Heart and Life

di BlackVanilla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Paziente ***
Capitolo 2: *** La Visita ***
Capitolo 3: *** Ace ***
Capitolo 4: *** Yellow Submarine ***
Capitolo 5: *** Crisi ***
Capitolo 6: *** Bugie e lacrime ***
Capitolo 7: *** Biopsia ***
Capitolo 8: *** Minaccia dal Passato ***
Capitolo 9: *** Portami da Lui ***
Capitolo 10: *** Bakura, Capitano della Marina ***
Capitolo 11: *** Germogli di Speranza ***
Capitolo 12: *** L'Operazione ***
Capitolo 13: *** Lunga Attesa ***
Capitolo 14: *** Cosa mi Combini? ***
Capitolo 15: *** Hai detto che... ***
Capitolo 16: *** Come back to Zou ***
Capitolo 17: *** Calixte Aubert ***
Capitolo 18: *** Cuori Lontani ***
Capitolo 19: *** Via da Me ***
Capitolo 20: *** ...signorina King! ***
Capitolo 21: *** Duello tra gli Specchi ***
Capitolo 22: *** Boden Schwarz ***
Capitolo 23: *** Devo dirti una cosa... ***
Capitolo 24: *** Domande senza Risposta ***
Capitolo 25: *** Ombra e Luce ***
Capitolo 26: *** Informazioni ***
Capitolo 27: *** Nessuna Paura ***
Capitolo 28: *** Ricordi Dolorosi ***
Capitolo 29: *** Progressi ***
Capitolo 30: *** John Smith ***
Capitolo 31: *** Fiore d'Ibisco ***
Capitolo 32: *** Sogno o Realtà? ***
Capitolo 33: *** Elephant under Attack ***
Capitolo 34: *** Axel Meier ***
Capitolo 35: *** Astuto Scambio ***
Capitolo 36: *** Cuore Spezzato ***
Capitolo 37: *** A Bordo del Polar Tang ***
Capitolo 38: *** ...in viaggio verso Wa ***



Capitolo 1
*** La Paziente ***


Gwennie si gettò sul viso un po’ di acqua fresca sperando che la aiutasse a superare quel momento di tensione.
Non si sentiva di nuovo bene ma purtroppo, cosa molto più grave, aveva terminato la medicina che si era fatta prescrivere dal medico di bordo in gran segreto.
Nessuno tranne loro due sapevano della malattia della ragazza ed era stata lei a preferire così.
Dopotutto la polvere che le aveva dato il dottore era molto efficace, era sufficiente una piccola dose sotto alla lingua in caso di malessere e dopo qualche minuto sarebbe stata meglio.
E sorprendentemente era stato così, i sintomi dolorosi al petto e la tosse sanguinolenta erano scomparse e perfino la febbriciattola era sparita.
“Non esagerare però”, l’aveva ammonita Chopper “è pur sempre un farmaco e fino a che non avrò scoperto cos’hai è l’unica cosa che può aiutarti durante uno dei tuoi peggioramenti”.
Gwennie aveva annuito e ringraziato profusamente il medico.
Prima di lui in tanti specialisti non avendo avuto la minima idea di cha malattia la affliggesse, la avevano semplicemente mandata da un altro loro collega che a sua volta aveva fatto lo stesso…un cane che si morde la coda.
E gli “attacchi” dolorosi erano aumentati sia di intensità sia di frequenza tanto da indurre la ragazza ad un periodo di ricovero presso un noto ospedale.
Ora nel bagno guardando la bottiglietta di medicinale vuota, Gwennie fu colta da un attacco d’ansia…come avrebbe potuto nasconderlo agli altri fino a che non si fossero riuniti con Chopper e la rimanente parte del gruppo?
La giovane ripetè il gesto di poco prima, si spazzolò i lunghi capelli castani chiaro e cercò di darsi un contegno respirando a fondo ad occhi chiusi.
Soddisfatta aprì la porta e raggiunse il gruppo che stava festeggiando allegramente.
Era molto stanca come le succedeva sempre quando stava male, ma poteva benissimo camuffare quello stato con una scusa, ad esempio la pessima navigazione che stavano affrontando.
“Stai bene?”, Robin sembrava leggere nella mente a volte e Gwennie era spesso tentata di raccontarle tutto;
Annuì debolmente “sai credo di soffrire questo….ehm…. ritmo?”, allargò leggermente le braccia come del indicare il mare nebbioso attorno a loro che sembrava non cambiare mai;
Robin rise di gusto “anche tu? Beh siete un bel numeretto!” indicò una decina di uomini barcollanti che si lamentavano per la nausea.
Gwennie sorrise debolmente e cercò una superficie dove sedersi…una cassa di legno vuota era proprio lì vicino a lei e ne approfittò subito reprimendo un capogiro.
La navigazione procedeva lentissima a causa della nebbia fitta che li avvolgeva ma anche, anzi forse soprattutto, dallo strano modo di prendere il mare della ciurma di Bartolomeo ovvero a caso.
Senza mappe, navigatore, indicazioni…loro sembravano procedere a caso telefonando ogni tanto alla nonna a casa….quando lo avevano rivelato tra le facce presenti erano comparsi più o meno in questo ordine stupore, irrequietezza e irritazione.
Ormai erano in barca e dovevano soltanto remare si era detta Gwennie.
Festeggiando cercavano di far passare il tempo e di prepararsi al nuovo sbarco rimpinzandosi e recuperando le forze, ma lei non aveva mangiato nulla ovviamente.
Il cibo la solleticava ma temeva di rigettarlo poco dopo e quindi di peggiorare il suo stato precario di salute, era meglio un piccolo digiuno forzato si disse.
Usopp le si avvicinò preoccupato.
“Mai vista gente così”, le disse indicando la strana ciurma “fanno le cose a caso!” scosse la testa;
“Sì è vero ma se sono arrivati fino a qui…..forse non fanno proprio a caso no? O hanno una fortuna sfacciata!” ripose lei cercando di sorridere.
Il risultato doveva essere stato disastroso perché Usopp la guardò e il suo sguardo si fece serio.
“Ma tu……non hai mangiato!”, indicò le mani vuote della giovane “aspetta ti porto qualcosa, con questo boccheggio non è facile muoversi con un piatto di cibo….modestamente io ce la faccio benissimo! Arrivo eh!”
Gwennie lo fissò disperata riempire all’inverosimile un piatto con tutto ciò che trovava nel ricco buffet disponibile sul ponte e tornare soddisfattissimo da lei.
“Ecco a te…..mi raccomando mangia tutto, una nuova avventura ci aspetta…..se usciamo da questo barattolo di cotone!” alludendo alla nebbia se ne andò ridendo.
Il cibo aveva un profumo delizioso ed era appetitosamente invitante e la ragazza decise di mangiare….dopotutto forse le avrebbe fatto bene.
Un paio di ore dopo fu felice della scelta fatta, si sentiva bene in forze e con la pancia piena non aveva nemmeno la nausea, festeggiò con gli altri e si divertì moltissimo.
Un occhio esperto avrebbe notato le leggere occhiaie scure sotto ai suoi occhi verdi e il pallore della sua pelle color avorio leggermente traslucida, senza contare l’espressione di dolore che di tanto in tanto le compariva sul volto come ad un uomo che ha un sasso in una scarpa e improvvisamente camminando questo gli va a finire proprio sotto al piede.
L’occhio esperto c’era davvero e aveva davvero notato tutto questo da un bel pezzo ormai….da prima che si imbarcassero lì….da prima che lasciassero Punk Hazard….da prima che scoppiasse la guerra di Marineford….insomma da quando l’aveva vista la prima volta.
Aveva anche fatto una diagnosi…..più o meno nulla di certo….e se aveva ragione si chiedeva come facesse ad essere ancora viva…

Il mattino dopo il sole era splendido.
La nebbia era completamente scomparsa e una brezza tiepida faceva ondeggiare le vele e il vessillo nero, tutti erano rincuorati dal cambiamento atmosferico e speravano che li avrebbe condotto dritti verso la meta.
Dopo la colazione, abbondante, molto abbondante, il gruppo si riunì per fare il punto della situazione e abbozzare una strategia.
“Siamo vicini” annunciò Law, “la vivre card si muove”. Sul palmo della mano aperto, il piccolo pezzo di carta ondeggiava debolmente indicando la via da seguire.
Gwennie preparò il suo zaino imbottendolo di tutto ciò che poteva essere utile, torcia, vestiti per il caldo, vestiti per il freddo, per il bagnato, per l’asciutto, occhiali da sole, un berretto di lana, la sciarpona di lana del peso di 500 grammi e un po’ di cosine da mangiare tipo snacks, barrette al cioccolato, succhi di frutta, bustine di tè al limone ad infusione, delle tazze e un bricchetto di plastica che conteneva già acqua calda….
Lo zaino aveva una forma normalissima e non sembrava minimamente contenere tutta quella roba, infatti la giovane era ordinatissima e aveva “incastrato” a mò di tetris tutti i suoi oggetti fino a comporre un bel blocco solido.
L’ordine e il metodo però non servivano a niente per modificare il peso notevole dello zaino.
Gwennie lo sollevò con sforzo e poi lo portò fuori sul ponte in modo da averlo pronto in caso di sbarco immediato lasciandolo cadere lentamente per non rompere nulla che vi fosse al suo interno e anche perché aveva particolare cura per le sue cose.
Appena lasciò lo zaino e si risollevò ebbe una fitta al petto e immediatamente un piccolo colpo di tosse le salì in gola, velocemente mise un fazzoletto di carta davanti alla bocca e si girò verso la porta del corridoio che aveva appena percorso per uscire.
Fu tutto veloce e non vide arrivare una persona che stava uscendo proprio da quella porta, inevitabilmente andarono a sbattere l’uno addosso all’atro.
“Io…scusa! Non guardavo e….”, Gwennie si bloccò capendo contro chi era andata a sbattere. Era Law!
Proprio lui!
Da quando anni prima aveva perso Ace, Gwennie aveva sentito come se il gelo avesse invaso il suo cuore….si rendeva conto che non avrebbe mai potuto provare nuovamente lo stesso sentimento che l’aveva legata nel passato al suo amore spento come il fuoco il giorno della sua morte.
Immaginandosi nel futuro non riusciva a trovare un’altra persona capace di farle battere il cuore di nuovo in quel modo, di farle sentire le farfalle nello stomaco….eppure…da tempo cercava di reprimere quella sensazione.
Si sentiva in colpa nel provarla….il suo A era morto e lei cosa stava facendo? Si innamorava di un altro a soli due anni di distanza dal tragico fatto? Eppure….lei lo aveva sognato tanto e altrettanto aveva pianto al suo risveglio….l’incubo era sempre lo stesso…piazza di Marineford la folla che grida, lui che si gira verso Akainu per dirgli il fatto suo. Gwennie che grida a perdifiato – NO, MALEDIZIONE A FERMATI! LASCIA PERDERE TI UCCIDERA’!!!- ma purtroppo è già tutto accaduto. Il sogno era cambiato da quando si era accorta di provare una certa agitazione quando era in compagni di Law. Adesso il sogno finiva con lo stesso Law che aiutava Gwennie a rialzarsi dalla piazza vuota e le metteva un cerotto sul naso.
Tornando al presente, la giovane sentì le guance infiammarsi immediatamente e iniziò a balbettare frasi senza senso rese ancora più indecifrabili dal fazzoletto che teneva sulla bocca.
Law l’aveva osservata e ne era parzialmente divertito, ma ovviamente aveva notato anche il fazzoletto.
“Nessun problema”, sempre conciso aveva detto.
Lei aveva abbassato lo sguardo facendo un piccolo cenno con la testa cercando di tornare verso il corridoio dal quale era uscito L. ma qualcosa la trattenne per il braccio.
Una mano…la sua!!
A bocca aperta Gwennie lo guardò negli occhi grigi….lui le fece un gesto per invitarla a seguirlo.
Trovarono un punto del ponte tranquillo e si fermarono lì.
“Quanto pensi di andare avanti così?”, le chiese guardandola da sotto alla tesa del suo cappello morbidoso.
La giovane era impietrita….che voleva dire? Si era accorto che…ecco…le stava simpatico? Si vedeva così tanto? Cosa avrebbero pensato gli altri? Era un disonore per la memoria di Ace?
Aprì a bocca ma non ne uscì alcun suono.
Lui mosse la mano come per far capire che sapeva, poi la inchiodò con lo sguardo.
“Non è così semplice….la polvere che ti ha dato la renna è solo un modo per prendere tempo, lo capisci? Da quanto vai avanti così?”
Gwennie si riprese….ovviamente aveva scoperto della sua maltattia.
Era talmente semplice che si sentiva una stupida adesso…come aveva fatto a non pensarci prima?
Poteva ingannare gli altri che non si intendevano di medicina, ma lui no!
Era un ottimo medico e, come logico aspettarsi, aveva notato i sintomi della ragazza anche se lei aveva tentato di camuffarli.
Il ricordo del prima attacco le torno in mente e si strinse le mani per scacciarlo, era stato orribile e spaventoso.
Law era incredulo, “Sai cos’hai?” le domandò ancora.
La ragazza scosse la testa e spiegò che diversi medici l’avevano visitata, analizzata e dato medicine che si erano dimostrate inutili tanto quanto i lunghi ricoveri in ospedali di fama mondiale.
Raccontò tutto nei minimi dettagli spiegando i primi sintomi, il primo attacco e il successivo periodo di sgomento che aveva vissuto quando aveva capito che il suo male era cronico e non sarebbe passato.
Lui la ascoltò completamente concentrato.
Alla fine annuì e le chiese di poterla visitare.

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Capitolo 2
*** La Visita ***


~~Gwennie aveva accettato e insieme si erano avviati verso il piccolo ambulatorio presente sulla nave di Bartolomeo sulla quale erano ospiti.
Era agitatissima per due motivi: il primo era indiscutibilmente il fatto che forse stava per scoprire di cosa soffriva e quei lunghi anni di agonia sarebbero finiti; il secondo era ovviamente la visita che avrebbe subito da Law.
“Entra pure”, le disse rompendo il filo dei suoi pensieri.
Le aprì la porta e la fece passare.
Gwennie entrò timida e aspettò altre istruzioni, era tesa ed emozionata.
Il medico mise sulla scrivania la sua spada e tolse il cappello, andò a lavarsi le mani ed indossò un paio di guanti sterili invitando Gwennie ad accomodarsi sul lettino.
“Adesso stai seduta e solleva la maglia dietro”, le disse mentre prendeva uno stetoscopio “respira a fondo”.
La giovane lo fece od almeno ci provò, non appena iniziò a riempire i polmoni di aria esplose in un colpo di tosse sanguinolenta ma si riprese subito scusandosi.
Law le chiese di riprovare ad andò un po’ meglio ma non era in grado di riempire completamente in polmoni di aria senza tossire violentemente.
Il dottore le misurò la pressione e la pesò chiedendole se ricordasse di aver preso o perso chili nell’ultimo periodo. Effettivamente era dimagrita parecchio e gli unici jeans che ancora le stavano bene lo aveva indossati proprio quella mattina. Anche la maglia larga bianca con un teschio nero disegnato sopra l’aveva acquistata da poco per camuffare la magrezza delle spalle che iniziava ad essere poco gradevole.
“Adesso devo prelevarti del sangue”, il medico preparò tutto il necessario “qui non ho gli strumenti adatti ma appena mi ricongiungerò con la mia ciurma potrò effettuare le analisi necessarie” spiegò.
Lei annuì e lo osservò passarle il tamponcino imbevuto di disinfettante sull’incavo del gomito ed applicarle il laccio di gomma.
Con l’ago a farfalla in mano lui si fermò a guardarla. Lei ricambiò confusa.
“Sto per farti il prelievo….non volti la testa?” chiese;
La ragazza balbettò che di solito guardava in modo da poter tenere rilassato il braccio, le sembrò di aver visto un sorriso spuntare sul volto del medico dopo che aveva sentito questa sua timida spiegazione.
 “Adesso è importante una cosa….devo cercare di capire se il tuo battito cardiaco è normale o alterato. Devi stenderti e cercare di rilassarti…” fece un gesto come ad indicare di sdraiarsi sul lettino.
Gwennie era nel panico. Rilassarsi. Interessante. Mezza nuda, stesa su un lettino con lui che le ascoltava il cuore?
Rise mentalmente di se stessa sfilando la maglietta e sdraiandosi sul letto, era rimasta in reggiseno e con una canotta intima nera con le bretelline sottili. Chiuse gli occhi e cercò di far svanire tutto intorno a lei. Respirò piano e nel modo più profondo che la malattia le concedesse di fare.
Dopo qualche minuto sentì posarsi sul petto un piccolo oggetto rotondo e fresco.
Stranamente non era agitata, anzi era rilassata come non mai…nella sua mente sentiva un senso di sollievo assoluto come un viaggiatore che finalmente arriva alla meta tanto agoniata.
“Ok, puoi alzarti.” Gwennie aprì gli occhi e fece come gli era stato detto.
Scrutando Law in cerca di qualche segnale d’allarme, si vestì velocemente rimanendo però seduta sul lettino.
Il giovane si girò e tolse i guanti sterili gettandoli in un cestino, rimise il cappello e afferrò la sua spada, infine si posò alla scrivania.
“Mi servono i risultati delle analisi del sangue per fare una diagnosi certa. Ma sono abbastanza sicuro che si tratti di una particolare malattia rara, anzi rarissima. I libri ne parlano poco e lo fanno in modo superficiale. Tuttavia ricordo di averne letto la descrizione da qualche parte e tu ne sei un chiaro esempio.” Si interruppe.
La ragazza scese dal lettino e gli si mise davanti guardandolo direttamente negli occhi.
Dovette sollevare la testa dato che era circa 25 cm più alto di lei.
“Quanto mi rimane?” i suoi occhi verdi erano limpidi.
Lui ne rimase basito. Allora lo sapeva che stava morendo….tuttavia…era serena.
“Direi che mettendoti a riposo e con una dieta particolare forse un anno…”, la gola era secca.
Lei incassò la notizia rimanendo perfettamente immobile, dopo qualche secondo indietreggiò fino al lettino e si posò imitando la posizione di lui.
Incrociando le braccia al petto sembrò riflettere.
“E continuando così come sto facendo quanto?”, alzò la testa nuovamente e attese la risposta stavolta con le gote accese.
Law le disse che così sarebbe potuta morire anche in quel momento se le fosse venuto un grave attacco, dipendeva da molti fattori ed era impossibile valutarlo così, inoltre le ricordò le analisi del sangue mancanti.
Lei lo ringraziò e gli promise di pensare alla sua proposta e fece per andarsene.
“Aspetta”, la prese di nuovo per il braccio, “non ho finito. Ho una teoria….vuoi sentirla?” sorrise in modo un po’ sinistro nel dirlo ma Gwennie non ebbe paura.
Parlarono fitto fitto per una ventina di minuti e Law le spiegò che secondo lui una cura esisteva, bastava avere una marcia in più.
“Parlo del mio potere ovviamente…però devi affidarti completamente nelle mie mani….e poi dovrai seguire una cura di ricostituente per il tuo organismo…non sarà semplice e suppongo molto doloroso. Inoltre sarà una cosa lunga…riparare i danni dovuti anni di malattia non è così semplice…”, la osservò in cerca di una risposta. 
Gwennie pensò che non aveva niente da perdere, anzi riflettendo si scoprì felice all’idea di passare del tempo con lui nonostante la circostanza.
“Beh, grazie….io credo tu sia molto gentile a farmi questa offerta. Accetto.”, chinò il capo per ringraziare.
Ad un tratto l’atteggiamento del dottore divenne rigido e brusco, “Appena saremo a bordo del mio sottomarino inizieremo con l’intervento”, fece una pausa e aggiunse,”sei solo un caso clinico interessante, non lo faccio per te.” Girò sui tacchi e chiuse la porta.

Quella sera, prima di cena, Gwennie si concesse un bel bagno rilassante.
Si sentiva tesa e a disagio per il repentino comportamento di Law e non ne capiva il motivo.
Si spogliò e gettò gli abiti nel cestone di paglia, afferrò un’ampio telo di spugna ed entrò nella cabina della vasca.
Ripose il telo e i vestiti puliti su un piccolo cassetto di plastica, tirò fuori dal beauty il suo bagnoschiuma e la crema per il corpo rigorosamente alla vaniglia, il profumo che adorava.
L’acqua calda e la morbida schiuma sulla pelle la aiutarono a rilassarsi e quando, avvolta nel telo, si dedicò ai capelli si sentì molto meglio e quasi serena.
Si vestì in fretta mettendo un paio di jeans short e una canotta bianca con dei piccoli brillantini che formavano una farfalla, mise le scarpe da ginnastica bianche e raccolse i capelli appena asciugati in una coda di cavallo.
Guardandosi allo specchio non fu soddisfatta dell’acconciatura e tolse l’elastico lasciando liberi i capelli che le ricaddero morbidi sulle spalle. Guardò l’orologio, doveva affrettarsi la cena atava per essere servita.

A tavola regnava il caos e la festa più totale.
Tutti ridevano e scherzavano divorando tutte le delizie che venivano portate dalla cucina.
Il capitano era felice e ottimista, Zoro non vedeva l’ora di iniziare una nuova avventura ed intanto di consolava con dell’ottimo sake, Usopp era leggermente meno scoppiettante del solito ma sempre allegro.
Robin era seduta accanto a Gwennie e beveva una bibita in modo rilassato mentre ascoltava le chiacchere di quest’ultima.
La giovane infatti si era riproposta di dare il massimo ogni giorno dopo aver scoperto che poteva essere l’ultimo per lei, no che la cosa l’avesse sorpresa più di tanto, in cuor suo l’aveva sempre saputo.
Era da sempre molto affezionata a Robin, la sentiva come una sorella alla quale poteva dire tutto, le era molto mancata la sua presenza confortante dopo Marineford…aveva tenuto tutto il dolore dentro.
Qualche ora dopo la cena era terminata e i commensali si stavano ritirando nelle rispettive stanze, Gwennie salutò Robin augurandole la buona notte ma decise di rimanere un po’ alzata facendo una passeggiata sul ponte.
Era davvero una splendida serata, limpida e calda ma accompagnata da un leggero vento che rendeva l’afa sopportabile.
La luna era bellissima e contare le stelle sarebbe stata impresa non da poco, erano tantissime e di diverse dimensioni, una di esse sembrava brillare di luce colorata…un po’ di blu e un po’ di rosso…o era un’impressione?
La giovane cercò un posto da dove poter osservare meglio la stella e iniziò a percorrere più velocemente il ponte camminando verso poppa.
Camminando lesta non notò la presenza di Law che era appollaiato lì vicino, intento ad ammirare l’arcata stellata proprio come lei.
Soddisfatta del nuovo posto trovato, si sedette per terra e guardò la stellina brillare cambiando colore…rosso e blu…blu e rosso….un po’ di bianco e di nuovo rosso e blu….bellissima si disse, chissà se era un effetto ottico o se era realmente un cambio di colore.
Le venne in mente così una canzoncina che la madre le cantava sempre prima di andare a dormire quand’era piccola.
Dove era nata Gwennie era un privilegio che la madre crescesse personalmente la figlia passando del tempo con lei, di solito erano le bambinaie a farlo al posto della genitrice.
La madre della giovane aveva espresso fin da subito la volontà di pensare personalmente ai bisogni della piccola e di non volere nessun tipo di bambinaia o altro, fu solamente assunta un’istitutrice che si occupasse della cultura della piccola.
Senza pensarci iniziò a canticchiarla piano…com’era dolce quella nenia, proprio come il ricordo della sua mamma.
Gwennie asciugò con il dorso della mano una lacrima tiepida carica di amari ricordi e fece per alzarsi.
Ebbe all’improvviso la sensazione fortissima che qualcuno fosse dietro di lei e, notando solo ora l’ombra scura del medico, sussultò portandosi le mani al petto e sospirando rumorosamente.
“Scusa credevo mi avessi visto….”, ecco un sorriso di quelli sinistri e…affascinanti.
Gwennie scosse il capo, un po’ meno arrabbiata ricordando il motivo per il quale era finita lì, “osservavo la stella…cambia colore…vedi?” indicò il cielo con un dito sentendosi subito dopo molto sciocca.
Il chirurgo della morte che guarda le stelle cambiare colore? Ridicolo, pensò.
Law osservò il cielo e poi anche la giovane: era molto flessuosa e carina nonostante i segni evidenti della malattia e sembrava anche in gamba.
Sarebbe stato interessante passare del tempo insieme, pensò il medico.
“Forse lo vedo solo io!”, la ragazza arrossì “mi piace pensare che cambi colore e che non sia una mia idea…ma forse mi sbaglio” cercò di salutare Law velocemente per nascondere il suo imbarazzo dandogli la buonanotte ma lui la fermò.
“Hai sempre così fretta?” le chiese sornione, “non dovrai averne per niente in convalescenza. Sarà una cosa lunga…..” fece per alzarsi.
Gwennie annuì e dichiarò di essere pronta ad affrontare qualsiasi cosa…con lui? Oddio no no no bisognava reprimere quell’idea.
Lui si accorse di quel piccolo tentennamento e sorrise di nuovo.
“Cambia veramente colore….lo fa ogni sera. Cerca di controllare le emozioni, le fonti di stress peggiorano il tuo stato clinico e..”, si interruppe.
Con la fronte imperlata di sudore la ragazza rispose di non riuscire a respirare bene e di vedere male, una fitta di dolore acuto le riempì i polmoni di fuoco.
“Scusa, io….”, aprì gli occhi e non ricordandosi di averli chiusi.
Il medico le era accanto sostenendola per un braccio.
“La situazione è abbastanza grave. Non abbiamo tutto il tempo che pensavo…dobbiamo agire in fretta. Appena arrivati a Zou ci riuniremo con la ciurma e tu verrai con noi”, gli occhi grigi improvvisamente accesi da un sentimento che Gwennie non sapeva se definire preoccupazione o paura di non avere tempo di studiare il suo caso così scientificamente interessante.
Se fosse morta prima avrebbe potuto farle solo l’autopsia.
Lei si limitò ad annuire.
Le era chiaro che doveva parlarne immediatamente con il suo capitano, gli avrebbe spezzato il cuore, lo sapeva.

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Capitolo 3
*** Ace ***


Il capitano Mugiwara ci mise un po’ a capire come stavano le cose. Era leggermente arrabbiato, deluso perché Gwennie non si era confidata con loro e anche per non aver notato nulla di strano prima della rivelazione.
“Scusa capitano. Mi dispiace. Io volevo parlarvene ma dopo quello che è accaduto due anni fa io….mi sembrava una cosa così stupida lamentarmi per il mio malessere……”la giovane si profusò di scuse chinando il capo.
“Non serve. Io non ho saputo darti sostegno dopo la guerra di Marineford, avrei dovuto parlarti e starti vicino. Allora avrei capito. Se non ho notato nulla è anche perché non guardavo nel posto giusto.”, il tono di Rufy era risoluto.
Lacrime piene di ricordi solcarono le guance di Gwennie e il capitano l’abbracciò forte, rassicurandola ancora dicendole che era stata anche troppo forte a portare un peso così grande tutta sola.
Le disse di curarsi e di tornare da loro il prima possibile per proseguire il viaggio, avrebbe spiegato lui agli altri la situazione non occorreva che lo facesse lei.
“No! Assolutamente non potrei mai!”, le ultime parole furono un soffio debole, il fisico stava cedendo e non avrebbe potuto tener duro ancora per molto.
Aggrappandosi alla sua forza di volontà, Gwennie si rivolse al suo capitano: “Completeremo la traversata con voi, il luogo di destinazione e lo stesso….ci riuniremo agli altri e spiegheremo tutto….ma voglio….farlo io…”, dovette sedersi.
La giovane gli chiese una mano per alzarsi e, una volta in piedi, venne aiutata a raggiungere la sua cabina.
Mentre le dava una mano ad entrare le disse che avrebbero fatto come aveva suggerito lei ma che doveva assolutamente seguire tutte le indicazioni di Law per guarire completamente.
Una volta messa a letto la giovane, Rufy andò in cerca di Law.
Il dottore non era molto lontano da dove l’aveva lasciato Gwennie.
“Mi fido di te lo sai…mi hai già salvato la vita una volta…com’è la situazione? Io…non mi sono accorto di nulla!”, era evidentemente in uno stato d’angoscia.
“Per dirla chiaramente non so come mai sia ancora viva. E’ affetta da una rara malattia che viene citata in pochi libri di medicina e in ognuno di essi cambia nome. E’ un morbo misterioso e, come ho già detto, rarissimo. La cosa certa è che non ha cura e di solito dopo la comparsa dei primi sintomi, il paziente sopravvive circa un anno al massimo. Probabilmente il decorso cambia da un organismo all’altro…..devo studiare il caso con calma….”, riecco il sorriso sinistro.
Rufy annuì lentamente e iniziò a ricordare il racconto fattogli da Gwennie riguardo il suo primo incontro con Ace. Era stato in un villaggio lontano, una sera dopo cena la giovane era uscita dall’albergo dove alloggiava per fare una passeggiata quando le era sembrato di sentire una richiesta di aiuto proveniente dal molo.
Mentre il sole tramontava, aveva raggiunto il luogo incriminato ma non c’era nessuno. Convinta di aver udito male, aveva girato sui tacchi per andarsene ma era stata bloccata da quattro tipi loschi tutti muscoli che ridevano beffardi brandendo coltelli lucenti e qualche pistola.
Gwennie aveva sfiorato con le dita il sua chakran ma era rimasta tranquilla.
“Posso aiutarvi?”, aveva domadato.
Il più alto era scoppiato a ridere in modo irrefrenabile e asciugandosi le lacrime aveva affermato che senz’altro sarebbe stata loro di aiuto.
La battuta del capo fece ridere anche gli altri e iniziarono a chiudere il cerchio che formavano attorno a lei.
La ragazza aveva sempre praticato arti marziali, essendo una sua grande passione, ed inoltre era abilissima nell’uso dell’antico chakran, la lama circolare che può essere lanciata come un boomerang e proprio come esso torna al mittente dopo aver assolto il suo compito, quindi non era per nulla intimorita da quegli individui che erano peraltro un po’ alticci.
Dopo qualche secondo il tizio più grasso le si era avvicinato brandendo nuovamente il suo coltello e facendolo luccicare mettendolo proprio sotto al naso, “farai la brava?”, rise di gusto.
Stava ancora ridendo mentre Gwennie gli assestava un bel calcio all’altezza della ginocchia.
L’uomo era barcollato leggermente e la ragazza ne aveva approfittato piazzandogli altri due colpi sul fianco sinistro e sul collo facendolo cadere a terra confuso.
“Non alzarti”, gli aveva suggerito ma ovviamente lui si era rimesso in piedi.
Non per molto però. Iniziando a tremare violentemente, perse i sensi all’improvviso cadendo pesantemente al suolo.
Sorridendo la giovane si era preparata ad affrontare gli altri tre, che erano rimasti basiti, ma all’improvviso era arrivata una fitta al petto che le aveva tolto il respiro.
Aveva tossito sangue e si era inginocchiata a terra quando il tizio più alto, ridendo, si era avvicinato a lei sempre brandendo il coltello, “…già esaurito le forze?”.
Gwennie aveva provato ad alzarsi ma non c’era riuscita, nel frattempo le si era offuscata la vista.
Aveva pensato di essere spacciata, chiudendo gli occhi si era preparata al peggio ma il peggio non era arrivato.
L’uomo col coltello era finito a terra dolorante e gli altri due si erano caricati i rispettivi compagni sulle spalle per fuggire a gambe levate. La giovane non capiva che cosa era accaduto tanto era confusa e appannata.
Dietro di lei c’era Ace che la stava aiutando a mettersi in piedi. L’aveva salvata. Si erano conosciuti così.
Rufy sbattè la palpebre tornando al presente.
Decise di riassumere il racconto al medico che annuì.
Parlarono ancora a lungo per mettere in chiaro come agire: avrebbero raggiunto Zou e si sarebbero riuniti con le rispettive ciurme, appena possibile Gwennie sarebbe partita con Law che avrebbe potuto così provare a curarla sfruttando il suo potere e le adeguate attrezzature mediche.
L’operazione di per se sarebbe stata diversa dalle classiche operazioni chirurgiche, senza quindi bisogno di particolari strumentazioni salvo ovviamente quelle di base.
Il problema si sarebbe presentato prima e dopo: prima infatti era necessario essere pronti ad affrontare le conseguenze pericolose degli attacchi improvvisi di Gwennie e successivamente invece avrebbero dovuto aiutare il suo fisico logorato dalla malattia a riprendersi dall’operazione e dai danni che aveva subito.
La cosa che appariva fin troppo chiara era la mancanza di tempo. La ragazza infatti aveva taciuto il suo dolore confidandosi infine solo con Chopper, il quale non aveva avuto modo di studiare con calma i sintomi della giovane e che quindi non aveva potuto fare una diagnosi.
“Non avrebbe potuto aiutarla in nessun modo….la malattia è classificata come incurabile”, disse il dottore a Rufy seguendo il filo dei suoi pensieri.
“Glielo dirò ma senz’altro….ci rimarrà molto male….”, l’animo sensibile si Chopper era noto a tutti.
Dopo qualche ulteriore chiarimento i due raggiunsero le rispettive cuccette e si ritirarono per la notte.


Il mattino dopo il tempo non era ottimale.
La temperatura era calata parecchio, soffiava un vento pungente e il mare non era calmo.
Tuttavia la vivre card segnava l’avvicinarsi della meta in modo sempre più palese.
Verso le cinque del pomeriggio fu avvistato in mezzo ad una coltre di nebbia, una grossa montagna che però sembrava muoversi. Data la poca affidabilità della navigazione fu subito pensato ad un errore ma poi Law spiegò che Zou era un’isola situata sopra la groppa di un elefante gigantesco e millenario che quindi si muoveva.
Lo sbarco avvenne in modo molto tranquillo grazie a Kanjuro che, creando un drago da un suo disegno, permise a Rufy, Robin, Law, Zoro, Gwennie, Kin’emon, Momonosuke e a se stesso di percorrere la difficile salita che li separava dall’isola.
Il delizioso draghetto assolse il suo compito svanendo tristemente appena furono arrivati.
Durante il tragitto Kanjuro e Kin’emon rimasero indietro ma promisero di raggiungere gli altri prima possibile.
L’isola era bellissima ed antica. La verdissima vegetazione lussureggiante era una splendida cornice per gli magnifici edifici che si alzavano tra le fronde.
Era evidente però che da poco doveva esserci stata una tremenda battaglia tale era la distruzione e la desolazione che abitava la città deserta.
La popolazione non tardò a presentarsi e si dimostrò molto amichevole e…..soffice!
I visoni sembravano dei dolcissimi peluche combattenti. Spiegarono che sull’isola era sbarcato il misterioso Jack, uno dei pezzi grossi di Kaido che reclamava gli fosse portato il samurai del paese di Wa dando per scontata la presenza di quest’ultimo nel paese.
Anche se tutti i cittadini avevano confermato non essere presente il misterioso individuo, Jack si era rifiutato di parlare o di controllare personalmente ed aveva dato inizio alla battaglia.
Alla sera i visoni dettero un banchetto in onore dei visitatori dove finalmente la ciurma si ricongiunse tranne Sanji che era assente…ma tutto era spiegato in una lettera redatta da quest’ultimo.
Quando Gwennie fece numerose domande sulla sparizione del cuoco biondo, Brook fece del suo meglio per darle delle risposte che però le parvero superficiali e non completamente veritiere.
La giovane rimase perplessa, chiese almeno di poter vedere la lettera ma lo scheletro la rispose di averla perduta, così si rassegnò a farsi bastare quelle poche delucidazioni che aveva ottenuto.
Law andò alla ricerca dei suoi compagni e nel frattempo diede istruzioni precise a Gwennie: “Io vado a trovare gli altri. Quando torneremo a prenderti verrai subito con noi intesi? Quindi parla ai tuoi compagni appena possibile….non sappiamo se abbiamo tempo”.
“Certamente, grazie” Gwennie si era inchinata nel ringraziarlo.
Era stata dura spiegare tutti agli altri, in particolare a Chopper che si sentiva incompetente e superficiale ma lei lo rassicurò dicendogli di essere stata lei a sbagliare non parlandone prima.
Raccontò della sua malattia con calma, soffermandosi soprattutto sulle ultime svolte, dell’aiuto offertole da Law e quindi esortando tutti a comportarsi normalmente come se nulla fosse stato detto.
“Per favore, non voglio tristezza o malinconia…festeggiamo la nuova speranza ma soprattutto la nuova avventura!”, Gweenie aveva alzato il bicchiere.
Infine, asciugandosi le lacrime Chopper si lasciò abbracciare.
La serata fu divertente ma nostalgica…forse per Gwennie sarebbe stata l’ultima occasione per divertirsi così con i suoi compagni.
Rufy che si ingozzava, Zoro con l’immancabile sake, Brook che suonava deliziosamente il violino, Nami impegnata a ridere e scherzare…Robin sempre un po’ seria anche se con il sorriso sulle labbra….che nostalgia….le ore volarono e ben presto era notte inoltrata.
Tutti dormivano….lei no. Come avrebbe potuto dormire quella sera? Dentro di sé albergavano sentimenti contrastanti….era preoccupata per se stessa, di non farcela e di non vedere più i suoi compagni…ma era anche felice di poter stare un po’ con Law, di conoscerlo meglio e cercare di capirne il carattere così ermetico.
Ma lei poteva permettersi questi sentimenti?
Camminava nella notte silenziosa…ad un tratto sentì un rumore dietro di sé.
Scattò indietro scoprendo che si trattava solo di Rufy.
“Avevo sete….ho sentito dei passi e sono venuto a controllare. Stai bene?”, le chiese guardandola preoccupato.
“Sì, adesso sto benone…..”, non fece cenno ai dolori articolari che stavano aumentando di ora in ora.
Rufy annuì, fece per tornare a dormire ma lei lo bloccò.
“Rufy io….ecco….”, si torceva le mani “vorrei parlarti di una cosa. Tu sai cosa sentivo per Ace….anzi lo sento ancora adesso ma…”
Lui si avvicinò, le mise un braccio attorno alle spalle e la condusse verso l’accampamento.
“Vieni non stare qui sola. Lo so….anche lui sentiva le stesse cose per te….e sono sicuro che anche adesso le sente….ma la cosa più importante è la tua felicità…non puoi chiuderti in un armadio solo perché è accaduta quella disgrazia….ho intuito ciò che vuoi dirmi…non devi chiedermi il permesso eh!” rise piano.
Confortata dalle parole del suo capitano, assaporando la brezza notturna fresca e profumata, sentendosi levare dal cuore quel pensate macigno, Gwennie versò qualche lacrima.
“Forse hai ragione capitano…”, lui annuì e tornarono insieme verso l’accampamento.
Nei loro cuori albergava un sentimento simile, il vuoto incolmabile lasciato dall’immenso dolore ma anche l’inevitabile istinto di sopravvivenza e di ritrovare la felicità.

Ace era in piedi in mezzo alla piazza….solo e libero.
Gwennie correva verso di lui per abbracciarlo….di solito a questo punto del sogno compariva Akainu, ma quella notte fu diverso.
“Stai bene! Sei salvo!”, che felicità!
Lui le carezzò i capelli piano abbracciandola.
“Non posso stare qui, devo andare…”, parlava piano.
Lei si staccò e lo guardò in viso: era sereno e non dimostrava dolore o tristezza.
“Sono venuto per salutarti….è ora che tu sia libera da questo ricordo…vivi e sii felice….io sono vicino a te sempre….mi senti a volte ma non capisci che sono io….quando hai una sensazione di calore qui…” indicò il cuore della giovane, “sono io che ti sto accanto…”.
Gwennie annuì commossa e felice ricordando proprio quella sensazione di calore che lui gli aveva appena descritto…Ace stava bene e questo era meraviglioso.
“Io ti voglio bene e te ne vorrò sempre…..”, era incerta “però adesso…” lui le mise un dito sulle labbra.
“Non devi giustificarti assolutamente…..è tutto okay…..”, le sollevò il mento e posò le sue labbra su quelle di lei.
La giovane chiuse gli occhi e quando li aprì era sveglia. Le dispiaceva di essersi svegliata così di botto ma allo stesso tempo era contenta. Ace era venuto a toglierle un enorme peso dal cuore, un sasso che le impediva di dare libero sfogo al sentimento che cresceva dentro di lei ogni giorno di più….eh già, si era proprio innamorata di Law.

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Capitolo 4
*** Yellow Submarine ***


Due giorni dopo la ciurma di Law trovò l’accampamento dei Mugiwara.
Gwennie era stata benino e nel frattempo Chopper l’aveva tenuta sotto strettissimo controllo redigendo per lei una dieta ricca di minerali, vitamine, fibre e proteine.
Lei lo aveva ringraziato di cuore iniziando subito a seguire il nuovo regime alimentare.
Si sentiva un po’ meno stanca grazie al buon cibo, ma i dolori articolari erano peggiorati e di notte non riusciva a mantenere una posizione nel sonno per più di dieci minuti, quindi di giorno era mezza intontita a causa del cattivo riposo.
Iniziava inoltre ad avere il fiato grosso se camminava un po’ più a lungo del solito.
Appena Gwennie li vide sentì il cuore riempirsi di gioia. Ed ecco Law, serio come al solito con il suo cappello morbidoso cacciato in testa e l’immancabile spada posata sulla spalla, i capelli neri appena visibili risaltavano gli occhi grigi accesi di interesse.
Dietro di lui la ciurma al completo lo seguiva e in mezzo a loro la giovane individuò subito Bepo.
“Aye aye signorina!”, la salutò inchinando la testa.
“Bepo! Che bello rivederti!”, Gwennie lo abbracciò per quanto riusciva a fare…..era un orso bianco enorme e muscoloso.
“Signorina tutto bene? Il capitano ci ha detto…..”, guardò a terra arrossendo.
Lei lo rassicurò come meglio poteva.
Aveva conosciuto la ciurma di Law dopo Marineford quando il dottore aveva curato Rufy, moribondo a causa delle ferite riportate durante la tremenda battaglia.
Lei era arrivata a Marineford su una nave della ciurma di Barbabianca, la flotta di Marco per la precisione, essendo stata scagliata dal pacifista su un’isola dove stavano bivaccando i pirati di Newgate.
Dopo la fine della guerra Law aveva salvato la vita al capitano Mugiwara prestandogli soccorso nel suo sommergibile, mentre erano diretti verso l’isola delle amazzoni.
La ragazza era salita con il suo capitano sul sottomarino prima che questi si immergesse, ancora sconvolta a causa della morte di Ace, desiderosa di supportare il più possibile Rufy non appena questi si fosse svegliato.
Lei non aveva mai avuto dubbi sulla ripresa del capitano.
In quel breve tragitto Gwennie aveva viaggiato con loro avendo modo di conoscerli e si era affezionata in particolar modo a Bepo, il simpaticissimo orso bianco navigatore della ciurma Heart.
“Prendi con te le tue cose, andiamo al sommergibile… Cappello di Paglia se hai bisogno di noi prima del previsto sai come trovarci”, indicò il lumacofono impaziente di portare la ragazza nel piccolo ospedale che serbava il suo sottomarino.
I saluti furono lunghi e infiniti.
Chopper era tenerissimamente commosso e le ragazze avevano preparato un regalino artigianale per Gwennie.
Si abbracciarono tutti e lei promise che si sarebbero rivisti.
“Ti aspettiamo!” aveva gridato forte Rufy abbracciandola.
Dopo aver atteso inutilmente diversi minuti, Law tagliò corto ordinando a Bepo di caricarsi sulle spalle Gwennie e finalmente poterono partire.
“Bepo, peso troppo?”, chiedeva ogni mezz’ora la giovane “posso camminare sai?”
“Aye signorina il capitano non vuole….e poi non sento affatto il tuo peso. Sei più leggera del mio zaino…”, arrossì.
Bepo si ostinava a chiamarla signorina e lei gli aveva chiesto più volte di chiamarla semplicemente con il suo nome, ma lui si era rifiutato. Questione di rispetto aveva detto. Appena conosciuti però non lo faceva….Gwennie non se lo spiegava ma non desiderava mettere in imbarazzo il suo amico con altre domande.
La carovana si muoveva svelta ma la notte li costrinse ad accamparsi in mezzo alla foresta ed accendere un bel falò che servì per cuocere la cena.
L’appetitosa zuppa fu servita in ciotole di plastica azzurre da un simpatico cuoco del quale Gwennie aveva sentito male il nome e che per cortesia non osava richiedere…nella sua mente lo chiamava Cucchiaio perché la testa pelata gli ricordava proprio quella stoviglia.
Il cibo era ottimo e nemmeno il poco appetito della giovane fu un ostacolo, mangiò di gusto tutta la sua razione chiedendosi ammirata come avesse fatto Cucchiaio a preparare tale bontà in mezzo alla giungla e con un falò come fornello.
Dopo cena Bepo si addormentò vicino al fuoco e lei gli si accoccolò vicino finendo per prendere sonno a sua volta. Non sognò niente e dormì sodo.

La colazione il mattino seguente fu veloce e gradevole.
Gwennie era dolorante e stanca perciò non si lamentò quando Bepo se la caricò in spalla, anzi apprezzò il morbido pelo caldo tenendone meccanicamente una ciocca tra le dita.
Durante la giornata si sentì sempre più fiacca e, dopo aver cercato inutilmente di resistere, chiese a Bepo di fermarsi un attimo.
“Che succede signorina?”, domandò l’orso bianco depositandola delicatamente sull’erba mentre gli altri si disponevano a cerchio attorno.
Gwennie spiegò che sentiva caldo e aveva un po’ di nausea.
Law le si avvicinò, “Hai la febbre”, chiese che la giovane fosse coperta di più.
“Bepo prendila e andiamo….”, il tono della voce del dottore era duro come il marmo ma Gwennie non lo sentì, si era addormentata non appena il tepore del plaid soffice che aveva sulle spalle l’aveva invasa.

Il viaggio continuò pigro.
Gwennie dormiva sodo accoccolata sulle spalle di Bepo, gli altri mantenevano un buon passo cercando di affrettare i tempi.
Dopo qualche ora di cammino giunsero sulla scogliera rocciosa che cadeva a picco.
Per scendere erano possibili due strade: la prima era effettuare l’arrampicata ma verso il basso, la seconda prevedeva la possibilità di chiedere a Zunisha di aiutarli facendoli passare sopra la sua proboscide che sarebbe arrivata proprio sul mare.
La scalata in discesa sarebbe stata molto difficile da affrontare con una malata da trasportare, quindi Bepo, essendo originario di Zou, cercò subito di interloquire con il maestoso elefante.
Gli altri membri della ciurma lo aspettarono ai piedi di un grosso albero, dove Gwennie era stata fatta sdraiare appoggiando la schiena sull’imponente tronco.
Dormiva ancora. La pelle della guance era arrossata a causa della febbre, la fronte bollente era umida di sudore e le labbra socchiuse sembravano balbettare nel sonno.
Una ciocca di capelli le ricadeva sul viso.
Law la osservava in silenzio.
Era un medico e la vita dei suoi pazienti era sempre importante per lui, aveva curato diverse volte i suoi compagni di viaggio sentendo il peso di quella responsabilità gravare sulle sue spalle.
Ma per lui era un fattore stimolante, la responsabilità aveva sempre agito come l’adrenalina prima di una gara, lo aveva fatto correre più velocemente e con maggiore grinta.
Stavolta qualcosa era diverso.
Senz’altro il mistero legato al morbo che colpiva Gwennie lo lasciava perplesso…ma non era un problema, lui aveva già avuto una mezza idea su quale fosse la natura del male.
Non staccando gli occhi dalla ragazza addormentata, Law scacciò quei pensieri dalla mente: l’avrebbe salvata ad ogni costo.

Bepo tornò trottando trionfante verso i suoi nakama.
“Zunisha è molto comprensivo. Ci aiuterà”, spiegò velocemente ai compagni come procedere.
Sarebbero giunti sulla testa del grosso elefante il quale avrebbe abbassato il capo fino a giungere con la proboscide a toccare il pelo dell’acqua.
La comitiva riprese il cammino e trovare il testone di Zunisha fu semplice.
La discesa fu agevole ma lenta a causa della forte pendenza della proboscide, una volta giunti al mare, fortunatamente calmo, Orca salì a bordo del sottomarino giallo che li attendeva portandolo esattamente dove si trovavano gli altri.
Bepo ringraziò profusamente Zunisha assicurandogli che sarebbero tornati presto a salutarlo.
Una volta all’interno del piccolo sommergibile la ciurma tornò ognuno al proprio posto in modo efficiente, come gli ingranaggi di un orologio svizzero.
L’interno del sottomarino era moderno ed ordinato, diviso in quattro diversi settori principali: l’infermeria, la zona notte, la zona pranzo e cucina e il salottino.
L’infermeria era in realtà un piccolo ospedale in miniatura, non le mancava nulla, era dotata di lettini con le rotelle, letti di degenza, apparecchi di ogni tipo e un fornitissimo armadio contente medicinali, bende, cerotti e garze.
La zona notte era composta dalle diverse cuccette dei componenti della ciurma Heart, ogni cabina aveva un letto, una piccola scrivania, l’armadio e un oblò da cui poter ammirare il mare.
La stanza da bagno era comune in fondo al corridoio ma era completa e spaziosa.
La zona pranzo e cucina comprendeva un’ampia sala nella quale troneggiava un lungo tavolo rettangolare dove la ciurma consumava insieme i pasti, era di legno robusto e portava i segni di decine di banchetti consumati allegramente.
La cucina piccola ma efficiente era il regno privato del cuoco e nessuno tranne lui o qualcuno con il suo permesso poteva entrarci. Sulla porta d’ingresso era stato disegnato malamente il viso di Bepo con una croce sopra ad indicare i numerosi tentativi di penetrazione da parte dell’orso.
Infine il salottino, comodo e colorato, conteneva tutti modi possibili di svagarsi a bordo di un sottomarino: una grandissima libreria carica di testi medici e di giornali scientifici nonché riviste di altro tipo, una lavagna bianca e il suo pennarello per esporre e discutere insieme strategie d’azione ed altro.
Ma non c’era solo questo: vi erano anche un flipper, tavolino con scacchiera incorporata, giochi di società e uno splendido impianto stereo.
Gwennie non vide nulla di tutto ciò perché stava ancora dormendo quando fu trasportata all’interno del sottomarino.
Il suo letto in infermeria era stato preparato in tempo da record e ora la ciurma si prestava a svegliarla, ma l’operazione fu molto più difficile del previsto.
Infatti la ragazza faticava a svegliarsi.
“Capitano!”, Bepo lo andò a chiamare, “la signorina non si sveglia!”.
Il dottore raggiunse la paziente. Era pallida ma sul viso le passava un velo di rossore di tanto in tanto dovuto probabilmente alla febbre, due occhiaie scure erano comparse sotto agli occhi e le labbra erano leggermente violacee.
Il medico ordinò la somministrazione di un farmaco tramite iniezione.
Dopo qualche minuto la ragazza aprì gli occhi sotto gli stimoli verbali della ciurma.
“Non perdiamo tempo. Cambiati e sdraiati sul lettino ma non addormentarti, Bepo ti terrà sveglia. Pensi di farcela?”, il chirurgo era deciso.
La giovane annuì debolmente.
Penguin alla sua destra lo seguiva come un’ombra e tra di loro parlavano telegraficamente.
“Prepara gli strumenti di rianimazione e la saletta uno. Ricorda i guanti sterili e tieniti pronto. Operiamo appena le analisi del sangue saranno pronte e si sarà stabilizzata un pò. Controlla bene l’apparecchiatura.”
Il giovane annuì secco e si precipitò ad eseguire gli ordini.

Con molta difficoltà Gwennie era andata a cambiarsi nel grande bagno con le piastrelle gialle che era in fondo al corridoio.
Togliere i vestiti era stato semplice, ma mettere il pigiama era stata tutt’altra impresa, richiedeva uno sforzo fisico che al momento per lei era equivalente a sollevare un macigno.
Soddisfatta di essere riuscita a cambiarsi, uscì in corridoio timida nel suo pigiamone grigio con le stelline bianche lasciando che Bepo l’aiutasse a mettersi a letto.
“Come mai….sto male così all’improvviso?”, chiede all’orso.
Lui arrossì e guardò per terra, “Signorina ti sembrava di star bene grazie alla polvere della renna ma in realtà peggioravi ugualmente. Te ne accorgi all’improvviso perché non la prendi più. Scusa…”, si inchinò.
“Perché mi chiedi scusa?”, sorrise debolmente.
Bepo farfugliò qualcosa del tipo: sono solo un orso ed uscì.


Ciao a tutti!

Dopo qualche capitolo di rodaggio mi sono decisa a scrivere un piccolo angolino dell’autrice.
Innanzitutto voglio ringraziare chi ha dimostrato di aver apprezzato la mia storia: mi avete fatta felice!
Cercherò di pubblicare regolarmente i capitoli il giovedì, così sarà più semplice seguire lo svolgimento del racconto.
Attendo eventuali consigli/critiche in modo da poter migliorare il mio modo di scrivere!

Grazie
 
BlackVanilla

 

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Capitolo 5
*** Crisi ***


L’orso bianco stava percorrendo lentamente il corridoio principale del sottomarino quando gli venne in mente di fare una piccola visita in cucina.
Davanti alla porta fece la linguaccia al cartello di ammonimento affisso dal cuoco ed entrò silenziosamente.
Sul tavolo principale erano preparate diverse verdure da sbucciare, lavare e tagliare probabilmente sarebbero servite per la cena, ma il pezzo forte era un enorme pezzo di carne di maiale che stava marinando in una teglia colma di un sughetto dal profumo delizioso.
Bepo annusò l’aroma appetitoso pregustandone l’ottimo sapore.
Al tavolino vicino, quello con le rotelline, faceva bella mostra di se una tortina al cioccolato ripiena di marmellata alle albicocche, guarnita con cioccolato fuso e un piccolo spruzzo di panna.
L’orso pensò che se avesse prelevato un piccolo pezzettino di torta, il cuoco lo avrebbe subito notato…ma era così invitante!
E poi se la era meritata, aveva vegliato la paziente per tutta la notte e adesso che stava per arrivare la sera, sapeva che sarebbe nuovamente toccato a lui.
Aveva bisogno di energie. Energie buone, zuccherose e cioccolatose.
Con una destrezza e delicatezza che nessuno avrebbe mai detto quelle due zampe potessero possedere, Bepo s’ingegnò tagliando il bordo inferiore della torta e mangiandolo in un sol boccone.
Guardando il dolce si notava che fosse diventato più basso e meno aggraziato ma forse tagliandone le fette normalmente, nessuno lo avrebbe notato.
Abbastanza soddisfatto, almeno fino all’ora di cena, Bepo uscì di soppiatto dalla cucina richiudendone la porta senza produrre alcun rumore.
Controllando che i corridoi fossero liberi si affrettò a tornare verso la stanza di Gwennie.

Orca e Penguin attendevano in cambio davanti alla stanza della paziente.
Bepo arrivò calmo e tranquillo, sicuro di non aver macchie sospette addosso.
“Eccoti Bepo. Non ci sono particolari cambiamenti. E’ sveglia e sta leggendo.”, Penguin alzò il pollice verso l’alto, “se hai bisogno chiama!”
Dopo aver annuito, l’orso sbirciò Gwennie: aveva un libro in mano ed era appoggiata ai numerosi cuscini che giacevano sul suo letto, sembrava tranquilla anche se il suo colorito era vistosamente pallido.
Lei si accorse dello sguardo di Bepo.
Lo salutò agitando la mano.
L’orso arrossì violentemente e, inchinandosi, si nascose dietro la porta.
“Signorina…”, le disse rimanendo dov’era, “io sono qui fuori se hai bisogno di me…..non voglio disturbarti!”
Gwennie, ricordando di averlo già messo in imbarazzo una volta, si limitò a ringraziarlo tornando alla sua lettura.

La giovane riprese a leggere.
Dopo qualche minuto però si sentì molto stanca e posò il libro sul tavolino vicino al suo letto.
Non doveva dormire, almeno per il momento, e così cercò di concentrare i suoi pensieri su qualcosa di impegnativo.
Pensò alla battaglia che era appena stata vinta a Dressrosa: era stato un grande passo verso il nuovo mondo, con tutte le conseguenze che ne derivavano.
Nella mente della giovane si delineò il ricordo del fenicottero, sicuro della sua forza ed estremamente arrogante, non aveva mai dubitato di poter essere sconfitto da Rufy.
Nella stanza dei semi, nel Palazzo Reale di Dressrosa, il fenicottero aveva catturato Law assicurandolo al seggio di cuori tramite manette di agamaltolite.
Aveva provato invano ad interrogarlo.
“Sei un duro eh? Magari qualcun altro invece avrà voglia di cantare chissà….”, Doflamingo aveva schioccato le dita ed immediatamente si era aperta la porta facendo entrare Buffalo che spingeva Gwennie, le mani legate dietro alla schiena.
Il medico, vedendola entrare, non aveva battuto ciglio.
La ragazza, da parte sua, si sentiva terribilmente in colpa per essere stata catturata, purtroppo ancora una volta il suo male aveva giocato contro di lei lasciandola indifesa nel momento peggiore, fortunatamente però durante il percorso verso il Palazzo aveva avuto abbastanza modo di riprendersi.
“Dunque, questa signorina fa parte della ciurma dei tuoi alleati dico bene? Mh….”, Doflamingo le aveva girato intorno molto da vicino, “carina la piccola……allora vediamo come possiamo iniziare…..ecco!”, aveva mosso le dita usando i poteri del frutto Filo Filo.
Le braccia di Gwennie si erano aperte ed alzate verso l’altro facendola rimanere appesa a mezz’aria, nonostante le sue proteste, più si agitava cercando di liberarsi maggiore erano i tagli che si procurava.
Doflamingo le aveva rivolto delle domande per capire quale fosse il loro scopo finale ma soprattutto dove fosse tenuto Ceasar.
Non avendo ricevuto risposta le rifece a Law il quale non aprì bocca.
“Fu fu fu…..divertenti! Moltissimo! Law rifiuti di rispondere?”, mosse nuovamente le dita facendo girare la ragazza che adesso dava loro le spalle, con la mano libera il fenicottero creò una frusta di fili che fece ricadere sulle spalle della giovane.
Gwennie aveva emesso un lamento soffocato.
“Sai che non parlerò ugualmente.”, aveva detto in tono molto calmo Law.
Sembrava una statua di marmo.
“Hai ritrovato la voce Law? Dici che i miei sforzi saranno vani?”, era evidente che si stava divertendo, “sai come si dice…..tentare non nuoce!”.
Doflamingo aveva calato un nuovo colpo decisamente più forte del precedente e alla giovane era mancato il respiro per qualche istante tanto intenso era stato il dolore, la sensazione era stata terribile.
Solo in quel momento Gwennie si rese conto che il ricordo si era trasformato in realtà, stava davvero faticando a respirare, un peso sul petto le rendeva impossibile riempire i polmoni di ossigeno.
Mettendosi velocemente seduta cercò di rilassare le spalle ma in poco tempo si trovò a boccheggiare facendo piccoli respiri veloci quanto inutili che le provocarono solamente colpi di tosse i quali la lasciavano senza fiato.
Un allarme iniziò a suonare alla sua destra, poi tutto divenne sfocato.

Il monitor di controllo di Gwennie trillò furiosamente.
Bepo scattò in piedi come una molla, una volta entrato nella stanza fece chiamare subito il capitano.
Le lenzuola bianche erano macchiate dal sangue che la ragazza aveva tossito cercando invano di respirare meglio, appena vide l’orso gli lanciò un’occhiata sofferente e implorante.
Il monitor fece un suono diverso e quasi contemporaneamente la giovane perse coscienza ricadendo pesantemente sul letto.
“Aye, aye capitano fai in fretta!”, pensò sconsolato il navigatore.

