Ad occhi chiusi

di Stella94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sansa ***
Capitolo 2: *** Jon ***
Capitolo 3: *** Sansa ***



Capitolo 1
*** Sansa ***









                              
                        Ad occhi chiusi 





                                   Sansa 








Doveva sentirsi più al sicuro ora che si trovava protetta tra le mura inespugnabili e familiari di Grande Inverno.
La realtà è che ogni cosa le appariva troppo grande, troppo vuota, piena di buchi neri, ombre che nell’oscurità minacciavano di ghermirla.
C’era ben poco dei suoi ricordi in quella fortezza che sembrava grondare ancora sangue.
Era stata contaminata, sporcata. Avevano cancellato ogni cosa, quel suo granitico splendore che la faceva risplendere d'argento sotto i raggi sempre deboli del sole, ed ora c’era solo un’immagine sfuocata, un ricordo che stava sbiadendo.
Sansa si guardò intorno sperando di ritrovare quello stesso sentimento che da bambina aveva più volte rinnegato, addirittura detestato. Anche il suo cuore era stato contaminato, perché non c’era nessuna passione nell’idea di essersi rimpadronita di ciò che ingiustamente le era stato sottratto.
Si trovava lì, nella stanza che un tempo era stata dei suoi genitori, ma non era abbastanza, la sua anima come esausta sembrava deprivarla di qualsiasi emozione.
Si era immaginata molte volte quel momento, negli incubi si era svegliata progettando ansante la sua vendetta. Non era servito a niente. Era vuota.
Si sedette sul letto indecisa sul da farsi. Avrebbe dovuto riposare, ma sapeva che non ci sarebbe riuscita. Quel letto era decisamente grande, imponente,  inadatto ad una ragazza sola e assalita dai tormenti. Faceva freddo, nonostante il fuoco scoppiettasse nel camino ardente di braci, e le ombre si stavano allungando diventando fitte e impenetrabili.
Sentì bussare alla porta, si portò le mani in grembo.
─Avanti.
Disse con un tono che sembrava non appartenerle, così gracile, incrinato. Quel tono di voce che non si addiceva ad una ragazza che aveva dato in pasto il suo assalitore a quei cani che gli erano stati tanto fedeli.
Dov’è il mio cuore?
La testa di Jon fece capolino da dietro la porta. Sansa si affrettò ad alzarsi, aggiustandosi il vestito.
─Vostra Grazia.
Mormorò mettendosi dritta. Non ricordava se avesse pianto, si toccò lo stesso il viso per accettarsi che non ci fosse scritto nulla che non volesse rivelare nella sua espressione impassibile.
─Vostra Grazia? ─Jon fece un passo nella stanza, chiudendosi la parta alle spalle ─Pensavo conoscessi bene il mio nome.
Sansa intrecciò le dita in grembo. Ad un tratto si rese conto che qualcosa in lei sembrava ancora essere vivo. C’era come un formicolio al centro dello stomaco, adesso si, poteva anche avvertire un lieve battito palpitare contro il petto. C’era ancora il suo cuore, forse c’era anche se stessa. E si sentì meglio, un po’ più sicura. Ero lo stato d’animo che aveva associato alla vicinanza di Jon.
─Sei il mio re adesso. Non più mio fratello.
─Io sarò sempre tuo fratello ─ Jon le si avvicinò pacato, con uno sguardo cordiale e sicuro. Aveva tolto il pesante mantello con il collo adornato da pellicce, e stava elegante nel suo farsetto pulito e finemente ricamato, i capelli mezzi legati all’indietro come suo padre spesso raccoglieva ─E a proposito di questo, vorrei porgenti le mie scuse. A nome mio e a nome di tutte le persone presenti alla cena di questa sera.
─Per quale motivo?
Jon spostò il peso da un piede all’altro, nei suoi occhi di oscurità e tenebre, vi era una sorta di nebbia, un velo sinistro di frustrazione, forse senso di colpa.
Non tormentarti Jon.
─Avresti dovuto essere tu ─ Convenne con convinzione ─E’ stato merito tuo, tutto quanto. Se non fosse stato per te non saremmo usciti vivi da quella battaglia. Io non sono l’eroe che loro pensano, li stavo conducendo alla morte in realtà. Non ho nessun diritto di pretendere un trono che non mi appartiene e che non ho conquistato con onestà. Sono stato ingenuo ed egoista. Tu…
─Shhh…
Sansa interuppe le sue parole mettendogli le dita sulle labbra. Jon parve colpito, i suoi occhi grandi più profondi, come se si fossero aperti quasi per farla entrare. E c’era come un nuovo mondo che sembrava caderle addosso.
Sansa poteva vedersi riflessa in quello sguardo, così fragile, quasi più piccola. E non le parve vero, non le parve possibile. Lei con le dita sulla bocca di Jon Snow, quelle labbra che non immaginava tanto morbide.
─Io sono felice per te, Jon ─ Sussurrò appena, la mano che ritornò a posarsi lungo il suo fianco ─Te lo meriti. Hai combattuto con coraggio, ti sei fatto avanti con onore. Tu sei il re che il Nord stava aspettando.
─Non ne sono così sicuro.
─Robb avrebbe voluto così ─Fu travolta nuovamente dal desiderio di toccarlo. Jon le sembrava quasi un dono, davanti a lei, indifeso, vulnerabile, entrato nel suo piccolo mondo di paure per essere preso, per renderlo meno vuoto. Non lo fece ─E anche nostro padre. Loro sarebbero fieri di te.
Jon piegò leggermente la testa, i riccioli scuri che le sfioravano le spalle. Sansa conosceva quello sguardo, l’aveva visto prima in quello di Ned, di tanto in tanto si era aperto anche su quello di Robb.
Era il modo in cui uno Stark ti leggeva dentro, e difficilmente riuscivi a nasconderti.
Potevi fingere, ma loro sapevano leggerti il cuore, potevi nasconderti, ma erano bravi a seguirti anche nell’ombra. Sansa sentì il bisogno di arretrare, ma come aveva già prospettato, Jon non perse tempo a raggiungerla.
Non era cambiato molto. La distanza tra i loro corpi era la stessa, ma Sansa sapeva che adesso non vi era più nessuna barriera, nessuna maschera sul suo viso pulito e fragile.
─E allora perché ho come la sensazione che non mi stai dicendo tutto?
Sansa si morse le labbra. Improvvisamente troppo stanca per reggersi in piedi, si lasciò cadere sul letto, osservandosi le mani pallide e prive di calore.
In un attimo l’immagine di Petyr Bealish le balzò alla mente, facendole fermare il cuore, un senso d’angoscia che la mise a disagio tanto da spingerla a chiudere gli occhi.
Jon non sapeva, lui non aveva assisto all’atrocità di innumerevoli menti contorte che ancora la tormentavano di incubi. Non poteva capire, non era così astuto, si fidava troppo spesso e di chiunque.
Jon aveva un animo troppo grande e nobile, era deciso ma anche giusto. Era spietato ma anche leale.
Lui decideva con l’amore e la speranza. Jon era capace di scorgere la luce anche lei luoghi più bui.
Ma alcune tenebre rimangano per sempre ombre, e Sansa le aveva ne aveva conosciute molte, così com’era stata testimone della crudeltà feroce e di quella sottile, nascosta da falsi sorrisi, gesti apparentemente innocui.
