Edward, 25 anni

Crouch Victoria, 25 anni

Higgins-Clark Maysilee, 23 anni

Johnson Johanna, 24 anni

Stoker Freya, 24 anni

Stuart Angela, 22 anni


 

Traynor William, 22 anni

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Capitolo 3
*** Novembre ***


Johanna piegò la sua copia del giornale e la abbandonò sul bancone. Erano passati due giorni ma faticava ancora a credere quello che c’era scritto sul giornale.
Sirius Black aveva condannato a morte i Potter e ucciso Peter Minus. Ogni volta che erano venuti al Crazy Head le erano sempre sembrati molto legati, quasi fratelli. Come aveva potuto fargli questo?
Un angolino recondito del suo cervello le sussurrò che probabilmente era uguale a tutti gli altri Black anche se… ad Hogwarts non le aveva mai dato quell’impressione. Era scalmanato, un donnaiolo ma non… cattivo.
Anzi, come tutti gli altri membri dell’ordine che frequentavano il suo locale, le era parso onesto e coraggioso.
Mah… tornò con la mente su qualcosa di più concreto. Si mise addosso il giubbetto di pelle ormai liso, ma che sapeva essere appartenuto a suo padre e si diresse a piedi verso il San Mungo.
Da quando la guerra era finita le strade della Londra magica avevano un aspetto diverso. La gente non camminava più guardandosi intorno con aria spaventata e tesa. Tutto sembrava più leggero, meno grigio.
Eppure gli Auror continuavano i rastrellamenti di presunti Mangiamorte e molte persone piangevano i cari perduti.
Attraverso la finestra dell’edificio di mattoni rossi che agli occhi dei babbani sembrava solo un magazzino abbandonato e si ritrovò nell’atrio dell’ospedale magico.
Prese l’ascensore per il quarto piano e si diresse a passo svelto verso l’ala Janus Thickey. Si affacciò alla guardiola e si fece aprire la porta da un inserviente.
Percorse il corridoio dove si trovavano le stanze riservate ai lungodegenti. In corrispondenza della terza stanza vide uscire Freya Stoker, sua quasi coetanea. Lei e la bionda non erano state amiche ad Hogwarts, forse perché erano di due case diverse ma il fatto che lei andasse al San Mungo praticamente ogni giorno da due mesi le aveva avvicinate.
“Come va?” chiese Johanna facendo un cenno con il capo verso la stanza dove erano ospitati i suoi ex compagni di classe Frank e Alice Paciock.
“Oggi non benissimo…sai com’è…ci sono giornate buone e altre meno buone”
I due erano stati ricoverati in seguito alle torture subite, che ne avevano causato la perdita della memoria.
La curatrice fece un sorriso mesto e poi domandò alla ragazza. “Vai a trovare tuo zio?”
“Già… beh, ci vediamo dopo”
La giovane si sistemò i capelli, tirando un po’ di più la coda alta e si diresse verso un'altra stanza, sfoggiando il sorriso più dolce che aveva.

***

Edward Burke stava uscendo dalla Gringott avvolto nel mantello scuro. Si era praticato addosso un incantesimo addosso per sottrarsi alla pioggia di quel giorno di inizio Novembre.
Si diresse verso il Ghirigoro, dove lavorava la sua migliore amica, nella speranza che lo accompagnasse al Paiolo Magico per la pausa pranzo.
Entrò nella libreria. Era da tempo che non la vedeva così piena. Gli ultimi tempi erano stati duri e la gente evitava di andare in giro, a meno che non fosse strettamente necessario.
Cercò Victoria con lo sguardo e finalmente riuscì ad individuarla tra i romanzi storici. La ragazza si voltò, con le braccia cariche di libri, e rivolse gli occhi acquamarina al ragazzo.
“Hey Ed!”
“Vic… ti do una mano?” chiese lui togliendo qualche libro dal carico della giovane.
I due si diressero insieme verso la cassa dove depositarono i volumi.
“Claire, questi sono da mettere in magazzino” disse Victoria alla donna sulla cinquantina che stava al bancone poi insieme a Edward si diresse al piano superiore.
“Cos’è tutta questa confusione oggi?”
“C’è la presentazione di un nuovo libro”
La ragazza indicò un angolo dove campeggiava un cartonato con scritto “When life seems too dark”. Edward ci mise qualche secondo a riconoscere l’autore che stava svogliatamente firmando le copie di qualche lettore. Era un ragazzo magro, con dei capelli corvini estremamente disordinati che il giovane Burke identificò come un suo cugino di lontanissimo grado. D’altronde tutti i purosangue erano imparentati, anche se alla lontana.
Gli era sempre parso un tipo molto piuttosto scontroso, una specie di lupo solitario, e la sua faccia infastidita mentre firmava autografi non faceva altro che confermare la sua teoria. Quel poveretto doveva essere stato costretto a fare ciò da un qualche agente o editore.
Piuttosto in disparte, ma comunque presente, c’era William Traynor. William era forse l’unico amico che Lucas Barton era riuscito a farsi ad Hogwarts.
Erano entrambi due ragazzi piuttosto chiusi ma si erano in qualche modo trovati, hanno iniziato prima a rispettarsi e poi a diventare amici, oltre che compagni di stanza. L’unica nota negativa era che il giovane Barton non andava molto d’accordo, anzi per niente, con l’amica d’infanzia di William.
Lui e Angela finivano per cozzare sempre contro e battibeccare. Lui in particolar modo la giudicava frivola e immatura a causa del persistente buonumore e sorriso di lei.
La ragazza tamburellava con il piede, impaziente e annoiata allo stesso tempo. Aspettava che il suo migliore amico la riaccompagnasse a casa. Era un’abitudine presa durante la guerra, lui la riaccompagnava sempre a casa e anche se ora la guerra era finita, William continuava a farlo dicendo “Non si sa mai”.
Angela si era recata nel reparto riservato ai romanzi gialli, alla ricerca dell’ultimo della sua autrice preferita ma non lo trovò così si mise a dare un’occhiata agli altri titoli.
Ne estrasse uno che apparentemente riguardava un gruppo di licantropi, ne sfogliò qualche pagina e poi andò a leggere l’ultima frase, come faceva sempre. Lo mise via poco convinta e continuò la sua ricerca, si fermò con gli occhi su un libro posizionato nello scaffale più alto.
Si alzò sulle punte, nel tentativo di raggiungerlo. Spalancò la bocca quando vide il libro uscire dallo scaffale e dirigersi verso le mani di qualcun altro.
Angela cercò subito con gli occhi azzurri di chi si trattasse e vide che alla sua destra c’era proprio Luke Barton con un sorrisetto sfrontato sul viso.
“Appellarlo no? Era troppo difficile?” chiese in tono sarcastico e canzonatorio
L’espressione sul viso della ragazza passò da stupita a indignata. “Scusa tanto se io non uso la magia per ogni minima cosa!” fece Angela con il tono più acido che riuscì a trovare.
I due iniziarono, come al solito, a discutere e come al solito solo William riuscì a separarli, con la scusa che se loro si fossero dati una mossa sarebbero potuti andare a pranzo prima di tornare alle rispettive abitazioni.

***

Era passato qualche giorno ormai da quando suo zio le aveva proposto, ora che la guerra era finita, di prendere le redini del Crazy Head e le aveva proposto di usare i suoi risparmi per ristrutturarlo. Johanna aveva sonoramente protestato adducendo il fatto che Derek sarebbe potuto sempre tornare a casa, anche se in sedia a rotelle. L’uomo che l’aveva cresciuta come un padre non voleva rappresentare per lei un peso e continuava ad insistere per rimanere in ospedale e lasciare tutto in mano a lei.
La ragazza ne aveva parlato anche col suo migliore amico che le aveva messo ancora di più la pulce nell’orecchio con un “perché no?” e gliel’aveva proposta come un’avventura, una sfida che lei non sarebbe mai riuscita a rifiutare.
Avrebbero ristrutturato il Crazy Head e lo avrebbero reso un simbolo di rinascita.
Erano all’incirca le sei di sera, l’orario in cui il locale, o meglio quello che ne era rimasto, si riempiva di più. Molti maghi e streghe, e diversi babbani che avevano familiarità con il mondo magico passavano di lì finito il proprio turno di lavoro.
Entrò una ragazza bionda con i lunghi capelli legati in una treccia, ma si vedeva che erano stati forzati lì perché alcuni ciuffi si stavano ribellando.
Maysilee era accompagnata dalla sua collega, ex compagna di classe nonché migliore amica Freya.
“Ciao Jo Badass!” la salutò allegra la prima
“Ciao Jo” salutò anche la seconda.
Johanna sorrise ripensando a quel soprannome che le avevano dato i gemelli Prewett e con cui l’avevano presentata a May. Maysilee era diventata amica dei gemelli quando Fabian e Gideon ormai facevano il quinto anno ma si erano affezionati subito. Molta gente durante gli anni le avevano scambiate per le fidanzate dell’uno o dell’altro gemello ma in realtà erano più come una famiglia. Una famiglia che si era spezzata.
Johanna non aveva mai mostrato a nessuno, eccetto Sebastian, quanto aveva sofferto. Non aveva neanche avuto il tempo di piangere la loro morte perché poche settimane più tardi la sua vita era radicalmente cambiata.
“Stanche ragazze?” chiese servendo loro le due burrobirre appena ordinate.
“Ma che stanche… dobbiamo ancora cominciare… turno di notte oggi” sbuffò fuori May
Jo lanciò loro un sorriso carico di comprensione e si recò a servire due maghi appena entrati, poi tornò dalle ragazze. “Sapete… credo che ristrutturerò il locale… ora che sembra essere tutto più tranquillo”
“Mi sembra un’ottima idea” sorrise Freya
Le ragazze scambiarono ancora qualche battuta poi, notando che si stava facendo tardi, si diressero verso il San Mungo, dove entrambe lavoravano come Guaritrici.
Andarono dirette agli spogliatoi per cambiarsi e poi verso gli ascensori. May scese al primo piano, reparto ferite da Creature Magiche.
Percorse il corridoio fino ad arrivare alla saletta riservata al personale. Salutò qualche collega che si apprestava a tornare a casa e poi si diresse verso il registro dove apporre la firma di inizio turno.
Una ragazza dai capelli scuri stava già firmando.
“Oh ciao Angie, anche tu di turno stasera?”
Angela Saunders alzò il viso e sorrise alla collega. “Sì e siamo solo noi di turno”
“Perfetto” sorrise la bionda. Era un sorriso piuttosto ironico poiché, di solito, quando il personale scarseggiava puntualmente si presentavano i casi più disparati e urgenti

***

Victoria stava sistemando dei libri di Divinazione nell’angolo dedicato quando venne interrotta dalla proprietaria de “Il Ghirigoro”, la signora Flourish.
La signora Flourish era una signora di mezz’età, con i capelli tinti di indaco avvolti in una crocchia e un sorriso gentile. Temperence Flourish amava il suo lavoro, si rammaricava solo di non avere nessun erede a cui lasciare le redini del negozio.
“Vai ad aiutare Claire in cassa per favore?” chiese alla mora “Vedo che c’è fila e non vorrei che i clienti si spazientiscano”
“Ma certo!” rispose Victoria. La ragazza lasciò i libri così come stavano e si diresse subito alla cassa.
Le due commesse sbrigarono in poco tempo la coda che si era formata e poco più di un’ora più tardi riuscirono a chiudere il negozio.
Diagon Alley era ormai semi-deserta. Essendo ormai Novembre inoltrato, anche se non era notte lo sembrava. Il sole era tramontato presto, e la nebbia contribuiva a dare alla stradina un non so che di spettrale.
“Per fortuna che sei tornata…” stava dicendo Victoria alla donna “Ora che gli affari si stanno riprendendo non saprei come avrei fatto da sola”
La signora al suo fianco sorrise. “Mi è dispiaciuto tanto dovermene andare e May mi è mancata così tanto che appena ho potuto sono tornata”
Claire, essendo una nata-babbana, appena iniziata la guerra era andata con suo marito in Cornovaglia, a casa dei suoi genitori. La figlia maggiore, Maysilee, decise di non seguirli, neanche finita la scuola, mentre per la minore era stato più sicuro raggiungerli solo durante le vacanze. Ora che la guerra era finita, però, la donna aveva deciso di riunire la sua famiglia e di tornare al suo vecchio lavoro

***

Era un tranquillo giorno di metà Novembre. Stranamente c’era il sole. Edward si stava vestendo. Decise che un elegante completo babbano era l’ideale da indossare quel giorno. Era l’abbigliamento ideale da indossare al processo contro un gruppo di esaltati che credeva che tutti coloro che non avessero puro sangue magico fossero feccia.
Un bussare alla porta gli fece alzare lo sguardo da quella cosa babbana chiamata travatta a cui cercava di fare il nodo.
Sua sorella Elaine entrò e si richiuse la porta alle spalle, lasciando frusciare il vestito verde bottiglia che indossava.
“Sei pronto?” gli chiese
“Devo solo annodare questa…cosa” rispose lui non sapendo bene come definire quella specie di raffinato cappio al collo.
La giovane donna sorrise divertita. “Io intendevo mentalmente” specificò. Nel frattempo si era avvicinata e gli stava allacciando la cravatta.
“Sei sicura di non voler venire?”
Elaine scosse la testa in un cenno di diniego. “Non voglio vederlo” poi abbassò lo sguardo e continuò con la voce tremolante “Non voglio essere additata come la moglie di un Mangiamorte”
Edward la afferrò per le spalle. “Hey…” la spinse ad alzare lo sguardo “Ti prometto che non succederà più niente di simile... ti fidi di me?”
“Certo” sospirò lei lasciandosi abbracciare

***

Johanna camminava verso il Ministero della Magia, leggermente accecata dal bagliore di quel sole così inusuale per l’autunno inglese. La pioggia cade solo sugli eroi pensò. Era una frase che suo zio le diceva sempre da bambina. Anche il giorno del funerale di Gideon e Fabian pioveva. Oggi era completamente diverso. Nell’aula dieci, di lì a poco, si sarebbe svolto il processo contro i Mangiamorte che avevano distrutto il Crazy Head e avevano torturato lei e suo zio, fin quando il poveretto era stato buttato giù dalla finestra. In seguito alla caduta era rimasto paralizzato, ma per fortuna era ancora vivo.
Lei invece era stata torturata e se non fosse stato per l’intervento di Sebastian, probabilmente sarebbe morta.
Prese un bel respiro ed entrò nell’edificio, consapevole che non sarebbe stata una giornata facile.


Edward era seduto nell’aula 10 ormai da qualche minuto, era nelle panche riservate ai testimoni. C’erano lui e un altro paio di persone. Anche la parte dell’aula riservata al Wizengamot si stava riempiendo.
L’ultima ad entrare fu una ragazza con i capelli scuri e uno sguardo ceruleo serio e determinato. In un certo senso assomigliava a sua sorella, prima che diventasse una moglie sottomessa.
La ragazza sedette accanto a lui senza proferire parola. Il processo iniziò.

 
Johanna tenne lo sguardo ben fisso su Albus Silente mentre ripercorreva attimo dopo attimo quel terribile giorno. Si era preparata a mente quel discorso centinaia di volte, non voleva dimenticare nessun dettaglio. Non ci sarebbe riuscita in ogni caso.
Sostenne lo sguardo del suo ex-professore senza che nessun segnale di cedimento trapelasse dalla sua voce, e fatto il suo dovere di testimone si alzò.
Stette a sentire il racconto di altre due persone che erano state torturate dal gruppo di Carson Burke, Magnus Saintclaire e Thorfinn Rowle.
Era rimasto solo il ragazzo accanto a lei. Aveva qualcosa di familiare, ma visto che la loro età era simile, si disse che probabilmente lo aveva visto a scuola. Anche da seduto si vedeva che era molto alto e quando si alzò ne ebbe la conferma, ma a farla sbiancare fu il nome del ragazzo: Edward Burke. Burke, come il suo aguzzino morto. Non poteva essere una coincidenza.

 
Sentendosi osservato, Edward si voltò verso la ragazza e scoprì che quegli occhi azzurri erano carichi di disprezzo.
“Tu…” lo additò Johanna “Tu sei il fratello di un Mangiamorte…come puoi essere qui a difenderlo?”
Le parole della ragazza lo colpirono come un dardo avvelenato. Ancora una volta pensò che non si sarebbe mai liberato di quelle accuse, di quel nome. Suo fratello continuava a perseguitarlo anche da dentro una tomba.
Non riuscì a replicare.
Johanna scattò in piedi come una molla, lanciò uno sguardo schifato al ragazzo che fino a poco prima era seduto accanto a lei, e abbandonò l’aula, ancora incredula.

 

 

 

Hello people!

Ci ho messo un po’ a scrivere il capitolo, ma sto ancora cercando di inquadrare i personaggi. In più ho avuto tre compleanni questa settimana (con conseguenti occhiaie da panda).
Ad ogni modo, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento.
E intanto un grazie alle 3 persone che hanno inserito la storia tra le preferite (sulla fiducia, visto che doveva ancora iniziare) e alle 5 persone che l’hanno messa tra le seguite.
E un grazie a chi ha creato questi OC che spero di riuscire a rendere decentemente ;)

Baci
H.

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Capitolo 4
*** Dicembre ***


La stanza era fredda e scarsamente illuminata. A primo impatto non avrebbe dato quasi a nessuno una buona impressione, ma a William non metteva più così tanta inquietudine, ci si era abituato. Succedeva spesso che un Legilimens come lui venisse chiamato per condurre parte di un interrogatorio. Gli Auror lo convocavano per cercare di scavare nella mente dell’indiziato il più possibile.
Molti Mangiamorte, o almeno molti di quelli più importanti, riuscivano a chiudere la propria mente e nascondere le proprie intenzioni. Nonostante questo, aveva visto cose orribili che di notte lo perseguitavano.
Non amava questa parte del suo lavoro, ma almeno, adesso che la guerra era finita, gli interrogatori erano notevolmente diminuiti anche se alcuni sospettati venivano ancora interrogati con quel metodo.
Tirò un sospiro di sollievo quando il suo lavoro fu finito, uscì dalla saletta e percorse il corridoio principale del Quartier Generale degli Auror, non si fermò a salutare nessuno, non aveva molti amici sul posto di lavoro come non ne aveva avuti ad Hogwarts.
Una ragazza dai capelli rosso scuro, sua ex-compagna di classe stava provenendo dall’altro capo del corridoio, quando inquadrò William sorrise. Era un sorriso malizioso e furbetto.
“Allora, finito l’interrogatorio a Rowle?” chiese lei
“Sì, finalmente” rispose il ragazzo “Ci abbiamo messo ore ma ha parlato”
“Qualche nome utile?”
William scosse leggermente la testa “Niente che non sapessimo già”
“Beh…visto che è tardi, io andrei a prendere un drink e poi andrei a casa…” la ragazza si imbarazzò leggermente prima di domandare “vieni anche tu?”
“No” rispose istintivamente dato che non usciva con una ragazza da mesi. Appena si accorse che la ragazza ci era rimasta un po’ male corresse il tiro e aggiunse “Magari un’altra volta”
La ragazza era ancora delusa come prima, lo salutò e se ne andò.  William fece spallucce e riprese la sua strada per tornare nella casa che condivideva con un ragazzo e un paio di ragazze.

***

La ristrutturazione del Crazy Head era ormai quasi completa. La settimana precedente aveva raccontato al suo migliore amico Sebastian del suo incontro col fratello del suo aguzzino. Il ragazzo si era schierato in difesa di Edward Burke adducendo che, sebbene non lo conoscesse bene, mentre lavoravano entrambi come spezzaincantesimi alla Gringott, gli era parso un bravo ragazzo. Johanna era combattuta. Sapeva che Sebastian difficilmente sbagliava a giudicare le persone e anche lei di solito non giudicava le persone dal loro cognome, ma la parte più irrazionale del suo cervello continuava a suggerirle che la mela non cade mai lontano dall’albero.
Aveva continuato a pensare a quell’incontro. Forse non era stata una delle sue figure più edificanti ma era già un trionfo il fatto che si fosse trattenuta dal lanciargli addosso una maledizione.
Johanna aveva appena finito di spolverare il bancone di legno scuro e si guardò intorno. Il locale era stato ampliato, comprendendo sia il vecchio locale, che era stato distrutto, sia le stanze nascoste che erano servite da rifugio per i nati babbani in fuga. Gli sgabelli erano stati messi attaccati al bancone, anche le sedie e i tavoli erano stati messi al loro posto. Peccato che molte delle persone che li riempivano una volta ora non fossero più in vita.
Sentiva che mancava qualcosa. Voleva che quelle persone, che i frequentatori del Crazy Head non venissero dimenticati. Doveva solo trovare un modo…
Passarono un paio di giorni, lei e Sebastian a parlarne, ma non era venuto loro in mente niente che non sembrasse troppo una specie di altarino.
Ne parlò anche con suo zio, che approvò con entusiasmo l’idea. Fu proprio quella sera, quando era all’ospedale che Freya gli diede l’idea.
Stavano guardando fuori dalla finestra della camera di suo zio. Johanna aveva notato che c’era la luna piena.
“Sì, e il cielo è sereno, pieno di stelle. Credo che stanotte nevicherà” disse Freya.
La mente dell’altra ragazza però si era fermata alle stelle. Non ci aveva mai pensato ma trasformare in un cielo stellato quella parete che era rimasta alta dopo l’attacco dei mangiamorte, era una bella idea. Non voleva che sembrasse qualcosa di troppo tetro, inquietante o pacchiano. Voleva un cielo simile a quello che sovrastava la Sala Grande ad Hogwarts.
Johanna passò il resto della settimana a cercare un modo di incantare la parete ma spesso otteneva un leggere cielo azzurrino o un cielo completamente scuro.
La sera prima della riapertura andò a farle visita Maysilee. La ragazza entrò scuotendo i capelli biondi arruffati e coperti di neve.
“Ho sentito che avevi bisogno di una mano” trillò togliendosi il cappotto rosso scuro e abbandonandolo su una sedia nelle vicinanze.
Ci misero un paio di ore ma alla fine May riuscì ad ottenere più o meno quello che Johanna si immaginava. Certo, a differenza di quello di Hogwarts non cambiava a seconda del tempo che faceva fuori ma era comunque molto simile al cielo esterno, ricco di sfumature e illuminato da punti luce che rappresentavano le stelle.
Sopra ci avrebbero appeso le foto di chi non c’era più, ma si erano imposte di appendere solo foto allegre, per ricordare il meglio di loro.
“Adesso mi devi spiegare come hai fatto” disse Johanna mentre preparava due tazze di cioccolata.
Maysilee afferrò un biscotto dal piattino che la ragazza, fece spallucce e rispose “Astronomia è stata l’unica materia in cui avevo il massimo dei voti, so praticamente tutto sulle stelle”
“Capisco…”
Dopo qualche attimo di silenzio May bevette l’ultimo sorso di cioccolata e disse “Che ne dici se l’appendiamo noi la prima foto?”
“Perché no? Ho proprio quella giusta!”
Johanna si recò sul retro, dove si era ritagliata una specie di ufficio e ne riemerse un paio di minuti dopo sventolando trionfante una foto che porse subito all’altra ragazza.
L’immagine ritraeva i gemelli Prewett che ringhiavano, contendendosi l’ultima fetta di torta alla melassa. Sul retro si intravedeva Molly che giocava con dei bambini ai piedi di un albero di natale.
May fece comparire una cornice sottile di abete un po’ grezzo e fece appendere la foto al muro. Le due stettero un po’ ad osservare soddisfatte il loro lavoro, solo dopo si salutarono per andare a dormire.

***

Luke Barton se ne stava seduto alla scrivania che aveva strategicamente posizionato davanti la finestra in modo da poter guardare fuori. Ma era proprio quel guardare fuori che lo stava distraendo dallo scrivere. Si era imbambolato ad osservare come la neve si posava placidamente sui rami spogli del platano dall’altra parte della strada.
Non riusciva a scrivere perché si era distratto o si era distratto perché non riusciva a scrivere?
Stava cercando di scrivere questo maledetto libro dedicato a sua sorella ma una volta che il pensiero correva a Clara, Luke si perdeva nei meandri della sua stessa mente. I pensieri si concatenavano ma alla fine portavano tutti allo stesso punto di arrivo, alla litigata che aveva avuto con la sua sorellina, poco prima che uscisse quel giorno. Si erano urlati contro come mai avevano fatto e poi lei era morta. Possibile che le ultime parole che si erano detti fossero parole cariche di rabbia?
Spostò gli occhi nocciola sui tasti della macchina da scrivere babbana che usava. Sospirò provando a mettere in fila qualche pensiero, ma quello che venne fuori gli parve una porcheria, così strappò via il foglio, lo appallottolò e lo gettò nel cestino come quei giocatori di basket che vedeva da piccolo.
Sbuffò, era più che certo che anche quel giorno non avrebbe combinato niente. Tanto valeva andare a farsi una passeggiata, magari andarsi a prendere un caffè bollente in una di quelle caffetterie babbane dove la gente si sedeva davanti alla vetrina per guardare chi passeggiava.
Appena un quarto d’ora più tardi si pentì amaramente di essere uscito. Aveva totalmente dimenticato che mancavano giusto un paio di settimane, ma solo lui sembrava averlo dimenticato perché le strade più commerciali di Londra brulicavano di babbani alla ricerca dei regali.
Decise di ripiegare su Diagon Alley, entrò al Paiolo Magico, e si avvicinò al bancone da Tom per chiedere una burrobirra con un pizzico di cannella. Appena preso il boccale si voltò e vide su un tavolo poco distante, ma leggermente in ombra a causa di una colonna, il suo migliore amico.
Il ragazzo si sedette davanti a William e gli chiese dei suoi programmi per le feste.
“In famiglia, come al solito” rispose l’altro “Tu invece?”
“Io piuttosto che passarlo in famiglia mi faccio internare. Anzi, credo proprio che andrò al San Mungo a fare volontariato”
“Tu che fai volontariato? Questa sì che è bella! Cosa ne hai fatto di Luke Barton?”

***

Victoria aveva il viso sprofondato in una sciarpa di lana e camminava verso casa del suo migliore amico. Si era smaterializzata ad un isolato di distanza ma non avrebbe mai pensato che fosse stato così freddo. Se lo avesse saputo sarebbe comparsa direttamente davanti casa di Edward.
Imprecò contro l’ennesima folata di vento che le gelava il naso e le faceva diventare le gote rosso fuoco. Tirò un sospiro di sollievo quando qualcuno aprì subito dopo aver suonato il campanello di casa Burke.
Ad aprire non fu però Edward, ma sua sorella, che la accolse in casa come faceva sempre, considerandola come una di famiglia.
Le due si accomodarono nel salottino a sorseggiare una tazza di tè. Victoria ringraziò mentalmente gli elfi domestici che avevano avuto la grandiosa idea di accendere il camino.
Una decina di minuti più tardi comparve Edward sulla porta.
“In ritardo come al solito…peggio di una donna” commentò la mora.
“Dov’è che andate?” commentò Elaine.
Edward sembrò leggermente impacciato ma fu l’altra ragazza a salvarlo e prendere la parola “Devo trovare un regalo per mio nipote, ormai ha 13 anni… io non ho idea di cosa si regala a un ragazzo di quell’età.”
“Quindi io l’aiuto” aggiunse il giovane.
Elaine annuì ma si vedeva lontano un miglio che non era convinta al cento per cento della risposta.
I due si sbrigarono a salutare ed uscire, appena furono sufficientemente lontani Victoria gli si parò davanti a braccia conserte.
“Già mi costringi ad usare il mio unico giorno libero per venire con te a cercare un regalo dell’ultimo minuto per tua sorella e in più ti permetti anche di fare tardi?”
“Mi dispiace, lo sai che mi dispiace”
La ragazza sembrò pensarci un attimo e poi se ne uscì fuori con un “Due scatole di Api Frizzole e sei perdonato”
“Affare fatto” scherzò lui. Prese la ragazza sottobraccio e si smaterializzarono per ricomparire in mezzo ai negozi.