Law stava studiando dall’altra parte del sottomarino. Desiderava essere ben preparato per l’operazione, soprattutto perché aveva un’idea di cosa cercare ma non una certezza.
Aveva aperto diversi testi sulla scrivania e cercava qualche conferma, ma i libri non citavano casi che potevano interessarlo.
Quella ragazza…in lei aveva visto se stesso quando era stato ammalato.
Lui non aveva sperato di salvarsi ma alla fine ce l’aveva fatta, era guarito grazie al suo potere e alla sua abilità nell’usarlo.
I pensieri di Law furono interrotti dall’arrivo di Penguin.
“Capitano, abbiamo un arresto respiratorio!”, trafelato il pirata fece il possibile per raccontare al suo capitano ciò che era successo mentre raggiungevano la stanza della paziente.
Una volta arrivato a destinazione, Law ordinò che fosse preparato tutto per un’intubazione d’emergenza mentre lui si lavava le mani e metteva i guanti.
Dopo nemmeno quaranta secondi la paziente era stata intubata e il monitor aveva smesso di urlare.
Il medico studiò per un momento i tabulati stampati dal complesso macchinario per la respirazione artificiale e poi ordinò a Bepo di chiamarlo in caso di minimo cambiamento.
I polmoni infine erano collassati proprio come aveva sospettato.

“La gola mi va a fuoco!”, pensò Gwennie.
Per fortuna poco dopo il suo risveglio Penguin fu accanto a lei assicurandole che il tubo endotracheale sarebbe stato presto rimosso.
Quando però venne effettivamente rimosso non fu per niente piacevole, la sensazione che la gola bruciasse aumentò notevolmente fino a farle lacrimare gli occhi.
Tossì un po’, bevve un sorso di acqua fresca e si sentì meglio.
Successivamente le venne applicata una mascherina di plastica trasparente collegata ad una bombola d’ossigeno per riuscire a farla respirare meglio.
Ancora un po’ confusa, la ragazza iniziò a ricordare le macchie del suo sangue sulle lenzuola…
Law entrò nella stanza qualche minuto dopo al suo risveglio.
Vestito con i suoi pantaloni azzurri e la maglia gialla con le maniche nere, non indossava il cappello dava l’aria di essere un po’ stanco.
“Se tu mi dicessi la verità riguardo alla tua malattia sarebbe tutto molto più semplice….non credi. Sono certo che non si tratta di un virus normale…deduco sia artificiale, esatto? Perciò vorrei sapere chi e perché ti ha iniettato un virus modificato in laboratorio….”, gli angoli della bocca di Law erano piegati all’insù.
Studiando a fondo i sintomi della ragazza era arrivato a quella conclusione che subito gli era parsa priva di fondamento ma che ora, dopo il collasso polmonare, aveva trovato definitivamente conferma.
Gwennie annuì.
Erano rimasti soli nella stanzetta, il medico attendeva in piedi accanto al letto della paziente e, prendendo fiato, lei iniziò il suo racconto.

Ciao a tutti!
      ^.^
Capitolo settimanale online!
Buona lettura!

Vostra

Black Vanilla

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Capitolo 6
*** Bugie e lacrime ***


L’isoletta dove era cresciuta Gwennie, Janvier, era situata nel Mare Settentrionale: ricca di fitti boschi abitati da enormi pini verdi, laghetti naturali immersi nella natura e splendide montagne che si imbiancavano di neve durante l’inverno, era considerata un piccolo paradiso terrestre.
Presso uno dei picchi rocciosi più impervi, era stato costruito anni addietro un laboratorio di ricerca del Governo Mondiale, l’edificio era modernissimo formato principalmente da enormi pannelli a specchio i quali lo rendevano praticamente invisibile a prima vista, il suo nome era Chimera.
Lo scopo ufficiale delle ricerche che si effettuavano nella struttura era quella di studiare alcune gravi malattie infettive con lo scopo di trovare delle cure e successivamente di produrre dei vaccini in grado di rendere questi virus inoffensivi.
Il padre di Gwennie lavorava come ricercatore al Chimera, era orgoglioso del contributo che stava dando all’intera umanità studiando le malattie più antiche e pericolose cercando di proteggere la collettività da future possibili nuove epidemie.
La ragazza allora aveva circa quindici anni e frequentava con successo l’istituto superiore locale, praticando nel tempo libero soprattutto le arti marziali, sua grande passione, ma anche diverse altre attività quali ad esempio lezioni di musica, di cucina e anche, quando ne aveva possibilità, dava una mano al veterinario locale nella gestione degli animali ricoverati.
Grazie al lavoro che suo padre svolgeva al laboratorio, il loro stile di vita era abbastanza agiato, vivano in una piccola casetta di due piani tutta costruita in pietra e con dei fantastici travi a vista di legno massiccio, il tetto spiovente per favorire la caduta della neve in inverno, le dava l’aspetto di una graziosa baita di montagna.
Sul poggiolo tutto di legno, Gwennie amava mettere dei fiori colorati in estate, mentre in inverno le piaceva adornarlo con dei rami di pino verdi e profumati.
La madre della giovane era morta diversi anni prima, così era lei che si occupava della casa mentre suo padre era al lavoro ed era contenta di fargli trovare sempre la cena pronta quando era di ritorno alla sera.
Quel periodo, nonostante le mancasse terribilmente sua madre, era stato felice e sereno.
Una sera Gwennie aveva preparato la cena a base di minestrone di verdure e crostini tostati all’olio di oliva per la solita ora, le sette di sera, attendendo che il padre rincasasse per mangiare insieme.
Quando l’orologio della cucina aveva segnato le otto meno venti, la giovane aveva iniziato a preoccuparsi, non era mai accaduto prima che il padre tardasse tanto senza averla prima avvisata.
Con il lumacofono in mano stava per comporre il numero del Chimera, quando suo padre era entrato in casa all’improvviso, facendola sussultare dallo spavento, era agitato e terrorizzato.
“Papà che succede?”, Gwennie aveva spalancato gli occhi vedendolo in quello stato.
L’uomo, che reggeva un plico di carte, aveva chiuso a chiave la porta d’ingresso e si era successivamente recato in cucina tornandone con un flacone di alcool in mano.
“Gwennie, ci hanno ingannati!”, piangeva, “ho scoperto una cosa terribile!”.
Mentre parlava aveva gettato nel caminetto del salotto le carte che aveva portato a casa, le aveva inzuppate di alcool e con un fiammifero aveva dato loro fuoco facendo attenzione che tutte bruciassero per bene.
Guardando quella scena, la ragazza era rimasta impietrita, suo padre in lacrime le aveva fatto tornare in mente quando, sempre piangendo, le aveva comunicato diversi anni prima che sua madre non ce l’aveva fatta, la malattia aveva vinto su di lei.
“Papà ti prego spiegami, cosa vuoi dire? Cosa sono quelle carte?”, tra i fogli arricciati per il calore si leggevano ancora le formule chimiche che vi erano stata scritte sopra.
Il padre le aveva preso le mani tra le sue, le aveva tenute strette mentre le lacrime gli solcavano ancora le guance.
“Al Chimera….non abbiamo lavorato al fine di trovare una cura per delle malattie che fino ad oggi non ne avevano una ma al contrario abbiamo contribuito a creare un nuovo virus letale!”, il respiro dell’uomo era affannoso.
Gwennie aveva cercato di parlare ma la sua voce non aveva collaborato, era inverosimile quello che stava ascoltando, eppure suo padre era lì davanti a lei in lacrime con il cuore spezzato, la ricerca era diventata un suo scopo di vita dopo che aveva perso sua moglie proprio a causa di una malattia incurabile.
Nel caminetto intanto le carte erano diventate fogli neri carbonizzati.
“Ascolta Gwennie, tu sei la cosa più preziosa che ho al mondo. Mi detesto per quello che sto per fare ma non ho scelta, tra poco le guardie del laboratorio saranno qui e per me sarà la fine. Ho appena bruciato tutti gli appunti necessari per ricreare il virus di cui ti ho appena parlato ma c’è dell’altro…”, aveva estratto dalla tasca un piccolo oggetto simile ad una penna.
Con mani tremanti lo aveva consegnato a Gwennie chiudendole le dita intorno al sottile cilindro metallico, “Questo è l’unico esemplare del virus VDM-03, un morbo creato in laboratorio con lo scopo di essere usato come arma di sterminio”.
Istintivamente la ragazza ritrasse la mano facendo quasi cadere la siringa a terra.
“Perché non lo hai distrutto?”, era davvero spaventata adesso.
“Se mi limitassi semplicemente a distruggerlo al Chimera non dovrebbero far altro che crearne un altro tra qualche anno, magari non uguale ma senz’altro simile. Tutto quello che ho fatto oggi non impedirà loro di procedere in tal senso ma ho voluto guadagnare del tempo….capisci Gwennie? Abbiamo la possibilità di studiare questo campione e cercare una cura! Non deve tornare nelle loro mani ma nemmeno essere distrutto!”.
La giovane aveva annuito, sentendo delle lacrime bagnarle le guance.
Si erano abbracciati per qualche minuto quando dalla porta si erano sentiti due pesanti tonfi.
“Apri dottore, lo sappiamo che sei qui!”, le guardie del Chimera erano arrivate.
Velocemente il padre di Gwennie aveva ridotto in polvere i fogli anneriti nel caminetto e, afferrato il braccio di sua figlia, l’aveva condotta alla porta che dava sul retro.
“Ti voglio bene, sei il mio orgoglio. Perdonami per questo fardello che ti lascio”, altre lacrime spuntarono dai suoi occhi verdi.
“Papà ti voglio bene anche io….tu non mi lasci un peso ma la speranza per l’umanità. Saprò usarla nel migliore dei modi te lo assicuro!”, Gwennie aveva stretto in mano la siringa metallica.
La porta d’ingresso dell’abitazione aveva ceduto con uno schianto facendo volare mille pezzettini di legno su tutto il pavimento del salotto, le guardie erano già penetrate e stavano giungendo rapidamente.
Dopo un ultimo abbraccio la ragazza era fuggita via lasciandosi alle spalle per sempre la sua esistenza come l’aveva conosciuta fino a quel giorno, stringendo i pugni e correndo più in fretta aveva cercato la possibile via di fuga migliore.
Sarebbe andata verso il porto.
Poco dopo raggiunto il suo obiettivo e ormai senza fiato, aveva cercato un’imbarcazione con cui prendere il largo ma purtroppo le guardie avevano visto la direzione che aveva preso e in breve tempo l’avevano trovata, aveva commesso un passo falso.
Il molo era tranquillo nella penombra della sera inoltrata e non c’era nessuno in giro, anche i gabbiani spaventanti erano volati via appena avevano percepito il pericolo.
Al limite della banchina, la ragazza aveva dietro di se il mare calmo e placido mentre davanti circa una dozzina di uomini armati facevano bella mostra dei loro fucili carichi.
“Ragazzina consegnami il campione e tutto sarà finito. Tuo padre ti aspetta a casa”, aveva parlato il tizio più alto, evidentemente doveva essere il capo.
Gwennie era rimasta in silenzio.
“Sei spaventata e posso capirlo, tuo padre non sta molto bene, ha avuto un attacco di nervi ed ha rubato una fiala importante, quella che tieni in mano, se ce la riconsegni portai tornare subito da lui”, una bozza di sorriso era comparsa sul volto militaresco dell’uomo.
La ragazza aveva cercato con lo sguardo la sua casa, in mezzo al bosco, riusciva a vederne il comignolo dal quale era uscito il fumo provocato dalle carte che suo padre aveva bruciato.
Chiuse gli occhi e pensò all’interno della casa, i mobili, gli oggetti che la rendevano personale, le risate e le cene consumate con il suo papà….ma ora la sentiva vuota, gli interni avevano perso colore, odore e voce.
“State mentendo, mio padre è morto!”, stringeva la siringa ma era evidente che era con le spalle al muro.
Le guardie erano troppe per riuscire a mandarle al tappeto tutte da sola e l’unica via di fuga era quella di tuffarsi in mare, non era un’ottima nuotatrice ma se la sarebbe cavata, l’unico problema era la siringa contente il VDM-03, l’acqua di mare avrebbe potuto comprometterlo.
Non aveva scelta, c’era un’unica cosa che poteva fare.
Prendendo coraggio e ripensando al sacrificio di suo padre, aveva afferrato la siringa affondandone l’ago nel proprio braccio e iniettandosene il contenuto, una volta vuota l’aveva gettata in acqua così che i pochi residui rimasti non fossero in alcun modo utilizzabili per replicare il virus.
Riempendo i polmoni di aria si era tuffata lasciando le guardie imbambolate.
L’avevano cercata per diversi giorni in tutto il paese ma lei era già fuggita, il mattino dopo si era finta una pescatrice la cui barca era stata rovesciata chiedendo così asilo ad una nave che stava lasciando l’isola.
I mesi successivi erano stati difficili e dolorosi, rimasta orfana e strappata dal suo ambiente domestico per la prima volta in vita sua, Gwennie si era sentita veramente sola al mondo e in preda allo sconforto più totale ma la sua missione le ricordava sempre che aveva un motivo ben valido per andare avanti.
La ragazza si era fatta visitare da diversi specialisti, non raccontando loro la verità ma inventando ogni volta una storia diversa, in modo che i suoi movimenti non fossero tracciabili e riconoscibili.
I medici però non erano stati d’aiuto, brancolavano nel buio e alcuni di loro intuendo il pericolo l’avevano liquidata mandandola da un altro collega il quale o faceva la stessa cosa o si dichiarava esplicitamente di non sapere che pesci pigliare.
A quel punto la giovane aveva capito che il suo gesto era stato decisamente avventato ma lo avrebbe fatto di sicuro un’altra volta se avesse potuto tornare indietro, se avesse resistito, se avesse trovato qualcuno con la giusta competenza il sacrificio di suo padre non sarebbe stato vano e migliaia di potenziali vittime sarebbero state salvate.
Law non aveva mosso un muscolo mentre Gwennie raccontava la sua storia, completamente assorto fissava il vuoto in silenzio.
“Pensi che io sia stata una stupida, vero? A iniettarmi il virus intendo….”, lei lo guardava di sbieco intimorita dal suo giudizio.
“Non ha molta importanza, non credi? Ad ogni modo tutto questo conferma l’idea che mi ero fatto quindi adesso ho decisamente più carte da giocare….”, eccolo il suo miglior sorriso sinistro stampato sul bel volto, “cerca di riposare adesso…”, aveva indicato il cuscino uscendo con calma dalla stanza.
Gwennie cercò di balbettare un grazie ma le parole cozzavano tra di loro al ricordo del sorriso di poco prima, era diventata tutta rossa come un peperone, si sentiva ridicola ma non poteva farci proprio niente, al cuore non si poteva comandare.

Law chiuse piano la porta.
Grazie alle informazioni che aveva appena ricevuto si sentiva molto più ottimista, la malattia della ragazza era causata da un virus artificiale creato dal Governo Mondiale allo scopo di essere utilizzato come arma batteriologica.
Il dottore era arrivato entrato nel salottino.
Pensò che il virus non era sempre stato virulento come adesso e per un certo periodo Gwennie era riuscita a vivere tranquillamente credendo perfino di essere guarita, e questo lo portò ad una importante conclusione: la malattia era latente, ovvero si nascondeva per un periodo per poi tornare alla ribalta più feroce di prima scatenata sicuramente da qualche fattore.
Questa ipotesi esaltò Law.
Grazie alle biopsie avrebbe potuto trovare il serbatoio del virus che senz’altro era presente nel corpo di Gwennie, eliminarlo asportandolo e monitorare la situazione.
La bocca del chirurgo si piegò in un sorriso particolare, pieno di impazienza e di immensa soddisfazione, la sfida aveva avuto inizio.

Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Vi sareste mai immaginati che il virus fosse stato iniettato in quel modo?
;)
Alla prossima settimana!
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 7
*** Biopsia ***


Il mattino dopo Gwennie venne svegliata presto, non ebbe la possibilità né di mangiare né di bere nulla.
Penguin le portò una camiciola bianca che sembrava di carta, “Indossa questo al posto del tuo pigiama. Quando sei pronta chiama Bepo, è qui fuori, ti condurrà in sala operatoria.”
La ragazza gettò le gambe giù dal letto cercando di reprimere un’ondata di nausea, una volta passata posò i piedi nudi sul pavimento di linoleum.
Mentre si cambiava in modo impacciato per colpa del tubicino della flebo, Gwennie pensò a quello che la attendeva, un piccolo intervento di biopsia per prelevare i tessuti di diversi suoi organi ove possibile.
Non aveva paura, queste cose non l’avevano mai spaventata.
L’unica cosa che terrorizzava la giovane erano sempre state le separazioni dalle persone che amava, quello sì che le faceva veramente paura.
Le capitava spesso di ripensare alla sua casetta di Janvier, la pentola di minestrone sul fuoco che bolliva, la luce del sole che filtrava dai vetri della finestre, i suoni del bosco che la circondavano mentre attendeva l’arrivo di suo padre per la cena.
Quella pace e serenità venivano però spezzate in un battito di ciglia, riportando bruscamente la ragazza alla realtà: suo padre era stato ucciso e lei era diventata lo strumento necessario per non rendere vano il sacrificio estremo del ricercatore. 
Gwennie chiamò Bepo, l’orso entrò timido aiutandola a sedersi sulla sedia a rotelle.
“Grazie Bepo.”, la ragazza fu spinta verso il corridoio.
Law l’avrebbe aiutata a realizzare l’ultimo desiderio di suo padre, ne era sicura.

Nella sala operatoria il chirurgo aveva preparato ogni cosa e attendeva l’arrivo della paziente.
Gwennie non si fece attendere, nuovamente aiutata da Bepo si sdraiò sul lettino operatorio in un groviglio di tubicini e schermi luminosi.
Una volta sistemata le venne applicata una nuova flebo, le braccia vennero bloccate al lettino e in testa le misero una cuffietta simile alla camiciola che indossava.
L’enorme lampada sopra di lei venne accesa e subito spostata verso la sua pancia.
“Capitano io sono pronto”, disse una voce alla sinistra di Gwennie.
Law entrò nel campo visivo della paziente, “Anestesia totale, appena Penguin ti mette la mascherina inizia a contare dal dieci a ritroso.”, indossava i guanti di lattice bianchi, “ci vediamo dopo..” fece un gesto ed arrivò la mascherina.
Gwennie fece in tempo a contare fino all’otto poi fu come le luci si fossero spente.

“Gwennie! Svegliati, respira a fondo!”, una voce fastidiosa la stava esortando a svegliarsi ma lei non voleva, aveva tanto sonno.
Ma ancora la voce la disturbava, forse se avesse obbedito facendo quello che le veniva chiesto, avrebbe smesso così riempì d’aria i polmoni un paio di volte svegliandosi abbastanza da ricordare gli ultimi avvenimenti avvenuti.
Era ancora sul lettino della sala operatoria ma era stata trasportata in una saletta adiacente, completamente vuota salvo un paio di armadietti appesi al muro, qualcuno le aveva gettato addosso una coperta calda.
Solo allora registrò il fatto che in sala operatoria aveva fatto decisamente freddo.
Accanto a lei Penguin e Orca attendevano il suo risveglio, uno dei due andò ad avvisare subito il dottore, Law arrivò qualche tempo dopo, era visibilmente stanco ma anche in qualche modo soddisfatto.
Osservò per un minuto buono lo schermo relativo alla frequenza cardiaca senza proferire parola, quindi studiò le pupille della paziente infine, finalmente, fece udire la sua voce.
“L’intervento è andato bene. Ho diversi campioni da studiare. Potresti sentire qualche piccolo fastidio dovuto alle incisioni ma passerà presto.”, la guardò, “tra venti minuti puoi mangiare qualcosa se ti va…”, si voltò verso la porta.
“Aspetta!”, Gwennie aveva teso la mano, “…..grazie…” sussurrò.
Law uscì silenzioso senza dire niente.

A pomeriggio inoltrato, Gwennie decise di provare ad alzarsi.
Con un po’ di difficoltà si mise seduta, attese un momento per verificare se il suo equilibrio fosse stabile e poi gettò le gambe giù dal letto, con i piedi trovò le pantofole e le infilò meccanicamente mentre pensava all’intervento che aveva subito quella mattina.
Sentiva, in diversi punti del suo corpo, un leggero fastidio quando si muoveva o respirava in modo diverso dal solito, una sensazione molto diversa da quella che si era aspettata di dover provare.
Sollevò la maglietta del pigiama osservando il cerotto posto sul suo addome, leggermente a destra rispetto all’ombelico, la medicazione bianca era sporca di tintura disinfettante ed emanava un odore decisamente asettico.
Una volta in piedi Gwennie pescò il suo beauty case dalla valigia e si diresse verso il bagno.
Nessuno le aveva proibito di alzarsi o camminare e quindi fu felice di riscontrare che non aveva il minimo problema a farlo da sola.
In bagno lo specchio riflesse un’immagine impietosa simile a quella di uno zombie: capelli arruffati, occhiaie nere sotto ad occhi arrossati, colorito giallognolo tendente al verde e per finire il segno rossastro che la mascherina di plastica aveva lasciato sulla pelle delicata.
Guardando sconsolata dentro al beauty pensò che non avrebbe trovato niente di così eccezionale da aiutarla a migliorare d’aspetto, ma che ci avrebbe comunque provato.
Spazzolò i lunghi capelli castani con calma, si lavò il viso con il suo detergente e applicò una crema profumata, pescò un elastico grigio e raccolse qualche ciocca di capelli dietro la nuca in modo da liberare il viso.
Rimessa a posto la spazzola, afferrò un lucidalabbra e lo mise sentendo subito sollievo dall’arsura che aveva sulle labbra.
Avrebbe voluto ritornare a letto senza riguardarsi allo specchio ma fu più forte di lei e ci sbirciò: la figura di prima era sempre lì ma decisamente meno scolorita, lavare il viso aveva donato alla pelle un leggero alone roseo sulle gote.
Sorrise a se stessa riprendendo il beauty e tornando verso il letto.
Appena si sedette sul materasso capì che quella piccola gita che aveva fatto le era costata un bel po’ di energia, era stanchissima si sdraiò e tirò la coperta su fin sotto al naso.
Chiuse e riaprì gli occhi un paio di volte ma comprese di non poter resistere, sprofondando in un sonno profondo.

Law analizzava campioni da ore.
Iniziava a sentire gli occhi bruciargli e la stanchezza lo rendeva più lento.
Appoggiando un vetrino sul tavolo, alzò le braccia versò l’alto stirando i muscoli indolenziti, il suo stomacò brontolò così decise di avviarsi verso la sala da pranzo.
L’orologio che troneggiava sulla parete segnava le 19:05, tra dieci minuti sarebbe stata servita la cena.
In sala da pranzo il cuoco, Jasper, andava e veniva dalla cucina ad un ritmo forsennato, portando vassoi carichi di cibo caldo e fumante dall’aspetto appetitoso nonché dal profumo delizioso.
“Oh capitano! Volevo chiederti se debbo servire qualcosa alla signorina…”, indicò le vivande.
Law riflettè un attimo: certo doveva mangiare, ma non era ancora riuscito a capire se fornendole proteine e vitamine in modo più deciso avrebbe aiutato anche la malattia a rinforzarsi insieme con l’organismo che la ospitava.
“Puoi preparare un piatto che contenga un buon apporto di proteine, ha bisogno di forze per affrontare le terapie….”, il medico aveva pensato che le medicine che le avrebbe somministrato sarebbero state pesanti per un fisico indebolito come quello di Gwennie.
Il cuoco annuì e si precipitò in cucina.

Gwennie dormiva sodo.
Jasper la scrollò diverse volte prima che aprisse gli occhi.
“Signorina, ecco la tua cena! Hai fame?”, la guardò con i suoi occhi azzurri pallido.
In realtà aveva un leggero appetito ma in quel momento avrebbe voluto solo rimettersi a dormire.
“Abbastanza, grazie…”, si mise seduta sul letto mentre il cuoco le depositava sulle ginocchia un piatto caldo e le posate avvolte in un simpatico tovagliolo giallo.
Con uno svolazzo che avrebbe fatto invidia al più abile e rinomato cameriere, Jasper tolse il coperchio dal piatto scoprendo così le pietanze fumanti che vi erano sopra.
Gwennie sentì la fame aumentare dopo aver ammirato il cibo elegantemente disposto sul piatto: carotine lessate e condite, una fetta di arrosto succulenta e profumata, patate bollite spolverate di prezzemolo e un croccantino al formaggio per decorare il tutto.
La ragazza rimase a bocca aperta, “Meraviglioso! L’aroma è fantastico e questo piatto sembra un quadro!”.
Jasper ringraziò la giovane, “Appena hai finito chiamami, sono in sala con gli altri” fece un leggerissimo inchino e lasciò la stanza.
Afferrate le posate, Gwennie iniziò a mangiare di gusto, le pietanze erano sublimi e di ottima qualità, le venne istintivo paragonare quel piatto a quelli che consumava insieme ai suoi compagni cucinati invece da Sanji.
Il ritmo con cui masticava rallentò.
Un velo di malinconia si era posato sul suo capo.
Le mancavano i suoi amici, il suo capitano e la Sunny, tuttavia non aveva scelta avrebbe dovuto farsi curare altrimenti sarebbe stata per la sua ciurma solo un peso.
Deglutì un boccone di verdura finendo il suo pasto, completamente assorta nei suoi pensieri.

In sala da pranzo regnava la solita cagnara.
Tutti si abbuffavano allegri mentre Jasper serviva le portate.
Law era il più taciturno, come sempre, ma in quel momento era decisamente assente stava pensando al gesto che la paziente aveva compiuto anni addietro, ovvero inocularsi il virus.
Aveva dimostrato di possedere sangue freddo, di mantenere lucidità anche in momenti di difficoltà e non era certamente una cosa comune.
I pensieri di Law furono interrotti dal grido disperato di Jasper.
“La-mia-torta! Le-manca-un-piano!”, articolò furioso.
Bepo si bloccò all’istante.
Mentre il robusto mestolo di legno di Jasper raggiungeva a velocità sostenuta la zuccona pelosa dell’orso, il campanellino di cortesia della stanza di Gwennie suonò delicatamente.
“La signorina ha finito! Vado a ritirare le stoviglie!”, il cuoco si affrettò verso il corridoio.
Appena entrato nella stanza della paziente, il cuoco sorrise felice, il piatto davanti a lei era completamente vuoto.
“Grazie, era tutto ottimo!”, era leggermente arrossita nel consegnare il piatto al cuoco, non era abituata ad essere servita nientemeno che a letto.
Jasper le raccomandò di avvisarlo in caso avesse avuto bisogno di altro e si accomiatò.
Di nuovo sola, Gwennie si rimise sotto le coperte, Morfeo la reclamava a braccia aperte.

Durante le successive cinque ore di analisi, Law trovò altre risposte alle sue domande.
Il virus era evidentemente un prototipo da modificare, inoltre il medico era abbastanza sicuro che fossero stati usati i fattori virulenti di due malattie diverse, forse tre, per creare un insieme di sintomi che potessero rendere impossibili da identificare senza indagini adeguate.
I tabulati grafici dimostravano chiaramente che il virus non aveva un decorso lineare, vi erano periodi di quasi inattività seguiti da attacchi violenti e giorni di grave sofferenza, indice del fatto che evidentemente ogni organismo reagiva in modo differente l’uno dall’altro.
Law sospirò.
Era evidente che il virus, nei periodi di inattività, sceglieva come serbatoio tessuti maggiormente irrorati di sangue, questo perché durante questi periodi di riposo, VDM-03 non faceva altro che diventare più forte auto-mutando così da poter diventare immune ai diversi farmaci che la paziente aveva provato ad assumere.
Questo spiegava anche il motivo per il quale i medicinali sembravano avere subito un impatto positivo ma successivamente perdevano in efficacia.
Alzandosi dalla sedia si stiracchiò prendendo in mano la sua spada, l’appoggiò alla spalla come era solito fare e si recò con calma verso la stanza della paziente.
Sulla porta si fermò.
Gwennie dormiva tranquillamente ma era necessario che lui gli parlasse immediatamente.
Posandole la mano sulla spalla iniziò a scuoterla prima piano e poi, vedendo che non reagiva, con più vigore.

Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Spero che la mia “fatica” settimanale vi piaccia!
Fatemelo sapere! :D
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 8
*** Minaccia dal Passato ***


In un’isola non meglio specificata del Nuovo Mondo.
 
Il dottor Bianchi osservò il vetrino che aveva appena inserito nel costosissimo microscopio che aveva davanti, si tolse gli occhiali e ne studiò il contenuto.
Dopo qualche secondo si ritrasse dall’apparecchio inforcando le lenti che teneva in mano, sul viso un’espressione disgustata e delusa allo stesso tempo, non aveva ottenuto il risultato sperato.
Gettò con rabbia il vetrino sul tavolo rivestito da piastrelle bianche di porcellana mentre alle sue spalle una porta si apriva, era Susan, la sua aiutante.
“Dottor Bianchi le ho portato un messaggio dal Direttore”, reggeva in mano un foglietto piegato a metà.
Il ricercatore lo afferrò in malo modo prima di mandare via la donna, senz’altro c’erano altri guai in vista.
Spalancò gli occhi leggendo le poche righe scritte sul messaggio: era atteso a rapporto presso il Direttore immediatamente.
Bianchi posò il foglio sulla sua scrivania e si recò verso il bagno per darsi una rinfrescata, rassettò i pochi capelli neri che gli rimanevano, sistemò il nodo della cravatta e allineò un paio di penne che teneva nel taschino del camice.
Passò in rassegna il suo laboratorio, modernissimo e attrezzato con i migliori apparecchi che si potessero acquistare sul mercato era senz’altro uno dei locali più all’avanguardia di tutta la struttura dove lavorava da almeno cinque anni, Gemini.
L’edificio era formato da tre strutture collegate tra loro da un labirinto di corridoi che passavano nel sottosuolo, alte non più di due piani, era stato così costruito per non dare nell’occhio in modo da fornire meno spiegazioni possibili sulle attività che vi si svolgevano all’interno.
Bianchi percorse il corridoio che lo avrebbe condotto all’ascensore, raggiunse l’ultimo piano e si annunciò alla segretaria del Direttore.
Circa un minuto dopo venne fatto accomodare nell’ufficio del boss, arredato in stile vittoriano e ricchissimo di oggetti estremamente preziosi, sembrava il salottino buono di una villetta signorile con tanto di fuoco scoppiettante nel caminetto.
Il Direttore era seduto dietro la sua pesante scrivania di mogano, elegantemente vestito con un completo fatto fare su misura, riusciva con la sua estrema magrezza a far risaltare il taglio perfetto dell’abito che indossava.
Il viso, deturpato per circa la metà da un’ustione subita anni addietro, sfoggiava un’espressione interrogativa mentre si accendeva una sottile sigaretta marrone.
“Prego, dottor Bianchi”, indicò con la voce roca la poltroncina imbottita che gli stava davanti.
Il ricercatore si accomodò non senza indugio.
Aspirando avidamente dalla sigaretta ne offrì una al suo ospite, il quale rifiutò cortesemente, gli tremavano le mani ma non era sua intenzione darlo a vedere.
“Bene dottor Bianchi, lei lavora qui da cinque anni se non erro….prima era collocato in una nostra diversa struttura ma è stato trasferito qui sotto sua richiesta. Ci ha promesso di ottenere un certo risultato che però mi dicono non ha raggiunto. Prego, mi dica cosa le impedisce di mantenere la sua promessa…”, il tono cordiale del Direttore gelò il sangue nelle vene di Bianchi.
“Io vi ho fornito il SSR-14, non mi sembra cosa da nulla…..”, il ricercatore balbettava suo malgrado.
Uno scoppio di risa senza gioia inondò la stanza.
“Certo dottore ma è come fornire una bicicletta a chi invece ha ordinato una macchina. Lei ci aveva garantito che sarebbe riuscito a replicare il VDM-03 ed è anche per questo che a suo tempo abbiamo proceduto nell’eliminare il suo creatore, il dottor King”.
Il ricordo del suo ex collega si fece largo nella mente di Bianchi: anni prima avevano lavorato insieme presso il Chimera, a Janvier, nel Mare Settentrionale con lo scopo ufficiale di creare un vaccino per alcune malattie che al momento non avevano trovato una cura.
Una sera, Arthur King era entrato nel minuscolo ufficio di Bianchi reggendo delle carte, sul viso un’espressione di assoluto terrore.
“Carlo, hai letto questi rapporti? Li ho presi dalla scrivania della segretaria…informano il Direttore su delle sperimentazioni effettuate al fine di valutare la mortalità del VDM-03!”, gli occhi verdi del collega erano iniettati di sangue.
“Ci trovi qualcosa di strano?”, Bianchi non era interessato all’utilizzo finale del loro lavoro, gli importava solamente di ricevere il suo abbondante stipendio mensile.
Arthur si era dichiarato sconcertato, lui aveva creduto di creare un vaccino, non un’arma batteriologica artificiale.
“Calmati, Arthur…non siamo gli unici a lavorare in questo modo, non occorre che te lo dica!”, non capiva l’agitazione del collega.
“So solo che io non voglio lavorare così!”, King era uscito di corsa dalla stanza lasciando solo un Bianchi esterrefatto.
Una mezz’ora dopo il Direttore lo aveva convocato con urgenza nel suo ufficio proprio quando stava per mettersi il soprabito per tornarsene a casa, una volta al cospetto del suo superiore aveva ascoltato imbambolato la strana richiesta che gli veniva chiesta.
“Dottor Bianchi, lei sarebbe in grado di riprodurre autonomamente il VDM-03? In fin dei conti ha lavorato gomito a gomito con il dottor King, anche senza i suoi appunti e il suo aiuto non dovrebbe aver molta difficoltà, esatto?”, poco dopo l’uomo gli aveva comunicato la somma che sarebbe stata la sua nuova mensilità, più del doppio di quello che riceveva al momento.
Bianchi non era affatto sicuro di poter replicare il VDM-03, era solo l’assistente di King in laboratorio, si era limitato ad eseguire ciò che il collega gli indicava di fare, ma la promessa di quella montagna di soldi aveva dissipato ogni suo dubbio.
Si disse che probabilmente Arthur aveva deciso di licenziarsi vista la crisi di nervi che aveva avuto quella sera stessa, tanto valeva prendere la palla al balzo lavorando da solo, era senz’altro un bel passo in avanti per la sua carriera.
“Certamente, posso replicarlo”, aveva sudato freddo mentre aveva udito la sua voce dire quelle parole, ignaro che esse avessero contribuito, seppure in modo indiretto, alla morte del dottor King.
Un colpo di tosse catarrosa riportò il ricercatore al presente.
“Io….mi serve solo un po’ più di tempo….”, Bianchi si sentiva con le spalle al muro.
Il Direttore scosse il capo lentamente, gli aveva già concesso anche troppo tempo, cinque anni prima, dopo i primi fallimenti, avevano traferito il ricercatore in una struttura diversa fornita con macchinari di ultima generazione, modernissimi, credendo di poter dare una spinta alla genialità dell’uomo.
Successivamente avevano acquistato, sempre sotto indicazione del dottore, costosissimi agenti chimici rischiando anche che il vero scopo del Gemini fosse rivelato alla popolazione che abitava il piccolo villaggio poco distante da loro.
Era chiaro che ormai Bianchi aveva sparato tutte le sua cartucce, il vero problema era che lui rimaneva il solo anello che collegasse il Direttore al VDM-03, eliminarlo era equivalente a mettere la parola fine al progetto relativo al virus.
“Bianchi ha avuto cinque anni a disposizione e ha collezionato solo insuccessi…con il SSR-14 non abbiamo raggiunto nemmeno la metà dello standard qualitativo che avevamo avuto testando il VDM-03, quindi non lo usi come paravento. Sarò chiaro con lei: non mi interessa come ma io rivoglio il VDM-03 e se non me lo consegnerà entro breve qualcun altro prenderà il suo posto”, il fumo della sigaretta formava una nube minacciosa sopra alla sua testa.
Il dottore era pallido come un lenzuolo si limitò ad annuire.
“Molto bene, se avesse qualche idea geniale….me lo faccia sapere!”, la bocca asimmetrica del Direttore assunse un ghigno sinistro mentre gli faceva cenno di andarsene.
Carlo Bianchi era terrorizzato, si era comportato da sciocco facendosi annebbiare la mente dai soldi che avevano promesso di dargli ed ora, dopo cinque anni di tentativi, era perfettamente conscio di non essere in grado di riprodurre il VDM-03 in nessun modo.
Sudato e con il respiro affannoso, entrò nel suo laboratorio sedendosi pesantemente sulla sedia girevole in pelle e, obbligandosi a ritrovare la calma, Bianchi passò in rassegna alcune riviste scientifiche ma non trovando la lucidità necessaria per comprendere adeguatamente il contenuto dei vari trafiletti, iniziò a sfogliare un giornale pescato a caso dalla pila.
Non era molto recente, Susan glielo portava quotidianamente con la corrispondenza, ma raramente il ricercatore aveva modo di leggerlo il giorno stesso così ammucchiava le varie edizioni insieme alle riviste scientifiche su uno scaffale in attesa di trovare del tempo per poter dedicarsi alla lettura.
A volte sia le riviste che i vari giornali venivano buttati senza essere stati nemmeno aperti.
Le notizie principali riguardavano dei pirati della Peggiore Generazione, i quali avevano formato delle alleanze per riuscire a farsi strada nel Nuovo Mondo, c’erano anche delle foto.
Il dottore pensò che almeno dove si trovava in quel momento si sentiva al sicuro da quelle bande di scalmanati, lui non riusciva nemmeno ad aprire una bottiglia di acqua senza l’apposito strumento, figuriamoci cosa avrebbe potuto fare trovandosi di fronte uno di quegli energumeni.
Osservò la foto di uno in particolare, un certo Kidd: aveva una faccia da far spavento, il ricercatore sperò con tutto se stesso di non incrociare mai la sua strada in futuro, nemmeno per sbaglio.
Tra le immagini però c’erano anche quelle della ciurma di un tale Monkey D.Rufy, un ragazzino magrolino che non incuteva nessuna paura tanto grande era il sorriso che sfoderava nella sua locandina di taglia, anche i suoi uomini non erano particolarmente minacciosi tranne forse un tizio con i capelli verdi, tale Zoro.
Improvvisamente Bianchi si bloccò, stava davvero vedendo quel volto?
Tra le piccole foto dell’articolo dove veniva annunciato il ritorno della ciurma Mugiwara, ce n’era una che ritraeva il viso di una ragazza dai capelli castani e gli occhi verdi, il dottore si ricordò immediatamente quando anni prima Arthur King gli aveva mostrato con orgoglio la foto della sua unica figlia.
L’immagine non era molto nitida ma quella era senz’altro lei, il ricercatore non aveva dubbi, assomigliava in modo molto evidente al defunto padre.
Era dunque ancora viva e il virus doveva essere ancora presente nel suo corpo dato che se lo era iniettato prima di fuggire da Janvier, con un piccolo campione del sangue della ragazza Bianchi avrebbe potuto riprodurre ciò che gli era stato richiesto salvandosi così dalla sua precaria situazione.
Una boccata d’aria fresca sembrò entrare nella stanza.
Afferrò il telefono chiedendo a Susan di contattare immediatamente il Direttore, aveva urgentemente bisogno di parlargli.
 
Il Direttore ascoltò con interesse la proposta di Bianchi anche se quell’uomo gli suscitava un senso di disgusto profondo, era uno smidollato peraltro incompetente, tutt’altra pasta rispetto ad Arthur King.
Aveva conosciuto King poco dopo la morte della moglie, allora era un uomo a pezzi con una bimba piccola da crescere da solo ma soprattutto con un enorme potenziale intellettivo da sfruttare.
Per non lasciarselo scappare, il Direttore gli aveva offerto un ottimo stipendio ma non era bastato, il ricercatore non aveva voluto accettare se non gli fosse stato assicurato che le ricerche svolte sarebbero state utilizzate esclusivamente a scopo benefico.
Fu così che, informandosi in merito alla morte della moglie, l’allora Chimera aveva sfruttato il doloroso passato del dottore mettendo nero su bianco la falsa intenzione di trovare cure per virus e malattie che al momento non ne avevano ancora una.
King aveva accettato entusiasta mettendosi al lavoro in modo attento e scrupoloso, ottenendo immediatamente buoni risultati.
“…..quindi, Direttore, io credo che sia assolutamente necessario recuperare la ragazza!”, Bianchi aveva terminato il suo piccolo monologo.
Soffiando fuori dai denti il fumo della sua sigaretta marrone, l’uomo lo osservò: era certamente sollevato per questa opportunità di vedersi levare le castagne dal fuoco in modo così semplice tanto da non riuscire a celare la sua eccitazione, si passava ripetutamente la mano sui radi capelli neri e asciugava il sudore dalla fronte usando un fazzoletto azzurro.
Normalmente un tipo del genere lo avrebbe liquidato immediatamente, era non solo inutile ma anche una dolorosa spina nel fianco, tuttavia aveva avuto un’idea che avrebbe accontentato entrambi perciò gli diede una possibilità.
Ma sarebbe stata anche l’ultima…questa parte il Direttore la tenne per sé sogghignando.
“D’accordo Bianchi, se è sicuro di quello che dice allora troveremo la ragazza e gliela faremo portare…organizzerò tutto io, lei si tenga pronto per esser in grado di replicare in modo sicuro il VDM-03 non appena riceverà la figlia di King”.
Bianchi si mosse nervoso sulla poltroncina.
“In realtà non occorre portarla qui, è sufficiente prelevarle un campione di sangue...”, era a disagio al pensiero di trovarsela davanti.
La pazienza del Direttore era al limite, “Dov’è la differenza? Tanto poi le faremo raggiungere il caro paparino in ogni caso perciò anche se la ragazza dovesse vedere qualcosa di inopportuno non potrà andarlo a dire a nessuno, mi sono spiegato?”.
Il ricercatore capì che non era saggio insistere ulteriormente, annuì in modo deciso e si accomiatò.
Una volta che Bianchi ebbe chiuso la porta alle sue spalle, il Direttore aprì con una chiavetta il secondo cassetto della sua scrivania estraendone un lumacofono che usò per chiamare una certa persona, mentre attendeva risposta guardò distrattamente la foto della ragazza sul giornale che gli aveva portato il dottore.
Assomigliava senz’altro a suo padre.
Infine una voce proveniente dall’apparecchio risuonò nella stanza.
“Sono io…potrebbero esserci importanti novità riguardo al VDM-03, ma avrei bisogno anche del tuo aiuto….”, rise ascoltando il suo interlocutore, “sapevo che la cosa sarebbe stata di tuo interesse, vediamoci di persona così posso spiegarti meglio….”.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
In questo capitolo non troviamo i nostri abituali protagonisti, tuttavia facciamo la conoscenza di altri personaggi che sembrano agire nell’ombra….chissà come inciderà la loro presenza nel corso della storia! ;)
Come sempre, spero sia di Vostro gradimento!
Yours
BlackVanilla

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Capitolo 9
*** Portami da Lui ***


Gwennie sognava le foreste di pini profumati di Janvier.
Fin da piccola aveva passato pomeriggi interi a passeggiare in mezzo agli alberi, respirando l’aroma umido e dolce del sottobosco dopo la pioggia.
Gli scoiattoli dal pelo rossiccio ormai non avevano più paura di lei, le trottavano intorno come se facesse parte della pineta, portavano le pigne nelle loro tane arrampicandosi velocemente sugli alberi e lanciandole fugaci occhiate ogni tanto.
Improvvisamente però tutto iniziò a barcollare, doveva essere un terremoto pensò Gwennie, cercò di aggrapparsi ad un albero ma le scosse divennero più forti, la presa cedette e lei cadde al suolo.
Le palpebre pesanti della ragazza si aprirono mentre un lamento le sfuggì dalle labbra aride.
Gli occhi le trasmisero l’immagine di Law che la stava svegliando.
Okay, stava ancora dormendo e sognava, quindi tanto valeva chiudere gli occhi di nuovo.
“Serve un counter shock per svegliarti?”, il tono di Law era tra il divertito e l’incredulo.
A quel punto Gwennie spalancò gli occhi di botto cercando di raddrizzarsi sul letto.
Il medico spianò la bocca in uno di quei suoi sorrisi enigmatici mentre lei cercava di rassettarsi i capelli ribelli che, in quel momento, sembravano una di quelle siepi potate a forma di animale.
“Devo parlarti della terapia da seguire. Hai bisogno di qualche minuto?”, quei capelli imbrogliati l’avrebbero distratta dal discorso.
Gwennie lo ringraziò assicurandolo che dieci minuti le sarebbero bastati.
Lui attese pazientemente fuori dalla porta.
Dopo sette minuti lei aprì l’uscio dichiarandosi pronta.
Aveva sostituito la camiciola di carta con una morbida tuta in pile color grigio antracite e ravvivata da qualche orsetto bianco che spuntava dalle pieghe della maglia, i capelli erano stati raccolti in una coda alta e al collo portava una pashmina dello stesso colore degli orsetti.
Era seduta sul letto con le gambe incrociate.
Law si avvicinò a lei ma rimase in piedi.
“Per guarirti sarà necessaria un’operazione chirurgica finalizzata all’eliminare il serbatoio principale del virus. Ho notato infatti che nei periodi di inattività il batterio occupa principalmente un organo, lasciando quasi completamente pulito il resto del corpo. E’ quindi necessario costringere il virus a diventare inattivo, localizzare il serbatoio ed estrarre il tessuto pregno.”, aveva parlato guardandola dritta negli occhi.
Gwennie aveva annuito.
“Ti somministrerò una serie di farmaci, non molti in realtà, per capire quali tra questi sia più utile al nostro scopo. E’ possibile tuttavia che gli effetti di queste somministrazioni possano essere controproducenti e quindi farti stare male. Non posso essere sicuro di quale vada bene in questo momento. Devo avere la tua approvazione per procedere.”
La ragazza fece qualche domanda per capire se aveva compreso correttamente il discorso di Law, una volta avuta la conferma diede il permesso.
Quel pomeriggio stesso le fu applicata la flebo con il primo dei tre farmaci da provare.
 
Alla sera, dopo cena, squillò il lumacofono.
“Capitano, c’è Cappello di Paglia in linea!”, Orca porse lo strumento a Law.
Parlarono per circa una ventina di minuti.
Per prima cosa, i Mugiwara volevano notizie sulla salute di Gwennie, successivamente Rufy raccontò a Law le novità riguardo Kaido che avevano appena appreso dai visoni.
Era sempre più evidente che l’imperatore se la sarebbe presa con loro per la mancata consegna degli smile, i frutti del diavolo artificiali, e quindi avrebbe dato loro del filo da torcere.
I due capitani si misero d’accordo sulla strategia da seguire.
“Dopo che avrò effettuato l’operazione potremo riunirci per affrontare Kaido insieme. Anche se penso che non agirà immediatamente.”, Law era abbastanza sicuro su questo fatto.
“Bene, teniamoci in contatto. Ci farai sapere dopo l’operazione come è andata?”, chiese Rufy in tono che non sembrava proprio una domanda.
Il medico gli assicurò che lo avrebbe fatto e poi riappese.
Guardò l’orologio, erano le otto e trenta, ormai l’effetto del farmaco dovrebbe essere stato evidente così decise di visitare la paziente.
La ragazza dormiva.
Era incredibile quanto fragile sembrasse in quel momento.
Osservò il monitor studiando i tabulati stampati nelle ore precedenti, non c’erano stati miglioramenti della sua condizione, evidentemente il farmaco nr.1 non faceva a caso suo.
Con mani abili staccò la flebo dal braccio della paziente: dopo aver atteso che il medicinale avesse perso la sua efficacia, sarebbe partito con il secondo tentativo.
 
Il mattino seguente Gwennie si svegliò a causa di un rumore.
Sembrava causato da dell’acqua che scorreva…ma da dove proveniva?
Nel silenzio del sottomarino capì che doveva trattarsi di pioggia, fuori stava piovendo e loro erano evidentemente emersi.
Aprendo gli occhi notò subito Orca che la osservava seduto su una sedia vicino a lei e le chiedeva come si sentisse.
“Siamo emersi vero?”, gli chiese parlando piano.
Lui annuì lentamente.
Gwennie vide che di fianco a lui c’era anche Penguin.
D’un tratto una sensazione spiacevole s’impadronì di lei, sentiva come se il petto fosse troppo piccolo per contenere il cuore: qualcosa era accaduto.
Il monitor medico registrò questo cambiamento emettendo un piccolo segnale acustico.
“Cosa succede?”, si mise seduta sul letto reprimendo un capogiro.
“Ma niente! Ehm….ti faccio portare qualcosa da mangiare…okay?”, Orca fece un goffo tentativo per cambiare discorso lanciando un’occhiata al suo compagno.
Penguin ricambiò guardando fugacemente la paziente per poi face un piccolo cenno con il capo verso il suo amico, quei due le stavano nascondendo sicuramente qualcosa.
Notando lo sguardo indagatore della giovane, i due pirati cercarono di rassicurarla mettendo in piedi una storia relativa ad un piccolo guasto tecnico il quale sarebbe potuto essere sistemato solo una volta che il sottomarino fosse emerso.
Altri due brevi suoni provennero dal monitor.
Gwennie non se la beveva, anzi, la sensazione spiacevole che l’aveva pervasa qualche minuto prima era diventata più forte.
Temendo di sentire altri segnali acustici, e notando il pallore accentuato sul viso della ragazza, Orca confabulò con Penguin il quale dichiarò sconsolato che non avevano altra scelta se non dirle la verità.
Le riferirono che la notte precedente il sommergibile era stato attaccato da un piccolo gruppo di marines in ricognizione il quale era stato in grado di trovarli usando il sonar di nuova generazione creato da Vegapunk.
“Io non ricordo di aver sentito nulla!”, possibile che avesse avuto un sonno così profondo?
Penguin le spiegò che all’improvviso le era venuta la febbre alta mentre stava dormendo.
“Il capitano ha detto che la causa è stata la sospensione del farmaco nr.1…”, si interruppe.
Orca spostava il peso del corpo da un piede all’altro, sapeva di aver commesso un errore.
Infatti poco dopo Gwennie si rese conto che Law non era ancora andato a vedere come stava, cosa che faceva ogni volta che si svegliava, soprattutto se era stata male come le avevano detto.
Silenzio.
Ecco di nuovo il rumore della pioggia che cadeva lentamente.
Si guardarono per qualche secondo, poi la ragazza fece per alzarsi ma lui la bloccò.
“Devi riposare…”, lei si divincolò.
“Non è morto, ne sono certa…..ma è ferito vero?”, grosse lacrime rotolarono sulle guance della giovane che, disperata, stava scendendo dal letto barcollando.
Orca e Penguin provarono in tutti i modi a rassicurarla facendola rimanere a letto ma i loro sforzi risultarono completamente inutili, così, insieme, l’aiutarono a scendere e mettere le pantofole sorreggendola mentre percorrevano il corridoio che conduceva al salottino dove si erano riuniti la maggior parte dei nakama.
Gli occhi verdi di Gwennie lo cercarono ma il dottore non era lì.
“Signorina che fai?”, Bepo era allarmato, “non puoi muoverti….la febbre….devi riposare!”.
L’orso bianco fulminò con lo sguardo i suoi due compagni chiedendo loro se era quello il modo di farla stare tranquilla.
Le spiegazioni alternate dei due vennero interrotte dalla voce supplicante della paziente.
“Bepo…per favore, portami da lui…”, nuove lacrime solcarono il viso della ragazza.
Nessuno parlò.
Bepo capì cosa aveva indotto Orca e Penguin a cedere e, rammaricandosene, annuì caricando la paziente in spalla delicatamente.
La pioggia cadeva ancora, da qualche parte si sentivano delle gocce più grosse precipitare pesantemente al suolo creando un ritmo monotono.
Il cuore di Gwennie batteva all’impazzata, immaginando le peggiori situazioni ma ripetendosi che la cosa più importante era che lui fosse vivo.
“E’ grave?”, chiese pianissimo.
Bepo esitò, “No signorina, non lo è…..ricordi che a Dressrosa gli è stato addirittura amputato un braccio ma poi è guarito? Non preoccuparti per favore….devi pensare a te adesso, è molto importante….”.
Lei annuì debolmente non molto convinta, a Dressorsa avevano avuto il preziosissimo contributo della principessa dei nani Manshelly e dei poteri del suo frutto Cura Cura per rimettere in sesto l’arto mozzato del medico, in questo caso invece non ci sarebbe potuto essere alcun aiuto.
Raggiunta la stanza del capitano, Bepo depositò a terra Gwennie, fece un piccolo inchino e le chiese di chiamarlo quando avesse avuto bisogno di tornare in camera sua.
Fu allora che notò una fasciatura sul braccio peloso.
Si morse le labbra per la rabbia, era stata un’inutile peso morto per tutti loro, di nuovo la sua malattia era stata d’intralcio per le persone che le stavano vicino causando soltanto problemi.
Sola davanti alla porta bianca esitò, il cuore batteva all’impazzata, chiuse gli occhi respirando a fondo, le facevano male tutte le articolazioni e la testa pareva essere sul punto di esplodere, doveva aver avuto un bel febbrone.
Prendendo il coraggio a due mani decise di bussare delicatamente.
“Avanti…”, la voce di Law rispose.
Gwennie sentì il cuore balzarle nel petto, girò la maniglia aprendo la porta ed entrò nella stanza.
 
Un saluto affettuoso ai miei lettori! ^.^
Questa settimana ritroviamo i nostri protagonisti alle prese con u n piccolo imprevisto…..chissà cosa sarà successo, per scoprirlo dovrete aspettare fino a giovedì prossimo! ;P
Spero vi sia piaciuto!!!
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 10
*** Bakura, Capitano della Marina ***


Law era seduto su una poltroncina, ai suoi piedi un groviglio di bene insanguinate e cerotti usati, evidentemente aveva appena cambiato le fasciature.
Il cappello che lo contraddistingueva giaceva sulla scrivania.
Voluminose medicazioni gli coprivano l’occhio destro e parte della testa, guardò rapidamente la ragazza prima di chiederle cosa ci facesse lì.
Lei non parlò, era impietrita.
Quella fasciatura implicava necessariamente una ferita che coinvolgesse anche il suo occhio destro.
Lo avrebbe perso per colpa sua?
Le parole che avrebbe voluto dire si erano bloccate in gola, non si decidevano ad uscire e il risultato fu un silenzio irreale.
Law raccolse le bende sporche da terra e le gettò in un apposito sacchetto che sigillò con cura, poi si girò in modo che la parte fasciata del suo viso rimanesse nascosta.
“Ti chiedo di uscire, per favore”, il medico aveva parlato guardando fuori dal piccolo oblò della sua cabina, “non dovresti essere qui ma a letto a riposare.”
Pioveva ancora.
Gwennie non si mosse di un millimetro.
Fece una cosa però che non le piacque per niente ma che non riuscì in nessun modo a fermare: si mise a piangere, le lacrime cadevano abbondanti dai suoi occhi tristi e preoccupati formando delle gocce rotonde sul pavimento.
“Non capisci?”, alla fine trovò la voce, “sono preoccupata! Cosa ti è successo?”
Il tono disperato della ragazza colpì Law, “Mi sono distratto…..tutto qui. Non è nulla di grave, solo ferite superficiali, nessun danno permanente.”.
Bollettino medico perfetto, ma era la verità o solo una bugia per tenerla calma?
“Non rimarrai….”, Gwennie fece un gesto intorno all’occhio fasciato, non osava dire quella parola.
Il dottore sorrise in modo decisamente più evidente del solito, poi scosse la testa.
La giovane sembrò un palloncino che si stava sgonfiando, le energie che l’avevano mossa fin lì erano completamente esaurite, si afflosciò sul pavimento asciugandosi le lacrime con la manica della maglia.
Adesso le parole uscivano dalla sua bocca come un torrente senza controllo e nel frattempo continuava a piangere singhiozzando.
“Ho avuto una paura….sigh, credevo che ti avessero ucciso ma poi ho capito che non era così….quella sensazione….sigh sigh erano tutti così tetri di là….sigh ho creduto fossi ferito in modo grave….sigh…non stai mentendo vero? Guarirai, giusto?”, la manica della maglia era abbastanza zuppa.
Davanti a quella scena il medico non sapeva come reagire.
I suoi nakama si erano dimostrati sempre sinceramente affezionati a lui, ma quello che stava vivendo era senz’altro tutt’altra cosa.
Si avvicinò alla ragazza e l’aiutò ad alzarsi.
“Non preoccuparti, non ho mentito. Di là sono…..come hai detto?”, eccolo il sorriso sinistro, “Tetri perché stanotte, poco prima dell’attacco che abbiamo subito, tu avevi la febbre alta, mi spiego?”
Mentre Law le passava un braccio intorno alla vita per aiutarla a raggiungere il salottino, Gwennie ascoltava attentamente.
“Ti è salita la febbre poco dopo la sospensione del farmaco nr.1 il quale agiva in modo non utile per il nostro scopo. Il problema è stato il modo violento con il quale è salita. In quel momento siamo stati attaccati….”.
La stanchezza aveva reso le gambe della ragazza non molto dissimili dai tentacoli molli di un polpo, aiutarla a camminare era diventato impossibile, così Law la prese in braccio.
Era stato un gesto così rapido e naturale che ci volle un po’ perché Gwennie se ne rendesse conto, quando ci riuscì il mondo che la circondava sembrava dissolversi pian piano.
Senza pensarci posò la testa sulla spalla di lui perfettamente conscia del fatto che in quel momento il colore del suo viso doveva essere stato all’incirca rosso fuoco, ma la cosa non le importava, voleva assaporare quel momento più unico che raro.
Era meraviglioso sentirsi stretta le braccia forti di lui che la sorreggevano senza il minimo sforzo, si sentiva felice e protetta, non avrebbe potuto desiderare di meglio.
Raggiunto il salottino Law la depositò piano sul divano facendola tornare alla realtà.
La ciurma aveva assistito attonita alla scena guardando ora il loro capitano, ora la ragazza.
“Ragazzi, la paziente è un poco agitata. Si è fatta un’idea un po’ troppo tragica del piccolo evento di stanotte. Cercate di raccontarle tutto in modo che possa calmarsi. Io torno subito. Bepo, puoi venire un secondo?”.
La ciurma iniziò a raccontare dello scontro parlando tutti insieme.
 
