Now I understand why I am here. I made a promise and I am here to keep it.

di f9v5
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Onironautica e Dei creati dal popolo ***
Capitolo 2: *** Specchi rotti, sfumature d'anima. ***



Capitolo 1
*** Onironautica e Dei creati dal popolo ***


Shadow the Hedgehog non si era mai chiesto cosa avesse fatto di male per ritrovarsi in quella situazione. Beninteso, non significava tenesse in buona considerazione tale avvenimento, ormai divenuto fin troppo ricorrente e fastidioso, ma riteneva che porgersi quell’interrogativo avrebbe assunto una connotazione decisamente patetica (solo i deboli si soffermavano sulle scelte trascorse alla ricerca di giustificazioni), oltre all’evidente sfumatura di retorica che il quesito avrebbe posseduto.
Che cosa aveva fatto di male?! Chiedersi il contrario sarebbe stato decisamente più logico.
Era fin troppo estesa la lista mentale di azioni “non propriamente nobili” di cui si era reso fautore e preferiva non pensare al tempo che sarebbe occorso per elencarle nell’eventuale, ma altamente improbabile, caso in cui avesse sentito il bisogno di esternarle a soggetti estranei.
In quel momento il riccio si stava dondolando svogliatamente sull’unica sedia del suo piccolo appartamento, con le gambe accavallate sul tavolo in legno, quest’ultimo a volte traballava.
Non era mai stato uno che badava alla presentazione esteriore lui, l’importante era la sostanza, il contenuto; un occhio esterno avrebbe giudicato l’appartamento spoglio, malmesso, poco confortevole e affatto accogliente, lui aveva un punto di vista nettamente diverso: c’era un letto per dormire, un bagno per lavarsi, un frigo (di seconda mano) dove conservare il cibo per mangiare, quindi assurgeva al suo compito, non c’era motivo per presentare rimostranza.
Non ci trascorreva mai un lasso di tempo che poteva ritenersi considerevole, ulteriore ragione a non avanzare proteste per le condizioni spartane, che a lui sembravano addirsi perfettamente al suo modo di essere, la polvere che stanziava negli angoli, al sicuro da scopa e paletta e da qualunque altro genere di prodotto per le pulizie, era capitata nel suo habitat naturale, fortunata del fatto che il proprietario fosse assente per la maggior parte del tempo.
E poi, volendo essere completamente sinceri su quell’argomento, anche se avesse mai sentito il bisogno di qualche comfort in più, lo stipendio alla G.U.N. non era propriamente tale da consentire una vita di lusso a chi ne usufruisse, o più semplicemente la sua bassa consistenza era una conseguenza del fatto che il Comandante Tower non aveva soppresso totalmente l’astio nei suoi confronti e, conscio dell’incapacità di placare tale sentimento mediante l’utilizzo di squadroni della morte o robot superavanzati (troppo scontata la fine a cui sarebbero andati incontro), aveva optato piuttosto per ricorrere al metodo finanziario.
Shadow avrebbe sicuramente dato credito a quest’ipotesi, ma la vita in un appartamento minuscolo e fatiscente non gli aveva mai arrecato nessun fastidio, dunque fece in modo di non far mai trapelare tale verità, se la teoria dietro la sua bassa remunerazione fosse mai stata esatta, allora avrebbe lasciato che il Comandante continuasse a pensare di avergli inferto un colpo emotivo e crogiolarsi in quell’illusione.
Gli umani erano decisamente ridicoli, provare piacere per simili questioni, arrecare danni per vie traverse e godere del risultato in silenzio… decisamente stupidi.
Il riccio si stufò presto di quella passività, la sedentarietà non faceva proprio per lui e il suo rifiutarla gli fece storcere il naso; bramava la velocità, non poteva negarlo, non in maniera maniacale come “qualcun altro”, ma ne sentiva un’indiscutibile necessità, era parte di lui, una delle più vitali e contemporaneamente la più diseredata, guarda caso in virtù del soggetto con cui costituiva un punto di similarità.
-Bah, non pensiamoci.-
Fece una breve tappa davanti lo specchio scheggiato del piccolo bagno; scheggiato come i suoi ricordi, come la sua anima tediata da visioni incomplete e frammentarie, squarci di un passato così arcano e contemporaneamente limpido quanto uno specchio d’acqua… uno specchio d’acqua in cui venivano gettati fin troppi sassi.
Le occhiaie si vedevano benissimo però, gentile rimasuglio della fastidiosa ricorrenza degli ultimi tempi.
Il passato adorava tormentare la gente, ormai ne era convinto, pur non ritenendo il suo un effettivo tormento quanto piuttosto una rottura di scatole che stava rendendo decisamente desiderabile il volersi sbarazzare di lei.
Forse era solo un caso, forse il suo inconscio stava ancora consumando i postumi dell’evento e ciò che gli stava accadendo era il metodo adottato dal suo Io per attutire tutto, smaltire la cosa progressivamente e a pezzi facilmente sopportabili fino all’esaurimento di quel poco gradito travaglio mentale che avrebbe infine lasciato la sua mente sgombra da esso.
Aveva già abbastanza tormenti per la testa, la prospettiva di liberarsi dell’ultimo arrivato non andava certo incontro al suo diniego.
Uscì dal bagno e in seguito dall’appartamento, in fretta e furia e sbuffando, voleva sgranchirsi e stare davanti a uno specchio era la soluzione meno confacente, al problema e al suo umore.
 
