Le sensazioni che non si raccontano

di ness6_27
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Tremore ***
Capitolo 3: *** Inquietudine ***
Capitolo 4: *** Ansia ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Non riusciamo a metterci proprio mano, eh?

















 

Tremore.

Inquietudine.

Ansia.

Malessere.

Oppressione.

 

Anche se non ne caviamo un ragno dal buco.

















 
Dedicato a un gatto siberiano che non hai mai compreso, o voluto comprendere, queste parole.

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Capitolo 2
*** Tremore ***


<< M-ma adesso ci p-pensi che non so cosa s-succederà? >>

<< Non pensare ora. Devi solo avere la forza per salirmi a cavalcioni sulla schiena. >>

I due cercarono di afferrarsi a vicenda le mani, che scivolavano madide di sudore come fossero sapone. Qualche pezzo di vetro piantato nella carne dell’accasciato a terra rendeva il tutto più doloroso. Ogni stretta mancata scarnificava un lembo di pelle, e catalizzava i brividi di uno, e la fretta dell’altro.

<< Ti prego...alzami di peso...r-riuscirò a sorreggermi e ad aggrapparmi, ma non riesco...ad alzarmi... >>

<< Fai piano. Appoggiati al tavolino o al divano. >>

Una volta usciti, il solido e brullo cemento armato che li circondava in quei palazzi di periferia trasportava insensibile una statica luce dal colore ambrato, che nel cemento rendeva in un cachi proprio vomitevole.

Quella luce penetrò forte negli occhi del delirante, che non riuscì nemmeno a rimanere aggrappato.

Continuava a passargli le mani nella faccia insanguinata dal naso rotto. Aveva qualche altra ferita verso il basso: uno squarcio all’addome, uno stinco rotto. Era ridotto fin troppo male.

Tremava.

<< Vedi di muoverti, cazzo! >>

<< Ma dove p-pensi che possa andare ormai?! Non riesco nemmeno...a stare fermo. Sto tremando vero? Non me ne sto accorgendo, ma sono un fascio di nervi. E sento freddo... >>

<< Smettila! Stai tremando solo...solo perché ci siamo cacciati in questo casino! Tu credi che io non stia tremando in questo momento? È l’adrenalina, la paura, i colpi martellanti che mi sento in petto che mi fanno perdere la concentrazione, mi fanno parlare in questa maniera impazzita. Non riuscirei nemmeno a darti uno schiaffo, sbatterei la mano per terra! Guardami in faccia, ti sembro calmo o rilassato?! >>

Quello che si poteva vedere era una smorfia, un sorriso a trentadue denti che falliva nel suo tentativo di sembrare quanto meno addolcito o sincero. L’aria che passava tra i denti stretti produceva un fischio assordante che nessuno dei due riusciva però a cogliere, tanto il sangue alla testa. Gli occhi rossastri, sbarrati, una chiazza scura al centro.

<< È l’ebrezza! In questo momento siamo così euforici che potremmo alzarci in aria, toccare quella luna placida in cielo! Per questo stiamo tremando! Perché stiamo assaporando talmente tanta vita che la fisica ora come ora ci raccomanderebbe pure! >>

Quelle parole non sembravano sufficienti a calmarlo. Tanto più lui cedeva, più l’altro lo scrollava per la giacca.

<< Devi credermi! Prova a pensarci un attimo...la prima volta che hai combinato una cazzata nella tua vita? Come ti sentivi? Potente, no? Avresti potuto conquistare il mondo con la punta delle dita, sentivi direttamente l’aria che inspiravi andare a ossigenare il sangue che poi sarebbe andato a sbatterti freneticamente nelle tempie. Prova a ricordare una scena simile, a immaginarla...e guardati le mani. Tremano, no? Proprio perché c’è più vita in noi quando tremiamo che in qualsiasi altro momento! Il primo bacio, la tua medaglia, la prima scopat...no che dico! ogni scopata nella tua vita! Cosa facevi l’attimo prima? Tre-ma-vi! >>

Con la mano sporca e tremolante, lo tirò a sé, verso il basso, e gli sussurrò

<< T-tu lo sai che non è così. La vita è...routine. E tremiamo quando ci spingiamo un po’ più in alto...io tremavo perché mi sono spinto più in alto della vita. Ma ormai...non tremo p-più. >>

 
 

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Capitolo 3
*** Inquietudine ***


Penso proprio che non c’era completamente altra cosa da fare: dovevo per forza lasciare quella casa. So che tutto si è basato sul nulla, sul suono da moneta di rame che ha fatto una moneta d’argento cadendo. Ma avrei dato di matto rimanendo lì dentro un secondo di più.