***

Era la mattina di natale e purtroppo la pioggia stava cancellando ogni traccia della neve che era caduta fino a qualche tempo prima. I mucchi di candida neve si stavano trasformando in cumuli di schifosa poltiglia marroncina.
Ad ogni modo, Angela non riusciva a essere felice come una volta per l’arrivo del natale. Aveva sempre adorato le feste, poter tornare dalla sua famiglia per passare del tempo insieme ma da tempo ormai era tutto diverso.
Quattro anni prima aveva perso suo fratello maggiore. Era sparito così, da un giorno all’altro lasciando un vuoto incolmabile. Era stato doloroso, Angela non credeva che avrebbe mai provato così tanto dolore, ma la presenza di sua sorella l’aveva aiutata ad andare avanti. Abigail l’aveva aiutata a sentirsi meno sola.
Quando due anni prima anche sua sorella era morta, il natale aveva perso il suo significato. Che festa era se l’unica compagnia era una madre che neanche la calcolava?
Per questo aveva accettato di essere di turno il giorno di Natale. Nessuno voleva coprire quel turno ma lei aveva accettato di buon grado. Sarebbe stato un modo per tenere la mente occupata e pensare meno alla solitudine.
Prese da sopra il comodino la foto che portava sempre con sé, quella che ritraeva lei e i suoi fratelli insieme, seduti sul tappeto, un natale di circa quindici anni prima.
Si infilò sopra il mantello verde smeraldo e si inoltrò tra le vie che l’avrebbero condotta al San Mungo.

 

 

Buongiorno gente!

Chiedo venia per il ritardo (5 giorni per scrivere un capitolo si può considerare ritardo?) ma ci tenevo a pubblicare oggi visto che è il mio compleanno! Gioite miei piccoli schiavi…

Scherzi a parte, so che il capitolo non è un granchè ma sto incontrando qualche difficoltà a scrivere questa storia, e non so perché…

Ora vi lascio che vado a godermi una giornata al mare con le mie amiche ;)

Baci

H.

 

 

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Capitolo 5
*** Gennaio ***


Un nuovo anno era iniziato soltanto la notte prima e aveva avvolto Londra con un vento gelido, che rendeva difficile persino camminare per le strade piene di gente in vacanza. Per Angela, vacanze o meno sembrava non essere cambiato poi molto, aveva comunque lavorato anche quando per gli altri era festa. Una sola cosa era cambiata durante quelle festività.

Stava camminando lungo il corridoio principale del reparto quando passando davanti una camera non aveva creduto ai suoi occhi: Luke Barton stava facendo volontariato in una stanza dove c’erano dei bambini che erano stati attaccati da lupi mannari.
La ragazza aspettò che uscì e appena lo vide varcare la soglia disse: “Non sapevo che anche Lucas Barton avesse un cuore”
“Così tanto che se mi chiami di nuovo Lucas mi prenderò anche il tuo di cuore” rispose acidamente lui.
Come al solito avevano battibeccato ma anche nei giorni seguenti si era soffermata ogni tanto a guardarlo e aveva visto una persona diversa, più sorridente e amichevole.

Quel giorno aveva finito il suo turno e stava facendo un ultimo giro dei pazienti e vide il ragazzo leggere ad una bambina, interpretando le frasi con diverse intonazione, come se fosse un attore. Angela ci mise solo poche frasi a riconoscere il racconto di Baba Raba e il Ceppo Ghignante. Ricordava come fosse solo soltanto il giorno prima quando anche suo fratello le leggeva le fiabe di Beda il Bardo. E anche se le sapeva a memoria, se le faceva leggere sempre quando stava male ed era costretta a letto.
Istintivamente sorrise e altrettanto istintivamente le venne da correggere Luke quando sbagliò a leggere il discorso del re, perché nella sua mente c’era suo fratello che lo impersonava mettendosi in piedi sulla sedia.
Luke si girò e la guardò un po’ male. Gli diede fastidio essere stato scoperto lì, essere visto come una persona diversa rispetto al ragazzo menefreghista e freddo che aveva sempre dato l’impressione di essere.
Ebbe la tentazione, come al solito di controbattere ma lo fermò uno sguardo gettato al letto, dove la bambina si era assopita.
Il ragazzo si alzò, lasciò il libro appoggiato sulla sedia e si avvicinò all’uscio. Luke e Angela uscirono sul corridoio e si incamminarono verso gli ascensori.
Quando l’ascensore arrivò al piano salirono nel cubicolo vuoto e Angela premette istintivamente il pulsante del quinto piano, dove si trovava la sala da the in cui passava spesso a prendersi qualcosa di caldo prima di tornare a casa a piedi.
“Non dirlo a nessuno” la pregò lui
“Cosa” domandò di rimando “Che sei umano?”
Notando che Luke non rispondeva, aggiunse “Non devi per forza fare sempre lo scorbutico sai?”
Il tono di Angela risultò più cattivo di quello che in realtà voleva e Luke lo captò subito.
“E dovrei essere quello sempre felice, come te?” chiese con un disprezzo che ferì la ragazza, la quale ringraziò mentalmente di essere quasi arrivata al suo piano.
“Sai, se in questi anni ti fossi anche solo sforzato un minimo di conoscermi, sapresti che non è così!” ribatté, mentre cercava con una mano di velocizzare l’apertura di quella maledetta griglia di metallo che faceva da porta all’ascensore.
Non si voltò per vedere quale reazione aveva suscitato nel ragazzo ma si diresse a passo svelto verso la caffetteria. Altro che caffè o cioccolata calda, una camomilla ci sarebbe stata molto meglio, peccato che il mondo magico non fosse a conoscenza di quella bevanda babbana.

***

Edward da giorni non riceveva da giorni alcuna risposta ai gufi che mandava alla sua migliora amica. Sapeva che le feste erano state difficili per lei. Viveva in una casa che avrebbe dovuto condividere con l’uomo della sua vita, uomo che era morto nemmeno un anno prima.
Da quel momento Victoria aveva cominciato a chiudersi in sé stessa, specialmente nei momenti no. Voleva essere lasciata sola, e lo capiva perché anche lui era così, ma adesso era troppo. Sapeva che si era presa una settimana di permesso dal lavoro ma non si era fatta più viva. Sapeva che l’unica persona che potesse sapere cosa avesse Victoria era suo fratello, così andò da lui. Zeek non si sbilanciò, non gli disse cosa potesse avere la ragazza perché non gli sembrava giusto, ma gli diede le chiavi di casa sua.
E così quel pomeriggio Edward si era recato a casa di Victoria. Non era certo la prima volta che andava a farle visita, ma stavolta si sentiva quasi un ladro. Bussò sulla porta di ciliegio.
“Vic sono io…” si annunciò. Nessuna risposta arrivò dall’interno della casa. “Sto entrando” aggiunse prima di inserire la chiave nella serratura ed aprire.
L’abitazione era immersa nell’oscurità, fatta eccezione per un debole bagliore proveniente da quello che sapeva essere il salotto.
Appoggiò le chiavi sulla consolle all’ingresso e si diresse verso il salotto. Appena varcata la soglia vide che la luce, proveniente dalle fiamme nel camino, illuminava proprio la figura di Victoria.
La ragazza era seduta sul divanetto sotto la finestra, con le gambe piegate sotto al proprio corpo e lì accanto a lei se ne stava anche il suo gatto bianco. Botolo, appena vide il ragazzo, liberò il divanetto dalla sua considerevole mole e si avvicinò al ragazzo, gli si strusciò contro le gambe con un miagolio sommesso.
Edward si sedette accanto alla giovane senza dire una parola. Osservò come il suo sguardo colo acquamarina era indirizzato verso il vuoto, verso qualcosa di non meglio definito.
“Vic” la chiamò di nuovo, accarezzandole dolcemente la schiena.
La ragazza non rispose con le parole ma Edward sentì le sue spalle rilassarsi. Lui le rimase accanto per un tempo che gli sembrò infinito.
Victoria parlò all’improvviso. “Questa settimana sarebbe dovuto nascere il mio bambino” buttò fuori come se fosse un peso enorme.
Edward andò a prenderle una mano e solo in quel momento si accorse che la ragazza stringeva tra le dita esili una minuscola scarpina di stoffa.
“L’altra l’ho seppellita con Harry… mi dispiace di non averti detto niente”
“Non ti devi assolutamente preoccupare di questo” e la abbracciò.
I due rimasero abbracciati a lungo. “Vorrei piangere o urlare ma non ci riesco… non sento niente” disse Victoria stringendo il suo migliore amico ancora più forte.
“Lo sai che ti voglio bene” le sussurrò Edward
Victoria abbozzò un sorriso “Lo so”

***

Era stata una giornata decisamente difficile quella. Quella stessa mattina era arrivato un caso disperato. Un uomo che allevava clandestinamente draghi era stato attaccato da uno di questi. Tutti i suoi capelli erano stati bruciati, ma ciò che aveva messo più a repentaglio la sua vita era una lacerazione dell’arteria femorale che aveva rischiato di farlo morire dissanguato.
Maysilee e un suo collega ci avevano messo ore per salvargli la vita e alla fine quell’uomo se l’era cavata solo con una gamba amputata.
Tutta la squadra di Guaritori e assistenti aveva gioito, soprattutto perché ormai non ci speravano più. May era contenta sì, ma non entusiasta come loro. Non riusciva a essere entusiasta come loro.
Era stanca, arrancò da un letto all’altro in attesa della fine del turno. Finalmente alle nove di sera Freya la andò a chiamare.
Le due si diressero verso gli spogliatoi. “Allora, so che è stata una giornataccia…”
“Già…abbiamo recuperato un uomo per un pelo” disse May, con lo stesso tono che avrebbe usato se avesse letto la lista della spesa.
“E non sei felice?”
“Sì, certo che lo sono” rispose poco convinta.
L’amica suggerì di andare a bere qualcosa prima di tornarsene a casa e le due si avviarono in direzione del Crazy Head.
C’era parecchia gente quella sera. La riapertura aveva riscosso molto successo tra maghi e non, tanto che Johanna aveva dovuto assumere un barista, un mezzovampiro di nome Cenus, che le desse una mano la sera e la notte, specialmente durante il finesettimana.
Le due ragazze si sedettero al bancone, come loro solito e aspettarono pazientemente che Johanna si liberasse per andare a prendere le loro ordinazioni.
“Buonasera ragazze, che vi porto?”
“Due burrobirre con un pizzico di cannella” trillò Freya
“No per me niente cannella” disse May
“Mamma mia come sei triste” la rimbrottò l’amica.
Neanche un paio di minuti dopo Johanna posò davanti alle due bionde un paio di boccoli colmi, poi guardò prima una e poi l’altra amica.
“Allora, che è successo? Dobbiamo prepararci per un altro funerale?”
“JO!” la richiamò Freya. L’umorismo cinico della ragazza non le era mai andato giù più di tanto.
“Scusa!” ridacchiò lei, ma tornò subito seria “Allora?”
“La signorina qui presente” disse Freya mentre con un movimento della testa indicava Maysilee “oggi ha salvato un uomo e non ne è per niente felice”
May alzò gli occhi al cielo. “Te l’ho detto, ne sono felice! È solo che… avrei voluto riuscire a salvare qualcun altro” aggiunse con tono triste.
Lo sguardo della ragazza saettò verso la foto dei gemelli Prewett. Sul muro della memoria erano state appese, nelle settimane precedenti parecchie altre foto. Alcune ritraevano membri dell’Ordine della Fenice, altre raffiguravano semplici maghi o streghe uccisi, che i familiari e gli amici volevano ricordare.
Maysilee si rammaricava di non aver potuto aiutare i suoi migliori amici. Quando gli auror e i guaritori erano arrivati sulla scena dello scontro i due ragazzi erano già morti e quando May li aveva visti arrivare al San Mungo coperti da dei lenzuoli bianchi, lei che era lì pronta per aiutarli, si sentì inutile. Aveva fatto dell’aiutare gli altri la sua professione, il motivo per cui si alzava la mattina. Ma che senso aveva se poi non potevi aiutare le persone care?
Davanti al muro c’era una ragazza con dei lunghi capelli castani, che May riconobbe come l’ex Caposcuola Emmeline Vance, intenta ad appendere una fotografia.
Qualche tavolo più giù William Traynor aveva riconosciuto la foto che una ragazza stava appendendo sul muro: si trattava di Caradoc Dearborn. L’intero dipartimento di Auror aveva passato le ultime due settimane ad indagare sulla misteriosa scomparsa del collega e William si era occupato di interrogare alcuni Mangiamorte arrestati. Certo la guerra poteva essere finita ma ancora si portava dietro gli strascichi. C’erano alcuni Mangiamorte che ancora non si arrendevano alla caduta del loro Signore e quindi mietevano vittime senza pietà, alimentati dalla sete di vendetta.
Nessuna persona scomparsa era stata mai ritrovata viva quindi veniva ormai quasi automatico considerare chi spariva senza motivo come defunto.
William venne distratto dal suono del campanello che indicava la porta del locale che si apriva. Fece un cenno con la mano quando riconobbe il suo migliore amico.
Luke si sedette davanti a lui ed ordinò al barista una cocktail babbano. I due iniziarono a chiacchierare del più e del meno. Non si vedevano da Natale perché William era stato oberato di lavoro.
Alla fine Luke gli raccontò anche di aver litigato con Angela, non descrisse bene le circostanze ma Will capì comunque.
“Hai esagerato. Tu credi di conoscere l’allegra ed estroversa Angela ma lei è molto di più”.

 

Salve gente!

Ieri mi è tornata l’ispirazione e così ho buttato giù questo capitoletto. Spero che sia di vostro gradimento e che perdoniate eventuali errori (Sto uscendo e non ho tempo di rileggere).

Il prossimo capitolo non so quando arriverà precisamente perché la prossima settimana me ne vado in vacanza ed ho una nuova ff interattiva con le iscrizioni ancora aperte a cui vi invito a dare uno sguardo, se volete.

Baci

H.

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Capitolo 6
*** Febbraio ***


Febbraio

Era qualche giorno ormai che Luke pensava a quello che William le aveva raccontato riguardo Angela. I due erano amici da una vita e lui aveva vissuto con lei la scomparsa del fratello maggiore e la morte della sorella maggiore.
“Non capisci quanto è bello che nonostante questo sorrida così spesso?” gli aveva detto William. E Luke si era ritrovato a pensare che era vero.
Lui aveva perso qualcuno. William aveva perso qualcuno. La maggior parte della gente che conosceva aveva perso qualcuno in quella stupida guerra, ma pochissime persone erano state in grado di mantenere quella frizzantezza e quell’amore per la vita che pervadeva ogni gesto di Angela Stuart.
Si era in parte pentito di quello che le aveva detto ma solitamente lui non era uno che si scusava e Angela sembrava una che non perdonava tanto facilmente. C’era una cosa però che gli aveva insegnato la morte della sorella: in un periodo in cui la possibilità di non rivedere più una persona è così concreta, non bisognerebbe mai chiudere una conversazione con un litigio.
Così si era recato nell’unico posto in cui ero certo che lei non l’avrebbe potuto evitare. Entrò al San Mungo e, ancora incerto su cosa avrebbe fatto o detto, prese l’ascensore per recarsi al reparto dove la ragazza lavorava.
Fece avanti e indietro per il corridoio ma senza riuscire a individuarla, non ci mise molto però a sentire su di sé uno sguardo sospettoso.
“Posso aiutarti?” gli chiese una Guaritrice dai capelli biondi tirati su in uno chignon parecchio disordinato.
Lui avrebbe voluto rispondere di no ma era consapevole che se continuava a girare lungo il corridoio lo avrebbero creduto pazzo e rinchiuso in un altro reparto.
“Cerco Angela”
La ragazza sfoggiò un sorriso furbetto e poi lo invitò ad attendere la Stuart nella saletta dei Curatori mentre lei l’andava a chiamare.
Maysilee entrò nella stanza numero 118, dove Angela era intenta a medicare dei graffi che una signora si era fatta sull’avambraccio nel tentativo di addomesticare un Jarvey.
“Angy c’è un ragazzo per te” le disse.
“È William?” domandò la mora mentre applicava un cerotto alla donna e si alzava dallo sgabello su cui era stata seduta fino a quel momento.
“Non esattamente” ridacchiò l’altra.
Angela si voltò rivolgendo gli occhi chiari alla collega. “Che vuol dire non esattamente? O è lui o non è lui”
“Perché non vai a dare un’occhiata?” ammiccò May.
Le due uscirono dalla stanza della paziente ma May rimase indietro per vedere Angela che entrava nella piccola stanza dove solitamente il personale del piano si appoggiava nei momenti liberi, per riposare o fare un tè.
Angela entrò nella saletta e rimase non poco stupefatta quando riconobbe Luke su una sedia, accanto al tavolo ricoperto di fogli di pergamena e cartelle cliniche.
“Che ci fai qui?” chiese in tono leggermente brusco.
“Devo parlarti” disse lui
Angela si mise in una specie di posizione di attacco, con lo sguardo severo e la bocca piegata in una smorfia dura.
“Non dovresti stare qui, sono ammessi solo pazienti e visitatori”
“Angela aspetta…”
La ragazza si era già posizionata sull’uscio della porta da cui si vedeva l’ascensore. Era un chiaro invito ad andarsene e lui non poteva non rispettarlo.
Luke si alzò e la superò dicendo “So che mi odi adesso…”
Angela abbassò gli occhi e disse in un sussurro pressoché inudibile “Non ti  odio, sarebbe molto più facile se ti odiassi”.

***

William si era chiuso in ufficio dopo aver incrociato una Caroline Bingley piuttosto mogia. La ragazza era una sua collega ed era anche piuttosto simpatica oltreché una bellezza mozzafiato. I due andavano d’accordo e lavoravano bene insieme, ma era evidente che la ragazza si fosse illusa che sotto c’era qualcosa di più e quando il caso a cui stavano lavorando era stato chiuso e William non le aveva chiesto di uscire la giovane ci era rimasta male.
Controllò la data del calendario, era il 10 Febbraio. Mancava poco a San Valentino e tutti si aspettavano che invitasse qualcuna a cena fuori per una serata romantica. Questo era quello che ci si aspettava da lui ma William era tutto tranne che pronto a imbarcarsi in una storia amorosa. Non ne voleva proprio una, non in quel momento.
Continuando a guardare il foglio appeso sul muro grigiastro gli venne in mente che di lì a poco sarebbe stato il compleanno della sua ex-compagna di classe Elaine Burke. Non erano stati molto amici ai tempi di Hogwarts perché lui aveva un carattere abbastanza chiuso e lei era una di quei purosangue che stringevano amicizia quasi solo esclusivamente con maghi e streghe dello stesso lignaggio.
L’aveva rivista però qualche mese prima, quando aveva dovuto interrogarla in quanto moglie di un Mangiamorte appena arrestato: Magnus Saintclare. Non aveva mai interrogato nessuno che conoscesse, anche solo minimamente, ma non ebbe bisogno della Legilemanzia per capire che lei fosse solo una ragazza spaventata.
Solo dopo aveva saputo che Elaine era incinta e in seguito si era ritirata e non si era più vista, non aveva neanche mai preso parte al processo. Continuava a vivere in una gabbia. Certo era una gabbia dorata quella che la circondava da quando era piccola, come quella che circondava ogni purosangue di alto lignaggio, ma era pur sempre una gabbia. Decise che sarebbe andato a trovarla per il suo compleanno.

***

Quel giorno il sole era tornato a fare capolino tra le nuvole e a riscaldare chi passeggiava lungo Diagon Alley. Victoria aveva terminato il suo turno al Ghirigoro ma uscendo e vedendo che il sole stava tramontando pensò che sarebbe stato proprio uno spreco tornare direttamente a casa. Andò alla Gringott, depositò parte del suo stipendio nella camera blindata di famiglia e chiese di parlare con Edward. I folletti la guardarono in modo un po’ perplesso, solitamente i dipendenti come gli Spezzaincantesimi non interagivano con i clienti ma i folletti avevano una sorta di timore riverenziale verso i maghi e le streghe che sapevano appartenere ad antiche famiglie di purosangue come le sacre ventotto quindi acconsentirono a farle incontrare il ragazzo.
I due amici si accordarono per vedersi più tardi quando lui avrebbe finito il suo di turno di lavoro.
“Allora ci vediamo alle sette al Paiolo Magico”
“No, basta col Paiolo. La zuppa di Tom assomiglia sempre di più ad una brodaglia grassa” protestò Victoria.
“Allora dove proponi di andare?”
“Al Crazy Head, ha riaperto da poco. Ci va sempre la figlia di una mia collega, dai ci mangiamo un po’ di fish&chips!”
“Non ci sono mai stato ma va bene.”
Victoria uscì di nuovo lungo la via piena di negozi, fece un giro, si fermò a guardare le vetrine di Madama McClan. La donna nella sua solita veste color malva le fece cenno di entrare dall’altra parte del vetro. Victoria le fece cenno di no, come per dire che doveva andare. Sapeva che se entrava la strega avrebbe tentato di convincerla a comprare l’ennesimo mantello di lana o un paio di guanti e Victoria ne sarebbe uscita con più roba rispetto a quella di cui aveva effettivamente bisogno.
Entrò nel Crazy Head con qualche minuto di anticipo rispetto all’appuntamento fissato con Edward, salutò un cliente abituale della libreria che stava seduto a bere un bicchiere di rum di ribes rosso e a fissare con lo sguardo un muro pieno di fotografie e si sedette ad un tavolino.
Ordinò una burrobirra alla barista, una ragazza dai lunghi capelli castani e l’aspetto un po’ da maschiaccio.
Johanna servì un boccale di burrobirra al tavolo in fondo e poi tornò verso il bancone dove era seduta Freya che continuò il discorso interrotto in precedenza.
“Come ti dicevo... ha preso una leggera polmonite ma è in via di miglioramento. Io credo, comunque, che magari starebbe meglio in una casa per anziani come la St. Odgens, a Upper Flagley. Ho sentito dire che è molto carina e sarebbe un ambiente meno triste rispetto all’ospedale”.
Johanna sbuffò. “Te l’ho detto, è una sua scelta stare lì… fosse per me potrebbe anche tornare a casa” replicò, ma la ragazza non la stava affatto ascoltando in quanto il suo sguardo si era fermato su un gruppo di ragazzi appena entrato. Freya riconobbe subito il suo ex-fidanzato abbracciato a quella che era la sua nuova fiamma. Certo lui e Freya si erano lasciati da un paio d’anni ma la ragazza provava ancora un forte risentimento nei suoi confronti, per non esserle stato accanto nel momento del bisogno.
Quando il gruppo passò e lui la salutò, Freya ricambiò con il saluto e il sorriso più falso che aveva. Si girò per continuare a seguire il gruppo con lo sguardo ma sbadatamente rovesciò il calice di vino elfico che non aveva finito di bere. Maledetta lei e la sua goffaggine!
Freya tornò con gli occhi a Johanna e in un misto di indignazione e stupore disse “Sa che io vengo sempre qui! Come si permette?”
Questa volta però era la barista a non ascoltare ed avere lo sguardo fisso verso l’entrata “Come si permette?” ripeté Johanna.
“Eh?” fece Freya confusa. L’amica però era già uscita dallo spazio dietro al bancone e si era recata a grandi falcate verso il ragazzo fermo sull’uscio.
Edward Burke era appena entrato al Crazy Head e stava percorrendo la sala con i grandi occhi azzurri alla ricerca della sua amica ma venne praticamente travolto da una ragazza, dalla stessa ragazza che l’aveva verbalmente aggradito al processo.
“Che ci fai tu qui?” chiese provocatoria quasi spingendolo.
“Io…”
“Io non servo Mangiamorte. Fuori!” gli intimò.
Edward indietreggiò istintivamente, finendo sul vicolo dove si affacciava il pub.  “Io non sono affatto un mangiamorte!” protestò.
Johanna però non riuscì a mettere da parte la sua irrazionalità. Quel ragazzo assomigliava troppo al suo aguzzino, qualcosa nel suo cervello era scattato spingendola a sibilare con tono cattivo “Oh povero caro, il tuo fratellone non ti ha permesso di entrare tra i grandi? Buhuuu” e finse il tono lamentoso di un bambino.
L’espressione di Edward si indurì e le sue mani si chiusero strette, frementi di rabbia.
“Fuori di qui!” gli urlò contro Johanna.

 

 

 

 

Ecco un regalino-ino-ino di arrivederci! (Come al solito non ho riletto quindi chiedo venia per eventuali errori)
A presto
H.

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Capitolo 7
*** Marzo ***


Un timido sole illuminava Londra quel giorno. Freya lo aveva visto sorgere attraverso le finestre delle stanze dei pazienti di cui si prendeva cura. Fortunatamente il suo turno finiva alle 10 del mattino, così avrebbe potuto godere del bel tempo e fare una passeggiata.
Terminò il giro delle visite nella stanza della signora Perkins, una strega sulla ottantina impazzita a causa dei fumi del suo laboratorio di pozioni.
“Buongiorno Walda” la salutò andando accanto a letto per sistemarle i cuscini dietro la testa “Come andiamo oggi?”
“Oh non c’è male, cara, ma continuano a non mi hai ancora procurato un goccetto di Odgen Stravecchio” si lamentò la vecchietta.
Freya ridacchiò “Lo sai che non posso”
“Oh andiamo, ci correggerei solo un po’ di quello schifo che qui chiamano succo di zucca”
La ragazza alzò gli occhi al cielo e con un sorriso le diede la stessa risposta di sempre “Vedrò cosa posso fare.”
Passò anche a salutare Johanna, la quale era andata a trovare suo zio, prima di andare nello spogliatoio a cambiarsi. Appese il camice nel suo armadietto e ne tirò fuori il suo cappotto, si sciolse i capelli e prese la borsa.
Appena uscita venne investita da una leggera brezza, il segno di una primavera che stava per arrivare. Era entrata a visitare un negozio di oggettistica che le era nuovo, giusto a qualche via dal San Mungo.
Prese tra le mani un portagioie in legno e ceramica, gli diede un’occhiata, era davvero bello ma non si poteva aprire, infatti non c’era nessuna chiave infilata in quella piccola serratura. Stava per chiedere al proprietario il perché ma il suo sguardo venne attirato da un espositore dove brillavano delle collane. C’era scritto che il ciondolo di ognuna era caratterizzato da un odore particolare.
Una ragazza mora al suo fianco ne annusò uno. “Uh, menta piperita! Buono!” disse tra sé e sé prima di raggiungere un ragazzo alto vicino alla cassa.
Freya imitò il gesto dell’altra giovane ed avviso il naso ad uno dei ciondoli. Le sue narici vennero subito investite da un odore, sembrava qualcosa di familiare eppure non riusciva a riconoscerlo. Lo annusò di nuovo e questa volta il suo cervello si annebbiò.
Era certamente un odore che aveva già sentito. Lo aveva sentito quella notte, in quel vicolo, quando un mangiamorte le aveva reso la nottata e la vita un inferno.
Sentì il suo respiro mozzarsi, come se qualcosa le chiudesse la gola. Si sbrigò ad uscire dal negozio, vedendo a malapena la strada in quanto i suoi occhi erano offuscati dalle lacrime.
All’aria aperta la situazione non migliorò, continuava a fare fatica a respirare, mentre il suo corpo era percorso da un sudore freddo, gelido. Freya Stoker appoggiò la schiena al muro sul lato dell’edificio e scivolò seduta a terra. L’attacco di panico non accennava a passare, e più la paura si impossessava di lei e più le si chiudeva la gola.
Sapeva che non sarebbe morta. Non si muore a causa di un attacco di panico, ma aveva esattamente la stessa sensazione, come se stesse per morire.
Vide un ombra sopra di lei. Aveva talmente paura che sarebbe voluta scappare ma non riusciva a muovere un solo muscolo.
La figura davanti a lei si inginocchiò.
“Va tutto bene. Va tutto bene.” Una voce maschile stava cercando di tranquillizzarla ma lei non riusciva assolutamente a calmarsi. L’ultima volta che aveva avuto un attacco così forte aveva mandato il suo ragazzo all’ospedale.
“Tranquilla, va tutto bene” continuava a ripeterle il ragazzo di fronte a lei. Era lo stesso ragazzo che poco prima si trovava dentro al negozio.

