Snow and fire

di babyluna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Everglow ***
Capitolo 2: *** The greatest ***
Capitolo 3: *** Not above love ***
Capitolo 4: *** Hold your head high ***
Capitolo 5: *** Cellophane ***



Capitolo 1
*** Everglow ***


Questa è la mia prima storia a capitoli.

È incentrata sulla Dramione, coppia che io amo ma non fatemi cominciare a descriverla perché potrei non finire più. :3 Se vi va lasciatemi pure delle recensioni dicendomi cosa ne pensate, sono sempre felice di rispondere ^^

Grazie di aver scelto di leggere questa storia e buona lettura!

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EVERGLOW

 

*

 

Like a lion you ran, a goddess you rolled

Like an eagle you circled, in perfect purple […]

When it feels like the end of my world

When I should but I can't let you go?”

 

Everglow, Coldplay

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Hermione camminava nel corridoio deserto.

 

I suoi passi rimbombavano come spari lontani sulle pareti, scandendo il tempo che scorreva più lentamente di quanto avesse mai fatto.

 

Le sue dita accarezzarono un davanzale di pietra ricoperto da un sottile strato di polvere e arrivarono a una goccia di sangue.

 

Le tracce della battaglia c'erano eccome.

 

Non ne poteva più di sentire Ron e Harry dirle di dimenticarla, perché lei non ci riusciva, era inutile provare.

 

Ogni notte si svegliava sudata e si sentiva chiusa in una gabbia, allora correva alla finestra e spalancava il vetro, facendosi scorrere l'aria notturna sul viso caldo.

 

Non ne poteva più, di niente.

 

Le dita di Hermione si fermarono alla fine del davanzale e ricaddero nel vuoto.

 

In quel momento, il sole incontrò la montagna e il tramonto si infuocò. Un raggio corse ad accarezzare i corti capelli di Hermione, creando dolcemente giochi di luce.

 

Dopo la battaglia, alla Tana, Hermione si era chiusa in bagno e con un paio di grosse forbici d'argento si era tagliata i capelli che le ricadevano morbidi sulle spalle, tutti.

 

Ora, al posto dei lunghi boccoli, aveva i capelli mossi fino al mento, per poi interrompersi in ciocche disordinate. Il colore, però, era sempre lo stesso caldo color cioccolato.

 

Ron non aveva fatto domande, quella sera. Si era limitato a prenderla sulle ginocchia e cullarla, sul divano, mentre gli altri della famiglia si muovevano davanti a loro come ombre.

 

Per loro non aveva importanza.

 

Hermione si era addormentata sul suo petto, mentre Ron giocava con i suoi capelli.

 

E quando tutti se ne erano andati, Ron si era steso di fianco a lei, sul divano, e l'aveva stretta forte, fino al mattino.

 

Hermione guardò fuori dalla finestra: la luce rossa del sole morente si rifletteva sul lago calmo.

 

Udì dei passi dietro di lei. Passi posati, lenti, ma che la fecero girare ugualmente.

 

La luce smise di riflettersi sui suoi capelli.

 

 

Due occhi verdi la osservavano con un'apatica curiosità.

 

Non erano verdi: erano l'esatto colore dei fragili germogli appena nati.

 

Hermione, pensandoci, ricordò distrattamente di aver notato dei germogli di Tentacula velenosa, giù alle serre.

 

Poi ricordò a sé stessa che i germogli possono anche essere molto forti e soprattutto molto pericolosi.

 

Hermione alzò una mano e toccò senza pensarci una ciocca di capelli. Si stupì nel sentirli così corti.

 

Poi ricordò cosa aveva fatto.

 

Draco non staccò gli occhi da lei per un secondo, mentre si avvicinava lentamente, misurando i passi, come ci si avvicina a un animale ferito.

 

Senza dire nulla, sfiorò le punte dei capelli di Hermione, strofinandoseli fra le dita.

 

La ragazza lo guardò con serietà; sembrava una bambina che guarda uno spettacolino e aspetta il numero più bello.

 

Draco abbassò la mano, ma non distolse lo sguardo.

 

Per un folle momento, alla ragazza sembrò che si stesse inclinando con dolcezza verso di lei.

 

Poi, come se non fosse successo nulla, Draco si girò e proseguì lentamente nel corridoio.

 

Hermione rimase a guardare la sua schiena finché non voltò l'angolo e scomparve dalla sua vista.

 

Poi, girandosi con lentezza, posò lo sguardo sul lago. Non era più rosso: era di nuovo nero, come la montagna, perché il sole era tramontato.

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Capitolo 2
*** The greatest ***


DUE MESI DOPO

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“Sono usciti bene, quegli uccellini.”
 

Hermione si voltò di scatto: dietro di lei c'era Ron, che la fissava con uno sguardo dolce. Hermione sorrise.
 

“Hai intenzione di scendere a fare colazione?” le chiese, sedendosi per terra di fianco a lei.
 

Hermione guardò per qualche secondo gli uccellini che cinguettavano tranquilli sullo schienale del divano, poi si girò verso di lui, trovandolo più vicino di quanto si aspettasse.
 

“Sì... Ora vengo. Dammi solo un secondo per capire come farli sparire.”


Ron ridacchiò e le passò il libro di incantesimi.


“Fa' pure.”


Hermione lo sfogliò febbrilmente, pagina per pagina, e circa verso la fine lo chiuse di scatto facendoselo cadere sulle ginocchia.


Deleo.”


I canarini sparirono immediatamente in un turbinio di piume color crema. Hermione ripose con cura la bacchetta nella tasca della felpa e porse una mano a Ron, aiutandolo ad alzarsi da terra.

Quando anche lui fu in piedi, le diede un bacio sulla testa e avvolgendole un braccio attorno alle spalle entrò assieme a lei nel buco del ritratto.

 

Il passaggio era stretto.

La mano di Ron sulla spalla le faceva caldo, stringeva troppo. I suoi occhi si spalancarono cercando di distinguere qualcosa nella penombra del tunnel. Poteva sentire il respiro di Ron, vicino, troppo vicino. Con uno strattone si divincolò dalla sua presa, poi si affrettò per uscire subito dal passaggio.

Oltrepassò il quadro e trasse un sospiro di sollievo, respirando l'aria più fresca del corridoio. Ron la raggiunse e le si affiancò nuovamente, con un'espressione incredula, ma non osò dire niente.

Non si poteva dire nulla a Hermione, ultimamente.