Se vuoi ti spiego perché l’inquietudine mi avrebbe distrutto l’animo.

Aspettavo il proprietario di quella casa alle 10 in punto di una mattina, orario dell’appuntamento che avevamo fissato. Fissavo come il rossiccio scarlatto del sole colpiva quei blocchi di pietra ormai scarnificati e ormai sbiaditi dal tempo. Il portone, martoriato dal tempo, esprimeva tutto il suo dolore mostrando squarci nel legno mangiato dal sole in macchie scolorite. Una smorfia non umana, felina, distorta, continuava a fissarmi con gli occhi ramati vacui nella loro fissità, e mi mostrava una lingua arrugginita. Intorno, un pomello ferroso faceva da corona per questo batacchio di cattivo gusto, ormai funzionalmente sostituito dai moderni campanelli elettrici, ma rimasto lì per estetica, per mettere sull’attenti, per non far perdere compostezza. Si divertì a farlo sbattere l’altrettanto disturbante proprietario una volta che finalmente si decise a non farmi più aspettare e varcare la soglia. Il suono che faceva non era metallico, ricordava i ceppi di legno battuti da un grosso peso. Una testa, magari.

Il sistema di volte a botte sarà un sistema all’antica sicuramente efficace e sicuro, ma faceva ribrezzo replicato in quella stanza di ingresso, a malapena illuminato da una lampadina a incandescenza racchiusa in un turbinio di fronzoli di metallo a mo’ di lampadario di dubbio gusto, che dava uno sprazzo insensato di beige a tutto, pure alle mattonelle azzurro spento contornate da liane gialle e spazi bianchi.

<< Mattonelle provenienti da Caltagirone! >>

<< Non ne avevo dubbio... >>

<< Al vecchio inquilino non piacevano affatto, sa? >>

Le scale a chiocciola erano di un marmo bianco sporco che contribuiva a farti girare la testa quando, al momento di poggiare il piede, vibrava tutta la rampa. Apparte questo, la casa era in apparenza vivibile. All’apparenza. Le prime due settimane furono passate nel dubbio che l’incessante ticchettio che alcune notti fino anche alle tre sentivo fossero un nefasto presagio o semplicemente una tubatura rotta. Ci misi tanto a comprendere che in realtà, dopo ore trascorse dall’ultima doccia fatta, il bocchettone della doccia incominciasse a vomitare tutta l’acqua trattenuta. Solo grazie a questo collegamento riuscii a dormire poi sonni tranquilli, prima non riuscivo a comprendere per quale motivo solo alcune notti dovevano essere segnate da quello scroscio. Passi anche la massiccia presenza di mobilia e travi in legno che nella notte non fanno altro che accompagnare i plic plic della doccia con colpi secchi che normalmente non riescono a svegliarmi, apparte quando a causa del troppo vento fuori vi è un calo di temperatura brusco. Fu una di quelle notti che decisi di andarmene. Perché, come sobbalzai nel letto cigolante, fissai il comò davanti a me.

E mai, mai avrei pensato di vedere quell’oggetto lì. La sua presenza in quel punto era asimmetrica, disarmonica, e uno scherzo di cattivo gusto. Inquietante. Tutti nella nostra camera da letto abbiamo questa cosa, e mai ci accorgiamo che non sta come dovrebbe stare. Che si sposta. Anche tu, che ora stai leggendo, corri il rischio di girarti e notare che quella cosa non è al suo posto. Osservala bene, ma fa attenzione. Una volta che avrai visto, sarai in pericolo. Una volta focalizzato cosa non va, potresti sentirti i brividi addosso. Stai attento nel ruotare la testa nuovamente verso lo schermo. Anzi, se puoi, non ti voltare: non sai mai cosa potresti vedere scritto nella pagina accanto.