Johanna era uscita dall’ospedale solo un paio di minuti prima quando camminando in direzione del Crazy Head quando passando davanti ad una vietta vide Edward Burke bocconi davanti alla sua amica Freya che tremava come una foglia.
Si avvicinò a passo svelto. “Che succede qui?” chiese in tono minaccioso.
Edward alzò gli occhi fino ad incrociare quelli azzurri di lei. “Procurale un sacchetto di carta. La aiuterà a respirare.”
Il tono del ragazzo era tranquillo ma fermo. Johanna spostò lo sguardo sull’altra ragazza che respirava pesantemente e non potè far altro che eseguire l’ordine che le era stato dato.
Tirò fuori un fazzoletto che aveva in tasca e lo trasfigurò in un sacchetto di carta marrone che passò subito al ragazzo.
Edward mise il sacchetto davanti la bocca di Freya. “Respira qui dentro, piano”
La ragazza sapeva esattamente cosa doveva fare, aveva studiato Medimagia, dopotutto, ma in quei momenti il suo cervello si rifiutava di ragionare. Era come se la sua testa pesasse un quintale.
Johanna istintivamente si sedette accanto all’amica e iniziò ad accarezzarle la schiena.
Passarono parecchi minuti prima che il respiro di Freya tornasse regolare e la ragazza si abbandonasse contro la spalla dell’amica, con gli occhi vacui e il viso ancora rigato dalle lacrime.
“Andiamo tesoro, torniamo al locale”
Edward, che aveva osservato la scena in silenzio, tornò a parlare. “Non puoi smaterializzarti con lei in queste condizioni, rischia di spaccarsi… dobbiamo essere in due.”
Johanna si limitò ad annuire. I due presero Freya sottobraccio e dopo aver contato fino a tre sparirono con un pop per ricomparire sul retro del Crazy Head.
Entrarono nel locale deserto nel giorno di chiusura e fecero accomodare Freya su una sedia.
“Ti preparo un tè” le disse Johanna prima di allontanarsi dietro al bancone.
Freya riuscì ad annuire e poi a guardare il ragazzo ancora in piedi.
“Grazie” riuscì a dire prima di abbassare lo sguardo imbarazzata.
Johanna tornò al tavolo e mise una tazza di bevanda fumante sul tavolo. “Già…grazie”
“Non c’è problema…” il ragazzo si mise una mano tra i capelli, dietro la testa. “Io andrei allora…”
Edward si diresse verso la porta ma venne richiamato da Johanna. “Posso offrirti qualcosa?”
Il ragazzo si voltò con un sorriso e rispose “Sbaglio o non servivi i Mangiamorte?” poi uscì.
Johanna rimase senza parole, colpita e affondata.

***

Luke aveva chiuso anche l’ultima valigia. Il giorno seguente sarebbe partito per un tour per le librerie magiche e non della Gran Bretagna. L’idea non gli andava affatto giù ma il suo editore lo aveva praticamente costretto a promuovere il libro in qualche modo.
Gli dispiaceva partire perché alla fine aveva chiarito con Angela e aveva continuato ad andare a fare volontariato un giorno a settimana.
I due aveva legato anche se non particolarmente. Il loro era un rapporto strano. Si erano in qualche modo scoperti, mettendo da parte il loro orgoglio e mostrandosi per quello che erano veramente, tranne quando erano con William. In quei momenti continuavano a battibeccare come avevano sempre fatto.
Il mercoledì mattina quando si recò alla stazione di London Victoria anche William ed Angela lo accompagnarono. Sarebbe partito alla volta di un paesino babbano e da lì avrebbe continuato a viaggiare per circa un anno.
“Beh… ci vediamo tra qualche tempo” disse Luke. Lui non era mai stato un amante dei saluti e di tutto quel genere di smancerie.
“Ciao amico” lo salutò William prima di abbracciarlo di slancio.
Luke sorrise appena, rosso per la vergogna e poi salutò Angela. I due si strinsero la mano.
“Buon viaggio” gli augurò.
Il ragazzo si avviò verso l’entrata dello scompartimento.
“Aspetta!” gli gridò Angela. Lucas Barton si girò di scatto e vide la ragazza piombargli addosso e posare le labbra sulle sue con forza.
Dopo qualche attimo di totale spiazzamento si ritrovò a rispondere al bacio con trasporto. Quando i due si staccarono, si ritrovarono a ridere.
“Di questo ne parliamo quando torno” disse Luke
Angela sorrise e annuì. Tornò verso un William che guardava in loro direzione estremamente perplesso. Appena l’amica lo raggiunse lui piegò la testa da un lato e la guardò con fare interrogativo.
“Devo essermi perso qualcosa”

***

La fine di marzo si era rivelata più piovosa del previsto e anche molto fredda. La gente girava ancora con i cappotti pesanti e le sciarpe di lana o perlomeno quello facevano i pochi che se ne andavano in giro in quanto, con quel tempo da lupi, molti preferivano rimanere a casa.
Victoria era seduta nel salotto di casa Burke ormai da un paio d’ore. Avevano parlato del più e del meno mentre la pioggia scorreva lungo i vetri. Elaine gli aveva parlato di una visita inaspettata da parte di un suo ex compagno di classe mentre lei gli aveva raccontato di come andava in libreria e gli aveva portato un libro che stava andando molto di moda.
Victoria non poteva fare a meno di osservare Elaine seduta sul divano ad accarezzarsi la pancia ormai prominente visto che era al sesto mese di gravidanza. La donna era serena e risplendeva di una luce diversa. Forse la scelta di tenere il bambino le aveva veramente giovato e Victoria si ritrovò a pensare a quando un paio di mesi prima ne avevano parlato.

 
Edward l’aveva pregata di andare a parlare con la sorella per decidere il da farsi ma non sapeva come affrontare l’argomento con Elaine.
Ormai la giovane era arrivata un pezzo avanti con la gravidanza. Le era rimasto veramente poco tempo per decidere se tenere il bambino o meno.
Aspettò che la ragazza tornasse in salotto con un altro vassoio di pasticcini e si decise a parlare. Adesso o mai più.
Victoria prese un sorso di tè e poi abbassò la tazza, stringendola ancora tra le mani.
“Allora… hai deciso cosa fare con il bambino?”
Elaine Burke trattenne una risatina. “Sapevo che saresti arrivata a questo punto…” la giovane si accarezzò la pancia che ormai si intravedeva sotto il vestito.
“E’ il figlio di un mangiamorte” sospirò triste.
“Ma è anche tuo figlio”
“Come potrei guardarlo negli occhi e vedere ogni giorno la persona che mi ha fatto tanto del male quando invece si sarebbe dovuto prendere cura di me?”
“Nessuno potrà mai cancellare quello che lui ti ha fatto ma pensa a questo bambino come forse l’unica cosa buona che tuo marito possa averti lasciato. Un bambino è un dono meraviglioso…io farei qualsiasi cosa per poter aver indietro il mio bambino”

 
Victoria non poteva fare a meno di essere felice per lei, perché Elaine si meritava un po’ di felicità, ma non era una felicità completa perché la gravidanza dell’amica continuava a ricordarle quello che lei non aveva potuto avere. Sentiva quel vuoto dentro se stessa e non sapeva se sarebbe mai riuscita a colmarlo.

***

Uscendo dall’ospedale, alla fine del turno, Maysilee si era diretta al reparto Janus Thickey. Era stato un mese infernale dal punto di vista lavorativo e aveva impedito a lei e Freya di trascorrere un po’ di tempo insieme. Fortunatamente l’amica poteva fare una pausa e quindi le due si diressero verso la caffetteria dell’ospedale per prendere qualcosa da bere.
Freya le aveva raccontato dell’ultimo attacco di panico ma aveva cercato di minimizzare la cosa. May invece si era preoccupata. L’amica soffriva di attacchi di panico da quando un mangiamorte l’aveva violentata ma aveva rimosso tutto dalla sua memoria; solo quando le tornava qualcosa in mente rischiava un attacco.
L’ultimo l’aveva lasciata più sconvolta degli altri e Freya si era impegnata sul lavoro per cercare di non pensarci.
“Hai un aspetto orribile” le disse May
“Sono solo stanca, tutto qui”
“Sicura?” chiese May “Sono preoccupata…credo che dovresti parlare con qualcuno, uno specialista, intendo”
La faccia di Freya si tramutò in un’espressione di offesa.
“Non sono pazza! Te l’ho detto, ho solo bisogno di riposare”
“Non ho detto questo!” ribattè May
Freya si alzò e guardò l’altra ragazza con uno sguardo incendiario. “Prima Samuel, convinto che fossi pazza e adesso tu…” scosse la testa leggermente e se ne andò, senza rispondere all’amica che la chiamava.

 

 

 

Hallo gente!

Qui dove sono ora ha piovuto ieri sera e quindi mi sono messa a scrivere un po’. So che avrei dovuto pubblicare un altro capitolo di Another Hogwarts Generation (il prequel di ATP) ma non avevo il tempo di rivedermi le schede quindi quello lo scriverò la prossima settimana.

Veniamo al capitolo. Luke è il primo personaggio eliminato perché la sua autrice è sparita. Mi dispiace ma questa è una legge non scritta delle interattive e mi sembra una questione di rispetto verso chi è sempre presente.

Come al solito non ho riletto perché sono di coccio e non rileggo mai quindi segnalatemi eventuali errori (o orrori)

A presto

Hadley in versione crucca

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Capitolo 8
*** Aprile ***


William e Angela camminavano tranquillamente lungo una stradina laterale rispetto a Diagon Alley. Lui aveva insistito per fare un po’ di strada insieme e godersi un po’ di quel tepore primaverile.
Mentre entravano nel Paiolo Magico per passare poi alla parte magica di Londra il ragazzo le chiese se lei avesse avuto notizie di Luke, visto che l’amico non aveva risposto al suo ultimo gufo.
“Devo ancora capire come ha fatto a nascere qualcosa tra voi due, litigavate sempre! E a me” aggiunse indicando il suo torace con il pollice “toccava sempre fare da paciere”
Angela si strinse nelle spalle. Non riusciva a spiegarselo neanche a lei e rispose la prima che gli venne in mente. “Che ci vuoi fare? Gli opposti si attraggono”
“Quello è magnetismo non amore” puntualizzò lui “E voi due siete tutt’altro che opposti, fidati. Però sono contento se vi siete innamorati, sarà stato per questo che Luke sembrava così sereno negli ultimi tempi”
Angela ridacchiò. “Dovresti provarlo anche tu sai?”
“Non voglio una ragazza adesso, te l’ho detto”
“Oh andiamo, hai mezzo ufficio che ti corre dietro, possibile che non ci sia neanche una ragazza che ti piaccia?”
Al segno di diniego da parte dell’amico Angy continuò. “E di quella tua amica che sei andato a trovare?”
“Elaine Burke non è mia amica”
“Sì certo e io sono una Veela”
“Ah davvero? Non lo sapevo” scherzò Will guadagnandosi una sonora gomitata tra le costole.
Angela notò una panchina libera lungo la strada e si accomodò. William seguì l’esempio e si appoggiò con tutta la schiena, mettendosi le mani dietro la testa.
“C’è qualcosa che devi dirmi? Lei ti piace, non è vero?”
“No!” replicò subito lui, quasi mettendosi sulla difensiva. “Mi è solo rimasta impressa…”
William Traynor cercava, con gli occhi azzurri, di sfuggire allo sguardo indagatore della sua migliore amica. Sapeva che ad Angela bastava uno sguardo per capire o fargli sputare fuori tutto quello che gli passava per la testa.
“Era la prima volta che interrogavo qualcuno che conoscevo, anche solo vagamente. E c’era qualcosa in quegli occhi, non erano come quelli del resto dei mangiamorte che avevo già interrogato. Erano più…limpidi, sembrava di riuscire a vederci attraverso tutte le emozioni contrastanti che la stavano confondendo.”
Angela lo guardò con un’alzata di sopracciglio “E…?”
“E niente! È sposata e aspetta un bambino e fa praticamente l’eremita in casa sua. Mi suscita compassione.”
“Solo compassione?”
“Oh smettila! Andiamo o farò tardi a lavoro” la incitò lui alzandosi. Angy lo seguì senza replicare ma sapeva che forse dietro quello che William aveva detto c’era molto di più.

 
Quando Angela entrò nella stanza che faceva da spogliatoio per le Guaritrici venne praticamente travolta da una ragazza bionda che camminava a passo svelto.
Maysilee continuava a inseguire Freya senza staccarla più di qualche passo. Si fermò solo un paio di secondi per salutare la mora che aveva appena aperto la porta poi ripartì più veloce.
“Non riuscirai a seminarmi” la minacciò “Continuerò a starti alle costole, dovessimo arrivare a piedi nelle Highlands!”
Quando Freya accelerò May, in uno scatto di rabbia, batté il pugno contro uno degli armadietti di metallo alla sua destra, facendo sobbalzare un altro Curatore di passaggio.
La vide girare in fondo al corridoio e la seguì trovandosi in un vicolo cieco. Non c’era traccia della sua amica, per un attimo si chiese se si fosse smaterializzata poi si ricordò che al San Mungo era impossibile farlo, così si guardò intorno e notò la porta del bagno. Doveva essere per forza lì.
May entrò cercando di far meno rumore possibile. Lanciò qualche sguardo verso gli spazi vuoti tra le porte e il pavimento alla ricerca dei piedi di Freya. Intravide una figura seduta a terra, quasi accovacciata su se stessa. Provò ad aprire la porta ma essa era stata chiusa dall’esterno.
“Apri” disse May. Lo disse una, cinque, dieci volte con tono sempre più perentorio.
La voce proveniente dall’interno del bagno suonò come una supplica strozzata dalle lacrime “Vattene! Ti prego”
“No. Non me ne andrò senza che tu mi apra”
“Non puoi semplicemente lasciarmi sola?”
La bocca di May si piegò in un mezzo sorriso. La ragazza si abbassò fino a distendersi sul pavimento di mattonelle bianche. Appoggiò anche la testa a terra, pregando che essendo in un ospedale il pavimento fosse pulito, e si voltò verso l’interno del bagno, così riusciva a vedere meglio Freya, che teneva il viso abbassato, con gli occhi puntati al pavimento.
“Sono la tua migliore amica, non me ne andrò per quanto tu me lo chiederai”
May vide le lacrime scorrere sul viso dell’amica e le chiese “Perché non mi parli di quello che ti sta succedendo. Capisco che non vuoi parlarne con un estraneo… ma con me, perché no?”
“Dall’altro giorno continuo ad avere flash di quella sera… non ce la faccio, non ce la faccio a rivivere tutto ancora. Vorrei essere morta quella notte…sarebbe stato infinitamente più semplice”.
“Non dire così”. May allungò una mano fino a toccare il piede dell’amica. “Devi combattere, so che vuoi farlo…ma non puoi farlo da sola. Ci sono io a farlo con te, ok?”
Freya annuì debolmente, alzando gli occhi scuri sull’amica che le sorrise dolcemente.
“E adesso apri e vieni di qui ad aiutarmi ad alzarmi perché credo di aver preso il colpo della Megera”
A Freya scappò un risolino, si alzò e allungò una mano verso l’altra ragazza per aiutarla a fare altrettanto. Una volta in piedi le due si abbracciarono e rimasero così per qualche minuto.

 

Era la domenica di Pasqua e il tempo sembrava reggere, nonostante le nuvole in cielo minacciassero pioggia con il loro grigiore.
Victoria aveva pranzato a casa di suo fratello in occasione della festa e aveva portato a suo nipote una specie di uovo di cioccolato che aveva adocchiato in una pasticceria babbana.
Lucian sembrava aver apprezzato molto, confermando la teoria della commessa, secondo cui “Non si è mai troppo grandi per queste cose”.
Lucian era in cucina a dare una mano a Krystal così suo fratello ne approfittò per sedersi sul divano rosso accanto a lei.
“Allora, come stai?”
“Bene, te l’ho detto” rispose Victoria come se fosse ovvio.
Zeek la guardò piuttosto scettico. Non gliela faceva, si atteggiava come se tutto andasse bene e certo, lavorava e conduceva una vita apparentemente normale ma in realtà era una vita piatta, vissuta senza viverla veramente.
“Come fai a sapere che ti sto mentendo?”
“Sono tuo fratello, è mio compito preoccuparmi per te” le sorrise lui.
Victoria le raccontò che a lavoro andava tutto bene, e si stava abituando a vivere da sola ma suo marito le mancava incredibilmente.
“So che è passato solo un anno e poco più ma hai mai pensato di frequentare qualcun altro?”
“Non credo di essere ancora pronta… non sarò mai pronta fino in fondo” ammise Victoria.
Zeek tese una mano e la appoggiò sopra a quelle di lei. “Vedrai che accadrà…quando meno te lo aspetterai sarai felice di nuovo con qualcuno.”
Gli incoraggiamenti del fratello funzionarono e la ragazza tornò a casa leggermente rincuorata e gli sorrise.
“Perché nel frattempo non fai qualcosa per te?” le propose lui.
Lo sguardo di Victoria diventò leggermente perplesso. “Che intendi?”
“Beh, il tuo sogno era diventare una Guaritrice, no? Perché non ci provi?”
“Non essere sciocco, Zeek. Si parla di anni di studi e io ho già 25 anni!”
“Appunto, hai 25 anni, non 80. Puoi ancora fare quello che vuoi…facci un pensierino, fallo per il tuo fratellone” Zeek sfoggiò il tipico sguardo da cane bastonato che fece scoppiare a ridere Victoria.
“Va bene, va bene, ci penserò”

 

Quel giorno Edward venne invitato dal suo collega Sebastian a pranzare con lui al Crazy Head, per quanto si potesse considerare pranzare quella che era una pausa di mezz’ora dal lavoro.
Per una volta Edward accettò di buon grado, era proprio curioso di vedere la reazione della proprietaria del locale ad una sua ricomparsa.
Mentre camminavano per la strada lui e Sebastian discussero di cosa avrebbero mangiato e bevuto, per ottimizzare i tempi.
Entrarono nel locale quasi vuoto all’ora di pranzo e si sederono ad un tavolino. Johanna non ci mise molto ad individuarli ed avvicinarsi per prendere la loro ordinazione. Fece finta di niente di fronte a lui, come se fosse un cliente normale.
Mentre aspettavano i loro hamburger Edward si alzò e si diresse verso il bancone dove la ragazza stava preparando delle Burrobirre da servire per un chiassoso gruppo di ragazzini che sedevano in fondo.
“Allora, stavolta sono degno di essere servito?”
Johanna si morse la lingua. Sarebbe stato giusto chiedergli scusa, ammettere che magari si era sbagliata a giudicarlo solo per via del suo cognome. Non era di certo colpa sua se suo fratello era stato un coglione!
“Forse” si limitò a rispondere.
“Riuscirò mai a farti cambiare totalmente idea su di me?” chiese lui con un briciolo di speranza.
“Forse” rispose di nuovo lei mentre si affaccendava prendendo i loro piatti dal cucinino per portarli al tavolo.
“No…niente forse. Ti farò rimangiare le tue parole, Johanna Johnson e a quel punto ti dovrai scusare con me”
Il tono che Edward aveva usato era un misto di divertimento e di sfida. Johanna non fece in tempo a replicare perché il ragazzo si sporse verso di lei e gli rubò i piatti dalle mani.
“Ma…” cercò di protestare Johanna ma venne zittita da un velocissimo bacio su una guancia e da un “Grazie per gli hamburger, facciamo che li offre la casa stavolta?”
Edward se ne tornò verso il tavolo con le mani occupate da due piatti di hamburger e patatine e con un sorriso trionfante stampato in volto.
Alle sue spalle lasciò una ragazza mora praticamente pietrificata. Johanna sembrava incapace di muoversi, sentiva solo il suo cuore battere all’impazzata, quasi fosse fuori controllo e una sensazione di formicolio e calore che si irradiava dal punto in cui le labbra di Edward Burke l’avevano sfiorata in modo sfuggevole. Era come se la sua pelle, in quel punto, bruciasse. Era una sensazione che non aveva mai provato prima.

 

Buongiorno gente!

A dire la verità volevo aggiornare ieri sera ma i server di EFP facevano un po’ le bizze o perlomeno il mio computer si rifiutava di farmi accedere e siccome sono sveglia dalle 3 e mezza (causa terremoto, chi è del centro Italia tipo Umbria e Marche può capirmi) ho deciso di pubblicare stamattina.

Ormai siamo a metà storia e non mi pare vero, è giunto il tempo quindi di un giro di boa per alcuni personaggi.

So che il capitolo non è lungo ma la sessione di settembre si avvicina e non volevo lasciarvi troppo a secco visto che prevedo per i prossimi tempi aggiornamenti irregolari.

Vi saluto e vi ringrazio come sempre per le recensioni!

H.

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Capitolo 9
*** Maggio ***


Era riuscita finalmente ad abbandonare la felpa in favore di una maglietta a maniche lunghe, accompagnata ai soliti jeans.
Si avvicinò al divano, dove il suo Botolo se ne stava arrotolato su se stesso, dormendo come faceva per la maggior parte del giorno. Accarezzò il lungo pelo bianco e l’animale alzò pigramente il muso guardando la padrona con aria assonnata e infastidita insieme.
Gli disse che sarebbe uscita ma che sarebbe tornata presto. Prese la borsa e si avviò verso la porta.
Si ritrovò a sorridere in modo quasi involontario quando sentì il sole scaldarle la pelle. Il bel tempo le aveva messo addosso la voglia di godersi il suo giorno libero, così aveva chiesto a Edward di vedersi per pranzo. E lui le aveva proposto il Crazy Head.
Strano.
L’ultima volta che era andata lì con lui le cose non erano andate esattamente…bene.
Victoria camminò fino al locale dove si sarebbero incontrati e una volta entrata si accomodò ad uno dei tavoli. Ordinò una burrobirra in attesa dell’arrivo del suo migliore amico.
Lo vide entrare non molto tempo dopo ma Edward non andò direttamente da lei bensì si fermò a parlare con Johanna, la proprietaria del locale e la ragazza che solo qualche tempo prima lo aveva pesantemente insultato.
Quando Edward la raggiunse al tavolo, Victoria fu estremamente tentata di fargli il terzo grado.
“Mi spieghi cosa succede?” gli chiese in tono più gentile possibile.
Edward fece spallucce. Sapeva che non sarebbe riuscita a scucirgli una parola. Quando ci si metteva riusciva a essere più chiuso di lei. L’unica consolazione era sapere che si sarebbe aperto, prima o poi.
“A te, che succede?” Edward cercò di cambiare subito discorso mentre si sedeva sulla sedia di fronte a lei.
E così Victoria gli raccontò tutto, gli raccontò di Pasqua e dell’idea che le aveva messo in testa suo fratello: andare a studiare Medimagia. Lasciare il suo lavoro, il suo porto sicuro, per imbarcarsi in una nuova avventura.
“Secondo me Zeek ha ragione” disse Edward convinto “Insomma, ti è sempre piaciuto studiare Medimagia ma non l’hai mai fatto e ti sei rintanata in un lavoro che odi”
“Io amo il mio lavoro!” obiettò subito lei.
“D’accordo lo ami, ma non è il tuo lavoro dei sogni. Ti sei accontenta.”
“Non mi sono accontentata!” rispose di nuovo Victoria mettendosi sulla difensiva “Volevo creare una famiglia con David, volevo un lavoro che mi permettesse di passare tempo con la mia famiglia…ma le cose sono un tantinello cambiate”
Le ultime parole le aggiunse con una nota di amarezza nella voce. Rivangare il passato le causava sempre un nodo in gola.
Abbassò istintivamente lo sguardo verso il tavolo, focalizzandosi sulle venature del legno scuro. Non amava farsi vedere con gli occhi lucidi ma era una cosa che non riusciva ancora a controllare del tutto.
“Hai perso le persone che amavi di più”
“Non sai quello che vuol dire”
“Forse non so quello che vuol dire ma sono sicuro che David non avrebbe voluto che tu ti fossilizzassi nel tuo dolore. Devi ricominciare a uscire, e non solo per andare a lavoro. Fallo per lui. E per me.”
Edward sfoggiò uno dei suoi sorrisetti che spinsero Victoria a sorridere a sua volta.
“Lo sai che il discorso sull’uscire dovresti farlo anche a tua sorella?”
“Lo so” sbuffò lui mentre tagliava le salsicce che gli erano appena state servite. “Ma non posso costringerla…forse a te darebbe retta…sareste il bue che dice cornuto all’asino” ridacchiò.
“Ha paura…dopo quello che le ha fatto Magnus…però penso che un po’ d’aria e di distrazione le farebbe bene, specialmente nelle sue condizioni.”
“Vedi? Parli già come una Curatrice!”
“Oh smettila, piuttosto…quando ci sarà la prossima udienza per tuo cognato?”
“Metà Luglio…sai come sono i tempi del Wizengamot”
Victoria annuì debolmente davanti alla faccia leggermente preoccupata dell’amico.
Sebastian se ne stava appoggiato al bancone, aveva guardato la sua migliore amica di sottecchi durante tutto il tempo con cui aveva parlato col suo collega e amico Edward Burke. Nelle ultime settimane gli era capitato di vederlo relativamente spesso nel locale mentre prima non lo frequentava quasi mai.
Li aveva sentiti parlare del più e del meno, qualche volta era stato coinvolto anche lui nella conversazione e aveva visto Johanna sciogliersi poco a poco, addirittura ridere!
Dopo che Burke si era recato al suo tavolo lui aveva continuato a osservare l’amica chiedendosi se finalmente avesse cambiato idea e seguito il consiglio di provare a non fare di tutta l’erba un fascio e cercare di vedere Edward Burke come qualcosa di diverso dal fratello e cognato di due dei Mangiamorte che erano stati nella cerchia che aveva torturato lei e suo zio e che lui aveva quasi ucciso in un impeto di furia cieca e incontrollata.
Venne riscosso dai suoi pensieri dalla familiare voce di Maysilee.
“Ciao Jo Badass. Sebastian” salutò poi rivolta a lui che in risposta alzò il proprio boccale di burrobirra. Accanto a Maysilee c’era una ragazza che aveva visto solo un’altra volta al locale.
Gli saltò agli occhi per il suo quasi rovesciare un piatto di noccioline lì accanto nel salire sull’alto sgabello.
Freya salutò Johanna con un sorriso.
“Tornate dal lavoro?” chiese la mora.
“Già, abbiamo solo un paio di ore di pausa e poi torniamo all’ospedale” rispose May.
“Quindi, che cosa vi offro mie belle signorine?” chiese Sebastian dal suo posto. Maysilee lo conosceva un po’, ci era abituata, invece Freya alzò un sopracciglio come a voler dire e adesso che vuole questo?
Nel frattempo Johanna era uscita da dietro il bancone con un vassoio pieno di bicchieri tra le mani.
“Smettila di fare il farfallone con le mie amiche, tanto non funziona” aveva detto Johanna passando accanto al gruppetto mentre si dirigeva ai tavoli.
“Oh non ti preoccupare Jo, siamo in grado di domarlo!” rise May.
Le due ragazze restarono lì fino a che non si fece ora di tornare al San Mungo. Ridevano mentre parlavano di non so quale caso e a Sebastian rimase tremendamente impresso il limpido suono che usciva dalle labbra di Freya Stoker.