“Aye capitano come stai?”, Bepo non aveva resistito, appena usciti dalla stanza aveva parlato.
Law si sedette stancamente su una sedia del tavolo da pranzo.
“Meglio, non preoccuparti….ma come è riuscita a saperlo? Vi avevo raccomandato di non parlare…..”.
“Direi istinto capitano. Appena sveglia ha iniziato a tempestarci di domande e ancora prima che le rispondessimo aveva già capito tutto. Abbiamo potuto solo assecondarla per evitare peggioramenti di salute.”, l’orso si era inchinato.
Il medico annuì.
Si capiva subito che Gwennie era un tipo molto intuitivo, ma evidentemente era proprio un suo talento.
Lentamente ricordò i fatti della notte precedente.
Dopo aver sospeso il farmaco alla paziente, Law si era recato nel salottino per discutere il da farsi con il resto della ciurma quando, ad un certo punto, Jean Bart era arrivato di corsa annunciando un allarme, “Capitano, c’è una nave della Marina esattamente dietro di noi e ci sta per raggiungere!”.
Tutti erano tornati ai loro posti nella saletta di comando, osservando i monitor ed interrogando i radar.
“Come ci hanno trovati? Siamo stati sempre prudenti!”, imprecava Penguin.
Passati pochi minuti Bepo aveva annunciato di essere passato a dare un’occhiata a Gwennie e di averla trovata in preda alla febbre alta.
Dopo qualche inutile manovra di depistamento, Law aveva deciso di emergere per affrontare il problema, doveva assolutamente cercare di evitare bombardamenti dato che la paziente aveva una crisi e doveva essere assistita.
L’enorme nave da ricognizione era proprio davanti a loro quando il sottomarino giallo era emerso dall’acqua, sul ponte di comando faceva capolino un uomo, il marine si era presentato dicendo di essere il Capitano Bakura.
Alto circa due metri e decisamente massicio, portava un paio di occhiali da vista rotondi e i capelli neri impomatati all’indietro, indossava un abito che gli cadeva a pennello, nero con un papillon dello stesso colore e sopra le spalle la giacca che dimostrava il suo grado nella marina.
“Buonasera signori, sono il capitano Bakura, lieto di conoscervi. Adesso non esitate ad arrendervi e io sarò con voi magnanimo.”, parlava lentamente, il suo tono di voce era soporifero.
Inutile dire che lo scontro era iniziato quasi subito.
“Avevo giusto voglia di divertirmi….”, il sorriso sinistro caratteristico di Law era comparso sul suo bel viso mentre creava una ROOM.
In pochi attimi aveva fatto a pezzi tutti i nemici i quali, spaventatissimi, si erano dati al panico più assoluto, notando i proprio arti sparpagliati per la nave.
Bakura però, anche se privo del busto e con solo un braccio a disposizione, aveva cercato di attaccare inutilmente Law.  
Il chirurgo non aveva avuto problemi a scansare l’assalto quando aveva visto ciò che il marine teneva in mano: una BI-999, ovvero la bomba intelligente.
Le bombe intelligenti erano ordigni esplosivi creati in modo da raggiungere autonomamente la zona più favorevole per la detonazione, penetrando nella zona nemica senza bisogno di qualcuno che ve la portasse.
Bakura aveva lasciato cadere la bomba ridendo, “Allora signori miei vi avverto che state per saltare in aria assieme al vostro sottomarino!”.
Il piccolo ordigno, simile ad un ragno ma fornito di diversi sensori e di un piccolo display per il conto alla rovescia, aveva zampettato velocemente verso la porta del sottomarino entrandovi in pochi secondi.
Il display segnava 40 secondi alla detonazione.
Gwennie era dentro e non poteva muoversi, con tutti i suoi nakama impegnati in battaglia, Law aveva preso una decisione rapida: chiusa la ROOM e ne aveva creata un'altra che inglobasse il sottomarino in modo da prelevare la bomba senza aver bisogno di cercarla.
Usando un barile di legno come scambio aveva effettuato lo SHAMBLES direttamente sulla nave della marina, Bakura aveva tentato di ordinare che venisse immediatamente disinnescata ma l’esplosione aveva preceduto ogni tentativo.
La poppa della nave si era ridotta in mille pezzi i quali però, avevano minacciato di ricadere addosso sia ai pirati Heart che al sottomarino così il capitano aveva creato un’altra ROOM scambiando i detriti dell’esplosione con le gocce di pioggia che aveva iniziato a cadere da poco sopra le loro teste.
In quel momento, mentre Law era impegnato a salvare i suoi nakama, Bakura era balzato davanti a lui usando il soru e, con il solo braccio che possedeva armato di pugnale era riuscito a lanciare un fendente verso la testa dell’avversario.
Il dottore aveva incassato il colpo senza battere ciglio, passando immediatamente al contrattacco mozzando definitivamente la testa del marine e afferrandola per i capelli, “Vedi Bakura il tuo abito costoso non potrà mai darti l’onore che non possiedi. Adesso sparisci dalla mia vista!”.
Aveva scagliato la testa lontano, in mezzo al mare, mentre i marines sopravvissuti raccoglievano letteralmente i loro pezzi e sparivano il prima possibile, arrangiandosi come era loro possibile fare.
I pirati Heart si erano riuniti attorno al loro capitano: la ferita di Law era abbastanza grave, partiva da sotto l’occhio ed arrivava fino all’attaccatura dei capelli, era profonda e sanguinava abbondantemente.
Medicarsi era stato complicato usando un occhio solo ma aveva fatto un ottimo lavoro, il taglio aveva reciso l’orbita non in profondità e la retina sembrava intatta, ma ciò non era sufficiente per garantire che l’occhio sarebbe potuto essere salvato.
Tornando al presente, Law pensò che ancora una volta il tempo avrebbe giocato un ruolo fondamentale.
“D’accordo Bepo… adesso io le ho detto che sto bene e non corro rischi di nessun tipo….quindi rassicuratela anche voi”, concluse.
L’orso bianco fece il suo solito inchino ed uscì.
Law posò la spada al tavolo da pranzo e rimase seduto a riflettere.
 
Il salottino era una babele di voci, parlavano quasi tutti insieme.
Gwennie cercava di ascoltare con attenzione ma le riusciva difficile farlo, i discorsi erano ognuno indipendente dall’altro e a volte non propriamente similari, le parve di sentire addirittura la parola drago.
“Ehm, se parlate insieme non capisco molto!”, rassegnandosi aveva alzato la mano destra.
Silenzio.
“Potete parlare uno alla volta?”, sorrise.
In meno di due secondi ricominciò il frastuono di diverse voci maschili che parlavano tutte assieme, rassegnata Gwennie sospirò a provò a capirci qualcosa.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Eccoci qui con il consueto capitolo settimanale che ci spiega cosa è accaduto al nostro protagonista e alla sua ciurma mentre la paziente era incosciente a causa della febbre…e con un piccolo avvicinamento dei due ragazzuoli! ;P
Come sempre spero vi piaccia!
Alla prossima!
BlackVanilla

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Capitolo 11
*** Germogli di Speranza ***


Il farmaco nr.2 fu somministrato alla paziente dopo cena la sera stessa.
Il miglioramento fu così evidente che l’indomani la ragazza bighellonava in giro per il sottomarino in cerca di qualcosa da fare.
Chiedeva a tutti se poteva essere utile in qualche modo, alla parola risposo girava sui tacchi e cambiava soggetto a cui fare la domanda.
Era riuscita a farsi un lungo bagno e ad indossare vestiti veri, come li definiva, non pigiami o tute: aveva scelto un maglione grigio con scollo rotondo e piccole righe orizzontali in rilievo, jeans neri, una cintura in vita che cingeva anche l’ampio maglione e un paio di calzini nero con disegnetti indefinibili color grigio da indossare con le pantofole.
I capelli avevano avuto una nuova vita dopo lo shampoo che aveva loro dedicato, li aveva asciugati con cura e si era pettinata perfettamente come piaceva a lei.
Law le aveva spiegato che la somministrazione del farmaco sarebbe avvenuta finché il virus non fosse entrato con sicurezza nella fase remissiva, quindi avrebbero agito praticando una fluorescenza del batterio per trovarne il serbatoio tramite il contrasto e successivamente operato per asportare il serbatoio stesso.
Pensando a questo, Gwennie decise di uscire sul ponte: quel mattino erano emersi per permettere a Jasper di far provviste per la cucina.
Aprì la porta inspirando a pieni polmoni l’aria salubre e profumata, dopo la pioggia dei giorni precedenti un aroma di alberi e terra umidi circondava l’ambiente.
Il sole brillava alto nel cielo, i gabbiani volavano liberi e felici giocando a nascondino tra le nuvole bianche e spumose.
La ragazza alzò le braccia stirandosi felice, si sentiva rinata, i dolori, la febbre, la tosse e tutti gli altri sintomi sembravano scomparsi, si sentiva bene come non le succedeva da moltissimo tempo.
Con le braccia ancora alte, allargò le mani sentendo un piccolo fastidio alla schiena….il che le rammentò le frustate di Doflamingo.
Abbassò le braccia appoggiandosi alla ringhiera del ponte…quella era stata un’esperienza che l’aveva cambiata profondamente, le aveva fatto capire che avrebbe dovuto diventare più forte per non trovarsi più in una situazione simile.
Sospirando ripensò ad Ace, impulsivo, solare, mangione, allegro e sempre pronto a scherzare e fare baldoria…e Law il suo opposto.
Come aveva fatto a innamorarsi di due personalità così differenti?
In quel momento sul ponte arrivò il capitano rompendo così il filo dei suoi pensieri, ancora la benda sul viso ma con meno cerotti.
“Buongiorno, come procede?”, Gwennie salutò indicando l’occhio fasciato.
Il medico la squadrò notando il miglioramento del suo stato di salute nonché dell’aspetto e rispose laconico che stava procedendo tutto bene.
“Per favore….dimmi la verità….”, la voce della ragazza era delicata.
Il vento le scompigliava i capelli sciolti.
Law percepì un leggero profumo di vaniglia, ricordando di averlo sentito anche quando l’aveva presa in braccio un paio di giorni prima.
“Se le cose procedono così il mio occhio starà benissimo”.
Gwennie lo osservò bene: maglietta blu con lo smile simbolo dei pirati Heart di colore giallo, solito cappello morbidoso, pantaloni azzurri con macchiette nere.
Era irritante quando ci si metteva.
Però era carino.
Accidenti se lo era.
Lei fece una smorfia che esprimeva tutta la sua frustrazione e sospirò rumorosamente tornando ad osservare il cielo terso che si fondeva con il mare.
“Perché ti preoccupi tanto?”, la voce che aveva fatto questa domanda era esitante ma sulla difensiva allo stesso tempo.
Il dottore aveva appoggiato la schiena alla parete metallica del sottomarino e con le braccia incrociate attendeva una risposta.
Passarono alcuni minuti di silenzio, rotto ogni tanto solo dai gabbiani che giocavano in cielo e dalle onde che si infrangevano contro il sommergibile.
“Credo sia normale no?”, la giovane cercò di tergiversare, “dopo tutto ciò che stai facendo per me….”.
Una folata improvvisa di vento le sollevò bruscamente i capelli, automaticamente chiuse gli occhi per ripararsi quando sentì le parole del chirurgo: “Io credo che le lacrime dicano sempre la verità anche se noi vorremmo nasconderla…”.
Quando Gwennie riaprì gli occhi, lui era già rientrato.
 
Nell’infermeria deserta, Law tolse le bende che ricoprivano la metà destra della testa e le gettò in un sacchetto verde.
Sospirando decise di provare ad aprire l’occhio ferito.
Erano passati circa quattro giorni dall’attacco e, non essendoci stata nessuna infezione, oggi avrebbe dovuto avere la risposta alla sua domanda, ovvero se avrebbe perso o meno la vista da quell’occhio.
Con lo specchio davanti si medicò nuovamente e si ripulì dalla tintura disinfettante che aveva usato il giorno precedente, facendo attenzione a non passare direttamente sopra i punti che aveva dovuto mettersi sulla fronte, sotto l’attaccatura dei capelli.
Adesso non rimaneva che fare la prova.
Lentamente iniziò ad aprire la palpebra, non sentì dolore ma solo un senso di disagio, come se la pelle fosse troppo tesa.
La piccola tenda dell’oblò era stata tirata in modo da lasciare la stanza quasi completamente al buio, l’occhio infatti avrebbe dovuto abituarsi piano alla luce senza subire così ulteriori traumi.
Ripensandoci, Law definì la sua distrazione molto stupida, aveva completamente dimenticato il suo avversario per salvare il sottomarino.
Era stato veramente solo per quello?
Scacciando quel pensiero fastidioso dalla testa, spalancò entrambi gli occhi fissando lo specchio che aveva posizionato davanti a se: l’immagine era sfocata e debole.
Si diresse verso la tenda aprendola un po’ di più, lasciando entrare la luce del sole.
Puntò lo sguardo sul suo cappello che aveva lasciato sulla scrivania: la vista era buona, riusciva a vedere con entrambi gli occhi, anche se quello ferito iniziava a pulsare dolorosamente.
Richiudendo rapido la tenda, mise una garza meno ingombrante e si cacciò il cappello in testa sorridendo alla sua maniera.
Dopo il dovuto riposo sarebbe senz’altro riuscito a tornare a vedere perfettamente.
 
Erano tutti sul ponte, i pirati Heart in compagnia di Gwennie.
Ridevano e scherzavano mentre, approfittando della splendida giornata di sole, eseguivano piccole riparazioni e manutenzioni successive allo scontro con i marines.
Gwennie non aveva resistito alla tentazione portando con il se il chakra e facendo dei lanci di allenamento, era dalla battaglia di Dressrosa che non lo maneggiava, gli era molto mancato.
Quell’arma antica non era molto utilizzata nell’era moderna, così un piccolo gruppo di spettatori curiosi si era riunito intorno a lei per vederla in azione.
Ovviamente la cosa la imbarazzava notevolmente, ma non fece diminuire il desiderio di allenarsi, così riuscì a continuare in modo più o meno tranquillo.
La lama rotonda lasciava le mani della ragazza per poi roteare velocissima in aria compiendo una mezza circonferenza per poi tornare al punto di partenza. 
L’arrivo era abbastanza energico, se non si era abili nell’afferrarlo probabilmente avrebbe potuto mozzare una mano come se si fosse trattato di un panetto di burro.
Dopo l’ennesimo lancio, la porta del ponte si aprì facendo comparire Law.
La ciurma, notando il bendaggio differente, tempestò il capitano di domande.
“Capitano starai meglio?”, Bepo morbido come sempre.
“Ci vedi?”, Orca con il martello in mano.
“L’occhio come va?”, Jean Bart pulendosi le mani con uno strofinaccio.
Gwennie era rimasta vicino alla ringhiera, non aveva parlato, si era limitata nello stringere il chakra più forte tra le dita.
Il medico le lanciò un rapido sguardo, rivolgendo poi la completa attenzione ai suoi nakama, “Vi avevo già detto che non avrei subito danni permanenti. Confermo la diagnosi”.
Uno scoppio di grida diede il via ad un piccolo festeggiamento improvvisato pieno di schiamazzi e risate, pacche sulle spalle, cori e canti anche se non proprio intonatissimi.
La giovane, ancora ferma al suo posto, non si era resa conto si aver trattenuto il respiro, le braccia tremolavano in risposta alla tensione che aveva provato poco prima.
Era così felice da non riuscire ad esprimerlo.
Una lacrima sottile le solcò la guancia accaldata dal sole.
Rapidamente passò il dorso della mano sul viso, sperando che nessuno l’avesse vista.
 
Dopo qualche giorno Law rimosse anche la medicazione ridotta, tornando così il solito di sempre, solo con un piccolo segno vicino all’attaccatura dei capelli, l’occhio era perfetto, nessuno avrebbe mai potuto dire che avesse subito una ferita del genere.
Gwennie stava benissimo, non aveva più accusato nessun sintomo e le era tornato un sano appetito, tuttavia il merito era del farmaco che assumeva quattro volte al giorno.
Il momento finale della sua terapia stava giungendo, ormai il virus era decisamente in fase remissiva, sarebbe stata l’opportunità ideale per procedere con i controlli e con l’operazione.
Venne tutto pianificato, nel giro di un paio di giorni sarebbe stata eseguita la fluorescenza con contrasto e successivamente l’operazione chirurgica vera e propria.
La paziente, con suo grande disappunto, venne messa in leggera dieta per facilitare gli esami.
La sera precedente il giorno stabilito, Jasper servì come dolce a cena uno splendido vassoio carico di muffin alla frutta ripieni di crema al cioccolato.
“Me la pagherai!”, aveva promesso Gwennie alla quale fu proibito anche toccarli.
Adorava i dolci, e vederne di così belli e buoni davanti a se senza poterne gustare nemmeno una briciola era frustrante.
“Gwennie te ne preparerò un vassoio appena guarirai. Mi sembra di ricordare che preferisci la crema di limone, vero? Bene troverai ciò che desideri!”, il cuoco sorrise.
“Me lo hai promesso!”, la ragazza alzò la mano in segno di monito.
Sospirando si alzò dal tavolo, tanto valeva non vederli nemmeno quei favolosi pasticcini.
Dopo aver salutato i commensali si diresse verso la sua stanza per prendere la biancheria pulita, avrebbe fatto un lungo bagno rilassante.
Verso le nove e mezza, Gwennie era a letto, con il pigiama che preferiva e i capelli raccolti sulla sommità della nuca in modo disordinato, intenta a leggere un libro.
Quella sera non aveva dovuto prendere la solita dose del farmaco.
Stava girando pagina quando udì un leggero bussare alla porta, automaticamente invitò il visitatore ad entrare senza quasi alzare la testa, sentiva i pirati Heart come dei fratelli ormai.
Entrò piano Law reggendo una flebo in mano.
“Buonasera, devo metterti questa flebo in previsione dell’intervento. Ti ricordo di non mangiare né bere più nulla da mezzanotte”, armeggiò abile con disinfettante e ago, in un battibaleno la flebo era inserita nel braccio.
Come al solito Gwennie era ammutolita. Era quello l’effetto che gli faceva il medico, non riusciva a parlare per timore di arrossire.
“Hai domande da farmi? Domani mattina non ci sarà tempo per questo genere di cose”.
La ragazza stava per parlare quando l’allarme interno del sottomarino iniziò a suonare, segnalava un pericolo imminente.
I due si scambiarono uno sguardo veloce, poi il capitano sfrecciò via verso la sala di comando.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Il momento dell’intervento chirurgico che potrebbe salvare la vita della nostra protagonista si avvicina…ma intanto lei si gode un po’ di ritrovata energia! :)
Per sapere come andranno le cose (allarme compreso :P) dovrete attendere pazientemente fino a giovedì!
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 12
*** L'Operazione ***


Le postazioni di comando erano in piena attività, l’allarme aveva smesso di suonare ma la minaccia persisteva: non molto lontano da loro era stata localizzata una nave presumibilmente della Marina e stava avvicinandosi molto velocemente.
Law ordinò di eseguire delle manovre per depistarla, stava cercando di guadagnare un po’ di tempo.
Dal corridoio che portava alla sala si sentì ad un tratto provenire un suono strano, come un delicato cigolio che stava arrivando verso di loro.
Dato silenzio teso che regnava, tutti si volsero verso il misterioso rumore per vedere cosa lo provocava: alla fine comparve Gwennie munita di asta per la flebo.
Alcuni sbuffarono di sollievo, altri risero sotto ai baffi ma il dottore non era decisamente contento.
“Ma che diavolo fai qui?”, sbottò non riuscendo a trattenersi.
Lei fu contrariata da quell’accoglienza.
“Sono venuta a vedere cosa succede….”, alzò le spalle.
Scrollando la testa in segno di disappunto le ordinò di tornare in camera immediatamente indicando con la mano il corridoio dalla quale era appena arrivata.
La ragazza sbuffò, “Ricordo a tutti che adesso sto bene. Potrei anche esservi d’aiuto ogni tanto invece che stare a letto a prendere la polvere….”.
Decise di obbedire, in fondo era un’ospite in quel sottomarino e il capitano era Law, bisognava in ogni caso rispettarlo.
Terminato il siparietto, tutti tornarono a prestare attenzione alla minaccia segnalata dagli strumenti di rilevamento, in quel momento la nave misteriosa sembrava aver perduto le loro tracce e si era allontanata leggermente.
“Capitano, siamo tornati a distanza di sicurezza!”, informò Orca.
Lui annuì, ordinò di mantenere la posizione e di avvisarlo immediatamente se ci fossero stati cambiamenti.
Uscendo dalla sala di comando si chiese se quella nave nemica appartenesse veramente alla Marina, potrebbe essere stata mandata in ricognizione da Kaido.
Era assolutamente necessario conferire con Cappello di Paglia.
 
Parlare di strategie con Mugiwara era come dialogare con un muro, l’idea di pianificare il da farsi era inconcepibile, lui agiva sempre d’impulso perciò era molto complicato cercare di buttare giù un piano.
“Il motivo che ci ha spinti a lasciare Zou è stato il grave stato di salute della ragazza…sarebbe morta se non fossimo tornati al sottomarino per prestarle le prime cure. Adesso la situazione è migliorata e domani effettuerò l’operazione definitiva. La cosa sarà abbastanza lunga ma tra qualche giorno potremo ritrovarci a Zou, rimarrà qualcuno dei miei con lei in caso di bisogno. Tutto questo ovviamente se l’operazione avrà buon esito…”.
Rufy aveva ascoltato tutto con insolita calma.
“Certo, va bene. Qui è tutto tranquillo, stiamo ascoltando i racconti dei visoni e dei nostri compagni per capire meglio ciò che è avvenuto. Abbiamo anche un piccolo problema con Sanji che è stato….diciamo preso in consegna da Big Mom.”, Cappello di Paglia gli riassunse velocemente la situazione.
Law pensò che quello era uno svantaggio, il cuoco era uno di quelli forti e in caso di scontro sarebbe stato senza dubbio utile.
Ribadendo che l’assenza dei pirati Heart a Zou si sarebbe protratta soltanto per un’altra settimana al massimo, il dottore chiuse la conversazione.
 
L’enorme galeone della Marina galleggiava placido sul mare calmo mentre minacciosi nubi nere avanzavano dall’orizzonte.
Il commodoro Sasaki fece cadere violentemente il pugno sul tavolino di legno dove il cameriere gli aveva appena servito il caffè, facendo vibrare la tazza di porcellana.
Il comandante Leroy sussultò per lo spavento chinando il capo, quando il commodoro era furioso come in quel momento la cosa migliore da fare era ascoltare senza proferire parola.
Lo sbirciò fugacemente: era un uomo alto e massiccio, molto muscoloso, non più giovanissimo ma tremendamente forte, sul viso aveva una grossa cicatrice che gli divideva il volto a metà partendo sa sotto l’occhio sinistro e terminando vicino all’orecchio destro.
I cortissimi capelli erano di colore rossiccio mentre gli occhi incavati come quelli di un rapace erano di un indefinito colore tra il marrone e il nero, nell’insieme non era il tipo di persona alla quale viene voglia di parlare.
“Maledizione! Siete riusciti a farvelo scappare! Ho a che fare con un branco di idioti!”, un nuovo pugnò calò sul tavolo, stavolta la tazza non resse e si rovesciò.
La missione che stavano svolgendo era assolutamente TOP SECRET e della maggiore importanza, tuttavia con un escamotage il sottomarino che stavano inseguendo era sfuggito loro da sotto al naso.
Leroy strinse i pugni, non era abituato a fallire e tantomeno ad essere rimproverato.
“Commodoro, signore, non accadrà più! E’ stata una manchevolezza che non avrà modo di ripetersi glielo assicuro”, si impettì mentre parlava a voce alta a chiara.
Sasaki guardò il giovanotto che aveva davanti, era un ottimo elemento contrariamente al resto dell’equipaggio, perfettamente abbigliato come il suo ruolo imponeva, era un bell’uomo con i capelli neri e degli occhi di un intenso azzurro che esprimevano tutta la sua intelligenza.
Il commodoro avrebbe preferito che Leroy si tagliasse i capelli un po’ di più, ma non andavano male nemmeno in quel modo, lunghi circa dieci centimetri e spazzolati all’indietro, senz’altro più dignitosi di altre pettinature che aveva avuto la sfortuna di vedere.
“Ne sono certo. Ti ricordo, Leroy, che non dobbiamo nuocere alla ragazza. Ci serve viva quindi limitiamo l’uso delle armi. Quell’imbecille di Bakura ha usato perfino una BI-999, certe leggerezze non devono accadere quando ci sono io al comando, intesi?”.
Da un’intercettazione captata utilizzando un lumacofono nero, erano giunti alla conclusione che la figlia di King fosse al momento in custodia dei pirati Heart, perciò stavano alle calcagna del loro sottomarino giallo in attesa del momento migliore per intervenire.
Leroy rispose affermativamente intuendo che la collera del commodoro era quasi passata, attese qualche attimo e poi gli chiese se desiderasse altro caffè.
Al cenno positivo di Sasaki un marine scattò verso la cucina per recuperare una tazza pulita e del caffè appena fatto.
 
Gwennie non era tornata in camera, non aveva assolutamente voglia di tornare a letto non avendo sonno.
Senza rendersene contro era finita nel salottino, accese la luce e sedette sul divano in cerca di qualcosa da leggere nella vicina libreria.
Dopo aver scartato un paio di libri, lo sguardo le cadde sulla lavagna bianca appesa al muro, era stata pulita di recente ed era completamente vuota.
Ci pensò qualche attimo e poi afferrò il pennarello, le piaceva molto disegnare quando era piccola, suo padre le aveva regalato un album e degli splendidi pastelli colorati per il suo sesto compleanno.
Disegnò la prima cosa che le venne in mente: un maestoso drago.
Quando aveva visto Momonosuke trasformato in quel grazioso draghetto, aveva subito sentito una forte simpatia per lui, quella figura mitologica racchiudeva per Gwennie molti significati.
L’orologio del salottino batteva lento i secondi, le lancette segnavano le dieci e un quarto, sarebbe stato meglio andare a letto.
Controvoglia abbandonò il pennarello ammirando il suo schizzo, ne fu soddisfatta e decise di non cancellarlo, anzi vi aggiunse una piccola scritta in un angolino che era rimasto bianco.
Sorridendo si avviò per il corridoio, il giorno dopo sarebbe stato decisamente impegnativo.
 
Alle sei del mattino la sala operatoria era già pronta, perfettamente in ordine era il massimo dell’efficienza.
La paziente era pronta, le era stata fatta indossare la camiciola di carta, il flebo della sera precedente era stato sostituito con un altro ed infine era stata fatta sdraiare su un lettino a rotelle.
Dopo aver eseguito la fluorescenza per contrasto, Law aveva individuato il serbatoio nella parte bassa del lato destro dell’addome della ragazza e, con tutta probabilità l’intervento non sarebbe stato complicato.
L’esame era stato fatto facendo passare un macchinario sottile sopra il corpo sdraiato della giovane, successivamente su un grande schermo era comparsa la sua siluette nera ma con un alone bianco piuttosto esteso su un fianco.
Era la concentrazione di virus.
“Bene, abbiamo tutto ciò che ci occorreva. Possiamo iniziare”, il medico aveva fatto un cenno con il capo a Penguin il quale arrivò subito dopo con la mascherina per l’anestesia in mano.
Come la volta precedente le fu chiesto di contare a ritroso, arrivò fino al sette e poi le luci si spensero facendo calare un buio improvviso.
 
Alle dodici meno venti Jasper iniziò a preparare il pranzo.
La sera precedente aveva pulito degli spinaci e tagliato del pollo, insaporendolo con diverse spezie e racchiudendolo dentro ad un sacchetto di plastica per farlo riposare.
Mise una teglia sul fuoco versandovi dentro un filo d’olio e uno spicchio d’aglio, poco dopo la stava facendo rosolare leggermente.
Fin che compieva queste operazioni di routine, il pensiero cadde all’intervento che si stava svolgendo in quel momento, evitò di guardare di nuovo l’orologio, lo aveva fatto ormai tantissime volte in quelle ultime sei ore ed era frustrante notare che le lancette si muovevano in modo così lento.
Nel salottino erano radunati i membri dell’equipaggio che non potevano essere utili in sala operatoria e che, in compenso, avrebbero dovuto stare all’erta dato il tentativo di attacco della sera precedente.
Regnava un silenzio irreale.
Lo scoppiettare dello spicchio d’aglio riportò l’attenzione del cuoco al piatto che stava preparando, tolse la padella dal fuoco e vi versò dentro gli spinaci creando una piccola nuvola di vapore, li condì con sale, pepe e li fece saltare energicamente per qualche minuto.
Gwennie era stata all’inizio solamente una paziente del capitano, una ragazza molto malata che Law aveva deciso di provare a curare grazie alle sue conoscenze mediche speciali, ma con il passare del tempo un po’ tutti i pirati Heart le si erano affezionati.
Adesso che era il sala operatoria da così tante ore la tensione era collettiva.
Jasper lasciò cuocere lentamente gli spinaci dedicandosi al pollo, lo recuperò dal sacchetto e lo mise in una grande teglia rettangolare dove giacevano delle patatine rotonde già sbucciate e lavate, regolò la temperatura e lo mise in forno.
Aveva deciso di cucinare un piatto sostanzioso ma non troppo pesante nel caso fossero stati costretti, per una ragione o per l’altra, a mangiare a turno e quindi a servirsi da soli.
Sospirò cedendo e sbirciando l’orologio, erano passati solo quindici minuti dall’ultima volta che lo aveva consultato, davvero il tempo sembrava essersi fermato.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Finalmente ci siamo, l’intervento chirurgico è iniziato…adesso dobbiamo solo pazientare fino alla prossima settimana per sapere come è andato!
Come sempre spero che il mio racconto continui a piacervi! J
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 13
*** Lunga Attesa ***


L’intervento stava procedendo regolarmente, il tessuto pregno era stato asportato con successo grazie all’uso di una ROOM, ed ora l’incombenza era quella di evitare un’emorragia interna: i vasi sanguigni infatti, avrebbero dovuto essere cauterizzati manualmente tramite piccoli punti di sutura.
Law era decisamente stanco ma soddisfatto, l’operazione stava andando nel migliore dei modi, esattamente come aveva previsto lui.
“Penguin, eseguiamo un’altra fluorescenza prima di chiudere, voglio essere sicuro di aver asportato tutto il tessuto infetto”, con la mano guantata aveva indicato il macchinario necessario per eseguire il controllo.
Dopo qualche minuto sullo schermo apparve la sagoma di Gwennie ma subito il dottore notò che qualcosa non andava, avrebbe dovuto risultare completamente nera, eppure in un angolino c’era una piccola macchia di colore azzurro.
Penguin guardò con aria interrogativa il suo capitano e l’espressione che lesse sul suo viso non era esattamente delle migliori.
“Il virus sta mutando per reagire al farmaco nr.2, si sta concentrando nuovamente per tornare ad essere attivo. Devo asportare immediatamente anche questo tessuto”, la malattia era stata modificata in modo da reagire ai tentativi di cura per poi tornare più aggressiva di prima.
L’operazione di sarebbe protratta più a lungo del previsto, Law strinse i denti: non sapeva quanto la ragazza avrebbe potuto resistere ancora, doveva agire nel modo più rapido possibile.
 
L’ennesimo sbadiglio fece lacrimare gli occhi di Bepo mentre spalancava le fauci a vuoto.
Percorreva il corridoio avanti ed indietro da una mezz’ora buona, non trovando altro da fare e non sopportando più l’attesa.
L’orologio segnava le quattro e mezzo del pomeriggio, dalla sala operatoria nessuna notizia.
Frustrato e stanco del suo solito giro, decise di fare un salto nel salottino per trovare qualcosa da leggere.
Arrivato davanti al divanetto gli occhi gli caddero sulla lavagna che era appesa al muro: qualcuno aveva disegnato un bellissimo drago, con lunghe corna e baffi arrotolati, esprimeva tutta la sua magnificenza con le enormi ali spiegate in volo e la coda appuntita che puntava verso l’alto.
A bocca aperta, l’orso di domandò chi avesse fatto quel disegno così bello.
Stava per andare a chiederlo a Jasper, in cucina, quando notò anche le poche righe scritte sotto alla zampa sinistra dell’animale mitologico:
Vi voglio bene
Gwennie
 
La bocca di Bepo, già aperta da prima, se possibile si aprì ulteriormente.
I suoi pensieri però furono interrotti da un vociare insistente che proveniva dal corridoio, immediatamente si andò a vedere che succedeva.
“Allora come è andata?”, aveva domandato un suo compagno ad uno stremato Penguin che era appena uscito dalla sala.
L’uomo, sudato e affamato, venne scortato in sala da pranzo dove Jasper gli servì prontamente un piatto di pollo arrosto con contorno di spinaci saltati in padella, patate al forno e pomodorini freschi.
Il pirata si avventò sul cibo rispondendo a bocca piena ai numerosi quesiti che gli venivano posti.
“Il capitano ha quasi finito, sta completando le ultime suture. C’è stata una complicazione ed ha perso molto sangue, il polso non riusciva a stabilizzarsi”, ingoiò un boccone di carne.
Dopo aver sentito il loro compagno parlare di una complicazione, gli uomini si scambiarono reciprocamente uno sguardo: era la cosa maggiormente temuta dall’intera ciurma, capitano compreso, come aveva detto loro la sera precedente mentre preparava la strumentazione necessaria per l’intervento.
Law aveva spiegato che un organismo già parecchio debilitato come quello della ragazza avrebbe mal sopportato qualsiasi tipo di operazione in quel momento, c’era solo da sperare che sia l’intervento sia il decorso post operatorio procedessero in maniera del tutto tranquilla, cosa che purtroppo non stava avvenendo.
“Ma secondo te può farcela?”, Mario aveva fatto la domanda che gli altri compagni non avevano osato nemmeno pensare.
Penguin finì di tracannare un bicchiere di acqua, si sentiva assetato come non mai.
In sala operatoria aveva monitorato i valori vitali della giovane per tutte quelle ore e non poteva aver fatto meno di notare quanto effettivamente la sua vita fosse appesa ad un filo, la pressione sanguigna era molto bassa, il battito cardiaco irregolare e per aiutarla a respirare adeguatamente erano stati costretti ad applicarle un sondino alle narici.
“E’ molto debole ragazzi…credo sia il caso più critico che abbiamo mai affrontato finora…”, i volti dei pirati divennero lugubri e tristi, “…ehi, non dimenticate che il nostro capitano è il migliore dottore del mondo! Gwennie è in ottime mani!”.
Effettivamente era così, in quelle condizioni nessun altro medico avrebbe potuto aiutarla meglio di come stava facendo Law, oltretutto sfruttando anche il suo eccezionale potere derivato dal frutto Ope Ope.
Bepo stava per fargli un’ulteriore domanda quando udirono la porta della sala aprirsi completamente, un lettino a rotelle stava venendo spinto verso la camera della paziente, portando con se un groviglio di fili e tubi.
Sulla soglia della porta ancora aperta c’era il capitano che stava asciugandosi le mani con una salvietta di carta, visibilmente stanco ma soddisfatto, sfoderava uno dei suoi meravigliosi sorrisi sinistri.
Vedendolo i piarti Heart non poterono trattenere un grido di gioia.
 
Dopo essersi lavato, cambiato e rifocillato, Law diede un piccolo resoconto ai suoi compagni riguardo all’intervento chirurgico che aveva appena terminato di eseguire.
Nel salottino tutti lo ascoltavano seduti intorno a lui.
I due focolai del virus erano stati rimossi, ora era necessario attendere la reazione dell’organismo della paziente all’operazione sia nel senso materiale sia nella produzione di anticorpi.
Era stato evidente infatti che il virus stava reagendo al farmaco nr.2 mutando e divenendone immune, era perciò molto importante capire se effettivamente la rimozione fisica dei serbatoi era sufficiente per eliminare il batterio o se questi si sarebbe potuto riformare anche in piccola parte.
Il dottore però aveva già pensato a quest’ultima ipotesi creando, in base ai risultati delle analisi delle biopsie effettuate in precedenza, un mix di farmaci da fare assumere alla ragazza in modo da farle produrre anticorpi in grado di debellare qualsiasi possibile ritorno del virus, anche se improbabile.
“Penguin ci ha detto che ha perso molto sangue…..”, Bepo era seduto sul pavimento a gambe incrociate.
“Sì, è vero…il suo corpo è molto debole, spossato dagli attacchi che ha subito perciò appena ho iniziato con la seconda asportazione c’è stata un’emorragia”, il medico fece per alzarsi, “vado a riposare. Se ci sono problemi chiamatemi”.
Assicurandogli che l’avrebbero fatto, i nakama tornarono ai rispettivi compiti.
 
Il mattino dopo la ciurma era notevolmente più riposata, capitano compreso.
Con una camicia a maniche corte nera e i pantaloni azzurri a macchie nere, aveva un aspetto decisamente migliore rispetto la sera precedente.
La colazione abbondante e gustosa di Jasper composta da uova fritte, bacon, pane abbrustolito, prosciutto, marmellate, brioche calde, caffè e tè mise tutti di buon umore, aumentando le chiacchere e la voglia di scherzare.
Quando la tavola fu sparecchiata, Law andò a dare un’occhiata alla paziente.
Nella sua stanza il monitor medico stampava tabulati pieni di linee e numeri, le flebo gocciolavano lente e il dispositivo per l’ossigeno emetteva un leggero sibilo.
Tutto il resto era immobile e silenzioso.
Gwennie giaceva inerte nel letto bianco, avvolta nel lenzuolo che la copriva fin sotto alle braccia le quali erano nude per permettere ai numerosi tubicini delle flebo di essere inseriti.
I capelli castani erano sparpagliati sul cuscino, incorniciando un volto pallido e ceruleo, le palpebre chiuse avevano un colore leggermente violaceo e delle pesanti occhiaie scure erano comparse sotto gli occhi.
Difficile paragonare quella fragile figura alla ragazza che un paio di giorni prima si stava allenando sul ponte con il vento tra i capelli e il sole che le baciava il viso, piena di energia e sorridente.
Controllando gli stampati, il dottore notò immediatamente che l’organismo della giovane paziente stava rispondendo bene alla terapia anche se con difficoltà, il suo corpo già provato dalla malattia aveva subito un’importante operazione perdendo una notevole quantità di sangue.
La mascherina di plastica trasparente si appannava regolarmente, la respirazione sembrava non presentare nessun tipo di problema.
Non potendo far altro che aspettare il suo risveglio, Law girò sui tacchi tornando nella sua stanza, avrebbe riposato un altro po’.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
L’operazione sembra terminata…adesso non ci rimane altro che aspettare la ripresa della nostra protagonista!
Ringrazio ancora una volta chi continua a seguirmi in modo costante! Non sapete quanto mi fate felice!!!
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 14
*** Cosa mi Combini? ***


Gwennie riprese coscienza a gradi.
Subito non desiderava svegliarsi, il torpore caldo la faceva stare bene.
Successivamente il calore si disperse ed iniziò ad avere freddo, contraendo i muscoli per rispondere al gelo che provava, sentì la prima fitta di dolore al fianco.
Il dolore si propagò velocemente anche dall’altro lato cingendole la vita in una morsa violenta, facendole pensare di essere stata azzannata da una bestia feroce.
Cercando di rilassarsi si rese conto che più stava ferma meno dolore sentiva, perciò fece del sui meglio per rimanere immobile, dopo qualche minuto privo di fitte dolorose decise di aprire gli occhi.
Un ammasso di tubicini collegati a diverse flebo correva verso il suo corpo, alcuni di essi sparendo sotto alle lenzuola, altri completando il loro percorso arrivando al suo braccio.
Portava la mascherina per l’ossigeno, ne sentiva la fastidiosa presenza sul viso.
D’un tratto il dolore che aveva provato poco prima ricomparve, intenso e bruciante le fece passare completamente la sensazione di freddo che aveva avuto.
La porta della stanza si aprì delicatamente, il medico era arrivato per visitare la paziente.
Vedere Law davanti a lei, così vicino che avrebbe potuto toccarlo se avesse allungato la mano, le fece versare una lacrima di sollievo, la sua sola presenza era rassicurante.
“Come ti senti?”, il chirurgo controllò i tabulati.
Gwennie cercò la voce senza risultato, la gola era talmente secca da non permetterle di parlare.
Law le scostò la mascherina posando un bicchiere di acqua alle sue labbra, ne fece cadere solo qualche goccia ma la ragazza ne sentì immediatamente gli effetti benefici riuscendo a muovere i muscoli della bocca che erano rimasti intorpiditi.
“Mi fa male il fianco”, balbettò con la voce di un uccellino.
Posando il bicchiere il dottore la rassicurò informandola brevemente sullo svolgimento dell’operazione.
“Ti senti particolarmente stanca o hai nausea?”, abbassando il lenzuolo e scoprendole il fianco destro, rimosse la camicia di carta per controllare lo stato della ferita.
La pelle era perfetta e non c’erano segni di emorragia interna.
“Non ha nausea ma sono molto stanca….”, le parole erano un sussurro.
Gli occhi grigi di Law guardarono diretti in quelli verdi di lei, era veramente spossata, faticava a tenere le palpebre aperte.
“D’accordo, riposati adesso”.
Dopo aver regolato il flusso di una flebo, il medico lasciò la stanza.
 
In salotto regnava una cagnara superiore ai normali standard, tutti parlavano insieme sovrapponendosi e creando una babele di voci assurda.
Il capitano mise un freno alla confusione, “Che succede?”.
Mario, aiuto navigatore, informò Law del fatto che la nave misteriosa che nei giorni precedenti era stata loro alle calcagna, non aveva dimostrato di voler tornare ad inseguirli.
“Come sta la signorina, capitano?”, Bepo aveva fatto la domanda a nome di tutti i nakama.
“Le ore in più che ha trascorso in sala operatoria l’hanno messa a dura prova, è molto stanca e fatica a riprendere energia. Adesso sta riposando, andrò a controllarla dopo cena”.
Le notizie non propriamente buone lasciarono la ciurma senza parole, l’allegria che poco prima aveva riempito la stanza era come svanita e il silenzio era tornato pesante su di loro.
 
Gwennie sentì muovere il suo braccio, ma non era stata lei a volerlo fare.
Allarmata spalancò gli occhi.
“Ferma, non muoverti”, Law stava cambiando la valvolina per le flebo che aveva inserita nell’arto.
Obbediente, la ragazza non aveva mosso un muscolo fino al via libera del dottore.
Chiuse gli occhi, il fianco le doleva in modo aggressivo, pulsava regolarmente dando l’impressione che la pelle fosse tirata come un palloncino gonfiato troppo.
Il chirurgo le chiese come si sentisse.
“Mi fa male il fianco…”, la vocina lamentosa.
Non era da lei lamentarsi, il che significava che il dolore doveva essere veramente molto forte.
“Devo controllare la ferita. Ti chiedo di sopportare il dolore stando ben ferma”, aveva indossato dei guanti di lattice sterili.
Facendo appello a tutta la sua forza interiore, Gwennie strinse i denti mentre il medico le palpava leggermente la zona interessata dall’intervento.
Quando, infine, si alzò dimostrando di aver terminato, la ragazza tirò un sospiro di sollievo.
“Come mai mi fa così male se hai usato i tuoi poteri?”, non ricordava che i bambini di Punk Hazard avessero lamentato dolori dopo che Law gli aveva tolto dal corpo gli stimolanti.
“Ho preferito andare sul sicuro e darti qualche punto di sutura interno per evitare qualsiasi tipo di emorragia, la zona che fungeva da serbatoio era molto irrorata di sangue”, il dottore la vide sbiancare all’arrivo di una nuova fitta dolorosa 
La paziente annuì faticosamente, la fronte imperlata di sudore freddo.
Lui le disse che i punti sarebbero stati assorbiti nel giro di un paio di giorni e che quindi dopo non avrebbe più sentito dolore.
“Grazie…”, aveva balbettato lei in risposta, parlare le costava molta energia.
Avendo terminato il controllo, il medico raccomandò alla paziente di riposare il più possibile, successivamente lasciò la stanza.
 
Uscendo Law per poco non andò a sbattere contro ad Orca che stava attendendo in corridoio.
“Capitano!”, camminavano uno di fianco all’altro dirigendosi verso la sala da pranzo, “abbiamo identificato la nave che ci aveva avvicinato l’altro giorno. Sembra della Marina ma non ha dato segno di voler ritentare l’attacco!”.
Law aveva annuito soddisfatto, probabilmente questo accanimento da parte della Marina era dovuto al suo tradimento verso la Flotta dei Sette, quando aveva deciso di stringere un’alleanza con Mugiwara.
Jasper aveva preparato del caffè e non appena il capitano entrò in sala da pranzo, si diede da fare per servirlo a tutti usando delle tazze colorate, mentre i nakama radunavano intorno a lui in modo da formare un cerchio.
Il medico sedette ed iniziò a spiegare ai suoi compagni cosa sarebbe accaduto a breve.
“Abbiamo due incombenze adesso, la prima è tornare a Zou in modo da riunirci con i nostri alleati, i Mugiwara, la seconda è quella di monitorare la situazione della paziente”, porse lamento Spettrale a Bepo il quale, compito come sempre, la prese in custodia.
La strategia era molto semplice, era necessario prepararsi ad una possibile offensiva contro l’imperatore tenendo conto però che, secondo gli ultimi aggiornamenti ricevuti da Cappello di Paglia, stava per essere coinvolta nella faccenda anche Big Mom.
Questo fattore avrebbe potuto giocare un enorme svantaggio contro di loro, infatti affrontare due imperatori nello stesso momento era una situazione decisamente da evitare.
“Tra qualche giorno ci dirigeremo nuovamente a Zou. Il nostro ritorno al sottomarino aveva l’unico scopo di salvare la vita alla ragazza che altrimenti sarebbe morta. In questo momento la sua situazione è abbastanza stabile perciò possiamo organizzare lo sbarco tra tre giorni. Preparate tutto il necessario”, il dottore aveva deciso.
I nakama si dichiararono d’accordo, iniziarono i primi preparativi.
 
Mentre la zona giorno del sottomarino fremeva di attività, l’infermeria era silenziosa ed immobile, come la paziente che vi era ospitata.
Da diverse ore Gwennie riposava indisturbata, circondata solo dal lieve rumore dell’ossigeno che affluiva nella mascherina trasparente e dalle gocce di medicinale che cadevano dalla flebo.
Alla destra del letto, su una sedia appoggiata al muro, era seduto, ormai da diverse ore, Law.
Quella ragazza lo aveva molto turbato, inizialmente il suo interesse per lei era stato strettamente medico in quanto si era accorto della sua malattia notando immediatamente qualcosa di strano in essa, arrivando finalmente a scoprire la natura del virus artificiale.
Era andato tutto perfettamente fino a quando non l’aveva vista piangere per lui.
Nella sua stanza, sul pavimento erano cadute lacrime trasparenti e brillanti, colme di affetto ma quelle stesse lacrime era come se fossero cadute anche sul suo cuore donandogli nuova vita, ottenendo l’effetto simile di una pioggia che cade su un prato inaridito dal sole eccessivo.
Da moltissimo tempo il dottore aveva chiuso le porte della sua anima ad ogni sentimento, era ovviamente affezionato alla sua ciurma, ma era decisamente una cosa diversa.
Dopo la morte della sua famiglia e di Corazon, aveva giurato che non avrebbe più rischiato di soffrire così.
Poi era arrivata lei, con quello sguardo curioso ed intelligente, senza timore della morte che la stava sfiorando pericolosamente ma spaventata invece dal pensiero che lui potesse essere ferito in modo grave.
Un bip riportò la mente del medico alla realtà, la paziente stava per svegliarsi.
Dopo qualche minuto, le palpebre gonfie della giovane si aprirono lentamente lasciando scoperti gli occhi verdi ancora cerchiati di viola, appena lei posò lo sguardo su di lui altri bip coronarono il momento.
Gwennie cercò invano di parlare ma, come la volta precedente, le labbra non rispondevano alla sua volontà tanto erano secche e immobili.
Law l’aiutò facendole bere un po’ di acqua.
“Grazie…ho tanta sete…”, la gola reagiva al flusso d’ossigeno aggiunto dalla mascherina facendole provare una sensazione di aridità intensa.
“E’ normale. Appena sarai più stabile potrai iniziare a mangiare e bere, per il momento ti sto idratando mediante flebo. Avverti disturbi particolari?”.
La ragazza ci pensò facendo un rapido resoconto dei doloretti che le facevano compagnia ma fu sorpresa quando realizzò che la zona suturata non le doleva più, le provocava solo un leggero fastidio.
Lo disse entusiasta al chirurgo.
Lui non riuscì a reprimere uno dei suoi sorrisi sinistri, “Te lo avevo detto no? I punti sono stati assorbiti ciò significa che il tuo organismo sta reagendo bene all’intervento”.
Un leggero velo roseo apparve sulle guance della giovane, contemporaneamente abbassò lo sguardo puntandolo verso le mani abbandonate in mezzo alle lenzuola.
Era in imbarazzo, come sempre quando lui le parlava.
Gwennie, con il calore del suo amore, stava inconsapevolmente sciogliendo il ghiaccio che si era creato nel cuore del dottore.
 
Due giorni dopo Gwennie fu in grado di mettersi seduta sul letto per pranzare in modo completo.
Il piatto preparato apposta per lei da Jasper, a base di polpette di carne, purè di patate e contorno di insalata poco condita, era un toccasana per lo stomaco indebolito della ragazza.
Gli effetti dell’assunzione di cibo furono immediatamente evidenti, le guance presero colore e le occhiaie viola divennero più leggere, formando solo un vago contorno.
Le fu permesso di mettersi in piedi e provare a camminare.
La paziente, reggendosi all’asta della flebo che aveva ancora inserita nel braccio, passeggiò piano per tutto il corridoio del sottomarino, arrivando al salottino felicissima per l’impresa appena compiuta.
Tornare in camera era stato faticoso ma ciò non aveva intaccato minimamente la gioia che provava: stava benone, il virus non era più una minaccia per lei, avrebbe vissuto e affrontato mille avventure con i suoi compagni senza più dolori o attacchi nei momenti meno opportuni, avrebbe combattuto con tutte le sue forze contro i nemici contribuendo alle vittorie, inoltre, cosa più importante di tutte, Law aveva promesso di studiare il virus in modo da poter creare un vaccino.
Soddisfatta ma stremata, una volta entrata in camera disdegnò il letto scegliendo invece di rimanere seduta sulla sedia, il fianco le dava una sensazione simile a dolore ma non sufficientemente intenso per essere definito tale.
Dopo qualche minuto di riposo fece per rialzarsi ma non ci riuscì, era come se le gambe non rispondessero al suo comando tanto erano stanche, attese ancora prima di fare un nuovo tentativo ma fu inutile, il tremore causato dalla debolezza era notevole e non le permetteva di mettersi in piedi.
Afferrò il campanellino per chiamare qualcuno e farsi aiutare, le seccava molto ma non aveva altra scelta, qualche secondo dopo arrivò Orca.
“Tutto bene Gwennie?”, era strano che avesse suonato.
La ragazza gli spiegò il piccolo problema che aveva, lui la aiutò a raggiungere il letto e a sdraiarsi ma attese prima di tornare in sala di controllo, voleva essere sicuro che stesse bene, le sembrava molto affaticata.
“Sto bene, sono solo stanca….ho esagerato po’ oggi….ho camminato tanto….”, le palpebre si abbassavano sempre di più fino a rimanere del tutto chiuse, si era addormentata.
Rassicurato, Orca la lasciò riposare tranquilla.
 
Quella notte Gwennie ebbe un gran freddo, si avvolse le calde coperte intorno al corpo in modo da bloccare il forte tremito delle sue gambe.
Il piumino morbido l’aiutò: non tremava più ma in compenso le facevano male tutte le articolazioni, le ginocchia sembravano infuocate e le pareva di avere dei cani feroci che le mordevano i muscoli dei polpacci.
Rotolò nel letto per un bel po’ incapace di svegliarsi dal tutto da quel suo sonno travagliato, poi iniziò a sentire caldo, tanto caldo da farla sudare.
Si liberò della coperta rimanendo sul letto solo con il pigiama, il che le provocò un brivido che la scosse tutta continuando però ad annaspare.
Udì una voce familiare provenire dalla sua destra, almeno così le sembrava e si rese conto in quell’istante che la luce della sua stanza era stata accesa.
“Ha la febbre alta”, era la voce di Law.
Parlò ancora ma Gwennie non riusciva a comprendere le parole, erano confuse e si fondevano con dei frammenti di sogni che forse stava facendo, era impossibile dirlo.
Qualcosa di fresco e umido le fu posato sulla fronte, la ragazza provò un sollievo istantaneo, era come se l’acqua che le sembrava bollire dentro alla testa avesse smesso di agitarsi donandole un po’ di tregua dal dolore pulsante che sentiva sulle tempie.
“Rimarrò qui io è la cosa migliore, de dovesse peggiorare sarò pronto ad intervenire”, era ancora lui, stava parlando con qualcuno.
Un rumore sordo le fece intuire che la porta della stanza fosse stata chiusa, erano rimasti soli.
“Cosa mi combini?”, il medico armeggiava con il braccio sinistro di Gwennie cambiandole la flebo.
La giovane avrebbe voluto rispondergli ma si sentiva come immersa in un liquido vischioso che le impediva sia di muoversi che di parlare e sentire in modo chiaro ciò che le accadeva intorno, le voci erano distanti e confuse.
Un rumore simile ad una sedia che veniva trascinata sul pavimento, un piccolo tocco sul braccio ed infine la sensazione di averlo lì accanto a lei la fece rilassare tanto da farla sprofondare in un sonno tormentato.
 
Gwennie aprì gli occhi all’improvviso come se qualcuno le avesse premuto il tasto ON, non ci fu un risveglio graduale ma passò direttamente dall’incoscienza allo stato vigile.
La testa non le doleva più mentre le gambe erano ancora un po’ ammaccate, iniziò a ricordare i fatti della notte precedente, aveva avuto la febbre o almeno era quello che aveva sentito Law dire.
Già Law, dov’era finito?
Lì con lei c’era Mario che stava peraltro ronfando in modo piuttosto rumoroso, emetteva sbuffi regolari simili a quelli di un vecchio treno in corsa, Gwennie non poté trattenere una risatina.
Non molto tempo dopo vide passare in corridoio Bepo, cercò di attirarne l’attenzione agitando il braccio, le sarebbe dispiaciuto di svegliare l’aiuto navigatore.
L’orso la notò ed entrò.
“Shhh! Sembra molto stanco!”, additò Mario il quale non diede segno di volersi destare.
“Buongiorno signorina, come ti senti? Ci hai fatto molto preoccupare stanotte”, il navigatore era un vero peluche quando voleva.
“Mi dispiace Bepo. Sto meglio, grazie. Dov’è Law? Vorrei parlargli….”, Gwennie aveva sentito le guance che prendevano colore mentre nominava il dottore.
“Sta facendo colazione adesso. Ha insistito per vegliare su di te fino a che non ti fosse scesa la febbre perciò è andato a letto verso l’alba. Appena possibile gli chiederò di venirti a far visita”.
La giovane ringraziò Bepo, la mente completamente invasa da mille pensieri:
….ha insistito per vegliare su di te….
…..quindi ci tiene a me?
Ma certo sono una sua paziente…
O forse c’è qualche altro motivo?
Gwennie non fantasticare, sii realista!
Ma se invece….
Oddio che scema che sono a fantasticare così, devo solo pensare a guarire e…..
…..è rimasto accanto a me tutta la notte!!!!
Basta, devo riprendermi!
Adesso verrà qui e gli chiederò come mai ho avuto la febbre…..
…..verrà qui e gli chiederò…..
…..verrà qui e…..
….verrà qui….
Gwennie sembri una ragazzina alle prese con la sua prima cotta! Datti un contegno!
Già un contegno….ma poi vedo quei due occhi…
….che ci posso fare se lo amo pazzamente?
 
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
La nostra protagonista finalmente si sveglia, ma purtroppo il decorso post operatorio non va come sperato.... (T.T) ….tuttavia sembra proprio che l’ermetico chirurgo non sia proprio del tutto indifferente alla sua paziente… :D
Vi aspetto la prossima settimana con dei nuovi sviluppi!
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 15
*** Hai detto che... ***


Dopo aver rimosso il serbatoio del virus, Law aveva pensato di concedere un po’ di tempo all’organismo debilitato di Gwennie per riprendersi dall’operazione prima di iniziare la terapia ideata per prevenire nonché combattere qualsiasi tipo di ripresentazione da parte del VDM-03.
Tuttavia la notte precedente aveva capito che non era possibile procedere secondo le tempistiche che si era prefissato: dopo che la paziente aveva manifestato una febbre alta così violenta, il medico aveva eseguito una fluorescenza per contrasto individuando una piccola concentrazione del virus che stava cercando di moltiplicarsi per riuscire ad invadere nuovamente il corpo dell’ospite.
Era stato quindi costretto ad iniziare subito con la terapia farmacologica tramite fleboclisi per ottenere un effetto più rapido, nel giro di poche ore infatti le poche tracce del morbo erano nuovamente scomparse.
Law non aveva mai avuto a che fare con un agente patogeno così aggressivo tanto quanto resistente, anche dopo la completa asportazione del 99% delle particelle infette, aveva tentato ugualmente di riprodursi e in tempi rapidissimi peraltro.
Gwennie aveva sentito le parole del medico mentre le aveva riassunto brevemente quello che era accaduto durante la notte precedente, lei aveva ascoltato ma davvero era stata un’impresa molto difficile: quel giorno il dottore indossava una camicia a maniche lunghe grigia, la quale risaltava lo stesso colore dei suoi occhi e pantaloni neri sempre con macchiette grigie di un tono un po’ più scuro, nel complesso era sempre più affascinante soprattutto quando, come in quel momento, non indossava il suo cappello facendo bella mostra dei suoi bei capelli neri tutti scompigliati.
Si era ripromessa di non volersi imporre nel cuore di Law se lui non avesse voluto ed intendeva mantenere il suo proposito, ma averlo così vicino sentendosi scoppiare il cuore per la voglia di stringerlo era una cosa quasi impossibile da tenere sotto controllo.
“…quindi ho già iniziato a somministrarti il mix di farmaci necessari, all’inizio ti butteranno parecchio giù ma poi ti ci abituerai e riprendendoti non ne avrai più bisogno….tutto chiaro?”, teneva la immancabile spada appoggiata alla spalla.
“Certamente, grazie. Seguirò ogni tua prescrizione alla lettera”, gli era molto grata.
“In laboratorio sto procedendo con l’analisi del VDM-03. Appena avrò novità ti terrò informata”, stava uscendo, così Gwennie fece per salutarlo ma lui riprese a parlare, “….forse posso sembrare inopportuno ma devo farti una domanda”.
Cavolo.
Sembrava una cosa seria.
Accidenti.
“S-sì, certo dimmi pure, se posso essere d’aiuto….”, apnea in corso.
Il sorriso sinistro più bello che Law potesse sfoderare si era materializzato sul suo viso allargandosi sempre più man mano che le parole gli uscivano dalle labbra.
“Beh ecco, volevo sapere se era vero ciò che hai detto stanotte, mentre avevi la febbre alta…di solito non sono un tipo così curioso ma stavolta non posso farne a meno…”, alzò le spalle.
Una sensazione di panico mista a sollievo si fece largo nel petto della paziente: febbricitante e delirante che cosa avrebbe mai potuto dire di tanto interessante?
“Oh, che cosa avrei detto?”, però non era molto tranquilla adesso.
Law si avvicinò mettendosi ai piedi del letto, la guardò dritto negli occhi cogliendo un leggero rossore sulle gote ancora provate per la recente febbre.
Sorrise tra sé.
“In verità hai detto molte cose, ad esempio che ti mancano la tua casa e tuo padre, che ti piace Bepo perché è morbido, che seguirai Mugiwara-ya finché avrai vita….”, una paonazza Gwennie lo ascoltava torcendosi le mani, “…ma la cosa che hai ripetuto diverse volte è che mi ami più di ogni altra cosa al mondo, anche della tua stessa vita…”.
Se fossero stati i protagonisti di un fumetto dietro ai disegni di questa scena ci sarebbe stata la scritta “DOOON!” oppure se questo momento fosse stato il perno di una puntata di qualche soap opera ci sarebbero stati diversi primi piani dove i protagonisti rimanevano ammutoliti mentre il volume della motivetto di sottofondo sarebbe proporzionalmente aumentato.
Ma non erano in queste due situazioni, si trovavano l’uno di fronte all’altra in una stanza di degenza nel sottomarino giallo dei pirati Heart.
Lei abbassò lo sguardo, in fondo aveva anche desiderato dirgli ciò che provava.
“E’ la verità. Ma posso assicurarti che io non….”, un gesto di lui la interruppe.
“Hai riposto alla mia domanda, non è necessario che tu mi dica altro. Riposati, passerò più tardi per darti un’occhiata”, sollevò la mano in gesto di saluto.
Quando fu sola Gwennie scoppiò in un pianto disperato, aveva forse perso per sempre anche la sua amicizia?
 
