Infinita letizia della mente candida

di The Writer Of The Stars
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima - Graphestesia ***
Capitolo 2: *** Parte seconda - Nightingale ***



Capitolo 1
*** Parte Prima - Graphestesia ***


Graphestesia
 
 
Se Levi fosse stato un pittore, avrebbe di certo scelto la pelle diafana di Petra come tela per i suoi dipinti.

Il corpo minuto di Petra danza baldanzoso tra i drappeggi umili delle coperte ruvide, sicché finanche quel lenzuolo liso desidera portare un ricordo di quello spicchio di luna, marchiando l’epidermide con graffi color borgogna, come le labbra delle dame di palazzo, imbellettate pomposamente a nascondere la loro bellezza. Petra, infatti, non potrebbe mai essere una di queste, ma non perché pecchi di femminilità; semplicemente, la sua pelle non necessita unguenti o correttori d’alcun tipo, perché lei stessa è davvero bella così com’è: con i capelli corti e un po’ scompigliati per la praticità militare, i fianchi piccoli, l’aspetto minuto, le gote un po’ arrossate naturalmente. Petra è bella e non sa di esserlo. Nemmeno ora che Levi la cerca con bramosia tra le coperte dispettose, arrotolate ai suoi fianchi, non quando le labbra del Caporale catturano le sue con una sorta di dolcezza, non quando i gemiti rochi vengono sostituiti dai sussurri inteneriti, dalle promesse estremamente infrangibili, dai “Ti amo” sommessi e quasi timorosi, spaventati. Petra non lo sa e Levi non sa come farglielo capire. Perché la sua epidermide è perfetta, ma non è quella di una dama; Petra è un soldato, e anche la sua pelle lo sa. Impossibile dunque non restare attoniti dinanzi alle profonde cicatrici che squarciano la sua schiena minuta, deturpando quel mare piatto e accogliente. Le dita di Levi corrono da sole a sfiorare quegli scarabocchi sulla tela immacolata, e l’artista si sente profondamente in colpa per tutto ciò, perché Petra è preziosa e concentra in sé tutti i colori spruzzati dalla sua tavolozza rotta proprio in corrispondenza del rosso.

Rosso come il cuore, rosso come il sangue.
 
Gli occhi di Petra sono incatenati alle onde e ai fiotti color cinabro delle lenzuola, eppure i sensi sono all’erta e captano subito quel lieve solletico in corrispondenza del proprio segno d’appartenenza a coloro che affrontano la morte per la salvezza di un’umanità corrotta. Le iridi mielate si sgranano sorprese, e prima che il capo possa ruotare di qualche grado, un nuovo tocco giunge a donare brividi di freddo lungo la spina dorsale evidente e la propria mano destra si intreccia timidamente con quella del Soldato più forte dell’Umanità, blandamente gettate sulla coltre di lenzuola necessarie solo a coprire le loro nudità. Petra abbassa le palpebre e si concentra sui movimenti regolari e frastagliati delle dita sulla propria schiena, associando una parola ad ogni carezza di Levi.

S
O
R

Ingoia un grosso groppo di saliva, completando ormai l’effige marchiata invisibilmente sulla sua epidermide, con le stille d’acqua salate incastrate tra le ciglia folte, e scuote piano il capo, carezzando il volto di Levi con la propria chioma rossastra.

“Levi, non è colpa tua.”

Ma le dita di Levi sono più veloci delle sue labbra, e marchiano teneramente la sua carne per l’eternità, completando la tela astratta del suo Caporale.

R
Y
***

Il vento catabatico di fine Novembre è dolorosamente gelido, e si diverte a schiaffare i volti umani, ma accostando le dita all’incisione, Levi si trova ad affermare che quella lastra di marmo lo è ancora di più. Il Maestrale corre nuovamente e stavolta si diverte ad infastidire i fiori freschi appena depositati dall’uomo  in terra, e nonostante internamente piccato, Levi non se ne cura estremamente, consapevole che il giorno seguente tornerà nuovamente lì e porterà un nuovo mazzo di Fiori di Bach e lillà che piacevano tanto a Petra. La mano pallida e ossuta trema vagamente e non per il freddo, e si posa sull’incisione in rilievo di tetro nero. La sfiora delicatamente, come fossero le sue cicatrici, e in un certo senso Levi sa che quelle otto lettere portano con loro una ferita assai maggiore, fresca e ancora aperta, sanguinolenta e bramosa di “vita” strappata via dalle sue fauci.

Petra Ral

Ricorda bene come la pelle di Petra fosse morbida ed emanasse calore estremo al semplice tocco, persino le cicatrici che imbrattavano la sua schiena diafana, avevano una consistenza vagamente dolce.

