I cinque sensi

di ciel1
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vista ***
Capitolo 2: *** Udito ***



Capitolo 1
*** Vista ***


C’era freddo.
Il vento settembrino gli scompigliava i capelli, ma poco gli importava, non gli era mai importato del suo aspetto esteriore. Si sfregò le mani per produrre un po’ di calore, ma a nulla servì. I suo grandi occhi color del cielo iniziarono a lacrimare: era il vento. Gli capitava spesso, era abituato ormai. Era già qualche anno che viveva ad Assisi, ma non si era ancora abituato al vento di quel paesino in collina. A volte, girando per le strade, si chiedeva cosa l’avesse spinto fin lì: aveva chiuso gli occhi, puntato un dito sulla cartina ed era partito. Il dito era finito sull’Umbria. Era già stato in Italia e in realtà si era ripromesso di non tornare in quei luoghi che tanto lo avevano segnato: Firenze, la Sicilia… Un colpo al cuore. Ormai era acqua passata. 

Passò, come ogni venerdì pomeriggio, nei pressi della Basilica di San Francesco, a volte entrava per ammirare e lasciarsi abbagliare dall’abbacinante soffitto. Quel giorno non entrò, proseguì fino alla locanda lì vicino dove abitualmente beveva un tè. Uno dei pochi clienti a bere del tè. Nonostante il freddo che avvertiva sulla pelle, decise per un tavolo all’esterno, ad angolo, un po’ nascosto, come del resto era lui: nell’ombra, dove nessuno poteva notarlo. Era schivo, lo era sempre stato, non amava farsi notare, amava osservare. L’osservazione faceva parte del suo mestiere, ma sviluppò maggiormente quella sua capacità grazie a quella persona dal nome dimenticato.

Quella persona gli era entrata dentro, aveva svolazzato tra i suoi pensieri e si era insinuato nel suo essere, nella sua più recondita essenza e lì era rimasto, era cresciuto, ammaliando ogni sua azione e suggestione. In quel lontano periodo vedeva il mondo attraverso gli occhi di quella persona. Quel sentimento era dipendenza, quella persona era dipendenza e allo stesso tempo tutto risultava essere sfiancante. In quel periodo era esausto, senza forze e per assurdo pieno di energie che quella persona gli infondeva. Quasi non esisteva più, ma anche quella persona, dall’apparenza forte, sicura e stabile come una rocca, era semplicemente debole e pressoché invisibile. I due risucchiavano vicendevolmente le energie dell’altro. Ognuno di loro dipendeva dall’essenza dell’altro. Ma ora non era più così, o meglio, dopo quel periodo lui cercò di dimenticare quella persona, cancellarla, ma in realtà l’aveva solo repressa, soffocata, confinata in un angolo di una stanza del suo palazzo della memoria, quello stesso palazzo che per una assurda ironia, quella persona gli aveva insegnato a costruire.

Sentiva freddo. E dire che proveniva da un luogo dove il freddo si faceva sentire quando doveva. Forse sentiva molto freddo, perché questo gli veniva da dentro. Non era l’esterno il problema, era lui.

Il suo cuore, la sua anima, la sua mente, tutto ormai era freddo. Le arterie non pulsavano più, avvertiva solo le gelide vene che cercavano di pompare il sangue verso il cuore, ma quell’organo dimenticato non accettava più nulla.

“Una tazza di tè per favore”. Il suo italiano era molto migliorato.

Sorseggiò il suo tè mentre da lontano scorse una donna che stava sedendo ad un tavolo poco distante. Era Maria, la sua collega di lavoro. Qualche giorno prima aveva detto di amarlo, gli aveva detto che voleva uscire con lui, frequentarlo insomma. Lui era a disagio, non sapeva cosa dire. Amare qualcuno? Si ricordava come si amava? Aveva mai amato?

Aveva amato, ma in un modo differente. Il suo amore non era puro, non era semplice.

