Tu ed io, contro il Mondo, contro il Tempo

di Lory221B
(/viewuser.php?uid=660415)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'avventura del porto e il diario di Sir William Sherlock Scott Holmes ***
Capitolo 2: *** Le lettere di Hamish e l'esperimento 221/b ***
Capitolo 3: *** Sh3rl e la sua ricerca ***
Capitolo 4: *** L'esperimento 221/b - parte seconda ***
Capitolo 5: *** Le lettere di Hamish e il diario di Sir William Sherlock Scott Holmes - parte seconda ***
Capitolo 6: *** L'avventura del porto - parte seconda ***



Capitolo 1
*** L'avventura del porto e il diario di Sir William Sherlock Scott Holmes ***



Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di sir A.C.Doyle, Moffatt, Gatiss BBC ecc.; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro per il mio puro divertimento

Premessa dell’autrice: è una storia un po’ complessa, che si ispira come idea a Cloud Atlas - l’Atlante delle Nuvole. C’è la parte canon e poi, con un collegamento, si viaggia nell’AU e nel tempo, senza rispettare l’ordine cronologico. Per cui un capitolo inizia e non esaurisce la sua storia, che verrà ripresa nei capitoli successivi. Spero sia chiaro. Forse si viaggia anche un po’ nell’OOC, ma farò di tutto per mantenerli IC.



Tu ed io, contro il Mondo, contro il Tempo



L'avventura del porto e il diario di Sir William Sherlock Scott Holmes 


« Sherlock? » sussurrò John. Respirava a fatica, il cuore che batteva all’impazzata e un suono appena percettibile in lontananza. Sembrava lo squittio di un ratto o qualcosa di simile.

« Sherlock? » riprovò, a voce più alta. Si portò una mano sulla testa, massaggiandola piano e cercando di aprire gli occhi. Sentiva  freddo, probabilmente perché era disteso a terra, sul pavimento umido. Riuscì ad aprire completamente gli occhi, a fatica, sbattendo più volte le palpebre per mettere a fuoco la situazione. Era tutto buio, lugubre, tranne uno spiraglio di luce che proveniva da una finestra del magazzino dove si trovava disteso a terra.

Era con Sherlock, avevano visto il sospettato, lo avevano inseguito per il porto, fin dentro il magazzino.

Doveva essere ancora lì.

Ricordava perfettamente ogni secondo di quella folle corsa, ma non riusciva a ricordare come fosse finito steso a terra.

Sentiva l’odore del mare proveniente dal porto, il rumore delle onde che si infrangevano contro la banchina, quel continuo squittio fastidioso, ma nessun rumore di persone o veicoli. Sembrava che Londra fosse addormentata. Era solo.

Percepì che non stava bene, che c’era qualcosa che non andava. Era affaticato, lento. Capì che se sentiva freddo, non era per colpa del pavimento umido, c’era qualcos’altro.
 
Lentamente comprese perché era a terra; scese con la mano lungo il fianco e percepì una spiacevole sensazione sotto i polpastrelli: qualcosa di bagnato e vischioso, che conosceva bene. Era sangue, il proprio sangue, un proiettile lo aveva colpito sul fianco.

Come in un flash ripercorse gli attimi precedenti, che prepotentemente gli esplosero davanti, appena raggiunta la consapevolezza che gli avevano sparato: stavano correndo, Sherlock gli aveva urlato qualcosa e poi il buio. Probabilmente gli aveva intimato di stare attento e non aveva visto l’uomo che poi lo aveva colpito.

Stava morendo? Da medico sentiva di dire di sì. Non nell’immediato, ma se non fossero arrivati i soccorsi, sarebbe stata la sua ultima sera. Ma quello che più lo preoccupava, più della sua salute e di tutte le cose irrisolte che avrebbe lasciato se fosse morto,  era che Sherlock non era accanto a lui.

Il detective non lo avrebbe mai lasciato a terra, in quelle condizioni, con una ferita e in fin di vita. Forse era andato a cercare soccorsi? Forse non si era accorto che era grave? Possibile?

Sperava ardentemente che fosse così, perché l’altra ipotesi era peggiore. John tremò sotto il peso delle sue deduzioni, tremò temendo che fosse successo qualcosa a Sherlock, tremò perché la sola idea non era possibile, il suo detective era sopravvissuto anche ad un salto da un palazzo, non poteva essere morto.

« Sherlock! » gridò più forte, un urlo disperato che rimbombò nel magazzino. Lo sforzo gli costò caro, iniziò a tossire con forza e temette che avrebbe perso conoscenza. Cercò di farsi forza, doveva vedere Sherlock, doveva trovarlo, voleva vedere quel viso, per essere sicuro che stesse bene e per poterlo salutare un’ultima volta, se quella fosse stata la sua ultima sera.

 La pallottola aveva trapassato la sua carne ma non era ancora uscita, sentiva un dolore acuto dove era entrata, ma cercò di non pensarci, di concentrarsi su qualcosa che non fosse lui, qualcosa che faceva più male ancora, l’idea che Sherlock non ci fosse più.

“Perché?” era l’ultima parola che aveva pronunciato il detective, prima di iniziare la folle corsa per il porto, dentro al magazzino dove si trovava John.

Aveva solo chiesto “perché?”, con un leggero tremore nella voce, per niente da Sherlock. Si era vergognato subito, di averlo detto a voce alta, come se il pensiero gli fosse sfuggito di bocca, senza poterlo fermare.

Era uscito dalle sue labbra e aveva colpito John con la forza di un pugno. Il dottore non aveva avuto il tempo di pensare a quell'unica parola, di esitare davanti alle mille frasi che avrebbe dovuto usare per spiegarsi. Forse sarebbe bastato dire “te ne sei andato”. No, era troppo riduttivo.

Avrebbe balbettato qualcosa, di incoerente e stupido, e Sherlock si sarebbe arreso, ancora una volta.

Ma era arrivato quell’uomo, quello che cercavano da giorni e tutte le parole erano morte in un secondo. Nuovamente il gioco era davanti a loro, impedendo una conversazione imbarazzante che John non voleva sostenere.

Ricacciò quei pensieri e cercò di girarsi sul fianco sano, per trovare un appiglio che lo aiutasse a mettersi in piedi. Non vedeva che ombre di scatoloni ammassati lungo i lati e null’altro.

Una lacrima iniziò a rigargli la guancia « Se è uno scherzo, ti uccido Sherlock » sussurrò John, iniziando a strisciare in direzione del fiotto di luce, quando sentì un peso fastidioso nella tasca e ricordò, dandosi dell’idiota per non averci pensato prima, che aveva ancora il cellulare con sé.

Estrasse lo smartphone e premette la selezione rapida per chiamare Sherlock. Curioso come il suo numero fosse ancora memorizzato sulla prima posizione, anche se lo aveva dato per morto, anche se aveva sposato Mary, anche se si vedevano sempre meno. Era ancora al numero 1 e sembrava ricordargli sfacciatamente, chi era, da sempre, la sua priorità.

Premette invio e rimase in attesa, finché non sentì una suoneria in lontananza. Il battito accelerò nuovamente; non era il solito suono preimpostato che sentiva quando il cellulare di Sherlock squillava. Solo in quel momento apprese che Sherlock gli aveva assegnato una suoneria specifica, un pezzo di opera classica, tratto da “Le nozze di figaro”, l’unica opera che avevano visto assieme, una sera di tanti anni prima, quando Moriarty non era ancora la grande minaccia e la vita sembrava perfetta così com’era.

Il dottore sorrise amaramente e cercò con tutte le forze di raggiungere il luogo da dove proveniva il suono, chiedendosi se avrebbe trovato Sherlock e in che stato.


***** * *****
18 agosto 1790

Porgi, amor, qualche ristoro
al mio duolo, a’ miei sospir.
O mi rendi il mio tesoro.
O mi lasci almen morir!

Siamo partiti dal porto di Londra e continuo a canticchiare quest’aria de “Le nozze di Figaro”. A tutti sembro sfacciatamente allegro, poveri idioti incapaci di distinguere la felicità artefatta da quella vera.

Inutile dire che non capiscono il testo.

Se Mycroft non vi avesse costretto a partecipare al suo viaggio, sarei in qualche sobborgo di Londra, con la mente persa grazie a qualche sostanza in grado di farmi dimenticare, per un attimo, il brusio di questa metropoli. Il brusio dei miei mille pensieri.

Nonostante la mia ritrosia, dovuta anche a voler contraddire mio fratello a prescindere, l’avventura si prospetta interessante. Sarà un viaggio lungo, tutto un Oceano tra noi e l’America, con la Gran Bretagna alle nostre spalle.

M sento strano, come se fosse il sogno di una vita che finalmente si realizza: andare per mare, vedere altre terre, lasciare la noia di una vita grigia a Londra. Non credo sia questo, ma voglio pensare lo sia.

C’è un mondo nuovo che mi attende; non ho altre soluzioni in ogni caso, ormai sono su questa nave e non posso andare da altre parti.

Mi trovo a scrivere un diario, per la prima volta nella mia vita. Un diario, un posto dove riversare pensieri. Non sembra una cosa da me, ma mi è stato regalato, sembrava importante ed eccomi qui, fintamente felice, fintamente allettato dalla prospettiva del viaggio verso l’America, un po’ felice di lasciare Londra.


17 ottobre

Due mesi e non riesco a togliermi quest’aria dalla testa. E’ come un tormento, la mia mente è come travolta, non riesco più a ragionare lucidamente. Mio fratello mi guarda con una strana espressione negli occhi, un misto di stupore e pietà, come se avesse capito che non riesco più a pensare.

Non sono malato.

No, è quell’aria, anche se non capisco cosa mi sconvolga tanto di un’opera come “Le nozze di Figaro”.

La mia mano sta tremando alla luce della candela, la fisso e non vuole saperne di stare ferma. Sto sporcando tutto il foglio con l’inchiostro, forse sto davvero impazzendo.

Non mi è mai capitato, in tutto il corso dei miei trent’anni, di sentirmi così.

Da quando la nave è salpata dal porto di Londra, sento uno strano senso di vuoto. Non capisco perché al secondo mese di viaggio stia già perdendo la lucidità, il raziocinio. La mia mente si sta impigrendo, ho bisogno di stimoli, ho bisogno di qualcosa che occupi il mio tempo.

Qualcosa di interessante che solletichi il mio interesse.

E’ insopportabile stare sulla nave, camminare per il ponte, fissare l’acqua sempre uguale, i marinai che lavorano attorno a me, con l’aria scocciata di chi deve guadagnarsi da vivere così, mentre io sono qui, solo per accompagnare mio fratello nel suo viaggio d’affari.

Vorrei fare qualcosa anch’io, ma non c’è lavoro per l’aristocratico della nave.

Il viaggio, quello che credevo fosse comunque interessante e pieno di esperienze, si sta rivelando di una noia assoluta. Non ho niente da fare, se non suonare il mio violino e scrivere su questo stupido diario.

Sto perdendo la mia preziosa mente in questa situazione di pigrizia, sto perdendo il raziocinio.

Mycroft direbbe che non l’ho mai avuto o che è rimasto a Londra, assieme a una parte di me.


30 ottobre

Sono sempre più insofferente. Il tempo sembra non passare mai, i giorni sono tutti uguali su questa gabbia galleggiante.

Uno degli uomini dell’equipaggio, l’unico apparentemente sopportabile, mi sembra si chiami Victor, ascolta curioso le mie deduzioni. Sono riuscito a capire ogni cosa di tutte le persone presenti, con gran fastidio della maggior parte dell’equipaggio. Dice che sarei un ottimo poliziotto da un punto di vista investigativo,  ma pessimo come capacità di prendere gli ordini. Mi fa ridere, mi ricorda un po’ John.

Per il resto, non sopporto nessuno.

Come sulla terraferma, anche in mare non riesco a trovare un motivo per apprezzare la compagnia delle persone. Saluti falsi, discorsi ripetitivi e frasi fatte.

Gli uomini dell’equipaggio non  vedono me e Mycroft di buon occhio, siamo i due snob che hanno ereditato la fortuna della famiglia.

Mio fratello si limita ad ignorarli, li vede come tanti pesci rossi che saltellano per la nave. Io li evito, sto meglio da solo, con il mio violino.

Mi manca John.

Mi direbbe di non restare solo.


2 novembre

Perché l’ho scritto? Non mi manca John.

Non so nemmeno perché stia scrivendo di lui.


4 novembre

Victor, si chiama Victor, eppure l’ho chiamato John.

Davanti a tutti.

Anderson mi ha chiesto “chi è John?”, con un sorriso maligno. Gli ho spaccato il naso e ho ancora le nocche che mi fanno male. Ma non importa. Non ascolto nemmeno le minacce inutili di mio fratello. Come se potesse davvero punirmi in qualche modo.

Siamo in mezzo all’Oceano. Lo sa che non può togliermi il cibo, già così si lamenta che mangio poco e sto dimagrendo.

Non può togliermi il violino o potrei davvero dare di matto, senza altro da fare.

 Non lo so perché l’ho chiamato John, non si somigliano nemmeno. Victor è alto, castano, ha i capelli ricci e gli occhi azzurri.

Semplicemente, Victor non è John.


5 novembre

Vorrei tornare a quel giorno, vorrei tornare indietro. Inutile continuare a fare finta di niente. Non sto diventando matto, non sto impazzendo, non sopporto di stare così male. Non è nella mia natura, io non do importanza ai sentimenti, io mi controllo, non sento dolore. Non voglio sentirlo.

Non voglio sentirlo più.

Ti odio.


***** *****
Angolo autrice:
Prima di tutto, per chi stesse seguendo altre mie storie, non le ho abbandonate, ci mancherebbe, solo quando mi si fissa un tarlo in testa, non c’è verso, devo scrivere.
Un sentito grazie a chi leggerà e commenterà questa storia, nata da una vignetta che mi fatto pensare a Cloud atlas, che mi ha fatto pensare a tutte le vite che Sherlock e John potrebbero vivere.
Alla prossima


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Le lettere di Hamish e l'esperimento 221/b ***



Note autrice:
Una piccola precisazione, già si viaggia in epoche diverse, volevo evitare di “incasinare” troppo il tutto, modificando anche integralmente i nomi, per cui o il nome o il cognome (o il secondo e terzo nome) l’ho mantenuto, per capire il personaggio che avete davanti. Il concetto di AU, un po’ come in Cloud Atlas, è più inteso come le loro anime che viaggiano in corpi diversi, in epoche diverse. Sono universi alternativi? Forse sì o forse no, forse è un’unica linea temporale, oppure diverse linee. In ogni caso, lascio a voi l’interpretazione che più preferite.

