Are you my dream?

di emo_baby
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1° cahpter ***
Capitolo 3: *** 2° chapter ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


1° chapter You know I love you, I really do but I can’t fight anymore for you and I don’t know, maybe we’ll be together again… sometime, in another life. Tutto ciò che avevo sempre sognato mi era stato concesso, in un certo censo, ma forse dentro di me avrei dovuto sapere che tutto prima o poi giunge al termine. Ogni cosa, pur bella che sia, finisce, lasciando un inesorabile delusione. Sinceramente non capivo le persone che si lasciavano sfuggire soldi maledettamente utili con la lotteria o con altri tipi di giochi simili, non capivo come facessero a farsi abbindolare dai sogni o dal caso, anzi dalla fortuna. Tutto era programmato, il destino sceglieva accuratamente per ogni essere vivente, gli eventi che avrebbero cambiato la loro vita, o in alcuni casi gli eventi che avrebbero messo fine alla loro esistenza. Ogni cosa seguiva un suo percorso, ogni cosa nasceva, si sviluppava, e poi inesorabilmente finiva. Anche l’amore seguiva quel percorso, anche l’amicizia, ed io invece, ero talmente stupida da credere nelle cose infinte, da credere che sarei stata la fortunata che avrebbe avuto un’amicizia interminabile e un amore da favola, forse sul primo concetto avevo qualche possibilità, ma di certo non con il secondo. E così mi ritrovai a casa della mia migliore amica, la mia situazione familiare non era delle migliori, anzi, i miei genitori sono divorziati, mio padre ha 32 anni e lavora in diversi filiali bancarie in tutto il mondo, si è risposato con Michelle, una francesina di 25 anni molto simpatica e cordiale, se non fossi scappata di casa sarei dovuta partire con lui e girare il mondo e anche se l’idea per molti poteva sembrare un idea allettante per me non lo era affatto, avrei dovuto lasciare la mia fantastica Venezia e i miei amici, anche se però avrei potuto cominciare a rifarmi una vita cercando di dimenticare lui. Ancora mi riusciva complicato dire il suo nome, anche mentalmente, avevo posato un velo pietoso su tutta la situazione autoconvincendomi che se non ci avrei pensato tutto sarebbe passato, come quando si ha un forte mal di testa e la medicina migliore è proprio il non pensarci. Ritornando alla mia situazione familiare, mia madre ha 31 anni e non ha mai accettato la gravidanza che ha avuto a 16 anni, così vive cercando di ricostruirsi quel periodo della sua vita che non si è mai potuta godere, lavora come ballerina in un locale “vietato ai minori” presso Milano. In un caso o nell’altro avrei dovuto prendere la mia scelta e partire, lasciarmi tutto alle spalle e non tornare mai più, la persona di cui più avrei sentito la mancanza sarebbe stata di Katy, la mia best, quel involucro di pura pazzia e testardaggine che ha riempito le mie giornate, «mmm… Julia sei sveglia?» sorrisi, eravamo diventate telepatiche? «si… Katy io me ne vado, parto con mio padre» la mora si alzò di scatto e, nonostante fosse buio, notai che i suoi occhi erano ridotti a due fessure «ma cosa stai blaterando?» si stropicciò gli occhietti e si mise seduta, nel frattempo io mi alzai e preparai il borsone «bhè mi staranno cercando e non sono ancora maggiorenne, mi mancano ben tre anni, non voglio causare problemi alla tua famiglia… penso sia la cosa migliore» mi guardò per qualche secondo e poi fece una risata amara, per nulla divertitita «io lo so perché te ne stai andando… per scappare da John, non vuoi affrontare