La cattedra

di Socrata
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il confronto con il professore ***
Capitolo 2: *** Prima lezione ***
Capitolo 3: *** Seconda lezione ***
Capitolo 4: *** Terza lezione ***
Capitolo 5: *** Quarta lezione ***
Capitolo 6: *** Quinta lezione ***
Capitolo 7: *** Sesta lezione ***



Capitolo 1
*** Il confronto con il professore ***


Lo attesi per circa mezz'ora: mi premevo le dita sulle tempie, il concorso mi aveva messa a dura prova.
Finalmente lui finì di verbalizzare gli esami, e così mi avvicinai alla cattedra rispondendo al suo invito. Fece i saluti di rito e congedò i colleghi, con i quali si sarebbe poi incontrato la sera ad una cena con l'intera cattedra e il suo sguardo, per il quale fino a quel momento ero stata invisibile, si rivolse a me.
Non tradii particolari emozioni: "Volevi chiedermi qualcosa?"
"No. Volevo semplicemente vederti e stare con te."
A quei tempi avevamo poco tempo e i nostri ruoli spesso ci relegavano in delle categorie poco conciliabili, costringendoci a delle conversazioni per lo più effimere o professionali. Tuttavia camminare semplicemente l'uno accanto all'altra, per i grandi corridoi dell'università, valeva più di mille discorsi.







 
*** ****
Angolo dell'autrice: Non so se una storia del genere possa interessare, ma credo che tutto sommato andasse scritta.

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Capitolo 2
*** Prima lezione ***


Ai tempi avevo da poco iniziato l’università, carica di progetti, di aspettative e di tanta voglia di fare. Non ricordo neanche quando decisi di voler fare il Pubblico Ministero, ricordo solo che ero molto piccola e non arrivavo al cruscotto della macchina, nella mia posa poco aggraziata sul sedile del passeggero.
Ero con mia madre, con la quale mi passavo poco più di 24 anni, mentre alla radio passavano De Andrè e lei cantava allegra il motivetto del ritornello.
Mamma voglio fare quello che parla tanto con il mantello nero davanti a tante persone!
… uhm… così non si capisce molto, Ele
Dai lo abbiamo visto l’altro giorno in tv!
Ah! Parli del maxi processo.. Piccola peste, vuoi fare l’avvocato????!!
Non so come si chiami, ma a piaceva quello che stava da solo e che tu hai detto combatteva per la giustizia!
ahahah Ele, quello si chiama Pubblico Ministero. Vuoi diventare un magistrato?
Se si dice magistrato, sì!”.
Era iniziata così la mia passione per il diritto e la mia vita da sempre era girata intorno al concorso di magistratura. La scelta del liceo, come migliore strumento per affrontare l’università e infine l’inizio dei corsi.
A dire il vero, il primo semestre prevedeva solo Istituzioni di diritto romano, Filosofia del diritto e Diritto Pubblico. Non mi sentivo ancora in mentalità “giurista”.
Le mie giornate erano piuttosto scadenzate tra corsi e libri, anche se per la verità non ero mai stata una studentessa da studio costante ed equilibrato. Ero sempre stata una da “studio matto e disperatissimo” a poco tempo dalla prova. In quel marasma di persone, specie a Roma dove si radunavano molti studenti fuori sede provenienti dal sud, avevo conosciuto Marco. Un ragazzo della mia età, molto in gamba ed estremamente brillante, oltre che appassionato: sebbene il suo sogno fosse semplicemente ottenere una posizione prestigiosa, entrando nell’Avvocatura dello Stato, ci trovavamo bene insieme.
Tutti trovavano che fossimo una coppia piuttosto affiatata e ben assortita: lui studioso e intellettualmente impegnato, io molto meno “ordinata” ma sufficientemente ambiziosa. Di certo, ai tempi, dovevo spiccare particolarmente rispetto alle altre mie coetanee.
Si dice che giurisprudenza sia il covo della bellezza femminile e non a torto: di ragazze molto graziose è pieno, ma onestamente mi sono sempre sembrate tutte uguali. Loro non andavano ai corsi, loro si preparavano per una sfilata di moda al centro di Milano.
Ricordo ancora la mia incapacità di integrarmi in certi meccanismi. Io andavo all’università in felpa e tuta, in fondo che senso aveva “acchittarsi” per seguire una lezione?? Dovevo essere comoda! E poi ammettiamolo, ai tempi, davvero non avevo scoperto di essere una donna: il trucco era un evento raro, i vestiti nel mio armadio erano drammaticamente pochi e dedicati a occasioni più che speciali, giacche non ne avevo ancora mai viste e i capelli erano spesso raccolti in una coda.
Reputavo, tuttavia, di avere qualcosa che la maggior parte delle ragazze e dei ragazzi lì dentro non avevano: la passione.
Iniziò così il mio primo anno, seguivo le lezioni di filosofia del diritto e il professor Testa era veramente in gamba, con lui ho forse fatto veramente filosofia per la prima volta, nonostante i miei studi classici. Intervenivo spesso durante le lezioni, ero curiosa e mi ero innamorata della materia. Mi mancava la letteratura classica, a tratti sentivo giurisprudenza molto asettica rispetto alla mia natura e alla mia indole, tuttavia, quelle ore mi permettevano di rimanere fedele a me stessa.
Ovviamente si sa, ricevetti moltissimi soprannomi dai miei colleghi, i quali erano convinti che lo facessi per farmi notare dal professore. D’altronde a Roma Tre, Filosofia del diritto nel mio canale era una grana per moltissimi studenti, ma non mi sono mai curata dell’opinione altrui e non aveva senso iniziare proprio allora.
Il professor Testa, un uomo sulla sessantina, faceva sempre lezione con in bocca una pipa spenta, che puntualmente accendeva durante le pause e questo gli conferiva un’aria da nonno che racconta le favole ai propri nipotini. Credo che ci abbia lasciato una grande lezione, di cui in particolare un principio mi è rimasto sempre impresso: “il farmacon”. Non c’è cura che non sia anche un po’ veleno.
Il professore era solito tenere dei convegni, anche con professori di materie molto più rilevanti nell’ambito del percorso formativo di uno studente: tutti lo tenevano in grande considerazione, e la sua pacatezza diffondeva un senso di beatitudine, il che spingeva molti studenti, anche più grandi e meno stupidi dei miei coetanei che vedevano in filosofia del diritto una materia del tutto marginale, a stare attorno alla sua figura nella speranza di imparare a gestire il tempo e la vita, con la sua stessa serenità.
Un giorno ero a lezione, mi reputavo soddisfatta della giornata trascorsa in aula come sempre, quando il professor Testa attirò la nostra attenzione, parlandoci di un convegno che si sarebbe tenuto in settimana “sull’arte dell’esprimersi”. Appresi velocemente il luogo e l’ora dell’incontro e come era forse fin tropo prevedibile da parte mia, mi presentai al convegno avida di sapere.
Guardai la commissione che avrebbe relazionato: c’era il professor Testa che serenamente rideva con un collega, quello che poi avrei appreso essere il professore di Teoria Generale del diritto e alla sua sinistra c’era un ragazzo, la targhetta sotto di lui diceva “Prof. Lupo. Diritto privato”. Lo guardai incuriosita, era decisamente molto giovane per essere un professore, ma non mi soffermai troppo sulla sua figura.
Stavo aspettando l’inizio della discussione e decisi di mettermi comoda, ero la sola del mio corso a partecipare a quel convegno, ma mi resi conto che attorno a me c’era una discreta percentuale di ragazze più grandi e di signorine vestite in tailleur che ammiravano estasiate la cattedra. A quanto pare non ero l’unica a subire il fascino del professor Testa.
Il convegno finalmente iniziò, ma lo spazio dedicato a filosofia non era poi molto, così disinteressata ascoltai anche il resto: “È importante che i ragazzi, all’inizio del loro percorso formativo, imparino a relazionarsi con il linguaggio giuridico, un linguaggio tecnico e difficile. In particolar modo, il diritto privato non lascia scampo a chi non sa dedicarsi allo studio delle parole o si approccia superficialmente alla materia giuridica.
Reputo che il professor Testa stia facendo un ottimo lavoro con le matricole che al prossimo semestre dovranno affrontare il diritto privato e mi auguro che seguano vivamente i suoi consigli…
Allora qualcuno di sensato in questa università c’era!
Finalmente il convegno terminò e io mi avvinai al professor Testa che ovviamente mi aveva visto tra l’utenza e mi aveva sorriso, ormai avevamo spesso un confronto sebbene io non potessi paragonarmi a lui, avevo comunque una buona preparazione classica che mi permetteva di seguirlo e fare osservazioni e dare spunti durante la lezione.
Il professore stava parlavano con gli altri membri della commissione, mi avvinai piuttosto timida. Lui mi vide e mi sorrise bonariamente:
Le è piaciuto il convegno?
Moltissimo professore, ho trovato particolarmente interessante il passaggio dell’Antigone..
Lui si aprì in una risata contagiosa e i suoi vicini si girarono tutti nella nostra direzione, mentre io volevo sprofondare, ma il peggio doveva ancora arrivare.
Signori, vi presento una delle studentesse più brillanti che abbia conosciuto!
A quel punto, presa in contropiede visto che il professore non aveva mai accennato a nulla del genere, divenni rossa come un peperone finché incontrai degli occhi color nocciola:
Beh, è davvero raro sentir parlare di uno studente in questo modo dal professore!”. Era il ragazzo che era seduto dietro alla targhetta “Prof. Lupo”: mi sorrise dolcemente e mi presi qualche secondo per osservarlo.
Era bello, decisamente, non di quella bellezza da tv, ma di quella derivante dalla sicurezza da sé, dalla propria indipendenza e sicuramente da un buon aiuto da parte di Madre Natura.
 Aveva i capelli scuri e gli occhi color nocciola, le labbra carnose e una statura media, vestiva con un completo blu che gli donava perfettamente e teneva le braccia incrociate per sorreggere un plico di fogli che supposi fossero appunti per la relazione appena tenuta.
Distolsi lo sguardo dal suo così penetrante e presi coscienza del perché quel convegno era pieno di ragazze: il professor Testa non c’entrava nulla. Erano lì per lui. Lui che non aveva un nome ma che di certo non poteva essere un professore, sicuramente si era trovato ad effettuare una sostituzione.
Rimasi nell’aula ancora per qualche minuto prima di andarmene, e quando mi girai per guardarmi indietro un’ultima volta, lo vidi sorridere affabile a delle colleghe e alle ragazze radunate attorno a lui. Di certo sapeva l’ascendente che aveva sulle donne e lo sapeva usare. Non credo avrebbe mai notato una come me, in tuta, senza un filo di trucco e sempre di corsa, però quel desiderio di conoscerlo nacque in me ma si spense con la stessa naturalezza del tramonto del sole ogni giorno, il giorno dopo mi ero già dimenticata di averlo incontrato.
 
Finché non arrivò il secondo semestre, da lì iniziò tutto.

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Capitolo 3
*** Seconda lezione ***


seconda lezione 2.0

Signorina, si è divertita a preparare quest’esame?”, mi disse con un sorriso soddisfatto sulle labbra.

Moltissimo!”, risposi spontanea e solare. Ci tenevo a quella prova, l’avevo studiata con vivido interesse e amore incondizionato. Il professor Testa prese il mio libretto, ma non prima di chiedermi con aria di finta sfida:

Ah, da dove viene la parola vittima?

Da vinctus! Essere vinto
Perfetto…

E così dicendo sotto i miei occhi sognanti scrisse un trenta e lode, che lessi con le labbra incredula, mentre i miei amici, ai primi banchi echeggiarono con un tono di voce eccessivamente alto “TRENTA E LODEEEE????!”. Effettivamente non era facile prendere un voto alto in quella materia, ma per me era stato molto più semplice innamorandomi dell’insegnante e della materia.

Scesi dal piano rialzato dove si trovava la cattedra e salutai i miei compagni, avrei scoperto amaramente col tempo che non avrei dovuto fidarmi di nessuno di loro.

Come sempre, finita una prova, presi il telefono e chiamai prima mia madre, poi le mie due zie, che facevano coppia ormai da quindici anni, e mia nonna. Mi lasciavo sempre le chiamate migliori alla fine, così chiamai la mia più cara amica:

Ehi Ale!

Oh secchioncella! Allora?? Hai preso sto trenta??

Veramente no..”
Come no??? Dai è irrealistico! Chi devo picchiare?

Ale..ho preso trenta e lode!” E scoppiai in una risata che contagiò anche lei dall’altra parte del telefono.

Sei sempre la solita, teppista! Brava! Senti ora scappo in aula, ci vediamo nel week end ok?