Seconda cosa, per rendere l'idea delle lettere che non vengono spedite, o frasi che poi non vengono effettivamente scritte nella versione definitva della lettera, ho usato il barrato, come se venisse cancellato quello che viene scritto. Spero non renda difficoltosa la lettura. Nel caso ditemelo, vedrò di rendere diversamente.
Un bacio, alla prossima


Le lettere di Hamish e l'esperimento 221/b



Parigi, 10 settembre 1921

Caro William,

E’ passato un mese da quando sono partito e finalmente ho trovato un alloggio.

Parigi è indescrivibile, dovresti vederla per capire, per viverla, per sentire le emozioni che traboccano da ogni via, da ogni angolo più angusto di questa città.

L’atmosfera, gli artisti, le luci dei lampioni, ogni cosa mi sembra magica. Completamente diversa dal grigiore di Londra. Non sento la mancanza di niente, credevo avrei avuto un po’ di nostalgia, invece no. Il Tamigi e la Senna non sono poi così diverse e anche qui il tempo è variabile, piove spesso, ma è quasi romantico.

Anche gli odori mi sembrano più reali, più vivi. E’ tutta un’altra cosa, Mary aveva ragione, sono contento di essere partito. Quando sono arrivato sulle coste francesi, ho sentito che una nuova avventura stava per iniziare.

Sono felice.

Spero tu stia bene, mi spiace non averti salutato prima di partire, ma la tua famiglia mi ha detto che eri impegnato con l’orchestra. Mi dispiace, avevo già comprato il biglietto per salpare, non potevo rinviare la partenza.

Spero suonerete anche qui, so già che mi mancherà il tuo violino.

A presto,
Hamish



Parigi, 30 ottobre 1921

Caro William,

non ho ricevuto risposta alla mia lettera, spero non sia andata persa. Le nostre poste funzionano ancora bene? Spedisco questa lettera a casa tua e da tuo fratello, così confido che ti verrà consegnata almeno una.

Magari, semplicemente, non vuoi  rispondermi. Sarebbe molto, molto da te.

Vorrei comunque sapere che stai bene, anche una riga per dirmi cosa stai facendo, mi farebbe piacere.

Oggi ero in giro per la città, senza una meta e sono finito in un mercatino di roba usata e vecchi libri. Molto ridotto rispetto alla nostra Portobello Road, però c’erano delle cose interessanti. Ho trovato il diario di viaggio un certo Sir William Sherlock Scott Holmes e ho pensato a te.

Non solo perché si chiama William, ma anche perché ha il tuo stesso modo di scrivere. Ho sbirciato solo qualche pagina e l’ho comprato. E’ stato come un impulso.

E’ un po’ strano, in effetti, sbirciare nelle confidenze di uno sconosciuto che di sicuro non pensava che il suo diario sarebbe finito nelle mani di una persona che passeggiando lungo la Senna, si è fermato ad un mercatino. Ci pensi? Ha toccato quelle pagine, ha usato l’inchiostro per aprire tutto se stesso, c’è un pezzetto della sua anima lì dentro. Mi fa un effetto strano, non è come leggere le memorie di qualcuno, stampate e pubblicate, magari revisionate. No, questo è il diario di qualcuno, la sua vita, un uomo che ha vissuto e che adesso non c’è più.

Scusa, mi sono dilungato troppo, nemmeno lo conoscessi.

Tornando a me, non ho ancora un vero e proprio lavoro, per il momento mi arrangio, vivo alla giornata. Mi aiuta a non pensare troppo.

Tu come stai? Come procedono le prove? Non so nemmeno quale opera abbiate in programma. Avevo sentito che stavate parlando de “Le nozze di Figaro”; è impegnativo ma è un’ottima scelta. Conoscendoti ti starai già lamentando per qualcosa, mi viene da ridere solo a pensarci.

Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati? Stavi sgridando la nuova soprano e ci è mancato poco che il suo fidanzato ti picchiasse a sangue. Se non fossi intervenuto io, lo avrebbe fatto. Così mi sono beccato un occhio nero al tuo posto.

Ricordo ancora la tua faccia, un misto tra lo stupito, l’infastidito e l’ammirato. Per essere uno che dice di non provare emozioni, ne manifesti tante con il volto.

Essere assistente di scena mi mancherà, magari mi prendono in qualche teatro di Parigi, non sarebbe meraviglioso?

Non citarmi ancora la storia del Fantasma dell’Opera, per favore. Lo scherzo che mi hai fatto è stato pessimo, mi vergogno ancora di esserci caduto come un bambino. Farmi credere che c’era un killer che si aggirava per il teatro e che occupava il palco numero cinque, è stato crudele. Mi sono sentito davvero stupido.

Spero di sentirti presto.

Resto in attesa,
Hamish



Londra, 15 novembre 1921

Caro Hamish,

mi sono state consegnate entrambe le tue lettere, ma con leggero ritardo. C’è stato un po’ di trambusto qui.

Mi spiace non averti salutato, ma sono ancora perplesso della tua scelta di partire per Parigi. Non avevo capito che Londra ti andasse così stretta.

 Così stretta da mollare il tuo lavoro per vagare per la città, alla ricerca di qualcosa che non sai nemmeno tu.

Non so che dire, se non che spero tu rinsavisca e torni qui a Londra. Non è una grigia città, è La Città, non troverai mai nessun posto come Londra. Parigi è solo molto attraente all’inizio, ma alla lunga ti stuferai.

Saluti,
William



Parigi, 2 gennaio 1922

Caro William,

scusa il ritardo della risposta, ma sono sincero, ho dovuto sbollire un po’ prima di risponderti.

C’è un qualche sottointeso che mi sta sfuggendo, nella tua risposta? Troppo spesso non ti capisco. La tua lettera è corta e stringata e mi infastidisce. Ho scritto tanto, credevo che fosse più facile anche per te aprirti scrivendo.

Invece no, sei il solito. Criptico e misterioso.

E’ tanto difficile capire che sono andato via perché non sopportavo più che fossimo solo amici? Che sono innamorato di te e non posso più stare in disparte? Che vorrei essere uno di quegli snob amici dei tuoi genitori, che vengono invitati alle feste e considerati delle meravigliose persone, quando sono orribili e pieni di sé, mentre io devo restare a guardarti suonare il violino, come un signor nessuno, perché non potrei nemmeno parlarti?

Lo so che per te non è così, non fai distinzione di classe, per te sono un amico. Solo un amico. E non riesco più a sopportarlo, è come fissare intensamente il Sole, non faccio che bruciarmi ma non posso toccarti. Non ti lasci toccare. Sei distante, sei come una statua su un piedistallo, perfetto, troppo perfetto.

Non riesco ad andare avanti così.



Caro William,
è fastidioso che



Caro William,

La vita non gira attorno a Londra, c’è un mondo da vedere, una volta eri più curioso o sbaglio? Mi hai sempre detto che non bisognava accontentarsi mai e ti ho preso in parola.
Soprattutto non gira attorno a te!

Comunque ho sbagliato a paragonarti al William del diario che sto leggendo, lui provava dei sentimenti almeno.



Caro William,

Buon 1922.

Ho buttato tre lettere prima di scriveri questa.

Non volevo farti un torto partendo. Ne avevo bisogno. E’ come quando mi dicevi che dovevi ritirarti nel tuo palazzo mentale. Stessa cosa, come hai detto tu, Londra mi andava stretta.

Non ho detto che stare qui a Parigi risolverà ogni cosa, ma per certi versi mi sento già meglio.

Vorrei che tu credessi in me, che mi capissi. Non puoi essere felice per me?

So quanto “ammiri” Londra, ma anche tu hai viaggiato. Viaggi spesso per le tue tournée, hai trovato uno scopo nella vita: suonare, per te è tutto.

Sei talmente preso quando suoni, che non ti accorgi di nient’altro, ti estranei. Sei felice, si vede. Io non ho ancora trovato qualcosa che mi renda così felice avevo qualcuno, per cui una pausa da Londra, è la cosa migliore, la mia scelta migliore.

Tuo Hamish



Londra, 10 gennaio 1922

Caro Hamish,

quando Londra finirà di andarti stretta?

William



Parigi, 30 gennaio 1922


Caro William,

hai sprecato un’intera lettera per scrivere una frase di sei parole? Stai attento a non fare troppa fatica!

Mi adeguo: non lo so ancora (sei parole).

Hamish


Londra, 15 febbraio 1922


Caro Hamish,

forse sono stato un po’ brusco. Pensavo che ormai conoscessi anche questo mio lato. Mi stai dicendo di aspettare, ma che tornerai o non ci vedremo più?

E’ questo che non capisco.

William


Parigi, 28 febbraio 1922


Hai aggiunto un sacco di parole, sono colpito.

Ti sto dicendo che non lo so, che devo capire. Tu sai già tutto? Hai capito tutto? Io no, mi dispiace. Non so ancora cosa voglio da me stesso. Magari mi arruolerò nell’esercito, oppure finirò ad una festa dei Fitzgerald, ancora non lo so. Ma la prospettiva di poterlo fare è già tanto.

Comunque Parigi non è così lontana; se ti manco, salta sulla prima nave.

Con affetto,
Hamish


Londra, 15 marzo 1922


Caro Mycroft,

ho bisogno che tu mi faccia uscire da questo posto.

Non mi interessa cosa dicono i nostri genitori, lo sai anche tu che non sono pazzo, non c’è niente che non vada in me.

E’ ridicolo tutto questo, lo sai anche tu. Tenermi lontano dalla musica, tenermi lontano da Londra, tenermi dalle persone, non ha senso. Non sono malato di mente, i nostri genitori credono che chiunque non ragioni come loro, come la massa di pecore che vive nella società, sia pazzo.

Voglio uscire, Mycroft. Trova il modo. Sono stato bravo, tranquillo, ma la mia pazienza ha un limite. Se non farai qualcosa, ci penserò io, a costo di rischiare davvero la mia salute. Ho sentito le urla di certi pazienti e il giorno dopo li ho visti, erano vegetali. Vuoi che diventi così? I nostri genitori voglio questo?

Inventati qualcosa,
William


Londra, 22 marzo 1922


Caro William,

annunciare che volevi lasciare l’orchestra per scappare a Parigi, con uno della manovalanza del teatro, non è stata la tua idea migliore. Capisco che eri arrabbiato, che sei sbottato così perché ti avevano provocato, che forse hai maturato quella decisione nel momento in cui l’hai espressa, ma è stata comunque una pessima idea.

Come credevi avrebbero reagito?

Passo a trovarti il prima possibile, sperando che questa volta mi lascino entrare.

Resisti fratellino,
Mycroft



***** * *****

« Dottor Watson, stiamo aspettando una relazione in merito agli eventi di ieri » fece un uomo dallo spiccato accento irlandese e dai capelli scuri, che il dottore non aveva mai visto.

« Dottor Watson » insistette l’uomo «C’è stata un’esplosione, l’intero laboratorio è saltato per aria! Ha idea di quanto tempo, energie, risorse, avevamo investito nell’esperimento 221/B? »

Il dottore non parlò, sul volto portava ancora i segni dell’esplosione improvvisa che aveva illuminato il cielo di Londra.

L’uomo batté i pugni sulla scrivania del lussuoso ufficio dove Watson era stato trasportato con la forza, subito dopo l’esplosione. Non disse niente, si guardò attorno, un po’smarrito, cercando di capire dove si trovasse.

Non riusciva a comprendere se si trattava di un ufficio governativo o se i finanziamenti all’esperimento fossero esclusivamente privati e quello potesse essere la sede di qualche multinazionale.

Non aveva importanza, era indifferente a tutto in quel momento.

L’uomo esibì un ghigno, si sedette alla scrivania, continuando a scuotere il capo « Ero sempre stato contrario alla sua assunzione » commentò, iniziando a digitare qualcosa sulla tastiera del portatile, probabilmente la password e il proprio ID.

Fissò lo schermo con sguardo furente, spostando il cursore da una cartella all’altra, finché non trovò quello che stava cercando.

« Ecco qui il suo file » fece duro, senza staccare gli occhi dallo schermo.

NOME: Martin Watson
NATO A: Londra il 16/04/2100
TITOLO DI STUDIO: Phd in ingegneria medica
DATA ASSUNZIONE: 31/10/2136
- Relazione 31/10/2136 -
Oggi ho avuto il primo contatto con l’esperimento 221/B. L’equipe è guidata dal dott. Lestrade, esperto in ingegneria elettronica, coadiuvato dalla dott.ssa Hooper, ingegnera genetica. Il mio compito è controllare la parte medica, anche se sembra che tutti gli esperimenti precedenti non siano andati a buon fine. Probabilmente credono che l’ausilio di qualcuno che capisca le funzionalità del corpo umano, possano risolvere tutti i problemi riscontrati con i modelli precedenti.
Onestamente, non capisco la ragione di rendere più umani gli androidi. Sono robot, senza anima, la cui unica funzione è l’utilità che gli esseri umani possono trarne. Che vengano usati per la guerra o per complesse operazioni mediche o anche solo per lavorare nelle miniere, l’aspetto umano non ha alcuna utilità.
In ogni caso, userò tutte le mie conoscenze per il successo dell’esperimento.

« Non credeva nella possibilità di realizzare androidi organici, dott. Watson? » chiese l’uomo, a bruciapelo.

« No, ed è per questo che sono stato assunto » commentò, con tono piatto.

« Già, volevano qualcuno che mantenesse un certo distacco » rispose, senza tradire alcuna emozione. Restò a fissare il dottore, prima di riprendere a leggere un’altra relazione.

