La cattedra di Socrata (/viewuser.php?uid=93016)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il confronto con il professore ***
Capitolo 2: *** Prima lezione ***
Capitolo 3: *** Seconda lezione ***
Capitolo 4: *** Terza lezione ***
Capitolo 5: *** Quarta lezione ***
Capitolo 6: *** Quinta lezione ***
Capitolo 7: *** Sesta lezione ***
Capitolo 1 *** Il confronto con il professore ***
Lo attesi per circa mezz'ora: mi premevo le dita sulle tempie, il concorso mi aveva messa a dura prova.
Finalmente lui finì di verbalizzare gli esami, e così mi avvicinai alla cattedra rispondendo al suo invito. Fece i saluti di rito e congedò i colleghi, con i quali si sarebbe poi incontrato la sera ad una cena con l'intera cattedra e il suo sguardo, per il quale fino a quel momento ero stata invisibile, si rivolse a me.
Non tradii particolari emozioni: "Volevi chiedermi qualcosa?"
"No. Volevo semplicemente vederti e stare con te."
A quei tempi avevamo poco tempo e i nostri ruoli spesso ci relegavano in delle categorie poco conciliabili, costringendoci a delle conversazioni per lo più effimere o professionali. Tuttavia camminare semplicemente l'uno accanto all'altra, per i grandi corridoi dell'università, valeva più di mille discorsi.
*** ****
Angolo dell'autrice: Non so se una storia del genere possa interessare, ma credo che tutto sommato andasse scritta.
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Capitolo 2 *** Prima lezione ***
Ai tempi avevo da poco iniziato l’università, carica di progetti, di aspettative e di tanta voglia di fare. Non ricordo neanche quando decisi di voler fare il Pubblico Ministero, ricordo solo che ero molto piccola e non arrivavo al cruscotto della macchina, nella mia posa poco aggraziata sul sedile del passeggero.
Ero con mia madre, con la quale mi passavo poco più di 24 anni, mentre alla radio passavano De Andrè e lei cantava allegra il motivetto del ritornello.
“Mamma voglio fare quello che parla tanto con il mantello nero davanti a tante persone!”
“… uhm… così non si capisce molto, Ele”
“Dai lo abbiamo visto l’altro giorno in tv!”
“Ah! Parli del maxi processo.. Piccola peste, vuoi fare l’avvocato????!!”
“Non so come si chiami, ma a piaceva quello che stava da solo e che tu hai detto combatteva per la giustizia!”
“ahahah Ele, quello si chiama Pubblico Ministero. Vuoi diventare un magistrato?”
“Se si dice magistrato, sì!”.
Era iniziata così la mia passione per il diritto e la mia vita da sempre era girata intorno al concorso di magistratura. La scelta del liceo, come migliore strumento per affrontare l’università e infine l’inizio dei corsi.
A dire il vero, il primo semestre prevedeva solo Istituzioni di diritto romano, Filosofia del diritto e Diritto Pubblico. Non mi sentivo ancora in mentalità “giurista”.
Le mie giornate erano piuttosto scadenzate tra corsi e libri, anche se per la verità non ero mai stata una studentessa da studio costante ed equilibrato. Ero sempre stata una da “studio matto e disperatissimo” a poco tempo dalla prova. In quel marasma di persone, specie a Roma dove si radunavano molti studenti fuori sede provenienti dal sud, avevo conosciuto Marco. Un ragazzo della mia età, molto in gamba ed estremamente brillante, oltre che appassionato: sebbene il suo sogno fosse semplicemente ottenere una posizione prestigiosa, entrando nell’Avvocatura dello Stato, ci trovavamo bene insieme.
Tutti trovavano che fossimo una coppia piuttosto affiatata e ben assortita: lui studioso e intellettualmente impegnato, io molto meno “ordinata” ma sufficientemente ambiziosa. Di certo, ai tempi, dovevo spiccare particolarmente rispetto alle altre mie coetanee.
Si dice che giurisprudenza sia il covo della bellezza femminile e non a torto: di ragazze molto graziose è pieno, ma onestamente mi sono sempre sembrate tutte uguali. Loro non andavano ai corsi, loro si preparavano per una sfilata di moda al centro di Milano.
Ricordo ancora la mia incapacità di integrarmi in certi meccanismi. Io andavo all’università in felpa e tuta, in fondo che senso aveva “acchittarsi” per seguire una lezione?? Dovevo essere comoda! E poi ammettiamolo, ai tempi, davvero non avevo scoperto di essere una donna: il trucco era un evento raro, i vestiti nel mio armadio erano drammaticamente pochi e dedicati a occasioni più che speciali, giacche non ne avevo ancora mai viste e i capelli erano spesso raccolti in una coda.
Reputavo, tuttavia, di avere qualcosa che la maggior parte delle ragazze e dei ragazzi lì dentro non avevano: la passione.
Iniziò così il mio primo anno, seguivo le lezioni di filosofia del diritto e il professor Testa era veramente in gamba, con lui ho forse fatto veramente filosofia per la prima volta, nonostante i miei studi classici. Intervenivo spesso durante le lezioni, ero curiosa e mi ero innamorata della materia. Mi mancava la letteratura classica, a tratti sentivo giurisprudenza molto asettica rispetto alla mia natura e alla mia indole, tuttavia, quelle ore mi permettevano di rimanere fedele a me stessa.
Ovviamente si sa, ricevetti moltissimi soprannomi dai miei colleghi, i quali erano convinti che lo facessi per farmi notare dal professore. D’altronde a Roma Tre, Filosofia del diritto nel mio canale era una grana per moltissimi studenti, ma non mi sono mai curata dell’opinione altrui e non aveva senso iniziare proprio allora.
Il professor Testa, un uomo sulla sessantina, faceva sempre lezione con in bocca una pipa spenta, che puntualmente accendeva durante le pause e questo gli conferiva un’aria da nonno che racconta le favole ai propri nipotini. Credo che ci abbia lasciato una grande lezione, di cui in particolare un principio mi è rimasto sempre impresso: “il farmacon”. Non c’è cura che non sia anche un po’ veleno.
Il professore era solito tenere dei convegni, anche con professori di materie molto più rilevanti nell’ambito del percorso formativo di uno studente: tutti lo tenevano in grande considerazione, e la sua pacatezza diffondeva un senso di beatitudine, il che spingeva molti studenti, anche più grandi e meno stupidi dei miei coetanei che vedevano in filosofia del diritto una materia del tutto marginale, a stare attorno alla sua figura nella speranza di imparare a gestire il tempo e la vita, con la sua stessa serenità.
Un giorno ero a lezione, mi reputavo soddisfatta della giornata trascorsa in aula come sempre, quando il professor Testa attirò la nostra attenzione, parlandoci di un convegno che si sarebbe tenuto in settimana “sull’arte dell’esprimersi”. Appresi velocemente il luogo e l’ora dell’incontro e come era forse fin tropo prevedibile da parte mia, mi presentai al convegno avida di sapere.
Guardai la commissione che avrebbe relazionato: c’era il professor Testa che serenamente rideva con un collega, quello che poi avrei appreso essere il professore di Teoria Generale del diritto e alla sua sinistra c’era un ragazzo, la targhetta sotto di lui diceva “Prof. Lupo. Diritto privato”. Lo guardai incuriosita, era decisamente molto giovane per essere un professore, ma non mi soffermai troppo sulla sua figura.
Stavo aspettando l’inizio della discussione e decisi di mettermi comoda, ero la sola del mio corso a partecipare a quel convegno, ma mi resi conto che attorno a me c’era una discreta percentuale di ragazze più grandi e di signorine vestite in tailleur che ammiravano estasiate la cattedra. A quanto pare non ero l’unica a subire il fascino del professor Testa.
Il convegno finalmente iniziò, ma lo spazio dedicato a filosofia non era poi molto, così disinteressata ascoltai anche il resto: “È importante che i ragazzi, all’inizio del loro percorso formativo, imparino a relazionarsi con il linguaggio giuridico, un linguaggio tecnico e difficile. In particolar modo, il diritto privato non lascia scampo a chi non sa dedicarsi allo studio delle parole o si approccia superficialmente alla materia giuridica.
Reputo che il professor Testa stia facendo un ottimo lavoro con le matricole che al prossimo semestre dovranno affrontare il diritto privato e mi auguro che seguano vivamente i suoi consigli…”
Allora qualcuno di sensato in questa università c’era!
Finalmente il convegno terminò e io mi avvinai al professor Testa che ovviamente mi aveva visto tra l’utenza e mi aveva sorriso, ormai avevamo spesso un confronto sebbene io non potessi paragonarmi a lui, avevo comunque una buona preparazione classica che mi permetteva di seguirlo e fare osservazioni e dare spunti durante la lezione.
Il professore stava parlavano con gli altri membri della commissione, mi avvinai piuttosto timida. Lui mi vide e mi sorrise bonariamente:
“Le è piaciuto il convegno?”
“Moltissimo professore, ho trovato particolarmente interessante il passaggio dell’Antigone..”
Lui si aprì in una risata contagiosa e i suoi vicini si girarono tutti nella nostra direzione, mentre io volevo sprofondare, ma il peggio doveva ancora arrivare.
“Signori, vi presento una delle studentesse più brillanti che abbia conosciuto!”
A quel punto, presa in contropiede visto che il professore non aveva mai accennato a nulla del genere, divenni rossa come un peperone finché incontrai degli occhi color nocciola:
“Beh, è davvero raro sentir parlare di uno studente in questo modo dal professore!”. Era il ragazzo che era seduto dietro alla targhetta “Prof. Lupo”: mi sorrise dolcemente e mi presi qualche secondo per osservarlo.
Era bello, decisamente, non di quella bellezza da tv, ma di quella derivante dalla sicurezza da sé, dalla propria indipendenza e sicuramente da un buon aiuto da parte di Madre Natura.
Aveva i capelli scuri e gli occhi color nocciola, le labbra carnose e una statura media, vestiva con un completo blu che gli donava perfettamente e teneva le braccia incrociate per sorreggere un plico di fogli che supposi fossero appunti per la relazione appena tenuta.
Distolsi lo sguardo dal suo così penetrante e presi coscienza del perché quel convegno era pieno di ragazze: il professor Testa non c’entrava nulla. Erano lì per lui. Lui che non aveva un nome ma che di certo non poteva essere un professore, sicuramente si era trovato ad effettuare una sostituzione.
Rimasi nell’aula ancora per qualche minuto prima di andarmene, e quando mi girai per guardarmi indietro un’ultima volta, lo vidi sorridere affabile a delle colleghe e alle ragazze radunate attorno a lui. Di certo sapeva l’ascendente che aveva sulle donne e lo sapeva usare. Non credo avrebbe mai notato una come me, in tuta, senza un filo di trucco e sempre di corsa, però quel desiderio di conoscerlo nacque in me ma si spense con la stessa naturalezza del tramonto del sole ogni giorno, il giorno dopo mi ero già dimenticata di averlo incontrato.
Finché non arrivò il secondo semestre, da lì iniziò tutto. |
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Capitolo 3 *** Seconda lezione ***
seconda lezione 2.0
“Signorina,
si è divertita a preparare quest’esame?”,
mi disse con un sorriso
soddisfatto sulle labbra.
“Moltissimo!”,
risposi spontanea e solare. Ci tenevo a quella prova, l’avevo
studiata con
vivido interesse e amore incondizionato. Il professor Testa prese il
mio
libretto, ma non prima di chiedermi con aria di finta sfida:
“Ah, da
dove viene la parola vittima?”
“Da
vinctus! Essere vinto”
“Perfetto…”
E
così dicendo sotto i miei occhi sognanti
scrisse un trenta e lode, che lessi con le labbra incredula, mentre i
miei
amici, ai primi banchi echeggiarono con un tono di voce eccessivamente
alto “TRENTA E LODEEEE????!”.
Effettivamente
non era facile prendere un voto alto in quella materia, ma per me era
stato
molto più semplice innamorandomi dell’insegnante e
della materia.
Scesi
dal piano rialzato dove si trovava la
cattedra e salutai i miei compagni, avrei scoperto amaramente col tempo
che non
avrei dovuto fidarmi di nessuno di loro.
Come
sempre, finita una prova, presi il
telefono e chiamai prima mia madre, poi le mie due zie, che facevano
coppia
ormai da quindici anni, e mia nonna. Mi lasciavo sempre le chiamate
migliori
alla fine, così chiamai la mia più cara amica:
“Ehi
Ale!”
“Oh
secchioncella! Allora?? Hai preso sto trenta??”
“Veramente
no..”
“Come no??? Dai è
irrealistico! Chi devo
picchiare?”
“Ale..ho
preso trenta e lode!” E scoppiai in una risata che
contagiò anche lei dall’altra
parte del telefono.
“Sei
sempre la solita, teppista! Brava! Senti ora scappo in aula, ci vediamo
nel
week end ok?”
“Va
bene! A dopo!”
Alessandra
era una matricola di ingegneria
civile ed era il mio esatto opposto, anche fisicamente. Lei era mora
corvina,
occhi scuri, alta, con una siluette invidiabile e la carnagione scura.
Io dal
canto mio, ero rossa ramata, occhi cangianti tra il verde e il
nocciola,
statura decisamente bassa, sebbene non fossi così bassa da
prendere epiteti
come “nana”, “gnoma” et similia
e avevo una pelle troppo chiara che i più
poetici definivano diafana, i più sinceri pallida.