Proseguirono per le scale che conducevano alla Sala Grande, seguendo il vociare sommesso dei ragazzi che facevano colazione godendosi la domenica.

Questa volta, però, non le cinse le spalle.

 

 

                                                                                                                                                  *

 

Al tavolo di Grifondoro, Harry si rigirava lentamente la forchetta fra le dita. Osservava i riflessi sul metallo prodotti dalla luce del cielo, che quel giorno era di un celeste pallido e senza nuvole. Ci mise qualche secondo ad accorgersi che Neville si era interrotto a metà della sua ciotola di porridge e lo stava fissando preoccupato.

Quando lo vide, si riscosse e si affrettò a infilarsi in bocca qualche pezzo di uovo e pancetta, ingoiando il tutto senza percepire alcun sapore.

Accanto a lui, Ginny chiacchierava amabilmente con Calì Patil, seduta di fronte a lei.

La ragazza le stava raccontando di come sua sorella Padma fosse riuscita a passare l'esame di ammissione a Beauxbatons, dopo che i genitori avevano praticamente obbligato le figlie a cambiare scuola, considerando Hogwarts non più sicura come un tempo.

Ginny sorrideva di rimando e ogni tanto annuiva; ogni volta che muoveva la testa, i suoi capelli lisci e rossi si agitavano come piccole fiamme, attirando lo sguardo di Harry.

 

“E tu come mai invece sei rimasta a Hogwarts?” chiese Ginny in quel momento.

 

Harry cercò di seguire pigramente la risposta, ma trovò decisamente più interessante restare a guardare i capelli di Ginny. Quando si accorse che la conversazione era finita, prese Ginny per i fianchi e, ignorando le sue proteste, la fece sedere sulle sue gambe, mentre la ragazza rideva.

 

“Davanti a tutti?” gli sussurrò, sfiorandogli una guancia.

 

“Non mi importa” rispose lui, posandole un bacio a fior di labbra.

 

Ginny mise una mano nei suoi capelli, mentre con l'altra gli tracciava distrattamente piccoli cerchi sul collo.

Harry affondò il viso nello spazio fra il mento e la clavicola, inspirando quel profumo di fiori che lo inebriava e gli ricordava i lunghi pomeriggi distesi sul prato alla Tana, quell'estate.

Non credeva di avere mai trascorso momenti migliori.

Stare con lei, semplicemente con lei, era qualcosa di indescrivibile. Poteva sentire la sua gioia infantile entrargli dentro e riscaldarlo con lo stesso effetto di un Patronus, quando lei rideva come una bambina chiedendosi a cosa assomigliasse questa o quella nuvola.

E i giorni alla Tana passavano così, come bolle di sapone, lui e Ginny liberi di stare insieme senza un limite, mentre Ron e Hermione...

Hermione.

Il viso della ragazza lo riscosse dai pensieri.

 

“Buongiorno” le disse Ginny, scendendo dalle gambe di Harry e facendole spazio fra loro.

“ 'Giorno”, rispose Hermione con un debole sorriso.

Harry la scrutò per qualche secondo, poi tornò al piatto che qualche minuto prima aveva abbandonato.

Aveva delle ombre scure sotto gli occhi, pensò, che fino a qualche settimana prima non c'erano. I suoi capelli corti ricadevano sciupati in ciocche disordinate. Non si era ancora abituato del tutto al suo nuovo aspetto. Perché, inutile negarlo, la guerra l'aveva cambiata. Le aveva tolto quel luccichio dagli occhi che l'aveva sempre distinta, rendendoli uguali a tutti gli altri.

E quella mattina, gli sembrò ancora più stanca del solito. Si girò nuovamente verso di lei, deciso a dirle qualcosa, ma in quel preciso momento Ron li raggiunse e si sedette accanto ad Harry, impedendogli di parlare con Hermione.

 

Lo avrebbe fatto più tardi, in Sala comune, quando sarebbero stati soli; non se la sentiva di parlarle davanti a Ron, non voleva preoccuparlo più di quanto già lo fosse, perché ovviamente se ne era accorto anche lui. La sera, quando Hermione e Ron stavano abbracciati sulla grossa poltrona di pelle vicino al fuoco, Harry riusciva a vedere che Hermione tremava. Era quasi impercettibile, ma le sue spalle ogni tanto erano attraversate da un fremito, e come per scacciare un brutto pensiero la ragazza si stringeva più forte a Ron, tenendo gli occhi chiusi. Harry non capiva. Sebbene avesse tentato spesso ultimamente di parlare con Hermione, lei trovava sempre il modo di rigirare il discorso o di svicolare, così che in un modo o nell'altro riusciva ad evitare le insistenti domande dell'amico. Non ci sarebbe riuscita ancora per molto, pensò Harry.

 

Il braccio di Ron lo oltrepassò per servirsi da un piatto di pasticcini. Il vassoio era lontano, e per sbaglio, mentre ne afferrava uno, ne fece cadere alcuni, che rotolarono sul tavolo e caddero con piccoli tonfi sordi sulla gonna di Hermione.

 

“Oh no, Hermione, scusa!”

 

Ron si alzò e, con la bacchetta puntata verso di lei, tentò un “Tergeo” che non riscosse molto successo. La ragazza nel frattempo si era spostata lentamente dal tavolo e aveva stretto le labbra; poi, con pazienza, si era messa con la bacchetta a pulire le macchie di cioccolato sulla gonna, ignorando il tentativo di Ron. Lui rimase lì in piedi, senza sapere bene cosa fare; quando si rese conto che era perfettamente inutile stare a fissarla, si risedette al suo posto e si servì del porridge, rosso in faccia. Ginny lo guardava turbata da dietro la spalla di Harry.

 

Lui si girò verso l'amico e gli rivolse un sorriso rassicurante.

 

“Ron, non è niente.”

 

Quest'ultimo non rispose, ma continuò a mangiare a testa bassa. Harry sospirò.

 

“Ascolta, sono pasticcini. Pasticcini. Non dirmi che ti fai problemi per qualche macchia di cioccolato.”

 

Ron lo guardò incerto. Nell'ultimo periodo, aveva notato Harry, l'amico non parlava quasi mai con Hermione, si limitava ad abbracciarla; come se parlandole potesse rovinare tutto. Trattava la sua ragazza come un oggetto fragile e prezioso, che poteva rompersi in qualsiasi momento; per questo la maneggiava con cautela, evitando di infastidirla in qualsiasi modo. Si limitava a starle accanto fisicamente, ma Harry non era sicuro che fosse il comportamento migliore. E pensava questo perché ogni volta che Ron la toccava, lei si ritraeva quasi involontariamente. Aveva qualcosa che non andava.