Petyr Baelish sapeva usarli tutti, il mondo si stava già accerchiando intorno a loro in una morsa di acciaio e sangue.
Perché sei così cieco, Jon?
─Sono preoccupata ─Confessò con timore ─Sai meglio di me cos’hanno fatto all’ultimo Re del Nord.
Il ragazzo piegò le ginocchia fino a raggiungere la sua stessa altezza. Erano vicinissimi, e Sansa poteva vedere ogni cosa.
La linea della sua cicatrice sulla fronte, le leggere increspature pallide e frastagliate, come sottili ragnatele. Le ciglia lunghe, scurissime, ben definite che gettavano strane ombre sulle guance. Gli occhi grandi, lucenti, aperti, quasi ad abbracciarla. E poi le labbra, incorniciate da uno spesso strato di barba incolta. Piene, rosee, fin troppo perfette. Ripensò alle sue dita posate sulla bocca di Jon, le sarebbe piaciuto avere un buon motivo per rifarlo.
─Questo non significa che ciò che è successo a Robb debba succedere anche a me.
La rassicurò deciso, un leggero sorriso nella speranza di convincerla.
─Tu sei buono, Jon. Il tuo cuore non è rotto. Riesci ancora a renderlo parte di te ─ Disse Sansa quasi come una preghiera ─ma li fuori ci sono persone pronte a tutto per ottenere quello che vogliono. Non si fermeranno davanti a nulla, neppure davanti al nome di una casata a cui hanno giurato fedeltà.
─E credi che non lo sappia? ─ all’improvviso gli occhi del ragazzo persero profondità, come se avesse innalzato un muro, una roccaforte, tra il suo mondo interiore e quello che voleva mostrare. Era ritornato quasi ad essere il vecchio Jon, quello imbronciato, taciturno, sempre assorto, costantemente corrucciato, un’ombra tra fiocchi bianchi di neve tutto intorno. ─Sono stato ucciso, Sansa,  dai miei stessi fratelli. Persone di cui mi fidavo ciecamente, a cui avevo donato tutto quello che mi era rimasto da donare. Non ho paura. Non sono stupido come credi.
─Non penso che tu sia stupido, Jon ─ Rispose Sansa piegando la schiena per farsi più vicina ─Penso che il mondo sia stupido. Sai una cosa? Non riesco a fare a meno di pensare a come sarebbe stato se quella sera, quando venni al Castello Nero da te, fossimo scappati via, lontano da qui. Magari in un luogo in cui nessuno avrebbe conosciuto il nostro nome.
Per un attimo quasi scorse tutti i suoi sogni nello sguardo impressionato del fratello. I suoi stessi desideri, le sue stesse speranze, le sue stesse fantasie che le nutrivano l’anima. Ci sarebbero potuti stare serenità e dolci sorrisi. Li scorse tutti attraverso i suoi occhi meno cupi.
Ma durò poco, il tempo di sbattere le palpebre e ogni cosa si era già infranta. Come un vetro rotto ridotto a mille pezzi, schegge di cristallo acuminate come pugnali.
─Non saremmo mai stati felici, Sansa, e tu lo sai. ─ le strinse una mano con le sue dita grandi e callose. Doveva essere sicuramente un gesto gentile, uno scambio d’affetto, eppure quella presa sembrava troppo forte, troppo vera, troppo tangibile, reale. Un calore prepotente le salì frettolosamente al viso ─Qualcosa ci avrebbe spinti a ritornare qui. In fondo sei stata tu che mi hai convinto a combattere, per tutte le persone che sono morte proteggendo quello che noi ci siamo ripresi. Andrà tutto bene, te l’ho prometto.
Ed era così bello averlo vicino, percepire il suo tocco timido eppure così deciso, quasi come un giuramento. Sansa lo osservò meglio, nel modo in cui non avrebbe mai immaginato di fare.
Era cambiato Jon, nello spirito e nell’aspetto. Aveva preso le sembianze di un uomo maturo, dai tratti marcati e le linee nette, precise, quasi perfette.
Aveva l’aspetto giusto che si addiceva ad un Re, regale, ben curato, ma con i segni di un indomito coraggio impressi sulla pelle, della furia con cui aveva affrontato ogni battaglia, e della determinazione che gli era stata decisiva per vincere il dolore.
Era bello, bello come un sogno oscuro.
─Resta con me.
Disse la ragazza senza neppure riconoscere la sua voce, credere che avesse realmente pronunciato quelle parole, farsi una ragione della sua impalcabile sfrontatezza. Dov’era Sansa? Chi era Sansa?
─Sansa, io resterò sempre al tuo fianco. Qualunque cosa accada tu..
─No! ─ Lo interruppe imbarazzata, il calore sulle guance come brace ardente che le intorpidiva la pelle ─Resta con me. Questa notte. Qui.
Lo vide deglutire, aprire e chiudere le palpebre prima di serrare le labbra in una smorfia di confusione. Sansa si pentì subito della sua audacia.
La stanza improvvisamente le parve come rimpicciolirsi, e tutto diventare troppo ingombrante, maestoso, quasi come se ogni cosa le stesse precipitando addosso minacciando di soffocarla.
Aveva caldo, sentiva solo il bisogno di nascondersi, sperare che la sua convinzione potesse renderla invisibile.
Non voleva guardarlo, non desiderava neppure una risposta. Era stata una stolta e una sciocca, priva di moralità e rettitudine. Era chiaro, lampante addirittura, quanto Jon si trovasse in imbarazzo, la sorpresa nei suoi occhi scuri dipinta in innumerevoli scintille d’argento.
Il ragazzo schiuse le labbra, emise un leggero bisbiglio, quasi un gemito. Arricciò la fronte, le parole che sembravano essersi bloccate in gola.
─Io…
─Perdonami, Jon. ─Lo interruppe ancora scuotendo la testa, il tono gracile, tremante, lo squittio di un uccellino ferito ─Non so cosa mi sia preso. È questa stanza, suppongo. Riporta a galla troppo ricordi dolorosi, una vita passata che sembra essere appartenuta ad un’altra persona. Questa è la mia casa, queste mura mi hanno vista crescere e diventare donna. Eppure è come se non fosse la stessa. Non riconosco più nulla, niente sembra appartenermi. Sono circondata a da fantasmi e sussurri. Non vanno mai via.
Le servì tutto il coraggio di cui disponeva per alzare lo sguardo scoprendo che Jon la stava ancora fissando. La luce fioca della candela creava giochi di luce e ombre sul suo viso pallido, nei riccioli scuri si accendeva di sottili strisce dorate. Sperava solo che avesse capito.
E forse addirittura era stato capace di leggerle l’anima, perché la presa sulla sua mano divenne più salda e si trasformò in una carezza, un sorriso appena accennato contornato dalla barbara incolta.
─Sansa…
─Non devi dirmi nulla. ─ Affermò la ragazza rossa di vergogna ─Sono stata sfacciata e inopportuna. Senza contare che, tu sarai stanco e io continuo a trattenerti qui con le mie stupide paure e le mie folli richiese. Mi dispiace, devo aver perso il senno. La battaglia…
─Sansa Stark, vuoi smetterla di interrompermi per una buona volta?
Sansa sorrise sentendosi un po’ meno in imbarazzo.
─Sono desolata, vostra grazia.
Disse restando al gioco.
Jon annuì quasi soddisfatto, gli occhi scuri splendenti di stelle.
─Bene. Perché è già da molto che sto cercando di dirti che voglio rimanere. Voglio cancellare quei sussurri, e scacciare via ogni fantasma. Lascia che sia io a proteggere i tuoi sogni.
 
