Cuore Elastico

di Lady R Of Rage
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Sogno Si Spezza ***
Capitolo 2: *** Cambiamenti Forzati ***
Capitolo 3: *** Chiacchiere ***
Capitolo 4: *** Sorsi Amari ***



Capitolo 1
*** Il Sogno Si Spezza ***


 
Cuore Elastico

Capitolo 1: Il Sogno Si Spezza

"So here I go is my shot
Feet fail me not 'cause maybe the only opportunity that I got"

(Lose Yourself, Eminem)

 
Sarebbe stato uno show da restare nella storia.
La bambina era da sola, chiaramente incapace di affrontarlo. Anche prima della trasformazione erano bastate alcune delle sue bombe a metterla in difficoltà. Probabilmente aveva pensato che farlo trasformare a tradimento sarebbe stata una mossa efficace per batterlo, ma povera ingenua, come si sbagliava. Anche in quella forma era forte, determinato quasi quanto lei, e più agguerrito che mai.
Mettaton sorrise mentre la nebbia si diradava, rivelando agli occhi sbarrati della ragazzina il suo nuovo, bellissimo corpo umanoide, scolpito e rifinito dalle mani della sua vecchia amica Alphys. 
L’umana era così sorpresa da non riuscire neanche a muoversi. Probabilmente nemmeno una piccola eroina come lei era immune al suo fascino di superstar.
Peccato, però. Sarebbe stato più difficile per lui distruggerla.
Era però giunto il momento di lasciar stare i sentimentalismi. Un grande, luminoso futuro lo attendeva là fuori. Poteva già pregustarlo sulla sua sottile lingua d’acciaio.
Sarebbe stato suo, costasse quel che costasse.
Mettaton rise sguaiatamente a quei pensieri, mettendo in mostra i nuovi zigomi scolpiti alle telecamere, e si preparò per sferrare un calcio poderoso contro la sua giovane avversaria.
Ma mentre le dita si aprivano attorno al palmo, qualcosa accadde dentro di lui.
Prima sentì uno scatto, nel mezzo del suo stomaco, come una fionda tesa e lasciata andare.
Poi un dolore lancinante e acutissimo si propagò nel suo nuovo corpo.
Mettaton aprì appena la bocca per gridare, ma la voce gli si strozzò in bocca. 
Il dolore scorreva nei suoi circuiti come un liquido avvelenato, partendo dal punto dove doveva trovarsi il suo stomaco, proprio sopra alla cintura che ospitava la sua anima. 
Prima di rendersene conto, Mettaton si ritrovò in ginocchio sul pavimento del palco, le mani coperte dai guanti che stringevano il proprio corpo dolente come un animaletto spaventato.
Stranamente, l’umana non ne aveva approfittato per colpirlo a tradimento. Lo guardava attonita dall’altra parte del palco, la mano stretta contro il bordo del maglione. 
A Mettaton, però, non poteva importare di meno. Il male sembrava intensificarsi secondo dopo secondo, fino a diventare una vera e propria tortura. Ringraziò di non avere polmoni: se ne avesse avuto bisogno, era certo che ogni respiro avrebbe triplicato lo strazio già insopportabile.
-Spegnete!- gridò. -Spegnete le telecamere!-
Il dolore era fortissimo, tale da piegarlo in due. Pensò rapidamente a come descriverlo: era come se qualcosa stesse trapanando il suo stomaco dall’interno. Ecco, così avrebbe detto ai fan. Sperò che bastasse a giustificare l’interruzione della puntata.
Liberandosi il volto dai capelli, Mettaton si accorse che l’umana era là, di fronte a lui, con un’espressione preoccupata sul viso.
-Cosa c’è?- domandò atterrita la ragazzina. -Che ti prende? Non ti senti bene?-
Il robot era troppo sofferente per pensare a lei. Non gli venne nemmeno in mente di afferrarla a tradimento e strapparle l’anima dal corpo prima che potesse fare alcunché. Un attacco a sorpresa sarebbe stato scenicamente eccezionale, ma si sentiva troppo dolorante per muoversi di scatto. Non riusciva nemmeno a pensare a un’alternativa: anche solo un movimento accennato dei fianchi gli causava un’agonia insopportabile. 
Rimase immobile, in ginocchio sul pavimento, tutto accucciato su sé stesso, carezzandosi lo stomaco nella speranza di chetare il male o almeno addolcirlo. Era contento che il pubblico non potesse vederlo in quello stato: gli occhi erano dilatati al massimo, i denti stretti fino al limite, e i capelli sintetici gli nascondevano il volto. 
L’umana era ancora là: poteva percepire le sue piccole mani che gli massaggiavano le spalle e gli sistemavano con delicatezza i capelli. La sua voce soffice si diffondeva nel silenzio tombale del palco, intervallato soltanto dai gemiti e ansiti della macchina in agonia.
-Non è niente.- diceva, con una calma disarmante. -È solo un malfunzionamento. Adesso arriva Alphys e ti rimette a posto.-
E Alphys arrivò, dopo almeno venti minuti di attesa, che Mettaton trascorse immobile dove stava, cercando di calmarsi, pregando che il dolore finisse presto. Ma fu una preghiera vana: quando la scienziata lo raggiunse, lo stomaco gli faceva ancora più male di prima. 
Non riusciva nemmeno a parlare, da quanto gli doleva il corpo. Fu l’umana a spiegare la situazione, accarezzandogli le spalle con le piccole mani rosate, mentre lui continuava a massaggiarsi la parte dolorante, sentendosi impotente come un bambino nel mezzo di un terremoto.
Fu sempre l’umana ad aiutarlo ad alzarsi, sorreggendolo da sotto la spalla con una forza inattesa da una creaturina così piccola, e quasi tirandolo su di peso, dato che per il dolore non riusciva nemmeno a muoversi. Alphys lo sollevò dall’altra spalla, e lo prese da sotto le ascelle, trascinandolo di spalle fuori dal palco. L’umana, invece, gli sorreggeva le gambe con riguardo.
Furono nell’androne del MTT Resort con rapidità, ma a Mettaton parve un tempo infinito. Si impose di sorridere ed apparire felice di fronte ai suoi dipendenti e fan, per non inquietarli sulle sue condizioni, o peggio ancora, demoralizzarli. Tuttavia qualcosa gli faceva capire che persino un attore dilettante si sarebbe accorto della finzione nel suo sorriso.
Lo condussero lungo i corridoi, inerte come una salma, fino alla sua suite privata, in un’ala riservata dell’albergo dove il solo Mettaton aveva la possibilità di accedere. Fu per lui piacevole abbandonare gli occhi dei suoi fan, e potersi nuovamente abbandonare a gemiti e strilli soffocati a piacimento. Il dolore continuava, persistente, e sembrava espandersi fino alle cosce e al petto. 
Lo adagiarono sul suo ampio letto matrimoniale, dalle lenzuola rosa pallido, coperto da cuscini a forma di cuore e pupazzi di ogni foggia regalatigli dai fan. Poi, Alphys si arrampicò al suo fianco, e gli accarezzò il volto contratto.
-A-a-adesso stai q-qui.- balbettò. -V-vengo da te, d-devo solo g-gestire d-delle cose c-con l’umana. T-ti riparerò in un batter d’o-occhio.-
Mettaton mosse le labbra in qualcosa che sembrava un sì, stringendo uno dei suoi cuscini sullo stomaco dolente. Chiuse ermeticamente le palpebre artificiali: non poteva dormire, ma cercò lo stesso di sprofondare in uno stato di dormiveglia che lo distaccasse dall’agonia che stava provando, e soprattutto, che lo aiutasse a scordare del tutto la propria delusione.
Il suo piano era fallito. 
Asgore avrebbe distrutto l’umanità.
E lui non sarebbe mai diventato una vera stella. 