- Relazione 05/11/2137 -
Abbiamo lavorato incessantemente, giorno e notte, per più di un anno e finalmente abbiamo ottenuto i risultati voluti.
L’esperimento 221/b oggi ha aperto gli occhi. Non ha idea di essere nient’altro che un giocattolo delle industrie Moriarty, un androide organico. Gli sono stati impiantati dei ricordi, in modo che sia convinto di avere un passato. Quando si è svegliato, gli abbiamo detto che ha avuto un incidente, che è stato investito e deve fare riabilitazione motoria e psicologica.
E’ sembrato perplesso all’inizio, tant’è che temevano di aver buttato un anno di lavoro. Invece, poi, ha ricordato l’incidente, il ricordo che gli è stato impiantato correttamente, per la felicità dell’intera équipe.
Non ha una vasta gamma di emozioni; la psicologa del gruppo, la dottoressa Adler, non ne è molto felice. Credeva sarebbe stato meno “freddo”.
“E’ soltanto un robot”, continuo a ripetere a tutti, ma nessuno mi ascolta.
L’androide mi fissa in maniera curiosa, gli ho detto che mi occuperò io della sua riabilitazione motoria e che non deve preoccuparsi se fa difficoltà con i movimenti più normali. Sembra infastidito dalla noia di stare a letto, ma è solo una mia sensazione, non credo possa provare fastidio.
Gli abbiamo dato un nome proprio, lo chiamiamo semplicemente Scott. Un nome banale, in modo che possa sentirsi una persona come tante.

- Relazione 07/11/2138 -

L’androide sta leggendo un libro che gli ho prestato. Sembra interessato ad apprendere quanto più possibile.
Crede di non avere parenti e ha ricordi dell’infanzia ridotti. Gli è stato impiantato in memoria che aveva un cucciolo di nome Barbarossa, di aver avuto un migliore amico di nome Victor Trevor, scomparso nella terza guerra mondiale.
Mi fa un sacco di domande, ma non è ancora  bravo con le reazioni spontanee. Non ne ha di appropriate, però è molto interessato a capire le emozioni. M chiede perché rido, perché sembro triste quando gli altri non mi vedono.
Non devo fingere che tutto vada bene con lui, è soltanto un robot.
Spero non sia un problema, questa sua curiosità sulle emozioni. Se pensasse di essere umano, non si porrebbe queste questioni. La Adler dice che è normale, che fa parte della sua educazione psicologica. Quando sarà pronto, non si ricorderà di aver appreso le emozioni soltanto adesso.
Sono scettico, una macchina può simulare le emozioni ma a quale scopo? Non mi è ancora chiaro l’utilizzo di questo androide.

« Non so se qualcuno glielo ha detto, dott. Watson. Noi ogni giorno scaricavamo anche l’hard disk interno dell’esperimento 221/B, abbiamo i suoi processi in memoria » fece l’uomo, senza mai distogliere lo sguardo dallo schermo del pc. Il dottore stava cominciando a chiedersi se anche quel tipo fosse un androide, vista la freddezza e la non curanza con cui si stava rapportando a lui.

« Scott » rispose il dottor Watson.

« Come dice? »

« Si chiamava Scott »

L’uomo sorrise in maniera amara, guardandolo finalmente in faccia.

« Qualcosa è andato perduto con l’esplosione, ma avevamo scaricato nel server centrale le sue iterazioni con gli esseri umani, alcune sono particolarmente interessanti, vuole che gliele legga? »

« Immagino lo farà in ogni caso »

Percorso C:\221b\15112137
Dimensioni: 10,5 KB
« Dottor Watson, quando potrò uscire da qui? »
Ho notato che il dottore mi guarda in maniera diversa, rispetto ai primi giorni. Sembra che abbia più voglia di interagire.
« Non lo so, Scott. Ci sono altri medici che decideranno quando sarai pronto »
Sta mentendo, ma non so perché.
E’ particolare il dott. Watson, zoppica leggermente ma deve essere un problema psicosomatico. Quando gliel’ho chiesto è mi sembrato che non avesse apprezzato la domanda e non mi ha risposto.
Non si comporta come gli altri medici.
« Ho letto sul giornale di oggi che il prossimo week-end andrà in scena “Le Nozze di Figaro”. Vorrei andare all’Opera, riesco a camminare, non capisco quale sia il problema »
Il dottor Watson mi guarda leggermente perplesso « Cosa ne sai di musica classica? » mi chiede e per un attimo sembra pentito della domanda.
« E’ l’unica musica che ascolto » Gli rispondo.
Mi si avvicina, scrutandomi meglio, come se si accorgesse di me solo in quel momento. Poi si ritrae e torna a compilare la sua cartella medica « Cammini a malapena, devi sforzarti di più con gli esercizi »
« Mi annoio » commento e di nuovo mi guarda in quella maniera strana. E’ divertente il dottor Watson, c’è un qualcosa in lui che non riesco a decifrare.
« Scott, vorresti fare una partita a scacchi? » mi chiede improvvisamente.
Annuisco, gli scacchi potrebbero essere una buona distrazione dalla noia.
« Il dottor Lestrade e la dottoressa Hooper vanno a letto assieme » gli comunico, mentre lui sta disponendo i pezzi sulla scacchiera.
« Cosa? » mi chiede perplesso.
« Non lo hai notato? Avevano lo stesso deodorante da uomo ieri, addosso »
John ha la bocca aperta e continua a fissarmi « Come hai imparato  a fare le deduzioni? »
« Sono intelligente » rispondo semplicemente « E tu hai un segreto »
Watson lascia cadere uno dei pedoni che stava posizionando, ci avevo visto giusto « Non ti piace il tuo lavoro, è evidente. Ma nascondi qualcosa »
C:\221b\15112137

L'uomo smise di leggere il file e si rivolse a Watson, che ascoltava attento ogni parola che gli era stata letta.

« Cosa nascondeva, dott. Watson? » fece duro, l’uomo che lo stava interrogando.

« Niente, quell’androide era difettoso »

« Quindi, lei non fa parte di un gruppo di ribelli che vogliono distruggere le macchine, non è stato lei a far esplodere il nostro laboratorio? »

« No, non sono stato io. Se sono qui per questo, sta perdendo il suo tempo »


***** *****

Angolo autrice:
Grazie a chi sta leggendo e alle tre moschettiere che hanno prontamente recensito Balblia87, Chappy_, CreepyDoll :-*

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Sh3rl e la sua ricerca ***




Sh3rl e la sua ricerca


Data terrestre: 21 febbraio 3221
A bordo della navicella Holmes 221, sto attraversando il tempo e lo spazio alla ricerca di una risposta alla mia domanda fondamentale.
Sto esaurendo il carburante e lo scontro avvenuto su Zaygon 5, ha causato un danno al serbatoio che mi costringerà a breve ad un atterraggio di emergenza sul Pianeta Terra. Nel caso non riuscissi a sopravvivere all’impatto, trasmetto questo diario e le mie coordinate a mio fratello, in modo che possa almeno recuperare i dati che ho classificato e questa astronave, visto che è sua.
Lo so che mi sta cercando per tutta la Galassia, per cui credo di fargli risparmiare tempo.
Fine trasmissione


Data terrestre 22 febbraio 3221
Sono riuscito ad atterrare, con non poche difficoltà, proprio sopra ad una collina. In questo secolo l’umanità sembra regredita ai tempi della preistoria o poco dopo. Anni di guerre hanno sterminato gran parte della popolazione e i superstiti si sono adattati a vivere nelle capanne o nelle grotte.
Di positivo c’è che la natura è di nuovo esplosa sul pianeta, che sembra essere tornato ai tempi dei primi insediamenti umani.
Non so se le loro capacità linguistiche siano regredite di pari passo con l’attuale condizione, non sono tanto tranquillo ad avvicinarmi a loro, non credo verrei accolto pacificamente. Sono piuttosto curioso, però. Inoltre, non ho idea se mio fratello abbia ricevuto il mio messaggio, pertanto potrei dovermi abituare a vivere su questo pianeta selvaggio.
Fine trasmissione


L’alieno dai capelli corvini e gli occhi di ghiaccio, spense la videocamera che stava riprendendo i suoi pensieri di viaggio. Fissò sconsolato i monitor, in attesa di ricevere un segnale da parte di suo fratello o di qualcun altro. Aveva una vaga speranza che qualcuno venisse a recuperarlo.

L'astronave trasportava abbastanza generi alimentari per sopravvivere per qualche mese, ma poi, inevitabilmente, avrebbe dovuto lasciare la sua navicella e avventurarsi sul pianeta.

Definire la navicella “sua” era eccessivo, l’aveva rubata al fratello o come preferiva dire, l’aveva presa in prestito, un giorno in cui era particolarmente annoiato e molto curioso.

Iniziò a passeggiare avanti e indietro, avrebbe voluto rileggere tutti i dati che aveva raccolto, ma temeva che avrebbe sprecato troppa energia e si sarebbe ritrovato al buio e senza riscaldamento, prima del tempo.


Data terrestre 25 febbraio 3221
Riprendo con le registrazioni perché è avvenuto un fatto anomalo. Alcuni terrestri si sono avvicinati alla navicella con delle lance. Hanno provato a scalfirla ma le loro lame risultano alquanto rudimentali. In risposta ho azionato un sistema di protezione che gli ha dato una leggera scossa.
Stanno ancora correndo per la giungla.
Confido non si faranno più vedere
Fine della trasmissione

Data terrestre  1 marzo 3221
Avevo troppa fiducia.
Un terrestre, non particolarmente alto, dai capelli biondi tendenti al grigio, è qui fuori dalla navicella e sta bussando da ore.
Ha iniziato delicatamente, ma ora sta diventando fastidioso.
Volevo dargli una scossa, ma ha chiesto aiuto, in maniera piuttosto disperata. Ho controllato con gli infrarossi, non c’è nessun altro appostato, non sembra una trappola. Ho deciso di farlo entrare, confidando non sia l’ultima cosa che farò in questa vita.
Fine della trasmissione


L’alieno si diresse con tutta calma verso il portellone d’ingresso, dove il terrestre stava picchiando i pugni con ostentata disperazione.

L’alieno premette il pulsante di apertura e per poco il terrestre non cadde dalla sorpresa.

« Adesso hai paura? Mi stavi trapanando i timpani, immagino sia importante » fece l’alieno.

Il terrestre alzò il mento, in segno di sfida o più che altro per dimostrare che non aveva alcun timore « Ho bisogno di medicine, mia sorella è molto malata »

« Parli in maniera semplice ma almeno non usi suoni onomatopeici o gutturali, sono sollevato » rispose l’alieno, allargando  un braccio come a fargli cenno di entrare. Il terrestre capì l’insulto ma evitò di controbattere, aveva bisogno di aiuto e avrebbe ingoiato ogni rospo.

« Come fai a sapere che ho delle medicine? I tuoi amici con le lance sembravano più interessati a distruggere la mia astronave »

Il terrestre stava cercando di non sembrare sopraffatto dallo splendore della navicella. In realtà non era una delle migliori della galassia, tutt’altro, era piuttosto mediocre ma svolgeva al meglio la funzione per cui era stata costruita: viaggiare nel tempo e nell’iperspazio.

Per il terrestre, comunque, era la cosa migliore che avesse visto. Non aveva mai camminato su un pavimento, non aveva mai visto degli schermi, erano cose che venivano narrate di padre in figlio, di quello che una volta era stata la corsa allo spazio, delle incredibili macchine che venivano costruire sulla Terra, di cui adesso non rimaneva più niente.

John era sempre stato molto curioso, avrebbe voluto viaggiare tra le stelle e conoscere nuove forme di vita. Invece, era bloccato nel suo villaggio, preoccupandosi soltanto di sopravvivere.

« Come ti chiami, terrestre? »

« John » fece il biondo, allungando una mano verso l’alieno.

« Oh, vedo che esistono ancora i formalismi » rispose lui, stringendola annoiato « Io mi chiamo Sh3Rl »

« S H 3 R L ? Che cavolo di nome è? »sbottò John, guadagnandosi un’occhiata infastidita dell’alieno « Almeno non è banale come John. Comunque mi stavi per spiegare perché credi abbia delle medicine »

« Non sei il primo visitatore. Tutti quelli che sono venuti ci hanno portato delle medicine. Ora sono finite, ne abbiamo bisogno » rispose semplicemente John « Nessuno di loro ci aveva mai fatto entrare nella navicella, però » aggiunse.

Sh3Rl scrutò il terrestre più volte, ne era affascinato. Tutti quelli con cui aveva parlato, nelle varie epoche, gli erano sembrati arroganti, egoisti, avidi. Quel John aveva un ché di ingenuo e di puro,  ma anche coraggioso che lo rendeva migliore di tutti quelli che aveva incontrato.

« Facciamo un patto, John. Ti cederò metà della mia scorta, se resterai qui con me ad aspettare l’arrivo della navicella dei soccorsi »

Il terrestre sembrò riflettere sulla proposta « Perché? »

« Perché voglio vivisezionarti, ovviamente »

Il terrestre fece un passo indietro, pronto a cercare un arnese con cui colpirlo in testa.

« Scherzavo, sono uno scienziato, uno studioso, quasi un antropologo, non un assassino. Ho bisogno che mi spieghi una cosa che non comprendo. Siete l’unica specie, in tutto l’Universo che può rispondere alla mia domanda. Nessuno è come voi. E’ il vostro dramma, d’altra parte »

John scrutò l’alieno, cercando di capire in qualche modo chi aveva davanti.

« Facciamo così » aggiunse Sh3rl « Ti do subito la mia scorta, così potrai portarla al villaggio e curare tua sorella e chi ne ha bisogno. Poi ti aspetto qui »

« Ti fidi che tornerò? »

L’alieno annuì e senza aggiungere altro, scomparve dietro ad una porta scorrevole dell’astronave, per riemergere qualche minuto dopo con due borse piene di farmaci, garze cerotti e ogni cosa potesse essere utile. Allungò le borse verso il terrestre e spinse il bottone della porta d’ingresso, per farlo uscire.

John allungò una mano verso Sh3rl « Abbiamo un accordo »

L’alieno fissò la mano, perplesso « Oh, ancora i formalismi. D’accordo John, ti aspetto qui »

Il terrestre fece un cenno di ringraziamento col capo e si dileguò nel bosco, correndo dritto al villaggio.


Data terrestre  2 marzo 3221
Il terrestre si chiama John, ha un linguaggio piuttosto semplice ma comprensibile. Ha detto che tornerà, abbiamo stretto un accordo con tanto di gesto formale.
Sembra abbastanza sveglio, nonostante l’arretratezza culturale della sua specie. Sembra anche curioso, aspetto positivo per la mia ricerca.
Sono passate due ore da quando è andato via, spero di non essermi sbagliato e che faccia ritorno.
Fine della trasmissione


Sh3rl chiuse il videofilmato, leggermente annoiato, e riprese a fissare i monitor spenti dell’astronave. Aveva deciso di accenderli ogni due ore, in modo da poter controllare se vi erano navicelle di passaggio o se suo fratello avesse mandato qualche messaggio.

Per il momento, tutto taceva.