 

Hermione si alzò dalla panca, lasciando davanti a sé solo un bicchiere d'acqua mezzo vuoto. Harry se ne accorse in quel momento: non aveva toccato cibo.

Si diresse verso le scale con la schiena dritta, senza salutare i suoi amici, ma camminando lentamente fra i tavoli.

Non ne poteva più del frastuono della Sala, in quel momento desiderava solo essere nel suo letto caldo, magari ripassare gli appunti di incantesimi per la verifica del giorno seguente.

O forse no, forse voleva solo dormire. Passare inosservata fra i tavoli e dormire.

 

Ma quando era ormai sul primo gradino della scala, percepì uno sguardo puntato sulla sua schiena. Si girò per vedere chi fosse, ma tutti erano immersi nelle loro conversazioni, mangiavano, camminavano ai lati dei tavoli.

Eppure, era sicura che due occhi verde chiaro avessero smesso di fissarla da appena un secondo.

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Eccomi ancora qui :) Sono stupita da me stessa per la mia velocità nell'aggiornare *si stringe la mano da sola*

Sono abbastanza soddisfatta di questo capitolo, ma mi raccomando, lasciatemi qualche recensione e ditemi cosa ne pensate! A presto,

babyluna

 

 

 

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Capitolo 3
*** Not above love ***


NOT ABOVE LOVE

 

 

*

 

 

And I know you're thinking the worst of me

but I hope one day you'lle see

I'm not above love, I just run out of it”

 

                               Not above love, Alunageorge

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“Ron, copri meglio l'anello di destra” urlò Harry da un lato del campo.

 

Ron si spostò goffamente verso la porta completamente esposta al tiro della sorella. Ginny sfrecciò verso di lui scartando Serena Wilkins ed evitando un Bolide scagliato da Coote, avvicinandosi pericolosamente all'anello. Rallentò qualche secondo, giusto il tempo di prendere la mira, e lanciò la Pluffa.

La grossa palla rossa volò dritta verso la faccia di Ron, che si era gettato per difendere la porta, e la colpì in pieno. Ron si portò le mani al naso con un'imprecazione.

 

“Miseriaccia, Ginny! Va bene segnare, ma la prossima volta magari cerca di non uccidermi!”

La sorella sbuffò e fece una brusca frenata a mezz'aria.

 

“Non è colpa mia se pari con la faccia, Ron. Per tua informazione, di solito i portieri parano con le mani”.

 

Ron aprì la bocca, pronto a replicare, ma fu interrotto dall'arrivo di Harry, che si interpose fra i due.

 

“Piantatela, è inutile bisticciare. Ginny, sei andata bene, ma smettila di punzecchiare tuo fratello. E lo stesso vale per te, Ron”

 

disse, trasformando lo sguardo compiaciuto dell'amico in un'espressione imbronciata. Ginny alzò gli occhi al cielo e senza aggiungere altro volò a terra, per poi entrare spedita nello spogliatoio.

 

“Al resto della squadra, bravi, avete volato bene. Buggins, accompagna Serena in infermeria, con quel Bolide le hai quasi rotto il naso”

 

Il ragazzino del terzo anno si diresse imbarazzato verso la Cacciatrice, che si allontanò da lui con un “Faccio da sola, grazie”.

 

Harry guardò la squadra avviarsi verso gli spogliatoi, poi scrutò il cielo, accigliato. Non erano andati bene per niente, pensò, ma era essenziale mantenere alto il morale della squadra. Non potevano abbattersi proprio adesso che mancava solo una settimana all'incontro con Serpeverde.

 

Una goccia cadde sui suoi occhiali; grosse nuvole si stavano ammucchiando proprio sopra il castello. Il tempo di novembre sicuramente non aiutava: era da due settimane ormai che pioveva quasi ininterrottamente, interrompendosi ogni tanto solo per illudere gli studenti più ottimisti.

 

Sconsolato, scese a terra, mentre sul campo cominciavano a cadere grosse gocce di pioggia. In spogliatoio, i ragazzi si stavano cambiando in silenzio, ostentando tutti un'espressione delusa.

 

“Potevi evitare di difendere Ginny”

 

gli disse Ron, cercando di sfilarsi la maglia da Portiere.

 

“Non l'ho difesa, e lo sai benissimo”

 

rispose Harry tranquillo, riponendo Pluffa, Bolidi e Boccino nella cassa di legno. Aspettò che tutti uscissero dallo spogliatoio, poi si rivolse nuovamente a Ron.

 

“Abbiamo una partita fra una settimana, e il clima in squadra non potrebbe essere peggiore. Serena sempre arrabbiata, Buggins che si incanta a guardare le nuvole, Marlena che ha litigato con Coote, ora ci mancate solo tu e Ginny che ricominciate a punzecchiarvi e vinceremo sicuramente”

 

Ron sembrò sgonfiarsi, avvilito.

 

“Sì, forse hai ragione.”

 

I due ragazzi uscirono dallo spogliatoio, le scope in spalla.

 

“E' che ultimamente... Non so, questa pioggia mi sta buttando giù. Poi tutti i compiti che abbiamo, e siamo solo a novembre. E Hermione...”

 

Ecco, pensò Harry, ci erano arrivati. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare l'argomento con Ron.

 

“...Hermione sembra non volermi parlare. Non mi saluta, non dice mai nulla.”

 

Harry aspettò che aggiungesse qualcos'altro, ma non lo fece.

 

“Beh, Ron, vedi...”

 

Non sapeva come dire ciò che voleva dire senza ferirlo. Eppure, come poteva? Doveva pesare le parole.

 

“Ultimamente ho notato che tu... le stai molto appiccicato. Troppo, intendo. Credo che ogni tanto, Hermione avrebbe bisogno di stare un po' da sola”.

 

Ron non rispose. Stava guardando a terra.

 

“Non so... Forse dovresti provare a parlarle. Lasciala stare per un po', oppure parlale. Ma non penso che tu facendo così la stia aiutando tanto”.

 

Il ragazzo rispose dopo qualche secondo.

 

“Ah, e così sarei io che non la sto aiutando?” la sua voce era stranamente trattenuta.

 

“Eppure, non mi sembra che neanche tu stia facendo chissà cosa per aiutarla.”

 

Intorno a loro risuonò un tuono; la pioggia stava cominciando a cadere più fitta.