Angolo Della Lady:
Ormai #MTTBrandVitaDiMerda non mi stanca mai. Scrivo tanto e con una voglia crescente.
Questa storia mi è venuta quasi dal nulla, un'idea casuale che nasceva come One-Shot, ma che si è lentamente trasformata in una mini-long. Vorrei arrivare al massimo a cinque capitoli. Quindi non preoccupatevi per "A Luci Spente": tornerà, presto o tardi. Sono solo incartata con una scena, con cui non so bene che cosa fare. Con un paio di spinte riuscirò a finire il capitolo.
Ci vediamo presto e grazie a tutti.
Lady R

 

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Capitolo 2
*** Cambiamenti Forzati ***


Capitolo 2: Cambiamenti Forzati

"It's easy to throw you under the bus
Or call you crazy while filling my cup
I say these things to hurt you
But I can only hurt myself"

(It Takes Two, Katy Perry)

-Ahio! Vacci piano con quelle unghie.-
Mettaton strinse forte i pugni, facendo trasalire Alphys.
-S-scusami. S-sono un po’ stanca.- balbettò la scienziata per tutta risposta. 
Sdraiato sulla schiena nel suo ampio letto, con almeno una decina di cuscini di tutte le sfumature del rosa ammucchiati dietro la schiena, Mettaton era di pessimo umore. Era ormai un’ora che Alphys, seduta di fianco a lui, gli tastava lo stomaco dolorante con uno scanner, cercando di capire quale fosse la causa del suo male, ma più cercava, meno sembrava capire. 
Dopo che Alphys era uscita, assieme alla ragazzina umana, il robot era rimasto da solo per mezz’ora almeno, con lo stomaco che doleva tanto da annebbiargli la vista. Incapace di muoversi, anche solo di rigirarsi nel letto, era rimasto in attesa cercando di calmarsi, premendo con delicatezza un cuscino sulla parte lesa. Aveva acceso dal suo lettore musicale incorporato una playlist di musica rilassante, si era fatto portare dal servizio in camera (ovvero da Burgerpants) una tazza di olio bollente, che aveva sorbito con lentezza sperando che il calore alleviasse il male allo stomaco, e si era messo a pensare, cercando di capire in cosa avesse sbagliato.
Ma i suoi pensieri, qualunque fossero, conducevano sempre nella stessa direzione.
Sarebbe rimasto nel Sottosuolo per sempre, a fare le stesse cose e vedere le stesse persone. Asgore avrebbe preso l’anima dell’umana, l’avrebbe usata, assieme alle altre, per spezzare la Barriera. L’umanità sarebbe stata distrutta, e con essa, ogni sua ambizione.
Mettaton non era mai stato un individuo irascibile, ma ogni volta che ci pensava doveva richiamare a sé tutta la sua flemma da star per non schiaffeggiare Alphys con tutte le sue forze.
-Tutto questo non sarebbe successo se non avessi sbagliato a programmare questo corpo.- sibilò la superstar, dedicando alla scienziata uno sguardo pieno di rabbia.
Alphys si sistemò gli occhialini sul viso e fissò il robot con aria spaventata. -M-mi dispiace.- disse con voce tremante. -N-non so davvero c-cosa è successo. H-ho controllato ogni c-collegamento, m-ma… sembra t-tutto in regola.-
Mettaton alzò gli occhi al cielo. -T-t-t-tutto in regola.- ripeté in tono beffardo. -Fa MALE, Alphys. Non hai idea di quanto faccia male. Non riesco neanche a muovermi. Direi che non è affatto in regola.-
Fissò la piccola lucertola dritta negli occhi:-Hai già rovinato tutti i miei sogni. Riesci a non rovinarmi anche la salute?-
Alphys strinse le mani artigliate attorno al bordo del camice, attorcigliando con forza la stoffa. 
-C-controllerò ancora. Non preoccuparti, M-Mettaton. Ti riparerò il p-prima possibile.-
Mettaton tacque, mentre la scienziata continuava a tastargli lo stomaco indolenzito con lo scanner. Non gli piaceva affatto prendersela con la sua amica, ma non riusciva a trattenersi. In quel momento, se lui l’avesse contrariato, avrebbe urlato in faccia anche a re Asgore in persona.
-S-senti, Mettaton.- disse piano la dottoressa. Il robot la guardò per traverso, senza empatia. 
-Io…- Alphys sembrava fare ancor più fatica del suo solito a formare le parole. -Io… l-lo so che per te è difficile. Mi… mi hai parlato tantissimo d-del tuo sogno… ci t-tenevi tanto…-
La sua voce era ormai quasi un sussurro.
-Se posso… posso fare q-qualcosa per te… p-per farti un p-po’ piacere f-finché stai qui…-
-Alphys.- il tono di Mettaton era brusco, tagliente come uno dei suoi laser. -Se non fosse per te, io non dovrei più stare qui.-
Una fitta improvvisa di dolore gli impedì di dire altro. Mettaton avvampò, stringendo forte i denti e i pugni, e sprofondò inerte fra i cuscini. Alphys impallidì, visibilmente ferita dalle sue parole, ma la star non ci fece caso. Il dolore era così forte da impedirgli anche di pensare. Ringraziò di non poter sudare o vomitare, perché era certo che se avesse potuto sarebbe stato uno spettacolo indecente.
Ad un tratto, una vivace melodia dalla lingua incomprensibile si diffuse nell’aria. Mettaton riconobbe immediatamente la sigla di Mew Mew Kissy Cutie, l’orrendo cartone umano che sembrava piacere tanto ad Alphys. La sua amica arrossì violentemente. Tirò fuori il cellulare dalla tasca del camice, premette un tasto con l’unghia e lo avvicinò alla testa.
-P-pronto?- 