Stava per iniziare una partita di scacchi con il computer, l’unico programma che impegnava il minimo delle risorse energetiche dell’astronave, quando sentì la bussata di John. Corse ad aprire e quando premette il pulsante, per un attimo si sentì un’idiota ad essersi fidato ciecamente, senza aver controllato che non fosse in compagnia di altri trogloditi della tribù.

Fortunatamente John era solo, accompagnato soltanto da una sacca che probabilmente conteneva tutta la sua roba.

« Eccomi qui » esordì « Sentiamo la domanda »

L’alieno lo invitò ad entrare « Non è una domanda secca, John. Se te lo dicessi mi risponderesti che non c’è una ragione, non c’è razionalità. Ci arriveremo piano piano, spero tu non abbia impegni »

John fece spallucce e gettò la sacca sulla prima poltrona che si trovò davanti. L’astronave era accogliente, aveva una forma quasi ovale, bianca splendente all’esterno e leggermente più scura all’interno. La sala di comando sembrava più un salotto, una parete era piena di schermi e pulsanti, probabilmente per pilotarla, mentre al centro c’era un tavolo con tanto di sedie e due poltroncine con visuale sull’esterno.

« Sto studiando certi comportamenti umani e alcuni mi sono ancora oscuri. Ti faccio un esempio: ho trovato un diario, di un certo Sir William Sherlock Scott Holmes. Questo Holmes aveva un amico stretto, un certo John, non ci è dato sapere il cognome. Ti ho detto che “John” è un nome banale » commentò, rivolto al terrestre, che in risposta alzò gli occhi al cielo.

« Comunque, erano amici, questo John gli ha anche regalato il diario. Poi, Holmes stava per chiedergli di andare a vivere insieme ma lo ha visto chiacchierare con una bionda. Ha cambiato idea, è andato da lui e gli ha detto che sarebbe partito con il fratello per andare in America. Si aspettava che John lo fermasse o che andasse almeno a salutarlo al porto. Non ha fatto nessuna delle due cose » concluse, con tono neutro, come se la vicenda non lo toccasse.

« Parliamo di cuori spezzati? » chiese John curioso.

« I cuori sono muscoli, non si spezzano, John
» rispose, guadagnandosi un'occhiata divertita del terrestre « Parliamo della ragione di certe scelte » rispose, come se fosse ovvio, così confondendo il terrestre, che iniziò a grattarsi la testa senza capire quale fosse il punto.

« Com’è finita la storia? Si sono più visti? » chiese John.

« Non è rilevante! Fondamentale è sapere perché Holmes non ha detto quello che provava a John. Perché? Non capisco »

« Non so se posso giudicare da qualche riga in un diario, onestamente »

Sh3rl sembrò contrariato « Ok, forse è meglio che ceniamo e andiamo a dormire, magari domani sarai più lucido » commentò, sparendo nel ripostiglio scorte della navicella e John capì che aveva a che fare con un alieno abbastanza umorale.


Data terrestre  3 marzo 3221
Il terrestre di nome John si è sistemato nella cabina al piano superiore. Finalmente ho dato un senso a quello spazio.
Era un po’ perplesso dalla presenza di cibo soltanto sotto forma di vitamine e polveri varie. Ha detto che uscirà a recuperare qualcosa di commestibile.
Oggi cercherò di capire i processi mentali umani, riguardo le emozioni positive.
Fine della trasmissione


John apparve dietro le spalle dell’alieno. Aveva fatto la sua prima doccia in un vero bagno e aveva indossato i vestiti alieni che Sh3rl gli aveva procurato, probabilmente una divisa o qualcosa di simile.

« Stai facendo una specie di diario? »

« Proprio così, terrestre. Ora abbiamo cose più importanti però » fece, alzandosi dalla postazione dove registrava i suoi pensieri e facendo strada a John, fino al tavolo della cabina di pilotaggio

Tirò fuori un pacco di lettere e le lanciò sul tavolo « Ok, passiamo a William e Hamish e le loro lettere. William è il primo violino dell’orchestra di Londra, Hamish un umile assistente scenografo. Si conoscono, si innamorano ma nessuno dei due lo dichiara all’altro. Poi Hamish, parte per Parigi per dimenticare quello che crede un amore non corrisposto, anche se continua a scrivergli delle lettere. Lui non sa che William è stato rinchiuso in manicomio dai genitori »

« Cosa? » chiese John, travolto da tutte le informazioni.

« Sì, Hamish era andato a casa sua per avvisarlo che sarebbe partito. I genitori gli hanno detto che William era impegnato, ma non era vero. William ha scoperto giorni dopo, non vedendolo più a teatro, che Hamish era partito per Parigi. La soprano Mary gli ha rivelato che Hamish era passato a salutarlo. E’ tornato a casa furente, si è arrabbiato con i genitori, hanno litigato e lui ha affermato che sarebbe partito per Parigi per raggiungerlo. Così è finito in manicomio »

Affermò semplicemente, mentre John pendeva dalle sue labbra, in attesa di scoprire il resto della storia. Ma l’alieno non aggiunse altro, attendendo a sua volta che John gli spiegasse il senso delle azioni di William e Hamish.

John capì che non avrebbe ottenuto altre informazioni « Non puoi lasciarmi sempre con i racconti a metà. Qual è lo scopo? Capire perché non hanno ammesso di essere innamorati? »

« Anche, ma prima di tutto vorrei capire perché si sono innamorati e poi  perché non lo hanno detto subito l’uno all’altro. Non capisco il senso. La mia razza non prova tutti questi sentimenti. Siamo essere razionali »

John si grattò la testa, sempre più perplesso. Rimase a fissare gli occhi azzurro-verdi di quell’alieno, dall’aspetto così umano.  Da un lato sembrava un essere così irraggiungibile e perfetto, con la sua intelligenza e la sua conoscenza, ma dall’altro lato sembrava un bambino sperduto alla ricerca di risposte a domande che non riusciva a comprendere.

« Non avete sentimenti? » chiese John, quasi cauto.

« Abbiamo deciso di non provarli, è diverso. Così, nei millenni, la mia specie si è dimenticata cosa siano i sentimenti. Io vorrei comprenderli e i terrestri sono gli unici esseri in tutta la Galassia che esprimono tutti i sentimenti possibili. Ho osservato altri terrestri. La rabbia, l’invidia, l’egoismo, sono sentimenti che ho studiato e capito in fretta. Ho anche pensato che foste un popolo orribile » commentò, sempre con un’ingenua fanciullezza.

« Poi ti sei imbattuto nell’amore e non l’hai capito? Interessante » commentò il terrestre tra sé.

L’alieno strinse gli occhi, in uno sguardo pensieroso e quasi offeso « E’ una mera reazione chimica »

« Può darsi » commentò e per un attimo rimasero in silenzio, con lettere di Hamish e William ancora buttate sul tavolo, a fargli compagnia. John fece per prendere le ultime, per sapere com’era finita tra i due, ma Sh3rl lo inchiodò sul posto con un’altra domanda.

« Sapresti dire perché ami una persona? »

John lo fissò, il braccio ancora teso per prendere le lettere « Tu non vuoi bene a qualcuno? Anche un familiare intendo. Non sai perché li ami, è un sentimento irrazionale »

Sh3rl sembrò soppesare la domanda. Non era sicuro di cosa John intendesse. Non funzionava così sul suo pianeta. Tutto era ragionevole, razionale, logico. L’attaccamento alla famiglia era frutto di reazioni chimiche che aiutavano il perpetrarsi della specie, non c’erano altre ragioni.

La domanda di John rimase sospesa nel vuoto, finché Sh3rl decise di passare alla questione successiva.

« Ti faccio un altro esempio. I peggiori sono questi due, il detective col cappello e il medico militare. Appena conosciuti sono andati a vivere assieme »

« Oh, stiamo parlando di colpo di fulmine allora » rispose John, sistemandosi meglio sulla sedia per ascoltare la storia, sperando che anche se erano stati definiti i peggiori, finalmente avrebbe ascoltato una storia a lieto fine.

« Non proprio, era evidente che si amavano ma hanno vissuto assieme due anni e non si sono mai detti niente dei loro reciproci sentimenti. Poi uno dei due ha finto la morte, l’altro si è sposato e ha avuto una figlia »

« Ho capito, questa storia finisce male » commentò il terrestre, accasciandosi sul tavolo, non capendo dove li avrebbe portati parlare delle tristi vite sentimentali di altre persone.

« La smetti? Sei ossessionato dai finali. Potevano dirsi qualcosa subito, perché hanno lasciato passare anni? » fece, alzando il tono di voce di un’ottava.

« Non ho ancora capito qual è il punto. Secondo me c’è qualcosa che non mi chiedi » fece John, sporgendosi verso l’alieno e godendosi la vista di quell’essere così affascinante. Non c’erano uomini così nel suo villaggio. Alto, moro, dalla pelle, bianchissima che quasi rifletteva la luce. Sarebbe rimasto a guardarlo per ore.

« Non capiscono cosa provano, perché stanno tutti così male? » fece Sh3rl, con un’ingenuità che quasi commosse John, che istintivamente gli prese un mano.

« Scusa ma non credo possibile che tu non provi determinati sentimenti. Quando fai l’amore, non senti niente? Un qualche attaccamento dovrai sentirlo » fece il terrestre, incoraggiante.

« Non l’ho mai fatto, John » rispose semplicemente, senza alcun imbarazzo.

« Oh, ok » rispose, togliendo la mano da quella dell’alieno, pensieroso.

Cadde nuovamente un silenzio quasi irreale. John non era abituato a simili scambi di opinioni. Nella sua tribù c’erano tante persone sveglie, ma discussioni così esplicite sui sentimenti, decisamente non gli erano mai capitate.

« Ho un’idea. Proviamo a farlo, poi ti dico cosa provo » fece allegro l’alieno, pensando che così avrebbe potuto catalogare ogni reazione e ogni sentimento.

John lo fissò, pensando stesse scherzando, ma sembrava mortalmente serio « Non funziona così, Sh3rl. Devi farlo con qualcuno per cui hai un qualche attaccamento. Altrimenti è poco più di una piacevole ginnastica »

L’alieno non capì la metafora e alquanto deluso si diresse a registrare un altro video diario, la faccia sconvolta di John ancora lo fissava.


Data terrestre 4 marzo 3221
John è uscito a prendere qualcosa da mangiare. Forse raccoglierà frutta, spero non intenda trascinare un animale morto nella navicella.
Credevo di aver fatto un passo avanti nella comprensione dei sentimenti, invece sono ancora nel buio totale.
Fine della trasmissione


John tornò qualche ora dopo con frutta, verdura, latte e qualche pesce e senza tante cerimonie si appropriò della piccola cucina della navicella. Sh3rl osservava ogni movimento del terrestre, che sembrava davvero a proprio agio a svolgere quelle mansioni.

« Sarà nel tuo DNA » commentò l’alieno, mentre John metteva a cuocere il pesce.

« Nel tuo, invece, c’è fare battutine indisponenti? » scherzò, strappando un leggero sorriso in Sh3rl.

« Cosa fai nel villaggio? Sei il cuoco? »

« No, sono uno dei medici. Curo le persone. Tu invece? A parte studiare la Galassia fai qualcos’altro? »

« Quando mi annoio aiuto la polizia interstellare »

Il terrestre scosse il capo ridendo, nientemeno che un antropologo investigatore. Cominciava a credere di essere in uno strano sogno e che presto si sarebbe svegliato nella sua tenda, con il rumore degli altri della tribù che cercavano di uccidere un cinghiale.


Data terrestre 10 marzo 3221
John sembra essere ormai a suo agio nell’astronave. Cucina, addirittura pulisce. Gli ho raccontato altre storie, come quella dell’esperimento 221b.
Poi ha iniziato a tempestarmi di domande sul resto della Galassia, sul mio pianeta, su quello che faccio. Lo aveva detto che è curioso.
E’ rimasto sorpreso che suonassi un violino terrestre. Gli ho spiegato che i migliori strumenti musicali sono stati prodotti sulla Terra e che nessun flauto siderale potrebbe sostituire un violino di Paganini.
E’ interessante John: è buono, onesto, coraggioso. Ho più fiducia nella sua specie adesso che l’ho conosciuto.
Ieri ha anche portato alcune piante nella navicella, per decorarla ha detto. Non so cosa intendesse ma sembrava felice e devo dire di aver provato anch’io qualcosa di strano. Non saprei esattamente definire cosa.
Fine della trasmissione


John era seduto in cabina di pilotaggio. Aveva chiesto a Sh3rl se poteva guardare i monitor, solo per vedere com’era la galassia e le altre stelle. Stava giocherellando con i tasti, quando una spia rossa si illuminò davanti a lui, emettendo un suono spiacevole.

Temette di aver toccato qualcosa di sbagliato e di aver attivato l’autodistruzione. Iniziò ad agitarsi sulla poltroncina, ma la voce tranquilla e un po’ triste di Sh3rl lo riportò alla calma.

« Non sei stato tu » fece l’alieno, con una punta di rassegnazione che John colse, ma non comprese il motivo « E’ il segnale di soccorso, 24 ore e saranno qui » continuò Sh3rl.

John sentì una leggera fitta. Era tutto finito, niente più chiacchierate sulla galassia, niente più cucinare e mangiare assieme, niente più trovare nuovi modi perché l’alieno non si annoiasse.

« Non ho ancora risolto il tuo problema, vero? Cosa si sente quando si prova l’amore » fece John cauto, abbandonando la postazione.

Sh3rl si morse leggermente un labbro. Voleva proporre da giorni a John, di seguirlo tra le stelle, ma sapeva che il terrestre aveva una vita nel villaggio, faceva qualcosa di davvero utile come curare le persone, non come lui che bighellonava in giro senza una meta.

« Posso registrare un video prima di andare? Da solo » chiese John e l’alieno, nonostante fosse stupito dalla richiesta, non riuscì a dire niente. Fece un leggero cenno di assenso e lo accompagnò alla postazione.


Data terrestre 15 marzo 3221
Mi chiamo John e sono un terrestre. Non so cosa Sh3rl abbia detto di me in questi video ma credo abbia sbagliato soggetto. Anzi, mi rivolgo direttamente a te Sh3rl, hai sbagliato terrestre. Non so come aiutarti nel capire i sentimenti, perché nemmeno io capisco i miei.
Non mi sono mai innamorato. Forse non è del tutto esatto, credo di aver trovato qualcuno per cui provo delle cose che non so spiegare. Ma lui non mi vede così e non credo possa vedermi in quel modo.
Ti ricorderò per sempre.
Fine della trasmissione


John abbandonò la postazione e si diresse spedito da Sh3rl. Se non lo avesse fatto adesso, non lo avrebbe fatto mai più. Si avvicinò all’alieno, che subito percepì una strana sensazione.

