Destiny or Dinasty?

di 50shadesofLOTS_Always
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il buio che lo avvolgeva sembrava ancor più oscuro, ma meno di come ricordava. Poi improvvisamente, il bagliore accecante di alcune lingue verdi di calore lo costrinse a chiudere nuovamente gli occhi. Nonostante ciò aveva riconosciuto quel luogo. Un posto in cui il tempo si dilata fino a perdere di significato, dove la vita si spegne come la fiamma di una fragile candela e dove la morte diventa palpabile.
Si alzò a fatica e cominciò a camminare, ma si sentiva fluttuare poiché le sue membra erano ridotte ad un ammasso composto d’aria. Spostò lo sguardo fra le fenditure da cui sprizzavano le fiamme e sui crinali dove si accalcavano le anime. Alcune si muovevano a gruppetti come famiglie, altre erano coppie appena ricongiunte. Erano in attesa delle loro guide. Ben presto quelle anime sarebbero svanite nel bagliore degli spiriti buoni, che apparivano e li portavano via dopo averli avvolti un abbraccio di luce bianca.
Attraversò quel limbo permeato dagli echi di sussurri e raggiunse uno strapiombo, oltre il quale vi era un pozzo di anime urlanti e agonizzanti. Loro erano ormai proprietà dell’Innonimato.
« Darken Rahl » risuonò una voce bassa, che si propagò nel proprio essere. Sembrava scaturire dal gorgoglio del magma più profondo, ma altrettanto freddo come l’immobilità dell’eterno.
« Padrone, sono qui » riuscì a sussurrare con un brivido.
« Cosa è accaduto? ». Sollevò gli occhi nel buio, senza sapere realmente cosa guardare.
« Il Cercatore ha vinto, mio Signore » confessò, tremando al solo pensiero della punizione.
« Com’è possibile? » chiese ancora la voce, stranamente tranquilla.
« Ho usato la Spada della Verità per separare gli Scrigni dell’Orden, ma sono esplosi… »
« La Spada? » sibilò con una nota confusa.
« Sì, mio Signore » aggiunse, guardandosi intorno. Alla ricerca di quel suo sguardo terrificante.
« Hai fallito, Darken Rahl » gli ricordò il Guardiano dopo qualche istante di lugubre silenzio, interrotto solamente dai lamenti delle anime, che si perdevano al di sotto di quella rupe.
« Vi chiedo perdono, Padrone… - chinò la testa - Cercavo solo… »
« Zitto! Le tue petulanti scuse non risolveranno la cosa – tuonò furente - Tuttavia il tuo gesto mi ha fornito un vantaggio… ».

***

Johnny correva col burattino rotto fra le mani. Gli occhi color cioccolato erano diventati acquosi per le lacrime infantili, che rotolavano sulle sue guance paffute mentre saltava fra l’erba alta, evitando alcune rocce. Schizzò diretto verso la piccola casa di legno, al centro di una depressione verdeggiante, circondata da una folta foresta fulva.
« Zio! Zio! Zio Richadd! » strillava fra i singhiozzi di un pianto disperato.
« Johnny, fermati! » gli fece eco Anna1, che cercava di stargli al passo, tenendo i lembi della gonna a fiori per evitare di inciampare. Il sole del mattino riscaldava l’aria fredda che soffiava dai monti, segno che l’autunno stava ormai finendo.
Un giovane uomo uscì dalla casa, aprendo la porta cigolante e sorrise al bambino, che nel frattempo lo aveva raggiunto, col fiato corto per la folle corsa.
« Ehy, campione. – mormorò, fermandosi al di sotto della veranda - Che succede? »
« Si è rotto, si è rotto! » si lamentò il piccolo, mostrandogli il giocattolo che Richard gli aveva regalato l’anno prima per il suo quinto compleanno.
« Per tutti gli spiriti, Jonnhy! – urlò Anna, fermandosi a sua volta – Non farlo mai più! »
« Ma si è rotto! » protestò, sollevano i suoi occhioni sul suo eroe preferito: zio Richard.
« Scusami, Richard » mormorò la donna, portandosi una mano sul petto mentre cercava di tornare a respirare regolarmente.
Richard accennò un sorriso e fece un gesto frivolo con la mano per sminuire la questione.
« Non fa’ niente – la liquidò infine, poi la invitò in casa - Venite dentro e vediamo quello che posso fare ».
Anna lo seguì mentre Richard porgeva la sua grande mano al bambino. Si chiuse la porta alle spalle ed osservò l’amico condurre Johnny davanti al camino, in cui un fuocherello scoppiettava allegramente. Con delicatezza, lo prese sotto le ascelle e lo sollevò per farlo sedere su una sedia di legno. Il piccolo tirò su col naso mentre gli porgeva il burattino.
« Cosa è successo a Signor Spadino? » domandò, scrutando il buffo omino di legno con aria critica.
« Stava combattendo contro un grande orso di pietra » disse il bambino e Anna scosse leggermente il capo, con un sorriso a fior di labbra.
« Si è lanciato contro l’avversario e si è fatto la bua al braccio » concluse Richard, guardandolo serio.
« Sì » confermò il piccolo, annuendo vigorosamente.
« Va bene. Non so se posso fare qualcosa, ma ci provo » assentì, alzandosi in piedi.
« Visto zia? – disse Johnny, rivolto alla donna - Zio Richadd guarirà Signor Spadino ».
Anna lo rimproverò con un’occhiata e il bambino cominciò a canticchiare, osservando le fiamme del fuoco. Si avvicinò a Richard, che si era appartato in una piccola stanzina con un tavolo, disseminato di attrezzi per lavorare il legno.
Lui le rivolse uno sguardo gentile, quando la vide appoggiata allo stipite.
« Dovresti vendere qualche tuo lavoro » esordì, guardandosi intorno.
La luce che filtrava dalle finestre illuminava le statue lignee, sistemate qua e là. C’erano gufi, marmotte, scoiattoli e ghiandaie che la osservavano, come se fossero realmente in un bosco. In un angolo, c’era anche una volpe seduta, con la coda folta quasi fosse vera.
Poi in un altro angolo, scorse un mezzo busto di una donna, che sembrava prender vita dal ceppo stesso. Le fibre del legno coloravano le ciocche ondulate di una chioma che circondava il volto di una bellissima donna, che Anna aveva conosciuto quasi due anni prima. La ricordava molto bene per il suo portamento regale e gli occhi verdi, brillanti di acume.
Richard notò l’atteggiamento di Anna, ma fece finta di nulla e decise di liquidare la questione.
« Non valgono molto » borbottò lui mentre sceglieva una lima.
« Sono bellissimi invece… - lo rimbrottò bonaria, ma non ricevendo risposta, cambiò argomento - La Signora Inge mi ha chiesto di dirti che ha bisogno di qualcuno che spacchi la legna. Dice che vuole vederti ». Lo vide accennare un sorriso.
« I suoi, sono i migliori biscotti alle more di tutta Hartland »
« E’ vero » ammise, ridacchiando.
« Dov’è Josephine? » chiese improvvisamente, senza distogliere l’attenzione dal proprio lavoro di riparazione.
« A scuola. Ha detto che oggi sarebbe venuta qui per una passeggiata col suo zio preferito » aggiunse, tornandogli vicina.
« Dille che la aspetto » mormorò lui, aggrottando la fronte mentre sostituiva il braccio del soldatino.
Anna era abituata al silenzio dell’uomo, ma continuava a non capirne il motivo. Da ragazzo, seppur non così vivace, Richard era sempre stato un tipo cordiale e presente al villaggio. Ma da quando era tornato da quel misterioso viaggio nelle Terre Centrali, qualcosa era cambiato in lui. Gli occhi grigi erano spenti e il sorriso raramente colorava il suo volto. Tutti al villaggio si chiedevano cosa gli fosse accaduto, ma lui continuava a ripetere le solite frasi cortesi, dal cipiglio nervoso. Rassicurava tutti circa la scomparsa del confine, dicendo che il malvagio Rahl era morto ma non si spingeva mai oltre.
Pur non essendone sicura, Anna aveva intuito che qualcosa lo aveva sconvolto. Aveva ricostruito la casa del padre con l’aiuto di Chase, per poi rifugiarcisi nella più completa solitudine.
« Ecco fatto » disse dopo qualche minuto, riscuotendola dai propri pensieri.
« Grazie, Richard - rispose con un sorriso – Johnny, saluta e ringrazia lo zio ».
Il bambino con estrema riluttanza salutò Richard, che lo accolse in un abbraccio. Lo lasciò andare, porgendogli il giocattolo e lo osservò trotterellare fuori dall’abitazione.
Anna lo guardò a sua volta, poi tornò con gli occhi su Richard.
« Ti andrebbe di venire a cena questa sera? » propose, sapendo già che la risposta sarebbe stata negativa. Lui sospirò pesantemente.
« Mi piacerebbe, ma… » poi abbassò il capo.
« Richard, non puoi stare qui per sempre – lo interruppe, cercando al contempo un contatto visivo - Hai bisogno di compagnia ».
« Non ne ho bisogno, Anna » rispose brusco.
Anna lo fissò per un lungo momento, distolse lo sguardo e lo pose sul pavimento « Ci vediamo ».
« Aspetta… Mi dispiace. – mormorò contrito - So che sei preoccupata, ma… Preferisco stare da solo ».
I loro sguardi si incrociarono ancora una volta.
« Che cosa è successo nelle Terre Centrali, Richard? ».
Ci fu un momento di calma. Il silenzio si era trasformato in un polveroso manto di velluto prima di essere interrotto dalle parole criptiche di Richard.
« Meglio non sapere… ».
___________________________
1Anna: donna, amica di Richard citata nella puntata 12 della prima stagione, “A casa”.

Angolo Autrice: Salve miei carissimi Lettori! Ecco qua il prologo di questa nuova ff tutta per voi, proprio come vi avevo promesso.
Finalmente sono riuscita a completare in anticipo la trama (evento nazionale D:), avendo tempo e ispirazione da dedicarle.
Sarà una storia un po' diversa dalle precedenti a cominciare dal fatto che non sarà una serie, perchè voglio che sia la mia opera migliore. Inoltre, ci saranno capitoli più lunghi e sostanziosi e pertanto, capirete bene, che la pubblicazione sarà un po' più lenta soprattutto per colpa della scuola babbana... *sob*
In compenso, cercherò di applicarmi di più sulla scrittura e sul lessico, che stava cominciando a diventare un po' ripetitivo (almeno secondo me).
Finirò chiaramete anche l'altra ff, 'Non c'è magia più potente dell'amore - Parte 3', che presto aggiornerò ;)
Detto questo, spero di avervi incuriosito in questa primo capitolo e che sarete numerosi come sempre.
Vi ringrazio per la vostra partecipazione, anche nelle altre mie storie. Ve amo na' cifra <3
Al prossimo capitolo,
50shadesofLOTS_Always

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Le ruote di un carro scricchiolarono sonoramente, lamentandosi con un cigolio del pesante carico di un vecchio contadino. Quel suono si unì all’assordante cacofonia che pervadeva la piazza del mercato, dove i venditori ambulanti proponevano, come oratori teatrali, i prodotti più disparati. Dagli ortaggi coltivati nei campi fuori città, ai talismani che promettevano fortuna e salute. Dalle stoffe più pregiate, alle carni più ricercate. E poi fiori, attrezzi, medicine e pozioni miracolose. Alcune galline chiocciavano infastidite nelle loro piccole gabbiette mentre i maiali si rotolavano nel fango misto a paglia all’interno di bassi recinti, grugnendo fra le risa dei ragazzini. Una leggera brezza autunnale dal retrogusto estivo, scuoteva la biancheria appesa sui davanzali e diffondeva l’aroma delle pietanze e delle spezie vendute.
Il sole di mezzogiorno batteva sul marmo bianchissimo di un maestoso castello, il Palazzo delle Depositarie,  con cinque torri altissime, bastioni bloccati fra le nuvole e una cupola ogivale, che svettava come un silenzioso sovrano sulla città di Aydindril.
All’interno del palazzo, vi era la stessa atmosfera della piazza. Gli inservienti correvano su e giù dalle rampe di scale, entravano e uscivano dalle stanze, superando angoli e corridoi come tante api dentro ad un grande alveare. Le guardie, vestite e armate di tutto punto, sorvegliavano il perimetro, gli ingressi e le uscite di tutto il palazzo. Due di loro se ne stavano fermi, assistendo all’ennesima conversazione fra un contadino e la Madre Depositaria. La Custode di Aydindril e delle Terre Centrali.
L’esile uomo si trovava in piedi di fronte ad una predella, al centro di un transetto, innalzata di sei gradini dal pavimento marmoreo, candido con venature auree. Dodici imponenti colonne rastremate si ergevano da basi di oro massiccio per sostenere altrettante volte a crociera, generate da archi ogivali sospesi ad una ventina di metri. La loro superficie era completamente affrescata con figure di Maghi e Depositarie, che osservavano il gruppetto di astanti, raccolti dietro al contadino, con espressioni severe. Un ballatoio continuo, visibile ad intermittenza fra le colonne, percorreva il perimetro della sala ed era reso accessibile da un paio di rampe di scale, nascoste dietro a due colonne che reggevano un catino absidale, sotto cui si apriva una finestra enorme. Il vetro di alabastro lasciava filtrare la luce del dì, che tiepido, illuminava la donna seduta sullo scranno d’ebano posto sulla predella, proprio davanti ai contadini.
Lei, era la Madre Depositaria Kahlan Amnell.
I suoi occhi verdi si fissarono sul piccolo uomo umile che mentre parlava, stringeva e stropicciava il berretto fra le mani rugose per il lavoro nei campi. Due donne probabilmente la moglie e la figlia, non avevano emesso un fiato da quando erano entrate mentre altri uomini, altri contadini, annuivano alle parole del primo senza aggiungere o contestare.
Kahlan non seppe dire con certezza se era la paura nei propri confronti o nel Principe Fyren del Kelton, a cui erano stati sottomessi per lungo tempo. In sua assenza infatti, il Principe si era appropriato del Palazzo e della città, proclamandosi Alto Lord Reggente. Titolo assolutamente insignificante e privo di valore data la sua inesistenza. Inoltre Kahlan aveva il forte sospetto, anzi ne era sicura, che il Concilio avesse giocato un ruolo fondamentale nell’ascesa del Principe.
Ovviamente aveva sciolto l’assemblea, ma non tutti erano rimasti in città. Quelli sfuggiti all’esecuzione per alto tradimento erano sicuramente nascosti da qualche parte, in attesa di mordere di nuovo.
Il Primo Mago Zeddicus Zu’l Zorander era teso proprio per quel motivo. Non avevano a che fare con normali funzionari, ma maghi dotati seppur in potenza minore.
« Mi rendo conto di essere colpevole di quel furto e di meritare la mia punizione… - balbettò - Ma credetemi, Madre Depositaria: l’ho fatto solo per salvare la mia famiglia » mormorò, guardandola con delle occhiate fugaci e sottomesse. Kahlan sospirò, paziente.
« Ripagherai quella famiglia col raccolto che otterrai da questo momento in poi. Per punizione, aggiungerai il trenta per cento in più per un mese, fino al saldo del debito » sentenziò con tono severo, ma distaccato. L’uomo sembrò riprendere colorito quando seppe che non gli avrebbero tagliato la testa.
« Lo farò, Madre Depositaria ».
Zedd intervenne, tossendo leggermente per attirare l’attenzione di Kahlan, che lo osservò imperturbabile.
« Permettete, mia Signora… » esordì riverente e scese i gradini fino a fermarsi davanti all’uomo, che aveva finalmente smesso di tremare. Con estrema delicatezza, Zedd gli sollevò il braccio sinistro. Il moncherino, dovuto ad un’ingiusta esecuzione degli scagnozzi di Fyren, era nascosto dalla giacca vecchia, ma comunque in buono stato.
Kahlan osservò il Primo Mago chiudere le palpebre mentre compiva un profondo respiro. Il volto solcato dalle rughe del tempo, era incorniciato da una chioma nivea arruffata in contrasto con la lunga tunica color castagno, fermata in vita da una cintura.
Zedd si concentrò e fece appello al proprio Han che albergava all’interno del suo essere, calmo e pacato, e con un gesto della mano, restituì al contadino la propria. L’uomo strabuzzò gli occhi per la sorpresa e Kahlan si lasciò sfuggire un lieve sorriso mentre le due donne piangevano commosse.
« Ti ho donato ciò che ti apparteneva e che ti è stato tolto senza alcun diritto, ma adesso devi fare la tua parte – l’uomo annuì con gli occhi azzurri e acquosi per la gratitudine – Se commetterai un altro reato, la Madre Depositaria non potrà essere così clemente » lo ammonì, arcuando un folto sopracciglio.
« Non accadrà, Grande Mago. Farò come da voi richiesto e pagherò per il mio errore, Madre Depositaria » tartagliò per l’emozione, chinando la testa più volte e imitato poi dal piccolo capannello.
«  Bene. Ora potete andare » acconsentì Kahlan infine, guardando il gruppetto allontanarsi ed uscire dalla sala. La grande porta a due battenti rimase aperta per permettere il passaggio del Principe Fyren. Al suo fianco pendeva una spada, che ondeggiava ad ogni suo passo reso sicuro dal carattere caparbio e a volte, arrogante, tipico dei Keltiani.
Kahlan non biasimò Zedd, tornato vicino a lei come un fidato mastino da guardia. Aveva percepito una certa nota di repulsione del Mago per Fyren e sospettò che se non fosse stato confessato, lo avrebbe già incenerito con una vampata di fuoco magico. Dopo i recenti avvenimenti, non potevano più concedersi esitazioni. O peggio, errori.
« Ho restituito le ammende come mi avevate ordinato, Padrona » esordì, inginocchiandosi di fronte alla predella, sotto lo sguardo impassibile di Kahlan. Quella maschera priva qualsiasi emozione faceva tremare le ossa di Zedd, non tanto per la consapevolezza del suo potere, quanto per la gelida fermezza con cui gli soldava l’anima. Trovava quasi inquietante quella sorta di saggezza in una ragazza appena ventiquattrenne.
Chiunque sarebbe arretrato sotto quegli smeraldi, anche la terra stessa. Non conosceva nessuno in grado di sfidarli, tranne Richard.
Guai e meraviglie in una sola persona. Sentiva molto la sua mancanza, un po’ come allievo. Conosceva benissimo le ragioni che avevano spinto il Cercatore ad abbandonare quel ruolo e tornare a casa, ad Hartland. La Depositaria non aveva esposto alcuna critica né opinione, tranne un debole ‘capisco’. Era poi rimasta a guardarlo salire in sella ad un cavallo e gettarsi al galoppo nella Valle degli Echi, al confine con la Galea. Prima di allontanarsi troppo Richard aveva fatto retrofronte, si era voltato ancora una volta. Zedd sospettava come allora, che pur così distanti, gli sguardi dei due giovani si fossero incontrati per dirsi addio. Poi aveva atteso con lei, che il Cercatore svanisse come un minuscolo puntino all’orizzonte. Sapeva anche che Kahlan soffriva terribilmente ed era sicuro che fosse proprio suo nipote, il motivo per cui non aveva ancora preso un compagno.
« Puoi tornare ai tuoi doveri, adesso » rispose Kahlan con tono distratto, passandosi una mano sul viso. Era stanca, spossata e desiderava ardentemente di potersi coricare anche solo per qualche ora. La notte non aveva chiuso occhio: la preoccupazione per i dissidenti, annidati chissà dove, in attesa di colpirla nel momento più impensabile, la teneva ben sveglia. Senza contare il vuoto lasciato da Richard.
Le mancava terribilmente per quanto le costasse ammetterlo, perfino a sé stessa.
Era come se le mancasse un pezzo di sé, di cui restava solo una voragine o una sagoma concava che lentamente continuava a sgretolarsi per aumentare di dimensioni. Provava una strana sensazione, qualcosa di indefinito e indefinibile che credeva di poter afferrare senza poi riuscirci, ogni qualvolta il suo animo vi inciampava per poi restarne impantanata.
Faceva gli incubi e si svegliava nel bel mezzo della notte, ma non urlava. Non voleva che qualcuno sapesse. Non voleva dare soddisfazione al suo subconscio, già tormentato.
Si volse verso Zedd, che stava per dirle qualcosa quando i battenti della porta esplosero improvvisamente, come spazzati via da un’onda d’aria densa.
Fyren e le due guardie atterrarono sul pavimento insieme ad uno scroscio di schegge mentre ai cardini, restarono fissi solo dei brandelli di legno. L’ex principe e i due soldati erano morti e sotto i loro corpi, si stavano formando delle pozze vermiglie.
Kahlan si alzò in piedi mentre Zedd scese un gradino, per porsi poco più avanti. Dopo alcuni secondi comparvero degli uomini. Erano due maghi sfuggiti all’esecuzione, entrambi del Terzo Ordine. Uno di loro, Alan, era anche rappresentante di un regno minore, la Sanderia.
« Quale immenso onore! - esordì uno - Kahlan Amnell e Zeddicus Zorander nella stessa sala »
« Jesaia1…» sibilò Zedd, stringendo i pugni fino a sbiancarsi le nocche nodose.
« Sei sorpreso, amico mio? » gli chiese, sprezzante.
« Dopo l’ultima volta che ci siamo visti, non così tanto » borbottò.
« Alan » ringhiò Kahlan, assottigliando gli occhi su di lui come un leone su una preda.
« Mi aspettavo un benvenuto più caloroso da parte di entrambi. Mi hai deluso, Kahlan » mormorò il mago, compiendo qualche passo verso di loro, imitato poi da Jesaia. L’aria cominciò a crepitare, a caricarsi di elettricità. Kahlan poteva sentire gli Han dei due maghi, compreso Zedd vicino a lei. I peli del corpo le si erano rizzati come se avesse la pelle d’oca.
« Mai quanto avresti potuto deludere me alleandoti con Rahl » rispose di pari tono mentre lentamente faceva scivolare i pugnali nelle sue mani, nascosti rigorosamente dalla stoffa dell’abito bianco.
« Cosa credete di fare? » li provocò Zedd, sapendo che, tranne Jesaia, non potevano costituire una mera minaccia. Alan, nonostante fosse un mago, non possedeva l’Han nel proprio sangue. Aveva solo la predilezione per la magia, attraverso pozioni e polveri.
« Quello che avremmo dovuto fare un sacco di tempo di fa » disse Jesaia sollevando un pugno verso Kahlan. Lei era comunque pronta a scattare. Sentiva l’adrenalina che pompava nel sangue, facendo fremere i propri muscoli nella smaniosa attesa di agire.
Ma una vampata di fuoco magico mise fine a tutto.
Delle fiamme, dall’aspetto quasi liquido, sfrecciarono verso i due maghi e li avvolsero con ferocia. Il calore fece distorcere i loro lineamenti, si nutrì della loro carne fino a che di loro non rimasero altro che due cadaveri sanguinolenti e in alcuni punti, smembrati fino alle ossa. Le loro grida di dolore rimbalzarono sulle pareti in marmo mentre Kahlan riponeva le armi.
« Avevi ragione, ragazza mia » mormorò Zedd, fissando quelli che per anni erano stati i suoi allievi.
« Avrei potuto confessarne uno » commentò lei, lanciando loro un’occhiata.
Quasi si sentì sollevata nel vedere Fyren morto, poco più in là.
« Beh è troppo tardi ».
Alcune guardie ed inservienti, sotto le direttive di Kahlan, portarono via i corpi uno alla volta. I piedi di Jesaia lasciarono una scia rubina che un’inserviente si affrettò a far sparire, insieme alle altre prove dello scontro. Il marmo, dopo pochi minuti, tornò a risplendere bianchissimo. Come se niente fosse accaduto.
Kahlan trovò quel fatto più inquietante dei cadaveri che avevano imbrattato il pavimento.
« Non ha comunque senso. Sapevano che non avrebbero potuto ucciderci » esordì nel momento in cui Zedd cominciò a scendere dalla predella.
« Ho il sospetto che a loro non importasse molto del successo » bofonchiò, quasi più rivolto a sé stesso.
« Una missione suicida? » chiese Kahlan, seguendolo. Spostò la lunga gonna per evitare di inciamparvi.
« Ciò non cambia la situazione – continuò il vecchio mago, voltandosi a guardarla - Questo palazzo, questa città non è più un posto sicuro per te. Devi andartene ».
Il viso del Primo Mago appariva ancor più rugoso per la preoccupazione.
« Se me ne vado, la gente penserà… ».
Lui la prese per le spalle, stringendo appena le dita ossute sulle sue braccia.
« Non possiamo permetterci di perdere la Madre Depositaria. Al popolo penserò io »
« Zedd… » ma non poté dire altro, perché lui la interruppe nuovamente.
« Devi andare via da qui e subito » ribatté severo. Gli occhi nocciola brillavano di risolutezza. Pur non esprimendosi, Kahlan aveva capito dove Zedd voleva che si dirigesse.
« Promettimi che ti rivedrò »
« Non preoccuparti per me. Sarà un gioco da ragazzi – le incorniciò il viso e le stampò un bacio affettuoso sulla nuca – Che gli spiriti ti proteggano, bambina ».
 