Mettaton alzò gli occhi al cielo. Fu solo per non compromettere la sua reputazione di divo elegante e di classe con chiunque fosse l’interlocutore che non si mise a strillare addosso ad Alphys, ordinandole di tornare immediatamente da lui, e dedicarsi alle chiamate di piacere dopo averlo rimesso a posto. 
-Ciao, S-Sans! Che b-bello sentirti! Come stai? E t-tuo fratello, come se la passa?- Alphys si era allontanata dal letto per parlare al telefono. Mettaton tamburellava con la mano guantata sul piano del letto, digrignando i denti con malagrazia. Non aveva mai conosciuto gli amici scheletri di Alphys, e francamente non gli interessava. La città di Snowdin non gli piaceva per niente, era troppo silenziosa e priva del fascino luminescente che secondo lui si addiceva a una star. Inoltre non aveva tempo da perdere per andare a visitare tutti i suoi fan. 
-S-se è un’altra c-cena a base di spaghetti, m-mi dispiace, ma n-non posso venire.- continuava Alphys dall’altra parte della stanza. 
-Mettaton non si sente b-bene, e…-
-E vorrebbe essere riparato prima di subito- disse lui a bassa voce accarezzandosi lo stomaco pulsante. -Quindi, per cortesia, chiudi la telefonata e torna ad occuparti di me prima che mi si sciolga lo stomaco.-. Sembrava dolergli più forte ogni attimo, e nonostante Mettaton sperasse che, da un momento all’altro, riuscisse per lo meno ad abituarsi, continuava a sentirlo forte e persistente come una coltellata, tale da lasciarlo immobile nei cuscini rigido come un manichino. 
In quel momento l’espressione di Alphys cominciò a cambiare. Il suo viso si fece prima incredulo, poi spaventato, mentre il suo respiro accelerava e la mano tremava attorno al telefono. 
-C-c-cosa? N-non è p-possibile?- balbettò, fissando il vuoto coi grandi occhi color miele.
Poi uscì dalla stanza, parlottando animatamente nel cellulare a voce troppo bassa perché Mettaton potesse udire ciò che diceva. Lo stomaco del robot doleva così tanto da costringerlo a soffocare alcune urla in un cuscino, sperando che Alphys finisse presto la sua chiacchierata.
Probabilmente Sans aveva visto la nuova puntata di Mew Mew Kissy Cutie, e le aveva anticipato a suo di giochi di parole orribili (un’altra delle ragioni per cui Mettaton non teneva affatto ad incontrare i due fratelli) le ragioni per cui Mew Mew e Hikaru si erano di nuovo lasciati, salvo poi rimettersi insieme tre puntate dopo, come al solito. Era successo altre volte, ormai ci era abituato, e quel giorno che stava così male gli sembrava ancor più una perdita di tempo.
Alphys ricomparve presto, cosa insolita per lei, che poteva parlare di Mew Mew per ore intere senza mai stancarsene. Appena Mettaton udì il rumore della porta aperta, allontanò bruscamente il cuscino dalla faccia e squadrò la scienziata con sufficienza.
-Ora che hai finito la chiacchieratina, per cortesia, potresti degnarti di ripararmi, o è troppo?- sputò senza riguardo, stringendo tutte e due le mani sullo stomaco.
Solo dopo aver parlato si accorse delle lacrime che velavano il viso di Alphys. 
Rimase titubante per un attimo, guardandola con un’espressione prima irata, poi confusa.
Poi Alphys si asciugò le guance e parlò.
-E’ morto.- disse, senza nemmeno balbettare.
-Re Asgore è morto.-
Nel tempo che il robot impiegò a processare la notizia, la scienziata era già uscita dalla stanza, sbattendo la porta con una furia non sua, asciugandosi il viso con le maniche del camice.
Rimasto solo, Mettaton cercò di pensare. Le fitte allo stomaco sembravano intensificarsi secondo per secondo, come una scarica di pugnalate attraverso il metallo. In pochi secondi si ritrovò a contorcersi sul fianco, le mani strette attorno ai fianchi, piegato in due come un cane ferito. 
Aveva conosciuto Asgore una volta sola, quando Alphys glielo aveva presentato prima di diventare scienziata reale, ancora nella forma di un rettangolo privo di gambe.
Gli era sembrato un individuo simpatico: un po’ svampito, un po’ impacciato… ma tutto sommato un buon re.
Ed ora era morto.
Mettaton non aveva mai avuto paura del proprio destino come in quel momento.
Poi pensò ad Alphys, e a tutti gli altri mostri, e sentì un terrore ancestrale scorrergli nei circuiti.
O forse era il dolore allo stomaco. che sempre più forte cercava disperatamente di uscire da qualche parte?
Incapace di trattenersi, Mettaton premette un cuscino sul proprio volto e urlò a squarciagola per minuti interi, fino a intronarsi. 
Poi si scoprì, tremando e ansimando. Se avesse potuto sbavare era certo che l’avrebbe fatto. 
-Aiuto…- disse a fatica. Sentì le ventole nel suo petto che giravano sempre più in fretta e capì che stava per surriscaldarsi. 
Nonostante il dolore lancinante riuscì a scendere dal letto, ogni gesto una fitta di agonia, e cercò di gattonare verso la porta della camera.
“Devo arrivare al Resort” si disse spingendosi a fatica in avanti. Invece cadde svenuto senza nemmeno arrivare alla porta, sdraiato sul tappeto di finta pelliccia bianca, agonizzante e incapace di muoversi ancora.
Chiuse gli occhi, accoccolandosi il più possibile su sé stesso.
Persino svenire, in quel momento, gli pareva preferibile.
L’ultima cosa che vide prima che tutto diventasse nero fu l’immagine fugace di una figura aggraziata, dal corpo rosa e nero, seduta mollemente su un trono con il sorriso sulle labbra.