Il marmo invece è freddo, e non rimembra affatto l’epidermide della sua piccola Musa ispiratrice, eppure le dita intercettano sinapsi ed impulsi nervosi completamente involontari, quando sfiorano precisamente la lastra di marmo in corrispondenza del nome che provoca così tanto dolore.

S
O
R

Quella volta, annegati tra le lenzuola delle loro speranze affondate, Petra non aveva voluto accettare le sue scuse, perché certa che non fossero lecite dal momento che il Caporale Levi non
c’entrava nulla con le sue cicatrici di guerra.

Ora, invece, Levi ingoia le lacrime che non sa versare, porgendo nuovamente le proprie scuse, consapevole che stavolta sono l’unica cosa che resta lui da dire, pregando con le lapidi che lo circondano che Petra le accetti.

R
Y
*****

E nessuno può vederle, se non gli occhi abituati all’invisibile di Levi e le ali di Petra, disperse da qualche parte tra le nuvole illibate e bianche.
S
O
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Y


Nota:
Primo vecchio lavoro che inaugura la raccolta. Fondamentalmente ho intenzione di concentrare qui tutte le mie storie Rivetra già pubblicate, magari corrette e revisionate; non escludo però l’eventuale presenza di qualche nuovo scritto.

Letizia

 

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Capitolo 2
*** Parte seconda - Nightingale ***


Parte Seconda - Nightingale

Dacché aveva memoria, l’insonnia non era mai stato parte integrante dei suoi problemi. Nel senso che non dormiva mai ma non se ne preoccupava, sia chiaro, ecco. A dirla tutta, sentiva di avere ben altre – troppe- cose a cui pensare, troppe grida risuonavano lamentosamente nell’eco dei suoi timpani, troppe vite ancora attaccate al terreno meritavano di essere salvate e lui ne era responsabile, perciò permettere alle sue iridi di serrarsi e di calmare le onde burrascose dell’oceano bigio che racchiudevano in sé, non rientrava minimamente nei suoi piani e non avrebbe giovato a nessuno. Così, nel corso dei suoi lamentosi trentaquattro anni di vita, Levi aveva imparato a scacciare quella voglia di torpore e scioltezza che vedeva spesso riflessa nelle pieghe del suo lenzuolo immacolato, riducendo così quelle dodici lunghe ore di buio alla contemplazione silenziosa e apatica del soffitto costellato di crepe sopra i suoi occhi, che si chiudevano giusto per il fisiologico bisogno di cinque ore, per poi spalancarsi di nuovo, più tempestosi  e doloranti di prima. Quella notte, però, Levi se ne era sorpreso, il suo corpo non reclamava nemmeno le obbligatorie cinque ore che si concedeva solitamente, e rigirandosi sei volte a destra e sette a sinistra, con le coperte attorcigliate fastidiosamente alle sue gambe forti, si rese conto che quella sera il sonno non sarebbe proprio giunto. Il caporale sbuffò rumorosamente, lanciando un’occhiata impassibile al riflesso della luna che si riverberava fastidiosamente sul vetro, ferendo i suoi occhi vuoti. Si rese conto di aver lasciato la finestra leggermente aperta, e percependo un lieve soffio d’aria gelata solleticargli le membra, decise di mettere fine a quelle carezze lascive che la tramontana gli stava riservando ignominiosamente. Fece appena in tempo a sollevare di quarantacinque gradi il proprio busto, quando un alito di vento più caldo, quasi piacevole, arrivò a solleticargli le narici con la forza inaspettata di uno schiaffo, costringendo il suo olfatto a raccogliere quella fragranza naturale e a catalogarla immediatamente in quel meandro a cui apparteneva, proprio insieme a due iridi color del miele leggermente dilatate per accogliere la dolcezza di un sorriso che prendeva tutto il volto. Levi spalancò le iridi tempestose, abbassando automaticamente il torace verso la morbidezza del materasso candido, mentre la fragranza delicata dei fiori di ciliegio portava alla sua memoria un ricordo doloroso quanto una stilettata al petto.


Non era comune trovare alberi di ciliegio in quella zona del paese, specialmente considerando le temperature non propriamente miti e le nuvole che minacciavano l’ennesimo temporale della settimana. Petra lo sapeva bene, per questo quando aveva percepito quel delicato petalo rosato solleticarle la gota sinistra durante la sua ora libera prima di cena- passata a girovagare con passo dinoccolato per il giardino della base- aveva sentito che c’era qualcosa di strano nell’aria, qualcosa di insolito. Aveva osservato quel petalo svolazzante, rincorrendolo con un’ingenuità infantile che nessuno dei bambini oltre il Wall Maria poteva vantare di possedere e a cui lei stessa aveva rinunciato da tempo ormai, da quando la figura austera del caporale Levi era entrata nella sua vita. Corse fino a raggiungere il vecchio albero di ciliegio situato sul retro del giardino, lontano da tutti, isolato da una vita, e rise, rise di gioia nel vedere i rami nodosi ricoperti incredibilmente di fiori in procinto di sbocciare, delicati e talmente puri che sembravano spezzarsi da un momento all’altro. Levi l’aveva trovata con lo sguardo rivolto verso la chioma fiorita e gli occhi colmi di infantile meraviglia, e quando lei gli aveva chiesto, dopo aver riacquistato il reverenziale timore che dimostrava nei suoi confronti, come mai si trovasse lì, ci aveva messo un po’ per rispondere, essendosi dimenticato di averla raggiunta per richiamarla alla cena e non potendo scacciare dalla mente la bellezza dei capelli di Petra solleticati da quel lieve venticello vagamente primaverile.