Va bene! A dopo!

Alessandra era una matricola di ingegneria civile ed era il mio esatto opposto, anche fisicamente. Lei era mora corvina, occhi scuri, alta, con una siluette invidiabile e la carnagione scura. Io dal canto mio, ero rossa ramata, occhi cangianti tra il verde e il nocciola, statura decisamente bassa, sebbene non fossi così bassa da prendere epiteti come “nana”, “gnoma” et similia e avevo una pelle troppo chiara che i più poetici definivano diafana, i più sinceri pallida.

Alessandra era poi una persona estremamente pacata e razionale, in realtà lo ero anche io ma spesso non riuscivo a limitare le mie emozioni più forti e questo ci portava a discutere, come quella volta in secondo liceo che rimase piuttosto storica negli anni del gruppo.

Non posso crederci, Ale! Veramente tu vuoi che il nostro Paese resti così???! Non ti interessa nulla che ci sia qualcuno che ci sta mangiando il futuro??
Eleonora, che cavolo vuoi?? Ma valla a sconfiggere tu la mafia! Te e il tuo codice etico del cazzo! Non puoi pretendere che siano tutti come te!”.

Alla fine a distanza di anni, ancora ci ridevamo sopra.

Il nostro non era affatto un rapporto facile, anzi, spesso eravamo dovute venirci incontro. Così diverse eppure così complementari, avevamo fatto della nostra diversità un punto di forza e dopo cinque anni a lavorare su noi stesse al liceo, ora mi sentivo sicura della nostra amicizia.

Alessandra non era affatto facile, era guardinga, pacata e razionale, non si fidava facilmente delle persone, le lasciava entrare con estrema difficoltà nella sua vita. Io ricordo di averci messo diversi mesi prima di iniziare a conoscerla davvero, sebbene dal Novembre del primo anno fossimo compagne di banco. Lei amava tutelarsi, riusciva a stare sempre tre passi avanti a me e a capire chi aveva di fronte, io non ci riuscivo. Mi fidavo sempre troppo delle persone e lei me lo diceva sempre, arrabbiandosi. Perché vedete, Alessandra aveva un motivo per difendersi: sapeva poi amare incondizionatamente. Una volta superata la sua barriera, lei ti dava tutta se stessa e sarebbe venuta dall’altra parte del mondo se solo io ne avessi avuto bisogno.

Era un’amica formidabile, sebbene non fosse quasi mai d’accordo con me, ma senza di lei probabilmente avrei fatto molte più cazzate. Lei così calma e serafica, io così chiassosa e estroversa: alla fine, eravamo due facce della stessa medaglia e dopo averci conosciuto, nessuno metteva in dubbio che si trattasse di amicizia.

Chiusa la telefonata con Ale, tornai da Marco e dai miei compagni per salutarli, stranamente avevo finito un esame in un orario più che decente, quindi avevo veramente voglia di tornare a casa e riposarmi un po’, magari giocando a qualche videogioco o vedendo qualche anime.

Avevo deciso che a una cosa non volevo rinunciare: alla parte più fanciullesca di me, il fatto di essere una brava studentessa, non cozzava, a mio avviso, con la mia passione per anime, manga e videogiochi.

Con un sorriso goliardico mi diressi verso l’uscita dell’università, era mezzogiorno, camminavo spedita con la testa piena di pensieri: avevo finito la sessione e gli esami erano andati decisamente tutti per il meglio. Dovevo avere un sorriso stampato in faccia non indifferente che mi rendeva irrilevante qualsiasi cosa di negativo mi succedesse accanto. Forse ero semplicemente troppo presa dal mio ottimismo per rendermi conto che qualcuno mi stava guardando, appoggiato elegantemente ad un muro del corridoio, nascosto in mezzo ad altre giacche e cravatte.

Si incamminò verso di me e mi sorpassò, ma non me ne accorsi finché un forte profumo di colonia non mi invase. Per un attimo mi fermai e cercai di capire da dove potesse venire quell’odore, ma non trovai nessuno accanto a me né nelle vicinanze perché lui aveva già girato l’angolo, diretto al vecchio edificio dove si trovava il dipartimento di diritto privato.

***

Ed eccomi lì, a rincorrere l’autobus e a pregare con gli occhi il guidatore di aprire le porte: purtroppo anche pensare molto intensamente “per favore, per favore, per favore apri!”, non aiuta una povera ragazza di Roma, perennemente in ritardo, a salire sull’autobus che ha appena perso per arrivare puntuale alla lezione di diritto privato.

Mentre con passo spedito, a tratti correndo, raggiunsi la facoltà e mi fiondai sui grossi schermi che indicano le aule preposte alle specifiche materie. Peccato che la schermata scorreva sempre molto lentamente, Andiamo! Andiamo! Andiamo!, pensavo fra me e me ed ecco finalmente:

 

ORE

AULA

MATERIA

PROFESSORE

14,30

1. 06

Istituzioni di diritto privato

Prof. Lupo

Perfetto! Aula 1.06! Dove cavolo sta l’aula 1.06??? Chi l’ha mai sentita??

Cercai di respirare con calma, ero in ritardo solo di quindici minuti alla prima lezione del corso più importante del primo anno e in occasioni simili, pensavo ad Alessandra che mi diceva “Non ti impanicare! Respira ed espira!” e lo ripeteva tipo mantra, cominciai a calmarmi, tutto volevo tranne che un atto di panico in mezzo al corridoio.

Ehi, ti vedo in difficoltà. Cerchi le lezioni del professor Lupo?

Mi girai per vedere il mio salvatore, l’angelo sceso dalla terra per venire in mio soccorso, con quella voce suadente e quella sicurezza tipica del figaccione in un anime di bassa lega. Mi trovai, invece, di fronte un ragazzo poco più alto di me, dall’aspetto dubbio e dall’abbigliamento confuso, ma con un sorriso sincero, gli fui estremamente grata per avermi notato.

Sììì! Ti prego aiutami!” Dissi sull’orlo della disperazione. Evidentemente non si aspettava tanta sincerità e scoppiò a ridere di gusto:

Stai tranquilla! Il professor Lupo non viene mai in orario, anzi è probabile che non sia ancora arrivato o che proprio non ci sia! L’aula 1.06 non è in questo edificio, ma nel vecchio che si trova qui affianco. È facile da trovare, è al piano terra, ma vieni, ti accompagno. A proposito, che maleducato: mi chiamo Emanuele..” e mi porse la mano.

Piacere, Eleonora! Grazie, ma davvero non c’è bisogno che ti scomodi! Penso di avere tutto chiaro”. Bugia, enorme bugia. Non ho mai avuto il minimo senso dell’orientamento e sono capace di non trovare la strada che è la parallela di quella su cui sto, ma per fortuna il mio principe azzurro alla Shrek non mi credette.

Non preoccuparti, ho comunque delle cose da fare in dipartimento. Insomma, sei una matricola, eh?

Voleva fare conversazione, bene. Perché le persone poco loquaci mi mettevano sempre a disagio, mi piaceva conoscere le persone. Il genere umano mi incuriosiva, tutto.

Sì, primo anno! Com’è il professor Lupo?” Mentre ci incamminavamo uno affianco all’altro, non trovai argomento più pertinente che l’esame più importante per chi si trovava ad iniziare.

Lui si passò la mano sul mento, alzò gli occhi verso l’alto come a cercare una sorta di ispirazione, forse per trovare le parole più idonee e alla fine, soddisfatto della conclusione raggiunta, iniziò:

Beh, il professor Lupo è una maledizione in questa università. Lo sanno tutti ed è inutile che te lo nasconda: l’esame con lui è difficile, ma non è un professore che va ad umore, come accade spesso purtroppo. Ma non ti aspettare la clemenza, fa diritto privato e non scherza. La sua commissione poi.. tutta siciliana come lui, tutti ferrei e non troverai nessuno disposto a farti sconti.

In particolare ci sono due assistenti che se puoi è meglio se li eviti: Dante Palermo e Andrea Mari. Uno più stronzo dell’altro, credo che ci trovino gusto a metterti in difficoltà! Però sono convinto che studiando, si passa!

Ok, Dante Palermo e Andre Mari. Nel frattempo avevamo superato le librerie alla sinistra della facoltà di giurisprudenza e mi trovavo di fronte un edificio imponente, degli anni ‘60 ma ben tenuto: finestroni grandi, un cortile d’ingresso e uno stile ricercato. Mi piaceva, era accogliente, con le braccia dell’edificio che ti correvano attorno, sembrava quasi ti volesse abbracciare e al centro c’erano due bellissimi alberi: un salice piangente e una magnolia.

Emanuele avanzò verso il cortile, camminando in mezzo ai due grandi alberi e salì la piccola rampa di scala, mentre io ancora estasiata guardavo l’ambiente intorno a me con il naso all’insù.

Cosa c’è qui?? Come mai, pur facendo giurisprudenza da sei mesi, non conoscevo questo posto?

Questo era l’edificio utilizzato prima per la facoltà di economia, ora però c’è una nuova sede molto più moderna. Come puoi vedere è diventato una specie di scatolone che raccoglie corsi di quelle facoltà che non hanno abbastanza spazio. Principalmente troverai lezioni di diritto privato e scienze della formazione. Ecco perché molto studenti non vengono spesso. È un ottimo posto in cui studiare..

Stavo per salire a mia volta le scale, quando notai qualcuno, in piedi, dietro il vetro di una finestra del primo piano, non si vedeva bene perché delle grosse tende bianche nascondevano la figura e non avrei saputo dire con esattezza se si trattasse di un uomo o una donna perché il sole in quella posizione mi entrava prepotentemente negli occhi. Cercai di indagare ancora per qualche istante, prima che Emanuele richiamasse la mia attenzione:

Eccoci qui, è facile da trovare: basta salite le scale del cortile e ti trovi davanti l’aula 1.06!

Rinunciai al piccolo mistero di quella giornata e lo raggiungi. Scoprii, con estremo sollievo, che effettivamente le lezioni non erano ancora cominciate e un frastuono veniva dai banchi.

Ora ti saluto matricola, devo andare. In bocca al lupo!

Crepi! Grazie per avermi accompagnato! Buona giornata”. Stavo per entrare quando una domanda mi venne in mente e mi girai verso le spalle della mia guida che aveva già iniziato a percorrere il lungo corridoio e alzando la voce, gli chiesi

Ehi Emanuele, ma tu come hai fatto a superare questo esame??

Si girò di tre quarti e sorridendomi mi rispose:

Io?? Beh io sono dell’altro canale!”. Sorrisi sinceramente per la spontaneità e per la linguaccia che mi aveva fatto e mi decisi ad entrare in aula, dove trovai i miei compagni già seduti a chiacchierare.

***

La lezione era iniziata con più di quaranta minuti di ritardo. Il Professor Lupo era un uomo sui sessanta, con uno spiccato accento siciliano, che sicuramente aveva ormai abbandonato l’entusiasmo dell’insegnamento. Ricordo ancora quando ci disse che il diritto privato, in particolare il diritto di famiglia, andava studiato vedendo Beatiful perché là sì che ci sono intrecci non indifferenti.
Il professore era arrogante e le sue lezioni erano estremamente difficili da seguire, non solo per la complessità della materia in sé, ma perché non spiegava in modo lineare, spesso salvata le lezioni e amava ridicolizzarci come quella volta, ad una delle sue prime lezioni, in cui ci chiese la differenza tra atto e negozio giuridico.

Non c’è nemmeno un genio fra di voi?” chiese scocciato e Marco, accanto a me, iniziò a diventare intollerante nei confronti di tanta arroganza. Mi disse qualcosa all’orecchio che mi fece ridere e mi procurò un brivido, d’altronde era il ragazzo con cui uscivo ai tempi ma il professore non apprezzò lo scambio e interruppe il suo sproloquio per chiedere a Marco cosa ci fosse di divertente nel contratto.

Beh professore, onestamente mi chiedo come potremmo riuscire a rispondere alle sue domande, o più semplicemente a capire se il corso è appena iniziato e non abbiamo ancora neanche le basi per comprendere quello che ci sta dicendo”. Marco era intelligente, ma tremendamente presuntuoso.

Oh, un temerario dunque! E secondo lei ridendo risolve la questione?

No, ma magari confrontandomi con la mia collega riuscirei a capire più che se ascoltassi.

Perfetto. Dramma. Ora sì che l’esame lo avrei passato l’anno del mai, grazie Marco. Di cuore. Stavo pensando alle peggiori torture a cui sottoporlo quando il professor Lupo si rivolse anche a me:

Lei condivide la posizione del suo collega?

Presi un importante respiro e risposi, sapendo che sicuramente mia madre e Alessandra mi avrebbero picchiato per questo:
Temo di sì, professore. La lezione non è affatto chiara”.