*

« Ecco a te, caro » mormorò la donna, porgendogli cinque monete di rame e una d’argento.
Richard le prese,  sorridendole riconoscente per poi restituirle quella d’argento.
« Grazie Signora Inge » disse mentre l’anziana gli mostrava un piccolo fagotto. Dal panno a quadri annodato, proveniva un profumo delizioso di biscotti appena sfornati.
« E qui ci sono anche dei biscotti »
« Lei è molto gentile – rispose, dandole un affettuoso bacio sulla guancia - Se ha ancora bisogno di me, sa dove trovarmi ».
L’anziana rispose con un cenno deciso della testa e Richard si avviò, infilando le monete in tasca. Tenne il fagotto in una mano mentre camminava evitando i punti più fangosi a causa di un breve acquazzone, terminato proprio quel mattino. Salutò Walter, il buffo macellaio del villaggio che ricambiò con un caloroso sorriso poi proseguì oltre le cinta di pali lignei per addentrarsi nel bosco, dove i primi animali notturni cominciavano a sgusciare fuori dalle loro tane. Fra quei versi e il fruscio delle foglie degli alberi, Richard  si sentì tranquillo. Il sole morente stava ormai sparendo all’orizzonte, occupato da monti scuri, e le nubi lontane di un nuovo temporale, si tingevano di cremisi.
Si levò un soffio di vento, che lo fece sorridere mentre osservava gli ultimi raggi, giocare coi rami. Una volpe passò furtiva fra alcuni tronchi, lo fissò con le orecchie tese e poi fuggì con un guizzo. Richard si chinò quando scorse delle bacche appetitose. Le raccolse con una mano e quando riprese il cammino, le mangiò piano piano per gustarsele. Si accertò della presenza di eventuali estranei, ma non vide né impronte né rami spezzati. Le ragnatele erano ancora al loro posto. Le evitò fino alla fine del sentiero cosicché quando qualcuno ci sarebbe passato, lui lo avrebbe saputo. Poi attraversò il prato enorme, protetto dalla foresta tinta di toni caldi che sembravano in quel momento, un’estensione del cielo ormai teso all’imbrunire. La depressione in cui si trovava la sua casa pareva un angolo nascosto di un paradiso riservato unicamente a lui e a suo padre. Nonostante fosse morto, vivere là era un modo per sentirlo più vicino a sé. Salì i gradini della veranda ed entrò. Posò il fagotto su un tavolo e si avvicinò al camino per accendere il fuoco. Usò un acciarino, poi aggiunse della legna secca e cominciò a prepararsi la cena. Dopo una giornata faticosa era lieto di potersi rilassare. Riempì la pentola d’acqua e sminuzzò verdure e radici per la zuppa. Sistemò la pentola sul fuoco e mentre prendeva del pane da una credenza, il suo sguardo scivolò sulle proprie creazioni di legno. Prima sul nido di cinciallegre, sull’aquila reale e poi sul mezzo busto femminile. Guardare quella scultura gli provocava dolore, allargava la voragine che sentiva da quando era tornato dalla missione contro Rahl.
Ma del resto, non poteva farne a meno. Aveva provato a distruggerla lui stesso, con un’accetta, ma non ci era riuscito. Anche se l’avesse distrutta, non poteva dimenticare. Non poteva dimenticare la propria Depositaria. Era rimasto immobile a fissarla, col cuore che saltava i battiti e gli occhi immersi nei sua prima di riprendere la strada per Hartland.
Sospirò pesantemente, tornando al proprio pasto.
 

***

Kyle, il soldato che l’avrebbe scortata, si sistemò le bisacce sulle spalle e le fece strada fuori dalle scuderie. Kahlan non aveva bisogno di una guida, ma due braccia in più in quel viaggio, le sarebbero sicuramente servite.
Il freddo della notte le accarezzò il viso e lei allungò le mani sulle spalle per sollevare il cappuccio. I capelli le ricaddero sulle spalle mentre camminava sotto lo sguardo del pallido disco lunare.
Attraversarono la città ormai deserta. Non riusciva a pensare a niente. La sua testa era ora un turbinio caotico di pensieri. Durante il tragitto, scorse le vite all’interno delle case.
Vide una donna che preparava del pane mentre sorrideva al proprio figlio, piccolissimo, che giocava con la farina. In un’altra casa, vide due fratelli che giocavano vicino ad un fuoco mentre la nonna rammendava i pantaloni con delle toppe colorate. Poi da una finestra, illuminata da una piccola torcia, intravide una giovane coppia. La donna stava cucinando con una mano posata sul pancione e, accanto a lei, il compagno le sussurrava qualcosa all’orecchio. Rubò quei momenti fugaci di quotidianità perché sapeva che non avrebbe mai avuto una vita simile, normale. Sposata con dei figli e magari, in seguito anche dei nipoti.
Poi l’immagine del Cercatore le tornò alla mente. Ricordava bene il loro primo incontro, sul precipizio della Montagna Smussata. Gli occhi grigi dell’uomo erano costantemente nei propri sogni, che a volte, erano solamente ricordi. Ricordi che aveva cercando di cancellare, invano.
Le Depositarie non conoscono l’amore, solo il dovere.
Sua madre aveva avuto ragione.
Giunti oltre e mura, si addentrarono in una fitta foresta. Il sentiero poi curvò su un piccolo promontorio da cui si poteva ammirare tutta Aydindril, su cui il satellite dominava, rendendo il palazzo bianco quasi di cristallo. Le lanterne somigliavano a tante lucciole sparse qua e là mentre gli sbuffi dei camini parevano il respiro di tanti piccoli esseri di legno addormentati. Era una vista mozzafiato.
Già sentiva la gli artigli della nostalgia, ma la voce del soldato la riscosse.
« Madre Depositaria…».
« Sì? » chiese distrattamente, continuando a guardare la città.
« Dove siamo diretti? ».
Lei si girò verso le imponenti vette del Rang’Shada, imbiancate da una neve prematura.
« A Ovest » rispose dopo qualche attimo, prima di avviarsi con Kyle.
___________________________
1Jesaia: mago citato nella puntata 6 della prima stagione, “L’Elisir”.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


I raggi del sole del pomeriggio faticavano a farsi spazio fra le fitte fronde degli abeti, scossi da una leggera brezza così fredda da lasciare la brina sulle cortecce. In alcuni punti, esse erano state mangiucchiate da cervi. A quell’altitudine, nonostante la neve fosse ancora lontana, gli arbusti erano pochi. Gli scoiattoli terminavano di ammucchiare le scorte di ghiande e noci all’interno delle loro nicchie, nelle cavità dei tronchi al sicuro dagli orsi che tardavano il letargo il più possibile.
Due briganti sostavano in una radura tranquilla, davanti ad un piccolo fuoco da campo.
Le fiamme scoppiettavano mentre uno degli uomini scuoiava due conigli e l’altro affilava la lama di un’ascia « Passami quel coltello » disse il primo.
Il compagno obbedì mentre una sottile voluta di fumo si sollevò dalle fiamme, girando su sé stessa fino a concentrarsi in un unico punto alle spalle dell’uomo intento a lavorare le armi. L’altro alzò gli occhi nel momento stesso in cui il fumo assumeva le sembianze di un uomo. Il volto austero e simile a quello di un re era incorniciato dal capelli castani, lunghi sino alle spalle.
Stava per avvertire il compagno, ma questo spalancò la bocca. Mentre il sangue, che poi gli imbrattò il mento, gorgogliava in fondo alla sua gola e gli occhi si spalancavano per la sorpresa, scivolò di lato.
Il nuovo arrivato teneva in mano il cuore ancora pulsante del brigante, ormai morto. Il sangue imbrattò il pugno, in cui stringeva l’organo come se fosse un calice di trionfo.
I suoi occhi azzurri e penetranti puntarono il brigante, seduto su una roccia e attonito davanti al fuoco.
« Fa’ tutto quello che ti dico e ti risparmierò » gli ordinò Darken Rahl.

***

Zedd camminava per la Sala dei Questuanti con le braccia dietro la schiena. Stava ponderando cosa fare per prima e come. Doveva calcolare e prevedere qualunque possibile conseguenza, ma riusciva soltanto a pensare a Kahlan. Era partita da alcune ore ed ormai doveva essere giunta sulle prime vette a nord della catena del Rang’Shada. Sperò ardentemente che Kyle la portasse da Richard sana e salva.
La porta si aprì e due uomini, il Comandante Smith e il Generale Wolf, grandi quanto degli armadi, entrarono di gran carriera seguiti da un piccolo manipolo di uomini. Erano le guardie personali della Madre Depositaria. I due ufficiali erano armati dalla testa ai piedi, ma ciò che incuteva più timore erano le loro espressioni gelide e imperscrutabili. Due maschere che non lasciavano intuire alcuna emozione, tranne il continuo movimento dei loro pensieri come ingranaggi ben oliati.
« Generale Wolf… » esordì uno.
« Comandante Smith »
« A vostro servizio, Grande Mago » conclusero insieme dopo una veloce riverenza.
« Buonasera, ma Signori… Temo di non essere così grande come dite » borbottò aspro, dando loro le spalle. I due ufficiali si lanciarono uno sguardo confuso.
« Dov’è la Madre Depositaria? » chiese Wolf, spostando il peso da una gamba all’altra.
« E’ proprio per questo che vi ho convocato entrambi. – si voltò, facendo ondeggiare i capelli nivei - La Madre Depositaria ha dovuto abbandonare il Palazzo Bianco ».
« Che significa? »
« Significa che è in atto un complotto per destituirla » dichiarò criptico, avvicinandosi ai due.
« Sporchi Atiani » ringhiò Smith, pronto a far strage di uomini.
« Raffreddate i bollenti spiriti, Comandante. La minaccia non è limitata agli abitanti del Regno di Atanasia » lo ammonì in tono grave.
« Non si tratterà di magia? » domandò Wolf, circospetto come se stesse attraversando un campo pieno zeppo di mine di Alito di Drago.
« Non basta avere il titolo per spazzare via le minacce ».
« Ma voi siete il Primo Mago » mormorò il Comandante.
« Purtroppo non si tratta di un solo nemico. Stiamo parlando di quasi una dozzina di Maghi, forse sono burattini nelle mani di qualcuno di più pericoloso ».
« Chi? »
« Questo ancora non lo so. – sospirò, riprendendo la sua nervosa passeggiata - In questi mesi, almeno fino a questa mattina, avete dato la caccia ai traditori ».
« Fino a questa mattina? »
« Due degli ex membri del Concilio hanno cercato di uccidere la Madre Depositaria. Sono intervenuto, ma la prossima volta, chiunque sia ad organizzare tutto questo, manderà qualcuno di più forte. E non sono sicuro che riuscirò a respingerlo. Ho ritenuto saggio far fuggire la Madre Depositaria prima che le cose si aggravassero ulteriormente ».
« Cosa facciamo allora? » chiese il Generale, stavolta lasciando trapelare la preoccupazione.
Se la Madre Depositaria era in pericolo, lo erano anche loro. Lo era Aydindril e tutte le Terre Centrali.
« Dobbiamo raddoppiare le misure di sicurezza, triplicarle fino al ritorno della Madre Depositaria. Dobbiamo continuare a stanare i traditori fino al termine della lista ».
« Quando tornerà la Madre Depositaria? E che faremo allora? »
« Non so quando tornerà e forse non dovrebbe nemmeno farlo » mormorò, quasi sovrappensiero.
« Ma da sola…»
« Non è da sola e non lo sarà: Kyle la sta accompagnando » rispose, interrompendo il Generale.
« Verso dove? » chiese Smith, lanciando uno sguardo eloquente al proprio superiore mentre Zedd li fissava intensamente e contemporaneamente, intento a scrutare il vuoto.
« In cerca dell’unico uomo in grado di salvarci ».

*

Il crepuscolo si stava avvicinando. Una minuscola macchia violacea, oltre l’orizzonte che si estendeva a perdita d’occhio, si stava gradatamente spandendo come l’olio sulla volta celeste. Il sole stava giungendo al tramonto quando quattro uomini risalirono in pendio.
Darken si limitò a guardarli mentre si fermavano in ginocchio di fronte a lui. Posarono la fronte a terra e le mani ai lati della testa, cominciando a salmodiare.
« Lord Rahl guidaci. Lord Rahl insegnaci. Lord Rahl proteggici. Noi viviamo nella tua luce, la tua saggezza ci umilia. Viviamo solo per servirti. Le nostre vite ti appartengono ».
La cantilena venne ripetuta per tre volte, poi ognuno di loro si alzò mentre Rahl controllò la cottura del coniglio che aveva sistemato su uno spiedo.
« Mi chiedevo se per caso vi foste persi per strada » esordì il despota con malcelata irritazione.
« Perdonateci, mio Signore. Ma non è stato semplice raggiungervi » tentò di scusarsi uno.
Darken lo fissò di scatto e i quattro uomini, grossi quanto degli armadi, arretrarono di un passo.
« Fate che non accada nuovamente con la missione che vi affiderò fra poco. Altrimenti sarò io a venire da voi – disse, facendo sibilare le parole fra i denti - E le conseguenze non saranno affatto piacevoli ».
Il silenzio calò nuovamente, con la stessa pacatezza di un sovrano su uno scranno.
« Che genere di missione dobbiamo compiere? ».
Darken afferrò una parte non rovente dello spiedo e soffiò sulla carne.
« Dovete cercare una persona molto particolare. – con la mano libera, impugnò un coltello e cominciò a tagliarsi un pezzo di coniglio - E una volta trovata, la ucciderete » aggiunse, infilzando la fetta.
Poi avvicinò la lama alla bocca ed addentò la carne.
« Diteci chi dobbiamo stanare » chiese uno dei soldati.
« E’ una donna di circa trent’anni, dai capelli lunghi e soprattutto, indossa un abito bianco ». 