 
CONTINUA….

 
Ed eccomi qui, come promesso con una long jonsa. Spero che il primo capitolo vi abbia incuriosito, che vi sia piaciuto. Insomma fatemi sapere se vale la pena continuarla o meno.
Ringrazio tutti voi che l’avete letta, ringrazio tutte le persone che hanno letto le mie precedenti shot jonsa e mi hanno convinto, con le loro splendide parole, a scrivere una storia più lunga su di loro. Vi ringrazio davvero di cuore. Insomma, fatemi sapere cosa ne pensate. Vi mando un grosso bacio e un abbraccio! E buon ferragosto a tutti! 

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Capitolo 2
*** Jon ***












                                                                                                               Jon 






Aveva accettato di starle vicino, aveva accettato di accontentare la sua infantile e inaspettata richiesta. Aveva accettato di proteggere i suoi sogni, di essere il suo scudo, di combattere i suoi demoni, ma adesso sentiva quasi che fosse stata un’altra persona a rispondere per lui. Non riusciva a capacitarsene.
Cosa ci faceva lì? Quale incoscienza l’aveva spinto ad una simile scelleratezza? Aveva per caso perso il senno? Il vino che aveva bevuto a cena era stato corretto con qualche tipo di veleno stordente?
Perché non poteva essere lui. Non poteva trattarsi del Jon che conosceva, quello che adesso osservava Sansa di spalle, seduta sul letto, mentre cercava di slacciarsi le scarpe, la schiena leggermente piegata.
Si era liberato del mantello, una cappa di fuoco incandescente sulle spalle. Aveva gettato lontano gli stivali, strappato quasi il farsetto dal petto.
Sentiva un calore fastidiosamente diverso, come una fiamma che gli bruciava da dentro e per quanti sforzi facesse continuava a diventare sempre più imponente, quasi un incendio.
Non aveva mai provato prima una sensazione simile.
Sapeva di essere nel posto sbagliato, in procinto di commettere un peccato. L’indomani se ne sarebbe sicuramente pentito, nella peggiore delle ipotesi sarebbe stato impossibile chiudere occhio.
Ma era troppo forte il desiderio che lo tratteneva in quella stanza, che da bambino aveva potuto esplorare solo in quei momenti in cui era sicuro che non sarebbe stato visto.
Aveva fatto dei sogni su quelle mura. Lui che da fanciullo sgambettava fino a quel materasso di morbide piume di conforto,  e saliva allungando un braccio, per buttarsi al collo di suo padre sorprendendolo nel sonno. Si era sempre trasformato in un incubo.
Ora guardava quello stesso letto, e pensava che sarebbe stato lui ad occuparlo.
Che sarebbe stato lui a distendersi tra quelle lenzuola, in cui un tempo avevano trovato ristoro solo i grandi signori del Nord.
E l’avrebbe fatto come un re. Come il re di quelle terre che l’avevano sempre accolto col disprezzo.
E l’avrebbe fatto come il suo re. Il re di Sansa, che così calorosamente lo aveva pregato di restare, al suo fianco, per tutta la notte, nelle sue braccia fino a quando avrebbe voluto.
Un brivido gli percorse la schiena facendogli venire la pelle d’oca. Si schiarì la gola, strinse i pugni.
Nella sua vita, Jon Snow si era ritrovato davanti a minacce che non aveva creduto neppure possibili. Estranei assettati di vendetta, uomini crudeli privi d’onore, bruti venuti per massacrare chiunque si presentasse sulla loro strada, e la morte.
Jon l’aveva vista la morte, quel buco nero in cui era stato risucchiato e dove non c’era più nulla, se non terrore e gelo. Eppure non si era mai sentito così impreparato, incerto, addirittura paranoico.
Si guardava intorno, muoveva piccoli passi, poi si fermava. Si sfiorava i capelli, cercava di capire cosa dovesse fare.
Sentiva il suo cuore come un tumulto contro il petto. Era un battito frenetico, ridondante. Faceva male e allo stesso tempo lo caricava di una strana energia, quasi euforica. La pelle pizzicava, tutto il suo corpo fremeva. Stava reagendo nel modo più inopportuno possibile, se ne rendeva conto.
Pareva non riconoscersi, era quasi diverso. Si passò una mano sul viso, forse doveva andare.
─Potresti girarti, per favore? ─ Sansa lo stava guardando da sopra la spalla, i capelli ramanti, fiamme luminose nella semioscurità che le incorniciavano il viso pallido. ─Dovrei spogliarmi.
Jon avvampò e d’insito fece un passo indietro, quasi l’avesse minacciato con un'arma che di sicuro l’avrebbe ferito.
─ Certamente! ─ asserì con un tono un po’ incrinato ─Perdonami.
Chiuse gli occhi e si voltò nella direzione opposta. Era tutto così ridicolo. Non c’era ragione per essere tanto nervosi, non c’era ragione di stringere le labbra, e neppure di provare a concentrarsi su pensieri che non coinvolgessero donne nude e baciate dal fuoco.
Doveva essere stato il vino. Tentazione traditrice di un uomo troppo stanco per poterlo sopportare. E forse la birra, senz’altro. E le risate, il cibo a volontà. Lui che si alzava osservando la folla che lo proclamava re.
Era emozionato, indubbiamente. Forse un po’ ubriaco. Perché Jon non l’avrebbe mai fatto.
Non avrebbe mai accontentato una richiesta simile, non si sarebbe tolto i vestiti al cospetto di una nobildonna con tanta noncuranza.
Anche se si trattava di sua sorella, anche se l’aveva pregato con le lacrime agli occhi. Anche se era bella come l’alba appena sbocciata, anche se era gentile e forte, se era calda e buona. Se era profumata e delicata. Se era intelligente e coraggiosa.
Perché non sono andato via?
Era troppo da sopportare. Sentì Sansa muoversi oltre le sue spalle, percepì con chiarezza il tessuto del suo abito scivolarle via dalla pelle. E allora si sentì sporco, crudele, infame, più di un impostore.
Perché per un attimo, anche se fu solo come un fascio di luce tanto forte che gli abbagliò la vista, provò ad immaginarla. A delineare la figura del suo corpo nudo. Bianco come il latte, con le forme generose.
Liscio, soave, prezioso, quasi suo.
Sciocco bastardo, senza vergogna e pudore! Che ne era stato del Lord Comandate sempre schivo e perennemente corrucciato, tanto da non lasciare spazio a nient’altro? Da non desiderarlo addirittura?
Continuava a ripetersi che doveva essere stata colpa del vino. Troppe voci nella testa, troppe emozioni, troppo calore nello stomaco, troppo ardore, rabbia, paura che gli era rimasta tutta dentro.