“Non avevo mai visto questo ciliegio fiorire.” Esclamò Petra con un sorriso meravigliato. Levi si limitò a lanciare uno sguardo di sufficienza all’albero dinanzi a loro, incrociando le braccia al petto.

“Già.” Rispose solamente con tono piatto, atono e distante come sempre. Petra sembrò non rammaricarsene troppo, perché pochi attimi dopo il suo sorriso non si era spento minimamente, anzi, sembrava quasi essersi ingigantito. D’un tratto mosse alcuni passi verso l’albero e, sotto gli occhi attenti di Levi, Petra tese le braccia verso uno dei rami più bassi, facendo leva con le gambe contro il tronco e saltando agilmente su, trovandosi in piedi tra i fiori che aveva ammirato fino a poco prima.

“Che stai facendo?” si lasciò sfuggire Levi con una punta di curiosità, osservando la ragazza salire verso l’alto, arrampicandosi di ramo in ramo con un’agilità acquisita dalla durezza dell’addestramento e una grazia innata che non aveva niente a che vedere con l’utilizzo del movimento tridimensionale o l’uccisione dei giganti. Petra rise con la purezza di una bambina e al suono di quella melodia cristallina, Levi percepì il proprio cuore compiere un battito di troppo sulla linea della regolare frequenza.

“Volevo sapere cosa si prova ad osservare il mondo da quassù.” Rispose con semplicità, mettendosi finalmente a sedere su uno dei rami al centro della chioma. Levi la osservò sorridere dolcemente, con le gambe a penzoloni verso il vuoto e che scalciavano gaiamente l’aria intorno a lei, e in un moto di  inspiegabile preoccupazione – perché era un soldato, erano altre le cose pericolose per lei- pregò che Petra non si sbilanciasse troppo in avanti, verso il vuoto sotto di sé.

“Ti sposti con il movimento tridimensionale alla perfezione da molto tempo ormai, credevo sapessi com’è la visuale dall’alto.” Osservò leggermente stranito, aggrottando un po’ la fronte, dando così vita a quella minuscola ruga di disappunto che gli imbelliva l’attaccatura del naso. Il sorriso di Petra si addolcì ancora di più, mescolandosi stavolta con una punta di dolorosa malinconia.

“Lo so, ma non è la stessa cosa.” Rispose, osservando dall’alto l’espressione impercettibilmente confusa di Levi, prima di riprendere a parlare.

“Di solito sono troppo impegnata ad uccidere giganti e a non farmi prendere, perciò non ho mai avuto occasione di dare uno sguardo verso il basso. Così invece posso capire finalmente come ci si sente ad osservare il mondo dall’alto.”

“Stai osservando solo me.” Ribatté Levi, e Petra sorrise malinconica, mordendosi il labbro inferiore per impedire a se stessa di rivelare che era lui, tutto il suo mondo.

“E mi piace.” Concluse Petra, arrossendo lievemente. Per diversi attimi nessuno dei due proferì parola alcuna, perdendosi nei riflessi aranciati del sole calante che cominciava a proiettarsi alle spalle di Petra. Il canto improvviso di un usignolo ridestò Petra da quel silenzio stranamente piacevole che l’aveva rinchiusa in sé, costringendola ad alzare il capo verso il cielo che si tingeva di rosa, osservando per attimi di infinitesimale lunghezza il corpo minuto del volatile che svolazzava sopra le loro teste.

“Caporale?” lo richiamò titubante, costringendo Levi a volgere il capo verso l’alto, verso di lei.

“Cosa c’è?” chiese senza emozione, limitandosi ad osservare il riverbero della luce solare sul volto di Petra, rivestita di calore e dimenticandosi quasi di quelle ali cucite sulla schiena che non promettevano ancora nessuna libertà, non fino a quando sarebbe rimasta lì, in quel mondo, con la consapevolezza di una morte vicina nelle iridi dolci.