Calò la sera.
Gwennie stava meglio fisicamente ma era caduta in uno di profonda tristezza, aveva pensato tante volte a come gestire questo suo ingombrante sentimento e alla fine aveva deciso di tenerselo per se in modo da non mettere in una posizione difficile Law, ma soprattutto in modo da non rovinare il rapporto che aveva con lui.
Si sarebbe fatta bastare quelle poche battute che si scambiavano, a lei importava di più che lui vivesse felice e soddisfatto la sua vita come meglio avrebbe preferito, ma ora stava rischiando di perdere anche quello.
In quelle ore che aveva trascorso da sola, la ragazza aveva maledetto la sua boccaccia, rea di aver creato quella situazione inverosimile.
Sospirando per la millesima volta si alzò dal letto per andare in bagno afferrando la pallottola enorme di fazzolettini di carta usati che aveva inzuppato per tutto il pomeriggio ottenendo due occhi rossi e gonfi da far spavento.
Davanti al lavandino si gettò l’acqua fresca sul viso più volte, tornando con la memoria a quel momento rievocato dal gesto che aveva appena compiuto, qualche mese addietro a bordo della Going Rufy Senpai di Bartolomeo: quante cose erano cambiate!
Alzò la testa dopo essersi asciugata il volto con la salvietta pulita evitando forzatamente di guardarsi allo specchio nuovamente.
I capelli erano pietosi dopo la nottataccia che aveva trascorso ma al momento le era proibito qualunque sforzo fisico non strettamente necessario così quel giorno non era le era possibile fare uno shampoo: spazzolò la chioma raccogliendola in una coda alta facendo successivamente una treccia che sigillò usando un altro elastico.
Abbastanza soddisfatta tornò a letto, preparando la scatola dei fazzolettini vicino al comodino in modo sa poterli usare facilmente non appena la tristezza avesse bussato di nuovo alla sua porta, ma invece a bussare fu qualcun altro.
“Avanti…”, la voce stanca.
L’impareggiabile Bepo era sulla soglia, reggeva il vassoio con la sua cena, vedere l’orso che sentiva tanto amico un po’ più di tutti gli altri la fece commuovere leggermente ma riuscì a trattenersi.
“La cena, signorina. Jasper si raccomanda di mangiare tutto”, un piccolo inchino mente posava sulle ginocchia della paziente il pasto fumante.
Lei lo ringraziò mentre il navigatore si sedeva sulla seggiola che stava accanto al letto, quando le portava lui la cena desiderava sempre tenerle compagnia mentre mangiava.
“Signorina sei triste, cosa succede?”, aveva notato gli occhi arrossati intuendo che probabilmente doveva aver pianto.
Non era da lei deprimersi per un piccolo peggioramento.
Le lacrime che prima era riuscita a trattenere ora scesero abbondanti dagli occhi lucidi della ragazza, quella domanda aveva rotto il sottile autocontrollo che era riuscita ad imporsi, scusandosi con l’orso si asciugò gli occhi.
“Mi dispiace Bepo non dovevo piangere così….”, era peggio di una bambina.
Confuso, il visone la guardò provando tenerezza, le sembrava così fragile in quel letto bianco così grande.
“Non preoccuparti, posso alleviare la tua pena?”, doveva rialzarle in morale dicendo qualcosa di positivo, “sai il capitano non vorrebbe vederti così…”.
Lei alzò la testa interessata.
Bepo capì di aver toccato il tasto giusto.
“Per lui sei importante, non occorre che te lo dica io….”, continuò, “non avrebbe fatto tutto questo se non ci tenesse a te. Perciò non preoccuparti di niente ci siamo qui noi per aiutarti e proteggerti finché desidererai omaggiarci con la tua compagnia”.
Davvero era come diceva l’orso bianco?
Forse….forse prima della notte precedente, ma ora….
“Grazie Bepo, sei sempre il migliore”, gli diede un buffetto sulla guanciona pelosa, gli voleva davvero molto bene.
 
Bepo si avviò verso la cucina con il vassoio dove giacevano gli avanzi della cena della paziente che infatti non aveva mangiato molto.
Jasper appena lo vide lo tempestò di domande sul motivo che aveva spinto la ragazza a non consumare completamente il suo pasto, non trovando però risposte.
Law, ancora seduto a tavola come tutti gli altri, aveva assistito impassibile a tutta la scena ma dentro celava un urgano di emozioni.
Da tempo aveva capito di provare qualcosa per Gwennie ma era riuscito a reprimere tutto dicendosi che il suo interesse era assolutamente di scopo medico, in realtà non faceva altro che mentire a se stesso.
La freschezza della giovane lo aveva toccato nel profondo, risvegliando in lui sentimenti che credeva di aver perduto per sempre in mezzo alle macerie fumanti di Flevance e tra i fiocchi di neve insanguinati che erano caduti sull’isola di Minion, tredici anni prima.
Ma ecco che all’improvviso era arrivata lei.
Un conflitto interiore deteriorava il medico da diverso tempo: gli era concesso ti tornare ad amare qualcuno o il destino se lo sarebbe portato via di nuovo?
Sarebbe riuscito a proteggerla adeguatamente?
Lei avrebbe mantenuto quel sentimento o si sarebbe spento cozzando contro i lati affilati del carattere di Law che era stato modellato da tante sofferenze?
Avrebbe avuto il coraggio di rischiare sapendo quanto lancinante era il dolore che si provava per la scomparsa di una persona tanto cara?
Troppe domande senza una risposta.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Questa settimana abbiamo un piccolo colpo di scena: Gwennie si è inconsapevolmente dichiarata al suo adorato dottore.
Che effetti avranno le sua parole sui sentimenti del chirurgo?
I risvolti saranno positivi, oppure….
Al prossimo capitolo!
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 16
*** Come back to Zou ***


Prima di andare a coricarsi Bepo fece capolino sulla porta della stanza di Gwennie, “Tutto bene signorina?”.
Lei non stava ancora dormendo, la luce fioca della lampada da tavolo illuminava le pagine del libro che teneva aperto in grembo.
“Certo Bepo, sto bene...”, con la mano lo aveva entrato ad invitare.
L’orso era imbarazzato, il capitano aveva comunicato alla ciurma una decisione importante e lui aveva avuto il compito di dirlo anche alla paziente, la quale non l’avrebbe sicuramente presa nel migliore dei modi.
Via il dente, via il dolore pensò l’orso mentre prendeva coraggio.
“Signorina noi domani torniamo a Zou…il capitano dice che tu dovrai rimanere qui. Non sarai sola, Jasper ti terrà compagnia, cucinerà per te e ti aiuterà se avrai bisogno”.
La bocca di Gwennie si aprì lentamente.
Che cosa? Tornavano a Zou e Law voleva lasciarla lì?
Non se ne parlava nemmeno, doveva subito discuterne con il dottore.
“Bepo per favore puoi chiedere al capitano di venire qui?”, cercò di modulare la voce in modo che non si capisse a che livello era la sua irritazione.
Quando l’orso uscì, la giovane inspirò profondamente un paio di volte per calmarsi, non doveva essere aggressiva, in fondo sicuramente l’idea di lasciarla lì era stata pensata per darle la possibilità di trascorrere una convalescenza tranquilla.
Era abbastanza calma quando Bepo fece ritorno, qualche minuto dopo.
“Il capitano dice che non è cosa da discutere. Tu rimarrai qui e basta. Parole sue….”, era arrossito.
Gli sforzi che la giovane aveva compiuto fino a quel momento furono travolti da tutta la rabbia che aveva provato a controllare, come poteva Law permettersi di prendere una decisione del genere e nemmeno dirgliela di persona?
Pregò Bepo di lasciarla sola, il navigatore chiuse la porta alle sua spalle dopo essere uscito.
 
Una volta sola, la ragazza preparò un paio di jeans chiari, una maglioncino nero con la scritta BAD GIRL e scollo ampio rotondo, la cinturona nera in pelle con l’aggancio per il chakra e i suoi stivaletti preferiti, comodi e pratici in ogni occasione anche loro neri.
Prese un cambio di biancheria pulito e si diresse verso il bagno, avrebbe fatto una doccia veloce, non poteva rischiare di rimanere in acqua troppo a lungo sentendosi male.
L’acqua calda la rinfrancò, la pelle sembrava essere tornata a respirare e i cerotti che avevano tenuto fermi i tubicini delle numerose flebo che aveva fatto, erano stati vinti dal sapone scivolando via.
Una volta asciugata e vestita, Gwennie pettinò i capelli in quel momento ostinatamente ribelli nell’unico modo che poteva domarli, li raccolse dietro la nuca in una cosa alta e li arrotolò formando un piccolo chignon.
Infilando il pigiama però sentì una piccola fitta al fianco destro, si era sforzata troppo così si sedette sulla poltrona chiudendo gli occhi.
Lo sguardo di suo padre la venne a trovare in modo tanto nitido da farla sussultare, era lì davanti a lei mentre la supplicava di non sprecare il virus semplicemente distruggendolo, ma di studiarlo per prevenire un futuro dispendio di vite innocenti.
“Papà siamo in ottime mani….”, sussurrò al suo ricordo e un’inevitabile lacrima le bagnò la guancia.
 
Il mattino seguente il sole era una palla di fuoco arancione che faceva capolino in mezzo alle nubi basse le quali si fondevano con il mare calmo e piatto come una tavola azzurra, era l’alba quando i pirati Heart raggiunsero Zou aiutati dalla vivre card di Cappello di Paglia.
Gwennie si presentò sul ponte assieme agli altri, appena la vide Law le chiese cosa stesse facendo lì.
“Vengo con voi!”, il tono della ragazza era deciso.
Il medico la squadrò, era evidente che si era preparata per un possibile scontro, il chakra luccicante faceva bella mostra di se legato alla cintura che portava in vita.
Era senz’altro migliorata molto nelle ultime ore, complici anche l’assorbimento dei punti interni le trasfusioni di sangue che aveva ricevuto, ma era molto pericoloso portarla con loro, la sutura avrebbe potuto riaprirsi con conseguenza minima un’emorragia interna.
“Credevo che Bepo ti avesse detto che questa non è una scelta che puoi fare tu…..rimarrai qui e basta….”, il tono tagliente come un rasoio.
La ragazza ci rimase molto male, la cosa fu notata dai nakama che stavano portano i loro zaini sul ponte assieme alle scorte alimentari e alle attrezzature per la notte.
Penguin sussurrò qualcosa all’orecchio di Orca il quale annuì e parlottò anche con gli altri, in pochi minuti rientrarono tutti in cabina lasciando soli il capitano e la paziente.
“Non posso, lo sai….”, la voce di lei era un sussurro mentre si torceva le dita sottili fino a farle diventare quasi bianche.
Da quando Gwennie si era inconsapevolmente dichiarata a Law, aveva avuto una crisi di sconforto, temeva di aver perso totalmente anche l’amicizia del dottore.
Tuttavia si era ripromessa di fare una cosa: avrebbe goduto al massimo della vicinanza che poteva avere momentaneamente con il pirata, dopodiché sarebbe tornata con la sua ciurma lasciandolo libero di seguire il suo sogno.
Il pensiero la faceva star male ma era la cosa migliore da fare.
Ignaro dei pensieri che stavano frullando nella mente della paziente, il chirurgo strinse più forte la spada che teneva in mano, era mai possibile che stesse accadendo proprio quello che aveva temuto di più?
Cercò di calmarsi.
Avrebbe potuto farla a pezzi nascondendoli successivamente in posti diversi in modo da impedirle di partecipare allo sbarco ma guardandola capì che sarebbe stata capacissima di cercarli tutti per poi inseguirli a Zou, inoltre dopo l’intervento che aveva subito era meglio tenerla tranquilla il più possibile.
Il dottore sospirò, doveva ammettere che averla con loro era un’idea che lo rassicurava di più invece che immaginarla nel sottomarino con solamente Jasper a proteggerla.
“D’accordo puoi venire ma ad una condizione, non combatterai e ti lascerai portare da Bepo”.
Gwennie aveva uno dei più raggianti sorrisi sul viso, la sua intera figura brillava di felicità, “Grazie, ti prometto che non combatterò se non sarà strettamente necessario e mi farò portare sempre da Bepo!”.
Era talmente piena di gioia che istintivamente corse, in modo un po’ goffo per via della ferita, verso Law e lo abbracciò cingendogli il petto, quello sarebbe stato un ricordo che avrebbe portato per sempre nel suo cuore.
Ma anche per il medico fu un’esperienza unica: il profumo dei capelli di lei mescolato alla dolce fragranza di vaniglia che la circondava lo investì in pieno lasciandolo privo di qualsiasi tipo di difesa, il cuore iniziò a battergli leggermente più rapido, per un momento fu tentato di stringerla a se ma scacciò subito quel pensiero dalla mente.
Si schiarì la gola per rompere il silenzio.
La ragazza si scosse staccandosi da lui mantenendo sempre il sorriso di prima sulle labbra, fece un piccolo inchino e si precipitò a cercare Bepo.
 
Nel salottino del sottomarino, i nakama attendevano che il capitano e Gwennie avessero finito di parlare.
“Gwennie è una cara ragazza ma decisamente testarda!”, Jasper stava sfogliando un libro di cucina seduto sul divano.
Jean Bart si dichiarò d’accordo, si era accomodato sul pavimento a gambe incrociate, guardava altri due compagni mentre giocavano a carte.
“Aye aye, sì è testarda ma è mossa anche da un altro motivo secondo me….”, Bepo sgranocchiava un biscotto sdraiato a terra.
Le sue parole attirarono l’attenzione di Penguin, “Che vorresti dire Bepo?”.
L’orso finì di mangiare il suo dolce e fece spallucce.
Tutti i pirati drizzarono le orecchie abbandonando quello che stavano facendo, Orca aprì leggermente la bocca in un’espressione di delusione profonda.
Ma Bepo, dopo aver sbadigliato rumorosamente, si era addormentato lasciando sgomenti i suoi compagni, in effetti si era molto preoccupata quando il capitano era stato ferito ma d’altronde lo erano stati anche loro.
Penguin osservò Orca e gli diede una pacca sulla spalla, proprio qualche giorno prima l’amico gli aveva confidato di aver preso una cotta per Gwennie ed era mezzo intenzionato a chiederle una specie di appuntamento, ovviamente se ciò che voleva dire Bepo fosse stato quello che si erano immaginati, la cosa sarebbe diventata un’utopia.
Orca sospirò, non era mai stato fortunato in quelle cose.
D’un tratto la porta del corridoio fu aperta e comparve Gwennie, sprizzava felicità da ogni poro, raggiunse Bepo e iniziò a scuoterlo per svegliarlo.
“Bepo! Svegliati per favore!”, lo scuoteva ma l’orso ronfava alla grande.
Orca le si avvicinò suggerendole di smetterla, nemmeno una bomba lo avrebbe destato, si offrì di aiutarla al posto del navigatore.
La ragazza spiegò ai nakama che li avrebbe seguiti a Zou ma che aveva accettato di farsi portare da Bepo per non sforzarsi troppo.
“Non vi sarò d’intralcio lo prometto!”, si era inchinata leggermente.
Rassicurazioni da ogni dove raggiunsero le orecchie della ragazza la quale si sentì sempre più in debito per tanta ospitale gentilezza.
Li interruppe Law, “Se avete finito con i convenevoli sarebbe ora di sbarcare”.
Come marionette alle quali era stato tirato il filo, i pirati Heart scattarono all’unisono balzando in piedi, perfino Bepo si era svegliato.
 
Dopo qualche ora i pirati arrivarono presso le coste scoscese di Zou, Zunisha era stato felice di rivederli e si era prestato gentilmente ad aiutarli nel risalire.
La foresta lussureggiante dell’isola era meravigliosa, piena di vita e di uno splendido colore verde smeraldo che lasciava senza fiato chi lo ammirava.
Bepo portava senza difficoltà in spalla Gwennie che aveva accettato di buon grado questo compromesso, anche se ogni tanto si sentiva a disagio per il suo amico orso, era convinta di pesare troppo.
Orca aveva sbirciato più volte il viso della ragazza come per poterne leggere i pensieri più segreti, a lui non era parso di notare qualche indizio che potesse avvalorare la teoria di Bepo, decise che le avrebbe rischiato chiedendole un appuntamento.
Law era decisamente turbato, non gli capitava da molto di sentirsi in quel modo, le conseguenze del semplice abbraccio della giovane lo avevano lasciato basito, era stato il dolore di tante perdite subite nel passato, gli occhi del medico avevano visto bruciare la propria città, uccidere i propri cari devastando la sua esistenza in modo incredibilmente doloroso e indimenticabile, non sarebbe più riuscito a tornare ad essere come prima.
Era sicuro che quel malessere emotivo se ne sarebbe presto andato.
Intanto la paziente si era addormentata da qualche minuto, dopo aver sbadigliato un paio di volte aveva ceduto al sonno posando la testa sulla schiena confortevole di Bepo.
Il sole stava nascondendosi lentamente dietri gli alti alberi quando la carovana arrivò presso la Foresta della Balena dove li aspettavano impazienti i Mugiwara: erano tutti seduti intorno al Gatto Vipera ascoltando un suo racconto.
Il primo ad accorgersi dell’arrivo dei pirati Heart fu Zoro, il quale si alzò subito guardingo, ma focalizzando meglio gli intrusi si rilassò visibilmente.
“Traf! Orso parlante e tutti gli altri!”, Rufy aveva alzato il braccio agitandolo per salutarli.
Law fece un impercettibile cenno con la testa per ricambiare il benvenuto, i suoi nakama si liberarono dei pesanti zaini che stavano portando abbandonandoli sull’erba soffice.
Gwennie si svegliò lentamente, si sentiva intontita e molto stanca, avrebbe voluto continuare a dormire ma quando capì dove si trovava, ogni traccia di stanchezza la lasciò definitivamente: abbracciò forte Rufy per poi passare rapidamente ad ogni altro suo compagno di viaggio.
“Che bello vederti!”, Nami era felicissima, le sembrava che l’aspetto della sua amica fosse decisamente migliorato.
Ne seguì un rapido resoconto dell’operazione e delle conseguenze che avrebbe avuto per i prossimi mesi, ovvero due iniezioni al giorno di uno speciale mix di farmaci studiato appositamente per lei da Law in grado di aiutarla a riprendersi dalla malattia ma soprattutto evitare che essa potesse ripresentarsi.
Dopo i convenevoli i due capitani si consultarono sul da farsi e Rufy poté spiegare meglio al suo alleato la situazione che si era venuta a creare con Big Mom.
Mentre era in corso questa piccola riunione privata, i nakama si intrattennero tra di loro parlando e confrontandosi insieme.
Gwennie si era seduta per terra, nonostante non avesse mosso un muscolo per tutto il giorno, si sentiva terribilmente stanca e dolorante, le articolazioni non le davano tregua.
Alzò la testa al cielo inspirando a pieni polmoni, la ripresa sarebbe stata molto lenta.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Nuovo capitolo puntualmente pubblicato!!!
Leggetelo e fatemi sapere che cosa ne pensate! ;)
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 17
*** Calixte Aubert ***


Il galeone della Marina vagava senza meta a velocità molto ridotta, da quando avevano perso le tracce del sottomarino dei pirati Heart brancolavano vergognosamente nel buio, con grande disapprovazione del commodoro Sasaki che era furibondo.
Il capitano Leroy faceva del suo meglio per ritrovare il sommergibile ma al momento sembrava essersi come volatilizzato, anche utilizzando gli apparecchi di ultima generazione dei quali era stata fornita la nave poco prima della partenza, non aveva ottenuto risultati apprezzabili.
Mentre il marine stava consultando la strumentazione, nella sala di controllo entrò una donna: era molto bella, indossava un abito di un rosa brillante decisamente attillato e succinto, lasciava scoperte le lunghe gambe inguainate in stivali alti di colore bianco provvisti di tacchi vertiginosi.
La scollatura generosa era adornata da una catenina alla quale pendeva un ciondolo a forma di bambolina con tanto di vestitino rosa identico a chi la indossava, i capelli biondi erano capricciosamente ricci e arrivavano a toccare appena le spalle.
Leroy la guardò appena.
Contrariata la donna gli si avvicinò, il profumo che adorava mettere aveva già completamente saturato la stanza ma quando la ebbe accanto, Leroy sentì la fragranza aumentare stucchevolmente di intensità tanto era dolce: era una specie di mix tra fragole e zucchero filato, una cosa che dava il mal di testa da quanto era mieloso.
Al capitano di vascello Leroy, Calixte Aubert non piaceva affatto: era eccessiva in tutto quello che faceva, esibiva in modo arrogante e sfrontato la sua femminilità riuscendo a diventare anche volgare.
Sollevando lentamente lo sguardo il capitano si ritrovò davanti al seno della donna, la quale se ne stava tutta impettita a pochi centimetri da lui.
“Posso aiutarti Calixte?”, l’uomo usò un tono dal quale fece chiaramente trasparire la sua irritazione.
“Mph! Ti sembra il modo di trattare una signorina? Non mi stupisco che tu non abbia uno staccio di fidanzata…sei il classico maschilista!”, la voce di lei era fastidiosamente squillante.
Il motivo della presenza di Calixte sulla nave era un mistero per tutti, in primis per il commodoro Sasaki il quale la detestava con tutto se stesso, ma aveva ricevuto ordini precisi che lo obbligavano a portarla con loro durante la missione.
“Lasciami lavorare per favore, non ho tempo per chiacchierare con…voi…”, indicò la bambolina che pendeva dal collo della donna.
Calixte divenne paonazza e girò sui tacchi lasciando rumorosamente la stanza nel modo più rapido che le sue calzature le consentissero di fare.
 
Furibonda per l’onta subita, Calixte Aubert si diresse rapidamente verso la sala comunicazioni sbattendone violentemente la porta, non appena fu dentro la stanza afferrò un lumacofono assicurandosi che si trattasse di una linea sicura e chiamò il suo capo.
Una voce roca rispose stancamente.
“Oh finalmente ti trovo, sai quante volte ti ho chiamato durante l’ultima settimana?”, con la sua vocina stridula fece fischiare l’orecchio del suo interlocutore.
“Calmati, che succede?”, l’uomo pareva calmo.
“Questi idioti di marine sono degli incompetenti, si sono lasciati sfuggire il sottomarino da sotto al naso! Per quando dovrò rimanere qui? Il letto è scomodo e il bagno puzza, non ci sono asciugamani morbidi, il cibo è grasso e unto! Cosa ti serve la mia presenza qui?”, le labbra ricoperte di rossetto fucsia si erano mosse in modo rapidissimo.
“Te l’ho già spiegato no? Quando troverete la ragazza tu la prenderai in custodia per scortarla direttamente qui da noi, fra donne vi capirete senz’altro meglio. Inoltre tu saprai trattarla con la dolcezza necessaria, ti ricordo che si tratta di un carico prezioso, non dobbiamo arrecarle nessun tipo di danno che possa compromettere l’integrità del VDM-03”.
La donna sospirò.
In effetti nel precedente tentativo di catturare la figlia di King, il capitano Bakura aveva usato le maniere forti rischiando di fare saltare in aria l’unico campione esistenze del preziosissimo virus.
“D’accordo ma se lei fa resistenza? Sappiamo di cosa è capace…si è addirittura auto-inoculata il virus!”.
Dall’altro capo delle linea ci fu una pausa silenziosa, poi un colpo di tosse catarrosa ed infine un rumore simile ad un soffio.
“Ascolta, tu fai il possibile per portarla qui tutta intera, dobbiamo farle diverse domande ma se la cosa dovesse dimostrarsi impossibile sai come procedere vero?”, la voce maschile risuonò dall’apparecchio.
Un sorriso si distese sulle labbra rosa di Calixte: certo che lo sapeva, era esattamente quello che voleva sentirsi dire.
Rassicurò il suo capo e riappese, aveva ritrovato la sua tranquillità, adesso aveva soltanto bisogno di una tazza di tisana per distendere i nervi ancora provati per l’insulto ricevuto qualche tempo prima.
 
Leroy sbuffò lanciando la matita che aveva in mano sulla scrivania in un moto di rabbia.
Da diverse ore stava studiando le rotte possibili mediante le quali il sottomarino avrebbe potuto fuggire, constatando suo malgrado che le avevano già controllate tutte senza trovare traccia dei pirati.
Qualcosa gli sfuggiva, ne era certo ma in quel momento era troppo nervoso per riuscire a ragionare in modo lucido, i pirati latitanti e l’infelice uscita di Calixte lo avevano completamente scombussolato.
Non mi stupisco che tu non abbia uno staccio di fidanzata!
Che diavolo credeva di sapere quella lì?
I ricordi amari del comandante di vascello tornarono a pungergli gli occhi, il viso della sua dolce Mia mentre le dava un bacio sulla guancia prima di partire per una missione di routine, i capelli neri come la notte e gli occhi color onice con quel taglio particolare che la facevano sembrare una netsukè.
Se solo avesse saputo che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbero potuto vedersi….non sarebbe mai partito.
Il villaggio dove abitavano era stato distrutto da una banda di pirati senza scrupolo, i quali avevano prima derubato la popolazione inerme e poi si erano divertiti devastando le case eliminando senza pietà i pochi abitanti rimasti ancora in vita.
Leroy ricordava ancora le fiamme arancioni provenienti dal negozietto di prodotti per animali di Mia che bruciava dopo essere stato ricoperto di benzina, sulla soglia della porta che ardeva resisteva ancora appeso alla catenella di ferro il cartello con scritto BENVENUTI.
Per distrarsi e scacciare dalla mente quell’immagine, il marine afferrò la piccola foto sbiadita che avevano della figlia di King: la qualità dell’immagine lasciava molto a desiderare, evidentemente nel tentativo di non essere fotografata la ragazza doveva essersi mossa durante lo scatto e in questo modo il viso appariva abbastanza sfocato.
Si chiese quale scopo avesse la cattura di quella giovane, non gli erano stati forniti dettagli sulla missione e, a quanto aveva capito, nemmeno il commodoro Sasaki ne sapeva molto più di lui e la cosa non gli piaceva.
Sasaki era un uomo tutto d’un pezzo, aveva combattuto diverse battaglie sempre in nome della giustizia, quella missione era per lui l’equivalente di un insulto ma in ogni caso l’avrebbe portata a termine con successo in quanto quello era il suo compito.
Sospirando, Leroy riprese in mano la matita mettendosi di nuovo al lavoro.
 
La cena a Zou fu una splendida festa, c’erano cibo e bevande in abbondanza, inoltre i visoni erano molto ospitali e affettuosi, il divertimento era assicurato.
Dopo aver consumato un pasto leggero, Gwennie si alzò per fare due passi, si sentiva ancora irrigidita e dolorante, un po’ di movimento l’avrebbe senz’altro aiutata.
Lasciando i suoi compagni per un po’ si allontanò verso sud, inoltrandosi in una piccola radura completamente priva di alberi ma ricoperta da un’erba corta e fitta, di un colore verde brillante reso ancora più strabiliante dal chiaro di luna.
Il silenzio che vi regnava era inebriante per la mente fiacca della giovane, riusciva a farla sentire in pace e in completa tranquillità.
Si ricordò in quel momento che una volta era solita praticare la meditazione in modo regolare, una volta al giorno precisamente di sera, e questa abitudine le era stata molto d’aiuto quando aveva attraversato momenti difficili e stressanti.
Scelse un posto dove sedersi, era davanti ad una piccola roccia rotonda, incrociò le gambe raccogliendo le mani in grembo e chiuse gli occhi: dopo qualche secondo iniziò a sentire i suoni più profondi della foresta, i piccoli animaletti che l’abitavano e le foglie che si muovevano stimolate dalla leggera brezza, i profumi intensi dell’erba umida e dei fiori colorati che la circondavano.
Una sensazione di pace intensa la pervase depurandola dalla paura e dell’ansia che aveva provato negli ultimi anni, conscia del fatto che, grazie a Law, avrebbe avuto la speranza di vivere, un lusso al quale non si era più concessa di poter pensare.
Ad un tratto ebbe la forte sensazione di avere qualcuno alle spalle, poteva essere un visone o un suo compagno oppure poteva essere anche un nemico, in quel momento Gwennie non sapeva dirlo, l’unica cosa che le era chiara era di non essere in grado di combattere da sola per lungo tempo e quindi era necessario prendersi un vantaggio.
Con un movimento rapido quanto silenzioso decise di mettere al tappeto il misterioso visitatore che le incombeva alle spalle: scattando in piedi e afferrando il chakra sempre appeso alla sua cintura, con la gamba sinistra gli diede un calcio diretto a farlo cadere a terra, usando l’avanbraccio bloccò la testa dell’uomo facendo pressione sul collo ed infine gli puntò la lama affilata sulla giugulare.
Questa mossa difensiva le era costata una dolorosa fitta al fianco, tuttavia soffocò un gemito di sorpresa quando, guardando in volto il misterioso figuro, scoprì non essere altri che Law il quale sfoggiava uno dei suoi magnifici sorrisetti sinistri.
Domandandogli scusa più volte aveva ritratto la sua arma ma quando il medico le aveva suggerito di scendere da lui aveva sentito il viso incendiarsi diventando di un rosso intenso.
“Ero venuto per praticarti l’iniezione”, in mano reggeva una piccola siringa, ”pensavo che farla in privato sarebbe stato più opportuno”.
Gwennie lo aveva ringraziato e, sollevando la manica sinistra, aveva lasciato che lui le disinfettasse una piccola porzione di pelle e successivamente vi affondasse l’ago.
“Domani mattina verso le dieci faremo l’altra mentre suggerirei di mantenere questo orario per quella serale.”, stava strofinando via con il cotoncino il sangue fuoriuscito dal minuscolo foro nel braccio della paziente.
Annuendo la ragazza cercò di riprendere un colore accettabile prima di tornare a guardarlo in faccia: Law era un uomo particolare, forgiato da un’infanzia distrutta ed alimentato per un certo periodo dalla follia di Doflamingo, aveva trovato la salvezza nell’affetto paterno di Corazon riuscendo a non diventare lo spietato personaggio che il fenicottero voleva cucirgli addosso.
Ma la morte di Rosinante aveva spezzato il sottile filo di fiducia che il medico aveva faticosamente tessuto verso il genere umano, gettandolo in un nuovo tipo di sconforto dal quale, volendo, avrebbe potuto anche uscire.
Già, volendo…
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Come sempre non posso fare a meno di ringraziare chi mi segue regolarmente e anche ci mi regala la sua opinione in merito alla mia piccola “creaturina” (ormai ritengo il mio racconto come tale :0)!
Awwwww! Grazie!!!
*si inchina*
Ma torniamo al capitolo di questa settimana: fa finalmente la sua comparsa il nuovo personaggio del quale avevo accennato qualche tempo fa e sembra del tutto intenzionato a mettersi alla caccia della nostra protagonista.
Avrà successo?
Riuscirà a catturarla?
Ditemi cosa ne pensate!!!
Alla prossima
Vostra
BlackVanilla
 

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Capitolo 18
*** Cuori Lontani ***


Quella notte Gwennie dormì molto male, il punto in cui le era stata fatta l’iniezione le bruciava dolorosamente e non le permise di riposare adeguatamente.

Il mattino seguente per colazione mangiò un paio di fette di pane abbrustolino con marmellata e bevette un caffè forte il quale la aiutò a tenere aperte le palpebre pensanti mentre invece avrebbe voluto soltanto tornarsene a letto, si sentiva un pochino depressa dopo la riflessione della sera precedente.

Al momento dell’iniezione del mattino, Law notò subito che la puntura del giorno precedente era gonfia ed arrossata, segno che la medicina era forse troppo aggressiva per il fisico debilitato della giovane così decise di non somministrarle la dose mattutina.

Meglio attendere che il tuo organismo si abitui al medicinale, rischiamo una reazione troppo violenta che potrebbe essere controproducente visto il tuo stato di salute”, il dottore rimise la siringa nel piccolo contenitore metallico.

La giovane aveva annuito debolmente.

Si sentiva triste ma allo stesso tempo non le importava, la cosa che lei voleva è che Law fosse soddisfatto della propria vita, felice insieme ai suoi uomini, se lei non era compresa nel suo futuro la cosa la addolorava ma era disposta a sacrificarsi in tal senso.

Un po’ rinfrancata dalla sua stessa determinazione si diresse verso i suoi compagni di viaggio, i Mugiwara.

La sera prima Robin e Nami le avevano spiegato il problema relativo all’assenza di Sanji e la cosa l’aveva lasciata di stucco: l’impeccabile cuoco sempre gentilissimo e galante era discendente della famiglia Vinsmoke, un clan di killer spietati ed era stato costretto a seguire la ciurma di Big Mom per partecipare ad un Tea Party organizzato per annunciare il suo matrimonio con una delle numerose figlie della stessa imperatrice.

Inoltre, se il matrimonio, avesse avuto luogo, tutti i membri della ciurma di Cappello di Paglia sarebbero automaticamente diventati sottoposti di Big Mom, il che aveva fatto giustamente indignare Rufy.

La situazione era molto complicata, in quel momento non ci voleva l’intromissione di un altro dei Quattro imperatori, già Kaido avrebbe presto reclamato il loro scalpo, avere contro anche la signora dei dolci non sarebbe stato l’ideale.

Rufy fremeva per partire, voleva farsi indicare il covo della piratessa e raggiungere Sanji prima che questi prendesse decisioni troppo affrettate, si temeva infatti che per salvare i suoi compagni il cuoco volesse lasciare la ciurma.

Il pensiero di questa possibilità rattristò tutti tranne Zoro, almeno all’apparenza e il suo atteggiamento da duro urtò un poco i nervi alle ragazze, in particolare a Nami.

Non capisco come possa essere così insensibile….non vanno molto d’accordo ma Sanji è un nostro compagno, parlare così non è giusto!”, aveva sbottato la navigatrice.

Gwennie era d’accordo, non condivideva assolutamente il comportamento dello spadaccino ma desiderava dargli il modo di far capire le sue ragioni, così non si espresse in modo deciso nei suoi confronti.

Cappello di Paglia abbiamo stretto un’alleanza. Come voi avete aiutato me a Dressrosa, noi aiuteremo voi nel recupero del vostro compagno”, Law confermò così la sua piena solidarietà con la ciurma di Rufy.

Il capitano si prese un po’ di tempo per decidere il da farsi.

 

Il capitano Rufy era intenzionato ad inseguire Sanji partendo per una missione solitaria con enorme disappunto dei suoi nakama.

Discutendo sul da farsi calò la sera, i visoni si dimostrarono ancora una volta gentilissimi offendo una splendida cena ai loro ospiti e Brook ne approfittò per deliziare tutti con il suo magico violino.

Dopo aver consumato il pasto, delizioso e abbondante come sempre, il musicista iniziò a duellare con un paio di visoni che sapevano suonare bene quanto lui degli strumenti musicali: Rafael, un visone lupo, padroneggiava in modo assolutamente perfetto un flauto traverso ricavato da una canna di bambù mentre Anne, una visone gatto, faceva volare le sue bacchette sopra ai tamburi senza nemmeno bisogno di guardare quello che stava facendo.

Era un’atmosfera bellissima, la quiete prima della tempesta, e tutti desideravano assaporarla al massimo compresi i pirati Heart che si erano immediatamente uniti alla festicciola partecipando allegramente.

Law, seduto su una cassa di legno al margine della compagnia, aveva gustato l’ottimo cibo e ora apprezzava la scoppiettante musica che lo scheletro stava suonando.

Gwennie era felice, tutti le ombre nere che l’avevano attanagliata il giorno prima erano come scomparse e in quel momento stava ridendo deliziata guardando il divertente spettacolino messo in piedi da Franky, Usopp e Rufy con la collaborazione di Chopper il quale aveva grosse lacrime agli occhi a furia di ridere.

Il cyborg divorava soddisfatto i piatti prelibati preparati dai visoni quando ad un tratto qualcosa gli andò di traverso, si era ingozzato troppo ed iniziò a tossire sputacchiando frammenti alimentari a destra e a manca.

Franky fai attenzione!”, Nami si era spostata rapidamente per evitare di essere investita da una pioggia di cibo.

Infine il carpentiere deglutì il boccone tornando al suo normale colorito, allungò una mano verso Usopp per chiedergli se potesse passargli una bottiglia di cola mentre il silenzio era calato improvvisamente come una pesante coperta su tutta la compagnia.

Scusa….puoi ripetere?”, lo sguardo di Usopp era qualcosa di impareggiabile, piccole lacrime stavano già comparendo dai suoi occhi.

Che diavolo ti prende nasolungo? Mi avranno capito anche dall’altra parte dell’isola….passami quella bottiglia di cola!”, agitò l’enorme arto per enfatizzare la sua richiesta.

Rufy e Usopp si scambiarono una rapida occhiata prima di scoppiare a ridere quasi contemporaneamente, la voce del cyborg infatti era diventata terribilmente acuta a causa del piccolo incidente che aveva appena avuto facendolo sembrare ridicolo.

E’ la stessa voce del gigante di pietra di Dressrosa!”, il cecchino si teneva lo stomaco con entrambe le mani.

Muoio, muoio!!!!!”, il capitano dei Mugiwara lacrimava in modo incontrollabile da quanto stava ridendo.

Come reazione Franky si alzò in piedi tendendo il braccio destro verso i due malcapitati, poco dopo un getto di acqua ghiacciata li travolse coinvolgendo anche Nami che era seduta accanto al capitano.

Franky! Era gelata! Che diavolo ti salta in mente?”, strillò la navigatrice riprendendo fiato.

Scusa Nami, non eri tu il mio bersaglio ma quei due! Vi sembra il modo di prendere in giro il suuuper creatore dell’invincibile pirata di ferro?”, fece un’espressione interrogativa.

Rufy aveva smesso per un momento di ridere.

Usopp respirava a fatica dopo la doccia fredda.

Il capitano dal cappello di paglia si avvicinò al suo compagno, gli posò la mano sull’enorme braccio e gli fece una richiesta specifica.

Franky…..io devo chiederti…”, lo guardò in faccia, “ti prego parla ancora! Sei troppo divertente!”, scoppiò nuovamente a ridere in modo incontrollabile seguito a nastro da Usopp, il quale aveva appena finito di strizzare il suo cappello.

Il cyborg come risposta annaffiò più o meno tutti i partecipanti al banchetto, Robin e Gwennie incluse, anche se queste avevano cercato inutilmente di ripararsi spostandosi dalla tavola.

Sono proprio divertenti quando ci si mettono!”, l’archeologa rideva di gusto, quella sera aveva una maglia attillata color viola scuro adornata da qualche piastrina luccicante sulla spalla sinistra, i lunghi capelli corvini erano pettinati in modo da lasciare visibili le orecchie perfette e aveva scelto un paio di pantaloni neri che si abbinavano perfettamente alle scarpe che portava.

E’ proprio vero!”, Gwennie si stava godendo un mondo a guardare i suoi amici che si ricorrevano schizzandosi di acqua come bambini che cercano refrigerio durante un caldo pomeriggio d’estate.

Voi due, non crediate di poter starvene lì al sicuro!”, Franky era comparso davanti a loro inzuppandole di acqua e fuggendo via a velocità strepitosa.

Rufy aveva trovato un secchio e lo riempiva rapidamente per poi passarlo ad Usopp il quale aveva il compito di cercare il cyborg per affondare in modo preciso il colpo, Zoro era fradicio ma la cosa non sembrava avere molta importanza per lui dato che non aveva smesso di sorseggiare il suo vino di scimmia.

Chopper scrollava ripetutamente la pelliccia bagnata per poi prendere la forma più somigliante a quella umana e correre alla ricerca di un recipiente adatto per passare al contrattacco.

I visoni ridevano divertiti dallo spettacolino che si era venuto a creare, non avevano mai visto una ciurma di pirati tanto alla mano come quelli, amavano ridere, scherzare e il loro animo era buono nel profondo.

Gwennie guardò i suoi abiti gocciolanti e propose alla sua amica di partecipare all’acqua party, si unirono a Chopper formando un’invincibile resistenza grazie ai poteri del frutto Fior Fior i quali permettevano alle innumerevoli mani di Robin di versare ettolitri di acqua in tempo record.

Lo stomaco della ragazza doleva da quanto stava ridendo, aveva scovato una specie di ciotolona di legno leggero, la quale fino a poco prima aveva contenuto della frutta, e la riempiva a ritmo forsennato gettandola sui malcapitati compagni che entravano nel suo campo d’azione.

Ad un certo punto qualcosa la spinse ad alzare la testa e a guardare in una certa direzione: Law sembrava che le stesse osservando, la giovane non era riuscita a capire chi fosse l’oggetto dell’attenzione del medico perché questi aveva freddamente quanto rapidamente distolto lo sguardo.

La ragazza si girò un momento verso Robin, la sua amica era sempre stata di una bellezza esotica, sfolgorante, il taglio particolare e misterioso degli occhi azzurri la faceva sembrare una divinità di qualche civiltà ormai andata perduta nel tempo, i capelli neri avevano la consistenza e l’aspetto della seta pura, cadevano sciolti sulle spalle perfette dondolando obbedienti ad ogni minimo movimento della sua flessuosa figura.

Successivamente rivolse l’attenzione verso se stessa: i vestiti zuppi gocciolavano malamente, la maglia aderiva in modo strano al suo corpo facendo apparire il seno ancora più piccolo di quanto in realtà non fosse e la zazzera scarmigliata che aveva in testa ricordava della stoppa inumidita.

Molto probabilmente il chirurgo della morte era stato incuriosito da Robin e non da lei.

 

 

Il dottore serrò la mandibola alzandosi in piedi, le sue difese stavano rapidamente cedendo lasciandolo completamente allo scoperto, doveva cercare di resistere in ogni modo possibile.

Il piccolo involucro metallico che aveva in tasca gli diede il modo di distrarsi, doveva infatti praticare l’iniezione con la seconda dose del farmaco alla paziente.

Quando gli scherzi d’acqua giunsero sul finire, Law mandò Bepo a chiamare Gweenie.

La ragazza arrivò trotterellando il sorriso che l’aveva contraddistinta fino a poco prima sembrava essersi eclissato lasciando spazio ad un’espressione di muta interrogazione, gocciolava da ogni parte e stava cercando di dare una resettata ai capelli ribelli senza alcun risultato apprezzabile.

Lui non lasciò nemmeno che lei potesse parlare.

Seguimi, è ora della tua iniezione o preferisci che te la faccia il tuo medico di bordo?”, il tono con il quale aveva fatto la domanda era tagliente, freddo.

Lei si irrigidì assicurandogli che poteva benissimo procedere lui come aveva fatto fino a quel giorno, quindi lo seguì nella piccola radura dove il giorno precedente era stata praticata la puntura, raggiunta una roccia, la giovane vi si sedette alzando la manica del maglioncino che indossava.

Il medico disinfettò compito la zona dove aveva intenzione di praticare l’iniezione e preparò la siringa contente il mix di farmaci da lui ideato per aiutare l’organismo della ragazza a combattere il virus nel migliore dei modi.

Affondò l’ago nella pelle candida della paziente mentre lei, come sua abitudine, osservava l’intera operazione senza battere ciglio.

Avrebbe voluto dirgli qualcosa, qualsiasi cosa ma non ci riuscì, le parole le morirono in gola uccise dalla paura che nutriva nel suo animo ovvero quella di perdere anche la flebile amicizia che la legava al misterioso dottore.

Sospirò tristemente senza accorgersi dello sguardo indagatore di lui che l’aveva rapidamente osservata.

Adesso è meglio che tu vada a dormire, domani mattina se il tuo braccio sarà a posto procederemo anche con la seconda dose della terapia”, doveva allontanarsi da lei subito.

Gwennie sentì il suo cuore smettere di battere mente lui si alzava rapidamente, desiderava con tutta se stessa di abbracciarlo e dirgli, stavolta consapevolmente, quello che provava per lui ma era ben conscia di non poterselo concedere.

Asciugando una lacrima in modo da non essere vista, annuì ringraziandolo, era tutto quello che poteva sperare di ottenere da lui.

 

Law era rimasto nascosto dietro ad un grande albero aspettando che la ragazza se ne andasse, successivamente era tornato nella piccola radura sedendosi sull’erba umida guardando la falce di luna sottile che splendeva nel cielo nero.

Si stava odiando per tutta l’evidente sofferenza che stava causando alla ragazza, ma non poteva permettersi di rischiare mettendo in gioco i suoi sentimenti, era una cosa che si era ripromesso di non fare in modo assoluto molti anni addietro.

Aveva preso la sua decisione: non appena la ragazza fosse guarita e l’alleanza con Cappello di Paglia fosse giunta al termine dichiarando le due ciurme vincitrici del conflitto che le avrebbe a breve coinvolte insieme all’imperatore Kaido, i pirati Heart avrebbero ripreso la loro navigazione solitaria scegliendo la rotta più lontana possibile da quella dei Mugiwara.

Non sarebbe stato piacevole ma era senz’altro la cosa migliore da fare, il tempo avrebbe guarito tutte le ferite annebbiando i ricordi fino a farli scomparire del tutto.

Una leggera brezza fece dondolare pigramente le foglie degli alberi che lo circondavano, la fragranza della foresta lo raggiunse in modo piacevole, stava per alzarsi e raggiungere l’accampamento quando udì un suono provenire poco distante da dove si trovava, tese le orecchie guardingo mentre sguainava Lamento Spettrale.

Ohibò Kanjuro t’avevo suggerito di non svoltare dopo quell’arbusto dalla singolare forma!”, era la voce del samurai amico di Mugiwara, poco dopo i due uomini provenienti dal Pese di Wa penetrarono nella radura guardando sollevati il medico che nel frattempo aveva rimesso a posto la sua nodaki.

Law-dono! Invero Kanjuro non ci siamo smarriti! Come sta Momonosuke?”, Kin’emon era piuttosto ansioso.

Dovreste chiederlo a Cappello di Paglia-ya. In ogni caso non muovetevi di qui io….”, il dottore non fece in tempo a terminare la frase, i due samurai avevano già preso la via che conduceva all’accampamento.

 

Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^

Questo giovedì sono in leggero ritardo con la pubblicazione causa influenza con tanto di febbrone.... :<

Attendo i vostri pareri in merito al capitolo!

Vostra

BlackVanilla

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Capitolo 19
*** Via da Me ***


Il silenzio era calato pesante su Zou, tutti erano andati a dormire e gli animali selvatici della foresta erano tornati ad essere i soli padroni dell’isola zampettando liberamente tra le foglie e gli arbusti verdi che popolavano il territorio.
Improvvisamente la campana della scimmia Bariete iniziò a suonare imperiosa, non era certo un benvenuto ma senz’altro un allarme.
Gwennie si svegliò di soprassalto, le sembrava di essersi appena addormentata, si sentiva stanca forse più della sera precedente, tuttavia provò ad alzarsi dal comodo giaciglio.
Un’ondata di freddo la travolse facendola rabbrividire con violenza, avvolgendosi in una morbida giacca da camera infilò le pantofole correndo fuori dimenticandosi di essere in pigiama.
La scena che si presentò davanti a lei era terrificante: sulla piazzola, Kin’emon, Kanjuro e Momonosuke erano davanti al duca Inuarashi e al boss Nekomamushi, la guerra sarebbe scoppiata a momenti, la popolazione di Zou si era sacrificata rischiando di essere completamente annientata a causa di Raizou, adesso che i due sovrani si trovavano a faccia a faccia con gli amici del ninja chissà cosa sarebbe accaduto.
Nami e Usopp stavano cercando di trattenere Kin’emon il quale stava gridando qualcosa verso il Gatto Vipera, Gwennie non riusciva a sentire quello che diceva così iniziò a correre disperatamente verso di loro sperando di poter essere in qualche modo d’aiuto per evitare uno scontro.
Dopo qualche metro percorso però si fermò di botto, avvertì una sensazione molto simile a mille punture di aghi nella zona dell’addome dove Law aveva rimosso il tessuto pregno accompagnata da un forte calore sempre nello stesso punto, tenendosi con la mano il fianco provò inutilmente a proseguire ma dovette inginocchiarsi a terra per un istante.
Sollevò lo sguardo preoccupata ma fortunatamente nessuno la stava guardando, recuperò il controllo e stringendo i denti raggiunse la piazza.
Robin la salutò e a Gwennie parve di vedere nello sguardo dell’amica un’espressione preoccupata, forse aveva visto o intuito cosa era accaduto pochi minuti prima o semplicemente era ansiosa per la situazione a cui stavano assistendo in quel momento?
Un velo di sudore ricoprì la fronte della ragazza.
Quello che avvenne poco dopo fu sconcertante, i due sovrani di Zou, il Duca e il Gatto Vipera, si inchinarono al cospetto dei samurai dichiarando che Raizou il ninja era in salvo e attendevano con molta ansia l’arrivo dei due guerrieri.
Spiegarono poi ai Mugiwara che la popolazione dei visoni e la famiglia dei Kozuki erano da legate da molti anni da un forte vincolo di amicizia, perciò era stato per loro normale proteggere il ninja a costo della loro stessa vita.
Senza parole, Gwennie sedette a terra, era incredibile loro avevano cercato in tutti i modi di non far incontrare i samurai con i visoni certi che la cosa avrebbe scatenato uno scontro, invece le cose stavano in modo completamente differente, anzi in maniera decisamente opposta.
Il fianco le pulsava in modo fastidioso ma il dolore provato poco prima era apparentemente scomparso facendole tirare un bel sospiro di sollievo.
Fu solo in quel momento che la ragazza notò la figura caricata sulle spalle di Kin’emon: era una donna abbastanza giovane piuttosto malridotta, gli abiti erano a brandelli e i capelli tutti arruffati.
“Kin’emon, chi è questa ragazza?”, chiese Brook dopo averla notata a sua volta.
Il samurai parve destarsi, spiegò brevemente che mentre tentavano la salita per la seconda volta, avevano udito una richiesta d’aiuto provenire poco distante da dove era ormeggiata la Sunny, andando a verificare avevano trovato la ragazza aggrappata ad un relitto simile ad una piccola imbarcazione ormai completamente sfasciata.
Poco dopo la donna aveva perso i sensi.
Chopper si avvicinò subito alla naufraga per visitarla: stava benone, non era ferita, riportava solo qualche graffio ed era visibilmente provata per essere stata a lungo in acqua, si sarebbe ripresa dopo un po’ di risposo e un adeguato pasto.
Il dottore ordinò che venisse portata lo stesso in infermeria, desiderava idratarla mediante una flebo e monitorare i suoi segni vitali finché non si fosse ripresa del tutto.
Gwennie sospirò, era felice per la nuova svolta che aveva avuto la situazione, il pensiero di un probabile scontro con la tribù così ospitale e gentile dei visoni la tormentava da quando aveva saputo dello sterminio provocato da Jack sull’isola allo solo scopo di scovare il fantomatico Raizou.
Un’ora dopo la ragazza si era vestita, quel giorno faceva abbastanza caldo così aveva sostituito i jeans lunghi con un paio di short, mantenendo però il maglioncino a maniche lunghe almeno finché le ferite che aveva sulla schiena a causa delle frustate di Doflamingo non si fossero completamente cicatrizzate.
Nella piazzola la popolazione era in fermento per la venuta dei due compagni del ninja, tutti parlavano insieme sovrapponendo le voci festose, i visoni avevano atteso a lungo l’arrivo dei due samurai.
Gwennie cercò Law per farsi praticare l’iniezione del mattino, non riuscendo a trovarlo decise di recarsi verso l’infermeria, magari lo avrebbe incontrato lì, ma non ebbe fortuna, nel piccolo locale c’erano soltanto Chopper e la ragazza salvata da Kin’emon.
“Buongiorno Gwennie, come stai?”, la piccola renna stava applicando una nuova flebo alla ragazza stesa sul lettino la quale non aveva ancora ripreso coscienza.
Rassicurando il medico sulla sua condizione di salute, Gwennie notò che al polso della naufraga era assicurata, mediante una manetta, una valigetta di piccole dimensioni di pelle di colore nero, ma era stata rovinata dall’acqua di mare che le aveva donato un colore grigiastro.
“Chopper hai visto questa valigetta? Cosa conterrà secondo te?”, l’identità della donna era ancora un mistero per tutti loro.
“Non saprei. Ho provato ad aprirla ma sono necessarie delle chiavi, vedi la piccola serratura?”, indicò un minuscolo foro accanto al manico della borsa, “appena la nostra amica si sveglierà ci spiegherà tutto, non ha nessun trauma particolare ma deve essere stremata per la lunga permanenza in mare”.
Gli abiti della naufraga erano stati gettati alla rinfusa su una sedia, Wanda con l’aiuto di un’altra visone l’avevano poco prima cambiata facendole indossare una camicia da notte prestata da Robin.
Gwennie li osservò: erano costosi e di taglio molto raffinato, la camicetta di seta di color avorio aveva una scritta ricamata sul bavero a sinistra, era in corsivo e diceva Ume, probabilmente il nome della misteriosa ragazza.
L’insieme dei fatti sembrava presupporre che la donna fosse una specie di agente di commercio o una direttrice di banca la quale stava viaggiando per mare per trasportare un oggetto misterioso di indubbio valore che teneva ben chiuso nella valigetta assicurata al suo polso.
Forse durante la traversata la nave sulla quale era ospite era stata sorpresa da una tempesta.
Ricordandosi all’improvviso che poco prima stava cercando Law, la giovane salutò Chopper e lasciò l’ambulatorio, non ci volle molto perché i due giovani si incontrassero.
Mentre lui strofinava il cotone imbevuto di disinfettante sul braccio della paziente, notò che i fori relativi alle iniezioni precedenti erano molto arrossati e i minuscoli bordi erano come bruciacchiati, segno evidente che il medicinale era davvero molto forte per il corpo provato della paziente, tuttavia non aveva scelta, doveva continuare a somministrale il farmaco.
In laboratorio, studiando il virus che aveva estratto dal corpo della ragazza, aveva subito capito il modo in cui era stato strutturato: confermando la sua ipotesi iniziale, Law aveva trovato tre ceppi provenienti da tre diverse tipologie di malattie che erano stati assemblati insieme per cercare di ottenere una reazione immunitaria piuttosto decisa da parte di un determinato organismo così da sviluppare anticorpi necessari per diventarne immune.
Il padre di Gwennie aveva cercato di creare un super vaccino, ma purtroppo qualcun altro ci aveva evidentemente messo le mani e, invece di provocare una reazione immunitaria, il batterio distruggeva il corpo dell’ospite in modo lento e inevitabile.
In ogni caso il dottore aveva isolato un paio di fattori i quali avrebbero senz’altro avuto un ruolo determinante per lo sviluppo di un vaccino finalizzato a guarire in modo definitivo la terribile malattia della paziente, che dopo l’operazione aveva ottenuto sì una speranza di vita ma era ancora possibile un ritorno del male.
Rimettendo a posto la manica del maglioncino, Gwennie ringraziò il medico quando ebbe una sensazione piuttosto sgradevole, le venne automatico di sfiorare il chakra appeso alla sua cintura guardandosi intorno: diversi uccelli appollaiati sui rami degli alberi si librarono in volo, furono interrotti da Orca che era venuto a chiamarli avvisandoli che la colazione era stata servita.
Colazione era un termine molto riduttivo per descrivere il fastoso pasto che era stata offerto ai due nuovi ospiti, i samurai, sull’enorme tavolo allestito vicino alla reggia principale c’era ogni sorta di prelibatezza in quantità tale da poter sfamare anche un guerriero appartenente alla stirpe dei giganti.
Jasper aveva lavorato sodo per creare una piccola scultura fatta di diversi strati nonché di tipologie di torta: più in basso c’era una favolosa crostata alla marmellata, più in su un mare di freso tiramisù profumato, a seguire un cerchio di dolce al cioccolato ripieno di crema al cacao e scaglie di fondente e per finire una teglia carica di profiterole ripieni di vellutata crema alla vaniglia.
Il cuoco dei pirati Heart esibì con orgoglio la sua creazione ottenendo applausi e congratulazioni da tutte le parti, quando avvicinò il carrello con la torre commestibile al capitano dei Mugiwara si aspettava di ricevere qualche lode anche da lui.
Rufy alzò lo sguardo, i suoi occhi si illuminarono rapidamente prima che si fiondasse sul dolce verticale assaggiandone poco educatamente quasi tutti gli strati direttamente a morsi, senza usare coltelli o forchette.
“Che cosa fai?!? Così rovini tutto!”, l’espressione di Jasper esprimeva puro terrore, “capitano! Digli qualcosa!”.
Law era seduto poco lontano e girò lentamente la testa.
“Jasper, non sono altro che alleati, non dovete andarci per forza d’accordo. Ricordatevi che una volta conclusa l’alleanza le nostre strade si divideranno”, aveva parlato in modo lento e chiaro.
Il cuoco sbuffò mentre cercava di rassettare la sua creazione che in quel momento pendeva da un lato.
Il frutto che Gwennie stava addentando era caduto a terra rotolando inerme.
Le parole fredde del dottore l’avevano trafitta come un pugnale di ghiaccio, per lui loro non erano altro che alleati…persone non importanti, gente da sfruttare per i suoi scopi e poi ognuno per la sua strada, senza sentimenti di amicizia o qualsiasi altro legame.
Figuriamoci cosa pensava di lei, era stata fin dall’inizio una semplice cavia di laboratorio e, per quanto lui l’avesse realmente aiutata, probabilmente il suo scopo era strettamente legato alla sua curiosità medica e niente altro.
In quel momento la ragazza sentì la rabbia crescerle nel petto: chi credeva di essere quello per parlare così?
Erano pirati, certo, non ci si aspettava che stendessero una coperta sul prato e si mettessero a consumare muffin colorati conversando sulla situazione meteorologica, ma arrivare a comportarsi così proprio non era giusto.
“Law, devo parlarti. In privato se possibile”, Gwennie non aveva pensato mentre si era alzata e aveva raggiunto il medico, si era lasciata guidare dall’istinto.
Law fece una smorfia seccata mentre di metteva in piedi e la seguiva nel bosco, arrivata alla piccola radura lei si fermò girandosi di scatto verso il ragazzo.
“Perché hai detto quella frase? Che siamo solo alleati?”, gli occhi verdi fiammeggiavano.
Il chirurgo la osservò con aria leggermente divertita.
“E’ la verità, no?”, alzò le spalle.
“Lo è ma credo che tu abbia parlato così per un motivo ben preciso. E’ per quello che ti ho detto mentre stavo male vero? Ti disturba così tanto sapere che una persona a te vicina ci tiene in modo particolare a te? Non ti ho chiesto niente in cambio, cosa sento sono solo affari miei!”, pestò un piede a terra per enfatizzare la sua posizione.
“Non capisco cosa tu intenda. Il fatto che le nostre strade tra non molto si divideranno non credo sia né una novità né una cosa che ho imposto io”, Lamento Spettrale si mosse leggermente.
“Non fingere di cadere dalle nuvole. Ti conosco abbastanza bene ormai e credo di averci visto giusto. Quanto a me non temere saprò tenermi a debita distanza. Buona giornata, Law”, passò accanto a lui per tornare verso gli altri senza guardare il suo viso.
Rimasto solo, Law non potè fare a meno di reprimere un sorrisetto amaro.
Effettivamente la frase l’aveva detta proprio per recare disturbo a Gwennie e, data la sua reazione, la cosa sembrava funzionare.
Dopo aver preso la decisione di soffocare quel piccolo germoglio di sentimento che stava nascendo dentro di lui, la risoluzione che faceva parte del suo carattere era stata fondamentale: non c’era tempo per dubbi o incertezze, doveva prendere immediatamente le distanze prima di perdere la necessaria lucidità per farlo.
Sarebbe stato spietato con lei, di sicuro di sarebbe infuriata e lo avrebbe detestato, la cosa non faceva piacere al medico ma non aveva altra scelta, Gwennie si sarebbe dimenticata di lui e avrebbe senz’altro trovato un compagno adatto alla suo animo luminoso e colorato.
Sospirando risentì spuntare un’ombra di dubbio che scacciò rapidamente, non era nella posizione tale da permettersi alcun tipo di indugio, ne andava del futuro della giovane fanciulla che gli aveva piacevolmente sfiorato il cuore.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Passata l’influenza rieccomi all’attacco!!! :O
Capitolozzo abbastanza ricco di avvenimenti, aspetto sempre le vostre opinioni in merito!
Ringrazio tutti coloro che decidono di spendere cinque minuti del loro tempo per leggere il mio racconto! :D
*si inchina*
Alla prossima!
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 20
*** ...signorina King! ***


La sera calò pigra su Zou.
Gwennie passeggiava tranquilla nella foresta brulicante di vita osservando dei volatili simili a gufi creare cerchi perfetti nel cielo notturno mentre volavano pigri rincorrendosi a vicenda.
Rufy aveva espresso l’intenzione di partire a breve con Pekoms per raggiungere Big Mom e Sanji, la cosa non piaceva a nessuno della ciurma, tutti sarebbero andati volentieri insieme a lui, ma il capitano era stato irremovibile.
“Kaido non ci metterà molto a capire che siamo nascosti qui….dobbiamo cercare di non dare nell’occhio per guadagnare un poco di tempo….”, mentre parlava Rufy aveva imbottito uno zaino con dei succulenti cosciotti di carne.
“Io non sono d’accordo, possiamo esserti d’aiuto, Big Mom è uno dei quattro imperatori, non stai andando da un pirata qualunque…..”, Franky era smanioso di unirsi al capitano in quella piccola missione.
Ma Rufy era stato chiaro: nessuno lo avrebbe seguito, lui da solo avrebbe recuperato Sanji senza coinvolgere l’intera ciurma rischiando così di puntarsi addosso troppi riflettori in un momento così delicato.
“A me sta bene Mugiwara-ya ma sappi che ti sei preso un impegno stringendo l’alleanza con noi….Kaido dobbiamo affrontarlo insieme”, Law aveva mosso la mano per indicare entrambi.
“Non preoccuparti Traffy, tornerò tutto intero!”, come sempre il capitano era ottimista e sicuro di se.
La ragazza sospirò, si sentiva inquieta e non riusciva a dormire, quindi aveva deciso di provare a fare due passi giusto per vedere se riusciva a rilassarsi un pochino.
Tutti gli altri dormivano già da un pezzo, la luna era alta nel cielo e tra qualche notte sarebbe stata piena, la sua luce delicata e rasserenante avvolgeva l’intera foresta baciandola delicatamente con un candido riflesso argenteo.
Pensò che non doveva trovarsi molto distante dalla sua radura preferita.
Da quando aveva avuto quel battibecco con Law non gli aveva più parlato evitando perfino di guardare verso la sua direzione quanto sentiva la sua presenza nello stesso ambiente dove si trovava lei, la cosa la faceva soffrire ma non poteva permettergli di comportarsi in quel modo.
Per Rufy l’alleanza era una specie di amicizia e sentire quelle parole glaciali dette dal dottore non le era piaciuto nemmeno un po’, soprattutto perché, molto probabilmente, se lei non avesse spifferato per merito della febbre ciò che sentiva per lui, Law non avrebbe mai parlato così.
Sospirò nuovamente continuando a camminare, la brezza notturna era senz’altro un toccasana per i suoi nervi tesi, l’aroma dolce della foresta la avvolgeva completamente dandole un senso di tranquillità e pace interiore.
Qualcosa le sembrò dal solito però.
C’era un profumo particolare nell’aria, molto dolce, forse anche troppo, la giovane non ricordava di aver mai sentito quella fragranza prima di allora le parve quindi impossibile che potesse provenire da uno dei tanti fiori colorati che adornavano l’isola.
“Ah, eccoti finalmente!”, una voce tanto squillante quanto sconosciuta la fece sussultare.
Girandosi di scatto Gwennie vide, poco distante da dove si trovava in quel momento, la naufraga che Kin’emon e Kanjuro avevano salvato, Ume, che raccoglieva un mazzolino di fiori selvatici raggruppandoli in mano fino a formare un vero e proprio bouquet.
 “Quando ti sei ripresa?”, rimase vagamente sulla difensiva.
Ume la ignorò affondando il viso nel mazzo multicolore che stava reggendo, inspirando a pieni polmoni la fragranza che emanavano i fiori recisi, sollevò poi di scatto la testa tornando a puntare gli occhi neri su Gwennie.
Non aveva più la valigetta di pelle nera assicurata al polso grazie alle manette.
“Non trovi che abbiano un profumo squisito? Ecco, ho pensato di raccoglierne un po’ per metterli in un posto che diventerà presto speciale per te!”, sfoderò un sorriso a trentadue denti.
D’istinto la ragazza sfiorò il sua chakra, fedelmente appeso alla cintura ringraziando mentalmente per la sua mania di portarlo sempre con se quando usciva, anche se si trattava di andare a fare una passeggiata notturna in mezzo alla natura.
Ume depose i fiori ai piedi di un albero con un movimento decisamente lento e calcolato.
“Mph! Sei poco loquace……non vuoi indovinare dove metterò i fiori?”, mise il broncio come avrebbe fatto una bimba indispettita e non lasciò tempo alla sua interlocutrice di proferire parola, “E va bene! Te lo dirò io! Sulla tua tomba, cara Gwennie King! Adesso fai la brava e lasciami completare la mia missione, poi tornerò finalmente a casa….lontano da questo branco di bestie puzzolenti!”.
Parlando la donna aveva aperto le braccia compiendo un gesto circolare come per indicare tutto ciò che le stava intorno.
Gwennie era decisamente sorpresa, non solo Ume conosceva il suo cognome ma evidentemente non era la sfortunata naufraga che tutti pensavano fosse: afferrò la sua arma e si mise in posizione di difesa chiedendo alla ragazza di fosse in realtà.
Quella rise di gusto lasciando che la luce della luna illuminasse la sua figura: si era cambiata d’abito e indossava un completo molto attillato color viola scuro di un tessuto lucido, quasi simile alla plastica, mini shorts e un top che risaltava il seno abbondante.
Su entrambe le gambe, sorretti da una speciale giarrettiera, facevano bella mostra di se una coppia di sai mentre al collo brillava una catenina adornata da un ciondolo a forma di bambola.
Ecco cosa aveva probabilmente contenuto la misteriosa valigetta di pelle nera.
Gwennie la guardava cercando di ricordare se potesse averla incontrata da qualche altra parte, ma non le sembrava di averla mi vista prima di quel momento.
Leggendo nello sguardo dell’avversaria la confusione più totale, la donna in viola decise di fornire una spiegazione più dettagliata riguardo alla sua presenza sull’isola.
“Credo di poterti dire un paio di cose in più, tanto tra poco morirai. La società che mi ha assunta ha diverse sedi dislocate in isole sparpagliate un po’ dappertutto, queste sedi sono meglio conosciute come laboratori di ricerca, in uno di questi ha lavorato tuo padre, era il Chimera se non ricordo male. Ebbene loro rivogliono ciò che gli è stato rubato dal dottor King, ovvero il VDM-03 che adesso circola liberamente nel tuo sangue. La mia missione sarebbe quella di portarti viva e vegeta al Gemini, tuttavia io non sono affatto una babysitter perciò dirò loro che sono stata costretta ed eliminarti. Guarda, potrai riposare eternamente in questo paradiso! Ti preleverò un campione di sangue anche in modo alternativo a quello consono…..”, rise sgradevolmente.
Gwennie era incredula ma ora capiva tutto, probabilmente al Chimera non erano riusciti a riprodurre il virus ed ora si erano messi sulle sue tracce per riuscire ad avere un campione di sangue necessario per replicare il batterio mortale.
Il ricordo dello sguardo disperato di suo padre le tornò in mente, risentì le sua lacrime bagnarle il viso mentre si stringevano in quell’ultimo rapido abbraccio prima che lei corresse via dalla loro casetta stringendo in mano l’unico campione esistente del VDM-03.
Gwennie si trasformò completamente: la ragazza gentile e un po’ timida venne sostituita dalla guerriera che era in lei, non avrebbe mai lasciato che il sacrificio di suo padre risultasse vano, quella donna non le avrebbe mai spillato nemmeno una goccia di sangue in nessuna maniera, né consona né alternativa.
Chiedendo mentalmente perdono a Law per ciò che stava per fare, la giovane si tolse il maglioncino che indossava esibendo una canotta nera tempestata da milioni di piccoli teschi coloratissimi, ai polsi portava due lunghi bracciali di cuoio neri, alti circa venti centimetri.
“Vuoi un campione del mio sangue? Prova a prenderlo….”, Gwennie sorrise alla sua avversaria, ma poi tornò subito seria, “Se pensavi di avere vita facile ti sbagli di grosso….non avrete mai il VDM-03! Mettitelo bene in testa signorina….? Dubito che il tuo nome sia Ume, o mi sbaglio?”.
“No, non sbagli. Aubert, il mio nome è Calixte Aubert….beh devo dire che sono soddisfatta cara Gwennie, era da un po’ che non avevo la possibilità di sgranchirmi un po’……”, sfoderò in modo veloce quanto abile i suoi due sai mettendosi in posizione di attacco.
Gwennie prese con entrambe le mani il suo chakra premendo simultaneamente in due punti opposti del cerchio argentato, questo si divise in due mezzelune perfettamente identiche che la giovane agganciò alle fasce di pelle nere che portava ai polsi.
Il vento fece muovere i rami più sottili degli alberi che le circondavano facendo arrivare verso la ragazza un’ondata di quel profumo dolciastro che aveva sentito poco prima: ecco chi ne era la fonte, la sua avversaria Calixte Aubert.
La pirata arricciò il naso.
“Lasciatelo dire Calixte, il tuo gusto nella scelta del profumo che porti è davvero pessima!”, le sorrise in modo provocatorio.
La bionda mise il broncio emettendo una specie di grugnito, le guance rosse per la rabbia.
Mettendosi a sua volta in posizione di attacco, Gwennie ebbe solo il tempo di dedicare uno sfuggente pensiero ad una persona speciale prima che il duello avesse inizio.
 