**

I raggi lunari della prima sera illuminavano d’argento la foresta e creavano strani, a tratti inquietanti, giochi di ombre. Kyle le porse la mano, ma lei rifiutò. Si aggrappò invece a una radice sporgente di un vecchio albero abbattuto e, si rimise in piedi su un lato di un sentiero scarsamente percorribile, su una cengia. Le foglie cadute e il fango rendevano difficile riconoscere la strada. I cespugli crescevano anche in mezzo al sentiero.
« Potremmo accamparci dietro a quel gruppo di alberi. Saremo abbastanza protetti dal freddo e da eventuali visitatori sgraditi » mormorò Kahlan a bassa voce.
Kyle annuì quando udirono un ramo che si spezzava. Si bloccarono esattamente dov’erano, tendendo le orecchie pe capire la portata della minaccia. I richiami notturni della foresta avevano oscurato l’avvicinamento dei nemici, ancora nascosti.
« Un paio di alberi non saranno abbastanza » rispose un uomo, il cui volto era coperto da un cappuccio. Sotto al mantello, Kahlan riuscì a distinguere il filo di una lama: una spada corta, agganciata al cinturone. Non riuscì a capire chi fosse, ma quando notò altri tre individui, i suoi dubbi divennero improvvisamente polvere. Vide i sorrisi beffardi sui loro volti e lanciò un’occhiata a Kyle, che aveva già stretto la mano intorno all’elsa della propria spada.
Senza alcun preavviso, Kahlan si voltò per parare il fendente dell’uomo che stava per colpirla alle spalle. I pugnali le erano guizzati nelle mani. Spinse indietro l’arma nemica e attaccò.  Ma la mossa aprì un varco nella propria difesa e l’uomo riuscì a ferirla al fianco. Il sangue le tinse l’abito bianco e mentre il bruciore della ferita diventava sempre più forte, lo afferrò per la gola. I suoi occhi verdi incrociarono quelli terrorizzati della sua vittima mentre stringeva la presa.
Il tempo parve rallentare.
Era spacciato. Era sotto il suo più completo controllo e lo sarebbe stato fino alla propria morte.
In un unico e brevissimo istante, Kahlan lasciò cadere le redini che imbrigliavano il proprio potere e lo liberò. Un tuono senza boato esplose nella quiete del bosco di altissime sequoie, scuotendone i rami e sollevando le foglie colorate già cadute al suolo. L’onda d’urto continuò l’impetuoso tragitto, facendo cadere a gambe all’aria Kyle e gli sconosciuti.
Il soldato aveva la bocca spalancata mentre gli occhi di Kahlan tornavano alla loro naturale cromia. Riprese a respirare nello stesso momento in cui il confessato si lanciò all’attacco contro i propri stessi commilitoni. Anche Kyle si era già rimesso in piedi e stava tenendo impegnato uno degli uomini. La spada contro quella dell’avversario era l’unico schermo a difenderlo.
I loro sguardi si incrociarono nel buio.
« Madre Depositaria, scappate – lei lo fissò, titubante - Adesso! ».
Pur volendo agire, era troppo debole per combattere. Con lo zaino sulle spalle cominciò a correre lungo il sentiero mentre si allontanava dallo schiocco argentino delle armi e dalle urla di battaglia.
La sua mente stava corredo velocemente, tanto quanto le gambe, nel tentativo di comprendere la situazione che appariva perfino assurda. Perché dei soldati D’Hariani avrebbero dovuto seguirla?
Evitò ancora i punti più fangosi e più stretti per non lasciare impronte o tracce del proprio passaggio.
Si sentiva male al pensiero di aver lasciato Kyle da solo contro tre assassini addestrati. Sperò che l’uomo confessato sarebbe stato un aiuto sufficiente.
Quella constatazione ovviamente era solo un vano tentativo per restare calma. Non poteva permettersi che la paura, fino ad allora tenuta ben nascosta sotto un velo d’indifferenza, la sopraffacesse e la costringesse ad agire in modo stupido e imprudente.
Aveva il respiro accelerato, il cuore che le pulsava nei timpani, ma non aveva intenzione di fermarsi. Avrebbe corso per tutta la notte se fosse stato necessario.
Alla disperata ricerca di una spiegazione plausibile, si accorse di aver messo quasi un chilometro fra lei e il quadrato. Poi un urlo disperato, la fece fermare sul bordo di un promontorio e spaventò un piccolo stormo di uccelli rimasti appollaiati nelle chiome, che si perdevano nella valle sotto di lei. Sapeva che non era abbastanza. Pregò per l’anima di Kyle affinché gli spiriti lo conducessero alle dimore della pace eterna e fece lo stesso, sperando che quegli stessi spiriti avrebbero esaudito il desiderio di Zedd.
Mai come in quel momento avrebbe voluto il Mago al suo fianco. Averlo al proprio fianco era come avere una parte di Richard.
Adesso invece era sola, lontana dalla propria meta e con un quadrato alle calcagna.
Mentre il grido di morte si perdeva nell’aria immobile della notte, Kahlan controllò l’ambiente circostante, poi osservò la posizione degli astri e riprese a correre. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Il Palazzo del Popolo non era mai stato così tranquillo. Per la sua struttura di città, era il centro del D’Hara, in mezzo all’arida Piana di Azrith. Non era solo la casa di Lord Rahl, ma la casa di tutti i D’Hariani. Nella parte bassa vi erano le case dei contadini, che coltivavano le terre attorno al promontorio su cui sorgeva l’edificio. Le prime mura separavano quel livello dalla cittadella con dei fornici, strettamente sorvegliati come il resto degli ingressi e delle uscite. Le guardie controllavano i visitatori, dando all’afflusso di gente un andamento piuttosto lento e nervoso.
I mercanti arrivati da lontano, guidavano i propri carri seduti a cassetta e scendevano solo per permettere ai soldati di ispezionare le merci.
Più in alto, si ergeva il castello vero e proprio con una cupola centrale ad una pianta ottagonale, i cui vertici erano occupati da alte torri coperte, collegate da bastioni mentre i pennacchi rossi sventolavano fieramente contro il cielo.
Il palazzo era inoltre diviso in più ambienti con ognuno particolari funzioni e, aree con specifiche regole su chi può accedervi. Il secondo piano era quello riservato ai componenti militari fra cui le Mord-Sith.
Denna era in piedi mentre una serva le stava slacciando le cinghie e i lacci della divisa in cuoio rosso mentre un’altra le scioglieva la lunga treccia. Una volta nuda, lasciò che i capelli biondi le cadessero sulle spalle, sulla schiena e sui seni, ondeggiando ad ogni suo passo mentre si avvicinava alla piscina d’acqua termale. Scese i gradini che piano piano vi si immergevano e, socchiuse gli occhi. Il calore la rilassò e nuotò sotto il pelo trasparente dell’acqua per poi tornare in superficie con un grande respiro. Si pettinò la chioma indietro, passandoci le dita e reclinando la testa.
Un tempo non si sarebbe mai sognata di poltrire, ma dopo la morte di Rahl quasi due anni prima, le cose erano cambiate a D’Hara. Ora era lei che si assicurava che lo stato non cadesse in rovina insieme al Generale Evremont1.
Era convinta che in assenza di un erede, solo le Mord-Sith potessero garantire l’ordine.
Ma c’era qualcuno che non era d’accordo con lei, per una sola ed unica ragione: con la dipartita del despota, il legame avrebbe dovuto essere assente. Eppure i soldati riuscivano ancora a sentirlo. Anche le Agiel conservavano la loro magia.
Pur non volendolo ammettere, Denna era cosciente che là fuori da qualche parte, c’era qualcuno col sangue Rahl. Il successore al trono di D’Hara.
Lei e le sue consorelle sospettavano che fosse uno dei tanti figli che Rahl doveva aver concepito con una concubina o una prostituta introdotta nel proprio letto, ma tutti sapevano che quelle donne, né tantomeno i figli da loro nati, potessero essere ancora vivi. Darken ordinava la loro morte, non appena si stufava della donna o si rendeva conto che ella fosse incinta.
Denna però sapeva che il Comandante Trimack2 le stava nascondendo qualcosa su quell’argomento.
Mentre rifletteva, il vapore dell’acqua cominciò a sollevarsi in un’unica colonna, che prese ad avvitarsi su sé stessa. Denna fissò il fumo divenire sempre più denso, indietreggiando verso l’uscita. Era sola, ma non indifesa. Doveva solo raggiungere le Agiel.
Quando l’acqua le arrivò ai fianchi, il vapore assunse un forma fino a definire la figura di un uomo. Mano a mano che le molecole d’aria divenivano sempre più solide, comparvero i primi tratti somatici. Denna sgranò gli occhi e per la prima volta, sentì il cuore in gola. Avrebbe riconosciuto quell’uomo persino in mezzo ad un battaglione in pieno assetto di guerra.
Darken Rahl le rivolse un sorriso malizioso, facendo scorrere quei penetranti occhi azzurri su di lei. Ebbe la stessa identica sensazione di quando aveva incontrato per la prima volta quello stesso sguardo.
All’epoca era stata solo una bambina di otto anni, ma in quel momento come allora, si sentì vulnerabile.
« Ti rilassi Denna? » esordì l’uomo.
Era la sola voce in grado di farle accapponare la pelle. Ricordava molto bene quello che le aveva fatto dopo aver fallito con l’addestramento del Cercatore3 e dopo il furto degli Scrigni dell’Orden4.
« Lord Rahl, s- siete vivo… » balbettò mentre Darken la esortava ad uscire dall’acqua.
Obbedì, ancora stupefatta. Come poteva essere?!
« Sì, mia cara » rispose lui, carezzandole quasi amorevolmente una guancia col dorso di una mano.
« Io… »
« Ti ringrazio per aver tenuto sotto controllo il D’Hara. Tu e le tue Sorelle avete svolto un ottimo lavoro –erano solo a un braccio di distanza - Lavoro che solo le Mord-Sith potevano portare a termine ».
Le prese una ciocca di capelli biondi, avvoltolandola intorno al dito per poi lasciarla ricadere sul suo petto mentre abbassava gli occhi in segno di sottomissione.
« Come posso ancora servirvi, padrone? » chiese, cercando di smettere di tremare.
« Fatti trovare nelle mie stanze questa sera – le sollevò il mento con due dita - Nuda, come in questo momento ». Denna deglutì sonoramente.
Sapeva che quella notte, non avrebbe dormito affatto.
 

****

La notte era ancor più buia e fredda se passata nella foresta.
Kahlan lo aveva provato sulla propria pelle nelle ultime due settimane. Le piogge continue avevano impedito all’erba e ai rami degli alberi di asciugarsi per poterli usare come combustibile. L’umidità le era penetrata fin dentro le ossa, nonostante lo spesso mantello blu scuro.
L’unico aspetto positivo di quella disperata situazione era che ormai aveva raggiunto la propria meta. Aveva superato quello che una volta era stato il territorio del confine e adesso si trovava nel Bosco di Northwood5 vicino Hartland.
Era stata così desiderosa di allontanarsi dal quadrato, che aveva rubato dei cavalli fuori da un ostello. Inizialmente aveva pensato di poter alloggiare lì per una notte ma aveva abbandonato subito l’idea, quando le era tornata alla mente la notte in cui si era separata da Kyle. Aveva spinto i cavalli al galoppo e dopo nemmeno una settimana, erano morti per la fatica. Le era dispiaciuto abbandonare quelle povere bestie dopo aver fatto scoppiare loro il cuore, ma aveva più paura di essere raggiunta dal quadrato.
Ora che si trovava nei Territori dell’Ovest aveva rallentato un poco, solamente per riposare e recuperare le minime forze. Ma il sonno turbato non aveva migliorato le sue condizioni.
Mentre camminava sentiva la ferita al fianco pulsare in modo doloroso e lo zaino le sembrava un macigno sulle spalle, altrettanto pesante come i propri piedi che quasi non sentiva negli stivali. Il taglio doveva essersi infettato, ma considerava più importante raggiungere Richard così da poter tornare da Zedd. Sperò che il Mago stesse bene.
Non sapeva cosa aspettarsi.
Temeva che Richard l’avrebbe respinta e che non l’avrebbe mai aiutata.
Ma quello, per la donna che aveva in sé, non era lo scenario più deprimente. Pur essendo consapevole che i propri poteri costituivano un ostacolo per una relazione con qualsiasi uomo, odiava il pensiero che Richard si fosse rifugiato fra le braccia di un’altra.
Si pentì immediatamente di quella volta in cui gli aveva suggerito di poter tornare da Anna una volta conclusa la missione6. Aveva paura che lo avesse fatto davvero, che si fosse sposato con Anna o con un’altra donna. Che avessero avuto dei figli.
In quel caso, come avrebbe potuto chiedergli di allontanarsi una seconda volta dalla sua casa?
Improvvisamente un gufo la fece sobbalzare. Si voltò istintivamente ed un attimo dopo, non distinse più l’alto dal basso. Rotolò lungo il pendio, ricoperto di foglie morte che le si attaccarono ai vestiti. Rovinò per circa sei metri prima di scontrarsi contro qualcosa di solido. Chiuse gli occhi quando una cascata di foglie gialle la investì. Si puntellò sui gomiti e poi sulle mani emettendo un lamento. Si sedette abbandonando la testa contro il tronco della betulla e trattenendo il respiro in attesa che il dolore per la ferita e per la caduta scemasse.
Cominciò a piangere. Era spossata, infreddolita e il mal di testa che aveva da due giorni le faceva venire voglia di vomitare. Cominciò a credere che si fosse presa qualche malanno. Voleva dormire almeno per tre giorni, farsi un bagno caldo per togliersi il fango di dosso. Era così affamata che si sarebbe mangiata un fagiano intero. Ma più di tutto voleva smettere di scappare.
Desiderava ardentemente trovare Richard. Avrebbe preferito che fosse stato lui a scaldarla in un abbraccio mentre la rassicurava con tono basso e pacato. Le mancava tantissimo.
Per un momento, si aspettò di vederlo scendere dal declivio per aiutarla e per stringerla a sé.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per perdersi nuovamente nei suoi occhi grigi, penetranti e minacciosi come le nuvole di un furioso temporale.
Finalmente gli spasmi dolorosi cessarono e dopo aver ritrovato le forze ed il coraggio con un paio di profondi respiri, si rimise in piedi appoggiandosi contro l’albero. Tenendosi con una mano al tronco, si chinò per prendere lo zaino. Controllò che ci fosse tutto, strinse nuovamente le cinghie e se lo rimise sulle spalle. Risalì il pendio, facendo attenzione al tappeto scivoloso di foglie umide e tornò sul sentiero. Tirò su col naso e riprese il cammino, con la testa infossata nelle spalle.
Gli alberi erano una fitta massa indistinta fra le ombre, in cui si nascondeva la fauna selvatica. Un lupo in lontananza ululò tristemente alla luna, in parte coperta da un sottile strato di nubi che sparì presto portato via dal vento. Al richiamo risposero altri lupi mentre Kahlan si stava avviando fuori dalla boscaglia. Il sentiero si fece gradatamente più visibile, tracciato dalle ruote di carri e dagli zoccoli di cavalli. Poi finalmente vide le prime case del villaggio di Hartland.
 

**

Zedd era seduto su una comoda poltrona imbottita. La biblioteca era praticamente immersa nel buio se non fosse stato per alcune lampade ad olio, sistemate all’inizio di ogni sezione.
Un candelabro gli permetteva di leggere il libro di fiabe, che stava sfogliando distrattamente da quel pomeriggio. La tremante fiamma si rifletteva sulla superficie lucida e levigata del pavimento di marmo ambrato. La luce soffusa aumentava la profondità delle sue rughe, in contrasto con capelli nivei costantemente arruffati come le piume di un uccello. L’umile tunica color castagno lo rendeva ancor più serioso mentre girava le pagine ingiallite.
Non sapeva spiegarsi perché avesse scelto un libro per bambini, ma sospettò che fosse un suo incosciente modo per non pensare alle conseguenze peggiori di tutto quello che stava accadendo.
Gli erano state raccontate la maggior parte di quelle storie come semplici racconti di fantasia, ma che col tempo e con l’esperienza di mago, avevano assunto significati ben più complessi e profondi.
Erano vere e proprie lezioni di vita.
Aveva poi letto spesso quel libro a sua figlia Tarallyn, quando ancora correva fra le sale del Mastio del Mago mentre lui studiava dietro pile di antichi volumi. Ricordava ancora il peculiare suono dei suoi piedini infantili sui preziosi tappeti e sulla fredda pietra del pavimento.
Quel castello, che ora poteva scorgere dalla finestra davanti a lui, come un taciturno guardiano, era stata la loro casa per molto tempo.
Era lì, anni prima, che aveva conosciuto la sua defunta moglie, Evelyn.
Era sempre stato un tipo burbero, un po’ antipatico per gli adulti ma simpatico per i bambini.
Ma Evelyn era stata capace di sciogliere la sua scorza più dura. Lo aveva reso un uomo migliore, un mago migliore. Erano stati gli anni più belli della sua esistenza.
Le mancava tanto. Nonostante fosse passato un sacco di tempo, ricordava perfettamente il suo sorriso gentile e il suono candido della sua voce quando lo chiamava. Oh, era la melodia più bella che avesse mai udito. Soleva chiamarlo ‘Cuor mio’ ed era l’unico nomignolo che accettava.
Purtroppo la morte di Evelyn per colpa di un brutto malanno, lo aveva segnato profondamente. Solo nell’istante in cui l’aveva vista spirare fra le proprie braccia, aveva capito quanto la magia potesse essere inutile alle volte. Aveva compreso fino in fondo quanto lui, Primo Mago, fosse in realtà insignificante in confronto alla vita e all’intero cosmo.
Evelyn e la loro bambina erano state le sue più grandi gioie, oltre a Richard.
Da quel giorno però, il suo mondo si era ingrigito e qualsiasi pietanza lui assaggiasse, anche dopo Richard, non era più così buona. Sospirò.
E poi la profezia gli aveva portato via anche Tarallyn. Non aveva avuto la possibilità di chiedere a sua figlia chi fosse il padre del piccolo Richard. Aveva dovuto avvolgerlo in fretta e furia, in una coperta ed era fuggito oltre il confine appena prima che i D’Hariani mettessero a ferro e fuoco Brennidon.
Faceva fatica ad accettare che Richard fosse ormai un uomo di ventiquattro anni. Lo ricordava come un bambolotto di pezza, così dolce che sembrava fatto di zucchero o come un frugoletto che gli rubava le mele dall’albero.
Aveva preso decisioni difficili all’epoca, ma non se n’era pentito. L’unico rimpianto che aveva era il non essere riuscito a salvare Tarallyn. Pensò che almeno in quel momento, fosse con Evelyn fra gli spiriti buoni. Il flusso malinconico dei suoi ricordi venne interrotto dal frenetico bussare alla porta. Sentì che c’era qualcosa che non andava.
« Avanti » assentì e il Comandante Smith entrò di gran carriera. Aveva un’aria fin troppo seria.
« Grande Mago, mi spiace disturbarvi a quest’ora ma ho importanti comunicazioni da riferirvi » mormorò, fermandosi proprio davanti a lui.
« Dite pure »
« Il Generale ha provveduto al rafforzamento della sicurezza e, ho suggerito di inviare alcune sentinelle oltre i confini della città. – abbassò lo sguardo - Oggi una di loro è tornata ».
Il cipiglio preoccupato nella voce dell’ufficiale gli fece aggrottare la fronte « Continuate ».
« La sentinella ha riferito l’avvistamento di due corpi, su un promontorio della Valle degli Echi. Uno era Kyle » aggiunse in tono grave. Zedd chiuse il libro e lo posò sul tavolo, fissando l’uomo di fronte a sé così intensamente che l’altro cominciò a sentirsi a disagio.
« Ne siete sicuri? – Smith annuì - Di chi era il secondo corpo?  ».
« Un D’Hariano, stando alla descrizione » rispose Smith e Zedd distolse lo sguardo da lui.
Si alzò, strofinandosi una mano sul filo della propria mascella mentre cercava di costruire l’accaduto. Nel mentre prese a camminare su e giù, fra la finestra e il tavolino.
« Altro? » chiese, pensieroso.
« Sì. La sentinella afferma di aver trovato delle impronte: tre serie uguali e una diversa, che corrisponde alla Madre Depositaria ».
Il Mago si fermò bruscamente e lo guardò di scatto « Tre serie? ».
Ma non era una vera e propria domanda. Riprese a camminare sotto gli occhi confusi del Comandante, che rimase in attesa spostando il peso da una gamba all’altra.
« A che state pensando? ».
Zedd non rispose e poi chiese ancora « Dov’erano dirette le impronte della Madre Depositaria? ».
« Sembra si sia diretta a ovest, ma a partire da un certo punto le sue impronte si interrompono, così come le altre tre » mormorò Smith, senza capire dove il vecchio mago volesse arrivare.
Poi lo vide accennare un sorrisetto furbo.
« Brava ragazza » borbottò.
« Mago? » arcuò un  sopracciglio mentre il sorriso di Zedd si allargava.
Smise di passeggiare e lo guardò negli occhi.
« La Madre Depositaria deve essere riuscita a nascondere le proprie tracce al quadrato »
« Quadrato? Credevo che quella parte della milizia di D’Hara fosse estinta »
« Evidentemente qualcuno ha impartito nuovi ordini ».