 

“Ron, io non intendevo...” “No, aspetta” Ron si girò di scatto verso di lui.

 

“E poi, aiutarla in... cosa? Sempre con quello sguardo perso, con quel tremare non appena la tocco, io...” fece una pausa e trasse un lungo respiro.

 

“Tu non sai com'è stare con lei. Non sai com'è, abbracciarla e sentirti respinto.” La sua testa scattò, come per scacciare un pensiero fastidioso.

 

“E tu credi che a me questo non importi?” esclamò Harry, seccato.

 

“Mi importa esattamente quanto a te, se non di più. Ed è esattamente per questo che ti sto dicendo...”

 

“No, Harry!” Ron si fermò, la pioggia che gli scorreva sulla fronte.

 

“Io... io non ne posso più. Tu non puoi capire, non...” Il ragazzo sembrò trattenere le lacrime.

 

“Lascia stare.”

 

E detto questo, si mise a correre, ignorando il richiamo dell'amico. Harry rimase lì, con la pioggia che gli scorreva sui capelli e dentro la maglietta, chiedendosi come avrebbe fatto a riaggiustare tutto.

 

*

“Harry!”

 

Hermione gli andava incontro con un sorriso dolce; si fermò ad aspettarlo sulle scale davanti al portone. Harry non seppe se sentirsi felice o seccato della sua comparsa.

 

“Hermione... credevo stessi studiando”

 

Si affiancò a lei, con la scopa e i vestiti gocciolanti sul tappeto dell'ingresso.

 

“No, veramente... Avevo voglia di vederti, e sapevo che avevate gli allenamenti, così...”

 

La ragazza si interruppe e si appoggiò per un attimo a una delle colonne di marmo. Harry notò che aveva il respiro affannoso. D'un tratto, la realtà gli piovve addosso come l'acqua gelata che ancora scrosciava fuori.

 

“Hermione, tu non stai bene” le sollevò il mento con le dita, costringendola a mostrargli il viso.

 

Osservandola sotto la luce, si spaventò. Aveva occhiaie profonde, la sua pelle aveva assunto una sfumatura pallida e le guance erano molto più magre del solito.

 

“Harry, cosa dici...” Hermione gli spostò velocemente le dita dal mento. La sua pelle arrossì leggermente.

 

“Hermione..”

 

“Smettila” disse lei, d'un tratto decisa. “Sto benissimo. Non sono venuta da te per farmi fare un'analisi dettagliata, grazie”

 

Harry si ritrasse leggermente, sollevato nel vedere che si era ripresa abbastanza da rimettersi dritta.

 

“Io... Oh, va bene” sollevò le mani in un gesto di resa, rispondendo allo sguardo arrabbiato di Hermione. Anche quando era arrabbiata, osservò, si vedeva quanto fosse stanca.

 

Salirono le scale senza dire una parola, Hermione a testa alta, ostentando energia; Harry di fianco a lei, mille pensieri che gli vorticavano nella mente.

 

*

 

Neve.

 

Neve, a novembre. Quanto odiava la neve.

 

Fredda, bianca, perfetta. Come lei.

 

Come la figura sinuosa che dormiva profondamente nel suo letto, avvolta in coperte candide.

 

Si passò una mano fra i capelli, che gli ricaddero sulla fronte. Non ci fece caso.

 

La sua mano si posò sul vetro freddo, appannandolo istantaneamente. Quando se ne accorse, la ritrasse, e osservò l'impronta lasciata. Una mano grande, perfetta da stringere e perfetta per accarezzare.

 

Dietro di lui, la ragazza che fino a poco prima stava dormendo nel suo letto gli si avvicinò con passo felpato. Avvertì le sue dita fredde e sottili posarsi sulla sua spalla nuda, facendolo rabbrividire.

 

Era solo un brivido di freddo, si disse. Ed era vero.

 

Le labbra della ragazza si posarono sulla sua schiena.

 

Evidentemente, Astoria non stava dormendo così profondamente.

 

“Astoria” mormorò soltanto, rivolto più a sé stesso che a lei. Vide la propria espressione confusa riflessa sul vetro.

 

Sentì le labbra della ragazza incresparsi in un sorriso gelido sulla sua pelle.

 

Si girò, dando le spalle alla finestra; la bocca di Astoria era più vicina di quanto si aspettasse.

 

La baciò furiosamente, senza pensare a cosa stesse facendo, implorando la ragazza di stare al suo gioco.

 

Astoria fu spostata leggermente dall'impeto del suo corpo, ma rispose ricambiando timidamente.

 

Draco la spinse verso il letto, appoggiandola sulle coperte e sovrastandola con il torace.

 

Non c'era modo migliore di quello per evitare di pensare, ne era sicuro.

 

Erano solo le cinque di mattina. Aveva ancora tre ore per perdersi di nuovo fra le coperte, pensò fra sé e sé, senza rivolgere nemmeno un pensiero alla ragazza che stava baciando.

 

Voleva perdersi nuovamente, e ancora, e ancora, perdersi e non ritrovarsi.

 

E poi svegliarsi come da un lungo sonno, ma voleva essere da solo.

 

Avrebbe voluto, quella mattina, guardare fuori dalla finestra senza la consapevolezza di qualcun'altro nel suo letto.

 

E invece era stato proprio lui a trascinare Astoria nella sua camera, e non sapeva nemmeno il motivo.

 

Sapeva solo che a lei andava bene, e bastava quello.

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Ehi :3 Sono di nuovo io, giah.

Ci terrei a fare due precisazioni: come avete appena letto, questa è la prima parte della storia in cui compare Draco. E qualcuno potrebbe chiedersi: ma cosa cavolo c'entra tutto questo con la storia fra lui e Hermione? Portate pazienza, cari. Tutto a tempo debito. Fidatevi di me ^^

Seconda precisazione: ho cambiato i titoli dei capitoli, come forse avrete notato.

Dato che mentre scrivo io ascolto sempre la musica, credevo che fosse un'idea carina mettere come titolo del capitolo la canzone che ho ascoltato mentre lo scrivevo, così se volete potete ascoltarla leggendo e capirete le sensazioni che ho provato io :3

La canzone di questo capitolo è, appunto, “Not above love” di Alunageorge. Quella del primo è “Everglow” dei Coldplay; del secondo, “The greatest” di Sia.

A presto! Babyluna

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Hold your head high ***


                                                                         HOLD YOUR HEAD HIGH

 

                                                                                                 *

There's a warning coming in
Storm coming overhead
Stop lying in your bed
There's nowhere to hide
There's lightning in the sky
Storm coming in the night
Stop running, stand and fight
Hold your head high

                                Alunageorge

                                                                                                                   *




Hermione amava la neve.