Angolo Della Lady:
Vedendo che questa storia sembrava piacere, ho deciso di andare avanti. Ho dei piani per il futuro della trama, ma al momento non mi va di anticiparli. 
Per le curiosità: Frisk sta facendo una Pacifist run in cui si fa amicizia con Papyrus e Undyne, ma non con Alphys, e non si fa il True Lab. Credo che si chiami Friendless Pacifist, ma probabilmente mi confondo. 
No, Papyrus non apparirà nella storia, e se apparirà non avrà un ruolo determinante. Ho messo in chiaro le mie idee sulla Papyton, e qualunque cosa che anche solo accenni una relazione fra Papyrus e Mettaton è ufficialmente bandita da tutte le mie fanfiction. Sans potrebbe apparire più avanti, anche se non so bene cosa fargli fare, ma Papyrus probabilmente no.
Probabilmente tutti avete capito la natura della "visione" di Mettaton. E' legata a un mio headcanon sui finali neutrali che spiegherò meglio nel prossimo capitolo.
Undyne apparirà più avanti: adoro farla interagire con Mettaton, soprattutto dopo che lui fa o dice cazzate da Mettaton. E mancare di rispetto alla morte di Asgore è una grande cazzata da Mettaton.
Sì, Mettaton quando si impegna è uno stronzo colossale. Ma se non lo fosse scriverei di qualcun altro.

Un abbraccio e a presto
Lady R

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Capitolo 3
*** Chiacchiere ***


Chiacchiere

I see the love in disguise
I see the pain hidden in your pride
I see you're not satisfied
And I don't see nobody else
I see myself

(Mirror, Lil Wayne ft. Bruno Mars)