Quella donna invece era il candore fatto a persona, desiderosa di conoscere un bravo ragazzo, comprare una bella casa, mettere su famiglia e programmare gite in montagna con il proprio marito. Quella era la vita che voleva. Quel giorno lui, da bravo osservatore quale era sempre stato, intravide quei sogni nei suoi occhi mentre lei, con voce tremante, cercava di parlare dei sentimenti che provava verso di lui. Il suo futuro era lì, limpido come il cielo di Assisi. Però lui non aveva quella stessa luce negli occhi, lei l’aveva capito e voleva salvarlo, molte donne vogliono salvare i propri uomini, ma lui non voleva essere salvato. 

Quella persona l’aveva talmente condizionato che lui non poté fare altro che cercare di annaspare e sopravvivere. La vita non gli era più concessa.

Si sentiva un maledetto.

«Ami un’altra donna vero? È così» disse lei quel giorno.

Lui sorrise mestamente.

«Ho amato qualcuno.»

«La ami ancora?»

Lui non riuscì a rispondere. Rimase in silenzio. Lei assunse invece lo sguardo di chi ha già capito tutto e concluse dicendo: «Certo, la ami ancora. Lo vedo.
Sei tormentato. Questa donna ti sta uccidendo, scusa se lo dico, però…».

Lui le sorrise: «Sono proprio senza speranza. Dovresti trovare un bravo ragazzo.»

«Tu sei un bravo ragazzo» disse lei.
 
Maria sedeva poco più in là, aveva ordinato un caffè, leggeva “Cime Tempestose”, poi alzò lo sguardo e lo vide. Si guardarono per un po’. Lei gli fece un cenno di saluto e lui rispose di rimando.

Poi accadde…

Dietro di lei, in secondo piano, c’era una figura che avanzava con passo elegante, lui non mise subito a fuoco , ma il luccichio dei gemelli della camicia gli erano familiari. La figura si avvicinò, oltrepassò la donna che lo guardò come si può guardare uno sconosciuto, ma capì subito dopo che quella figura si stava dirigendo verso l’uomo che amava.

Lui alzò lo sguardo e sfiorò gli occhi di quella figura, quella persona.

Lui divenne di pietra. 

Stava avvertendo la medesima sensazione di quando, sulla scogliera, si stava lasciando andare verso il baratro portando con sé quella persona. Avvertiva quello stesso freddo dell’acqua nera e notturna. Le corde vocali tese come quelle di un violoncello. Una stretta al cuore. Il violoncello. Ricordi del passato riaffiorarono come lampi. Il passato tuonava nella sua testa fino a distruggergli i neuroni. Il sangue sembrava evaporare dal suo corpo. Sensazioni contrastanti regnavano in lui. Era sempre così quando si trattava di quella persona. Quella figura era disarmante. Se lui fosse stato cieco lo avrebbe riconosciuto tra mille. Il suo profumo era inconfondibile.

Quella persona era ormai di fronte a lui. Lo guardava, lo scrutava, voleva capire se c’era ancora quella luce nei suoi occhi. Era disarmante, come sempre. Quella persona stava bussando alla porta, stava artigliando la porta, voleva uscire disperatamente da quella stanza dove era stato recluso per molto tempo. Aveva lo sguardo malinconico, ma con lo stesso sfavillio nelle iridi di un tempo.

Lui percepì quello sguardo multiforme.

Quella persona accennò un sorriso tra sé, pensò di aver trovato un varco. Ormai si stava facendo strada.

Si sedette.

«Ciao Will.»

Will guardò di nuovo la donna, aveva paura che lei potesse capire chi fosse quella persona, ma come poteva saperlo. Nonostante ciò, la donna sembrò intuire quell’intesa tra i due. Difficile nascondere l’intesa. L’intesa traspare sempre e si riverbera sul mondo circostante.
Will tornò a immergersi negli occhi di quella persona.

«Hannibal…» iniziò.

Will comprese che quella persona che ora tornava ad avere un nome, aveva appena sfondato quella porta così fragile e cigolante. Will si era impegnato a costruire una porta indistruttibile, ma aveva fallito o forse l’aveva semplicemente costruita in quel modo di proposito.

Will si rese conto che non sarebbe più riuscito a soffocarlo un’altra volta in quell’angolo del palazzo della memoria, ma in realtà non aveva più intenzione di reprimerlo.