Addio diritto privato, addio sogni di gloria e addio concorso in magistratura. In quel momento mi vidi a trent’anni a fare la babysitter, a lavorare in un supermercato o chissà a fare cosa, avendo abbandonato ogni speranza di laurearmi, ma purtroppo a fingere non ero mai stata una campionessa. Il professore però ci stupì:

Beh sarà una fortuna che verrò sostituito da domani, così voi non sarete costretti, come di fatto non lo siete, a sottoporvi alla mia lezione e io non sarò costretto a subirmi la vostra ignoranza.. 

A quell’affermazione, l’aula prima sopita sembrò risvegliarsi come i fiori a primavera e un vociare, prettamente femminile, iniziò ad alzarsi. Riuscii a capire qualche frase, senza però mettere a fuoco il soggetto: Speriamo venga lui!, Sì certo che viene lui, come l’anno scorso!, Ho sentito dire che è bellissimo e bravissimo, A me ha fatto l’esame lo scorso anno, tostissimo però è un fenomeno a fare lezione, Ma ce l’ha la fidanzata?, Finalmente venire qui all’ora di pranzo avrà un senso!.

Che fastidio, sembravano un branco di oche liberate dopo un anno di prigionia. Erano tutte euforiche, o almeno quasi tutte: poi c’eravamo noi, le matricole che non sapevamo assolutamente nulla. Come i mie colleghi brancolavo nel buio, eppure c’era una piccola luce, qualcosa che mi diceva che ne sapevo di più, una sensazione strana come quando hai l’impressione di aver dimenticato qualcosa ma non ricordi cosa.

Per quanto mi sforzai non riuscii quel giorno ad arrivare ad alcuna conclusione soddisfacente, chiesi aiuto anche a Marco, ma i nostri tentativi non portarono da nessuna parte.

A cena, mia madre mi chiese come si era svolta la mia giornata e mi interrogò sul rapporto con Marco, avevamo sempre avuto un legame particolarmente confidenziale.

Mah, le cose vanno bene. Marco è molto intelligente, mi trovo bene con lui, è curioso come me. A volte è un po’ noioso lo ammetto e tende a fare un po’ troppo il professore, ma è un bravo ragazzo. L’unico che vale la pena avere accanto…

Ti piace?” mia madre mi scrutò attentamente.

Certo, Mamma!” Lei si fece scettica.

Uhm sarà... Però l’amore non è questo Ele, non ti vedo presa…

Lo sai che non mi faccio coinvolgere. Voglio fare il Pubblico Ministero Antimafia, onestamente una relazione ora sarebbe solo d’intralcio

Stavolta mamma Carola mi guardò dispiaciuta, abbassò gli occhi e con un soffio di voce commentò

Mi dispiace, si vede che non ti sei mai innamorata…

Mi intristiva vedere mia madre rammaricarsi per quello che era accaduto tempo fa, pensava sempre che la mia incapacità di creare legami duratori fosse colpa sua, ma stavolta convenni con lei: “Già, forse no…” e mangiai un po’ di pane. A tavola c’eravamo solo io e lei, mi sorella aveva solo sette anni e stava già dormendo, la famiglia era al completo così.

Stavo per sparecchiare, quando mia madre mi guardò dritto con i suoi occhi azzurri e la serietà con cui si rivolse a me mi stupì:

Hai solo vent’anni, Ele. Il mondo è ai tuoi piedi. Dovresti buttarti, devi essere in condizione di scegliere non di farti scegliere. Puoi avere tutto dalla vita, anche quello che ti spaventa. Non aver paura di affezionarti, sei giovane e la tua vita non finirà certo per una delusione d'amore, se fosse. Quindi prendi il coraggio e ascoltati. Non essere codarda, hai tutta una vita per stare sulle tue, per ponderare, per scegliere... Ora sei giovane, e a differenza di tanti, sei anche molto bella. Quindi prenditi quello che vuoi, o almeno provaci. Non ti accontentare, mai.”

E detto questo, se ne andrò in camera lasciandomi come un’ebete al centro della cucina con in mano ancora i piatti sporchi.

Tornò nuovamente a farmi visita quella sensazione di irrisolto che mi aveva colpito nel primo pomeriggio in aula, ma non avrei mai pensato che le parole di mia madre si rivelassero una profezia collegata a quello strano sentimento di vuoto.

 

 

 

Angolo dell’autrice: Io vi ringrazio di cuore, davvero. E’ la prima volta che scrivo qualcosa con dei personaggi originali e non mi aspettavo una simile accoglienza. Anche per messaggi privati, siete carinissime. Le recensioni, che siano positive quanto negative, mi spronano ad andare avanti e mi fanno scrivere come un fiume in piena. Avevo deciso di aggiornare una volta a settimana, ma grazie a voi, la voglia di andare avanti ha prevalso anche sul lavoro. Dunque, eccomi qui.

Lo so che il personaggio maschile ancora non si è palesato, ma non sempre la vita ci mette subito davanti l’oggetto dei nostri desideri e forse quando lo fa, neanche lo riconosciamo. Ecco, diciamo che per Eleonora sarà un’avventura difficile, ma spero che facciate il tifo per lei. Ho usato questo secondo capitolo per introdurvi meglio nella mentalità e nello stile di vita della protagonista, Alessandra e mamma Carola avranno un ruolo fondamentale per la sanità mentale di Eleonora!

Attento le vostre recensioni per sapere se vi ho annoiato o meno, cercate di portare pazienza. Lui arriverà =) Un grazie a La Birba e a Beatrice29, nonché a siuri1 che finora ha recensito ogni capitolo e la cui storia, ne approfitto per dirlo, è scritta benissimo ed è fantastica.

Al prossimo aggiornamento! Buon week end!

Soc.

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Capitolo 4
*** Terza lezione ***


Terza lezione 2.0

Buongiorno apprendisti giuristi, io sono il dottor Dante Palermo e da oggi sostituirò il professor Lupo nelle lezioni. Come potete facilmente notare dal mio spiccato accento siculo, nomen omen.

Mi rendo conto che a volte il mio Maestro sia particolarmente criptico e… intransigente, ma dovete sempre tener a mente che poter sostenere l’esame con lui, è per voi una grande fortuna. Non avete ancora gli strumenti per capirne l’importanza, ma il Professore è uno dei massimi esponenti della dottrina civilistica in Italia al momento. Se vorrete vi raccomanderò qualche suo scritto, non è mai troppo presto per formarsi come giuristi di un certo livello.

Il diritto privato è una materia estremamente complessa e variegata, vi potrà apparire come un labirinto senza uscita. Non vi nego che questa prova, la prima che vi troverete ad affrontare da quando vi siete iscritti, decreterà la vostra attitudine o meno alle materie giuridiche. Troppo spesso si pensa che giurisprudenza sia una facoltà usufruibile da tutti, purtroppo così ed è ferma convinzione di questa cattedra operare un discernimento tra coloro che sono in grado di proseguire e coloro che o per mancanza di impegno o di volontà non sono adatti alla carriera forense.

La nota quanto temuta rigidità della nostra commissione, tuttavia, è bilanciata da una grande disponibilità nei vostri riguardi, per cui durante tutto il semestre e finanche in sessione, avrete a disposizione molti dottorandi e dottori di ricerca nelle aule di ricevimento al primo piano di questo edificio.

Fatte le opportune premesse, è bene iniziare questo percorso insieme. Tratterò oggi del rapporto giuridico….”

Lo guardavo attentamente, come del resto l’intera aula prima di me. Il famoso Dante Palermo, me ne aveva parlato Emanuele giusto qualche giorno prima. Era schifosamente sicuro di sé, si vedeva dalla posa: con la schiena dritta, il petto ben esposto e le braccia elegantemente poggiate sulla cattedra. Non abbassava mai lo sguardo, ma lo faceva vagare per i banchi anche se non riuscivo a comprendere se lo facesse per questioni di giustizia o di equità o piuttosto per farsi notare. Sì, perché quel suo sorriso bianco e quegli occhi nocciola sembrano voler attirare violentemente l’attenzione su quel ragazzo in carriera che aveva appena cominciato la lezione.

Passarono diversi minuti e dovetti ammetterlo: era spaventosamente bravo. Fino a ieri ero convinta che il diritto privato fosse una materia oscura e particolarmente ostica, invece lui, a dispetto delle raccomandazioni che ci aveva fornito poco prima, sembrava rendere cristallino e banale qualsiasi concetto. Non c’era nulla che non stavo capendo fin dal principio e nessuno nell’aula, maschio o femmina, era distratto durante quella prima lezione. Tutti chini a scrivere appunti o a sfogliare il codice.

Ero inquieta, pervasa da una strana sensazione. Euforia forse? E per cosa? Per la materia? Per la serata che avrei passato con gli amici? O per lui? Era una bel ragazzo, d’accordo. Ma il mondo è pieno di bei ragazzi.. Andiamo Eleonora, guardati intorno! Tutte stravedono per questo tizio affabile e pieno di sé. Non cadere nel clichè! Cercai di non ascoltare troppo i miei pensieri rumorosi e riuscii finalmente a seguire la mia prima lezione sensata di diritto privato.

 

Prima che me ne accorsi, Marco, vicino a me, stava raccogliendo le sue cose per lasciare l’aula. Io ero ancora intenta a fissare i concetti che il dottor Palermo ci aveva spiegato, per dare un ordine anche a quelle parole del professor Lupo che a me erano apparse sconclusionate. Alzai lo sguardo verso di lui, sorrideva a un paio di ragazze più grandi che gli si erano avvicinate, mentre altrettante matricole cercavano di ottenere la sua attenzione per porgergli delle domande. Forse qualcosa non era risultato chiaro, o forse non era alla materia che erano interessate. Decisi che non fosse un mio problema.

Ele, noi andiamo a prendere un caffè. Tu che fai?” mi chiese Stefania, una delle ragazze del gruppo che si era formato nei primi mesi.

Arrivo subito, fammi finire qui e vi raggiungo

Ma che stai facendo?” intervenne Peppe, un ragazzo sufficientemente religioso quanto isterico e vanitoso.

Ho delle idee che mi sono venute in mente che vorrei fissare prima di perdere quel barlume di speranza che mi ha illuminato”. Marco rise e si incamminò verso l’uscita dell’aula insieme ad altri due colleghi.

Dunque, se il rapporto giuridico può basarsi tanto su un contratto quanto su un atto illecito, dov’è la differenza? Perché esistono due tipologie di responsabilità? Cos’è che aveva accennato il professor Lupo? … La relazione privilegiata! Ma certo, nel primo caso vi è un rapporto preesistente che non c’è nell’ipotesi in cui uno passa e mi sfascia la macchina a sfregio! Chiaro!

Mi appuntai queste ultime cose e chiusi il quaderno, mettendolo in borsa. L’aula si era svuotata, tranne il gruppetto del dottor Palermo, la cui voce riecheggiava, rimasto sull’uscio della porta d’ingresso. Controllai che non ci fossero altre uscite, non avevo veramente voglia di passargli accanto, anche se non ne sapevo il motivo ma qualcosa mi stava rendendo particolarmente nervosa. Purtroppo quell’edificio, seppur affascinante, aveva delle grosse mancanze.

Espirai profondamente e mi decisi a raggiungere gli altri. Lui stava dando le spalle all’aula, nel suo completo blu e i capelli neri perfettamente curati: avrei dovuto interromperlo perché tanto nessuna delle sue interlocutrici avrebbe fatto caso a me.

Permesso…”, chiesi con un filo di voce che non era veramente da me.

Si girò e incontrai i suoi occhi color nocciola. Lui mi guardò fissa con uno sguardo tra il divertito e l’indagatore e con un sorriso si spostò per farmi passare. Mentre un forte profumo di colonia mi invase, lui disse con tono molto più basso rispetto a quello usato fino a pochi secondi fa:

Prego, studentessa raccomandata” e vi aggiunse una risatina.

Ero sufficientemente confusa ma non lo guardai e andai dritta per la mia strada. Dopo qualche passo, finalmente ricollegai tutto. Mi girai di scatto, con la bocca leggermente dischiusa per la sorpresa di aver ritrovato quel nocciola e quel caldo sorriso a distanza di mesi: era il ragazzo del convegno a cui avevo assistito per seguire il professor Testa.

Lui era ancora lì, mentre con le braccia incrociate tratteneva gli appunti della lezione appena svolta. E mi stava esaminando. Gli parlavano intorno ma lui stava vedendo solo me, quando comprese il mio collegamento, fece un’espressione che non avrei più dimenticato perché per la prima volta mi disse qualcosa senza proferire parola.