Alessandra
era poi una persona estremamente
pacata e razionale, in realtà lo ero anche io ma spesso non
riuscivo a limitare
le mie emozioni più forti e questo ci portava a discutere,
come quella volta in
secondo liceo che rimase piuttosto storica negli anni del gruppo.
“Non
posso crederci, Ale! Veramente tu vuoi che il nostro Paese resti
così???! Non
ti interessa nulla che ci sia qualcuno che ci sta mangiando il futuro??”
“Eleonora, che cavolo vuoi?? Ma
valla a
sconfiggere tu la mafia! Te e il tuo codice etico del cazzo! Non puoi
pretendere che siano tutti come te!”.
Alla
fine a distanza di anni, ancora ci
ridevamo sopra.
Il
nostro non era affatto un rapporto facile,
anzi, spesso eravamo dovute venirci incontro. Così diverse
eppure così
complementari, avevamo fatto della nostra diversità un punto
di forza e dopo
cinque anni a lavorare su noi stesse al liceo, ora mi sentivo sicura
della
nostra amicizia.
Alessandra
non era affatto facile, era guardinga,
pacata e razionale, non si fidava facilmente delle persone, le lasciava
entrare
con estrema difficoltà nella sua vita. Io ricordo di averci
messo diversi mesi
prima di iniziare a conoscerla davvero, sebbene dal Novembre del primo
anno
fossimo compagne di banco. Lei amava tutelarsi, riusciva a stare sempre
tre
passi avanti a me e a capire chi aveva di fronte, io non ci riuscivo.
Mi fidavo
sempre troppo delle persone e lei me lo diceva sempre, arrabbiandosi.
Perché vedete,
Alessandra aveva un motivo per difendersi: sapeva poi amare
incondizionatamente. Una volta superata la sua barriera, lei ti dava
tutta se
stessa e sarebbe venuta dall’altra parte del mondo se solo io
ne avessi avuto
bisogno.
Era
un’amica formidabile, sebbene non fosse
quasi mai d’accordo con me, ma senza di lei probabilmente
avrei fatto molte più
cazzate. Lei così calma e serafica, io così
chiassosa e estroversa: alla fine,
eravamo due facce della stessa medaglia e dopo averci conosciuto,
nessuno
metteva in dubbio che si trattasse di amicizia.
Chiusa
la telefonata con Ale, tornai da Marco
e dai miei compagni per salutarli, stranamente avevo finito un esame in
un
orario più che decente, quindi avevo veramente voglia di
tornare a casa e
riposarmi un po’, magari giocando a qualche videogioco o
vedendo qualche anime.
Avevo
deciso che a una cosa non volevo
rinunciare: alla parte più fanciullesca di me, il fatto di
essere una brava
studentessa, non cozzava, a mio avviso, con la mia passione per anime,
manga e
videogiochi.
Con
un sorriso goliardico mi diressi verso l’uscita
dell’università, era mezzogiorno, camminavo
spedita con la testa piena di
pensieri: avevo finito la sessione e gli esami erano andati decisamente
tutti
per il meglio. Dovevo avere un sorriso stampato in faccia non
indifferente che
mi rendeva irrilevante qualsiasi cosa di negativo mi succedesse
accanto. Forse
ero semplicemente troppo presa dal mio ottimismo per rendermi conto che
qualcuno
mi stava guardando, appoggiato elegantemente ad un muro del corridoio,
nascosto
in mezzo ad altre giacche e cravatte.
Si
incamminò verso di me e mi sorpassò, ma
non me ne accorsi finché un forte profumo di colonia non mi
invase. Per un
attimo mi fermai e cercai di capire da dove potesse venire
quell’odore, ma non
trovai nessuno accanto a me né nelle vicinanze
perché lui aveva già girato l’angolo,
diretto al vecchio edificio dove si trovava il dipartimento di diritto
privato.
***
Ed
eccomi lì, a rincorrere l’autobus e a
pregare con gli occhi il guidatore di aprire le porte: purtroppo anche
pensare
molto intensamente “per favore, per
favore, per favore apri!”, non aiuta una povera
ragazza di Roma,
perennemente in ritardo, a salire sull’autobus che ha appena
perso per arrivare
puntuale alla lezione di diritto privato.
Mentre
con passo spedito, a tratti correndo,
raggiunsi la facoltà e mi fiondai sui grossi schermi che
indicano le aule
preposte alle specifiche materie. Peccato che la schermata scorreva
sempre molto
lentamente, Andiamo! Andiamo! Andiamo!,
pensavo fra me e me ed ecco finalmente:
ORE
|
AULA
|
MATERIA
|
PROFESSORE
|
14,30
|
1.
06
|
Istituzioni
di diritto privato
|
Prof.
Lupo
|
Perfetto!
Aula 1.06! Dove cavolo sta l’aula
1.06??? Chi l’ha mai sentita??
Cercai
di respirare con calma, ero in ritardo
solo di quindici minuti alla prima lezione del corso più
importante del primo
anno e in occasioni simili, pensavo ad Alessandra che mi diceva
“Non ti impanicare! Respira ed
espira!” e
lo ripeteva tipo mantra, cominciai a calmarmi, tutto volevo tranne che
un atto
di panico in mezzo al corridoio.
“Ehi,
ti vedo in difficoltà. Cerchi le lezioni del professor Lupo?”
Mi
girai per vedere il mio salvatore, l’angelo
sceso dalla terra per venire in mio soccorso, con quella voce suadente
e quella
sicurezza tipica del figaccione in un anime di bassa lega. Mi trovai,
invece,
di fronte un ragazzo poco più alto di me,
dall’aspetto dubbio e dall’abbigliamento
confuso, ma con un sorriso sincero, gli fui estremamente grata per
avermi
notato.
“Sììì!
Ti prego aiutami!” Dissi sull’orlo della
disperazione. Evidentemente non si
aspettava tanta sincerità e scoppiò a ridere di
gusto:
“Stai
tranquilla! Il professor Lupo non viene mai in orario, anzi
è probabile che non
sia ancora arrivato o che proprio non ci sia! L’aula 1.06 non
è in questo
edificio, ma nel vecchio che si trova qui affianco. È facile
da trovare, è al piano
terra, ma vieni, ti accompagno. A proposito, che maleducato: mi chiamo
Emanuele..” e mi porse la mano.
“Piacere,
Eleonora! Grazie, ma davvero non c’è bisogno che
ti scomodi! Penso di avere
tutto chiaro”. Bugia, enorme bugia. Non ho mai
avuto il minimo senso dell’orientamento
e sono capace di non trovare la strada che è la parallela di
quella su cui sto,
ma per fortuna il mio principe azzurro alla Shrek non mi credette.
“Non
preoccuparti, ho comunque delle cose da fare in dipartimento. Insomma,
sei una
matricola, eh?”
Voleva
fare conversazione, bene. Perché le
persone poco loquaci mi mettevano sempre a disagio, mi piaceva
conoscere le
persone. Il genere umano mi incuriosiva, tutto.
“Sì,
primo anno! Com’è il professor Lupo?”
Mentre ci incamminavamo uno affianco
all’altro, non trovai argomento più pertinente che
l’esame più importante per
chi si trovava ad iniziare.
Lui
si passò la mano sul mento, alzò gli
occhi verso l’alto come a cercare una sorta di ispirazione,
forse per trovare
le parole più idonee e alla fine, soddisfatto della
conclusione raggiunta,
iniziò:
“Beh,
il professor Lupo è una maledizione in questa
università. Lo sanno tutti ed è
inutile che te lo nasconda: l’esame con lui è
difficile, ma non è un professore
che va ad umore, come accade spesso purtroppo. Ma non ti aspettare la
clemenza,
fa diritto privato e non scherza. La sua commissione poi.. tutta
siciliana come
lui, tutti ferrei e non troverai nessuno disposto a farti sconti.
In
particolare
ci sono due assistenti che se puoi è meglio se li eviti:
Dante Palermo e Andrea
Mari. Uno più stronzo dell’altro, credo che ci
trovino gusto a metterti in
difficoltà! Però sono convinto che studiando, si
passa!”
Ok,
Dante Palermo e Andre Mari. Nel frattempo
avevamo superato le librerie alla sinistra della facoltà di
giurisprudenza e mi
trovavo di fronte un edificio imponente, degli anni ‘60 ma
ben tenuto:
finestroni grandi, un cortile d’ingresso e uno stile
ricercato. Mi piaceva, era
accogliente, con le braccia dell’edificio che ti correvano
attorno, sembrava
quasi ti volesse abbracciare e al centro c’erano due
bellissimi alberi: un
salice piangente e una magnolia.
Emanuele
avanzò verso il cortile, camminando
in mezzo ai due grandi alberi e salì la piccola rampa di
scala, mentre io
ancora estasiata guardavo l’ambiente intorno a me con il naso
all’insù.
“Cosa c’è
qui?? Come mai, pur facendo giurisprudenza da sei mesi, non conoscevo
questo
posto?”
“Questo
era l’edificio utilizzato prima per la facoltà di
economia, ora però c’è una
nuova sede molto più moderna. Come puoi vedere è
diventato una specie di
scatolone che raccoglie corsi di quelle facoltà che non
hanno abbastanza
spazio. Principalmente troverai lezioni di diritto privato e scienze
della
formazione. Ecco perché molto studenti non vengono spesso.
È un ottimo posto in
cui studiare..”
Stavo
per salire a mia volta le scale, quando
notai qualcuno, in piedi, dietro il vetro di una finestra del primo
piano, non
si vedeva bene perché delle grosse tende bianche
nascondevano la figura e non
avrei saputo dire con esattezza se si trattasse di un uomo o una donna
perché il
sole in quella posizione mi entrava prepotentemente negli occhi. Cercai
di
indagare ancora per qualche istante, prima che Emanuele richiamasse la
mia
attenzione:
“Eccoci
qui, è facile da trovare: basta salite le scale del cortile
e ti trovi davanti l’aula
1.06!”
Rinunciai
al piccolo mistero di quella
giornata e lo raggiungi. Scoprii, con estremo sollievo, che
effettivamente le
lezioni non erano ancora cominciate e un frastuono veniva dai banchi.
“Ora ti
saluto matricola, devo andare. In bocca al lupo!”
“Crepi!
Grazie per avermi accompagnato! Buona giornata”.
Stavo per entrare quando
una domanda mi venne in mente e mi girai verso le spalle della mia
guida che
aveva già iniziato a percorrere il lungo corridoio e alzando
la voce, gli
chiesi
“Ehi
Emanuele, ma tu come hai fatto a superare questo esame??”
Si
girò di tre quarti e sorridendomi mi
rispose:
“Io??
Beh io sono dell’altro canale!”. Sorrisi
sinceramente per la spontaneità e
per la linguaccia che mi aveva fatto e mi decisi ad entrare in aula,
dove
trovai i miei compagni già seduti a chiacchierare.
***
La
lezione era iniziata con più di quaranta
minuti di ritardo. Il Professor Lupo era un uomo sui sessanta, con uno
spiccato
accento siciliano, che sicuramente aveva ormai abbandonato
l’entusiasmo dell’insegnamento.
Ricordo ancora quando ci disse che il diritto privato, in particolare
il
diritto di famiglia, andava studiato vedendo Beatiful
perché là sì che ci sono intrecci non
indifferenti.
Il professore era arrogante e le sue lezioni erano estremamente
difficili da
seguire, non solo per la complessità della materia in
sé, ma perché non
spiegava in modo lineare, spesso salvata le lezioni e amava
ridicolizzarci come
quella volta, ad una delle sue prime lezioni, in cui ci chiese la
differenza
tra atto e negozio giuridico.
“Non c’è
nemmeno un genio fra di voi?” chiese scocciato e
Marco, accanto a me, iniziò
a diventare intollerante nei confronti di tanta arroganza. Mi disse
qualcosa
all’orecchio che mi fece ridere e mi procurò un
brivido, d’altronde era il
ragazzo con cui uscivo ai tempi ma il professore non
apprezzò lo scambio e
interruppe il suo sproloquio per chiedere a Marco cosa ci fosse di
divertente
nel contratto.
“Beh
professore, onestamente mi chiedo come potremmo riuscire a rispondere
alle sue
domande, o più semplicemente a capire se il corso
è appena iniziato e non
abbiamo ancora neanche le basi per comprendere quello che ci sta dicendo”.
Marco era intelligente, ma tremendamente presuntuoso.
“Oh, un
temerario dunque! E secondo lei ridendo risolve la questione?”
“No, ma
magari confrontandomi con la mia collega riuscirei a capire
più che se
ascoltassi.”
Perfetto.
Dramma. Ora sì che l’esame lo avrei
passato l’anno del mai, grazie Marco. Di cuore. Stavo
pensando alle peggiori
torture a cui sottoporlo quando il professor Lupo si rivolse anche a me:
“Lei
condivide la posizione del suo collega?”
Presi
un importante respiro e risposi,
sapendo che sicuramente mia madre e Alessandra mi avrebbero picchiato
per
questo:
“Temo di sì, professore.
La lezione non è
affatto chiara”.