 
 
Svuotò il bicchiere tutto d’un fiato e poi lo poggiò con decisione sul tavolino circolare al quale era seduto, da solo e nell’angolo più buio e remoto del locale.
Sperava sinceramente che nessuno provasse ad intrattenere un discorso con lui, non aveva interesse a garantire per l’incolumità dell’imbecille di turno.
Gli era stata rivolta qualche occhiata truce, prontamente bilanciata da uno sguardo di ghiaccio, al suo ingresso di quel bar della periferia di una Westopolis che stava ancora cercando di riprendersi dopo gli attacchi subiti alcuni mesi prima.
Gli umani erano fondamentalmente dei vigliacchi, lo leggeva chiaramente il desiderio di morte nei loro occhi, scaturito proprio dal suo arrivo (gli poteva comunque concedere di essere mentalmente in possesso di una considerevole motivazione), accompagnato però da quel timore reverenziale che la sua figura incuteva, sopendo l’ardore dei loro animi quanto bastava da costringerli ad ingoiare l’amaro boccone della consapevolezza della loro impotenza.
-Ehy Shadow, ma guarda un po’ te che coincidenza.-
Oh cazzo, lui no!
Un’occhiata fulminante al suo indirizzo, la vaga speranza di sortire lo stesso effetto che produceva sui comuni mortali per tenerli lontani.
Peccato che stavolta non si trattasse di un “comune mortale”, ma di Sonic the Hedgehog, colui che gli umani aveva eletto al rango di “divinità”, ben più di un semplice eroe, in virtù della loro imperfezione e del loro bisogno di affidarsi ad un’entità superiore. Lo vide come si accesero gli occhi di tutti al suo ingresso.
-Se quel mostro tenterà qualcosa di losco, Sonic lo fermerà!- sì, sicuramente qualcuno di loro moriva dal desiderio di dirlo. Patetici.
Gli occhi smeraldini di questi incrociarono il rosso cremisi di Shadow, il sorriso smagliante che non accennava a diminuire e la man ancora alzata in gesto di saluto non ricevettero il piacere di una risposta, solo un’accentuazione del già minaccioso cipiglio del riccio nero.
Che diavolo ci faceva lì Faker?
Shadow aggrottò ulteriormente lo sguardo, condendolo con una buona dose di scetticismo, non ci credeva affatto alla casualità di quell’incontro.
Sonic smorzò leggermente il suo sorriso.
-D’accordo, ti ho visto sfrecciare per le strade e ti ho seguito.-
Ovvio, erano in periferia, Faker solitamente stanziava al centro, era più facile essere notato e bearsi degli elogi di quegli umani ignoranti, non avrebbe mai trascinato la sua “persona” nei sobborghi, a meno che non avesse adocchiato qualcosa capace di risvegliare il suo interesse, come appunto in quel caso.
Prese una sedia libera, gli si sedette dinanzi, sfidò la sorte, Sonic amava farlo.
-Che cosa vuoi?-
-Solo fare quattro chiacchiere con un amico.-
-Non siamo amici!-
-Resta il fatto che non ti stai facendo vedere da un bel po’ di tempo dopo la faccenda dell’invasione, in seguito a certi eventi non è salutare chiudersi in se stessi.-
Tsk, ora cercava di recitare la parte dell’uomo vissuto che elargiva “perle di saggezza” gratuite (tutte mere stronzate)che non sortivano nessun effetto.
Il riccio blu osservò il bicchiere vuoto, con dentro qualche goccia sopravvissuta, e la bottiglia accanto ad esso poggiati sul tavolino.
-Hai deciso di darti all’alcol?-
-Ho cinquant’anni, direi di essere abbastanza grande e coscienzioso su cosa posso e non posso fare.- e lui era Shadow the Hedgehog, lui poteva.
Riempì nuovamente e il bicchiere e tracannò il liquido in un secondo, lasciando che il bruciore attentasse alla sua gola senza però scalfirla; Sonic fischiò, pur non esprimendo nessun tipo di impressione.
Cos’era? Un gesto intimidatorio o semplicemente la sua controparte aveva scelto di buttarsi tra gli ingannevoli e ambigui piaceri che la sbronza concedeva?
-Tu che dici, c’è l’avranno il caffè?-
