New Pet!

di NightWatcher96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Little Buddy ***
Capitolo 3: *** New Mikey ***
Capitolo 4: *** Evil Hand (Part I) ***
Capitolo 5: *** Evil Hand (Part II) ***
Capitolo 6: *** Evil Hand (Part III) ***
Capitolo 7: *** Shock! ***
Capitolo 8: *** Spectre ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Angolo dell'Autrice

Da quanto tempo non aggiornavo? Da molto, moltissimo. A dirla tutta, lavoravo su un altro fandom, fino a quando non ho deciso di tornare anche un po qui, il mio caro nido. Questa storia è l'inizio di una molto simile a "Little One" per il racconto in prima persona, che tocca tutti gli Hamato e per la complessità d'azione. Diciamocelo, ragazze... se non c'è azione, che storia è? E' questo è il mio campo, insieme all'avventura e il fluff! Hihihihi! Molto bene. Bando alle ciance e vi lascio con questo prologo.
Forza, accorrete in numerosi! La festa comincia!




Erano tre settimane.
Ventuno giorni di buio.
Cinquecentoquaranta ore di ricerca costante.
Alla tana il silenzio regnava da una vita, in apparenza: Michelangelo era scomparso misteriosamente e nessuno era stato in grado di scoprire chi aveva osato architettare un simile sfregio.
Avevano pensato ai Kraang, a Shredder ma più volte erano andati a controllare, più si erano quasi convinti che forse, probabilmente, vi era la mano di qualche altro temuto nemico...



Di tutti i miei ragazzi, Raphael era quello che aveva preso la scomparsa di Michelangelo come un fardello molto, molto pesante. Sebbene mai avrebbe ammesso un tale oblio di disperazione che lo consumava ogni giorno di più, aveva cominciato a nutrire un certo piacere nell'essere schivo ed introverso.
Non più una parola con i suoi fratelli. 

Solo una continua lotta sul fantoccio che generalmente usiamo per allenarci.
Il mio secondogenito non era più nemmeno venuto da me a cercare una forma di aiuto, anche verbale e leggera. Le sue risposte erano le fughe notturne a ogni calar delle tenebre e rincasava sempre all'alba più tetra.

Io sapevo perché era lì fuori. Non avrebbe mai smesso di cercare suo fratello, il mio bambino più prezioso che fin da piccolo mi ha ricordato Miwa.
Come mio solito, ero in profonda meditazione in camera mia quando sentii gli indistinti passi del mio primogenito, generalmente determinati e precisi.

"Sensei."- mi chiamò dall'esterno delle shoji.

"Entra, Leonardo."- dissi.

Mio figlio mi s’inginocchiò davanti con aria triste senza dire una parola. Ovviamente, come padre dei miei ragazzi, già conoscevo il seme della sua preoccupazione e questa volta l'obiettivo era indirizzato su qualcun altro.

"Temi che Raphael possa farsi molto male, vero, figliolo?"- dissi.

Leonardo mi diede uno sguardo interrogativo che mi valse più di qualsiasi risposta accondiscendente, chinò il capo e annuì. "E' sempre più distante. Non parla, a malapena lo vediamo nella tana e cosa peggiore... Donnie dice che dopo il rientro si chiude in bagno o nella sua stanza per curarsi alla meglio un taglio o una ferita".

Immaginavo questo ma a sentirmelo ripetere fu tutt'altro effetto. Mi alzai in piedi, lisciando la barbetta mentre mio figlio mi seguiva di sottecchi, senza pronunciarsi.
"Non possiamo tenerlo d'occhio sempre. Raphael è come una bomba a orologeria molto pericolosa. Si sta consumando dal dolore e come tutti noi ha paura."- specificai quasi con rammarico, anche se non avrei voluto dipingere il mio secondogenito come un debole qualunque ma era importante affinché il mio discepolo potesse capire cosa fare. Era il leader, dopotutto.

"Ha paura, sensei? Per cosa?"- mi chiese Leonardo.

"Non rivedere mai più Michelangelo".

Leonardo balzò in piedi, teso come una corda di violino; mi diede un'occhiata scioccata che fui costretto a chiudere gli occhi e quando li riaprii lui era già corso via, diretto al laboratorio di Donatello.

"Michelangelo..."- sospirai.

Dietro i portaritratti della mia precedente vita, presi un piccolo cofanetto di legno; lo aprii e ne tirai fuori una maschera arancione. Era solo un logoro pezzo di stoffa così vecchio ma per me erano vividi ricordi e una speranza da tenere.

"La tua prima bandana, figlio mio..."- sussurrai, accarezzando il tessuto...

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Capitolo 2
*** Little Buddy ***


Angolo dell'Autrice

Fandom un po' moscio, eh? Su, non importa. Piuttosto aggiorno rapidamente e questo mi fa piacere. Colgo l'occasione di ringraziare le mie due lettrici, una tra le quali è la cara Lady Zaphira che mette sempre buon umore nelle sue recensioni ed immancabilmente mi regala un paio di spunti niente male. Non dimentichiamoci affatto dell'altrettanto molto cara Io_amo_freezer che ha letto il prologo buttato un giorno su una pagina di word... eh, sì! La vostra Watchie vi ringrazia sempre. A questo punto, vi posto il capitolo, il primo per giunta. 



New York mi sembrava un cumulo squadrato di Lego per bambini ricchi e privilegiati.
Ero rimasto come una statua, fermo sul cornicione di un edificio molto alto a osservare in silenzio ciò che da sempre mi era sembrato tanto suggestivo. Continuavo a sentirmi vuoto e speravo che accadesse qualcosa, una qualunque ma mi sbagliavo.

Come ho sempre fatto in quasi quindici anni.
Io amavo Michelangelo. Era il fratellino essenziale per me e adesso non riuscivo più a trovare un solo stimolo per continuare. Tutte le mie ricerche, le mie uscite segrete, le mie batoste e mazzate erano azioni meccaniche indotte dalla disperazione.

Non sapevo fosse qualcosa di tanto violento da fare di te il suo automa.

"Mikey..."- sospirai, mentre mi muovevo in un tunnel di fogna. "Dove sarai?".

Mi sembrava di risentire la sua voce giocosa chiamare il mio nome con quel "Raphie" che avevo sempre detestato, almeno fino a quando non sono entrato nella pubertà.
Da piccoli, io e Mikey eravamo inseparabili, come gemelli ma poi non l'ho più seguito e la mia attenzione è caduta principalmente su Spike, la tartaruga che è diventata Slash...0
Il tanfo di fogna era tremendo e pizzicava i miei polmoni.

"Che puzza..."- mormorai.

Mentre camminavo distrattamente nell'acqua stagnante che avvolgeva le mie caviglie, m’irrigidii, guardandomi poi le spalle: un sibilo sinistro mi era giunto sul collo, come un tocco leggiadro ma non c'era nessuno, stando ai miei occhi confusi. Ugualmente brandii e afferrai il più forte possibile i miei Sai, per ogni evenienza.
Dopotutto, le fogne di New York erano più pericolose della superficie stessa...

D'un tratto, un gridolino stridulo mi raggiunse i timpani come una freccia veloce e precisa e richiamato dalla curiosità e anche da una leggera forma di preoccupazione mi diressi verso un cumulo di spazzatura galleggiante, in parte sotterrata da mattoni e polvere. Recentemente vi era stato un crollo di una parete di alcuni tunnel sprovvisti di manodopera e stavano lavorando per riportare tutto come un tempo.
Avevo abbondante tempo per concentrarmi in questa sezione fognaria perché quegli stupidi umani operai sarebbero giunti soltanto nella settimana prossima.

Cauto o forse non abbastanza mi fermai davanti alla provenienza dei gridolini più deboli e in pochi attimi i miei Sai piombarono sui mattoni, frantumandoli in minuti granelli di polvere.
Il mio respiro da calmo passò a rantoli sconnessi di furia cieca. Per ogni colpo rivedevo il mio fratellino, quello che non ho saputo proteggere in alcun modo.
Il mio respiro si gelò.

"I... io non..."- balbettai con la gola secca.

Avvolto in parte dalla sporcizia e dalla polvere biancastra, un piccolo guscio faceva capolino e l'animaletto al suo interno continuava a emettere striduli acuti. Forse era un cucciolo.
Lo raccolsi e lo esaminai: era una tartaruga piccola.

"Ehi..."- sussurrai, accarezzando il guscio con un dito. "Chiunque tu sia lì dentro, ora sarai al sicuro. Fatti vedere, però".

Timorosamente, una piccola tartaruga sbucò. La cosa che più mi sorprese fu la pelle completamente nera; da quando le tartarughe erano scure? Aveva un viso tenero, grandi occhi zaffiro e minute macchioline grigio chiaro sparse sulle gote. Lentiggini, forse?

Il mio cuore si fermò a quello che stavo vedendo. Era troppo irreale, no, semplicemente mi rifiutavo di collegare quelle somiglianze al mio fratellino perduto.
Quella tartaruga era così simile. Troppo uguale!

"Scusa, piccolo..."- mormorai, rimettendolo dove l'avevo trovato e balzai in piedi, con i pugni stretti. "E' solo che tu mi ricordi Mikey...".

La tartaruga mi stava guardando, come se si stesse sforzando di capire cosa gli stessi dicendo con fervore e una spolverata di lacrime pronte a rotolare lungo le mie guance.
Mi diede un gridolino e m’irrigidii ancora una volta, stupefatto. La testolina del piccolo era contro il mio piede e si strusciava con affetto. Possibile?

"Non posso lasciarti qui, però..."- sussurrai, raccogliendola.

La piccola era così felice che mi diede una leccatina al pollice.

"Non sei una tartaruga ordinaria, vero? Sei così intelligente che potrei paragonarti a un cane."- sogghignai, mentre miravo a tornare alla tana...
 


Era tutto buio e deserto tanto da sembrare uno dei miei peggiori incubi ma sapevo di essere a casa e non mi preoccupavo. In quel momento, la mia preoccupazione principale era semplicemente di raggiungere mio fratello Donnie e di mostrargli il mio nuovo piccolo amico, ancora in una mia mano, rinchiuso nel suo guscetto.
Era tardi, molto. Quasi le 02:20 e di dormire per me non era ancora il tempo giusto. Ero troppo impaziente di scoprire tutto su questa nuova tartaruga per riposare.

La tana, adesso, mi sembrava enorme. L'albero nel dojo era minaccioso e pronto, all'apparenza, a fracassare i curiosi come me.
Dietro le shoji, il sensei sicuramente riposava: il suo respiro era morbido e questo mi avrebbe permesso di sfuggire a occhiate penetranti o domande a doppio taglio.
Leonardo altrettanto dormiva nella sua stanza.

"Don non è in camera sua" pensai, quando mi ritrovai davanti alla stanza in questione.

Come avevo già sospettato, mi dileguai il più silenziosamente possibile verso l'unico fascio di luce che filtrava sotto una pesante porta di metallo: il laboratorio.
All'interno, mio fratello era davanti al suo computer, analizzando la sfera dei Kraang che emanava pulsazioni rosate. Questo significava soltanto una cosa... i nemici stavano muovendosi da qualche parte, pronti per coglierci di sorpresa.

"Novità sui Kraang?"- chiesi.

Donnie balzò così violentemente dal suo sedile che ruzzolò in terra e per poco la sfera preziosa altamente tecnologica non gli cascò in terra, in un mare di pezzi. L'afferrò prontamente con un'espressione di puro terrore e una volta in piedi mi diede uno sguardo corrucciato.
A malapena trattenni un ghigno.

"Qualcuna."- pronunciò con voce lagnante e incredibilmente piatta. "E tu?".

"Io? Oh, beh... la mia non la definirei opportunamente novità, bensì sorpresa."- commentai, aumentando la suspense. "Apri le mani".

Il piccolo amico nel suo guscio lo consegnai a Donnie e attesi paziente.

"Una... tartaruga?"- farfugliò indeciso.

"Non è una comune tartaruga. L'ho trovata sotto della spazzatura ed è stato incontro a prima vista."- raccontai. "Ha gli occhi azzurri, Donnie e sapessi che intelligenza!".

Per mio fratello quella piccola tartaruga era un banale rettile di dimensioni piuttosto inferiori alla norma ma qualcosa lo fece ricredere. La superficie del suo guscio era poco rugosa, con placche prive di abrasioni e leggermente appuntite.

"Dorso di diamante."- mormorò Don. "Cioè, la nostra stessa specie".

"Dimmi di più".

In pochi attimi, Don mi avrebbe saputo dare più informazioni. Quel piccolo animaletto lo girò più e più volte per controllare anche il dettaglio più insignificante e quando si ritenne soddisfatto, mio fratello mi diede un grosso sorriso malizioso.

"E' un maschio, come già detto appartenente alla specie Dorso di Damante, con una spolverata di lentiggini sulle guance e … ampi occhi azzurri."- disse con enfasi, ma alla fine rallentò.

Due dei dettagli appena specificati ci gelarono: quelle maledette parole rispecchiavano il nostro fratellino perduto e sentirle ripetere all'infinito nelle nostre menti confuse, pugnalavano dolorosamente il cuore.

"E' come un Lui in miniatura..."- pronunciò Don, con voce tremante.

Inspirai profondamente, presi l'esserino tra le mani e lo accarezzai con dolcezza. Mi ero già affezionato in parte e non me la sarei sentita di abbandonarlo.
Appena spostai gli occhi su una fetta di pizza integra e ormai fredda su un piatto, mi arrabbiai leggermente. Donatello era un genio troppo impegnato e a ricordargli di nutrirsi, andare a letto o giocare erano sempre stati i compiti di Michelangelo ma adesso, senza più nessuno, a malapena ricordava questi fabbisogni essenziali.

"Tu non hai mangiato."- dissi con tono accusatorio.

Don non se ne era reso nemmeno conto. Ricordava di Leo che era entrato tre ore prima con quel piatto di pizza e gli aveva ordinato gentilmente di mangiare ma lui, rapito dall'intermittenza improvvisa della sfera dei Kraang, aveva scordato tutto.

"Ops..."- ridacchiò nervosamente.

Appoggiata la piccola tartaruga sulla scrivania per esasperazione dalla superficialità di quel genio di mio fratello, mi strofinai energicamente il viso con due mani e brontolai: "Possibile che ti si debba sempre ricordare queste cose? Don, non devi spingerti troppo e superare i tuoi limiti! Guardati! Hai gli occhi iniettati, sei pallido e in più caschi da sonno!".

"Proprio tu mi fai la predica, quando esci misteriosamente e torni con una serie di infortuni? Proprio tu mi ricordi di non superare i limiti? E proprio tu mi insinui che passo troppo tempo da solo quando tu e soltanto tu ti stai allontanando da tutti noi?!"- ruggì Don, vicino al mio viso.

Non replicai nemmeno una parola perché semplicemente non ne avevo da dire. Erano vere sia le mie prediche sia quelle di Donatello e quindi eravamo pari.
In quel momento di battaglia di sguardi minacciosi, un rumorino si fece strada nelle nostre orecchie e quando guardammo non credemmo ai nostri occhi.
La piccola tartaruga si era avvicinata al piatto e divorava la pizza incurante di insudiciarsi con la mozzarella e il pomodoro. Sentendosi osservato, si voltò verso di noi con quel musetto adorabile ricoperto di rosso e i brillanti occhi zaffiro intimoriti.

"Hai detto che era molto intelligente, vero?"- borbottò Don.

"Volevi una dimostrazione? Eccotela. E ora che dici?".

"Semplicemente incredibile. Non capita tutti i giorni un cucciolo di tartaruga con lentiggini, occhi azzurri che mangia una pizza. E' anormale... o meglio, completamente fuori da comune!"- rispose Donnie, accarezzando la tartaruga sulla testolina.