Ma era ancora lì, con i pugni chiusi e gli occhi ad aspettare un sogno. Che gli mostravano visioni nascoste in un velo di nebbia.
Avrebbe potuto girarsi e sarebbe stato più chiaro. Ma anche così era facile osservarla.
Nelle sua testa appariva con i capelli rossi che le fluttuavano sulle spalle, un braccio morbido a coprirsi il seno, le gambe lunghe, dalle caviglie sottili. Un sorriso timido e malizioso, di chi non vuole dire troppo e chiedere tutto.
Il vino. È solo colpa del vivo.
Si sentì sfiorare una spalla e subito aprì la bocca a gettare fuori l’aria. Si girò piano aspettandosi chissà che cosa. Fu cauto, quasi impaurito. Negli occhi d’ombra una luce intensa che li divideva a metà.
C’era Sansa che già lo osservava. Sembrava più piccola senza il suo abito pesante, e magra, dalle spalle ricurve e la vita sottile.
Indossava una sottoveste di lino bianca, che le aderiva sul petto quasi come una seconda bella. Jon tentò di rimanere fisso, a scrutare i suoi occhi chiari che imploravano conforto, ma si tradì in un lampo di follia e si sentì avvampare.
I capezzoli erano turgidi sotto il tessuto sottile, la forma generosa del seno tanto evidente da farlo tremare.
Il vino. È solo colpa del vino.
Si costrinse a guardare solo il suo viso, e scoprì che era piuttosto semplice perdersi in quello sguardo di fuoco e ghiaccio.
Sansa appariva stanca, brillava di una luce pallida come una piccola stella. Ma era comunque bella.
Bella come non ne ricordava nessuna. Bella come nelle storie che raccontavano su di lei, bella come quella bambina che aveva lasciato, con la testa di fantasie e fronzoli troppo incomprensibili. Bella come uno di quei sogni dai quali non vorresti svegliarti mai, e quando succede sai che hai perso una parte di te stesso.
Maledetto vino!
Sansa gli sorrise debolmente. Jon non ricambiò. Non sapeva cosa gli stesse succedendo, ed era difficile capire cosa fosse giusto e sbagliato.
Sapeva cogliere il fascino di sua sorella. Era così tremendo? Non che fosse una cosa che si potesse negare o passasse inosservata. Qualsiasi uomo avrebbe desiderato starle accanto nel modo in cui stava facendo Jon in quel momento, e qualsiasi uomo con un intelletto sufficiente da farlo ragionare, sarebbe stato d’accordo sul fatto che donne come Sansa erano un germoglio raro e di inestimabile valore.
Prezioso, quasi un dono.
In fondo Jon c’aveva riflettuto spesso. Per lui Sansa era sempre stata bella, anche quando si sforzava di essere capricciosa, intrattabile e spocchiosa. Non ricordava neppure di averla mai toccata.
Non gli era permesso, sarebbe stato sgradevole. Le mani di un bastardo erano destinate a stringere solo cose appropriate per un bastardo.
Ma ora Sansa tendeva le dita, e afferrava le sue in una carezza timida, come a fargli sapere che c’era e che voleva che le lasciasse il permesso di entrare nel suo mondo, così lontano, protetto da mura alte quanto il cielo.
─Sei stanco?
Jon sbatté le palpebre ─Un po’.
Rispose, rendendosi conto solo in quel momento della debolezza nei suoi muscoli che forzava a rimanere tesi, le braccia molli lungo i fianchi.
─Vieni con me.
Lo guidò con premura, restando attenta a non perdere il contatto con i suoi occhi scuri come pezzi d’ombra.
Era sconvolgente la realtà che Jon trovò nello sguardo di sua sorella. C’era una dolcezza diversa, pura, mai donata prima. Sentiva di essere l’unico, forse quello più fortunato. Era come lasciarsi andare alla corrente, godersi il viaggio con le braccia aperte e il viso rivolto verso il cielo.
Il cielo di Jon era rosso, chiazzato di bianco, qualche gemma preziosa a renderlo maggiormente incantevole.
E quando arrivò al traguardo, e Sansa si stese sul letto coperto da calde pellicce, Jon ebbe l’impressione di essere arrivato nel punto per cui aveva lottato duramente nella speranza di raggiungerlo.
Non c’era più nulla che potesse valere tanto, più di lei. Così indifesa, con i capelli lunghi e lucenti sparsi sul cuscino, il suo corpo leggermente piegato e le braccia aperte, ad aspettare una stretta, uno scudo, un rifugio. E doveva essere lui tutto questo.
─Per favore, raggiungimi. E resta accanto a me.
Il ragazzo si riscosse, posò le ginocchia sul materasso e lentamente si distese lungo un fianco, con un braccio piegato dietro la testa e gli occhi rivolti verso sua sorella. Respirò a fondo. Rimasero in silenzio per quelli che parvero interminabili minuti.
Si accorse che Sansa lo stava studiando in modo curioso, dalla forma del viso, alla cicatrice che teneva sulla fronte. Scese lungo il collo, percorse le spalle girando gli occhi da parte a parte. Arrivò al petto, e il chiarore del suo sguardo per un attimo si spense. Quanto tornò a brillare, era una luce diversa a renderli vivi. Come velata da una leggera inquietudine, uno strato sottile di dolore. La vide allungare una mano, le sue dita morbide si posarono lungo tutto lo sfregio che gli raggrinziva la pelle accanto al cuore.
Era un tocco talmente delicato, un soffio, che si ritrovò a chiudere gli occhi e a respirare piano, riempiendosi del suo profumo, un brivido lungo le gambe tese sotto le lenzuola.
─Ti ha fatto male quando sei morto?
Jon fermò il movimento della sua mano, piegandogliela contro il petto. Era troppo da sopportare e sapeva che sarebbe stato difficile tenere a freno quei pensieri che sarebbero arrivati, insieme alla vergogna, al rammarico, ad un’incontrollabile frustrazione.
─Mi ha fatto più male essere tradito ─ la guardava mentre restava ferma ad ascoltarlo, con la testa piegata contro il cuscino. Aveva così tanta voglia di abbracciarla, si chiede se adesso i suoi fantasmi stessero scomparendo ─Avrei dato la via per loro. Mi fidavo.  Ma non sempre le persone accettano il nostro affetto, e sono in grado di capirlo, anche se glielo diamo, in modo incondizionato. Adesso dormi, Sansa. È tardi.
Ma la mano che prima si era posata lungo la cicatrice, ora stava ferma sulla sua guancia ispida di barba incolta. Nonostante l’evidente spossatezza nel suo sguardo quasi vigile, Sansa non sembrava desiderosa di lasciarsi andare al sonno.
Lo toccò come a capire che fosse realmente suo fratello quello disteso al suo fianco, la luce fioca delle candele che le delineava la sagoma del viso in sottili linee d’oro.