 

Era una piovosa mattina di metà maggio e il cimitero del quartiere magico era vuoto, eccetto per una figura femminile avvolta in un impermeabile scuro.
Angela Stuart se ne stava in piedi davanti la tomba di sua sorella. Osservava la foto di Camille, i capelli castani e quegli occhi azzurri così simili ai suoi. Entrambe avevano ereditato gli occhi dalla madre ma era forse l’unico tratto che avevano in comune con la donna che le aveva partorite. Lei e Camille erano sempre state quelle con un carattere più forte, per questo spesso litigavano ma in fondo si volevano un gran bene e si erano sostenute a vicenda quando Jonathan era scomparso.
Le mancavano entrambi terribilmente, soprattutto in giorni come quello. Camille avrebbe festeggiato i suoi 27 anni quel giorno. Fino a due anni prima avevano festeggiato con una torta alle carote, la preferita di sua sorella ma poi lei era morta combattendo da Auror fiera e determinata qual era e Angela era rimasta sola.
Rimase lì un tempo indefinito, avvertendo appena la pioggia le scorreva addosso.
Quando tornò verso casa materializzò, dal suono che facevano le sue scarpe, di essere bagnata come un pulcino.
Si tolse le scarpe e le abbandonò nell’ingresso, appese il giubbetto sull’attaccapanni e si diresse verso la cucina. Aveva bisogno di una tazza di tè caldo. Da bravo inglese doc suo padre le aveva insegnato che non c’era niente che una tazza della bevanda ambrata non potesse sistemare. Ok, qualche rarissima volta per bevanda ambrata lui intendeva il cognac.
Venne accolta nella stanza da un insistente picchiettare sulla finestra, avvicinandosi si accorse che si trattava della sua civetta Cherry.
Appena aprì la finestra l’animale volò all’interno della stanza con fare stizzito per poi posarsi in cima allo schienale di una delle sedie che si trovavano attorno al tavolo.
Angela la guardò, vide le penne arruffate dal cattivo tempo e provò ad allungare un biscotto alla civetta. In risposta Cherry la guardò quasi offesa ma lasciò comunque andare la lettera che teneva nel becco.
La ragazza fece un incantesimo per asciugare la busta e si sedette a tavola per leggera con calma. Era una lettera di Lucas. Nonostante non si vedessero più si scrivevano circa una volta a settimana, raccontandosi solo la loro quotidianità. Dalle lettere non trasparivano i rispettivi sentimenti, non erano tipi da esternarli troppo ma Angela in realtà sentiva la sua mancanza. Le mancava i battibecchi, persino quelle piccole scaramucce che riempivano la sua quotidianità.

 

Certo che la vita era strana, pensava May quella notte dopo che Freya le aveva raccontato che quella sera stessa Sebastian Lennox l’aveva invitata ad uscire, dopo due settimane che le girava intorno come un’ape.
Freya era stata un po’ titubante ma si era trovata lì nel bel mezzo del Crazy Head e non poteva rifiutare; il successivo lunedì sera, suo unico giorno libero, sarebbe andata quindi a vedere uno spettacolo a teatro nel West End.
Non conosceva benissimo Sebastian ma se era il miglior amico di Johanna evidentemente era una persona di cui ci si poteva fidare. Chissà forse avrebbe fatto bene a Freya, provare a frequentare qualcuno di nuovo e di diverso.
Venne riscossa da un altro Guaritore che la chiamava dal fondo del corridoio per un’emergenza. Rimasero fino all’alba a cercare di salvare la vita ad un uomo che allevava Lobalug al fine di ricavarne il famoso veleno. I suoi stessi animali l’avevano attaccato e il poverino aveva rischiato di morire dissanguato.
Quando uscì dalla sala tirò un sospiro di sollievo. Vide una donna alzarsi da uno dei sedili che erano disposti lungo il corridoio.
“Come sta mio marito?” chiese preoccupata mentre due i suoi due bambini erano rimasti seduti con le loro faccine affrante.
“È un combattente…è un po’ debole ma sta bene” cercò di tranquillizzarla May.
La donna sorrise sollevata e la ringraziò, poi tornò dai figli. “Avete sentito? Papà sta bene…possiamo entrare, vero signorina?” chiese poi rivolta a May, la quale annuì.
La donna prese i due bambini per mano e si avviò verso la stanza. Quando il terzetto passò accanto a May, la bambina alzò su di lei gli occhi scuri. Non disse nulla ma per lei quello sguardo voleva dire tutto. Erano occhi carichi di spavento ma anche di gratitudine.
Maysilee Higgins-Clark si ritrovò a pensare al valore che aveva il suo lavoro. Non era stata salvata solo una vita ma anche quella di chi gli stava intorno.

 

Era un venerdì pomeriggio piuttosto ventoso nonostante fosse tornato a splendere il sole su Londra. William aveva lavorato tutta la settimana e non vedeva l’ora di poter tornare a casa a riposare ma era stato avvertito da un Auror di passaggio che c’era ancora un altro interrogatorio da fare e lui avrebbe dovuto presenziare per leggere la mente dell’uomo che era rinchiuso ad Azkaban e sarebbe stato trasferito nell’aula Dieci per l’occasione.
Non aveva chiesto di chi si trattasse, non lo faceva mai, per evitare di farsi pregiudizi. Fu proprio per questo motivo che si trovò particolarmente spiazzato quando entrando nell’aula Dieci si trovò davanti uno degli uomini che avevano torturato i suoi genitori babbani.
Per un momento non seppe cosa fare. Non riusciva a muoversi. Leggere nella mente di quel bastardo era una cosa che si sarebbe evitato più che volentieri ma sapeva che era il suo lavoro e non poteva tirarsi indietro, non avrebbe mai ammesso che non era in grado di reggere un’esperienza del genere.
I due Auror che stavano conducendo l’interrogatorio si voltarono verso di lui che invece se ne stava ancora fermo sulla porta a fissare quel viso che non avrebbe mai dimenticato.
Sia la donna che l’uomo dietro la scrivania lo stavano scrutando ma mentre la prima sembrava più curiosa il secondo sembrava pensare che diavolo ha questo tipo?
Poi la mora si alzò e gli andò incontro. Solo quando si fu avvicinata abbastanza Will riconobbe la stessa donna che era intervenuta quella sera a casa sua.
“Puoi andare se vuoi” gli disse in tono comprensivo.
William annuì e la ringraziò mentalmente. Sicuramente anche lei lo aveva riconosciuto e aveva capito. Solo dopo essere uscito dalla stanza e essersi appoggiato al muro William si rese conto che per tutto il tempo aveva digrignato i denti, come una bestia inferocita.

 

Era ormai tardi quel lunedì sera, l’ultimo giorno di maggio, quando Edward entrò al Crazy Head ormai vuoto.
“Che ci fai qui?” chiese Johanna che stava iniziando a pulire per poter chiudere.
Edward sorrise come un bambino, con le mani nascoste dietro la schiena.
“L’altro giorno abbiamo parlato di dolci, ricordi? Beh mia sorella stasera aveva voglia di Cioccoli Giganti e così ha avuto la brillante idea di spedirmi da Mielandia!” poi all’improvviso lui si fece più timido e tirò fuori la scatola che teneva nascosta dietro la schiena.
“Ho pensato di portarti una scatola di piume di zucchero” aggiunse con un sorrisetto imbarazzato. In parte Edward si stava pentendo di ciò che aveva appena fatto. Aveva osato troppo? Aveva fatto il passo più lungo della gamba?
Era stato in dubbio per tutto il tempo, finché non si era deciso a comprare quei dolci che gli ricordavano tanto la ragazza del locale.
Johanna sembrò sorpresa, piacevolmente sorpresa.
“Grazie” balbettò. Un momento…da quando Johanna Johnson balbettava? Cosa le stava succedendo, le si era forse fritto il cervello?
Il ragazzo si sedette su uno degli sgabelli dopo aver appoggiato la scatola sul bancone. I due condivisero le piume, si mangiarono l’intera scatola commentando i vari gusti. Così Johanna aveva scoperto che lui detestava la liquirizia e Edward aveva scoperto che lei, nonostante fosse una dai gusti apparentemente forti come lei, amava le cose dolci e un po’ acidule, come le piume al lampone.
Edward la stava prendendo leggermente in giro perché aveva il viso sporco di zucchero quando un gufetto marrone entrò da una delle finestre ancora aperte.
L’animale aveva una piccola pergamena legata alla zampa. Johanna la prese. Era chiusa con una ceralacca rossa sul quale erano impressi l’osso e la bacchetta incrociati che rappresentavano l’ospedale magico.
La ragazza aprì il messaggio con mani tremanti, cosa che fece subito preoccupare Edward.
“Si tratta di mio zio” disse semplicemente Johanna.

 

 

Buonasera gente!

So che avevo pubblicato un avviso ma ieri ho superato l’esame e avevo troppa voglia di riprendere in mano il computer…sentivo proprio il bisogno di scrivere, mi è mancato troppo in questi giorni!

Vi prego non uccidetemi per il finale e magari preparate i fazzoletti per il prossimo capitolo ù.ù

Sempre vostra

H.

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Capitolo 10
*** Giugno ***


Sorpresa!
Dato che non ho niente da fare fino a mercoledì e dato che ho una leggera influenza mi sono messa a scrivere oggi, vi dico solo una cosa…per favore, non uccidetemi.
H.

 

 

 

Quando uscirono dall’ospedale Edward poggiò una mano sulla spalla di Johanna e scorse piano fino ad accarezzarle il braccio.
“Sei sicura che non vuoi che avverta Sebastian, in qualche modo?”
La ragazza scosse leggermente la testa. “No, è al suo primo appuntamento con Freya, non voglio rovinargli la serata.”
Edward annuì. “Ti accompagno a casa allora.”
Durante tutto il tragitto che percorsero a piedi nessuno dei due fiatò. Johanna camminava accanto al ragazzo alto e biondo che invece la guardava.
Edward si ritrovò a pensare a quanto fosse forte Johanna. Quando, arrivati al San Mungo, le avevano detto che suo zio era morto per un infarto lei non era crollata e fiera come solo le donne sanno essere, era entrata nell’obitorio per dare un ultimo saluto alla persona che l’aveva cresciuta.
Lui aveva aspettato fuori, come era giusto che fosse. Johanna era uscita una mezz’ora dopo, non piangeva ma si vedeva che i suoi occhi erano lucidi e leggermente arrossati.
“Era l’unica famiglia che avevo” disse semplicemente. Johanna non seppe neanche dire se la sua frase era rivolta al ragazzo di fronte a lei o a sé stessa, con lo scopo di rendere le cose più reali.
Istintivamente Edward cercò di abbracciarla ma Johanna fece un passo indietro. Non aveva mai amato gli abbracci e le pubbliche manifestazioni di affetto, non erano decisamente da lei. L’unico finora che l’aveva mai abbracciata era Sebastian ma con lui era diverso, l’aveva sempre considerato una specie di fratello.
Edward incassò il colpo senza dire una parola. Non poteva negare di sentirsi leggermente ferito per essere stato respinto in quel modo ma si rendeva conto di che tipo di persona fosse Johanna. Non era certo la più affabile e dolce delle ragazze ma ero sicuro che sotto quella scorza da dura ci fosse molto di più.
Johanna aprì la porta dell’appartamento con una certa titubanza. Per la prima volta, lì, in quel piccolo ingresso, sentì davvero quanto potevano essere vuote quattro mura.
Quella era stata casa di suo zio e poi era diventata sua ma adesso si sentiva quasi un’estranea mentre con un gesto abituale si tolse le scarpe e si sedette sul divano. Appoggiò i gomiti sulle sue ginocchia e si passò le mani tra i capelli.
“Perché non ti stendi un po’?” le chiese Edward “Hai bisogno di riposare.”
In effetti Johanna si sentiva incredibilmente spossata, come se la sua felicità le fosse stata portata via da un Dissennatore.
Lentamente si diresse verso la camera e si infilò ancora vestita sotto la coperta, con la schiena appoggiata alla testa del letto. “Ti porto qualcosa di caldo?”
Johanna fece cenno di no con la testa. “Non ho bisogno di una tazza di tè o di cioccolata calda” disse con voce mesta.
“Ok” rispose Edward ma si recò ugualmente verso l’angolo cucina. Tornò indietro con una tazza tra le mani suscitando una certa perplessità negli occhi azzurri della giovane.
“Ti avevo detto che non avevo bisogno di…” ma non ebbe il tempo di completare la frase perché il biondo la interruppe.
“Non è tè”
Appena il ragazzo si sedette sul ciglio del materasso e le passò la tazza Johanna stessa riconobbe dall’odore che si trattava di Odgen Stravecchio. Non sapeva dove l’avesse trovata ma in quel momento gli era molto grata.
“Adesso cerca di dormire” disse con voce dolce e rassicurante. “Io vado a casa ma per qualsiasi cosa mandami un patronus o un gufo.”
Johanna posò una mano sopra a quella che lui aveva appoggiato sul materasso. “Ti prego resta”.
Quelle tre parole, quella supplica valsero per Edward più di mille scuse. Era evidente quanto Johanna avesse cambiato idea su di lui. Lei che era stata a contatto con parecchi uomini a causa del suo lavoro aveva visto quanto potevano essere brutali e quello che potevano fare per approfittarsi di una giovane donna. Non avrebbe mai fatto una richiesta del genere se non si fosse fidata.
Edward si stese sul letto e la abbracciò da dietro. Johanna non oppose resistenza, si irrigidì appena ma poco dopo si lasciò andare. Tenne Johanna stretta a lui per tutta la notte, senza chiudere mai occhio. La abbracciò ancora più forte quando si accorse che stava piangendo, anche se nel più assoluto silenzio. Si rilassò solo quando ormai fuori albeggiava e la ragazza aveva iniziato a respirare piano e tranquillamente, segno che la stanchezza aveva prevaricato e lei si era addormentata.

 

La mattina May aspettò Freya seduta al tavolo della casa che avevano iniziato a condividere solo qualche settimana prima. L’unico modo per riuscire a pagare un appartamento decente in una zona residenziale come quella era condividerlo con uno o più coinquilini, per questo le due amiche avevano deciso di dividersi l’affitto di quel modesto ma accogliente trilocale non troppo lontano dal loro luogo di lavoro.
Quando era rientrata dal lavoro, a mezzanotte passata, aveva visto dalla porta della camera aperta che la sua amica non era ancora tornata ma May non sapeva dire a che ora fosse rientrata Freya in quanto era crollata in un sonno profondo appena si era buttata a peso morto sul letto. Quella mattina aveva atteso la sua migliore amica al varco, non sarebbe di certo sfuggita al suo interrogatorio.
Freya entrò nella piccola cucina ancora in pigiama, con i capelli spettinati e il viso leggermente impiastricciato dal trucco della sera prima, che non aveva tolto.
“Buongiorno splendore” la salutò allegramente May che era sveglia e pimpante già da un paio d’ore.
Freya grugnì in risposta mentre si avvicinava al lavandino per prendere una tazza dallo scolapiatti, tazza che riempì di caffè prima di sedersi vicino a May.
“Cosa vuoi sapere?” chiese direttamente all’amica, sapeva che era inutile cominciare un discorso più sul vago quando comunque sarebbero andate a parare lì.
Maysilee sfoggiò un sorriso da angioletto innocente. “Come è andato l’appuntamento?”
La bionda si strinse nelle spalle. “Siamo andati a vedere Cats, è stata una serata piacevole…”
“…ma?”
“Perché credi ci sia un ma?”
May le sorrise. “Tesoro ti conosco da 12 anni, so quando c’è un ma. Continua.”
“Non ho intenzione di rivederlo” sputò fuori Freya.
“Posso chiederti il perché?” l’amica si bloccò prima di continuare “Non sarà ancora per la questione di…”
“Non è per la questione di…” la interruppe l’altra.
“Oh andiamo non riesci neanche a pronunciare il suo nome e vorresti farmi credere di averla superata?”
“Io riesco a pronunciare il nome di…Simon” pronunciò quel nome ma ogni lettera le costò molta fatica e May se ne accorse.
“Vedi? Non l’hai superata”
“Senti, Sebastian è carino, simpatico e si è comportato da vero gentiluomo anche se il fatto che per mezzo spettacolo la sua attenzione sia stata rivolta a me mi ha inquietata un po’”
Il discorso di Freya venne interrotta da una risatina della sua coinquilina.
“Ho solo paura che accada di nuovo qualcosa di simile a quello che è successo.”
“Oh, andiamo, Simon era un coglione!”
“Sì ma dopo che io l’ho mandato all’ospedale! E se dovesse succedere di nuovo?” Non ci voleva nemmeno pensare. Non se lo sarebbe mai perdonato.
“Non puoi basare il tuo futuro sui se, tesoro”
“Ho bisogno di più tempo” disse Freya
“Mi sembra evidente. Prenditi il tuo tempo, non ti dico mica di andarci a letto insieme subito! Prenditi il tuo tempo ma dagli una chance…cosa hai da perdere?”

 

Erano passati alcuni giorni dal funerale di Derek Johnson e Edward non riusciva ancora a dimenticare come Johanna era stata lì, statuaria, una specie di roccia che lui aveva rimirato da dietro, da lontano ma comunque vicino abbastanza da farle sentire la sua presenza, che lei aveva silenziosamente ringraziato con un sorriso sincero.
Era ancora alla Gringott quando comparve davanti a lui un gatto piuttosto grassottello e dal pelo lungo che parlò con la familiare voce di Victoria.
“Elaine all’ospedale. Ora.”
Non ci mise più di qualche minuto Edward a prendersi un permesso dal lavoro e smaterializzarsi davanti alle porte del San Mungo.
Corse a perdifiato verso il reparto maternità per raggiungere la sorella. Seguì le indicazioni che gli aveva fornito la strega all’accoglienza e in poco tempo si ritrovò a bussare ad una porta.
Aprì piano e vide Elaine Burke stesa su un letto, madida di sudore e agitata come non mai.
“Finalmente è arrivato anche il papà” disse la Curatrice nella stanza.
La donna sul lettino rispose “Veramente…è…solo…mio…fratello…” ogni parola era intervallata da un respiro sofferente e affannato.
“Solo tuo fratello? Ti ringrazio dell’alta opinione che hai di me, Ely”
“STA ZITTO!” sbraitò sua sorella in preda ai dolori.
Victoria ridacchiò, e prima di lasciare la stanza mise una mano sulla spalla del suo migliore amico e disse “Sei pronto per diventare zio?”
Victoria passeggiò avanti e indietro lungo il corridoio di linoleum bianco per circa un’oretta prima di sentire il vagito di un neonato provenire dalla stanza di Elaine Burke.
Sorrise in modo involontario. Quanto era straordinaria una nascita, la prima volta che un pianto voleva dire che andava tutto bene.
Passò ancora un po’ prima che dalla porta si affacciasse Edward. “Vieni?”
La ragazza non se lo fece ripetere due volte ed entrò piano nella stanza. Rimase affascinata nel vedere quanto la situazione fosse cambiata in quel poco tempo. L’espressione sul viso della sua amica era stanca ma felice e tra le braccia stringeva un fagottino avvolto in una coperta rosa confetto.
“Vuoi tenerla?” le chiese Elaine.
Victoria non se lo fece ripetere due volte e in un gesto del tutto naturale prese in braccio la bambina. Guardò rapita quei capelli e quegli occhi scuri che contraccambiavano il suo sguardo.
“Allora Vicky, ti piace la tua figlioccia Kayla?”
Al sentire quella domanda gli occhi di Victoria Crouch si riempirono di commozione e si ritrovò ad annuire mentre rideva e piangeva insieme.

 

Quando Angela andò a casa di William quella sera per il loro tradizionale film del sabato sera, o meglio dei sabati sera in cui lei non lavorava, lui si accorse subito che la sua amica non sembrava minimamente interessata a vedere la nuova trovata del babbano Steven Spielberg: E.T.
In realtà Angy moriva dalla voglia di raccontargli una cosa ma si sforzava di trattenersi mentre Will era andato a preparare una ciotola di popcorn.
Il ragazzo tornò verso il divano e si accomodò accanto a lei. “Allora…cos’è che vuoi dirmi? Sputa il rospo perché non potrò sopportare di guardare il film con te qui accanto che ti muovi come se avessi i carboni ardenti sotto il sedere”
Angela lo guardò un po’ confusa prima di parlare. “Ok…sai chi ho visto oggi entrare in ospedale?”
“Chi? Silente? Flamel?”
“Elaine Burke diretta a grande velocità verso il reparto maternità”
“E me lo dici perché…”
“Perché pensavo che ti interessasse!” Angela completò la frase con una punta di stizza nella voce.
William cercò di rimanere impassibile “No, non mi interessa”
“No, non mi interessa” gli rifece il verso l’amica.
Angela gli puntò contro il suo famoso indice accusatore e assottigliò lo sguardo per cercare di sembrare minacciosa. “Non mi imbrogli, caro il mio William Traynor. Puoi imbrogliare te stesso ma non puoi imbrogliare Angela Stuart”

 

Anche nei giorni successivi Victoria si recò al San Mungo per fare visita ad Elaine e Kayla. Passava lì sempre dopo il lavoro e rimaneva totalmente ammaliata dalla sua figlioccia. L’avrebbe decisamente viziata da morire, come aveva fatto con Lucian quando era piccolo.
Un giorno, su consiglio di Zeek, ne approfittò per passare all’Accademia di Medimagia che si trovava proprio nei sotterranei dell’ospedale. Si fece dare qualche info sul corso per diventare Guaritrice che avrebbe dovuto iniziare a settembre.
Uscì di lì con la testa piena di pensieri. Doveva assolutamente farsi i conti in tasca prima di imbarcarsi in quella avventura e doveva anche prendere dal Ghirigoro qualche libro di Medimagia per cominciare a studiare.
Stava ringraziando mentalmente il fatto di non aver ancora detto alla proprietaria che aveva intenzione di licenziarsi, altrimenti col cavolo che le avrebbe fatto lo sconto dipendenti, quando dietro l’angolo delle scale andò ad impattare contro qualcosa o meglio contro qualcuno.
“Mi scusi” balbettò imbarazzata prima di alzare lo sguardo sulla persona che aveva davanti. Si trattava di un uomo piuttosto alto, con dei luminosi occhi verdi e dei riccioli biondi che Victoria si ritrovò, stupidamente, a paragonare a quelli degli angeli che si vedono nei quadri. Il suo viso però, era un viso da uomo, leggermente allungato e coperto da un velo quasi invisibile di barba chiara.
“Non fa niente” sorrise l’uomo di fronte a lei ma Victoria si sentì ugualmente imbarazzata e abbassò lo sguardo notando il bicchiere di plastica che c’era a terra. Alzò di nuovo lo sguardo e vide che la camicia azzurra di lui era bagnata e penso subito al peggio.
“Oddio…mi dispiace tanto…si è scottato?”
L’uomo ridacchiò in risposta. “Era solo acqua, non ti preoccupare”
In un gesto automatico e spontaneo si era ritrovata a passare una mano sulla macchia come aveva fatto spesso con il suo David e appena se ne accorse arrossì in modo violento.
“Sono desolata…c’è qualcosa che posso fare per rimediare?”
“Beh…il minimo che tu possa fare a questo punto è presentarti” sorrise.
“Victoria” disse lei tendendogli la mano destra che venne accolta in una più grande e ruvida.
“Bene Victoria…io sono ancora assetato…quindi, se non le dispiace, mi accompagnerebbe alla caffetteria?”
La ragazza sorrise istintivamente, si voltarono e iniziarono a risalire le scale quando lui disse. “Io sono Francis, comunque”

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Capitolo 11
*** Luglio ***


Erano passate tre settimane dalla nascita di Kayla Burke. Fortunatamente, dato che suo padre era ad Azkaban, erano riusciti ad evitare di mettere alla piccola il cognome Saintclare e di farla riconoscere da Magnus come sua figlia. Non che il cognome Burke fosse un cognome facile da portare, Elaine sapeva bene a cosa sarebbe andata incontro quando sarebbe cresciuta ma, almeno per ora, era al sicuro.
Stava seduta sul letto, guardando sua figlia che stringeva un suo dito nella manina quando sentì un bussare alla porta.
“Entra” disse a suo fratello.
Edward entrò nella stanza e sorrise istintivamente guardando l’immagine che aveva davanti.
“Allora…è domenica, il sole splende e io ho una sorpresa per te.”
“Una sorpresa? Di cosa si tratta?” chiese Elaine incuriosita.
“Se te lo dico che sorpresa è? Seguimi di sotto”
La giovane obbedì, lasciò la bambina nella sua culla e seguì Edward lungo le scale. Sul pianerottolo all’entrata della grande casa trovò una carrozzina blu, con delle grandi ruote.
“Hai passato l’ultimo periodo rinchiusa dentro quattro mura, ma non sei tu a dover restare in una prigione. Non lo meriti, e non lo merita nemmeno Kayla, quindi oggi usciamo.”
“Ma Kayla è ancora piccola e…”
“Non voglio sentire nessun ma… Kayla è una bambina forte e in salute, può cominciare tranquillamente ad uscire. E per quanto riguarda te…” e prese le mani della sorella tra le sue “…non permettere che quello che pensa la gente ti tocchi. Tu non hai mai fatto niente di male, è ora che la smetti di prenderti colpe che non hai.”
Fu così che, non senza qualche reticenza, la convinse ad andare a fare una passeggiata. Inaspettatamente Elaine non si ritrovò addosso tante occhiate maligne quante se ne aspettava e trovò in qualche modo piacevole sentire di nuovo il calore del sole sul viso e il chiacchiericcio della gente per le strade.
Si fermò davanti alla vetrina di un negozio di vestiti e Edward ridacchiò “Ti lascio alle tue cose da donna ma c’è una persona che voglio presentarti. Torno subito.”
Edward si diresse verso un locale situato qualche decina di metri più in giù, mentre lei rimirava un vestito di un delicato azzurro abbinato a quello del manichino accanto: un completo di mago blu scuro, con cuciture azzurre in risalto.
Non passò più di un minuto quando vide uscire dal negozio un ragazzo, un ragazzo familiare.
Quando William uscì dal negozio stentò a credere ai suoi occhi. Quante probabilità c’erano che uscisse nell’esatto momento in cui Elaine Saintclare si trovava lì?
Non poteva sfuggire a quegli occhi chiari. “Hey” la salutò.
“William” contraccambiò lei, con un tono di voce particolarmente duro.
Il ragazzo si affacciò per sbirciare dentro la carrozzina. “È adorabile…complimenti” disse leggermente a disagio.
Elaine odiava le situazioni di stallo come quella, era inutile stare lì a fare convenevoli quando invece c’era una questione di cui discutere.
“Sei sparito” affermò la ragazza.
“Lo so”
“Per mesi” specificò Ely “Sei venuto a casa mia, abbiamo chiacchierato, era tutto tranquillo e poi mi hai baciato! Mi hai baciata e te ne sei andato! Ti pare normale? Hai mai anche solo lontanamente pensato di farti vivo in questi mesi?”
Le parole uscirono fuori dalla bocca di lei come un fiume in piena e William si sentì una specie di verme. Non aveva avuto intenzione di ferirla ma lui aveva agito impulsivamente e la situazione era tutt’altro che semplice.
“Non è così semplice…tu hai una figlia e un marito!”
William accentuò particolarmente l’ultima parola. Per quanto non potesse negare a se stesso che provava qualcosa per quella ragazza non era pronto neanche ad affrontare quello che avrebbe implicato un’eventuale liason con una donna sposata, e con un mangiamorte per giunta.
Elaine si ritrovò incapace di negare la verità. Aveva ancora un marito, quella cosa l’avrebbe perseguitata fino alla fine dei suoi giorni, o dei giorni di Magnus.
Non riuscì neanche a dire niente quando William la superò per andarsene.
Nel frattempo Edward era entrato al Crazy Head. Il locale era praticamente deserto quella domenica mattina, eccetto per quello che sapeva essere un cliente abituale, che passava il suo tempo rintanato in un angolo a bere per dimenticare chissà quale dramma.
Johanna lo individuò subito, spostando gli occhi chiari verso la porta.
“Chi non muore si rivede” ironizzò mentre con la bacchetta spostava dei bicchieri su un ripiano.
“Hai ragione, me lo merito ma sai che non amo l’umorismo macabro.”
Il ragazzo si era avvicinato mentre lei era passata oltre il bancone per andare ad appoggiare saliere e pepiere sui tavoli.
Quando tornò verso Edward, con il vassoio tra le braccia, disse “Prima sei venuto qui un giorno sì e l’altro pure, poi è successo quello che è successo e ultimamente vieni qui raramente e io non vorrei averti spaventato e…”
Il flusso di parole, detto da Johanna ad una velocità impressionante per qualsiasi essere umano, venne interrotto dalle labbra di Edward che si posarono sulle sue, mentre teneva una mano dietro la testa di lei, immersa in quella massa di capelli scuri.
Johanna rimase interdetta. In una frazione di secondo tutto intorno a lei esplose, come un’ondata di calore che la avvolse. Lasciò andare il vassoio ma non lo sentì tintinnare contro il pavimento, troppo presa com’era ad iniziare a rispondere a quell’inaspettato, ma forse neanche tanto, bacio.
Quando si staccarono, si ritrovarono entrambi a ridere come due adolescenti e in un attimo fu lei a baciarlo di nuovo, sorridendo contro quelle labbra ruvide. Pelle contro pelle. Sorriso contro sorriso.
“Comunque ero venuto perché voglio presentarti due persone molto importanti…”
“Sei riuscito a far uscire tua sorella alla fine?” chiese dandogli un amichevole pugno sulla spalla. Fine del romanticismo. “E bravo Burke! Falle entrare!”
Il ragazzo sorrise ed uscì di nuovo in strada, ma quando individuò Elaine si accorse subito che sembrava leggermente sconvolta.
“Portami a casa” lo pregò lei.
“Ma come…cosa…”
“Per favore…”.