Addio
diritto privato, addio sogni di gloria
e addio concorso in magistratura. In quel momento mi vidi a
trent’anni a fare
la babysitter, a lavorare in un supermercato o chissà a fare
cosa, avendo
abbandonato ogni speranza di laurearmi, ma purtroppo a fingere non ero
mai
stata una campionessa. Il professore però ci
stupì:
“Beh
sarà una fortuna che verrò sostituito da domani,
così voi non sarete costretti,
come di fatto non lo siete, a sottoporvi alla mia lezione e io non
sarò
costretto a subirmi la vostra ignoranza..”
A
quell’affermazione, l’aula prima sopita
sembrò
risvegliarsi come i fiori a primavera e un vociare, prettamente
femminile,
iniziò ad alzarsi. Riuscii a capire qualche frase, senza
però mettere a fuoco
il soggetto: Speriamo venga lui!,
Sì
certo che viene lui, come l’anno scorso!, Ho sentito dire che
è bellissimo e
bravissimo, A me ha fatto l’esame lo scorso anno, tostissimo
però è un fenomeno
a fare lezione, Ma ce l’ha la fidanzata?, Finalmente venire
qui all’ora di
pranzo avrà un senso!.
Che
fastidio, sembravano un branco di oche
liberate dopo un anno di prigionia. Erano tutte euforiche, o almeno
quasi
tutte: poi c’eravamo noi, le matricole che non sapevamo
assolutamente nulla. Come
i mie colleghi brancolavo nel buio, eppure c’era una piccola
luce, qualcosa che
mi diceva che ne sapevo di più, una sensazione strana come
quando hai l’impressione
di aver dimenticato qualcosa ma non ricordi cosa.
Per
quanto mi sforzai non riuscii quel giorno
ad arrivare ad alcuna conclusione soddisfacente, chiesi aiuto anche a
Marco, ma
i nostri tentativi non portarono da nessuna parte.
A
cena, mia madre mi chiese come si era
svolta la mia giornata e mi interrogò sul rapporto con
Marco, avevamo sempre
avuto un legame particolarmente confidenziale.
“Mah,
le cose vanno bene. Marco è molto intelligente, mi trovo
bene con lui, è
curioso come me. A volte è un po’ noioso lo
ammetto e tende a fare un po’
troppo il professore, ma è un bravo ragazzo. L’unico che vale la pena avere
accanto…”
“Ti
piace?” mia madre mi scrutò attentamente.
“Certo,
Mamma!” Lei si fece scettica.
“Uhm
sarà... Però l’amore non è
questo Ele, non ti vedo presa…”
“Lo sai
che non mi faccio coinvolgere. Voglio fare il Pubblico Ministero
Antimafia,
onestamente una relazione ora sarebbe solo d’intralcio”
Stavolta
mamma Carola mi guardò dispiaciuta,
abbassò gli occhi e con un soffio di voce commentò
“Mi
dispiace, si vede che non ti sei mai innamorata…”
Mi
intristiva vedere mia madre rammaricarsi
per quello che era accaduto tempo fa, pensava sempre che la mia
incapacità di
creare legami duratori fosse colpa sua, ma stavolta convenni con lei:
“Già, forse no…”
e mangiai un po’ di
pane. A tavola c’eravamo solo io e lei, mi sorella aveva solo
sette anni e
stava già dormendo, la famiglia era al completo
così.
Stavo
per sparecchiare, quando mia madre mi
guardò dritto con i suoi occhi azzurri e la
serietà con cui si rivolse a me mi
stupì:
“Hai
solo vent’anni, Ele. Il mondo è ai tuoi piedi. Dovresti
buttarti, devi
essere in condizione di scegliere non di farti scegliere. Puoi avere
tutto
dalla vita, anche quello che ti spaventa. Non aver paura di
affezionarti, sei
giovane e la tua vita non finirà certo per una delusione
d'amore, se fosse. Quindi
prendi il coraggio e ascoltati. Non essere codarda, hai tutta una vita
per
stare sulle tue, per ponderare, per scegliere... Ora sei giovane, e a
differenza di tanti, sei anche molto bella. Quindi prenditi quello che
vuoi, o
almeno provaci. Non ti accontentare, mai.”
E
detto questo, se ne andrò in camera
lasciandomi come un’ebete al centro della cucina con in mano
ancora i piatti
sporchi.
Tornò
nuovamente a farmi visita quella
sensazione di irrisolto che mi aveva colpito nel primo pomeriggio in
aula, ma
non avrei mai pensato che le parole di mia madre si rivelassero una
profezia
collegata a quello strano sentimento di vuoto.
Angolo
dell’autrice:
Io vi ringrazio di cuore, davvero. E’ la prima
volta che scrivo qualcosa con dei personaggi originali e non mi
aspettavo una
simile accoglienza. Anche per messaggi privati, siete carinissime. Le
recensioni, che siano positive quanto negative, mi spronano ad andare
avanti e
mi fanno scrivere come un fiume in piena. Avevo deciso di aggiornare
una volta
a settimana, ma grazie a voi, la voglia di andare avanti ha prevalso
anche sul
lavoro. Dunque, eccomi qui.
Lo
so che il personaggio maschile ancora non si è
palesato, ma non sempre la vita ci mette subito davanti
l’oggetto dei nostri
desideri e forse quando lo fa, neanche lo riconosciamo. Ecco, diciamo
che per
Eleonora sarà un’avventura difficile, ma spero che
facciate il tifo per lei. Ho
usato questo secondo capitolo per introdurvi meglio nella
mentalità e nello
stile di vita della protagonista, Alessandra e mamma Carola avranno un
ruolo
fondamentale per la sanità mentale di Eleonora!
Attento
le vostre recensioni per sapere se vi ho
annoiato o meno, cercate di portare pazienza. Lui arriverà
=) Un grazie a La Birba e a Beatrice29, nonché a siuri1
che finora ha recensito ogni capitolo e la cui storia, ne approfitto
per dirlo,
è scritta benissimo ed è fantastica.
Al
prossimo aggiornamento! Buon week end!
Soc.
|
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Capitolo 4 *** Terza lezione ***
Terza lezione 2.0
“Buongiorno
apprendisti giuristi, io sono il dottor Dante Palermo e da oggi
sostituirò il
professor Lupo nelle lezioni. Come potete facilmente notare dal mio
spiccato
accento siculo, nomen omen.
Mi
rendo conto che a volte il mio Maestro sia particolarmente criptico
e…
intransigente, ma dovete sempre tener a mente che poter sostenere
l’esame con
lui, è per voi una grande fortuna. Non avete ancora gli
strumenti per capirne l’importanza,
ma il Professore è uno dei massimi esponenti della dottrina
civilistica in
Italia al momento. Se vorrete vi raccomanderò qualche suo
scritto, non è mai
troppo presto per formarsi come giuristi di un certo livello.
Il
diritto privato è una materia estremamente complessa e
variegata, vi potrà
apparire come un labirinto senza uscita. Non vi nego che questa prova,
la prima
che vi troverete ad affrontare da quando vi siete iscritti,
decreterà la vostra
attitudine o meno alle materie giuridiche. Troppo spesso si pensa che
giurisprudenza sia una facoltà usufruibile da tutti,
purtroppo così ed è ferma
convinzione di questa cattedra operare un discernimento tra coloro che
sono in
grado di proseguire e coloro che o per mancanza di impegno o di
volontà non
sono adatti alla carriera forense.
La
nota quanto temuta rigidità della nostra commissione,
tuttavia, è bilanciata da
una grande disponibilità nei vostri riguardi, per cui
durante tutto il semestre
e finanche in sessione, avrete a disposizione molti dottorandi e
dottori di
ricerca nelle aule di ricevimento al primo piano di questo edificio.
Fatte
le opportune premesse, è bene iniziare questo percorso
insieme. Tratterò oggi
del rapporto giuridico….”
Lo
guardavo attentamente, come del resto l’intera
aula prima di me. Il famoso Dante Palermo, me ne aveva parlato Emanuele
giusto
qualche giorno prima. Era schifosamente sicuro di sé, si
vedeva dalla posa: con
la schiena dritta, il petto ben esposto e le braccia elegantemente
poggiate
sulla cattedra. Non abbassava mai lo sguardo, ma lo faceva vagare per i
banchi
anche se non riuscivo a comprendere se lo facesse per questioni di
giustizia o
di equità o piuttosto per farsi notare. Sì,
perché quel suo sorriso bianco e
quegli occhi nocciola sembrano voler attirare violentemente
l’attenzione su
quel ragazzo in carriera che aveva appena cominciato la lezione.
Passarono
diversi minuti e dovetti
ammetterlo: era spaventosamente bravo. Fino a ieri ero convinta che il
diritto
privato fosse una materia oscura e particolarmente ostica, invece lui,
a
dispetto delle raccomandazioni che ci aveva fornito poco prima,
sembrava
rendere cristallino e banale qualsiasi concetto. Non c’era
nulla che non stavo
capendo fin dal principio e nessuno nell’aula, maschio o
femmina, era distratto
durante quella prima lezione. Tutti chini a scrivere appunti o a
sfogliare il
codice.
Ero
inquieta, pervasa da una strana
sensazione. Euforia forse? E per cosa? Per la materia? Per la serata
che avrei
passato con gli amici? O per lui? Era una bel ragazzo,
d’accordo. Ma il mondo è
pieno di bei ragazzi.. Andiamo Eleonora,
guardati intorno! Tutte stravedono per questo tizio affabile e pieno di
sé. Non
cadere nel clichè! Cercai di non ascoltare troppo
i miei pensieri rumorosi
e riuscii finalmente a seguire la mia prima lezione sensata di diritto
privato.
Prima
che me ne accorsi, Marco, vicino a me,
stava raccogliendo le sue cose per lasciare l’aula. Io ero
ancora intenta a fissare
i concetti che il dottor Palermo ci aveva spiegato, per dare un ordine
anche a
quelle parole del professor Lupo che a me erano apparse sconclusionate.
Alzai
lo sguardo verso di lui, sorrideva a un paio di ragazze più
grandi che gli si
erano avvicinate, mentre altrettante matricole cercavano di ottenere la
sua
attenzione per porgergli delle domande. Forse qualcosa non era
risultato chiaro,
o forse non era alla materia che erano interessate. Decisi che non
fosse un mio
problema.
“Ele,
noi andiamo a prendere un caffè. Tu che fai?”
mi chiese Stefania, una delle
ragazze del gruppo che si era formato nei primi mesi.
“Arrivo
subito, fammi finire qui e vi raggiungo”
“Ma che
stai facendo?” intervenne Peppe, un ragazzo
sufficientemente religioso
quanto isterico e vanitoso.
“Ho
delle idee che mi sono venute in mente che vorrei fissare prima di
perdere quel
barlume di speranza che mi ha illuminato”. Marco
rise e si incamminò verso
l’uscita dell’aula insieme ad altri due colleghi.
Dunque,
se il rapporto giuridico può basarsi tanto su un contratto
quanto su un atto
illecito, dov’è la differenza? Perché
esistono due tipologie di responsabilità?
Cos’è che aveva accennato il professor Lupo?
… La relazione privilegiata! Ma
certo, nel primo caso vi è un rapporto preesistente che non
c’è nell’ipotesi in
cui uno passa e mi sfascia la macchina a sfregio! Chiaro!
Mi
appuntai queste ultime cose e chiusi il
quaderno, mettendolo in borsa. L’aula si era svuotata, tranne
il gruppetto del
dottor Palermo, la cui voce riecheggiava, rimasto sull’uscio
della porta d’ingresso.
Controllai che non ci fossero altre uscite, non avevo veramente voglia
di
passargli accanto, anche se non ne sapevo il motivo ma qualcosa mi
stava
rendendo particolarmente nervosa. Purtroppo quell’edificio,
seppur
affascinante, aveva delle grosse mancanze.
Espirai
profondamente e mi decisi a raggiungere
gli altri. Lui stava dando le spalle all’aula, nel suo
completo blu e i capelli
neri perfettamente curati: avrei dovuto interromperlo perché
tanto nessuna
delle sue interlocutrici avrebbe fatto caso a me.
“Permesso…”,
chiesi con un filo di voce che non era veramente da me.
Si
girò e incontrai i suoi occhi color
nocciola. Lui mi guardò fissa con uno sguardo tra il
divertito e l’indagatore e
con un sorriso si spostò per farmi passare. Mentre un forte
profumo di colonia
mi invase, lui disse con tono molto più basso rispetto a
quello usato fino a
pochi secondi fa:
“Prego,
studentessa raccomandata” e vi aggiunse una
risatina.
Ero
sufficientemente confusa ma non lo
guardai e andai dritta per la mia strada. Dopo qualche passo,
finalmente
ricollegai tutto. Mi girai di scatto, con la bocca leggermente
dischiusa per la
sorpresa di aver ritrovato quel nocciola e quel caldo sorriso a
distanza di
mesi: era il ragazzo del convegno a cui avevo assistito per seguire il
professor Testa.
Lui
era ancora lì, mentre con le braccia
incrociate tratteneva gli appunti della lezione appena svolta. E mi
stava
esaminando. Gli parlavano intorno ma lui stava vedendo solo me, quando
comprese
il mio collegamento, fece un’espressione che non avrei
più dimenticato perché per
la prima volta mi disse qualcosa senza proferire parola.
“Ora
hai capito, ce ne hai messo di tempo”.
Non
aggiunsi altro a quel dialogo muto, mi
girai e me ne andai da quell’edificio che sarebbe diventato
per me inferno e
paradiso.