___________________________
1Generale Evremont: braccio destro di Darken Rahl, che compare già nelle prime puntate;
2Comandante Trimack: ufficiale d’hariano, che compare solo nella puntata 1 della seconda stagione, “Il Marchio”;
3in riferimento alla puntata 8 della prima stagione, “Denna”;
4in riferimento alla puntata 16 della prima stagione, “Rivelazioni”;
5 e 6in riferimento alla puntata della 14 prima stagione, “Hartland”.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Kahlan tenne stretto il mantello sotto al mento mentre passava per le strade già immerse nel buio. Tutti erano rientrati nelle proprie case, ma un gruppo di donne si era attardato.
Se ne stavano tutte riunite in un angolo di una via ancora trafficata, sotto al cono di luce creato da una lanterna. Un carro trainato da un mulo la superò lentamente mentre captò qualche frase.
« Non credo che sia deciso a prender moglie » esordì una, che sembrava la più giovane.
« Suvvia, Gwen. Non può stare da solo per sempre! » contestò un’altra.
« Non ha mai mostrato interesse per nessuna in fin dei conti » rispose la prima.
« Tranne che per Anna... » aggiunse un’altra dai capelli biondi.
« Già, chiunque ad Hartland avrebbe scommesso che lei e Richard sarebbero finiti sposati » disse un’altra ancora stringendosi nello scialle.
« Perché non lo sono allora? » chiese una quinta, scettica.
« Io ho parlato con Anna e ha detto che ha provato più volte…- disse Gwen - Beh ad attirare la sua attenzione, ma Richard niente. »
« Impossibile » rispose la bionda.
« Una cosa è certa: non è più lo stesso da quando è tornato da quel viaggio » mormorò la quinta.
« Resta il fatto che prima o poi, se quell’idiota di mio marito dovesse morire, non aspetterò a farmi avanti » borbottò aspra la seconda che aveva parlato.
« Tu con Richard? » disse quella con lo scialle, arcuando un sopracciglio con fare scettico.
« Perché scusa? Ho ancora molto da dare » sbottò quella con atteggiamento che Kahlan trovò fin troppo borioso. Le ricordò la regina di Tamarang.
« Vuoi dire dei capelli ancora castani » la canzonò Gwen e Kahlan dovette trattenersi dal ridere.
« Sicuramente lui ha molto da dare. E’ giovane » disse la bionda.
« Forte… » aggiunse quella con lo scialle.
« Martha! » strillarono tutte all’unisono mentre la donna ridacchiava maliziosa.
Nonostante quell’aspetto divertente, Kahlan non riuscì a dirsi serena. C’era qualcosa in quella situazione che la metteva a disagio.
« Secondo me è innamorato di quella donna » mormorò Gwen con tono cospiratorio.
Quelle parole attirarono l’attenzione della Depositaria che rallentò il passo nel modo più discreto possibile.
« Chi? La strega? » rispose la bionda con aria schifata, come se le avessero messo davanti un mucchio di insetti. Kahlan comprese che stavano parlando di lei.
« Anna ha detto che non era una strega »
« No, ma era delle Terre Centrali. Ve lo dico io come stanno le cose: Richard ha semplicemente cambiato gusti » sentenziò infine Martha.
Poi Kahlan decise di allontanarsi. Trovava disgustoso il fatto che quelle oche giulive stessero accampando diritti su Richard. Diritti sul suo cuore. Aveva conosciuto Richard e si trovò a credere che ci fosse ben più di un motivo perché non si fosse sposato, tantomeno con una di loro.
Lei invece, che avrebbe dato qualsiasi cosa per essere ‘normale’, in quel momento fu grata al destino per averla fatta nascere come Depositaria.
Giunse in una via, dove gli ostelli si susseguivano uno dietro l’altro. Si fermò più volte a chiedere se ci fosse una stanza libera, ma tutti gli rispondevano che erano pieni. Si chiese se improvvisamente tutti avessero avuto l’idea di viaggiare. Alla fine, nell’ultima locanda, l’oste le diede una risposta positiva.
Sollevata di non dover più viaggiare, appoggiò lo zaino in terra ai suoi piedi.
Stava per rivolgersi al locandiere, ma le disse di attendere per poi sparire nelle cucine.
Un uomo le si avvicinò. Aveva l’andatura barcollante, segno che doveva aver svuotato diversi boccali. Quando le sorrise, scoprì che gli mancava un dente e quando parlò, fu sicura che fosse ubriaco.
« Cosa ci fa una signorina come te in un posto come questo? » esordì, con voce gracchiante.
« Non hai niente di meglio da fare? » sbottò lei. Non aveva voglia di parlare.
« Uh-uh. Ma tu guarda, che caratterino » commentò quello, girandosi verso i compagni ancora seduti ai tavoli « Offrile da bere » suggerì uno di loro.
« Credo che siate già abbastanza stupidi » borbottò Kahlan, senza degnarli di uno sguardo.
« Ehy, Frank questa è per te » lo spalleggiò un altro mentre cominciavano ad alzarsi e ad avvicinarsi al bancone, dove lei aspettava il ritorno dell’oste.
« Vi consiglio caldamente di tornare a vostri posti »
« Altrimenti? » chiese strafottente e Kahlan si girò lentamente per guardarlo negli occhi.
« Non ti piacerebbe scoprirlo » rispose con voce seria, ma lui parve non comprenderne la mera minaccia.
« Io dico di sì ».
Non fece in tempo a toccarla, che lei lo colpì con una gomitata in pieno petto, all’altezza dello sterno.
L’uomo indietreggiò, ma tornò all’attacco insieme ad una scorta di ubriachi.
Aveva sperato che la prima mossa gli avesse fatto capire l’antifona, perché non era sicura di essere in grado di usare i propri poteri. Se lo avesse fatto, temeva che sarebbe sicuramente svenuta. Si sentiva troppo stanca per il viaggio ed il freddo.
Tentò di estrarre i pugnali, ma un uomo la afferrò alle spalle. La immobilizzò, tenendole le braccia premute contro il corpo mentre un secondo uomo le toglieva i pugnali dai foderi.
Qualcuno le mollò uno schiaffo così improvviso e violento, da farle appannare la vista.
Si ritrovò supina su un tavolo, attorniata da una banda di ceffi. Due le tenevano le braccia altrettanti le gambe mentre cercava di liberarsi. Dimenandosi riuscì a scaricare un calcio contro lo stomaco di uno dei ceffi, ma non fu abbastanza. Un’altra lo sostituì, come la coda di una lucertola che ricresce dopo esser stata tagliata. Il primo individuo che aveva colpito con una gomitata adesso incombeva su di lei, con un ghigno beffardo dipinto sul viso unto.
Tentò disperatamente di fare appello al proprio potere quando lo vide armeggiare con la cintura dei pantaloni, ma non ci riuscì. Dove sarebbe dovuta risiedere la propria magia, vi era un pozzo scuro di paura. Capì solo in quel momento di aver scelto la locanda sbagliata.

*

Richard e Chase camminavano lungo la strada deserta e completamente buia, eccezion fatta per alcune lanterne. La luna era coperta da un manto di nuvole minacciose mentre il vento ululava, portando con sé le prime gocce di pioggia.
« I miei bambini saranno contenti domattina. Si rotoleranno nel fango e Emma avrà di chi occuparsi » mormorò Chase, osservando un lampo comparso in lontananza.
« Anche Johnny e Josephine » assentì Richard.
« Ti va qualcosa da bere? » gli propose l’amico e lui sorrise mesto.
« Non sono abituato »
« Oh, andiamo! Insisto – gli mise un braccio attorno alle spalle e gli diede una scrollata – Offro io ».
Richard scosse il capo rassegnato, continuando a camminare.
« Posso impedirtelo? »
« Ci puoi provare » rispose Chase, in tono di amichevole scherno.
Risero e si avviarono verso la porta di una locanda. Quando si avvicinarono alla porta, segnata dalle intemperie, udirono un fracasso infernale provenire dall’interno. A lui non piacevano molto quei posti, pur non frequentandoli.
« Sicuro che sia una buona idea? » chiese all’amico, che si aggiustò il cinturone come un soldato pronto a buttarsi nella mischia.
« Tranquillo. Sono solo più ubriachi del solito » lo rassicurò prima di spingere il battente che cigolò, ma non abbastanza rumorosamente da essere distinto nel chiasso che riempiva il locale.
Inizialmente non riuscirono a capire il motivo di tanta confusione e pensarono ad una rissa fra ubriachi. Accadeva spesso e quello era uno dei motivi per cui Richard non andava mai nelle taverne.
Un urlo però attirò la loro attenzione, soprattutto quella di Richard. La scena che gli si prospettò davanti sciolse qualsiasi dubbio circa la situazione. Notarono un gruppo di sei uomini, accalcati su un tavolo. Uno di loro aveva i pantaloni calati e gli altri trattenevano le braccia e le gambe di una donna, supina sul piano. A terra giacevano dei lembi di stoffa bianca strappata e uno zaino.
Qualcosa gli scaldò il sangue fino a farlo ribollire. Aveva già provato quel tipo di rabbia. Con la Spada della Verità. Era l’ira del giusto, venata da una sorta di vendetta. Si abbandonò a quella sensazione crudele e spietata, quanto sensuale e ammaliante. Lasciò che lo inebriasse, lasciò che esplodesse.
Kahlan si rese appena conto che la presa sui suoi arti si era allentata. Aprì lentamente gli occhi, ma tutto ciò che riuscì a vedere fu solo un’ombra. Troppo debole per drizzarsi in piedi, perse l'equilibrio sul pavimento sudicio e polveroso, e sollevò lo sguardo nel tentativo di capire cosa stesse accadendo. La sua mente andò in tilt per qualche secondo quando riconobbe la figura di fronte a sé. Richard si era avventato sul primo uomo, quello coi pantaloni alle ginocchia. Lo aveva afferrato per il bavero della casacca logora e sporca di sugo e, di vino. Le brache calarono ulteriormente fino alle caviglie, che pendevano ad una decina di centimetri da terra. Gli occhi erano dilatati per il terrore e la confusione mentre gli altri fissavano la scena, attoniti. Kahlan riuscì a vedere le vene del collo di Richard pulsare sotto la pelle e le nocche esangui per la stretta, che abbandonò senza alcun preavviso, gettando l’uomo dall’altra parte della stanza. Come se fosse un sacco di farina, atterrò bruscamente e rovesciò sedie, tavoli da cui caddero boccali e piatti, che emisero un unico tonfo sordo.
Kahlan non riuscì più a puntellarsi sulle braccia e si abbandonò sul pavimento, raggomitolandosi su sé stessa quando scorse un secondo uomo. Era Chase e aveva afferrato altri due uomini, spingendoli violentemente contro un muro mentre Richard assestava un pugno nello stomaco di uno di quelli, che l’avevano disarmata. Chase si concentrò su un altro degli uomini della locanda, che nel frattempo aveva cercato di pugnalare Richard alle spalle. Gli afferrò la mano armata all’altezza del polso, gli fece ruotare il braccio e dopo averlo reso inoffensivo, gli diede una ginocchiata nei reni.
Il primo che l’aveva assalita, si aggiustò i pantaloni, chiudendosi la patta e si diresse verso Richard, che si voltò in tempo per affrontarlo mentre gli altri sparivano, senza nemmeno aiutare quelli che ne avevano prese. Kahlan vide solamente Richard che incassava un pugno sul labbro, poi Chase si chinò su di lei, oscurandole la visuale. Sentiva le forze abbandonarla, ma riusciva comunque a respirare nonostante il dolore « Signora… » ma non terminò la frase.
I suoi occhi scuri incrociarono quelli verdi di Kahlan. Credeva di star sognando, ma si riscosse nel momento in cui le dita della donna gli artigliarono il braccio
« R-Richa…rd » sussurrò flebile. Chase non la sentì, ma riuscì a leggere il labiale.
Si girò di scatto e vide l’amico che teneva un braccio attorno al collo dell’ubriaco mentre con la mano opposta, gli bloccava i polsi dietro la schiena. Si alzò per raggiungerlo quando vide Richard prendere la mascella dell’uomo con una mano « Richard, calmati ».
Lui lo fissò furente e Chase ebbe l’impulso di indietreggiare. Non aveva mai visto quello sguardo nei suoi occhi. Deglutì sonoramente, sperando che l’amico si contenesse e non spezzasse il collo all’altro.
« Amico, ti prego… » lo implorò l’uomo, ma Richard lo interruppe, stringendo ancor di più la morsa.
« No, sentimi tu: sai cosa succede ad un maiale in macelleria? – quello scosse il capo, strizzando gli occhi – Ringrazia gli spiriti che non te lo mostro sulla tua stessa pelle. Sappi che se vi rivedo vicino ad una donna, vi farò rimpiangere questa pietosa opportunità che vi sto dando adesso » ringhiò.
Ci fu un pesante attimo di silenzio immobile, poi Richard compì un profondo respiro. Prima di lasciarlo andare, gli ruppe una spalla sotto l’espressione tranquilla di Chase. Gli altri sussultarono quando udirono il suono raccapricciante dell’osso e lo fissarono scivolare a terra, urlando una bestemmia.
Richard puntò gli occhi sulla donna distesa a terra e immediatamente, intercettò un paio di smeraldi.

*

Richard spalancò la porta con un calcio, facendola sbatacchiare contro la parete esterna ed uscì dalla locanda ancora affollata. Incurante di tutto, compresa della pioggia che ormai aveva trasformato la strada in un letto di fango, ispezionò l’area attorno a sé e, si avviò verso la direzione da cui lui e Chase erano arrivati. Cercò di mantenere la giusta andatura per arrivare in fretta da Emma e per non scivolare sulla melma scura mentre la pioggia continuava ad aumentare d’intensità. Il vento gelido gli sferzava il viso e fischiava fra i vicoli bui. Si fermò in mezzo ad un crocevia e per un attimo, il panico si impossessò di lui. Non riusciva a vedere bene gli edifici che usava solitamente come riferimento. Continuava a rivivere di fronte a sé, l’immagine degli uomini addosso a Kahlan, indifesa e sola. Sbatté le palpebre per far cadere alcune gocce di pioggia, impigliatisi fra le sue ciglia quando sentì un borbottio.
Abbassò lo sguardo su di lei « Cosa? ».
« Do-vresti rader-ti… » sussurrò, battendo i denti per il freddo e facendogli sfuggire un sorriso.
Sapeva che le avevano fatto del male, più di quanto lei volesse fargli credere e si vide costretto a respingere il fastidioso nodo alla gola.
« E tu dovresti non cacciarti nei guai – aggrottò la fronte - Kahlan? ».
Lei si strinse contro di lui, poggiando la testa contro la sua spalla e raggomitolandosi su sé stessa.
« R-ichard… - la sua voce era fragile - Ho freddo ».
Lui deglutì e riprese a camminare quando un fulmine, sottratto alla coltre di nubi, illuminò l’oscurità, indicandogli così la strada « Resta con me, d’accordo? ».
Ma lei non rispose e lui aumentò il passo, prestando attenzione a dove mettesse i piedi. La pioggia gli stava inzuppando gli stivali, gli abiti e i capelli. Cominciava ad avvertire il freddo pungente e quando stava ormai perdendo le speranze, finalmente vide la lanterna che segnalava l’abitazione di Chase e gridò « Emma! Laura! » disse con tutto il fiato che gli era rimasto.
Vide il proprio respiro e quello della Depositaria condensarsi in delle buffe nuvolette nello stesso istante in cui Laura si affacciò dalla porta. I capelli scuri le contornavano il viso leggermente spigoloso.
« Richard, che succede? » chiese, strizzando leggermente gli occhi mentre anche Emma faceva capolino.
Quando l’uomo arrivò loro davanti, strabuzzarono gli occhi ma lui non ebbe le forze di spiegarsi. Lo sguardo di Richard passò da Emma a Kahlan, che ancora teneva fra le braccia a mo’ di sposa.
« Le serve aiuto » riuscì a dire, risultando petulante e la donna si spostò di lato per farlo entrare, senza porre ulteriori domande eccessive.
« Vieni dentro presto – si chiuse la porta alle spalle e la seguì - Dov’è Chase? » chiese con un cipiglio impensierito.
« E’ andato a chiamare Anna » borbottò mentre lottava per restare lucido. Era come se l’ansia lo stesse spingendo a camminare su un filo sottilissimo, sospeso su un burrone.
« Seguimi » lo esortò Laura, conducendolo vicino al camino.
La ragazza, aiutata dalla madre, preparò un giaciglio improvvisato con una catasta di tronchi che coprirono con della paglia e diverse coperte, fino ad ottenere una sorta di materasso abbastanza confortevole. Intanto Richard tornò con gli occhi su Kahlan, che aveva smesso di tremare per suo sommo sollievo. La pesante coperta la copriva come una crisalide mentre alcune ciocche le si erano posate sul volto pallido. La fissava mentre avvertiva una mano invisibile che gli strizzava il cuore, fino a farlo scoppiare. L’ultima volta che l’aveva vista in simili condizioni, era stata a causa della Febbre di Fuoco1. Non aveva mai provato tanta paura. Trasalì quando si accorse della macchia scura sullo zigomo della Depositaria.
« Richard » mormorò Emma, ma lui non riusciva a sentirla.
Voleva svegliarsi da quello che gli sembrava un incubo perché non poteva, non voleva credere che quella donna fosse Kahlan. Era così felice di rivederla, ma l’idea che potesse…
Emma gli posò una mano sulla spalla e lui la guardò di scatto. La folta chioma riccioluta era spruzzata di grigio mentre un sorriso compassionevole le aveva piegato le labbra fini. Gli fece cenno e lui si abbassò su un ginocchio per poter adagiare Kahlan sul letto.
In quel momento, la porta di casa si aprì repentinamente. Il massiccio custode entrò e invitò Anna a fare lo stesso. La donna abbassò il cappuccio e scosse il capo, facendo ondeggiare i boccoli castani. Si avvicinò al giaciglio chiedendo di farle spazio. Chase le aveva spiegato cos’era successo, ma sperava che non fosse reale.
Kahlan era distesa su una sorta di branda mentre Richard la fissava, quasi inespressivo.
Emma lo tirò gentilmente per un braccio.
« Ci occupiamo noi di lei, adesso » disse gentilmente, lanciando un’occhiata significativa al marito.
« Vieni, amico » lo esortò, tentando di essere comprensivo.
« Io… »
« Guardami, Richard – mormorò Chase – Anna è un’erborista e sa cosa fare ».
Lo guardò negli occhi, poi si girò verso l’altra donna che gli sorrise appena.
« Starà bene » aggiunse in tono rassicurante.
« S-Sì…- scosse il capo, destandosi dallo stato di trance – D’accordo » disse più deciso prima di seguire Chase in un’altra stanza.
« Siediti » gli propose e Richard obbedì, senza rivolgergli nemmeno una parola.
Aveva ancora negli occhi l’immagine del corpo di Kahlan quando l’avevano avvolta nelle coperte, dato che l’abito bianco era finito in stracci. Una porta lo separava da lei, ma questo non fermò l’emozione scivolosa che sentì germogliare in sé. La rabbia, la stessa che aveva sperimentato poco prima nella locanda, montò dentro di lui quando ripensò al sangue che aveva intravisto fra le cosce di Kahlan. Aveva bisogno di rompere la testa di quell’uomo, sentiva il desiderio impellente di ucciderlo. Strinse i pugni che teneva sulle ginocchia, sbiancandosi le nocche mentre serrava la mascella. Chase arcuò un sopracciglio, ma non disse niente. Richard cercò di calmare il respiro, che stava diventando sempre più animalesco, come quello di un’omicida. Cercò di allontanare il ricordo del momento in cui avevano soccorso la Depositaria e, quando divenne consapevole della piega che stavano assumendo i propri pensieri, chiuse gli occhi. Inalò il profumo tranquillo della casa e allentò i pugni fino a che il proprio battito non riprese regolarità.
Aprì le palpebre e puntò il proprio sguardo sull’amico, seduto comodamente su un’altra sedia.
« Promettimi che le azioni di quegli uomini non resteranno impunite » disse e quando parlò, si stupì della sfumatura pericolosa della propria voce.
« Richard…»
« Promettimelo » ripeté, facendo fischiare la parola fra i denti stretti.
« Ma certo, hai la mia parola » mormorò il custode, leggermente stizzito.
Richard appoggiò le scapole contro lo schienale della sedia e si massaggiò le gambe, senza sapere cosa realmente fare. Sentiva ancora i resti dell’ira nel proprio sangue.
« Forse dovresti riposare » esordì Chase dopo qualche minuto.
« Lo farò quando saprò che lei è fuori pericolo » sbottò e l’altro si alzò in piedi.
Fece un sonoro sbadiglio e lo guardò ancora una volta « Hai bisogno di qualcosa? ».
« No – sospirò, dandosi dell’ingrato e lo fermò prima che si allontanasse - Grazie ».
Chase sorrise, gli batté una pacca affettuosa sulla spalla e si diresse nella propria camera da letto.
 
Più tardi quando oramai la luna brillava nel cielo, illuminando fiocamente lo schermo trasparente degli aghi di pioggia, Richard sollevò le palpebre che aveva chiuso per un istante. Il temporale continuava ad imperversare inesorabile fuori dall’abitazione. L’ennesimo lampo esplose, riflettendosi sulle finestre. Laura e Anna stavano uscendo dalla stanza mentre Emma era in piedi, ad un braccio di distanza da lui. Le guardò una ad una, soffermandosi infine su Anna.
« Come sta? » chiese titubante. Non aveva bisogno di altre brutte notizie.
« Le hanno fatto del male non c’è dubbio, ma starà bene. Potrà avere comunque dei figli – esalò un sospiro di sollievo - Ha solo bisogno di riposo » aggiunse lei con un sorriso mesto.
« Posso vederla? » disse alzandosi dalla sedia.
« Sì, non ha fatto altro che chiedere di te - rispose -  Ma adesso dorme… »
« Grazie » mormorò, accostandosi ad Anna e stringendole affettuosamente un braccio.
Procedette e posò una mano sulla porta di legno, spingendola in modo estremamente lento. Compì un paio di passi, richiudendo il battente dietro di sé. Vide uno sgabello, lo afferrò e lo sistemò vicino al giaciglio. Si sedette con i gomiti sulle ginocchia, fissandola inebetito. Gli ricordava un neonato.
Quando vide i segni di mani attorno ai suoi polsi, sentì la bile salirgli in gola. Si era battuta fino a che stremata, non aveva ceduto. Proprio come una guerriera.
La vide agitarsi nel sonno, scuotendo piano la testa. I capelli scuri le erano stati distesi oltre il cuscino, ma alcune ciocche le si erano attaccate alla testa. Protese una mano e la posò sulla sua fronte. Le carezzò la testa, facendo attenzione a non svegliarla. Dopo qualche istante, le rughe sulla sua fronte si appianarono segno che la serenità era di nuovo parte del suo torpore.
Non poté fare a meno di sorridere.