 

Non le capitava praticamente mai di andare da suo fratello, al Quartier Generale degli Auror; non che non le facesse piacere vederlo ma preferiva incontrare Zeek nella tranquillità dell’ambiente domestico. Quel giorno però suo padre le aveva chiesto di portare al fratello una cartella che quello sbadato aveva lasciato a casa del genitore quando erano stati tutti lì a cena, la sera precedente.
Non si era potuta rifiutare, non l’avrebbe fatto in ogni caso e così aveva perso metà della sua mattinata libera per passare prima da casa del padre e poi dal Ministero della Magia.
Salutò Zeek e i suoi colleghi dai volti ormai familiari e quando si chiuse la porta dell’ufficio della squadra 327 alle spalle gettò un occhio sull’orologio che aveva al polso. Perfetto, era mezzogiorno ormai, alle tre doveva andare a lavorare e non aveva ancora combinato niente. E cominciava anche ad avere fame!
Si avviò verso l’ascensore con l’intenzione di tornare. Camminava tranquillamente lungo il corridoio quando la sua attenzione venne catturata da una porta che si apriva ad una decina di metri da lei.
Insieme ad altre due persone stava uscendo da quella stanza un uomo dai riccioli biondi e l’espressione leggermente corrucciata.
Francis.
Victoria non si accorse di aver pronunciato il nome ad alta voce finché il diretto interessato non si voltò verso di lei e le sorrise.
E all’improvviso la ragazza si sentì in imbarazzo. Lo vide dire qualcosa ai colleghi e poi avvicinarsi a lei, e più si avvicinava e più lei avvampava.
“Victoria” la salutò con un caldo sorriso “Niente acqua oggi” ridacchiò mostrandole le mani libere.
La mora si ritrovò a ridacchiare a sua volta e si sentì di nuovo stupida per l’incidente di un paio di settimane prima.
“Non sono sempre così maldestra…”
“Ma io non posso saperlo” obiettò lui.
“Hai ragione, non puoi saperlo”
Ci fu un attimo di silenzio, anche Francis sembrava imbarazzato. Per un attimo Victoria fu tentata di salutare e andarsene, cosa cavolo ci faceva in piedi lì, con il cuore che le batteva in maniera incontrollata?
“Ehm…allora…qual buon vento ti porta qui?”
“Oh…io sono venuta solo a portare una cosa a mio fratello. Lui, ehm, lavora qui” balbettò Victoria.
Se qualcuno avesse visto la scena dall’esterno avrebbe notato come i due sembrassero più adolescenti imbarazzati che adulti. I luminosi occhi verdi di lui la mettevano un po’ a disagio, non perché fossero intimidatori ma era come vederci l’anima dentro.
Improvvisamente lo stomaco di Victoria brontolò. Che figura! Sperava che lui non l’avesse sentito ma il sorrisetto che si allargava sulla bocca dell’uomo le fece capire che si sbagliava.
“A quanto pare non sono l’unico ad avere fame” constatò Francis “Io stavo comunque andando a pranzo sai, nel caso volessi unirti…”
Per un attimo il cervello della ragazza andò in tilt. Se fosse stata impulsiva avrebbe risposto immediatamente di sì ma c’era una parte del suo cervello, insieme ad una parte del suo cuore che le diceva: un pranzo? Con una persona che non conosci? Con un uomo?
“Io…forse dovrei andare a casa” si ritrovò a rispondere abbassando leggermente gli occhi chiari, gesto che le impedì di notare il lampo di delusione che attraverso lo sguardo della persona in piedi di fronte a lei.
“Peccato…ti perdi i migliori hot-dog di Londra…” la stuzzicò.
“I migliori?” chiese Vic alzando un sopracciglio.
“Ti sfido a trovarne di migliori”
La ragazza tentennò prima di piegare le labbra in un sorriso e replicare “E sia…”
Francis la condusse fino all’esterno del Ministero della Magia, e poi le chiese di prenderlo sottobraccio per smaterializzarsi. Victoria acconsentì, anche se un po’ incerta. Era convinta che sarebbero andati in qualche parte lì vicino invece ricomparirono in un vicolo di Londra.
“Vieni” Francis la invitò a seguirlo e la ragazza obbedì. Gli bastò svoltare un paio di volte e Victoria rimase impressionata nel ritrovarsi a lato di Buckingham Palace. Camminarono fino ad entrare in St. James’s Park.
“Posso sapere dove stiamo andando?” chiese Victoria curiosa.
“Mi aspetteresti lì?” e Francis indicò una panchina di fronte al laghetto.
Davanti all’occhiata che la ragazza gli rivolse, l’uomo ridacchiò “Non ti preoccupare, torno subito”.
E così Victoria si andò a mettere seduta e iniziò a guardarsi intorno in quel soleggiato lunedì. Vedeva babbani camminare, leggere e chiacchierare su quei verdi prati, tra le piante che facevano ombra e gli scoiattoli che gironzolavano alla ricerca di cibo.
“Eri mai stata qui?” le chiese la calda voce maschile alle sue spalle. Francis le passò un hot dog prima di sedersi lì accanto.
“No… non sono mai stata una grande frequentatrice della Londra babbana…sai, la mia è una famiglia di purosangue…”
In risposta allo sguardo curioso di lui continuò “Siamo Crouch…i miei non sono mai stati molto chiusi, ma neanche così liberali…”
L’uomo sorrise. “I miei genitori sono babbani. Io ci sono praticamente cresciuto qui e adoro questo posto. Adoro i parchi di Londra, secondo me sono un piccolo pezzetto di paradiso in mezzo al caos della città.”
“I tuoi sono babbani?” domandò Victoria, dopo aver mandato giù un boccone. Sicuramente i due avevano avuto una vita diversa ma Francis Collins non sembrava cresciuto affatto male.
“Già, mia madre lavorava in una profumeria, prima di andare in pensione mentre mio padre è un poliziotto, l’equivalente babbano di un Auror, più o meno”
“Quindi è lui che ti ha…ispirato?” Victoria cercò bene l’ultima parola, non voleva sembrare un’impicciona ma quel tipo la incuriosiva.
“Credo che il senso di giustizia circola nel nostro DNA. Anche i miei nipoti avevano scelto questa strada.”
“Oh, hai dei nipoti?” Nipoti? Beh di certo non poteva essere nonno, anche se si vedeva che era parecchio più grande di lei, quindi dovevano trattarsi per forza di figli di un qualche fratello o sorella.
Come se avesse letto nella sua mente, Francis specificò “Ho due sorelle, o meglio avevo due sorelle maggiori: Susan e Mary” poi la sua voce si abbassò, così come il suo sguardo, mentre si torturava le mani “Mary è stata uccisa lo scorso Agosto, insieme a tutta la sua famiglia e alla famiglia del marito. Otto persone massacrate come bestie.” L’ultima frase la disse con una nota di disgusto.
Victoria aprì un piccolo cassetto della sua memoria. Ovviamente si ricordava del giorno in cui, quasi un anno prima, era stata distrutta la famiglia McKinnon. Era una delle famiglie magiche più antiche e potenti, anche se non purosangue.
“E Susan?” chiese lei, cercando di portare la conversazione su qualcosa di più leggero.
“Lei lavora al San Mungo, per questo ero lì l’altra volta. Insegna all’Accademia di Medimagia.”
“Davvero? Io inizierò a frequentarla a Settembre!” trillò Victoria senza pensarci. Solo dopo materializzò che poteva essere sembrata una ragazzina eccitata.
“Vuoi diventare Guaritrice?” domandò lui ancora divertito dal comportamento della mora lì accanto.
Lei annuì, ancora un po’ imbarazzata di aver scelto di rimettersi a studiare a quel punto della sua vita ma la reazione di Francis la stupì.
“La trovo una cosa molto bella, dopotutto i nostri corpi sono fatti per guarire…anche se molti sono pronti a sacrificarsi, ma io sono dell’opinione che si dovrebbe sempre avere qualcosa per cui vale la pena morire.”
Victoria rimase senza parole. Quello che Francis aveva detto e la sincera ammirazione che aveva dimostrato l’avevano lasciata interdetta.
“Ops… credo che la mia pausa pranzo sia finita” constatò l’uomo qualche attimo dopo aver osservato il suo orologio.
Appena lo vide alzarsi e scrollarsi via le briciole dai pantaloni anche Victoria fece altrettanto ma lui la fermò appoggiando dolcemente una mano sul braccio di lei.
“No, tu resta pure se vuoi. È una così bella giornata che sarebbe un peccato non passarla all’aperto.”
Francis le sorrise in quel modo sincero e rassicurante che aveva visto tante volta. E per un attimo in quel sorriso rivide David. Dovette sbattere le palpebre più volte per rendersi conto della realtà. Che cosa le stava succedendo? Quello davanti a lei non era David! David era morto! L’uomo che amava era morto e lei pensava di poterlo sostituire con il primo che le capitava a tiro?
“Se è un problema per tornare a casa da sola ti riaccompagno”.
I pensieri di lei vennero interrotti dalla calda voce di Francis, preoccupato per l’improvviso silenzio della giovane.
La risposta gli arrivò con un cenno distratto del capo.
“Torna pure al ministero. Io resto ancora un po’, prima di andare al lavoro”.
“Ok…” fece lui non propriamente convinto.
Francis fece evanescere le cartacce del pranzo poi si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni color tortora e salutò la ragazza.
“Allora io vado… buona giornata Victoria.”
“Ciao Francis e grazie per il pranzo. Avevi ragione, era veramente buono.”
Victoria sorrise e lui le sorrise di rimando, prima di voltarsi. Fece qualche passo lungo il sentiero e poi si girò di scatto verso la giovane.
“Victoria” la chiamò e lei alzò lo sguardo, invitandolo silenziosamente a continuare.
“Sabato sera. Alle otto. Qui. Ti va?” domandò leggermente in imbarazzo.
La ragazza iniziò a mordersi il labbro e torturarsi le mani.
“Ecco…io…veramente, non saprei”.
Francis sfoggiò di nuovo il suo rassicurante sorriso. “Non è un appuntamento. Considerala, diciamo, una scoperta” e le fece l’occhiolino.
L’espressione di Victoria trasudava curiosità. Non riuscì a dare all’uomo una risposta negativa.

 

Angela aveva avuto orari completamente sballati all’ospedale ultimamente. Ormai cominciava a pensare che davvero il caldo estivo avesse dato alla testa a molta gente. Era un continuo correre di qua e di là. E in più, essendo quasi metà luglio, qualcuno era cominciato ad andare in ferie. Amava il suo lavoro ma non ce la faceva proprio più. Quella mattina era addirittura arrivata a pregare May di scagliarle contro una maledizione, qualcosa che le impedisse di andare a lavoro per qualche giorno.
Quando quella sera, dopo che aveva fatto un turno di 13 massacranti ore, William si presentò a casa sua avrebbe voluto quasi strozzarlo ma cambiò idea quando le disse “Devo parlarti”.
“Coraggio, entra” lo invitò.
I due andarono in camera di Angela e si sdraiarono sul tappeto che stava davanti al letto, in memoria dei tempi della scuola. Ad Hogwarts si sdraiavano sempre sul prato, quando era tempo di discorsi seri.
“Sputa il rospo”
E così le raccontò di quando era stato da Elaine e del bacio dato senza pensarci e dell’incontro che aveva fatto la settimana prima.
“E vorresti insinuare ancora che non provi niente per lei…neghi anche l’evidenza, complimenti Traynor!”
“Angy…”
La ragazza si tirò su e si mise a sedere a gambe incrociate, continuando a guardare l’amico negli occhi.
“Ascolta Will, tutto quel rifiutare le ragazze che fai, anche a lavoro lo so che è perché ti senti solo più di quanto tu voglia ammettere. So che amavi Norah ma se n’è andata, è scappata in America con quel giocatore di Quidditch. So che fa schifo ma questa è la realtà.”
“Sono oltre la cosa” affermò Will mettendosi le mani dietro la testa e chiudendo gli occhi.
Angela gli rivolse un sorriso intenerito. “Ma non hai superato lei vero?”
Al sospiro dell’amico capì di aver fatto centro. “Hai detto che hai smesso di scriverle lettere pregandola di tornare ma non sei andato avanti, hai messo la tua vita in pausa nella speranza che lei torni ma probabilmente non lo farà, non tornerà mai.”
“Lo so” sospirò di nuovo Will “ma non rende di certo le cose più facili.”
Restarono un po’ in silenzio poi William prese un bel respiro e si alzò. “Ti lascio riposare.”
“Guarda che puoi restare se vuoi”
“No, meglio che torno a casa” poi Will tirò fuori il suo solito smagliante sorriso, quello che incantava metà del suo ufficio e aggiunse “Quanto le devo per la seduta di psicanalisi, dottoressa Angela Freud?”
L’amica stette al gioco e mise su una faccia concentrata e pensierosa. “Vediamo, siamo ben oltre il mio orario di ufficio quindi…”
Non riuscì a finire la frase perché il ragazzo iniziò a farle il solletico chiedendole se le bastava come paga. Risero un po’ ed infine William si decise a tornarsene a casa.
Salutandola le diede un leggero bacio sulla fronte “Grazie sorellina” disse.
“Non chiamarmi sorellina, si dà il caso che ho qualche mese in più di te” protestò Angy.
“D’accordo…” fece mentre usciva “…vecchietta” aggiunse ridendo.

 

Era una settimana davvero calda. Tutta Londra in pratica boccheggiava a causa dell’afa. Freya aveva spalancato tutte le finestre dell’appartamento nella vana speranza che circolasse un po’ di aria. Quel pomeriggio sarebbe uscita di nuovo con Sebastian, il quale aveva preso un permesso dal lavoro per poter trascorrere insieme l’unico giorno libero di lei. Aveva deciso di concedere un’altra occasione a quel ragazzo e a se stessa.
Il ragazzo non le aveva detto dove sarebbero andati, le aveva semplicemente suggerito di mettersi un costume da bagno.
Alle tre in punto Sebastian bussò a casa sua.
“Pronta ad andare?” le chiese appena aprì.
“Ad andare dove?” chiese Freya curiosa.
Il ragazzo le offrì il proprio braccio e lei infilò un braccio sotto a quello di lui, mentre con l’altra mano teneva la sua borsa.
Un momento dopo si ritrovarono in una spiaggetta ai piedi di una bianca scogliera, con un delicato vento che faceva rumore soffiando tra le canne. Il vento era l’unica cosa che, insieme alle onde, faceva rumore in quella calda giornata estiva.
“Ti piace?”
“E’ molto…tranquillo.”
Sebastian annuì, con un colpo di bacchetta trasfigurò due sassi in una grande telo da mettere sulla sabbia. Si sedette e iniziò a spogliarsi in tutta tranquillità, come se non ci fosse nessuno a guardarlo. E invece c’era qualcuno a guardarlo, due occhi scuri lo guardavano attentamente.
“Coraggio, spogliati” le disse
“Lo dici ad ogni ragazza?” iniziò a ridacchiare Freya.
La ragazza si tolse velocemente i pantaloncini e la canottiera che indossava. Sperava di non essere diventata rossa in seguito alle occhiate voraci che Sebastian le stava riservando.
Quando alzò di nuovo lo sguardo lui la stava guardando, ma si era spostato sulla battigia, con i piedi immersi nell’acqua. Freya lo raggiunse, ma appena i suoi piedi toccarono l’acqua rabbrividì.
“È gelida!”
“Che ti aspettavi? Non siamo mica ai Caraibi!”
Sebastian si tuffò tranquillamente, ma era talmente vicino alla ragazza da schizzarla. Freya cercò di scansarsi e solo lentamente lui riuscì a portarla dove l’acqua era più alta, per farle fare il bagno.
Dopo una mezz’ora erano distesi sul telo, erano entrambi girati su un fianco e si guardavano. Mentre chiacchieravano Sebastian le accarezzò una mano e piano piano si avvicinò per baciarla.
Freya si scansò in modo impercettibile, cosa che bastò al ragazzo per desistere.
“Scusa, forse non dovevo…”
“No, scusami tu…” disse mesta la ragazza. “Io…non so se sono ancora pronta”
Il ragazzo le accarezzò il viso con una mano. “Aspetterò ok? Ti aspetterò fino a che ce ne sarà bisogno.”

 

Ormai Luglio si stava avvicinando alla fine. Era stato un periodo particolarmente intenso dal punto di vista lavorativo ma fortunatamente costellato da vite salvate più che da morti. E finalmente cominciava di nuovo a provare un certo senso di soddisfazione nel salvare quelle vite.
Quella era stata la prima giornata trascorsa in modo tranquillo. Era una cosa alquanto sospetta. C’era da preoccuparsi di più quando tutto era tranquillo, rispetto a quando era incasinato. I guai sono sempre dietro l’angolo.
Il suo guaio personale l’attese quella sera sul pianerottolo di casa sua. Una figura femminile se ne stava seduta per terra, con le ginocchia rannicchiate al petto. Alzò la testa spaventata quando sentì il rumore di passi lungo le scale.
“Naomi!” la chiamò May appena la vide.
Si avvicinò di corsa e le si inginocchiò davanti. “Naomi, che è successo?”
Sua sorella la abbracciò e iniziò a singhiozzare rumorosamente. May accarezzava i capelli della sua sorellina, erano biondi e scompigliati come i suoi.
Quando la ragazza si calmò May la fece sciolse l’abbraccio e le aprì la porta di casa. Naomi Higgins-Clark si sedette sul divano. Pochi attimi dopo May uscì dalla cucina con un barattolo di gelato e due cucchiaini, offrì un cucchiaino alla sorella e si accomodò accanto a lei.
“Allora vuoi dirmi che è successo?”
Naomi prese un bel respiro e sputò fuori la verità. “Sono incinta” e ricominciò a piangere.
“Tesoro….l’hai detto ad Andrew? Perché è di Andrew, vero?” chiese May riferendosi al ragazzo che la sorella frequentava da quasi sei mesi.
Naomi iniziò a scuotere la testa “Andrew non vuole saperne niente”.

Che stronzo, pensò Maysilee.
“May che devo fare? Ho 18 anni, mi sono appena diplomata, volevo fare un sacco di cose…” pianse prima di infilarsi un cucchiaino di gelato in bocca.
Anche l’altra aveva un cucchiaino in bocca, ma ormai aveva mandato giù il gelato e teneva il cucchiaino fermo solo con la bocca, con l’impugnatura che le toccava il naso.
“Devi dirlo a mamma e papà…” rifletté.
“Come faccio a dirglielo? Oddio, sarò la loro delusione. Sono una delusione!” si disperò.
May la guardò torva togliendosi il cucchiaino dalla bocca e puntandolo addosso alla sorella. “Tu non sei una delusione, chiaro?”
Naomi si sforzò di sorridere, anche se poco convinta. “E se mi cacciano di casa?”
“Stai qui” rispose l’altra come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Passarono il resto della serata così e fu esattamente così che le trovò Freya quando rientrò a notte fonda. Appena notò il barattolo di gelato capì che c’era qualcosa che non andava.
“Chi dobbiamo odiare stavolta?” chiese avvicinandosi al divano.
“Uno stronzo” replicarono in coro le due sorelle.
“Ah, Naomi si fermerà con noi per qualche giorno” aggiunse May.
Freya fregò il cucchiaino dalla mano dell’amica e arraffò un po’ di gelato. “Benvenuta a casa allora” sorrise alla più giovane prima di accomodarsi anche lei sul divano.

 

Edward era steso sul suo letto ad occhi sbarrati, nonostante fosse piena notte. Erano parecchie le volte che si svegliava nel cuore della notte ultimamente e si arrovellava pensando a quello che era successo all’udienza. I Magiavvocati di Magnus Saintclare, suo cognato, avevano intenzione di dichiarare che il loro assistito aveva agito sotto maledizione Imperius. Se il Wizengamot avesse preso quelle parole per vere avrebbero potuto anche decidere di liberarlo e a quel punto sarebbe tornato a devastare la sua famiglia. Doveva assolutamente fare qualcosa.

 

 

Buonasera!
Non ho molti commenti da fare tranne che, purtroppo per voi, ho toccato nuove vette di lunghezza per quanto riguarda i capitoli!
Spero che vi sia piaciuto
Alla prossima
H.

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Capitolo 12
*** Agosto ***


Ci aveva pensato seriamente, Edward. Sapeva che Kayla era al sicuro da Magnus. Lei era una Burke, essendo in prigione Magnus non aveva potuto riconoscerla e quindi per il momento non poteva vantare nessun diritto su di lei ma Magnus e i suoi compari avevano già distrutto la vita di Elaine e torturato Johanna. Non poteva permettere che succedesse di nuovo. Doveva impedire che Magnus Saintclare uscisse da Azkaban.
Passò una settimana infernale, dormì appena qualche ora a notte e solo quando la stanchezza aveva il sopravvento su di lui. L’unica cosa positiva era il fatto di essere riuscito a far incontrare Johanna ed Elaine. Aveva presentato Johanna come la sua ragazza e si potevano contare sulle dita di una mano le volte che aveva presentato qualcuna a sua sorella e non poté che essere felice che le due, le quali avevano caratteri molto diversi, andassero d’accordo. La cosa non fece altro che aumentare il suo desiderio di proteggere le sue donne.
Si ritrovò a pensare che c’era un solo modo per assicurarsi la sicurezza: uccidere Magnus. Aveva poco tempo, doveva agire prima dell’udienza che si sarebbe svolta alla fine del mese.
Passava quasi tutto il tempo a pensare come fare tanto che una sera, dopo il lavoro, mentre era al Crazy Head, Johanna gli chiese leggermente spazientita “Si può sapere cos’hai? Non hai ascoltato una sola parola di quello che ho detto, prova a negarlo!” lo sfidò.
Edward sbuffò e mandò giù qualche altro sorso di vino elfico prima di rispondere “Sono solo distratto, sarà la stanchezza…”
“Capisco la stanchezza visto che ormai sono le due di notte ma sei sempre distratto ultimamente.”
“Sono già le due? Davvero?”
Johanna appoggiò con forza una mano sul bancone e poi fissò il ragazzo negli occhi. “Non provare a evitare il discorso!”
Edward fece leva sulle braccia per alzarsi un po’ e poi sporgersi a baciare la mora. L’espressione di Johanna, che prima era un po’ contrariata, diventò più rilassata e divertita.
“Smettila di corrompermi con i baci” sentenziò.
“Ma funzionano.”
“No…voglio ancora sapere che ti succede.”
Il ragazzo si guardò intorno per vedere chi c’era ancora nel locale. Come al solito era rimasto il cliente abituale che si sedeva all’angolo.
“Ne possiamo parlare da soli?”
“Sturgis devo chiudere!” urlò Johanna all’uomo che dopo un po’ si alzò e mestamente si avvicinò al bancone per pagare.
“Lascia fare, offre la casa” gli disse la ragazza.
“Grazie Jo. Buonanotte” augurò lui e fece un cenno di saluto abbassando il cappello.
Quando anche l’ultimo cliente se ne fu andato Johanna chiuse a chiave la porta del locale e si sedette sullo sgabello accanto a Edward-
“Allora…spara.”
“Ho intenzione di uccidere Magnus” disse convinto, tutto in una volta e velocemente. La ragazza stentò un attimo a credere a quello che aveva sentito.
“C-cosa?”
“Ho intenzione di uccidere Magnus” ripeté.
Johanna boccheggiò un attimo. “Tu vuoi uccidere un uomo!” lo accusò.
Edward non si aspettava quella reazione. Sapeva che la sua fidanzata aveva sofferto per quello che le era capitato e che anche lei odiava Magnus e la sua combriccola, quindi aveva quasi dato per scontato il suo appoggio, per quanto folle e malsana l’idea fosse.
“Definirlo uomo è fargli un complimento.”
“Ok, è un mostro ma non voglio che tu diventi come lui!” Il tono di voce di Jo tradiva una certa delusione e altrettanto faceva il suo sguardo e fu questo a colpire Edward.

 

Era una serata terribilmente afosa, soprattutto considerato che si trovavano nella campagna inglese, quella che solitamente era contraddistinta dalla nebbia.
Lucian stava trascorrendo un paio di settimane a casa di amici, Ezekiel era in missione quindi Victoria si era autoinvitata per farle compagnia e passare con Krystal una serata tra donne.
L’aveva fatto più che altro perché aveva bisogno di raccontare a qualcuno di Francis e il suo migliore amico aveva i suoi problemi a cui pensare, problemi di cui non voleva parlare.
Raccontò a Krys dello scontro e del successivo incontro al parco. E poi del primo appuntamento ufficiale.