Bianca, fredda, leggera. Esattamente come avrebbe voluto essere.

Aprì la bocca cercando di acchiappare qualche fiocco che entrava dalla finestra aperta; sentì un piccolo fiore freddo posarsi sulla lingua, sciogliendosi immediatamente.

Si strinse nella vestaglia di lana e richiuse la finestra; poi afferrò la spazzola dal comodino e lentamente si portò davanti al grande specchio che stava innocuo nell'angolo della stanza.

Prese un lungo respiro, aprì gli occhi e li fissò in quelli del riflesso, che la osservava con un'espressione apatica.

Si tolse la vestaglia dalle spalle e la fece ricadere semplicemente a terra, rimanendo con addosso solo la biancheria. Hermione rabbrividì guardando quelle gambe così sottili, le spalle ossute, le guance scavate. Non era ancora abbastanza magra.

Si passò distrattamente una mano sulla pancia piatta, pensando a quanto le sarebbe piaciuto sentir scorrere le costole sotto le dita.

Alzò il polso e si spazzolò i capelli con gesti precisi, rendendoli soffici e leggermente vaporosi, al contrario dell'ammasso disordinato che aveva appena sveglia.

Guardandosi, gli occhi le si riempirono di lacrime. Perché non era come la neve? Perché non poteva essere fredda, bianca, perfetta?

Cadde in ginocchio davanti allo specchio, singhiozzando, la mano appoggiata sul vetro freddo.

Si strinse le braccia attorno alle ginocchia, cercando di essere il più piccola possibile. Ogni tanto, un singhiozzo le usciva dalla gola.

“Hermione?” una voce la chiamò timidamente dall'altro lato della porta.

La ragazza sussultò e si alzò istantaneamente in piedi, barcollando leggermente.

“Sono già le otto, vieni a fare colazione?” Hermione sentì la preoccupazione e l'impazienza nella voce di Calì.

“Sì, sì... arrivo” disse in fretta, asciugandosi le lacrime. Si infilò velocemente la divisa e uscì sulle scale che portavano alla Sala Comune; fuori dalla porta, Calì la guardava curiosa.

“Andiamo?” disse, scendendo un gradino.

“Certo” rispose Hermione con finta sicurezza, e la seguì sulla scalinata.

Anche quella mattina, pensò, non avrebbe mangiato.

 

 

*

 

Descrivi accuratamente il movimento del polso e la formula dell'Incantesimo di Estensione.

“Estensione, estensione...” Hermione pensava, le dita premute sulle tempie; l'aula era immersa in un silenzio assordante, a parte il ticchettio dell'orologio che scandiva il tempo in un angolo della cattedra. Il professor Vitious si allungò sul banco e lesse l'ora; erano le nove e quaranta.

“Venti minuti, ragazzi, forza” disse con la sua voce stridula, riscuotendo gli studenti che ormai avevano rinunciato a finire il test e innervosendo chi doveva ancora rispondere a poche domande, come Hermione. La ragazza si ricordò d'un tratto la formula dell'incantesimo e la scrisse sullo spazio bianco con una grafia frettolosa.

Gliene mancavano ancora tre, la domanda sull'Incantesimo di Riconoscimento, quella sull'Incanto Patronus e infine la più difficile, ovvero la descrizione minuziosa della Legge di Willow.

Era sicura di aver letto le risposte, la sera precedente, prima di essere crollata sul letto, sfinita. No, forse in realtà non le aveva lette. Sapeva solo che non le ricordava, e in fondo perché perdere tempo? Era tutto inutile... Avrebbe preferito dormire, la testa appoggiata sulle braccia...

E in quello che sembrò un attimo, la campanella suonò, venti sedie grattarono il pavimento nello stesso momento e Hermione alzò la testa di scatto, spaesata. Raccolse il suo foglio e si trascinò fino alla cattedra, per poi posarlo sulla pila di compiti ordinati. Rimase perplessa dal fatto che tutte le verifiche che aveva potuto vedere fino a quel momento erano completamente scritte, mentre la sua aveva alcuni spazi bianchi. Stette ferma qualche secondo dov'era, bloccando gli studenti dietro di lei che aspettavano di consegnare il compito e andarsene.

“Levati” Una voce la riscosse dalla sua confusione, facendola spostare istantaneamente di lato; si rese conto che ad aver parlato era Draco Malfoy. Lo guardò mentre consegnava il compito, un'espressione indifferente disegnata sul volto pallido, e si spostava verso di lei.

Hermione riuscì a sentire sui capelli il tocco di un milione di anni prima, che ora, davanti a lui, le sembrava reale. Il profumo del ragazzo le ricordava quel tramonto che li aveva visti insieme, per la prima e ultima volta. Inspirò l'odore della neve e sorrise fra sé. Fredda, bianca, leggera. Anche la sua pelle sembrava neve. Avrebbe voluto allungare una mano e sfiorarla, per sentire se ne aveva anche la consistenza. Ma Draco si limitò a passarle davanti, con la stessa postura decisa di quella sera, senza essere invadente, senza passare inosservato. Hermione si mosse lentamente seguendo il suo profumo freddo, finché non lo vide raggiungere Astoria. I due camminarono verso l'uscita, senza scambiarsi una parola. Hermione notò che Astoria aveva la mano leggermente staccata dal corpo, probabilmente in attesa di una stretta che non ottenne. Rimase immobile davanti al suo banco, osservando i pugni stretti di Draco abbandonati sui fianchi. Poi, quando si rese conto che era uscito dall'aula, raccolse la sua borsa. Mentre allungava il braccio, si accorse che sul polso si vedeva l'osso, come una piccola pietra sotto la pelle. Un sorriso le increspò le labbra.

 

*

 

La risata di Ginny echeggiò nella Sala, sovrastata da molte altre voci. Hermione si voltò a guardarla: era proprio bella, con quei capelli rossi e qualche lentiggine sugli zigomi. Non c'era da stupirsi che gli occhi scuri di un Corvonero la stessero guardando dall'inizio della cena. Lei non se ne era accorta, ma Hermione sì. Nel suo silenzio notava molte più cose degli altri. Non sapeva chi fosse quel ragazzo, ma credeva fosse del sesto anno, come Ginny. Aveva occhi grandi e a mandorla, la pelle chiara, a contrasto con i capelli neri. Il compagno di fianco a lui lo riscosse, facendolo girare di scatto. Hermione sorrise fra sé.