Ora hai capito, ce ne hai messo di tempo”.

Non aggiunsi altro a quel dialogo muto, mi girai e me ne andai da quell’edificio che sarebbe diventato per me inferno e paradiso.

*** *** ***

I mesi passarono veloci tra ammonimenti in aula, e discussioni vivaci ai tavoli del bar della facoltà.

Ricordo che stava sbocciando una bellissima primavera quell’anno, il cielo era spesso terzo e l’aula nel vecchio edificio dove si tenevano le lezioni aveva delle grosse finestre e una porta che davano sul retro, ove si trovava un piccolo cortile interno. Se ci si sedeva ai banchi, in completo silenzio, era possibile ascoltare il canto degli uccellini e il suono della vita che tornava a risvegliarsi e forse anche qualcosa in me sembrava essere cambiato.

Ero sempre stata piuttosto empatica con la natura, ma in quel periodo riuscivo ad apprezzare particolarmente quell’ambiente bucolico che spesso ci permetteva di conversare all’ombra di grandi pini o magnolie. Un piccolo angolo di tranquillità che non aveva nulla a che spartire con il resto della convulsa e confusionaria facoltà di giurisprudenza: in quei mesi vedevamo le giornate allungarsi sopra le nostre teste, mentre si cercava di sviscerare l’enorme tomo che avrebbe fatto da protagonista alla nostra prossima estate.

La classe era euforica, sebbene ognuno avesse un motivo diverso. Ammetto che tutte quelle chiacchiere sul dottor Palermo iniziavano a infastidirmi, sembrava un dio greco sceso sulla terra. A ben vedere era sì un cucciolo d’uomo interessante e sicuramente degno di attenzioni, ma non si trattava certo di una bellezza leggendaria e tutto il chiacchiericcio attorno a lui era drammaticamente proporzionale allo scarso impegno delle studentesse che si presentavano al suo ricevimento.

La prima volta che mi trovai a passare per il primo piano dove il dottor Palermo riceveva, mi sorpresa la fila delle ragazze in attesa. Sì, erano solo ragazze che più che ad un ricevimento universitario sembrava si preparassero per il provino a Miss Italia.

Ero frustrata e per una qualche ragione che al tempo non realizzai, il protagonista di cotanto interesse iniziò a non starmi simpatico, anzi sarebbe più corretto dire che la mia iniziale curiosità nei suoi confronti si trasformò ben presto in una spiccata insofferenza nei suoi riguardi. Più lo guardavo e più mi innervosivo: lui se ne stava lì, serafico, a tenere la sua lezione e a guardarci in quel modo determinato e penetrante, parlando del diritto privato come se ci stesse raccontando della sua amante. L’amore che quel ragazzo provava per la materia era tangibile, i suoi occhi si illuminavano quando riscontrava in noi la conferma di aver compreso i suoi ragionamenti e poi aveva questa capacità sconvolgente di trasformare il metallo grezzo in oro: ci rendeva cristallino anche l’argomento più complesso.

Lo guardavo e pensavo che fosse bellissimo. Non bellissimo come un modello in una rivista o in un cartellone pubblicitario, lui aveva quella bellezza tipica di chi ha la fortuna di fare ciò che ama. Se ne dicono tante sull’università e sul suo meccanismo, ma non avrei mai pensato ad un altro posto per il dottor Palermo. La sua sicurezza, la sua determinazione, la sua preparazione e la sua immensa disponibilità ci trasmettevano la voglia di fare, di andare avanti: in una parola, di migliorare.

E io lo detestavo, più lui sorrideva e rispondeva alle nostre domande, più qualcosa in me mi rendeva dispotica e mal posta. A mio discapito, tengo a precisare fin da ora, che la compagnia che mi scelsi non brillava per intelligenza e originalità, come avrei dovuto capire fin da subito.

Ieri me ne stavo al cinema, avete presente quello sul raccordo, no? Beh parlavo del corso con Lucrezia, e stavo appunto dicendo quanto fosse figo il dottor Palermo e ..beh, non ci crederete, me lo sono ritrovato dietro! Mi ha sorriso e ringraziato e mi ha detto che ci saremmo visti a lezione! Che figuraccia!!”, detto ciò la scopetta parlante scoppiò a ridere, coinvolgendo gli altri interlocutori.

Sono sempre stata una razionalista, dunque, analizziamo i dati. Una sottospecie di modella, di quelle che si fanno fare i book da amici fotografi semi professionisti e che ahimè si credono anche belle, avrebbe incontrato il dottor Palermo ad un cinema notoriamente frequentato da ragazzi universitari e si sarebbe ricordato di lei? Ah beh, il vestiario non lasciava sicuramente spazio all’immaginazione, il che potrebbe risultare interessante se non fosse stato che si presentava grosso modo come una divisa condivisa dalla stragrande maggioranza delle ragazze in aula, alla ricerca spasmodica di attenzioni. Il trucco, tutt’altro che velato, raccontava una storia bel diversa dal comportamento diligente e rispettoso mostrato a lezione.

Mi convinsi che fosse una storia inventata di sana pianta e non gli diedi troppo peso, anche perché a proposito di peso, ero convinta che con una folata di vento più forte mi sarei sbarazzata di quest’oca parlante di 40 chili appena.

Se non fosse che dopo pochi minuti, si affacciò il tanto chiacchierato dottor Palermo, il quale incamminandosi verso l’ingresso dell’aula si rivolse direttamente al gruppo:

Buongiorno, spero che vi siate divertite nel week end perché avremo una settimana molto impegnativa. L’esame si sta avvicinando!”, neanche a dirlo fu subito preso d’assalto e io rimasi in disparte a guardare la scena: suppongo che non mi sarei dovuta stupire quando l’oca starnazzante poggiò involontariamente la sua mano sul braccio del dottor Palermo, il quale però con un cordiale sorriso si rivolse verso di lei, dandomi le spalle.

Perché? Perché tutte su di lui? Cos’ha di così speciale?? Sì va bene, è carino e poi? È bravo. Ok e poi? Non capiscono che più fanno così, più alimentano il suo ego?! Guardalo come fa il gallo!

Mentre dentro in me ero preda di un attacco di cattiveria gratuita, il dottor Palermo mi guardò, mentre un branco di ragazze eccitate scodinzolavano intorno a lui.

Quello sguardo fu la goccia che fece traboccare il vaso, lo presi come una sfida e quel giorno decisi non solo di saltare la lezione, ma decisi che sarei diventata una giurista migliore di lui, così da non sentirmi più così piccola e distante.

Seppi solo molto tempo dopo la risposta che il dottor Palermo diede alla mia collega quel giorno.

È importante sapersi distendere nel tempo dedicato al riposo, ma è altrettanto fondamentale capire quando tornare al proprio posto.”  

 

 

 

 

 

 

 

*** *** ****

Angolo dell’autrice: Mi spiace moltissimo per il ritardo, so che avevo promesso ad alcune di voi di aggiornare presto, ma per chi è del settore, dovrebbe essere noto che a dicembre per noi giuristi si è tenuta una prova importante. Per cui, incrociando le dita, iniziamo questo nuovo anno, andando avanti nel racconto.

Ammetto che ci tengo particolarmente perché ho in mente da molto tempo di raccontare questa storia, e sono contenta che ci sia qualcuno disposto a leggerla. Grazie mille, a tutte voi.

Accetterò qualsiasi commento, ma vi prego di lasciarne perché solo così si può crescere. Non vi dico che vi accontenterò, ma spero di poter creare una valido dialogo con voi lettori.

Un ringraziamento speciale a siuri1, fedele e corretta lettrice, nonché ottima scrittrice e ad angyblu per le splendide parole di incoraggiamento. Trovo che non ci sia niente di più bello che sentirsi dire “come lettrice mi hai conquistato fin da subito”.

In realtà avevo ancora qualcosa da aggiungere, ma non era finito e ho deciso di rimandare e pubblicare questa parte intanto! Spero vi sia piaciuta.

Alla prossima e buon anno!

 

Soc.

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Capitolo 5
*** Quarta lezione ***


quarta lezione

Avevo ormai deciso che sarei diventata una giurista migliore del dottor Dante Palermo, ma la verità era che l’impresa si dimostrava essere molto più complessa del previsto. La mia arroganza mi stava costando cara, specie con riguardo alla mia autostima: ero solo una studentessa alla sua seconda sessione d’esami e mi rendevo sempre più conto di come gli ammonimenti del dottor Palermo fossero spaventosamente veritieri. Il diritto privato non era una materia facile, il libro non era affatto agevole e di facile intuizione e sebbene le lezioni fossero servite, non erano di certo sufficienti da sole a ottenere una sufficienza.

D’altronde io non volevo la sufficienza, oh no. Io volevo il trenta, con lode.

Mentre il caldo torrido di quella estate non dava tregua, io e Alessandra ci ritrovavamo a studiare presso la sua villa a Fiumicino, dove potevamo godere della piscina privata.

La mia amica era intenta a preparare uno dei suoi esami impossibili ed io a sottolineare il libro con un pennarello rosso sangue, un colore non a caso alla luce dell’impegno che ci stavo mettendo nella preparazione.

Ero particolarmente intenta a cercare di capire cosa volesse comunicarmi il paragrafo “tesi sulla causa del contratto”, quando Alessandra mi distolse dalla mia concentrazione:

Ah! Mi sono dimenticata di dirti una cosa!

Sbuffai, onestamente qualsiasi cosa fosse non credevo potesse essere più rilevante di quelle pagine, ma cercai di non essere troppo antipatica.

Cosa?

Indovina chi c’era ieri in giro per l’università?

Iniziai a dire una sfilza di nomi al maschile e al femminile che avevano caratterizzato i nostri anni spesi al liceo, poi passai ai nomi più improbabili di persone che per disgrazia erano capitate nelle nostre vite, infine mi arresi.

Ale, onestamente non ne ho la minima idea…

C’era un ragazzo vestito in modo molto formale e ammetto molto intrigante, completo blu con giacca e cravatta. Non sono cose che si vedono alla facoltà di ingegneria e infatti NON era di ingegneria…

L’argomento continuava a non entusiasmarmi, sebbene un piccolo brivido attraversò la mia schiena. Dai, non può essere…

Insomma, un tipetto niente male: capelli mori, occhi nocciola e carnagione chiara… al che mi sono ricordata di una tua descrizione..

Ok, hai la mia attezione, ingegnere malefico!

Ovviamente sono andata ad informarmi” e nel dirlo, Alessandra si atteggiò a nobildonna dell’Ottocento con fare scherzoso, “…e bingo! Era proprio il tuo Palermo!

Di MIO non c’è niente!”, risposi risentita.

Oh andiamo, piantala di essere così suscettibile sull’argomento! Tanto ti conosco, la verità è che ti piace ed è comprensibilissimo ora che l’ho visto!

Non mi piace! Non sono come tutte le altre! Lo trovo.. irritante!

L’unica cosa che ti irrita è che non ti abbia avvicinata come avviene con tutte le altre di cui mi hai parlato. Dovresti essere più onesta con te stessa…L’incapacità di comprendere i tuoi sentimenti ti rende una delle persone più ottuse che conosca!

ah-ah! Senti chi ha parlato!” e con un sorriso le tirai bonariamente la matita che andò a finire nella piscina. Tra le risate di entrambi, mi alzai dal tavolo ed uscii nel padio per cercare di recuperare la matita. Mentre cercavo qualcosa per recuperare il mio strumento di studio, Alessandra alle mie spalle cambiò tono:

Eleonora, lascialo stare, togliti dalla testa questa specie di fissa di diventare migliore di lui. Lui sta con una tipa della mia università, un dottore di ricerca del professore di Costruzioni. Stanno insieme da dieci anni, dicono”, una fitta mi strinse il cuore e il respiro si mozzò, per fortuna la mia amica non poteva vedere il mio volto, che probabilmente avrebbe tradito qualcosa che neanche io ero in grado di riconoscere in quel momento.

Perché questa sensazione?? Era ovvio che non potesse stare da solo e che avesse una compagna! Non è una novità! E poi a me cosa interessa?? Io voglio solo diventare migliore di lui!

Dopo qualche istante di secondo, mi girai verso di lei con la serenità e la determinazione di chi sa qual è la sua strada.

Ale, davvero, non mi interessa cosa faccia o con chi stia. Anzi, era prevedibile che avesse una storia. Mi aspettavo una giurista, ma evidentemente non è così banale, mi dispiace per quella mandria di ragazzine assatanate di cui si circonda!

La mia amica mi scrutò per un po’, dopo di che scosse leggermente la testa:

Quindi è un caso che da quando ha iniziato a farti lezione, la tua storia con Marco prima ha perso qualche colpo ed infine è crollata, giusto?