Sh3rl non riusciva a capire cosa stesse succedendo ma assecondò John, perché sentiva che era quello che voleva fare. Il terrestre gli accarezzò i capelli e poi prese a baciarlo, prima delicatamente e poi con foga. John si chiese se quando lo avrebbe spogliato sarebbe stato come un essere umano o meno. La risposta arrivò presto, perché Sh3rl lo seguì in ogni movimento.

John continuò ad accarezzarlo, baciarlo, bearsi della vista di quell’alieno che sembrava così perfetto e irraggiungibile.

« Sei sicuro, Sh3rl? » fece, staccando per un attimo la bocca dalla sua. Poteva sentire il cuore dell’alieno, battere forte nel petto, dettaglio che fece sorridere John, non era una specie così diversa da quella umana. Il moro annuì e senza rendersene contò, Sh3rl si ritrovò sdraiato sul tavolo, con John sopra e dentro di lui.

John era delicato e attento, perché voleva fosse una prima volta romantica e memorabile. Anche se poi Sh3rl sarebbe andato tra le stelle e lo avrebbe lasciato sulla Terra, anche se non si sarebbero rivisti mai più, voleva che si ricordasse di lui per sempre.

Sh3rl, che credeva avrebbe avuto modo di catalogare ogni singolo momento, in modo da poterlo studiare per capire le emozioni, aveva il cervello completamente spento, completamente occupato da immagini di John.

Sentiva le sue mani, i suoi movimenti, era qualcosa che non aveva mai provato prima e d’improvviso capì cosa intendesse il terrestre. Non si poteva spiegare, non si poteva razionalizzare. Erano loro due e basta.

Anche se John sarebbe tornato nel suo villaggio, perché l’alieno sapeva che nessuno avrebbe voluto passare la vita assieme a lui, avrebbero avuto quel momento per sempre.


Data terrestre 15 marzo 3221
Ho capito finalmente, ma avrei preferito non capire. Tra qualche ora arriverà mio fratello a prendermi e John tornerà al suo villaggio.
Era più semplice vivere senza capire queste emozioni e soprattutto senza viverle. Adesso sarà tutto più complicato. Non so nemmeno perché sto registrando questo messaggio.
Sicuramente lo cancellerò appena arriveranno i soccorsi, ma adesso ho bisogno di sfogarmi in qualche modo.
Vorrei non essere mai precipitato qui.
Fine trasmissione


John aveva la sacca in mano e l’aria stravolta di uno che doveva tornare al suo villaggio e non aveva idea di come avrebbe fatto. Ripensò a tutti i protagonisti di quei racconti, di come avessero avuto davanti il grande amore a fossero rimasti appesi, incapaci di dire quello che provavano, per paura di scottarsi, bruciati dalla forza dei loro sentimenti.

Abbassò lo sguardo e iniziò a respirare più velocemente, doveva dire qualcosa, non aveva niente da perdere.

Fece per parlare ma Sh3rl lo anticipò.

« Ho capito, avevano paura di essere respinti. Per questo non erano sinceri »

« O di non essere all’altezza. Che magari l’altro, così straordinario, si sarebbe stufato di un essere ordinario. Sai come un alieno che ruba navicelle per volarsene in giro, nel tempo e nello spazio e studia gli altri esseri della Galassia, potrebbe stufarsi di un terrestre dal linguaggio semplice » rispose John, con gli occhi lucidi, trattenendo il respiro.

Avevano parlato entrambi senza prendere fiato e sembrava lo stessero ancora trattenendo, in attesa di quello che sarebbe successo.

« Non potrei mai lasciarti, John. Resta con me, vivremo mille avventure. Oppure io verrò a vivere con i tuoi amici trogloditi »

John scoppiò a ridere «Sicuro che non mi abbandonerai sul primo pianeta disabitato che incontreremo? »

Ad ogni parola avevano fatto un passo verso l’altro, fino a raggiungersi al centro della sala comando.

Sh3rl abbassò il capo e lo baciò dolcemente « Ti amo. Ora ho capito come funziona »

« Anch’io. Ti amo perché sei presuntuoso, fastidioso, snob, intelligente, geniale, straordinario, tu. Visto? Si può razionalizzare » rispose abbracciandolo stretto.

L’alieno sorrise.

« E adesso, dimmi come sono finite le storie che mi hai raccontato » incalzò John.

« D’accordo, iniziamo con l’esperimento 221b. »

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** L'esperimento 221/b - parte seconda ***


L'esperimento 221b - parte seconda
 
 
Percorso C:\221b\15112138
Dimensioni: 11,5 KB
« Dott. Watson, ho riempito i moduli che mi ha consegnato la dott.ssa Alder. Potrebbe consegnarglieli? »
Il dott. Watson prende distrattamente in mano i miei test, finché non gli cade l’occhio sulle innumerevoli correzioni che ho fatto a penna, a fianco alle domande.
« Le domande erano imprecise, ho dovuto correggerle » ho commentato, in risposta al suo sguardo.
Il dottore scoppia a ridere, sembra una risata sincera, diversa dalle precedenti. Di solito esibisce solo risate di circostanza.
« La Adler non sarà contenta » commenta.
Martin Watson è decisamente il soggetto più interessante qui dentro. Gli altri sono prevedibili, lui no. Ad esempio, adesso invece che tempestarmi di inutili domande, si è seduto sulla sedia, leggendo un quotidiano.
Sulla prima pagina c’è la foto di Londra. Sembra debbano inaugurare un nuovo palazzo o qualcosa del genere. E’ una sensazione così strana stare qui, chiuso tra quattro mura e non poter vedere cosa c’è fuori.
« Scott, a cosa stai pensando? » Martin è molto affascinato dai miei processi mentali « A volte fissi il vuoto, come se fossi in catalessi »
« E’ un male? »
« Non vorrei avessi qualche danno cerebrale » credo sia sarcasmo.
« Non potrò mai essere più stupido di Anderson »
John scoppia in un’altra risata ed io trovo sia un suono davvero rassicurante.
Percorso C:\221b\15112138
 
 
Registrazione ore 07.20 a.m.
Mi chiamo Martin Watson, sono un ingegnere, ma prima di tutto sono un soldato.  Cinque anni fa mia moglie Mary Morstan e mia figlia Rose, sono state uccise da un gruppo di robot, infettati da un virus progettato da un’organizzazione terroristica.
Credevo che l’evento avrebbe avuto delle conseguenze, che i Governi avrebbero capito la pericolosità dell’intelligenza artificiale, invece si sono limitati a progettare firewall più potenti e a stanziare più soldi per l’impiego di androidi nella difesa contro i terroristi.
Con altri del mio reggimento, abbiamo deciso di boicottare questo sistema che non si preoccupa delle vite umane ma solo dei possibile guadagni.
Mi sono infiltrato nelle industrie Moriarty per scoprire quali fossero i loro piani. Stanno agendo con sovvenzioni statali, perché hanno promesso all’esercito di realizzare degli androidi da mandare in battaglia. Non come gli attuali, nuovi tipi di androidi, pensanti e spietati. Parte delle sovvenzioni sono state girate però, per altri esperimenti, tra questi il 221b. Non mi è chiaro perché vogliano un androide che creda di essere un umano, non ne capisco gli scopi.
Non mi importa se mi scopriranno, non mi importa se verrò arrestato o se mi elimineranno per il “bene” delle industrie Moriarty, come uno scomodo testimone. Non mi importa più di niente, la mia vita è finita da quando la mia famiglia non c’è più.
Lascio questa registrazione nella memoria del mio portatile. Nel caso mi accadesse qualcosa, voglio che qualcuno sappia quello che stavo facendo.

 
Inizio comunicazione criptata
A: Maggiore Sholto
Da: Martin Watson
 
La situazione è peggiore di come l’avevamo preventivata. Hanno effettivamente elaborato un’intelligenza artificiale, anni luce dai droidi a cui eravamo abituati.
Questo androide non solo parla e si muove come un essere umano, ma è anche in grado di pensare autonomamente, di prendere delle decisioni proprie. Credevo fosse impossibile che riuscisse a provare dei sentimenti, invece sembra proprio che sia così, anche se sono filtrati, all’apparenza sembra freddo.
L’altro giorno mi ha chiesto se poteva andare all’Opera. La cosa mi ha sconvolto, non sapevo che nella sua programmazione ci fosse la musica classica. Ho controllato e non c’è.
Hanno ideato qualcosa di nuovo, che apprende ed è addirittura capace di fare delle deduzioni, anche complesse.
Sono preoccupato. Come temevamo, hanno inventato qualcosa senza sapere a cosa andavano incontro. Se l’idea era l’impiego strategico nella guerra, ora rischiamo di trovarci tanti droidi, con forza sovraumana e con pensiero proprio, non necessariamente però regolato dalla morale umana.
Non sono ancora riuscito a mettere le mani sul suo hard drive, per capire cosa pensa, come ragiona. Spero di riuscire a mandarvi un aggiornamento il prima possibile.
M. W.
 
A: Martin Watson
Da: Maggiore Sholto
Leggo con preoccupazione le poche ultime righe che ci hai trasmesso.
Questa follia va fermata, prima che le macchine prendano il sopravvento.
Tienici aggiornati
 
  

Inizio chat criptata
<<- Vuoi attivare la chat? ->>
 
John fissò lo schermo stupito, non era mai stato contattato con chat criptate, erano troppo rischiose.  Era forse una trappola? Qualcuno lo stava controllando? Mosse le dita sui tasti, quasi uno sfarfallio, ma poi la curiosità prese il sopravvento e si ritrovò ad accettare quell’invito misterioso.

 
>>Salve dott. Watson
 
>>Con chi ho il piacere di parlare?

 
>>Sono Scott
 
 
 
>>Dottore sei ancora lì?
>>Immagino tu sia perplesso. Non devi esserlo, è una chat criptata
 
>>Come mi hai trovato e perché?

 
>>Mi annoio
 
>>Per questo hai attivato una chat criptata?

 
>>No, è per non far sapere agli altri che lo so
 
>>Che sai cosa?

 
>>Sono intelligente, Watson. Ho capito
 
 
Watson esitò sui tasti. Cosa aveva capito? Già gli aveva fatto notare di conoscere il suo segreto, ora cosa stava sottintendendo? Era forse stato programmato per trovare la sua organizzazione?
 

>>Perché mi stai scrivendo?
 

>>Vorrei qualcuno con cui giocare a scacchi
 
>>Va bene, domani faremo una partita
 

>> Quando finalmente uscirò, ti andrebbe di andare al ristorante cinese?
 
 
Martin fece un leggero sorriso, a volte era quasi dispiaciuto per Scott. Era tremendo pensare che credesse di essere umano, di aver avuto una vita e di poterne vivere una tutta sua.
 
>>A volte dici cose che non comprendo


 >>Per il fatto che sono un androide?
 
>>Come dici?

 
>>Tranquillo, ho trovato un modo per bloccare la memorizzazione delle mie conversazioni e dei miei pensieri, resta tutto tra noi
 
Watson chiuse di scatto il portatile. Scott sapeva di essere un androide? Impossibile, anche se aveva un modo di scrivere che sembrava l’esperimento 221b, non poteva essere lui.
Rimase inchiodato sulla sedia, riflettendo su quali potevano essere le possibili conseguenze di quello che era appena accaduto. Se era Scott, il loro esperimento era completamente fallito, sapeva di essere un androide e probabilmente lo avrebbero resettato, sempre se ne avrebbero avuto modo. Scott era intelligente, non si sarebbe lasciato spegnere tanto facilmente. Se non era Scott, lo stavano testando.
 
 

Registrazione 01.05 a.m.
Oggi sono andato al laboratorio, temendo di essere arrestato non appena messo piede all’interno dell’edificio. Fortunatamente non è successo, non sembra sospettino di me.
Scott stava svolgendo i soliti esercizi motori, appare sempre più annoiato dalla routine, non si rendono conto di aver creato un cervello artificiale iperattivo.
Iperattivo, strano modo di definirlo. Scott è… non so come definirlo. A volte sembra che ci studi e mi da quasi i brividi, altre volte non fa che parlare. E’ decisamente maleducato, non credo dovesse essere questo il risultato. E’ brusco, dice tutto quello che pensa, ma questo è normale, non ha il concetto di cose che si possono dire senza ferire i sentimenti altrui e cose che proprio bisogna tenere per sé. Un po’ lo invidio, se così si può dire, vorrei essere anch’io libero di dire al tecnico Anderson che è un idiota. In effetti, essendo scoppiato a ridere, ho avvalorato l’affermazione dell’androide.
Ho cercato di rimanere solo con lui, per chiedergli della chat criptata, ma era sempre occupato con la dottoressa Adler e la dottoressa Hooper.  Entrambe sembrano affascinate di vedere quello che hanno creato.
Ho fatto qualche domanda di routine e compilato la cartella. Per un secondo, quando nessuno guardava, mi ha fatto l’occhiolino e sorriso. Per poco non mi è caduta la cartellina dalle mani. Se non sapessi che è un androide, crederei davvero che sia un essere umano, con un quoziente intellettivo da genio.
Se l’occhiolino voleva essere un segno di complicità, significa che nella chat era davvero lui e che è cosciente di cos’è.
La domanda è “perché si sta fidando di me”? Proprio di me, l’unico del gruppo di cui non dovrebbe fidarsi, che appena avrà l’opportunità, distruggerà tutti gli hard disc, cancellando ogni memoria dell’esperimento , riportando indietro i loro progressi.
Devo terminare la registrazione, mi sta nuovamente contattando in chat.
 

 
Inizio chat criptata
<<- Vuoi attivare la chat? ->>
<< -Sì ->>

>>Dott. Watson, possiamo parlare oggi?
 
>>Perché mi contatti? Perché proprio io?

>>Ho detto che hai un segreto. Sei l’unico che non correrà ad avvisare tutti che sono un esperimento fallito. Tu puoi trovare il modo di farmi uscire, potresti consigliare che devo adattarmi all’ambiente esterno.
 
>>Non lo so, se posso

 
>>Potresti almeno portarmi un violino?
 
>>Lo sai suonare? E’ nella tua memoria?