“Perchè ridi?” le chiese Ron, sedutole di fronte.

“Niente” rispose lei in fretta. Ron non sembrò soddisfatto dalla sua risposta, e la guardò sospettoso.

“Stavo guardando quel ragazzo di Corvonero. Credo di non averlo mai visto prima”

Ron si irrigidì, e Hermione seppe all'istante di aver detto la cosa sbagliata.

“Lo guardavi?”

“Sì, Ron. C'è qualche problema?”

“Oh, no, figurati. A malapena guardi me, sono felice che almeno qualcuno attiri la tua attenzione.

Hermione sbuffò e si tirò una ciocca di capelli, infastidita.

“Ron, stai facendo il drammatico.”

Io sto facendo il drammatico?” Ron ostentò una finta espressione stupita, che fece innervosire ancora di più Hermione. “Ma guardati. Sempre a piangerti addosso, dovresti smetterla, veramente.”

Il viso di Hermione si congelò; Ron vide le sue braccia irrigidirsi ai lati del corpo, i pugni chiusi.

“Hermione, io... Scusa, non intendevo dire questo. Ho parlato senza pensare...” Ron la prese per il polso; nel frattempo, Harry e Ginny si erano girati a guardarli, preoccupati. Harry cercò di mandare un avvertimento all'amico, ma i suoi occhi erano fissi su Hermione, che si liberò di scatto dalla stretta di Ron.

“Non toccarmi!” sibilò, furiosa. Ron impallidì nel sentire quanto fosse sottile il suo polso. Cercò di afferrarlo, per accertare di non essersi sbagliato, ma Hermione si era già spostata. “Smettila di toccarmi!” il suo tono di voce fece girare qualche testa a guardarla. La ragazza si alzò e corse lungo il tavolo di Grifondoro, sperando che né Ron, né nessun altro la seguisse. Salì le scale senza sapere dove andare; sapeva solo di volersi nascondere, voleva scappare, solo per una sera.

Percorse i corridoi del castello senza accorgersi che le lacrime stavano cominciando a sfiorarle le guance. Correva quanto le sue gambe deboli le consentissero, appoggiandosi ogni tanto al muro, poi riprendeva a correre, mettendo più distanza possibile fra lei e gli altri.

Senza accorgersene, era arrivata al settimo piano. “Ho bisogno di un posto dove nascondermi” pensò, istintivamente. Subito, sul muro si disegnarono i contorni di una porta di legno scuro. Hermione allungò la mano e non appena si fu formata la maniglia la spinse ed entrò di corsa, chiudendosi la porta alle spalle. Finalmente riprese fiato; sentì l'aria fluire nel suo corpo leggero, riportandole energia. Si fece avanti lentamente, osservando la stanza in cui si trovava. Era una semplice sala dalle pareti di legno, con un grande tappeto bianco e morbido al centro del pavimento. Hermione si trascinò fino ad esso e si sdraiò, avvolgendosi nella pelliccia e asciugandosi le lacrime. Trasse un lungo respiro, cercando di liberare la mente. Voleva che fosse vuota, così avrebbe potuto dormire senza incubi. Almeno, lo sperava.

D'un tratto, dietro di lei sentì dei passi. Si morse il labbro, chiedendosi perché non potesse, finalmente, stare da sola. Immaginava già il tocco di Ron sulle spalle, la sua voce roca che le diceva di alzarsi, il silenzio rancoroso che avrebbe pesato fra loro come una grossa pietra. Ma dopo qualche secondo di attento ascolto, si rese conto che quelli non erano i passi di Ron. Erano passi leggeri, veloci, che non avrebbe saputo attribuire a qualcuno che conosceva. D'un tratto, delle mani fredde e morbide le scostarono i capelli e la presero per le spalle, alzandola con più forza di quanto ci si potrebbe aspettare da delle mani del genere. Hermione sussultò, spaventata, e sentì il panico farsi strada nella sua gola. Chiuse gli occhi e cercò di divincolarsi da quella presa forte, arretrando sul tappeto. Capì che non sarebbe riuscita a spostarsi. Era troppo debole.

Con un singhiozzo, aprì gli occhi. Percepì l'odore di inverno prima di vedere chi le stesse davanti. I suoi occhi verdi la guardavano. Erano spaventosamente apatici, come sempre. Ma Hermione, nonostante la vista offuscata dalle lacrime, credeva di vedere un fondo di tristezza impercettibile. “Perchè sei qui?” Le chiese, semplicemente.

Hermione singhiozzò, come una bambina. Cercò di mettersi dritta e rispondere, si sentiva tremendamente stupida. Ma non appena aprì la bocca, scoppiò in lacrime. Draco la strinse con pazienza e la fece sdraiare sul tappeto, mentre lei era scossa da un violento tremore. Lo sentì allontanarsi, e tentò una debole protesta, ma lui non la sentì. Dopo qualche secondo, Hermione avvertì una cosa morbida e calda coprirle le spalle. Draco si era alzato per prendere una coperta in un angolo, e gliel'aveva messa addosso. Hermione lo vide seduto accanto a lei. Cercò di alzarsi, ma lui la spinse di nuovo giù. “Non alzarti. Ci sono io, ora dormi.” Hermione sentì un moto di rabbia sovrastare la tristezza. Come poteva trattarla così, come una bambola? Come poteva solo credere che bastasse? Non aveva bisogno di coperte. Aveva bisogno solo di un tocco che non fosse quello di Ron. Si alzò mettendo insieme tutte le sue forze, e, ignorando la sua rigida sorpresa, si appoggiò al torace di Draco. Lui reagì con stizza. “Cosa credi di fare, Mezzosangue?” il suo viso ostentava disprezzo, e una punta di tristezza. Hermione sbuffò, sprezzante. “Oh, non farmi credere di chiamarmi così dopo tutto quello che è successo. Non farmi credere di averne ancora il coraggio.”

Draco tacque. Poi, con un movimento lento, la avvolse con il braccio e la strinse a sé. Non sapeva cosa stesse facendo, come sempre, ultimamente. Sapeva che l'unica cosa di cui lei avesse bisogno, in quel momento, era avere qualcuno accanto. E faceva finta di non saperlo, ma era esattamente ciò di cui aveva bisogno anche lui.

Lo sapevano benissimo entrambi, Hermione scossa dai singhiozzi, Draco che le accarezzava i capelli distrattamente: se si erano ritrovati insieme nella Stanza delle Necessità, era perché avevano desiderato la stessa cosa.