Si incontrarono alle Cascate.
Undyne indossava una canottiera nera sopra un paio di pantaloni dello stesso colore; neri erano i suoi stivali anfibi, la fascia che le stringeva i capelli, le secche e frettolose strisce di eyeliner, e c’era una sfumatura di cupezza anche dentro i suoi occhi.
Anche Alphys aveva indossato un maglioncino nero sotto il camice, recuperato rapidamente dal fondo del suo armadio nel suo appartamentino a Hotland, adiacente al laboratorio dove lavorava. Là si era anche lavata il viso, soffiata il naso e ripassata il trucco, ma guardandosi allo specchio aveva comunque notato, per primi, due occhi rossi e stralunati, dilatati per il lungo strofinio e le molte lacrime versate.
Per un attimo le era balenato alla mente di provare ad affidarsi alle mani di truccatore esperto di Mettaton per limitare il danno, ma non aveva osato tornare al Resort. Probabilmente il robot era ancora di cattivo umore, e l’ultima cosa di cui Alphys aveva voglia in quel momento erano altra scortesia e un atteggiamento di sufficienza.
Aveva anche pensato, mentre si dirigeva verso le Cascate stringendosi nel camice come se sentisse freddo, di chiedere all’amica qualche consiglio su come ricompattare il rapporto con lui. Nonostante fosse ancora irritata dal suo comportamento indisponente, era comunque dispiaciuta nel vederlo soffrire, e in ogni caso non poteva tollerare di avere uno screzio aperto con uno dei suoi amici.
Sapeva benissimo di stare dalla parte della ragione, ma non riusciva comunque a tollerare l’idea di perdere uno dei suoi pochi cari. Il pensiero della solitudine la spaventava come la più macabra delle novelle, soprattutto in quel momento con re Asgore sparito per sempre
Undyne, se possibile, sembrava stare anche peggio di lei. Sembrava quasi una copia sbiadita dell’impetuosa eroina che lei conosceva. 
“Non avrei mai creduto di vederla tremare” pensò sedendosi accanto a lei su una panchina, guardando attonita le sue mani unghiute strette attorno a una delle travi.
-A quando è il funerale?- domandò la donna anfibia in tono monocorde, guardando distrattamente verso la volta della grotta.
-T-tre giorni.- rispose lei. Tirò fragorosamente su col naso: l’umidità delle Cascate non le avrebbe fatto per niente bene alla salute.
Undyne torreggiava al suo fianco come una guardiana, la mano stretta attorno alla sua schiena, gli occhi ancora umidi puntati altrove. Era una visione rassicurante nonostante tutto. C’era qualcosa di piacevole nel poter condividere con qualcun altro un dolore così grande.
Un pugno di Undyne, scagliato con violenza contro il lato della panchina, la strappò dai suoi pensieri. Alphys guardò con un certo spavento le dita della guerriera che si stringevano su sé stesse con forza, come spire attorno a un ramo.
-Secondo te… se fossi stata là…- la voce di Undyne era fredda come l’acqua delle cascate. -Avrei potuto fermarlo.-
Alphys sospirò lungamente, massaggiandosi le piccole mani squamose.
-Non p-possiamo sempre salvare tutti q-quelli che vogliamo. Nemmeno t-tu puoi.- disse piano, quasi senza pensarci.
Undyne sbatté le palpebre rapidamente, come per ricacciare negli occhi qualche lacrima fuggitiva.
-Sei… sei molto saggia, Alphys.- mormorò distrattamente. Si voltò verso la sua piccola amica e allungò una mano verso la sua spalla. Alphys sentì un rapido brivido nel corpo, di pura emozione.
-Quando ero piccina, Asgore mi insegnò che il dolore nasce per essere superato. Che la gente può guarirsi a vicenda, diciamo.-
Strinse la mano attorno alla spalla di Alphys, facendola sussultare. 
-Tu ci credi?-
Alphys si sistemò gli occhiali sul muso, deglutendo impercettibilmente. -Io… io c-credo di sì.-
Le sue dita, un po’ per l’umidità e il freddo, un po’ per l’improvvisa timidezza, si intrecciavano fra di loro rapide ed attive come piccoli insetti nella terra.
-Diciamo che… c-che l’ho g-già sperimentato. E s-sì… direi che può essere m-molto importante p-per te.-
-Sarà.- disse Undyne, con un tono carico di inattesa rassegnazione.
Si alzò dalla panchina e si voltò verso l’amica ravviandosi i capelli.
-Andiamo a curarci, allora..- 
Gli occhi della guerriera incrociarono quelli timidi e umidicci della piccola lucertola, che sentì una punta di timore, sicuramente visibile anche attraverso le pupille, scorrerle attraverso la schiena. 
Ma Undyne accennò un triste sorriso sulle labbra sottili; poi allungò una mano verso Alphys e le indicò una stradina sottile che si allontanava serpeggiando fra le pozzanghere e i cespugli..
-Vieni a casa mia.- disse. -Ci beviamo del te.-
Alphys rimase in silenzio per lunghi secondi, in un silenzio pesante e umido interrotto solo dal gentile gocciolio dell’acqua dolce.
Nella sua mente apparvero, una dopo l’altra, l’immagine di un laboratorio buio e polveroso, infestato da creature senz’anima né coscienza; quella di un trono vuoto, ammantato da uno strato di polvere grigia; infine due freddi occhi magenta, illuminati da un lucore vetroso, dall’espressione carica di disprezzo.
Poi rispose:
-V-va bene.-

Il mondo era bianco quando Mettaton rinvenne. Un universo senza orizzonte, ovattato da un silenzio quasi sacrale, che lo avvolgeva come una coltre di neve.
Il robot impiegò parecchi secondi a capire che, semplicemente, era crollato faccia in giù nel suo tappeto di pelo bianco. Puntellò le mani contro il pavimento e si levò a sedere, prendendo profondi respiri nella quiete completa della sua camera vuota.
Se avesse avuto saliva nella bocca, se la sarebbe sicuramente sentita riarsa e disseccata. Era confuso e debole, in preda a un capogiro tormentoso. 
Lo stomaco continuava a dolergli con forza lancinante. Quella volta, però, riuscì ad alzarsi senza fare troppa fatica, e a trascinarsi nuovamente verso il letto. Impiegò un minuto intero a raggiungerlo, gattonando sul terreno con una mano premuta sopra la cintura; poi si mise seduto  al suolo, con la schiena appoggiata alla testiera, e iniziò a pensare assaporando la solitudine. Il sapore amaro, stantio, del senso di colpa, gli riempiva la bocca come cloroformio, e le immagini sconnesse e abbaglianti del suo sogno gli illuminavano gli occhi come riflettori puntati male.
La stanza era completamente silenziosa, e con le luci spente non era illuminata che dal riverbero della calda luce di Hotland, calcando sul pavimento di legno bianco delle lunghe e lugubri ombre. Mettaton si sentiva sempre più scomodo ogni attimo che passava. 
Quella camera così bella e lussuosa cominciava a stargli stretta.
Preso da una strana idea si alzò, ansimando teatralmente in un tentativo di sfogare il male al corpo, e con la schiena incurvata come un vecchio si incamminò verso il suo piccolo soggiorno.
L’ala più interna della sua suite, separata dalla stanza da letto da un gradino discendente, era arredata come un salotto, con quadri alle pareti, suppellettili sugli scaffali, tre divani di finta pelle nera disposti a rettangolo, un mobiletto basso nel mezzo, e un realistico caminetto dipinto sulla parete, con delle fiamme che sembravano ballare nella penombra come se fossero vere. 
Era uno dei posti in tutto il Sottosuolo che Mettaton preferiva. Preferiva considerare sé stesso un individuo estroverso e socievole, sempre circondato da una compagnia adorante, ma quella di stare, una volta ogni tanto, per conto proprio, era una necessità da fantasma che la grande star non era mai riuscita ad eliminare del tutto. Poche cose lo rilassavano come sedersi la sera su uno di quei divani, ammirando il proprio corpo sotto una luce calda e soffusa, e sedersi per un’oretta o due nel silenzio, bevendo olio caldo o benzina e lasciando scorrere i pensieri.
Su uno dei divani era adagiata una coperta di lana fucsia, fatta ai ferri, un dono ricevuto tempo prima di una fan a Snowdin. Mettaton vi si avvolse come in uno scialle, allungò le gambe su tutto il divano, stringendo i denti per il dolore allo stomaco, e digitò un numero sul suo cellulare rosa pastello.
-Burgerpants? Sì, sono io. Potresti portarmi, per favore, un’altra tazza di olio bollente?-
La voce irritata e annoiata del mostro felino rispose subito alla sua: -Sono subito da voi, capo. Vi serve altro?-
-Forse una cosa sì, tesoro.-
-E di cosa si tratta?-
-Ho bisogno di parlare con qualcuno.-