─So che non vuoi parlare della Donna Rossa ─ Jon trasalì, con il pollice Sansa gli sfiorò l’angolo delle labbra ─Si è macchiata di crimini atroci nel nome del suo Signore, e hai fatto la cosa aggiusta allontanandola. Ma io non smetterò mai di esserle grata per averti riportato da me. Perché così è stato. Tu hai riaperto gli occhi e mi hai visto correre verso di te. Mi hai presa, con tutto il mio mondo di miseria e dolore e non ti è importato di quanto io fossi rotta. Volevi essere in grado di aggiustare ogni cosa.
Jon si spostò piano, finendo per sovrastarla con il suo corpo. Con un braccio piegato sul materasso si reggeva imponente sopra di lei, l’altro a crearle una barriera di calore e pelle dalla quale, pensò, le sarebbe stato impossibile fuggire.
Si concesse un secondo per osservarla a fondo, più a fondo di quanto già avesse fatto per l’intera serata, per l’intera vita. Non gli sembrava possibile.
Sansa appariva piccola e fragile, con gli occhi supplicanti e carichi di scintille argentee. Lo scrutava come coraggiosamente intimorita, non sapeva cosa aspettarsi ma non aveva paura di affrontarlo con solennità e fermezza.
Pareva una donna completamente diversa, o forse era sempre la stessa. Fiorita probabilmente, il bocciolo che la conteneva aveva completamente aperto i suoi petali, rivelandola tutta nel suo stupefacente splendore. Ed era vicina, sotto di lui, la sottoveste appiccata contro il suo corpo da sembrare una seconda pelle, quel suo profumo dolce, di rose e zucchero bruciato, che gli veniva contro deliziandolo.
Questo è sbagliato.
─Non sei mai stata rotta ─ Le disse preoccupandosi di guardarla negli occhi, sicuro che lei avrebbe capito ─Eri solo più fragile. Impaurita e sola. Ma ti ho vista essere la donna che ho sempre sperato tu diventassi. Sei forte, Sansa. Sei coraggiosa, sei una roccia. La roccia a cui mi sono aggrappato per rialzarmi.
Voleva piangere, ne era sicuro. Se ne accorse dal modo in cui l’azzurro dei suoi occhi cominciò a sbiadire, le scintille argentee a dilatarsi diventando macchie bianche.
Ma Sansa strinse solo i denti e lo fissò, pregandolo, senza neppure un sussurro, di rimanere su di lei ancora per un po’, di non muoversi, di aspettare. Di stare fermo attendendo che il suo cuore fosse abbastanza duro da lasciar perdere.
Ma poi qualcosa si ruppe e le lacrime scesero lente e traditrici. Si infransero lungo le sue labbra e Sansa cominciò a tremare, mormorando qualcosa di incomprensibile tra un singhiozzo e l’altro.
─L’ho visto morire, Jon ─ Riuscì a distinguere tra i balbettii, bisbigli apparentemente senza senso. A Jon non servì chiedere per sapere chi fosse. Era certo che stesse parlando di Ramsay ─Ho lasciato che morisse. Ero lì, davanti a lui. Avrei potuto fare qualsiasi cosa, qualsiasi. Ma la realtà è che non me ne importava nulla. Volevo che soffrisse nel modo in cui ha fatto soffrire me e tutte le persone che ho amato. Desideravo che di lui non restasse più nulla. Mi sono sentita libera, per la prima volta dopo lunghi anni. E ho respirato, ed ero felice. ─ Fece una pausa tirando su col naso ─Prima che morisse, mi ha detto che lui era diventato una parte di me. E ho paura che abbia ragione. E se mi avesse infettato con la sua perversione? Con la sua crudeltà? E se fosse entrato dentro di me prendendosi tutto quello che era rimasto della mia anima? Non voglio non avere un cuore, Jon. Non voglio diventare quel tipo di persona.
─Ascoltami ─ Le disse inclinando la testa fino a sfiorare la sua fronte, una mano posata sulla guancia della ragazza quasi a raccogliere tutte le sue lacrime ─Hai un cuore puro, generoso e gentile. Hai un cuore immenso, un cuore grande, forte e caldo. L’ho visto aprirsi per me, l’ho visto amarmi e regalarmi affetto, chiedermi perdono. L’ho visto nei tuoi occhi colorarsi di gioia quando mi hai stretto forte alla Barriera, e di tenerezza quando mi hai fatto dono del ricamo con il lupo. Lo vedo ogni giorno in te, nel modo in cui mi infondi coraggio. L’ho visto nella Sala Grande quando tutti mi hanno proclamato re, e tu hai sorriso, concedendomi il tuo spazio. L’ho vedo adesso mentre mi implori di non lasciarti andare, e lo sento, Sansa. Ti batte contro il petto e fa rumore. Stallo a sentire. È vero, ti sta dentro. Nutre la tua vita. Non ti lascerà andare, è con te per sempre. Nessuno sarà in grado di sporcarlo mai.
E poi la vide piangere ancora, singhiozzare senza respiro. Non sapeva come comportarsi, né gli venivano in mentre altre parole che fossero abbastanza efficaci da confortarla.
Così rimase fermo, a guardarla buttare fuori tutti i suoi incubi e le sue angosce, tutto il suo dolore e il suo rammarico. La guardò mentre i suoi occhi divennero opachi e brillanti, mentre le lacrime le bagnarono le guance rosse e le labbra gonfie e morbide. La guardò mentre pregava, e chiedeva affetto. La guardò mentre si portava le mani al petto scuotendo la testa.
E poi si spinse contro di lei, folle e gentile, nascondendole il viso nel collo, facendola affondare nel suo corpo di muscoli e braccia per parlarle piano.
Per un attimo Sansa smise di respirare, la bocca schiusa e lo sguardo rivolto verso al soffitto. Poi percepì il suo petto gonfiarsi, il tumulto del suo cuore contro la pelle. Le accarezzò i capelli con una mano, sentendola liscia e delicata contro di lui.
Era calda Sansa, di un calore che ti entrava dentro.
─Shhh ─ Le intimò con dolcezza. Oh quanto aveva desidero stringerla ─Ricordi? Ti ho promesso che ti avrei protetta. Proteggerò tutto di te, anche il tuo cuore. Ora dormi, Sansa, chiudi gli occhi. Sogna. Sono qui, mi senti? Ci siamo solo io e te. E tutto quello che rimane di noi. Non piangere più. Hai me adesso, mi avrai sempre.
Le sue piccole mani lo cercarono nel buio, si strinsero contro le sue spalle e Jon si sentì come se per tanto tempo avesse lottato per l’unica cosa che valeva sul serio: quel momento, in quel preciso instante, in un letto di sogni infranti, sopra l’unica donna che gli era sempre sfuggita, e che adesso non desiderava altro che farsi prendere. Non desiderava altro che essere sua prigioniera.
O forse era tutta colpa del vino.