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Bentornati! Chiedo perdono per il ritardo nel pubblicare il capitolo, ma è stata una settimana un po' impegnata e ho avuto poco tempo. Ammetto di non essere pienamente soddisfatta di questo capitolo, ma mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, come sempre.

A presto (spero) con il prossimo capitolo :3

Babyluna

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Capitolo 5
*** Cellophane ***


CELLOPHANE

 

 

*

 

Patience is your virtue, saint o’ mine
I’d have fallen through the cracks without your love tonight
I’m your groundhog, and I'm skating on thin ice
But you see me at your feet and carry me inside

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Harry aprì gli occhi, svegliato da una ventata di aria fredda. Mise lentamente a fuoco ciò che lo circondava: il comodino, la struttura del letto, il caminetto in fondo alla stanza, una figura davanti alla finestra. Prese a tentoni gli occhiali di fianco a lui e li inforcò sbadigliando; la figura sfocata era Ginny. Harry sorrise.

“Nevica?” le chiese, la voce impastata dal sonno.

“Sì” rispose Ginny senza girarsi. Harry le si affiancò e rimase qualche momento con lei a guardare i fiocchi che cadevano. La neve gli dava una sensazione di pace. Quando nevicava, il castello era come avvolto da una coperta di cotone, che lo rendeva calmo e silenzioso, favorendo lo scorrere dei pensieri.

Ginny prese un fiocco in una mano e lo guardò sciogliersi. La neve le piaceva così tanto. Le ricordava i pomeriggi di quando era piccola, quando lei, Ron, Fred e George passavano ore nel cortile della Tana giocando a palle di neve e costruendo pupazzi. A Ginny gelavano le mani, ma non le importava: quei momenti passati con i suoi fratelli erano impagabili. La sera, poi, Fred e George passavano dalla sua camera per la buonanotte e le lasciavano un bacio sulla guancia, una ciascuno. Era sempre Fred che si accorgeva se le sue mani erano troppo fredde, se aveva preso la febbre o se aveva solo voglia di una cioccolata calda. E in quel caso, era lui ad accompagnarla in cucina e a preparargliela nei modi Babbani, senza svegliare la mamma. Solo così Ginny poteva tornare tranquilla sotto le coperte.

Ginny osservò il suo respiro caldo condensarsi a contatto con l'aria fredda. Le mancava così tanto.

Harry la prese per mano, senza dire nulla. Aveva questa eccezionale capacità di cogliere cosa le passasse per la testa, il minimo cambiamento d'umore. Ginny la strinse.

I due ragazzi uscirono dal dormitorio maschile e si avviarono verso la Sala Grande per la colazione prima delle lezioni.

Ron era seduto davanti al fuoco in Sala Comune, già sveglio da un'ora. Non capiva dove fosse Hermione. Non era nella Sala, ma non l'aveva ancora vista andare in Sala Grande. L'unica spiegazione era che fosse ancora nel dormitorio femminile, anche se era piuttosto strano; Hermione non era mai in ritardo.

Sentì dei passi dietro di lui e si girò, speranzoso, ma erano solo Harry e Ginny. Il suo sorriso si spense quando incontrò gli occhi di Harry, che distolse lo sguardo, imbarazzato. Il loro litigio dopo gli allenamenti, due sere prima, pesava ancora fra i due. Il giorno prima avevano accuratamente evitato di parlarsi, eccetto per le cose essenziali quali “buongiorno” e “buonanotte”. Harry sapeva che era ridicolo, ma era ancora troppo arrabbiato con lui. Sapeva di essere orgoglioso e infantile, ma Ron non avrebbe dovuto reagire in quel modo. Si aspettava di poter parlare con lui come avevano sempre fatto, invece Ron non l'aveva neanche ascoltato. Era stato orribile assistere al loro litigio la sera prima, guardare Hermione correre via così arrabbiata e Ron rimanere lì, impotente, senza sapere cosa fare. Harry si era chiesto dove fosse Hermione, dopo cena, ma in Sala Comune non c'era e così aveva pensato che stesse già dormendo. Eppure, quella mattina non l'aveva ancora vista.

“Hai visto Hermione?” chiese a Ron, imbarazzato.

“No. Mi stavo chiedendo dove fosse, pensavo che voi lo sapeste” rispose lui, lo sguardo fisso sul fuoco.

“Ieri sera ho dato per scontato che stesse dormendo e non ho controllato se ci fosse oppure no, ma stamattina in dormitorio non c'era e ho pensato che fosse già qui” intervenne Ginny, la fronte aggrottata. Nessuno ebbe nulla da aggiungere, così i tre uscirono insieme dalla Sala Comune. Harry provò una vaga sensazione d'ansia e si sentì uno stupido per non averla seguita, la sera prima, mentre scappava da loro.

 

*

 

 

Hermione non sapeva da quanto fosse lì.

Era stata appoggiata al torace di Draco, dapprima piangendo, poi le sue lacrime si erano lentamente fermate, il suo respiro si era calmato e aveva socchiuso gli occhi, stanchi ma attratti dai giochi di luce che il fuoco creava sul legno del pavimento. I due ragazzi erano sul tappeto, Draco sdraiato, Hermione di fianco a lui, la guancia sul suo petto che si alzava e si abbassava lentamente.

Era entrata in dormiveglia cullata dal respiro del ragazzo, calmo e profondo.

Nella stanza regnava il silenzio.

Ma a Draco sembrava che, mentre la ragazza dormiva e il calore si irradiava nella sala, i suoi pensieri stessero facendo un rumore tremendo.

Osservò i capelli castani di Hermione sparsi sul suo maglione e vi passò lentamente la mano. Cosa stava facendo? Perchè lei era lì? Era stato un caso. Sapeva che avevano dovuto desiderare la stessa cosa, ma non voleva crederci. O meglio, avrebbe voluto, ma non poteva.

Astoria in quel momento lo stava aspettando nel dormitorio, probabilmente sdraiata sul letto dove lui l'aveva lasciata senza nemmeno cercare una scusa, dicendole di aspettarlo. Aveva notato un'ombra sul viso della ragazza uscendo dalla stanza, ma non ci aveva dato peso. E ora, perché non tornava indietro? Avrebbe dovuto farlo. Eppure, sentiva che era infinitamente più giusto così, piuttosto che tornare indietro e alimentare l'ossessione che legava lui e Astoria. Il loro non era un rapporto sano. Semplicemente, dipendevano l'uno dall'altra e viceversa. Draco aveva bisogno di Astoria. Solo lei era la sua distrazione, solo lei riusciva a farlo smettere di pensare. Ed era così anche per lei. Erano due fuochi che si alimentavano a vicenda, cercando di sovrastare l'altro. Ma era così sbagliato.