Giusto. Neanche conosco il dottor Palermo, mi sembra veramente eccessivo riconoscergli tanta importanza”.

Va bene, Ele. Magari mi sbaglio, ma se così non dovesse essere… Dimmelo e cerchiamo un modo per sopprimere la sua donna!

Scoppiamo a ridere, mentre il cielo iniziava a tingersi delle tinte della sera.

*** *** ***

Le lezioni erano finite o stavano per concludersi e gli esami iniziavano ad avvicinarsi. Per la verità, passai proprio così il 29 maggio del 2008, a sostenere l’esonero di economia politica mentre mia madre ed alcuni familiari mi attendevano a casa per festeggiare il mio ventesimo compleanno.

Economia politica fu uno degli esami che mi fece seriamente prendere in considerazione l’ipotesi di cambiare facoltà, se non fosse stato per il mio sogno di diventare magistrato antimafia, forse avrei persino potuto cedere alla tentazione.

Uscii dall’aula 4 nella quale si era appena tenuto l’esonero e vi trovai Federico, il mio amico più caro insieme ad Alessandra.

Hola Mostro! Tanti auguri!!” e così dicendo mi porse un piccolo mazzo di fiori con il sorriso tipico di un bambino innocente. In effetti Federico era esattamente così, un bambino o poco più con i capelli scompigliati, gli occhi gentili e il sorriso innocente. A volte era troppo immaturo e nonostante la sua altezza, doveva ancora comprendere come funzionasse il mondo degli uomini: mi ricordava il Piccolo Principe. Era forse la persona più buona che avessi mai conosciuto, di quelle pure che non si sono fatte contaminare dalla società. Mi piace il suo modo di vivere e il suo modo di ridere, erano spontanei e contagiosi.

Grazie Teddy! Addirittura i fiori!”, il soprannome “Teddy” non era a caso, perché come l’orso di peluche che stringiamo da piccole, così Federico mi riscaldava e mi rassicurava nei momenti più tristi.

Per forza! Sei uscita dell’era dei “teen” ed entri nei “twenty”, era importante sottolinearlo!

Ehi, ci sei entrato prima tu!”, era impossibile dimenticarsi che era nato lo stesso giorno del compleanno di Roma, il 21 aprile.

Dettagli…” e così dicendo mi regalò uno dei suoi sorrisi, “come è andato l’esame?

Ah boh, spero bene!

Ci incamminammo per il grande corridoio della facoltà di giurisprudenza, quando una voce si sentì alle mie spalle e riconoscendola mi girai:

Ehi piccola matricola dispersa!

Emanuele! Da quanto tempo!”, mi fece oggettivamente piacere rivederlo.

Wow, ti ricordi il mio nome, devo aver fatto colpo!

Il nuovo arrivato passò lo sguardo da me a Federico, il quale bonariamente gli rivolse uno sguardo incuriosito. Emanuele, tuttavia, non accennò a smorzare il suo entusiasmo né face ulteriori domande sulla mia compagnia e si aggiunse a noi.

Ma tu stai sempre in giro?” gli chiesi in modo scherzoso.

Sono uno importante io, che ti credi!?”

Eh, ma infatti mi chiedevo..cosa fai?!

Mi sto laureando!” disse lui gonfiando il petto come un gallo e arricciando le labbra: la sua imitazione fece ridere anche Federico accanto a me.

Beh, credo che sia un male necessario che spetti a chiunque voglia uscire da questa università!”, risposi ancora sorridendo.

Sì, ma io non voglio uscire! Sto preparando il dottorato!

Prima guardai Federico in cerca di un appoggio, ma evidentemente neanche il mio amico ne sapeva nulla, al che mi rivolsi al mio interlocutore principale con aria interrogativa.

Il dottorato?? Non hai presente?? Ahhh ma sei proprio una matricola!” e rise nuovamente. Ormai ci trovavamo fuori dall’edificio, nel grande padio davanti all’entrata della facoltà, all’ombra del grande edificio. Emanuele stava per iniziare a parlare quando qualcuno ci interruppe:

Emanuele, buongiorno”, ci girammo tutti all’unisono e dal bar dislocato accanto a degli alberi avanzava il dottor Dante Palermo, non troppo distante da noi. Mentre procedeva, passò in un tratto baciato dal sole e i suoi occhi splendettero di una luce mai vista, divennero come l’ambra liquida e per un istante non mi curai dei ruoli, del luogo o dei miei propositi. Lo fissai incedere verso di noi, mentre sostenevo il suo sguardo e incantata non riuscivo a distrarlo: lui ricambiava e con decisione sembrava comunicarmi qualcosa, che tuttavia non compresi.

Arrivò tra noi e cominciai a pensare che fossimo veramente in troppi mentre lui proseguì rivolgendosi al laureando:

Ti ho mandato poco fa un’email, dentro troverai gli allegati di cui ti ho parlato. Mi raccomando, studiateli bene perché potrebbero essere un argomento papabile

Papabile per cosa? Non poteva trattarsi della laurea, quella gli studenti la preparano da soli…

Ero confusa e vagamente stordita e non notai che Federico non aveva perso neanche un momento della scena. Sembrava un bambino, è vero, ma era un ottimo osservatore, una di quelle persone a cui vorresti sempre chiedere “cosa ne pensi di questo comportamento?” perché spesso hanno la risposta giusta.

Sentii la sua mano poggiarsi sulla mia spalla e mi girai verso di lui, dovendo necessariamente alzare la testa, essendo Federico alto un metro e novanta.

Dovremmo andare, tua madre ci sta aspettando a casa con tutti gli altri…”, lo disse con tono perentorio, il che non era affatto da lui.

E così statuendo, guardò fisso il dottor Palermo.

Hai ragione..”, non trovavo un valido motivo per indugiare ulteriormente in quel posto, specie perché non sapevo come comportarmi col dottor Palermo, ma mentre cercavo di dare un senso ai miei pensieri, il dottore di ricerca con calma serafica si voltò:

Che splendidi fiori: margherite e papaveri. Insolito come bouquet” e così parlando, sfiorò uno dei papaveri, sporgendosi verso di me e invadendomi col suo profumo di colonia che ormai avrei riconosciuto fra mille. Lo presi come un affronto o comunque come un’invasione non autorizzata della mia privacy.

Sono i miei preferiti, per questo ci sono solo margherite e papaveri!”, probabilmente il mio tono stizzito lo incuriosì perché alzò i suoi occhi nocciola sui miei e li incatenò ai suoi. Voleva la guerra? Beh, l’avrebbe avuta!

E se posso chiedere, sono per un evento in particolare?

Cosa vuoi da me?? Pensi che ti cadrò ai piedi come le mie mediocri colleghe? Scordatelo!

Un compleanno…” risposi imperturbabile. Era evidente che in quel momento stessimo tenendo una conversazione che aveva ben poco a che fare con i fiori e che sapeva di sfida, anche se onestamente non riuscivo a comprendere le sue intenzioni. Specie ora che ero a conoscenza della sua storia con l’ingegnera dottore di ricerca, proprio quel ricordo mi portò a guardarlo con gelo ed il mio cambio di atteggiamento non passò inosservato. Federico mi guardò con aria interrogativa mentre il dottor Palermo raddrizzò la schiena. Mi diede un’ultima occhiata e forse avrebbe aggiunto qualcos’altro se Emanuele non fosse intervenuto:

Grazie Dante, lo farò sicuramente!” Dante?? Lo chiama per nome??? Ero veramente stupita.

Piccola matricola, mi dispiace ma non ricordo il tuo nome!

Eleonora…

Esatto, Eleonora! Tanti auguri! Vedrai che l’esonero sarà andato alla grande!

Avevo lo sguardo basso, non volevo che il dottor Palermo sapesse di me più di quanto non potesse apprendere da solo, eppure grazie all’entusiasmo di questa nuova conoscenza ora sapeva non solo il mio nome, ma anche che era il mio compleanno e che avevo appena sostenuto un esame.

Non sapevo perché ma non volevo condividere nulla con lui, la mia insofferenza cresceva.

Andiamo Fede, è tardi. Grazie per gli auguri, arrivederci dottore” Fui il più telegrafica possibile, ma Emanuele ancora una volta sembrava non volermi lasciare andare:

Possiamo sempre andare a bere qualcosa al bar per festeggiare!

Volevo sotterrarmi. Il dottor Palermo rimase immobile nella sua posizione e non aggiunse altro, io mi mordevo nervosamente il labbro ma per fortuna potevo contare su un valido aiuto.

Credo che sarebbe un’idea fantastica, ma purtroppo non oggi. Se non la riporto a casa per festeggiare, mamma Carola mi fa a pezzetti e credetemi non è simpatico il Generale quando è infuriato!” finalmente intervenne Federico e prendendomi sottobraccio iniziò a trascinarmi via, mentre espirai un sospiro di sollievo.

Sarà per la prossima volta, ciao!”, non avevo intenzione di guardare verso la direzione del dottor Palermo, avrebbe letto forse il mio sguardo contrariato per cui senza aggiungere altro, seguii Federico che si avviava verso la macchina.

Il vento che decretava la fine della primavera e l’inizio prossimo dell’estate portò a me quello che era poco più di un sussurro:

Auguri, studentessa raccomandata…” e per un istante mi bloccai, per un brevissimo istante anche il mio cuore smise di muoversi. Iniziavo ad odiare questa sensazione così spiacevole e sconosciuta.

Fede, mia madre non tornerà a casa prima di stasera..

Lo so, ma dovevo portarti via…

Perché?

Pensavo stesse organizzando qualcosa, ma si girò verso di me e i suoi occhi verdi erano carichi di una preoccupazione e di una serietà che raramente avevo riscontrato:

Perché non ti ho mai visto così spaventata

Io… non ero… spaventata

Lo eri Ele, lo eri. E forse, da oggi, lo sono anche io…”, aggiunse abbassando lo sguardo con aria triste.

… Non capisco...”, dissi realmente confusa.

Non importa, Ele. È il tuo compleanno, tutto il resto può aspettare

Mi dedicò un sorriso sincero che spazzò via la mia inquietudine, almeno fino al giorno dopo.

 

 

 

Angolo dell’autrice: Allora, ho aggiornato subito perché non vedevo l’ora di presentarvi Federico! È un personaggio a cui voglio molto bene e spero vivamente che vi piaccia come piace a me, non ho volutamente detto molto di lui perché sono curiosa di sapere come ve lo state immaginando.

Piano piano il dottor Palermo prende forma, vi chiedo di essere pazienti.

Grazie per le recensioni che mi avete lasciato, come vedete più mi scrivete più mi infervoro a scrivere eheheh

Ringrazio come sempre siuri1, Beatrice29 e Angyblu: grazie ragazze, siete la mia marcia in più!

Alla prossima! (non vi abituate ad aggiornamenti così rapidi!... o forse sì eheh)

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Capitolo 6
*** Quinta lezione ***


Image and video hosting by TinyPic Quinta lezione 2.0

Quinta lezione

She's electric, She's in a family full of eccentrics…She done things I never expected, and I need more timeeee!!!”

Eravamo in macchina, su Via Ostiense, mentre Federico cantava gli Oasis a voce sostenuta: per la verità aveva una bellissima voce, invidiabile se si fosse considerato che non aveva mai frequentato alcun corso di canto. Aveva imparato da solo, o almeno così sosteneva. Al tempo, ci piaceva musica molto simile e passavamo moltissimo tempo insieme, tanto che molte conoscenze erano convinti che fossimo amanti in segreto. Ovviamente tra noi non c’era mai stato nulla di romantico, a parte qualche abbraccio da amici nei momenti più difficili.

Lo guardavo mentre canticchiava e si spostava i capelli, più lunghi del normale, dal viso e guidava la sua Matix: la luce rossastra del tramonto gli colorava i capelli castani di una sfumatura ramata che ricordava molto il colore dei miei capelli, mentre gli occhi si accendevano a contatto con il sole. I lineamenti leggeri e delicati gli conferivano un’aria spesso da bambino, sebbene la sua altezza raccontasse un’altra storia. Era sempre stato più alto di tutti coloro che si trovassero nelle sue vicinanze, ma dimostrava ancora diciassette anni scarsi: mi metteva di buon umore, specie quando cantava sovrappensiero o in momenti rilassanti o euforici.

Cercavo di capire che senso avesse la sua ultima frase, proferita con un filo di voce, ma il sorriso contagioso di Federico mi distolse definitivamente dallo stress della giornata, dai miei mille pensieri e da Dante. Ultimamente tendevo a pensarci decisamente troppo, il che non era da me, specie in vista di una sessione di esami.