la situazione, vuoi scappare da ciò che ti tormenta, non è così?» non aveva capito nulla, io la stavo affrontando la situazione, ma non quella di lui, io stavo affrontando la mia vita «tre anni e torno… promesso» mi avvicinai per darle un bacio sulla guancia ma si scostò «non tornare, restatene lì a fare la bella vita con le tue future ochette, ma non tornare da me» sapevo bene che non lo pensava, si sentiva offesa e tradita, ma dovevo cominciare a crescere e a prendere le mie decisioni, mi avviai verso la porta silenziosamente e diedi un occhiata al grande orologio in corridoio, le 4.05, decisamente un orario fuori dal normale per far ritorno a casa. Misi le mani sul pomello della porta, ma era come se non avessi la forza di uscire da quella casa «Ju aspetta!» disse Katy dietro di me, mi girai e corse ad abbracciarmi «torna presto scema» una lacrima scese dai miei occhi, e anche quella fece il suo percorso, finendo sotto il mio mento. «Ti voglio bene» le dissi a bassa voce «anch’io». L’aria era fredda e pungente, e il tragitto verso casa fu tutt’altro che facile. Quando finalmente mi trovai davanti la mia villetta a due piani, soffocai i singhiozzi e scrutai la zona, il giardino era occupato da due volanti della polizia e dalle diverse auto di mio padre, avanzai cautamente e diedi un leggero tocco alla porta, le voci che stavano all’interno si fermarono all’istante. La porta si aprì e dietro di essa mio padre corse a stringermi forte, «come stai?» mi disse silenziosamente nell’orecchio «tutto bene» l’odore al muschio del suo profumo aveva sempre avuto un effetto calmante su di me, anche in quel momento. La polizia fu presto congedata ed io salii di sopra a fare le valigie, «ehila» feci un piccolo balzo all’indietro spaventata «scusa non volevo farti spaventare» era Michelle, le sorrisi «tranquilla pensavo» si sedette sul letto «non hai sonno?» mi chiese premurosa «oh no, dormirò sull’areo» «sono convinta che Cracovia ti piacerà, ci sono stata diverse volte e devo dire che è molto interessante» era una brava donna, molto affettuosa e meritevole di mio padre, stava cercando di farmi accettare l’idea di dover partire «lo spero» mi scrutò per qualche istante e riprese a parlare «c’è qualcosa che non va vero?» mi sedetti accanto a lei e appoggiai la testa sulla sua spalla destra «forse avrei dovuto accettare le scuse di John» mi accarezzò i capelli con fare materno «se voi due siete destinati a stare insieme, prima o poi ritornerete insieme» forse aveva ragione, avrei dovuto lasciarmi abbandonare nelle mani del destino, se io e John dovevamo far pace sarebbe successo. «Piccola star ti dovresti svegliare» aprii lentamente gli occhi e mi accorsi di essermi addormentata, il sole riscaldava un po’ l’aria attorno con i suoi deboli raggi di febbraio, misi a fuoco la figura cha avevo attorno… mio padre. «Che ore sono?» gli chiesi alzandomi lentamente e mettendomi seduta «le nove e tra due ore abbiamo l’aereo quindi preparati» mi sorrise e mi diede un bacio sulla fronte «ok papà». La casa era assolutamente vuota e priva di ogni cosa, andai in bagno e mi feci una doccia veloce, ritornai in camera e misi in custodia la mia amatissima chitarra JILU, un nome buffo ma dai tanti ricordi, era il nome della band di John, non mi ha mai voluto spiegare che significasse e io non lo avevo mai forzato nonostante la mia curiosità fremeva. Non ero una ragazza particolarmente fissata per un determinato genere musicale, mi piaceva ascoltare un po’ di tutto, specialmente canzoni dal significato profondo