When you are Strange

di GioTanner
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** GIORNO 3 - Prologo ***
Capitolo 2: *** GIORNO 5 - due ore all'alba ***



Capitolo 1
*** GIORNO 3 - Prologo ***


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*note importanti a fine capitolo

When you are Strange


piccino


«When you’re strange
Faces come out of the rain
When you’re strange
No one remembers your name.»


GIORNO 3 - PROLOGO

Mormorii e passi;
mormorii e passi strascicati erano udibili nella lentezza ordinaria e precaria della clinica, con un forte odore di disinfettante che andava coprendo l'intero piano, dall'entrata fino alla fine del corridoio. L'entrata era formale, basilare, con una porta color marmo bianco verniciata da poco e le pareti con qualche crepa, ma di buon materiale di fabbrica. E da essa ci si addentrava immediatamente nel corridoio lungo una ventina di metri, angusto e freddo, come ogni altro appartamento nella periferia di Gotham City, immerso nella semioscurità e a cui si affacciavano tutte le stanze del piano terra adibite per i pazienti. La luce filtrava nel piano terra dalle finestre come uno spauracchio, fuoriuscendo raramente quando non pioveva.
E nel mesto abitudinario rumore di sottofondo, dato dagli infermieri e dai pazienti, erano come un tuono quei passi frenetici e martellanti che percorrevano il corridoio con crescente ansia e disarmonia. Passi di stivali di un uomo che non si arrestava e che niente aveva a che fare con quel posto.
Jason Todd filava dritto fino al raggiungimento dello studio della Dottoressa Leslie Maurin Thompkins, il quale si trovava esattamente dopo il lungo corridoio, volgendo a sinistra. Non bussò, entrò semplicemente con malcelata tensione: “Dov'è?” Chiese, puntando prima lo sguardo sulla donna anziana che era alla scrivania e poi, resosi conto di essere risultato troppo aggressivo, sui vari attestati di medicina che aveva.
“Buongiorno.” Si ritrovò a dire la Dottoressa, sprecando inchiostro dalla penna calligrafica sfuggitale di mano con l'entrata brusca del ragazzo che le si era parato di fronte. Si alzò dalla scrivania, inforcò gli occhiali e lo guardò in volto forse un po' più del dovuto. Poi non chiese di cosa stesse parlando... perché sapeva esattamente di chi stesse chiedendo.
“Seguitemi. Bruce Wayne ha portato qui il ragazzo il pomeriggio di tre giorni fa.- Iniziò chiudendo la porta del suo studio dopo che il giovane ne fu uscito con lei. -Ma essendo un pericolo per gli altri e... beh, per se stesso, abbiamo dovuto sedarlo e metterlo dopo il corridoio principale, ora...”
“In isolamento.” Constatò Jason, mentre seguiva l'anziana Dottoressa con disappunto, lasciandosi alle spalle il lungo corridoio, qualche infermiere perplesso e lo studio della donna.
“Sì. -Ammise lei, controllando alle sue spalle se il ragazzo la stesse seguendo verso quel corridoio che andava snodandosi in due direzioni. -Dobbiamo prima fare una terapia d'urto e renderlo inoffensivo, poi potremmo passare a ricomporre la...”
“Sembra si stia parlando di una lavatrice. Stiamo parlando di...”
“...A ricomporre la sua mente. - Sospirò la Dottoressa Thompkins, rassegnata ad essere interrotta. -So che sono parole dure quelle che dico, ma dovete credermi: le dico perché sono al corrente della gravità della situazione e perché in questo lavoro ho messo ogni risorsa che ho.”
“Ma certo, certo.- Jason si mise le mani in tasca, ciondolando leggermente dietro la figura della Dottoressa. -Cosa mi aspetto che mi dica un Dottore?!” Si interpellò sarcasticamente, sebbene non riuscisse davvero neppure a sorridere dentro quel posto, così soffocante e troppo vicino ad un manicomio, anche solo per l'odore insulso di disinfettante che gli bruciava la gola.
Avevano preso il corridoio interno nella direzione est della clinica, sulla destra del piano terra, mentre il silenzio fra i due era sceso poiché niente di più avevano da dirsi. Un altro paio di metri sul pavimento lucido e grigio e giunsero ad una porta chiusa a chiave e rinforzata con acciaio.
“È qui, stanza 24bis. -Sentenziò l'anziana Dottoressa, aprendo con un mazzo di chiavi la porta, facendo scattare le tre serrature. -Potete fargli visita ogni giorno, a qualsiasi ora e quando non sarete impossibilitati... dalle strade di Gotham, perciò come mi ha chiesto Bruce Wayne vi lascerò una copia delle chiavi dell'entrata e di questa stanza. Ma per le prime settimane non sosterete di più d'un quarto d'ora.” E non esistevano repliche, Jason Todd lo comprese immantinente, ritrovandosi ad assentire col capo prima ancora di averlo pensato. Un po' come quando a dieci anni Batman gli diceva che c'era un lavoretto da fare e non c'era acciacco, febbre o stanchezza che teneva: una risposta positiva era d'obbligo per lui, rimuginò.
Si passò una mano sul volto, poi sui capelli neri in cui un ciuffo leggero di capelli bianchi era ben visibile e, alzando leggermente le spalle incurvate, spinse la porta.
Prima di entrare però gli si insinuò un dubbio, come uno spillo nel cranio, così si ritrovò chiedere un'ultima domanda alla Dottoressa: “Bruce Wayne ti ha detto chi sono?”
“No. Ma mi ha detto che un ragazzo con una 'J' sulla guancia si sarebbe fatto senz'altro vivo per vedere il paziente. -Lo indicò in faccia.- E quando Bruce Wayne cerca di fare il misterioso con me è perché la faccenda riguarda Batman e i suoi pettirossi.”
Jason annuì di nuovo, questa volta più mestamente per poi lasciare la donna sulla soglia. La porta fece rumore e fu l'ultimo, ovattato, suono che sentì prima di guardare negli occhi Tim Drake.