Fortunatamente quella sera avrei rivisto i miei cugini, la mia famiglia, Alessandra e avrei passato una serata all’insegna del puro divertimento. Supponevo che Fede avesse organizzato qualcosa per la serata, ma non indagai oltre per permettergli di fare il misterioso. Sicuramente ci teneva più di quanto ci tenessi io, che non ero mai stata una grande amante dei compleanni, anche se la curiosità iniziava a rodermi da dentro ma finora l’esonero di economia politica e diritto privato mi avevano consumato energie, tempo e risorse.

Mostro, allora che ti metti per stasera?”

Cosa dovrei mettermi di particolare? Ci sanno giusto Alessandra e la mia famiglia!

Va bene! Ma nella vita non si sa mai!”. Ah, tana. Trovavo sempre estremamente divertente stuzzicare il mio migliore amico, perché a differenza di tante altre persone, non sapeva mentirmi.

Non si sa mai? Che pensi possa succedere? Al massimo andremo a berci qualcosa io, te ed Ale!

Lui si prese qualche secondo, poi si girò lentamente verso di me e con fare lamentoso aggiunse: “Ma se neanche bevi…Secondo te ti porto a bere?

Ah… perché mi vuoi portare da qualche parte??”. Era veramente tenero, quando finiva per inciampare nei suoi stessi piedi.

Assolutamente no, non ho programmato niente. Perché vuoi fare qualcosa? Possiamo sempre sentire Alessandra, figurati. Nessun problema, però comunque devi metterti qualcosa di carino!”. Chissà perché improvvisamente aveva iniziato a parlare più velocemente: era divertente quando cercava di nascondere qualcosa.

Va beeeene. Metterò qualcosa di carino…

Lo scelgo io però!

Ah, pure! E tu scusa??”

Io ho già lasciato tutto da mamma Carola!” e chiuse la conversazione con una linguaccia. Eravamo arrivati a casa mia.

*** *** ***

Verso le otto di sera iniziarono ad arrivare i primi invitati e io ovviamente ero in ritardo, per dare ascolto a quel capriccioso di Federico, avevo finito per mettere a soqquadro l’armadio.

Federico si stava cambiando nel bagno del piano di sotto, mentre la mia camera era al piano di sopra, era sparito già da un pezzo, senza contare che il suo cellulare con faceva che squillare e vibrare per gli innumerevoli messaggi che continuava a ricevere. Era assurdo, ma sembrava essere il suo di compleanno, non il mio: era candidato favorito per il premio dell’uomo più cercato del giorno.

Mia madre andò ad aprire al campanello e potei sentire la voce cristallina di Alessandra, che a quanto potevo intuire dai suoi passi, aveva optato per un paio di tacchi. Sul parquet. Il Generale Carola ne sarebbe stata entusiasta! Risi tra me e me al pensiero di mia madre che sbiancava davanti ad un sicuro tacco stratosferico della mia amica: per essere un’ingegnera, era troppo bella e troppo curata. Glielo dicevo sempre.

Presi qualche attimo per guardarmi allo specchio: sopracciglia selvagge, capelli anarchici, come il colore che li distingueva, un seno decisamente troppo grande per le mie spalle e delle gambe troppo grosse per i miei gusti. Non ho niente di speciale, niente. L’università è piena di ragazze molto più attraenti di me… Mi rattristai per un attimo, poi sorpresa mi risvegliai. Certi pensieri non erano da me, non mi era mai interessato come vestissero le ragazze della mia facoltà, tanto meno la mia indifferenza alla moda o al mio look. Non mi ero mai posta certi problemi, neanche quando avevo iniziato la mia storia con Marco.

Non diedi comunque troppo peso a quel pensiero, dando la colpa allo stress dell’esame appena sostenuto. Finii di vestirmi e mi truccai leggermente, dopo di che scesi al piano di sotto.

Evidentemente nel frattempo erano arrivati tanti altri zii, cugini e amici di famiglia, ma fu facile per me trovare Federico, visto che si ergeva sempre sulla folla. Era vicino una finestra del grande salone di casa mia: aveva optato per un jeans chiaro, una maglietta semplice e una camicia a maniche corte sopra. Aveva al polso il braccialetto che gli avevo regalato ai diciotto anni, mi faceva sempre sorridere questo dettaglio: era l’ennesima dimostrazione che mi volesse bene. Accanto a lui c’era Alessandra: in una parola, bellissima. Aveva scelto una gonna leggera, e una canottiera rosa con dei merletti che metteva in risalto la silhouette slanciata. Quei due erano molto vicini, forse a causa della musica e della troppa gente ma per un attimo, vedendoli così da lontano, mi sentii improvvisamente sola. Federico era piegato leggermente verso Ale, e lei con un bicchiere in mano lo ascoltava sorridente.

Ehi babbei!”, richiamai la loro attenzione in mezzo a diverse persone che continuavano a farmi gli auguri e a dirmi quanto fossi bella, sebbene non si scordassero mai di omettere che con qualche chilo di meno sarei stata anche meglio. Dannata sincerità, almeno il giorno dei miei vent’anni, potrebbero farne a meno!

Mi avvicinai anche io verso la finestra, mentre Federico mi seguiva con lo sguardo senza dire una parola, supposi che tutto sommato fosse soddisfatto della sua scelta del vestito. Ale mi salutò con un sorriso e poi rivolse il tuo sguardo a Federico, il quale però lasciato il bicchiere a metà stava ancora guardando verso di me. Li raggiunsi finalmente e il mio amico non tardò troppo nel prendersi i meriti dell’opera svolta prima: “Beh, direi che non ti sta male questo vestito”.

Ale lo interruppe, “L’hai scelto tu?

Lui alzò gli occhi al cielo, “Senza di me, che farebbe? Hai visto come si concia…” e mi sorrise dolcemente, era evidente l’aria di sfida, ma feci comunque la finta offesa.

Sì, sì… vienimi a chiedere una mano la prossima volta che una ti si incolla in biblioteca! Farò finta di conoscerti!!O peggio.. non ti passo i miei schemi di diritto privato!

Alessandra seguì con attenzione lo scambio, come sempre, e con voce ferma e pacata chiese: “Cos’è sta storia della biblioteca?”. Pensai che alla fine noi donne siamo tutte uguali, sempre curiose.

Mah Ale, una sottospecie di femmina che si era appiccicata a Federico questo lunedì. Mai vista e conosciuta, avendo tutta la biblioteca a sua disposizione, ha ritenuto che la luce migliore venisse dalla finestra accanto a Teddy…”, mi rivolsi verso il mio amico, “Che poi, ci vuole coraggio eh! Sei un orso!

Ha parlato la principessina, dovresti imparare da Alessandra! Tu sei la motivazione vivente del perché gli uragani disastrosi portano nomi femminili!

Ma davvero???!!

Alessandra sospirò e decise di allontanarsi per qualche secondo, andando a riprendersi da bere. Io e Federico cercavamo di guardarci in cagnesco, ma passati pochi secondi scoppiammo a ridere.

La serata proseguì in tranquillità, tra scarti dei regali, candeline e vari cibi. Come al solito, molti di quei parenti che non vedevo molto spesso vennero a chiedermi del fidanzato, che ovviamente scambiarono subito per Federico. Ormai avevo imparato una formula che lasciava spiazzati chiunque il tempo necessario per permettermi la fuga. Più o meno funzionava così:

Ele, allora, te lo sei trovato un ragazzo? Magari è proprio quel tipo laggiù!”. “Tipo laggiù” che c’era ormai da svariati anni, eppure certi parenti proprio non riuscivano a ricordarselo.

Ogni tanto, giovedì piove…

Al che, data la risposta completamente insensata, potevo approfittare di quell’attimo di disorientamento del mio interlocutore per scappare. Che poi, non ero mai scappata da domande del genere, ma ultimamente mi innervosivano, specie quando davano per scontato che condividessi una certa intimità con Federico. A quanto pare, non ero l’unica seccata dalla monotonia familiare: Alessandra era parecchio taciturna. Negli ultimi tempi per la verità aveva cambiato atteggiamento, era più silenziosa del previsto, perdeva più facilmente le staffe quando si lasciava andare e si curava più del solito per uscire. Pensai che il primo anno di università cambiasse un po’ tutti indistintamente.

Erano ormai le dieci, quando i miei amici si avvicinarono a me con dei regali, in realtà Alessandra mi stava tendendo una busta per le lettere. Come era prevedibile non c’era alcun bigliettino di auguri smielato da parte sua, la cosa mi fece sorridere. Erano passati ormai sei anni da quando ci eravamo conosciute, eppure rimaneva sempre la stessa ragazza riservata ed elegante, non amava le grandi dimostrazioni d’affetto ma c’era sempre accanto a me.

Il suo regalo non la smentiva, erano tre biglietti per la fiera dei cavalli che si sarebbe tenuta di lì a poco alla nuova fiera di Roma. Ale conosceva bene il mio amore per i cavalli, aveva potuto conoscerlo personalmente quando mi veniva a vedere agli allenamenti. Una volta iscritta all’università, non avevo trovato più molto tempo per cavalcare.

Aleee grazie!! Ci andiamo tutti insieme allora!”, la abbracciai forte, in modo da metterla anche leggermente in imbarazzo e infatti non resistette molto prima di allontanarmi in modo goffo e imbarazzato.

Bene, ora che la principessa ti ha dato il suo regalo, ti do il mio!”, Federico era l’esatto opposto della mia amica. A lui piaceva stare al centro della scena, era solare ed affettuoso, il che lo rendeva estremamente socievole ed affabile. Il suo regalo si presentava come una scatola e onestamente non avevo veramente idea di cosa potesse trattarsi. In salone, l’attenzione dei miei familiari si era concentrata su quello che stava avvenendo, come se si aspettassero chissà quale evento.

Scartai il regalo con una certa fretta e rimasi sbalordita dal pensiero di Federico: un planetario per interni. Un planetario, lo stesso planetario che avevo visto in un negozio almeno sei mesi prima mentre camminavo in giro con lui. Conoscevo anche il prezzo di quel planetario e proprio questo dettaglio mi aveva spinto a non comprarlo, banalmente non potevo permettermelo. Guardai il mio amico in un insieme di emozioni, che andava dalla pura gratitudine all’incredulità, al senso di colpa perché potevo solo immaginare i sacrifici che aveva sostenuto per poterlo comprare.

Le stelle ed il cielo erano sempre stati una mia grande passione e per un attimo, alla fine del quinto anno di liceo classico, avevo pensato di poter prendere ingegneria aerospaziale, ma poi la macchina mi si era fermata davanti la facoltà di giurisprudenza e mi ero resa conto che per me quella facoltà era l’unica. Come i grandi amori: puoi cercare di fuggirli, ma alla fine te li ritrovi sempre davanti e non importa con quanti altri proverai a sostituirli, quando capiterà l’occasione, e capiterà sempre, non potrai ignorare certi sentimenti.

Così, avevo fatto della volta celeste la mia passione, senza approfondire eccessivamente. Quante estati io e Federico avevamo passato con il naso all’insù, in una gara a chi scovava più stelle cadenti.

Sei un cretino!!!”, alla fine ripiegai per la reazione burbera. Ero incapace di giustificare un regalo simile.

Federico rise, aspettandosi probabilmente quella risposta: “Se vuoi me lo riprendo…!”, fece per togliermi il mio nuovo planetario ma con l’atteggiamento tipico di una bambina di sette od otto anni, abbracciai la scatola e la schermai con il mio corpo.

No! Ormai è mio! Potevi pensarci prima!”.

Teddy mi mise una mano sulla testa e mi scompigliò i capelli, sorridendomi, “Prego, Mostro!”.

Tra noi non c’era bisogno di parlare, era superfluo che lo ringraziassi, io più di tutti sapevo quanto doveva essergli costato quel regalo, nessuna parola sarebbe stata sufficiente tuttavia Federico non perdeva occasione di darmi del “Mostro”, dovuto dal fatto che non ero una grande amante delle smancerie, un po’ come Alessandra, o più semplicemente non ero in grado di esternare le mie emozioni più profonde e finivo per mascherarle sempre dietro un velo di ironia.

Mia madre arrivò tra noi, incuriosita dai regali e dopo averli studiati, entusiasta propose a tutti di provare il planetario. Ormai la sera era sopraggiunta, così non ci fu bisogno neanche di chiudere le persiane per creare il buio. Ci mettemmo solo qualche minuto per montarlo e quando a luci spente, si accese il mio regalo, proiettò in tutto il salone la volta celeste mentre molto lentamente si muoveva in senso antiorario.