La piccola scodinzolò allegramente e produsse un verso acuto che ricordava molto i giocattoli per cani che suonavano se strapazzati.

"Visto? Gli sono simpatico!"- ridacchiò Donnie.

Roteai semplicemente gli occhi nell'esasperazione ma non potei fare a meno di ridacchiare un po'; in quell'attimo, dal mio petto una parte del dolore si era affievolita leggermente e liberato, presi un profondo respiro.
Chissà, forse questo piccolino poteva offrirmi un po' di conforto.

"Che intenzioni hai con lui?"- domandò Donatello, con gli occhi fissi sull'interessato.

"A dire il vero, pensavo di tenerlo con me. Sai, abbandonare l'esserino dove l'ho trovato farebbe di me un autentico mostro senza cuore".

Donnie mi sorrise ma non fece in tempo ad aprir bocca che un respiro infastidito ci raggiunse alle spalle come una freccia; appena ci voltammo con curiosità riconoscemmo ovviamente Fearless e il sensei.

"Ehi, ho trovato un amico!"- esclamai festoso e mi affrettai a raccontare la breve storia.

"E' indubbiamente un cucciolo molto grazioso, figliolo."- mormorò semplicemente il maestro, quando conclusi il mio racconto.

“Quindi, terrai la tartaruga come hai fatto con Spike?”- chiese Leo.

“Sì.”- risposi onestamente. “E vorrei anche cercargli un nome abbastanza forte”.

Il sensei si lisciò semplicemente la barbetta con fare pensieroso, poi, senza emettere un singolo suono, si ritirò nella sua stanza. Probabilmente pensava che adesso mi sarei sentito un po’ meno ombroso e mi sarei pian piano riaggregato agli altri.

Rimasti in tre, Leonardo si avvicinò con curiosità al mio piccolo amico e dolcemente lo prese tra le mani; la tartaruga scodinzolava la codina con allegria e zampettò fino al pollice, utilizzandolo come un balcone su cui affacciarsi e sorridere ampiamente.

Leo prese un respiro tagliente e improvvisamente sbiancò in volto.

“Mikey…”- sussurrò.

“Leo, avresti dovuto vedere il piccoletto! Ha addentato la mia pizza con gran voracità e… Leo...”- esclamò Don, notando una spolverata di lacrime sulle sue guance. “Anche a me ha fatto lo stesso effetto…”.

“E’ così simile…”.

Sospirai pesantemente e nel frattempo ripresi il mio piccolo amico confuso per riservargli una tenera carezza di dito sulla sua piccola testolina.

“Non è colpa tua. Sai, è solo che ci ricordi molto il nostro fratello perduto.”- gli dissi con un triste sorriso.

La piccola tartaruga fece nuovamente il suo verso e si accucciò completamente sulla mia mano.

“Bene. Benvenuto in famiglia.”- mormorò distrattamente Leo, ancora di spalle, per asciugarsi le lacrime.

“Mi raccomando, Raph…”- continuò anche Don. “Cercagli un bel nome. E’ un cucciolo speciale”.

Annuii più che d’accordo e ormai stanco della notte così lunga mi trascinai verso la mia stanza con gli occhi cadenti. Feci per entrare quando adocchiai immancabilmente la cameretta di Mikey vicino alla mia: di colpo, le mie speranze crebbero ma non appena aprii la porta, un freddo e vuoto letto mi accolse, avvolto nella più completa oscurità.

“Mikey…”- sussurrai, mentre la mia vista si annebbiava di lacrime.

Mi gettai a peso morto sul letto di mio fratello, incurante che la piccola tartarughina fosse rotolata come una noce dal cuscino al lenzuolo. In quell’attimo, volevo semplicemente piangere, urlare il mio dolore e la mia rabbia per tutta la situazione ma non lo avrei mai fatto, non se sapevo che così avrei trascinato anche i miei altri fratelli.

Contrario ai miei pensieri più ostili, strinsi semplicemente contro il mio viso il cuscino di Mikey e ben presto, tra una lacrima silenziosa lungo la guancia e l’altra, mi addormentai.
Non mi sarei mai accorto della piccola tartaruga strofinare una zampetta contro le mie lacrime e guardarmi con occhi tristi…

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Capitolo 3
*** New Mikey ***


Angolo dell'Autrice

Non mi è possibile aggiornare quotidianamente... cercherò però di farlo ogni settimana. Ci sarà un capitolo o due ogni sette giorni. :) Dopo questo, vi ringrazio in numerose e vi posto qui il nuovo capitolo. Come sempre, enjoy!
P.S. I ricordi dei ragazzi scritti in corsivo sono in terza persona.



Chapter 2: New Mikey
 
Un gelato d’inverno era un po’ strano; non si riusciva quasi a percepire il vero gusto e per ogni morso sulla superfice gelata lo stomaco ringhiava perché non gradiva quel cibo gelido. Eppure assaporarlo con una persona cara a fianco, su una ringhiera di un alto palazzo, rischiarati dall’argentea luce della luna piena e New York splendente come panorama era il massimo.
L’idea di un gelato anziché della solita pizza serale era stata di Mikey e, poiché a Raphael piacevano molto le sfide e le cose innovative, aveva accettato con il solito ghigno. E adesso si gustava il suo cono a fragola, cioccolato e pistacchio.

“Devo ammetterlo, fratello! Di tutte le tue idee balorde, questa è stata la migliore!”- esclamò, dopo l’ennesima leccatina.

Mikey sorrise ampiamente. facendo risaltare le sue labbra dipinte del bianco del fior di latte, suo gusto preferito insieme a nocciola e fragola. Raph scoppiò a ridere e giocosamente gli tirò il cappuccio della logora felpa arancio sbiadito sulla testa.

“Ehi!”- protestò il giovane, preoccupato più per il gelato.

Raphael se la rise ancora più sonoramente per risposta e inghiottito l’ultimo pezzetto del suo cono, saltò sulla cabina dell’ascensore, sedendosi con una gamba sull’altra e le braccia a sorreggere il busto possente sotto la giacca nera, bordata di rosso.

Mikey mise il broncio ma ben presto imitò Raphael e i due rimasero a godersi il panorama a lungo, almeno fino a quando i rumori prodotti dalla lingua del minore non divennero alquanto insopportabili.

“Non sai mangiare meno rumorosamente?!”- protestò il focoso.

Mikey gli fece la linguaccia ma poi gli passò il suo gelato e disse: “Prova tu. Ecco, mangia anche il mio gelato. Non credo di avere più le meningi!”.

A Raphael ci vollero quasi trenta secondi interi per realizzare il gesto fraterno di Mikey che dondolava amorevolmente le gambe in alternanza e aspettava di vederlo papparsi la gelida leccornia; poi sorrise e dopo un abbraccio veloce, divorò anche il secondo gelato.

“Ti voglio bene, Raphie…”…
 


Un gridolino acuto riecheggiava nel mio orecchio.
Pensavo di essere ancora immerso nei sogni ma mi sbagliavo e stancamente schiusi almeno un occhio per capire un po’ cosa mi ero perso. Le prime cose che notai furono il lume acceso e la mia tartarughina sveglia, oltre che scodinzolante con un'aria molto felice.
Era adorabile.

“Ehi…”- espirai in uno sbadiglio. “Dormito bene?”.

Un altro grido come risposta... forse era un sì? Ridacchiai un po’ e incrociando le braccia dietro la testa squadrai a lungo il posto in cui mi trovavo. Era la stanza di Mikey. Avevo dormito qui, allora e in più il mio sogno era stato cullato da un ricordo a me caro.
Era così vero, così reale che adesso mi sentivo vuoto.

Improvvisamente, un pensiero mi scosse: se nessuno mi aveva svegliato, oltre il mio piccolo amico, chi diavolo aveva acceso la luce?

“Dì un po’, non è che sei stato tu a darmi un luminoso risveglio?”- dissi.

Il piccolo annuì e zampettando sul mio cuscino si concentrò incredibilmente a balzare sul bordo del comodino.

“Non farlo!”- esclamai, scattando seduto. “Chi ha detto che le tartarughe sono lente? Tu ti muovi velocissimo, lo sai, piccolo?”.

La tartaruga mi guardò leggermente corrucciata e perfino infastidita che le avessi impedito di compiere il salto. Per caparbietà o cosa, mi dimostrò quanto fosse agile spiccando un agilissimo salto che terminò con un atterraggio perfetto sul liscio piano del comodino. Successivamente, si alzò sugli arti inferiori e pigiò l’interruttore della lampada con una zampa, sostenendo il suo piccolo corpo grazie al rialzo del gambo d’ottone che a sua volta sosteneva la lampadina. E la luce si spense.
E io? Avevo la bocca talmente spalancata che un hamburger ci sarebbe entrato completamente.

“C… come h… hai…?”- farfugliai, stropicciandomi poi gli occhi. “Come hai fatto?”.

La tartarughina scodinzolò per tutta risposta e balzando nuovamente sul cuscino mi si strofinò contro il fianco, in cerca di coccole. Ovviamente non mi rifiutai.

“Ho un nome per te… non ti da fastidio se ti chiamo Spot?”- dissi.

Il mio piccolo amico mi fece una linguaccia e si accucciò perfino disgustato, poi cominciò a roteare su se stesso emettendo grida di protesta.

“Ok, ok! Non ti piace! E che ne dici di Nerino?”.

La reazione fu la medesima della precedente ma non mi scoraggiai e provai altri nomi come Black, Kame, Teddy, Thora e altri nati dalla foga di continuare quella specie di gioco. Eppure, alla fine comunque mi rassegnai cadendo a peso morto sul letto, con il piccoletto sistemato comodamente sui piastroni superiori.

“Sei un tipetto difficile, lo sai?”- ridacchiai, accarezzandogli la testolina.

La tartarughina si strusciò completamente contro il mio polpastrello quando, d’un tratto, si fermò e si voltò verso qualcosa proveniente dal cassetto socchiuso del mio fratellino. Veloce come poteva essere, zampettò di nuovo sul cuscino e da lì, raggiunto il comodino, spinse con tutte le sue forze affinché avrebbe potuto aprirsi un varco più ampio per entrare.

“Si può sapere che stai facendo adesso?”- domandai tra l’ironico e il perplesso.

Neanche dieci secondi dopo, il piccolo sbucò con qualcosa di arancione tra i denti. Il mio cuore si rabbuiò pesantemente e mentre le lacrime annebbiavano i miei occhi, il mio amico mi tornò accanto, consegnandomi quel familiare pezzo di stoffa arancione.

“Mikey…”- mormorai in un sussurro rauco.

Il piccoletto guaì felicemente e cercò in tutti i modi di legarsi da solo il pezzo di stoffa sul guscio, anche per tirarmi su il morale.

“Vuoi che… ti chiami Mikey, per caso? E’ questo quello che stai cercando di farmi capire?”- domandai.

La tartaruga scodinzolò e gridò in estasi per l’ennesima volta.

“D’accordo… Mikey. Da adesso tu sarai il mio nuovo fratellino, almeno per un po’. Che ne dici?”.

L’esserino non poteva esserne più raggiante, soprattutto perché aveva anche un grazioso fiocchetto (in stile donna in costume, Anni Trenta) sulla corazza che avrebbe sicuramente rappresentato un ottimo punto di riferimento per cercarlo, nell’eventualità di una sua scomparsa.

“Bene, Mikey! Andiamo a dare a tutti la notizia!”…

 

Non mi aspettavo certamente un silenzio alquanto dubbioso circa la mini avventura capitata trenta minuti prima. Nonostante il mio racconto obiettivo, senza inventare nulla o ingigantire le cose, nemmeno Don o sensei mi avevano creduto.

“Insomma! Che devo fare per un po’ di credito, qui?”- sbottai infine, stufo.

“Non è che non ti crediamo, fratello… è solo che, vedi, è tutto molto irreale. Anche se questo piccolino ha mangiato un po’ della mia pizza, ieri, non mi convincono per niente i suoi salti dal letto al comodino, la sua spiccata intelligenza verso le tue proposte e la morbosità nel voler avere il nome di Mikey.”- elencò Donatello, contando sulle dita.

La mia rabbia era quasi a un livello insopportabile e dubitavo di essere in grado di rilassarmi, come solitamente faceva Leonardo. Anzi, lui continuava a fissare il mio piccolo amico al centro della tavola con aria un po’ incuriosita, nella speranza di trovare a tutti i costi anche un fondo di verità con le mie parole.
Forse da lui potevo avere un appoggio… chissà!

“Io non penso che Raph menta.”- disse poi.

Donnie roteò gli occhi e rispose scocciato: “Ma va, Leo! Sai meglio di me che le tartarughe non fanno questo genere di cose, a meno che non si trattino di creature con più del trentacinque per cento di DNA mutante!”.

Leonardo fece le spallucce mentre si avvicinava al cucinino per servire in tavola un piatto con un ultimo trancio di pizza fredda con salame. Lo guardammo leggermente stupiti, oltre che con un affondo nel cuore nel ricordarci di Mikey e la sua mania di consumare pizza anche a colazione.

“Il momento migliore della pizza è la colazione, ragazzi!”, diceva sempre.

“Io credo a Raph.”- mormorò.

Avvicinò il piatto al cucciolo e ci fece cenno con lo sguardo di restare a vedere il sicuro spettacolo che di lì a poco sarebbe avvenuto. E infatti, oltre a gonfiare d’orgoglio me stesso, il mini Mikey annusò dapprima l’aria, poi agitò il sederino simpaticamente e saltò dritto sulla morbida pasta della pizza.

“Altro che cavalletta! Si sarà alzato di almeno trenta centimetri!”- borbottò Donnie, sconcertato.

In fretta addentò un lauto strato di mozzarella e agì indisturbato nel divorare anche del salame, incurante di diventare più rosso di pomodoro che nero di pelle.

“Raph, ritiro tutto quello che ho detto!”- esclamò Donnie, stropicciandosi gli occhi.

“E’ ovvio, geniaccio. Io non dico bugie!”- sogghignai, rivolgendomi poi a Mikey: “Vero, piccolo?”.

Il mio amico annuì e tornò a mangiare il suo pasto preferito.

Preso un respiro profondo, il sensei intervenne con un’aria piuttosto pensierosa dipinta sul viso: “Come può una piccola tartaruga avere doti del genere? Questo è molto strano. E’ agile, veloce a suo modo e soprattutto ama la pizza. Inoltre, le sue caratteristiche sono insolite”.

Nessuno aveva risposte. Neanche Don, piuttosto concentrato a studiare silenziosamente il piccolo Mikey mentre avanzava sulla pizza, condotto dalla sua fame insaziabile. Tutto ci ricordava di lui, il fratellino scomparso e ci alimentava anche le speranze con il suo fare inconsapevole.

Chissà, magari questo cucciolo poteva aiutarci o sapeva qualcosa della nostra missione!

“No, troppo strano!” pensai, con un cipiglio di rabbia sul viso.

“Raphael.”- chiamò improvvisamente il sensei, alzandosi dal tavolo: “Vieni con me, figlio mio”.

Scambiai semplicemente uno sguardo perplesso con i miei fratelli e mi avventurai verso la stanza del mio sensei.
 


La stanza era illuminata da quattro candele, disposte a rombo sul tatami consumato dove Splinter s’inginocchiava e meditava; odorava di tè alle erbe e di un sottile strato d’incenso.
Alle pareti leggermente scrostate capeggiavano numerose fotografie di noi quattro in versione poppanti e durante la nostra infanzia. Non mancava certamente il ritratto di Tang Shen e Miwa sulla mensola di legno, alla nostra sinistra.

Imitato mio padre nell’inginocchiarmi, senza farmelo dire, attendevo solo la serie di domande mirate al cucciolo di tartaruga in balia dei miei fratelli… ma al contrario, il suo silenzio mi fece solo rialzare la testa chinata pochi secondi fa per disagio.