e originale, mi piaceva ascoltare le melodie che suonavo in base all’umore, nel mio I-pod c’erano una sfilza di canzoni ma tutte diverse tra loro. Mi avvicinai allo specchio e pettinai i lunghi capelli mossi e rossi legandoli in due pratiche trecce e contornai gli occhi con abbondante matita nera, sembravo la versione “bad” di “Anna dai capelli rossi”. Mi misi le mie adorate convers e scesi le scale per avvisare che ora pronta, ma mi accorsi che Michelle era sull’arco della porta d’ingresso a parlare con qualcuno di familiare, forse fin troppo, John. «Posso fare la prova a chiamartela» il cuore perse un battito «Julia c’è John che vuole parlarti» le feci cenno di no con la testa ma fece gli occhietti dolci, come se volesse incoraggiarmi, sbuffai «e va bene Michelle» lo vidi entrare con quei due curiosi occhi da tigre color dello smeraldo «ciao…» disse a bassa voce guardando terra «ciao» gli risposi più convinta io «sono venuto per salutarti» un sorriso amaro si dipinse sulle mie labbra «no, sei venuto per dirmi addio» mi guardò e fu un duro colpo sostenere il suo sguardo «non voglio dirti addio» non volevo piangere davanti a lui, dovevo mostrarmi forte, avrei voluto correre ad abbracciarlo e a sentire di nuovo le sue labbra sulle mie, ma non potevo «devi…» si avvicinò e mi prese il polso, la distanza tra noi era minima, «mi dispiace… lo vuoi capire? Perché non sei disposta a perdonarmi?» lo guardai «ti perdono, ma devo andare… ti voglio bene e tu lo sai, ho lottato tanto per te, forse staremo insieme un giorno… in un'altra vita» mi fissò per un breve istante e poi uscì da quella porta, e non sarebbe mai tornato indietro. I could save you from the hurt but things will never go back to how we were. I’m sorry, I can’t be your world.

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Capitolo 2
*** 1° cahpter ***


Most guys I dated got intimidated, boys and girls pretend to know me, they try so hard. Two years late. Avrei finalmente affrontato una scuola vera e propria, dopo due anni passati girando di città in città e spedendo i miei compiti ad un tutor privato, ci eravamo finalmente fermati in una cittadina dal nome impronunciabile in Germania, poco distante dalla capitale. Questa nazione era il sogno di Katy, c’erano tutti i suoi idoli qui, avrebbe saltato di gioia se in questo momento fosse al mio posto. Camminai verso l’edificio scolastico lasciandomi sopraffare dai miei stupidi pensieri, erano passati due anni da quando ero partita e molte cose erano cambiate, la prima ad essere cambiata ero proprio io. Avevo trovato un piccolo gruppo di amici e anche un… ragazzo. Sia chiaro non l’amavo, ma provavo a volergli bene, ci stavo assieme solo perché mi riempiva di attenzioni e, egoisticamente, era ciò che mi serviva per dimenticare almeno in parte la mia vecchia vita. Ero stata con diversi ragazzi in quel periodo di tempo, ma nessuno mi interessava particolarmente, cercavano tutti una cosa e dopo averla ottenuta andavano via. Per me andava bene, tanto cambiando sempre città non avevo una reputazione vera e propria, ma dal momento in cui ci eravamo fermati qui dovevo cominciare a guardare le situazioni da una diversa angolazione. «Ehi, tesoro» due mani mi strinsero da dietro nel cortile scolastico, mi voltai e vidi Nicolas, il mio ragazzo. Era molto carino, alto, magro con i capelli neri liscissimi che ricadevano fino alla nuca e la frangia gli copriva un occhio, gli occhi erano la cosa che più amavo in lui, erano verdi. Bastava guardarlo e pensavo di aver davanti quel piccolo