Eravamo tutti con la testa sul soffitto, sorpresi da quel momento che sembrava anticipare l’estate. Era semplicemente perfetto. Ero completamente rapita dal mio regalo mentre cercavo di riconoscere le costellazioni che non mi resi conto che Alessandra si era avvicinata a Federico.

E’ successo qualcosa?”, chiese lei guardandolo di sfuggita, ma facendo in modo che potesse sentire solo lui.

Non mi pare…”, Fede rimase con la testa reclinata verso l’alto e un sorriso accennato.

Stai ridendo troppo. Non sei te stesso da oggi pomeriggio, cosa è successo?

Sono sempre stato un buffone, lo sai Principessa…

No, tu non sei mai stato un buffone. Sei divertente, ma oggi sei troppo sopra le righe. Sicuro che non sia successo nulla?

“… Non capisco di cosa parli. Beh, ora dovremmo andare avanti con la serata. Gli altri ci aspettano”.

Come vuoi” e detto questo Alessandra si avvicinò a me, “Che ne dici di andarci a fare due passi? È una bella serata..”.

Ecco, la fase B della giornata di oggi.

Va bene, salgo a prendere la borsa”, incrociai mia madre e le disse che stavamo per uscire. Il planetario fu spento, in pochi minuti salutammo tutti i parenti che si sarebbero trattenuti ancora per poco e uscimmo.

Decise di guidare l’unico uomo del gruppo, non mi meravigliai troppo quando prendemmo la sua macchina e andammo in un posto ben preciso. Federico non era esattamente il tipo di ragazzo da avere sempre le idee chiare, anzi spesso per lui un posto valeva l’altro. Ma lo lasciai portare a compimento la sua missione e quando la macchina si arrestò davanti a Giolitti, al laghetto dell’Eur, ebbi modo di notare anche gli altri amici.

Mi girai verso Federico ed Alessandra per chiedere spiegazioni.

Ci tenevano tutti a festeggiare il tuo compleanno e visto che ieri sera non era possibile per via dell’esame, abbiamo pensato di fare oggi”, mi disse Ale che era rimasta l’unica ancora sul sedile. Federico era già corso incontro agli altri, noi ragazze stavamo per raggiungerlo mentre gli altri amici da lontano iniziarono a gridarmi i loro auguri.

Ci prendemmo tutti un caffè, tranne Alessandra che non ne beveva. C’erano Francesco, un amico che ormai conoscevo da tempo ma eravamo troppo diversi per creare qualcosa di profondo, Riccardo, un ragazzo più grande di me di qualche anno, Matteo e Kim, Nestor e Silvia, Paolo e Livia e tanti altri. Mi guardai intorno e mi sentii veramente una ragazza fortunata, avevo dei buoni amici e più di tutti ne avevo due fantastici.

Era ormai mezzanotte e stavamo guardando le stelle, quando Federico si allontanò e tornò con delle lanterne cinesi. Di nuovo qualcosa che mi piaceva fare: esprimere desideri. Sono sempre stata convinta che sia importante seguire i propri sogni, cercando di realizzarli, ma ogni tanto è bello lasciarsi guidare solo dai sentimenti come quando si cerca una stella cadente ad Agosto, o quando si lancia una lanterna. In quei momenti mi sono sempre sentita libera di esprimere qualsiasi cosa, che andasse anche contro la mia razionalità. Spesso in questi momenti ero divenuta consapevole di speranze che io stessa neanche conoscevo, quindi in conclusione, mi piaceva poter esprimere dei desideri. Qualcosa che sarebbe rimasto solo per me.

Tutti eravamo pronti a lanciare le nostre lanterne che realisticamente sarebbero finite nel laghetto, intorno a noi non c’era molta gente e la luce soffusa non permetteva di vedere bene. Piano piano le lanterne iniziarono a volare in alto, ma quando venne il mio turno, chiusi gli occhi e invece di desiderare di diventare un Pubblico Ministero, per una frazione di secondo mi venne in mente solamente quello sguardo fiero e quella cravatta sempre ben annodata.

Non me ne resi conto ma la mia lanterna si era appena alzata in cielo e non avevo espresso alcun desiderio. O almeno così pensavo: ero confusa, come spesso mi capitava da qualche mese a quella parte.

Non mi resi conto che Federico si era avvicinato a me:

Mostro, che desiderio hai espresso?”, mi chiese lui guardandomi dall’alto.

Io… non lo so…”, era la pura verità. Non riuscivo a smettere di seguire la strada della mia lanterna. E un forte odore di colonia mi invase, ma iniziava a diventare una sensazione piacevole, familiare.

“… Ele, chi è quel tipo che oggi ho visto all’università?

Emanuele, un ragazzo che ho conosciuto per sbaglio qualche mese fa mentre cercavo l’aula della lezione…

Non parlo del ragazzo, parlo di quello in giacca e cravatta”. La fermezza del suo tono di voce catturò la mia attenzione e mi girai verso di lui, ancora più destabilizzata nel vederlo osservare dritto di fronte a sé.

Perché ti interessa?

Perché interessa a te…”, e così dicendo si girò verso di me.

A me non interessa: è il dottor Dante Palermo. Ci stava facendo lezione, è bravo ma non lo sopporto. Voglio diventare una giurista migliore di lui!”, il mio sguardo si incendiò di una nuova forza e dentro di me soffiò il vento della sfida. Ero fiduciosa, prima o poi l’avrei raggiunto.

Capisco…”, il mio amico abbassò per un attimo gli occhi a terra, dove c’era un tappeto di petali di ciliegio. Prima che potessi chiedermi e chiedergli cosa avesse, tirò su la testa e i suoi capelli si scompigliarono più del normale anche a causa della folata di vento improvvisa, così iniziai a rimetterli a posto, lui si mosse e forse fu per la luce rossastra del lampione del parchetto o per le emozioni che accompagnano ogni compleanno, ma mi guardò dritto negli occhi e con un sorriso indecifrabile mi disse “Allora fai del tuo meglio, perché io non intendo perdere!”.

Non capii quello che voleva dire, non in quel momento almeno ma a ripensarci, forse avrei potuto sforzarmi di comprendere cosa effettivamente Federico stesse cercando di comunicarmi.

 

 

Nel frattempo, la sera del 29 maggio del 2008 altre due persone passeggiavano nel parco del laghetto dell’ Eur.

Sono belle le lanterne, vero?”, disse una ragazza bionda abbracciata al suo accompagnatore, il quale però non stava guardando le luci nei cielo, ma una ragazza dai capelli rossi appoggiata ad un muretto, circondata da amici. Lei stava chiudendo gli occhi mentre la sua lanterna prese il volo, quando aprì di nuovo lo sguardo, era persa nei suoi pensieri.

Sono… magnifiche”.

Il ragazzo in jeans e maglioncino rimase fermo per qualche istante e incrociò il suo sguardo con un ragazzo alto, dai capelli castani, di circa vent’anni. In quel momento il vento diffuse il profumo che quel giovane uomo in jeans aveva scelto, come ogni altro giorno, mentre scompigliò i capelli dell’altro.

Quello scambio silenzioso fu interrotto dalla ragazza bionda, “andiamo, abbiamo un discorso in sospeso a casa.. Potresti scoprire che sono la tua Beatrice, caro il mio Dante”.

Dante le rivolse un sorriso malizioso, le mise una mano intorno ai fianchi e riprese a camminare, allontanandosi da quella ragazza dai capelli rossi che non lo aveva notato.

 

 

 

Angolo dell’autrice: mi scuso fortemente per il ritardo, pensavo di aggiornare molto prima, purtroppo la vita lavorativa è dura!

Allora cosa mi sento di dire di questo capitolo.. E’ una storia che potrete leggere solo con pazienza, se vi aspettate che tutto sia improvviso e lineare, temo di dovervi deludere. Dante ed Eleonora hanno bisogno di molto più tempo per conoscersi e spero di annoiarvi! Nella storia credo fosse interessante introdurvi per bene un personaggio come quello di Federico, e sinceramente sono molto curiosa di sapere cosa ne pensate, se vi siete fatte delle idee e che tipo di sensazioni vi lascia. Lo stesso dicasi per Alessandra, spero che vi piacciano perché a me piacciono moltissimo!!

Come potete notare ho inserito delle immagini, per come io mi sono immaginata i personaggi, e non è un caso che non abbia ancora inserito Dante. Chissà come ve lo immaginate, magari lo lascerò semplicemente alla vostra fantasia..

Infine ringrazio Angyblu che come sempre è disponibile a recensire, e tutte coloro che con mia grande sorpresa hanno inserito questa storia fra le preferite o le seguite, vi ringrazio di cuore. Grazie!

Nel prossimo capitolo, Eleonora affronterà l’esame di diritto privato!

Stay turned!

 

Soc.

 

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Capitolo 7
*** Sesta lezione ***


Sesta lezione

Luglio 2009, sessione estiva del primo anno all’università. Quinto esame: diritto privato.

Era stata un’estate particolarmente calda, si respirava a fatica nella capitale e io avevo speso la fine della primavera e l’inizio dei primi mesi estivi a studiare il manuale di diritto privato.

Prima lo avevo letto accuratamente, sottolineandolo con la matita, poi avevo iniziato a evidenziare le parti più importanti, infine avevo deciso di sottolineare con un ulteriore pennarello rosso la terza rilettura, colore che ricordava bene il sangue che ci stavo sputando sopra, infine, come i migliori glossatori, avevo iniziato a scrivermi a lato della pagina le cose che proprio non riuscivo a ricordare.

Ed eccomi, in quell’aula un po’ troppa fredda per via dell’aria condizionata molto alta, alle 8,30 del mattino senza un filo di trucco e con l’aria di un condannato che si appresta al patibolo.

Iniziarono presto ad entrare i ben dieci assistenti che avrebbero valutato noi poveri studenti prima di mandarci, se ritenuti idonei, a sostenere l’ultima parte dell’esame con il professor Lupo. Le donne erano quasi tutte in tailleur, gli uomini portavano, come di consueto, un completo blu. La prima cosa che notammo tutti fu una sola: lui non c’era. Dante Palermo non era presente nella sfilata del terrore che si era appena consumata di fronte all’aula.

Iniziò l’appello e di lì a breve cominciarono ad esaminare i primi ragazzi spaventati, del Professore nessuna traccia, ma pare fosse una pratica diffusa non presentarsi prima delle due ore dall’avvio della prova.

Alle 10 la porta dell’aula si aprì ed entrò il Professor Lupo, seguito poco dietro dal dottor Dante Palermo, con un sorriso radioso ma senza perdere l’austerità del ruolo.

Eccoci alla resa dei conti, mio carissimo nemico. Ti farò vedere quanto ho lavorato in questi mesi, così magari per qualche secondo te lo tolgo quel sorrisetto soddisfatto dalla faccia.

Accanto a me c’era Federico: non era solito venire ai miei esami, un po’ perché ero io la prima a voler stare da sola, un po’ perché spesso i suoi impegni non combaciavano con la mia sessione d’esami. Lo avvertii irrigidirsi.

Ehi mostro, sei pronta?

Ce ne vorrà prima che tocchi a me, è uscita l’ultima lettera e io sono proprio fra le ultime…

Come sempre! Per questo sono venuto stavolta, se no rischi di implodere e non sarebbe un bello spettacolo!

…Ma che tenero…” per quanto cercassi di sembrare rilassata o almeno controllata, la mia voce tradiva il mio nervosismo.

Una delle leggende dell’università era davanti a me, lo avevo visto tenere una lezione, conversare amabilmente con gli studenti ma non avevo la minima idea di cosa volesse dire sostenere un esame con lui. Se ne dicevano tante, ricordavo ancora molto bene l’ammonimento di Emanuele il primo giorno che lo incontrai: tenersi alla larga da Dante Palermo e da Andrea Mari.

Che poi chi fosse questo Andrea Mari lo avrei scoperto molto presto.

Un ragazzo dai capelli castani, in un completo grigio entrò dalla seconda porta dell’aula e insieme a lui arrivò anche il silenzio, evidentemente carico di terrore. Un brusio si levò dai banchi: “Cavolo, c’è pure lui… Palermo e Mari insieme è una congiura, hanno deciso di non farne passare neanche uno!”. Guardai meglio quel ragazzo che si distingueva per il completo: aveva un portamento solenne, le spalle dritte e i capelli puliti e lucenti ben in ordine. Si aggiustò la cravatta celeste e prese l’elenco degli studenti, lo studiò accuratamente e si schiarì la voce:

Carolina D’Ottavio

Una ragazza minuta si alzò dal suo banco e cercò freneticamente la sua carta d’identità e il libretto nella sua borsa, senza un’apparente successo.