***
*** ***
I
mesi passarono veloci tra ammonimenti in
aula, e discussioni vivaci ai tavoli del bar della facoltà.
Ricordo
che stava sbocciando una bellissima
primavera quell’anno, il cielo era spesso terzo e
l’aula nel vecchio edificio
dove si tenevano le lezioni aveva delle grosse finestre e una porta che
davano
sul retro, ove si trovava un piccolo cortile interno. Se ci si sedeva
ai
banchi, in completo silenzio, era possibile ascoltare il canto degli
uccellini
e il suono della vita che tornava a risvegliarsi e forse anche qualcosa
in me
sembrava essere cambiato.
Ero
sempre stata piuttosto empatica con la
natura, ma in quel periodo riuscivo ad apprezzare particolarmente
quell’ambiente
bucolico che spesso ci permetteva di conversare all’ombra di
grandi pini o
magnolie. Un piccolo angolo di tranquillità che non aveva
nulla a che spartire
con il resto della convulsa e confusionaria facoltà di
giurisprudenza: in quei
mesi vedevamo le giornate allungarsi sopra le nostre teste, mentre si
cercava
di sviscerare l’enorme tomo che avrebbe fatto da protagonista
alla nostra
prossima estate.
La
classe era euforica, sebbene ognuno avesse
un motivo diverso. Ammetto che tutte quelle chiacchiere sul dottor
Palermo
iniziavano a infastidirmi, sembrava un dio greco sceso sulla terra. A
ben
vedere era sì un cucciolo d’uomo interessante e
sicuramente degno di
attenzioni, ma non si trattava certo di una bellezza leggendaria e
tutto il
chiacchiericcio attorno a lui era drammaticamente proporzionale allo
scarso
impegno delle studentesse che si presentavano al suo ricevimento.
La
prima volta che mi trovai a passare per il
primo piano dove il dottor Palermo riceveva, mi sorpresa la fila delle
ragazze
in attesa. Sì, erano solo ragazze che più che ad
un ricevimento universitario
sembrava si preparassero per il provino a Miss Italia.
Ero
frustrata e per una qualche ragione che
al tempo non realizzai, il protagonista di cotanto interesse
iniziò a non
starmi simpatico, anzi sarebbe più corretto dire che la mia
iniziale curiosità
nei suoi confronti si trasformò ben presto in una spiccata
insofferenza nei
suoi riguardi. Più lo guardavo e più mi
innervosivo: lui se ne stava lì, serafico,
a tenere la sua lezione e a guardarci in quel modo determinato e
penetrante,
parlando del diritto privato come se ci stesse raccontando della sua
amante. L’amore
che quel ragazzo provava per la materia era tangibile, i suoi occhi si
illuminavano quando riscontrava in noi la conferma di aver compreso i
suoi
ragionamenti e poi aveva questa capacità sconvolgente di
trasformare il metallo
grezzo in oro: ci rendeva cristallino anche l’argomento
più complesso.
Lo
guardavo e pensavo che fosse bellissimo.
Non bellissimo come un modello in una rivista o in un cartellone
pubblicitario,
lui aveva quella bellezza tipica di chi ha la fortuna di fare
ciò che ama. Se
ne dicono tante sull’università e sul suo
meccanismo, ma non avrei mai pensato
ad un altro posto per il dottor Palermo. La sua sicurezza, la sua
determinazione,
la sua preparazione e la sua immensa disponibilità ci
trasmettevano la voglia
di fare, di andare avanti: in una parola, di migliorare.
E
io lo detestavo, più lui sorrideva e
rispondeva alle nostre domande, più qualcosa in me mi
rendeva dispotica e mal
posta. A mio discapito, tengo a precisare fin da ora, che la compagnia
che mi
scelsi non brillava per intelligenza e originalità, come
avrei dovuto capire
fin da subito.
“Ieri
me ne stavo al cinema, avete presente quello sul raccordo, no? Beh
parlavo del
corso con Lucrezia, e stavo appunto dicendo quanto fosse figo il dottor
Palermo
e ..beh, non ci crederete, me lo sono ritrovato dietro! Mi ha sorriso e
ringraziato e mi ha detto che ci saremmo visti a lezione! Che
figuraccia!!”,
detto ciò la scopetta parlante scoppiò a ridere,
coinvolgendo gli altri
interlocutori.
Sono
sempre stata una razionalista, dunque,
analizziamo i dati. Una sottospecie di modella, di quelle che si fanno
fare i
book da amici fotografi semi professionisti e che ahimè si
credono anche belle,
avrebbe incontrato il dottor Palermo ad un cinema notoriamente
frequentato da
ragazzi universitari e si sarebbe ricordato di lei? Ah beh, il
vestiario non
lasciava sicuramente spazio all’immaginazione, il che
potrebbe risultare
interessante se non fosse stato che si presentava grosso modo come una
divisa
condivisa dalla stragrande maggioranza delle ragazze in aula, alla
ricerca
spasmodica di attenzioni. Il trucco, tutt’altro che velato,
raccontava una
storia bel diversa dal comportamento diligente e rispettoso mostrato a
lezione.
Mi
convinsi che fosse una storia inventata di
sana pianta e non gli diedi troppo peso, anche perché a
proposito di peso, ero
convinta che con una folata di vento più forte mi sarei
sbarazzata di quest’oca
parlante di 40 chili appena.
Se
non fosse che dopo pochi minuti, si
affacciò il tanto chiacchierato dottor Palermo, il quale
incamminandosi verso l’ingresso
dell’aula si rivolse direttamente al gruppo:
“Buongiorno,
spero che vi siate divertite nel week end perché avremo una
settimana molto
impegnativa. L’esame si sta avvicinando!”,
neanche a dirlo fu subito preso
d’assalto e io rimasi in disparte a guardare la scena:
suppongo che non mi
sarei dovuta stupire quando l’oca starnazzante
poggiò involontariamente la sua
mano sul braccio del dottor Palermo, il quale però con un
cordiale sorriso si
rivolse verso di lei, dandomi le spalle.
Perché?
Perché tutte su di lui? Cos’ha di così
speciale?? Sì va bene, è carino e poi?
È
bravo. Ok e poi? Non capiscono che più fanno
così, più alimentano il suo ego?!
Guardalo come fa il gallo!
Mentre
dentro in me ero preda di un attacco
di cattiveria gratuita, il dottor Palermo mi guardò, mentre
un branco di
ragazze eccitate scodinzolavano intorno a lui.
Quello
sguardo fu la goccia che fece
traboccare il vaso, lo presi come una sfida e quel giorno decisi non
solo di
saltare la lezione, ma decisi che sarei diventata una giurista migliore
di lui,
così da non sentirmi più così piccola
e distante.
Seppi
solo molto tempo dopo la risposta che
il dottor Palermo diede alla mia collega quel giorno.
“È
importante sapersi distendere nel tempo dedicato al riposo, ma
è altrettanto
fondamentale capire quando tornare al proprio posto.”
***
*** ****
Angolo
dell’autrice:
Mi spiace moltissimo per il ritardo, so che
avevo promesso ad alcune di voi di aggiornare presto, ma per chi
è del settore,
dovrebbe essere noto che a dicembre per noi giuristi si è
tenuta una prova
importante. Per cui, incrociando le dita, iniziamo questo nuovo anno,
andando
avanti nel racconto.
Ammetto
che ci tengo particolarmente perché ho in
mente da molto tempo di raccontare questa storia, e sono contenta che
ci sia
qualcuno disposto a leggerla. Grazie mille, a tutte voi.
Accetterò
qualsiasi commento, ma vi prego di
lasciarne perché solo così si può
crescere. Non vi dico che vi accontenterò, ma
spero di poter creare una valido dialogo con voi lettori.
Un
ringraziamento speciale a siuri1,
fedele e corretta lettrice, nonché ottima scrittrice e ad
angyblu per le splendide parole di incoraggiamento. Trovo che non ci
sia niente
di più bello che sentirsi dire “come lettrice mi
hai conquistato fin da subito”.
In
realtà avevo ancora qualcosa da aggiungere, ma
non era finito e ho deciso di rimandare e pubblicare questa parte
intanto!
Spero vi sia piaciuta.
Alla
prossima e buon anno!
Soc.
|
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Capitolo 5 *** Quarta lezione ***
quarta lezione
Avevo ormai deciso che sarei diventata una
giurista migliore del dottor Dante Palermo, ma la verità era che l’impresa si
dimostrava essere molto più complessa del previsto. La mia arroganza mi stava
costando cara, specie con riguardo alla mia autostima: ero solo una studentessa
alla sua seconda sessione d’esami e mi rendevo sempre più conto di come gli
ammonimenti del dottor Palermo fossero spaventosamente veritieri. Il diritto
privato non era una materia facile, il libro non era affatto agevole e di
facile intuizione e sebbene le lezioni fossero servite, non erano di certo
sufficienti da sole a ottenere una sufficienza.
D’altronde io non volevo la sufficienza, oh
no. Io volevo il trenta, con lode.
Mentre il caldo torrido di quella estate non
dava tregua, io e Alessandra ci ritrovavamo a studiare presso la sua villa a
Fiumicino, dove potevamo godere della piscina privata.
La mia amica era intenta a preparare uno dei
suoi esami impossibili ed io a sottolineare il libro con un pennarello rosso
sangue, un colore non a caso alla luce dell’impegno che ci stavo mettendo nella
preparazione.
Ero particolarmente intenta a cercare di capire
cosa volesse comunicarmi il paragrafo “tesi sulla causa del contratto”, quando
Alessandra mi distolse dalla mia concentrazione:
“Ah! Mi
sono dimenticata di dirti una cosa!”
Sbuffai, onestamente qualsiasi cosa fosse non
credevo potesse essere più rilevante di quelle pagine, ma cercai di non essere
troppo antipatica.
“Cosa?”
“Indovina
chi c’era ieri in giro per l’università?”
Iniziai a dire una sfilza di nomi al maschile
e al femminile che avevano caratterizzato i nostri anni spesi al liceo, poi
passai ai nomi più improbabili di persone che per disgrazia erano capitate
nelle nostre vite, infine mi arresi.
“Ale,
onestamente non ne ho la minima idea…”
“C’era
un ragazzo vestito in modo molto formale e ammetto molto intrigante, completo
blu con giacca e cravatta. Non sono cose che si vedono alla facoltà di
ingegneria e infatti NON era di ingegneria…”
L’argomento continuava a non entusiasmarmi,
sebbene un piccolo brivido attraversò la mia schiena. Dai, non può essere…
“Insomma,
un tipetto niente male: capelli mori, occhi nocciola e carnagione chiara… al
che mi sono ricordata di una tua descrizione..”
“Ok,
hai la mia attezione, ingegnere malefico!”
“Ovviamente
sono andata ad informarmi” e nel dirlo, Alessandra si atteggiò a nobildonna
dell’Ottocento con fare scherzoso, “…e
bingo! Era proprio il tuo Palermo!”
“Di MIO
non c’è niente!”, risposi risentita.
“Oh
andiamo, piantala di essere così suscettibile sull’argomento! Tanto ti conosco,
la verità è che ti piace ed è comprensibilissimo ora che l’ho visto!”
“Non mi
piace! Non sono come tutte le altre! Lo trovo.. irritante!”
“L’unica
cosa che ti irrita è che non ti abbia avvicinata come avviene con tutte le
altre di cui mi hai parlato. Dovresti essere più onesta con te stessa…L’incapacità
di comprendere i tuoi sentimenti ti rende una delle persone più ottuse che
conosca!”
“ah-ah!
Senti chi ha parlato!” e con un sorriso le tirai bonariamente la matita che
andò a finire nella piscina. Tra le risate di entrambi, mi alzai dal tavolo ed
uscii nel padio per cercare di recuperare la matita. Mentre cercavo qualcosa
per recuperare il mio strumento di studio, Alessandra alle mie spalle cambiò
tono:
“Eleonora,
lascialo stare, togliti dalla testa questa specie di fissa di diventare
migliore di lui. Lui sta con una tipa della mia università, un dottore di
ricerca del professore di Costruzioni. Stanno insieme da dieci anni, dicono”,
una fitta mi strinse il cuore e il respiro si mozzò, per fortuna la mia amica
non poteva vedere il mio volto, che probabilmente avrebbe tradito qualcosa che
neanche io ero in grado di riconoscere in quel momento.
Perché
questa sensazione?? Era ovvio che non potesse stare da solo e che avesse una
compagna! Non è una novità! E poi a me cosa interessa?? Io voglio solo
diventare migliore di lui!
Dopo qualche istante di secondo, mi girai
verso di lei con la serenità e la determinazione di chi sa qual è la sua
strada.
“Ale,
davvero, non mi interessa cosa faccia o con chi stia. Anzi, era prevedibile che
avesse una storia. Mi aspettavo una giurista, ma evidentemente non è così
banale, mi dispiace per quella mandria di ragazzine assatanate di cui si
circonda!”
La mia amica mi scrutò per un po’, dopo di
che scosse leggermente la testa:
“Quindi
è un caso che da quando ha iniziato a farti lezione, la tua storia con Marco
prima ha perso qualche colpo ed infine è crollata, giusto?”
“Giusto.
Neanche conosco il dottor Palermo, mi sembra veramente eccessivo riconoscergli
tanta importanza”.
“Va
bene, Ele. Magari mi sbaglio, ma se così non dovesse essere… Dimmelo e
cerchiamo un modo per sopprimere la sua donna!”