“Il tuo piccolo amico è una creatura fuori dall’ordinario.”- mormorò Sensei, calmo.

“Beh… lo so. Fa cose che…”.

“Non mi riferisco a ciò che ci ha dimostrato.”- interruppe: “Ma a ciò che ho visto nel suo cuore. Ha un Chi forte, di un azzurro intenso e un’empatia fuori dal comune. Queste cose non sfuggono a occhi esperti, Raphael. Non potevo non accorgermene”.

Il mio cuore mancò un battito: erano le stesse caratteristiche di Mikey. Empatia, ingenuità, forte Chi luminoso… tutto combaciava perfettamente! Ma cosa poteva mai significare?

“Forse questo piccolo può avere un nesso con il nostro Michelangelo.”- continuò Sensei.

Troppo bello per essere vero.
Una parte di me ci sperava, l’altra no, troppo realista per illudersi. Scossi leggermente il capo, intenzionato a non voler più continuare quella conversazione e invece mio padre mi tenne ancora lì, davanti a lui, con una mano sulla spalla.

“Il tuo piccolo amico cerca di comunicare con te. Ascoltalo a tuo modo, Raphael. So che vuole dirci qualcosa e noi dobbiamo essere pronti a comprenderlo”.

Un piccolo sorriso increspò le mie labbra; ero molto meno aspro, adesso e nel mio petto un piccolo calore cresceva per ogni battito di speranza. Forse, potevo davvero creare un legame con il piccolino.

Appena mi rialzai e m’inchinai in profonda gratitudine, lasciando la stanza, non feci nemmeno in tempo a dirigermi verso la cucina che una piccola macchiolina nera zampettò velocissima fino al mio piede.

“Ehi! Fermati!”- esclamò Don, poco dietro con Leo.

Era Mikey e mi osservava implorante!

“Su, vieni qui…”- gli dissi, raccogliendolo nella mia mano.

Non potei fare a meno di notare che sul suo faccino c’era un piccolo ghigno!

“Si può sapere che è successo?”- chiesi, ridacchiando.

“Prova a dirlo a Flash!”- sbuffò Donnie.

“Don lo stava di nuovo studiando ma la tartaruga si è vendicata con un morso al pollice e poi è saltata dal tavolo alla sedia e da essa al pavimento, filando dritta verso di te. Questo è quanto.”- spiegò Leo, divertito.

“Analizzavi Mikey o lo torturavi?”- domandai sospettoso.

Sbuffando, Don replicò: “D’accordo… lo ammetto! Gli ho involontariamente schiacciato una zampetta, ma solo perché si rifiutava di restarmi fermo tra le mani!”.
Me la risi con totale nonchalance.

“Bravo, piccolo! Sai il fatto tuo!”.

Mikey roteò su se stesso velocissimo, mentre gridava in totale felicità.

“D’accordo, Mikey. Sei davvero un tenerone!”- sorrise amorevolmente Leo, accarezzandogli la testolina con il dito…
 


Occhi gialli fissavano aggressivi il panorama notturno e piovoso; tutt’intorno, la fitta vegetazione sorvegliata da inquietanti occhi cremisi odorava di umidità e nel vento pronunciava la sua triste melodia frusciante.

Odiava essere lontano dalla città, senz’armi e senza il suo compare ma era una conseguenza dei malfidati Kraang. Non aveva la più pallida idea di dove si trovasse ma sapeva solo di essere da solo.

Completamente da solo, senza poter contare su nulla.

“Maledetti Kraang…”- ringhiò a denti stretti: “E anche di quella maledetta tartaruga con la kusarigama! Se non mi avesse spedito in quel portale, non sarei mai stato catturato e torturato dai Kraang. Ma ora che sono tornato, mi vendicherò!”.

Una risata bassa e grave si levò in contemporanea a un forte tuono; per un breve lasso di tempo, il cielo divenne bianco ma istantaneamente assunse quella terrificante sfumatura violacea mista al nero più tetro.

“Nessuno accantona Neutralizer!”- urlò alla pioggia.

Mentre avanzava ancora alla cieca, inciampò goffamente e sbatté sul soffice terreno muschioso: Neutralizer ruggì come un animale feroce e con foga si rimise in piedi ma in quell’attimo, un lampo gli illuminò per un brevissimo lasso di tempo l’oggetto del suo inciampo.
La salamandra era sconcertata, stupita e soprattutto perplessa: davanti ai suoi piedi neri c’era un contenitore di mutageno integro, avvolto da un chiarore lieve della poltiglia al suo interno.

“Che cosa ci fa qui quest’affare immondo?”- mormorò, raccogliendolo.

Lo studiò attentamente, mentre muoveva a ripetizione i suoi bulbi oculari gialli molto sporgenti, alla ricerca di qualche idea vendicativa e in pochi secondi una terrificante gli balenò in mente.

“Con questo mutageno, mischiato opportunamente con una capsula di plutonio e DNA mutante, potrei distruggere letteralmente quelle miserabili tartarughe. L’effetto che si verrebbe a creare nel loro corpo disintegrerebbe totalmente ogni tessuto, ogni vena e ogni osso, in un’implosione davvero strepitosa!”- sogghignò oscuramente: “Il loro DNA incompleto non potrebbe mai sopportare un altro completo. Si annullerebbe all’istante ed è esattamente ciò che voglio!”.

Neutralizer era eccitato all’idea di realizzare un piano così ingegnoso ma doveva solo munirsi di una capsula di plutonio.

“La discarica di New York. Lì posso trovarla con un po’ di fortuna. Chissà che non ritrovi anche Slash… lui è mio fratello…”.

Quando Neutralizer alzò gli occhi, la sua reazione fu una semplice curiosità: era arrivato davanti a una casa rurale decadente, una catapecchia distrutta dal tempo ma ancora abitabile. La casa era a due piani, con un pergolato abbastanza accomodabile e numerose finestre a indicare il numero esatto di camere.

“E’ perfetta per me!”- mormorò.

Mentre si dirigeva verso l’entrata, la sua coda urtò una cassetta per le lettere arrugginita; poiché il palo che la sosteneva era marcio, a causa dell’umidità del terreno, si spezzò come un biscotto. Neutralizer ridusse gli occhi a due fessure nel cercare di leggere il nome di quella proprietà.

“O’ Neil…”- sibilò: “Questo nome non mi è nuovo…”.

Un altro colpo di coda e anche la porta d’entrata si aprì, ormai lesionata alle cerniere arrugginite. Dentro era buio, freddo ma confortevole. Un’ottima tana momentanea.

“Posso fare qui il mio laboratorio…”- sogghignò, mentre la porta si richiudeva cigolando alle sue spalle…
 

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Capitolo 4
*** Evil Hand (Part I) ***


Angolo dell'Autrice

Rieccomi puntualissima ad aggiornare la storia che mi ha preso molto, nonostante la svogliatezza, la mancanza di tempo e tutto. Ringrazio di cuore chi mi segue e mi recensisce... un caldo abbraccio a tutte!!



Chapter 3: Evil Hand
 
L'alba temporalesca si affacciava sui contorni oscuri e corvini della città, al suo primo risveglio dopo le tenebre. I suoi colori smorti spennellavano di grigio le grosse nuvole malinconiche ammassate nel cielo e in lontananza, come un flash, qualche lampo anticipava il rombo profondo del tuono.
Sarebbe stata un'altra giornata temporalesca.

La cosa non ci avrebbe particolarmente interessato se non fosse per un piccolo particolare: da almeno un mese, quegli idioti degli umani non sottoponevano a revisione e manutenzione completa il tratto AB-1 delle fogne, ovvero quello più vicino alla nostra amata tana.

Le piogge violente che duravano giornate, secondo mio fratello Donatello, cominciavano a innalzare pericolosamente il livello dell'acqua nei canali di scolo stretti fra due marciapiedi di mattoni rossi e grigi. Potevamo ritrovarci allagati, o peggio, sommersi anche nel sonno.

Per ora, almeno, tutto era ancora perfettamente tranquillo.

La nostra tana era avvolta nel silenzio del sonno, non un dannatissimo insetto svolazzava in giro e perfino Donatello era addormentato nel suo letto e nella sua stanza. Per una volta il suo laboratorio era vuoto della sua presenza.

Eppure c'era qualcuno che fissava il buio con occhi azzurri: il piccolo Mikey era ai piedi della mia amaca, su un tappeto peloso che lo mimetizzava perfettamente grazie al colore nero privo di sfumature. Fissava la porta chiusa della mia stanza e ogni tanto mi adocchiava.

Dormivo profondamente nella mia amaca, con una gamba penzolante e una coperta tirata fino alle orecchie. Ero rimasto sveglio la gran parte della notte a cercare nuove strade per trovare il mio fratellino. Troppo tempo senza di lui cominciava a distruggere il cuore della nostra famiglia.

Mikey zampettò piano, per non svegliarmi e si fermò accanto a ciò che rivelò essere uno spesso libro dalla copertina logora. Era un album di fotografie.

La tartarughina saltò sull'ammasso di carte, roteò su se stesso poi fece sporgere la testolina verso il pavimento. Voleva aprire il libro.
Il suo primo tentativo arrivò dopo un primo sculettare: afferrò con la bocca il bordo rigido della copertina e cominciò a tirare con tutte le sue forze verso l'altro lato. Il libro si sollevò di qualche centimetro ma il peso della copertina fece ruzzolare Mikey sul pavimento.

Infelice di aver fallito, il piccolo guaì arrabbiato e agì diversamente: si sollevò sulle zampette anteriore per poter fare di quelle anteriori una sorte di crick. Indietreggiare lo aiutò a sollevare maggiormente la copertina ma non abbastanza e la prossima cosa che sapeva era ritrovarsi schiacciato nel libro!

Mikey guaì arrabbiato per un primo momento, poi gli venne un'idea. Utilizzò le sue forse per raggiungere il bordo del libro dove generalmente erano attaccate tutte le pagine e mediante il suo guscio riuscì nel suo intento.
Guaì talmente felicemente che mi fece grugnire nel sonno.

Mikey immediatamente la smise, tornando piuttosto a visionare l'album. C'erano molte fotografie, alcune sgualcite, altre un po' bruciacchiate e molte anche sfocate. Tanti bei ricordi immortalati.
La mia piccola tartaruga si focalizzò su una foto che raffigurava Michelangelo all'età di dieci anni; aveva i suoi nunchaku stretti nei pugni vicino al viso illuminato da un sorriso radioso.
Strusciò la zampetta sulla fotografia, guaendo tristemente. Mikey mi diede una nuova occhiata ma la sua attenzione venne rapita da un cigolio alla porta.
Un'ombra alta ed enorme le si allungò dinanzi, intimorendolo.

"Ehi, piccolo, già sveglio?"- sussurrò Leonardo, offrendogli la mano.

Mikey scodinzolò mentre saliva sul palmo della sua mano e gli leccava il pollice giocosamente.

"Che cosa stavi guardando?"- chiese in un sussurro. "Non dirmi che sei stato tu ad aprire l'album?".

Mikey inclinò la testolina da un lato ma annuì come fosse stata la cosa più naturale del mondo per una semplice tartarughina.

"Ma di cosa mi meraviglio? Tu sei molto speciale. E questo mi ricorda che oggi è il giorno in cui dovrò sottopormi al mio consueto check-up alla gamba..."- sospirò leggermente, adocchiando la spessa fasciatura bianca che avvolgeva il suo ginocchio. Era lo stesso che si era ferito durante un testa-a-testa con Shredder, la sua orda di Foot Bots e i suoi scagnozzi mutanti. "Sai, a volte penso che il nostro Michelangelo potrebbe trovarsi a North Hampton. Tu non lo sai ma è proprio lì che siamo stati durante la mia lunga convalescenza e siamo tornati qui da poco tempo. Chissà, poi, se non si sia trattato di un segno di un destino. Tu ci credi al destino?".

Mikey annuì vigorosamente.

"Anch'io. Anzi, sono convinto che trovare te era stato già programmato nel nostro destino!"- ridacchiò Leonardo, chiudendo il più silenziosamente possibile la porta della mia stanza. Nell'attimo in cui si voltò verso la parte del corridoio che conduceva alla zona living, il suo ginocchio emise un sonoro scricchiolio. La sua espressione mutò in una dolorosa, poi in un'altra apatica e infine sorrise. "Va tutto bene, piccolo Mikey... a volte succede... specie se c'è un temporale".

La tartaruga gli diede una lunga occhiata significativa, non del tutto convinta. Si sporse oltre la mano di Leonardo, studiando tranquillamente il ginocchio e mentre lo faceva inclinava la testolina da un lato e poi dall'altro: in effetti, la gamba era tremante e da come veniva strusciata, senza permettere al corpo di bilanciarvi il peso spostato solo su un solo arto, era momentaneamente fuori uso.
La piccola gli catturò l'attenzione con una leccatina al pollice.

"Sto bene"- ripeté Leonardo, senza guardarla. Mikey saltellò imperterrito prima di affondargli i dentini nella carne del palmo della mano. "Ehi! Ma che ti prende?!".

La tartarughina cominciò a gridare contrariata dalla leggerezza con la quale mio fratello Leo prendeva la questione della gamba.

"Sto bene e mi dispiace che tu abbia assistito a un... ecco... come definirlo..."- continuò, sebbene un po' a corto di parole.

"...vuoi dire assistere a un principio di tendinite acuta che grava sulla micro-fattura alla tibia, vero?"- corresse la voce apatica alle sue spalle. Era Donatello, con la maschera viola appesa al collo e le braccia conserte. "Leo, ci preoccupiamo tutti per te. Quindi, basta con tutta questa foga di dimostrarci che sei in grado di sopprimere il dolore! I check-up a cui ti sottopongo non sono una delle mie fantasie: servono a monitorare lo stato della tua nuova terapia!".

Leonardo espirò in risposta, senza avere la forza di ribadire. E intanto il piccoletto leccava i morsi che aveva procurato poco prima, guaendo tristemente come avesse voluto trasmettere il suo sincero rimorso.

"Sei un cucciolo davvero speciale. Non c'è che dire. E forse puoi essere d'aiuto a tutti noi quando siamo troppo presi dai nostri mondi"- disse dolcemente Donatello, offrendo una carezza al piccolo con un solo dito.

"E' ciò che gli ho detto prima. Tu che cosa penseresti se ti dicessi che è rilassante parlare con Mikey?"- continuò Leonardo, lasciandosi avvolgere un braccio intorno alla vita e lui stesso lo appoggiava sulle spalle di Donnie, come supporto per camminare. Le aveva lasciate, o meglio abbandonate, le stampelle nella sua stanza, troppo testardo per usarle.

"Ti credo, ti credo. Dopo aver visto di cosa è capace Mikey, non mi meraviglia più niente"- rispose Donnie, conducendolo nel laboratorio.

A Mikey fu dato un posticino d'onore: comodamente appollaiato su un morbido strato di ovatta in una scatola di scarpe vuota su una scrivania proprio accanto al lettino dove Donatello ci medicava le ferite reduci delle battaglie più sanguinose.

"Sei comodo, piccolo?"- ridacchiò il genio.

Mikey guaì felicemente, tornando a fissare Leonardo che, nel frattempo, si era rabbuiato nel notare un leggero gonfiore al ginocchio.

"Non ci metterò molto, vedrai..."- furono le parole di Donatello, mentre si inginocchiava e cominciava a togliere la fasciatura...
 



Neutralizer aveva fatto del seminterrato della proprietà O'Neil il suo laboratorio. Era lo stesso umido posto dove ci si arrivava per mezzo della botola del salotto, la stessa trovata da Michelangelo mentre tutti insieme pulivano. E il medesimo dove la navicella dei Kraang aveva tenuto in ibernazione una pessima copia della mamma di April.