♦•♦•♦•♦


Note d'autrice: Questa è una fanfiction incentrata sui giorni di degenza di Tim Drake in clinica, dopo essere stato MANIPOLATO e aver avuto un LAVAGGIO DEL CERVELLO da parte del Joker come si può vedere in “Batman Beyond – Il ritorno del Joker”. (Per maggiori informazioni: http://batmananimateduniverse.wikia.com/wiki/Joker_Jr. ) Tale clinica è della Dottoressa Thompkins (amica e confidente di Alfred e Bruce Wayne sin dalla più tenera età, almeno secondo i fumetti. La quale SA che Bruce è Batman.)
È “What if” perché ho messo in mezzo Jason Todd, il secondo Robin -divenuto
Red Hood- Le vicende che racconto sono, essenzialmente, dopo che il Joker è presunto morto, Tim è rinchiuso nell'istituto, Bruce lo lascia alle cure della Thompkins mentre Jason Todd è a Gotham dopo i fatti di “Under the Red Hood”.
Avvertimenti:
L'età di Tim, avendo voluto inserire Jason Todd redivivo, l'ho alzata a 16 anni.

Il titolo è una canzone dei Doors che, a mio parere, riprende bene il 'non essere' Tim Drake-Joker JR.

Approdo in queste lande con una fanfiction - sperando vi piaccia e -se volete- vi prego di lasciarmi un commento, esprimendo ciò che pensate! ♥

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Capitolo 2
*** GIORNO 5 - due ore all'alba ***


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When you are Strange

piccino

«When you’re strange
Faces come out of the rain
When you’re strange
No one remembers your name»


GIORNO 5 – Due ore all'alba

La chiave nella toppa, un leggero sfregamento di vestiti, un odore di polvere da sparo appena appena percepibile e dei passi pesanti che riecheggiavano nel silenzioso corridoio della clinica della Dottoressa Thompkins. Fuori aveva smesso di piovere da pochi minuti e Gotham City sembrava una profonda pozza d'acqua scura pronta a straripare.
Le stanze erano chiuse a chiave, una a una Jason Todd le sorpassava tutte fino ad arrivare ai corridoi laterali: prese quello di destra, come la volta scorsa, si addentrò nel buio con passo fermo e guardando dritto davanti a sé; aveva i capelli asciutti, ma i guanti bagnati perciò li tolse prima di levarsi qualche ciuffo di capelli ribelle che gli andava sugli occhi, la giacca di pelle era fradicia così come il casco rosso, sottobraccio. Le pistole, con ancora due proiettili dentro e infilate nella cintura, erano ancora calde, eppure Jason non faticava ad immaginare che, con tutta l'acqua che aveva preso lì fin sopra ai grattacieli più alti di Gotham City, per un po' avrebbero smesso di funzionare e avrebbe dovuto pulirle con olio di gomito una volta ritornato al suo appartamento.
Il rumore tintinnante del mazzo di chiavi venne messo a tacere, preso con irruenza dalle mani del giovane: la porta si aprì cigolando leggera, nel silenzio della notte e Jason ci scivolò dentro, senza fiatare, richiudendo immediatamente a chiave.