Scoppiamo a ridere, mentre il cielo iniziava
a tingersi delle tinte della sera.
*** *** ***
Le lezioni erano finite o stavano per
concludersi e gli esami iniziavano ad avvicinarsi. Per la verità, passai
proprio così il 29 maggio del 2008, a sostenere l’esonero di economia politica
mentre mia madre ed alcuni familiari mi attendevano a casa per festeggiare il
mio ventesimo compleanno.
Economia politica fu uno degli esami che mi
fece seriamente prendere in considerazione l’ipotesi di cambiare facoltà, se
non fosse stato per il mio sogno di diventare magistrato antimafia, forse avrei
persino potuto cedere alla tentazione.
Uscii dall’aula 4 nella quale si era appena
tenuto l’esonero e vi trovai Federico, il mio amico più caro insieme ad
Alessandra.
“Hola
Mostro! Tanti auguri!!” e così dicendo mi porse un piccolo mazzo di fiori
con il sorriso tipico di un bambino innocente. In effetti Federico era
esattamente così, un bambino o poco più con i capelli scompigliati, gli occhi
gentili e il sorriso innocente. A volte era troppo immaturo e nonostante la sua
altezza, doveva ancora comprendere come funzionasse il mondo degli uomini: mi
ricordava il Piccolo Principe. Era forse la persona più buona che avessi mai
conosciuto, di quelle pure che non si sono fatte contaminare dalla società. Mi
piace il suo modo di vivere e il suo modo di ridere, erano spontanei e
contagiosi.
“Grazie
Teddy! Addirittura i fiori!”, il soprannome “Teddy” non era a caso, perché come
l’orso di peluche che stringiamo da piccole, così Federico mi riscaldava e mi
rassicurava nei momenti più tristi.
“Per
forza! Sei uscita dell’era dei “teen” ed entri nei “twenty”, era importante
sottolinearlo!”
“Ehi,
ci sei entrato prima tu!”, era impossibile dimenticarsi che era nato lo
stesso giorno del compleanno di Roma, il 21 aprile.
“Dettagli…”
e così dicendo mi regalò uno dei suoi sorrisi, “come è andato l’esame?”
“Ah
boh, spero bene!”
Ci incamminammo per il grande corridoio della
facoltà di giurisprudenza, quando una voce si sentì alle mie spalle e
riconoscendola mi girai:
“Ehi
piccola matricola dispersa!”
“Emanuele!
Da quanto tempo!”, mi fece oggettivamente piacere rivederlo.
“Wow,
ti ricordi il mio nome, devo aver fatto colpo!”
Il nuovo arrivato passò lo sguardo da me a
Federico, il quale bonariamente gli rivolse uno sguardo incuriosito. Emanuele,
tuttavia, non accennò a smorzare il suo entusiasmo né face ulteriori domande
sulla mia compagnia e si aggiunse a noi.
“Ma tu
stai sempre in giro?” gli chiesi in modo scherzoso.
“Sono
uno importante io, che ti credi!?”
“Eh, ma
infatti mi chiedevo..cosa fai?!”
“Mi sto
laureando!” disse lui gonfiando il petto come un gallo e arricciando le
labbra: la sua imitazione fece ridere anche Federico accanto a me.
“Beh,
credo che sia un male necessario che spetti a chiunque voglia uscire da questa
università!”, risposi ancora sorridendo.
“Sì, ma
io non voglio uscire! Sto preparando il dottorato!”
Prima guardai Federico in cerca di un
appoggio, ma evidentemente neanche il mio amico ne sapeva nulla, al che mi
rivolsi al mio interlocutore principale con aria interrogativa.
“Il
dottorato?? Non hai presente?? Ahhh ma sei proprio una matricola!” e rise
nuovamente. Ormai ci trovavamo fuori dall’edificio, nel grande padio davanti
all’entrata della facoltà, all’ombra del grande edificio. Emanuele stava per
iniziare a parlare quando qualcuno ci interruppe:
“Emanuele,
buongiorno”, ci girammo tutti all’unisono e dal bar dislocato accanto a
degli alberi avanzava il dottor Dante Palermo, non troppo distante da noi.
Mentre procedeva, passò in un tratto baciato dal sole e i suoi occhi
splendettero di una luce mai vista, divennero come l’ambra liquida e per un
istante non mi curai dei ruoli, del luogo o dei miei propositi. Lo fissai
incedere verso di noi, mentre sostenevo il suo sguardo e incantata non riuscivo
a distrarlo: lui ricambiava e con decisione sembrava comunicarmi qualcosa, che
tuttavia non compresi.
Arrivò tra noi e cominciai a pensare che
fossimo veramente in troppi mentre lui proseguì rivolgendosi al laureando:
“Ti ho
mandato poco fa un’email, dentro troverai gli allegati di cui ti ho parlato. Mi
raccomando, studiateli bene perché potrebbero essere un argomento papabile”
Papabile
per cosa? Non poteva trattarsi della laurea, quella gli studenti la preparano
da soli…
Ero confusa e vagamente stordita e non notai
che Federico non aveva perso neanche un momento della scena. Sembrava un
bambino, è vero, ma era un ottimo osservatore, una di quelle persone a cui
vorresti sempre chiedere “cosa ne pensi di questo comportamento?” perché spesso
hanno la risposta giusta.
Sentii la sua mano poggiarsi sulla mia spalla
e mi girai verso di lui, dovendo necessariamente alzare la testa, essendo
Federico alto un metro e novanta.
“Dovremmo
andare, tua madre ci sta aspettando a casa con tutti gli altri…”, lo disse
con tono perentorio, il che non era affatto da lui.
E così statuendo, guardò fisso il dottor
Palermo.
“Hai
ragione..”, non trovavo un valido motivo per indugiare ulteriormente in
quel posto, specie perché non sapevo come comportarmi col dottor Palermo, ma
mentre cercavo di dare un senso ai miei pensieri, il dottore di ricerca con
calma serafica si voltò:
“Che
splendidi fiori: margherite e papaveri. Insolito come bouquet” e così
parlando, sfiorò uno dei papaveri, sporgendosi verso di me e invadendomi col
suo profumo di colonia che ormai avrei riconosciuto fra mille. Lo presi come un
affronto o comunque come un’invasione non autorizzata della mia privacy.
“Sono i
miei preferiti, per questo ci sono solo margherite e papaveri!”,
probabilmente il mio tono stizzito lo incuriosì perché alzò i suoi occhi
nocciola sui miei e li incatenò ai suoi. Voleva la guerra? Beh, l’avrebbe
avuta!
“E se
posso chiedere, sono per un evento in particolare?”
Cosa
vuoi da me?? Pensi che ti cadrò ai piedi come le mie mediocri colleghe?
Scordatelo!
“Un
compleanno…” risposi imperturbabile. Era evidente che in quel momento
stessimo tenendo una conversazione che aveva ben poco a che fare con i fiori e
che sapeva di sfida, anche se onestamente non riuscivo a comprendere le sue
intenzioni. Specie ora che ero a conoscenza della sua storia con l’ingegnera
dottore di ricerca, proprio quel ricordo mi portò a guardarlo con gelo ed il
mio cambio di atteggiamento non passò inosservato. Federico mi guardò con aria
interrogativa mentre il dottor Palermo raddrizzò la schiena. Mi diede un’ultima
occhiata e forse avrebbe aggiunto qualcos’altro se Emanuele non fosse
intervenuto:
“Grazie
Dante, lo farò sicuramente!” Dante??
Lo chiama per nome??? Ero veramente stupita.
“Piccola
matricola, mi dispiace ma non ricordo il tuo nome!”
“Eleonora…”
“Esatto,
Eleonora! Tanti auguri! Vedrai che l’esonero sarà andato alla grande!”
Avevo lo sguardo basso, non volevo che il
dottor Palermo sapesse di me più di quanto non potesse apprendere da solo,
eppure grazie all’entusiasmo di questa nuova conoscenza ora sapeva non solo il
mio nome, ma anche che era il mio compleanno e che avevo appena sostenuto un
esame.
Non sapevo perché ma non volevo condividere
nulla con lui, la mia insofferenza cresceva.
“Andiamo
Fede, è tardi. Grazie per gli auguri, arrivederci dottore” Fui il più
telegrafica possibile, ma Emanuele ancora una volta sembrava non volermi
lasciare andare:
“Possiamo
sempre andare a bere qualcosa al bar per festeggiare!”
Volevo sotterrarmi. Il dottor Palermo rimase
immobile nella sua posizione e non aggiunse altro, io mi mordevo nervosamente
il labbro ma per fortuna potevo contare su un valido aiuto.
“Credo
che sarebbe un’idea fantastica, ma purtroppo non oggi. Se non la riporto a casa
per festeggiare, mamma Carola mi fa a pezzetti e credetemi non è simpatico il
Generale quando è infuriato!” finalmente intervenne Federico e prendendomi
sottobraccio iniziò a trascinarmi via, mentre espirai un sospiro di sollievo.
“Sarà
per la prossima volta, ciao!”, non avevo intenzione di guardare verso la
direzione del dottor Palermo, avrebbe letto forse il mio sguardo contrariato
per cui senza aggiungere altro, seguii Federico che si avviava verso la
macchina.
Il vento che decretava la fine della
primavera e l’inizio prossimo dell’estate portò a me quello che era poco più di
un sussurro:
“Auguri,
studentessa raccomandata…” e per un istante mi bloccai, per un brevissimo
istante anche il mio cuore smise di muoversi. Iniziavo ad odiare questa sensazione
così spiacevole e sconosciuta.
“Fede,
mia madre non tornerà a casa prima di stasera..”
“Lo so,
ma dovevo portarti via…”
“Perché?”
Pensavo stesse organizzando qualcosa, ma si
girò verso di me e i suoi occhi verdi erano carichi di una preoccupazione e di
una serietà che raramente avevo riscontrato:
“Perché
non ti ho mai visto così spaventata”
“Io…
non ero… spaventata”
“Lo eri
Ele, lo eri. E forse, da oggi, lo sono anche io…”, aggiunse abbassando lo
sguardo con aria triste.
“… Non
capisco...”, dissi realmente confusa.
“Non
importa, Ele. È il tuo compleanno, tutto il resto può aspettare”
Mi dedicò un sorriso sincero che spazzò via la
mia inquietudine, almeno fino al giorno dopo.
Angolo
dell’autrice: Allora, ho aggiornato subito perché non vedevo
l’ora di presentarvi Federico! È un personaggio a cui voglio molto bene e spero
vivamente che vi piaccia come piace a me, non ho volutamente detto molto di lui
perché sono curiosa di sapere come ve lo state immaginando.
Piano piano il dottor Palermo prende forma, vi
chiedo di essere pazienti.
Grazie per le recensioni che mi avete lasciato,
come vedete più mi scrivete più mi infervoro a scrivere eheheh
Ringrazio come sempre siuri1, Beatrice29 e Angyblu: grazie ragazze, siete la mia
marcia in più!
Alla prossima! (non vi abituate ad aggiornamenti
così rapidi!... o forse sì eheh)
|
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Capitolo 6 *** Quinta lezione ***
Quinta lezione 2.0
Quinta
lezione
“She's electric, She's in a family full of
eccentrics…She done things I never expected, and I need more
timeeee!!!”
Eravamo
in macchina, su Via Ostiense, mentre Federico cantava gli Oasis a voce
sostenuta: per la verità aveva una bellissima voce,
invidiabile se si fosse
considerato che non aveva mai frequentato alcun corso di canto. Aveva
imparato
da solo, o almeno così sosteneva. Al tempo, ci piaceva
musica molto simile e
passavamo moltissimo tempo insieme, tanto che molte conoscenze erano
convinti
che fossimo amanti in segreto. Ovviamente tra noi non c’era
mai stato nulla di
romantico, a parte qualche abbraccio da amici nei momenti
più difficili.
Lo
guardavo mentre canticchiava e si spostava i capelli, più
lunghi del normale,
dal viso e guidava la sua Matix: la luce rossastra del tramonto gli
colorava i
capelli castani di una sfumatura ramata che ricordava molto il colore
dei miei
capelli, mentre gli occhi si accendevano a contatto con il sole. I
lineamenti
leggeri e delicati gli conferivano un’aria spesso da bambino,
sebbene la sua
altezza raccontasse un’altra storia. Era sempre stato
più alto di tutti coloro
che si trovassero nelle sue vicinanze, ma dimostrava ancora diciassette
anni
scarsi: mi metteva di buon umore, specie quando cantava sovrappensiero
o in
momenti rilassanti o euforici.
Cercavo
di capire che senso avesse la sua ultima frase, proferita con un filo
di voce,
ma il sorriso contagioso di Federico mi distolse definitivamente dallo
stress
della giornata, dai miei mille pensieri e da Dante. Ultimamente tendevo
a
pensarci decisamente troppo, il che non era da me, specie in vista di
una
sessione di esami.
Fortunatamente
quella sera avrei rivisto i miei cugini, la mia famiglia, Alessandra e
avrei
passato una serata all’insegna del puro divertimento.
Supponevo che Fede avesse
organizzato qualcosa per la serata, ma non indagai oltre per
permettergli di
fare il misterioso. Sicuramente ci teneva più di quanto ci
tenessi io, che non
ero mai stata una grande amante dei compleanni, anche se la
curiosità iniziava
a rodermi da dentro ma finora l’esonero di economia politica
e diritto privato
mi avevano consumato energie, tempo e risorse.