*

Darken dormiva con un braccio sotto la nuca e l’altro tenuto mollemente oltre il bordo del giaciglio. La luna era la sola fonte di luce in quella stanza. Denna girò il viso, abbastanza per vederlo girarsi su un fianco e darle le spalle. Era ormai un mese che andava avanti quella storia.
Sentiva le proprie membra così indolenzite che a volte credeva di non averle ancora tutte attaccate insieme. Rahl non era esattamente il tipo di uomo che regalava piacere. Lo pretendeva per sé e lo otteneva, con o senza consenso della vittima.
Nel modo più silenzioso possibile, Denna scostò le lenzuola e si alzò dal letto. Afferrò la divisa in cuoio marrone e la indossò in fretta. Velocemente strinse le cinghie con brevi strattoni e sistemò le Agiel nei foderi prima di uscire dagli appartamenti di Lord Rahl.
Fuori due uomini armati facevano la guardia, le braccia incrociate sui petti larghi come quelli dei tori. Li superò, incurante dei loro sguardi. Sapeva che per loro era una stranezza vedere una Mord-Sith senza treccia. Ma Denna non aveva tempo né per i riti né per i convenevoli.
Doveva parlare col Comandante Trimack.
Da una settimana, aveva sentito alcuni uomini del Terzo Battaglione2 borbottare su un gruppo di disertori. Lei non aveva dubbi su chi fossero.
Scese le scale, diretta verso il secondo piano riservato a lei e le sue consorelle. Imboccò un corridoio di pietra che continuava a scendere quando qualcuno la afferrò per un braccio, trascinandole oltre un angolo dietro ad una colonna.
« Dov’eri Denna? » le ringhiò Cara.
I suoi occhi azzurri la fissavano mentre scandagliavano il corridoio in cerca di presenze estranee. Denna aggrottò la fronte e le scacciò la mano dal proprio polso.
« Con Lord Rahl – rispose di pari tono - Tu che stai facendo? »
« Il Comandante Trimack deve parlarti ».
Denna la scrutò ancora qualche istante mentre decideva come agire. Sapeva che c’era qualcosa di molto grosso che bolliva in pentola. Qualcosa che avrebbe sconvolto l’intero schema.
« Perché? » chiese circospetta.
« Seguimi ».
Decise di seguire Cara e dopo essersi assicurate di essere totalmente sole, ripresero a camminare lungo quel corridoio. Svoltarono diverse volte a destra e poi un’ultima volta a sinistra. Non vi erano torce, perciò i raggi lunari che filtravano dalle piccola grate era l’unica cosa che facesse capire loro dove stessero mettendo i piedi. Prima di oltrepassare una porta, Denna fermò Cara con una mano sulla spalla.
« Cara, che sta succedendo? »
« Sai bene quanto me cosa sta accadendo » sibilò Cara, voltandosi di scatto verso di lei.
La treccia bionde ondeggiò al movimento, fermandosi sulla spalla opposta della guerriera.
« Non usare questi stupidi giochetti con me » la ammonì Denna, sollevando un dito.
L’altra si girò completamente, incrociando le braccia sotto al seno. Il cuoio della tuta scricchiolò.
« Vuoi che Darken abusi ancora di te? » le chiese, inclinando leggermente la testa di lato.
« Ciò che fa Lord Rahl con me non è affar tuo » rispose lei piccata.
« Lo sarà presto, considerando i suoi appetiti »
« Cosa… ».
Si zittì quando Cara avvicinò il proprio volto al suo. I suoi occhi si fecero ghiaccio freddo e appuntito, il suo sussurro divenne velenoso come quello di una vipera. Denna lo poté sentire sulla proprie guance.
« Ciò che ho fatto in questi mesi, è stato concederti un po’ di lusso. Ora le cose sono cambiate e sai bene qual è il tuo posto. – accennò ad un sorrisetto - Per quanto tu possa essere la preferita di Rahl, tu esegui i miei ordini. Che la cosa ti piaccia o meno… ».
Cara la studiò per accertarsi che avesse recepito il messaggio e si avviò. Denna la seguì fino ad una zona segreta del palazzo, che solo le Mord-Sith conoscevano. Il cunicolo si apriva dietro la nicchia nascosta di una parete nella parte più bassa del primo piano e proseguiva, diramandosi in profondità verso la viscere della terra. La rete si allargava sotto l’intero edificio, fornendo tantissimi punti per tornare in superficie. Le catacombe collegavano l’ala nord all’ala sud e viceversa. I percorsi erano quasi infiniti e se non si conosceva bene quel posto, si finiva per restarci intrappolati.
Alla fine, Cara si fermò in mezzo ad un corridoio e posò una mano sulla parete di sinistra. Dopo pochi istanti i contorni di un blocco di pietra si smossero mentre calava sottoterra, aprendo un varco. Le due donne entrarono e la pietra risalì, chiudendo e sigillando la stanza umida in cui le attendeva il Comandante Trimack. Cara esortò Denna ad avvicinarsi.
« Padrona Denna »
« Comandante » ricambiò, spostandosi i capelli biondi dietro le spalle.
« Prego, sedetevi » rispose il grosso ufficiale, con un cenno cortese della mano.
Denna sorrise in modo obliquo.
« E’ lei il disertore vero? ».
Trimack infilò i pollici nella cintura e sollevò leggermente il mento, coperto da un ispido pizzetto.
« Sappiate che non uscirete di qui comunque, se non mi aiuterete »
« Mi state minacciando, Comandante? » chiese la guerriera, inarcando un sopracciglio.
« Prendila come vuoi, Denna. » rispose l’uomo senza scomporsi minimamente.
« In cosa dovrei aiutarti? »
« Fra poco partirò coi miei uomini verso ovest »
« Ovest? » aggrottò la fronte confusa.
« Stando a quanto dicono le spie è lì che si trova il vero Lord Rahl » disse il Comandante, dopo qualche istante di silenzio.
Denna quasi scoppiò a ridere. Si girò, lanciando un’occhiata a Cara e poi tornò sull’uomo.
« Mi state prendendo in giro?! »
« Mai stati più seri di così, Denna. – compì un passo, fissandola attentamente negli occhi - E per il bene di tutti, popolo d’hariano compreso, è bene che tu mi ascolti ».
________________________
1in riferimento alla puntata 21 della prima stagione, “Epidemia”;
2Terzo Battaglione: schieramento estremista e fanatico nel sostenimento del casato di Darken Rahl, citato nella prima puntata della seconda stagione.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Richard sistemò la pentola, agganciandola al rampino piantato sulla parete di fondo del camino. Una scintilla scoppiò quando coprì il pentolone, poi si drizzò in piedi. Si passò entrambe le mani sulla faccia, stropicciandosi gli occhi mentre ancora il sole sembrava voler dormire. Mancava poco all’alba quando girò lo sguardo verso la propria camera, dove il riverbero di un secondo camino rischiarava le pareti di legno, gettando contemporaneamente particolari ombre sul corpo della donna che dormiva da quasi due giorni al centro del letto matrimoniale. La coperta la copriva fino al petto e mostrava la stoffa di una semplice tunica bianca. Vedeva il suo petto alzarsi e abbassarsi lentamente, ma era così impercettibile, che non seppe dire con certezza se l’avesse realmente fatto. La svegliava di tanto in tanto per poterle dare da bere e qualche pezzo di pane, abbastanza da tenerla in forze. Facendo attenzione a non far rumore, entrò nella stanza.
Restò a guardarla con una spalla contro lo stipite della porta per poi avvicinarsi al giaciglio. Appoggiò il ginocchio sul materasso mentre con una mano si tenne stabile e, allungò l’altra per rimboccarle la coperta. Poi i suoi occhi si bloccarono sul volto della donna.
Era bellissima proprio come ricordava. I lineamenti perfetti e regolari erano contornati da una chioma mogana e ondulata, ora aperta a ventaglio sui cuscini. Le ciglia si curvavano verso l’alto e le labbra rosee erano schiuse. Poi da esse udì una parola non chiara « Kahlan? ».
Si avvicinò ulteriormente quando non gli rispose, sedendosi al suo fianco sul letto e poggiando le mani ai lati delle spalle della Depositaria, si curvò su di lei. « Kahlan, ti prego… »
« R-ichard… » sussurrò, destandosi dal torpore del sonno e alleviando così i suoi timori.
« Sono qui » disse, dandosi mentalmente dello sciocco paranoico.
« Che st-ai facendo? ».
La sua voce somigliava al filo di una ragnatela, tanto che Richard dovette sforzarsi per udirla.
« Controllo che tu non combini altri guai » le disse e si sentì meglio quando vide un sorrisetto divertito incresparle le labbra.
« E dev-i farlo così vicino? » lo canzonò Kahlan.
« E’ un modo carino per dirmi che ho l’alitosi? » mormorò, sentendo le proprie guance imporporarsi.
« Non siamo a casa di Chase, vero? » chiese lei, aggrottando la fronte ma senza sollevare le palpebre.
« Sei a casa mia » mantenne un tono di voce basso, rassicurante.
« Quanto… - si mosse appena, allungando una mano sul letto per cercare quella dell’uomo - Quanto ho dormito? ». Richard la assecondò e sorrise, prendendole la mano per tenerla fra le proprie e carezzandole il dorso col pollice.
« Più o meno due giorni…Hai sete? – lei scosse appena il capo per negare - Riposa ancora un po’…» le suggerì, posandole la propria mano sull’addome.
« Non credo di riuscire ad andare tanto lontano » bofonchiò, prima di sprofondare nuovamente nel sonno. Richard le rimboccò le coperte, osservandola prima di dedicarsi ad altro.
 
Più tardi, il sole illuminava la radura che Richard osservava dalla porta d’ingresso, spalancata per far entrare aria fresca mentre era intento a preparare il pranzo. Era sicuro, secondo il dosaggio delle medicine, che Kahlan si sarebbe svegliata entro l’ora di pranzo. Continuò a spennare il pollo mentre rifletteva sul perché fosse giunta lì. Da sola.
Erano passati diciannove mesi da quando Rahl era morto e, lei e Zedd si erano diretti ad Aydindril. Un brivido gli percorse la schiena quando prese consapevolezza. Se il Primo Mago non era con la Depositaria, doveva essere sicuramente accaduto qualcosa. Qualcosa di grave.
Sapeva che la caduta definitiva del confine avrebbe portato guai, presto o tardi.
Inoltre Emma ed Anna gli avevano detto qualcosa riguardo una ferita non ancora del tutto richiusa. Avevano tolto i precedenti punti e ripulito la parte infiammata.
Delle voci infantili, lo destarono dallo stato di trance e quando si girò verso la fonte del suono vide Josephine e Johnny correre nella propria direzione, facendo ondeggiare gli alti steli d’erba.
« Zio Richadd, zio Richadd! » strillò Johnny tenendo saldamente qualcosa sotto braccio.
« Glielo dico io per prima! » si aggiunse la sorella maggiore mentre salivano i gradini della veranda. Fecero il loro ingresso, bisticciando mentre Richard metteva via le penne strappate.
« No, lo faccio io! »
« Io! » ribattè la bambina sempre più caparbia e il fratellino puntò i piedi, facendole linguaccia.
« Ragazzi… - mormorò, pulendosi le mani con un panno - Cos’è questo baccano? »
« Ho catturato una faffalla » disse Johnny, mostrandogli orgoglioso ciò che stringeva al petto. Dentro ad un vasetto di vetro, un lepidottero sbatteva freneticamente le ali colorate d’autunno.
« Si dice farfalla e comunque l’ho presa io » brontolò Josephine e il bambino tornò a stringere il vasetto.
« Dov’è zia Anna? » le chiese Richard, mettendo fine alla discussione.
« A casa »
« Sa che siete qui? - sospirò quando la piccola annuì in risposta - Va bene, adesso usciamo di qui… »
 

**

Kahlan si svegliò dopo quella che le parve un’eternità. Cercò invano di ricordare qualcosa, ma era tropo confusa per farlo. La sua mente era una matassa indistricabile di fili sfatti e annodati alla rinfusa mentre avvertiva le membra intorpidite. Trovò comunque positivo il fatto che il dolore fosse diminuito, riducendosi a poco più che un formicolio appena fastidioso. Tranne per la ferita al fianco, che sembrava pulsarle ad intermittenza.
Tre donne di cui non ricordava definitamente le identità, l’avevano pulita, curata e vestita ma era stata troppo debole anche solo per ringraziarle. Dei suoni al di là della parete, delle chiacchiere ovattate avevano attirato la sua attenzione, rendendola recettiva nonostante i sensi offuscati. Aveva riconosciuto le voci di due delle tre donne, insieme a quella di un uomo.
Richard.
Aveva avvertito i suoi passi apparentemente stanchi, seguiti da un lieve lamento della porta quando fu chiusa di nuovo. Aveva sentito lo sguardo di Richard su di sé mentre il fuoco del camino scoppiettava allegro, esattamente come in quel momento. Poi lo aveva sentito sedersi vicino a lei, ma non ricordava altro.
Dopo diversi tentativi andati a vuoto, Kahlan aprì gli occhi, ma fu costretta a chiuderli nuovamente quando incontrò la luce del primo mattino. Il sole indicava che era ormai giunto un nuovo giorno e il profumo proveniente dall’altra stanza era delizioso. Aggrottò la fronte ed annusò l’aria. Zuppa di pollo e verdure. Lo stomaco cominciò a brontolarle, risvegliando in lei il senso di fame assopito dai medicinali e dal sonno. Ancora intontita, si puntellò su un braccio per girarsi su un fianco e sedersi sul letto con estrema lentezza. La stanza cominciò a girare, ma non chiamò nessuno. Voleva alzarsi da sola.
Aiutandosi con mani e braccia, scostò le coperte dalle gambe e scivolò fino al bordo del materasso. Tentò di regolarizzare il respiro leggermente impedito, fissando le proprie gambe. La stoffa della veste la copriva fino alle ginocchia, lasciando intravedere i lividi violacei. Represse un conato di vomito quando alcuni lampi mnemonici le annebbiarono la vista. Li ricacciò via, seppellendo quelle immagini sotto il tappeto della temporanea amnesia.
Sentì il gelo ai piedi e quando trovò delle calze di lana, le indossò. Posò i piedi sul pavimento per poi alzarsi. Sentiva le caviglie pesanti, ma riusciva a mantenere l’equilibrio.
Spostò i propri occhi lungo il perimetro della stanza e oltre il comodino alla propria destra, scorse una seconda stanza più piccola che fungeva da sala da bagno. Lì la aspettava una tinozza da cui si sollevava del vapore, segno che era stata preparata da poco.
 
Riemerse dall’acqua, prendendo un grosso respiro. Si passò entrambe le mani sul volto, sulla testa per poi raccogliere i capelli lunghi. Li strizzò fra le mani per alleggerirli dall’acqua poi, con cautela, uscì dalla tinozza di legno. A piedi nudi, si avvicinò allo sgabello su cui Richard aveva sistemato un asciugamano e degli abiti puliti. Si avvolse nel panno e diede un’occhiata agli indumenti: dei pantaloni, una casacca color crema e una stola di lana. Sospettò che le voci del villaggio non fossero poi del tutto errate. Era chiaro che in quella casa, una donna non avesse mai messo piede.
A quel pensiero provò una strana sensazione di sollievo mista al rimorso.
Senza rifletterci troppo, finì di asciugarsi e indossò gli abiti. Infilò i lembi della casacca, più grande di almeno una taglia, nei pantaloni e chiuse le fettucce sul petto con un fiocco. Si specchiò, sistemandosi la chioma fluente ancora umida oltre le spalle. Afferrò la mantella di lana ed uscì dalla stanza.
Udì, fuori dall’abitazione, la voce di Richard e delle risate infantili. Superò il tavolo e il camino della stanza principale e si diresse verso l’ingresso. Fece capolino oltre la soglia, affacciandosi sulla radura che circondava la casa e, non riuscì a non sorridere. Un bambino mangiava soddisfatto una carota, seduto al tavolo mentre una bambina di circa dieci anni apparecchiava la tavola. Una tovaglia a quadri faceva da sfondo mentre al centro del piano, c’era un vaso di terracotta dove spiccava un mazzo di fiori di campo.
« Zio Richadd – esordì il piccolo - Da grande posso fare il cuoco? ».
« Per adesso direi che vai benissimo come assaggiatore » lo schernì la bambina e Richard rise, osservandoli alternativamente. Scompigliò i capelli della piccola accanto a sé e sollevò gli occhi grigi nella propria direzione. Scese gli scalini della veranda senza riuscire a distogliere lo sguardo da quello dell’uomo. Sentiva il cuore battere così forte che per un attimo, temette che le sarebbe schizzato fuori dal petto. Riuscì a non arrossire quando le labbra di Richard si curvarono verso l’alto.
« Kahlan - mormorò e lei rispose con un gesto della mano - Come ti senti? » le chiese.
Le si avvicinò con poche falcate, ma quando fece per toccarle un braccio, sembrò ripensarci e abbandonò il braccio lungo il fianco.
« L’ultima volta che ti ho visto con un bambino, hai ricevuto un calcio fra le gambe » rispose, cercando di alleggerire l’imbarazzo.
« Ho fatto un po’ di pratica » disse facendo spallucce.
Si fissarono in un’occhiata più che eloquente mentre Kahlan raccoglieva il coraggio per porgli la domanda « Loro sono…? ».
« I nipoti di Anna » aggiunse frettoloso.
Kahlan abbassò gli occhi quando qualcosa strattonò un lembo dello scialle. Incontrò un paio di occhioni e il viso del bambino « Io mi chiamo Johnny e tu? ».
« Il mio nome è Kahlan »
« Sei uno spirito buono? » le chiese ancora, facendo sorridere Richard che quando stava per rispondere, venne interrotto da Josephine.
« No, tontolone! E’ la fidanzata dello zio ».
Richard evitò accuratamente lo sguardo di Kahlan, che trattenne una risata.
« Lei è Josephine – la bambina rispose a sua volta con un sorriso - Vieni. Il pranzo è pronto » disse infine, invitandola ad accomodarsi. Sulla tavola apparecchiata vi era anche una scodella, che una volta scoperchiata, diffuse l’aroma delle spezie che insaporivano la carne di pollo, circondata dalle verdure.
« Il profumo è ottimo » esordì Kahlan, accomodandosi su una panca mentre Josephine si sistemò al suo fianco.
« Tutto merito dei miei aiutanti » disse Richard, sedendosi dalla parte opposta con Johnny.
« Prima il bagno, ora il pranzo…- sollevò gli occhi su di lui, che aveva arcuato un sopracciglio - Attento a viziarmi: potrei farci l’abitudine ».
Risero entrambi sotto gli sguardi curiosi dei bambini, prima di cominciare a mangiare.
 
Si fermò in mezzo all’abitazione, guardandosi intorno mentre Richard giocava coi bambini. Sul fondo del camino giacevano le braci ormai spente insieme ad un cumulo di cenere. Sopra su una mensola, vi erano delle piccole sculture di legno di un passero, una chiocciola e una libellula. Le osservò passandovi davanti e restò stupita dello spessore delle ali dell’insetto. Credeva che improvvisamente avrebbe potuto sollevarsi e volare via. Con un dito accarezzò la testa del passerotto quando qualcosa attirò la propria attenzione. Dai trucioli sul pavimento e da un burattino appoggiato al muro, intuì che fosse una sorta di laboratorio per il legno. Compì alcuni passi, incuriosita da una scultura posta su uno sgabello e coperta da un lenzuolo bianco.
Poi fu costretta a fermarsi quando la mano di Josephine le strinse piano il polso.
« Zio Richard mi ha chiesto di vedere se stavi bene » si giustificò con tenerezza.
« Sì, grazie – le sorrise - Cosa c’è lì dentro? » domandò, indicandole con la testa il laboratorio.
« Lo zio Richard modella il legno. Ogni anno mi regala una bambola diversa e, a mio fratello, burattini o soldatini ».
Stava per dire qualcosa quando la voce di Johnny irruppe nella tranquillità di quella radura.
« E’ arrivata zia Anna. Zia Anna! » strillò, agitando le braccia al vento.
Richard lo seguì a ruota e si avvicinò alle due donne appena giunte.
« Johnny, dov’è tua sorella? » chiese subito Anna.
« Vieni, zia. Devi conoscere Kahlan » rispose il piccolo incurante nel tono severo, cercando di trascinarla verso la casa di legno da cui nel frattempo, Kahlan e Josephine erano uscite.
« Anna – sorrise e si rivolse anche all’altra donna - Ciao Caroline. Che succede? »
« Stavo cercando i miei nipoti »
« Cosa? Mi avevano detto… - guardò Josephine e Johnny, rimproverandoli silenziosamente - Mi dispiace » mormorò.
« Non c’è nessun problema. Li riporto a casa »
« Resta anche tu » le propose mentre Kahlan si fermava al suo fianco, appena un passo indietro.
Osservò la donna accanto ad Anna e la riconobbe immediatamente.
Era quella che sperava in un avvicinamento con Richard dopo l’agognata morte del marito « Ho altro da fare » sbottò Anna.
« Non capisco »
« Josephine, andiamo » ma la bambina si strinse alle gambe di Kahlan, in piedi senza mostrare alcuna emozione.
« No, non voglio tornare a casa » protestò debolmente.
« Anna » « Che c’è, Richard? » sibilò, guardandolo di scatto.
« Puoi spiegarmi cosa sta succedendo?! »
« E’ molto semplice. Josephine e Johnny tornano a casa con me per oggi »
« Non ti seguo » mormorò confuso mentre Anna serrava la presa attorno al polso del piccolo Johnny, che aveva preso a dimenarsi.
« Zia, mi stai facendo male ».
Richard lanciò un’occhiata a Caroline, che immediatamente spostò lo sguardo da Kahlan a un punto indefinito del bosco che li circondava. In quel momento comprese la situazione. Sentì qualcosa di simile all’indignazione montargli dentro come il vento invernale.
« Non avete diritto di giudicarla » disse serrando i denti e i pugni, nello stesso momento in cui Caroline tornò a guardarlo con un’espressione di sfida.
Poi con un gesto imperioso, indicò Kahlan.
« In queste terre regnava la pace fino a che non è arrivata quasi due anni fa. Da quel giorno ha cominciato a diffondere la peste, la magia… ».
Richard stava per rispondere, ma Kahlan gli impedì di farlo, posandogli una mano sulla spalla. Non voleva che la difendesse in quel caso. Era fiato sprecato.
« No, Richard. Lascia perdere… » mormorò Kahlan  e lui vide il volto di Caroline diventare paonazzo. Gonfiò le guance come uno scoiattolo prima di soffiare parole velenose, ricordandogli un gatto col pelo irto « Sì, lascia perdere » disse mentre il petto le si abbassava ed alzava in modo evidente.
« Sparisci dalla mia proprietà » le suggerì Richard, ponendo così fine a quella sfida. Pensò che se le due donne potessero lanciare fiamme con gli occhi, gli alberi sarebbero già avvolti in un incendio.
« Con molto piacere » sbuffò Caroline, andandosene impettita seguita poco dopo da Anna e da due riluttanti Josephine e Johnny.
 