Nella vecchia capsula kraanghiana, la salamandra nera aveva trovato numerosi codici in grado di aiutarlo a creare il suo potente Retro-Mutagen KT, dove le ultime due lettere stavano per "Kill Turtles".
Neutralizer era già riuscito a fabbricare un primo prototipo del suo micidiale retro-mutageno ma aveva bisogno di plutonio e l'unico posto dove sapeva di trovarne una minima quantità era al porto. Doveva raggiungere New York e prendere ciò che gli serviva.

"Tornerò molto presto. Per il momento non ho alcuna intenzione di scontrarmi con quei fastidiosissimi rettili. Sono in svantaggio numerico, non ho neanche le mie armi migliori... e in più, devo riconfigurare il mio cip di traduttore universale..."- elencò, palpando una piccola scheda madre collocata sul petto a sinistra.

La salamandra nera ebbe la premura di nascondere il prezioso mutageno all'interno di una camera di ibernazione che ancora funzionava e lo congelò. Fino al suo ritorno non vi sarebbero stati pericolo di mutazione accidentale con piante ed insetti.

A quel punto, con un oscuro ghigno sulle fauci, brandì una bisaccia che aveva trovato in una cassapanca nella soffitta della casa e ci infilò alcune cibarie.

"Sto arrivando... e anche tu, preparati fratello!"- sogghignò.

Se avrebbe potuto contare su un po' di plutonio, un portale dimensionale per accelerare l'arrivo a New York gli avrebbe semplificato le cose.

"Mi vendicherò anche per questo!"- ruggì, dileguandosi nella fitta boscaglia a nord.

Rimase all'erta, girandosi intorno più e più volte nella speranza che nessuno lo stesse seguendo. Mentre proseguiva, i suoi sensi lo allertarono: da sud stava arrivando un'auto rossa. Quella vettura poteva fargli comodo.
Neutralizer sogghignò nuovamente, arrampicandosi sinuosamente sul tronco di un fitto e massiccio albero. Quando l'auto fu praticamente sotto di lui, saltò e atterrò sul tettuccio. L'uomo a bordo urlò di terrore e cominciò a sbandare per sbarazzarsi della salamandra ma quest'ultima non lo permise e afferrando un braccio dell'uomo avvalendosi del finestrino aperto, lo scaraventò nella boscaglia, prendendo così il posto alla guida.
Una risata maligna e violenta gli rombò dal profondo della gola: era così straordinaria la sua cattiveria!
La radio cominciava a suonare del rock. Neutralizer non la spense, anzi, alzò il volume e sgommò velocissimo verso l'autostrada...



 
Mi ero svegliato dopo un buon sonnellino da almeno mezz'ora e silenziosamente mi ero appoggiato allo stipite della porta del laboratorio di Donatello con le braccia incrociate.  Il mio primo pensiero era stata la tartarughina e non trovandola ero corso subito da quel genio di mio fratello, preoccupato che avrebbe potuto sottoporla a pericolosi test.
Don era un tipo curioso e talvolta più che testarlo nel portare a termine i suoi progetti.

Vedere ben altro scenario, più Mikey appisolato a pancia in su (e non era certamente comune, dal momento che le tartarughe morirebbero in quella posizione se rimaste per troppo tempo) con la linguetta fuori dalla bocca. Donnie era intento a massaggiare la gamba di Leo con una speciale pomata e a rinforzare l'osso indebolito con bende e una ginocchiera bianca di stoffa.

"Fortunatamente, lo scricchiolio che hai sentito prima è stato solo uno scoppio delle bolle d'aria che normalmente si formano e fungono da cuscinetti che ammortizzano i movimenti. Per quanto riguarda la tendinite acuta, è ancora piuttosto persistente, quindi il mio consiglio è quello di adoperare le stampelle"- spiegò Donatello, dando un'affettuosa pacchetta sulla nuova fasciatura. "Assumi anche le medicine che ti ho prescritto, aiuteranno la guarigione e la cicatrizzazione dell'osso in men che non si dica".

"Suppergiù, quando pensi che guarirò completamente?"- formulò Leo.

"Tra tre-quatto settimane, se ti sforzerai di seguire i miei consigli".

Leonardo arrossì leggermente imbarazzato, poi posò lo sguardo su di me, intento a sbadigliare con una mano sulla bocca. "Dormito bene, fratello? O un'altra notte insonne?".

Mostrai il pollice in risposta e mi avvicinai alla piccola tartaruga dormiente. "Mi è quasi venuto l'infarto non vedendola. Si può sapere come ha fatto ad uscire da sola? La porta era chiusa".

"In realtà, sono stato io. Ero piuttosto in vena di kata mattutini quando ho sentito un rumore dalla tua stanza e ho indagato. Dormivi così profondamente che la mia attenzione è caduta immediatamente su Mikey che si azzuffava con le pagine dell'album di foto"- raccontò non nascondendo una risatina.

"Mi compiaccio!"- sghignazzò a sua volta Donnie, appoggiando un altro strato di ovatta sul piccolo Mikey. "E' davvero straordinario questo piccoletto".

"Album di foto?"- ripetei dopo un attimo di silenzio.

Leo annuì, poi mi guardò perplesso.

"Perché avrebbe dovuto essere interessato all'album? Leo, riesci a ricordare cosa stava guardando con precisione?".

Mio fratello scosse il capo in negazione. "Mi dispiace, Raph ma davvero non ho prestato molta attenzione quando Mikey è salito sulla mia mano. Forse ho agito inconsapevolmente perché non volevo avere ricordi dolorosi se avessi guardato quell'album...".

"D'accordo, non importa".

In quel momento Mikey guaì, agitando i suoi piccoli arti come stesse scappando: si contorse, girandosi da un lato all'altro. Noi altri, preoccupati, ci avvicinammo.

"Che succede?"- chiese Leo, con occhi ampi di preoccupazione.

"Penso stia avendo un incubo"- fu la risposta triste di Donnie.

Appoggiai la mano sul piccolo corpo della tartarughina e non mi mossi fino a quando la sua paura non svanì, lasciandola completamente sicura di nuotare in sogni senza pericoli.

"Il legame che state instaurando è intenso"- sussurrò Leonardo.

Annuii timidamente ma ancora una volta il mio pensiero volò a Michelangelo. Con il mio fratellino avevo un legame ancora più forte e indissolubile.

“Chissà che cosa avrà sognato, poi. Da come si agitava non doveva essere qualcosa di bello”- mormorò Donatello, lisciandosi il mento. “E il che mi porta a pensare che le tartarughe non hanno incubi perché non posseggono l’auto-coscienza necessaria a imprimere i ricordi, come accade agli umani e beh, sì, anche a noi”.

“Mikey non è una tartaruga ordinaria”- mormorai, accarezzandole il guscetto.

Seguitò un attimo di silenzio dopo la mia frase opportunamente intrisa di fastidio. Odiavo che Donatello vedesse il mio trovatello ancora come una sorte di cavia sottoposta a modificazione genetica. Forse, tutto mi infastidiva. Secondo mio fratello genio, soffrivo di depressione e a livello celebrale avevo frequenti cali.

Non che mangiavo. Mi nutrivo solo di pochissime cose, a volte.

Il dolore per la perdita di Mikey era intenso…

 

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Capitolo 5
*** Evil Hand (Part II) ***


Angolo dell'Autrice

Nuovo Capitolo è qui! Dopo un po' di tempo rieccomi ad aggiornare e a ringraziare sempre e con il cuore tutte coloro che mi seguono e attendono con ansia i miei lenti aggiornamenti. Detto questo, vi lascio al capitolo. Buona lettura!



Chapter 4: Evil Hand (Part II)

La mia piccola tartaruga si era svegliata dopo un'oretta di sonno sul morbido giaciglio che Donnie gli aveva creato. I suoi ampi occhi azzurri scrutavano attenti il laboratorio ma con aria di familiarità, come se quel luogo dai mille brusii facesse parte di un passato ormai fumoso.

Notò un pc lampeggiante, la poltroncina rossa di Donnie rivolta verso la porta socchiusa di quel tanto da far passare il suo minuto corpicino: sicuramente il genio era in un'altra stanza.
Mikey zampettò verso il bordo della scrivania, scrutando attento il modo meno doloroso per scendere e curiosare un po' in giro. Aveva un certo languorino, poi!
Saltellò come una cavalletta sulla prima di alcune scatole da scarpe zeppe di blocchetti, pezzi di legno riutilizzabili e attrezzi arrugginiti, che affiancavano come una torre la scrivania.
Attento come avrebbe potuto essere, scese sui bordi dei contenitori di cartone, come una scala e raggiunse finalmente il pavimento. Scodinzolò compiaciuto e zampettò fuori dal laboratorio.

Il corridoio era in penombra ma non del tutto buio per una temeraria che non si sarebbe lasciata intimorire da qualche ombra. Mikey proseguì tranquillamente fino a quando non si sentì sollevare delicatamente dal pavimento.
Borbottò qualcosa simile a versi di diverse timbriche, ovviamente contrariato ma non appena si specchiò negli occhi bordeaux di Donatello cominciò a scodinzolare e ad agitarsi festosamente. Leccò il pollice di mio fratello e si sdraiò di pancia come un cagnolino.

"A chiunque faresti sciogliere il cuore con la tua dolcezza, piccoletto"- mormorò con una nota di dolcezza.  "Cercavo giusto te. Ti dispiace se prendo un campione del tuo sangue?". Mikey corrugò la fronte ma negò vigorosamente, infilandosi nel suo guscio tremando di paura. "Non dirmi che hai paura degli aghi, voglia sperare!"- esclamò stupito mio fratello. E di nuovo Mikey fece sbucare solo la testa per annuire con occhi luccicanti di lacrime e le guance gonfiate per un broncio tenero. "Suvvia, sarò delicato"- riprovò e di nuovo Mikey negò.

 Mentre si rimetteva a quattro zampe, sfuggì dalla mano di Donatello, spaventato dalle sue enormi dita che si chiudevano a mo' di gabbia per evitare fughe e si ritrovò a balzare nel vuoto, per grande stupore dell'altro. I suoi tentativi di riprenderlo divennero vani e un tonfo secco anticipò un guaito di dolore puro.

"MIKEY!"- esclamò Donatello, inginocchiandoglisi accanto.

La piccola tartarughina tremava e si lamentava a voce stesa, agitando i suoi arti, eccetto la zampa posteriore sinistra, perfettamente immobile. L'urto le aveva provocato un trauma.
Improvvisamente la luce nel corridoio ingoiò totalmente le tenebre: alle spalle di Donatello circa tre ombre si allungarono.

"Che diavolo sta succedendo qui?"- ringhiai un po' infastidito.

Donatello deglutì, senza emettere un suono dalla bocca ostinatamente chiusa. Non appena mi avvicinai, cercando di decifrargli la misteriosa espressione sul viso, sbiancai e avvampai come un cerino.

"Hai fatto del male al mio Mikey?!"- urlai fuori di me.

"N-no... è stato un incidente...!"- farfugliò Donnie, guardandomi con occhi ampi di sensi di colpa.

Raccolsi la mia piccola amica e la studiai attentamente: la zampetta calda, rossa e gonfia non prometteva nulla di buono. "Mettila in sesto! Adesso! Fai una radiografia, metti una stecca, fai una diavoleria delle tue!"- imprecai in un crescendo di voce.

"Raphael, sono sicuro che Donnie non voleva accidentalmente fare del male a Mikey..."- si intromise calmo Leonardo.

Mi scostai con uno strattone, chiudendo piano le mani con fare protettivo sul corpo della tartaruga gemente.

"No, ha ragione Raph. Volevo solo prendergli un campione di sangue per analizzare meglio la tartaruga... e mi è sfuggita di mano"- raccontò miseramente Donnie.

Gli afferrai brutalmente la cinghia che trapassava il suo petto, tirandolo violentemente in piedi. In quel momento i miei occhi avrebbero potuto incenerirlo.

"Come hai potuto, Don! Come hai potuto!"- ruggii, lasciandolo.

"Volevo soltanto...".

"In realtà vedi Mikey come un esperimento ben riuscito! E non come la tartaruga incredibile che è!"- ruggii, di spalle. Menzionare continuamente il nome del mio fratellino era riuscito a gonfiarmi di lacrime gli angoli degli occhi e per nessuna ragione al mondo mi sarei fatto vedere. "Aiuta Mikey!".

Senza un suono, Donnie annuì e allungò la mano per raccogliere Mikey ma fui più rapido e gliela schiaffeggiai, allontanandomi di un passo.

"Non ho detto di toccarla. Hai già fatto abbastanza danni per oggi, non credi?"- sillabai freddamente.

Lo sguardo di Donnie lampeggiò di dolore e annuì una seconda volta, deglutendo un fiume di lacrime...
 


Il porto era illuminato da una lunga serie di lampioni che ricordavano la presenza di un molo e di un marciapiede che conduceva più in periferia. Sotto la luna piena, in compagnia di milioni di brillanti stelle, alcune navi cominciavano ad allontanarsi verso l'orizzonte, sorvegliate con aria malinconica da alcuni marinai che affogavano gioie e dolori in bottiglie di liquore.

Occhi gialli scrutavano incessantemente la marea di containers, alla ricerca di uno in particolare, contenente un lauto bottino. Neutralizer annusò l'aria, frusciando leggermente la coda sull'asfalto: percepiva una presenza più che familiare.

"Che ci fai qui?".

La salamandra non trattenne un ghigno e si voltò lentamente, vagando con lo sguardo alla ricerca dell'ombra che rapidissima saltava sui container più alti, come un girotondo.

"Secondo te? Affari miei"- replicò, sguainando due pistole laser dalla cintura in vita. "E tu che mi dici fratello?".

La figura si fermò sotto la luce di un faro aggrappato a una gru non molto lontana, lasciandosi finalmente vedere. Slash teneva una mano sul fianco, l'altra stretta intorno all'impugnatura della sua fedele mazza serrata.

"Non sono tuo fratello. Non farmelo ripetere sempre"-  intimò, con voce piatta. Slash balzò energicamente dalla posizione in cui era e gli piombò davanti, in silenzio.

"Mi ha fatto piacere rivederti, fratello ma adesso lasciami lavorare in pace".

Slash gli puntò contro la mazza ferrata, socchiudendo gli occhi. "Non prima di avermi detto quali sono le tue vere intenzioni".

"Sei un vigilante o cosa?"- sogghignò Neutralizer, facendo scattare il meccanismo dei grilletti delle pistole. Era pronto a sparare.

"Questa è zona rossa. Tu non lo sai ma è contaminata da alte radiazioni di plutonio ed è altamente nociva"- spiegò Slash, abbassando l'arma. "Tu è il plutonio che stai cercando, non è vero? Per chissà quale tua sporca idea!".

"Le mie idee di vendetta mi porteranno piuttosto lontano e sta a te decidere da quale parte stare".

Slash socchiuse gli occhi e li riaprì un istante dopo: Neutralizer era svanito dalla sua traiettoria visiva.

"Questa notte non la farai franca!"- ruggì l'imponente tartaruga, scagliando la sua mazza ferrata verso un container arrugginito, alla sua sinistra.

Si udì uno sparo, una luce magenta intensa e la mazza che roteava nell'aria. Slash la riacciuffò ma in quel frangente capì all'ultimo istante di venir brutalmente colpito al petto: crollò al suolo con un gemito ma non perse i sensi.

Neutralizer gli riapparve davanti, guardandolo con un ghigno subdolo. "Come sei caduto in basso, fratello. Addirittura proteggi gli umani adesso".

Slash sputò un grumo di saliva e gli tenne fieramente il confronto di sguardi mentre Neutralizer scuoteva lentamente il capo, in segno di delusione.

"Segui sempre il tuo prezioso padroncino? Non sei il suo animaletto!"- proseguì, mollandogli un calcio alle costole. Slash incassò ma non osò lamentarsi per non dargli alcuna soddisfazione. "Come si chiamava? Ah, sì. Ricordo. Raphael, giusto? E dimmi, fratello, dove si trova adesso?".