tassello del mio passato «buondì» risposi lasciandomi coccolare, ben presto la quiete fu distrutta dall’arrivo di Mindy, June, Stephan e Horklian, ma per tutti il piccolo Horky. La prima, Mindy, aveva 17 anni anche lei e mi ricordava molto Katy nei suoi modi di fare, era energica e eccentrica, ma inesorabilmente dolce… quando voleva. Aveva i capelli di base neri, ma la testa era un miscuglio di colori vivaci, c’erano le due ciocche davanti rosa schoking, le exstation blu e viola e qualche ciuffo di dietro color platino. Aveva un visino molto da cucciolo smarrito e due grandi pozzi neri al posto degli occhi, sempre contornati da quintali di matita, eyeliner e mascara. June aveva 16 anni ed era la più bimba del gruppo, gli piaceva scherzare e ridere ma in alcuni periodi era colta da momenti di depressione assoluta, in quei casi era meglio stargli alla larga poiché infondeva un’aura negativa alle persone che le erano accanto. Aveva dei bei boccoli neri che contornavano quel visetto assai pallido, e due occhietti curiosi che chiedevano silenziose domande sul mondo che l’avvolgeva. Stephan era… Stephan. Era il più grande con quei suoi diciannove anni di tutta saggezza, aspettate ho detto realmente saggezza? Mi sarò sicuramente sbagliata! Non capisce mai nulla di ciò che gli accade intorno, ed il più inebetito del gruppo. Un esempio? Sarò lieta di accontentarvi! Quest’estate c’era Linda, una ragazza assai carina, che gli andava dietro e praticamente glielo aveva dimostrato in ogni modo e dopo molti tentativi riuscì ad ottenere un appuntamento. Il giorno dopo la poveretta era più abbattuta del solito e io gli chiesi perché, lei mi rispose che Stephan aveva capito che lei lo odiava, ero scioccata e così decisi di andare a parlare con lui e mi disse che lei pensava che lui la odiava e così di conseguenza lei odiava lui, comunque alla fine di tutto a Linda venne una crisi di nervi e lo lasciò in pace, quando noi spiegammo la situazione a Stephan sembrò che avesse appena visto un fantasma, era bianco cadaverico e realmente mortificato, ma era troppo buffo e gli scoppiamo a ridere in faccia. Concludo le presentazioni con il mitico e ossuto Horklian, il suo nome è strano quanto lui, possiede la cosiddetta “forza di mille uomini” ed è circa il mio triplo, tutti noi lo chiamiamo piccolo Horky e lui sembra non esserne particolarmente fiero. «Pensierosa la ragazza» disse Stephan riferendosi a me «caro il mio Fanni io sono una donna assai impegnata» gli risposi per le rime guardandolo maliziosa «Nico tieni a bada la tua donna!» gli feci una spudorata linguaccia e mi dedicai al resto del gruppo «Hey lady» mi salutò Mindy stampandomi un grosso bacio sulla guancia «’giorno tesoro» le dissi restituendole il bacio, «ciao» alzai un sopracciglio voltandomi verso la direzione da cui proveniva quella voce «oh no, anche oggi June è in preda a uno dei suoi attacchi depressivi» alzai lo sguardo al cielo esasperata «proprio così Missy» mi rispose Horky «allora pronta per il primo giorno di scuola?» annuii e quest’ultimo si avvicinò per scompigliarmi i capelli che avevo rigorosamente tinto di nero. Mi aspettava una nuova vita ed ero pronta ad accettarla, Nicolas mi si avvicinò e mi diede un casto bacio a fior di labbra. Notai come ognuno, delle persone che mi passavano accanto, aveva a che fare con un mondo a parte, a volte quel mondo era costituito da un unico individuo, altre volte erano vere e proprie collettività che si univano in unico esemplare. Tutti erano in fibrillazione per quel nuovo inizio