Angolo della Lady:
Scusatemi in anticipo per il ritardo su questo terzo capitolo.
1. Sì, non ho messo volontariamente la scena in cui Undyne ed Alphys arrangiano per incontrarsi. Mi piace iniziare le cose in medias res, concentrandomi più sul worldbuilding. 
2. Le OST delle Cascate, Waterfall (quella che si sente un po' dappertutto nel livello) e in misura minore Quiet Water (quella che si sente, ad esempio, fuori dalla casa di Napstablook) sono tra le mie preferite, e in generale le Cascate sono il luogo che preferisco. Hanno più atmosfera e pienezza degli altri livelli (le Rovine, il percorso innevato, Hotland e il Core hanno spesso un'aria... vuota, diciamo), e hanno l'aspetto più creativo, con il mondo più tridimensionale. Le ho ascoltate più volte per aiutarmi a scrivere le scene Alphyne.
3. Mettaton non ha una semplice gastrite fulminante. Direi che si è capito.
4. Il prossimo capitolo sarà, come questo, prevalentemente dialogue-based. 
Lady R (di fretta)

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Capitolo 4
*** Sorsi Amari ***


Sorsi Amari

La teiera bolliva sul fuoco, fischiando nel silenzio della sala da pranzo. 
Undyne si alzò da tavola, mollemente, guardando fissa di fronte a sé. 
-Vuoi lo zucchero?- domandò afferrando la maniglia. Alphys alzò lo sguardo dal cellulare. -Tanto, grazie.-
Undyne annuì. Due tazze blu a forma di pesce erano pronte sul piano del tavolo, colme di altrettante bustine di te ai ranuncoli. Versò l’acqua calda in quella più chiara. 
-Non aveva altri eredi?- domandò. Alphys sussultò, facendo tremare la sedia. 
-Non parliamone, t-ti prego.-
-Giusto.- Undyne passò alla tazza scura. La sua mano tremò, uno schizzo d’acqua bollente atterrò sul pavimento a un’unghia di distanza dal suo piede. 
-Dannazione!- 
Sbatté la teiera sul piano e aprì il cassetto degli stracci, ma un cigolio legnoso la fece voltare. Alphys si incamminava verso di lei, le mani strette ai fianchi, gli occhiali appannati.
-F-Faccio io.-
Undyne scrollò le spalle. -Sei molto dolce.- disse accarezzandole la spalla. Le porse uno straccio rosa, a pallini neri. Alphys alzò un sopracciglio.
-Era una gonna di Mettaton, questa?-
-Esatto.- Undyne sorrise scoprendo le zanne. -Il mese scorso ha mandato quel suo dipendente gatto a comprare vestiti a sorpresa, ma si è dimenticato di dirgli che taglia porta.-
-M-Me lo ricordo. Ero in camera sua quando si è provato gli abiti nuovi. Non g-gli entrava nulla. Ha scaricato tutto nella discarica.-
“Tipico. Darli a dei bisognosi era troppo difficile?”
-Almeno ci ho guadagnato io, no?- Undyne serrò il pugno attorno allo straccio. -Lui come sta? Ancora in vena di balli e pose?-
-In realtà no.- sussurrò Alphys. -È… strano. Ha delle strane pretese.-
-Pretese, sempre pretese! Come fai a sopportarlo?-
Vide Alphys ritrarsi verso la parete. “Quella dannata scatoletta… tira fuori il mio lato peggiore”.
-Mi dispiace.- sospirò. -Non dovevo alzare la voce. É successo qualcosa, fra voi due?-
-L-Lui…- la scienziata si riavvicinò al tavolo. -Da qualche giorno… dice di avere problemi, ma non c-capisco cosa ci sia che non va.-
Sospirò: -Forse non mi impegno abbastanza.-
Undyne digrignò i denti. “Egocentrico, e per di più sgarbato”. -Alphys, tu hai sempre fatto di tutto per lui. Se non fosse per te, lui non sarebbe nessuno. Ti sei impegnata anche troppo.-
-I-io gli voglio bene…-
-Non c’è niente di male. Ha l’animo di un ragazzino viziato. Non è pericoloso, e non direi neanche cattivo, ma di sicuro molto difficile. Tuttavia…- Undyne chinò la testa di lato. -Tuttavia non è da lui comportarsi così. Probabilmente è rotto, nulla di più. Non era fatto per combattere. Dovremmo farglielo capire.-
Alphys annuì. -Saresti un’ottima mamma.-
Si scambiarono uno sguardo. Undyne inspirò l’odore dolciastro del tè ai ranuncoli. “Quante volte l’abbiamo bevuto assieme, Asgore?” Porse la tazza chiara ad Alphys, portando alla bocca quella scura. Prese una profonda sorsata: era caldo, forte. La rassicurava. 
“Stare attaccati al dolore non servirà a nulla. Asgore appartiene al passato, ed è giusto che là rimanga. Vorrei che Alphys non avesse da preoccuparsi di quell’attorucolo viziato: sarebbe più facile anche per lei guardare oltre”.
Alphys aveva provato varie volte a formare un legame tra lei e Mettaton, ma tutte le volte era finita a male parole. Voleva davvero scendere a patti con il suo carattere, anche solo per far felice la ragazza che amava. Ma Mettaton era sempre così sfacciato e intrusivo da rendere impossibile qualsiasi tentativo di comunicazione da parte sua. Poteva restarsene a cuocere nel suo brodo: non ne avrebbe sentito la mancanza.
“È la tua dedizione, Alphys. Riesci a formare un legame con qualsiasi cosa”.
-Non è nemmeno riuscito ad attaccare l’umana.- proseguì Alphys. -Si è sentito malissimo, è a letto da giorni.- tirò su col naso. -Ha male allo stomaco, dice.-
La tazzina di tè scivolò dalla mano di Undyne, frantumandosi sul pavimento della stanza. 
Alphys trasalì, ma la guerriera non se ne curò. Fissò Alphys con gli occhi sbarrati, la mano che aveva fatto cadere la tazza ancora sospesa in aria.
“Se è ciò che penso, è in grossi guai.”.
-Allo stomaco?-