Slash deglutì il sapore ferroso del sangue giù per l'esofago ma non replicò.

"Non ti ho sentito. Suvvia, fratello, sai che odio ripetermi"- canzonò Neutralizer, puntandogli contro una delle sue pistole.

"Non... non sono tuo fratello"- sibilò Slash, tentando di rimettersi in piedi.

Il ghigno sulle fauci della salamandra svanì come nebbia e al suo posto si marcò un'espressione di rabbia cieca. Fu tutto molto rapido: l'ira lo abbagliò, premette il grilletto e un boato spaventò seguitò un fascio di luce magenta.
Nessun grido. Nulla.

L'implosione silenziosa di luce tracciò i contorni degli edifici evacuati per radiazioni più vicini alla zona rossa del porto e si rifletté sul pelo increspato del mare. Qualche marinaio ubriaco rimase a guardare affascinato, affogando il sonno in un ultimo sorso di liquore e poi il buio regnò sovrano.

La nube di fumo che si venne ad alzare in seguito si diradò pochi istanti dopo, spinta via dal vento del nord: containers sparsi e disordinati, bruciati e alcuni ancora a contenere a malapena la violenza delle fiamme erano diventati un luogo di macerie e distruzione.

Una mazza ferrata sporca di fuliggine giaceva abbandonata sull'asfalto.
Ma il suo padrone mancava...
 


"L'urto ha provocato una distorsione temporanea. Fortunatamente non si può definire una frattura in piena regola".

Sospirai sollevato dopo le parole di Donatello, che ancora si rifiutava di guardarmi negli occhi dopo l'incidente nel corridoio di qualche oretta fa. Questa era davvero una buona notizia.
Mikey aveva smesso di guaire e ora se ne stava disteso su un cuscino del divano con la zampetta sorretta da una stecca e un generoso strato di bende. Era abbacchiato, senza forze ma ancora non si abbandonava al sonno.
Gli feci una piccola carezza e lui mi offrì un leggerissimo sorriso.

"Almeno non è grave"- mormorai sottovoce. Raccolsi il cuscino e feci per uscire dal laboratorio quando sentii la voce di Leonardo che si schiariva per attirarmi l'attenzione.

"Non credi che dovresti dire qualcosa?".

"Certo"- replicai sarcastico, poi mi voltai verso Donatello. "La prossima volta che ti becco con le tue fantasie perverse, ti ritroverai nelle condizioni del mio piccolo Mikey!".

Donnie deglutii e chinò ulteriormente il capo, torcendosi le dita nel disperato tentativo di non piangere. Forse stavo esagerando.

"Non essere così rude, Raphael!"- mi riprese il maestro. "Donatello ha fatto un errore, vero, ma lo ha riparato nel modo più nobile. Non mi aspetto un'eccessiva dimostrazione di gratitudine da parte tua. Al contrario: desidero solo che tu rifletta abbastanza da tornare perfettamente lucido".

"Nessun giro di parole, sensei. Non perdonerò facilmente Donatello!"- replicai, tornando a dar loro il mio guscio.

"Non credi che stai lentamente sostituendo Michelangelo con quella tartaruga?"- ribatté Leonardo, facendo un passo avanti.

Mi irrigidii, spalancando gli occhi verso il vuoto, con la realizzazione che probabilmente, in una remota parte del mio cervello, davo ragione a Fearless ma il mio orgoglio gridava cose contrarie. Quel cucciolo che mi fissava adorabilmente, con un faccino triste, il broncio terribilmente carino e la testolina sollevata dal cuscino chiedeva di dare una risposta sincera. Mikey fece un verso simile a un sussurro e si abbandonò nuovamente alla stoffa zaffiro, stanco e dolorante.

"Non è colpevole prendersi cura di un cucciolo abbandonato. L'ho fatto con Slash quand'ero un bambino, lo faccio tutt'ora. Non sto sostituendo nessuno. Se lo vuoi sapere, Fearless dei miei Sai, Mikey mi sta aiutando. Sono sicuro che potrà aiutarci nella ricerca del nostro fratellino!".

"Uscivi tutte le notti. Ora lo stai facendo di rado. Quel cucciolo ti sta annebbiando il cervello"- intimò Donatello.

"Vorrei spaccarti la faccia. Ma ho Mikey fra le mani e non voglio che assista a qualcosa di non troppo piacevole"- mormorai, chiudendomi in camera mia.

Poggiai il mio amichetto sull'amaca giusto in tempo: la mia vista si annebbiò di lacrime, la rabbia crebbe nel petto a dismisura e inutile sarebbe stato saltare come una cavalletta per colpire l'aria e sfogarmi in qualche modo. I miei fratelli non capivano affatto.

Mi appoggiai alla porta e scivolando lentamente in una posizione seduta mi abbandonai a un piatto silenzioso.

Mikey mi guardò mortificato e guaì leggermente. In qualche modo si era reso conto che la mia famiglia lo vedeva come un peso...
 


"Eccolo... il dolce, prezioso, plutonio...! L'ultima capsula è mia...!".

L'alone dorato brillava a intermittenza in una voragine non abbastanza profonda. La potenza dei laser era riuscita a creare non pochi danni.
Neutralizer si leccò le fauci insanguinate e raccolse l'importante trofeo, mentre dalla sua gola scoppiava in un crescendo riverberato la risata sadica del suo trionfo.

"Preparatevi, tartarughe! La vostra ora è segnata!"...


 

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Capitolo 6
*** Evil Hand (Part III) ***


Angolo dell'Autrice

E finalmente aggiorno con la terza parte del capitolo. Guai, guai e guai. E mentre mi arrovello il cervello (?) per il proseguimento, abbraccio di cuore tutte le mie lettrici più affezionate! Enjoy!



Chapter 5: Evil Hand (Part III)

Non avevo cenato con la mia famiglia quella stessa sera, né un saluto per augurare la buona notte, solo un silenzio e sguardi così taglienti che avrebbero potuto uccidere. Ero così frustrato, incazzato e addolorato da tutto ciò che era accaduto in tutto questo tempo che cominciavo a soffocare nella tana; inoltre, il macigno che gravava sul petto mi martellava la testa con un pensiero che non riuscivo a decifrare.
Guardavo e riguardavo la mia piccola tartarughina appisolata sul cuscino, che avevo docilmente coperto con una mia vecchia sciarpa di lana, e il batticuore per l'ignoto ricominciava, come se il mio malessere, anzi, la mia ansia, proveniva da lei.

Sospirai, deglutendo un groppo che serrava la mia gola e mi avvicinai. Mikey era così carino mentre dormiva tranquillo, su un fianco, con le zampette anteriori ciondolanti e le altre appoggiate sulla stoffa. Il semplice ricordare del danno che aveva provocato Donatello mi mandò nuovamente in bestia.

"Mikey, tu non sei un peso per me. Gli altri non comprendono. Hanno paura di affezionarsi"- sussurrai, mentre con un dito l'accarezzavo. "Hai un posto speciale nel mio cuore. Loro non sanno un bel niente".

Il mio trovatello ebbe un fremito, sbadigliò a bocca spalancata e si stiracchiò, guardandomi con i suoi splendenti occhioni. Un sorriso accennato appena mi scaldò il cuore e guaì a bassa voce.  Non era la stessa forza frizzante di quando l'avevo trovato nelle fognature.

"Ehi, che c'è?"- chiesi apprensivo, avvicinandomi ancora di più. Mikey sembrava piuttosto letargico, senza la forza per muoversi. "Mi sembri malandato. Ti fa male la zampetta?".

Mikey annuì piano e richiuse gli occhi nuovamente. Un'idea mi illuminò: forse aveva fame.

"Ti va qualcosa da mangiare?"- formulai. "C'è qualche foglia di insalata, della pizza, qualcosa... non so...".

La tartarughina guaì piano nuovamente. Mi stava preoccupando un po’ troppo ma ero deciso a capirci di più. Dandogli un sorriso luminoso, mi precipitai in cucina alla ricerca di qualcosa da mangiare.
Quando avevo Spike, mi bastava qualche fogliolina di insalata per sfamarlo ma qui Mikey era differente. Aveva divorato la pizza ma non sapevo effettivamente che altro amava mangiare. E così avvolto nei miei pensieri non mi resi conto di una luce filtrante dalla cucina.

Quando riconobbi Donatello, alle prese con un bicchiere di succo di pera, il mio volto divenne improvvisamente privo di espressioni. Stoico.  Ardeva ancora la rabbia che covavo verso di lui, i ricordi recenti dolevano nel petto. Per nulla al mondo lo avrei perdonato facilmente.

Senza degnarlo di una sola occhiata, mi avvicinai alla credenza, alla ricerca di qualcosa da mangiare, dato che Don aveva occupato il frigorifero. C'erano dei biscotti, qualche croccantino commestibile, dei cracker... nulla di effettivamente nutriente per il mio amico.

Neanche nei mobili della cucina. Solo olio, qualche scatola di legumi e della pasta... e il che ciò mi riportava a ricordi felici dove Mikey cucinava. Il nostro piccolo cuoco. Con la coda dell'occhio notai un piatto con dell'insalata, tonno, mais e pomodoro che aveva portato April. Forse per Mikey poteva andar bene: dopotutto, non era un cucciolo ordinario.

Donatello ancora non si era spostato dal frigo, anzi, mi guardava timorosamente ma anche con uno sguardo assai determinato. Voleva parlare con me ma io non volevo affatto. Non ero sicuro di poter tenere sotto freno la mia rabbia.

"Come sta Mikey?"- domandò.

Socchiusi maggiormente gli occhi e non gli risposi, ignorandolo deliberatamente. Donatello non si arrese e si piantò davanti al frigo, impedendomi di raggiungere il piatto scelto e filarmela in camera mia.

Ruggii pericolosamente ma ancora non parlai. Donnie non si ritrasse, invece, anzi, fece coraggiosamente un passo avanti e rimase impalato.

"So che probabilmente sei ancora incazzato con me e mi dispiace infinitamente ma ho bisogno di controllare e sapere come sta Mikey. La sua zampetta necessita cure e trattamenti ogni ora"- disse. Come unica risposta ottenne una dura scrollata di spalle verso la mano che me la stringeva e un nuovo ringhio. "Raph, per favore... non voglio il tuo silenzio...!".

Lo spinsi malamente di lato e finalmente presi il piatto, aggiungendoci la tazzina da caffè contenente del formaggio tagliato a cubetti. Mi infilai sotto un braccio una bottiglia d'acqua per me e del latte e lasciai Donatello solo al suo dolore.

Sentii dei sbuffi tipici di chi era in procinto di piangere ma non me ne importai. Per la prima volta non mi sentivo in colpa.

"Ehi, Mikey, sono tornato"- sussurrai, una volta in camera mia. La tartarughina guaì lentamente ma non alzò la testa dal cuscino. "Come va? Ti vedo piuttosto malandato, lo sai? Io penso che tu abbia solo bisogno di mangiare qualcosa". Gli spinsi sotto il naso un pezzetto di formaggio e lui ne mangiò un pochino ma al prossimo girò la testa lontano e guaì con aria infelice.

Un feroce batticuore batté contro lo sterno: avevo tanta paura per le sue condizioni rivolte al peggio e la letargia che mi stava mostrando non prometteva nulla di buono.

"Prova con del tonno e insalata... è davvero buono"- continuai, con mano tremante. Mikey sollevò la testolina solo per leccarmi affettuosamente il pollice. "Bevi almeno un po' d'acqua..."- gemetti, ma neanche stavolta ottenni un consenso.

Realizzai dolorosamente che quello stupido di Donnie avesse pienamente ragione, in cucina, circa il visionare attentamente Mikey e a malincuore, mettendo doverosamente a parte l'orgoglio, mi convinsi a cercare il suo aiuto.

"Tieni duro..."- sussurrai, accarezzandogli la testolina. "Maledizione, se sei freddo!".

In fretta, raccolsi l'intero cuscino e mi precipitai immediatamente verso la cucina, sperando di trovarci nuovamente Donatello... invece mi accolse solo il buio. Stavo lasciandomi avvolgere dall'ansia e dalle paure più vivide, legate al peggioramento ingente del mio piccolo amico letargico e non sapevo proprio cosa fare.
Mentre mi muovevo rapido nel resto del corridoio, mi scontrai dolorosamente contro quello che rivelò essere il maestro Splinter.

"Raphael, cosa ti inquieta tanto, figlio mio?"- domandò, accendendo la luce. Gli mostrai Mikey e mi meravigliai di notare un flash di dolore nei suoi occhi. "Vieni, andiamo subito da Donatello".

Mio fratello fece un leggerissimo sorriso quando mi vide "nella sua casa" ma automaticamente morì nel vedermi lontano e soprattutto distaccato. Il maestro ci osservò e comprese che avrebbe dovuto dire lui qualcosa.

"Donatello, abbiamo un problema con il nostro piccolo amico"- spiegò, afferrando piano il cuscino dalle mie mani per offrirglielo. Don fece per raccoglierlo con foga quando ruggii adirato.

"Non gli farò del male... fidati..."- sussurrò, appoggiando il fagotto sul banco da lavoro con alcuni pc. Attaccò un filo con una ventosa sul guscio di Mikey e un altro sui piastroni, passando subito ad armeggiare con il suo pc. "Dunque...".

Il nervosismo non cessava di martellarmi la testa e il mio respiro cominciava a crescere incostante. La mia mente era annebbiata, davanti ai miei occhi tutto sembrava più offuscato e le tempie mi pulsavano di dolore.

"Andrà tutto bene, Raphael"- sentii mormorare a malapena dal sensei. Lo guardai stralunato ma negai. "Hai bisogno di calmarti un po' e prendere un respiro profondo. Vuoi un po' d'acqua?".

Negai lentamente, tornando a fissare la mia tartarughina che non combatteva nemmeno contro Donnie con tutti i suoi tocchi. Mi faceva male il cuore vederla in quello stato.

Improvvisamente Donatello si raddrizzò e sospirò pesantemente. "Mikey è in letargia. Sinceramente non so da cosa dipenda questa cosa ma so per certo che generalmente questo stato si verifica nei cuccioli che hanno subito dei traumi o dei blocchi intestinali. I sintomi sono inappetenza, letargia e nessun segno di miglioria, costante sensazione di dormiveglia. Questo anticipa la morte".

"E' COLPA TUA!"- urlai a pieni polmoni. "Mikey sta male perché lo hai fatto cadere in terra!".

"No, te lo posso assicurare! L'ho scansionato con il mio sistema a raggi-x e non sono risultate fratture celebrali o danni agli organi di nessun tipo! Eccetto la zampetta... ma nulla di più!"- replicò Donatello, cercando di contenere la paura per mia rabbia accecante. "Io lo definirei uno stato di profonda crisi...".

"E da cosa sarebbe scaturita?"- chiese una voce alle nostre spalle. Fearless Leader Leonardo era proprio lì, con la stampella sotto l'ascella e l'aria preoccupata.

"Non so. Mikey mi sembra piuttosto infelice...".

Il sensei, a quel punto, si lisciò la barba con fare pensieroso: si era accorto prima di tutti noi dell'enorme empatia della tartarughina e della sua grande somiglianza al nostro fratellino. Probabilmente era accaduto qualcosa durante la sua permanenza qui alla tana che l'aveva condotta in quello stato moribondo.

"Mikey è molto freddo... non mi piace. Dobbiamo aiutarlo a mangiare pasti caldi, acqua tiepida con tre gocce di essenza di camomilla per evacuare più spesso e dargli opportunamente del latte che non sia di mucca. Opterei per lo stesso latte in polvere che si danno ai trovatelli tipo gattini o cagnolini. Oppure latte di capra"- continuò Donatello, sistemando meglio la sciarpa sul corpicino di Mikey.