 
 
 
CONTINUA…




Ed eccomi qui con il secondo capitolo di questa long. Aver visto tutti quei commenti al capitolo precedente, mi ha reso davvero felice, e mi ha dato la giusta carica per continuare. Vi dirò, quando ho letto questo capitolo finito, sono rimasta abbastanza soddisfatta del mio lavoro (cosa che mi capita raramente). Mi piace questa loro intimità, questo loro darsi e non darsi, capire e non accettare. Ma dovete essere voi a giudicare, per cui conto sulle vostre recensioni!
Grazie mille per le vostre bellissime parole! Vi mando un grande bacio! 

 
 
               
 
 

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Capitolo 3
*** Sansa ***


                                                                                                       Sansa




Quando aprì gli occhi quella mattina, trovò l’altra metà del letto vuota e fredda, le lenzuola che penzolavano lungo il pavimento, il cuscino spiegazzato che sapeva ancora di lui.
Sansa Stark avvertì come una morsa allo stomaco. Un fastidio, un pizzico doloroso e improvviso.
Sospirò. Aveva sperato che lui ci fosse stato ancora. Avevo sperato di svegliarsi con il suo viso ad osservarla e le braccia forti a stringerla d’affetto.
Poteva essere stato tutto un sogno?
Allungò un braccio accarezzando con la mano la parte del materasso che Jon aveva occupato. Immerse la testa nel suo cuscino, riconoscendo quel profumo di limone, pino selvatico e tabacco buono, che aveva imparato ad accostare all’odore di suo fratello.
C’era stato per davvero.
Si sentì una stupida, più di quanto si fosse sentita stupida in passato, e girando il volto verso al soffitto, le vennero in mente i ricordi della notte appena trascorsa, tra braccia, calore, e dolci respiri.
Era da tempo che non si risvegliava così riposata, e persino quella stanza le appariva diversa, più luminosa, accogliente, senza nessuna ombra minacciosa, bisbiglio agghiacciante.
Ricordava ogni cosa, fino a quanto i sogni avevano preso posto della ragione, e si sentì come in fiamme, le guance rosse e la testa più leggera.
Jon l’aveva tenuta sopra il suo petto per tutta la notte, sussurrandole parole di conforto, promettendole che sarebbe andato tutto bene, perché avrebbe fatto in modo che ci fosse stato solo bene.
Mai giuramenti erano stato tanto meravigliosi. Jon sembrava essersi impadronito dei suoi pensieri, e capiva prima che parlasse.
Sansa aveva annuito per tutta la notte, imprimendosi bene nella mente la sensazione di essere accoccolata sul suo petto, il suono della sua voce arrochita dal sonno, la delicatezza con cui aveva fatto scivolare le mani sul suo corpo, il calore che emanava come un sole mai troppo cocente.
Quella sensazione di sentirsi a casa dopo tanto tempo…
Scacciò via i suoi pensieri, come se fossero state vespe sul punto di morderla. Chiamò le sue servette, si fece preparare un bagno caldo e nell’immergesi nell’acqua tiepida, provò finalmente sollievo, lontana dal mondo, dalla paura, dalla morte, da Jon.
Tutto ritornò ad investirla, ingombrante e pesante, proprio come l’abito che indossò quella mattina, di lana finemente lavorato con ricami argentei sul petto, ed era di nuovo Sansa, Lady di Grande inverno.
Rifiutò il cibo, si avviò verso i corridoi del castello sperando che potesse riconoscerne qualcuno.
Non era passato troppo tempo da quando aveva varcato quelle stesse mura, percorso le scale che l’avrebbero condotta nella sala dei banchetti e nella biblioteca. Era stata a lungo nascosta nelle cucine, e rimasta a pregare in silenzio nelle cripte in cui riposavano i suoi antenati.
Eppure Sansa Stark si sentiva come un’estranea a Grande Inverno, così come tutto il resto sembrava lontano e irraggiungibile.
Si diresse lungo il cortile, e fu lì che trovò suo fratello Jon, intendo ad allenarsi con la spada con un gruppo di giovani cavalieri.
Sansa rimase ferma, quasi nascosta dietro ad una colonna di pietra. Senza alcun motivo cominciò ad osservarlo, rapita, come se non avesse mai visto altro, e non ci fosse nulla di più allettante da attirare la sua attenzione.
Jon faceva mulinare in aria l’arma dalla punta affilata, che luccicava di bianco sotto il sole pallido del mattino. Indossava una giubba dalle borchie d’argento, le braccia si muovevano con grazia facendo sembrare la spada leggera quanto un soffio di vento.
Jon impartiva ordini e mostrava con dovizia gli affondi migliori per mettere in ginocchio il nemico.
Aveva un’espressione concentrata e seriosa, le sue labbra strette in una smorfia decisa.
Vorticava con destrezza, poi attaccava un bersaglio fantasma. I cavalieri tutti intorno, stavano in silenzio, con le facce amorevolmente sbalordite. Tentavano di imitare i suoi affondi, annuivano alle sue correzioni. Erano fanciulli, poco più che ragazzi, ma sembravano voler percorrere e vincere lunghe leghe di battaglie, tanto era la bramosia impressa nei loro occhi.
Jon era un maestro attento e diligente. Era un re che ispirava la sua gente.
Sansa provò un moto di orgoglio nascere dentro di se, mentre osservava il suo viso leggermente sudato, e la maestria con cui si muoveva degna di un cavaliere da canzone.
Era virile Jon Snow. Le gambe massicce e toniche che si piegavano con un’agilità sorprendente. Si ritrovò a pensare a quel corpo premuto contro di se, durante la notte che avevano appena condiviso insieme, in un unico letto, quasi come marito e moglie. Quasi…
Percepì le guance andare in fiamme e inevitabilmente ripiombò in quei dolci sogni condivisi, lei avvolta nel suo abbraccio stretto, una gamba piegata sopra la sua. La mano di Jon che per errore le aveva sfiorato un seno, e la bocca mezza schiusa nel sonno in cui aveva represso un gemito.
C’è qualcosa di rotto in me.