 

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Capitolo 4
*** Ansia ***


Un guizzo di luce si scagliava sui suoi occhi illuminando poco altro. Guardandosi intorno non si notava nient’altro che un corridoio sporco che conduceva a una porta chiusa e, dall’altro lato, l’ingresso di quelle fogne. Cercando di non tremare per il freddo, chiuse gli occhi e tentò di ricordare gli accadimenti di tutto il giorno.

***

Avevo ripreso i sensi dopo non so quanto tempo. Baciavo il suolo di uno spiazzo di un qualche quartiere abbandonato della città, che mi restituiva un sapore freddo e pungente. Ricordo che avevo pure le braccia aperte, ma l’asfalto non riusciva purtroppo ad abbracciarmi. Come mai mi trovavo in quella posizione? Questo non riuscivo a ricordarlo. Ripresa consapevolezza di avere quattro arti che ancora riuscivano a fare il loro lavoro, strizzai tutti i miei muscoli il più possibile per riuscire a rimettermi in piedi. Due forni avevano preso il posto delle gambe, rimaste senza sangue in circolo per quasi troppo tempo. Barcollai fino alla prima auto che avevo nel mio raggio di vista, e mi appoggiai, in attesa che il formicolio passasse. Nel mentre decisi che potevo anche contemporaneamente osservarmi intorno per cercare di farmi un’idea della situazione: vi erano un po’ di auto, perciò era presumibile pensare di trovarmi in un parcheggio, di fianco a un vecchio palazzo in mattoni e cemento. Alzai gli occhi e notai l’orma di un boato tremendo, i resti di un’esplosione che avevano fatto diventare una finestra del secondo piano grande quanto un tir. Ansimante, mi girai, per vedere se ne capivo di più, e vidi una macchina dal tettuccio schiacciato. Molto probabilmente qualcuno vi era caduto sopra, attutendo l’impatto. Ecco come forse sono ancora in vita, grazie a quel SUV, grazie a questi grossi veicoli che mi stanno ampiamente sulle palle. Perché la mia mente gioca a ricomporre quel grosso squarcio sopra di me, quasi se sapesse che aspetto avesse la finestra che vi era prima. Io ero in quell’edificio, e ho fatto un salto giù. Per salvarmi? Una sensazione strana mi pizzicava. Mi diceva che ci entrassi qualcosa con quell’esplosione, ma che non sapessi cosa stessi facendo, che tutto fosse più grande di me. Sentii due cani abbaiare, forse iniziare a correre, e con ansia assurda che mi pervadeva, iniziai a correre. Ansia che aumentò non appena sentii i colpi di fucile che fecero cessare quei latrati. Incominciai a correre.

***

Non riuscì a pensare più di tanto perché sentì delle urla provenire dall’inizio delle fogne, e cercai di accucciarmi dietro una grossa valvola. Scottava, ma l’ansia e la paura che mi potessero trovare era troppa. Tutto ad un tratto, uno di loro corse fino alla fine del passaggio, e mi puntò addosso una pistola non appena mi scoprì. Avrei voluto materializzarmi nel cemento dietro di me e fissarmi nella materia per sempre, piuttosto che finire con un buco in testa.

<< Ti si incepperà. >> dissi, nel tentativo disperato di far placare l’ansia.

<< Cosa?! >>

<< Ti si incepperà. È una glock, vero? >>

<< ...senti, io non so come tu faccia praticamente al buio, ma ti assicuro che non m’importerà più fra poco. >>

Tutto ad un tratto, quando vidi il brilluccicare di quella canna nell’ultimo spiraglio di sole, l’adrenalina incominciò a farmi lavorare i neuroni, a fornirmi informazioni che non sapevo di detenere.

<< Se spari, ti si incepperà, e a quel punto... >>

Un frastuono, un lampo, un click.

 
 

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