***

Il Generale Wolf camminava in fretta, diretto verso gli alloggi del Primo Mago. Vide il Comandante e si fermarono all’incrocio di quattro corridoi.
« State andando dal Mago Zorander? » chiese nervoso.
Il Generale annuì e riprese a camminare. Smith lo seguì a ruota, cercando di stargli al passo.
« Non credete che dovremmo mandare un’avanguardia? »
« Non possiamo sprecare uomini » ribattè secco.
« Ma la Madre Depositaria… ».
Lo interruppe, fermandosi a lato di una rampa di scale e fissò il Comandante negli occhi.
« La Madre Depositaria non è qui purtroppo. – Smith deglutì a vuoto - Ora è il Primo Mago la nostra unica salvezza. Fino a che lei non tornerà con il Cercatore… »
« E il popolo? » domandò frustrato.

Il Generale bussò alla porta degli Uffici della Custode e quando tenne un assenso, spinse il pesante battente ligneo. Il sole timido del primo mattino illuminava l’intero ambiente.
I suoi passi vennero attutiti da un pesante tappeto, disteso davanti ad una scrivania di cristallo bianco. Dietro di essa, era seduto il Primo Mago intento ad esaminare alcuni libri. Sollevò il capo ed accennò un sorriso « Generale ».
« Mago Zorander, ho fatto come avete ordinato. Ho disposto le sentinelle lungo la via del Mastio e dato l’ordine di evacuazione, ma se posso…- spostò il peso da una gamba all’altra - Perché? »
« Stanotte faremo fuggire la maggior parte dei cittadini. Gli altri mi seguiranno al Mastio » rispose il Vecchio, alzandosi in piedi e sporgendosi verso di lui, con le nocche premute sul tavolo.
« Al Mastio? » chiese leggermente stupito.
Nei tanti anni di servizio si era tenuto lontano da quella fortezza per delle ottime ragioni. Non era l’unico ad avere i brividi, nel vedere quel silenzioso guardiano di pietra sorvegliare la città da una ripida parete di montagna.
« E’ il luogo più sicuro per tutti. Ci sono schermi magici che nessuno può oltrepassare tranne me » lo rassicurò Zedd, drizzandosi e dandogli le spalle.
« Quanto credete impiegherà la Madre Depositaria a tornare? » domandò con cautela.
« Non lo so. – scrollò le spalle - Per tutti noi, spero sia qui il prima possibile »
« Che significa? »
« Credo che il complotto sia solo la superficie del lago » rispose, guardandolo con la coda dell’occhio.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Il sole era ormai pronto a nascondersi oltre l’orizzonte. Sporadiche nuvole si tinsero di cremisi mentre il vento del nord fece tremare i vetri delle finestre mentre le pietre millenarie che costruivano il Palazzo del Popolo assumevano strane colorazioni aranciate. Delle piccole fiaccole con dischi riflettenti illuminavano gli angoli bui della stanza in cui Darken camminava avanti a indietro. Il piedistallo che una volta doveva essere occupato dai tre Scrigni dell’Orden, era ora vuoto e privo degli scudi magici.
Era frustrato, soprattutto impaziente.
« Lord Rahl, un messo è appena tornato dalla Galea » esordì Evremont, con alcuni passi sicuri.
Pochi secondi dopo, un secondo uomo con una semplice divisa e un piastrone in cuoio con su impresso il simbolo del casato fece il suo ingresso. Si fermò a un paio di metri di distanza e unì le mani dietro la schiena. Quando il Generale gli diede il consenso per parlare, si schiarì la voce.
« Mio Signore, ho delle notizie riguardo la Madre Depositaria »
« Deduco che il quadrato non abbia avuto problemi a catturarla » mormorò Darken, girando intorno al supporto di pietra grigia. Evremont e il soldato si lanciarono un’occhiata fugace.
« Ehm… I-in realtà… - tossì nervoso - Ho trovato i resti dei nostri uomini ».
Darken si girò lentamente, continuando a dar loro le spalle.
« Che cosa!? » tuonò.
« Devono essere morti per mano di un uomo della Guardia Bianca, i protettori della Madre Depositaria »
« Uno solo? » chiese sempre più furioso.
« Sì, Lord Rahl. Ho seguito personalmente le tracce, ma si perdono nel bosco »
« Manda subito un altro quadrato! » ordinò senza esitazione.
« Consideratelo già fatto » mormorò l’uomo, battendosi un pugno contro al petto prima di sgattaiolare via. Evremont lo osservò andarsene e quando i suoi passi si persero nell’aria, si voltò verso Darken intento ad accarezzare il bordo smussato del piedistallo.
« Lord Rahl non credete sia più semplice mandare qualcuno per trovare il Cercatore? » propose con cautela. Nona aveva voglia di provocare Lord Rahl in quelle condizioni.
« Evremont, per rispettare il patto col Guardiano devo prima mettere le mani su quella donna – ringhiò a bassa voce, passandosi l’indice sulle labbra - E poi, il mio laghetto personale ha bisogno di un Cigno, non credi? ».
 

***

Denna stava tornando dalla boscaglia, immersa nel buio più completo. La luna faticava ad affacciarsi a causa di alcune nuvole di passaggio. L’inverno si stava avvicinando e il vento cominciava a essere sempre più freddo. Un gufo si lamentò del trambusto che il piccolo campo che i Dragoni avevano allestito. Un unico piccolo fuocherello segnava il centro dell’accampamento del distaccamento militare, abbastanza da far luce ma non da costituire un faro di segnalazione per sgraditi vicini.
Alcuni uomini erano occupati nella manutenzione delle armi. Le picche erano state sistemate su un paio di rastrelliere. Quando i suoi occhi si sollevarono dai propri passi, incontrò la figura di Cara. L’abito di pelle marrone scuro rifletteva le fioche fiamme del fuoco.
« Se hai terminato la ronda, seguimi nella tenda di comando » esordì in tono secco e piatto.
« Che succede? »
« Non lo so, ma sembra impor… » non terminò la frase.
« Padrona Cara – la chiamò un uomo dai capelli a spazzola -  Il Comandante chiede la vostra presenza ».
Cara si girò verso di lui e Denna giurò di aver intravisto quello che era un sorrisetto sui volti di entrambi.
« Grazie Capitano » rispose la consorella all’ufficiale, che si allontanò in fretta per poi sparire fra le altre tende. Cara si girò nuovamente verso di lei, facendo ondeggiare la treccia dorata.
« Pare sia l’unico rilassato in questo momento… » mormorò maliziosa.
Cara le rispose con una dura espressione e afferrandola per un gomito, la spinse davanti a sé.
« Muoviti » le ordinò, seguendola.
Superarono numerose tende dove gli uomini si riposavano, giocavano a dadi o parlavano fra un sorso di rum e una scodella di brodaglia. Quelli che erano fuori di ronda a gruppi di tre, vedendole, si scansarono e le lasciarono passare come se fossero due regine. I loro passi si arrestarono davanti a una delle tende più grandi. Denna scostò un lembo per entrare e Cara la seguì a ruota.
Alcune candele erano poste sopra a un tavolo, a cui sedeva il Comandante Trimack. Stava studiando delle mappe, ma quando si accorse delle due Mord-Sith le ripose, arrotolandole e infilandole in una specie di vaso metallico. Poi dal cinturone, slegò un piccolo quaderno rilegato dall’aria centenaria.
« Novità, Comandante? » chiese Denna, fermandosi di fronte all’uomo.
« Un messaggio dal Palazzo del Popolo. – aprì il libro - Sembra che Rahl stia convocando alcuni maghi che erano al suo servizio »
« Dovrei sorprendermi? » domandò, arcuando un sopracciglio biondo mentre Trimack le mostrava il libro di viaggio. Poi gli indicò le ultime righe di una pagina.
« Padrona Lia ha scritto sul libro di viaggio… » aggiunse e Denna si chinò per leggere.
Al tempo dello squarcio del velo, la Vipera a dieci teste minaccerà l’ultimo Cigno.
Col suo canto invocherà l’aiuto di colui che, nella verità, ordinerà la chiusura del sigillo nell’eco del suo ultimo rintocco.
 
« Dov’è l’Acquila? » chiese, sollevando la testa di scatto verso il Comandante che la fissava impassibile.
« Sud est » rispose Cara. Denna li guardò a turno.
« Che significa il messaggio? »
« Non lo so, ma credo che si tratti di magia » disse Trimack con l’aria di chi si aspetta solo guai.
 

*

Zedd stava passeggiando con le mani giunte dietro la schiena. La città era deserta oltre il parapetto del bastione, sospeso a centinaia di metri di altezza. Gli piangeva il cuore nel non vedere le lanterne accese come al solito o il fumo dei camini. Lui che aveva vissuto lì per una larga parte della sua vita, vedere Aydindril ridotta ad un vuoto spettro lo deprimeva. Udì un calpestio infantile e quando stava per girarsi un bambino lo superò correndo dietro una pallina di lana colorata. Si chinò, riuscendo ad afferrarlo per il colletto della giacca prima che si allontanasse troppo.
« Dove corri a quest’ora, figliolo? » chiese senza essere troppo severo.
« Non ho sonno » protestò il piccolo, allungando le braccia verso la palla che rotolava via.
« E’ pericoloso girare a quest’ora di notte. – lo ammonì, facendolo girare verso di sé - Tua madre non ti ha detto degli spiriti? » aggiunse, fingendo un’aria criptica.
Ovviamente il Mastio non aveva fantasmi vaganti fra le sue possenti mura, ma c’erano stanze protette da scudi magici molto pericolosi. Se il bambino ne avesse incontrato uno senza accorgersene, sarebbe stato congelato, abbrustolito. O peggio.
« Spiriti? » balbettò il bambino con gli occhi spalancati.
« Sì, questo posto ne è pieno. Ma se tornerai a letto, non ti faranno del male – lo rassicurò, porgendogli una mano che quello afferrò ansioso - Ti accompagno ».
I due aprirono la porta che conduceva ad una scala a chiocciola all’interno della torre. Scesero i gradini di pietra leggermente umidi in alcuni punti per le infiltrazioni, aprirono una seconda porta e giunsero ad uno sei numerosi piani del Mastio. Quello ospitava numerose stanze, rimaste vuote per decenni, ma che adesso erano occupate da diverse donne e bambini di Aydindril.
I dischi riflettenti poste dietro le candele, fissate con dei ganci alle pareti, diffondevano una morbida luce che permetteva loro di non inciampare sui lussuosi tappeti, che ricoprivano il pavimento in pietra. Superato un corridoio, vennero raggiunti da una donna di mezza età dai capelli raccolti in una crocchia.
« Primo Mago, aspettate »
« Che c’è, Miriam? » rispose Zedd, gentile, fermandosi nel mezzo del corridoio.
« Stavo ripulendo i vostri appartamenti e ho trovato questa nel cassetto per le lettere. – disse e gli porse una busta un po’ ingiallita - Dev’essere piuttosto vecchia, ma non è indicato il mittente ».
Zedd girò la busa fra le mani più volte, poi sorrise alla donna in un muto ringraziamento.
« Grazie Miriam. Per favore, accompagna questo giovanotto a letto » disse con un mormorio e lei annuì.
« Sì, Primo Mago ».
Li osservò prendersi per mano e percorrere il corridoio. Quando aggirarono un angolo a sinistra, tornò con gli occhi sulla busta. La aprì, cercando di non strapparla. Poi estrasse il foglio all’interno, ripiegato con estrema cura e fece scivolare gli occhi sulla scrittura fine e leggiadra. Fu certo di chi fosse quella calligrafia quando in fondo al foglio, riuscì a decifrare la firma del mittente. E per un attimo, le sue ginochia stanche rischiarono di cedere alla gravità.
 