e, sinceramente, lo ero anch’io. A passo svelto mi indirizzai verso la mia aula e appena entrai fu accolta da una gran confusione, erano tutti ammucchiati in unico punto, c’erano grida di stupore e facce inebetite che sognavano ad occhi aperti, nessuno si accorse della mia presenza. Presi posto al penultimo banco sulla destra che era apparentemente vuoto. Mi sedetti e aspettai l’inizio delle lezioni ma una chioma bionda, in compagnia di altre tre teste platinate, mi si avvicinarono accigliate «senti ma tu sai dove stai seduta?» la voce la faceva assomigliare molto ad una papera con il raffreddore «oh si che lo so, terza fila, penultimo banco sulla destra» le risposi sorridendole tutta carina, le tre platinate si tiravano gomitate e bisbigliavano una nell’orecchio dell’altra. «Ma che simpatica, se non fosse per il fatto che mi stai sulle palle sarei diventata tua amica» ma perché dovevano esistere persone tanto snob sulla faccia della terra? «Perché ce l’hai? Sai avevo gia qualche dubbio se tu fossi maschio o femmina ma ora mi hai tolto ogni incertezza, gentile da parte tua, comunque tranquilla la simpatia non è ricambiata.» mi rivolse uno sguardo omicida , che ricambiai orgogliosa,ma poi sorrise e le platinate fecero lo stesso, sembravano tutte uguali, stessi capelli, stessi occhi azzurri, stesso trucco, stesso stile di abbigliamento e stessa acidità«tu non puoi odiarmi!» disse sorridente «ah e perché no?» mi affrettai a domandare «mi sembra ovvio, sono ricca, ho una carta di credito e sono popolare» le risi in faccia. A volte mi lamentavo con Mindy per la sua fantasiosa acconciatura, ma almeno lei era originale e non sembrava un clone. «Senti cocca noi non ci siamo capite, questo banco è mio!» cominciavo a divertirmi sul serio «uh che carina siamo passate ai nomignoli, ti consiglio di non alterarti tanto altrimenti poi ti si fanno tante piccole rughe e poi il chirurgo plastico dovrebbe fare miracoli» sogghignai e la guardavo sinceramente divertita, fece un verso strano, simile a un barboncino che miagola invece di abbagliare, e fece retro fronte sedendosi in uno dei primi banchi. «Ahah» una risata cristallina attirò la mia attenzione, proveniva da un ragazzo biondo (fosse una novità -.-) che si avvicinava a me, ma perché non mi lasciavano semplicemente in pace? «Sei riuscita a far stare zitta Katy» il mio cuore perse un battito, sapevo che non aveva nessuna attinenza con la mia Katy, ma provai un piccolo fastidio allo stomaco… probabile senso di colpa «e tu saresti…» chiesi al misterioso boy «John piacere» ok, questo era davvero troppo «io sono Julia» si mise una mano sotto il mento con fare teatralmente pensieroso e dopo qualche secondo esclamò «wow bel nome!» alzai un sopracciglio scettica «comunque mi è davvero piaciuto come hai trattato Katy, se lo meritava» mi dava una vaga, e dico vaga, impressione che volesse provarci con me «a quanto pare manco te la sopporti» gli dissi, ma lui scoppiò in una fragorosa risata «è la mia ragazza». Ero giusto un po’ confusa, «ops» emise la mia piccola bocca «tranquilla non mi dispiace quando qualcuno le risponde per le rime» gli sorrisi ma una voce stridula interruppe la nostra conversazione «oddio oddio oddio oddio!!! Cuccioletto non pensi che sarò io a vincere??» la testa bionda, Katy, strinse il braccio attorno a quello di John «certo cara, sabato sera sarai fantastica!!» si scambiarono sguardi mielosi «sei obbligato a dirmi certe cose». And I get what I want, my name is my credit card, don’t try to hate me because I am so popular!