─Dicono che sia il migliore spadaccino d’occidente. È così?
La voce di Lord Baelish la fece sobbalzare riportandola alla realtà. Non l’aveva sentito arrivare – tipico di Ditocorto- e possibilmente, era arrossita ancora di più, come una fanciulla beccata a rubare gustosi dolcetti in cucina prima di cena.
Non osò guardarlo negli occhi, Lord Baelish toccava quel fondo in cui lei stessa non era riuscita ad arrivare, ma sembrava, come al solito, brillante nella sua tunica color cobalto, tunica per metà nascosta da un maestoso mantello dal collo di pelliccia. Neppure lui la stava guardanro. I suoi occhi sottili erano puntati su Jon. Si chiese se l’avesse studiata prima, se l’avesse vista scendere nel cortile o se si fosse trattato di una semplice coincidenza.
Ne dubitava.
─E’ il mio re. È mio fratello. Basta questo per renderlo ai miei occhi il miglior combattente che tutti i Sette Regni abbiano mai visto.
─Fratellastro. ─ precisò Lord Baelish con il solito tono sibilante, come una vipera che mostra appena la lingua prima di attaccare ─ E re non di diritto. Come puoi stare a guardare in silenzio, mentre ti portano via tutto quello che ti appartiene?
Ditocorto la stava osservando, Sansa sentiva il peso della sua occhiata sul suo corpo, come un drappo di velluto pesante sulle spalle. Ma tutta la sua attenzione era rivolta verso Jon, nel cortile di pietra, con Lungo artiglio che faceva vorticare nell’aria, emanando sbarluccichii argentati.
─Jon mi ha riportato a casa ─ La sua voce era un sussurro che alle sue orecchie appariva come un eco lontano ─Ha riconquistato il Nord che Robb aveva perso. Merita quel trono. Mio fratello avrebbe voluto così, e anche mio padre.
Ditocorto si fece più vicino, una mano a stringerle il braccio per obbligarla a guardarlo negli occhi. Sansa avrebbe voluto non essere mai riuscita a farlo. C’erano come scintille nel suo sguardo inquietantemente vigile, che sembra attirarla verso un vuoto in cui Petyr Baelish stava già precipitando.
─Noi abbiamo riconquistato il Nord, Sansa. I miei cavalieri hanno sbaragliato l’esercito di Bolton. Un aiuto che tu stessa sei venuta ad implorarmi con una missiva che ti sei premurata di tenera nascosta, al tuo fratellastro bastardo.
─Faccio fatica a comprendervi, Lord Baelish.
Ditocorto si ricompose, rilassando le spalle, allenando la presa sul suo braccio piegato sul grembo.
Le scintille nei suoi occhi si stavano dissipando, ma c’erano ancora, se pur minuscole, meno luminose. Un angolo della sua bocca si alzò impercettibilmente verso l’alto, e Sansa temette si essersi esposta troppo.
Aveva già toccato il fondo dei miei segreti?
─Sansa, perché ti riesce così difficile capire che sono l’unico che tiene davvero a te nel mondo? Conosco il tuo valore, la tua saggezza, la tua grazia, la tua determinazione. Sei tu la Stark di Grande Inverno. Tuo è il regno, tua è la corona. Non dovresti farti intimorire dai lupi più grandi. Sono solo più sciocchi.
Sansa non era affatto intimorita. Tutt'altro, sembrava come se le parole di Ditocorto l’avessero risvegliata da un incubo, quasi come uno schiaffo improvviso.
La sua espressione si indurì. Forse Petyr non l’aveva mai vista tanto determinata, e forse neppure lei si riconosceva. Stava nascendo un fuoco, come una nuova certezza. Sapeva cosa dire prima ancora di pronunciarlo. Era nella sua testa, suggerito dal cuore.
─Jon è il re che ho scelto. È il re che voglio ─ ammise scandendo bene le parole ─ Non l’ho spinto a combattere questa guerra perché sperassi in una corona o nella gloria. Cercavo vendetta, per la mia casa e la mia gente, per la mia famiglia. Desiderio che mi ha trovato costretta a implorarti aiuto, cosciente che gli uomini di Bolton ci avrebbero certamente sconfitto. Non ti ho investito a mio protettore, e non credo neppure che tu sia interessato a farlo. Mi convinci di essere mio amico, ma cerchi solo di far leva su di me per arrivare al trono del Nord ─ Ditocorto si accigliò, Sansa era già pronto ad azzittirlo ─ Si Lord Baelish, non sono così facile da manipolare come tutti pensano. Mi hai ingannato, e ti ho creduto, ma sarei stupida a commettere lo stesso errore una seconda volta. Ti sarò debitrice per l’aiuto che mi hai offerto, in fondo mi rendo conto che senza i Cavalieri della Valle non saremmo mai usciti indenni da quella battaglia. Ma non sperare Lord Baelish. Non volterò le spalle a Jon. Mai tenterò di ingannarlo. Mai tenterò di tradirlo. Mai tenterò di ostacolarlo. Lui è uno Strak, tanto quanto me, e ha dimostrato di poter essere il re che il Nord merita.
E fu la prima volta che conobbe una nuova espressione in Ditocorto. Come se all’improvviso fosse comparsa una crepa nel suo sguardo sempre inquietantemente giovale.
Lo vedeva rotto, un vetro di cristallo andato in frantumi. Era entrato dentro di lei, questo lo sapeva. I suoi occhi languidi erano riusciti a scavarle nel profondo nel momento in cui era stata più vulnerabile.
Distolse subito lo sguardo, ma era troppo tardi anche solo per tentare di raddrizzare le spalle e stringere la bocca.
Lo sentiva, una presenza gelida nelle sue vene calde. Stava scorrendo e si nutriva di lei. Forse era già in quel buco nero di vuoto, ma Sansa Stark non poteva saperlo, perché neppure lei lo aveva mai esplorato.
Lord Baelish se ne stava inerme, con la bocca leggermente spalancata. Pareva una statua di sale e ghiaccio. Forse se l’avesse toccato sarebbe andato davvero in frantumi. Ci avrebbe quasi scommesso.
─No, non lo farai, me ne rendo conto. ─ Disse debolmente, gli occhi chiari sempre più grandi ─ Una parte di te sa che ho ragione, ma non puoi tradirlo. Tu ti sei…