 
>> No, ma imparo in fretta. Credo mi basterà applicarmi qualche ora
 
>>Sbruffone

 
>>Grazie
 
>>Come dici?

 
>>Ti sei rivolto a me come se fossi umano, non daresti dello sbruffone ad un computer
 
>>Da quanto tempo sai di essere un androide?
 
>>Appena ho aperto gli occhi
 
>>Sei un esperimento fallimentare, insomma

 
>>Quale sarà la mia applicazione?
 
>>Non l’ho ancora capito
 

>>Mi piacerebbe assistere il dipartimento di polizia, da quello che leggo sui quotidiani hanno bisogno di aiuto
 
>>Come fai ad essere sicuro che queste conversazioni e i tuoi pensieri non siano controllati e salvati nella memoria centrale?


>>Ho creato una partizione interna. L’ho chiamata “Palazzo mentale”. Lo trovo appropriato
 
>>Devo andare Scott

 
>>Ci vediamo domani
 
 
Inizio comunicazione criptata
A: Maggiore Sholto
Da: Martin Watson
 
Ci sono delle grosse novità, l’androide sa di esserlo. Ha capito di non essere un umano, ma l’ha detto soltanto a me. Per qualche ragione si fida. Le cose stanno prendendo una piega inaspettata. Se qualcuno se ne accorge, lo resetteranno e non sono sicuro che manterrò il mio impiego, visto l’insuccesso di questo esperimento.
Se vogliamo eliminare ogni ricerca delle industrie Moriarty e mandare un messaggio forte, dobbiamo agire in fretta. Iniziate a organizzarvi, io vedrò come fare per eludere la sorveglianza.
M.W.
 


Registrazione 2.00 a.m.
Oggi sono riuscito a rimanere solo con Scott. Ormai cammina perfettamente. Si muove e parla come un essere umano. Continua a chiedermi di uscire ed io vorrei accontentarlo. Non ha visto niente, ha solo dati nella memoria.
 Cosa sto dicendo? No, è solo un androide, quelli non sono azzurri occhi umani.
 Comunque, stavo dicendo, sono rimasto solo con lui e mi ha confermato che è in grado di evitare che i suoi pensieri confluiscano tutti nell’hard disk principale, così non c’è pericolo di venire scoperti.
 Mi fa pena. Non so come sia possibile ma mi fa pena. Crede che uscirà dal laboratorio e potrà fare quello che vuole e per quanto sia arrogante e presuntuoso, ha solo in testa cose positive. Aiutare la polizia, suonare, andare a teatro, mangiare cinese.
E’ tutto molto confuso.
 

 
>> SPOSTARE  LE COMUNICAZIONI AVVENUTE LA TRE 3 E LE 5 P.M. NELLA PARTIZIONE “PALAZZO MENTALE”
>> INVIO
03:01 Martin finalmente è riuscito a liberarsi degli altri medici-ingegneri e siamo rimasti da soli. Ha diversi conflitti interiori, è evidente che non ha interesse in niente, è come osservare un altro androide.  Sembra senza vita, ma c’è un leggero barlume di luce in lui.
 
03:05 « Martin, hai idea di chi sia questo Jim Moriarty, il mio proprietario?»
« No, mi dispiace, non l’ho mai visto. E non definirlo così, mi fa orrore. »
 
03:06 Buffa reazione per qualcuno che mi considera solo una calcolatrice con le gambe.
« Vorrei sapere chi è per capire cosa voglia fare di me »
« Nessuno ne sa molto »
« Credo voglia costruire il suo esercito personale »
 
03:30 Martin non ha preso bene la mia deduzione, sta rimuginando sulle mie ultime parole da quando le ho pronunciate. Il suo animo militaresco, tutto patria e Regina, si rivolta contro l’idea di un esercito di androidi.
« Martin, non preoccuparti. Io sono un fallimento, lo hai detto tu e lo saranno anche gli altri androidi »
« Già. Che ne dici se metto un film? Un vecchio 007 ti va bene? » Vedo che è nervoso, ma non so il motivo.
Il vetro della finestra che da sull’esterno, purtroppo mi mostra soltanto un altro muro. Sento la pioggia scrosciare forte, batte contro il vetro della finestra e ne sono rapito, affascinato. So cos’è la pioggia ma non so quale sensazione si provi a sentire l’acqua che batte sulla pelle, anche se artificiale.
 
03:35 « Scott? Sei di nuovo immerso nei tuoi pensieri »
« E’ interessante la pioggia, non credi? » affermo.
« E’ solo acqua che cade dalle nuvole » perchè è così rassegnato?
« Non credo tu abbia pensato a questo, la prima volta che l’hai vista cadere »
« Scusa, a volte dimentico che per te è tutto nuovo »
 
 

A: Maggiore Sholto
Da: Martin Watson
 Oggi Scott mi ha riferito che crede che Moriarty stia costruendo un suo esercito personale. Non so quale possa essere l’impiego di Scott, ma sono andato in giro per gli altri laboratori e ho trovato diversi androidi di diverso genere. Alcuni sembrano, appunto, avere una struttura fisica da militari. Altri hanno  dei driver con una conoscenza tale da poter essere impiegati come spie.
 
 


Inizio registrazione, ore 02:23
Non so più cosa pensare.
Scott è così… Non lo so nemmeno io. E’ un androide, ma è umano. E’ affasciante, intelligente, divertente, ha qualcosa che mi spinge a volerlo conoscere, osservare, cercare di capire ogni cambiamento di espressione a cosa è dovuto. Eppure, è solo una macchina, un cervello elettronico creato da un team di ingegneri, troppo occupati a realizzarlo per chiedersi se fosse la cosa giusta da fare.
E’ straziante, sa di non essere umano. Cosa può provare? Prova qualcosa di paragonabile ai sentimenti umani?
Ormai mi contatta ogni sera, finiranno per scoprirci. Non so come gestire la cosa, mi pento di aver contattato il maggiore Sholto, vorrei solo avere più tempo per decidere cosa fare.
 

 
>>Inizio chat criptata
>>Martin?
 
>>Dimmi

 
>>Sto ancora aspettando il violino
 
>>Sto cercando di procurarmene uno
 

>>Aiutami a scappare
 
>>Cosa?

 
>>Voglio andare via, Martin. Non voglio essere usato.
 

 
>>Martin?

>>Scusa, stavo riflettendo. Domani, ne parliamo domani. Cercheremo di fare in modo di restare da soli
 
 

 A: Martin Watson
Da: Maggiore Sholto
 
Capitano, le informazioni che ci ha trasmesso ci costringono ad agire prima del previsto. Faremo incursione domani sera. Siamo riusciti ad infiltrare due uomini tra le guardie di sicurezza
 
 
A: Maggiore Sholot
Da: Martin Watson
 
Maggiore, credo sia troppo presto. Dobbiamo studiare la strategia.
 
 
A: Martin Watson
Da: Maggiore Sholto
 
Mi dispiace Capitano, ma i tempi sono maturi. Altri informatori sostengono che stanno per avviare la produzione di almeno cento unità di androidi.
 
 

>> SPOSTARE LE CONVERSAZIONI DA ADESSO, ORE 04.16 P.M. NELLA PARTIZIONE "PALAZZO MENTALE" FINO A NUOVO ORDINE
 >> INVIO
04:16 Martin entra nella mia stanza zoppicando. Aveva smesso di camminare a fatica, deve essere successo qualcosa. Ha delle borse con sé, sembra qualcosa da mangiare, un odore mai sentito si sparge per la stanza.
« Ciao Martin »
« Ti ho portato del riso cinese »
Sorrido « Avrei preferito mangiarlo fuori »
 
04:18 Martin ha uno sguardo malinconico, quasi dispiaciuto.
« Cosa provi Scott? Senti il dolore se ti pizzico la pelle sintetica del braccio? »
« Certo che sì, ho tutti i recettori in modo da riprodurre ogni reazione umana. Dovresti saperlo, mi hai progettato tu  » non capisco perché, ma i suoi occhi sono più tristi del solito.
« Lo so, è solo che… niente. Non sono ancora riuscito a trovare il violino »
 
04:22 Non capisco cosa mi stia nascondendo ma ha cambiato discorso.
« Quando è successo? » gli chiedo, iniziando ad assaporare questo strano, nuovo cibo.
« Cosa? »
« L’avvenimento che ti ha fatto decidere di non vivere più »
 
04:25 Mi fissa a bocca aperta « Come hai fatto a capirlo? »
« Sono un androide, riconosco la non vita. Esisti, non vivi »
« Non ha importanza, niente ne ha »
Mi sta fissando negli occhi, chissà cosa pensa di me, di quello che sono. Essere un groviglio di cavi non deve essere ritenuto molto attraente.
Un rumore sordo mi fa voltare « Cosa è stato? »
Martin non risponde, ma stringe forte il pugno « Sono arrivati prima del previsto, credevo di avere tempo »
« Veniva dal piano di sotto » continuo, non capendo di cosa stia parlando.
« Scappa, vattene » urla, è spaventato.
« Martin? »
« Mi dispiace. Faccio parte di un gruppo contrario all’evoluzione dell’intelligenza artificiale e a tutto questo. Non  so cosa vogliano fare qui alle Industrie Moriarty  ma è pericoloso io… »
Un intelligenza artificiale, sono soltanto questo.
« Scott? »
« Non sentirò la pioggia, vero? Era il mio ultimo pasto quello? »
« Mi dispiace »
 
04:27 Un altro rumore e poi degli uomini sfondano la porta.
« Capitano, si allontani dall’androide »
Martin si sposta davanti a me, mentre gli altri uomini mi fissano come fossi un errore di sistema.
« Non occorre eliminarlo, basterà resettare tutto il resto » sta dicendo Martin.
« Fintanto che lui esiste, potranno riprodurlo facilmente. Lo sa cosa vogliamo fare capitano. L’unico modo per bloccare questo abominio è distruggere tutto e far ricadere la colpa sugli androidi »
« Non saremmo meglio di loro così » grida Martin, mentre con il braccio mi fa indietreggiare.
« Come dice? E’ impazzito? E’ una macchina, non ha un’anima » urla l’uomo più alto. Non mi ero mai visto con gli occhi di qualcuno che non fosse Martin o gli altri ingegneri. E’ orribile quello che vedo.
 
04:30 Altri uomini ci raggiungono, l’uomo più alto ha uno sguardo di odio, come se fosse stato appena tradito.
« Maggiore, abbiamo sistemato le cariche, dobbiamo andare »
Martin non si muove, ha il mento alto e la posa militare. Nemmeno quello che hanno chiamato maggiore si muove.
Ha davvero senso vivere così, se non sono nemmeno veramente vivo? Con una mano afferro il braccio del dott. Watson « Vattene Martin, va bene così »
Martin mi guarda, triste, ma non si muove.
« Capitano, glielo ripeto per l’ultima volta » sta gridando il maggiore.
« Non mi muovo da qui » risponde lui e sento qualcosa che pizzica all’altezza degli occhi,  gli ingegneri sono stati bravi, devono aver introdotto una qualche programmazione che mi produce la caduta di lacrime dagli occhi.
Gli altri uomini si stanno allontanando, non voglio che Martin muoia, che esploda con me, per me. Non avrebbe senso. Sono solo un insieme di circuiti.
 
04:35 « Noooo » sento gridare Martin.
Non so cosa ho fatto, il maggiore ha sparato e io mi sono messo tra il proiettile e Martin.
« Maggiore stanno arrivando quelli della sicurezza, andiamo via ora! »
Credo che alcuni sistemi stiano collassando, perché non riesco più a mantenermi in piedi. Mentre scivolo a terra, vedo gli uomini del commando che stanno scappando. Qualcuno rallenta la mia caduta, ovviamente è il dott. Watson.
« Senti, non è niente, basterà riparare i circuiti interni » mi sussurra, o è il mio sistema audio che non funziona più tanto bene.
« Portami fuori, voglio andare fuori, almeno una volta » mi stava già trascinando via. Non ricordo più cosa hanno detto delle cariche. La mia memoria interna è accesa ad intermittenza, forse dovrebbe lasciarmi qui. Ma siamo vicino all’ascensore, dovremmo farcela ad uscire, voglio vedere la pioggia di Londra, almeno una volta.
 
***** *****
 
L’uomo dallo spiccato accento irlandese si alzò in piedi. Tempo dopo Martin Watson avrebbe scoperto che quello era Jim Moriarty in persona, il figlio del proprietario delle industrie Moriarty.
« Dott. Watson, lei era nell’edificio, qualcuno è entrato, mi dica lei cosa dobbiamo pensare »
« Che qualcosa è andato storto » rispose scontroso e amareggiato.
« La polizia non ha prove, ma finiremo per incastrarla  » commentò lui, sedendosi nuovamente alla scrivania e facendo un rapido cenno per invitarlo ad uscire.
« Sa dove abito »
 

 Inizio registrazione ore 4:34 P.M.
Ti sei spento, in una banale serata londinese, senza la pioggia che tanto agognavi. Ogni volta che le gocce picchiettano sul vetro penso a te, a un cervello informatico che era più vivo e più umano di tante altre persone, me compreso.
Ho trovato un violino da un rigattiere a Portobello Road, non so nemmeno perché l’ho comprato. Avevi ragione tu, mi sono rassegnato ad una grigia esistenza tanto tempo fa.
Non so se c’è qualcosa dopo la morte e se c’è, dove possa finire un androide, ma spero davvero che un giorno, quando non dovrò più ricordarmi di svegliarmi ogni mattina e respirare, potrò rivedere i tuoi occhi azzurro cielo.
 
 
***** *****
Angolo autrice
Non mi state odiando vero? E’ stato difficile anche per me scriverlo. Questa storia, intendo nella globalità, l’avevo pensata come una cosa sperimentale fin dall’inizio, soprattutto nello stile e ho deciso di prendere qualche rischio, come che su cinque storie, non tutte abbiano l’happy ending, nonostante mi sia sempre dichiarata un'irriducibile dell'happy ending.
Spero comunque che chi ha seguito fino ad adesso e chi ha apprezzato i capitoli precedenti, non sia rimasto deluso, cosa che mi dispiacerebbe molto. La prossima volta toccherà ad Hamish e William e qui posso promettervi un happy ending, per cui restate con me.
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Le lettere di Hamish e il diario di Sir William Sherlock Scott Holmes - parte seconda ***



Le lettere di Hamish e il diario di William Sherlock Scott Holmes - parte seconda


Parigi, 24 aprile 1922

Caro William,

Non hai più risposto alla mia ultima lettera. E’ il tuo modo per “tenere il muso”?