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Capitolo 3
*** 2° chapter ***


I want to get away some place, but I don’t want to stay too long, I like the lights turned out and the sound of closing door. Finalmente le prime tre ore passarono molto velocemente, e la campanella segnò l’inizio della ricreazione. Mi affrettai a raggiungere l’atrio per incontrare la mia ciurma ma nell’intento uno stupido mise il piede nel posto sbagliato al momento sbagliato, persi l’equilibrio e caddi in avanti urtando una ragazza che aveva in mano una pepsi che di conseguenza andò a finire addosso… a una signora, una professoressa suppongo. Mi voltai per un millesimo di secondo verso il “piede inciampatore” e mi ritrovai i ghigni di Horky, lo fulminai con lo sguardo ma delle urla mi fecero sobbalzare «chi… è… STATO?» ok, era giusto un pochetto arrabbiata, feci qualche passo indietro e me la diedi a gambe. Arrivai in bagno, e lì c’erano Katy e June che se la ridevano «bella tolleranza che c’è tra amiche» sbuffai e mi appoggiai al pilastro posto sulla sinistra della piccola stanzetta «e dai non prendertela» disse June con la sua voce da peluche teneroso «si vede che non ci sta agli scherzi» sogghignò Mindy «no, era uno scherzo di cattivo gusto, rischiavo di andare dalla preside» risposi mettendo il broncio «sei tu che pensi a negativo, don’t worry be happy» disse dandomi dei colpetti sulla testa come si fa con i cani, la guardai di sottecchi e la incenerii «si tesoro! Ti voglio bene anch’io» e mi abbracciò ma io la scansai cercando di rimanere impassibile a più lungo possibile «io no, ti odio» mi guardò in modo superficiale, come le snobbette platinate «ne trovo quante ne voglio di amiche» la mia serietà cominciava a svanire, vedere quel teatrino era qualcosa di demenziale allo stato puro «bene vai dalle tue amiche» aggiunsi con un ghigno sulle labbra «June andiamo via di qui» la testa colorata prese a braccetto la peluchosa (non fate caso ai nomignoli xD) e si avviarono verso il corridoio principale, sapevo che non facevano sul serio perciò restai in bagno nell’attesa che ritornassero e facessero il fatidico “scherzetto!!”. Passò qualche minuto e di loro neppure l’ombra, traditrici. Uscii dal bagno per raggiungerle e dirgliene quattro, ma appena misi piede dopo la soglia della porta sentii «boooh» feci un balzo all’indietro e mi misi una mano sul cuore, cercando di stabilizzare i battiti. «Brutte zombie viventi! Questa me la pagherete!!» dissi a denti stretti «ops… SCAPPIAMO!!!» cominciai a rincorrerle per tutta la scuola ma una persona mi passo davanti e… praticamente gli saltai addosso. Ma perché tutte a me? Che cosa avevo fatto di male per meritarmi tanto? Proprio non capivo. Abbassai gli occhi e mi accorsi che era una persona conosciuta, John. «Sono tanto attraente che hai deciso di violentarmi?» le mie guancie si tinsero di una leggera tonalità di rosso «sorry» sussurrai, sarei voluta ritornare in bagno e mettere la testa nel water e scaricare fino a quando non avrei raggiunto le fogne, «sorry accettate». Due piedi che battevano sul pavimento attirarono la mia attenzione, alzai lo sguardo e vidi… la preside. «Mi dispiace interrompere la sua conversazione signorina, ma la pregherei di venire nel mio ufficio… SUBITO!» deglutii e mi alzai seguendo la figura che avevo davanti. Entrammo in una stanza molto piccola e ingombra di tante carte e documenti, al centro c’era una scrivania in mogano e alcune poltrone in pelle beige disposte oppostamente tra loro. Mi fecce cenno di sedermi e io mi accomodai, prese posto dietro la scrivania e guardò tra i documenti che aveva «mmm… signorina Di Nardi non tollero questo comportamento nella mia scuola» presi un bel