Law si svegliò all’improvviso come se qualcuno lo avesse chiamato.
Guardandosi intorno nella stanza da letto che occupava, non vide altro che Bepo profondamente addormentato che russava poco distante da lui, il silenzio era totale, rotto solo dal sospiro dell’orso bianco mentre rotolava sul fianco.
Decise di uscire un po’ all’aria aperta, non avrebbe potuto riprendere sonno subito, la decisione che aveva preso il giorno prima lo lasciava con l’amaro in bocca, tuttavia era la cosa migliore da fare, ne era sicuro.
Ammirò il panorama: Zou era una bellissima isola, la luce della luna risaltava il colore verde brillante della foresta rendendola ancora più misteriosamente affascinante, il cielo risultava quasi nero al confronto.
La mente lo portò a ricordare la serata precedente e alla piccola parentesi acquatica che si era aperta durante la cena, i Mugiwara erano chiaramente di indole scherzosa e bastava poco per scatenare un divertente siparietto.
Gwennie aveva partecipato all’idro-scontro ridendo e divertendosi liberamente, a Law aveva dato l’impressione di essersi dimenticata di tutti quelli che la circondavano concentrandosi sulla battaglia che stava affrontando.
Era stato bello vederla così spensierata, sarebbe stato quello il ricordo che avrebbe conservato di lei.
Il dottore stava per rientrare quando gli sembrò di sentire un rumore provenire da lontano, si concentrò per riuscire a capire la natura di quel suono e per farlo al meglio chiuse gli occhi.
Era un rumore metallico, freddo….non costante….sembravano due lame che si toccavano.
Appena la sua mente elaborò questo pensiero, Law aprì gli occhi correndo verso le stanze da letto occupate dalle ragazze, una sensazione sgradevole lo aveva raggiunto e doveva verificare immediatamente: la porta della camera di Gwennie non era chiusa a chiave e il letto era vuoto.
Se davvero quello che aveva sentito era il suono prodotto da due lame che si toccavano, e quello che era in corso era un duello tra la ragazza e qualcun altro, non aveva tempo da perdere: la situazione clinica di Gwennie non era così migliorata da permetterle di combattere a lungo, avrebbe rischiato di strappare i punti delicati che lui le aveva applicato dopo l’operazione, scatenando così un’emorragia interna dalla quale difficilmente avrebbe avuto scampo.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Scopriamo la vera identità della misteriosa naufraga e questa novità mescolerà decisamente le carte in tavola!!!
Cosa accadrà? :O
Come sempre un po’ birichina, vi lascio leggermente sulle spine…
Mi perdonate? :P
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 21
*** Duello tra gli Specchi ***


Calixte riprese fiato.
Era stremata.
Gwennie King si muoveva con una rapidità eccezionale e i colpi delle sue lame erano potenti e ben piazzati, il piccolo taglio sotto all’occhio sinistro della bionda ne era la prova lampante.
“Complimenti….davvero….ma noto che sei piuttosto stanca…”, prese del tempo per recuperare energia.
Gwennie non era stanca, era sfinita, il fianco le doleva pulsando senza tregua ed iniziava a sentirsi molto debole, le mani le tremavano leggermente, sperava che qualcuno le sentisse combattere ed accorresse in suo aiuto….non si erano inoltrate poi così tanto nella foresta.
Calixte era una guerriera notevole, padroneggiava l’arte dei Sai in modo inappuntabile, la giovane era riuscita a schivare alcuni fendenti solo per pochi millimetri, non era assolutamente un’avversaria da sottovalutare.
A Gwennie parve di udire il rumore di passi rapidi che stavano giungendo fino a loro, ascoltò con attenzione: non se lo stava immaginando qualcuno stava arrivando per aiutarla, Calixte non avrebbe mai avuto il campione del suo sangue nemmeno se avesse perso i sensi, come temeva di stare per fare.
La donna in viola rise prima di allargare le braccia.
“Devo ammettere che mi hai dato del filo da torcere signorina King, tuttavia è ora di chiudere i conti. I tuoi amici non potranno mai trovarti, credi sarei stata tanto stupida da venire qui da sola contro tutti i visoni e le due ciurme alleate se non avessi avuto un asso nella manica?”, sorrise, doveva aver sentito anche lei i rumori nella foresta che annunciavano l’arrivo di qualcuno.
Gwennie aprì la bocca senza emettere però alcun suono: la sua mente temeva che Calixte avesse piazzato qualche ordigno esplosivo da qualche parte nell’isola o, ancora peggio, stesse per usare qualche tipologia di gas tossico come aveva fatto Jack in modo da metterli al tappeto tutti.
“Hai mai giocato al labirinto di specchi? Io sì….da c’era un parco divertimenti vicino a dove abitavo da bambina, non riuscivo mai a trovare la strada giusta….provando e riprovando alla fine ce l’ho fatta ma ci ho impiegato diverso tempo, tempo che i tuoi compagni non avranno! GALERIE DES GLACES!”, Calixte girò rapida su se stessa mentre lastre riflettenti sbucavano dal terreno intorno a loro.
Gwennie si sentiva una stupida, non le era mai venuto in mente che Calixte potesse avere dei poteri: erano bloccate all’interno di un labirinto luccicante che le avrebbe intrappolate per un tempo indefinito, senza contare che anche chi stava arrivando per aiutarla probabilmente si era smarrito tra quelle tavole lucide.
Intorno a lei splendevano specchi rettangolari alti circa due metri, massicci e perfetti riflettevano l’impietosa immagine di una ragazza che stava arrancando per guadagnare più tempo possibile prima di poter cedere al dolore intermittente che sentiva al fianco.
Doveva reagire, doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa.
Con un calcio ben assestato, la ragazza mandò in frantumi lo specchio che aveva più vicino, creando una nuvola di minuscole scaglie taglienti, erano lastre enormi ma rimanevano fragili come un qualunque altro loro simile.
“Direi che non ti conviene. I miei specchi si rigenerano subito e comunque i pezzi che crei rompendoli sono più affilati della lama di un rasoio….ma se vuoi dissanguarti, prego fai pure! Mi fai solo un piacere!”, dicendo così Calixte si scagliò verso la sua avversaria.
Si stava divertendo un mondo.
Gwennie emise un respiro forzato: non doveva permettere a Calixte di infliggerle nemmeno il più piccolo taglio, sarebbe bastata una goccia del suo sangue su un Sai della sua avversaria per rendere inutile il sacrificio compiuto anni addietro da suo padre.
 
Law stava correndo a perdifiato nella foresta in direzione dei rumori che aveva udito poco prima, quando all’improvviso comparvero intorno a lui una serie di superfici riflettenti, erano dei veri e propri specchi che si sistemarono in modo da formare una specie di corridoio.
No, non un corridoio ma un labirinto.
Il dottore creò diverse ROOM sperando di indovinare dove si trovasse Gwennie ed effettuare così uno SHAMBLES, ma non ebbe fortuna e i suoi tentativi andarono tutti a vuoto, le superfici lisce facevano ridondare i suoni in modo singolare disorientando completamente l’udito.
Doveva farsi venire in mente al più presto qualcosa, stava perdendo un mucchio di energia e di tempo prezioso.
 
Il commodoro Sasaki fumava un ottimo sigaro ammirando il mare calmo e placido.
Era sul ponte di comando e da giorni ormai non accadeva niente di rilevante, precisamente da quando quella fastidiosa donna era partita per una missione solitaria tutta di sua iniziativa.
“E’ senz’altro lì, dobbiamo avanzare verso l’isola immediatamente!”, aveva gridato con quella sua voce stridula e irritante.
Sasaki aveva ascoltato con molta pazienza la storia di Calixte, lei affermava di essere certa della presenza di Gwennie King sull’isola di Zou: effettivamente la cosa era abbastanza sensata dato che avevano battuto tutte le rotte possibili che il sottomarino dei pirati Heart avesse potuto affrontare in quella zona di mare ma senza trovarne traccia.
“Siete degli incompetenti! La vostra missione è quella di catturare la ragazza ma state girando a vuoto da giorni! Per fortuna che ci sono io qui. Tu!”, aveva additato un marinaio poco distante da lei, “preparami subito la scialuppa! Prenderò in mano la situazione, questa crociera è già durata abbastanza per i miei gusti!”.
Il marine l’aveva osservata mentre parlava agitandosi, quei boccoli biondi non avevano nulla di angelico, anzi erano la dimostrazione che il proverbio ogni riccio un capriccio non era del tutto infondata.
Sospirando Sasaki si era appellato a tutta la sua pazienza rispondendole gentilmente che non avrebbe invaso nessuna isola, tantomeno la millenaria Zou la quale aveva un patrimonio archeologico non da poco.
I giovani non capivano l’importanza di quel genere di cose, ma lui invece sì, aveva visto distrutte tante mura antiche, città splendide rase completamente al suolo a causa di un momento di pazzia di qualche pirata esaltato, anziane coppie che piangevano su ciottoli sparsi di quella che era stata la loro casa, frutto del sacrificio di una vita intera di lavoro, ormai andata perduta per sempre.
Se gli era possibile, il commodoro non voleva avere sulla coscienza disastri simili.
Ma la Aubert si era infuriata, sarebbe partita per la missione verso l’isola senza l’aiuto di nessuno, diceva, tantomeno di un branco di idioti come loro, avrebbe catturato la ragazza e sarebbe tornata al Gemini vittoriosa, d’altronde non le veniva in mente un motivo valido che avesse spinto il Direttore ad affiancarle una squadra di dementi.
“Signorina Aubert, lei è ospite su questa nave e per quanto detesti ammetterlo io ho dei doveri nei suoi confronti ma devo ricordarle che lo stesso vale anche per lei, perciò la ammonisco: non tollererò più il suo linguaggio offensivo rivolto sia alla mia persona che ai miei uomini….”, Sasaki era sbottato in modo abbastanza rude mantenendo però il contegno che si addiceva ad un uomo del suo rango.
Leroy si era sentito sollevato dopo la partenza della Aubert, la sua presenza era sempre stata una spina nel fianco per lui, gli impediva di lavorare tranquillamente interrompendolo sempre per dirgli delle irritanti sciocchezze.
Si ricordò di quando l’aveva vista salire sulla scialuppa vestita in modo diverso dal solito, camicia di seta e gonna a tre quarti con tanto di scarpe nere munite di tacchetto basso, non sembrava nemmeno più lei, aveva anche raccolto i corti capelli in una coda bassa e in mano reggeva una misteriosa valigetta nera.
Riportando l’attenzione alla realtà l’uomo fece mente locale prima di riferire al suo superiore i risultati del suo lavoro.
“Commodoro, signore! Ho completato le ricerche che mi ha chiesto di eseguire!”, il capitano era sull’attenti, reggeva in mano un plico di carte.
Sasaki si girò verso il suo uomo, ne era molto fiero, gli chiese di illustrargli i risultati del suo lavoro.
“Gwennie King è la figlia di Arthur King, ex ricercatore al servizio del Chimera, un laboratorio sito sull’isola di Janvier nel Mare Settentrionale. King è morto anni addietro e sua figlia è fuggita dall’isola portando con se l’unico campione esistente di un vaccino che potrebbe debellare delle malattie le quali attualmente non hanno cura. Si crede che padre e figlia abbiano fatto parte di una società segreta dedita al terrorismo”.
Il commodoro sbuffò il fumo del suo sigaro profumato formando una nuvoletta leggera che sostò per qualche secondo sopra la sua testa per poi volare via spazzata dalla brezza marina.
“E tu che ne pensi Leroy?”.
L’uomo spostò il peso del corpo da un piede all’altro, era decisamente a disagio.
“Posso parlare liberamente signore?”, Sasaki annuì facendo un ampio gesto con il braccio, “Ritengo che la storia non possa reggere per un motivo molto importante: se davvero Arthur King era l’unico in grado di riprodurre il vaccino per quale motivo l’hanno ucciso? Sul posto non sono state prove che potessero indicare né un suicidio e nemmeno bombe o materiale simile che potesse indicare una minaccia per la comunità”.
Sasaki annuì lentamente era esattamente ciò che aveva pensato anche lui fin da subito, l’uccisione di King aveva una sola spiegazione logica ovvero quella di mettere a tacere un testimone scomodo, qualcuno che aveva visto o sentito troppo…tuttavia la figlia del dottore era realmente fuggita portando con se una fiala proveniente dal Gemini.
“E il campione rubato? Perché mai il ricercatore avrebbe dovuto compiere un simile gesto? A questo hai pensato?”, il sigaro era davvero sublime, peccato stesse per finire.
Prima che Leroy potesse parlare il commodoro lo invitò a recarsi con lui nel suo studio, non era una faccenda della quale parlare all’aperto quella.
 
Gwennie annaspava, aveva il fiato corto, ormai non avrebbe potuto resistere ancora per molto.
Calixte rideva di gusto mentre le lame del chakra e i suoi Sai si scontravano provocando piccole scintille azzurre, quel duello le aveva dato la possibilità di confrontarsi con un’avversaria degna di lei, i boccoli capricciosi ondeggiavano molleggiando sulle spalle della donna che sfoggiava un’agilità davvero sorprendente.
“Non ti ho detto una cosa…appena avrò terminato con te, ammazzerò tutti gli abitanti dell’isola. Non vogliamo testimoni scomodi, capisci. Ho sempre desiderato una pelliccia di orso bianco, risalterà il colore magnifico dei miei occhi indossarla! Ti immagini che splendore?”, ancheggiò simulando la classica passeggiata delle modelle mentre sfilano in passerella.
“Le tue minacce sono esagerate, Calixe. Puoi mettere in difficoltà una come me, ma non gli altri…sapranno cavarsela senza faticare troppo….”, Gwennie approfittò della piccola pausa per riprendersi un poco.
Calixte si fermò di botto, guardò la sua avversaria per poi gettare indietro la testa facendo ondeggiare i lucenti riccioli biondi e si mise a ridere in modo eccessivo ed incontrollabile.
“Credo di aver dimenticato di dirti un’altra cosa…vedi questo lumacofonino? Mi basta una parola per scatenare un Buster Call. Non guardarmi con quell’espressione sorpresa, credevi davvero che fossi tanto sciocca da sfidare un nemico più forte di me sapendo di non poterlo sconfiggere da sola?”, rimise a posto l’apparecchio che aveva estratto dalla minuscola tasca dei suoi shorts.
Gwennie era basita, soltanto un ammiraglio della Marina poteva procedere con un Buster Call e per scatenare una simile apocalisse i motivi dovevano essere molto validi o decisamente importanti per qualche pezzo grosso della Marina.
La seconda ipotesi era quella che la ragazza reputava la più corretta: il VDM-03 sarebbe valso milioni di berry nel mercato delle armi di distruzioni di massa, una vera e propria miniera d’oro per chi ci avesse messo le mani sopra, senza contare che avrebbe potuto sfruttarlo usandolo direttamente sul campo.
Non poteva più permettersi di perdere tempo, Calixte andava sconfitta subito, di fronte ad un Buster Call anche i suoi compagni e i pirati Heart sarebbero stati in difficoltà, senza contare che molti di loro stavano ancora riprendendosi dall’attacco con il gas di Jack.
Nella sua mente si materializzò un’immagine distorta che vedeva Lamento Spettrale giacere inerme a terra mentre enormi fiamme arancioni la stavano per avvolgere.
Scrollò la testa per scacciare quel fantasma inquietante, avrebbe salvato Zou a costo della sua vita usando tutte le sue risorse, anche se non estremamente potenti come lo sarebbe stato un attacco del suo capitano Rufy.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Questa settimana voglio ringraziare particolarmente tutte le persone che hanno scelto di inserire la mia storia tra le preferite, seguite o da ricordare!
Davvero GRAZIE! *.*
La soddisfazione che si prova vedendo aumentare questi numerini è davvero tantissima! :D
Ho notato un’altra cosa però…una lettrice ha smesso di seguirmi e la cosa mi rattrista parecchio… :< …vorrei però capire il motivo, cioè la storia è diventata noiosa o altro?
Fatemi sapere, le VOSTRE opinioni sono della massima importanza per me!
Vi lascio con il solito capitolo settimanale, sperando come sempre che possa piacervi!!! :D
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 22
*** Boden Schwarz ***


Gwennie fece un balzo all’indietro guadagnando un po’ di terreno, staccò le due metà del chakra dai bracciali e riunì le mezzelune ritornando ad utilizzarle come boomerang.
Il fianco non le dava un momento di tregua, istintivamente sollevò leggermente la canotta per guardare la pelle, non si aspettava di vedere niente, l’operazione chirurgica effettuata da Law non aveva avuto bisogno delle classiche incisioni.
La pelle era perfettamente liscia, il colore però non era per niente normale, una chiazza purpurea si stava allargando in modo abbastanza rapido, probabilmente la cicatrizzazione incompleta dei punti di sutura interni non era stata sufficiente per reggere al combattimento.
La ragazza strinse i denti, doveva assolutamente cercare di mettere al tappeto Calixte o almeno di farle perdere i sensi, in questo modo chiunque stesse arrivando per aiutarla non avrebbe dovuto correre per quell’infernale labirinto di specchi per riuscire a trovarla.
“Sei finita signorina King, guardati…non sei nemmeno in grado di reggerti in piedi….”, Calixte sorrise sardonica.
“….tutti questi anni di sofferenza li ho passati pensando all’enorme sacrificio che ha fatto mio padre, lui ha scelto di morire per far sì che altre persone non rischino la vita a causa di questo virus! Adesso che spetta a me scegliere non chiedo di meglio di poter onorare il suo gesto finché avrò fiato in corpo. Il VDM-03 non tornerà mai nelle vostre mani, mettetevelo bene in testa!”, Gwennie si rimise in piedi non senza fatica.
Le gambe le tremavano e la vista si stava offuscando, sentiva la pelle molto calda ma doveva assolutamente resistere e per farlo doveva guadagnare del tempo in modo che chiunque stesse correndo nella foresta per venirle in aiuto facesse in tempo ad arrivare.
Per raggiungere questo scopo, Gwennie ideò un piano: aveva in serbo una carta molto preziosa da giocare ovvero una delle sue mosse più letali ma per metterla in pratica doveva concentrarsi sulla posizione dell’avversaria, una volta stordita Calixte, la giovane avrebbe cercato di segnalare la sua posizione lanciando il chakra più in alto possibile, come una sorta di SOS.
Calixte stava in piedi a circa dieci metri di distanza da lei, dietro alla sua schiena iniziavano i primi specchi che formavano il labirinto che le circondava creando un angolo di tre lati chiusi ed uno aperto, le altre superfici riflettenti si allargavano per tutta la rimanente superficie creando angoli precisi di 45°.
Gwennie prese fiato, alzò le mani sopra alla sua testa sempre reggendo in mano la sua arma, poi con un movimento fluido e aggraziato iniziò a piroettare su se stessa come una ballerina di danza classica, aumentando la velocità ad ogni giro che riusciva a fare, successivamente si piegò su un ginocchio tenendo l’altra gamba completamente distesa.
Calixte la fissava, i movimenti circolari che compieva la sua avversaria erano sempre più rapidi, doveva proteggersi dal suo misterioso attacco, decise di usare la sua mossa migliore: la ARMURE BRILLANTE, in pochi attimi l’intero suo corpo venne ricoperto da minuscole scaglie di specchio le quali avevano formato una corazza affilata e luccicante.
Gwennie ottenne la velocità che desiderava perciò scagliò con forza il chakra direttamente verso l’avversaria, questa lo scansò abilmente non riuscendo ad intuire quello che sarebbe accaduto poco dopo, l’arma infatti colpì più volte gli specchi riducendoli in frantumi ma riuscendo, allo stesso tempo, a rimbalzare fino a raggiungere Calixte alla schiena provocandole una lacerazione notevole e riducendo in mille pezzi l’armatura che la ricopriva.
La pirata rimase a guardare l’avversaria mentre si afflosciava al suolo senza emettere alcun suono, la coppia di sai che giaceva immobile accanto alla proprietaria.
“Che ne dici della mia DEVILISH DANCER?”, sorrise verso Calixte cadendo sulle ginocchia, incapace di rimanere un solo attimo di più in piedi.
Calixte Aubert respirava in modo pesante, la ferita alla schiena le doleva e stava perdendo parecchio sangue, in quelle condizioni non era in grado di mantenere attivo l’intero labirinto di specchi, ne eliminò gran parte conservando giusto quelli intorno a loro.
Faticosamente si rimise in piedi afferrando un Sai che era caduto vicino alla sua scarpa, sorrideva mentre si avvicinava a Gwennie la quale era ancora a terra esanime.
“Bella mossa signorina King…peccato che per te sia stata l’ultima!”, con tutta la sua forza calò il colpo più violento che in quel momento potesse sferrare.
 
 
Qualche settimana dopo presso Boden Schwarz, isola situata nel Nuovo Mondo e sede del laboratorio di ricerca denominato Gemini.
 
Il citofono interno installato sulla pesante scrivania di mogano del Direttore iniziò a trillare fastidiosamente, l’uomo, che non era seduto lì vicino, fece del suo meglio per correre a rispondere, tanto invadente era quel suono.
“Cosa c’è?”, non riuscì a celare la rabbia nella sua voce mentre premeva il bottone giallo che lo metteva direttamente in comunicazione con la sua segretaria.
“Signore, mi scusi, ma dall’ingresso mi informano che sarebbe arrivata la signorina Aubert e chiede di essere ricevuta da lei al più presto”, la segretaria aveva raccolto tutto il suo coraggio, far arrabbiare il Direttore non era decisamente conveniente, tuttavia la situazione richiedeva la massima celerità nel contattarlo.
“Che cosa? Chiama subito il Capitano delle guardie che venga a fare rapporto immediatamente qui da me. Intanto che tengano la donna in attesa”, lasciò il tasto sedendo pesantemente sulla poltrona di pelle.
Cosa stava succedendo?
Per diversi giorni la Aubert aveva fatto perdere ogni sua traccia ed ora tornava direttamente al Gemini in quel modo, senza prima mettersi in contatto con lui e comunicargli gli sviluppi della sua missione?
Un deciso bussare alla porta catturò la sua attenzione, dopo aver ricevuto il permesso, nella stanza entrò un giovanotto di bell’aspetto, muscoloso e dallo sguardo tagliente, era Zimmer, il Capitano delle guardie.
“Esigo un rapporto completo!”, sibilò il Direttore senza attendere che l’uomo avesse chiuso la porta dietro alle sue spalle.
“Subito! Stamani è stata avvistata al lago una piccola imbarcazione, dopo il segnale di ALT che le abbiamo inviato la persona a bordo della stessa ha dichiarato di essere la signorina Aubert. Poiché visivamente sembrava la verità, l’abbiamo portata qui al centro in modo da fare ulteriori controlli, le impronte digitali confermano la sua identità”, prendendo fiato per la prima volta da quando aveva iniziato a parlare, il giovane capitano rimase in silenzio, in attesa di nuovi ordini.
“Fatela venire qui”, la voce roca appena udibile.
Dopo un frettoloso cenno di saluto vagamente militare, Zimmer riaprì la porta che aveva chiuso pochi minuti prima, abbandonando l’ufficio.
 
I tacchi vertiginosi della donna che picchettavano sul pavimento di marmo lucido, preannunciarono l’arrivo della fantomatica Aubert.
Dopo che fu entrata nella stanza del Direttore, l’uomo la squadrò al millimetro: indossava una maglietta molto attillata di colore bianco tempestata di brillantini, una minigonna dello stesso colore e gli stivali di vernice candida che portava quando era partita, tempo addietro.
Il viso era truccato pesantemente, come al solito, e alla bambolina che teneva appesa al collo era stato fatto indossare un abitino bianco per essere in perfetta sintonia con l’abbigliamento della proprietaria.
Masticava noiosamente una gomma.
“Aubert che significa? Sei sparita per diverso tempo senza dare tue notizie. Trovo il tuo comportamento inaccettabile!”, calò un pugno sulla scrivania.
Un foglio di carta svolazzò a terra compiendo eleganti giravolte.
“Non è che posso mettermi a chiamare chi voglio come voglio quando sono in missione, lo sai bene. Ho dovuto prendere una decisione e partire per una missione solitaria, quei marines sono degli idioti”, parlando si stravaccò languidamente su uno dei soffici divanetti che adornavano la stanza accavallando le lunghe gambe affusolate.
Il Direttore grugnì.
“Allora? Raccontami tutto”, accese una sigaretta marrone mentre si sedeva sulla sua poltrona dietro alla scrivania, Calixte era tremendamente sexy quel giorno, nemmeno un uomo come lui ne riusciva a rimanere del tutto indifferente.
“Sono stata in una certa isola, era sicura che la King fosse lì. Ebbene l’ho trovata, abbiamo combattuto…non stava poi così male anche se era malata, sai?”, sollevò i capelli biondi girandosi in modo da mostrare la schiena: la cicatrice causata dalla ferita inferta dalla sua avversaria spiccava sulla pelle bianca della donna, “Ti chiederò più soldi per questo, ha sminuito la mia sfolgorante bellezza!”.
“Non tergiversare e arriva al punto”, il tono con cui parlò si addiceva perfettamente ad un film horror da quanto era basso e sinistro.
La donna mise il broncio per qualche secondo, poi, dopo aver cambiato nuovamente posizione sul piccolo divano, si decise a ricominciare con il suo racconto.
“E’ morta davanti ai miei occhi. Il combattimento è stato troppo gravoso per il suo stato di salute e non ce l’ha fatta…ho un campione del suo sangue però”, recuperò dal suo fornito reggiseno una piccola fiala scura agitandola in aria in modo che il Direttore la vedesse.
“Che aspetti? Dammela!”, allungò l’ossuta mano verso la provetta ma Calixte si ritrasse rimettendo al sicuro il suo trofeo.
La donna rise sgradevolmente mentre riponeva il prezioso campione da dove lo aveva preso pochi minuti prima, con un gesto volutamente lento afferrò la minuscola borsetta che giaceva inerme sul divano, l’aprì e ne estrasse un sottile sigaretta bianca.
“Non è così semplice, Direttore…vedi la King mi ha fatto capire che questa faccenda può fruttarmi un bel po’ di quattrini…molti di più di quelli che avevamo pattuito, capisci che intendo?”, si era alzata in piedi passeggiando avanti e indietro davanti la scrivania dell’uomo.
“Detesto sprecare il mio tempo. Quanto vuoi?”, le sue parole erano quasi un ringhio.
Calixte si fermò chinandosi verso il viso deturpato di lui e mettendo in bella mostra la sua generosa scollatura, si portò la sigaretta alla bocca facendola appena aderire allo strato di gloss che le ricopriva le labbra.
“Hai da accendere?”, studiò scrupolosamente ogni minima mossa che il Direttore stava facendo, nonché ogni sua mimica facciale giungendo alla conclusione che l’uomo non nutrisse il minimo sospetti su quanto stava per accadere.
Dopo un sonoro sospiro, il dirigente afferrò il suo accendino d’oro e allungò il braccio verso la donna, il dondolio leggero della bambolina che teneva appesa al collo catturò per un momento la sua attenzione, quando uno strano torpore invase il suo corpo.
Dapprima pensò di essere in preda ad una specie di attacco cardiaco, poi realizzò di non sentire dolore ma, al contrario, di essere invaso da una sensazione di rilassamento completo, quasi soporifero.
Non fece in tempo a trarre la giusta conclusione che la testa gli cadde ciondoloni sul petto.
 
Calixte Aubert attese qualche secondo prima di avere la conferma che le serviva: il Direttore era caduto in un sonno profondo indotto dalla potente neuro tossina che gli aveva inoculato tramite un minuscolo e sottile ago che in quel momento era piantato nel collo dello sfortunato.
Guardò fiera la sua “sigaretta”, non aveva mai fumato e mai lo avrebbe fatto, pensando a questo tornò verso il divanetto per recuperare la sua borsetta e rimettere così al suo posto la sua piccola cerbottana.
L’orologio segnava le sei meno venti del pomeriggio, non aveva molto tempo, doveva sbrigarsi e trovare le informazioni che le servivano.
Osservando i movimenti del Direttore aveva notato che, seppur in diverse occasioni e per compiere altrettante diverse mansioni, l’uomo non aveva mai toccato un certo cassetto della scrivania, mentre gli altri li aveva continuamente aperti e richiusi.
Girando intorno al massiccio mobile, Calixte afferrò la maniglia del cassetto incriminato, avendo la ovvia conferma che questo fosse chiuso a chiave.
Nella borsa della donna c’era una piccola manicure che conteneva, al posto di limette per le unghie e forbicine un’ampia scelta di ferretti utili per aprire le più disparate serrature che esistessero sulla terra e lei era molto brava nell’usarli.
Un leggero fremito della mano del Direttore le ricordò che il tempo a sua disposizione stava per giungere alla fine, con uno schiocco deciso la serratura del cassetto cedette mostrando finalmente il misterioso contenuto: tra diversi fascicoli di carte la donna lesse PROGETTO VDM-03, afferrò il plico e lo ripiegò diverse volte in modo che potesse entrare nella minuscola borsetta di pelle bianca che aveva portato.
Chiuse il cassetto e fece nuovamente scattare la serratura, nessuno avrebbe mai saputo che era stato aperto fino a che il proprietario non avesse notato la mancanza dei documenti, ma allora lei sarebbe stata già lontana.
 
Il Direttore si ritrovò con gli occhi aperti intento a fissare il prezioso orologio in legno intagliato che faceva bella mostra di se appeso alla parete del suo studio.
Si sentiva confuso, nelle orecchie gli risuonava la fastidiosa voce stridula della Aubert che parlava ad un ritmo frenetico, peggiore del solito, sembrava parecchio agitata e si sbracciava infastidita.
L’uomo cercò di concentrarsi su cosa stesse dicendo, gli riusciva difficile, sembrava si fosse appena svegliato dopo una colossale sbornia, una di quelle che si prendeva con gli amici di un tempo quando era ancora giovane e forte.
“Che diavolo stai dicendo, Aubert?”, la sua voce risuonò più bassa del solito mentre cercava di attirare l’attenzione della bionda.
“Non mi hai ascoltata, vero?”, girò la testa con fare infantile facendo ondeggiare i boccoli biondi, “Beh, non importa…allora mi farai avere i miei soldi domani pomeriggio per quest’ora…io vado a prendere il campione originale che ovviamente non si trova su quest’isola. Se crederò di essere seguita dai tuoi uomini o qualcun altro che abbia qualsiasi rapporto con te, venderò la fiala al migliore acquirente o la distruggerò…dipende da come mi gira! Ma non pensiamo a queste cose tristi….immaginiamo invece come si espanderà la mia cabina armadio nel prossimo futuro!”.
Il Direttore la osservò come imbambolato, non ricordava moltissimo della loro conversazione, era solo certo del fatto che gli fossero stati chiesti più soldi in cambio del VDM-03, cosa che non gli creava nessuna difficoltà date le palate di berry che avrebbe avuto lui dal suo misterioso compratore in cambio del prezioso virus.
“D’accordo Aubert, domani troverai la somma…un milione va bene?”, prese carte e penna per prendere appunti.
La donna confermò cinguettando felice, la loro conversazione era terminata perciò afferrò la sua borsetta e disse due parole di saluto al suo socio in affari.
Una volta solo, il dirigente si alzò a fatica recandosi verso la finestra più grande che l’ufficio potesse vantare, la spalancò inspirando a pieni polmoni l’aria pura che proveniva dall’esterno: doveva ammettere che il profumo di quella donna era davvero fastidioso.
 
Calixte Aubert camminava calma per le vie della città di Karna, unico centro abitato dell’isola, ammirando le case piccole e ben costruite, le insegne luminose dei vari negozi nonché le vetrine scintillanti delle boutique.
La cittadina non era molto grande, questo è vero, ma non le mancava assolutamente niente: quasi tutti gli abitanti dell’isola lavoravano al Gemini, così il tenore di vita era piuttosto alto dato l’agiatezza economica che essi potevano vantare.
La forte domanda di servizi aveva fatto sì che la piccola e rurale cittadina si trasformasse in una metropoli in miniatura, ricca di ogni tipo di lusso che una persona potesse concedersi, dal più raffinato ristorante che si potesse sognare al capriccioso negozio di toelettatura per animali, dal quale le povere vittime uscivano con strampalate acconciature e fiocchetti colorati sparsi ovunque.
La bionda si fermò di botto davanti alla vetrina di cristallo di un rinomato atelier di moda, era tentata di entrare e dare una sbirciatina ma non aveva tempo da perdere, aveva un appuntamento in un certo posto con una persona davvero molto importante.
Accelerò notevolmente l’andatura.
Circa venti minuti dopo si trovava nel luogo prestabilito, una vecchia locanda dismessa che un tempo era stata il fulcro del vecchio porto di Karna, il quale era stato spostato dopo che era stata creata una baia interna finalizzata al controllo completo di tutte le imbarcazioni che desideravano attraccare ma soprattutto quelle che lasciavano l’isola
Il Gemini non voleva e non poteva permettersi che nessun tipo di informazione sulle ricerche che venivano condotte al laboratorio potesse trapelare pericolosamente all’esterno, così i controlli che venivano effettuati erano particolarmente minuziosi, quasi maniacali.
Nessuno che non fosse provvisto di un particolare permesso già da tempo approvato dal Direttore in persona, poteva penetrare nella baia, né tantomeno chi ne fosse stato privo avrebbe potuto lasciare l’isola, ma per Calixte era diverso, essendo un membro effettivo della cerchia più ristretta che gravitava attorno al dirigente, poteva circolare abbastanza liberamente.
La malandata insegna della locanda cigolò mossa dal vento, tranne quel rumore il silenzio era assoluto, delle nubi scure che occupavano il cielo preannunciavano una tempesta in arrivo, tra non molto avrebbe piovuto abbondantemente.
Calixte attese con pazienza mentre la brezza la face rabbrividire impercettibilmente, i suoi striminziti abiti non la stavano proteggendo molto dalla fresca aria di mare.
Ad un tratto un movimento alla sua destra catturò la sua attenzione.
La figura di un uomo avvolto in un pesante mantello con tanto di cappuccio che copriva metà del suo bel viso la fece per un attimo sussultare, poi riconobbe in lui la persona che stava aspettando.
Dietro al misterioso figuro c’erano altri due uomini abbigliati nello stesso modo che attendevano solerti gli ordini del loro capo tenendo le braccia incrociate sul petto.
“Ce ne hai messo di tempo, eh?”, l’uomo incappucciato sorrise in un modo decisamente particolare.
“Ma ho trovato ciò che cercavamo!”, sorrise anche lei mentre un pesante mantello le veniva gettato sulle spalle e le prime gocce di pioggia iniziavano a cadere.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Questa settimana capitolozzo particolare con un piccolo salto temporale, ma non temete, i particolari riguardanti il combattimento tra la nostra protagonista e la tremenda Calixte non tarderanno ad arrivare!!!
Come sempre spero che vi piaccia!
Vostra
BlackVanilla
p.s.: SeaFire 17 so che in questo momento sei vicina a lanciarmi addosso il gelato alla menta….non farlooooooo per favoreeeeeeeeeee!!! >o<  

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Capitolo 23
*** Devo dirti una cosa... ***


Il Direttore accese l’ennesima sigaretta marrone torcendosi poi le mani in attesa del rapporto del Capitano delle guardie Zimmer.
Non poteva ancora credere di essere stato così idiota da fidarsi della Aubert dopo che era sospettosamente scomparsa per così tanto tempo senza dare notizie di sé, tuttavia, quando aveva visto quella provetta tra le sue dita, non aveva capito più niente.
Il VDM-03 racchiudeva per lui la possibilità di diventare ricco sfondato, lasciare il suo posto e ritirarsi finalmente a vita privata, trascorrendo in tranquillità i pochi anni che gli rimanevano da vivere.
Sì, lo sapeva benissimo che non gli restava ancora molto.
Dopo essersi ripreso dalle ustioni che, anni addietro, lo avevano quasi ucciso, i medici gli avevano comunicato quale era la sua situazione medica senza nascondergli nulla: privo di un polmone e con diversi organi seriamente danneggiati, il suo fisico non avrebbe retto a lungo.
Effettuare trapianti su un paziente così debilitato non era certamente consigliabile, non aveva altra scelta se non quella di godersi al massimo il tempo che gli rimaneva e fino a qualche ora prima era certo di avere la carta giusta da giocare per assicurarsi tutto quello che gli necessitava per il futuro.
Quando, circa mezz’ora dopo che la donna aveva lasciato lo studio, aveva avuto necessità di verificare alcuni dati del fascicolo relativo al virus, aveva immediatamente mangiato la foglia.
La serratura del cassetto della sua scrivania, quello che teneva sempre ben chiuso, era stranamente meno collaborativa del solito mente faceva girare la piccola chiave nella toppa.
Dettaglio poco rilevante se non sommato alla completa sparizione dell’intero fascicolo cartaceo del VDM-03, cartelletta che conteneva non solo le sperimentazioni fallite dal dottor Bianchi, ma anche le statistiche di mortalità, gli effetti collaterali nel tempo e tutta la possibile evoluzione della malattia.
Cosa molto più grave, all’interno c’erano diversi nomi di personaggi interessati all’acquisto del virus, compreso quello del suo aggancio nel Governo Mondiale, con tanto di offerta in denaro per la compravendita del conteso batterio.
A chi la Aubert avesse cercato di vendere quelle informazioni, il Direttore non se lo immaginava proprio, l’unica persona che potrebbe essere stata interessata all’argomento forse era la figlia di King, ma in quel momento la ragazza giaceva sotto tre metri di terra da qualche parte nel Nuovo Mondo, perciò l’ipotesi era decisamente da scartare.
In ogni caso una volta scoperto il furto, l’uomo non aveva avuto bisogno di pensare troppo a chi fosse stato il colpevole: una sola persona si era soffermata per un tempo abbastanza prolungato nel suo studio ed era stata proprio durante quell’arco di tempo che il dirigente aveva avuto la sgradevole sensazione di sentirsi intontito, lo aveva certamente sedato in qualche ingegnoso modo.
Il citofono interno gracchiò distogliendolo così dai suoi pensieri.
“Che c’è?”, tossì con violenza, nel giro di un’ora aveva fumato circa una decina di sigarette.
“Zimmer chiede di essere ricevuto, Direttore”, la segretaria aveva la voce che tremava.
“Fallo entrare!”, appena la porta si aprì fulminò il giovane Capitano delle guardie con lo sguardo, voleva sentirsi dire che avevano catturato la Aubert, qualsiasi altra cosa lo avrebbe fatti infuriare ancora di più.
Zimmer, che era sì un giovane di trent’anni che aveva da poco ricoperto il ruolo di capitano, ma poteva vantare un’acuta intelligenza, decise di non tergiversare e arrivare subito al nocciolo della questione alimentando la soddisfazione del suo capo.
“Direttore, l’abbiamo catturata e assicurata con un bracciale di agalmatolite. Se vuole seguirmi la condurrò da lei subito!”, si mise leggermente sull’attenti.
Un cupo sorriso s’impadronì del viso smunto dell’uomo mentre, sfregandosi le mani, si avviava verso il corridoio pregustando i modi mediante i quali avrebbe potuto sfogare la sua ira poco dopo.
 
 
Cinque settimane prima presso la millenaria isola di Zou.
 
Law fermo ad un bivio, stava prendendo fiato, non sapeva dove andare, orientarsi era davvero impossibile in mezzo a tutti quelli specchi lucenti.
Le superfici riflettevano l’immagine di un uomo tormentato ed impotente, da qualche parte non molto lontano Gwennie stava rischiando la vita e lui non era in grado di fare assolutamente niente per aiutarla.
Colmo di rabbia, scagliò un pugno versò lo specchio più vicino mandandolo in frantumi immediatamente questo si rigenerò rendendo il gesto del medico completamente inutile, sospirando riprese a correre quando notò un cambiamento nel labirinto.
Le pareti lucide stavano iniziando a vibrare sempre con maggiore intensità fino a formare delle lunghe crepe su tutte le superfici, con uno scoppio violento le decine di specchi implosero formando una nube di minuscoli frammenti i quali di dissolsero in pochissimo tempo.
Il dottore tolse le braccia dal viso, posizione che aveva assunto per ripararsi dalla pioggia di detriti taglienti, aprendo gli occhi: il labirinto non c’era più o meglio la gran parte degli specchi era scomparsa tranne qualche lastra non molto lontano da dove si trovava in quel momento.
Per il pirata non fu affatto difficile trarre la conclusione esatta: Gwennie doveva essere lì, tra quei pochi specchi che erano rimasti in piedi, creò rapidamente una ROOM ed effettuò lo SHAMBLES scambiandosi con la ragazza stessa.
Aveva preventivamente sfoderato la nodachi perciò riuscì a parare il colpo agguerrito del Sai di Calixte senza difficoltà, se solo avesse tardato di un minuto la sottile lama avrebbe trafitto mortalmente Gwennie senza lasciarle via di scampo.
“Guarda, guarda….la naufraga sfortunata….”, Law si liberò dell’attacco con un fendente deciso, sorridendo con quel suo modo particolare.
Calixte rimase immobile, aveva perfettamente capito cosa era accaduto e ora si trovava davanti ad un temibile avversario, un pirata che faceva parte della peggiore delle generazioni per non dimenticare che si trattava anche un ex membro della Flotta dei Sette.
“Tu sei il chirurgo della morte, non è così? Non ho nulla contro di te…lasciami completare la mia missione!”, la voce squillante della donna urtò i nervi già tesi del dottore.
“Non è mia abitudine accettare ordini”, si mise in posizione di attacco, “prega che la ragazza non sia morta”.
Non diede il tempo alla donna di replicare, creò una ROOM e alzò la sua nodachi verso il cielo: sistemare quella tipa non avrebbe comportato un grosso sforzo.
 
Quando, qualche minuto dopo, Calixte Aubert, o meglio i pezzi del suo corpo, finirono a terra.
Con la perdita di conoscenza della mercenaria, anche gli ultimi specchi rimasti si ruppero in mille schegge brillanti scomparendo finalmente del tutto.
Rimettendo a posto Lamento Spettrale nella sua fodera, Law aguzzò la vista per cercare Gwennie, la giovane era logicamente andata a finire nel posto dove il medico aveva effettuato lo SHAMBLES.
Raggiunse la ragazza correndo, giaceva a terra a faccia in giù, non riusciva a vederle il viso, posò la spada sull’erba, dopodiché afferrò le spalle bianche della ragazza per girarla e rimetterla così in posizione supina: il volto non aveva subito ferite e anche il resto del suo corpo non presentava tagli o graffi di nessun genere.
Sembrava semplicemente caduta in un sonno tormentato.
Quasi immediatamente la giovane si lamentò riprendendo coscienza.
“Cosa è successo?”, il medico notò che aveva la febbre piuttosto alta, stava sudando copiosamente.
Lei aprì gli occhi verdi velati di dolore, si illuminarono di gioia nel constatare che colui il quale era accorso per aiutarla non era altri che il suo Law.
Sorrise debolmente.
“Scusami….ho sciupato tutto il tuo lavoro….ma lei….voleva il virus, lo rivogliono per replicarlo…non potevo lasciarglielo fare….voleva un campione del mio sangue….”, le parole della giovane erano un rauco sussurro.
Un rivolo di sangue le colò dal naso.
Lui la strinse di più tra le braccia, istintivamente le sollevò la canotta nel punto dove aveva effettuato l’operazione trovando ciò che temeva: un’ampia chiazza purpurea segnalava allarmante un’estesa emorragia interna.
“Presto, dobbiamo tornare all’accampamento è necessario operarti immediatamente!”, fece per sollevarla ma lei si lamentò di nuovo.
“Law…mi perdoni?”, gli stringeva la mano attorno al braccio, gli occhi semichiusi che lottavano per non lasciarsi vincere dalla stanchezza.
Tossì debolmente, aveva sentito il bisogno di farlo anche durante il combattimento ma si era trattenuta, immaginava che avrebbe potuto sputare del sangue e temeva che Calixte potesse usare anche un campione così contaminato per i suoi scopi, non aveva voluto assolutamente rischiare.
“Che diavolo vuoi che me ne importi dell’operazione?!?”, vederla morente tra le sue braccia stava rompendo la ormai fragile barriera che il dottore aveva cercato di erigere tra di loro, “Maledizione non l’hai capito?”.
Gwennie ebbe un sussulto, un dolore ustionante le stava bruciando le interiora, riuscì a guardare negli occhi grigi di lui con le ultime forze che le rimanevano, lo amava moltissimo ed era felice di essere riuscita a passare tanto tempo assieme anche se in modo e per un motivo di certo singolari.
Non aveva paura di morire, un tempo lo aveva anche desiderato ma in quel momento non voleva lasciare in nessun modo la debole presa che stava mantenendo sulla sua vita, voleva guarire e vivere mille avventure con i suoi compagni e soprattutto rispecchiarsi negli occhi grigio del chirurgo della morte.
Una volta ancora, una volta soltanto…
Una lacrima le rigò la guancia, tossì ancora, il sangue le colò fin sul mento tremolante e si sentì venir meno, una nube scura la avvolse inesorabile.
“Ehi, resisti! Devi resistere!”, gli occhi umidi della ragazza finirono per chiudersi, la testa andò ad appoggiarsi pesantemente sul petto di lui.
No, non poteva andarsene così, dopo tutto quello che aveva passato, dopo le sofferenze che aveva superato adesso che stava per guarire e che poteva ricominciare a pensare ad un futuro.
Non poteva.
Non poteva andarsene senza sapere una cosa.
Law avvicinò il viso a quello di lei, riusciva a percepire ancora il suo dolce profumo alla vaniglia, i capelli sciolti cadevano a ciocche scomposte sulle spalle riuscendo a toccare anche il terreno, le parlò piano, la bocca vicina all’orecchio della giovane.
“Sono io che devo chiederti scusa…finora ho tenuto duro credendo che fosse la cosa migliore da fare, mi rendo conto di aver commesso un errore. Ti prego resisti, devo dirti una cosa importante…non lasciarti andare adesso….non lasciarmi adesso….”, l’abbracciò forte, “Gwennie mi senti? Rimani con me….anch’io….dannazione, anch’io ti amo…”.
Era stato uno sciocco.
Dopo che Gwennie gli aveva detto, anche se era stato delirando per via della febbre, che lo amava, il dottore si era sentito spaccato a metà: una parte desiderava dire alla giovane che anche lui si era innamorato di lei e non chiedeva altro che poter passare il resto della vita in sua compagnia, l’altra invece aveva paura di questo sentimento, temendo di rimanere ancora una volta solo e con il cuore spezzato.
La morte delle persone che un tempo avevano formato la sua famiglia d’origine era stata atrocemente difficile da superare, aggiungendo poi la triste esperienza della scomparsa di Corazon, l’unico che fosse riuscito ad avvicinarsi a lui dopo l’ecatombe di Flevance, non c’era da stupirsi se l’uomo fosse così restio a mettersi in gioco sul piano sentimentale.
Adesso che percepiva la vita di lei scivolargli rapidamente tra le dita, adesso che la vedeva sofferente tra le sua braccia…solo adesso era riuscito a capire quello che doveva fare da troppo tempo ormai.
Forse era tardi.
Forse non avrebbe avuto più la possibilità di rivederla sorridere.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
*RULLO DI TAMBURI*
*ALLEGRE TROMBETTE CHE SUONANO*
*DELIZIOSI PUTTI CHE SCENDONO DALLE LORO SOFFICI NUVOLETTE
GETTANDO PETALI DI ROSA A DESTRA E A MANCA*
TA-DAAAAAN!!! *O*
E finalmente, direte voi! :>
Devo ammetterlo, vi ho fatto un po’ attendere ma alla fine la tanto sospirata dichiarazione è arrivata!
Peccato che la nostra protagonista non l’abbia sentita per niente…chissà se potrà mai riprendersi o se per lei è davvero troppo tardi! :O
Lo saprete giovedì prossimo! :P
Come sempre attendo le vostre recensioni! ;)
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 24
*** Domande senza Risposta ***


Il sole si alzò pigro su Zou, i caldi raggi illuminarono la foresta gradatamente trasformando il nero della notte in un verde brillante e meravigliosamente intenso, le nuvole si rincorrevano trascinate da una brezza piacevole e tiepida mentre gli uccelli volavano spensierati sbattendo le ampie ali.
Erano passati diversi giorni dallo scontro tra Gwennie e Calixte Aubert.
Da quando, quella mattina, Law era comparso all’improvviso tra i suoi nakama reggendo la ragazza agonizzante tra le braccia, gli eventi si erano svolti velocemente: il medico con l’aiuto di un irremovibile Chopper, aveva praticato un intervento disperato per riuscire a salvare la giovane direttamente a Zou, non potendo rischiare di far intraprendere un viaggio alla paziente fino al loro sottomarino.
Non avendo a disposizione le necessarie attrezzature mediche, l’operazione si era protratta più del previsto riuscendo a tenere occupati i due dottori per più di dieci ore consecutive, lasciandoli completamente esausti oltre che insoddisfatti.
Erano riusciti a salvare la vita di Gwennie ma, inesorabilmente, il fisico già provato della loro amica non era riuscito a reggere a tanto stress ed era caduta in uno stato comatoso dal quale nessuno poteva sapere se si sarebbe mai potuta risvegliare. 
Pochi giorni dopo il termine dell’intervento, anche se a malincuore, Rufy aveva iniziato i preparativi per la partenza allo scopo di recuperare Sanji: le due ciurme di pirati avrebbero atteso il ritorno di Cappello di Paglia per procedere all’attacco contro Kaido, ma, successivamente all’arrivo dei due samurai sull’isola, era emersa un’importante scoperta.
All’interno del grosso albero a forma di balena, dal quale la foresta stessa prendeva il nome, giaceva un antico Poignee Griffe di colore rosso che i giovani pirati andarono a vedere di persona accompagnati dal Gatto Vipera, dal Duca e dai samurai con Momonosuke, il quale aveva rivelato di non essere in realtà imparentato con Kin’emon, ma di essere il figlio dell’ultimo daimyou del paese di Wa, Lord Oden Kozuki.
Il colore particolare della pietra stava ad indicare che essa era un Road Poignee Griffe, ovvero la traduzione di quanto vi era scolpito sopra non erano altro che indicazioni nautiche per riuscire a raggiungere una delle quattro isole necessarie per localizzare Raftel.
Degli altri tre blocchi ancestrali, uno era in possesso di Kaido stesso, l’altro dell’imperatrice Big Mom, mentre il terzo era andato perduto, nessuno ne aveva più traccia ormai da tempo immemore.
Dopo una prima esplosione di entusiasmo da parte di Rufy, Kin’emon e Kanjuro spiegarono che in quel momento Wa era sotto l’occupazione dell’imperatore Kaido in combutta con lo shogun, reo di aver tradito il sovrano condannandolo così a morte: era nata così la triplice alleanza pirati-visoni-ninja, creata per sconfiggere Kaido e liberare così il paese oppresso.
Stavano per uscire dalla balena, quando Law si accorse che si era fatto tardi, era ora di andare a veder come stava la paziente: non aveva mai avuto un colorito particolarmente roseo per colpa della sua malattia, ma adesso era diventata davvero semitrasparente, la pelle era così bianca da lasciar intravedere le vene che passavano sotto di essa, nonostante le diverse trasfusioni che aveva subito l’emorragia era stata spietata con lei.
Le orbite erano due buchi bluastri completamente immobili, non un fremito passava sulle palpebre pesantemente chiuse, nessun segno di vita le faceva vibrare…sembrava vuota.
 