“Lei crede nella reincarnazione?” v’era, nel suo tono d’infantile curiosità, un’implicita tensione e un reverenziale timore che portò il Caporale non a rallegrarsene, ma, per la prima volta in tutta la sua vita, generò in lui un moto d’angoscia.

“Reincarnazione?”Le fece eco, ed avea nelle iridi il turbinante sentore della malinconia che sarebbe presto giunta.
Petra, in vero, annuì con una lentezza ansiosa e non volle guardarlo, sicché, per un breve momento, Levi si sentì escluso dalla sua vita.

“Sì, reincarnazione, una nuova vita al termine di quella precedente.”

“Non so se posso credere ad una cosa del genere.” Petra alzò le spalle con falsa noncuranza, ma Levi era consapevole che quella sua affermazione aveva scaturito in lei dolore, perché lo vide dal brillio delle iridi mielate della ragazza, attraverso le venuzze rosso sangue che si irradiavano impercettibilmente dalla cornea per tutto l’umor acqueo.  

“Io ci credo.”
“Quando morirò”riprese, e sebbene all’udire quelle parole percepì la gola seccarsi dolorosamente, Levi le fu silenziosamente grato di aver usato quel ‘quando’ al posto di un ‘se’ che li avrebbe solo illusi inutilmente.

“Quando morirò, sono certa che diverrò un usignolo.” Esclamò con semplicità, gli occhi fissi al volatile che cantava per loro nel cielo non ancora cruento.

“Un usignolo, dici?” le fece eco Levi, intimamente confuso. Petra annuì senza guardarlo, e Levi poté godere ancora per infiniti attimi dello spettacolo mozzafiato del suo profilo delicato illuminato dal sorriso del sole.

“Sì, un usignolo. Sarò l’eco che continuerà a farvi compagnia ogni giorno, la luce che vi guiderà a casa dopo ogni missione.” Spiegò, mentre un accenno di sincero sorriso le prendeva le labbra.

“Canterò per tutti voi e vi porterò la pace, sarò la stella da seguire per Erd, Auruo e Gunther. Canterò per lei, per farla addormentare, Heichou.” Continuò e ad ogni parola, il peso che si era insinuato nella cassa toracica di Levi si appesantiva divenendo sempre più insopportabile, sempre più vero.

“Un giorno sarò libera, e lo sarà anche lei, capitano.” Osservò, voltandosi finalmente verso il basso, verso di lui.

“Saremo liberi, vero, caporale?” chiese con un sorriso di speranza che le prese anche gli occhi vagamente lucidi, che si premurò di asciugare in fretta, di nascosto dal suo superiore. Levi non poté fare a meno che sgranare leggermente gli occhi bui, osservandola trattenendo il respiro, pensando che era bella Petra, così pura, così unica, come quell’ albero di
ciliegio che spiccava lui solo in mezzo agli olmi anonimi e tristi, e pensò che non era giusto, che lei meritava di vivere così come quel ciliegio meritava di fiorire, senza raggrinzirsi, senza essere tagliato. E mentre i fiori di ciliegio volteggiavano nell’aria, accompagnati dalle ali della libertà di Petra invisibili agli occhi nel cielo rosato e colmo di sbagliata serenità, Levi si perse troppo tempo nelle iridi dolci e supplichevoli della ragazza, non potendo fare a meno di concederle almeno quella piccola, immensa promessa.

“Sì, Petra. Saremo liberi.”



Levi sospirò pesantemente, gli occhi fissi al soffitto immacolato della base del corpo di ricognizione. Abbandonò le sue iridi all’oblio della solitudine, per poi assottigliare leggermente le palpebre nel vedere un leggero riverbero di luce spaccare l’oscurità del soffitto, inondando timidamente le tenebre che avevano racchiuso in sé Levi e la sua umile stanza. Si era già fatta l’alba. Con sorpresa si rese conto di essere rimasto sveglio tutta la notte a perdersi nei ricordi agrodolci che il suo subconscio non avrebbe mai cancellato, che dopo il giorno prima, dopo quella maledetta spedizione, non se ne sarebbero mai andati. Il canto lieve e ovattato di un usignolo giunse a solleticargli i timpani sensibili, e ringraziando mentalmente il vuoto per avergli impedito di chiudere la finestra la notte prima, rimase sdraiato sul letto improvvisamente morbido della stanza, chiudendo piano le palpebre e sorridendo impercettibilmente, ma con sincerità.

“Buongiorno, Petra.”  sussurrò, e il canto dolce del suo usignolo rispose per lei.
 

Nota autrice:
Secondo vecchio lavoro aggiunto alla raccolta, revisionato e corretto. scritta ascoltando “Now we are free” (colonna sonora de “Il gladiatore”), "Nightingale" di Demi Lovato, This Land (ost di “The Lion King”) e Vogel im kafig (ost di Aot, appunto.) Dai che ce la “famo”!
Letizia

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