respiro e provai a trovare una giustificazione valida «mi scusi, ha ragione» abbassai lo sguardo imbarazzata «sei nuova?» mi sembra ovvio, che lo chiede a fare «emm si» risposi con la mia vocina da cucciolo pentito «bene, non proverrò con nessuna sospensione, ma come punizione dovrà occuparsi del servizio bar durante la festa dei talenti» appena avrei avuto sotto mano uno di quei scemi sarebbe morto. Annuii col capo e mi diressi verso la porta, percorsi il corridoio e mi affrettai a guardare l’orario, letteratura tedesca, che palle. Bussai alla porta e un «avanti» mi fece entrare, la professoressa sembrava appena uscita da un concorso di bellezza, aveva i capelli castani liscissimi e due occhi nocciola dal taglio particolare. Mi accolse con un sorriso e mi indicò un banco vuoto, alzai lo sguardo e notai Nicolas, finalmente avevo trovato un’ora che avevo in comune con qualche faccia conosciuta. Mi sedetti e fissai accigliato il mio boy che sogghignava, sbuffai «bel modo di proteggere la tua ragazza» mi sorrise e mi diede un bacino sulla guancia «gli avevo detto di non combinare nessuna cazzata ma devo ammettere che è stato divertente» misi il broncio «dai piccola, mica ti hanno sospeso!» lo fulminai «ci mancava molto poco, comunque durante questi pomeriggi dovrò restare a scuola e dare una mano e in più per punizione dovrò fare la barista alla “festa dei talenti”» dissi facendo il segno delle virgolette, mi guardò dispiaciuto «oh che peccato, volevamo che tu partecipassi» che? Volevo tornare indietro nel tempo e riascoltare ciò che aveva appena detto, come con un registratore «puoi ripetere?» gli dissi con la fronte aggrottata «volevamo che tu partecipassi, tranquilla abbiamo gia pensato noi ad iscriverti, chissà se però potrai esibirti visto che stai in punizione» ma perché a me degli amici tanto idioti? Ok ammetto che anch’io ero un po’ idiota e deficiente ma almeno non utilizzavo la mia stupidaggine con l’intento di far morire qualcuno, ok stavo esagerando ma a me la folla proprio non mi piaceva, specialmente quando i riflettori erano puntai sulla sottoscritta «ma sei pazzo?» gli dissi a voce un po’ troppo alta «Di Nardi segua la lezione» mi voltai stizzita verso Nicolas che si avvicinò al mio orecchio e sussurrò in un sospiro «si… sono pazzo di te» un brivido mi percorse la schiena ma ripresi subito il mio autocontrollo e provai a seguire la lezione. Le ore passavano e mi accorsi di avere in comune con Mindy la sesta ora, educazione fisica. Combinammo un casino, quella che in principio doveva essere una partita di pallavolo, si trasformò in una battaglia all’ultimo sangue. La campanella segnò la fine delle lezioni, non tutti però potevano tornarsene a casa, io sarei dovuta rimanere per scontare la mia punizione. Salutai Mindy e incontrai Stephan e June, sarei stata in loro compagnia poiché facevano parte del corpo studentesco. Mentre attraversavo il corridoio mi accorgevo delle ragazze che mi passavano accanto, ognuna sapeva chi era e cosa sarebbe diventata, erano tutte in fibrillazione e sicure di se stesse, e pensando a ciò mi venne naturale pormi una domanda, perché loro avevano una chiara idea sul futuro e io no? Lasciai i miei stupidi pensieri e mi dedicai ai preparativi. Dopo circa due ore di estenuante lavoro, salutai i miei due amichetti e mi diressi verso casa. Adoravo percorrere il tragitto di casa, mi infondeva una certa pace e avevo tutto il tempo di riflettere su ciò che accadeva. Raggiunsi il vialetto di casa, infilai le chiavi nella serratura e entrai «sono a casa!» un gomitolo bianco si precipitò a scodinzolarmi intorno «salve Princess» salutai la mia cagnolina e mi diressi in cucina. La scena era molto divertente, Michelle tutta