Robin passeggiava lentamente sotto un cielo particolarmente azzurro, le sottili nuvole bianche passavano rapide sul disco, un gioco di luce e ombra rendeva la foresta ancora più misteriosa di quanto già non fosse, quel paese era meraviglioso ma agli occhi dell’archeologa lo era senz’altro molto di più.
I reperti presenti su quel territorio erano inestimabili e straordinariamente antichi, ci sarebbe voluto tanto tempo per poterli esaminare e catalogare adeguatamente.
Un leggero rumore la fece voltare, dietro di lei, ancora lontana, correva Nami, la figura flessuosa dalla forma perfetta era slanciata in una maratona che sembrava avere proprio Robin come traguardo.
Un’ondata di delizioso profumo fruttato preannunciò l’imminente arrivo della navigatrice: quel giorno indossava una strepitosa canotta bianca adornata da finti bottoncini di varie forme e colori, una gonna a pieghe di jeans e i sandali preferiti che l’avevano accompagnata in tante delle avventure che aveva vissuto negli ultimi anni.
Prese fiato prima di parlare.
“Robin, hai visto dove si trova Traffy?”, minuscole goccioline di sudore le imperlavano la fronte.
“No, non lo ho visto, perché? Che è successo?”, qualcosa nell’espressione dell’amica l’aveva allarmata.
Nami si era chinata appoggiando le mani alle ginocchia per riprendersi dalla corsa, sollevò la testa facendo ondeggiare i magnifici capelli rossi che sotto al sole sembravano addirittura arancioni grazie ai riflessi dorati.
“Gwennie….sta male, parecchio male! Chopper è con lei ma da solo non può fare molto…”.
“Coraggio, non perdiamo tempo, andiamo a cercarlo subito!”, Robin prese il braccio dell’amica e insieme iniziarono a correre alla ricerca di Trafalgar Law.
 
Arthur King e sua figlia erano seduti in riva al laghetto Decoante, poco lontano dalla loro casa di Janvier, le acque limpide erano smosse dai vivaci pesci che si agitavano sotto alla superficie intenti a procurarsi del cibo, il sole alto e luminoso riscaldava l’aria rendendola quasi primaverile.
Gwennie si era tolta i sandali e aveva immerso i piedi nudi nell’acqua tiepida mentre ascoltava estasiata la voce di suo padre che le raccontava qualcosa, era difficile concentrarsi, a volte lasciava perdere lo sguardo ammirando il paesaggio familiare e sentendosi finalmente a casa, protetta.
“Papà sono felice….”, aveva gettato indietro la testa lasciando che il sole le illuminasse i capelli sciolti, si sentiva leggera come una piuma.
“Lo vedo bambina…anche io sono contento di averti rivista, sai….mi sei mancata tanto e anche a tua madre….”, la voce di Arthur King era decisamente confortante.
“La mamma? E’ qui?”, Gwennie sgranò gli occhi, “dove si trova?”.
Suo padre la guardò severo chiedendole di calmarsi, sua madre era in casa e stava preparando la cena come faceva sempre.
Delle nuvole scure passarono davanti al sole nascondendolo.
La ragazza ritrasse i piedi dall’acqua, era diventata fredda, anche la brezza piacevole di poco prima era mutata in uno spiacevole vento freddo, i pini verdi si piegavano obbedienti al comando di Eolo mentre la sensazione di pace che aveva avuto poco prima stava scomparendo pian piano.
Sentiva che il tempo che aveva potuto trascorrere lì con suo padre era terminato.
“Papà che succede?”, ma fin che parlava un ricordo le tornò alla mente…un paio di occhi grigi la guardavano, in quel momento non riusciva a né focalizzarli né a capire a chi appartenessero.
Il cuore le iniziò a battere più velocemente.
“Bimba mia il tuo cammino non è ancora concluso….”, sorrise e si allontanò dal laghetto.
Stava raggiungendo la casa.
Le nuvole nere avanzavano veloci da dietro alle montagne, dei fulmini le illuminavano di giallo, segno evidente di una tempesta in arrivo, anche il vento era aumentato di intensità.
Gwennie, con i capelli che frustavano il viso, cercò di raggiungere suo padre senza successo, lui aveva già aperto la porta di casa e prima di entrare le aveva fatto un gesto di saluto con la mano, appena l’uscio fu richiuso il temporale si scatenò con tutta la sua violenza.
La pioggia fredda cadeva copiosa mentre la giovane cercava invano un riparo dove proteggersi da tale furia, i fulmini cadevano sul manto erboso bruciandolo, se non avesse corso più velocemente avrebbe potuto esse colpita anche lei.
Girò la testa, la sua casa non c’era più era scomparsa così come il lago Decoante e tutti i pini che formavano il suo bosco preferito, il paesaggio era completamente cambiato, in quel momento non sapeva più dove si trovava.
Correndo notò che i ciuffi di erba crescevano ogni minuto di più cingendole le caviglie e rallentandone la corsa fino a farla inciampare in malo modo, cadendo urtò pesantemente a terra con il petto sentendosi schiacciare i polmoni.
Ormai era immobilizzata.
Uno schiocco sordo proveniente dal cielo sopra di lei annunciò l’arrivo di un fulmine, la ragazza fece di tutto per svincolarsi dalla sua prigione verde ma fu tutto inutile, il tuono cadde dolorosamente su di lei spargendo una luce accecante che la costrinse a chiudere gli occhi.
 
 
Boden Schwarz - Nuovo Mondo.
 
“Credi che io non lo sappia?”, il Direttore era comodamente seduto sulla sua poltrona di pelle.
Da qualche minuto conversava al lumacofono protetto con il suo intermediario nell’affare del VDM-03, era la persona che faceva da tramite tra lui e i suoi compratori, coloro che si erano aggiudicati l’esclusiva del virus.
Dopo la sparizione della Aubert, il dirigente non aveva più saputo fornire una tempistica precisa sulla consegna del batterio mortale e questo fatto aveva arrecato parecchio malumore ai suoi soci in affari.
“Ascolta, la Aubert è in gamba. Se non da sue informazioni è perché si trova in missione e non ha la libertà di comunicazione cha invece abbiamo noi. Devi stare tranquillo e rassicurare i nostri amici, non c’è pericolo: avranno il virus in tempi brevissimi”, sospirò senza farsi sentire.
Il suo interlocutore parve rabbonirsi congedandosi rapidamente.
Non appena ebbe riposto il lumacofono protetto e chiuso a chiave il cassetto della scrivania, si alzò dirigendosi verso il piccolo mobile bar che arredava una parte del suo magnifico ufficio.
Con un gesto abile aprì gli sportelletti che, per uno che non se ne intendeva, potevano passare per ante di una semplice credenzetta adibita ad archivio per polverose e vecchie carte, ma che invece serbavano un tesoro preziosissimo: all’interno, adagiate su una mensola di cristallo trasparente, c’erano quattro bottiglie di prestigiosii liquori d’annata.
Il Direttore prese uno snifter, il classico bicchiere che si usa per assaporare al meglio il cognac, e lo riscaldò leggermente prima di versarsi il profumato liquido ambrato, lasciandosi cullare dalla sensazione gradevole che il tiepido alcolico gli infondeva.
Ripose la bottiglia sul ripiano con la massima cautela possibile, non desiderava che il cozzare tra il vetro del contenitore e quello della mensola producesse quel fastidioso suono che aveva sentito altre volte, in quel momento necessitava solo di stare in silenzio.
Agitò con un movimento circolare il cognac che era rimasto nel bicchiere, annusandone l’aroma avidamente.
Gettò lo sguardo fuori dalla finestra: le spiagge nere che caratterizzavano l’isola erano ricoperte da un sottile strato di schiuma bianca, segno che una tempesta sarebbe arrivata tra non molto.
Un uomo stava portando a spasso il cane facendolo correre libero sui ciottoli scuri che sostituivano la sabbia, l’animale annusava felice il vento prima di abbaiare soddisfatto verso il mare e correre verso il suo padrone portandogli il bastone che gli aveva poco prima lanciato.
Chissà dove diavolo era finita quella gallina della Aubert!
Perché si era fidato di lei…il suo lavoro fino a quel momento era stato senz’altro ineccepibile ma adesso…adesso che le era stato affidato un incarico davvero importante era sparita senza dare notizie di sé.
Il ricordo del profumo dolciastro della donna gli fece arricciare il naso, non aveva mai sentito una fragranza così fastidiosa in tutta la sua vita, cacciò il pensiero dalla mente dedicandosi al rimanente liquore che giaceva nel suo prestigioso snifter: se la Aubert aveva fallito non avrebbe fatto altro che mandare qualcun altro al posto suo, non c’era motivo di agitarsi troppo.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Dato che domani è festa, ho pensato fosse meglio anticipare l’uscita settimanale! :)
Ringrazio come sempre chi mi segue e chi mi recensisce! :D
Vi abbraccio tutti, dal primo all’ultimo!!! *O*
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 25
*** Ombra e Luce ***


Gwennie sentiva un fastidiosissimo ronzio nelle orecchie.
Era un suono continuo, difficile da sopportare le impediva di orientarsi per capire dove si trovasse in quel momento, tuttavia all’improvviso le parve di distinguere una voce anche se piuttosto lontana.
“Sembra che ci siamo…sospendi il massaggio...”.
“D’accordo. Credo di averle incrinato un paio di costole…speriamo che mi sbagli”.
“L’importante è averla ripresa. Regola il flusso di quel flebo, va troppo veloce…”.
“…ho avuto tanta paura…”.
“….”.
“Non succederà ancora, vero?”.
“Spero di no...”.
“Vado a rassicurare gli altri, saranno in pensiero…sarò di ritorno tra non molto”.
Silenzio.
Una porta che forse stava chiudendosi.
Un sospiro.
Silenzio.
Passò un tempo indefinito prima che la giovane ricominciasse a sentire delle voci, stavolta erano più chiare e riusciva ad intuire chi fosse a parlare.
“Te la immaginavi una cosa così?”, forse Franky.
“No…”, Usopp?
Sospiro.
“Credi si riprenderà? E’ così pallida…”, sempre Usopp.
Un rumore metallico, qualcosa che si muoveva.
“Non lo so, è ridotta male…cosa dice Chopper?”
“Non molto. Hanno fatto il possibile...”, fu interrotto da un leggero bussare alla porta che venne aperta.
“E voi che ci fate qui?”
“Siamo venuti a darvi il cambio, la cena è stata servita e noi abbiamo già consumato la nostra razione di cibo. Prego, andare a rifocillarvi, staremo noi qui con lei...”, chi altri poteva parlare in quel modo se non Kin’emon?
Usopp e Franky ringraziarono il samurai, erano senz’altro affamati, chissà da quante ore erano lì per vegliarla.
Il fruscio delle vesti di seta del guerriero proveniente dal Paese di Wa era davvero rilassante, un suono delizioso che donava una profonda serenità…le ricordava qualcosa di estremamente piacevole ma in quel momento non sapeva dire cosa potesse essere.
“Fa parte dei pirati di Cappello di Paglia?”, Gwennie non riconobbe quella voce, non la conosceva.
“Sì, lord Momonosuke è molto affezionato anche a lei…”, questo era sicuramente Kin’emon.
I due parlottarono un poco, le voci divennero sempre più lontane fino a scomparire, l’ambiante misterioso che la circondava fatto di suoni e rumori venne travolto dal nero oblio, una sensazione simile a quella che si ha poco prima di addormentarsi.
 
Stavolta era toccato al naso.
Gwennie sentiva un fastidioso prurito alla narice destra, era una cosa insopportabile, pizzicava proprio.
Provò ad attendere che la sensazione passasse ma questa si intensificava sempre di più, sembrava che qualcuno le stesse facendo il solletico con qualcosa.
Non poteva più sopportarla, doveva fare qualcosa ma il suo braccio sembrava restio a collaborare, anche se lei voleva muoverlo questo stava fermo, pesante come se fosse fatto di cemento.
Riprovò diverse volte ottenendo sempre lo stesso deludente risultato, ma il fastidio aumentava in modo esponenziale facendola arrabbiare ogni minuto di più: concentrandosi al massimo fece sussultare il braccio, era stato faticoso ma ci era riuscita, il movimento era stato appena percettibile ma era ugualmente soddisfatta.
Con suo grande stupore e senza averlo programmato, si ritrovò con gli occhi aperti.
Davanti a lei, su una sedia di legno, c’era un uomo strano mai visto prima: vestiva in modo vagamente similare a Kin’emon ma era tozzo e abbastanza brutto, i capelli sembravano i tentacoli neri di un polpo infelice, dormiva sodo senza emettere alcun rumore.
“Oh, ma è meraviglioso! Ti sei svegliata O-Gwennie! Debbo avvertire immediatamente anche gli altri!”, il volto familiare di Kin’emon le riscaldò il cuore, per un momento non era stata sicura di essere tra i suoi amici, il tizio addormentato l’aveva lasciata perplessa.
Il samurai scosse l’individuo misterioso.
“Orsù Raizou, destati! Non è questo il momento più opportuno per concedersi al sonno!”.
Lo stupore nel sentire il nome del fantomatico ninja associato alla figura che aveva davanti, fece dimenticare per qualche minuto a Gwennie del fastidio che sentiva al naso.
Quello era Raizou?
Se lo era immaginata leggermente diverso…leggermente più…ninja.
Quando Law entrò pochi attimi dopo, spalancando la porta, ogni pensiero svanì dalla mente della giovane: era bellissimo, anche più di come lo aveva ricordato mentre vagava in quel limbo nero formato solo da suoni lontani e voci indistinte, i capelli arruffati e lo sguardo tagliente, l’immancabile spada appoggiata alla spalla...le era tanto mancato.
I due samurai si congedarono compiti lasciandoli soli.
Il dottore la guardò, gli occhi verdi aperti, stanchi, ancora sofferenti e leggermente lucidi: si era evidentemente commossa nel rivederlo dopo tutto quel buio, quelle lacrime che stavano spuntando misero in moto una catena di ricordi nella mente del chirurgo.
Ricordò le lacrime brillanti che erano cadute sul pavimento della sua stanza quando era rimasto ferito all’occhio, ricordò le parole di una ragazza delirante per la febbre mentre gli dichiarava in modo perfettamente genuino tutto il suo amore ed infine ricordò le lacrime di dolore che aveva versato quando l’aveva avuta esanime tra le braccia, il cuore colmo di paura sentendola scivolare lentamente tra le braccia.
Agì d’istinto, lasciando che quella parte di lui che per tanto tempo aveva tenuto nascosta prendesse finalmente il sopravvento: si avvicinò al letto dove giaceva Gwennie e, chiudendo gli occhi, posò le sue labbra a quelle della ragazza.
Lei fu all’inizio sorpresa, poi abbassò le palpebre sentendo la voce di lui riaffiorarle nella testa: ...mi senti? Rimani con me…anch’io ti amo….
Allora era accaduto veramente, non era stato il frutto della sua fantasia, Law le aveva davvero detto di ricambiare i suoi sentimenti ed era successo poco prima che lei perdesse definitivamente i sensi, dopo il terribile scontro che aveva avuto con la misteriosa Calixte.
Incerta nei movimenti dopo essere stata completamente ferma per diversi giorni ma troppo felice per non tentare, posò goffamente la mano dietro la nuca di lui stringendolo a se per prolungare quel meraviglioso bacio per qualche attimo ancora.
 
“Ahi!”, Gwennie non riuscì a trattenersi.
Nami si scusò, il che fece sentire in colpa la sua amica: la navigatrice l’aveva aiutata a lavarsi i capelli rimanendo sdraiata a letto escogitando, con l’ingegno di Robin e Usopp, un metodo straordinario e adesso glieli stava spazzolando, ancora bagnati, prima di mettersi all’opera con il phon.
“Scusami tu, con tutto quello che state facendo per me…immagino in che stato sia la mia chioma!”, effettivamente i poveri capelli di Gwennie erano terribilmente imbrogliati.
“Aspetta, applico un altro po’ di balsamo…dovrebbe districare questi nodini...”, spruzzò un prodotto gradevolmente profumato alla frutta, poi prese in mano il pettine e si rimise al lavoro, era davvero contenta di risentire la voce della sua compagna.
Quando, il giorno prima, Kin’emon aveva annunciato il risveglio della ragazza, i nakama avevano festeggiato pieni di gioia, avevano davvero temuto di perderla per sempre, e anche i membri della ciurma dei pirati Heart erano stati felicissimi, Bepo aveva addirittura pianto.
La giovane era ancora convalescente e lo sarebbe stata ancora per un bel po’ di tempo, il suo corpo era davvero molto debole e necessitava di recuperare con tutta la calma del caso, così le sue amiche si erano offerta di aiutarla per compiere i piccoli gesti quotidiani che le risultavano impossibili da fare da sola.
“Oggi ti senti meglio? Hai mangiato quasi tutto ieri sera...”, il pettine correva tra le ciocche umide mentre Nami parlava.
“Sì, può sembrare stupido ma mi sento già più forte…”, rise, “il tortino al limone di Jasper ha aiutato parecchio in tal senso!”.
La navigatrice rise, era stato davvero delizioso, lo aveva assaggiato anche lei.
Stavano parlando del più e del meno quando arrivò Robin, reggeva in mano un bellissimo mazzo di fiori e una scatolina di legno artigianale, un omaggio da parte dei visoni spiegò.
Il colorato bouquet diede subito a Gwennie un senso di disagio ricordando il mazzolino che Calixte aveva raccolto poco prima che iniziasse il loro scontro, ma poi la ragazza si scrollò quel pensiero di dosso: alla fine era stata lei ad averla vinta.
La scatolina di legno conteneva, tra i numerosi strati di paglia che la proteggevano, una splendida statuina di pietra grigia, raffigurante una specie di cane-lupo raggomitolato su se stesso ma che alzava il muso verso il cielo, era davvero bellissima.
“Wanda dice che è il loro modo di augurarti una veloce e completa guarigione”, Robin stava sistemando i fiori in un vaso che aveva portato poco prima, riempendolo di acqua fresca.
Gwennie si ripromise di ringraziarla il prima possibile di persona, il lupacchiotto grigio la osservava dalle sue mani con uno sguardo temerario, era davvero il simbolo perfetto per augurare una ripresa totale ad una persona che avesse passato un brutto periodo.
Nami accese il phon mettendo a tacere tutti, compresi i pensieri, il rumore continuo dell’apparecchio unito al calore che irradiava era l’equivalente di una ninna nanna, la convalescente sentì il sonno avanzare rapido.
Sbadigliò un paio di volte prima che la navigatrice annunciasse di aver finito ed era molto soddisfatta del suo lavoro: i capelli lucenti dell’amica splendevano per tutta la loro lunghezza facendosi notare anche per i meravigliosi riflessi dorati risaltati dal balsamo all’henné usato da Nami.
“Davvero Gwennie dovresti usare un prodotto simile anche tu, i tuoi capelli sono bellissimi, sono convinta che sotto al sole sembreresti addirittura bionda!”, l’entusiasmo dell’amica era contagioso.
Robin si dichiarò d’accordo.
Passò così un pomeriggio di chiacchere spensierate tra ragazze.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Questa settimana……
*RULLO DI TAMBURI*
*FIATO ALLE TROMBE*
E finalmente ci scappa un bacinoooo!!!! *.*
Allora, sono riuscita a rendervi un pochino felici?
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 26
*** Informazioni ***


Law si mise sotto al getto di acqua calda della doccia, lasciò che il tepore gli sciogliesse i muscoli aiutandolo a rilassarsi.
Strofinandosi i capelli pensò a quanto era migliorata Gwennie negli ultimi giorni, se avesse continuato così in meno di un mese avrebbe potuto iniziare a mettersi in piedi e ricominciare a camminare, aveva davvero un temperamento forte.
Chissà come sarebbe stato il futuro…ammesso che fosse loro concesso di averne uno, con un imperatore arrabbiato che li stava cercando e un’altra imperatrice che tra non molto si sarebbe addirittura infuriata le aspettative non erano delle migliori.
Finita la doccia si asciugò e si vestì, mise la sua felpa preferita con il cappuccio, era quella nera con il jolly roger della ciurma disegnato in giallo, pantaloni neri con macchiette bianche e il suo fedelissimo cappello senza contare la presenza di Lamento Spettrale posata obbediente sulla spalla.
Aveva voglia di andare da Gwennie ma sapeva che con lei c’erano le ragazze della sua ciurma, così si unì ai suoi nakama che stavano intrattenendosi assieme ai visoni.
“Capitano, come sta Gwennie?”, Bepo, come sempre, faceva le domande che tutti gli altri avrebbero voluto fare ma che invece si tenevano per se.
“Devo ancora vederla….”, il consueto tono del dottore non dissuase l’orso polare che iniziò a tempestarlo di quesiti.
“Bepo….che diavolo ti prende?”, il chirurgo non capiva a cosa volesse arrivare il suo compagno, nessuno sapeva del cambiamento nei rapporti che aveva con la paziente.
“Capitano io ti conosco da tanto tempo….penso che tu le voglia molto bene e senz’altro lei ne vuole a te. Credo di poter parlare a nome di tutti dicendo che sarebbe la benvenuta se decidesse di entrare a far parte della nostra ciurma per permettervi di stare insieme. A noi Gwennie piace!”, un piccolo inchino per sottolineare l’ultima frase.
Law era basito.
Nemmeno lui era stato in grado di far chiaro nei suoi sentimenti prima della venuta di Calixte, e il suo navigatore sapeva già tutto da tempo?
In effetti conosceva Bepo da dieci anni, erano praticamente cresciuti insieme, era naturale che tra di loro ci fosse una certa sintonia.
“Capisco. Ti chiedo però di non parlarne con nessuno. In merito alle tue domande…beh, dovrà decidere lei cosa fare…”.
Il navigatore era contento: il capitano aveva ritrovato il suo cuore, sfoggiò un sorriso che lasciò scoperti gran parte dei grossi denti appuntiti.
“Non preoccuparti, come sai bene puoi fidarti”.
Il medico spostò lo sguardo sui suoi compagni, adesso stavano consumando uno spuntino assieme a Pedro, il visone ghepardo: erano per lui come fratelli e doveva ammettere che gli piaceva molto l’idea di avere anche Gwennie assieme a loro, tuttavia era anche ben conscio dello stretto rapporto di lealtà che la legava a Cappello di Paglia.
“Bepo, andiamo a fare qualche domanda alla signorina Calixte…ti va di accompagnarmi?”, il sorriso sinistro che contraddistingueva il chirurgo si allargò sul suo viso.
Si avviarono pigri, sarebbe stato un colloquio davvero interessante.
 
Calixte Aubert masticava suo malgrado la pagnotta di pane che le era stata portata assieme alla verdura e alla carne che aveva appena terminato di mangiare, o meglio di mangiucchiare: la verdura era troppo condita per i suoi gusti raffinati e la carne decisamente grassa, da bere aveva ricevuto solo acqua e non era nemmeno tanto fresca, sapeva di palude.
Quando aveva pensato a dove potessero averla attinta aveva smesso di berla del tutto, non osava immaginare da quale putrido laghetto l’avessero ottenuta.
Almeno il pane era normale, certo non la pagnotta dorata di pane integrale che era abituata a consumare, ma andava bene lo stesso per mantenersi in forze.
La stanzina dove l’avevano rinchiusa era decisamente selvaggia, tutta di legno e con un letto dal materasso praticamente inesistente, aveva una finestra con le sbarre che lasciava entrare qualsiasi tipo di insetto che avesse la capacità di volare o di arrampicarsi.
Sbuffò strappando malamente il bordo della maglia che le avevano dato per sostituire il suo abito lacerato durante lo scontro con la figlia di King, era grande, informe e anonima nel suo colore bianco spento, creando una divisione nella stoffa successivamente la annodò formando una specie di fiocco.
Ecco ora era almeno un po’ più femminile.
Sulla schiena aveva ancora le pesanti fasciature che le avevano applicato per curarle la notevole ferita procuratale dal chakra, i punti le tiravano fastidiosamente ma almeno non perdeva più sangue.
Non ricordava invece molto del suo scontro con Trafalgar Law e forse era meglio così.
I suoi pensieri si interruppero quando sentì un rumore provenire dalla porta, qualcuno stava venendo a farle visita, quando vide chi era non riuscì a trattenere un brivido di terrore.
Era lui, il chirurgo della morte.
“Buongiorno, ti è venuta un po’ di voglia di parlare?”, nonostante le parole cordiali, il tono dell’uomo non lo era affatto.
Calixte aveva paura, Law era già stato lì ad interrogarla una volta e lei non aveva voluto parlare facendolo così arrabbiare, l’aveva minacciata di strapparle il cuore dal petto se non avesse rivelato chi l’aveva mandata a prendere la figlia di King.
Il colloquio si era interrotto quando lei, vedendo il proprio cuore in mano del medico, era svenuta dallo spavento, cosa che l’aveva fatta vergognare moltissimo: una mercenaria come lei che sveniva per una cosa del genere….lei, durante la sua carriera, ne aveva viste di cotte e di crude, ma il cuore pulsante di una persona in mano ad un’altra mai.
“Non ho nulla da dirti…..”, la voce le tremolava.
Law non rispose ma si limitò a mettersi in posizione per eseguire il BISTURI, cosa che Calixte intuì subito cambiando idea, al solo ricordo la paura le cingeva la gola.
“Aspetta, parlerò”, si sedette sul letto, “non ho scelta mi pare. Io sono vengo assunta e pagata da diverse persone anche contemporaneamente. Un paio di anni fa sono stata contattata da una società la quale mi chiedeva di operare presso di loro in maniera fissa. La cosa non mi attirava molto finché non mi hanno comunicato quanti soldi mi avrebbero dato: era una somma enorme così ho accettato. Mi hanno trasferita al Gemini, il laboratorio più sofisticato che hanno al momento, dovevo organizzare la guardia dei locali più importanti. Poi è saltata fuori la questione di King: dovevo recuperare la ragazza e portarla al Gemini sana e salva”.
Omise di dirgli che la sua intenzione era stata subito quella di ucciderla.
“Questo già lo sapevamo…parlaci del Direttore. Chi è?”, il dottore aveva fatto un gesto minaccioso con il braccio.
La donna sospirò, sapeva di non avere altra scelta, avrebbe dovuto parlare.
“Non conosco il suo vero nome. Al Gemini forse nessuno veramente lo sa, tutti lo chiamano il Direttore. Io rispondo direttamente e soltanto ai suoi ordini, mi paga personalmente e in contanti con mazzette di soldi sempre nuovi di zecca. Ho provato ad effettuare qualche ricerca su di lui ma non ho ottenuto nessuna notizia importante”.
Il medico le chiese di dir loro tutto ciò che aveva scoperto, anche se le sembravano cose non rilevanti.
Calixte aveva scoperto che anni addietro, quando il fantomatico Direttore era ancora uno studente di medicina, ci fu in laboratorio un incidente terribile causato dalla distrazione di un compagno di classe dell’uomo.
Lo studente aveva erroneamente miscelato due sostanze pericolose le quali, già al primo contatto, avevano causato uno scoppio e un piccolo incendio: il Direttore era stato avvolto dalle fiamme riportando gravi ustioni su tutto il corpo, in particolare sul viso.
L’informazione non era del tutto inutile, un episodio del genere, soprattutto se accaduto in un edificio scolastico, non veniva dimenticato tanto facilmente, scartabellando i giornali di qualche anno addietro non sarebbe stato difficile trovare il vero nome del Direttore.
“Credi che sia una stupida? Ci avevo già pensato ma non ho trovato nulla”, la donna era offesa.
Law corrugò la fronte: come era possibile una cosa del genere?
Stava ancora riflettendo quando Calixte sbottò cacciando una libellula che le ronzava attorno.
“Almeno in quello schifo di posto non c’erano insetti volanti….e chi lo avrebbe detto che avrei rimpianto la nave di quel commodoro così dispotico….”.
“Che cosa? Eri a bordo di una nave della Marina e non ti è venuto in mente di dircelo subito?”, Bepo era sbottato mostrando le fauci aguzze.
La bionda impallidì, non lo aveva fatto apposta, era una cosa che proprio non le era venuta in mente.
“Il Direttore ha detto che sarei stata scortata dalla Marina. Lui ha un amico molto influente all’interno degli alti ranghi che è molto interessato al VDM-03, almeno così mi ha detto prima di consegnarmi la foto della ragazza. In ogni caso tra non molto, notando la mia assenza, attaccheranno questo posto sudicio e salterete tutti in aria così io potrò tornarmene al Gemini e dormire in un letto con profumate lenzuola bianche…”.
L’affare si complicava, la Marina era coinvolta con il Direttore per qualche oscuro motivo, le forze armate del nemico si erano improvvisamente moltiplicate, mettendoli così in netto svantaggio.
“Capitano, credi che la Marina attaccherà veramente Zou?”, l’orso polare era inquieto.
“Credo che se avessero voluto lo avrebbero già fatto….non è così Aubert?”, il sorriso sardonico del pirata impietrì la killer lasciandola senza voce per ribattere, in effetti era proprio così.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Capitolo settimanale on-lineeee!!!
Ritroviamo la nostra amatissssssima :P Calixte!
Aspetto con ansia di sapere cosa ne pensate!
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 27
*** Nessuna Paura ***


Law e Bepo stavano tornando verso la piazzola.
La Marina non faceva favori a nessuno se non in cambio di notevoli somme di denaro, se il Direttore godeva dell’aiuto dei marines o era molto ricco o aveva qualche amicizia davvero influente, così tanto da far scorate un suo dipendente da un galeone da guerra comandata da un commodoro.
Certo, Calixte aveva detto loro che qualcuno era interessato al VDM-03, ma non poteva essere solo quello che aveva fatto muovere gli uomini in bianco e azzurro, il motivo doveva essere decisamente più importante, un fattore da non trascurare in nessun modo.
“Capitano cosa ne pensi?”, il navigatore reggeva Lamento Spettrale con entrambe le zampe.
“Direi che c’è un pezzo grosso che muove i fili di queste marionette….il Direttore è solo una figurina messa lì per occupare una sedia, credo sia qualcun altro che aspira ad avere il VDM-03 e questo individuo è un affiliato del Governo Mondiale. Ho già in mente come scoprire qualcosa di più su questa faccenda….non preoccuparti per Zou, i marine non possono attaccare senza motivo un’isola come questa…e poi hanno paura dei visoni”.
Bepo annuì, si fidava ciecamente del suo capitano.
Raggiunsero velocemente gli altri ragguagliandoli sulle notizie che avevano appreso dalla prigioniera: tutti avevano dimostrato sorpresa quando era stata nominata la Marina, tuttavia la cosa non li aveva minimamente spaventati.
“Siamo pirati e la Marina è in ogni caso un nostro nemico!”, aveva detto Penguin.
Con la coda dell’occhio Law vide Robin e Nami che uscivano dalla stanza di Gwennie, finalmente avrebbe potuto farle visita, si accomiatò dai suoi compagni dirigendosi dalla paziente.
La ragazza stava dormendo, il dottore era un poco deluso ma rimase qualche minuto ad osservarla completamente abbandonata tra le braccia di Morfeo: la pelle del viso stava perdendo quella trasparenza bianchiccia, segno che, anche se lentamente, si stava riprendendo.
Le diede un bacio delicato sulla fronte prima di uscire nel modo più silenzioso possibile.
 
L’ufficio del commodoro Sasaki era a dir poco spartano: l’arredamento era costituito esclusivamente dalla scrivania alla quale era seduto in quel momento, ad una poltrona di pelle girevole e alla sedia di legno scricchiolante sulla quale era seduto il capitano Leory.
L’ambiente era saturo di fumo, il posacenere di osso che era posizionato accanto al telefono sulla scrivania era colmo di cenere, chissà da quanto non veniva svuotato oppure quante sigarette marroni il commodoro aveva fumato.
Poco prima ne aveva spenta una schiacciandola con forza nella cenere.
“Così siamo dello stesso parere, Leroy. Non so da chi sia venuto l’ordine di scortare quella donna ma senz’altro di tratta di un pezzo grosso. A me queste cose non interessano, io sono un marine e il mio compito è far rispettare la legge, qualunque essa sia. Se la Marina è in torto deve pagare, al contrario se i King si sono macchiata di qualche crimine sono loro a dover pagare”.
Leroy annuì, nemmeno lui era contento di dover fare il galoppino per un misterioso individuo dalle facoltose amicizie che era in qualche modo riuscito a far smuovere la Marina per fungere da scorta.
“Bene ragazzo, allora direi che dobbiamo raccogliere un po’ di informazioni. Vedi di scoprire chi ha chiamato chi e perché. Poi agiremo di conseguenza”, l’uomo fece un gesto con la mano.
“Sì signore, mi metto subito al lavoro. E per la Aubert? Come procediamo?”, si era nel frattempo alzato dalla seggiola facendo provocando un violento scricchiolio.
Sasaki ricordò al capitano che la donna aveva lasciato di sua volontà la nave facendo ben capire di non gradire alcun tipo di aiuto da parte loro, perciò non c’era più bisogno di pensare a lei.
Col sorriso sulle labbra, Leroy uscì dall’ufficio a grandi falcate: aveva un sacco di lavoro da fare.
 
Orca affondò il cucchiaino nella splendida porzione di torta alla frutta che Jasper aveva preparato come dolce per la cena di quella sera, era squisitamente fresca e profumata.
Masticando ascoltava distratto le parole di Penguin, il suo amico non la smetteva di chiacchierare tanto era eccitato dalle ultime novità, secondo il capitano anche la Marina era coinvolta nella tentata uccisione di Gwennie da parte di Ume, o meglio di Calixte.
“Diventeremo pirati temuti da tutti! Perfino gli imperatori ci temeranno!”, le gote dell’amico erano arrossate per l’emozione.
Ingurgitando il boccone, Orca gli fece presente che le sue fantasie sarebbero potute diventare realtà solo se in effetti sarebbero riusciti a sconfiggere il misterioso Direttore con tutta la sua truppa.
Penguin sbuffò: detestava quando il compagno faceva così, lui era ottimista e si sentiva sempre un leone di fronte alle sfide toste come quella che si presentava loro davanti.
Jasper ruppe il filo dei suoi pensieri chiedendogli se desiderava un’altra fetta di torta, altrimenti ne avrebbe portata dell’altra alla paziente, sapeva quando adorasse i dolci.
“Offrila pure a Gwennie, deve rimettersi in forze…anzi se vuoi gliela porto io così la saluto!”.
Poco dopo l’uomo si stava avviando verso la stanza della ragazza tenendo in modo impacciato, un vassoio con sopra la fetta di dolce alla frutta, bussò piano per non disturbarla in caso dormisse ma lei gli rispose quasi subito.
Si rallegrò nel vederlo chiedendogli come stessero anche gli altri, poi concentrò la sua attenzione sulla torta squisita che lui le aveva portato.
Penguin si sedette sulla sedia di legno vicino al letto di lei raccontandole alcuni fatterelli per intrattenerla finché mangiava: da come lo faceva non sembrava una ragazza che avesse appena rischiato seriamente di morire ma dava invece l’impressione di una bimba davanti alla porzione del suo dolce preferito.
“Non faccio altro che mettervi nei pasticci…mi dispiace!”, il piatto era vuoto così la giovane posò il cucchiaino sul tovagliolo giallo accuratamente ripiegato.
“Cosa stai blaterando?”, il pirata fece per alzarsi, “non metterti in testa sciocchezze di questo genere, io non potrei essere più contento di così in questo momento, ci pensi Gwennie? Stiamo sfidando il Nuovo Mondo!”.
Gwennie osservò il sorriso felice del suo amico, era vero quello che stava dicendo, se qualcuno di loro avesse desiderato una vita tranquilla non avrebbe certo scelto di prendere il mare per diventare pirata.
“Grazie, Penguin, non ci aveva mai pensato…”, accompagnò le sua parole ad un lieve cenno del capo.
 
Qualche ora dopo Law stava visitando la sua paziente: l’addome era ancora un po’ rigido e poteva sentire, palpando la zona interessata, delle reazioni nervose da parte dei muscoli doloranti dove i punti di sutura erano letteralmente saltati durante il duello con Calixte.
Gwennie non si muoveva, cercava di stare più ferma possibile ma la sensazione di disagio che sentiva aumentava sempre di più trasformandosi in forte nausea, temendo di perdere i sensi lo fece presente al suo dottore il quale smise subito.
“Ti fa davvero così male?”, le lanciò un’occhiata indagatrice.
La ragazza ancora non credeva a quella che era diventata la sua realtà: il sentimento che provava per quel ragazzo che le stava davanti preoccupato era a sua volta ricambiato, non lo avrebbe mai immaginato e la cosa le infondeva un forte stupore ogni volta che i loro sguardi si incrociavano.
Era felice come non si sentiva da tanto tempo…
“Più che altro mi causa un po’ di nausea….dolore no, non direi”, sorrise.
Lui parve tranquillizzarsi, d'altronde la visita era andata bene e, tranne la debolezza del fisico malandato che sarebbe presto passata, le cose stavano procedendo ottimamente.
Si sedette sul letto obbligandola a fargli spazio, poi si appoggiò ai cuscini con la schiena facendole appoggiare il viso sul suo petto, ogni tanto le passava ala mano tra i capelli mentre teneva posato il mento sulla testa della giovane.
Lei si accoccolò cingendogli la vita con il braccio libero dalla flebo, era una sensazione meravigliosa, nulla al mondo avrebbe potuto renderla più felice: era tra le braccia dell’uomo che amava e si sentiva protetta come non mai. 
Nonostante le cose tra di loro fossero positivamente maturate, il viso di Gwennie prese colore come sempre, le gote rosse come mele e il cuore che batteva un po’ più rapidamente del solito, avrebbe voluto rimanere lì per sempre.
Sospirò.
“Qualcosa non va?”, Law fece per muoversi ma lei lo bloccò.
“No! Non muoverti per favore….sto…sto così bene…..con te vicino in questo modo….”, balbettava come una scolaretta sotto interrogazione.
Eccolo il sorriso sinistro del suo chirurgo, possibile che riuscisse ad essere ogni volta più affascinante e avere l’effetto di imbambolarla come un fantoccio imbottito di cotone?
Sì, era possibile.
Ed era anche possibile che le sua guance, già di un bel colorito acceso, tentassero di prendere fuoco mentre vedeva il viso di Law avvicinarsi sempre di più ed infine sentire le labbra del dottore sulle sue…un bacio, quante volte aveva desiderato dargliene uno ma non aveva osato concedersi a questa immaginazione ed ora il sogno era realtà.
Sentiva il cuore sciogliersi nel petto, avrebbe fatto di tutto per lui, era diventato il perno della sua esistenza, non che prima di scoprire di essere ricambiata le cose fossero molto diverse per lei, tuttavia aveva deciso di non volersi imporre nella vita del pirata ma adesso che praticamente era stato lui a farle capire di volerle bene, il suo amore era raddoppiato facendole mancare il respiro dalla gioia.
Voleva passare il resto della sua vita con Law.
“Immagino che avrai sonno, ti lascio riposare….”, fece per alzarsi ma lei lo fermò di nuovo.
“No, non potrei mai dormire adesso…rimani qui con me…per favore…”, allungò la mano per prendere quella del dottore poi lo invitò a rimettersi come era prima.
Gli occhi verdi supplichevoli di Gwennie lo convinsero, il dottore riprese il suo posto ed iniziò ad accarezzarle i capelli.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
In questo momento almeno due donzelle stanno invidiando da morire Gwennie, ovvero la sottoscritta e una certa signorinaamantedeidolcicomeme SeaFire17…
Okay, un po’ la odiamo pure, vero?
Cioè lei se ne sta tutta accoccolata all’affascinante chirurgo…e noi??? :O
Vabbè chiudo questa parentesi delirante... :>
Alla prossima settimana!!!
Vostra
BlackVanilla
 
 

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Capitolo 28
*** Ricordi Dolorosi ***


Il capitano Leroy aveva trascorso i suoi primi cinque anni nella Marina presso la divisione interna che si occupava dei servizi segreti, il lavoro gli piaceva molto e gli dava diverse soddisfazioni, inoltre il suo responsabile gli aveva fatto notare più volte che quella mansione era decisamente nelle sue corde, infatti portava sempre a termine con successo le indagini che gli venivano assegnate.
A quel tempo aveva avuto una fitta rete di informatori, ma da quando aveva cambiato sezione non era rimasto in contatto con molti, aveva mantenuto buoni rapporti con in paio di essi, quelli che reputava più affidabili in assoluto, qualche giorno prima li aveva contattati usando un lumacofono protetto e aveva spiegato loro le informazioni delle quali aveva bisogno.
Adesso era necessario attendere che entrambi gli fornissero le risposte che sperava di ottenere: l’affare Gemini possedeva senz’altro sei lati oscuri e loro dovevano scoprire quali erano ma soprattutto chi era nel torto, se il Direttore o i King.
La Marina non doveva permettersi il lusso di dare appoggio a gente disonesta, il loro compito era quello di ripulire i mari dai criminali, mantenere la pace e far regnare la giustizia, in caso contrario sarebbe stata una grossa sconfitta per i marine onesti che lavoravano sodo ogni giorno credendo nei loro retti ideali.
Leroy passò in rassegna con lo sguardo il suo piccolo ufficio, era l’esatto opposto di quello del commodoro Sasaki, ingombro di mobili e pieno di cartellette gonfie di documenti che cercavano spazio per essere archiviate.
Lui era un tipo molto ordinato, ma con quel poco spazio che gli era concesso di avere la cosa non era affatto facile: le pareti della stanza erano occupate da due armadi piuttosto antiquati e malconci già riempiti fino all’inverosimile di documenti, la piccola scrivania di seconda mano era provvista di una cassettiera incorporata, peccato però che due dei cinque cassetti fossero completamente bloccati e quindi non utilizzabili.
L’uomo, sbuffando, decise di cercare di mettere un po’ di ordine almeno sopra al suo tavolo da lavoro, stava impilando in modo meno caotico possibile le cartellette marroni relative ai diversi casi che stava seguendo, quando trovò una piccola fotografia un po’ rovinata dal tempo: era Mia che gli sorrideva da lontano.
Adesso gli era tornato alla mente che, qualche settimana prima, la cornice di argento che aveva scelto per mettere la foto della sua amata si era rotta e lui si era ripromesso di comprarne una nuova appena fossero sbarcati…chissà come aveva fatto l’immagine a finire in mezzo a quelle cartelle.
I suoi malinconici pensieri furono interrotti dallo squillo del lumacofono, mise rapidamente la foto in tasca e raggiunse l’apparecchio sollevando il ricevitore, dall’altro capo una voce giovanile lo salutò cordiale.
“Dico davvero Leroy, mi ha fatto piacere risentirti…ma veniamo al dunque, ho fatto qualche piccola ricerca come mi avevi chiesto…beh direi che hai in mano un grosso nido di vespe, ci starei attento se fossi in te….”.
Il capitano si fece spiegare tutto nel dettaglio: a quanto pareva la natura del VDM-03 non era propriamente quella di un vaccino e la cosa sarebbe stata confermata anche da diverse offerte presenti sul mercato nero da parte di malavitosi piuttosto potenti per acquistarlo.
“Un noto fuorilegge che preferisco non nominare ha offerto un milione di berry in contanti per averlo…la trattativa era bloccata ma qualche mese fa è ripresa. Direi che qualcosa è improvvisamente cambiato…ma non so dirti cosa purtroppo. Mi serve altro tempo”.
“Certo, prenditi tutto il tempo che ti occorre ma mi raccomando fa che le tua indagini siano molto accurate, come hai già detto ho in mano un nido di vespe e non voglio essere punto”, Leroy aveva sudato freddo pensando alla domanda che stava per fare, “hai avuto modo di capire a chi era stata fatta l’offerta?”.
“Sì aspetta….”, un fruscio di carte, “…si fa chiamare signor D.”.
Leroy imprecò fra sé, la peggiore della situazioni che aveva solo osato immaginare si stava pian piano materializzando davanti ai suoi increduli occhi, non aveva scelta doveva andare fino in fondo, la verità era la cosa più importante.
“Grazie. Continua pure, contattami appena hai novità”, un clic pose fine alla loro conversazione.
 
Gwennie giaceva addormentata con la testa appoggiata al morbido cuscino del suo letto, poco prima Law l’aveva spostata mettendola in quella posizione che era senz’altro più comoda dello dormire aggrappata malamente al suo petto.
La guardò qualche minuto: era completamente sprofondata in un sonno davvero intenso al quale aveva tentato di dare battaglia per circa un’ora prima di arrendersi constatando di non riuscire più a tenere gli occhi aperti.
Il motivo di tale resistenza era quello di prolungare il più possibile la presenza di Law lì con lei, nonostante la profonda stanchezza aveva chiesto al dottore di raccontarle nei minimi dettagli la loro avventura dentro alla balena e di spiegarle ciò che Inuarashi aveva detto loro in merito ai quattro Road Poignee Griffe, della loro fondamentale traduzione per raggiungere la tanto sospirata Raftel.
Più volte le era ciondolata la testa sul petto ma, tenendo i denti stretti, si era ridestata facendo altre innumerevoli domande al suo medico che le aveva consigliato più e più volte di concedersi il meritato riposo.
Law allungò la mano per spegnere la lampada che era sul comodino, il buio li avvolse completamente rendendo i suoni e i profumi decisamente più intensi: il dolce aroma di vaniglia che regnava nella stanza fece riemergere nel dottore il ricordo di quella particolare giornata, a bordo del suo sottomarino, in quella che sembrava un’eternità fa.
Gwennie aveva pianto per lui, per la sua ferita all’occhio e, malandata com’era, non era riuscita a tornare in camera sua nemmeno con l’aiuto del pirata che la stava sorreggendo, così il ragazzo l’aveva presa in braccio.
Era stata quella la prima volta che aveva potuto sentire nettamente la delicata fragranza che caratterizzava la giovane ragazza: era stata così fragile tra le sue forti braccia mentre lacrime brillanti solcavano il suo viso preoccupato.
In quel momento aveva probabilmente iniziato a farsi largo nel suo cuore il sentimento che lo aveva risvegliato dal torpore nel quale era precipitato dopo la morte della sua famiglia e del suo benefattore, Corazon.
Gwennie si girò improvvisamente nel sonno brontolando qualcosa, poi afferrò saldamente il cuscino e lo strinse a sé con fare possessivo, il movimento rapido fece imbrogliare la sottile maglia del suo pigiama facendo in modo da scoprire parte della spalla sinistra e una porzione della schiena, vicino al collo.
Gli occhi del medico si erano abituati al buio e non poté fare a meno di notare uno dei profondi segni rossi che erano stati marchiati sulla schiena della ragazza da Doflamingo, a Dressrosa.
Posò delicatamente un dito su una delle cicatrici percorrendola leggermente: era ruvida e calda.
Ritrasse la mano come se si fosse scottato mentre nella sua mente risentiva gli schiocchi sordi dei terribili fili del fenicottero mentre raggiungevano la candida pelle della giovane lacerandola dolorosamente.
Mentre era stato costretto a non muovere un muscolo mentre assisteva a quel macabro spettacolo, Law si era fatto mille volte la stessa domanda: perché tra tutti proprio lei?
A quel tempo non aveva ancora avuto la conferma dei suoi sospetti, ma era abbastanza sicuro che Gwennie fosse malata e in modo piuttosto grave oltretutto, quindi quando aveva visto Buffalo entrare della Sala dei Semi con lei la sua mente aveva subito una battuta d’arresto.
L’intervento provvidenziale di Cappello di Paglia aveva salvato la vita della giovane che era malamente caduta sul pavimento dopo che Doflamigo l’aveva liberata dai suoi fili mortali: le ferite grondavano sangue ricoprendo interamente la sua esile schiena e lasciandola tremante per la debolezza.
Viola, la figlia maggiore di Re Riku, l’aveva sollevata cercandola di aiutarla a camminare, ma lei non ce l’aveva fatta, gli occhi semichiusi avevano lascito intuire in quale stato si trovasse in quel momento, ed era ricaduta a terra picchiando un ginocchio sul duro pavimento di granito.
Il contrattacco di Pika aveva messo la parola fine alla questione sbalzandoli tutti fuori da palazzo, poco prima che iniziasse l’inferno della birdcage.
Law ricordava di aver visto Viola lacerare il suo mantello per cercare di bendare le ferite della giovane che in quel momento aveva logicamente perso i sensi.
Lui che era un medico non aveva potuto aiutarla allora poiché era incatenato a quel maledetto Seggio di Cuori con delle manette di agalmatolite, quindi non era in grado di usare nemmeno i suoi poteri.
“Rufy, sta piuttosto male…credo che le ferite si siano infettate, scotta parecchio!”, la ex principessa di Dressrosa aveva tenuto sollevata la testa di Gwennie mentre la giovane giaceva a pancia in giù su un morbido tappeto d’erba verde, in modo che il suo viso non sprofondasse in quei ciuffi lussureggianti.
La ragazza aveva respirato affannosamente, evidentemente aveva avuto la febbre alta e le ferite appena ricevute non sarebbero state certo d’aiuto: era stato in quel momento che Cappello di Paglia aveva ridotto in pezzi il Seggio liberando parzialmente Law.
“Traffy, tu sei un medico, puoi darle un’occhiata?”, avvicinandosi alla sua nakama non aveva potuto ignorare il copioso sudore che imperlava la fronte della giovane amica.
Il pirata aveva iniziato lentamente ad avvicinarsi quando, con un gran brivido, lei aveva ripreso i sensi e, dopo averlo visto camminare verso di lei, aveva tentato di alzarsi in modo troppo rapido capitombolando di nuovo dell’erba fresca.
“Sto bene…”, aveva rantolato mettendosi a quattro zampe per riprendere l’equilibrio necessario per riuscire a mettersi in piedi.
Viola aveva tentato di protestare la giovane le aveva afferrato la mano guardandola negli occhi, era una supplica quella, anche se senza parole, di lasciarle combattere la sua battaglia insieme ai suoi compagni, anche se questa avrebbe portato alla morte.
Come Gwennie avesse fatto non solo a sopravvivere a quel momento ma anche alla battaglia riuscendo addirittura a combattere, per lui rimaneva un mistero.
Tornando al presente, Law strinse tra le dita un lembo del lenzuolo che ricopriva parzialmente la giovane e lo sistemò in modo da nascondere quei terribili segni che gli ricordavano la sua inettitudine durante quel doloroso episodio del loro passato.
In silenzio lasciò la stanza chiudendo piano la porta alle sue spalle.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Capitolo rilassato quello di questa settimana… :>
Riusciamo a spiare nei pensieri del nostro medico, direi che è una novità interessante, no???
Un abbraccio a tutti voi, vi adoro tantissimo!!!
Alla prossimaaa!!!
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 29
*** Progressi ***


La mattina dopo il sole filtrava radioso dalle leggere tendine che adornavano le finestre della stanza di Gwennie, la giornata era meravigliosamente calda e fuori nella foresta, gli uccelli cantavano felici.
La ragazza rotolò di fianco stiracchiandosi pigra, aveva dormito proprio bene, si sentiva piena di energia e piuttosto affamata, aprendo gli occhi cercò subito Law notando però che non era rimasto con lei, anche se delusa, la giovane non poteva dargli torto, nessuno sapeva di loro due e al momento era meglio così.
Rassegnandosi ad iniziare la giornata senza di lui al suo fianco, si mise seduta sul letto felice di constatare che il movimento non le costava più tanta fatica come qualche giorno prima, si sistemò le coperte come poteva ed attese che qualcuno venisse ad aiutarla per andare in bagno.
Dopo qualche minuto sbuffò seccata, le dava fastidio dover dipendere in quel modo dagli altri ma soprattutto non voleva essere un peso in quel modo, non era autosufficiente nemmeno per usare i servizi.
Decise all’improvviso di provare ad alzarsi da sola: gettò le gambe giù dal letto e cercò con i piedi le pantofole, una volta indossate cercò di mettersi in piedi per gradi, senza gravare le gambe di tutto il suo peso in una volta sola.
Dopo qualche minuto si ritrovò in piedi in modo un po’ goffo ma completamente autonomo, il che le diede un’immensa soddisfazione che la portò a fare qualche passo verso la stanza da bagno, il fianco le faceva un po’ male ma la cosa che la disturbava di più era la forte sensazione di debolezza accompagnata da una leggera nausea.
Con tanta caparbietà raggiunse il bagno, lo usò e tornò a letto, stanchissima e con la fronte imperlata di sudore ma felice come non mai, era riuscita a tornare indipendente molto prima di quanto avesse mai sperato.
Poco dopo qualcuno bussò alla porta.
“Buongiorno Gwennie, tutto bene? Ti ho portato la colazione….”, era Nami che quel giorno indossava una bellissima camicetta colorata adornata da bottoncini a forma di fiore con un paio di shorts in jeans chiari che le stavano benissimo, il fisico dell’amica era davvero perfetto.
“Buongiorno, sì ho riposato bene….”, l’occhio le cadde sul piatto meraviglioso che la navigatrice le aveva portato e che giaceva sopra al vassoio, si trattava di una varietà di pane tostato ricoperto da marmellata e cioccolata, un cornetto caldo e profumato, una tazza di schiumoso cappuccino e un bicchiere di succo di frutta: sentì l’acquolina in bocca dalla fame che aveva.
“Wow, sei di appetito oggi!”, Nami sorrideva guardando l’amica mangiare di gusto.
Gwennie annuì dando un morso ad un toast alla marmellata di arance amare, la sua preferita e si decise di raccontare all’amica del piccolo esperimento che aveva fatto quella mattina.
“Hai rischiato grosso! Non dovevi farlo!”, mise il broncio per qualche secondo, poi sul viso si distese un ampio sorriso sornione, “ma sono felicissima! Sei fantastica, ti stai riprendendo più rapidamente di ogni più rosea previsione!”.
La giovane sorrise, era davvero soddisfatta e dopo aver spazzolato tutto quello che c’era di commestibile sul vassoio, sentiva la sensazione di spossatezza sparire completamente lasciando spazio a tanta voglia di muoversi e di uscire di lì.
Nami si congedò portando via le stoviglie sporche, aveva aiutato l’amica a vestirsi e per il momento non c’era altro che potesse fare, mentre stava aprendo la porta per uscire incrociò Law che stava arrivando.
Il medico notò subito la gioia sul viso della ragazza, un lieve colorito roseo si allargava sulle gote dondole un aspetto decisamente migliore dei giorni precedenti, era seduta sul letto sopra alle lenzuola accuratamente ripiegate ed era vestita con una maglia leggera colorata e dei pantaloncini neri.
“Ciao, stai meglio vedo!”, posò la spada alla parete e si accinse a dare un bacio in fronte alla giovane.
“Buongiorno, sì mi sento meglio…ho mangiato tutto quello che mi ha portato Nami per colazione, aveva davvero fame!”, rivederlo era sempre un’emozione fortissima.
Il dottore sorrise nel suo modo particolare, aveva già osservato il vassoio vuoto che la navigatrice aveva portato via constatando soddisfatto che era stato consumato tutto il cibo, le fece un gesto per invitarla a sdraiarsi, doveva visitarla.
L’addome si presentava meno teso, la ferita interna doveva essere in fase di cicatrizzazione anche perché, al contrario della volta precedente, la paziente non si lamentò durante il controllo.
“Bene direi che sei sulla buona strada…tra non molto dovresti riuscire a metterti in piedi e fare qualche passo…”.
“Già fatto”, fece un’espressione di estrema soddisfazione.
Il medico la guardò, era irritato ma anche parecchio incredulo: aveva avuto certamente una buona ripresa ma arrivare addirittura a camminare dopo così poco tempo trascorso dal suo risveglio era davvero un traguardo notevole.
“Avrei dovuto immaginare un comportamento così da parte tua…tuttavia ti è andata bene. Hai sentito qualche disturbo particolare mentre camminavi o subito dopo?”, si sedette sul letto continuando a guardarla in viso.
“No, ero solo stanca ma non avevo ancora mangiato nulla…poi appena ho fatto colazione mi sono ripresa immediatamente!”, sorrise.
Law non rispose, si diresse verso l’armadio e prese borsa contenti gli effetti personali della ragazza, successivamente la depositò sul letto invitando la giovane ad aprirla.
Osservando il suo sguardo interrogativo, il medico le regalò uno dei suoi magnifici sorrisi sinistri, “Pensavo che avresti avuto bisogno delle scarpe per uscire un po’ all’aria aperta….”.
La gioia più intensa si fece largo sul viso di Gwennie la quale aprì immediatamente la valigia pescando al volo un paio di calzini corti neri e le sue snicker preferite, nere tempestate da piccole borchie di varie forme e misure, infilando il tutto in tempo da record e cercando di mettersi in piedi senza indugi.
Il dottore le fu subito vicino per aiutarla in caso avesse perso l’equilibrio e lei ne approfittò gettandosi tra le sue braccia e stringendolo forte, era tanto felice, nessun dolore fisico la poteva preoccupare ormai: vicino a lui si sentiva invulnerabile.
Law rispose all’abbraccio, stavolta non avrebbe avuto motivo di trattenersi, finalmente poteva lasciare libero il suo cuore dalle catene che per tanti anni lo avevano tenuto lontano dai sentimenti indescrivibili che ora stava provando: avere Gwennie tra le braccia in quel modo era meraviglioso, la presenza della ragazza non gli toglieva niente come aveva invece temuto, ma al contrario moltiplicava le sue potenzialità in modo straordinario.
Adesso che aveva lei accanto sentiva di doverla proteggere e per questo la sua forza sembrava essere aumentata, lo spirito combattivo era stato risvegliato, sapeva che avrebbe eliminato senza esitazione chiunque osasse torcerle un solo capello.
Inoltre il desiderio di esplorare il Nuovo Mondo, di trovare l’isola misteriosa Raftel e il mitico One Piece erano diventati un’ambizione da condividere con la giovane, la quale dimostrava uno spirito avventuroso decisamente stimolante.
Le diede un bacio tra i capelli morbidi prima di aiutarla ad aprire la porta per poter finalmente uscire godendosi l’aria frizzante e il fantastico sole che quel giorno splendeva in tutta la sua magnificenza.
 
Momonosuke giocava con dei sassolini su un piccolo spiazzo erboso non molto lontano dalla residenza del Boss Gatto Vipera, stava formando un piccolo villaggio in miniatura disponendo le pietre in modo da formare case e strade.
Gli mancavano i suoi genitori, il ricordo della loro scomparsa era ancora dolorosamente vivo nella sua mente ed ogni volta che ci ripensava era terribile, il suo adorato paese rischiava di fare la fine di Dressrosa, ovvero cadere nelle grinfie di un pirata e non uno qualsiasi ma nientemeno che l’imperatore Kaido in persona.
Sospirò.
La malinconia che sentiva stava lasciando spazio ad un nuovo sentimento di rivalsa, Rufy gli aveva promesso che avrebbe sconfitto Kaido insieme a lui, a Law-dono e ai visoni così il regno di Wa sarebbe potuto tornare libero com’era un tempo.
Il bambino guardò il suo paese in miniatura, i sassi bianchi e neri sembravano delle vere casette e le strade erano davvero particolareggiate in modo estremamente simile a quelle reali, per un momento gli sembrò di essere per le vie del suo villaggio.
Un fruscio proveniente dalle fronde basse di un cespuglio di riportò alla realtà: Kin’emon stava giungendo con un’espressione di ansia mista a sollievo sul volto.
“Lord Momonosuke non dovreste allontanarvi così senza avvertire. Vi ho cercato ovunque”, piccole gocce di sudore imperlavano la fronte del samurai.
“Mi dispiace Kin’emon, non lo farò più”, si alzò rassettandosi il kimono, “sai pensavo allo shogun…il suo tradimento mi fa irritare molto più che il comportamento folle di Kaido, è colpa sua se mio padre è morto. Deve pagare per questo!”.
Il samurai osservò il bambino che aveva davanti: era molto cambiato da quando erano partiti, l’infanzia gli era scivolata addosso lasciando al suo posto la consapevolezza del ruolo che aveva nei confronti dei suoi sudditi e di tutti i visoni.
“Sono certo che con l’aiuto di Rufy-dono e Law-dono, nonché dei nostri amici visoni ce la faremo. E non dimentichiamo tutti i compagni che ci attendono a Wa, mio signore”, l’uomo sorrise.
Momonosuke annuì ed insieme raggiunsero gli altri poco lontano da dove si trovavano in quel momento.
 