─Lord Baelish! ─La voce di Jon Snow giunse all’improvviso forte, profonda, imperiosa. Sansa sobbalzò accorgendosi solo in quel momento di quanto fosse vicino il fratello. Jon aveva abbondato i suoi uomini nel cortile di pietra, intenti ad allenarsi con le spade di legno e le frecce, ed ora se ne stava dritto accanto a lei, l’impugnatura di Lungo artiglio stretta nella mano destra ─Non mi aspettavo di vedervi già alzato a quest’ora del mattino. Siete solito svegliarvi presto?
Si capiva che Jon non era per nulla interessato alle abitudini di Ditocorto, e Sansa cominciò a chiedersi cosa l’avesse spinto ad interrompere i suoi allenamenti per intromettersi in una conversazione che a suoi occhi doveva apparire sterile.
Sembrava quasi che l’avesse fatto per correre in suo soccorso, come se avesse fiutato il disagio della sorella senza neppure averle rivolto un solo sguardo. Sansa era sicura di essersi nascosta bene, ed era altrettanto certa che Jon non l’avesse vista arrivare nel cortile.
Si era sbagliata. Nel momento in cui aveva abbassando lo sguardo, Jon doveva essersi accorto della sua presenza.
Forse si trattava di semplice cortesia. Onorare gli ospiti era un obbligo imposto dagli Dei.
 Ma a Sansa piaceva pensare che Jon fosse in grado di leggere nei suoi pensieri più di quanto ci riuscisse Ditocorto.
A lui poteva concederli, senza alcun fastidio. Si sentiva stranamente tranquilla ora che lo sapeva al suo fianco, con un’arma stretta tra le dita. Jon teneva la lama puntata contro il terreno, ma la postura con cui la impugnava era cautamente rigida, come se si tenesse pronto a colpire in qualsiasi istante.
─Vostra Grazia ─ Lord Baelish abbassò leggermente la testa in un gesto di cortesia ─Sono sempre molto mattiniero. Adoro fare lunghe passeggiate quando il sole ancora non è alto nel cielo.
─Non posso darti torto ─ Il sorriso di Jon era tirato, fragile, quasi una smorfia contrariata ─ Sono le ore migliori della giornata.
Lord Baelish acconsentì con un cenno del capo. L’ultima occhiata che rivolse a Sansa Stark prima di concedersi, sembrò un muto avvertimento che la ragazza sentì scorrere dentro, fino alle ossa.
Le lasciò un brivido, e il suo intenso profumo di ginepro che ancora l’avvolgeva. Sansa l’aveva sempre detestato, quello di Jon, invece, stava scoprendo che gli piaceva.
─Spero che tu ti senta meglio oggi ─Fu solo in quel momento che suo fratello le sembrò più suo fratello. Aveva fatto crollare quella rigida armatura di pietra grezza che gli era calata sul viso. Nascondeva tutto quello che aveva di bello, come la luminosità dei suoi occhi scuri, la piega dolce delle labbra quando sorrideva. ─ Ieri sera eri così sconvolta.
Ieri sera ero tante cose. Forse una donna che neppure voglio più riconoscere.
─Devo essere coraggiosa adesso.
Jon inclinò leggermente la testa, alcune ciocche di riccioli umidi che gli ricadevano sulla fronte sudata. Perché non si era mai accorta di quanto fossero grandi i suoi occhi e lunghe le sue ciglia? Perché non aveva mai prestato attenzione alla sinuosa curva della bocca? Alla forma del viso, dalle linee dure, mascoline, sorprendentemente virili?
─Non lo sei sempre stata?
Sansa voleva replicare, aveva tutta l’intenzione di farlo. Secondo il suo punto di vista, coraggiosa non lo era stata, non dal principio.
Sapeva di essere stata sciocca e ingenua, testarda e intrattabile, e c’erano cose in lei che ancora non accettava e che non credeva di aver fatto per davvero. Coraggiosa era stata Arya o la Lady sua madre, e così tutte quelle donne che erano state capaci di rialzarsi con la schiena dritta. Perfino Cersei.
Ma Sansa si sentiva ancora piegata e faceva fatica a guardare il mondo da curva.
Lo sono ora, ora che sei qui con me.
Avrebbe voluto dirglielo, ma le sembrava troppo sbagliato, forse avrebbe frainteso. Le ritornò alla mente come si era sentita qualche ora prima tra le sue braccia, e quel corpo duro e caldo le tempestò la mente di altre immagini mai accadute ma che avrebbero potuto essere possibili. E lei aveva gli occhi spalancati e stava dritta, e lui la teneva forte, sempre più forte. La certezza che non sarebbe mai andato via.
Arrossi e si sentì una sciocca.
Forse sono davvero rotta.
─Vostra Grazia, Mia Signora! ─ Un servo subentrò ansimando, tenendosi il braccio sullo stomaco dallo sforzo. Sansa l’aveva visto poche volte a corte, sembrava giovane e impacciato. Il viso privo di barba era rosso dalla lunga corsa, aveva gli occhi chiari aperti e stranamente vigili. Sembrava sul punto di esplodere ─Mi dispiace aver interrotto la vostra conversazione ma …─ Prese un lungo respiro, forse Sansa lo avrebbe sul serio visto andare in mille pezzi ─Il Principe Brandon. Brandon Stark è tornato a Grande Inverno.
 
 
 
CONTINUA…
 

 
Ed eccomi qui, con il terzo capitolo di questa storia. Ci ho messo un po’ a finirlo, ma come forse molti sapranno, sono stata impegnata con un’altra Jonsa “Wildest Dreams” a cui tengo molto, e ho dedicato le ultime settimane. Ma ovviamente non potevo lasciarvi con il fiato sospeso, mi sono fatta attendere ma il capitolo è arrivato. Spero vi sia piaciuto. Ora penso che siamo al centro della storia, in cui le carte cominciano a mischiarsi.
Cosa posso dirvi? Siete stati cosi numerosi a commentare nei capitoli scorsi, che mi avete convita a continuarla, nonostante i numerosi dubbi che ho su questa storia.
Se vi fa piacere, ovviamente, fatemi sapere cosa ne pensate anche di questo capitolo. Vi avverto che oltre a questa storia e a Wildest Dreams, ho in mente una nuova Jonsa di pochi capitoli che voglio assolutamente scrivere. Quindi appena organizzo meglio le idee, mi metterò a lavoro anche per questa.
 
Intanto vi mando un grosso bacione e un abraccio! Alla prossima!!

 
 

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