Signorina, non ho tutta la giornata…

Ehm sì, sì.. sto arrivando… un attimo, è che non trovo… Oh ecco. Arrivo”. Tremava, visibilmente. Il suo esame durò forse cinque minuti poi fu rimandata in lacrime al suo posto.

Nel frattempo, dall’altro lato della stanza, il dottor Palermo sembrava particolarmente infastidito dal candidato di fronte a lui:

La sua preparazione è scarsa come la sua capacità di convincermi che non sta qui cercando di passare l’esame alla meno peggio

Ma no dottore, io le assicuro che ho studiato moltissimo…

Ho dei seri dubbi e le chiederei in cosa consista la buona fede nelle dichiarazioni di volontà e di scienza ma temo la risposta, quindi mi limiterò a chiederle gli effetti del contratto preliminare”.

L’esaminando si risistemò sulla sedia e iniziò a balbettare qualcosa. Qualcosa di probabilmente poco convincente perché quel ragazzo dai capelli mori e dagli occhi nocciola, lo incalzò quasi subito:

Il contratto preliminare obbliga le parti?

Non riuscii a sentire la risposta, ma non ce ne fu bisogno.

Lei mi sta dicendo che il contratto preliminare NON obbliga le parti???!”. Il dottor Palermo era davvero arrabbiato, il suo tono di voce si alzò talmente tanto da fermare in contemporanea tutti gli altri esami. Si mise in piedi e si rivolse all’intera aula:

Se non avete studiato tutto il programma, vi consiglio vivamente di uscire immediatamente da quella porta, per non far perdere tempo a noi e a voi stessi con un esame ridicolo e umiliante!!!” e così facendo indicò la porta alle sue spalle.

La sensazione che ci invase fu quella di gelo.

Mi ero ripromessa di diventare una giurista migliore di lui, mi ero illusa che bastassero quei mesi per poter arrivare al suo livello e per dargli una sonora lezione, avevo creduto che il suo atteggiamento affabile e socievole fosse quello tipico di un figlio di papà che godeva della situazione che il suo cognome gli aveva portato. Non avevo mai avuto la sensazione che dietro quella disponibilità si celasse una persona tanto ostile. Mi ero sbagliata, mi ero sbagliata di tanto e quando me ne resi conto mi sentii così piccola da voler sparire. Ero stata arrogante e presuntuosa, come forse non lo ero stata mai in vita mia e avevo commesso un grande errore: sottovalutare il mio nemico, e dire che Teddy me lo ripeteva sempre che quella era la prima regola degli scacchi.

Mostro… tutto ok?

Probabilmente ero divenuta pallida e Federico doveva essersi preoccupato.

Non risposi prontamente alla domanda del mio amico e come ero solita fare, rimisi la testa sul manuale per rileggere in velocità quelle cose di cui non mi sentivo affatto sicuro. Vi assicuro che in quel momento sembravano veramente molte, in testa avevo una distesa deserta di argomenti e di capitoli, come se non avessi fatto nulla fino a quel momento.

Il panico mi invase e sebbene il dottor Mari fosse decisamente il meno affabile della cattedra, sperai solo di non dover capitare con il dottor Palermo. In quel preciso istante tutte le mie certezze vennero meno, mi sentii impotente di fronte a una materia immensa e ad un esame ai limiti dello scibile umano e avvertii quel senso di arroganza e di sfida venire meno.

Dentro di me pensavo che non era esattamente così che doveva andare: come nei migliori film o nei miei libri di avventura, la protagonista tira su il petto e il mento e affronta il drago sguainando la sua spada lucente e non pregando tutti i santi, in cui fra l’altro non ho mai creduto, che le cose andassero bene e basta. Come se il superamento di un esame simile potesse affidarsi a speranze ultraterrene.

Io però avevo un alleato stavolta, Federico al mio fianco mi mise una mano sul braccio e abbassando la voce di qualche tono per rassicurarmi mi disse:

Ok, Mostro. Fermati un attimo e guardami

Non ascoltai la sua intimazione, così mi costrinse a guardarlo.

Non-ti-impanicare!”

..e ti pare facile, hai visto che tip..

No. Non mi pare facile ma io ti conosco. So quanto hai studiato, so quanto sei determinata quando ti metti in testa un obiettivo e per una che vuole diventare magistrato antimafia, questo esame non può essere e non deve essere così spaventoso. Lo so che quel tizio mette soggezione e mi pare anche sufficientemente invasato, però tu devi rimanere concentrata e non perdere di vista il traguardo. Cosa fai a equitazione quando devi saltare l’ostacolo?”

Lo guardo prima di girare il cavallo per affrontarlo…

Esatto: focalizzi l’obiettivo. Ora devi fare esattamente la stessa cosa, sei in corsa e non devi lasciarti spaventare. Guarda il tuo ostacolo e saltalo. Stop. Hai studiato e sei preparata, sono disposto a scommettere che sei molto più in gamba della metà delle persone che si trovano in quest’aula. Quindi non distarti e quando chiameranno il tuo nome, se anche dovesse essere belli capelli o l’urlatore fighettone, respira e spacca il culo a tutti! Capito?

Mi guardò con quei suoi occhioni misti fra il verde e il marrone e non potei fare a meno di scoppiare a ridere. Aveva ragione, aveva ragione su tutto. Non avrei permesso alla paura di paralizzarmi e non avrei buttato tutti quei mesi trascorsi a studiare.

Guardai nuovamente la commissione, ma stavolta alzai la testa, in me soffiava di nuovo il vento della determinazione. Il mio sguardo doveva essere cambiato perché Federico, accanto a me, sorrise. D’altronde, anche le migliori eroine hanno bisogno a volte di ritrovare la fiducia.

***

Passarono diverse ore, un tempo che riuscii in qualche modo ad impiegare un po’ conversando con gli altri colleghi, un po’ ridendo delle nostre avventure con il mio fidato amico.

Quando la commissione chiamò il mio nome, mi prese alla sprovvista. Presi il documento che avevo preparato insieme allo statino e scesi le scale che mi portarono davanti ai banchi della commissione. Il dottor Palermo era impegnato in un altro esame e non saprei dire neanche oggi se la cosa mi sollevò o piuttosto ne rimasi delusa, era un periodo di forte confusione.

Si alzò da uno dei banchi una ragazza dai lunghi capelli mori, gli occhi leggermente sporgenti e un naso decisamente poco ortodosso.

L’assistente cercò subito di mettermi a mio agio, ma l’esame risultò più tosto del previsto. Sebbene avessi dedicato molto tempo allo studio della materia, le sue domande mi misero piuttosto in difficoltà perché volte a comprendere se avessi percepito davvero la complessità della materia e il collegamento fra gli argomenti. Su diversi punti mi resi conto di essere stata superficiale.

Signorina, leggo nella sua preparazione che lei ha studiato molto ma forse non nel modo più corretto per il voto a cui probabilmente aspira. Ad oggi, non posso darle più di 24.

E io che avevo pensato al 30 e lode! Non nego che fu veramente una grande delusione, realizzai che avevo sprecato molte delle mie energie, arrivando ad un risultato mediocre che forse sarebbe stato più che dignitoso per qualcun altro, ma non per me.

Il mio obiettivo è sempre stato diventare magistrato, di forza d’animo ce ne sarebbe voluta ancora molta. Le cose non erano andate come previsto, ma potevo sempre rimediare.

Tornai a sedermi al mio posto, accanto a Federico, nell’attesa che mi chiamasse il professor Lupo.

Allora, come è andata?

Non benissimo: 24

Hai visto però?? Te lo avevo detto che non dovevi preoccuparti! Certo non è un voto altissimo, ma 24 è un bel voto in esami come questi!

Non va bene. Non è il voto il problema: è il fatto che io abbia studiato mesi la mia prima materia veramente complessa e non sia riuscita a prendere neanche un voto che si avvicini alla zona 28-30. Qualcosa non è andato nella preparazione”. Mi misi a guardare un punto indefinito alle spalle della cattedra e non prestai attenzione a nulla e nessuno, specie a coloro che venivano da me a congratularsi perché “24 con l’assistente era già un grande risultato”.

Il professor Lupo, comunque, avrebbe ancora potuto alzarmi il voto.

Quando mi presentai davanti a lui, non ero particolarmente entusiasta e sperai che non si ricordasse del piccolo disguido avuto durante una delle sue prime lezioni.

Si mise comodo sulla sedia, apri il mio libretto e diede un’occhiata veloce alla media ottenuta fino a quel momento, poi guardò il foglietto che gli aveva passato l’assistente con cui avevo sostenuto l’esame e infine guardò me:

Bene, Signorina Alighieri, vedo che le hanno dato 24. Cosa ha intenzione di fare? Accetta o vuole la domanda?”, il suo tono era pacato e serafico.

Lo ero anche io, avevo preso la mia decisione.

Vorrei alzare il mio voto, di molto, e non accetterei comunque un voto così basso. Quindi le chiedo di farmi una domanda.

Molto bene, Signorina. Questo è lo spirito giusto: decadenza convenzionale”.

Inutile dire che la domanda mi colse alla sprovvista, a parte la disciplina generale della decadenza, che sicuramente non era quello che voleva sentirsi dire il professore, non avevo propria idea della disciplina della decadenza convenzionale. Scoprii ben presto che si trattava di un articolo alla fine del codice civile dimenticato persino da Dio.

Mi coglie impreparata

Lo immaginavo”, ripiegò il mio statino e me lo porse con un sorriso, “ci vediamo a Settembre”.

Scesi le scale del piano rialzato dove si trovava la cattedra del professore e avevo già in mente il mio piano d’azione. Mi misi nelle prime file, aspettando che si liberasse il dottor Topo, un assistente della cattedra molto più affabile e rassicurante. Avevo bisogno di avere un confronto con qualcuno che mi spiegasse le mie mancanze, qualcuno che mi aiutasse a capire dove avevo sbagliato nella preparazione. Ovviamente non mi passò in mente neanche per un istante la possibilità di chiedere aiuto al dottor Palermo.

Federico mi stava aspettando pazientemente tra le ultime file, gli avrei spiegato tutto a tempo debito, non dubitavo che mi avrebbe appoggiato qualunque cosa avessi scelto di fare. Stavo guardando il dottor Topo mentre conduceva un esame, nella speranza di intercettarlo tra un candidato e l’altro, quando sentii l’odore di colonia invadermi prepotentemente e con la coda dell’occhio mi resi conto che una figura si stava avvicinando.

Non avevo bisogno di girarmi per sapere chi fosse, ormai quel profumo lo avrei riconosciuto fra mille. Non volevo guardarlo perché mi sentivo piccola e incompetente, oltre che tremendamente stupida: un cucciolo tigre ferito a morte, ecco come mi sentivo.

Ho sentito che ha rifiutato il voto…

La sua voce morbida mi arrivò come una freccia scoccata dal migliore arciere. Probabilmente non era quella la sua intenzione, ma la sua attenzione per me in quel momento mi umiliò particolarmente. Io che avevo deciso e che mi ero ripromessa di prendere il massimo dei voti a quell’esame, ora venivo guardata come un bambino colto con le mani nella marmellata.

Tenni lo sguardo basso e mi girai quanto bastava per assicurarmi il rispetto del vivere comune e delle istituzioni universitarie.

Sì. Devo aver sbagliato qualcosa nella preparazione

Lo penso anche io. Il suo atteggiamento, tuttavia, mi ha colpito molto, non lo nego. Non si sente spesso di studenti che rifiutano il voto all’esame del professor Lupo. Lei è ambiziosa…”, con quest’ultima parola mi convinse a dargli tutta la mia attenzione e più che guardarlo, lo fissai con estrema fermezza e per qualche secondo tenne il mio sguardo in silenzio, poi si sistemò nuovamente la cravatta e proseguì “… è un bene, in questo lavoro bisogna essere ambiziosi”. Prese un pezzo di carta vicino a lui e ci scrisse sopra qualcosa in velocità. “Ecco, questo è la mia email. Mi contatti a fine Agosto, ci metteremo d’accordo per vederci in facoltà. La preparerò io personalmente per la sessione autunnale e capiremo cosa non ha funzionato nel suo metodo di studio. Ora si goda quel che resta della sua estate”.

Detto questo, mi mise davanti quel foglietto con il suo contatto e nessuna possibilità di fuga.

Non avrei mai pensato che rifiutare quel voto avrebbe cambiato così tanto gli avvenimenti futuri: il dottor Palermo mi aveva notato.

Mi chiedo, tuttora, se sia stato un bene o piuttosto una maledizione.

 

 

Nota dell’autrice:

Mea culpa! Non ho aggiornato per un’infinità di tempo ma la vita post universitaria è veramente molto dura. Cercherò di scrivere con maggior regolarità per chi volesse seguirmi!

Soc

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