-Capo?-
-Sei tu, tesoro?-
Burgerpants spinse la porta in avanti di un palmo. -Posso?-
-Ma prego, prego!- La voce argentina dell’androide risuonò dal profondo della stanza. “La sacra suite del capo: tutti i dipendenti sognano di vederla. Non posso credere di essere stato io il primo.”
Era esattamente come la immaginava: i muri erano rosa pallido, con strisce nere agli angoli. Il letto era così vasto da poter contenere lui stesso almeno cinque volte, con almeno sei cuscini a forma di cuore sparsi presso la testiera. Una tenda nera lo avvolgeva come un baldacchino, e sotto la tenda giaceva Mettaton, con una coperta di lana rosa premuta sullo stomaco. 
-Vieni pure avanti, tesoro caro.- sorrise l’androide. -Dovevamo vederci in salotto, ma il mio povero pancino non sopportava più l’agonia di stare piegato.- 
La mano guantata della star carezzò lo stomaco teso. -È capriccioso, sì?-
Burgerpants non seppe cosa rispondere. Fece slalom tra i vestiti a terra, raggiungendo la testiera del letto. Sulla mano sinistra reggeva un vassoio che recava una tazza di olio bollente. 
-Mi dispiace.- mugugnò. -Che stiate male.-
Mettaton prese la tazza. -Anche a me. Alphys non capisce cos’abbia. Mi ha rivoltato come un calzino, e… niente!-
Serrò il pugno della mano libera attorno alla coperta. -Fa male. Mi era passato prima, ma adesso… Per arrivare dal divano a qua ho impiegato cinque minuti.- 
Strinse i denti in uno spasmo improvviso. -Ah. Ahi, ahi. Non essere timido, tesorino. Vieni qua accanto a me. Prendi pure un cuscino.-
Burgerpants mosse appena la testa in un sì. “E adesso cosa vuole?”. Girò intorno al letto e si arrampicò sul materasso, gattonando sul copriletto di broccato rosa. 
-Ho un aspetto pietoso, non trovi?-
-Certo che no.- balbettò il giovane in risposta. -Sei così glamour che il glamour dovrebbe baciarti i piedi.-
“Ma guarda cosa mi tocca dire per tenere un micragnoso lavoro.”
-Non adularmi, ti prego.- l’espressione di Mettaton si fece dura. -Voglio che tu sia onesto con me. Brutale. Per questo ti ho fatto venire.-
Serrò di scatto gli occhi, ansimando. 
-Serve che chiami Alphys?-
-No, no. Ti prego. Lasciamola stare. L’ho già insultata a sufficienza.- Mettaton si strofinò il guanto sulla fronte. -Sono un disastro, non è vero? Un essere orribile.-
Burgerpants non seppe cosa rispondere. Si accomodò sui cuscini. “Che materasso soffice. Quello di casa mia è marmo, al confronto. Stupido Mettaton con i suoi stupidi lussi.”
-Lo so che lo pensi. Lo capisco da come mi guardi.- sussurrò Mettaton. -Un bravo attore deve saper leggere le facce, no? E tu, scusami se mi permetto, sei un libro aperto.-
-Io…- Burgerpants si strinse nelle spalle. -Sono contento.- “No affatto.” -Di essere facile da comprendere per te.-
-Niente lecchinerie, ne abbiamo già parlato.- mugugnò l’androide. -Sii onesto con me. Sono una persona cattiva?-
Il suo sguardo si allontanò dal suo viso, perdendosi negli arabeschi sul soffitto. -Perché credo di esserlo. E vorrei sapere se, insomma,- la sua mano si serrò di nuovo sullo stomaco. -si può fare qualcosa al riguardo.-
Burgerpants sbatté le palpebre. “E adesso cosa gli dico?”. Sollevò la mano a mezz’aria, le dita contratte. “Sembro un dannatissimo idiota e ho il capo davanti che mi chiede di essere onesto con lui. Ci scommetto la coda che mi caccia al primo sgarbo.”
-Allora?- Mettaton sorrise malizioso. -Se ti piaccio così tanto puoi andare. Sto cercando di- un gemito soffocato nella mano. -capire cosa ho che non va.-
-Voi…- Burgerpants deglutì. -Siete strano. Davvero strano. Non capisco mai cosa volete.-
-Mhm.-
“Lo odio quando fa così.” -Lustrini e colla nei Glamburger? Che schifo è? E siete viziato. Quando le cose non vanno come volete pestate i piedi e ve la prendete con me. Cosa vi ho fatto? È perché anche io voglio recitare?- “È una vita che sogno di farlo. E questo… è così piacevole!” 
-Siete un codardo. Quando le cose vanno male vi chiudete nella suite e non ce n’è più per nessuno. E siete così maledettamente finto. E irritabile, sfacciato, vanesio, egoista, egocentrico, e…- prese un profondo respiro.
-Avete un pessimo gusto in fatto di arredamento, vestiti, scarpe, trucco e gioielli.-