“Mostro, allora che ti metti per stasera?”
“Cosa dovrei mettermi di particolare? Ci
sanno giusto Alessandra e la mia famiglia!”
“Va bene! Ma nella vita non si sa mai!”.
Ah, tana. Trovavo sempre
estremamente
divertente stuzzicare il mio migliore amico, perché a
differenza di tante altre
persone, non sapeva mentirmi.
“Non si sa mai? Che pensi possa succedere? Al
massimo andremo a berci qualcosa io, te ed Ale!”
Lui
si
prese qualche secondo, poi si girò lentamente verso di me e
con fare lamentoso
aggiunse: “Ma se neanche
bevi…Secondo te
ti porto a bere?”
“Ah… perché mi vuoi portare da
qualche
parte??”. Era veramente tenero, quando finiva per
inciampare nei suoi
stessi piedi.
“Assolutamente no, non ho programmato niente.
Perché vuoi fare qualcosa? Possiamo sempre sentire
Alessandra, figurati. Nessun
problema, però comunque devi metterti qualcosa di carino!”.
Chissà perché
improvvisamente aveva iniziato a parlare più velocemente:
era divertente quando
cercava di nascondere qualcosa.
“Va beeeene. Metterò qualcosa di
carino…”
“Lo scelgo io però!”
“Ah, pure! E tu scusa??”
“Io ho già lasciato tutto da mamma Carola!”
e chiuse la conversazione con una linguaccia. Eravamo arrivati a casa
mia.
***
*** ***
Verso
le otto di sera iniziarono ad arrivare i primi invitati e io ovviamente
ero in
ritardo, per dare ascolto a quel capriccioso di Federico, avevo finito
per
mettere a soqquadro l’armadio.
Federico
si stava cambiando nel bagno del piano di sotto, mentre la mia camera
era al
piano di sopra, era sparito già da un pezzo, senza contare
che il suo cellulare
con faceva che squillare e vibrare per gli innumerevoli messaggi che
continuava
a ricevere. Era assurdo, ma sembrava essere il suo di compleanno, non
il mio:
era candidato favorito per il premio dell’uomo più
cercato del giorno.
Mia
madre andò ad aprire al campanello e potei sentire la voce
cristallina di
Alessandra, che a quanto potevo intuire dai suoi passi, aveva optato
per un
paio di tacchi. Sul parquet. Il Generale Carola ne sarebbe stata
entusiasta!
Risi tra me e me al pensiero di mia madre che sbiancava davanti ad un
sicuro
tacco stratosferico della mia amica: per essere un’ingegnera,
era troppo bella
e troppo curata. Glielo dicevo sempre.
Presi
qualche attimo per guardarmi allo specchio: sopracciglia selvagge,
capelli
anarchici, come il colore che li distingueva, un seno decisamente
troppo grande
per le mie spalle e delle gambe troppo grosse per i miei gusti. Non ho niente di speciale, niente.
L’università
è piena di ragazze molto più attraenti di
me… Mi rattristai per un attimo,
poi sorpresa mi risvegliai. Certi pensieri non erano da me, non mi era
mai
interessato come vestissero le ragazze della mia facoltà,
tanto meno la mia
indifferenza alla moda o al mio look. Non mi ero mai posta certi
problemi,
neanche quando avevo iniziato la mia storia con Marco.
Non
diedi comunque troppo peso a quel pensiero, dando la colpa allo stress
dell’esame appena sostenuto. Finii di vestirmi e mi truccai
leggermente, dopo
di che scesi al piano di sotto.
Evidentemente
nel frattempo erano arrivati tanti altri zii, cugini e amici di
famiglia, ma fu
facile per me trovare Federico, visto che si ergeva sempre sulla folla.
Era
vicino una finestra del grande salone di casa mia: aveva optato per un
jeans
chiaro, una maglietta semplice e una camicia a maniche corte sopra.
Aveva al
polso il braccialetto che gli avevo regalato ai diciotto anni, mi
faceva sempre
sorridere questo dettaglio: era l’ennesima dimostrazione che
mi volesse bene.
Accanto a lui c’era Alessandra: in una parola, bellissima.
Aveva scelto una
gonna leggera, e una canottiera rosa con dei merletti che metteva in
risalto la
silhouette slanciata. Quei due erano molto vicini, forse a causa della
musica e
della troppa gente ma per un attimo, vedendoli così da
lontano, mi sentii
improvvisamente sola. Federico era piegato leggermente verso Ale, e lei
con un
bicchiere in mano lo ascoltava sorridente.
“Ehi babbei!”, richiamai la loro
attenzione in mezzo a diverse persone che continuavano a farmi gli
auguri e a
dirmi quanto fossi bella, sebbene non si scordassero mai di omettere
che con
qualche chilo di meno sarei stata anche meglio. Dannata
sincerità, almeno il giorno dei miei vent’anni,
potrebbero farne
a meno!
Mi
avvicinai anche io verso la finestra, mentre Federico mi seguiva con lo
sguardo
senza dire una parola, supposi che tutto sommato fosse soddisfatto
della sua
scelta del vestito. Ale mi salutò con un sorriso e poi
rivolse il tuo sguardo a
Federico, il quale però lasciato il bicchiere a
metà stava ancora guardando
verso di me. Li raggiunsi finalmente e il mio amico non
tardò troppo nel
prendersi i meriti dell’opera svolta prima: “Beh, direi che non ti sta male questo vestito”.
Ale
lo
interruppe, “L’hai scelto
tu?”
Lui
alzò
gli occhi al cielo, “Senza di me,
che
farebbe? Hai visto come si concia…” e mi
sorrise dolcemente, era evidente
l’aria di sfida, ma feci comunque la finta offesa.
“Sì, sì… vienimi a
chiedere una mano la
prossima volta che una ti si incolla in biblioteca! Farò
finta di conoscerti!!O
peggio.. non ti passo i miei schemi di diritto privato!”
Alessandra
seguì con attenzione lo scambio, come sempre, e con voce
ferma e pacata chiese:
“Cos’è sta
storia della biblioteca?”.
Pensai che alla fine noi donne siamo tutte uguali, sempre curiose.
“Mah Ale, una sottospecie di femmina che si
era appiccicata a Federico questo lunedì. Mai vista e
conosciuta, avendo tutta
la biblioteca a sua disposizione, ha ritenuto che la luce migliore
venisse
dalla finestra accanto a Teddy…”, mi
rivolsi verso il mio amico, “Che
poi, ci vuole coraggio eh! Sei un orso!”
“Ha parlato la principessina, dovresti
imparare da Alessandra! Tu sei la motivazione vivente del
perché gli uragani
disastrosi portano nomi femminili!”
“Ma davvero???!!”
Alessandra
sospirò e decise di allontanarsi per qualche secondo,
andando a riprendersi da
bere. Io e Federico cercavamo di guardarci in cagnesco, ma passati
pochi
secondi scoppiammo a ridere.
La
serata proseguì in tranquillità, tra scarti dei
regali, candeline e vari cibi.
Come al solito, molti di quei parenti che non vedevo molto spesso
vennero a
chiedermi del fidanzato, che ovviamente scambiarono subito per
Federico. Ormai
avevo imparato una formula che lasciava spiazzati chiunque il tempo
necessario
per permettermi la fuga. Più o meno funzionava
così:
“Ele, allora, te lo sei trovato un ragazzo?
Magari è proprio quel tipo laggiù!”.
“Tipo laggiù” che c’era ormai
da
svariati anni, eppure certi parenti proprio non riuscivano a
ricordarselo.
“Ogni tanto, giovedì piove…”
Al
che, data la risposta completamente insensata, potevo approfittare di
quell’attimo di disorientamento del mio interlocutore per
scappare. Che poi,
non ero mai scappata da domande del genere, ma ultimamente mi
innervosivano,
specie quando davano per scontato che condividessi una certa
intimità con
Federico. A quanto pare, non ero l’unica seccata dalla
monotonia familiare:
Alessandra era parecchio taciturna. Negli ultimi tempi per la
verità aveva
cambiato atteggiamento, era più silenziosa del previsto,
perdeva più facilmente
le staffe quando si lasciava andare e si curava più del
solito per uscire.
Pensai che il primo anno di università cambiasse un
po’ tutti indistintamente.
Erano
ormai le dieci, quando i miei amici si avvicinarono a me con dei
regali, in
realtà Alessandra mi stava tendendo una busta per le
lettere. Come era
prevedibile non c’era alcun bigliettino di auguri smielato da
parte sua, la
cosa mi fece sorridere. Erano passati ormai sei anni da quando ci
eravamo
conosciute, eppure rimaneva sempre la stessa ragazza riservata ed
elegante, non
amava le grandi dimostrazioni d’affetto ma c’era
sempre accanto a me.
Il
suo
regalo non la smentiva, erano tre biglietti per la fiera dei cavalli
che si
sarebbe tenuta di lì a poco alla nuova fiera di Roma. Ale
conosceva bene il mio
amore per i cavalli, aveva potuto conoscerlo personalmente quando mi
veniva a
vedere agli allenamenti. Una volta iscritta
all’università, non avevo trovato
più molto tempo per cavalcare.
“Aleee grazie!! Ci andiamo tutti insieme
allora!”, la abbracciai forte, in modo da metterla
anche leggermente in
imbarazzo e infatti non resistette molto prima di allontanarmi in modo
goffo e
imbarazzato.
“Bene, ora che la principessa ti ha dato il
suo regalo, ti do il mio!”, Federico era
l’esatto opposto della mia amica.
A lui piaceva stare al centro della scena, era solare ed affettuoso, il
che lo
rendeva estremamente socievole ed affabile. Il suo regalo si presentava
come
una scatola e onestamente non avevo veramente idea di cosa potesse
trattarsi.
In salone, l’attenzione dei miei familiari si era concentrata
su quello che
stava avvenendo, come se si aspettassero chissà quale evento.
Scartai
il regalo con una certa fretta e rimasi sbalordita dal pensiero di
Federico: un
planetario per interni. Un planetario, lo stesso planetario che avevo
visto in
un negozio almeno sei mesi prima mentre camminavo in giro con lui.
Conoscevo
anche il prezzo di quel planetario e proprio questo dettaglio mi aveva
spinto a
non comprarlo, banalmente non potevo permettermelo. Guardai il mio
amico in un
insieme di emozioni, che andava dalla pura gratitudine
all’incredulità, al
senso di colpa perché potevo solo immaginare i sacrifici che
aveva sostenuto
per poterlo comprare.
Le
stelle ed il cielo erano sempre stati una mia grande passione e per un
attimo,
alla fine del quinto anno di liceo classico, avevo pensato di poter
prendere
ingegneria aerospaziale, ma poi la macchina mi si era fermata davanti
la
facoltà di giurisprudenza e mi ero resa conto che per me
quella facoltà era
l’unica. Come i grandi amori: puoi cercare di fuggirli, ma
alla fine te li
ritrovi sempre davanti e non importa con quanti altri proverai a
sostituirli,
quando capiterà l’occasione, e capiterà
sempre, non potrai ignorare certi
sentimenti.
Così,
avevo fatto della volta celeste la mia passione, senza approfondire
eccessivamente. Quante estati io e Federico avevamo passato con il naso
all’insù, in una gara a chi scovava più
stelle cadenti.
“Sei un cretino!!!”, alla fine
ripiegai
per la reazione burbera. Ero incapace di giustificare un regalo simile.
Federico
rise, aspettandosi probabilmente quella risposta: “Se vuoi me lo riprendo…!”,
fece per togliermi il mio nuovo
planetario ma con l’atteggiamento tipico di una bambina di
sette od otto anni,
abbracciai la scatola e la schermai con il mio corpo.
“No! Ormai è mio! Potevi pensarci prima!”.
Teddy
mi mise una mano sulla testa e mi scompigliò i capelli,
sorridendomi, “Prego, Mostro!”.
Tra
noi non c’era bisogno di parlare, era superfluo che lo
ringraziassi, io più di
tutti sapevo quanto doveva essergli costato quel regalo, nessuna parola
sarebbe
stata sufficiente tuttavia Federico non perdeva occasione di darmi del
“Mostro”, dovuto dal fatto che non ero una grande
amante delle smancerie, un
po’ come Alessandra, o più semplicemente non ero
in grado di esternare le mie
emozioni più profonde e finivo per mascherarle sempre dietro
un velo di ironia.
Mia
madre arrivò tra noi, incuriosita dai regali e dopo averli
studiati, entusiasta
propose a tutti di provare il planetario. Ormai la sera era
sopraggiunta, così
non ci fu bisogno neanche di chiudere le persiane per creare il buio.
Ci
mettemmo solo qualche minuto per montarlo e quando a luci spente, si
accese il
mio regalo, proiettò in tutto il salone la volta celeste
mentre molto
lentamente si muoveva in senso antiorario.
Eravamo
tutti con la testa sul soffitto, sorpresi da quel momento che sembrava
anticipare l’estate. Era semplicemente perfetto. Ero
completamente rapita dal
mio regalo mentre cercavo di riconoscere le costellazioni che non mi
resi conto
che Alessandra si era avvicinata a Federico.
“E’ successo qualcosa?”,
chiese lei
guardandolo di sfuggita, ma facendo in modo che potesse sentire solo
lui.