Si erano incontrati di nuovo a Saint James’s Park e Francis aveva insistito per farle vivere quella che lui aveva giudicato come un’emozione unica. Era stato stranissimo per Victoria prendere la metropolitana. I due erano scesi a Westminster. La ragazza si guardò intorno all’interno della stazione, si sentiva un pesce fuor d’acqua ma Francis le rivolse quello che ormai poteva essere classificato come il suo solito sorriso rassicurante.
“Vieni” la invitò tendendole la mano mentre saliva il primo scalino di una delle uscite. Victoria prese quella mano agitata come una ragazzina e si lasciò condurre sulla rampa di scale.
Mano a mano che saliva i gradini, la grande torre che ospita il Big Ben entrava nel suo campo visivo e più saliva più guardava in alto, non riuscendo quasi a vederne la punta.
Arrivata alla fine delle scale, all’uscita, dovette sollevare completamente la testa per ammirare la torre dell’orologio in tutta la sua maestosità. Tutte quelle luci che spiccavano nella notte e quell’architettura. E lei che si sentiva così piccola e insignificante ai piedi della torre. Non aveva parole per definire quello che provava in quel momento.
“Ti piace?” le aveva chiesto Francis.
“Immensamente.”
La serata era proseguita in modo altrettanto semplice ma magico. Avevano passeggiato lungo il Tamigi, confondendosi tra i babbani. Lui le aveva offerto un gelato preso in un carretto di un ambulante e poi si erano seduti a mangiarlo su una panchina, in riva al fiume, godendo della piacevole frescura che l’acqua riusciva a trasmettere. Avevano anche guardato gli artisti di strada che si esibivano cercando di racimolare qualche spicciolo.

Col senno di poi Victoria aveva materializzato che la maggior parte delle ragazze avrebbe giudicato quella serata come piatta, fin troppo normale. Ma lei no. Era stata bene, era stata se stessa. Si era goduta quello sprazzo di normalità in mezzo al casino che era stata la sua vita nell’ultimo periodo.
Aveva raccontato anche di qualche giorno prima, quando si erano usciti di nuovo e all’improvviso lui era dovuto scappare via per lavoro. L’aveva accompagnata a casa ed era andata in missione e lei si era scoperta in ansia, terribilmente in ansia per lui. Era consapevole che le missioni, ora che Voldemort non c’era più, erano molto meno pericolose eppure finché lui non era passato a casa sua per rassicurarla sul fatto che stesse bene lei era stata seduta sul divanetto davanti la finestra a guardare fuori, in attesa.
“Quindi ti piace?” le chiese Krystal.
“Io…non lo so…forse. Mi fa stare bene…ultimamente sono uscita di più, ho riso di più, ho vissuto più di quanto abbia fatto nell’ultimo anno.”
“Oh Vic, sono tanto tanto contenta per te. Quando me lo farai conoscere?” domandò di nuovo Krystal ammiccando a Victoria che era diventata rossa come un peperone.
“Conoscere chi?” le interruppe la voce di Zeek alle loro spalle.
Le due donne si girarono di scatto verso l’uomo che stava in piedi sulla porta che dava sul portico sul retro della casa.
“Zeek…”
“Ma tu non dovevi essere in missione?”
“Ho finito prima e così sono tornato a casa ma apparentemente sono di troppo.”
“Quanto hai sentito?” chiese Victoria un po’ preoccupata. Sì, il suo fratellone voleva che lei si rifacesse una vita ma era anche parecchio geloso. Ci aveva messo mesi a farsi piacere David, figurarsi se avrebbe accettato subito Francis.
“Abbastanza da aver capito di chi si tratta” brontolò lui. Zeek avanzò e si posizionò davanti alla sorella a braccia conserte. “Hai idea di quanti anni abbia Collins?”
“Quasi trentaquattro” rispose subito Vic.
“Appunto! Ha quasi dieci anni più di te!”
“Non vedo dove sia il problema” intervenne Krystal cercando di placare suo marito “Dai suoi racconti sembra un tipo molto interessante.”
L’uomo prese un bel respiro per cercare di restare calmo. “Ha quasi trentaquattro anni e non si è mai sposato per quanto ne so, anzi l’ho visto cambiare spesso ragazza. Non mi piace!”
“Non è a te che deve piacere!” sbottò Vic alzandosi in piedi.
“Lo so” fece Zeek più calmo “Voglio solo proteggerti!”
“Zeek…non ho più quindici anni!” protestò la sorella nonostante il comportamento di lui l’avesse intenerita. Nel frattempo si era alzata in piedi e lo aveva raggiunto.
“Te lo ripeto: io l’ho visto passare da una ragazza all’altra. Chiediglielo e vedi se prova a negarlo.”
Lo sguardo della ragazza si indurì e allora il fratello le disse “Lo faccio per te.”
“Lo so” ammise Victoria “Ma cerca di capirmi…”
Quando Victoria tornò a casa e Zeek e Krys rimasero da soli a rimettere a posto le cose lui fece “Devo parlare con Collins.”
“Non ci provare. Hai già spaventato me, non spaventerai anche lui.”

 

Naomi e May erano uscite presto quella mattina. Erano dirette a casa dei loro genitori. Naomi aveva pregato la sorella di accompagnarla. Aveva bisogno di sostegno.
I genitori delle due ragazze erano tornati a vivere alle porte della Londra babbana pochi mesi prima. Avevano passato diversi anni in Cornovaglia per mettersi al sicuro dalla Guerra Magica.
“Hey ragazze, a cosa dobbiamo questa visita?” le salutò Claire quando andò ad aprire la porta.
Naomi non riuscì a rispondere così May si fece avanti. “Oh niente di che, avevo una mezza giornata libera così ho pensato di venire anche io.”
“Coraggio, entrate. Vostro padre è in giardino, l’ho costretto a estirpare le erbacce, ormai sembrava di essere in una giungla!” raccontò allegra la donna.
Le tre si accomodarono in salotto e poco dopo vennero raggiunte dal capofamiglia che si tolse i guanti da lavoro e sprofondò nella sua poltrona preferita sorseggiando un po’ di tè freddo.
“Allora, cosa dovete dirci?” chiese Nathan. Sapeva benissimo che si presentavano tutte e due le figlie insieme c’era qualcosa che non andava, visto che negli ultimi tempi si ritrovava la famiglia unita solo quando c’era qualche festa.
“Io niente…Naomi deve parlarvi” rispose May guadagnandosi un’occhiataccia da parte della sorella.
Maysilee sapeva che i loro genitori per quanto magari si sarebbero arrabbiati all’inizio alla fine avrebbero cercato di essere comprensivi con la minore delle loro figlie e sapeva che quella era una cosa che riguardava solo Naomi. La ragazza quindi si alzò e diede un veloce bacio sulla tempia alla sua sorellina. “Sta tranquilla” le sussurrò.
Mentre usciva dal salotto l’ultima cosa che sentì era Naomi che scoppiava a piangere e diceva di aver commesso un errore e di aver bisogno di loro.
Quando sentì che le successive parole erano ovattate da quello che probabilmente era l’abbraccio della madre, May si tranquillizzò.
Quel giorno andò a lavoro col cuore più leggero ma non sapeva quanto sarebbero stati difficili i giorni successivi.

 

La routine del reparto Ferite da Creature Magiche venne sconvolta dall’arrivo di un nuovo capo-Guaritori. Era un alto e panciuto uomo sulla sessantina che era stato trasferito da un altro Ospedale Magico e che credeva di essere una spanna sopra tutti gli altri.
Angela lo odiava. Odiava sinceramente quell’uomo presuntuoso che comandava tutti a bacchetta, specialmente le donne. Continuava ad assegnare loro turni estenuanti, soprattutto turni di notte e a relegarle a lavori semplici, addirittura puerili. Non credeva che né lei, né May o nessuna altra loro collega fosse in grado di fare qualcosa di concreto, cosa che invece avevano sempre fatto.
Era una sera come tante, avevano avuto un paio di casi piuttosto tranquilli e poi si erano sistemate tutte nella loro saletta, reperibili per qualsiasi cosa. Angy e la sua collega Sophia si erano accomodate su due sedie su un angolino a dividersi una tavoletta di cioccolato mentre la mora le raccontava del suo ultimo e disastroso appuntamento con un tizio che ancora era praticamente dipendente dalla madre.
May era rientrata poco prima dalla sala da tè e si era accomodata vicino alla finestra ad osservare il temporale estivo che si era scatenato solo una mezz’ora prima mentre sorseggiava il caffè che, Angy ci avrebbe scommesso, era pieno di zucchero, praticamente zucchero al sapore di caffè. Vide un patronus comparirle davanti ma non riuscì a sentire cosa le diceva poi però Angela vide la collega alzarsi velocemente e recuperare la sua borsa.
“Angy io devo andare a casa…potete pensarci voi qui?” chiese alle colleghe.
Angela, notando la preoccupazione negli occhi della bionda, annuì velocemente.
Erano ormai le due di notte quando arrivò un caso di un ragazzino, un bambino in pratica, morso da un animale. Il padre non voleva rivelare di cosa si trattasse, cosa che la portò a pensare che dovesse trattarsi di una qualche creatura magica illegale. In quel caso normalmente la prassi da seguire era denunciare il fatto ma la vita di quel dodicenne era più importante.
Era davvero malridotto. La creatura, di qualsiasi creatura si trattasse, gli aveva praticamente strappato via un braccio e apportato varie ferite. Fu uno spettacolo terribile, soprattutto considerato la giovane età della vittima. Alla fine si rivelò proprio una vittima.
Non era mai facile perdere un paziente e Angy cercava sempre di non prenderla troppo a male. Sapeva che faceva parte del suo lavoro ma quando c’era di mezzo un bambino le prendeva sempre un po’ di sconforto.
Sconforto che non fece che aumentare quando Sophia le fece gentilmente notare che il nuovo capo avrebbe approfittato della situazione per screditarle ancora di più.

 

Quella stessa sera Freya e Sebastian erano usciti di nuovo insieme. Ormai era diventata un’abitudine, ma non erano andati mai oltre qualche bacio non troppo approfondito. Non fino a quella sera. Non fino a quando scoppiò il temporale mentre loro si trovavano a chiacchierare in un parco.
All’improvviso aveva iniziato a piovere a dirotto e i lampi illuminavano il cielo quasi come se fosse giorno. I due iniziarono a correre per allontanarsi dal parco. Freya suggerì di ripararsi a casa sua e di May, visto che era lì vicino, appena fuori dal parco. Neanche ci pensarono a smaterializzarsi e invece iniziarono a correre sotto la pioggia torrenziale che aveva reso inutile anche l’incantesimo impermeabile che avevano provato a fare.
Quando entrarono nell’appartamento, finalmente al riparo, si guardarono sollevati poi Sebastian scoppiò a ridere.
“Che c’è, perché ridi?” chiese Freya quasi offesa.
“Aspetta, hai un rametto tra i capelli” ridacchiò lui prima di allungare una mano verso i capelli biondi di lei ed estrarne un rametto di legno con ancora un paio di foglie attaccate.
“Ecco qui” sorrise trionfante Sebastian. Notò come gli occhi di Freya studiavano la camicia bianca che aveva aderito perfettamente ai suoi muscoli.
La ragazza si stava mordendo il labbro inferiore e Sebastian non resistette alla voglia di baciargliele quelle labbra. Fu un bacio lento e appassionato, le loro lingue si cercarono e incontrarono più volte. Sebastian realizzò di aver dolcemente spinto Freya contro il muro del salotto solo quando sentì il leggero impatto della schiena di lei contro la parete.
Freya lì per lì non si accorse che le mani di Sebastian erano passate sotto la sua maglietta e percorrevano la sua schiena e i suoi fianchi. Fu un attimo e qualcosa le scattò nel cervello. Venne travolta dal ricordo di mani più vogliose e violente su di sé. Ricordava come un uomo le teneva fermi i polsi mentre l’altro violava il suo corpo. Improvvisamente le mancava il fiato. Provò a pregare Sebastian di smettere ma non una parola riusciva a uscire dalla sua gola. E più si faceva vivido il ricordo più lei voleva ribellarsi. Con una forza inaudita per lei scagliò via Sebastian, che andò a sbattere violentemente contro una mensola che cadde a terra.
Il frastuono degli oggetti che si rompevano riempì il silenzio della stanza.
La ragazza impallidì quando vide il sangue che scorreva lungo il braccio di Sebastian sporcandone la camicia a partire da un taglio in cui si er.
Sebastian si sentì un attimo confuso e spaesato. I suoi occhi chiari si spostarono su Freya che stava addossata al muro a tremare di terrore.
Il ragazzo cercò di avvicinarsi ma lei gli urlò: “No! Non ti avvicinare! Non voglio ferirti di nuovo!”
“Ok…sto qui” disse calmo “Vuoi che chiamo qualcuno? Jo? May?”
“May va bene” rispose lei con voce tremante.
Sebastian mandò un patronus a Maysilee e poi si diresse verso il bagno per cercare di sistemarsi.
Quando May arrivò all’appartamento fece fatica a credere ai suoi occhi. Freya non fece avvicinare molto neanche lei.
“Mi ricordo tutto May! Adesso mi ricordo tutto…ho ferito Seb. L’ho fatto di nuovo…oddio, io al Janus Thickey dovrei starci come paziente altro che Guaritrice!”
“Calmati…” le sussurrò dolcemente “Sebastian dov’è?”
“In bagno, credo. Ti prego aiutalo!”
May annuì e si diresse verso il bagno dove il ragazzo stava seduto sul bordo della vasca da bagno senza sapere bene cosa fare. Mentre gli medicava la ferita May cercò di spiegare il comportamento di Freya e alla fine raccontò a Sebastian tutto quello che era successo all’amica. Finito di bendare la ferita al ragazzo lo tranquillizzò. “Tranquillo, alla fine si è rivelato un taglio meno brutto del previsto. Nel giro di poco si rimarginerà, non ti preoccupare.”
“Non è per me che sono preoccupato” sospirò lui.
Un attimo dopo uscì dal bagno e tornò verso il salotto ma Freya lo pregò di nuovo di non avvicinarsi. Il ragazzo si accovacciò per mettersi al suo livello. Freya era seduta a terra, con le lacrime che le rigavano silenziosamente il viso e gli occhi.
“Mi dispiace, mi dispiace tanto.”
“Guarda” la invitò lui allargando leggermente le braccia “Sto bene. Va tutto bene. Non è successo niente di grave.”
Continuò a ripeterle che andava tutto bene ogni volta che lei si scusava e lo stesso faceva May.
“Freya lo so che sei spaventata…” iniziò l’amica.
“Sono pericolosa. Aveva ragione” disse Freya riferendosi al suo ex.
“Non è affatto vero…” replicò Sebastian “Noi siamo qui per te…ok?”
“Non ce ne andiamo.”
Ci mise tempo ma alla fine Sebastian riuscì ad avvicinarsi quel tanto che bastava per allungare le braccia verso di lei. E Freya ci si rifugiò, abbandonandosi a quell’abbraccio.

 

Era un torrido giovedì mattina quando Victoria entrò a passo di marcia al Quartier Generale degli Auror. Sapeva che quel giorno Francis avrebbe lavorato praticamente da solo e lei aveva passato diversi giorni a torturarsi pensando a ciò che le aveva detto Zeek riguardo Francis Collins. Si era fatta almeno mille film mentali su quello che era successo o su come potevano andare le cose.
Non voleva assolutamente soffrire di nuovo. Il suo cuore si era indurito, come un terreno che non veniva coltivato da tempo, ma innamorarsi di un uomo che l’avrebbe fatta soffrire significava gettare sale su quel terreno.
Bussò alla porta dell’ufficio di Francis e appena sentì la voce di lui rispondere entrò chiudendosi la porta alle spalle.
“Buongiorno” lo salutò lei.
“Hey, proprio a te pensavo” ridacchiò Francis. “Mi dispiace che questa settimana ci siamo visti poco ma qui è stato un vero delirio…ti ho pensato perché è un po’ che tuo fratello mi guarda male ogni volta che mi incrocia lungo i corridoi. È geloso per caso?”
“E’ molto protettivo, tutto qui” replicò Victoria in tono più duro “Mi ha detto che ti ha visto cambiare ragazza piuttosto spesso…” buttò lì cercando di sembrare distaccata e quasi disinteressata, ma in realtà era tutto tranne che disinteressata.
“Vicky” la chiamò con quel soprannome che fino a poco tempo prima utilizzava solo suo nipote. L’uomo si alzò e passò oltre la scrivania per raggiungerla.
Quando Francis prese quelle mani piccole tra le sue Victoria abbassò timidamente lo sguardo. Era partita convinta e quasi arrabbiata ma ora si sentiva insicura e debole.
“Guardami” la pregò lui.
La ragazza tirò su piano lo sguardo e vide che Francis le sorrideva dolcemente. “Ecco, così va meglio.”
“C’è una cosa di cui non ti ho parlato.”
Al sentire quella frase Victoria sentì le sue gambe molli e la terra cedere sotto ai suoi piedi ma la presa delle mani di Francis sulle sue era talmente ferma da farle da ancora di salvezza.
“Ai tempi di Hogwarts avevo una ragazza, Melanie. Eravamo dei ragazzini ma eravamo così innamorati. È stata il mio primo amore. È per lei se sono diventato Auror, avevo visto come cominciavano ad andare le cose e volevo essere capace di proteggerla, ma non ce l’ho fatta. È morta prima che potessimo realizzare i nostri desideri di un futuro insieme.”
“Francis mi dispiace tanto” lo interruppe lei.
“So che puoi capirmi” disse, ricordando quando lei le aveva raccontato di David e di Harry, il bambino di cui aveva potuto seppellire solo un’ecografia e una scarpina, mentre con una mano andava ad accarezzarle il viso. A quel tocco gentile Victoria chiuse un momento gli occhi e posò anche lei una mano sopra a quella che lui teneva sulla sua guancia.
“Ad ogni modo, dopo che ho perso Melanie io mi sono sentito molto solo e i primi tempi ho provato a colmare quel vuoto con varie ragazze, lo ammetto, ma nessuna era all’altezza di Melanie.”
Il cuore di Victoria si strinse quando vide quegli occhi verde chiaro lucidi. “Ci ho messo un po’ per capire che era come se il mio cuore si fosse fermato. Si era rotto e fermato ma poi, molto tempo dopo, mi sono scontrato con una maldestra e bellissima ragazza” e dicendo quelle parole Francis sorrise.
L’uomo prese l’altra mano di Victoria e le fece appoggiare il palmo sul suo petto, all’altezza del cuore.
“Lo senti? Batte di nuovo.”
Victoria rimase zitta, sentendo il ritmo cadenzato del cuore di Francis contro la sua pelle.
“Abbiamo tutti e due un passato importante alle spalle ed è una cosa che ci porteremo dietro per sempre… ma appunto è lì, alle nostre spalle. Io voglio davvero provare a voltare pagina e iniziare un nuovo capitolo della mia vita e voglio provare a farlo con te ma solo se tu te la senti. Te la senti?”
Senza alcun dubbio Victoria annuì prima con la testa e poi sussurrò un debole “Si” che fece sorridere Francis.
“Ok, adesso ho un’altra domanda: se provo a baciarti mi fermerai?”
“No”
E a quel punto Francis piegò leggermente la testa avvicinandosi alla bocca della ragazza e prendendo le labbra tra le sue e spostando la mano che teneva sulla guancia di lei verso quella massa di morbidi capelli scuri.
Il cuore dell’uomo aveva accelerato contro la sua mano ma il cervello di Victoria non se ne era minimamente accorta, annebbiata com’era dal profumo della sua acqua di colonia.

 

Erano passati giorni in cui Johanna e Edward non si erano parlati. Lei continuava a fingere che non ci fosse alcun problema di fondo ma non riuscì a fregare Sebastian a lungo e alla fine si decise a chiedere consiglio al suo migliore amico. Gli rivelò l’idea di Edward di uccidere Magnus e la litigata che ne era seguita.
“Io odio quell’uomo!” sbraitò Jo riferendosi a Saintclare “Lo odio ma non voglio che Edward diventi autore di un omicidio!”
Sebastian rimase un minuto in silenzio nel tentativo di pesare bene quello che stava per dire, si preparò mentalmente una frase ma se la scordò guardando la sua migliore amica che faceva avanti e indietro lungo la stanza per poi buttarsi sulla poltrona con uno sbuffo.
“Quello che vuole fare Ed non è un omicidio, è giustizia” disse duro “Se quell’uomo torna in libertà finirà per rovinare di nuovo la tua vita, quella di Edward, di sua sorella e di sua nipote e di molte altre persone.”
“So che salverebbe molte vite”
“Vedi? Ti sei data una risposta da sola…una vita contro molte…è matematica. Fossi in lui anche io lo vorrei uccidere. Tu non faresti di tutto per proteggere le persone che ami?”
“Si” affermò Johanna.
“Allora vai a sostenerlo” le consigliò.
Mezz’ora più tardi Johanna si materializzò davanti casa di Edward e andò a bussare. Appena vide il ragazzo aprire la porta gli si tuffò praticamente addosso, premendo le labbra contro quelle di lui. Dopo un attimo di spiazzamento Edward prese il viso della ragazza tra le mani e rispose al bacio; quando si staccarono, con il fiato corto Johanna disse convinta: “Sono dalla tua parte, qualsiasi cosa tu decida di fare.”
Il ragazzo le sorrise, sinceramente grato di avere il suo appoggio.
“Entra” e le fece strada fino al salotto dove Elaine stava cercando di calmare una Kayla che urlava e piangeva disperatamente.
Quando finalmente la neonata si addormentò Edward annunciò che sarebbe andato ad Azkaban.
“Vengo con te” affermò Jo alzandosi in piedi.
“No, non esiste. Apprezzo il tuo supporto ma ho progettato la cosa per me da solo.”
“Ed è pericoloso!” protestò Elaine
“Per questo voglio andare da solo. Meno gente è coinvolta in questa storia meglio è!”
“Ma io voglio essere con te!”
“Possiamo parlarne in privato?” domandò Edward trascinando una Johanna alquanto contrariata nell’ingresso.
“Ascoltami Jo, sarà una cosa pericolosa…potrebbero scoprirmi e arrestarmi, potrebbero succedermi mille altre cose…non posso permettere che tu venga con me perché se ti succedesse qualcosa non potrei mai perdonarmelo.”
Il tono del ragazzo aveva un che di disperazione che fece sciogliere anche il cuore di pietra di Johanna Johnson.
“Ma io voglio aiutarti…”
“C’è una cosa che puoi fare per aiutarmi: ho bisogno di un alibi. Qualsiasi cosa succederà ci potrebbero essere degli interrogatori…tu ed Elaine dovete sostenere la stessa versione. Ho bisogno di qualcuno che mi copra…”
Johanna prese un bel respiro. “Bene…rimarrò qui. Tu però vedi di tornare, intesi?”
“Intesi” concordò lui.
Edward salutò sua sorella e la sua nipotina poi tornò all’ingresso per abbracciare Johanna. La tenne stretta a se per un po’.
Stava per andare ad uccidere una persona, sperando di farla franca. Le cose sarebbero potute anche andare male e in quel caso rischiava di non vedere mai più la giovane. Aveva bisogno di dirglielo, aveva bisogno di dirle quelle due parole. Era presto, sapeva che era presto ma quella ragazza gli era entrata nel cuore il giusto che l’aveva vista entrare nell’aula delle udienze forte come una supereroina.
“Ti amo” le disse dopo aver sciolto l’abbraccio e si smaterializzò subito. Non le diede il tempo di replicare, aveva paura di sentire la risposta. Era abbastanza coraggioso da andare ad uccidere un Mangiamorte ma non abbastanza da dire “ti amo” ad una ragazza e vederne la reazione.

 

La notizia della morte di Magnus Saintclare si diffuse a macchia d’olio all’interno del ministero. Una squadra Auror venne incaricata di sentire le persone più vicine all’uomo, cioè sua moglie e suo cognato.
Quando William venne convocato per fare un interrogatorio e si ritrovò di nuovo davanti Elaine Burke ebbe quasi un colpo al cuore neanche lontanamente paragonabile a quello che ebbe però quando lesse, nella mente della giovane, la verità sulla morte di Magnus Saintclare.
Vide il terrore nei suoi occhi e non riuscì a dire ai suoi superiori che Edward Burke aveva ucciso Magnus Saintclare, si limitò a sostenere la versione che la ragazza aveva raccontato a voce e la stessa cosa fece per Edward.
Trovò la ragazza ad attenderlo nel suo ufficio. Era di spalle e guardava fuori dalla finestra magica che ogni giorno proiettava un panorama diverso, quel giorno sembrava di essere immersi in una foresta.
“Elaine…che ci fai qui?”
“Perché lo hai fatto? Perché mi hai protetta?”
“Perché so che ti ho ferita e mi dispiace ma tengo a te. Non voglio che la tua famiglia soffra ancora.”

 

L’ultimo caso, la sua ultima perdita non aveva fatto altro che svilire ancora la sua posizione di fronte al nuovo capo. Lei e Sophia erano state costrette addirittura a svolgere qualche lavoro di bassa manovalanza, lavori da inserviente. Quel giorno ad esempio Angela dovette trasportare un paziente dal suo reparto a quello per lesioni da incantesimi in quanto non era stato il suo animale a procurare al paziente una ferita che non ricordava come si era fatto ma si trattava di un incantesimo mal lanciato.
Mentre usciva da una stanza vede una figura, un uomo camminare verso l’ascensore. Per un nanosecondo pensò di aver avuto un’allucinazione o di stare sognando ma poi realizzò che era tutto vero.
L’avrebbe riconosciuto tra mille, nonostante lui fosse di spalle e fossero passati anni.
Con il cuore che le batteva a mille Angy cercò di passare tra le persone e la barelle per raggiungerlo. Si scontrò con qualcuno ma non ci fece neanche caso. Era lui. Era sicura che si trattasse di lui. Doveva raggiungerlo, doveva vederlo.
Purtroppo l’ascensore si chiuse alle spalle dell’uomo, ancora di spalle, e lei lo vide praticamente sparire sotto ai suoi occhi, quando era arrivata a solo una decina di metri da lui.

 

 

 

Buonasera gente!

C’era chi voleva il capitolo velocemente ed eccolo qui. Spero che vi sia piaciuto, è carico di feels e immaginando la parte di Freya ammetto di aver pianto, così come mi sono commossa con la storia di Francis… che ci volete fare, sono una sadica dal cuore di panna…
Mi dispiace solo di aver inserito poco William in questo capitolo, ma non volevo allungarlo ulteriormente. Signorina, consideralo in ostaggio fino alla realizzazione dei Malek… (si, è una minaccia)
Chi sarà la persona che Angela ha cercato di inseguire? Lo scoprirete nel prossimo capitolo!
Per la cronaca: mancano due capitoli (Settembre e Ottobre) + l’epilogo.

A presto
H.