Mettaton sbatté le palpebre. Sorrideva bonario. -Sei davvero un tesoro.- 
“Cosa?”. -Ma vi ho appena insultato.- Burgerpants serrò i pugni per contenere il tremito delle sue mani. -Non ve la prendete?-
-Ne avevo un bisogno immenso.- sussurrò il robot. -Ora che so cosa sono, posso pensare a cosa posso essere.-
Burgerpants allungò il collo. -Non siete arrabbiato con me?-
-Non più.- rispose dolcemente Mettaton facendo l’occhiolino. -Hai detto che sono irritabile, vero? Ora guarda come non lo sono più.- 
Prese la tazza di olio e portò alla bocca una sorsata. -Mmh.- Si leccò le labbra. -Ho fatto dispiacere Alphys. Ho ferito tanta gente. Mio cugino, Undyne, Alphys,- un altro sorso, un altro ancora. -E te. Ti è piaciuto sfogarti?-
-Penso di sì.- balbettò Burgerpants. -Ne avevo bisogno. Grazie, capo. Davvero.-
Mettaton sorrise. D’un tratto portò le mani allo stomaco e soffocò un urlo fra i denti. -Mie stelle…-
-Capo?-
-Il mio stomaco!- strillò l’androide. -Brucia. Brucia forte.-
-Vado a chiamare Alphys.- Burgerpants trasse il telefono dalla tasca. La mano di Mettaton raggiunse il suo polso. -No. Deve riprendersi da Asgore. Faccio da solo. Non è niente che un sonnellino non possa superare.-
Mettaton sollevò di scatto copriletto e lenzuola, facendo scivolare le gambe al di sotto. 
-Vi aiuto.- Burgerpants lo afferrò sotto le ascelle e lo sistemò. -Servono altri cuscini?-
-Sì.- Mettaton serrò entrambi i pugni e contrasse il volto. -Sì, per favore. Poi portami…- Una lacrima nera scivolò dal suo occhio destro. -La mia mascherina, per favore. Là. Sul pavimento.-
Burgerpants annuì: gettò tutti i cuscini verso il corpo dell’androide, fino a formare una montagna alta quanto il suo braccio. La mascherina giaceva presso la finestra: era coperta di paillette rosa e nere, che formavano un motivo a scacchi. Il gatto la prese e la lanciò verso Mettaton. Le dita dell’androide tremavano mentre la prendeva. 
-Chiudi le cortine, fammi un favore.- Burgerpants annuì. Quando ebbe finito con la prima tenda, tornò a guardare il letto. Mettaton stringeva un lembo di coperta attorno alle dita. Giaceva sul fianco, le ginocchia al petto, i denti serrati, i capelli scompigliati, la mascherina sghemba sulla faccia. Se avesse potuto sudare, sarebbe sicuramente stato grondante. Prese la seconda tenda, accostandola alla prima. 
-Capo?-
-Stai qua, mio caro.- Un gemito. La sua voce tremava, come sotto distorsione digitale. -Chiudi bene le tende, spegni la luce e inchiava la porta. Non lasciarmi.-
Burgerpants biascicò un sì e corse a obbedire. La stanza si fece completamente buia: prese il cellulare dalla tasca e accese la torcia. I gemiti di Mettaton da dentro la sua gabbia di seta erano l’unico rumore che interrompeva di tanto in tanto il lugubre silenzio che dominava nella stanza. Si sedette sul tappeto di fianco a letto e aprì l’applicazione di MettaTemple Run. “Se non mi distraggo impazzisco. Non l’ho mai visto così.”
-Posso- deglutì. -Mettere in carica il telefono?-
-Fai come vuoi.- mugugnò la voce spezzata del suo capo. -Gioca. Leggi. Distraiti. Basta che stai qua. Non posso stare solo. Non posso. Devo sentire…- Un singhiozzo soffocò le sue parole. -Sentire che ci sei. Fa troppo male. Se sto da solo io…-
Altri singhiozzi, e colpi di tosse. Una successione che, Burgerpants pensò con un brivido, avrebbe soffocato un essere respirante. “Ma Mettaton è forte. Antipatico, ma forte.”
-Io non sono io.-

Angolo della Lady:
A qualcuno è mancata, Cuore Elastico?
Va bene, si sentono i grilli. Ma adesso che ho finito il Prezzo del Potere sono pronta a riprendere questo mio vecchio progetto. 
Che mi sono resa conto, santo cielo, è scritto MALISSIMO. 
Tutto raccontato e niente mostrato. Infodump come se piovesse. Immagini agghiaccianti e pacchiane.  "Il sapore amaro, stantio, del senso di colpa, gli riempiva la bocca come cloroformio", "sentì un terrore ancestrale scorrergli nei circuiti", ma che è?! 
Infatti, per questo capitolo, ho tentato uno stile più pulito, più gradevole, e meno impacciato. 
Spero che vi piaccia. Vorrei arrivare a dieci capitoli, e c'è ancora molto da fare. 
Lady R

 

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