**

Una scintilla scoppiò nel camino, unendosi alle fiamme del fuoco sopra cui bolliva un pentolone di peltro. Intanto nella casa, si era diffuso il profumo appetitoso della zuppa di spezie insieme al leggero odore di cera delle candele che illuminavano l’oscurità dell’imbrunire. La luna stava per levarsi, ma già le prime stelle puntellavano il cielo sfumato dell’ultimo bagliore purpureo del tramonto.
Kahlan, dopo aver sonnecchiato per gran parte del pomeriggio, stava osservando le sculture nel piccolo laboratorio. Era affascinata dalle riproduzioni, estremamente realistiche, della fauna boschiva. Posò la mano sulla testa di un lupo, che sembrava puntare una preda mentre un gufo reale la scrutava intensamente. Si avvicinò all’oggetto coperto dal lenzuolo, ma i passi di Richard che rientrava in casa, la fecero sentire una ficcanaso. Uscì dalla stanzina e tornò vicina al camino mentre l’uomo si chiudeva la porta alle spalle. Posò il secchio riempito con l’acqua potabile del pozzo in un angolo e quando si drizzò le sorrise.
« Ci vorrà ancora un po’ per la zuppa - esordì e lei annuì - Mi dispiace per oggi. Non so cosa le sia preso »
« Non fa niente » rispose lei, sminuendo la questione con un  gesto frivolo.
« Sei già famosa qui ad Hartland » mormorò senza alcuna insinuazione implicita.
Kahlan pensò che l’unico che potesse batterla era proprio lui, visto il modo con cui Caroline e il suo gruppo di amiche civettavano due sere prima.
« Siediti » la esortò gentilmente, sedendosi a propria volta.
Kahlan inspirò profondamente e obbedì per poi volgersi verso di lui. Richard poté vedere il movimento delle sue palpebre e rischiò di dimenticare il proprio nome quando un paio di smeraldi lo intercettarono. La curiosità martellante lo spinse ad abbandonare qualsiasi forma di discrezione. Doveva sapere e glielo chiese « Perché sei qui? ».
« Non posso far visita ad un vecchio amico? » rispose lei con un’espressione sardonica. Ridacchiò sinceramente divertito mentre scuoteva piano la testa.
« Beh effettivamente non ricevo molte visite, tranne da quei due frugoletti. Mi reco al villaggio solo per far visita a Chase e lavorare – la guardò serio - Ma dubito che la Madre Depositaria abbia il tempo di farmi visita ».
« E’ questo che hai fatto negli ultimi mesi? » gli chiese tranquilla.
« Già… - con l’unghia del pollice, intaccò il bordo del tavolo mentre distoglieva lo sguardo - Non hai ancora risposto alla mia domanda però ».
La tensione li rinchiuse in una bolla invisibile.
« Sono qui, perché ho bisogno del Cercatore di Verità » disse a bruciapelo e il silenzio che seguì per Kahlan, fu peggio della sua risposta « Non lo sono più ».
La voce di Richard giunse dura, gelida alle proprie orecchie.
« Il fatto che tu non possieda più la spada, non cambia la tua essenza – gli rammentò con lo stesso tono di un insegnante che si rivolge ad un allievo ostinato - Tu sei l’arma ».
Sentì di aver toccato il tasto sbagliato, ma aveva un disperato bisogno di lui e del suo aiuto.
« Che cosa vuoi? ».
Stavolta aveva pronunciato le parole con un ringhio basso, come se la sua presenza lo infastidisse. Decise di cambiare approccio « Non t’importa di sapere dov’è Zedd, come sta? ».
« Voglio sapere perché sei venuta a cercarmi. Avete di nuovo bisogno che qualcuno imbracci quella stramaledetta spada per combattere qualche altro malvagio tiranno? – si sporse verso di lei, poggiandosi con entrambi i gomiti sul tavolo - Trovatevi un contadino abbastanza idiota da accettarlo »
« Non ti riconosco più… » rispose lei stizzita più rivolta a sé stessa. Non capiva cosa le stesse dicendo.
« Ti do una notizia, Kahlan: le persone cambiano »
« Il tuo è falso orgoglio » rispose indignata.
« E il tuo è semplice egoismo ».
« Attento a non invertire i ruoli, Richard Cypher » disse, serrando i denti per la rabbia.
Ma quella sorta di delusione sfumò alle parole dell’uomo « Perché non sei rimasta dov’eri? ».
Avrebbe preferito essere colpita da cento dardi avvelenati piuttosto che sentirsi dire quelle parole da Richard. Sentì qualcosa soffocarla all’altezza della gola mentre gli occhi cominciarono a pizzicarle. In pochi attimi la vista, le si appannò per le lacrime. S’impose di non versare alcuna e indossò la propria maschera impassibile.
« Lo avrei fatto, se avessi saputo che dell’uomo che ho conosciuto, è rimasto solo un codardo » sibilò, fissandolo come se di fronte a sé avesse il peggior essere del mondo.
« Dopo tutto quello che ho fatto per te e le tue Terre Centrali, mi accusi di essere un codardo! » sbottò lui, gesticolando in modo frenetico.
« E dopo tutto quello che abbiamo passato, come hai potuto salire in sella a quel cavallo e andartene? Hai mai pensato, anche solo una volta, alle conseguenze delle tue azioni?! Non mi hai mai scritta… Ti importava così poco di tuo nonno Zedd? Ti importava così poco di me…? – si accorse di aver alzato la voce, così cercò di riacquistare la compostezza – Ma hai ragione: sarei dovuta restare dov’ero ».
Si mise in piedi, allontanando la sedia. Ma lo fece così violentemente che venne colta dalle vertigini mentre una fitta lancinante al fianco le impedì quasi di respirare. Si piegò in due, cercando di trovare un appiglio per non cadere, ma i polmoni rifiutavano le boccate di ossigeno. Le sue dita strinsero il bordo del tavolo mentre Richard scattava in piedi, aggirando il tavolo. Quando la raggiunse, si accorse di alcune lacrime che erano rotolate sulle guance della donna, lasciandosi dietro una scia umida di sale.
« Kahlan… »
« Non mi toccare » biascicò, rimettendosi in piedi quando il dolore decise di concederle una tregua.
« Ho avuto paura, d’accordo? – disse, tutto d’un fiato - Volevo solo tornare a casa ».
« Avevi detto di essere già a casa1 »
« Quando ho accettato la carica, non credevo che… - deglutì sonoramente mentre tentava di costruire un discorso con le parole giuste - Sono successe così tante cose in quel viaggio e… Non ero pronto per ricominciare tutto da capo. Mi mancava questo posto, questi alberi e mio padre. Credevo che tornando qui, avrei ritrovato me stesso. – le scostò una ciocca di capelli dal viso - Non hai idea di quanto sia stato difficile partire ». Kahlan sollevò gli occhi su di lui, trapassandolo come una freccia contro un bersaglio.
« Perché non mi hai chiesto cosa ne pensassi? » domandò esitante mentre Richard continuava a tenerla per le spalle, come se dovesse fuggire.
« Perché sapevo che sarei rimasto… » bisbigliò prima che Kahlan si abbandonasse fra le sue braccia. La strinse piano a sé, cullandola come non gli era mai stato concesso fare.
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1in riferimento alla puntata 22 della prima stagione, “La resa dei conti”.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Dopo aver cenato nel più completo silenzio, Richard sparecchiò la tavola mentre Kahlan si dirigeva a passo lento in camera. Controllò il fuoco e aggiunse un piccolo ceppo di legno prima di seguire l’amica nella propria stanza. Quando arrivò sulla soglia, Kahlan aveva abbandonato la stola sul letto e si stava slacciando il nodo sul petto della casacca. La luce fioca delle candele creò strane ombre sulle pareti quando incontrò gli oggetti e i mobili della casa, riflettendosi sulla pelle diafana della donna con sfumature quasi perlacee. Tossì per attirare la sua attenzione mentre compiva un passo verso di lei.
« Devo controllarti la ferita » esordì, fissando il pavimento dove si era adagiata la casacca che le aveva prestato. La raccolse, rigirandola più volte tra le mani che guardò con urgente interesse.
« Allora smettila di essere in imbarazzo – lo rimbrottò bonaria, voltandosi a guardarlo quasi sfidandolo - Mi hai già vista nuda1 ».
Richard non se la sentì di negare e contro ogni buonsenso, sollevò il viso. I suoi occhi scivolarono sulla figura davanti a sé. Dai piedi fino al viso, contornato dai capelli che scendevano a boccoli fino alla curva dei fianchi. I pantaloni e le braccia intrecciate davanti al petto, a coprirle i seni abbondanti, non furono abbastanza perché la propria memoria ridisegnasse con estrema accuratezza le forme di quel corpo splendido. Si concentrò sui suoi occhi verdi, che brillavano di intelligenza e si impose di non smettere di ammirarli mentre lasciava la casacca sul letto. Le fece cenno di girarsi cosicché potesse vedere la ferita alla luce delle candele ai lati del letto. 
Un taglio ora perfettamente ricucito da Laura e Anna, interrompeva bruscamente la pelle perfetta del fianco, appena sopra l’anca. Col dorso della mano, sfiorò la cicatrice per capire se fossero saltati dei punti e sollevò lo sguardo. Continuò a tenerlo su quello imperscrutabile della donna, rimasta immobile e apparentemente affatto in soggezione.
« Cos’hai combinato? » le chiese, sperando che la conversazione gli facesse dimenticare che la stava toccando, come e dove.
« Un quadrato mi ha seguita. Membri di una speciale divisione del Terzo Battaglione appartenenti all’Ordine del Sangue2 per essere precisi. Kyle, il soldato che mi aveva accompagnato, li ha tenuti occupati mentre scappavo »
« Credevo che con la morte di Rahl… » 
« Le cose non sono cambiate molto da quando sei partito. Ci sono persone che vogliono ancora la mia testa » disse, lasciando vagare gli occhi sul volto dell’uomo su cui la luce soffusa delle candele gettava ombre affascinanti sulla mascella e sul profilo.
Per la prima volta, Kahlan si sentì veramente a disagio. Nonostante l’avesse già vista svestita, aveva la sensazione che fosse diverso. 
« Tipo? » domandò Richard, abbassando gli occhi sulle proprie dita posate sulla parte bassa del costato, dove aleggiava un grosso livido scuro.
« Gli Atiani – continuò quando vide la perplessità sul suo volto - Abitanti del regno di Atanasia3, uno dei tanti che fanno parte della Confederazione delle Terre Centrali ».
Smise di parlare quando il tocco delle mani di Richard  le provocò un brivido piacevole, che si irradiò per tutto il corpo fino a congiungersi con la scossa dolorosa, causata delle coste incrinate che stava esaminando. Si ritrovò a trattenere il respiro quando gli occhi grigi di Richard la paralizzarono. Erano ipnotici e quasi familiari, ma non riuscì a formulare un pensiero coerente con lui che la scrutava in quel modo. Le sembrava che potesse sondarle l’anima fin negli angoli più ristretti e, sperò ardentemente che lui non notasse ciò che stava provando.
« Senti dolore? Non mentire » le chiese con un’espressione corrucciata, critica come se stesse studiando un rompicapo molto complesso.
« Sì, abbastanza » ammise con un debole sussurro.
Richard le diede le spalle e si avvicinò alla cassettiera vicina alla finestra.
« C’è una cosa che non ti ho detto, riguardo il mio passato. – si accertò di avere la sua attenzione e continuò - Trent’anni fa sul trono di Atanasia sedeva Re Cedric. Spietato guerriero e conquistatore, dominò incontrastato sui propri territori. Ma il potere accecò la sua razionalità e ben presto, divenne un tiranno. Il popolo oppresso invocò l’aiuto di Aydindril e delle Depositarie. Ma il re atiano non amava essere contraddetto e così sfogò la propria ira, facendo stragi di civili ».
Gli occhi plumbei di Richard incontrarono i propri sul riflesso dello specchio.
« Che accadde? » chiese.
« La Madre Depositaria all’epoca reggente, lanciò un ultimatum al sovrano. Egli lo ignorò dichiarando guerra alla Confederazione. La Madre Depositaria entrò a palazzo e con l’aiuto di altre Depositarie, riuscì a confessarlo. Lo detronizzò – Richard inarcò le sopracciglia e decise di rispondere al suo silenzioso quesito -  Una Madre Depositaria può farlo. Le Depositarie non si inchinano mai di fronte ai re e alle regine ». Si voltò a guardarla, assumendo un’espressione terribilmente severa.
« Cosa centra questo re Cedric con te? »
« La Madre Depositaria che lo confessò si chiamava Doreen Amnell »
« Mi stai dicendo che tu… » balbettò, sbattendo le palpebre più volte.
« Sono l’erede al trono di Atanasia » sentenziò Kahlan, sollevando il mento.
Richard la fissò e trovò quasi buffo che una regina si trovasse in piedi nella sua umile camera da letto, con indosso solamente un paio dei propri pantaloni. Non riusciva a raccapezzarsi.
Scosse il capo e tornò a quello che stava facendo. Aprì un cassetto ed afferrò la scatola di un unguento.
« Perché ti vogliono morta? » disse, aprendo la scatolina di legno e annusandone il contenuto.
« Mentre lottavamo contro Rahl, il re è morto. Temono che io possa rivendicare la corona. Inoltre…- abbassò il viso - Dovrei aver già scelto un compagno ».
Richard la osservò con ancora le braccia a coprirle le nudità. 
« Credevo avessi…»
« Non ho avuto tempo per questo. Sempre durante la mia assenza da Aydindril, il Principe Fyren del Kelton4 ha preso il comando sotto la negligenza del Concilio »
« Un complotto contro di te? » chiese, fermandosi ad un braccio di distanza mentre Kahlan annuiva.
« Zedd è rimasto a palazzo, costringendomi a partire ».
Lui sospirò e con la mano libera, a coppa sotto il suo mento, la costrinse ad alzare gli occhi. 
« Hai un’idea su chi sia l’artefice? »
« No. So solo che da sola, non ho alcuna speranza ». 
Quelle parole lo fecero riflettere. Kahlan non era una donna comune. Era piena di risorse e incredibilmente potente, soprattutto considerando il Con Dar’.  Se aveva fatto tutta quella strada per lui, per conto di suo nonno, significava che la situazione era veramente disperata.
« Lenirà il dolore » disse infine dopo un interminabile momento di silenzio.
Raccolse l’unguento con due dita, ma rimase immobile con la mano sollevata a pochi centimetri dal fianco di Kahlan. Durante la sua vita fino a quel momento, aveva capito che un problema genera sempre tre figli. La prima volta c’era stato il rampicante serpente5, Kahlan stessa e gli Scrigni dell’Orden.
Ora l’inaspettato ritorno di Kahlan era il primo figlio del problema. Rabbrividì al pensiero di quelli potessero essere gli altri due.
« Richard…» mormorò lei, riscuotendolo quando gli afferrò il polso con una mano mentre protese l’altra verso il suo volto. Richard non mosse un muscolo e si perse nei suoi occhi.
Qualcosa mosse il proprio animo quando la mano della donna si posò sulla propria guancia.
Kahlan avvertì il respiro pesante, ma regolare dell’uomo mentre con la punta delle dita riuscì a percepire il principio ispido di barba sulla sua mascella.
« Di cosa hai paura? » chiese a bassa voce.
Richard dovete sforzarsi di ricordarsi come si respira. Averla seminuda e con le labbra schiuse a pochi centimetri dalle proprie, gli impediva perfino di sbattere le palpebre. Un respiro era il solo passo che gli avrebbe impedito di baciarla.
« Io non ho paura di niente » disse, tentando tenacemente di restare lucido.
« Non dovresti mentire ad una Depositaria » mormorò Kahlan, facendolo sorridere istintivamente e ritraendo la mano.
« Credo che non  imparerò mai questa lezione » borbottò, suscitandole una risatina gutturale.
La vide abbassare gli  occhi e per un attimo, si dimenticò che fosse col busto esposto.
« Mi dispiace per prima. Non sei un codardo » aggiunse infine e lui scosse la testa.
« Avevi ragione invece: non ti ho mai chiesto cosa ne pensassi. Non volevo ferirti…E ti chiedo scusa - i loro sguardi si incrociarono di nuovo - Sono contento di averti qui, nella mia casa… ».
Richard riuscì appena a completare la frase quando si accorse che entrambi erano sul punto di non ritorno. Deglutì e dopo un enorme sforzo si allontanò, ripristinando le minime distanze e riprese fiato. Kahlan aveva ancora gli occhi socchiusi.
« Meglio se ti rivesti…- le suggerì, riprendendo il controllo delle proprie azioni prima che fosse troppo tardi - Tieni. Massaggialo sui lividi fino a che la pelle non lo assorbe. Non metterne troppo o farà irritazione ». 
Kahlan annuì e fece come lui le disse. Attese un istante e indossò la camicia, facendo un fiocco per chiuderla. Si sedette sul bordo del letto davanti alla larga ciotola metallica di un braciere, dove i tizzoni ardenti riscaldavano la camera con un morbido tepore mentre le candele diffondevano un leggero odore di cera aromatizzata con aghi di pini tinusiani6.
Richard, nella stanza principale, si assicurò che fosse tutto in ordine mentre cercava di non pensare a quanto fossero stati vicini. Prese un ramo dalla cesta della legna e la gettò nel camino. Osservò il nuovo legno prendere fuoco, con la corteccia che scoppiettava, sollevando alcune scintille.
Girò la testa e aggrottò la fronte, vedendo la donna seduta sul letto mentre fissava, come stregata, le braci incandescenti. Si avvicinò ad una finestra, tirando le tende e camminò verso la stanza.
« Tutto a posto? » le chiese, fermandosi a pochi passi.
Kahlan volse la testa nella sua direzione, abbassò lo sguardo e tornò a guardare il braciere.
« Sì… - mormorò - E’ che una parte di me, credeva… ».
Smise di parlare, come se improvvisamente le avessero tolto la capacità di farlo.
« Te l’ho detto: non posso sposare una donna quando il mio cuore appartiene ad un’altra7 » rispose lui a bassa voce. 
« E’ un tuo nuovo dono, leggere nel pensiero? » scherzò lei, guardandolo di sottecchi e Richard sorrise.
Con lo sguardo  fisso sul pavimento di legno scuro, compì ancora qualche passo e si sedette sul letto accanto a lei « Non è così difficile » osservò.
Kahlan allungò un mano e scostò il ciuffo di capelli biondo-scuro che gli adombrava la fronte.
« Mi sei mancato tantissimo » sussurrò, quasi temesse di pronunciare quelle parole mentre le sue dita si spostarono sul suo collo, intrufolandosi fra le ciocche dietro la nuca.
Richard non fu completamente cosciente del fatto di essersi sporto verso la donna « Anche tu a me ».
Stava per dirle altro, ma Kahlan lo tirò gentilmente a sé e lo mise a tacere con le proprie labbra. Per tutta la durata della missione contro Rahl aveva desiderato poterla baciare, ma non si era mai spinto oltre la sua volontà. Conosceva le motivazioni che l’avevano condotta alla scelta di respingerlo.
Prima che potesse anche solo pensare cosa fare, si ritrovò a ricambiare il bacio. Durante la loro lontananza, aveva agognato di poter di nuovo percepire il suo calore e la morbidezza delle sue labbra come la prima volta, durante una notte nella foresta8. Mai come in quel momento avrebbe voluto stringerla fra le braccia e baciarla per tutta la notte.
Kahlan sentiva cedere il proprio autocontrollo, ma più forte fu la sensazione di rinascita che sollevò il proprio animo. Si allontanò per riprendere fiato, ma le loro labbra erano ancora troppo vicine perché i due amanti potessero riacquistare la lucidità. 
« Richard, fermami » soffiò con un sospiro quasi implorandolo mentre lasciava la presa dietro il suo collo. Rimpianse disperatamente quel contatto.
« Questo è più difficile » ammise lui, riducendo la bocca ad una dura linea sottile.
Sbatté le palpebre più volte. Aveva bisogno di calmarsi e magari di una secchiata d’acqua gelida.
Pensò che avrebbe potuto gettarsi per un bagno nell’acqua del lago, appena fuori dalla radura in cui si trovava la propria abitazione. Riluttante, si alzò e si diresse verso il bagno. Ma Kahlan glielo impedì, afferrandogli il braccio all’altezza del gomito.
« Mi aiuterai? » gli chiese e Richard riuscì a vedere qualcosa di molto simile alla paura negli occhi della donna. Alla fine, abbozzò un sorriso.
« Ho forse altra scelta? ».
*
Zedd vagava distrattamente fra i cortili e i corridoi del Mastio del Mago. Fra le mani teneva ancora la lettera che Miriam gli aveva consegnato. Non era riuscito a dormire quella notte. Fissò ancora una volta l’epistola prima di nasconderla nella manica sinistra e quando sollevò gli occhi verso una delle finestre, vedendo un lontano bagliore purpureo oltre l’orizzonte, capì che mancava poco all’alba.
Sentì la pelle d’oca sotto la lunga tunica quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Strizzò un poco le palpebre per vedere meglio e notò un nutrito gruppo di storni levarsi freneticamente in volo dalle chiome intorno alla città. Direzione est. Non era naturale.
Un istante dopo un piccolo volatile sbandò contro un suo simile, finendo dentro al corridoio in cui si trovava il Primo Mago. Svolazzò agitato e continuò a battere le ali quando l’anziano lo afferrò, tenendolo fra le mani nodose. Lo osservò cinguettare arrabbiato, arruffando le penne scure e tornò a fissare il punto in cui aveva visto lo stormo sollevarsi. 
Concentrò la propria vista lì e quando riuscì a mettere a fuoco, trasalì.
Lasciò andare il volatile e corse verso la rampa di scale, tenendo un lembo della tunica con una mano per non inciampare. La sua chioma canuta si agitava ad ogni suo passo, riecheggiante nel vuoto degli ambienti, sempre più affrettato. Superò diverse stanze fino a giungere quella in cui si trovavano il Generale Wolf e il Comandante Smith. Il fuoco del camino rischiarava l’oscurità della notte, oltre le spalle dei due ufficiali che si girarono, quasi in contemporanea, con l’aria perplessa mentre Zedd era impegnato a regolarizzare il respiro affannato.
« Generale, chiamate a raccolta la Guardia Bianca » esordì senza troppi convenevoli. Non c’era tempo da perdere in futili chiacchiere.
« Che accade, Mago? » domandò il Comandante e lui gli rispose con uno sguardo di fuoco.
« Vi sembra il momento di fare domande?! » sbottò con stizza e l’uomo si allontanò per eseguire gli ordini a un cenno del Generale, che poi tornò a fissare Zedd.
« Spiegatevi »
« Delle truppe arriveranno e ci attaccheranno fra poco meno di due ore » aggiunse il vecchio, drizzandosi in piedi dopo aver ripreso fiato.
« Che cosa?! ».
Non ebbe il tempo di aggiungere altro che una delle sentinelle entrò correndo nella stanza.
« Signore, nemici da est! » annunciò a gran voce. Il povero ragazzo sembrava aver corso due volte i confini delle Terre Centrali.
« Li avete indentificati? » domandò sbrigativo il Generale.
« Non ne siamo sicuri, ma sembrano D’Hariani »  rispose quello, già pronto a ripartire.
A quelle parole, Zedd sbiancò in volto divenendo un tutt’uno coi i propri capelli.
« Avverti tutte le unità, presto! Dobbiamo proteggere il Palazzo delle Depositarie » sbraitò l’ufficiale, avviandosi ai piani inferiori del Mastio col Mago alle calcagna.
**
Cara si fermò al limitare di un rigagnolo, imitata pochi secondi dopo da Denna e dal Comandante Trimack. Oltre quel fiumiciattolo, cominciava l’insidiosa palude di Matragorn9 avvolta nelle tenebre a causa della fitta vegetazione di mangrovie in parte sommerse e, dai rami più alti pendevano numerose liane. Il massiccio comandante si assicurò di avere tutte le armi nei foderi prima di partire. 
« Vi accompagno » sentenziò Cara, alla sua destra.
« No – fissò prima lei e poi Denna - Voi due resterete qui a vegliare sugli uomini » disse con tono di comando, poi si avviò verso quell’intricata selva palustre.
I suoi stivali quasi affondarono quando superati i primi venti metri, incontrarono la prima fanghiglia. Scansando rami e teli di muschio penzolanti, si addentrò sempre più nelle viscere più acquitrinose.
Il sole del mattino filtrò a fatica fra il fogliame ed era quasi nel punto più alto del cielo, quando Trimack si fermò sulla sponda di quello che una volta doveva essere stato un fiume. Ora l’acqua scura e melmosa era alta appena pochi centimetri. Abbastanza profonda da nascondere i serpenti.
Dall’altra parte intravide una sorta di cupola, la cui superficie era ricoperta da strati di muschi e licheni. Facendo attenzione  a dove mettesse i piedi, superò il fiumiciattolo e si fermò davanti a quella costruzione naturale, fissandola fin quando un soffio di vento afoso non spostò la tenda muschiosa. La scostò ulteriormente e si accorse che si trattava di una vera e propria capanna fata di mangrovie, ma lontane dall’acqua. Finalmente all’asciutto, entrò in quella buffa casa dove l’aria sembrava fresca e meno opprimente di quella della palude. In un angolo c’era un giaciglio con una coperta aggrovigliata e un guanciale decorato, che sembrava un diamante nel carbone. Capì di essere nel posto giusto quando qualcuno scivolò alle sue spalle, puntandogli una scheggia affilata di ossidiana alla gola.
« Dimmi chi sei e come mi hai trovato, altrimenti diverrai concime per questa palude » ringhiò l’uomo che lo aveva sorpreso. Era l’uomo che stava cercando, l’Aquila.
« Signore, sono il Comandante Trimack » rispose e immediatamente, venne liberato da quella presa. Camminando l’uomo si pose davanti a lui. L’ufficiale si accorse che nonostante l’inesorabile scorrere del tempo, il suo Signore era perfettamente riconoscibile. I capelli erano però più corti, fino al collo, biondi come l’oro e gli occhi azzurri come il mare in tempesta. Era Panis Rahl.
« Perdona le mie maniere brusche, ma mi hai spaventato » mormorò, infilando l’ossidiana in un fodero vuoto.
« Non era nelle mie intenzioni, Signore » si affrettò a scusarsi prima che Panis puntasse il suo sguardo da rapace su di lui.
« La profezia? » chiese con tono grave.
« Si è avverata, ma c’è un problema ».
Quelle parole attirarono completamente l’attenzione dell’ex monarca, che arcuò un sopracciglio. Se il suo Comandante più fidato spostava il peso da una gamba all’altra, significava che c’era qualcosa di grosso che bolliva in pentola.
« E cioè? » 
« Non ho potuto portare vostro figlio sul trono. Evremont ha preso il comando e ora, Darken è tornato » disse tutto d’un fiato. Panis lo afferrò per la giubba e lo strattonò violentemente.
« Tornato?! Come? » sbraitò col viso a pochi centimetri da quello di Trimack. In quel momento, la stazza dell’ufficiale era pari a quella di un topolino di fronte ad un leone ruggente. 
« Non lo so, mio Signore – aggiunse tremante - I miei uomini ci aspettano fuori dalla palude ».
Panis mollò la presa e prendendo un profondo respiro, riuscì a calmarsi.
« Dov’è il ragazzo? » 
« A Ovest, per questo sono venuto a prendervi »
« E Aydindril? » domandò, ma l’espressione di Trimack era già abbastanza esplicita.
« Entro poche ore sarà calpestata » disse infine.
__________________________
1in riferimento alle puntate 6 e 18 della prima stagione, “L’elisir” e “Lo specchio”;
2Ordine del Sangue: divisione dell’esercito d’hariano, istituita da Darken Rahl per sterminare le Depositarie;
3Atanasia: regno delle Terre Centrali citato da Darken Rahl nella puntata 9 della prima stagione, “Il marionettista”;
4Principe Fyren del Kelton: sovrano di un regno delle Terre Centrali, che appare nella puntata 11 della seconda stagione, “L’amuleto di Oloron”;
5rampicante serpente: pianta dai baccelli velenosi che compare nella puntata 1 della prima stagione “La profezia”;
6pini tinusiani: pianta dal forte profumo citata alla puntata 10 della prima stagione, “Il sacrificio”;
7in riferimento alla puntata 14 della prima stagione “Hartland”;
8in riferimento alla puntata 8 della prima stagione “Denna”;
9palude di Matragorn: zona delle Terre Centrali citata nella puntata 9 della seconda stagione, “Oscurità”.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Mancavano ancora due ore all’alba. Il buio cominciava a sgretolarsi oltre l’orizzonte segnato dalle montagne lontane, assumendo una colorazione violacea. 
Kahlan strinse le cinghie delle bisacce colme di provviste, abiti da viaggio e medicine, mentre Emma porgeva a Richard un piccolo cesto in più per il pranzo.
« Avete preso tutto? » chiese ancora.
« Grazie, Emma. – disse con un’occhiata eloquente - Per tutto » aggiunse e la donna rispose con un sorriso « Non ce n’è bisogno. – gli posò una mano sulla spalla - Ma cerca di tornare ».
« Non posso promettervi niente… »
« Dici sul serio, Richard? » chiese Chase, compiendo un passo avanti.
« Devo andare. Zedd potrebbe essere in pericolo. »
« Hai tutta la mia comprensione, amico mio. Ma ci mancherai »
« Ti ringrazio, Chase. » rispose e si abbracciarono con la stessa intensità di due fratelli mentre Emma e Laura salutavano Kahlan.
Richard si staccò dall’amico e abbassò gli occhi sui due frugoletti che gli avevano impedito di essere risucchiato nella trappola di ricordi intessuta da quei boschi.
« Zio perché te ne vai? - domandò Johnny con i lacrimoni agli occhi - Diventerò più bravo. Lo prometto » borbottò tremante mentre Richard si chinava sui talloni, alla sua altezza.
« No, Johnny. Non me ne vado per questo. – gli asciugò una lacrime con un pollice - Devo fare una cosa molto importante con Kahlan e… »
« Possiamo venire con te » propose Josephine più speranzosa.
« E’ troppo pericoloso. Ma prometto che vi scriverò ogni giorno » 
« Ma non è la stessa cosa… » protestò la piccola, cominciando a piangere. 
« Lo so, Josephine. Mi renderesti molto felice se continuassi ad andare bene a scuola e a prenderti cura di tuo fratello » rispose lui, cercando di tenere la voce salda. 
« Lo farò, zio ».
« E tu Johnny, devi promettermi che ti impegnerai a proteggere tua sorella e anche zia Anna, come farebbe Signor Spadino. – sollevò lo sguardo sull’amica per un brevissimo istante - Adesso sei tu l’uomo di casa »
« Lo farò, zio » rispose il piccolo e Kahlan dovette fare appello a tutto il proprio autocontrollo per non commuoversi in pubblico. Non le piaceva mostrare le proprie emozioni, anche se in quell’ultimo periodo le lezioni impartitole fin dalla più tenera età, le sembrarono inutili.
« Bravissimi. – li abbracciò - E cosa più importante, non dovete mai dimenticare che vi voglio bene » disse con un sussurrò mentre i due affondavano i visi nel suo petto.