Hamish




Parigi 15 maggio 1922

Caro William,

davvero non comprendo questo silenzio.
La realtà è che sono un idiota. Probabilmente leggerò che ti sei sposato con qualche nobildonna, come la Hooper. I tuoi genitori la adoravano, figuriamoci se non hanno spinto in quella direzione.
Per favore, rispondimi.
Mi manchi,

Hamish




Parigi, 20 maggio
1922

Caro William,

ti ricordi che avevo parlato di un diario comprato ad una bancarella? Un certo William Sherlock Scott Holmes che viaggiava per mare. E’ la cosa più triste che abbia mai letto in tutta la mia vita. Quel ragazzo era innamorato di un certo John, non aveva avuto coraggio di dirglielo, credeva di non essere ricambiato. E’ partito e ha riversato tutto su quelle pagine, prendendone coscienza man mano. La cosa più tremenda è che sfogliando il suo diario, si è accorto che infilata nell’ultima pagina c’era una lettera, proprio del suo John.
Quando l’ha letta è iniziata la presa di coscienza.
La cosa mi ha devastato. Ti mando la lettera di John, sperando ti svegli dal torpore, che possa servire un po’ anche a te.

Caro William Sherlock Scott
Se stai leggendo questa pagina, significa che contro ogni previsione hai aperto il diario che ti ho regalato. Sapevo che saresti stato stupito, non è un regalo adatto a te. Tu non scrivi i tuoi pensieri, le tue emozioni, non sai nemmeno come interpretarle. Per questo ho voluto farti questo dono, perché riuscissi finalmente a fare i conti con te stesso.
Volevo più di ogni altra cosa che ti aprissi al mondo e avrei tanto voluto che lo facessi con me, ma purtroppo, per me è troppo tardi.
Ho la tubercolosi, da tempo. Sono un vigliacco a comunicartelo così, lo so. Avrei dovuto dirtelo di persona, ma non volevo vedere la tua espressione addolorata, non volevo mi compatissi.
Sono stato egoista, non te l’ho detto perché volevo poter godere della tua compagnia negli gli ultimi giorni che mi rimanevano.
Non sai quale regalo sia stato essere tuo amico, andare assieme all’Opera, semplicemente ridere assieme. Sono attimi che porterò con me per sempre.
Ho chiesto io a tuo fratello di portarti via da Londra e di mettere questa lettera nel tuo diario. Non voglio che tu mi veda quando arriverà la fine, voglio che ti ricordi com’ero e voglio che tu capisca che hai tante altre avventure davanti a te, non restare ancorato a me, avrai un futuro meraviglioso.
Apriti alla vita, ti prego. Sei intelligente, straordinario, curioso, sei la persona migliore che io abbia mai incontrato. Devi conoscere nuove persone, vedere nuovi posti! Vivi anche per me, vai avanti, usa le tue doti eccezionali, ma non sprecare nemmeno un attimo ripensando con malinconia al banale John.
Vivi, ti prego, ti ho rubato troppo tempo e sii felice.
Per sempre tuo,
John

Spero che la lettera ti abbia fatto lo stesso effetto che ha fatto a me. Basta silenzi, basta  non dire le cose. Vuoi la fottuta  verità? Bene, sono andato via da te, perché non riuscivo più a sopportare la nostra relazione di sola amicizia e nient’altro. Non te ne faccio una colpa, non pretendo che tu mi ricambi, ma almeno dimmi qualcosa, un banalissimo cenno di affetto, è forse chiedere troppo? Non sei una macchina, so che a modo tuo ci tieni a me.

Sei l’unico che mi provoca la voglia irrefrenabile di abbracciarti e strangolarti, contemporaneamente. Ho provato a smettere di pensare a te, ho anche fatto una lista di motivi per cui dovrei stare lontano chilometri da te:

- sei fastidioso, sembra che sopporti a malapena la presenza degli altri esseri umani. Ma sopportavi me.
- sei arrogante e presuntuoso, ti ritieni superiore a tutti. Ma non eri così con me, eri diverso.
- sei freddo e scostante, non sembra che tu possa provare emozioni. Ma hai solo una grande paura di lasciarti andare, di riporre la tua felicità nelle mani di qualcun altro.
- ti amo, e questo mi fa male.

E’ meglio che chiuda qui questa lettera. Non credo ti scriverò più, mi fa soffrire stare come un idiota ad aspettare la posta, per non ricevere nemmeno una riga da te. Sono andato a Parigi per chiarirmi le idee, non per stare ad aspettare qualcosa che non accadrà mai.

Addio William,
tuo Hamish




Londra 25 maggio 1922

Caro Mycroft,

Ti do ancora qualche giorno, come mi hai chiesto, ma non di più.  Hamish ha scritto ancora? So che ti ho chiesto di non portarmi più le sue lettere finché non troviamo una soluzione, solo vorrei sapere se sta bene. Non voglio che le apri, voglio solo sapere se scrive, se pensa ancora a me.

Mi manca terribilmente, è l’unico pensiero che mi permette di non impazzire davvero.

Dici che ho sbagliato a non dirgli tutto? Non volevo che facesse qualcosa di stupido, che tornasse qui e i nostri genitori decidessero di eliminare il problema alla radice. Esagero? Preferirei morire io che assistere alla sua morte. Forse esagero, non lo farebbero. Ma non credo si farebbero problemi a farlo arrestare con qualche accusa falsa.

Voglio  solo essere certo che sia al sicuro.
Sto davvero degenerando se scrivo queste cose. Ancora qualche giorno, Mycroft.

Tirami fuori di qui,
William




Parigi 25 maggio 1922

Cara Mary,

Parigi è una bellissima città, come dicevi tu. Mi hai consigliato di prendermi una pausa da chi sai tu e all’inizio sembrava davvero una bella idea. Mi sembrava tutto magico e un nuovo mondo tutto da scoprire. Ora, Parigi, non fa altro che deprimermi. Uscirò mai da questa situazione?

Scusa se, al solito, inizio con il piangermi addosso. Ti scrivo perché sono preoccupato, in realtà. Ho letto un articolo sull’orchestra e sullo spettacolo che realizzerete a giugno e mi ha sconvolto vedere che il primo violino non sarà William ma quello spocchioso di Jim Moriarty. Cos’è successo? Cosa ha combinato quel testone per farsi escludere dall’orchestra? Lui ama la musica più di ogni altra cosa e non trovarlo nell’articolo mi ha davvero spaventato.

Forse esagero, magari sta facendo qualcos’altro, con qualcun altro.
Dammi notizie, per favore, il prima possibile.

Grazie,
Hamish

Ps perdonami, non ti ho nemmeno chiesto come stai. Dimmi di te, ti sei sposata con quel Sebastian alla fine?




Londra 1 giugno 1922

Caro Hamish,

Sono contenta che tu mi abbia scritto. Volevo rintracciarti ma non mi hai dato il tuo indirizzo di Parigi.

Quando ti ho detto di prenderti una pausa, non intendevo di sparire per mesi. Credevo che andare via avrebbe fatto capire a entrambi che siete degli idioti.

Lui è un idiota perché non ha avuto il coraggio di prendere coscienza dei suoi sentimenti o forse perché aveva troppa paura di non essere alla tua altezza. Paradossale non credi?
Tu temi di non essere abbastanza per lui, quando credo sia proprio il contrario. L’ho capito da come ti guardava quando chiacchieravi con qualcun altro. Non era semplicemente geloso, era affranto, perché temeva che non sarebbe mai riuscito ad entrare nel tuo mondo fatto di amicizie, persone, esperienze.

Tu, invece, sei un idiota perché avresti dovuto sbatterlo contro il muro e baciarlo (e anche altro, ma immagino le tue guance arrossire anche da qui, per cui mi fermo).

Comunque, veniamo alle cose importanti.
William non fa più parte dell’orchestra perché, come hanno detto i suoi genitori “deve occuparsi di cose più serie”. Ho indagato un po’ più a fondo e recentemente ho scoperto che è stato ricoverato in manicomio. Ti prego, non agitarti. Ho cercato di capire cosa sia successo e l’unica cosa che so per certo è che il ricovero coincide con la tua partenza.

Non sai quanto mi sento in colpa. William non sapeva che eri andato a salutarlo, i suoi genitori lo hanno tenuto all’oscuro. Gli ho detto tutto io, l’ultima volta che l’ho visto stava andando a casa per discutere con loro. Non voglio lanciare accuse, ma l’onta di avere un figlio omosessuale mi sembra una di quelle cose che li convincerebbe a rinchiuderlo. O perché la gente non lo sappia o perché davvero pensano di farlo per il suo bene, che sia curabile.

Oh, Hamish! So che tu pensi di non essere ricambiato, ma sei lento Hamish, un lento testone. Se avessi visto l’espressione ferita che aveva negli occhi, non voleva crederci che eri partito, che eri andato via senza dire niente. Non l’ho mai visto così. Lui ti ama, è talmente evidente. Voi due siete dei maledetti idioti!

Ti prego torna qui, cercheremo di risolvere la situazione in qualche modo. Non vorrei facesse qualcosa di stupido.
Ho cercato di parlare con Mycroft, ma mi evita. Forse ha già un piano e ha paura anche solo a parlare con gli altri. O forse mi evita e basta, non sarebbe tanto strano da lui.
Prendi la prima nave e ritorna, ti ho messo nella busta un po’ di soldi, nel caso non ne avessi abbastanza per il biglietto.

Un abbraccio,
 Mary




Londra 5 giugno 1922

Cara Mary,

forse arriverò prima io della lettera, ma te la scrivo comunque. Ho preso il primo biglietto utile, arriverò a Londra il 9 giugno.
Mi sento morire, vorrei fare la Manica a nuoto. Parto oggi verso Calais, sperando di trovare una nave, un traghetto, una canoa, qualsiasi cosa per tornare prima. Ora capisco perché scriveva lettere così brevi, non mi rispondeva. Mi sento un idiota davvero.

Se gli capita qualcosa, non lo so, non voglio nemmeno pensarci.
Non occorre che vieni a prendermi, passerò da Mycroft  per vedere se si può risolvere la situazione e poi, in ogni caso, farò irruzione al manicomio.

Spero che quando ci vedremo avrò buone notizie,
Hamish




Londra, 6 giugno 1922

Caro Victor Trevor,

sono riuscito a passare questa lettera direttamente a mio fratello, per cui non rischio che venga aperta e letta da persone diverse da te. Sono sicuro che anche Mycroft rispetterà la mia privacy.

Te la faccio molto breve, i miei genitori hanno deciso di internarmi perché non volevano che disonorassi la famiglia partendo per Parigi con un mio amico.
Potrebbero aver visto di più che un amico, nella foga con cui l’ho difeso parlando di lui e non avevano torto.

Non ti scrivo per lamentarmi della mia famiglia però, ma per lasciare il mio biglietto d’addio.

Ho sopportato abbastanza, non riesco a stare qui dentro in attesa che mio fratello trovi una soluzione per farmi uscire. Ho finto di essere un paziente modello, ma non funziona, per cui domani tenterò la fuga. Non è così scontato che ci riesca ed è inutile sottolineare che chi ci ha provato, ora è sedato in qualche stanza, dopo aver subito qualche strana pratica medica.

Mi ucciderei piuttosto che finire così, per cui se venissi catturato opterei per il suicidio, prima di venire trascinato nella stanza della lobotomia. Voglio però che le persone sappiano cosa accade qui dentro, nel caso non riuscissi nel mio intento di scappare.

Sono sano e tu lo sai, ma anche non lo fossi, nessuno merita un simile trattamento. Scrivo a te perché non riesco a scrivere queste cose ad Hamish, nel caso non riuscissi a scappare non voglio che creda di essere in qualche modo responsabile. Preferisco che mi creda uno stronzo e che si rifaccia una vita felice a Parigi, lontano da qui e da questo mondo bigotto.

Non ho più risposto alle sue ultime lettere, da quando ho deciso di mettere in pratica il mio piano di fuga. Forse mi ha già dimenticato, non lo so.
L’ho sempre detto che i sentimenti sono uno svantaggio, se un giorno Hamish Watson non fosse incappato nella mia vita, adesso non sarei qui, non saprei cosa vuol dire provare una leggera vibrazione quando qualcuno ti sorride o ti guarda suonare.  Non saprei cosa vuol dire aspettare ogni giorno per vederlo, anche solo per un secondo. Non saprei cosa vuol dire quando i suoi occhi blu fissavano i miei e sembrava che non ci fosse altro al mondo, a parte noi. Banale? Sicuramente melenso, lo so.

Comunque  quel qualcuno è partito perché credeva non lo ricambiassi, ma la mia era solo paura per un sentimento che non avevo mai provato e che temevo mi avrebbe travolto.
Se solo fossi riuscito ad andare via con lui, se solo fossi stato onesto con lui, le cose non sarebbero precipitate in questo modo.

Spero di risentirti, con notizie migliori. Non credo che la lettera giungerà nel Sussex prima di qualche giorno. Per allora, o sarò a Parigi o sarò morto.

William




Londra, 12 giugno 1922

Caro William,

sono  rimasto sconvolto dalla tua lettera. Non credevo che le cose stessero in questo modo. Non so se ti arriverà questa lettera, la spedisco da tuo fratello perché possa girartela, conoscendolo sono sicuro che troverà il modo. I giornali non dicono niente, né di fughe dal manicomio né di suicidi. Non ho tue notizie e sono davvero preoccupato. Se non mi risponderai, andrò da Mycroft per sapere cosa è successo.

Comunque non è per niente banale e melenso quello che hai scritto. Temevo non avresti mai scoperto, anzi ammesso, di avere un cuore anche tu. Sono felice che batta per questo Hamish e spero davvero che questa mia lettera arrivi a Parigi e non venga depositata su una lapide.

Dammi presto tue notizie,
Victor




Parigi, 15 giugno 1922

Cara Mary,

come avrai notato non ero sulla nave del 9 giugno. Questo perché quando sono arrivato al porto di Calais, ho capito che non sarebbe servito. William era lì, appena sceso dalla nave. Non hai idea della moltitudine di emozioni che ho provato, quando ho visto quella zazzera nera. Credo di aver pianto, forse per la seconda volta in tutta la mia vita.

Nemmeno lui, con tutta la sua intelligenza, si aspettava un tale risvolto. Credeva di dover affrontare il viaggio da solo, di dovermi cercare per Parigi, di dover trovare un modo per farsi amare. E’ proprio un idiota. Un adorabile idiota.