sporca di farina, con i capelli neri corvini – ormai bianchi – legati, ma con alcuni ciuffi ribelli che le ricadevano sul viso «che buon profumino, che si festeggia?» dissi assaggiando l’impasto del dolce «cerco di distrarmi, domani viene a farti visita tua madre» rispose in tono nervoso, ma poi si voltò e mi sorrise, ricambiai il sorriso e le chiesi «agitata?» si riconcentrò sull’impasto «un pochino» ammise «e perché?» le dissi aiutandola a mettere nel forno la torta «ho paura… che possa portarti via, mi sono affezionata molto a te» feci una piccola risatina «nessuno mi trascinerà fuori di questa casa» il suono del campanello interruppe la nostra conversazione «vado io». Arrivai nell’atrio e sentii chiaramente le parole strozzate della canzone “going under” degli Evanescence, aprii la porta e Mindy mi saltò addosso cantando a squarcia gola «I’M DYING AGAINNNNNNNNN I’M GOING UNDERRRRRRRR» me la scrollai di dosso «e stai un po’ zitta! Non sai cantare» si zittì e mi guardò scettica «eh già abbiamo la cantante qui» le tirai un pizzicotto sul braccio, stava per farmene anche lei uno come contrattacco ma la bloccai «NO!» aggrottò la fronte «che?» disse «se mi tiri un pizzico mi fai male» alzò lo sguardo al soffitto esasperata «anche se ti sfioro tu dici “ahia”» sbuffai e bofonchiai «non è vero, e poi ho la pelle delicata» si fece strada «sese certo» posò l’i-pod su un mobile in soggiorno e fece capolino nella cucina «ehilà Michelle» la ventisettenne la guardò e le sorrise «Mindy che bella sorpresa» ci sedemmo e Michelle ci diede alcuni biscotti da sgranocchiare «allora domani è il grande giorno!» disse entusiasta Mindy, come la invidiavo, non aveva mai preoccupazioni e prendeva tutto alla leggera «eh gia» rispose la nera con tono rassegnato «ma ditemi com’è andato il primo giorno di scuola?» oh no! Meglio sorvolare l’argomento! «molto bene direi, non è così Ju?» mi guardava sogghignante «siiiiii certo» annuii con veemenza, forse un po’ troppa, infatti Michelle fece una piccola risatina. Passammo qualche ora a chiacchierare e poi Mindy tolse il disturbo e andò via. Finalmente per quella sera papà era a cena, si era preso l’intero giorno di domani libero, anche lui aveva i nervi a fior di pelle, ma non lo dava a vedere. Finita la cena diedi la buonanotte e salii di sopra nella mia stanza, assieme a Princess, mi coricai nel letto e chiamai a Katy. «Pronto?» disse la sua voce cristallina dall’altra parte dell’apparecchio «sono Julia» le dissi dolce, erano due settimane che non ci sentivamo e tra qualche giorno sarebbe stato il suo compleanno, avrebbe compiuto i fatidici 18 anni «amoreeee come stai?» era felice, ma nella sua voce avvertivo sempre una nota di malinconia «tutto bene, a te e i ragazzi?» ci fu un attimo di silenzio, sapeva cosa intendevo quando dicevo “ragazzi”, John. «Io sto bene… John un po’ meno» mi allarmai all’istante «è successo qualcosa?» un’altra pausa «ha scoperto tramite i messaggi sul mio cellulare che io e te ci sentiamo, e ci è rimasto male, perché qualche volta non lo chiami?» ero vigliacca, non ne avevo il coraggio, erano passati due maledettissimi anni e non ero ancora pronta a sentirlo «non mi sembra la cosa più sensata» le dissi. «Comunque ha intenzione di partire, dice che questa città lo fa stare male… non lo capisco uff» mi faceva pena, era sola ad affrontare tanti problemi ed io non ero accanto a lei «io vado a nanna ti voglio bene» «ok ti ricordo che tu mi hai fatto una promessa, notte ti voglio bene anch’io» già… la promessa, a 18 anni sarei dovuta tornare a Venezia. Not like other girls who always feel so sure of everything they are of what they’re going to be.

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