*

I D’Hariani stavano arrivando. Zedd poteva vederli, affacciato su uno dei bastioni segreti che portavano alla Cupola del Palazzo Bianco. La nuvola di polvere portata dall’avanzamento inesorabile di quella forza distruttrice si univa alla cacofonia di nitriti dei cavalli e tintinnii argentini delle armi che gradualmente diventava sempre più forte e prorompente. Le nodose dita si aggrapparono alla pietra liscia del marmo in quell’asfissiante attesa del nemico. Metri più in basso il Generale Wolf diede l’ultimo ordine prima di posizionarsi in prime linea per la difesa del palazzo. L’ansia era diventata così evidente che poteva sentire il battito cardiaco dei propri uomini.
Poi arrivò l’avanguardia proprio davanti a loro, un’intera colonna formata da fanti armati di lancia. Si gettarono su di loro come un branco di lupi famelici, scendendo dalla collina più alta attorno alla città. Vi si riversarono dentro, dilagando come l’acqua rovesciata di un vaso. Un’acqua scura, densa.
Il Generale non ebbe bisogno di dare l’ordine. Mentre la prima fila sguainava le spade, gli arcieri appollaiati sulle guglie o nascoste dai merli delle mura del Palazzo, incoccarono le frecce e tesero gli archi. La Guardia Bianca rispose con un grido di ferocia e cominciò a far retrocedere i D’Hariani. Il clangore delle armi esplose in modo assordante.
Dopo pochi minuti, giunse la cavalleria. Gli stalloni D’Hariani galopparono verso di loro in una folle corsa, ma prima che giungessero alla fine, gli uomini di Aydindril intervennero schiacciandoli lateralmente. Alcuni uomini vennero disarcionati, altri mulinarono spade e mazze colpendo i nemici. Coloro che riuscivano a sopravvivere, fanti e cavalieri, vennero sommersi da una pioggia di candidi dardi avvelenati.
Il suono dei muscoli dei cavalli che si comprimevano a vicenda era spaventoso tanto quanto l’orda D’Hariana che continuò ad imperversare. Il terreno guadagnato venne nuovamente perso. Wolf e i suoi omini vennero obbligati a indietreggiare fino al punto di partenza. Erano in troppi.
Zedd raccolse le proprie energie e unendo le mani a coppa, vicino al petto, chiamò a sé il fuoco. Una sostanza luminescente simile alla lava si mosse in modo circolare fino a creare una piccola pallina. Le fiamme liquide si avvolsero fra loro e la sfera si ingrandì sempre più velocemente. Mano a mano che diventava più grossa fino alle dimensioni di una testa umana, il Vecchio Mago sollevò le mani sopra la testa. Inspirò, poi scagliò la palla infuocata che volò verso il basso, evitando la Guardia Bianca. Rotolando su sé stessa, riprese ad ingrandirsi ancora e senza arrestarsi, passò attraverso uomini su uomini che vennero ridotti istantaneamente in polvere. I D’Hariani più vicini vennero accarezzati dalle fiamme magiche e dopo pochi secondi, seguivano il fato dei precedenti commilitoni. Il fuoco si diffuse in fretta poi svanì improvvisamente quando giunse in cima al promontorio. Zedd rimase basito e fissò il proprio incantesimo dissolversi contro un muro invisibile. Una fascia color rosso sangue si delineò sulla curva della collina. Mord-Sith.
Mentre le frecce della Guardia Bianca continuavano a cadere sui nemici, Zedd corse lungo il bastione ed entrò in una delle torri, urlando la ritirata. Di corsa scese le scale a chiocciola mentre i primi arcieri lo seguirono, scagliando alcuni dardi dalle feritoie lungo il tragitto. Una volta terminata la discesa, si ritrovò nel palazzo vero e proprio. Corse il più velocemente possibile, superando corridoi e stanze lungo la strada più breve che conosceva per raggiungere il Comandante Smith, che si occupava dei D’Hariani penetrati nel castello. Lo raggiunse mentre era intento ad estrarre la spada da un cadavere.
« Comandante, dobbiamo ritirarci. Richiamate i vostri uomini » disse sbrigativo.
« Che cosa?! » sbottò quello, stupito da un simile ordine.
« Hanno portato con sé delle Mord-Sith. Non posso combattere contro di loro » ammise con malcelata desolazione. A quelle parole, l’ufficiale parve perdere parte del coraggio e dell’ardore che lo avevano portato alla lucidità durante il combattimento. 
« Non è possibile… » sussurrò, rivolto più a sé stesso. Per quanto fosse ferito nell’orgoglio di milite, sapeva che non potevano permettersi di perdere anche il Primo Mago.
« Dobbiamo sbrigarci. Uscite dai corridoi del lato nord, dopo gli alloggi della servitù – aggiunse, avviandosi dalla parte opposta a quella indicata – Andate al Mastio! ».
Diretto verso l’uscita, dovette incenerire diversi d’Hariani sfuggiti alle prime file; segno che la resistenza stava faticando a compiere il proprio dovere. Alcuni erano entrati anche se erano stati feriti per poi crollare a terra qualche attimo dopo. Altri sfuggirono alla sua orbita e cominciarono ad assaltare le stanze, a spingere i mobili in terra trascinando con sé libri, soprammobili e candelabri. Altri ancora strapparono via le lussuose tende delle alte vetrate, già ridotte in frantumi. Mentre i suoni di quella devastazione senza coscienza rimbombavano sulle pareti marmorei, Zedd raggiunse infine il Generale. Lui e gli uomini rimasti vivi stavano lottando con tutte le forze, ma inutilmente. Sapeva che il Mastio era la loro unica possibilità di sopravvivenza a quella battaglia, che lentamente si stava trasformando in un massacro. Il dislivello fra le due forze era troppo ampio per essere colmato da un  solo mago.
Si pose davanti a loro e con un muro d’aria, spinse indietro i soldati. Wolf in un primo momento pensò che il Vecchio fosse impazzito, ma quando i loro sguardi si incontrarono, comprese le sue intenzioni.
« Ritirata! » sbraitò prima che fosse troppo tardi.

**

Il piccolo fuoco scoppiettava vivacemente, rischiarando l’oscurità attorno al loro campo. Sotto le fronde pendenti di alcune grosse conifere cadute a terra dopo un probabile temporale, si erano rifugiati dalla lieve pioggerellina che da quel pomeriggio annebbiava il sottobosco. L’aria umida aveva appiccicato i vestiti sulle pelli dei due viaggiatori silenziosi.
Kahlan seduta a gambe incrociate su una coperta, osservava Richard che scriveva qualcosa. Il ronzio degli insetti stava diventando fastidioso.
« Cosa scrivi? » gli chiese incuriosita dal modo concentrato in cui stava scrivendo.
« Una lettera per Jennsen1. La invierò domani quando passeremo per Southeaven » si spiegò, continuando a scrivere.
Dopo un po', si sentì obbligato a fermarsi e quando lo fece, si accorse che Kahlan lo stava ancora fissando con uno strano sorrisetto.
« Che c’è? » chiese, arcuando un sopracciglio.
« Sei… Tenero » rispose lei e Richard ridacchiò.
I minuti passarono lentamente, come se la notte volesse prolungarsi. Dopo aver finito di scrivere la lettera, aveva pescato la mappa per studiare la strada più breve ma sicura. Dovevano arrivare velocemente ad Aydindril evitando montagne, paludi e fiumi da guadare e allo stesso tempo, dovevano aggirare i centri abitati. Da sotto le ciglia, vide Kahlan ancora sveglia.
« Dovresti dormire » le suggerì gentilmente quando sollevando lo sguardo, notò uno strano dettaglio. Aveva le palpebre stanche e vagamente gonfie. La pelle era bianca come la neve, ma le guance erano arrossate e il suo respiro appariva troppo lento. Come quando aveva dormito dopo lo stupro.
« Non ci riesco » ammise lei a bassa voce e Richard trasalì.
Ripose di nuovo la mappa nello zaino e si avvicinò a lei, senza drizzarsi in piedi. Con un ginocchio a terra, la scrutò sollevandole il mento. Faceva troppo caldo perché avesse freddo. Era troppo vicina al fuoco per tremare. Capì tutto quando si accorse che stava sudando, come se avesse appena corso nel deserto. Fece scivolare entrambe le mani sul collo della Depositaria e poi una sulla fronte. Sembrava un tizzone ardente.
« Ho la febbre vero? » gli chiese tremante.
« Niente di grave – mentì - Ho qualcosa nello zaino che ti aiuterà » la rassicurò. Si sporse verso lo zaino e dopo aver frugato, estrasse una scatola. Le porse una strana foglia violacea « Cos’è? ».
« Foglie di krim. Abbasseranno la temperatura del tuo corpo » rispose e Kahlan la prese tra le dita. Osservò la foglia e la mise in bocca. Abbozzò un sorrisetto quando cominciò a masticarla.
« Sputala quando diventa amara – aggiunse, poi rimise tutto a posto - Hai freddo? ».
Quando la donna annuì, Richard afferrò la propria coperta e la arrotolò per farne un cuscino. Lo sistemò vicino a lei e distese meglio le coperte che facevano da isolante dal terreno umido. Le fece cenno di farle spazio e si coricò. Kahlan lo fissò stranita o forse solo confusa dalla febbre. Le sorrise e la prese per un gomito, tirandola giù. La fece sdraiare accanto a sé, permettendole di poggiare la testa sul suo braccio. La osservò girarsi su un fianco col viso rivolto verso di lui.
« Va’ meglio? – le chiese e lei annuì di nuovo – Passerà » mormorò. 
Pensò che dovesse essere un effetto ritardatario dei medicinali di Anna. Abbassò lo sguardo su di lei e vide che lo stava scrutando.
« Se è così, perché sei preoccupato? » gli chiese debolmente.
Scosse piano la testa e le scostò una ciocca di capelli dal volto. Se non fosse stata per la nuova pericolosa missione che stava intraprendendo e per il suo malanno, Richard sarebbe stato felice di averla fra le braccia. Rimase immobile quando la donna si strinse maggiormente a lui, poggiando la fronte nell’incavo della sua spalla. Con le dita di una mano, le pettinò i capelli lunghi.
« Dormi » le sussurrò all’orecchio, sapendo che era già crollata in un sonno profondo.

***

Nonostante il confine non ci fosse più, era stato faticoso raggiungere le Terre Centrali. Si trovavano molto a sud, in un territorio fatto prevalentemente di vaste praterie alternate a zone aride e semi-desertiche.
Richard si guardava continuamente intorno come un lupo solitario che passava per una landa priva di rifugi. Il villaggio si estendeva all’interno di grandi caverne, che scendevano sempre più in profondità. Poste su più livelli, erano collegate da vicoli di pietra abbastanza grandi da permettere il passaggio di un uomo a cavallo. Le abitazioni erano ricavate direttamente dalla roccia della montagna sotto cui si trovavano quei passaggi. Il luogo risultava asciutto e ben areato nonostante si trovassero sottoterra.
Un fiume sotterraneo scorreva nelle caverne più basse. L’acqua era accessibile attraverso dei pozzi, costruiti in punti che non minavano la stabilità della roccia della montagna.
Avevano raggiunto quel posto dopo quattro estenuanti giorni di cammino. Superate le prime due cavità, Samira li condusse su un corridoio secondario che portava ad una caverna più piccola, come una stanza per gli ospiti. Vi erano circa una decina di casupole, sistemate su più terrazzamenti. Ne salirono due, attraverso corte scale lignee, giungendo in una delle abitazioni.
Aveva poche finestre, piccole abbastanza da permettere il cambio dell’aria, e una tenda fatta di perline colorate e fili intrecciati che scendeva fino a terra. Samira ne scostò un lembo e si mise da parte per dare la precedenza ai due viaggiatori. Kahlan entrò per prima pur contro la volontà di Richard.
L’interno della casupola era rischiarato da un fuocherello, gestito all’interno di una buca centrale nel terreno, circondata da alcune pietre. Una donna di mezza età, con uno strano copricapo fatto con la testa di un coyote imbalsamato, era seduta a gambe incrociate e sembrava meditare. Senza aprire gli occhi, le sue labbra si inarcarono verso l’alto. 
« Kahlan Amnell. – esordì - Sono felice di rivederti sana e salva. » aggiunse, aprendo finalmente le palpebre. Richard guardò alternativamente le due donne.
« Anche io, Tamrah. Ho temuto che i D’Hariani vi avessero sterminato » 
« Ci vuole più di qualche veterano dell’est per uccidere noi Ahlaki – sorrise e puntò il proprio sguardo su Richard - Chi è l’uomo al tuo fianco? » chiese come se lo stesse valutando.
« Il mio nome è Richard Cypher. Voi siete la Matriarca? » rispose senza troppe cerimonie.
« E’ un piacere conoscerti. – lo riprese la capo tribù - Qual è il tuo compito? ».
« Portare Kahlan in salvo dal Primo Mago »
« Il mio è di proteggere la nostra tribù. Soprattutto dagli uomini » disse, abbassando la voce sulle ultime sillabe come un pericoloso avvertimento. Richard le rispose con un sorrisetto obliquo.
« E’ una minaccia? » domandò e Tamrah cominciò a sghignazzare.
« Mi piace questo giovanotto. Puoi tenerlo, a patto che rispetti le mie regole » 
« Sì, Tamrah » assentì Kahlan, lanciando un’occhiata in tralice al compagno.
« Bene. Per festeggiare, faremo un banchetto. – volse gli occhi sulla figlia - Samira, porta i nostri ospiti nella loro casa e offri loro tutto ciò che possiamo ».
« Sì, madre. Venite » mormorò la ragazza e li invitò a seguirli.
Una volta fuori dalla casa, raggiunsero un’altra caverna dove tutti sembravano già impegnati nell’organizzazione del banchetto. 
Richard si chiese se quella di Tamrah non fosse stata una semplice formalità e che in qualche modo, fosse già a conoscenza de loro arrivo presso il loro villaggio sotterraneo.
« Che genere di regole hanno? » domandò sovrappensiero mentre continuava a scandagliare le persone che li circondavano. Notò anche alcuni uomini armati, di lance e archi, che dovevano essere i cacciatori.
« Vedi, gli Ahlaki considerano le donne come tramite fra il mondo degli spiriti e l’uomo, poiché genitrici della prole. Pertanto sono ritenute le sole in grado di condurre la comunità verso la pace. »
« Perciò devo stare attento a cosa mangio? » chiese sarcastico.
Kahlan trattenne un sorriso e lo fissò di sottecchi.
« Cerca solo di non conquistare troppe fanciulle » lo schernì mentre continuavano a camminare.
« Cos’altro devo sapere? » sussurrò tornando serio. 
« Non puoi parlare a una donna maritata »
« Come faccio a sapere con chi sto parlando? » chiese ancora, con tono stizzito.
Kahlan girò la testa per guardarlo apertamente. Arcuò un sopracciglio.
« Sei agitato? » domandò, incapace di trattenere un sorriso obliquo.
Richard ricambiò lo sguardo, mordicchiandosi l’interno della guancia.
« No, ma mi sento come se stessi camminando su delle mine di Alito di Drago ».
La Madre Depositaria scosse il capo e alla fine, decise di non infierire. 
« Le donne maritate indossano un nastro rosso alla vita »
« Perché le tue parole non mi rassicurano? ».

*

Samira stava acconciando i capelli di Kahlan con treccine, perle, ossa e, piume di falco e poiana. Era stata ben disposta a indossare abiti diversi da quelli da viaggio che, nonostante la loro comodità, le ricordavano con troppa insistenza i propri doveri. Quella tappa stava fornendo loro un’occasione per distrarsi dal viaggio, dalla nuova missione.
« Piacerebbe anche a me avere i capelli così lunghi » mormorò la ragazza, riscuotendo la Depositaria dal flusso di pensieri. 
« Non ti è permesso? » chiese confusa.
« Non ancora. Prima devo sposarmi » sospirò Samira.
Kahlan si accigliò, ma senza farsi notare dalla ragazza.
« Lo dici come se non ne fossi contenta… »
« Io vorrei viaggiare e conoscere le meraviglie fuori da queste caverne prima di sposarmi, come fece mia nonna. Ma da quando è morta, mia madre è diventata dura come la pietra » disse sconsolata.
Kahlan abbassò leggermente i capo prima di rispondere con un borbottio mentre si fissava le mani, raccolte in grembo.
« La capisco. Perdere la propria madre è difficile. So cosa significa sentirsi soli… ».
Samira inclinò appena la testa di lato, come confusa e si sporse pur non potendola vedere in faccia.
« Ma mia madre non è sola, ci sono io. – ribatté la ragazza, interrompendosi per un attimo - E tu hai Richard » aggiunse riprendendo ad acconciarle i capelli.
Kahlan glielo impedì, voltandosi a guardarla di scatto.
« Che c’è? » chiese per un attimo preoccupata.
« Richard non è il mio compagno » disse semplicemente lei, controllando la voce.
« Ma viaggiate insieme e portava anche il tuo zaino – sorrise - E poi chiunque noterebbe il modo in cui ti guarda ».
Kahlan dovette distogliere gli occhi da quelli di Samira perché temeva che potesse accorgersi dei suoi reali pensieri. In quelle due settimane le era risultato estremamente difficile contenersi. Sia tenne dal sorridere e cercò di cambiare il soggetto dell’argomento.
« E tu hai già qualcuno che ti porta lo zaino? » domandò e Samira capì di aver colto nel segno.
« Più o meno… - sollevò una spalla in segno di timidezza - Si chiama Kocum »
« Dev’essere affascinante per farti arrossire così » commentò ed entrambe si lasciarono andare ad una breve risata.
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1Jennsen: sorella di Richard che compare nella puntata 16 della prima stagione, “Rivelazioni”;

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