Hermione si mosse nel sonno, girando leggermente la testa. Draco si ritrovò ancora una volta a guardare i suoi capelli, e non poté fare a meno di notare quanto fossero diversi da quelli di Astoria. I suoi erano castano chiaro, lisci e sottili; quelli di Hermione erano mossi e di un ricco color cioccolato. Eppure, così spenti. Draco passò un dito sul suo zigomo, poi sulla guancia, sulla mandibola. Da quanto tempo era che stava così? Come potevano i suoi amici non essersi accorti di niente? Doveva essere stata brava a nasconderlo. Eppure, ultimamente, Draco aveva notato che non ci riusciva più molto bene. Nei momenti in cui si ritrovava ad osservarla, a colazione, la vedeva spesso discutere con Weasley o Potter, e liquidarli in fretta. Harry era quello che, anche quando la conversazione era finita, la guardava di nascosto, sospettoso.

E per quanto Draco cercasse di stargli il più lontano possibile, non poteva fare a meno di condividere i suoi sospetti. Ma ora, ora ne era decisamente certo.

Draco alzò lo sguardo e notò una cosa che, ne era sicuro, fino a poco prima non c'era. Scostò delicatamente la testa di Hermione dal suo petto e vi si avvicinò. Da vicino, poté vedere che era un semplice vassoio d'argento. Vi era posata una brioche dorata, e una tazza di latte fumante. Il suo viso si congelò: sapeva che quelle cose erano lì per Hermione. Prese il vassoio in una mano e tornò da lei, che nel frattempo aveva aperto gli occhi. Draco avrebbe preferito che stesse ancora dormendo. Hermione mosse il collo intirizzito dalla posizione scomoda e si passò una mano fra i capelli arruffati, mettendosi a sedere. Spostò lo sguardo su Draco, di fronte a lei; dapprima, la sua espressione era neutra, i suoi occhi indugiavano sulle sue spalle, contro le quali era stata appoggiata tutta la notte. Poi, vide cosa aveva in mano. Si tirò subito indietro sul tappeto, inorridita; il suo sguardo esprimeva solo rabbia. Tutta la tristezza della sera prima sembrava essere svanita. “Ma cosa credi di fare?!” Disse, sputando le parole contro Draco che, paziente, era ancora in piedi nello stesso punto, il vassoio in mano. Il ragazzo si passò una mano sugli occhi, mentre Hermione si alzava. “Tu...” “No! Non pensare di potermi costringere, perché non puoi!” Hermione andò a grandi passi verso la porta. Draco la guardò, impassibile, un'ombra di tristezza negli occhi. “Tutto come prima” disse, semplicemente. Lo disse a bassa voce, ma sapeva che Hermione, anche se era girata dall'altra parte, lo aveva sentito benissimo. La ragazza mise una mano sulla maniglia per uscire dalla Stanza delle Necessità, che, fra il fuoco e la rabbia, per lei stava diventando troppo calda. Fu solo un attimo, in cui sembrò esitare; le sue labbra tremarono, si fermò, e a Draco sembrò che per un folle momento stesse per tornare indietro.

Ma poi, Hermione scattò risoluta, spinse la maniglia e uscì velocemente dalla Stanza. Draco rimase lì, in piedi, senza sapere cosa fare. Quella sulla sua guancia poteva sembrare una lacrima, ma poteva anche essere un gioco della luce del fuoco, che continuava a bruciare, paziente.

 

*

 

“Allora, vieni o no?” Astoria chiuse gli occhi e lanciò un cuscino sulla porta. “No, Daphne, vattene!” urlò, ributtandosi sul letto. Sentì sua sorella, confusa e arrabbiata, dire qualcosa sottovoce e allontanarsi con passi veloci.

La ragazza strinse la coperta nel pugno, poi si stese sullo spazio vuoto accanto a lei e si abbracciò le ginocchia. Quel letto era troppo grande per una persona sola. Si passò una mano fra i capelli sottili e li guardò ricadere sulla sua spalla candida. Riusciva a sentire la rabbia in fondo alla gola. Era come una piccola fiamma che minacciava di crescere con la prima scintilla che l'avrebbe alimentata. Per questo Astoria, col tempo, aveva imparato ad essere spenta. Se voleva, riusciva a tenere sotto controllo la rabbia. Poteva mantenerla in un angolo della sua mente, impedendole di impossessarsi di lei.

Per tutti i vizi e le idee malsane che i suoi genitori le avevano trasmesso, era sempre stata una bambina nervosa e irascibile, come un fuoco pronto ad accendersi in qualsiasi momento. Ma crescendo, quel fuoco era quasi arrivato a soffocarla. Ardeva costantemente nella sua testa, riempiendola di brutti pensieri sugli altri, su sé stessa, su ogni cosa.

Così, un giorno di dicembre, aveva aperto la finestra e si era resa conto di quanto la neve fosse bella. Era fredda, bianca, perfetta. E in quel momento, mentre la guardava cadere lentamente, decise che da quel momento in poi lei sarebbe stata esattamente così. Non le serviva l'aiuto degli altri; poteva controllarsi da sola, essere padrona di sé stessa. E così era diventata: fredda e bellissima.

Si alzò dal letto e andò in bagno; aprì il rubinetto della vasca e la guardò riempirsi fino all'orlo di acqua calda. Vi versò dei petali secchi da un barattolo sul bordo e inspirò il profumo di rosa che si stava già diffondendo nella stanza. Si spogliò, entrò nella vasca e guardò la sua pelle irrigidirsi e arrossarsi leggermente al contatto con l'acqua bollente; era immersa totalmente se non per il naso, appena sopra la superficie. I suoi capelli si allargarono attorno alla sua testa, fluttuando lenti e morbidi. Dei petali vi si impigliarono.

Sentiva la rabbia, ma poteva controllarla. Voleva controllarla.

Draco non era tornato.

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Ed eccomi di nuovo qui :3 La storia comincia a prendere forma. Abbiamo un Hermione molto diversa dall'Hermione classica, lo ammetto. In questo capitolo compare Astoria per la prima volta; se come personaggio vi affascina, tranquilli, tornerà molto presto. Fatemi sapere cosa ne pensate... A presto col capitolo 6!

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