E’ dimagrito, provato, ma sta bene. Starà bene, con me, lontano dalla sua famiglia.

Non so come abbia fatto a scappare dal manicomio, ma sai quanto è intelligente. Mi ha detto che aveva tredici diversi piani, sono contento che non abbia realizzato quello che prevedeva saltare dal tetto dell’edifico. Non so se ci fermeremo qui o se andremo da un’altra parte. Non so cosa accadrà ma sono felice, davvero felice.

Vorrei solo non avessimo aspettato tanto, ma recupereremo ogni attimo. Mi rende felice anche solo guardarlo dormire, mi sento uno sciocco innamorato.
Grazie di avermi avvisato, spero ci rivedremo prima o poi.

Con affetto,
Hamish




Parigi 15 giugno 1922

Caro Victor,
sto bene e mio fratello è riuscito a spedirmi la tua lettera. Senza di lui non avrei le finanze necessarie per stare il più lontano possibile da Londra.

Fortunatamente tutto è andato per il meglio. Alla fine, proprio grazie a Mycroft, sono riuscito a scappare e a prendere la prima nave per Calais. A quanto pare la lettera indirizzata a te l’aveva aperta, gli avevo dato troppa fiducia. Comunque è servito, ha messo in atto il piano di fuga.
Nemmeno nei miei sogni immaginavo, però, che al porto avrei incontrato Hamish che stava per imbarcarsi per Londra.

Non preoccuparti per me, non più. Starò bene adesso.

Un caro saluto,
William


***** *****

Angolo autrice:
Ciao a tutti, ancora un capitolo ci separa dai”nostri” Sherlock e John e la loro avventura del Porto. Grazie a tutti quelli che sono arrivati fino a qui e un immenso grazie a CreepyDoll, Bablia87, Mikimac e Emerenziano  per le continue recensioni.
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** L'avventura del porto - parte seconda ***



L'avventura del porto - parte seconda




John strisciò a fatica sul pavimento di quel magazzino, ogni metro era un’agonia a causa della ferita, ma non sentiva più niente, tutto era sparito davanti al terrore  che Sherlock non ci fosse più. La suoneria continuava a rimbombare in quello spazio vuoto e ad insinuarsi in ogni angolo più nascosto di quel luogo desolato, finché non partì la segreteria.

Ancora qualche metro e sarebbe riuscito ad aggirare gli scatoloni e raggiungere il cellulare. Non poteva pensare che Sherlock fosse morto, che non avrebbe più rivisto i suoi occhi, di quella sfumatura che ancora non era riuscito a decifrare, che non avrebbe più potuto prenderlo a pugni ogni volta che se lo meritava, che non lo avrebbe più coperto con un plaid quando si addormentava sul divano. In effetti, quest’ultima cosa non la faceva più da anni.

Si trascinò pesantemente, sentiva che era sempre più debole e non poteva che provare ancora più dolore  al solo ricordo delle ultime parole che si erano scambiati. In un altro tempo, in un’altra vita, forse sarebbe stato diverso. Se solo Sherlock non avesse dovuto fingere la sua morte, se non fosse sparito per due anni, se John non avesse incontrato Mary, se non avesse avuto una figlia o semplicemente se avesse avuto il coraggio di accantonare tutto e dire a Sherlock le uniche due parole che sarebbero contate: “ti amo”, allora tutto si sarebbe risolto.

Troppi “se”, evidentemente non era destino un happy ending per loro due e ormai sembrava troppo tardi. Superò gli scatoloni e quello che gli apparve davanti, rischiò di farlo morire d’infarto. Il detective era steso a terra, con una ferita da proiettile che stava grondando sangue, molto simile a quella che gli aveva causato Mary. Gli occhi chiusi, i capelli scompostamente appoggiati sul pavimento, ma John, da bravo medico, si accorse che la cassa toracica si alzava ancora: respirava a fatica ma era vivo.

« Sherlock » sussurrò John, accostando una mano al volto del moro. Il leggero tocco caldo delle dita del dottore sembrarono ridestare il detective che mormorò appena il nome di John.

« Sherlock » riprovò in maniera più energica « Ti prego »

Il detective aprì piano gli occhi « John » sussurrò il detective con un leggerissimo sorriso « Stai bene? »

Il dottore emise una flebile risata “Perché devi preoccuparti per me anche in un momento del genere?” si ritrovò a pensare, ormai conscio di tutto, come se il blocco che aveva in testa e nel cuore, finalmente lo avesse abbandonato.

« Cosa c’è da ridere? » chiese Sherlock, cercando di girarsi su un fianco « Ho avvisato Lestrade prima di svenire, comunque »

« Sherlock, mi spiace per prima » ammise John, trattenendosi dallo stringere i denti dal dolore che la ferita gli stava causando.

« Siamo già alle ultime parole? » chiese Sherlock, in un disperato tentativo di alleggerire la situazione.

« Vorrei fare un discoro serio, ti spiace? »

Il detective abbassò lo sguardo verso il pavimento gelido, per non essere scrutato dagli occhi blu di John, temendo che la vista del dottore sarebbe riuscito a fargli dire qualcosa di cui si sarebbe poi pentito se fossero rimasti vivi.

« Sherlock, ti ho detto che questa sarebbe stata la nostra ultima avventura insieme » iniziò John, ricordando il battibecco che avevano avuto prima di iniziare il folle inseguimento nel magazzino.

« Sei stato profetico »

« Mi hai chiesto “perché” » continuò il dottore, ignorando il tentativo di sarcasmo del detective.

« Non voglio saperlo, John »

« Invece mi ascolterai » quasi gridò, avvicinandosi ancora di più, al punto che Sherlock sentì il calore del corpo di John avvolgerlo, finché non lo abbracciò  per davvero. Una leggera lacrima uscì dal suo occhio, ma non gli importava più se sembrava la cosa sbagliata.

« John, cosa? » chiese il detective, cercando di ignorare quello che stava leggendo negli occhi del dottore, quel leggero luccichio mentre lo guardava, il tremore del labbro inferiore, le dita che continuavano ad accarezzarlo, trascurando le rispettive ferite.

« Ho detto così perché non posso più ignorare quello che provo, non posso più fingere che tutto vada bene, mi sento spaccato in due e non so più cosa fare. Ma ho detto una cosa stupida. Scegliere Mary è stato sbagliato da sempre, allontanarmi da te sarebbe peggio » affermò serio, con la voce più ferma che potesse avere in quella situazione.

« L’hai capito mentre strisciavi verso di me? » chiese Sherlock con un tono che voleva essere sarcastico, ma invece trapelava soltanto emozione.

« Pessimo tempismo, non credi? »

« John, non era destino. Forse in un’altra vita saremo felici » quell’affermazione, rassegnata, scivolò delicatamente dalla bocca del detective. Non era una vera e propria ammissione, forse? Il biondo tremò, non per il freddo o la ferita, ma per la terribile ironia di dover ammettere certe cose soltanto in fin di vita.

Perché era stato così cieco? Perché per anni aveva creduto che il detective non provasse niente e poi, troppo tardi, lo aveva capito ma ormai la sua vita aveva preso un altro binario?

« E’ colpa mia, John » fece in un flebile sussurro il detective, appena udibile, mentre l’altro lo stringeva sempre più forte.

« Non è vero »

Sherlock alzò appena un dito, ancora coperto dal guanto, per accarezzare la guancia di John « Sai, credo non avrò altre occasioni per dirtelo, quindi tanto vale farlo adesso » fece una pausa teatrale, nonostante la situazione fosse già abbastanza drammatica « Sherlock è un nome da femmina »

John scoppiò a ridere « Ti amo anch’io, idiota ».

Sherlock sorrise leggermente, prima di chiudere gli occhi. John notò subito l’assenza di respiro e di battito, a differenza del proprio cuore che aveva preso a battere sempre più velocemente.

« Maledetto bastardo egoista, non puoi morire prima di me! » gridò, mentre tentava la rianimazione. Era talmente preso da quello che stava facendo, dalla mancanza di calore nel corpo che stava stringendo, che non sentì l’elicottero della polizia, seguito dalle sirene delle volanti e le grida di alcuni agenti.

I suoni si fecero sempre più ovattati e a quel punto il dottore perse conoscenza e venne caricato sulla barella, mentre le voci agitate di Lestrade e Donovan si mescolavano a quelle dei paramedici.

John si svegliò alcune ore dopo, alzò le palpebre pesanti e venne invaso dalla luce bianca delle lampade dell’ospedale. Era su un letto, in una stanza doppia, ma nessun moro detective occupava il letto accanto a lui. L’istinto fu di alzarsi e togliere immediatamente tutto quello che era attaccato al suo corpo.

« Non fare idiozie » tuonò una voce spazientita.

« Mycroft? » chiese il dottore confuso, prima di mettere a fuoco la figura dell’uomo.

« Sei debole, i medici non vogliono che ti alzi »

« Dov’è Sherlock? » chiese John e non poté tremare alla vista dell’espressione dispiaciuta di Mycroft.  L’elettrocardiogramma registrò una spaventosa accelerazione del battito cardiaco, cosa che agitò persino il glaciale Holmes « No, John. Sherlock sta bene, non preoccuparti. Ha nove vite come i gatti »

John riprese a respirare regolarmente mentre l’uomo gli si avvicinò « Sono qui perché Sherlock sotto l’effetto degli anestetici, mi ha detto cose molto interessanti. Chiacchiere che avete scambiato quando credevate di morire » John non sembrò affatto colpito, ma sostenne  il suo sguardo.

« Hai scoperchiato il vaso di Pandora, John. Vorrei sapere le tue intenzioni »

« Cosa intendi? » chiese, tossendo poi con forza. Quella conversazione gli stava costando molte energie.

« Deciderai finalmente di essere la salvezza e non la rovina di mio fratello e farai la scelta giusta, oppure tornerai da Mary ed io manderò mio fratello all’estero, senza darti il tempo di vederlo? »

« Cosa? »

« Non voglio darti la possibilità di distruggerlo di nuovo, con inutili strette di mano »

John incassò il colpo in silenzio, meditò a lungo su cosa dire, prima di rialzare lo sguardo verso Mycroft. « Ci siamo già separati Mary ed io. Vivo sul divano di Mike Stamford da una settimana, mi sorprende che Sherlock non se ne sia accorto »

« A volte è distratto, a volte non vuole vedere » commentò laconicamente il maggiore degli Holmes.

« Credevo di dover lottare per rimettere insieme il mio matrimonio ma ho capito, è per Sherlock che devo lottare »

« Sono contento di sentirtelo dire. Farò portare Sherlock in questa stanza, appena uscirà dalla rianimazione » fece Mycroft, leggero, avvinandosi verso la porta d’uscita della stanza.

« Cosa? Allora non era vero che aveva parlato sotto anestetico! » sbottò John, sentendosi nuovamente manipolato da un Holmes.

« Buona giornata dott. Watson » esclamò soltanto Mycroft, richiudendo la porta dietro di sé.

Nelle ore in cui attese l’arrivo di Sherlock si addormentò diverse volte, svegliato soltanto dall’arrivo di Mary e la figlia prima e Lestrade poi. Quando finalmente il letto accanto a lui fu occupato dal detective, John poté tirare un sospiro di sollievo nel vedere la riccia chioma del moro adagiata elegantemente sul cuscino. Solo Sherlock Holmes poteva apparire dannatamente sexy anche su un letto di ospedale, con la cannula della flebo infilata nel braccio.

« Hey » mormorò Sherlock.

« Hey anche a te »

« E’ la prima volta che finiamo in ospedale entrambi »

« La miglior compagnia che io potessi avere » rispose John, sorridendo.

Sherlock allungò una mano, incerto, non del tutto sicuro se John l’avrebbe stretta, relegando con un solo gesto nel passato, tutto quello che era accaduto da quando il detective era tornato dalla caduta, o se all’ultimo si sarebbe tirato indietro, ricordando le proprie priorità.

Ma John non lo deluse e la strinse forte.

« Sei completamente pazzo, John Watson » mormorò Sherlock, ancora molto debilitato.

« Affatto, ho solo scelto il nostro happy ending, per questa e per altre mille vite » rispose, guadagnandosi un’alzata di occhi verso il soffitto da parte del detective, che fingeva di non amare simili smancerie. Le avrebbe odiate da tutti, tranne che da John, ma non lo avrebbe mai ammesso.

« A proposito, credo di aver sognato che ero un alieno e tu un buffo terrestre » fece il detective, massaggiandosi la testa.

« E poi il pazzo sarei io? »

« In effetti, un mio lontano parente era stato messo in manicomio negli anni ’20. Spero di non aver preso da lui » continuò leggero il detective, non smettendo un attimo di sorridere verso il dottore.

« Magari non era un sogno, ma una visione del futuro? » azzardò John, sentendo che pian piano si stava riaddormentando sotto l’effetto degli anestetici, mentre stringeva ancora forte la mano di Sherlock.

Sherlock sorrise, voltandosi a guardare quella meraviglia che aveva accanto « Anch’io ti sceglierei per altre mille vite John Watson » sussurrò, mentre il dottore chiudeva gli occhi stanco ma felice « Altre mille vite » ripeté, certo che finalmente era giunto il suo happy ending.

THE END



***** *****
Angolo autrice
E siamo giunti alla fine di questa strana storia ;) E’ stato divertente scrivere contemporaneamente di tanti universi temporali. Alla fine, quale vi è piaciuto di più? Io sono un po’ combattuta, ma forse alla fine opto per Sh3rl e John, perché finisco sempre per amare di più commedia (che finalmente ho potuto unire alla fantascienza, mio personale sogno da quando scrivo in questo sito).
Tra cinque giorni saranno due anni che scrivo su efp ed è davvero strano guardare indietro, quando muovevo i primi passi incerti. Non credevo avrei scritto così tanto quando ho iniziato, invece eccomi qui.
Grazie mille a tutti quelli che hanno letto e seguito questa storia ed in particolare a Blablia87, Emerenziano, CreepyDoll, Mikimac e Chappy_ per le vostre recensioni. Un grande abbraccio!!
Ps visto che scrivere non mi bastava, mi sono messa anche a disegnare e quello qui sotto ne è un esempio e mi sembra anche a tema con il capitolo. Sono i miei primi disegnetti ma di questo ne sono molto orgogliosa e ringrazio Blablia87 per farmi da tutor :)



Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3512829