“Non mi pare…”, Fede
rimase con la testa
reclinata verso l’alto e un sorriso accennato.
“Stai ridendo troppo. Non sei te stesso da
oggi pomeriggio, cosa è successo?”
“Sono sempre stato un buffone, lo sai
Principessa…”
“No, tu non sei mai stato un buffone. Sei
divertente, ma oggi sei troppo sopra le righe. Sicuro che non sia
successo
nulla?”
“…
Non capisco di cosa parli. Beh, ora
dovremmo andare avanti con la serata. Gli altri ci aspettano”.
“Come vuoi” e detto questo
Alessandra si
avvicinò a me, “Che ne
dici di andarci a
fare due passi? È una bella serata..”.
Ecco,
la fase B della giornata di oggi.
“Va bene, salgo a prendere la borsa”,
incrociai mia madre e le disse che stavamo per uscire. Il planetario fu
spento,
in pochi minuti salutammo tutti i parenti che si sarebbero trattenuti
ancora
per poco e uscimmo.
Decise
di guidare l’unico uomo del gruppo, non mi meravigliai troppo
quando prendemmo
la sua macchina e andammo in un posto ben preciso. Federico non era
esattamente
il tipo di ragazzo da avere sempre le idee chiare, anzi spesso per lui
un posto
valeva l’altro. Ma lo lasciai portare a compimento la sua
missione e quando la
macchina si arrestò davanti a Giolitti, al laghetto
dell’Eur, ebbi modo di
notare anche gli altri amici.
Mi
girai verso Federico ed Alessandra per chiedere spiegazioni.
“Ci tenevano tutti a festeggiare il tuo
compleanno e visto che ieri sera non era possibile per via
dell’esame, abbiamo
pensato di fare oggi”, mi disse Ale che era rimasta
l’unica ancora sul
sedile. Federico era già corso incontro agli altri, noi
ragazze stavamo per
raggiungerlo mentre gli altri amici da lontano iniziarono a gridarmi i
loro
auguri.
Ci
prendemmo tutti un caffè, tranne Alessandra che non ne
beveva. C’erano
Francesco, un amico che ormai conoscevo da tempo ma eravamo troppo
diversi per
creare qualcosa di profondo, Riccardo, un ragazzo più grande
di me di qualche
anno, Matteo e Kim, Nestor e Silvia, Paolo e Livia e tanti altri. Mi
guardai
intorno e mi sentii veramente una ragazza fortunata, avevo dei buoni
amici e
più di tutti ne avevo due fantastici.
Era
ormai mezzanotte e stavamo guardando le stelle, quando Federico si
allontanò e
tornò con delle lanterne cinesi. Di nuovo qualcosa che mi
piaceva fare:
esprimere desideri. Sono sempre stata convinta che sia importante
seguire i
propri sogni, cercando di realizzarli, ma ogni tanto è bello
lasciarsi guidare
solo dai sentimenti come quando si cerca una stella cadente ad Agosto,
o quando
si lancia una lanterna. In quei momenti mi sono sempre sentita libera
di
esprimere qualsiasi cosa, che andasse anche contro la mia
razionalità. Spesso
in questi momenti ero divenuta consapevole di speranze che io stessa
neanche
conoscevo, quindi in conclusione, mi piaceva poter esprimere dei
desideri.
Qualcosa che sarebbe rimasto solo per me.
Tutti
eravamo pronti a lanciare le nostre lanterne che realisticamente
sarebbero
finite nel laghetto, intorno a noi non c’era molta gente e la
luce soffusa non
permetteva di vedere bene. Piano piano le lanterne iniziarono a volare
in alto,
ma quando venne il mio turno, chiusi gli occhi e invece di desiderare
di
diventare un Pubblico Ministero, per una frazione di secondo mi venne
in mente
solamente quello sguardo fiero e quella cravatta sempre ben annodata.
Non
me
ne resi conto ma la mia lanterna si era appena alzata in cielo e non
avevo
espresso alcun desiderio. O almeno così pensavo: ero
confusa, come spesso mi
capitava da qualche mese a quella parte.
Non
mi
resi conto che Federico si era avvicinato a me:
“Mostro, che desiderio hai espresso?”,
mi
chiese lui guardandomi dall’alto.
“Io… non lo so…”,
era la pura verità. Non
riuscivo a smettere di seguire la strada della mia lanterna. E un forte
odore
di colonia mi invase, ma iniziava a diventare una sensazione piacevole,
familiare.
“…
Ele, chi è quel tipo che oggi ho
visto all’università?”
“Emanuele, un ragazzo che ho conosciuto per
sbaglio qualche mese fa mentre cercavo l’aula della
lezione…”
“Non parlo del ragazzo, parlo di quello in
giacca e cravatta”. La fermezza del suo tono di
voce catturò la mia
attenzione e mi girai verso di lui, ancora più
destabilizzata nel vederlo
osservare dritto di fronte a sé.
“Perché ti interessa?”
“Perché interessa a te…”,
e così dicendo
si girò verso di me.
“A me non interessa: è il dottor Dante
Palermo. Ci stava facendo lezione, è bravo ma non lo
sopporto. Voglio diventare
una giurista migliore di lui!”, il mio sguardo si
incendiò di una nuova
forza e dentro di me soffiò il vento della sfida. Ero
fiduciosa, prima o poi
l’avrei raggiunto.
“Capisco…”, il mio
amico abbassò per un
attimo gli occhi a terra, dove c’era un tappeto di petali di
ciliegio. Prima
che potessi chiedermi e chiedergli cosa avesse, tirò su la
testa e i suoi
capelli si scompigliarono più del normale anche a causa
della folata di vento
improvvisa, così iniziai a rimetterli a posto, lui si mosse
e forse fu per la
luce rossastra del lampione del parchetto o per le emozioni che
accompagnano
ogni compleanno, ma mi guardò dritto negli occhi e con un
sorriso indecifrabile
mi disse “Allora fai del tuo meglio,
perché io non intendo perdere!”.
Non
capii quello che voleva dire, non in quel momento almeno ma a
ripensarci, forse
avrei potuto sforzarmi di comprendere cosa effettivamente Federico
stesse
cercando di comunicarmi.
Nel
frattempo, la sera del 29 maggio del 2008 altre due persone
passeggiavano nel
parco del laghetto dell’ Eur.
“Sono belle le lanterne, vero?”,
disse
una ragazza bionda abbracciata al suo accompagnatore, il quale
però non stava
guardando le luci nei cielo, ma una ragazza dai capelli rossi
appoggiata ad un
muretto, circondata da amici. Lei stava chiudendo gli occhi mentre la
sua
lanterna prese il volo, quando aprì di nuovo lo sguardo, era
persa nei suoi
pensieri.
“Sono… magnifiche”.
Il
ragazzo in jeans e maglioncino rimase fermo per qualche istante e
incrociò il
suo sguardo con un ragazzo alto, dai capelli castani, di circa
vent’anni. In
quel momento il vento diffuse il profumo che quel giovane uomo in jeans
aveva
scelto, come ogni altro giorno, mentre scompigliò i capelli
dell’altro.
Quello
scambio silenzioso fu interrotto dalla ragazza bionda, “andiamo, abbiamo un discorso in sospeso a casa..
Potresti scoprire che
sono la tua Beatrice, caro il mio Dante”.
Dante
le rivolse un sorriso malizioso, le mise una mano intorno ai fianchi e
riprese
a camminare, allontanandosi da quella ragazza dai capelli rossi che non
lo
aveva notato.
Angolo
dell’autrice:
mi scuso fortemente per il ritardo,
pensavo di aggiornare molto prima, purtroppo la vita lavorativa
è dura!
Allora
cosa mi sento di dire di questo capitolo.. E’ una storia che
potrete leggere
solo con pazienza, se vi aspettate che tutto sia improvviso e lineare,
temo di
dovervi deludere. Dante ed Eleonora hanno bisogno di molto
più tempo per
conoscersi e spero di annoiarvi! Nella storia credo fosse interessante
introdurvi per bene un personaggio come quello di Federico, e
sinceramente sono
molto curiosa di sapere cosa ne pensate, se vi siete fatte delle idee e
che
tipo di sensazioni vi lascia. Lo stesso dicasi per Alessandra, spero
che vi
piacciano perché a me piacciono moltissimo!!
Come
potete notare ho inserito delle immagini, per come io mi sono
immaginata i
personaggi, e non è un caso che non abbia ancora inserito
Dante. Chissà come ve
lo immaginate, magari lo lascerò semplicemente alla vostra
fantasia..
Infine
ringrazio Angyblu che come sempre
è
disponibile a recensire, e tutte coloro che con mia grande sorpresa
hanno
inserito questa storia fra le preferite o le seguite, vi ringrazio di
cuore.
Grazie!
Nel
prossimo capitolo, Eleonora affronterà l’esame di
diritto privato!
Stay
turned!
Soc.
|
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Capitolo 7 *** Sesta lezione ***
Sesta lezione
Luglio
2009, sessione estiva del primo
anno all’università. Quinto esame: diritto privato.
Era
stata un’estate particolarmente calda,
si respirava a fatica nella capitale e io avevo speso la fine della
primavera e
l’inizio dei primi mesi estivi a studiare il manuale di
diritto privato.
Prima
lo avevo letto accuratamente,
sottolineandolo con la matita, poi avevo iniziato a evidenziare le
parti più
importanti, infine avevo deciso di sottolineare con un ulteriore
pennarello
rosso la terza rilettura, colore che ricordava bene il sangue che ci
stavo
sputando sopra, infine, come i migliori glossatori, avevo iniziato a
scrivermi
a lato della pagina le cose che proprio non riuscivo a ricordare.
Ed
eccomi, in quell’aula un po’ troppa
fredda per via dell’aria condizionata molto alta, alle 8,30
del mattino senza
un filo di trucco e con l’aria di un condannato che si
appresta al patibolo.
Iniziarono
presto ad entrare i ben dieci
assistenti che avrebbero valutato noi poveri studenti prima di
mandarci, se
ritenuti idonei, a sostenere l’ultima parte
dell’esame con il professor Lupo.
Le donne erano quasi tutte in tailleur, gli uomini portavano, come di
consueto,
un completo blu. La prima cosa che notammo tutti fu una sola: lui non
c’era.
Dante Palermo non era presente nella sfilata del terrore che si era
appena
consumata di fronte all’aula.
Iniziò
l’appello e di lì a breve
cominciarono ad esaminare i primi ragazzi spaventati, del Professore
nessuna
traccia, ma pare fosse una pratica diffusa non presentarsi prima delle
due ore
dall’avvio della prova.
Alle
10 la porta dell’aula si aprì ed
entrò il Professor Lupo, seguito poco dietro dal dottor
Dante Palermo, con un
sorriso radioso ma senza perdere l’austerità del
ruolo.
Eccoci
alla resa dei conti, mio carissimo nemico. Ti farò vedere
quanto ho lavorato in
questi mesi, così magari per qualche secondo te lo tolgo
quel sorrisetto
soddisfatto dalla faccia.
Accanto
a me c’era Federico: non era
solito venire ai miei esami, un po’ perché ero io
la prima a voler stare da
sola, un po’ perché spesso i suoi impegni non
combaciavano con la mia sessione
d’esami. Lo avvertii irrigidirsi.
“Ehi
mostro, sei pronta?”
“Ce
ne vorrà prima che tocchi a me, è uscita
l’ultima lettera e io sono proprio fra
le ultime…”
“Come
sempre! Per questo sono venuto stavolta, se no rischi di implodere e
non
sarebbe un bello spettacolo!”
“…Ma
che tenero…” per quanto cercassi di
sembrare rilassata o almeno
controllata, la mia voce tradiva il mio nervosismo.
Una
delle leggende dell’università era
davanti a me, lo avevo visto tenere una lezione, conversare amabilmente
con gli
studenti ma non avevo la minima idea di cosa volesse dire sostenere un
esame
con lui. Se ne dicevano tante, ricordavo ancora molto bene
l’ammonimento di
Emanuele il primo giorno che lo incontrai: tenersi alla larga da Dante
Palermo
e da Andrea Mari.
Che
poi chi fosse questo Andrea Mari lo
avrei scoperto molto presto.
Un
ragazzo dai capelli castani, in un
completo grigio entrò dalla seconda porta
dell’aula e insieme a lui arrivò anche
il silenzio, evidentemente carico di terrore. Un brusio si
levò dai banchi: “Cavolo,
c’è pure lui… Palermo e Mari insieme
è una congiura, hanno deciso di non farne passare neanche
uno!”. Guardai
meglio quel ragazzo che si distingueva per il completo: aveva un
portamento
solenne, le spalle dritte e i capelli puliti e lucenti ben in ordine.
Si
aggiustò la cravatta celeste e prese l’elenco
degli studenti, lo studiò
accuratamente e si schiarì la voce:
“Carolina
D’Ottavio”
Una
ragazza minuta si alzò dal suo banco e
cercò freneticamente la sua carta
d’identità e il libretto nella sua borsa,
senza un’apparente successo.
“Signorina,
non ho tutta la giornata…”
“Ehm
sì, sì.. sto arrivando… un attimo,
è che non trovo… Oh ecco. Arrivo”.
Tremava, visibilmente. Il suo esame durò forse cinque minuti
poi fu rimandata
in lacrime al suo posto.