"Me ne prenderò cura personalmente"- mormorai a denti stretti.

"Raphael, posso chiederti di poter tenere per qualche minuto la tua piccola amica con me? Ho bisogno di capire alcune cose"- chiese improvvisamente il sensei, con un leggero sorriso sincero. Potei solo annuire stordito e seguire con lo sguardo il prelievo di Mikey e l'uscita dal laboratorio.

Rimasti da soli, pensai bene di uscire letteralmente dalla tana. Ero preoccupato per Mikey, sì, ma avevo bisogno di trovare il mio fratellino adorato.

"Dove vai?"- chiese Leonardo, con voce autoritaria. "Fra poco sarà l'alba e non è prudente esporsi in superficie".

Non replicai e a pugni stretti marciai fuori il laboratorio. Non avevo voglia di stare a sentire i miei fratelli: avevo solo bisogno di stare da solo...
 


Ero sul terrazzo di un edificio evacuato.
Avevo sentito dell'alta concentrazione di radioattività causata da un'esplosione mesi prima e del disagio causato a numerosissime famiglie ora chissà dove.
L'aria era fredda contro il mio corpo ancora caldo di rabbia e le nuvole minacciose in cielo lasciavano presagire un nuovo temporale, di quelli abbastanza violenti dove la pioggia non si sarebbe fermata tanto presto.
Restare da solo, come avevo sperato, non mi stava aiutando. Anzi, senza nessuno a tenermi occupato di mente, pensavo e ripensavo a tutto ciò che era accaduto nelle nostre vite, lasciando un segno indelebile.

-Mikey, dove sarai?- pensai amareggiato. Uno schizzo di pioggia mi raggiunse il cuoio capelluto: la pioggia cominciava a cadere leggera. "Vedrai, ti troverò e ti riporterò a casa, te lo prometto".

Mentre le prime gocce di pioggia cadevano, anche le mie lacrime lasciarono i miei occhi stanchi della mia stessa vita... e fu allora che catturai un movimento con la coda dell'occhio. Nel cielo, a debita distanza da me, un fascio di luce dorata stava svanendo lentamente. Era un portale senza ombra di dubbio di medie dimensioni ma completamente differente da quello dei Kraang.

"Guai"- ironizzai per lo più a me stesso. Ignorando deliberatamente la pioggia che cadeva tutt'intorno sempre più fitta, mi avvicinai in modalità Ninja Stealth verso la fonte luminosa.

Balzai su un paio di condizionatori d'aria, mi catapultai con alcuni fili dell'alta tensione ormai inagibili, superai tre gole di tre edifici inagibili e mi catapultai su uno spazio di cemento destinato al parcheggio di elicotteri.
Spalancai gli occhi: dentro quel portale intravidi chiaramente Neutralizer ma non sembrava in perfetta forma. Il suo corpo era sollevato nel vuoto dorato, verso l'esterno e violente scariche elettriche attraversavano continuamente il suo corpo, come delle catene. Le sue urla erano strazianti e soffriva atrocemente.

"Guarda, guarda! Come ci sei finito in quella ragnatela fulminante?"- schernii, brandendo automaticamente i Sai.

Neutralizer mi guardò con furente rabbia ma sogghignò, malgrado il dolore. "Sei capitato giusto in tempo per morire. Dì le tue ultime preghiere, tartaruga!".

"Frase scontata! Mi dispiace per te, ma non morirò oggi né per mano tua"- fu la mia rapida risposta.

Neutralizer allargò un sorriso pericoloso e dolorosamente sollevò il braccio destro: un fascio bianco-viola crebbe come una sfera dal suo palmo e un potere gelido e caldo come il sole si convogliò in una violenta scarica elettrica dalla punta dorata. Io ero il suo bersaglio: ebbi solo il tempo razionale di scansarmi velocemente con un salto e una capriola verso nord ovest, prima di rendermi conto di essere in trappola.

Dov'ero atterrato inizialmente era un alto edificio che sorgeva in mezzo ad altri decisamente più bassi, a livello di ospedali e supermercati. Non avevo vie di fuga, eccetto un traliccio dove avrei potuto arrampicarmi, spiccare un volo nel vuoto e afferrare una bandiera americana che sventolava nel vento della tempesta.

Mi ero lasciato battere già sul terreno, dannazione!

"La tartaruga non può sfuggire, a quanto vedo. Ho fatto fuori il tuo ex-animale domestico senza questo potere, adesso farò lo stesso con te e al contempo vedrò che capacità ho acquisito!"- esalò Neutralizer, mentre i suoi occhi si scurivano completamente di nero.

I miei occhi si spalancarono quando mi resi conto che era di Slash che parlava. "Che cosa gli hai fatto, maledetto?!"- urlai, rialzandomi in piedi con i Sai ben stretti.

"Non ha voluto seguirmi. Anzi, si è impicciato un po' troppo e ha pagato per la sua stupidità"- rise Neutralizer, mentre muoveva una mano e alle sue spalle il portale si chiudeva. Atterrò silenziosamente davanti al mio cospetto guardandomi con furia ceca. "Non sai quanto ho desiderato vedere te e la tua assurda famiglia morire...!".

Guardai disperatamente il traliccio alle mie spalle. Potevo raggiungerlo e svanire, malgrado scappare non mi entusiasmasse troppo.

Neutralizer mi sferrò una nuova ondata elettrica e per un pelo la evitai incurvandomi pericolosamente all'indietro ma così facendo il nemico mi colse di sorpresa e mi colpì con una violenta tallonata sulla vecchia frastagliata rottura del mio piastrone. Guaii di dolore e caddi ruzzolando nel cemento.

-Devo andarmene... o questo pazzo mi eliminerà...!- pensai, rialzandomi in piedi. Nella mia cintura avevo delle bome fumogene.

"Il tuo fratellino"- mormorò vagamente Neutralizer. "...non ha più bisogno di essere cercato. E' all'altro mondo".

"STA ZITTO! STUPIDAGGINI!"- urlai, non volendo sentire.

"Il plutonio che scorre in me mi rende un Dio. Posseggo il potere della veggenza. Il tuo fratellino è stato ucciso tre settimane fa da una discreta iniezione di plutonio nelle segrete umane che voi chiamate laboratori di genetica, per ordine della Federazione Protezione Terra"- continuò Neutralizer, con voce letale. "Un essere umano ha goduto nel vederlo morire atrocemente. E' un uomo senza scrupoli. Da secoli cambia il suo corpo per non lasciare questo mondo. Il tuo fratellino è stata un'ottima cavia per lui ma ora desidera un nuovo giocattolo".

I miei Sai piombarono sul cemento: lo shock mi aveva pietrificato. A nord-est c'era davvero un edificio che aveva dei nessi con l'FBI ed era costantemente finanziato dal Presidente. Neutralizer inclinò il capo verso sinistra senza smettere di sogghignare.

"Fa male, non è così?"- disse.

"P-perché me lo hai detto?"- mormorai, tremante.

"Per vederti distruggere pezzo per pezzo. So quanto ci tenessi al tuo sporco fratellino e dirti effettivamente ciò che avresti scoperto in due settimane mi ha entusiasmato. Avevo anche già previsto questo tuo shock"- rispose malignamente Neutralizer. "Puoi scegliere di morire qui o implodere. Come preferisci. A te la scelta".

Senza Mikey... che cos'ero?
Senza il mio fratellino... che speranze nutrivo per il futuro?
Senza il mio angelo custode... che significato aveva la vita stessa?

Chinai la testa e mi arresi senza neppure provare a combattere. Neutralizer sogghignò e mi puntò un dito contro.

"Un solo granello di plutonio e imploderai come una stella senza vita..."- sentii vagamente mormorare.

Improvvisamente, come una forza divina o magia, mi sentii sollevare come un supporto e una nuvola di fumo esplose fra me e Neutralizer. Quest'ultimo gridò violentemente, in preda al dolore vivido e il mio corpo si sollevò come se stessi volando.

"L'acqua e l'elettricità non vanno d'accordo..."- fu un sussurro. "...Raphie, non perdere la speranza...".

I miei occhi si spalancarono e mentre cadevo nel vuoto un sorriso crebbe sulle mie labbra. Mikey. Forse lo avrei rivisto non appena il mio corpo si sarebbe disfatto della mia anima spezzata.
E il buio mi rapì...
 

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Capitolo 7
*** Shock! ***


Angolo dell'Autrice

Nuovo capitolo, nuova lunghezza. Eh, sì... ormai è un dato di fatto se mi tengo sempre sul lato dark e rendo tutto più OOC! Sarà perché ultimamente ho deciso di rivedermi le puntate della serie del 2003 delle TMNT (la mia preferita in assoluto), sarà perché ero ispirata, ho deciso di aggiornare. Spero che il capitolo sia sempre di vostro gradimento e colgo, ovviamente, l'occasione per ringraziare sempre e con il cuore tutte coloro che spulciano la mia galleria, leggono e recensiscono. Enjoy!


Chapter 6: Shock

Chinai la testa e mi arresi senza neppure provare a combattere. Neutralizer sogghignò e mi puntò un dito contro.

"Un solo granello di plutonio e imploderai come una stella senza vita..."- sentii vagamente mormorare.

Improvvisamente, come una forza divina o magia, mi sentii sollevare come un supporto e una nuvola di fumo esplose fra me e Neutralizer. Quest'ultimo gridò violentemente, in preda al dolore vivido e il mio corpo si sollevò come se stessi volando.

"L'acqua e l'elettricità non vanno d'accordo..."- fu un sussurro. "...Raphie, non perdere la speranza...".

I miei occhi si spalancarono e mentre cadevo nel vuoto un sorriso crebbe sulle mie labbra. Mikey. Forse lo avrei rivisto non appena il mio corpo si sarebbe disfatto della mia anima spezzata.
E il buio mi rapì...
 


 
Il maestro Splinter era inginocchiato nella sua stanza, con dell'incenso acceso e la piccola tartarughina abbacchiata sul cuscino esattamente sotto le fotografie che ritraevano lui in versione Yoshi, assieme a sua moglie Tang Shen e la figlia Miwa.

Nei suoi occhi color cannella c'era una leggerissima tristezza legata al passato ma, nonostante i ricordi dolorosi, la sua era anche un'espressione vagamente felice per la tenera compagnia. Mikey ogni tanto si alzava sulle zampette, poi si rimetteva sdraiato, tentando di tirarsi fino alla testa la sciarpa divenuta coperta.

"Sei molto speciale, piccolo mio"- mormorò il maestro, diteggiandogli la testolina con affetto. "Mi sorprende che Raphael abbia subito eliminato la barriera dietro la quale si era celato e si è aperto a te. Sei stato la sua salvezza, anche se non lo ammetterà mai".

Mikey guaì con un mezzo sorriso ma non si mosse più tanto. Il sensei espirò leggermente, senza scoraggiarsi affatto per quel primo tentativo di interagire a pieno con lui. Lo scopo di quella "chiacchierata" era semplicemente un modo per capire a fondo il problema che lo affliggeva.

"Puoi avere un nesso con il nostro Michelangelo"- continuò, prendendo il cucciolo e la sciarpa tra le mani. "Chissà. A volte il fato può portarci un qualcosa che davvero ci aiuta, a nostra insaputa".

Mikey gli leccò il pollice per dimostrare, a suo modo, che apprezzava tali parole.

"Sei così simile al mio bambino perduto. I suoi stessi occhi, la dolcezza e la caparbietà ma la cosa straordinaria è forse l'enorme empatia che sento verso di te. Esattamente ciò ti ha portato ad assorbire, come una spugna, il risentimento di Leonardo e Donatello, nelle ultime notti"- parlò il maestro, dispiaciuto. "E' così, piccolo?".

Mikey chinò lo sguardo e poi guaì, rivolgendogli occhi grondanti di lacrime. Il maestro lo avvicinò delicatamente al pelo della sua guancia mentre con le dita della mano libera gli accarezzava nuovamente la testolina. Per un attimo, infatti, gli era parso di percepire dei tremolii provenienti dal cucciolo infelice.

"Non sei un peso, piccolino. Se i miei figli hanno accennato qualcosa del genere o hanno erroneamente attribuito i cambiamenti di Raphael a te ti prego di perdonarli. Siamo tutti profondamente scossi dalla perdita di Michelangelo e spesso parliamo facendoci guidare dalle emozioni"- spiegò calmo il maestro, portandolo verso il suo volto per guardarlo meglio. Mikey gli appoggiò una zampetta sul naso e guaì con un accenno di speranza. "Puoi fidarti. Donatello cerca di scusarti con te, Leonardo sicuramente proverà ad interagire con te e Raphael sarà piuttosto protettivo nei tuoi confronti".

La tartarughina cominciò a ridere: la sua vocina ricordava il verso di un gattino mentre veniva "giocherellato" sul pancino peloso. Splinter sorrise a sua volta e se lo mise in grembo, canticchiando un'antica ninna nanna giapponese.

"Adesso riposati, bambino mio. Vedrai, tutto si sistemerà".

E mentre pronunciava queste parole il suo cuore batteva di tristezza: dopotutto, con quella ninna nanna ci addormentava Michelangelo...
 


Donatello appoggiò definitivamente il saldatore sul banco da lavoro e si prese stancamente la testa fra le mani. Era così spossato, così stanco, tanto che il suo cervello non riusciva più nemmeno a elaborare dei pensieri semplici. Nel suo petto formicolavano il senso di colpa per aver ferito involontariamente la piccola tartaruga e la preoccupazione circa la mia assenza.

"Tieni"- mormorò dolcemente una voce al suo fianco. Era Leonardo con un bicchiere di caffè bollente sostenuto dalle dita. "Hai bisogno di una pausa".

Donnie ringraziò con un sorriso stanco prima di prendere un sorso generoso. Il calore della bevanda scivolò liberamente lungo il suo esofago, riscaldando lo stomaco e dando il tepore perduto alle mani infreddolite e ai piedi. Il sapore dolce e leggermente amaro accese le sue papille gustative e cancellò quel retrogusto pungente della sofferenza assaporato fino a quel momento.

"Dove sarà quella testa dura?"- mormorò, appoggiando la testa sulle braccia.

"Non lo so ma ho intenzione di perlustrare la città e..."- la frase di Leonardo fu tagliata bruscamente da un'improvvisa chiamata sul t-phone di Donnie. I due si guardarono negli occhi ma fu Leo a rispondere. "Sì, pronto?".

Un rumore scoppiettante seguitò la distorsione del segnale e un fruscio di pioggia con vento. Leo riprovò a parlare, tenendo il cellulare poco lontano dell'orecchio ma non ottenendo che rumori sconnessi guardò Donatello con fare preoccupato.

"Non chiudere. Calibro il segnale del GPS e capiremo che cosa sta succedendo"- mormorò cupamente Donatello, digitando con incredibile velocità sulla tastiera del computer.

Leonardo tornò a fissare il display luminoso con perplessità quando, come un fulmine, il nome che lesse lo folgorò. "E' Raph! Donnie, è Raph! Ma non capisco... perché non parla? Perché sentiamo solo rumori?".

"Perché non è una chiamata. Ti ricordo che ho dotato i nostri cellulari di un tasto speciale che funge da richiesta d'aiuto. E da quello che ho già identificato su questa accurata mappa satellitare, Raph è nei guai"- spiegò Donnie, prendendo un altro sorso ingente di caffè. Il liquido scuro aveva perso parte del suo calore ma era buono ugualmente.

"D'accordo. E' una richiesta d'aiuto. Raph morirebbe piuttosto che chiamare rinforzi. Quindi se ha appena commesso ciò che per lui sarà un'oscenità, significa che è davvero in grossi guai"- rifletté Leonardo, avvicinandosi al computer. "Donnie, dov'è esattamente quella testa calda?".