Ciao Tim.” Affermò, posando il casco sul comodino bianco, accanto ad un letto in ferro leggermente rialzato e con la testiera del medesimo materiale coperta da tre cuscini bianchi. Le lenzuola, anch'esse bianche, avvolte nell'oscurità della notte erano ancora perfettamente stirate e mai usate. Il solito odore di disinfettante vorticava nella stanza, accompagnato da una risata bassa e gutturale proveniente da una figura accartocciata su una sedia al di là del letto, verso la fine della stanza e accanto alla finestrella a grate.
Ciao Tim.” Riprovò, accendendo la lampada da notte appoggiata sul comodino. La luce andò a sagomare i tratti dei due individui che occupavano il medesimo spazio di quella claustrofobica stanza: l'uno era in piedi, perplesso e bagnato come un pennuto, l'altro era seduto, scomposto, su una sedia in ferro e guardava stancamente le punte dei suoi piedi mentre rideva sottotono.
Jason trovava quella risata orribile: troppo gutturale e spenta per essere quella di un ragazzo di appena sedici anni. Sulla sua faccia era dipinto il disgusto che provava e che davvero non riusciva a trattenere.
Era la seconda volta che lo vedeva e non riusciva a capacitarsi di tutto il male che aveva dovuto subire Tim Drake per divenire quello spettro spettinato gorgogliante e lugubre. Quando Red Hood, solo un giorno e mezzo fa, era entrato nella stanza in isolamento sapeva solo a parole ciò che era accaduto al ragazzo. Non era stato Batman a riferirglielo, perché il pipistrello di Gotham provava vergogna e dolore su questa vicenda e non era compito suo consolarlo dalla sua incapacità; ma al contrario erano state le voci che circolavano sulla sempre attesa, voluta e desiderata morte del Joker a confermare, insieme alle parole di sconforto, affannate e frenetiche, di Nightwing, quello che era accaduto dentro l'Arkham Asylum.
Soprusi e torture su Robin: poteva capire, si ritrovò a pensare.
E invece no.
Perché il Joker non lo puoi prevedere.
E se un giorno gli girava di spaccarti le ossa e perforarti i polmoni con un piede di porco... un altro giorno poteva inventarsi insieme ad Harley Quinn di avere un suo erede, senza perdere tempo, ma divertendosi un mondo: Sequestrare un quindicenne che volava giù dai palazzi con un rampino e provare a vedere cosa succedeva se gli riassettavi la mente, fra un urlo strozzato e una scossa elettrica dopo l'altra a friggergli le sinapsi.

A-ah! La pianti di osservarmi? La piantate tutti di guardarmi co-così?- Chiese il ragazzo più piccolo, fra una risata sciocca e una più amara, un singhiozzo contrastante di ilarità che non riusciva a far smettere... e neppure voleva. Di scatto puntò gli occhi su Jason, muovendo appena i piedi, nudi. -Mi piace la 'J' sul tuo viso... l'ha fatta mio padre? L'ha fatta... Oh, Jason, povero, triste, Jason.” Reclinò la testa all'indietro e si morse la lingua. Gli psicofarmaci che prendeva lo rendevano docile, ma non per questo si arrendeva all'opportunità di sbeffeggiare un ex pettirosso di Gotham City.
Smettila Tim, tu-... tu non... -Farfugliò Red Hood sedendosi stancamente sul letto e allungando le gambe per distendersi meglio. -Non sei suo figlio.” Concluse, abbandonando la schiena su i cuscini morbidi, rialzati.
No-no... chi vorrebbe un figlio così?- E puntò un dito sul lato destro del capo sghignazzando, per poi accompagnarci un altro dito ancora e trasformare il gesto della mano in una pistola. -Ho sparato al mio papino. Ho sparato al Joker! BANG! Ho sparato ed è stato... è stato... ohh... è stato...” Si morse ancora la lingua e deglutì, poi rise ancora. Un altro po', ancora un altro po' fino a che non s'attutirono le risate e col fiatone, a voce bassa piagnucolante e amareggiata, pronunciò: “Dio... Jason, è stato orribile.”
E Jason Todd che ascoltava quel monologo festante, catartico e destabilizzante alzò di riflesso il volto a quelle parole sussurrate flebilmente: “Tim!”