Will voleva tornare ad essere alla sua mercé, anche se in quel momento non ne era del tutto consapevole.

Hannibal, dal canto suo, era lì per essere sedotto ancora una volta dalla bella mente di Will Graham.


 

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Capitolo 2
*** Udito ***


Agì d’istinto, nient’altro che istinto. Erano passati due mesi. Due mesi da quegli eventi ormai quasi appartenenti ad un’altra vita. Erano due mesi che Will aveva iniziato una nuova esistenza, sembrava star bene e questo invece di tranquillizzarlo gli infuse paura.

Will aveva paura e quest’ultima lo portò ad agire d’istinto.

Lo psichiatra non era ancora rientrato in casa. Da quando erano arrivati in Argentina, dopo il salto dalla scogliera, i due si erano procurati dei documenti falsi, un’identità nuova e risiedevano in un vecchio casolare con terreno comprato da Hannibal molto tempo prima. Gli abitanti del posto, infatti, credevano fossero due ricchi proprietari terrieri venuti da lontano, pagavano bene la manodopera e finché c’era la grana nessuno si pose molte domande su chi potessero essere: i soldi zittiscono in ogni caso.

Quel pomeriggio, mentre la paura correva lungo la schiena di Will, quest’ultimo impacchettava in modo impacciato le sue poche cose per andare via da quel luogo e da Hannibal Lecter.

Will aveva paura. Paura che quella potesse essere la vita che aveva sempre desiderato, paura di essere felice, paura che da un momento all’altro li avrebbero catturati, paura di quelle perfette conversazioni e di quei miti viaggi nei rispettivi palazzi della memoria. Quell’atmosfera pacifica e platonica gli parve così fragile, tutto gli sembrò una bolla di sapone pronta ad esplodere. Will sembrava non sostenere più quella perfezione apparente. Aveva paura di perdere tutto e se stesso. Will, che in fin dei conti aveva agognato quella vita alternativa, ora si trovava a scappare via da quella stessa. Si chiese se Hannibal l’avesse intuito, forse sì o forse no, ma scacciò quei pensieri, prese il suo cappotto e si diresse verso la porta sul retro.

Mentre usciva notò un vecchio fonendoscopio in un cassetto semi aperto. Quell’oggetto gli portò alla mente gli eventi di quella notte dove tutto cambiò.


 
Dopo il salto dalla scogliera, mentre affondavano nell’acqua nera e gelida della notte, c’era Chiyo ad aspettarli su di una imbarcazione non molto grande, ma resistente alla vista, Will se ne intendeva. Chiyo chiamò Will a gran voce, quest’ultimo riemerse dall’acqua, era ancora avvolto nell’abbraccio di Hannibal. Will respiro a pieni polmoni, fu un attimo, poi ebbe la sensazione che Hannibal respirasse a malapena o quasi per nulla.

Chiyo urlava di venire verso di lei, poi li portò in salvo sulla sua imbarcazione.

Will si accasciò sul pagliolo quasi baciandolo. Era vivo.

“Non respira.” tuonò Chiyo. Will non avrebbe voluto sentire quelle parole.

Will si avvicinò al corpo mentre un brivido gelido gli pervase le membra.



È bellissimo aveva detto, mentre erano lì sul ciglio della scogliera, era l’unica cosa a cui aveva pensato in quel momento, poi, come un lampo, avvertì una sensazione strana, nuova ed ebbe quasi paura. Chi era Will Graham? Chi era Hannibal Lecter?

Will avvolse Hannibal in un abbraccio che quest’ultimo ricambio. A cosa stava pensando? Ed Hannibal a cosa credeva? Volevano salvarsi? Uccidersi? Cosa?

Will si lasciò cadere portandolo con sé.

Così, semplicemente. Il resto lo affidò alla sorte.

Cosa desiderava realmente?    
 
 
 
Will si avvicinò al corpo e iniziò a fargli il massaggio cardiaco. Chiyo annuì, poi prese il comando dell’imbarcazione per portarli al largo, molto lontano dalla scogliera.