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Capitolo 13
*** Settembre ***


Quando lasciò il San Mungo quel giorno, Angela si precipitò a casa di William. Iniziò a bussare insistentemente alla porta, tanto che quando il migliore amico aprì la porta per poco non si ritrovò il pugno della ragazza sul naso.
“Angy, che succede?” chiese William allarmato.
“Devo assolutamente parlarti” disse la ragazza entrando velocemente in casa e chiudendosi la porta alle spalle.
“E’ successo qualcosa di grave?” aveva capito subito dallo sguardo della sua migliore amica che si trattava di un’emergenza.
“Ho visto Jonathan oggi all’ospedale” sputò fuori.
“Aspetta…cosa? Tuo fratello Jonathan? Sei sicura?”
Angela tremava come una foglia. Era agitata, non riusciva neanche a pensare lucidamente ma era sicura che si fosse trattato di suo fratello. Anche se l’aveva visto solo di spalle aveva riconosciuto la sua testa, i suoi capelli, il suo modo di camminare. Era decisamente suo fratello.
William la vide annuire velocemente, quasi senza fiato. “Ma come è possibile? Si è persa ogni traccia di lui anni fa!”
“Io…non lo so!” rispose Angela quasi urlando.
Il ragazzo l’abbracciò di slancio, stringendola più possibile. “Non so se quello che sta succedendo è vero, ma se si tratta veramente di Jonathan faremo il possibile per trovarlo” le giurò.
Quando la ragazza si fu calmata i due si sedettero al tavolo della cucina, con una tazza di caffè davanti per decidere come agire.
“Io posso chiedere ad un amico di procurarmi il fascicolo sulla scomparsa di Jonathan ma sai benissimo che non c’erano tracce” disse Will, leggermente sconsolato ma poi vide il viso della sua migliore amica, altrettanto abbattuta e decise di non perdersi d’animo. Non voleva darle false speranze ma in fondo, anche se Jonathan era sparito nel nulla, il suo cadavere non era mai stato ritrovato. Lui sapeva che cosa voleva dire perdere un fratello a causa della guerra, ma lui almeno era certo che suo fratello non c’era più. Aveva potuto dirgli addio, piangere la sua morte. Angela invece era rimasta anni costantemente in attesa, in bilico tra la speranza di ritrovare suo fratello e la tristezza di averlo perso. E ora, se c’era anche solo una minuscola e magari irrazionale possibilità di trovare Jonathan lui l’avrebbe aiutata, perché era minuscola e irrazionale ma era una chance.
“Hai detto che era al reparto degli incidenti da incantesimo, giusto?”
“Sì, dove c’è la diramazione del corridoio, è sbucato fuori da lì ed è andato diretto verso l’ascensore” rispose Angela come un’alunna attenta a lezione.
“Cosa c’è in quel corridoio?”
“Stanze di guaritori e di pazienti, come lungo tutti i corridoi…”
“Bene…facciamo così…”
E nei giorni successivi Angela mise in atto il piano di William. Aveva continuato ad aggirarsi in quel reparto, grata comunque di potersi allontanare dal suo nuovo caporeparto. Ogni tanto prendeva il registro di pazienti e visitatori, con la scusa di doverci appuntare qualcosa. Aveva isolato i numeri delle stanze che le interessavano: le stanze dispare, dalla 1305 alla 1547. Erano un sacco di stanze, un lavoro immane.
Il fatto di non aver più rivisto Jonathan in quei giorni l’aveva portata a pensare che lui fosse stato uno dei pazienti medicati e mandati a casa in giornata o che fosse stato il visitatore di un paziente che era stato dimesso, perché se in quell’ospedale c’era qualcuno a cui suo fratello teneva lui non l’avrebbe abbandonato, sarebbe tornato.

Che cosa stupida, si ritrovò a pensare Angela, ha abbandonato i nostri genitori, Camille, me…perché non dovrebbe abbandonare qualcun altro?
Passò giorni a scorrere il registro alla ricerca di un indizio, di un nome. Ovviamente non si aspettava di trovare Jonathan Stuart scritto lì, in bella vista, perché se quello era veramente suo fratello e se era sparito per tutti quegli anni aveva dovuto avere una buona ragione e la stessa buona ragione lo aveva portato sicuramente a cambiare la sua identità.
Solamente un giorno, scorrendo la lista dei pazienti che non erano stati trattenuti in ospedale notò qualcosa di familiare.
Philip Douvres.
Douvres. Dover. Le bianche scogliere di Dover. Ricordava ancora una vacanza che avevano fatto da bambini con i loro genitori e suo fratello era rimasto incantato da quelle scogliere e dal fatto di poter vedere, al di là del canale della Manica, la Francia.
Poteva trattarsi di lui. Doveva trattarsi di lui. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per trovare quell’uomo.

 

Victoria lanciò un’imprecazione mentre cercava di tirare su la zip del vestito. Maledetta! Da sotto non riusciva a tirare su la cerniera e da sopra non ci arrivava! Si era agitata più di quanto non lo fosse stata già e ora ci si metteva anche quello stupido campanello che suonava in continuazione…ma chi cavolo era che si presentava a casa sua di sabato sera alle sette?
Scese le scale cruciando mentalmente chiunque fosse dietro la porta o perlomeno lo fece finché non aprì e si trovò davanti un affascinante ragazzo dagli occhi verdi, vestito di tutto punto.
“Francis…che ci fai qui?” chiese con ancora un briciolo di irritazione nella voce “Sono le sette…avevamo detto alle sette e mezza” puntualizzò. Perché era venuto in anticipo? Lei non era pronta! E perché teneva in mano due papillon?
L’uomo cominciò a parlare velocemente “Avevo pensato a una cravatta ma poi ho pensato anche che il tuo caro fratellino potrebbe utilizzarla per impiccarmici o strangolarmi, quindi ho pensato a un papillon” e si mise uno dei fiocchi davanti al collo.
Victoria lo guardò, impacciato nei suoi pantaloni eleganti e nelle sua camicia bianca, con quel papillon nero.
“Così sì che sei un perfetto bartender. Ti ci vedo proprio a fare cocktail” lo prese in giro dandogli un buffetto sulla guancia.
Francis mise su un finto broncio. “Non sei affatto divertente, sai?”
Victoria si alzò leggermente sulle punte per dargli un bacio a cui lui rispose a malapena fingendo di essere ancora arrabbiato.
“Dai vieni con me” e gli fece cenno di seguirla lungo le scale.
Victoria condusse Francis al piano di sopra, gli disse di aspettarla in camera mentre lei andò in quella che doveva essere la camera del bambino e invece era diventata la camera degli ospiti. Aprì il grande armadio in noce e ne estrasse una giacca color tortora. Ricordava ancora quando David aveva comprato quella giacca, l’aveva messa una sola volta, ad un matrimonio di un suo amico poi non l’aveva messa più perché gli prudeva. L’aveva messa una sola volta eppure l’aveva impregnata con l’odore della sua acqua di colonia. Aveva stretto spesso a sé quella giacca nel primo periodo dopo la morte di David, convinta di sentirne ancora l’odore. La strinse a sé un’ultima volta…nessun odore. Forse era stata solo una sua convinzione o, forse, lo aveva lasciato andare. Prese un respiro e tornò da Francis.
“Metti questa” gli propose prima di aiutarlo ad indossare la giacca “No, niente papillon. Non andiamo a una serata di gala, andiamo solo a casa di mio fratello” ridacchiò poi.
“Solo?” chiese lui titubante.
“Solo.”
“E prometti che riporterai ai miei il mio cadavere?”
“Non essere sciocco, dovrò aiutare Zeek a nasconderlo! E ora aiutami a tirare su questa cerniera!”
Victoria si voltò, spostò i suoi capelli da un lato, davanti al collo per permettere a Francis di aiutarla. Quello che sentì fu però la cerniera che scendeva. Fece per protestare ma la voce le venne mozzata dalla sensazione delle labbra di Francis che percorrevano la sua schiena con una scia di minuscoli baci che le davano i brividi come piccole scosse. Lo sentì risalire fino al collo e sentì quelle mani intrecciarsi con le sue.
“Dobbiamo andare a casa di Zeek tra mezz’ora…” provò a protestare.
“Appunto…tra mezz’ora”
Victoria si girò verso di lui, gli accarezzò il viso e quella barba leggera. “Sei così bello…” e sorrise mentre l’uomo chinava la testa per appoggiare la fronte contro la sua.
“No, tu sei così bella”
Francis la baciò teneramente e la avvolse tra le sue braccia. In un attimo si ritrovarono stesi sul letto con lui che le accarezzava i capelli, ormai spoglio della giacca e con la camicia slacciata.
“Dimmi se vuoi che mi fermi” sospirò Francis, ogni parola era intervallato da un bacio sempre più giù, dal collo fino alla spalla.
“Non ti fermare” si ritrovò a rispondere Victoria in modo del tutto inconsapevole e naturale.
Sarebbe voluta rimanere lì tra quelle braccia tornite per sempre ma purtroppo avevano una cena a cui prendere parte.
Non si riusciva a dire chi fosse più teso, se lei o Francis, quando arrivarono a casa di Ezekiel Crouch. Si accomodarono a tavola, e Krystal iniziò a servire la cena.
“Allora… anche tu fai l’auror…di che squadra fai parte?” chiese Krystal.
“La 151, prima facevo parte della 243 ma ci siamo uniti durante la guerra…eravamo rimasti in pochi…” rispose Francis tranquillamente.
“Quindi sei in squadra con Joy …” buttò lì Zeek guadagnandosi un calcio sotto al tavolo da parte della moglie, la quale sapeva benissimo a chi si riferisse lui: l’avvenente bionda che faceva la gatta morta con tutti.
Dopo un altro paio di domande/insinuazioni che Zeek fece e che avevano il solo scopo di mettere alla prova Francis, Victoria approfittò della pausa prima del dolce per trascinare il fratello in cucina.
Anche Krystal era in cucina per tagliare una succulenta torta al cioccolato.
“Ti stai rendendo odioso” fece Krystal accompagnando il gesto con entrambe le mani, con i pollici e gli undici uniti tra loro.
“Non mi sembra di aver chiesto niente di eccezionale” protestò Zeek.
La moglie sbuffò, prese i piatti tra le mani. “Io ritorno da quel poveretto…”
I due fratelli Crouch erano rimasti soli. “Perché devi fare così?” chiese lei con un certo tono di disperazione nella voce.
“Vicky…”
“No, niente Vicky! Non hai fatto altro che mettere Francis a disagio, io l’ho portato qui per farvi conoscere, per andare d’accordo!”
“Sai che quell’uomo non mi convince…”
“Ma se solo tu ti sforzassi un po’ di conoscerlo anziché attaccarlo!”
Victoria si passò una mano nei capelli nel tentativo di calmarsi. “Francis è una brava persona, è gentile, mi rispetta e mi rende felice…felice come non ero più da tempo. E so che fai tutte queste scene solo per proteggermi ma ti assicuro che non ho bisogno di essere protetta, non più…”
Il tono accorato con cui Victoria parlò fece finalmente aprire gli occhi al fratello.
“Tu lo ami” disse.
“Non lo so…forse è presto…” iniziò a balbettare la giovane ma venne interrotta.
“Non era una domanda… tu lo ami… guarda come lo difendi e, per tutte le cavallette, se solo potessi vedere la luce che hai negli occhi quando ne parli…tu lo ami”
“Io lo amo” e solo in quel momento Vicky realizzò che era vero. Francis era entrato nella sua vita in punta di piedi, con una leggerezza tale che lei non si era neanche accorta di essere arrivata a quel punto.
Zeek si strofinò gli occhi e parlò come se gli costasse una gran fatica dire quelle parole. “Cercherò di farmelo piacere. Non ti garantisco niente ma proverò ad andare d’accordo con lui.”
Mano a mano che parlava la bocca della ragazza si apriva in un sorriso sempre più ampio. “Grazie” disse sinceramente mentre lo abbracciava.
“Solo perché sei tu, piccola Vicky” aggiunse lui facendole l’occhiolino.
“Sarò sempre la tua piccola Vicky”

 
Edward ringraziò mentalmente del fatto che fosse Domenica. Aveva proprio bisogno di una giornata di riposo. Ultimamente non dormiva bene, il pensiero di aver ucciso un uomo, per quanto orribile, lo perseguitava. Nei momenti in cui la casa piombava nel silenzio sentiva le urla di Magnus Saintclare ma ciò non gli faceva cambiare idea su quello che aveva fatto. Un giorno avrebbe imparato a conviverci.
Aveva passato la domenica in panciolle, godendosi un po’ la sua nipotina poi era uscito con la sua migliore amica. Si erano incontrati da Florian Fortebraccio per prendere un gelato ma Victoria non si era presentata da sola. Gli aveva presentato il suo fidanzato Francis. Era stata una vera sorpresa ma non poteva che essere felice per lei!
Dopocena si era seduto sulla sua poltrona preferita, quella di tessuto verde, sotto la lampada e con la finestra alle spalle. Aveva ripreso il libro che aveva iniziato a leggere la settimana prima e si era rilassato completamente. Non sapeva dire quanto tempo fosse passato quando sua sorella entrò nella stanza.
Dedusse che Elaine Burke era sprofondata sul divano dal suono che sentì, unito allo sbuffo della giovane donna.
“Finalmente è crollata…sono distrutta” sospirò.
“La possiamo soprannominare l’instancabile Kayla” buttò lì mentre continuava a leggere.
“Ed” lo chiamò la sorella. A quel punto il ragazzo alzò gli occhi chiari curioso.
“Sai…sto pensando di trasferirmi…”
“Cosa?” domandò Edward spalancando gli occhi “Perché?”
Elaine alzò un sopracciglio. “Perché questa è casa tua e noi l’abbiamo invasa!”
“Sai che mi piace avere te e Kayla qui!”
“E a me piace stare qui ma ho approfittato fin troppo di te… sono scappata e mi sono rifugiata qui e ti ringrazio per avermi accolta e aver accolto Kayla ma credo che sia ora che noi ce ne andiamo, che tu riprendi possesso di casa tua e io…della mia vita”
“Ely…”
“Senti, so che qualche volta ti fermi da Johanna e penso che sarebbe carino se tu la invitassi a rimanere qui qualche volta ma so che non lo farai, non finché ci saremo io e la bambina e poi è ora che io me la cavi anche da sola, ora che non ho più niente da temere.”
Edward sospirò rivolgendo uno sguardo eloquente alla sua sorellina. “Hai già trovato un posto, vero?”
Elaine lo guardò con occhi colpevoli, come una bambina che era stata beccata con le mani nel barattolo dei biscotti.
“È un minuscolo cottage appena fuori Londra. Lo so che non è vicinissimo ma ho pensato che magari per la bambina la vita in campagna è meglio.”
“Quando vuoi trasferirti?” chiese lui un po’ rassegnato. Edward sapeva  che la sorella aveva bisogno di andare avanti, ora che Magnus non c’era più poteva essere se stessa e aveva diritto di esserlo e di godersi la vita, ma le sarebbe mancata terribilmente.
“Fra un paio di settimane…ma sappi che quando mi sarò sistemata voglio organizzare una cena con te e Johanna e anche con Victoria e quel ragazzo di cui mi hai parlato.”
“Va bene. Ti darò una mano col trasloco” sorrise lui. La ragazza si alzò e si avvicinò alla poltrona.
“Grazie fratellone” disse prima di dargli un leggero bacio sulla guancia.

 

Johanna stava servendo un tavolo dove due streghe piuttosto in avanti con l’età che si divertivano con un po’ di acquaviola e discorsi piccanti, quando vide con la coda dell’occhio Sebastian entrare nel locale.
Quando tornò al bancone lo salutò con un caloroso sorriso.
“Hey…che ti porto?”
“Solo una burrobirra, grazie”
“Come mai? Devi tornare a lavoro?” gli chiese. Di solito quando Sebastian andava a trovarla al locale si fermava sempre almeno un paio d’ore e loro ne approfittavano per chiacchierare, specialmente quando c’era calma piatta come in quel momento. E Sebastian mangiava sempre qualcosa, quindi quell’ordine le era sembrato particolarmente strano.
“Ti devo chiedere un favore Jo”
La ragazza mise da una parte lo strofinaccio che aveva in mano, appoggiò il braccio al legno del bancone e posò il mento sulla mano come a sostenerle la testa.
“Sono tutta orecchi” disse.
“Beh…sai che sabato è il compleanno di Freya…”
“Certo che so che il compleanno di Freya…vorrei ricordarti che è amica mia e che se non fosse stato per me non l’avresti conosciuta” lo interruppe lei.
“Ecco, ricordati che è anche amica tua…”
“Dove vuoi arrivare, Seboom?” domandò Johanna usando quel soprannome che il suo migliore amico odiava a morte.
“Vorrei organizzarle una festa a sorpresa” iniziò a dire lui ma di nuovo venne interrotto dalla mora.
“La trovo un’idea magnifica!” aveva trillato Jo.
“Mi fai finire?” chiese spazientito Sebastian “Vorrei organizzarle una festa a sorpresa qui” specificò
“Qui? Non mi sembra il posto migliore dove organizzare una festa di compleanno…non è né elegante ed è piuttosto buio…”
“Ma è un posto dove Freya si sente a casa. Ti prego, ti pagherò l’affitto di tutto il locale se chiuderai sabato sera.”
Johanna guardò bene negli occhi Sebastian. Il suo migliore amico l’aveva messa sempre al primo posto ma era evidente quanto le cose fossero cambiate, bastava pensare a quello che lui aveva appena fatto. Si era offerto di affittare l’intero locale per il sabato sera, sapendo bene che il week-end era il periodo in cui il Crazy Head fruttava di più. Il suo primo posto, in cui si era adagiata per buona parte della sua vita, era diventato un primo posto a pari merito con Freya. Non che la cosa le dispiacesse, era più che normale. Non erano più adolescenti, erano cresciuti e si stavano costruendo le proprie vite. Anche Edward era diventato la sua priorità. Certo, non avrebbe mai potuto sostituire il suo migliore amico, erano due cose completamente diverse ma Johanna poteva affermare con certezza, anche se non lo faceva facilmente con altri, che Edward Burke si era conquistato un posto d’onore nel suo cuore.
“Va bene…ma non accetterò soldi da parte tua” affermò Jo.
“No dai, il locale è tuo e io non posso…”
“Appunto, il locale è mio quindi faccio come mi pare. E poi Freya è anche amica mia, no? Quindi è deciso, sabato sera si fa festa. Io posso pensare a cibo e bevande. Chiederò a May per la torta, lei conosce una pasticceria babbana buonissima, e sicuramente lei è quella che conosce meglio i gusti di Freya”
“Ok, io penso ad organizzare il resto, tipo invitare la gente…potrei invitare anche il tuo ragazzo…”
“Si, perché no?”

 

Erano appena le otto del mattino quando May aprì lentamente la porta della camera della sua migliore amica, si sporse leggermente con la testa, quel tanto che bastava per vedere Freya completamente immersa sotto le coperte, che non dava il minimo segno di vita.
La ragazza si avvicinò di soppiatto e salì piano sul grande letto matrimoniale.
“Freya…” chiamò piano ma l’altra ragazza si limitò a girarsi dall’altra parte, segno che l’aveva sentita ma non aveva la minima intenzione di darle corda.
“Freya…” chiamò di nuovo May ma tutto quello che ebbe in risposta fu un mugugno non ben definito.
“Lo so che sei sveglia”
Freya si girò di nuovo verso l’amica e aprì gli occhi scuri fissando l’amica con rabbia.
May ignorò l’occhiataccia e non perse il sorriso. “Tanti auguri festeggiata!” ma poi notò che l’altra la guardava ancora torva aggiunse “Non sei felice che sia il tuo compleanno?”
“Sarei più felice se una certa persona mi avesse lasciata dormire, visto che ho un turno di 12 ore alla spalle” sbuffò Freya.
L’amica incrociò le braccia al petto. “È escluso, non passerai il tuo compleanno a letto signorina. Ho grandi piani per oggi.”
E in effetti era vero. May non sarebbe mai riuscita a fingere che quel giorno non avrebbero fatto niente quindi aveva comunque organizzato la giornata fino a sera.
“Dai…fammi felice” la pregò May sbattendo in fretta le ciglia.
“Ho capito, mi alzo!”
“Bravissima” fece l’altra battendo le mani “Io e la torta al cioccolato di Naomi ti aspettiamo di là.”
Torta al cioccolato…mmm…a Freya sembrava di pregustarne già il sapore. La sorella di May era davvero brava in cucina e quando si era stabilita per qualche giorno lì aveva cominciato a viziarle con i suoi manicaretti quindi il pensiero che una torta al cioccolato e frutti di bosco fosse di là ad attenderla la spinse ad alzarsi da quel comodo, comodissimo letto.
Non trovò solo una suntuosa colazione ad attenderla in cucina ma anche Sebastian, che era passato a farle gli auguri e a darle il regalo prima di andare a lavorare. Gli occhi di Freya brillarono di gioia quando aprì il pacchetto e vi trovò un delizioso braccialetto in argento con dei pendenti a forma di foglie. Le dispiacque solo di non poter passare più tempo con lui quel giorno.
Le due ragazze passarono la mattinata all’aperto, in campagna. May portò la festeggiata a fare una passeggiata a cavallo. Ne approfittarono per godersi una delle ultime belle giornate, in cui non era ancora troppo caldo o troppo freddo.
Era stato bello stare lì, all’aria aperta e vivere qualche ora come se non avessero nessun pensiero al mondo.
Il pomeriggio venne dedicato al relax, infatti May aveva prenotato qualche massaggio in un centro benessere.
Arrivate a sera, mentre tornavano verso casa, Freya si ritrovò a pensare che era davvero fortunata ad avere May, che non era solo la sua migliore amica ma quanto di più simile ad una sorella avesse mai avuto.
“Ti va se ci fermiamo da Jo per cena? Non abbiamo nulla a casa, eccetto il resto della torta.”
“Non che mi dispiaccia una cena a base di torta ma non vorrei prendermi il diabete prima dei quarant’anni.”
Quando arrivarono al Crazy Head il sole stava ormai tramontando, colorando il cielo di arancio. Quando Freya aprì il portone per entrare nel locale si stupì di trovarlo più buio del solito ma fu un attimo e vide quello che i suoi amici avevano preparato per lei e i suoi occhi si riempirono di lacrime, lacrime di commozione.

 

 

Salve gente!
Eccomi qua con il penultimo capitolo (e se vi dicessi che l’epilogo l’ho già scritto?). Questo capitolo è più a tema amicizia/fratellanza e sono anche riuscita a contenermi, che ultimamente è un miracolo!
La domanda per il prossimo capitolo è: riuscirà Angy a trovare suo fratello?
A presto
H.

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Capitolo 14
*** Ottobre ***


“Mi dispiace che Susan non sia la tua insegnante” le stava dicendo Francis seduto sul divano.
“Già anche a me…adoro tua sorella ma devo ammettere che anche il nostro insegnante non è male” ammise Victoria allungando all’uomo una tazza di cioccolata calda, perfetta in quella piovosa sera di inizio ottobre.
Francis prese un sorso della bevanda e poi appoggiò la tazza sul tavolo. “Devo darti una notizia”
“Devo preoccuparmi?” chiese lei con il cuore che improvvisamente le batteva più veloce.
“No, no assolutamente” le sorrise prendendo una delle sue mani e portandosela alle labbra.
“Il mio prozio Hank è morto”
“Oh…mi dispiace”
Francis sorrise divertito. “No…” rispose quasi ridendo “Non dispiacerti…era un babbano francamente orribile. L’ho incontrato solo una volta, quando avevo 15 anni ma mi è bastata!”
“Non dovresti parlare così di una persona che non c’è più” lo rimproverò lei con dolcezza.
“D’accordo ma il punto è che lui aveva un sacco di soldi e una grande villa del settecento in campagna e sai, lui era uno di quelli all’antica secondo cui gli eredi sono solo maschi…quindi ha lasciato tutto a me.”
“Ha lasciato tutto a te?”
“Sì, la casa e i soldi. Ho già dato i soldi a Susan, era giusto che anche lei avesse qualcosa ma ho deciso di tenere la villa. Ci sono stato tanti anni fa e me ne ero innamorato. È antica, romantica e bellissima, con un giardino immenso.”
Victoria sorrise. Dove trovava un altro che ereditava un sacco di soldi e li dava alla sorella come se fossero spiccioli?
“Sembra incantevole”
“Domani ho appuntamento lì con un notaio…mi chiedevo se ti andava di venire con me…”
“Certo, perché no? Ti accompagno volentieri”
“Grazie” e si sporse per baciarla dolcemente.
Il pomeriggio successivo infatti si materializzarono appena fuori da un boschetto. Francis la prese per mano e la condusse lungo una stradina sterrata.
“Perché ci siamo materializzati così lontano?” chiese Victoria dopo una decina di minuti di camminata.
“Non ci sono maghi qui nei dintorni…non credo che i babbani vedrebbero di buon’occhio qualcuno che compare dal nulla. Siamo quasi arrivati.”
Francis le indicò un viale alberato che si intravedeva e che sembrava inoltrarsi nella campagna. Arrivati davanti all’ingresso del viale Francis aprì il cancello in ferro battuto che lo chiudeva.
Si incamminarono verso la villa che si vedeva in fondo al viale, a circa un chilometro di distanza tra loro.
Lui camminava tranquillo, rigirandosi il mazzo di chiavi intorno ad un dito mentre lei invece si guardava intorno. Erano completamente immersi nella campagna inglese, non sapeva bene dov’erano ma intorno a loro c’era solo quiete, le altre case sembravano essere distanti chilometri e chilometri.
“Pensavo di far cambiare questi cipressi con una qualche altra pianta…faggi, tigli, platani…qualcosa di diverso…insomma così sembra un cimitero!” commentò Francis.
Victoria scrutò con gli occhi chiari gli alberi che costeggiavano il percorso. “Sì, in effetti è un po’ inquietante.”
Mano a mano che si avvicinavano l’edificio si stagliava sempre più imponente davanti ai loro occhi.
“Wow…ma quanti soldi aveva il tuo prozio?”
“Non ne ho idea” Francis disse le parole molto distanziate tra loro, completamente perso in ciò che aveva davanti a sé.
I loro pensieri vennero interrotti dall’arrivo di un omino basso e tarchiato, che si chiuse alle spalle il grande portone della villa. Si avvicinò a loro con passi piccoli e veloci.
“Lei è il signor Collins?” chiese a Francis, il quale annuì.
“Bene. Gli ispettori sono venuti stamattina a controllare la villa. Il tetto è stato ristrutturato cinque anni fa, quindi non ci sono problemi, così come le tubature e l’impianto elettrico. E’ tutto abbastanza recente considerato che l’edificio ha circa trecento anni; il signor Hank ci teneva molto, per una questione di sicurezza…”
“Molto bene…”
“Solo il giardino deve essere sistemato, signore. La serra deve essere sistemata e il gazebo sul retro ha alcune assi pericolanti…”
“La ringrazio signor Pentus” disse Francis
“Si figuri. Le lascio le chiavi.” L’uomo porse il mazzo di chiavi che aveva in mano a Francis con un gran sorriso.
“Benvenuto a casa signor Collins”
Rimasti soli Francis tornò a rivolgersi alla ragazza al suo fianco. Insieme percorsero i tre gradini di pietra che li separavano dall’entrata.
Francis aprì il portone di legno massiccio della villa ed entrò per primo ma, mentre lui andò diretto verso la grande scala che conduceva ai piani superiori, lei rimase estasiata a fissare quel soffitto altissimo, con le grandi finestre antiche da cui filtrava la luce.
Sentì a malapena il suo fidanzato dire “Beh l’ambiente andrebbe un po’ svecchiato ma sarebbe bello abitare qui, non trovi?”
Quasi senza rendersene conto si ritrovò a rispondere con voce quasi eterea e appena udibile “Sì, suppongo di sì”

 

Da quando era successa quella cosa di Magnus William aveva iniziato un rapporto epistolare con Elaine. La ragazza gli aveva scritto la prima volta per ringraziarlo nuovamente di quello che aveva fatto per lei e la sua famiglia. Si erano continuati a scrivere, con lei che gli raccontava del suo trasferimento nella nuova casa ma le lettere della giovane si erano fatte sempre più rade e misere. Ciò l’aveva spinto ad avere la bislacca idea di andare a trovarla. Aveva deciso, ormai da tempo, che forse valeva la pena provare e vedere come sarebbero andate le cose tra loro.
Aveva preso un mazzo di fiori e si era presentato a quel piccolo cottage di campagna.
“Will…che sorpresa!” fece Elaine aprendo la porta, non avrebbe mai immaginato di trovarselo lì.
Il ragazzo sentì provenire dall’interno il pianto della piccola di casa, in effetti Elaine sembrava leggermente in difficoltà e lo pregò di entrare e scusarla mentre cercava di dondolare la piccola culla dove la bambina si lagnava.
“Basta….dormi…per favore” supplicò alla neonata. Elaine prese il biberon che aveva lasciato appoggiato sul tavolino da caffè e fece per riportarlo in cucina. Mentre William aspettava si avvicinò istintivamente alla bambina e la prese in braccio, cullandola appena.
La piccola Kayla sembrò calmarsi all’istante suscitando lo stupore della madre, quando varcò la soglia.
“Ma come hai fatto?” chiese Elaine con occhi sgranati “Finora non ha funzionato niente!”
“Suppongo che avesse bisogno solo di essere coccolata un po’” fece lui mentre guardava la bambina totalmente ammaliato.
“O forse è semplicemente esausta, come me”
“Preferisco la mia versione” sorrise lui cercando poi di rimettere la piccola, placidamente addormentata, nella sua culla.
Con movimenti lenti mise giù la neonata, messo un po’ a disagio dalla presenza di Elaine, che lo guardava da sopra la sua spalla. Per un attimo pensò che loro due, in piedi lì davanti alla culla, potevano sembrare una famiglia. Che cosa stupida…loro non erano certo una famiglia ma magari, un giorno…
I due si sedettero sul divano e finalmente lui poté consegnarle il mazzo di fiori che le aveva portato.
“Grazie…non dovevi disturbarti” disse lei arrossendo appena.
L’aria si riempì per un attimo di un silenzio carico di disagio. Will fremeva, voleva arrivare al punto ma non sapeva proprio come. Colse l’occasione quando la ragazza al suo fianco gli domandò “Allora, cosa ci fai qui?” e lui rispose “Questo” prima di avvicinare le labbra alle sue e baciarla.
Per un attimo Elaine, per quanto sorpresa, non sembrò troppo disturbata dalla cosa ma poi si ritrasse all’improvviso mormorando “Scusa…non posso.”
William rimase molto stupito dal comportamento della giovane “Come sarebbe a dire che non puoi?”
“Non posso…non posso frequentarti ora”
“Mi stai prendendo in giro?” chiese lui sperando di avere ragione ma sentiva già la rabbia crescere in lui. Al segno di diniego da parte di lei sbottò “Come, prima quando dico che il problema era che tu fossi sposata tu mi hai detto che non c’era nessun problema e che ti avevo spezzato il cuore! E ora che sono qui, pronto a mettermi in gioco per te, tu mi allontani così?”
“William…”
“William cosa?” fece alzandosi in piedi.
“Io…ho capito una cosa da quando Magnus è morto: sono finalmente libera, la mia vita è di nuovo…mia. E lo so che questo vorrebbe dire poter fare ciò che voglio…ma c’è qualcuno che ha bisogno di me e merita tutte le mie attenzioni, tutto il mio tempo e il mio spazio…cerca di capire”
William fissò lo sguardo su Kayla, che sembrava non aver sentito niente di tutto ciò che le accadeva intorno.
“Lo capisco…” sussurrò lui abbattuto “Io allora me ne vado”
“Kayla è così piccola…voglio dedicarmi solo ed esclusivamente a lei…scusa…”
Il ragazzo fece un mesto sorriso mentre impugnava la maniglia della porta.
“Dammi tempo” lo pregò lei “Magari fra un po’…”
“Ciao Ely” si limitò a dire lui mentre usciva da casa sua.