E SMETTILA DI CHIAMARMI TIM!”
L'urlo fu immediato, tuonante e aleggiò e si spense in pochi istanti nella stanza insonorizzata e isolata. I tratti del volto del ragazzo divennero più alienanti, spigolosi e minacciosi: la luce tratteggiava la sagoma di un clown senza trucco fiacco e burlato, ma pieno di rabbia e follia. Gli occhi del più giovane... gli occhi di Joker Jr si erano spalancati, ingrigiti, la bocca si era allargata e le mani, formicolanti, si muovevano come a muovere i fili di un burattino. Alzandosi con un gesto di stizza, spietato e fulmineo lanciò la sedia contro l'uomo che sedeva sul letto.
Jason fece uno scatto repentino, indietro, come un felino spaventato e scese giù dal letto digrignando i denti.
Avrebbe voluto prenderlo a schiaffi, calciarlo e torcergli il collo, se non fosse che un raccapricciante, quanto inaspettato, pianto lo fermò: Joker Jr stava piangendo. Un pianto isterico a tratti quasi non udibile.
Odiava tutto ciò che apparteneva al Joker, lo odiava perché ne aveva una paura fottuta. Ma Joker Jr era stato Robin e da qualche parte in quella testa piena di malsani orrori era stato anche Tim Drake. Aveva provato odio per il suo
rimpiazzo, ma era un odio diverso da quello per il Joker. Non era un odio viscerale... era più un tradimento alla sua persona, alla sua memoria. E Tim, il terzo Robin, proprio non c'entrava nulla... quello con cui prendersela era vestito di nero e non lo aveva mai ringraziato.
Anzi, dopo l'iniziale e più che giustificato disprezzo e ostilità... Jason aveva iniziato a percepire di star apprezzando il senso di giustizia, l'innocenza e il solido e brillante carattere del compagno. Mal sopportava Robin, ma gli stava piacendo il ragazzo dietro quella maschera. Quel ragazzo che un giorno era scomparso nel nulla e nessuno sapeva dove si fosse cacciato.
Ed ora si ritrovava lì, in quella asettica e disinfettata fino all'inverosimile stanza, con un fantoccio che aveva le sembianze di Tim, ma che non lo era. Lui non c'era. Non ancora... e non sapeva se, invece di quel personaggio strano e dinoccolato, un giorno l'avrebbe rivisto.

Sono-... sono passati quindici minuti. Io... io-” Jason riprese il suo casco rosso, lasciò accesa la luce e spinse con prepotenza le chiavi negli ingranaggi della porta, guardandosi le spalle dove il sedicenne si dondolava appena, stanco e insonnolito nell'aver parlato così a lungo con tutti i sonniferi e i medicinali che prendeva.

Sì, bravo, vattene ancora!- Acconsentì Joker Jr mentre le lacrime gli solcavano le guance -Ridi Joker Jr, Sorridi! Pagliacci, ridi!* Joker Jr non aspetta nessuno. Joker Jr non aspetta nessuno. Joker Jr non aspetta nessuno. Joker Jr non aspetta...
La porta si chiuse. Jason respirò a pieni polmoni appoggiandosi alla parete esterna.
Joker Jr cadde a terra.


•♦•♦•♦•♦•♦•♦•♦•


*Sorridi! Pagliacci, ridi! - proviene dalla celebre canzone → https://www.youtube.com/watch?v=SND3v0i9uhE del film “Singin' in the rain”. Secondo me è appropriatissima. A parte che mi immagino Tim Drake vedersi questo film anni '50 con Alfred ♥, ma poi è proprio una metafora del 'sebbene tutto stia andando storto... tu sei un pagliaccio e lo show deve continuare.”

Salve a tutti! Ringrazio chi mi sta leggendo {in particolare Treasterischi che ha recensito e messo fra i seguiti la mia fanfiction} e spero continuiate a seguirmi e, se volete, lasciatemi un commento.
Aggiungo solo una piccola noticina sul comportamento di Jason: sì, lui è un pezzo da novanta e pieno di rabbia e adrenalina, ma me lo immagino (come in alcuni capitoli nei fumetti) che possa anche essere mortificato e... di non riuscire a “gestire la situazione”, perciò scappa. Perché non sa cosa dire. E vede un altro Robin cadere a pezzi, un altro ragazzo spezzato dal Joker.


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