 “Ehiiiii ma guardate chi c’è!”, Usopp aveva gridato non appena aveva scorto Gwennie arrivare verso di loro con passo lento ma ben fermo.
Accanto a lei c’era Law.
I Mugiwara erano radunati presso la foresta della Balena, stavano discutendo il da farsi una volta che Rufy fosse tornato, c’erano tutti tranne Zoro che era andato ad allenarsi sfidando un paio di visoni.
La ragazza sorrise felice, era davvero contenta di essere arrivata fino a lì da sola ma adesso sentiva il bisogno di sedersi per qualche minuto, approfittò della presenza di un sasso abbastanza piatto concedendosi così un po’ di riposo.
“Raggiungo i miei compagni. Renna mi raccomando la affido a te”, prima di andarsene il medico toccò leggermente la spalla di Gwennie in modo da non essere visto da nessun altro, era la sua maniera per salutarla.
“Allora dicci come ti senti, è bello riaverti qui tra noi così presto!”, Franky era entusiasta.
La giovane parlò volentieri con i suoi amici, le erano mancati, raccontò loro quel poco che si ricordava dello scontro avuto con Calixte e degli attimi confusi che erano susseguiti in modo veloce, ovviamente tenne per se i risvolti affettivi che riguardavano il suo chirurgo.
Nami batteva le mani, era raggiante.
Usopp continuava a dirle quanto era ammirato dal suo comportamento coraggioso.
Chopper non la smetteva di osservarla con occhio clinico.
Robin ascoltava attenta il fiume di parole che l’amica aveva detto.
Brook accompagnava l’evento con un leggero strimpellare di chitarra.
“Credete che Rufy avrà problemi con Big Mom?”, aveva parlato Chopper.
Per un minuto fu solo il vento a rispondere sollevando le foglie verdi dei magnifici alberi lussureggianti di Zou.
“Onestamente no. Ha detto chiaramente di non voler combattere ma di voler solo recuperare Sanji, quindi è quello che farà. Mi fido di lui anche se avrei voluto essergli d’aiuto….”, Franky ne era convinto.
Anche Nami e Chopper la pensavano in quel modo, mentre Usopp era leggermente meno tranquillo, in effetti Rufy era una testa calda quando ci si metteva e non era sempre possibile prevederne le mosse.
“Ha promesso a Momo di aiutarlo, perciò tornerà con Sanji ne sono certa…mi è molto dispiaciuto che se ne sia andato in quel modo….”, Gwennie non lo aveva più visto da quando erano arrivati a Dressrosa.
“Sì è stato orribile. Non avevamo idea del passato oscuro di Sanji, tuttavia mi è sembrato sorpreso di ascoltare le parole di Capone. Secondo me era davvero convinto di aver chiuso con la sua famiglia….”, Nami stava giocherellando con i petali di un fiore azzurro.
La convalescente si immaginò un Sanji bambino, cresciuto in una famiglia di killer e con ben due fratelli più grandi che, a quanto sembrava, avevano scelto di seguire le orme paterne: non doveva essere stato affatto facile dato che ad un certo punto era fuggito nel Mare Orientale.
“Non importa. Lo aiuteremo! Siamo compagni, non è vero?”, Gwennie aveva sfoderato un magnifico sorriso.
Tutti gli altri si dichiararono d’accordo sollevando il pugno destro verso l’alto e sorridendo a loro volta, sì erano compagni!
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori!!! ^.^
Capitolo dedicato principalmente alla ripresa della nostra ragazzuola…
Spero come sempre che possa piacervi! :D
Alla prossima settimana!!!
Uno strucotto per voi!!!
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 30
*** John Smith ***


John Smith, nome palesemente falso, osservava l’uomo magro ed elegantemente vestito che era seduto davanti a lui: indossava un abito raffinato, la seta della camicia color beige era talmente morbida da ricadere in delicate pieghe sul petto scarno, mentre la cravatta riportava meticolosamente la stessa tinta in modo da essere nell’insieme perfettamente intonata.
Lui non era abituato a tanto lusso, con la sua maglia di cotone nera e i pantaloni in jeans dello stesso colore si sentiva perfettamente a suo agio, non si preoccupava mai di ciò che pensavano gli altri del suo modo di vestire, se per lui andava bene così allora non c’era altro da aggiungere.
Si passò una mano sulla testa rasata mettendo una gamba sopra l’altra con un gesto davvero poco elegante, non ancora soddisfatto si sistemò sulla sedia in modo da sembrare quasi sdraiato: quella dannata seggiola di legno era più scomoda di un muretto di cemento.
“Direttore, le ho già detto le mie condizioni. Non lavoro se non ho la piena libertà d’azione, mi dispiace. Si dà il caso che quello che faccio mi piaccia molto, perciò non prendo incarichi se non c’è divertimento…mi spiego?”, sospirò.
Il dirigente annuì lentamente.
“D’accordo Smith. Se la Aubert non rientrerà a breve la missione sarà affidata a lei, con la massima libertà d’azione. Tuttavia le ricordo che se dovesse in qualche modo esagerare…ecco…come dire…qualcuno di davvero importante non sarà affatto contento. Chiaro?”, giunse le mani in un gesto che gli infondeva sicurezza.
John Smith rise di gusto, alla sua maniera rude, simile a quelle che riempivano le locande più malfamate della città nelle ore più buie della notte, mentre i coscienziosi cittadini sono già sotto alle coperte rinchiusi nelle loro case sicure da ormai diverse ore.
A diciannove anni aveva faticato a farsi una reputazione, tutti lo avevano subito classificato come un ragazzino capriccioso con troppi soldi per le tasche, uno di quelli che riesce a divertirsi solamente facendo nuove esperienze, meglio se pericolose, e che non ha problemi a campare anche se non lavora.
Poi c’era stato quell’episodio: John era ad una festa in un locale in compagnia dei suoi amici, scorrevano fiumi di alcol e anche diversi tipi di droga.
Una ragazza molto formosa e decisamente sexy se ne stava tutta sola al bancone del bar giocherellando con la cannuccia nera del suo drink azzurro, guardando annoiata il barista riempire di ghiaccio dei bicchieri vuoti per poi aggiungerci qualche goccio di liquore.
Lui si era avvicinato, se quella non era lì per rimorchiare, che altro poteva fare seduta in modo da mostrare le lunghe gambe inguainate in collant neri a rete larga e con una scollatura talmente profonda che se avesse tossito i seni le sarebbero saltati fuori da quella maglietta rossa tutta attillata?
Dopo aver parlato per qualche minuto la giovane gli aveva fatto capire con poco garbo che un tipo come lui, semplice maglietta bianca e jeans logori, non era abbastanza per lei che desiderava invece uno con i soldi, soldi veri, che potesse accontentare tutti i suoi capricci senza battere ciglio.
Completamente ubriaco e piuttosto fatto, non si era reso conto di cosa stava facendo, non ricordava nemmeno tanto in realtà: si era ritrovato con le braccia sporche di sangue e un rompi ghiaccio sgocciolante ben saldo in mano, la ragazza con la quale aveva parlato poco prima era china sul bancone del bar senza vita, un foro nero spiccava sulla pelle del collo candido e gli occhi neri fissavano il vuoto, immobili.
Quello che era accaduto dopo però, se lo ricordava benissimo: tutti lo temevano, abbassavano lo sguardo quando lui passava e gli riservavano, senza che lui lo chiedesse, i migliori tavoli nei locali più alla moda che ci fossero in città e nessuno osava mai presentargli il conto a fine serata.
Uccidere non era mai stato un problema per lui, quando era ancora un ragazzino e si divertiva a torturare povere bestiole raccattate per le strade prima di ammazzarle, suo padre lo aveva giudicato con noncuranza uno svitato predicendo il suo futuro in qualche istituto psichiatrico.
John aveva sempre fatto spallucce alle parole paterne, in fondo a lui piaceva da morire la sensazione di potere assoluto che aveva in quei momenti oscuri, con l’adolescenza il piacere era diventato anche sessuale arrivando ad eccitarlo fisicamente mentre toglieva la vita alle sue vittime.
“Sì, sì certo…non si preoccupi”, era chiaro che non avrebbe dato retta a questa ammonizione, “piuttosto mi faccia sapere quando dovrò agire, detesto perdere tempo”.
Il Direttore annuì nuovamente, parlare con quel ragazzo non gli piaceva per niente, desiderava che lasciasse il Gemini prima possibile.
In piedi, Smith mostrò tutta la sua imponente statura: era alto quasi due metri ma era molto magro, nonostante tutta la palestra che faceva i muscoli non si decidevano a gonfiarsi, era per quel motivo che assumeva quotidianamente massicce dose di steroidi. 
La pesante fibbia della sua cintura di pelle nera riflesse la tenue luce che illuminava la stanza, era d’argento e raffigurava un teschio con un coltello tra i denti ma la cosa che lasciava perplesso chi la osservava erano le minuscole goccioline marroni che ne ricoprivano la superficie.
Quando gli veniva chiesto di cosa si trattasse, John Smith rispondeva disinvolto che erano i suoi piccoli trofei di caccia, ovvero delle gocce di sangue coagulato delle sue vittime più recenti.
 
 
Nei giorni seguenti la salute di Gwennie iniziò a migliorare notevolmente, riusciva a camminare abbastanza a lungo senza bisogno di riposarsi e aveva ricominciato a compiere tutte le piccole azioni quotidiane in completa autonomia.
Sotto consiglio di Law, la ragazza fece una sorta di fisioterapia in modo da permettere al fisico provato di tornare perfettamente in forma, allenando in particolar modo la zona che era stata soggetta prima all’operazione e successivamente all’emorragia a causa dei punti che si erano strappati durante lo scontro con Calixte.
La terapia farmacologica contro il possibile ritorno del VDM-03 procedeva a base di un’iniezione al giorno, al mattino per la precisione, e la paziente era riuscita a passare il periodo di forte spossatezza che il medicinale le provocava, ormai si era abituata agli effetti collaterali così non le davano più tanto fastidio.
Avrebbe dovuto continuare a prendere quel farmaco almeno finché Law fosse stato sicuro che il virus fosse stato completamente debellato dall’organismo della ragazza, cosa che non poteva sapere prima di essere tornati sul sottomarino ed aver effettuato tutte le analisi del caso.
Notando il miglioramento notevole della giovane, i visoni vollero organizzare una festicciola sia per celebrare l’avvenimento sia come “carica” prima dell’inizio della loro avventura a Wa, il giorno dopo, infatti, avrebbero deciso come era meglio procedere sia per aiutare Momonosuke sia per recuperare Sanji.
Nonostante Rufy fosse deciso nel partire da solo, gli altri membri della ciurma non erano affatto contenti e avevano fatto capire al loro capitano che non glielo avrebbero permesso tanto facilmente.
“Allora Gwennie, stasera ci sarà la festa ed è anche in tuo onore perciò vorrei che tu ti vestissi in modo un po’ speciale!”, gli occhi marroni di Nami brillavano.
La ragazza stava pettinandosi i capelli davanti allo specchio nella sua stanza, la navigatrice era seduta sul letto e avevano appena finito di parlare del più e del meno, ma soprattutto della triste prospettiva di non avere più Sanji come compagno.
Scacciando quel brutto pensiero dalla mente, Gwennie terminò la sua acconciatura: aveva i capelli sciolti ma raccogliendo un paio di ciocche dietro alla testa riusciva ad avere il viso libero da eventuali ciuffi ribelli.
“D’accordo, cosa avevi in mente?”, era un poco irrequieta, il gusto di Nami della moda non era esattamente nelle sue corde.
In risposta all’amica, la ragazza balzò verso l’armadio e ne estrasse la valigia di Gwennie iniziando a frugarci dentro in modo abbastanza irruento gettando sul letto tutto ciò che reputava interessante.
“Mh…guarda questa gonna! E’ bellissima e non te l’ho mai vista addosso! Perché non la metti mai? Hai splendide gambe!”, ma prima che potesse rispondere la pirata aveva ricominciato con la classificazione, “Ma questa canotta è deliziosa! Questa invece non fa per noi….dunque dei pantaloncini, un paio di jeans…ooohhh,, che meraviglia questa maglia larga!”.
Gwennie sorrise, era grata alla sua amica per quanto stava facendo, riteneva sia lei che Robin come sorelle, le erano state entrambe molto vicine durante tutta la sua convalescenza in modo estremamente genuino ed affettuoso.
“Nami, che ne dici se ti espongo la mia idea e tu mi dai un parere?”, si alzò dalla sedia e raggiunse la navigatrice accanto al letto.
Dopo diversi capi d’abbigliamento scartati trovarono infine un compromesso: da premettere che Gwennie non aveva portato con se niente di eccezionalmente elegante data la natura della situazione, scelsero un paio di shorts neri di tessuto lucido simile alla seta ma molto più resistente, ballerine nere e una blusa che la giovane convalescente adorava: era stile orientale, di seta pesante con i bordi neri e la trama bianca con fiori rosa e verdi, lo scollo incrociato era abbastanza profondo e in vita c’era un nastro nero che andava regolato ed annodato sulla schiena, le maniche erano lunghe circa fino a metà dell’avanbraccio e la loro fattura ricordava decisamente quelle di un kimono, sia per forma che per dimensioni.
“Sono soddisfatta e credo tu sarai bellissima! I capelli come vuoi tenerli? Dato lo stile della blusa io li raccoglierei facendo uno chignon….”, Nami era felice e anche Gwennie lo era affermando che la pettinatura proposta dall’amica andava benissimo.
Un’ora più tardi la giovane stava uscendo dalla doccia, si era concessa un lungo bagno lasciandosi avvolgere dalla schiuma profumata alla vaniglia che l’aiutò a rilassarsi e liberare la mente da tutti i pensieri, il più importante però tornò presto a farle visita: il suo futuro.
La giovane era fedelmente affezionata al suo capitano, Rufy, e desiderava con tutta se stessa proseguire il viaggio con lui e i suoi compagni, tuttavia il sentimento che provava per Law non le avrebbe permesso di ripartire rimanendo diverso tempo senza vederlo.
Per un po’ avrebbe potuto permettersi di non dare importanza alla cosa: l’ostilità con Kaido, infatti, prevedeva che l’alleanza tra le due ciurme continuasse e perciò sarebbe continuata anche la convivenza tra di loro…ma dopo cosa sarebbe accaduto?
Infilando gli shorts neri Gwennie sospirò, se fosse stata obbligata a fare una scelta non aveva dubbi su quale sarebbe stata…anche se la cosa le avrebbe spazzato letteralmente il cuore.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Come state?
Avete voglia anche voi di andare in vacanza??? *.*
Io non vedo l’ora...ho decisamente bisogno di staccare la spina!!!
Intanto vi lascio con il consueto capitolo settimanale sperando sempre che vi piaccia!
Un ringraziamento particolare a chi segue la mia storia regolarmente, a chi l’ha scelta tra le preferite, ricordate, seguite...e a chi ha scelto di recensirla, anche solo con poche righe!
GRAZIEEEEE!!!
Alla prossima!
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 31
*** Fiore d'Ibisco ***


Al centro della piazzola poco distante dalla casa del boss Gatto Vipera, faceva bella mostra di se un enorme tavolo ricoperto di prelibatezze fumanti, c’era proprio di tutto: dalla carne arrostita al dolce più pretenzioso che Law avesse mai visto, non c’erano dubbi i visoni erano degli ospiti davvero premurosi.
La festa di quella sera era stata organizzata in onore di Gwennie, la quale si stava rapidamente mettendo in forze e il medico era abbastanza impaziente di vederla, per tutto il giorno era stata rapita dalle ragazze e non avevano scambiato che un paio di parole poco prima di colazione, quella mattina.
“Capitano, come sta Gwennie oggi? Non sono riuscito a vederla…”, Bepo portava fiero la spada del suo capitano.
Il dottore rispose laconico che immaginava stesse bene.
L’orso bianco lo osservò: qualcosa in lui era cambiato da quando aveva conosciuto la ragazza, sembrava aver ottenuto una marcia in più in tutto quello che faceva e il visone ne era davvero felice, vedere così il suo capitano era una delle cose che gli sarebbe piaciuto fosse diventato realtà, tuttavia manteneva sempre il suo modo glaciale di fare ormai caratteristico.
Vestito con un paio di pantaloni neri a macchiette bianche, una camicia a maniche lunghe arrotolate fino all’avanbraccio di colore bianco e l’inseparabile cappello morbidoso, Law quella sera era davvero al massimo del suo fascino, non era possibile dire se avesse studiato la cosa con intenzione o meno ma la certezza era il risultato eccezionale.
Il pirata vide Nami correre verso Wanda per poi tornare da dove era venuta, lei era già vestita perciò anche Gwennie avrebbe dovuto comparire tra non molto, così Bepo e il suo capitano si sedettero assieme agli altri nakama in attesa dell’ospite d’onore.
 
“Uff…davvero non capisco cosa avete per la testa voi…dove sta il problema?”, la pazienza di Gwennie stava per esaurirsi.
Aveva visto tutti i suoi abiti, che erano stati accuratamente piegati, gettati negligentemente alla rinfusa sul letto, si era prestata ad uno shampoo con piega della durata di circa un’ora, aveva acconsentito che le facessero provare diverse tipologie di calzature di tacchi più o meno vertiginosi, nonostante l’obiezione della protagonista, prima di tornare alla scelta iniziale delle ballerine ed ora che era praticamente pronta, le impedivano di uscire perché mancava un particolare essenziale.
La porta si aprì ed entrò una trionfante Wanda, reggeva in mano qualcosa ma Gwennie non riuscì a vedere di cosa di trattasse, il che fece aumentare la sua ansia.
“Chiudi gli occhi e poi vedrai!”, le ordinò Nami la quale poco prima era corsa fuori alla ricerca di quel famoso ultimo tocco misterioso.
La giovane sapeva di non avere altra scelta, perciò obbedì.
Non molto dopo le fu permesso di tornare ad aprire gli occhi: effettivamente quello che vide allo specchio le piacque abbastanza da giustificare le azioni della navigatrice: accanto al perfetto chignon nel quale erano stati acconciati i suoi capelli, spiccava un meraviglioso fiore di ibisco color rosa, quasi identico ai fiorellini della sua blusa orientale, i pistilli leggeri bianchi si muovevano leggiadri ad ogni piccola vibrazione del capo dando l’impressione che la gravità avesse un effetto diverso su di loro.
“Adesso possiamo andare!”, vedendo l’espressione felice di Gwennie, Nami sorrise soddisfatta.
La ragazza si alzò, sistemò i pantaloncini e diede un ultimo tocco ai piccoli brillantini che portava alle orecchie, si sentiva elegante ma allo stesso tempo vestita nel modo che più le piaceva ovvero senza troppe complicazioni come i tacchi ad esempio.
Il fatto di essere l’ospite d’onore della festa non era il massimo per una persona timida come lei, tuttavia sentiva di dover essere grata ai visoni per averle dedicato un pensiero così affettuoso e poi aveva voglia anche di divertirsi.
C’era anche un’altra cosa che aveva assolutamente voglia di fare: vedere Law.
 
Bepo aveva affondato i denti in un cosciotto enorme strappandone via senza fatica un grosso boccone di carne, in teoria avrebbe dovuto attendere l’arrivo della festeggiata ma non aveva resistito.
All’improvviso ci furono degli applausi e fece la sua comparsa Gwennie: era senz’altro più bella del solito, le guance arrossate per l’imbarazzo di vedersi intorno quasi tutti gli abitanti dell’isola che non aspettavano altri che lei per iniziare la festa.
L’orso girò la testa verso il capitano, era completamente ipnotizzato dalla figura di lei che stava pian piano avvicinandosi per salutarli, quando giunse davanti a loro la giovane sorrise in modo liberatorio.
“Ciao ragazzi, come state?”, abbracciò Orca mentre faceva un cenno di saluto a Mario, i pirati Heart erano davvero come fratelli per lei.
Per ultimo, in modo assolutamente innaturale, andò a salutare il suo dottore rimanendo quasi senza fiato, era bellissimo e affascinante come non mai, dovette imporsi di non correre tra le sue braccia usando tutta la sua forza di volontà.
Allo stesso tempo anche Law ebbe una reazione simile, i capelli raccolti in modo da lasciare nuda la nuca, il fiore rosa tra le ciocche castane domate, la blusa dallo stile elegantemente orientale ravvivata dai pantaloncini corti e le ballerine tempestate di brillantini e perle nere, erano tutti gradini che avevano permesso alla figura già graziosa della giovane di salite decisamente di livello raggiungendo una bellezza assoluta.
Quando gli sorrise lui sentì il cuore allargarsi, l’amore che provava per lei era incredibile, non pensava di essere in grado di arrivare a tanto e sentiva di poter fare molto altro ancora, non aveva ancora raggiunto il suo limite.
“Law…”, gli fece un piccolo cenno con la testa mentre uno dei suoi più splendidi sorrisi le illuminava il volto.
Lui le rispose allo stesso modo, nessuno avrebbe mai immaginato guardandoli in quel momento che fossero una coppia di innamorati, tutti tranne Bepo.
L’orso osservava estasiato la scena, adesso che il capitano gli aveva confermato i suoi sospetti, i sentimenti che i due pirati provavano l’uno nel confronti dell’altro erano quasi palpabili da quanto erano intensi, assoluti e incondizionati.
La festeggiata venne presto reclamata da un piccolo gruppo di visoni trai quali c’erano Wanda e il boss Gatto Vipera il quale si complimentò con lei per la rapida ripresa nonché per come era riuscita a sbaragliare l’avversaria, soprattutto nella condizione fisica nella quale si trovava.
Arrossendo violentemente, Gwennie aveva ringraziato approfittando dell’inizio della musica per distogliere l’attenzione da se, era stata poi scortata da Brook presso la tavola imbandita dove lei aveva il posto d’onore, facendola accomodare con eleganza.
La ragazza si divertì molto e le ora trascorsero liete tra musica fantastica, balli e siparietti organizzati dai soliti Usopp, Brook, Chopper e Rufy, alcuni di essi le provocarono il mal di stomaco da quanto stava ridendo, in particolar modo il numero delle bacchette infilate nel naso e nel labbro inferiore della bocca: Gwennie provò ad imitarli ma fallì miseramente rischiando di trafiggersi un occhio con un bastoncino di legno.
Verso mezzanotte circa metà della compagnia era caduta in un sonno profondo, alcuni erano riusciti a raggiungere le loro stanze, altri si erano addormentati nel posto dove si trovavano, in quel frangente di tranquillità Gwennie sgattaiolò via dal posto che occupava raggiungendo rapidamente Law che stava ascoltando distratto i suoi compagni chiacchierare.
Senza guardarlo gli passò accanto inoltrandosi verso la sua piccola radura preferita, aspettando che lui la raggiungesse per poter stare finalmente un po’ insieme: per tutta la serata non aveva desiderato altro che stargli vicino e fingere di non provare ciò che in realtà sentiva le era costato davvero molto.
Il vento si alzò forte, alcuni fiori accanto a lei ondeggiarono decisi piegandosi per poi tornare alla loro posizione originale, una nube scura passò davanti alla sottile falce di luna privando la foresta della debole luce lattiginosa che fino a poco prima l’aveva leggermente illuminata.
Un brivido freddo percorse la schiena di Gwennie, quando un rumore proveniente dalla sua sinistra catturò la sua attenzione: era il suo medico che stava arrivando, non potendo aspettare ancora scese con un balzo dalla roccia dove si era appollaiata e gli corse incontro nascondendo il viso nel petto di lui.
Lo strinse forte, avrebbe voluto non lasciarlo mai più, quando la sensazione di freddo sentita poco prima tornò a farle visita facendola sussultare.
“Cosa c’è? Ti senti male?”, si staccò un po’ da lei per guardarla in viso, era un po’ spaventata.
“Io…sto bene ma…ho avuto un brutto presentimento!”, tornò a stringerlo.
Averla impaurita tra le braccia scatenò nel chirurgo un sentimento di protezione fortissimo, sentì la forza scorrergli lungo le membra: nessuno l’avrebbe mai sfiorata nemmeno con un dito.
“Sei forse preoccupata per il tuo capitano….è normale. Ma non credo che il recupero del vostro compagno sarà un grosso problema per lui”, sedettero sull’erba soffice.
Gwennie annuì ma non era certa che la sua sensazione fosse da imputare a quello che aveva detto Law, in ogni caso posò la testa contro la sua spalla sospirando.
Una nuova folata di vento fece cadere il fiore rosa che era stato tutte quelle ora tra i capelli della ragazza, andando a cadere poco distante da dove si era seduta, entrambi i giovani si allungarono per prenderlo finendo per intrecciare le dita delle mani nel tentativo di afferrarlo.
Si guardarono negli occhi per un lungo momento: quelli verdi di lei, velati di imbarazzo, esprimevano tutto l’amore che custodiva nel cuore, leggermente umidi facevano trasparire l’intensità con il quale la sua anima si era legata a quella del medico; quelli grigi di lui erano completamente persi nei due smeraldi che stava fissando, la mente in completo tumulto incapace di pensare razionalmente, avrebbe solo voluto essere in grado di dirle tutto ciò che provava per lei.
Non essendo in grado di tradurre in parole ciò che sentiva, Law decise di dimostrarlo: prese tra le dita il mento di lei facendole avvicinare il viso al suo, poco dopo le labbra si toccarono dapprima leggermente poi con maggiore decisione.
Se, due anni prima, qualcuno avesse detto a Gwennie che si sarebbe sentita in quel modo, non le avrebbe mai creduto: le tornarono in mente per un secondo le parole di Marco, il comandante di quella che era stata la prima flotta di Barbabianca, mentre aiutava lei, Rufy e Jinbe a raggiungere la salvezza poco dopo la morte di Ace a Marineford.
La fenice si era caricato in spalla la ragazza mentre Buggy stava portando l’uomo pesce e il capitano, gravemente ferito, correvano verso il mare senza avere idea che a pochi chilometri di distanza ci fosse un certo sottomarino giallo pronto ad aspettarli.
“Gwennie, fatti forza…oggi io ho perso un padre e un fratello…ma so che per te la cosa è molto più dolorosa. Fatti forza ti dico, il sole tornerà a splendere e la vita a sorriderti!”, l’uomo si era parzialmente trasformato spiccando il volo, i marines erano quasi riusciti a raggiungerli.
Con il vento tra i capelli e le gote bagnate di lacrime, la giovane era solo riuscita a stringersi di più al pirata singhiozzando forte, in quel momento era certa non sarebbe riuscita ad amare più nessuno in quel modo, nessun altro avrebbe potuto donarle le emozioni che le aveva regalato Ace.
Oggi, sulla groppa di un elefante millenario, Gwennie stringeva la mano al suo miracolo personale, un uomo che non solo le aveva salvato la vita materialmente ma che le aveva donato di nuovo la possibilità di amare in un modo completamente nuovo, affascinante e travolgente, e soprattutto di essere ricambiata.
Se, un paio di mesi prima, qualcuno avesse detto a Law che si sarebbe sentito in quel modo, non gli avrebbe mai creduto: lui era diventato il chirurgo della morte, aveva vissuto tredici anni pregustando ogni giorno il sapore della vendetta che avrebbe avuto nei confronti del fenicottero, affezionato ai suoi nakama ma con il cuore completamente sigillato verso sentimenti come quello che invece stava provando esattamente in quel momento.
Aveva temuto di indebolirsi aprendo la sua anima all’amore, ma invece aveva constatato, sorprendendosi non poco, che l’effetto era stato esattamente il contrario: era diventato un guerriero con qualcuno da proteggere, qualcuno per cui valeva la pena anche di sacrificare la vita stessa e che, soprattutto, lo amava in un modo semplice e cristallino, puro, sentiva il suo potere combattivo come minimo raddoppiato.
Agendo d’istinto strinse ancora di più la mano della ragazza e con un gesto rapido la trasse a sé facendola finire direttamente tra le sue braccia, sorrise leggermente nel notare il rossore che si era allargato sulle gote di lei che, incredula, non riusciva a muoversi: aveva sognato tante volte quella vicinanza, quell’atmosfera…adesso che si trovava lì era immobile come una statua di pietra, il fiato corto e un leggero tremore alle mani.
Quando sentì le mani di lui cercare di slacciare la cintura di seta della blusa, abbassò lo sguardo sentendosi andare a fuoco il viso, gli occhi lucidi dall’emozione semichiusi e il cuore che batteva all’impazzata, il silenzio rotto dal fruscio delle foglie dondolate dal vento era il solo suono che in quel momento si potesse udire.
La sottile fascia nera ben presto cedette sotto l’abile manipolazione del medico lasciando che le due estremità morbide cadessero turbinando verso il suolo, l’indumento leggero scivolò senza opporre resistenza accompagnato da un impercettibile fruscio.
Law con un gesto lento quanto delicato le sciolse i capelli lasciandoli cadere sulle spalle color avorio, le scostò un ciuffo dal viso ora illuminato dalla debole luce della luna mentre le cingeva la vita facendola avvicinare ancora di più.
La bocca di lui si avvicinò all’orecchio della giovane, le sussurrò qualcosa.
Lei ascoltò le parole dell’uomo che amava e sorrise soavemente abbracciandolo forte, affondando il viso nel suo petto muscoloso, e, liberandolo dalla camicia candida che indossava, gli diede il bacio che aveva mille volte desiderato di potergli donare, lasciando che esso divenisse sempre più appassionato.
Caddero insieme sul morbido tappeto di erba profumata mentre, poco distante, il fiore di ibisco rosa veniva portato lontano dalla dolce brezza che aveva ricominciato a soffiare.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori!!! ^.^
Allora, questo capitolo è molto importante per me…mi sono impegnata tantissimo per scriverlo e ogni volta che lo rileggo vorrei modificare sempre qualcosa così ho deciso che, prima di storpiarlo del tutto, fosse il caso di pubblicarlo! :P
Ci terrei tantissssssssssssssssssimo di sapere come lo trovate… :>
Approfitto poi per segnalarvi che giovedì prossimo vedrete online l’ultimo capitolo prima delle vacanze estive…riprenderò la pubblicazione regolare a settembre, mi serve tempo per staccare un po’ e riordinare le idee! :D
Un abbraccio forteeeee!!!
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 32
*** Sogno o Realtà? ***


Il sole non era ancora sorto ma il cielo era leggermente più chiaro.
Law era sdraiato a terra accanto a Gwennie, la quale dormiva profondamente vestita con la camicia bianca del dottore e coricata su un fianco in una posizione tutta raggomitolata, i capelli sciolti sparsi sull’erba, le gote arrossate e le lunghe gambe nude completamente rilassate: era davvero bella.
Il medico sospirò, tra non molto avrebbero dovuto tornare agli alloggi altrimenti qualcuno avrebbe potuto notare che mancava la loro presenza.
Provò a scrollare leggermente la spalla della ragazza senza alcun risultato apprezzabile, qualche altro inutile tentativo dopo si convinse a fare ciò che gli sembrava più logico in quel momento, radunò gli abiti di lei raccogliendoli in un piccolo fagotto e successivamente la prese in braccio facendole posare la testa nell’incavo della sua spalla.
“Mh….Law!”, lo chiamò la giovane con voce strana, “...ti amo….”.
Il dottore la guardò, stava palesemente parlando nel sonno, non poté trattenere uno dei suoi ormai ben noti sorrisi sinistri mentre le dava un leggero bacio sulla fronte, sarebbe stato molto complicato lasciarla sola nel suo letto poco dopo.
 
Il lumacofono suonava da qualche secondo quando la mano impacciata del capitano Leroy lo afferrò facendolo quasi cadere.
A quell’ora del mattino l’uomo stava dormendo sodo, soprattutto dopo aver trascorso gran parte della notte a fare ricerche sul VDM-03.
“Pronto?”, la voce ancora impastata.
“Leroy sono io, Coniglio Bianco. Hai carta e penna? Ho un paio di notizie che ti saranno certamente d’aiuto nelle tue ricerche…”, l’informatore usava da sempre quel nome in codice.
Il marine afferrò il blocco che aveva sulla scrivania e la prima penna che trovò, si mise a scrivere febbrilmente tutto ciò che udiva tramite l’apparecchio, man mano che Coniglio bianco parlava, l’espressione sulla faccia di Leory mutava diventando sempre più preoccupata.
“Sono in debito con te. Funziona l’orologio?”.
“Non preoccuparti, continua a fare tic tac. Alla prossima.”, quello era il loro modo di chiedersi a vicenda se stavano bene.
Il capitano ripose il ricevitore, si alzò dal letto e, afferrando la borsa da bagno, si diresse verso la toilette per radersi.
Mentre passava la densa schiuma da barba sul viso, ripensava alle informazioni appena ricevute: a quanto sembrava il VDM-03 era un potente virus creato artificialmente in laboratorio al fine di essere usato come arma batteriologica, tuttavia qualcosa non era andata per il verso giusto e l’utilizzo dell’agente patogeno era stato sospeso.
Risciacquando il rasoio sotto all’acqua, il marine fece subito il ragionamento che gli parve più logico: King aveva rubato la fiala del campione impedendo così che venisse utilizzato, ma perché?
Per salvare la vita a centinaia di persone o invece per sfruttarne lui stesso le potenzialità?
Arthur King però era morto, quindi se non lui almeno la figlia avrebbe potuto vendere il virus al migliore offerente ancora diversi anni addietro, non c’era stato alcun motivo logico per aspettare così tanto….
Oppure…
Oppure i King non erano terroristi ma vittime, il dottore poteva anche aver sottratto la fiala per impedirne l’uso ma, essendo stato bloccato prima di poter lasciare l’isola dove era situato il laboratorio, aveva affidato il campione alla figlia con la promessa di non lasciarlo cadere in mani sbagliate.
Passandosi la salvietta sul viso, Leroy sbuffò….mancava qualcosa nel suo ragionamento….un piccolo pezzetto del puzzle non voleva incastrarsi nel posto giusto.
In quel momento squillò nuovamente il lumacofono.
“Leroy ho trovato le cartelle che mi hai chiesto. Non è stato semplice ma te le sto inviando ora…hai l’apparecchio acceso?”, la stampante collegata al lumacofono iniziò a stampare dei documenti, sembravano referti medici.
“Come vedi non ci sono dubbi, la signora King è morta per una malattia incurabile nonostante i diversi tentativi di salvarla non ce l’ha fatta. A quel tempo il dottore non faceva il ricercatore ma esercitava semplicemente la professione presso un regno piuttosto importante…non abitavano a Janvier”.
L’uomo afferrò i fogli leggendoli rapidamente, fece a bruciapelo al suo informatore una domanda precisa.
“Diavolo, Leroy e come faccio a scoprirlo? Dammi un paio di ore…ci risentiamo”.
Il capitano riagganciò il ricevitore, la moglie di Arthur King era morta anni addietro dopo essere stata contagiata da un morbo misterioso senza possibili cure lasciandolo così solo con una bimba di pochi anni, effettivamente il desiderio di vendetta per la perdita subita avrebbe potuto anche fargli compiere dei passi verso l’oscurità. 
Leroy afferrò la foto sbiadita che aveva di Gwennie King: non gli sembrava affatto una terrorista, tuttavia non poteva lasciarsi guidare delle sue emozioni, nel suo lavoro ciò che contavano erano i fatti.
Infilando la camicia pulita ed iniziando ad abbottonarla non poté fare a meno di ripensare al gesto dell’ammiraglio Issho che si era inginocchiato davanti al re di Dressrosa chiedendogli perdono a nome della Marina, la quale, per tutti gli anni di tirannia di Doflamingo, non aveva mosso un dito per fermare quella sofferenza immane.
La stampante aveva continuato per tutto quel tempo a stampare documenti vari inerenti al ricercatore, c’erano articoli di giornale che lo riguardavano con diverse fotografie, una di esse lo ritraeva mentre firmava un attestato che gli era stato consegnato in riconoscimento ad una cospicua donazione di denaro che aveva fatto ad un ente benefico.
Il marine osservò il viso dell’uomo: era stato un individua decisamente affascinante, i capelli neri un poco spettinati e gli occhi di un verde intenso, ma soprattutto il sorriso si una persona che non sembrava affatto mossa da cattive intenzioni.
Un particolare colpì Leroy come un fulmine, doveva assolutamente verificare una cosa: scartabellò in fretta nella cartellina relativa al caso King che aveva avuto dalla divisione che si era occupata a suo tempo del caso, trovando il rapporto dove veniva descritta l’uccisone dell’uomo.
 
Il soggetto Arthur King aveva dimostrato intenzioni violente estraendo una pistola e puntandola contro le guardie che si erano da poco qualificate presso la sua abitazione.
Dopo avergli intimato inutilmente di abbandonare l’arma gettandola a terra, le suddette guardie sono state costrette a fare fuoco, uccidendo il soggetto.
In allegato le foto del luogo della sparatoria.
 
C’erano diverse foto del corpo riverso a terra del dottore, in un paio di queste era ben visibile la pistola che teneva ancora serrata tra le dita della mano.
Il capitano prese in mano l’immagine esaminandola da vicino, successivamente afferrò una delle foto che gli aveva appena inviato il suo informatore e le confrontò: la discrepanza era evidente, dove era ritratto mentre firmava King usava la mano sinistra mentre, durante la sparatoria avrebbe usato la mano destra per brandire l’arma.
Evidentemente qualcosa non quadrava, prima di parlarne con il commodoro però, era necessario effettuare ulteriori analisi e verifiche.
 
 
Gwennie si era svegliata gradualmente, la luce fioca del sole che penetrava dalla tendine leggere l’aiutò a realizzare che doveva trovarsi nella sua camera e non nella radura erbosa dove si era addormentata.
Mentre rotolava pigra tra le lenzuola fu assalita da un dubbio: e se si fosse sognata tutto?
Se la splendida notte che aveva vissuto fosse stata in realtà solo il frutto della sua fervida immaginazione nonché del suo desiderio più profondo?
Allarmata si mise a sedere sul letto rischiando di cadere rovinosamente a terra, il suo fondoschiena era infatti quasi completamente fuori dal materasso mentre il cuscino dove aveva appoggiato fino a poco prima la testa era finito in mezzo al morbido giaciglio.
Aggrappandosi all’estremità opposta del letto riuscì a rimanere in equilibrio e, non senza sforzo, si rimise nella posizione più consona gettando le lenzuola verso i piedi del materasso.
Stirandosi si accorse di indossare solamente una camicia bianca sotto alla quale erano presenti le mutandine nere e nient’altro.
Arrossendo violentemente e portandosi le mani al viso capì che il meraviglioso ricordo che le era tornato in mente subito dopo essersi svegliata non era solamente stato di un sogno ma invece apparteneva ad una fantastica realtà.
Sospirando decise di prepararsi per la colazione, se qualcuno fosse venuto a svegliarla trovandola così abbigliata avrebbe certamente nutrito sospetti che per il momento era meglio non lasciar nascere.
Mezz’ora dopo aveva fatto la doccia e si era cambiata d’abito, indossava sempre gli shorts neri ma aveva scelto una maglia bianca con le maniche stile pipistrello che le arrivavano fino a metà avambraccio, sul davanti uno smile grigio, nero e argento fatto di piccole piastrine bianche rotonde faceva bella mostra di sé.
Sotto al maglioncino la giovane aveva indossato biancheria nera e una canotta dello stesso colore, in vita spiccava la cintura di pelle che reggeva il fedele chakra, mentre ai piedi indossava le sue snicker sempre di colore nero, nel complesso si sentiva soddisfatta del suo aspetto.
Davanti allo specchio per acconciare i capelli un po’ aggrovigliati, non poté fare a meno di notare il leggero rossore sulle sue gote: ripensò nuovamente alla notte precedente e il colorito aumentò notevolmente, era felice non poteva negarlo e si sentiva tanto bene da non ricordare quel fosse stata l’ultima volta che era stata così.
La chioma castana cedette ai leggeri colpi di spazzola tornando a cadere sulle spalle della giovane come tanti sottili fili di seta morbidi, con mani esperte lei afferrò due ciocche ai lati del viso e li unì dietro alla nuca trattenendole con un piccolo elastico.
Compiendo questi piccoli gesti la giovane ripercorse mentalmente quella che era stata una delle più splendide feste a cui aveva partecipato: piatti prelibati e succulenti erano stati serviti dai visoni che si erano dimostrati ancora una volta ospiti perfetti, la lunga tavola era stata adornata dai più piccoli con fiori colorati e foglie di un intenso verde brillante mentre, ai rami più bassi degli alberi che fungevano anche da tetto, erano stati appesi dei cordoncini colorati dai quali dondolavano animaletti di paglia intrecciati grossolanamente dai visoni più anziani.
Tra gli enormi piatti di portata splendevano delicate candele profumate, Wanda aveva spiegato che le facevano artigianalmente e le usavano solo in occasione di qualche ricorrenza speciale, Gwennie si era sentita davvero lusingata da tanto onore osservando con quale cura erano state fatte: in un contenitore di vetro erano stati messi sul fondo diversi sassolini colorati, la cera era stata fatta cadere sopra ed infine una cordicella era stata fatta passare intorno al bordo e fissata, il risultato era davvero magnifico.
Sospirò ricordando le risate fragorose di suoi amici mentre Chopper, ormai divenuto uno dei massimi esperti, aveva provato ad insegnare a diversi visoni nonché a qualche pirata Heart, l’arte di infilarsi le bacchette nel naso: alcuni, come lei stessa, avevano rischiato di infilzarsi un occhio o di impalarsi una narice.
Rufy aveva riso a crepapelle, il pancione gonfio stracolmo di cibo e dei piccoli visoni che lo abbracciavano incuriositi da tanta elasticità, i bambini erano stati più volte richiamati ma il divertimento era troppo ed avevano diplomaticamente ignorato le parole dei loro genitori continuando a saltare letteralmente addosso al capitano per vedere a che distanza sarebbero rimbalzati quella volta.
Durante la festa a Gwennie era molto mancato Sanji, le sembrava di immaginarselo intento a chiedere ricette a destra e a manca, ad assaggiare piatti nuovi e studiarli per poterli cucinare con le proprie mani a bordo della loro Sunny.
Ma a distrarla erano intervenuti Franky, Usopp e un paio di visoni alticci che non desideravano altro che divertirsi per dimenticare la furia distruttiva di Jack che aveva raso al suolo le loro abitazioni: il primo si faceva premere il naso a turno da alcuni bambini in modo da cambiare pettinatura una decina di volte in pochi minuti, mentre Usopp raccontava le gesta che lo avevano portato ad essere soprannominato dio, condendole con diverse sue aggiunte particolarmente divertenti.
La ragazza, insieme a Robin e Nami, aveva passato diverso tempo a chiacchierare amabilmente della festa, del clima e di un sacco di altre futili cose, tutti volevano svuotare la propria mente da ogni pensiero negativo o minaccioso, come lo era la furia dell’imperatore Kaido.
Ogni tanto però non poteva fare a mano di lanciare un’occhiata furtiva verso un certo dottore che, dopo aver mangiato e bevuto quanto gli bastava, se ne stava seduto in mezzo ai suoi nakama ascoltando distrattamente le loro parole.
Un paio di volte i loro sguardi si erano incrociati e a Gwennie era scappato un sorriso.
Brook aveva suonato a più non posso, i visoni erano ottimi musicisti ed insieme avevano creato delle melodie fantastiche, canzoni davvero adatte ad una festa come quella, i più arditi ti erano gettati in pista ancheggiando al ritmo della musica, scompigliandosi i capelli e alzando le braccia al cielo.
Le note della musica si erano diffuse anche nelle viscere della foresta, richiamando dei curiosi animaletti che erano stati attratti anche dalle luci colorate delle magiche candele profumate, guardavano la massa di corpi danzanti con occhietti scuri e liquidi, reclinando la testolina di lato quando percepivano un suono decisamente nuovo per le loro orecchie selvagge.
Tornando con un sorriso al presente, tornò a concentrare l’attenzione sull’immagine che lo specchio stava riflettendo: alle orecchie mantenne i piccoli brillantini neri che già portava, si spruzzò un pochino di profumo alla vaniglia e si accinse ad uscire per fare colazione insieme agli altri, quando incontrò Law che stava arrivando con la dose giornaliera del farmaco.
Si era cambiato e indossava dei jeans con le immancabili macchiette nere e una maglia blu con il jolly roger della sua ciurma disegnato in giallo, affascinante come non mai.
“Buongiorno”, lo abbracciò forte dandogli un rapido bacio sulle labbra.
Lui ricambiò.
Quante minuto dopo il medico stava strofinando il cotoncino imbevuto di disinfettante sul braccio della ragazza, i fori delle iniezioni precedenti non erano né arrossati né gonfi, l’organismo aveva reagito molto bene alla somministrazione del medicinale.
La salute di Gwenie stava rapidamente migliorando, l’appetito era tornato dandole la possibilità di mettere su quei tre chiletti che le sarebbero serviti per rinforzarsi e anche la ferita interna dovuta ai punti di sutura che erano stati completamente strappati durante lo scontro con la Aubert era quasi del tutto rimarginata.
“Andiamo, gli altri ci aspettano. Ci sarà una piccola riunione per decidere come procedere con le cose”, il dottore rimise a posto la siringa cedendo il passo alla giovane.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Ormai ci siamo, le vacanze sono alle porte…e ci voleva, almeno per me!!!
Ultimamente sono leggermentissimamente fusa! -.-“
Poi ci si mette pure Oda che mi nasconde Torao per così tanto tempo…chissà quando lo rivedrò! D:
Bando alle ciance e torniamo a noi: la settimana scorsa mi è stato giustamente fatto notare da Silver Sayan che non ho dedicato molto tempo alla descrizione della festa, ciò è perfettamente vero e quindi ho deciso di tentare di rimediare in questo capitolo! :D
Fatemi sapere che ne pensate…
Vi saluto carissimi miei, vi auguro splendide vacanze e tanto divertimentoooooo!!!
Mi raccomando, festoni alla Rufy eh!
Bacchette nel naso a gogo!!!
Ahahahahah!!!! :D
Sono pazza lo so…ihihihihihihihhihih!!! *.*
Vostra
BlackVanilla
 
 

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Capitolo 33
*** Elephant under Attack ***


In effetti alla piazzola c’erano proprio tutti, i visoni, i pirati Heart, i suoi compagni, i due samurai, Momonosuke e il ninja Raizou.
“Bene, dopo aver consultato il Road Poignee Griffe vi abbiamo chiesto di aiutarci a liberare il nostro paese, Wa, dalla tirannia dell’imperatore Kaido che lo sta occupando con la complicità dello shogun. Rufy-dono e Law-dono hanno accettato insieme ai nostri più antichi amici, i visoni. Adesso non ci rimane altro che pianificare come procedere con le cose”, Kin’emon aveva parlato anche a nome del piccolo Momonosuke.
Rufy stava masticando una ciambella mentre Usopp sorbiva una tazza di caffè, gli altri nakama stavano consumando la colazione ascoltando attentamente le parole del samurai.
“Direi che usando il nostro sottomarino possiamo raggiungere Wa senza la preoccupazione di essere avvistati. Dobbiamo solo trovare un rifugio sicuro per quando saremo arrivati”, il chirurgo aveva affidato Lamento Spettrale a Bepo.
“Sì, va bene. Io partirò con Pekomushi per andare a recuperare Sanji. Ci rivedremo direttamente a Wa!”, un cosciotto di carne era praticamente scomparso dentro alla bocca spalancata del capitano.
Nami alzò la mano, “Aspetta Rufy. Come puoi raggiungere l’isola di Big Mom senza il mio aiuto? Verrò con te!”.
“Pekoms è ferito, avrà bisogno del mio sostegno pratico! Devo venire con voi!”, Chopper aveva posato il dolce che stava mangiando.
“Vi servirà sicuramente una melodia che allieti le vostre orecchie quando vi sentirete tristi….meglio che non vi lasci soli!”. Brook strimpellava la chitarra.
Finito di masticare la carne, Cappello di Paglia non ebbe altra scelta se non quella di acconsentire alla richieste dei suoi compagni, l’altra parte della ciurma si sarebbe imbarcata nel sottomarino giallo dei pirati Hearts.
“Che ne dici cane, secondo te è ancora vivo?”, il Gatto Vipera fumava languidamente.
Inuarashi non rispose.
“Di chi parlate?”, Usopp stava prendendo appunti.
“Di un possibile alleato decisamente molto forte. Conoscete Marco la Fenice?”, il Boss sedette a terra, “io e il cane siamo stati imbarcati per un certo periodo sulla Moby Dick di Barbabianca, conosciamo tutta la ciurma. Poi Gol D.Roger chiese a Lord Oden di unirsi a lui perciò ci trasferimmo sulla Oro Jackson. Se potesse non credo rifiuterebbe di aiutarci….”.
“Perché non può secondo voi?”, Rufy aveva attaccato un altro pezzo di carne.
“Marco e Barbanera si sono scontrati circa un anno fa….l’ex comandante della prima flotta di Barbabianca ha subito una cocente sconfitta. Questo episodio viene conosciuto come la Battaglia per la Vendetta”, spiegò Robin.
“Se fosse ancora vivo ci aiuterebbe senz’altro….”, il Duca aveva ragionato a voce alta.
“Io e miei uomini partiremo alla sua ricerca”, il Gatto Vipera era deciso.
Gwennie ascoltava svuotando un cestino di biscotti al burro e annaffiandoli ogni tanto con una sorsata di tè al limone, non si era accorta di aver preso automaticamente posto accanto a Law e nemmeno il dottore sembrava aver notato la cosa.
Il piano sembrava aver preso la via, l’alleanza si sarebbe divisa in quattro squadre differenti per poi riunirsi direttamente nel regno di Wa dove alcuni guerrieri desiderosi si liberare il proprio paese si erano già organizzati in una specie di piccolo esercito, mentre i due samurai e il ninja erano partiti alla ricerca di possibili rinforzi.
“Non male direi…”, Penguin annuiva soddisfatto, era esattamente il tipo di avventura che aveva desiderato vivere nel Nuovo Mondo.
Il Gatto Vipera stava proponendo un nuovo banchetto, ma Nami gli ricordò l’importanza per loro di recuperare al più presto Sanji, già ospite da diverso tempo dell’imperatrice Big Mom a Whole Cake island.
Rufy si avvicinò a Gwennie brandendo una fetta di carne infilzata da una forchetta.
“Gwennie ti ricordi chi è questo Marco? Era a Marineford ma mi sfugge come era fatto….”, addentò il cibo con appetito, come se non avesse già divorato diverse portate poco prima.
“Certo, è il tipo che ha fermato Kizaru mentre stava per colpire Barbabianca….si è trasformato in fenice, era avvolto da fiamme turchesi brillanti. Era piuttosto alto e la sua pettinatura ricordava un po’ un ananas…”, vedendo che la sua spiegazione non colpiva nel segno la giovane aveva semplificato le cose paragonando il pirata al frutto tropicale.
Chiese mentalmente perdono a Marco per quella similitudine, tuttavia il suo ciuffo biondo solitario faceva davvero venire in mente un ananas, la pettinatura del pirata era alquanto singolare.
“Ah! Adesso ricordo! Mentre ero svenuto mi ha protetto da Akainu, vero?”, la forchetta era stata ripulita.
“Esatto e ha aiutato anche me portandomi in spalla, volando abbiamo superato un piccolo gruppo di marines che ci avrebbero messo i bastoni tra le ruote. Se siamo fuggiti è anche merito suo….”, annuì ricordando il volo che aveva fatto e le lacrime che aveva versato, le erano sembrate glaciali.
Scambiò uno rapido sguardo con Law, era una cosa che le veniva istintiva fare adesso, voleva sempre mantenete un contatto e quando non era possibile farlo stando vicini, desiderava perlomeno che fosse visivo.
Le parve di notare un’ombra di sorriso sul volto di lui.
Rufy stava per parlare quando una forte scossa fece vibrare l’intera isola, sembrava un terremoto davvero potente, gli uccelli che si erano posati leggeri sui rami degli alberi erano volati via terrorizzati mentre la foresta era un movimento continuo di animali spaventati che cercavano un rifugio sicuro, Gwennie barcollò e stava per cadere a terra quando si sentì afferrare per un braccio, era il suo dottore che la sorreggeva aiutandola a non finire sull’acciottolato.
Non fecero in tempo a rimettersi in equilibrio che una nuova scossa, più forte della prima, li costrinse a cercare qualche appiglio per non rotolare lontano: Law tenne stretta Gwennie cingendola con il braccio sinistro, sembrava che le scosse non avessero nessun effetto su di lui, il suo equilibrio era perfetto.
Il barrito di Zunisha era veramente terribile, esprimeva un dolore lancinante al quale l’enorme pachiderma sembrava voler reagire in qualche modo, non molto più tardi Momonosuke si tappò le orecchie dicendo di sentire una voce forte ma di non sapere da dove essa provenisse.
“Momo che dici? Noi non sentiamo nulla!”, Nami stava cercando di raggiungere il bambino che era decisamente spaventato.
“Momo! Dagli il permesso, svelto! Che ne sarebbe di noi tutti se cadessimo in mare?”, Rufy gridava verso il piccolo, evidentemente doveva essere in grado di sentire anche lui la misteriosa voce di cui aveva parlato Momonosuke.
“Anche tu?!?”, Inuarashi era sbalordito, anche il duca era giunto alla stessa conclusione.
“Zou! Difenditi, abbatti Jack! Io ti do il permesso!”, in lacrime il bimbo urlò il suo desiderio.
Non molto tempo dopo le scosse cessarono, i danni subiti dalle case e dai pochi edifici rimasti intatti non erano nulla se paragonati alla salvezza dell’intera popolazione e dell’isola stessa, i visoni tirarono un sospiro di sollievo chiedendo spiegazioni a coloro i quali avevano asserito di aver udito la misteriosa voce.
“L’elefante….lui mi ha trasmesso l’immagine di Jack, stava tornando verso di noi con l’intenzione di ucciderlo. Tanto tempo fa Zunisha ha commesso un crimine ed è stato condannato a poter fare una cosa soltanto: camminare per l’eternità. Adesso lui mi ha chiesto di poter difendersi dall’attacco di Jack che stava bombardandogli una zampa…”, Momonosuke cadde a terra addormentato.
Dalla foresta provenne un suono simile a tante foglie mosse dal vento, come una folata di aria fresca fece la sua comparsa la scimmia Bariete la quale annunciava un fatto strepitoso: Zunisha aveva colpito la flotta di Jack con la sua proboscide distruggendola completamente.
Tutti i visoni rimasero allibiti: la voce misteriosa che avevano sentito Rufy e il figlio di Lord Oden non era altro che la volontà dell’elefante millenario, quindi esso aveva una volontà precisa e una forza combattiva davvero notevole.
Gwennie si riprese dallo stupore pian piano, sospirando passò in rassegna i volti sia dei suoi nakama che quelli dei pirati Heart, sembravano stare tutti bene per fortuna anche se Orca la stava osservando in modo strano: fu solo in quel momento che la ragazza si rese contro di essere ancora avvinghiata al fianco sinistro del suo dottore il quale la stava cingendo con il braccio come aveva fatto poco prima durante il terremoto.
“Tutto okay?”, il medico sciolse la presa mentre lei annuiva sorridendogli.
“Gatto Vipera! Fammi riempire lo zaino di cibo, devo partire subito alla ricerca di Sanji, non posso aspettare oltre!”, il capitano dal cappello di paglia stava sventolando un enorme sacco completamente vuoto.
Soffiando il fumo della sua piccola pipa, il boss annuì ridendo di gusto, sarebbero partiti anche loro e la cosa che avrebbero dovuto scoprire con la massima urgenza era come Jack fosse stato in grado di raggiungere l’isola una seconda volta.
Per la successiva mezz’ora vennero discussi i particolari del piano di azione, i membri dell’alleanza si sarebbero divisi in squadre alle quali sarebbero stati assegnati i diversi compiti perciò tutti iniziarono a radunare le proprie cose in vista dell’imminente partenza.
 
Nella sua camera Gwennie metteva i suoi pochi abiti spiegazzati nello zaino che giaceva vuoto sul letto appena rifatto.
La ragazza era pensierosa, la guerra che si prospettava all’orizzonte contro Kaido e Big Mom sarebbe stata impegnativa e in quel momento si stava chiedendo se lei sarebbe stata all’altezza di poter aiutare i suoi compagni, fisicamente si sentiva molto meglio: aveva ripreso a mangiare normalmente e non accusava più i fastidiosi effetti collaterali della terapia che stava seguendo per evitare il ripresentarsi del VDM-03.
Le venne in mente Calixte e le rivelazioni che aveva fatto a Law, evidentemente la figura oscura che stava alla base del Gemini e del Chimera era intenzionata a recuperare il virus nel più breve tempo possibile, era quindi necessario trovare il vaccino in modo rapido nel caso in cui fossero riusciti a catturarla.
Un leggero bagliore attirò la sua attenzione, il chakra splendeva sotto la luce del sole che filtrava dalla finestra, lo aveva appeso assieme alla cintura su una sedia non molto lontano da dove si trovava in quel momento in modo da poter mettere lo zaino che stava preparando sulle spalle.
Il cerchio di metallo sembrava volerla rassicurare, se i ricercatori del Governo avessero ritentato di catturarla lui sarebbe stato come sempre al suo fianco.
Sospirando annodò il laccio che teneva chiuso il suo bagaglio e se lo caricò in spalla, successivamente afferrò il cinturone della sua arma e la mise in vita lasciandola però un po’ più lenta del solito: se il chakra avesse toccato lo zaino lo avrebbe tagliato come burro così fece in modo che i due non potessero cozzare in nessun modo.
Aprì la porta e uscì, i suoi compagni la stavano aspettando.
 