 

Mentre si trovava davanti a quella casa di una piccola cittadina babbana vicino a Rouen, Angela sentiva a stento il vento freddo che le sferzava la pelle. Era in piedi davanti a quel portone scuro da un tempo indefinito, la paura si era impossessata di lei e le impediva di suonare il campanello.
Aveva speso tutto il suo tempo libero alla ricerca di suo fratello, e ora era lì. L’aveva trovato. Un dubbio però si era istillato nella sua mente: e se quello che aveva visto non era suo fratello? Se era un qualunque uomo francese e tutti i film mentali che lei si era fatta erano, appunto, film mentali?
Aveva chiesto a tutti i medici in servizio, aveva sfruttato una sua amica dai tempi della scuola che lavorava all’Ufficio Passaporte per poter rintracciare Philip Douvres o meglio Jonathan Stuart e alla fine era giunta a quell’indirizzo.
Se non era suo fratello tanto valeva scoprirlo e togliersi dalla testa quella storia, convincersi che Jonathan era morto e chiudere quel capitolo una volta per tutte.
Perfetto, ora sentiva anche le lacrime che le pizzicavano gli occhi.  Alzò gli occhi al cielo nel tentativo di ricacciarle e si decise a suonare il campanello.
Non passò molto prima che la porta si aprì e Angela si trovò davanti una donna algida, con lunghi capelli castani legati in una treccia laterale e occhi scuri che sembravano trafiggere al singolo sguardo.
“Posso esserle utile?” chiese.
“Cerco Jonathan” le uscì detto senza pensarci ma prima che potesse correggersi, la donna davanti a lei le rivolse uno sguardo confuso.
“Qui non c’è nessun Jonathan, mi dispiace”
“Mi dispiace, mi dispiace, volevo dire Philip” si scusò frettolosamente Angy.
La donna alzò un sopracciglio, scettica poi girò leggermente il viso verso l’interno dell’abitazione. “Philip, c’è qualcuno per te!” urlò.
Angela tirò un minuscolo sospiro di sollievo. Non era poi così lontana dalla soluzione. Il cuore iniziò a batterle all’impazzata quando vide una figura familiare sbucare da una stanza sul retro della casa, mentre si toglieva un paio di guanti da giardinaggio.
Quel fisico, quei capelli scuri quasi neri, quegli occhi azzurri così simili ai suoi. Non aveva dubbi. Aveva la sua risposta: quello era Jonathan.
Fece per chiamarlo ma le mancò il fiato quando quella donna chiese “Philip conosci questa ragazza?” e lui rispose “No, non conosco questa ragazza.”
L’uomo si girò e si diresse di nuovo verso la cucina.
“No, aspetta!” si ritrovò ad esclamare Angy.
“Senta signorina, evidentemente ha sbagliato persona…”
“Johnny sono Angy! Sono tua sorella!” gridò la mora facendo un passo per entrare dentro casa, voleva raggiungerlo, scuoterlo per un braccio ma invece si ritrovò la bruna che urlava indispettita.
“Non so chi sia lei o cosa voglia ma mio marito non ha nessuna sorella! E ora se ne vada!”
“Lei non capisce, io devo parlargli!”
“Se ne vada prima che chiami la polizia!”
In un attimo Angela si ritrovò sbattuta fuori, in lacrime. Non c’erano altre passaporte per il Regno Unito quel giorno, era costretta ad aspettare il giorno successivo.
Passò il pomeriggio e la sera stesa sul letto di una camera d’albergo, ferma a fissare il soffitto, incapace di rendersi conto di cosa era successo. Era arrivata così vicina a suo fratello…e lui l’aveva guardata come se si fosse trattato di un’estranea.
Mandò un gufo a William, non specificando cosa era successo ma tranquillizzandolo sul fatto che sarebbe tornata il giorno dopo, poi ordinò il servizio in camera.
Non si stupì quando sentì bussare alla porta. Quando aprì e vide Johnatan davanti a lei per poco non ebbe un infarto.
Rimase pietrificata, con gli occhi sgranati quando quelle due braccia la avvolsero nello stesso identico modo che ricordava.
“Credevo che non ti avrei mai più rivista” disse lui con voce rotta mentre affondava il viso in quei capelli scuri.
Angela non riuscì a rispondere. Chiuse gli occhi lasciandosi cullare dall’odore familiare del fratello.
Quando si furono calmati, sciolsero l’abbraccio e Jonathan si chiuse la porta della stanza alle spalle, asciugandosi gli occhi umidi e arrossati.
“Tu…” provò a dire Angela ma le parole le morirono in gola. Avrebbe voluto dirgli talmente tante cose che il suo cervello non riusciva a processarle.
“Mi dispiace per oggi, per gli ultimi cinque anni, per tutto” disse lui appoggiando entrambe le mani sulle spalle della ragazza.
“Perché?”
In fondo era quella l’unica cosa che le interessava sapere. Perché era sparito? Perché se ne era andato senza lasciare alcuna traccia? Aveva passato settimane a piangere pensando che lo avessero rapito, torturato o ucciso. E invece…
“È una lunga storia, Angy”
“Ho tempo” rispose lei incrociando le braccia e sedendosi sul bordo del letto.
Jonathan si sedette su una sedia lì vicino, si passò una mano tra i capelli. Era evidentemente in difficoltà, come se non sapesse da dove cominciare.
“Per un periodo ho avuto una relazione con una ragazza…” poi un sorriso quasi sarcastico si dipinse sul suo volto “Un giorno viene da me e mi dice che suo marito, un Mangiamorte, ci ha scoperto o meglio ha scoperto che sua moglie lo tradiva. Io non avevo idea che fosse sposata. Se quell’uomo avesse scoperto chi era l’amante di sua moglie…ci avrebbe massacrati…tutti quanti”
“Johnny…” lo chiamò.
“Dovevo andarmene, Angy. Non potevo rischiare che vi succedesse qualcosa, cerca di capire” la pregò.
“Avresti potuto dirmi qualcosa…avremo trovato un modo…”
“No…no. Non potevo coinvolgere altra gente, era troppo pericoloso.”
Angela si stava sforzando di capire; la parte razionale del suo cervello le diceva che quello che aveva fatto suo fratello era pienamente giustificato ma il suo cuore non voleva accettare il fatto che lui se ne fosse andato senza neanche dire addio, anche se l’aveva fatto per proteggere se stesso e la sua famiglia.
“Quindi sei venuto qui…hai cambiato nome…”
“Vivo come un babbano ora… non volevo attirare l’attenzione. Nessuno sa che sono un mago, nemmeno mia moglie, Angelique”
“Non mi è sembrata tanto angelica” ridacchiò Angy.
“Beh, nonostante il nome è simile, lei non è certo come te, sorellina. È buona ma è piuttosto gelosa.”
L’uomo sorrise ricordando le scenate di gelosia che faceva sua moglie poi continuò “Mi dici come mi hai trovato?”
“Ti ho visto al San Mungo e…ho ripreso a cercarti.”
“Lavori al San Mungo ora?”
I due passarono ore, tutta la notte, a chiacchierare e a riaggionarsi come facevano una volta fino a quando, mentre fuori albeggiava, Jonathan si alzò dicendo che doveva tornare a casa.
“Non dire niente a mamma e papà di tutto questo, specialmente alla mamma”
“Ma…non hai idea di quanto abbia sofferto! Lei vorrebbe vederti se sapesse che sei vivo e che stai bene!”
Jonathan sospirò prendendo le mani della sorella tra le proprie. “So della caduta di Lord Voldemort, so che la maggior parte dei Mangiamorte sono ad Azkaban ma è ancora tutto troppo pericoloso. Già il fatto che tu sappia tutto mi preoccupa, non voglio che anche nostra madre sia in pericolo.”
La ragazza gli si gettò addosso per abbracciarlo. “Non voglio perderti adesso che ti ho ritrovato” disse.
“Non mi perderai, te lo prometto”
Jonathan si specchiò negli occhi di Angela, identici ai suoi e vi vide dentro tutta la preoccupazione che affliggeva in quel momento la sua adorabile sorellina.
“Ti fidi ancora di me?” le chiese.
“Sempre”

 

Finalmente anche Ottobre sembrava essere arrivato al capolinea, era infatti l’ultimo giorno del mese. Era mattina presto e Freya osservava Sebastian accanto a lei che dormiva e russava piano. Non sapeva come ma sembrava tutto così facile, così assurdamente normale. Non aveva più avuto incubi o attacchi di panico e si stava godendo una relazione normale, di quelle che la gente dà per scontate ma che per lei era un traguardo incredibile.
Il ragazzo si girò verso di lei ed aprì lentamente gli occhi.
“Buongiorno” lo salutò lei con un sorriso allegro.
“Giorno” mugugnò Sebastian in risposta poi si sporse verso di lei per catturare quelle labbra sottili tra le proprie.
Il ragazzo la attirò a sé e continuò a baciarla con sempre più insistenza.
“Smettila…” ridacchiò Freya senza però interrompere quei baci “Devi andare a lavoro…non ti permetterò di usarmi come scusa!”
“Bacchettona” rispose lui senza smettere di sorridere. A malavoglia si alzò dal letto e si diresse verso il bagno.
“Guarda che io non ti mantengo se ti licenziano” lo prese in giro a voce alta per farsi sentire.
Freya si tirò su a sedere, con la schiena appoggiata alla testiera del letto e il resto del corpo coperto dal lenzuolo rosa, solo dal lenzuolo.
“Stasera io, May e Naomi andiamo a fare dolcetto o scherzetto. Vieni con noi?”
Il ragazzo si affacciò e rimase appoggiato allo stipite della porta con Freya che rimirava quello splendido adone in boxer.
“Non siete un po’ grandicelle per fare dolcetto o scherzetto?”
“Non si è mai troppo grandi per i dolcetti, Sebastian Lennox. E poi lo facciamo per Naomi, per farla uscire e svagare un po’”
“E allora io cosa c’entro scusa?”
“Beh, mi sembrava brutto non invitarti” rise lei.
Sebastian si avvicinò al letto cercando di sembrare minaccioso, cosa che non gli riusciva perfettamente perché non riusciva a trasformare quel sorriso sardonico in qualcosa di più tenebroso.
“Ah, e così si trattava di un invito di convenienza…speravi che dicessi di no, ammettilo” la provocò arrivandole sempre più vicino.
“No”
“Ammettilo”
“No” rise lei mentre la bocca di Sebastian era arrivata ormai a pochissimi centimetri dalla sua.
La ragazza si aspettava di essere baciata ma ciò non avvenne. Sebastian le disse, con una voce strascicata e suadente: “Ti salvi solo perché devo passare da casa a cambiarmi prima di andarmi a lavoro.”
Freya passò il suo giorno libero in giro per la città, sia nella zona babbana che in quella magica, alla ricerca di un qualche costume per lei e per May, che era al lavoro.
Maysilee uscì dall’ospedale magico alle sette di sera, quando ormai fuori era quasi buio pesto. Le giornate erano diventate sempre più brevi, ormai se iniziava il turno la mattina presto fino a sera, usciva e rientrava in casa col buio.
Era stata una giornata piuttosto pesante a lavoro. Quando c’era una qualsiasi festa la gente sembrava rincitrullirsi di botto e quell’ignorante del nuovo Capo Reparto sembrava rendeva le cose ancora più difficili.
Provò uno straordinario sollievo quando, tornata nell’appartamento, vide che Freya aveva preso la cena pronta per entrambe.
“Ho trovato i costumi” annunciò Freya.
L’amica sollevò gli occhi azzurri con espressione interrogativa, come per invitarla a continuare.
“Aspetta qui” le intimò l’altra prima di correre in camera.
May aspettò continuando a mangiare la sua cena, qualche minuto più tardi vide Freya spuntare in salotto con una veste da strega più annesso cappello e la sua bacchetta.
“Tadà” fece allargando le braccia.
All’amica sfuggì una risatina. “Streghe che si travestono da streghe?”
“Che c’è? Andremo in un quartiere babbano, non ci scoprirà nessuno anche se volessimo far uscire qualche scintilla dalla bacchetta”
Un’ora più tardi le ragazze si trovavano davanti casa dei genitori di May. Andò loro ad aprire Nathan, il padre di May.
“Ciao papà…”
“Ragazze…cosa ci fate vestite così?”
“Siamo venute a prendere Naomi per andare a fare dolcetto o scherzetto” rispose la figlia come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Tua sorella non verrà fuori.”
Gli occhi di May si spalancarono per la sorpresa. Notando ciò l’uomo si sbrigò a dare delle spiegazioni.
“E’ pericoloso per delle ragazze come voi andare in giro di notte. E Naomi è incinta, è meglio che stia in casa, riposata e al sicuro.”
May si oppose fermamente a quel padre che, per quanto volesse loro bene, aveva sempre fatto fatica ad accettare che le figlie fossero delle streghe e che fossero mature abbastanza da prendere le loro decisioni. Non riuscì ad ottenere una risposta dall’uomo però quando lei e Freya si allontanarono gettò uno sguardo alla finestra della camera di Naomi dove c’era la stessa ragazza che le faceva cenno con la mano di aspettare.
Poco dopo May la vide sparire e ricomparire da un vicolo dove evidentemente si era smaterializzata. Sorrise pensando a quanto era cambiata la sua dolce e carina sorellina.
“Grazie per avermi aspettata” disse una volta raggiunte le due bionde.
“Non potevo non farlo…è il primo anno che porto mio nipote a fare dolcetto o scherzetto e preparati, perché lo farò tutti gli anni” sorrise lei, trionfante.

 

Edward e Johanna chiusero la porta di casa del ragazzo dopo aver consegnato una manciata di caramelle a due adorabili bambini che si erano travestiti da Auror in miniatura.
La ragazza aveva deciso di chiudere il locale quella sera, affermando che c’erano già abbastanza matti nelle serate normali, figurarsi ad Halloween, e si era unita al fidanzato nel distribuire dolcetti ai bambini del vicinato.
La caduta di Voldemort voleva dire anche quello, che dopo anni in cui erano rimasti chiusi in casa, ora piccoli maghi e streghe potevano andare in giro e godersi la festa.
“Credo che ormai siano finiti, comincia ad essere tardi…” disse Edward.
“Già…la bambina vestita da basilisco comunque era la migliore”
“Sì, decisamente” concordò lui “Andiamo a letto?”
Johanna annuì e dopo aver chiuso casa i due andarono al piano di sopra e si infilarono accoccolati sotto le coperte.
Era bello, per Edward, avere Jo lì con lui. La casa sembrava molto silenziosa e vuota da quando Elaine se ne era andata quindi il fatto che la ragazza ogni tanto rimasse a dormire lì diventava ancora più piacevole.
Anche per Johanna era bello essere lì, tranquilla e avvolta in quelle braccia grandi, specialmente in giorni come quello, in cui non aveva il pensiero di dover aprire il Crazy Head il giorno dopo.
Si era quasi assopita con la testa appoggiata al petto di lui quando lo sentì dire “Jo, io ti amo”
“Anch’io” rispose automaticamente ma con una punta di sospetto nella voce.
“Sono contento che ti fermi qui stanotte….e che ti sia fermata qui martedì…e so che è presto…ma non mi basta più…ti andrebbe di fermarti qui per sempre?”

 

 

 

 

 

 

Buon pomeriggio!
Siamo infine giunti all’ultimo capitolo di questo viaggio che è stato, almeno per me, meraviglioso.
L’epilogo, con annesso salto nel futuro (perchè a me piace così), è già scritto e lo pubblicherò domani mattina con annessi ringraziamenti e saluti lacrimevoli.
Baci
H.

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Capitolo 15
*** Epilogo ***


Il sole splendeva in quella tiepida giornata di Maggio. C’era una leggerissima brezza che muoveva le foglie degli alberi presenti in quel grande giardino. C’erano una decina di file di sedie bianche posizionate sull’erba davanti ad un gazebo coperto da rami e rami di rose in fiore. All’interno della villa, davanti ad una finestra che dava sul giardino c’era una ragazza, avvolta nel suo abito da sposa, che non poteva ancora credere a quello che stava succedendo.
Johanna Johnson sorrise vedendo la gente che iniziava ad accomodarsi, voleva dire che mancava poco, davvero poco al suo matrimonio. Lei che non aveva mai creduto troppo ai lieti fine stava per avere il suo.
Un bussare alla porta la ridestò dai suoi pensieri.
“Posso?” chiese Sebastian affacciandosi con la testa.
“Entra” lo invitò la ragazza. Il ragazzo entrò nella stanza e rimirò la propria migliore amica da capo a piedi. Era davvero splendida nel suo abito bianco, stretto sulla vita e con la gonna che si allargava piano piano.
“Sei splendida” commentò afferrandole entrambe le mani.
“Grazie…Seb, devo chiederti una cosa” disse Jo conducendo lui verso il divano.
Una volta seduti Sebastian replicò “Dimmi…”
Per una volta Johanna sembrava veramente imbarazzata, come se si vergognasse a parlare. “Io…ho bisogno di qualcuno che mi accompagni all’altare” disse tutto d’un fiato.
Lui le strinse le mani più forte “Ne sarei onorato” e la abbracciò.
“Sono così agitata che potrei anche cadere lungo il percorso” commentò lei, dopo che si furono staccati.
“Ci sono io a sostenerti” sorrise lui.
La giovane si alzò e si rimise seduta davanti la toeletta per finire di truccarsi mentre l’amico se ne stava in piedi davanti alla finestra.
“Oh guarda, stanno arrivando Freya e May…e sembrano due vecchiette! Ti dispiace se vado in loro aiuto? Torno subito.”
“Vai pure” gli sorrise radiosa guardandolo da sopra una spalla.
Nel grande giardino May e Freya stavano camminando a braccetto nel tentativo piuttosto vano di non affondare con i tacchi nel terreno.
“Maledetto prato e maledetti tacchi!” imprecava la nuova giovane Capo del Reparto Ferite da Creature Magiche.
“Dai, siamo quasi arrivate” la incoraggiò l’amica.
Quando arrivarono in vista del gazebo rimasero entrambe senza parole dalla bellezza del luogo.
“Però…non ce la facevo Jo così romantica” commentò May “Anche se penso che la sorella di Edward ci abbia messo lo zampino.”
Freya ridacchiò “In effetti non ce la facevo Jo una tipa da matrimonio”
“Signore, avete intenzione di abbagliare qualcuno con cotanta bellezza?”
La voce precedette l’arrivo di un sorridente Sebastian Lennox.
“Scemo” commentò Freya prima di staccarsi dall’amica per andare a baciare il suo fidanzato.
“Posso accompagnarvi ai vostri posti?” chiese alle due donne.
May lo ringraziò mentalmente prima che prendesse entrambe sotto braccio e le scortasse ad una delle prime file di sedie bianche.
“Mi fermerei volentieri qui con voi ma la sposa ha ancora bisogno di me” e salutò le due ragazze prima di tornare verso la villa.
In quel momento in piedi nel patio della villa c’era una giovane donna che controllava con gli occhi acquamarina l’evolversi della situazione e poi abbassò lo sguardo per rimirare se stessa.
“Tutto ok?” chiese Francis avvicinandosi a lei.
“Va tutto alla grande” rispose Victoria “Eccetto per il fatto che mi sento una specie di meringa” disse riferendosi all’abito di chiffon rosa pesca che indossava.
“No, non una meringa…direi più una meravigliosa torta alla panna”
Notando l’occhiataccia che sua moglie gli riservò Francis si sbrigò a correggere il tiro. “Scherzavo…sei assolutamente meravigliosa, siete meravigliose, tutte e tre” aggiunse accarezzando la pancia arrotondata della donna.
“Ruffiano” fece Victoria assottigliando gli occhi.
Un attimo dopo entrò nel suo campo visivo Elaine e si sbrigò, per quanto le fosse possibile, a raggiungerla.
“E’ pronta Kayla?”
L’altra sbuffò scacciandosi una ciocca di capelli da davanti agli occhi. “Non uccidermi ti prego ma si è rovesciata addosso il succo di zucca. Sono appena andata a recuperare la bacchetta.”
“Sbrigatevi, mancano solo quindici minuti” si raccomandò.
“Sì capo” rispose l’altra portandosi una mano tesa all’altezza della fronte.
Elaine salì in fretta le scale per il piano superiore ed entrò nella stanza dove si erano cambiate lei e la piccola Kayla.
Trovò la bambina che saltava sul letto.
“Scusa, non sono riuscito a fermarla” fece William alzando le mani in segno di resa. Elaine alzò gli occhi al cielo a sentire le parole dell’amico. Alla fine era quello che si era rivelato William Traynor, un amico fidato e un sostegno per lei e la bambina. Ci avevano provato a far funzionare le cose per un periodo ma per una serie di cause avevano visto che non erano destinati a stare insieme. Ma a lei andava bene così, stava bene da sola, finalmente poteva godersi un po’ di quella libertà che aveva bramato per anni.
Will scese le scale per tornare in giardino mentre si sistemava la cravatta. Quello era il secondo matrimonio a cui partecipava nel giro di un mese. Soltanto qualche settimana si erano sposati Angela e Luke. Se solo glielo avessero detto cinque anni prima non ci avrebbe mai creduto e invece ora i due erano in viaggio di nozze. Non erano cambiati poi molto, battibeccavano spesso…come quando avevano discusso di chi dovesse avere William come testimone. William aveva scelto di essere il testimone di Luke, con grande disappunto da parte della sua migliore amica che, alla fine, aveva avuto un testimone d’eccezione: suo fratello.
Elaine e Kayla uscirono dalla camera qualche minuto più tardi per andare da Edward.
La sorella lo trovò a misurare la stanza con grandi falcate e a torturarsi le mani in preda all’ansia.
“Smettila…” gli disse Elaine.
“Sicura che è ancora di là, che non è scappata?” chiese l’uomo
“Si”
“E abbiamo ringraziato Francis e Victoria per averci prestato casa?”
“Ovviamente”
“Gli ospiti sono arrivati?”
“Per l’ennesima volta si”
“Le fedi le hai prese?”
“Oh merda, le fedi!” esclamò portandosi una mano sulla fronte.
Edward impallidì e guardò la sorella con gli occhi spalancati.
“Scherzavo!”
“Non è divertente…la mia principessa è pronta?” chiese poi lui rivolto alla nipotina.
“Pronta” rispose la bambina tutta allegra.
Le due si diressero verso la stanza dove si trovava Johanna, mentre Edward aspettava la sorella lungo il corridoio.
“Edward ha paura che tu scappi” disse Elaine dopo essere entrata nella stanza.
“Edward è un’idiota” bofonchiò Johanna.
“Che pensiero carino sul tuo quasi marito” ridacchiò l’altra, poi si abbassò a livello di sua figlia per le ultime raccomandazioni “Allora, hai capito cosa devi fare: cammini davanti la zia Jo e ad ogni passo getti a terra una piccola manciata di petali.”
Kayla annuì.
“Ok, io vado di sotto con Edward”
Dieci minuti più tardi Edward Burke era in piedi sotto al gazebo e guardava sua moglie, o meglio la sua quasi moglie, camminare verso di lui, bella ed emozionata come non mai e capì che quello era in assoluto il giorno più bello della sua vita.

 

 

 

 

Siamo arrivati proprio alla fine di questa storia… dire che non mi dispiace sarebbe mentire perché bene o male mi sono affezionata a tutti i personaggi.

Non avrei mai pensato di scrivere un’interattiva, figuratevi concludere la seconda…e visto che la maggior parte delle interattive non vanno in porto, lo considero un piccolo trionfo personale!

A questo punto non posso non ringraziare chi ha messo le basi per questa storia, fornendomi degli OC splendidi e anche chi ha provato, ma non è riuscito a partecipare.

Un grazie speciale alle 2 persone che hanno messo la storia tra le preferite e alle 8 che l’hanno messa tra le seguite, a chi ha recensito e anche a chi ha solo letto.

Non vi libererete facilmente di me!

H.

 

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