Nel
frattempo, dall’altro lato della
stanza, il dottor Palermo sembrava particolarmente infastidito dal
candidato di
fronte a lui:
“La
sua preparazione è scarsa come la sua capacità di
convincermi che non sta qui
cercando di passare l’esame alla meno peggio”
“Ma
no dottore, io le assicuro che ho studiato moltissimo…”
“Ho
dei seri dubbi e le chiederei in cosa consista la buona fede nelle
dichiarazioni di volontà e di scienza ma temo la risposta,
quindi mi limiterò a
chiederle gli effetti del contratto preliminare”.
L’esaminando
si risistemò sulla sedia e
iniziò a balbettare qualcosa. Qualcosa di probabilmente poco
convincente perché
quel ragazzo dai capelli mori e dagli occhi nocciola, lo
incalzò quasi subito:
“Il
contratto preliminare obbliga le parti?”
Non
riuscii a sentire la risposta, ma non
ce ne fu bisogno.
“Lei
mi sta dicendo che il contratto preliminare NON obbliga le parti???!”.
Il
dottor Palermo era davvero arrabbiato, il suo tono di voce si
alzò talmente
tanto da fermare in contemporanea tutti gli altri esami. Si mise in
piedi e si
rivolse all’intera aula:
“Se
non avete studiato tutto il programma, vi consiglio vivamente di uscire
immediatamente da quella porta, per non far perdere tempo a noi e a voi
stessi
con un esame ridicolo e umiliante!!!” e
così facendo indicò la porta alle
sue spalle.
La
sensazione che ci invase fu quella di
gelo.
Mi
ero ripromessa di diventare una
giurista migliore di lui, mi ero illusa che bastassero quei mesi per
poter
arrivare al suo livello e per dargli una sonora lezione, avevo creduto
che il
suo atteggiamento affabile e socievole fosse quello tipico di un figlio
di papà
che godeva della situazione che il suo cognome gli aveva portato. Non
avevo mai
avuto la sensazione che dietro quella disponibilità si
celasse una persona
tanto ostile. Mi ero sbagliata, mi ero sbagliata di tanto e quando me
ne resi
conto mi sentii così piccola da voler sparire. Ero stata
arrogante e
presuntuosa, come forse non lo ero stata mai in vita mia e avevo
commesso un
grande errore: sottovalutare il mio nemico, e dire che Teddy me lo
ripeteva
sempre che quella era la prima regola degli scacchi.
“Mostro…
tutto ok?”
Probabilmente
ero divenuta pallida e
Federico doveva essersi preoccupato.
Non
risposi prontamente alla domanda del
mio amico e come ero solita fare, rimisi la testa sul manuale per
rileggere in
velocità quelle cose di cui non mi sentivo affatto sicuro.
Vi assicuro che in
quel momento sembravano veramente molte, in testa avevo una distesa
deserta di
argomenti e di capitoli, come se non avessi fatto nulla fino a quel
momento.
Il
panico mi invase e sebbene il dottor
Mari fosse decisamente il meno affabile della cattedra, sperai solo di
non
dover capitare con il dottor Palermo. In quel preciso istante tutte le
mie
certezze vennero meno, mi sentii impotente di fronte a una materia
immensa e ad
un esame ai limiti dello scibile umano e avvertii quel senso di
arroganza e di
sfida venire meno.
Dentro
di me pensavo che non era
esattamente così che doveva andare: come nei migliori film o
nei miei libri di
avventura, la protagonista tira su il petto e il mento e affronta il
drago sguainando
la sua spada lucente e non pregando tutti i santi, in cui fra
l’altro non ho
mai creduto, che le cose andassero bene e basta. Come se il superamento
di un
esame simile potesse affidarsi a speranze ultraterrene.
Io
però avevo un alleato stavolta,
Federico al mio fianco mi mise una mano sul braccio e abbassando la
voce di
qualche tono per rassicurarmi mi disse:
“Ok,
Mostro. Fermati un attimo e guardami”
Non
ascoltai la sua intimazione, così mi
costrinse a guardarlo.
“Non-ti-impanicare!”
“..e
ti pare facile, hai visto che tip..”
“No.
Non mi pare facile ma io ti conosco. So quanto hai studiato, so quanto
sei
determinata quando ti metti in testa un obiettivo e per una che vuole
diventare
magistrato antimafia, questo esame non può essere e non deve
essere così
spaventoso. Lo so che quel tizio mette soggezione e mi pare anche
sufficientemente invasato, però tu devi rimanere concentrata
e non perdere di
vista il traguardo. Cosa fai a equitazione quando devi saltare
l’ostacolo?”
“Lo
guardo prima di girare il cavallo per affrontarlo…”
“Esatto:
focalizzi l’obiettivo. Ora devi fare esattamente la stessa
cosa, sei in corsa e
non devi lasciarti spaventare. Guarda il tuo ostacolo e saltalo. Stop.
Hai
studiato e sei preparata, sono disposto a scommettere che sei molto
più in
gamba della metà delle persone che si trovano in
quest’aula. Quindi non distarti
e quando chiameranno il tuo nome, se anche dovesse essere belli capelli
o l’urlatore
fighettone, respira e spacca il culo a tutti! Capito?”
Mi
guardò con quei suoi occhioni misti fra
il verde e il marrone e non potei fare a meno di scoppiare a ridere.
Aveva
ragione, aveva ragione su tutto. Non avrei permesso alla paura di
paralizzarmi
e non avrei buttato tutti quei mesi trascorsi a studiare.
Guardai
nuovamente la commissione, ma
stavolta alzai la testa, in me soffiava di nuovo il vento della
determinazione.
Il mio sguardo doveva essere cambiato perché Federico,
accanto a me, sorrise. D’altronde,
anche le migliori eroine hanno bisogno a volte di ritrovare la fiducia.
***
Passarono
diverse ore, un tempo che
riuscii in qualche modo ad impiegare un po’ conversando con
gli altri colleghi,
un po’ ridendo delle nostre avventure con il mio fidato amico.
Quando
la commissione chiamò il mio nome,
mi prese alla sprovvista. Presi il documento che avevo preparato
insieme allo
statino e scesi le scale che mi portarono davanti ai banchi della
commissione.
Il dottor Palermo era impegnato in un altro esame e non saprei dire
neanche
oggi se la cosa mi sollevò o piuttosto ne rimasi delusa, era
un periodo di
forte confusione.
Si
alzò da uno dei banchi una ragazza dai
lunghi capelli mori, gli occhi leggermente sporgenti e un naso
decisamente poco
ortodosso.
L’assistente
cercò subito di mettermi a
mio agio, ma l’esame risultò più tosto
del previsto. Sebbene avessi dedicato
molto tempo allo studio della materia, le sue domande mi misero
piuttosto in
difficoltà perché volte a comprendere se avessi
percepito davvero la
complessità della materia e il collegamento fra gli
argomenti. Su diversi punti
mi resi conto di essere stata superficiale.
“Signorina,
leggo nella sua preparazione che lei ha studiato molto ma forse non nel
modo
più corretto per il voto a cui probabilmente aspira. Ad
oggi, non posso darle
più di 24.”
E
io che avevo pensato al 30 e lode!
Non nego che fu veramente
una grande delusione, realizzai che avevo sprecato molte delle mie
energie,
arrivando ad un risultato mediocre che forse sarebbe stato
più che dignitoso
per qualcun altro, ma non per me.
Il
mio obiettivo è sempre stato diventare
magistrato, di forza d’animo ce ne sarebbe voluta ancora
molta. Le cose non
erano andate come previsto, ma potevo sempre rimediare.
Tornai
a sedermi al mio posto, accanto a
Federico, nell’attesa che mi chiamasse il professor Lupo.
“Allora,
come è andata?”
“Non
benissimo: 24”
“Hai
visto però?? Te lo avevo detto che non dovevi preoccuparti!
Certo non è un voto
altissimo, ma 24 è un bel voto in esami come questi!”
“Non
va bene. Non è il voto il problema: è il fatto
che io abbia studiato mesi la
mia prima materia veramente complessa e non sia riuscita a prendere
neanche un
voto che si avvicini alla zona 28-30. Qualcosa non è andato
nella preparazione”.
Mi misi a guardare un punto indefinito alle spalle della cattedra e non
prestai
attenzione a nulla e nessuno, specie a coloro che venivano da me a
congratularsi perché “24
con l’assistente
era già un grande risultato”.
Il
professor Lupo, comunque, avrebbe
ancora potuto alzarmi il voto.
Quando
mi presentai davanti a lui, non ero
particolarmente entusiasta e sperai che non si ricordasse del piccolo
disguido
avuto durante una delle sue prime lezioni.
Si
mise comodo sulla sedia, apri il mio
libretto e diede un’occhiata veloce alla media ottenuta fino
a quel momento,
poi guardò il foglietto che gli aveva passato
l’assistente con cui avevo
sostenuto l’esame e infine guardò me:
“Bene,
Signorina Alighieri, vedo che le hanno dato 24. Cosa ha intenzione di
fare?
Accetta o vuole la domanda?”, il suo tono era
pacato e serafico.
Lo
ero anche io, avevo preso la mia
decisione.
“Vorrei
alzare il mio voto, di molto, e non accetterei comunque un voto
così basso.
Quindi le chiedo di farmi una domanda.”
“Molto
bene, Signorina. Questo è lo spirito giusto: decadenza
convenzionale”.
Inutile
dire che la domanda mi colse alla
sprovvista, a parte la disciplina generale della decadenza, che
sicuramente non
era quello che voleva sentirsi dire il professore, non avevo propria
idea della
disciplina della decadenza convenzionale. Scoprii ben presto che si
trattava di
un articolo alla fine del codice civile dimenticato persino da Dio.
“Mi
coglie impreparata”
“Lo
immaginavo”, ripiegò il mio statino e me
lo porse con un sorriso, “ci vediamo
a Settembre”.
Scesi
le scale del piano rialzato dove si
trovava la cattedra del professore e avevo già in mente il
mio piano d’azione.
Mi misi nelle prime file, aspettando che si liberasse il dottor Topo,
un
assistente della cattedra molto più affabile e rassicurante.
Avevo bisogno di avere
un confronto con qualcuno che mi spiegasse le mie mancanze, qualcuno
che mi
aiutasse a capire dove avevo sbagliato nella preparazione. Ovviamente
non mi
passò in mente neanche per un istante la
possibilità di chiedere aiuto al
dottor Palermo.
Federico
mi stava aspettando pazientemente
tra le ultime file, gli avrei spiegato tutto a tempo debito, non
dubitavo che
mi avrebbe appoggiato qualunque cosa avessi scelto di fare. Stavo
guardando il
dottor Topo mentre conduceva un esame, nella speranza di intercettarlo
tra un
candidato e l’altro, quando sentii l’odore di
colonia invadermi prepotentemente
e con la coda dell’occhio mi resi conto che una figura si
stava avvicinando.
Non
avevo bisogno di girarmi per sapere
chi fosse, ormai quel profumo lo avrei riconosciuto fra mille. Non
volevo
guardarlo perché mi sentivo piccola e incompetente, oltre
che tremendamente
stupida: un cucciolo tigre ferito a morte, ecco come mi sentivo.
“Ho
sentito che ha rifiutato il voto…”
La
sua voce morbida mi arrivò come una
freccia scoccata dal migliore arciere. Probabilmente non era quella la
sua
intenzione, ma la sua attenzione per me in quel momento mi
umiliò particolarmente.
Io che avevo deciso e che mi ero ripromessa di prendere il massimo dei
voti a
quell’esame, ora venivo guardata come un bambino colto con le
mani nella
marmellata.
Tenni
lo sguardo basso e mi girai quanto
bastava per assicurarmi il rispetto del vivere comune e delle
istituzioni
universitarie.
“Sì.
Devo aver sbagliato qualcosa nella preparazione”
“Lo
penso anche io. Il suo atteggiamento, tuttavia, mi ha colpito molto,
non lo
nego. Non si sente spesso di studenti che rifiutano il voto
all’esame del
professor Lupo. Lei è ambiziosa…”,
con quest’ultima parola mi convinse a
dargli tutta la mia attenzione e più che guardarlo, lo
fissai con estrema fermezza
e per qualche secondo tenne il mio sguardo in silenzio, poi si
sistemò
nuovamente la cravatta e proseguì “…
è un
bene, in questo lavoro bisogna essere ambiziosi”.
Prese un pezzo di carta
vicino a lui e ci scrisse sopra qualcosa in velocità.
“Ecco, questo è la mia
email. Mi contatti a fine Agosto, ci metteremo d’accordo
per vederci in facoltà. La preparerò io
personalmente per la sessione autunnale
e capiremo cosa non ha funzionato nel suo metodo di studio. Ora si goda
quel
che resta della sua estate”.
Detto
questo, mi mise davanti quel
foglietto con il suo contatto e nessuna possibilità di fuga.
Non
avrei mai pensato che rifiutare quel
voto avrebbe cambiato così tanto gli avvenimenti futuri: il
dottor Palermo mi
aveva notato.
Mi
chiedo, tuttora, se sia stato un bene o
piuttosto una maledizione.
Nota
dell’autrice:
Mea
culpa! Non ho aggiornato per un’infinità
di tempo ma la vita post universitaria è veramente molto
dura. Cercherò di
scrivere con maggior regolarità per chi volesse seguirmi!
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