“Eccoti Gwennie!”, Chopper stava correndo verso la ragazza, “sono appena tornato e mi chiedevo dove fossi, prima di partire vorrei visitarti!”.
La giovane posò il suo bagaglio sull’erba, vicino a quello dei pirati Heart, e ascoltò il racconto dettagliato del peloso medico sull’intervento che aveva appena terminato di fare: assieme al dottore di Zou avevano medicato e fasciato la zampa di Zunisha che era rimasta ferita dopo l’attacco subito da parte di Jack.
Qualche minuto dopo il silenzio era calato nella piccola infermeria dell’isola, Chopper stava auscultando il cuore e i polmoni della ragazza mentre questa si era seduta compita sul lettino.
“Sei migliorata parecchio….sembri un’altra persona. E’ tutto a posto, devo solo ricordarti di continuare con la terapia farmacologica di Law e di non sforzarti troppo per il momento. Cerca di mangiare e dormire il più possibile!”, sorrise felice.
Gwennie lo abbracciò, sentiva di averlo messo in difficoltà tacendo gli per tanto tempo la sua malattia, cercò di dirglielo nuovamente ma il dottore non volle sentire scuse.
“La colpa è solo mia, avrei dovuto notare il tuo malessere. Il mio compito non è solo di curare le ferite ma anche di osservare i miei compagni per capire se qualcosa non va….” , rimise lo stetoscopio nella sua valigetta medica.
Lei sospirò.
“Grazie Chopper…ti voglio bene lo sai!”, gli diede un secondo abbraccio stringendolo forte.
“Uuuughhhh, se davvero migliorata e mi fa piacere ma se stringi ancora un po’ finirai per farmi soffocare!”.
“Scusa!”, lo liberò dalla sua morsa, “fai attenzione  a Whole Cake Island, okay?”, la ragazza si rimise in piedi.
Dopo altre rassicurazioni i due raggiunsero nuovamente il gruppo formato dalla triplice alleanza.
Gwennie localizzò il suo zaino andando ad afferrarlo per poi metterselo in spalla, era abbastanza pesante e lo sforzo le causò un fastidio leggero alle gambe al quale però non diede affatto peso, ascoltava invece molto attentamente le parole del suo capitano Rufy.
“Ragazzi noi andiamo, ci rivediamo a Wa e non metteteci troppo mi raccomando!”, stava allungando le braccia per cingere tutti gli amici che gli stavano vicino, tra i quali si era intrufolato Pedro, il visone giaguaro.
Poco dopo l’intero gruppetto fu obbligato a saltare letteralmente giù dall’elefante, complice un sorridente Rufy completamente soddisfatto di se mentre Nami, al suo fianco, esprimeva la disperazione più assoluta unendosi agli altri ragazzi del gruppetto.
Gwennie rimase a bocca aperta nel vedere la scena, in pochi secondi i suoi amici erano scomparsi all’orizzonte.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Come state carissimi???
Passate bene le vacanze?
Ecco che, come promesso, ripartiamo con la pubblicazione settimanale.
Avviso già che purtroppo il mio PC non funziona molto bene e quindi sto usando uno offerto gentilmente in “prestito” da mia madre…SPERO quindi di non tardare con gli aggiornamenti!
Se in caso succedesse, mi scuso anticipatamente! -.-
Alla prossima!!!
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 34
*** Axel Meier ***


Il Direttore scosse nervosamente la testa.
Da giorni la Aubert non dava notizie di se e la nave della Marina che aveva avuto il compito di scortarla gli aveva fornito delle pessime notizie.
Forse Calixte non era stata la scelta migliore da fare, tuttavia la figlia di King era merce troppo preziosa per rischiare di perderla mandando qualche spaccaossa imbufalito.
L’uomo premette il bottone dell’interfono in modo da informare la sua segretaria di non voler essere disturbato per nessun motivo durante la mezzora che sarebbe seguita, quando ebbe finito andò verso la porta del suo studio e la chiuse a chiave.
Mentre attendeva di ricevere una risposta al lumacofono nero che aveva azionato da poco, il Direttore non riuscì a bloccare lo stato di agitazione che gli stava serrando la gola: non solo la Aubert era scomparsa partendo per una missione solitaria senza informarlo, ma dopo svariate settimane dalla caduta di Doflamingo si erano perse le poche tracce anche della King.
Il VDM-03 stava allontanandosi di nuovo e stavolta sarebbe stata anche peggiore della prima, i doversi compratori che avevano fatto delle offerte per acquistarlo erano smaniosi di averlo, per non parlare di lui, il soggetto con il quale stava per discorrere al lumacofono.
“Pronto?”, la voce che rispose creò una sorda eco nella stanza.
“Sono io”, il rauco sussurro del Direttore suonò sinistro persino alle sue orecchie, “c’è un problema”.
“Lo so benissimo che c’è un problema. Ho parlato con Sasaki poco fa”, la pausa che ne seguì fu abbastanza lunga da far gelare il sangue nelle vene del Direttore, “direi che mi devi delle spiegazioni, signor Axel Meier”.
Il viso dell’uomo cambiò colore avvicinandosi paurosamente alla tinta della porcellana, piccole gocce di sudore fecero la loro comparsa sulla fronte contratta in un’espressione di puro terrore.
“Non usare quel nome mentre siamo al telefono, ti avevo chiesto di non farlo!”, sibilò in preda ad un tremore notevole.
“Ehi, calmati…i lumacofoni che stiamo usando sono protetti….e poi credi che nessuno tra i tuoi dipendenti ti abbia riconosciuto?”, l’interlocutore misterioso rise.
“Certo che no, il mio viso è completamente deturpato…dubito che qualcuno riuscirebbe a capir chi sono in realtà, tuttavia ti chiedo nuovamente di appellarti a me con il nominativo di Direttore”, con un fazzoletto si tamponò la fronte, “adesso parliamo della questione che ci interessa”.
“Ho già affidato tutto a Sasaki. Non preoccuparti, tra poco il VDM-03 sarà nelle nostre mani e tu lo produrrai per me”, il Direttore cercò di protestare ma fu subito bloccato, “non provare a ribattere, l’esclusiva del prodotto sarà mia e mia soltanto, perciò liquida subito gli altri acquirenti, so che ne hai diversi. Credevi davvero che un uomo nella mia posizione non sapesse che hai già inoltrato nel mercato voci inerenti ad una favolosa arma di sterminio di massa ideata da te? Cosa peraltro non vera?”, rise nuovamente.
“Per me non ci sono problemi ma sarò costretto a far salire il prezzo…ho avuto offerte migliori della tua e…”, Meier si interruppe, il suo debole tentativo di non farsi mettere i piedi in testa era miseramente fallito.
“Direttore non scherziamo. Ti sei rivolto a me perché sapevi che ti avrei pagato in contanti e subito oltre che offrirti supporto materiale per il recupero della figlia di King. La mia parte la sto facendo e tu farai la tua, ti pagherò quanto abbiamo pattuito e non un berry in più. Dovresti ringraziarmi, ti porterò Gwennie King su un piatto d’argento”.
Detto ciò la conversazione fu interrotta.
 
Axel Meier sprofondò sconsolato nella morbida e confortevole poltrona di pelle che era dietro di lui, non si era reso conto di essersi alzato in piedi mentre parlava al lumafono.
Sospirò.
La somma che gli era stata promessa in cambio del VDM-03 era favolosa, avrebbe potuto vivere di rendita per il resto della sua esistenza se fosse riuscito a farsi effettivamente pagare, ma poter contare sulla protezione della Marina in caso di bisogno era una cosa che non aveva prezzo.
Fornendo il VDM-03 in esclusiva a lui, il misterioso interlocutore, molto probabilmente il Direttore si sarebbe potuto guadagnare tale vantaggio, nessuno avrebbe potuto minacciare la sua tranquillità in futuro, nemmeno se si fosse presentato con il suo vero nome.
Meier aveva trascorso la sua infanzia in una delle zone più povere dei una certa isola del Mare Occidentale, lui e la sua famiglia vivevano con la sola elemosina che lui e sua sorella più grande riuscivano a racimolare in giro per le strade.
Si era ripromesso di non soffrire più a causa della povertà finendo per entrare in un giro di persone pericolose e senza scrupoli, autentici boss in cerca di giovani disperati come lui per poter approfittare della loro fame e del loro disagio per costringerli a fare tutto ciò che loro volevano.
In pochi anni Meier era diventato un sicario che si faceva pagare profumatamente per il lavoro che svolgeva, si era guadagnato perfino un macabro soprannome, ovvero il mietitore, dovuto anche alla scelta dell’arma con la quale toglieva la vita alle sue ignare vittime: un falcetto.
Durante gli anni d’oro della sua carriera aveva vissuto splendidamente, circondato dal lusso più sfrenato e da qualsiasi cosa che il denaro contante potesse comprare, non nutriva il minimo senso di colpa per tutte le persone che aveva ucciso in tutti quegli anni, si diceva che se qualcuno desiderava ammazzarle significava che in qualche modo se lo erano anche meritato.
Un giorno però avvenne l’incidente.   
Axel si era imbarcato in anonimo su una piccola nave da crociera, doveva raggiungere una cera isola senza dare nell’occhio, il suo bersaglio era una donna molto importante direttamente imparentata con una famiglia nobile di notevole pregio.
Quello che il sicario non sapeva era di essere stato individuato e che era stato mandato alla sua ricerca una delle guardie del corpo della nobildonna, al fine di ucciderlo prima che potesse compiere la sua missione.
Quando i due si affrontarono il duello fu devastante per Meier, la forza guardia era notevole: come arma usava un lanciafiamme e sapeva maneggiarlo davvero bene, mentre il sicario stava per colpire l’avversario con il suo falcetto, un mare di fiamme arancioni lo aveva travolto bruciando la sua pelle e lasciandolo agonizzante steso al suolo.
Il mondo lo aveva creduto morto ed era stato meglio così, una volta guarito dalle ferite che però gli avevano lasciato delle estese cicatrici per tutto il corpo, si era dedicato al mercato del contrabbando di armi dato che il suo fisico non gli permetteva più certe movenze.
Qualche anno dopo il suo anonimo ritorno si era calato nei panni del fantomatico Direttore.
Certamente se la sua identità fosse emersa, qualche parente delle sue passate vittime sarebbe partito alla sua ricerca per vendicarsi e questa era una cosa che non poteva permettere che accadesse, non in quel momento almeno.
Accese una piccola sigaretta marrone appoggiando con lentezza l’accendino d’oro sulla scrivania, il piccolo oggetto brillava intensamente, era davvero ipnotico guardare la perfezione della lavorazione dei piccoli intagli che lo rendevano assolutamente unico.
Sorrise tra sé, la Marina sarebbe stata un’ottima alleata.
 
 
“Cosa può essere? Un attacco?”, Penguin guardava Jean Bart mentre questi manteneva regolare la rotta del sottomarino non senza fatica però, da qualche minuto la navigazione era diventata davvero complicata a causa di forti scosse.
“Non vedo navi sospette segnalate dal radar. Piuttosto pare si tratti di una forte tempesta, a questo punto direi che forse è meglio andare più in profondità. Consulta il capitano e dimmi come desidera che io proceda”, il grosso pirata concentrò nuovamente tutta la sua attenzione sulla rotta mentre il suo compagno lasciava la stanza.
Penguin imboccò il corridoio che portava direttamente al laboratorio, luogo dove il capitano si era chiuso praticamente da quando si erano imbarcati nuovamente, qualche giorno prima.
Bussò piano alla porta bianca, dopo aver avuto il permesso, entrò: la stanza quadrata era quasi completamente occupata da complessi macchinari di analisi e ricerca, c’era un piccolo tesoro per qualsiasi medico ricercatore lì dentro.
Law era chino su un microscopio intento ad osservare un vetrino, alzò lo sguardo verso il suo uomo chiedendogli velocemente cosa gli servisse.
Penguin gli spiegò la situazione.
“Sì, andiamo in profondità. Mi serve un po’ di stabilità per completare il mio lavoro. Ah, chiamami Bepo, ho bisogno di lui”, detto ciò si chinò sul macchinario tornando ad assumere la posizione di poco prima.
“Sì capitano!”, il pirata corse subito da Bepo per avvisarlo che il capitano lo stava cercando.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori! ^.^
Ieri qui da me era festa, perciò vogliate perdonare il mio piccolo ritardo nella pubblicazione…tra l’altro con la storia del PC in prestito sto facendo una fatica… -.-“
Vabbè adesso basta con queste lamentele…vi lascio con il capitolozzo…
Buona lettura!!!
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 35
*** Astuto Scambio ***


A cena Jasper diede il meglio di sé, il cibo era ottimo e i piatti sembravano autentiche opere d’arte, il cuoco aveva curato ogni minimo dettaglio in modo assolutamente scrupoloso.
Gli ospiti gradirono il buon cibo, Zoro soprattutto gli alcolici e, dopo il pasto, diede il via ad una piccola gara a chi reggeva di più la birra contendendosi il titolo gareggiando con Mario e Jean Bart.
“Zoro! Ma devi proprio? Siamo ospiti, non dimenticarlo!”, Gweenie aveva tentato di dare una calmata al suo nakama ma ormai era inutile, i boccali di birra gelata arrivavano sulla tavola ancora prima che i partecipanti avessero terminato di svuotare quelli che reggevano in mano.
Ovviamente la situazione era diventata motivo di scommesse tra i pirati Heart, con somma gioia di Orca che si era calato nel ruolo di brocker raccogliendo le puntate dei suoi amici e scrivendo tutto in modo accurato in un piccolo taccuino.
Gwennie rise suo malgrado, doveva ammettere che si stava divertendo un mondo.
“Ehi Gwennie, su chi mi consigli di puntare?”, si avvicinò un esitante Penguin, reggeva in mano alcune banconote spiegazzate.
La giovane lo osservò qualche secondo, non era affatto un brutto ragazzo, anzi era carino anche se il cappello gli copriva quasi sempre gran parte della testa e del viso senza permettere così da non permettere bene di capire quali erano le sue reali caratteristiche fisiche come ad esempio il colore della sua chioma o delle sue iridi.
“Conoscendo Zoro io non avrei dubbi e punterei su di lui!”, gli sorrise.
L’uomo annuì e si avvicinò al suo amico per fare la puntata.
Non molto dopo sulla porta che dava sul corridoio comparve Law, era abbastanza stanco e si vedeva che era in cerca di qualcuno, appena vide Gwennie le fece cenno di seguirlo.
La ragazza si accomiatò dai suoi amici raggiungendo il dottore il quale si era ficcato le mani in tasca e aveva già iniziato a camminare senza aspettarla.
 
Il commodoro Sasaki aspirò a pieni polmoni la brezza di mare, era in piedi sul ponte di comando, l’oceano era una tavola piatta e i gabbiani ruotavano felici nel cielo limpido e roseo della sera.
Anche l’indomani sarebbe stata una bella giornata.
La mente lo costrinse a ripensare alla chiamata che aveva ricevuto dal suo diretto superiore circa un’ora prima: data la scomparsa della Aubert, il compito di catturare la figlia del dottor King era passato a loro, anzi a lui direttamente.
Scosse il capo, c’erano troppi lati oscuri in quella faccenda, tuttavia la ragazza era una pirata e per questo avrebbe adempiuto alla sua missione, ad ogni costo.
“Commodoro, signore, la cena è servita!”, un giovane soldato era sull’attenti e attendeva un cenno per potersi congedare.
“Puoi andare”, il ragazzo girò sui tacchi e scomparve.
Mentre stava tagliando la succulenta bistecca di maiale che aveva nel piatto, Sasaki pensò che avrebbe fatto anche dell’altro quando fosse riuscito a prendere in custodia la giovane, le avrebbe chiesto di rivelargli quello che era accaduto veramente a Janvier, anni addietro.
Masticò con calma, la carne era squisita e il contorno di patate al forno le rendeva perfettamente giustizia, l’ottimo cibo riusciva sempre a calmargli i nervi e lo aiutava a pensare con maggiore lucidità.
Bevve una sorsata di vino, posando il calice sul tavolo e perdendosi ad osservare per un istante il liquido scuro che ondeggiava sempre con maggiore lentezza.
Suonò il campanellino che giaceva inerme accanto alla bottiglia di vino per avvisare il cameriere di aver finito di mangiare.
“Commodoro, signore, il cuoco mi chiede se lo onorerebbe assaggiando il dolce che ha preparato appositamente per lei durante questo pomeriggio. Si tratta di una nuova ricetta e vorrebbe un suo parere”, il giovane rimase in attesa.
“Sì, va bene…”, rispose distratto, “aspetta soldato, fai venire qui il capitano Leroy immediatamente. Devo parlargli di cosa molto urgente. E…fai preparare un altro coperto in caso non abbia ancora cenato”.
 
Leroy si sistemò i capelli rapidamente, afferrò la sua cartelletta carica di documenti e si avviò per il corridoio verso la cabina del commodoro.
Bussò delicatamente e quasi subito fu invitato ad entrare.
Sasaki stava terminando di cenare.
“Commodoro, signore!”, si mise sull’attenti.
“Leroy hai già cenato?”, il marine stava fumando un sigaro.
Il capitano di vascello scosse la testa dicendo che aveva da poco finito di parlare con suo informatore, aveva saltato il pasto per restare in linea con il misterioso Coniglio Bianco, il suo stomaco confermò la versione dei fatti brontolando selvaggiamente.
“Soldato, fai preparare subito un’altra bistecca per il capitano Leroy. Prego siediti”, mosse la sedia in segno di invito.
Leroy obbedì posando la sua cartella sul tavolo, il commodoro la osservò.
“Dobbiamo catturare Gwennie King e scortarla presso una cera isola. Ordini dall’alto”, bevve un altro sorso di vino.
“Commodoro, ho informazioni sufficienti per dubitare che i fatti di Janvier siano effettivamente andati come è stato documentato…”, arrivò la bistecca fumante, un solerte soldato posò il piatto di porcellana bianco sul tavolo senza produrre il minimo rumore.
“Lo so. Ma la King è membro della ciurma di Cappello di Paglia, in quanto pirata abbiamo il dovere di catturarla. Quando sarà sotto la nostra custodia le faremo diverse domande per chiarire la questione. Tuttavia Leroy, anche se mi duole ammetterlo, temo che saremo costretti a tacere su gran parte delle informazioni che sei riuscito a scoprire…ci sono di mezzo dei pezzi da novanta, non so se mi spiego…”, sbuffò.
Il capitano stava mangiando di gusto, era affamato dopo tutto il lavoro che aveva svolto, forse non aveva nemmeno pranzato quel giorno per cercare di mettere tutte le carte in ordine e riuscire così ad esporre al commodoro i fatti in ordine cronologico.
Posò la forchetta.
“Commodoro, guardi questi documenti prima di trarre delle conclusioni. Mi permetto una simile libertà perché quando mi sono stati trasmessi, non potevo credere ai miei occhi”, spinse la cartella verso il suo superiore.
Lentamente Sasaki afferrò il plico iniziando a sfogliarlo.
Dopo qualche minuto posò il sigaro sul portacenere di cristallo mentre il viso gli si contorceva in un’espressione di puro disgusto.
 
Calixte Aubert sentiva dei suoni provenire da molto lontano, non poteva distinguere le voci che la circondavano ma un campanello d’allarme risuonò silenzioso nella sua testa: doveva stare in guardia, una minaccia stava per avvicinarsi.
La donna provò ad aprire gli occhi trovando il piccolo e naturale gesto di una difficoltà enorme.
Si trovava in una piccola stanza completamente priva di arrendamento, bianca e lucida era illuminata dalla luce di un neon piuttosto grande che era appeso proprio sopra alla sua testa, l’odore di disinfettante impregnava l’aria rendendola pesante da respirare.
Fu solo cercando di guardare il neon che Calixte si rese conto della sua condizione: era legata con delle grosse cinghie di cuoio ad un lettino medico e alla caviglia nuda spiccava un grosso bracciale di ferro, sentiva inoltre di avere qualcosa in testa ma non poteva sapere che cosa.
Di una cosa era sicura: le faceva decisamente male il capo, molto probabilmente le avevano somministrato qualche farmaco per sedarla, quei maledetti pirati la stavano facendo davvero arrabbiare, quando si sarebbe liberata, perché ci sarebbe senz’altro riuscita, avrebbe fatto scatenare sull’isola il buster call divertendosi a guardarli bruciare tra le fiamme dell’inferno.
La stretta porta che occupava la parete di fronte alla prigioniera si aprì di scatto senza emettere il minimo rumore, quando vide chi stava entrando la donna sorrise felice: erano venuti per liberarla dalla sua prigionia!
“Calixte….come ti senti?”, il tono mellifluo del Direttore la rinfrancò.
“Finalmente siete arrivati! Li avete già ammazzati tutti?”, gli occhi scuri vagavano come in cerca di informazioni.
“Di che parli? Sai dove ti trovi?”, il dirigente fiutò nell’aria l’odore dell’inganno, prima di procedere ad interrogarla con le maniere forti, era bene fari dire tutto ciò che sapeva.
Fece un lieve gesto di congedo verso Zimmer che era entrato con lui e attendeva compito dietro alle spalle del suo capo nuovi ordini da eseguire.
“Siamo sul sottomarino di quel dottore pirata, Trafalgar Law, ovvio! Non vedi che mi hanno legata come un salame? Liberami, no? Maledetto Trafalgar e maledetta King! Vi ucciderò!”, Calixte fece gonfiare le vene del collo a furia di gridare.
“Calmati adesso…racconta tutto dal principio. Ho mandato Zimmer a procurarsi delle forbici per tagliare queste fibbie di cuoio così tra poco sarai libera….”, posò una mano sul braccio della prigioniera.
Osservandola non riuscì a farne meno di pensare che la trovava diversa rispetto a qualche ora prima, sembrava più selvaggia, meno femminile nonostante tutti i fronzoli che si ostinava a mettersi addosso…era più come se la ricordava prima della sua partenza per la missione di recupero della King.
“Stavo per ammazzare la King quando è intervenuto Trafalgar Law. Mi ha messo al tappeto e fatta prigioniera. Poi mi hanno bendata e il chirurgo ha effettuato su di me una strana operazione, insomma prima ero seduta su una sedia e poi mi sono ritrovata sdraiata e legata. Non ho visto nulla ma mi sentivo…diversa…non so come spiegarlo, inoltre avevo un odore diverso…il mio squisito profumo era scomparso. Non ricordo altro se non essermi svegliata qui!”, la voce le si era alzata di un’ottava mentre parlava.
Gli occhi ingialliti del Direttore si spalancarono di botto, aveva capito perfettamente ciò che era accaduto: i pirati avevano ideato un piano davvero astuto e aveva funzionato perfettamente, lui ci era caduto con tutte le scarpe.
Chiamò Zimmer con foga.
Il solerte Capitano delle guardie arrivò in meno di un secondo.
“Allerta tutte le navi da ricognizione, devono scandagliare il porto, la baia, qualsiasi centimetro di dannatissimo mare intorno all’isola! Cerchiamo un sottomarino giallo!”, l’uomo era fuori di sé.
Zimmer chiese la motivazione di quella ricerca, non riusciva a capire cosa avesse messo in agitazione il suo capo a quel modo, non era da lui, e, a pensarci bene, non lo aveva mai visto in quelle condizioni.
“Quella che hai portato da me in ufficio poche ore fa non era Calixte, ma Gwennie King dentro al suo corpo!”, sbottò al limite del possibile, aveva tralasciato un fatto di vitale importanza: i pirati Heart erano alleati con la ciurma di Cappello di Paglia.
Avrebbe pagato davvero molto cara questa sua leggerezza, ne era assolutamente sicuro.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori!!! ^.^
La settimana scorsa abbiamo letto un capitolo di transizione che spiegava un po’ il passato oscuro del Direttore…ho sentito il bisogno di scriverlo perché questo personaggio misterioso non vestirà solamente i panni del “fantoccio” seduto su una poltrona di pelle….ma questo lo vedremo più avanti!!! ;P
Un abbraccio forte e un ringraziamento a tutti quelli che scelgono di continuare a leggere la mia storia…GRAZIEEEEEEE, VI VOGLIO BENE!
Vostra
BlackVanilla
 

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Capitolo 36
*** Cuore Spezzato ***


Penguin osservava la tavolata che era di fronte a lui, tutti i suoi compagni si erano riuniti per festeggiare l’esito positivo della missione, all’appello mancava solo il capitano che non avrebbe tardato ad arrivare, ne era sicuro.
Quando erano partiti da Zou per raggiungere Wa, si erano trovati di fronte ad una decisione da prendere: che farne di Calixte Aubert?
Non potevano certo lasciarla per sempre a Zou, ma nemmeno liberarla così come se non fosse accaduto niente, ammonendole semplicemente come un genitore che rimprovera il proprio figlio dopo che questi ha fatto una marachella.
Poi a Gwennie era venuta l’idea: aveva pensato di sostituirsi alla prigioniera facendo ritorno al Gemini al posto suo in modo da poter rubare informazioni inerenti il progetto del VDM-03, procedendo così sarebbero riusciti a scoprire con certezza chi e perché desiderava così ardentemente quel virus.
“Come faresti? Una come lei non passa certo inosservata….vuoi arricciarti i capelli?”, l’aveva presa in giro Mario imitando l’ancheggiare sensuale della Aubert.
Era bastata un’occhiata furtiva lanciata a Law perché lui capisse cosa intendeva, ma la cosa non gli era piaciuta un granché.
“Vuoi che effettui su di te lo scambio della personalità con lei, esatto? Così avrai il suo aspetto originale…”, aveva scosso leggermente la testa mente parlava, tuttavia un leggero sorriso sinistro gli si era allargato sul volto.
Tutti i presenti avevano puntato lo sguardo sulla ragazza, ammutoliti e in cerca di una risposta.
“Sì! Così la verità verrà a galla e sapremo con chi abbiamo a che fare! Calixte ha fallito ma non ci metteranno molto a mandare qualcun altro al posto suo…dobbiamo estirparli alla radice!”, aveva chiuso il pugno mentre parlava, gli occhi infuocati dal furore.
“Dobbiamo?”, l’aveva canzonata Orca con fare provocatorio.
La giovane non si era resa conto di aver parlato in plurale e arrossì quando le fu fatto notare, quando però tutti avevano iniziato a prenderla scherzosamente in giro si era ripresa gettando, in segno di stizza, un oggetto afferrato a caso verso il malcapitato Orca.
L’oggetto in questione era un orologio da tavolo non propriamente leggero ed era finito in mezzo alla fronte del pirata lasciandogli in ricordo una bel graffio di un rosso vivace.
“Scusami, ho agito d’impulso! Ti ho fatto male?”, Gwennie si era prodigata in mille cure e questi suoi atteggiamenti avevano fatto sognare l’uomo che continuava ad essere invaghito segretamente di lei.
Ignorando il cicaleccio che si era creato, Law, appoggiato allo stipite della porta aperta dove era rimasto per tutto il tempo, aveva subito messo in chiaro che secondo lui la faccenda era troppo pericolosa.
“Macché! Io per loro sarei Calixte…non mi torcerebbero un capello. Inoltre se dicessi di essere in possesso dell’unica fiala del mio sangue che possa essere reperibile? Non credi mi tratterebbero con un certo riguardo? L’intera faccenda durerebbe un paio d’ore, al massimo mezza giornata!”, le gote di Gwennie si erano tinte di un rosa acceso.
Penguin chiese cosa pensava di fare, nel frattempo, con l’originale Aubert.
La giovane aveva gridato la parola SEDATIVI, lasciando di stucco un divertito Law.
Il piano della giovane era stato messo in atto e, grazie al potere del frutto Ope Ope, lo scambio era avvenuto senza alcun tipo di problema, anzi uno c’era stato.
“Che cosa le passa per la testa? Voglio dire…queste scarpe sono infernali...”, Gwennie non amava le calzature con i tacchi alti e per questo motivo non le portava mai, trovarsi sui trampoli di Calixte l’aveva messa in seria difficoltà.
La ragazza aveva speso un bel po’ di tempo per allenarsi a camminare sui tacchi vertiginosi che la bionda amava indossare, non senza aver rischiato più volte di cadere procurandosi una slogatura a una delle due caviglie, se non ad entrambe.
Per i pirati Heart, vedere Gwennie nel corpo di Calixte ea un assoluto abominio: Penguin le aveva chiesto di farsi una doccia in quanto il profumo caratteristico della mercenaria stava impregnando il sottomarino in modo preoccupante, Orca non aveva retto al cambiamento e si era ritirato in cabina, Bepo fungeva da stampella aiutandola a non ammazzarsi per colpa di quei stivali maledetti mentre Law la osservava con un’immobilità da fare invidia ad una statua di marmo.
Non aveva battuto ciglio nemmeno quando la ragazza, ormai stanca di zampettare su quei tacchi lucidi, si era seduta su una poltrona togliendosi per un momento le ingombranti calzature e, strofinandosi il viso in cerca della perduta lucidità, aveva inconsapevolmente creato una esilarante maschera sul viso di Calixte.
Gwennie non si truccava mai e quindi era solita toccarsi liberamente il viso durante la giornata, in quel momento si era scordata dei vari strati di trucco pesante che la mercenaria amava mettere quotidianamente: l’ombretto e il mascara si erano fusi creando un effetto occhio pesto, il rossetto si era impastato con il fondotinta e il blush dando l’impressione che delle lacrime collose stessero cadendo dai suoi occhi stranamente scuri.
L’intera ciurma si era scompisciata dalle risate: Bepo respirava a tratti mentre Mario si era disteso a terra completamente incapace di muovere un muscolo.
Ma Law no, lui non si era mosso niente.
Non era affatto tranquillo: il piano della ragazza non gli era piaciuto un granché nonostante fosse il frutto di una pensata decisamente brillante, interrogando in modo non propriamente gentile la Aubert, si erano fatti indicare la rotta da seguire per raggiungere il Gemini, verso la misteriosa isola di Boden Schwarz.
La donna aveva deciso di collaborare dopo aver elaborato di non essere più proprietaria del suo corpo, e la cosa l’aveva terrorizzata più di qualsiasi altra minaccia possibile.
In ogni caso quello che gli dava da pensare era il fatto che Gwennie avesse dovuto affrontare quella piccola missione tutta da sola: la presenza di un’altra persona avrebbe infatti fatto nascere diversi sospetti al laboratorio rischiando di mandare a monte tutto il piano.
Le informazioni che la pirata avrebbe potuto recuperare sarebbero state preziosissime: come avevano capito tutti, fino a quando i misteriosi figuri non fossero entrati in possesso del VDM-03 non avrebbero di certo mollato l’osso mandando alla ricerca della giovane altri mercenari senza pietà.
Il rumore inconfondibile di vetro rotto riportò Penguin alla realtà: Jean Bart aveva alzato un po’ troppo il gomito e stava discutendo animatamente con un suo compagno in merito al modo migliore per mantenere efficiente un motore come quello che muoveva il loro sottomarino, con il braccio aveva urtato il boccale vuoto di birra che aveva da poco posato sul tavolo, facendolo cadere e mandandolo in frantumi.
Automaticamente il pirata si mise a raccogliere i pezzi di vetro raggruppandoli sopra ad un piatto vuoto, era chino sul pavimento quindi non vide il suo amico Orca che gli era passato accanto.
“Che ci fai lì a terra?”, lo canzonò addentando una mela rossa.
“Dammi una mano, così finisco prima!”, Penguin conosceva molto bene il suo compagno, sapeva che lo avrebbe aiutato senza fiatare.
Mentre tutti i frammenti del boccale venivano raccolti Orca chiese con finta noncuranza dove si trovasse Gwennie, entrando non l’aveva vista a tavola.
“Sarà andata a chiamare il capitano, non è ancora venuto a mangiare…sai è molto preso dalla documentazione che lei è riuscita a rubare al Gemini. Pare che ci siano di mezzo pezzi davvero molto grossi in questa faccenda…”, il primo si alzò soddisfatto, il pavimento era pulito.
“Beh, lo sapevamo già no? Ci sarà di mezzo un ammiraglio...o peggio quel marciume vivente di Akainu! Ce lo vedo a commissionare un virus per sterminare noi pirati!”, la mela di Orca di sottomise ai denti del pirata.
Penguin andò a gettare i pezzi di vetro nel bidone dei rifiuti, in cucina.
Stava chiudendo il grosso coperchio di plastica grigia quando, per poco, non andò a sbattere contro il suo amico che lo aveva silenziosamente seguito fino a lì.
“Che diavolo ti prende?”, posò il piatto su un ripiano metallico perfettamente pulito, Jasper era maniacale quando si trattava di tirare a lucido la sua cucina.
“Volevo chiederti un paio di cose…secondo te perché non ci dicono cosa hanno trovato nelle carte del laboratorio?”, posò il torsolo che aveva in mano accanto al lavandino.
Penguin lo guardò: non era solo quello che preoccupava l’amico, tuttavia gli rispose che presto il capitano avrebbe informato tutti loro in merito al contenuto del plico, non era il caso di darsi pensiero era cosa nota che Law non parlasse mai se non era perfettamente sicuro di ciò che stava per dire.
“E’ vero…hai ragione”, annuì poco convinto.
“Vuoi dirmi che ti passa per la testa?”, il pirata iniziava a perdere le staffe, inoltre il prelibato arrosto che Jasper aveva servito poco prima stava andando letteralmente a ruba, se non si fosse affrettato non ne avrebbe trovata più nemmeno una fetta.
Orca si tormentò il cappello prima di parlare, gli costava molto mettersi così a nudo ma non ne poteva più di tenersi tutto dentro.
“Gwennie e il capitano passano parecchio tempo insieme…”, la voce gli si affievolì fino a spegnersi del tutto.
Il suo amico rimase in silenzio: che Orca avesse una cottarella per la ragazza lo sapeva già, ma essendo passato tanto tempo da quando glielo aveva confidato e non avendolo più sentito parlare di questo argomento, Penguin aveva dato per scontato che gli fosse passata.
“Ti piace ancora?”, senza accorgersene aveva parlato sottovoce avvicinandosi al compagno in pena.
L’altro annuì.
Un sospiro riempì la stanza.
In sala da pranzo, Bepo si contendeva l’ultima porzione di arrosto con un suo compagno, l’orso bianco stava avendo la meglio nonostante l’altro fosse aiutato da alcuni nakama divertiti dalla scena e desiderosi di far durare la disputa il più a lungo possibile.
“Cosa pensi di fare?”, erano entrambi appoggiati ai mobili metallici della cucina, davanti a loro un carrello piuttosto alto munito di verse mensole e anche di le rotelle conservava dei piatti puliti, nonché posate e pentole appena uscite dalla lavastoviglie.
“Non lo so. Non mi era mai capitato prima…certo di belle donne ne abbiamo viste e qualche storia l’ho avuta…ma così non mi ero mai sentito. Ho provato a pensare ad altro, ho cercato pure di evitarla. Adesso che sta meglio è ancora più bella di prima…”, era arrossito.
“Questo non è un salotto! Fuori! Devo lavorare!”, Jasper era rientrato in quello che definiva il suo regno, carico di piatti e posate sporchi, intenzionato a dirigersi verso il lavandino dove poter appoggiare tutto il suo carico.
I due pirati stavano per uscire quando il cuoco li richiamò.
“Chi ha lasciato qui il torsolo di una mela? Quante volte devo dirvelo di tenere pulita la cucina? Ci vuole tanto a gettarlo nel bidone dei rifiuti???”, era paonazzo.
Orca e Penguin tagliarono in fretta la corda, non era certo il caso di rimanere lì e rischiare di ricevere un mestolo in mezzo alla fronte.
 
Un saluto affettuoso a tutti i miei lettori!!! ^.^
Come state, procede tutto bene? :D
Vorrei ringraziare particolarmente, oltre chi segue in modo regolare la mia storia, tutti coloro che hanno scelto di inserirla tra le preferite, seguite o ricordate...siete davvero tanti!
GRAZIEEEEEEEEEEEEE!!!
Mi fate felice! *.*
Alla prossima, un abbraccio!
Vostra
BlackVanilla

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Capitolo 37
*** A Bordo del Polar Tang ***


Sulla scrivania nella cabina del dottore non c’era davvero più spazio libero: Law aveva occupato tutta la superficie dell’ampio tavolo con gli incartamenti che Gwennie era riuscita a trafugare al Gemini.
I due giovani avevano letto e riletto i documenti più volte fino a farsi venire il mal di testa, la ragazza infatti aveva deciso di concedersi una pausa sdraiandosi qualche minuto sul morbido letto del suo medico finendo poi per addormentarsi.
Law però non demordeva e continuava a studiare le formule chimiche impresse in quei fogli di carta, certo di avere davanti il fattore che gli mancava per riuscire a creare un vaccino allo scopo di debellare per sempre il VDM-03.
La maggior parte dell’incartamento era scritto in codice, il nome del possibile compratore del virus era contrassegnato con una sigla alfanumerica, SS428, ma i calcoli effettuati da un certo dottor Bianchi erano chiarissimi e abbastanza utili.
Quello che al ricercatore mancava per riuscire a replicare il virus non era che una manciata di dati, Law lo capiva perfettamente dopo aver analizzato il VDM-03 così tante volte al fine di sconfiggere il terribile morbo, ma il povero Bianchi sembrava non esserci proprio arrivato finendo per arenarsi sempre sullo stesso punto.
Il chirurgo si strofinò gli occhi…sentiva che pizzicavano, distolse lo sguardo dai fogli e iniziò ad osservare Gwennie che giaceva inerme sul suo letto: era in posizione fetale e stringeva in mano un lembo del lenzuolo come se quel pezzo di stoffa potesse proteggerla da chissà quale minaccia.
“Uva sultanina!”, mugugnò nel sonno.
Law sorrise tra sé, aveva imparato a non sorprendersi più quando la giovane parlottava nel sonno, era un’abitudine ormai e a volte era pure divertente ascoltare ciò che riusciva a dire.
Un flash attraversò la mente del medico.
Riprese rapidamente alcuni fogli dal suo tavolo e li lesse avidamente.
Afferrò un quaderno e una penna ed iniziò a scrivere complicate formule chimiche.
Forse la soluzione era davvero molto vicina, Bianchi non aveva fatto proprio un totale buco nell’acqua.
 
Il momento della colazione nel Polar Tang era sacro.
Il tavolo da pranzo fungeva da enorme cuscino per tutte le teste dei pirati Heart che, come dei bambini capricciosi, alla sera non volevano mai andare a letto e quindi al mattino potevano vantare un’energia pari a quella degli zombie di Thriller Bark.
Jasper era l’unico che aveva degli orari molto precisi: ogni mattina si svegliava alle sei per iniziare a preparare la colazione, amava il suo compito e adorava cucinare quando nel sottomarino c’era ancora un silenzio quasi totale, riusciva a sentire il rumore prodotto dalla lama del suo coltello affilato mentre tagliava la frutta, oppure il leggero croccare del pane mentre si stava allegramente tostando.
Ogni giorno, a turno, ognuno dei suoi compagni doveva dargli una mano per servire le portate durante la colazione, il pranzo e la cena: quella mattina toccava ad Orca, ma Jasper aveva notato che il suo amico era particolarmente distratto.
“Orca coraggio, quel pane sta raffreddandosi. Tieni, porta questo vassoio e fai attenzione alla brocca del caffè, mi raccomando”, il cuoco lo guardò allontanarsi.
Trattenne il fiato finché non lo vide tornare con in mano il vassoio vuoto, segno che le pietanze erano arrivate a destinazione.
“Stai bene? Mi sembri stanco…se vuoi ti faccio sostituire”, gli chiese Jasper, genuinamente preoccupato per il compagno ma anche leggermente spaventato nell’immaginare i suoi muffin alla frutta con ripieno di delicata crema pasticcera finire spappolati sul pavimento.
“Tutto bene, non ho dormito un granché ma posso farcela”, non aveva sorriso minimamente parlando.
Il cuoco annuì e si dedicò alle uova che stavano friggendo, le fece agitare leggermente nella padella affinché non si bruciassero, mentre stava pensando ad un piatto speciale da preparare per Orca.
 
Penguin afferrò una fetta di pane tostato e la imburrò abbondantemente, scelse la sua marmellata preferita, quella di arance amare, e ne spalmò una porzione gigantesca sul toast che stava reggendo con la mano libera.
Stava per mordere il suo capolavoro quando nella sala da pranzo entrarono il capitano seguito da Gwennie: la ragazza era davvero diventata ancora più carina da quando stava meglio, i capelli erano più lucidi e forti, la carnagione era rosea, la pelle liscia e luminosa.
Quel mattino indossava un paio di shorts neri con i bordi sfilacciati, una maglietta bianca tutta stropicciata con disegnini colorati e i capelli erano raccolti in due treccine morbide, sorrise ai presenti prima di prendere posto.
Law afferrò un onigiri e si allontanò senza nemmeno sedersi un minuto, parlò piano a Jasper il quale annuì più volte prima di scomparire di nuovo in cucina, successivamente il medico scomparve nuovamente in corridoio.
“Che succede, Gwennie?”, Penguin non stava più nella pelle dalla curiosità.
“Il capitano dice di aver scoperto una cosa importante, ma non mi ha detto di che si tratta. Posso solo anticiparvi che purtroppo non ci sono nomi sul fascicolo che ho preso al Gemini e quindi non sappiamo ancora chi sia il possibile compratore”, sospirò posando sul tavolo la tazza di caffè.
Non riuscì a nascondere la sua delusione.
Era davvero convita di trovare qualche riferimento sull’identità del figuro, certo non pensava di poter leggere il nome nero su bianco, ma aveva sperato di carpire un indizio che l’avrebbe condotta sulla buona strada.
Invece niente.
Solo una sigla alfanumerica.
“Coraggio, vedrai che lo scopriremo chi è!”, era stato Orca a parlare e facendolo si era seduto accanto a lei.
Il capitano non era lì quindi tanto valeva approfittarne.
Ignorò l’occhiataccia che Penguin gli aveva appena scoccato.
Gwennie gli rivolse uno dei suoi più dolci sorrisi provocandogli un tuffo al cuore: avrebbe pagato oro per poter vedere quel sorriso ogni mattina per il resto della sua vita, magari in circostanze un pochino diverse, ecco.
“Grazie, siete davvero impagabili!”, lo abbracciò fraternamente, ancora ignara dei sentimenti che lui provava per lei.
Penguin sospirò osservando l’espressione imbambolata dell’amico, immaginò che sarebbe stato inutile rivolgergli la parola per il resto della mattinata, o forse addirittura per tutto il giorno.
 
Law finì di mangiare il suo onigiri e tornò al lavoro, era nel laboratorio e aveva chiuso a chiave la porta per non essere disturbato.
Negli incartamenti del Gemini aveva letto una cosa che gli aveva fatto saltare la mosca al naso: Bianchi, il ricercatore incaricato di replicare il virus, aveva cercato in tutti i modi di ottenere il VDM-03 fallendo miseramente ogni volta.
Gli mancava un pezzo importante della formula chimica che caratterizzava il morbo, e non era riuscito assolutamente a trovarla in laboratorio, così aveva pensato di cercarla in natura.
Poiché la malattia agiva con un lento ed inesorabile avvelenamento, Bianchi aveva cercato quella caratteristica tra i frutti velenosi che esistevano, trovando diverse possibili opzioni utili per il suo lavoro.
Era stato quel ragionamento che aveva fatto accendere la lampadina nella mente laboriosa del chirurgo: perché non cercare invece un frutto che abbia ampie proprietà curative anti-avvelenamento?
Magari mangiandolo Gwennie avrebbe potuto guarire definitivamente abbandonando anche la terapia farmacologica che, purtroppo, stava perdendo la sua efficacia.
Prese in mano i fogli relativi alle ultime analisi del sangue che aveva fatto fare alla ragazza: i valori erano leggermente regrediti rispetto al prelievo precedente e il medico sapeva benissimo che le prossime sarebbero state ancora peggio.
Nonostante tutti i tentativi per debellarlo, la piccola percentuale di virus ancora presente nel corpo di Gwennie stava mutando per reagire ai farmaci: tra non molto anche questo mix di medicinali sarebbe diventato inutile.
Ripose le analisi in un cassetto e tornò al suo lavoro, non aveva tempo da perdere.
 
Zoro stava sollevando il divanetto del salotto usando una delle sue katane, lui lo faceva solo per allenarsi ma inconsapevolmente aveva creato uno spettacolino a cui i pirati Heart facevano a gara per assistere.
Kin’emon si avvicinò a Gwennie per chiedergli se lo spadaccino era solito allenarsi sempre in quel modo e lei rispose che, pur di fare esercizio, avrebbe sollevato anche tutti loro messi insieme.
“Ha davvero lo spirito di un autentico samurai. Il regno di Wa sarà una piacevole sorpresa per lui”, disse incrociando le braccia al petto.
Questa affermazione fece sognare Gwennie, immaginava come potesse essere quel magico regno e sperava di non essere troppo distante dalla realtà, in un sprizzo di curiosità chiese al samurai di descriverle il paesaggio della sua terra natia.
“Oh, ben volentieri, O-Gwennie”, sedette a terra e prese fiato, “gli alberi sono alti e robusti, il loro colore è di un verde brillante. Al mattino, appena sorto il sole, una leggera nebbiolina di innalza dalle fitte foreste e non abbandona la cima degli arbusti fino a quando gli uccelli non decidono di alzarsi in volo. L’aria profuma di muschio e di natura, è possibile sentire il rumore dell’acqua limpida che scorre nei numerosi ruscelli. A metà giornata le risate dei bambini che giocano per le strade si mescola ai versi degli animali delle fattorie, i loro padri sono già al lavoro da diverse ore ma non manca molto al momento in cui potranno riabbracciarsi. Nelle case le mogli stanno preparando il riso per la cena e in un angolino della cucina stanno sicuramente bollendo degli ottimi oden fumanti. Quando la luna prende il posto del sole nel cielo il solo suono che si ode è il canto dei grilli che si nascondono tra le foglie dei cespugli”.
Gwennie aprì gli occhi, in realtà non si era resa conto di averli chiusi.
 “E’ bellissimo Kin’emon, grazie per avermelo raccontato! Io non vedo l’ora di vederlo di persona, sembra un regno di favola!”, sorrise entusiasta.
Il samurai la imitò per poi rabbuiarsi di colpo.
La giovane lo notò e prese posto accanto a lui, sul pavimento, posandogli una mano sul braccio.
“Non dovete preoccuparvi, Rufy ha promesso di aiutarvi a sconfiggere Kaido e lo farà. Lui mantiene sempre la parola…per non parlare di Law, e dei visoni che conoscete certo meglio di noi! Ce la faremo!”, strinse le dita attorno alla morbida stoffa del kimono del guerriero.
“Hai ragione O-Gwennie, non posso abbattermi prima della battaglia. Noi insieme libereremo il regno di Wa dalla tirannia di Kaido e apriremo i confini come desiderio di Lord Oden”, il suo sguardo era risoluto ma anche più sereno.
La giovane gli rivolse un altro sorriso prima di rimettersi in piedi, guardò Zoro mentre sollevava il divanetto per la milionesima volta: teneva l’occhio chiuso per concentrarsi meglio ma gli strilli dei pirati Heart non lo stavano per niente aiutando.
Alla fine sbottò chiedendo di fare silenzio.
“Nooooo!!!”, gridò Mario mettendosi le mani nei capelli, “ti sei fermato! Io aveva scommesso che ne avresti fatti altri cento senza pausa, mi hai fatto perdere!!!”.
“Sgancia amico!”, Penguin si era avvicinato all’aiuto navigatore con fare canzonatorio.
Tutti si misero a ridacchiare per poi tornare ai rispettivi compiti.
Ancora una volta Gwennie non poté fare a meno di sentirsi come a casa sua.
 

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Capitolo 38
*** ...in viaggio verso Wa ***


Il sottomarino era completamente silenzioso…il solo lieve rumore che fosse possibile sentire era il motore che lavorava lento in modo da mantenerli immersi in quel blu profondo.
Law sospirò.
Era sdraiato sul suo letto e fissava il soffitto, le mani dietro alla nuca, del tutto incapace di dormire: la situazione non era affatto buona, le condizioni di Gwennie sarebbero tra non molto peggiorate e la sua idea di trovare un frutto con proprietà antiveleno non gli sembrava più una trovata così brillante.
Tra l’altro non avevano tutto quel tempo che si sarebbe dimostrato certamente necessario per analizzare le varie tipologie di frutta e analizzarne le caratteristiche…no, lei sarebbe peggiorata molto prima.
Chiuse gli occhi lasciando che il nero della notte invadesse la sua mente e il suo cuore…sentiva di essere preoccupato e la cosa lo spaventava, era stata questa paura a bloccare i sentimenti che aveva iniziato a provare per Gweenie, era stata questa paura a spingerlo ad allontanarla da sé, almeno in un primo momento.
Quando aveva deciso di accogliere l’amore nella sua vita sapeva che si stava esponendo al pericolo di perdere la persona di cui si era innamorato…lo sapeva bene fino dalla prima visita che le aveva fatto, a bordo della strampalata nave di Bartolomeo in quella che sembrava una vita fa.
Aveva combattuto contro se stesso per lungo tempo, aveva cercato di sigillare la sua anima come era riuscito a fare molti anni addietro…ma stavolta non ci era riuscito.
Era stranamente buffo come il fatto di mettersi contro il Governo Mondiale non gli desse il minimo pensiero, la minima preoccupazione, quando invece solo immaginare di vedere morire Gwennie tra le sue braccia lo faceva soffrire in modo assurdo.
Perché lei sarebbe morta.
L’operazione e il trattamento le avevano dato altro tempo da vivere, altri giorni da trascorrere con lui, con loro e con i suoi compagni di avventura…ma la sabbia della sua clessidra stava esaurendosi e non sarebbe stato possibile capovolgerla di nuovo stavolta.
Sbuffò piano.
Sentirsi così impotente era assurdo.
Era orribile.
Era odioso.
Era…una vera tortura.
Lui, il chirurgo della morte messo spalle al muro in quel modo.
No, non si sarebbe arreso così…avrebbe lottato fino in fondo per vederla sorridere di nuovo, per ridarle la salute che aveva perso a Janvier sacrificandosi e decidendo di compiere un gesto tanto avventato quanto coraggioso.
Rotolò tra le lenzuola decidendo infine di alzarsi, non avrebbe dormito, lo sapeva bene.
Una passeggiata in salotto non gli avrebbe fatto male, anzi gli venne in mente il titolo di un libro che forse lo avrebbe potuto aiutare nella sua ricerca.
Dopo qualche passo notò che la luce era già accesa, qualcun altro non riusciva a prendere sonno quella notte e quel qualcuno era Kin’emon che se ne stava seduto a terra con le gambe incrociate intento a leggere un pesante tomo che reggeva con entrambe le mani.
“Law-dono…come mai qui?”, gli chiese poggiando il libro sul pavimento.
“Non riesco a prendere sonno…”, il medico usò il suo solito tono laconico.
Il samurai annuì.
“E’ per O-Gwennie, non è così?”, tenne lo sguardo fisso sul pavimento mentre parlava, la mano destra a reggere il mento.
Gli occhi glaciali del dottore lo scrutarono a fondo, il silenzio si era nuovamente impadronito del sottomarino.
“Starà di nuovo male…”, il guerriero sospirò chiudendo il libro che aveva letto fino a poco prima, dopo essersi alzato lo ripose sullo scaffale e si girò verso Law.
Lui annuì lentamente.
Silenzio.
“Potrebbe esserci una soluzione…ma è come cercare un ago in un pagliaio…”, il chirurgo si sorprese mentre sentiva la propria voce parlare, non era da lui condividere il suo pensiero.
Poco dopo spiegò rapidamente a Kin’emon l’idea del frutto antiveleno e l’uomo lo ascoltò con vivo interesse, non si perse una parola e gli fece diverse domande.
“Se il tuo problema è trovare un posto dove cercare informazioni, io posso aiutarti…a Wa abbiamo un’enorme biblioteca, i libri in essa contenuti sono antichi e preziosi…sono certo che potresti trovare qualcosa!”, Law continuò a fissare il suo interlocutore senza battere ciglio.
“L’accesso a questo luogo non è consentito a tutti, ma sono certo che Lord Momonosuke sarà lieto di darvi il suo permesso per consultare i testi antichi! Inoltre il saggio che funge da guardiano conosce benissimo ogni singolo tomo, certamente potrà esservi utile nella ricerca…”, completò la frase sospirando leggermente.
Il medico aveva assorbito ogni singola parola detta dal guerriero: a Wa sarebbe stato davvero possibile trovare la risposta alle sue domande?
Avrebbero scovato il nome un frutto dalle proprietà antiveleno così potenti da debellare il VDM-03 una volta per tutte?
“Se ciò che hai detto è vero…allora non abbiamo altro tempo da perdere, dobbiamo arrivare a Wa il prima possibile”, il giovane capitano fece per avviarsi verso il corridoio, ma Kin’emon lo fermò posandogli una mano sul braccio.
“Law-dono, in questo momento la biblioteca non è accessibile, Kaido l’ha sigillata e ha impedito a chiunque di entrarvi. Il suo scopo è di concentrare tutta l’attenzione degli abitanti del mio sfortunato paese nelle attività belliche che gli stano fornendo fama e ricchezza. A nessuno è permesso studiare o andare a scuola, i giovanotti sono obbligati a un duro addestramento militare, mentre alle ragazze è concesso di applicarsi nelle mansioni culinarie ed infermieristiche, per essere pronti in caso di attacco nemico”.
“Mi stai dicendo che se vogliamo accedere ai testi, dobbiamo sconfiggere Kaido…se non ci riusciamo non solo noi moriremo ma anche Gwennie lo farà…”, lasciò vagare lo sguardo nel vuoto, “…e tra atroci sofferenze…”.
Con gli occhi grigi del dottore puntati su di sé, il samurai era davvero a disagio: le cose stavano esattamente come aveva detto lui ma sentirle risuonare nelle proprie orecchie era stato piuttosto sgradevole.
Annuì silenzioso.
“Un motivo in più per cancellare Kaido dalla storia, non trovi?”, un sorrisetto sinistro si dipinse sul volto del ragazzo mentre voltava le spalle e tornava lentamente in camera sua.
 
Mentre stava percorrendo il corridoio, Law sentì il desiderio di passare per la camera di Gwennie e darle un’occhiata, non l’avrebbe svegliata ma aveva decisamente voglia di vederla.
Aprì piano la porta che non emise alcun rumore.
La ragazza stava dormendo placidamente sdraiata su di un fianco, appallottolata tra le lenzuola e stringendo tra i pugni un lembo del morbido guanciale che le sorreggeva la testa.
Il giovane si sedette piano sul letto e la osservò respirare ritmicamente, completamente addormentata, i capelli fini abbandonati sul cuscino e le folte ciglia che vibravano leggermente rispondendo ai delicati impulsi nervosi che il cervello mandava.
Stava per andarsene quando un rumore catturò la sua attenzione: era come un leggero scoppiettio e si sentiva alla fine di ogni respiro di Gwennie, segno che del liquido si stava formando nei polmoni.
Strinse i pugni con rabbia e lasciò la stanza rapidamente.
Una volta giunto in camera sua sospirò frustrato: il VDM-03 stava davvero tornando e a quanto sembrava in modo molto più veloce e aggressivo di quanto avesse mai potuto immaginare.
 
Durante la colazione Law studiò segretamente Gwennie: il suo aspetto era buono, il colorito della pelle roseo e le gote accese, i capelli lucenti e radiosi inoltre mangiava con appetito.
A vederla in quel modo sembrava sanissima, il ritratto migliore che la salute potesse vantare.
Ma lo scoppiettio sinistro che lui aveva udito la notte precedente non lasciva dubbio alcuno, tra non molto sarebbe peggiorata nuovamente.
Quando la giovane ebbe terminato il pasto, le chiese se poteva seguirlo sul ponte, quel mattino erano emersi per far prendere un po’ di aria all’equipaggio, ma soprattutto a Bepo che mal sopportava gli spazi chiusi e caldi per lungo tempo.
In quel momento il ponte era deserto, tutti erano occupati ad allenare le mascelle a tavola.
Il cielo era grigio, una sottile foschia avvolgeva il Polar Tang creando un’atmosfera decisamente spettrale e lugubre, perfino la temperatura era scesa di qualche grado.
“Devo parlarti”, esordì secco lui.
“Lo avevo intuito!”, lei sorrise, ma scrutando il viso del suo dottore si rabbuiò rapidamente, “dimmi tutto”.
Law appoggiò le braccia alla fredda ringhiera metallica raccogliendo i pensieri, cercò di non guardarla mentre le spiegava quello che Kin’emon le aveva detto la notte precedente.
Cercò di non immaginare la sua espressione delusa nello scoprire di non essere affatto guarita, ma di essere solo riuscita a guadagnare un po’ di tempo da vivere.
Cercò di non pensare al dolore che doveva essersi fatto strada nel suo cuore mentre realizzava che il famoso chirurgo della morte non era riuscito a compiere il miracolo, che i suoi poteri si erano dimostrati tanto inutili quanto traditori, avendo donato loro l’illusione di avere una marcia in più nella battaglia contro il virulento agente patogeno.
Quando il solo rumore delle onde che si infrangevano sulla parete metallica del sottomarino si impadronì di quel momento, il giovane trovò il coraggio di girare la testa verso di lei e di guardarne il viso: non c’era nessuna delusione dipinta sul volto della ragazza, nemmeno rabbia o angoscia…era…serena.
“Domande?”, chiese il medico tanto per rompere il silenzio.
Gwennie si strinse nel morbido scialle che la avvolgeva mentre scuoteva la testa, gli rivolse un piccolo sorriso mentre muoveva un passo verso di lui.
“Non capisco…non sei arrabbiata? Delusa? Spaventata? Ti avevo promesso la guarigione…ti ho sottoposta a trattamenti pesanti, operazioni lunghe e riabilitazioni dolorose…e non ho ottenuto nulla di tangibile”, puntò gli occhi grigi in quelli verdi di lei.
Si aspettava una reazione negativa, in fondo ne aveva tutto il diritto.
La giovane si avvicinò ancora fino a cingergli il petto con le braccia, posò la testa su di lui mentre chiudeva gli occhi felice, ascoltò il battito accelerato del cuore del suo chirurgo inspirando a pieni polmoni il suo profumo irresistibile.
“Perché mai dovrei esserlo? Tu hai promesso di aiutarmi e lo hai fatto…sarei già morta se non fosse per la tua abilità medica…non occorre che te lo dica io, lo sai benissimo”, fece una pausa durante la quale lo strinse più forte, “e poi…beh tu stai continuando a studiare il VDM-03 per me, per aiutarmi…hai avuto questa idea del frutto antiveleno…insomma, quello che voglio dire è che mi sembra di aver capito che non vuoi abbandonarmi anche se la mia situazione non è delle migliori, vero? E questo per me vuol dire tutto…”.
Senza parole.
Law rimase senza parole.
La abbracciò a sua volta, poi le prese il mento tra le dita e le fece sollevare la testa.
“Non ho nessuna intenzione di abbandonarti. Togliti questa idea dalla testa, è una cosa che non succederà mai…”.
Lei gli sorrise dolcemente, le gote rosse d’emozione.
Mentre una leggera brezza faceva danzare i capelli chiari della ragazza, le loro labbra si unirono in un dolce bacio carico d’amore.
Il loro futuro sarebbe stato incerto e difficile ma lo avrebbero affrontato insieme.
L’avventura che li aspettava al paese di Wa era pericolosa sotto diversi punti di vista tuttavia sapevano di poter contare l’uno sull’altro oltre che sui loro compagni e alleati.
Erano ancora vicini quando Bepo aprì la porta che conduceva all’interno del Polar Tang, per lui non era una sorpresa vederli in quel modo, anzi ne era davvero contento.
“Capitano, abbiamo terminato la colazione e siamo pronti per immergerci. Quale rotta devo seguire?”, l’orso aspettò compito.
Law si girò verso il suo navigatore con uno dei suoi migliori sorrisi sinistri stampati sul bel volto, il braccio ancora intorno alle spalle di lei.
“Immergiamoci subito, siamo diretti a Wa…e mi raccomando Bepo, alla massima velocità”, guardò Gwennie mentre aggiungeva, “non abbiamo un minuto da perdere”.
 
 
 
 
Carissimi lettori,
per prima cosa voglio scusarmi per la mia assenza purtroppo obbligata :<
Sono successi dei fatti sgradevoli che non mi hanno permesso di essere presente come desideravo, ma oggi sono qui per abbracciarvi tutti e chiedervi perdono.
Come avrete intuito, quello di oggi è l’ultimo capitolozzo...sniff sniff, sono un poco commossa è vero, ma non dispero perché conto di tornare molto presto con degli one shot sul passato di Gweenie e con un sequel ambientato completamente nel magico regno di Wa :D
Sono costretta a chiudere la storia un po’ prima di quanto immaginassi, principalmente per un motivo: One Piece si è “arenato” a Whole Cake Island e io non ho materiale su cui poggiare la mia trama D:
Vi spiego meglio: da quando ho iniziato a scrivere questo racconto, ho desiderato “inserire” Gwennie nella storia originale del manga, quindi ho sì inventato situazioni nuove ma ho anche cercato di rimanere fedele alla linea di Oda.
Quindi, per riassumere, attendendo la ricomparsa di Law e il suo arrivo a Wa, vi terrò compagnia con degli one shot e a questo proposito vi lancio un’idea: se vi va proponetemi voi degli argomenti che vi stuzzicano particolarmente, qualcosa che vi ha incuriosito nel mio racconto ma che magari non è stato approfondito!
Oppure qualsiasi altra cosa che vi passa per la testa! ;P
Voglio ringraziare tantissimo TUTTI quelli che hanno letto anche solo qualche riga dei miei scritti, in particolare:
 
Annabell93
Asra
Celaena Sardothien
Danymoonguardian
fior di loto
Kurama no yoko
LadyGwen92 :>
maricche
nellygoglia1997
SarettaDylan
SeaFire 17 :>
SpreadYourWings98
Tasynator
tenny_93
VeRoFuSa
Vio19
Yukiko_Kitamura
Zomimanganana
 
per aver inserito la mia storia tra le preferite.
E non dimentichiamoci di:
 
AkA GirL
Baby955
Ciryata
eldialice
Faith93
FantasyAnimeManga96
Guchan
Kate D Jennet
PawaVeggyRufy4E
Rika_Anne
robychan88
Sanjina99
Silver saiyan
TheLadyVampire97
valepassion95
WikiJoe
 
che l’hanno gentilmente messa nella seguite.
Un grazie particolare a chi ha deciso di onorarmi con una recensione, la cosa migliore che possa accadere a chi, come me, si applica con tutta se stessa per scrivere e capisce così di non aver fatto un cattivo lavoro.
Vi voglio bene, spero mi seguirete anche nel futuro!!!
 
Sempre Vostra
BlackVanilla
 

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