"Non molto lontano da qui. Suppergiù fra la trentacinquesima e la trentasettesima"- fu la risposta apatica di Donatello, spegnendo il monitor e rialzandosi dalla sedia per sgranchirsi accuratamente. "Parlando ovviamente in via di fognature. Il caro fratello non si trova in superficie. O meglio, chissà...ci sarà stato ma è tornato nel sottosuolo".

Leonardo scosse un po' il capo, si sistemò meglio le doppie cinghie sul petto e si lasciò seguire dal fratello che nel frattempo si era munito del fido Bo e di un borsone sportivo contenente alcuni suoi "giochini tecnologici". Prima di lasciare definitivamente la tana, si fermarono davanti alla camera del sensei.

"E' meglio avvisare"- pronunciò Leonardo, bussando sulle shoji. Dall'interno si udì un leggero avanti ed insieme entrarono: trovarono il maestro inginocchiato con Mikey profondamente addormento sul cuscino, talmente avvolto nella sciarpa che era visibile solo la testolina. "Raph è nei guai, sensei. Donnie ha già localizzato la sua posizione e sono sicuro che ha bisogno di noi".

Il maestro annuì con aria preoccupata ma non li fermò certamente e i due, con un rispettoso inchino, si avviarono nelle fogne...
 


Il mio corpo era estremamente pesante.

Non riuscivo a muovere un muscolo, tutto produceva troppo dolore e tutt'intorno era sfocato. Nelle narici s'insinuava un olezzo di fognature, sangue e terra bagnata; sulle mie membra sporche gocciolava qualcosa di raccapricciante. Il mio pettorale sinistro, dove da anni capeggiava la cicatrice a forma di saetta, ardeva come le fiamme dell'Inferno.

Avevo la vaga sensazione di trovarmi nelle fogne: lo intuivo dalla puzza orrenda e nonostante cercavo disperatamente di ritornare a comando del mio corpo, non avevo la forza nemmeno per schiudere gli occhi.
La consapevolezza di non essere morto era più che presente, almeno.

"Devo andare..."- mormorai a denti stretti. Con uno sforzo violento, raccolsi un po' di forze nelle braccia e da supino mi rovesciai in prono. Fu una pessima idea: il mio petto esplose in un dolore che mi lasciò senza fiato. "No... troppo male...".

L'adrenalina che giunse dopo la fitta mi permise almeno di riaprire gli occhi. Ero su un mucchio di detriti, parte delle mie braccia erano ferite: sulla mia testa si era aperta una voragine dalla quale potevo vedere il cielo oscuro, dei lampi e soprattutto la pioggia.

Ero sprofondato nel sottosuolo di un cantiere edile abbandonato a causa della zona rossa radioattiva. I miei ricordi erano fumosi, cercavo di appellarmi a uno che era rimasto aggrappato alla mia mente dolorante e confusa e respiravo fra il dolore e l'acqua gelida contro il mio corpo caldo.

"Mikey..."- mormorai, mordendomi le labbra. Poche lacrime sgorgarono dai miei occhi spenti e tristi. "Mi hai salvato... non so come tu abbia fatto ma mi hai davvero salvato...".

Un freddo brivido percorse la mia spina dorsale: una mano fantasma si era appoggiata sulla mia testa. Sgranai gli occhi, leggermente intimorito. Forse era uno spirito.

Vagai inutilmente con lo sguardo alla ricerca del presunto spirito ma non ebbi fortuna. O quasi. Ad illuminare la mia paura ci pensava la voragine dove un lontano faro bianco mi offriva un modo di allontanare le tenebre: più verso la fine di quell'immenso mare nero dove mi trovato riuscivo a scorgere dei fari rossi.

Improvvisamente percepii dei passi. Non mi mossi... non fiatai. Ingoiavo solo avide boccate d'aria con le narici e altrettanto con esse le espellevo. Così facendo avrei azzerato la mia aura.

"Raph!"- sentii bisbigliare.

Il mio cuore prese a battere all'impazzate per la voce familiare! Erano venuti qui per me! I miei fratelli mi avevano trovato!

"Raph, dove sei?"- continuò la seconda voce.

Doveva essere Leonardo sicuramente.

"Raphie!".

Mi bloccai e smisi perfino di respirare. Non poteva essere verso. No, era un controsenso...

"S...sono qui...!"- gemetti, spostando dolorosamente una mano alla ricerca di un sasso o un detrito. Ebbi fortuna e ne scagliai uno abbastanza lontano. "Sotto la voragine...".

Passi veloci raggiunsero in un batter d'occhio il mio capezzale. C'erano i miei fratelli. Tutti quanti.

"Raph, finalmente! Non sai quanto eravamo in pensiero per te!"- sorrise Leonardo, mentre Donnie gli passava una torcia. "Sei conciato proprio bene!".

Non osai pronunciarmi, troppo terrorizzato di vedere quegli occhi blu tanto mancati dietro l'inconfondibile maschera arancione. Forse stavo sognando. Sì, doveva essere proprio così.

"La ferita è grave qui"- mormorò Donatello, che nel frattempo, illuminato da Leo, mi aveva dato una rapida occhiata. "Spostiamolo delicatamente".

"Aspetta, poggio la torcia a terra, così abbiamo della luce"- rispose subito Leo.

"Ehi, idiota! Dove cavolo sei stato tutto questo tempo? Non sai che eravamo in pensiero per te?"- ridacchiai stancamente.

"Lunga storia, fratello!"- rispose Mikey, accarezzandomi la testa. La sua mano era fredda come la sensazione che avevo avuto prima.

"Mikey, passami le bende dalla borsa. E non giocare con gli unguenti. Ne avremo bisogno"- istruì Donatello.

"Agli ordini!".

Non stavo sognando. Era tutto reale! Sentivo dolore, era tutto vero! Un sorriso genuino crebbe sulle mie labbra e non si mutò neanche quando il dolore tornò a martoriare le mie povere membra. I ragazzi mi avevano spostato in una posizione supina, ma lontano dalla voragine dove cadeva una pioggia così fitta da ricordare una doccia in piena regola.

Donnie mi avvolse un generoso strato di bende intorno al petto e insieme a Mikey mi issò in braccio. "Portiamolo a casa. Mikey, facci strada"- fece.

"Mikey, dove sei stato?"- domandai, mentre le forze venivano sempre meno.

Lui mi guardò fra l'addolcito e il rammaricato ma non rispose. Me lo sarei fatto spiegare al mio risveglio...
 


Un tocco gelido mi sfiorò una guancia e parte della spalla, come una carezza. Era delicato, morbido e in parte anche come un brivido.
Lentamente aggrottai la fronte e schiusi piano gli occhi. Mi sembrava un deja-vu con la differenza, però, che non mi trovavo a spacca-schiena su dei detriti con l'acqua piovana addosso bensì al caldo e per giunta nel laboratorio di Donatello.

Ero al buio, sì, ma alcune luminescenze bluastre e ronzii mi tenevano compagnia.

"Ti sei svegliato... finalmente".

Voltai stancamente la testa verso la figura seduta su uno sgabello accanto a me. Il mio sorriso crebbe gioioso e trassi un respiro alleviato. Il peso sul petto che avevo avuto per tanto tempo era svanito.

"Mikey... eri proprio la persona che avrei voluto al mio fianco"- mormorai e lui mi sorrise calorosamente, sfiorandomi ancora una guancia. "Certo che sei freddo, però".

"Come ti senti? Ho avuto così paura quando ti abbiamo trovato lì sotto, tutto ferito, sporco e insanguinato..."- pigolò, diteggiandomi le bende che mi ricoprivano il torace.

"Onestamente sono stato meglio ma anche così va bene"- risposi, guardandolo intensamente. "Mikey, ho avuto così tanta paura... una tale che mi ha annebbiato per tanto tempo il cervello... Ho creduto di non rivederti più...".

"Io sarò sempre insieme a te. A voi. E lo sai"- rispose dolcemente. "Ti voglio bene".

"Ehi, mi sembri una di quelle persone in procinto di dire addio! Non essere tanto melodrammatico, adesso!"- sogghignai. Una leggera fitta al petto mi fece trasalire e Mikey cancellò il sorriso, divenendo preoccupato. "Non fare quella faccia".

"Raphie, ora devo andare. Tra poco Don sarà qui e non...".

"Hai fatto qualche pasticcio?"- domandai perplesso. "Non me ne frega un accidente se Don non vuole che tu sia qui, questo è un mio desiderio!".

Mikey negò piano, con un sorriso, poi mi abbracciò. "Raphie, mi dispiace di averti fatto preoccupare ma ti prometto che mi prenderò io cura di te. E di tutti gli altri. Promesso!".

Non seppi perché ma quest'ultima frase mi sembrò qualcosa che celasse ben altro. Mikey mi stampò un bacio sulla fronte e mi strinse la mano. Sembrava tanto delicato mentre lo faceva.

Improvvisamente i miei occhi si fecero pesanti e sbadigliai.

"Rimango io a vegliarti. Tu riposati. Io ci sarò sempre"- sussurrò nel mio orecchio, cominciando ad accarezzarmi la fronte. Non replicai, non ne ebbi il tempo: già dormivo...
 


Un gridolino eccitato e una serie di colpetti di testa contro la mia guancia mi risvegliarono. Confusamente sbadigliai ma mi rifiutai di riaprire gli occhi, troppo stanco per farlo.
Un nuovo gridolino si insinuò nelle mie orecchie e questa volta un morso leggero mi pizzicò uno zigomo: imprecando un po' per la brusca sveglia, schiusi gli occhi e misi a fuoco le immagini sfocate davanti a me. C'era una macchiolina nera sul mio petto che mi guardava felice e un fiocco arancione intorno al guscio.

"Mikey...!"- richiamai felicemente, dandogli una carezza alla testa.

"Ben svegliato, bell'addormentato"- seguitò una voce. Leo era appoggiato allo stipite della porta del laboratorio di Don e mi osservava con un sorriso sincero. "Ciao, Raph. Come ti senti?".

"Meglio di ieri sera".

Leo annuì e si avvicinò a Mikey che vorticò felice come una trottola. Gli avvicinò una mano e lei si strofinò tutta, scodinzolando radiosamente. Questo mi gonfiò di gioia.

Notai Don entrare, seguito dal maestro Splinter e gli sorrisi. Volevo farmi perdonare in qualche modo perché sapevo che dovevo tutto ai ragazzi se ero salvo e ammaccato alla tana.
In un primo momento, Don rimase stupito dal mio gesto, poi mi si avvicinò e ricambiò il sorriso offrendomi anche una stretta sulla spalla. Anche il sensei era felice.

"Mikey sta meglio, visto?"- sorrise Donnie. "Straordinariamente, si muove anche con la zampetta fasciata".

La tartarughina annuì e scodinzolò, leccandomi la guancia. C'erano proprio tutti... eccetto la persona più importante per me.

"Dov'è Mikey?"- domandai.

La mia famiglia si irrigidì ma fu Leo a parlare. "Raph...".

"Quando sono stato attaccato da Neutralizer, mi ha salvato. Poi mi ha salvato insieme a voi in quel posto schifoso e stanotte mi ha tenuto compagnia".

Un bagliore d'orrore crebbe negli occhi della mia famiglia.

"Raph, hai sognato"- fece Donnie, mordicchiandosi le labbra.

"No, ve lo giuro. Ero sveglio!"- replicai, con un tono più alto. Mikey si ritrasse un po' ma subito gli offrii una carezza per scusarmi. "Mi ha detto che mi avrebbe vegliato".

Leonardo mi consegnò una bandana sporca di sangue color arancione. Con orrore rivolsi nuovamente i miei occhi a lui. "Quando ti abbiamo trovato... non eri da solo".

Donnie si mosse verso la fine del laboratorio, accanto a un lettino occupato e coperto da un telo bianco. Lo scoprì con un tocco secco e il mio cuore si fermò nel petto.

"Accanto a te, sotto un'infinità di detriti c'era il corpo di Mikey, da molto tempo. Era già in un primo stato di decomposizione..."- gemette Donnie. "Raph, Mikey non c'è più...".

Negai ma improvvisamente mi resi conto con orrore che il salvataggio di Mikey, il dialogo e tutte quelle frasi strane erano solo...

"Michelangelo ha voluto dirti addio, Raphael"- sussurrò il sensei.

"Ma io l'ho visto!"- gridai, tremando. Mi alzai con violenza ma questo mi provocò una fitta al torace. "Gli ho parlato! Non è possibile! Non può essere come mi ha detto Neutralizer!".

"Cosa? Che significa?"- domandò Leonardo, con gli occhi lucidi.

Il corpo di Mikey era freddo, spettrale, con abrasioni e un buco al centro del petto dove il suo cuore mancava. Gli era stato strappato brutalmente, forse dal tizio chiamato Bishop.
Mi accorsi di versare lacrime quando Mikey cominciò a scuotere il corpo bagnato dallo zampillare di esse. Il dolore che provavo era superiore a quello fisico.

Mikey non esisteva più...
 

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Capitolo 8
*** Spectre ***


Angolo dell'Autore

It's have been long day without you my friend! Eheheh! Sì, è passato un bel po' dal mio ultimo aggiornamento ma eccovi un bel capitolo scritto dopo aver visto il 22esimo episodio della quarta stagione delle TMNT! Detto ciò, enjoy!!!!




Chapter 7: Evil Hand (Part IV)
 
Ero nel letto del mio fratellino a fissare il buio. Mi trovavo disteso supino da quasi un giorno intero, dove mi ero rifiutato di uscire, mangiare o altro. Il dolore per la terrificante scoperta della morte del mio fratellino aveva consumato l'ardore della mia anima.
Ero solo un sacco vuoto e nulla più.

Mikey era al mio fianco, acciambellato sul cuscino accanto alla mia tempia; ogni tanto sollevava la testolina, mi dava una leccata e tornava a riposarsi. Almeno lui aveva recuperato la sua salute, anche se comunque, percependo l'aura di dolore che gravava nella nostra tana lo aveva rattristato.

Non riuscivo a capacitarmi cosa mi fosse accaduto. Un attimo prima ero in procinto di morire davanti a Neutralizer. Poi il buio. Io avevo sentito la voce di Mikey... ero perfettamente sicuro che mi aveva salvato, in qualche modo. Nel sottosuolo, quel gelo contro il mio corpo era un'aura spirituale.

-Come potevi essere reale?- pensai, strofinandomi appena la ferita al petto. Secondo il referto di Donnie, la mia vecchia cicatrice aveva subito un'escoriazione coi fiocchi; avevo subito una slogatura della spalla destra e numerose ferite superficiali su tutto il corpo. "Mikey, tu mi hai salvato, mi hai parlato... non può essere un addio da parte tua. Eri troppo giovane... troppo piccolo...".

Le lacrime dopo le mie parole sgorgarono liberamente. Mikey sollevò nuovamente la testolina, guardandomi con fare preoccupato ma improvvisamente si mise a fissare attentamente un punto vuoto della stanza, guaendo piano.

E incurante di ciò, fuori la porta socchiusa, Leonardo ascoltava i miei singhiozzi con la testa premuta contro la parete. I suoi occhi erano spenti, privi di emozioni: erano lo specchio del dolore immenso nel suo petto.
Da pochi minuti era tornato dal laboratorio, a vedere ancora un'ultima volta il corpo di Michelangelo perfettamente immobile, affogando in sensi di colpa del tutto insensati. Vederlo così, disteso, senza il cuore nel petto e gli occhi ostinatamente chiusi era come rigirare una spada nella ferita.

"Mikey, ci manchi..."- gemette a denti stretti lo spadaccino, poi spinse piano la porta ed entrò. "Raph...".

Lo guardai con occhi pieni di dolore, rifiutandomi di parlare, mentre Mikey zampettava fino al bordo del letto, fissando con occhi curiosi il vuoto di una parete. Con un cenno del capo gli chiesi silenziosamente di tenermi compagnia.