Will continuò con il massaggio, diventò sempre più aggressivo verso quel corpo. Avvicinò l’orecchio, ma nulla sembrava fuoriuscire dalla sua bocca.

“C’è una cassetta dietro di te! Vedi se può servirti!” grido Chiyo.

Will si voltò, individuò la scatoletta malmessa e l’aprì. La cassetta conteneva svariati oggetti, non era una cassetta di primo soccorso, c’era un cacciavite, dei chiodi, una pistola, un fonendoscopio, un coltello…

Un fonendoscopio.

Will lo afferrò.

Posizionò la testina sul petto di Hannibal.

Non avvertiva nulla. Era troppo agitato, troppo nervoso.

Chiuse gli occhi, come quando lavorava.

Chiuse gli occhi e si concentrò.

Un battito flebile, c’era un battito. Riaprì gli occhi, si accorse solo in quel momento che una lacrima stava bagnando il suo viso.

“È vivo?!” disse Chiyo.

Will annuì, aveva ancora il fonendoscopio tra le mani, Hannibal iniziò ad aprire gli occhi e continuò a guardare Will.

 
 
Will continuava a guardare quel fonendoscopio nel cassetto. Poi preso dalla paura di poco prima, quella stessa paura che l’aveva condotto fino a quella soglia, strinse la valigia che aveva in mano e chiuse la porta dietro di sé.

Era ormai lontano da quella casa, cercava un taxi per andare ancor più lontano da lì, anche se non sapeva dove. Non aveva molti soldi con sé, però… Will si guardò intorno, vide una libreria. Rimase incantato, come se fosse stata la prima volta che ne vedeva una. Da quanto tempo non entrava in una libreria. Guardò l’orologio, pensò di avere ancora tempo prima che Hannibal si accorgesse della sua dipartita.

Entrò nella libreria, sbirciò qua e là e si ritrovò nel reparto viaggi. Accarezzò alcuni libri e poi vide una gigantografia di un planisfero appesa al muro.

Will chiuse gli occhi, si concentrò come quando si trovava sulle scene del crimine, posizionò il dito sulla cartina, lo fece roteare e poi si fermò.

Aprì gli occhi.

L’Italia.

Ebbe una stretta al cuore.

Non era possibile.

Esattamente il Centro Italia, non poteva leggere esattamente la zona o la città dove aveva puntato il dito, ma a giudicare dalla posizione poteva essere solo l’Umbria.

Will sospirò.
 

“Una guida sull’Umbria! Italia! Ottima scelta!” esclamò la commessa alla cassa. “Lo vede questo santo? È san Francesco” continuò la cassiera mostrando una medaglietta che aveva appesa alla collana. “Il santo di Assisi. Quando andrà in Umbria si ricordi di passare da lì”.

Will le sorrise, prese il sacchettino con il suo nuovo acquisto e uscì dalla libreria.

Fermò un taxi e prima di salire si voltò in direzione della casa che era stata sua per soli due mesi. Chiuse per un momento gli occhi pensando ad Hannibal. Lo immaginava mentre rincasava, avrebbe avvertito subito l’assenza del profumo di Will e avrebbe capito in un istante che lui era andato via. Si sarebbe diretto verso la porta sul retro, perché sapeva che Will sarebbe uscito da lì, senza far rumore, senza farsi notare, Will non poteva nascondergli nulla, forse, chissà, avrebbe notato anche quel fonendoscopio vecchio e abbandonato e forse avrebbe ripensato anche lui, come Will, a quegli eventi di sole poche settimane prima.

Will impacchettò quel pensiero e tutti i suoi ricordi, li mise sotto chiave nel palazzo della memoria. Sapeva che Hannibal l’avrebbe cercato in quelle stanze, tra quegli appartamenti, ma Will aveva serrato tutte le porte e stava cercando un modo per buttare via anche la chiave.

Mentre era in taxi, Will continuava ad avvertire ancora in lontananza il battito del cuore di Hannibal che aveva sentito attraverso il fonendoscopio. Cercava un modo per dimenticare quel suono, aveva sigillato tutto il suo passato, ma quel suono era il più difficile da reprimere e lo accompagnò per il tempo avvenire.


 

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