"Vuoi mangiare qualcosa? Sei ferito, ne hai bisogno per guarire velocemente"- mi disse con una nota materna.

Negai. Avevo lo stomaco chiuso e altrettanto nauseato: ero sicuro che con un solo boccone mi sarei ritrovato a vomitare. E io odiavo farlo.

"Sei sicuro che non vuoi conoscere gli avvenimenti?"- mi domandò con l'ombra di un sorriso. Negai. Non ero pronto.

"Sono sicuro che sia stato Mikey a pigiare il tasto d'aiuto sul cellulare, così come mi ha salvato da morte certa contro Neutralizer e a tenermi compagnia sia nel tunnel sia nella notte"- conclusi stancamente.

"Capisco..."- fu la sua debole risposta. Dopo questo, seguì un imbarazzante silenzio che nessuno di noi due fu in grado di spezzare con argomenti decenti. Leonardo si alzò, mi appoggiò una mano sulla spalla e diteggiando la testolina di Mikey se ne uscì, richiudendo piano la porta.

Il mio piccolo amico mi arrivò accanto e si sistemò vicino alla mia guancia: era caldo, morbido e trasudava dolcezza. Riflettendo che queste erano le caratteristiche del mio fratellino, non fui in grado di bloccare nuove lacrime lungo le guance. Ancora quell'infame dolore pungeva nel petto, e di nuovo mi sentivo impotente.

Mikey emise un debole guaito poi strofinò via le mie lacrime con dei movimenti della testa, come una sorte di carezza. Mio malgrado mi ritrovai a sorridergli e lo spinsi maggiormente nella piegatura del collo.

"Mikey... mi manca tanto mio fratello..."- gli sussurrai. "Per quanto io sia forte, non riesco a combattere questo dolore...".

"Hai solo bisogno della tua famiglia".

Spalancai gli occhi, prendendo un respiro mozzato: balzai seduto sul letto, incurante delle fitte che il mio corpo inviò come protesta e mi guardai atterrito intorno. La tartarughina inclinò dolcemente il capo, dubbioso, avvicinandosi di qualche passo.

Non c'era nessun altro a parte noi. Cavolo. Ricominciavano queste visioni?

"Non è che sei stato tu a parlare, vero?"- domandai con voce tremolante. Mikey saltellò semplicemente come una cavalletta. "Certo che non puoi essere stato tu. Per quanto tu sia straordinario, ti manca il senso della parola".

"Questo lo dici tu. Ehi, guarda che io sono speciale a modo mio!".

Gridai terrorizzato, inciampando via dal letto ed ironicamente piombai di guscio sul pavimento, ancora nel tentativo di indietreggiare con terrore. Mikey parlava? Ma come diavolo ci riusciva senza muovere la bocca?

"Te... telepatia?"- azzardai in un sussurro.

Improvvisamente udimmo un grido terrorizzato proveniente dal corridoio: dal timbro immediatamente dedussi che poteva trattarsi solo di Donatello. Aiutandomi con le sponde del comodino e del letto, mi rialzai e corsi verso la porta.

"Porta anche me! Porta anche me!".

Oh, giusto. Raccolsi Mikey sulla mia spalla, offrendogli una carezza di scuse e mi diressi verso l'unica fonte di luce violacea.  Non potei fare a meno di pensare da quando mio fratello era entrato in possesso di una torcia viola?

"Non farti queste domande stupide e non restare fermo qui fuori come un pollo. Donnie ha bisogno di aiuto!".

Il gioco della telepatia mi sconvolgeva sempre di più. Osservai Mikey: sul faccino c'era un'espressione simpaticamente imbronciata che non ammetteva repliche. Sospirai un po', cercando per lo più di calmare me stesso ed entrai. Quello che mi si piazzò davanti, però, congelò il sangue nelle mie vene.
Non ero da solo. Donnie, sensei e Leo erano presenti e assistevano atterriti a ciò che stava animando il laboratorio. Inoltre, la luce viola era localizzata verso il lettino dove giaceva Michelangelo.

"Addirittura?".

Guardai Mikey sulla mia spalla che aveva la bocca aperta per lo sgomento ma non ci pensai. "Donnie, che cavolo sta succedendo?!"- sbottai, invece.

"Non me lo chiedere, Raph! So soltanto che un minuto prima ero nella mia stanza a dormire, un attimo dopo sentivo rumori e quando sono sceso a controllare, beh... ho trovato questo!".

Il corpo di Michelangelo era incredibilmente in piedi, gli occhi accesi di una luce bianca e viola, una seconda fonte luminosa intorno al corpo morbosamente sottile. Il buco al centro del suo petto era buio.

"Qualsiasi cosa si sia impossessata del corpo di Michelangelo è molto potente. Dobbiamo solo fare attenzione, figli miei"- azzardò il sensei, frusciando la coda.

Il nostro defunto fratello guardò nella mia direzione, con quello sguardo gelido. Il mio corpo si tese come una corda di violino, soppresso dall'incredibile aura che emanava ma, come un lampo, mi accorsi con orrore che fissava Mikey sulla mia spalla piuttosto che me. Protettivamente feci un passo indietro e racchiusi il mio piccolo amico fra le mani.

"Non lo toccare!"- intimai. "So che non sei Mikey!".

Michelangelo sorrise subdolamente e poi tutto sembrò rallentarsi: il suo corpo si ammantò di una luce viola ancora più intensa e si sollevò dal pavimento di pochi centimetri. Il tempo che impiegai a chiudere e a riaprire le palpebre me lo fecero comparire a poca distanza dal volto.
Era così inquietante con il suo sadico sorriso.

Mikey guaì di paura, io deglutii ferocemente, poi vidi la mia famiglia muoversi in un attacco sincronizzato, dove tutti insieme avrebbero attaccato violentemente.

"No, fermali, Raphie! Finiranno male, è troppo potente!".

Guardai Mikey fra le mie mani e negai vigorosamente. Non potevo lasciare quel demone avere la meglio. "Non preoccuparti. Siamo una famiglia di ninja!".

"Tu non capisci. E' me che vuole. E se questo significa proteggervi, lo farò. Dopotutto, è questo il mio scopo... Abbi cura di te... nii-chan...".

Mikey mi morse un pollice per spianarsi la strada, mi guardò un ultimo momento con occhi lucidi poi balzò verso il demone. Quest'ultimo era pronto a sferrare un violentissimo attacco verso la mia famiglia con il semplice sguardo accecato dall'odio... quasi non si accorse della piccola coraggiosa tartaruga interporsi fra il suo volto e la mia famiglia.

Seguì un violentissimo fascio di luce bianca, un grido a squarciagola di terrore e un'onda d'urto così potente da spazzarci via. Sensei, Don e Leo si schiantarono contro alcune librerie del laboratorio e vennero sommersi dai pesanti libri, io mi ritrovai a volare verso una colonna portante della tana e a perdere quasi del tutto conoscenza per l'impatto contro la spina dorsale e i polmoni. Rimasi senza fiato per qualche istante.
L'illuminazione della tana scattò istantaneamente nel buio più totale. Un odore di carne bruciata, legno e fumo si levò tutt'intorno, come una cappa e nonostante la paura per ciò che sarebbe potuto accadere in seguito vari respiri facevano eco dal laboratorio. La mia famiglia era viva.

Una sensazione fredda mi diede forza per sollevare lo sguardo verso il buio e di nuovo il mio cuore smise quasi di battere. Michelangelo, il mio fratellino, era in piedi sotto l'architrave della porta del laboratorio ma come uno spirito. Mi guardava come se fosse in procinto di piangere, la disperazione dipinta sul viso spettrale.
Lentamente spostò lo sguardo verso una piccola figura sepolta da alcuni libri e macerie: si chinò e la raccolse, accarezzandola con le dita.

"NO! MIKEY!"- urlai a squarciagola, quando riconobbi il corpicino esanime della tartarughina esanime. La testolina era ciondolante, gli arti immobili e gli occhi socchiusi, privi di vita.

"Raph..."- mi chiamò dolorosamente la voce di Leo, mentre lottava per rialzarsi.

"Leo, guarda!"- intimai. "Donnie...! Sensei...!". Quando non ottenni risposta dai due, riprovai a chiamarli. "DONNIE! MAESTRO!".

Un gemito di dolore, impastato dal sonno innaturale dell'urto violento, mise in allerta sia me sia Leo. Quando alzai gli occhi verso quest'ultimo non mi sorpresi di vederlo letteralmente sbiancato, con la bocca socchiusa e lo sguardo atterrito. Sorrisi debolmente a quella scena; dopotutto, vedere un fantasma aveva sempre un qualcosa di raccapricciante.

"Non avere paura, Leo. È solo Mikey"- dissi. Lui mi guardo ancora con quell'espressione e faticò nel lottare per riprendere la compostezza.

"Sto sognando, non è vero?"- farfugliò Donatello, barcollante e incredulo. "Questo batte ogni teoria scientifica... è un nonsense!".

Il fantasma ci guardò tutti, diteggiando la testolina di Mikey, mentre un rivolo di sangue colava dalla sua piccola bocca. Quello che accadde in seguito ci fece rimanere a bocca aperta.
Scomparve e riapparve davanti a me, consegnandomi la piccola tartarughina, mi stampò un bacio gelido sulla guancia, salutando anche gli altri e imitò il gesto anche sulla guancia della mia piccola amica.
Improvvisamente il terreno iniziò a scuotersi violentemente, i muri si creparono e nel pavimento si aprirono delle voragini. Spire orrende e sinuose afferrarono i corpi della mia famiglia e li trascinarono nell'oscurità. La stessa sorte toccò anche me e fui incapace di lottare.

"Così finisce?! Mikey, aiutaci!"- gridai, mentre mi dibattevo pur di liberarmi dallo sprofondare nel terreno e finire chissà dove.

Non ci riuscii e il mio viaggio terminò in modo molto brusco: come una caduta, il mio corpo si ritrovò schiacciato su una superficie totalmente dura.
A malapena mi rialzai, massaggiandomi la schiena dolorante, poi mi guardai curiosamente intorno.

Ero in superficie, accanto a un alto traliccio dell'alta tensione dove i cavi ondeggiavano nel vento temporalesco, sotto un cielo scuro. Mi sembrava tutto abbastanza familiare, proprio come un deja-vu.
Mentre mi guardavo intorno, notai una sagoma biancastra verso un cartellone pubblicitario piuttosto alto, senza luci, a fissare una figura che poteva muoversi solo come un ninja.
Riconobbi una maschera rossa e mi lasciai cadere la mandibola. Ero io?

"Raph?".

"Donnie? Leo? Sensei? Ma che diavolo ci facciamo qui?"- espressi, prendendo la testa fra le mani. "E perché ho l'impressione che la mia testa stia per scoppiare da un momento all'altro?".

"Ne sappiamo quanto te, credimi. E' tutto così strano che non riesco a capire se è tutto frutto dell'immaginazione o è qualcos'altro"- rispose Donnie, muovendo l'indice come avesse voluto creare un cerchio.

"Sembra essere ricordi, più che altro"- azzardò il sensei, lisciandosi la barba.

"E da cosa lo deduci, sensei?"- formulò incredulo Leonardo.

"Non credo di avere la risposta, figliolo ma guarda attentamente ciò che ci circonda. Se quello che vediamo è Raphael in un tempo già avvenuto, questo significa che siamo testimoni di fattori importanti".

"Oppure potrebbe trattarsi di un salto temporale con qualche significato"- seguitò Donatello, annuendo per lo più a se stesso. "Raph, tu ovviamente ricordi tutto questo, no?".

"Certo. E se la memoria non m'inganna, ora arriva il bello".

Proprio come già avvenuto, osservammo meticolosi il mio burrascoso incontro con Neutralizer e la batosta che avvenne quasi istantaneamente. Inconsciamente ripetei i movimenti dei miei pugni, in un tentativo di correggere gli errori che mi saltarono agli occhi.

"Ehi, guardate!"- esclamò Leonardo, indicando il fantasma che dal tabellone comparve davanti al me stesso in balia del dolore per la notizia della morte di Mikey.

Il fantasma afferrò le braccia di Neutralizer e le spinse dolorosamente verso la schiena, facendolo colpire con il suo stesso attacco elettrico, poi si avvicinò a me e mi sollevò tra le braccia senza apparente sforzo, calandomi verso la gola di alcuni edifici.

I miei fratelli mi appoggiarono una mano ciascuno sulle spalle, in un gesto di conforto. Avevamo appena scoperto il mio salvataggio.
Il tempo di chiudere e riaprire gli occhi che ci ritrovammo nel sottosuolo dove avevo avuto quelle strambe visioni.

"Come ci siamo arrivati qui?"- fece Leonardo.

"Teletrasporto, credo"- azzardò Donatello.

"C'è Mikey!"- esclamai, indicando lo spettro seduto accanto al mio corpo immobile sotto la voragine del sottosuolo.

Infatti il bianco fantasma aveva tra le mani il mio T-phone e aveva già schiacciato il tasto per la richiesta d'aiuto.

"Adesso capisco. Nelle tue condizioni, non avresti mai potuto chiedere aiuto"- fece Donatello. "A questo punto non mi meraviglia più nulla...".

Poco dopo lo spettro entrò nel corpo del mio io e cominciò la fase dell'illusione, con la venuta degli altri, compreso un vivo e vegeto Michelangelo.

"Sono sicuro che Michelangelo avrà voluto calmare la tua mente dal dolore inferto da Neutralizer. Un corpo ferito è maggiormente suscettibile alle ferite dell'anima. Non dimenticatelo mai, figli miei"- mormorò il maestro Splinter.

Nello scenario vedemmo noi stessi tornare alla tana.

Ancora una volta lo scenario cambiò: eravamo nel laboratorio di Donatello, al buio e lo spettro era accanto a me, tenendomi compagnia.

"Adesso mi credete?"-  domandai, trattenendo a fatica le lacrime.

"Sì, Raph. Ti crediamo più di ogni altra cosa".

Il buio spezzò quei ricordi brutalmente e ognuno di noi venne risucchiato...
 


Il dojo.
Eravamo inginocchiati in posa meditativa, disposti in cerchio dove al centro capeggiava Mikey, vivo e vegeto.

"Ehi... ma cosa...?"- farfugliò Donatello, massaggiandosi la testa.

"Siamo stati richiamati sul piano astrale..."- espirò Leonardo, sostenendo il busto improvvisamente troppo pesante con le braccia.

"Un'energia piuttosto forte, oserei dire"- seguitò il maestro.

"Ok, ma quando sarei arrivato qui?"- mormorai, scuotendo piano il capo nel tentativo di allontanare le vertigini.  Improvvisamente quell'illusione della morte della piccola amica mi tornò in mente e mi guardai tutt'intorno, sperando che non le fosse accaduto niente.

"Calmati. Mikey è proprio qui"- sorrise Leonardo.

Quando la tartarughina riaprì gli occhi erano bianchi, bordati da una leggerissima luminescenza azzurrata.

"Ehi, amico! Mi senti?"- dissi, raccogliendolo tra le mani.

Mikey chiuse gli occhi per un lungo lasso di tempo, poi li riaprì e come se non ricordasse nulla cominciò a guardarsi in giro, seguendo ognuno di noi con apprensione. Felice che tutti stessimo bene, cominciò a roteare felicissimo su se stesso e a guaire radiosamente.

"Non so tu che potere abbia e se ciò che ci hai mostrato può avere un senso ma... wow... non ho parole!"- ridacchiai, avvicinandolo alla mia guancia.

"Probabilmente, il nostro amico ha voluto dirci qualcosa. E' meglio essere prudenti, figli miei".

Annuimmo. Del resto era l'unica cosa che potevamo fare...
 

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