-Oh, sono sicuro che per te si industrieranno!- sputò sarcasticamente riempiendo il suo terzo bicchiere. La riverenza degli umani nei confronti di quel riccio lo disgustava, attanagliava la sua mente col costante dubbio che forse non far saltare in aria quel pianeta insieme a tutti i suoi ridicoli abitanti fosse stato un madornale sbaglio.
Quei bastardi dovevano tutto a Maria, la promessa fatta a l’unica persona che avesse mai definito “Amica” li teneva tutti in vita; quella povera ragazza non avrebbe mai ricevuto i ringraziamenti meritati, almeno aveva trovato la Pace, o almeno sperava, la meritava Lei più di chiunque altro.
Sonic gli soffiò il bicchiere da sotto il naso e tirò un sorso, tossì per parecchi secondi; non era abituato agli alcolici, era palese.
-Accidenti, questa è roba forte, come fai a berla addirittura tutta in una volta?- non si scusò per il suo gesto che, seppur non glielo fece notare, era stato decisamente scortese.
Chiaramente non l’aveva fatto con cattiveria, semplicemente in certi momenti (la maggior parte, a dire il vero) agiva d’impulso, l’istinto aveva questa conseguenza, per questo tutti lo amavano: Sonic the Hedgehog non faceva niente con cattive intenzioni, si poteva perdonare.
-Volevi il caffè?! Vai a chiederlo!- e soprattutto che si levasse di torno.
-Ti dirò: mi annoio ad alzarmi ed andare fino al bancone.-
Cazzata bella e buona, aveva deciso di stare lì ad aspettare che lui parlasse, che si confidasse e permettergli di rivestire ancora una volta la parte del salvatore che risolve il problema, era fatto così.
E, sinceramente, Shadow non immaginava sarebbe stato così complicato; l’aver deciso di non distruggere la Terra e, per giunta, salvarla in seguito da un’invasione aliena erano stati di fatto gli eventi che avevano sancito la non richiesta accoglienza all’interno della sua vita di quel porcospino blu così simile a lui fisicamente, non credeva però che questi potesse indurre nella sua esistenza una ventata nuova, che sarebbe stato in grado di plagiare il suo animo.
Ma lo stava rendendo difficile: Sonic the Hedgehog, neanche di proposito, ma per pura e semplice natura, tendeva a sfidare le barriere per distruggerle, incluse quelle mentali, le raschiava con la sua pungente ironia e le abbatteva con le sue provocazioni da “eroe che può permetterselo perché tutto gli può essere perdonato”.
E non intendeva lasciarglielo fare, non gliene importava di come Sonic gestisse la sua vita, ma che non provasse a modificare la sua.
Forse per un moto d’ira improvviso, forse perché aveva riconosciuto che ci stava provando a farlo parlare in quell’effettivo momento, forse perché stava asserendo che fosse un debole che necessitava dell’aiuto d’altri (non era chiaramente il caso, ma aveva bisogno di una scusa), Shadow rovesciò il tavolo con violenza, il fragore del vetro in frantumi attirò l’attenzione allarmata degli avventori.
Il loro eroe non rischiava la vita, vero?
-Quale cazzo è il tuo problema?-
Sonic rimase a bocca aperta solo per pochi secondi, prima di alzarsi e fronteggiare, al pari d’altezza, la sua controparte.
Shadow era più forte di lui, lo sapeva, ma non sarebbe stata quella consapevolezza a frenare il suo spirito.
Se c’era un ideale in cui aveva sempre creduto era la libertà, l’essere in grado e nelle condizioni di poter fare le proprie scelte senza costrizioni e condizionamenti, era il suo mantra e mai avrebbe tentato di venir meno ad esso, così come non si sarebbe mai azzardato di privarne qualcun altro.
Ma Shadow si era rivelato un idiota testardo, tanto quanto lui.
-Qual è il tuo, piuttosto? Voglio solo aiutarti ma tu ti ostini a tenerti tutto dentro. Chiedere aiuto quando ne hai bisogno non ti rende debole.-
E quando aveva specificato di necessitarne, esattamente?
Eccolo un altro difetto di Faker: era convinto di sapere cosa gli altri volessero.
Forse gli elogi e le celebrazioni avevano finito per incrementare la sua arroganza, si permetteva addirittura di esporre fatti infondati pur di collocarsi dalla parte della ragione.
E ci era riuscito, sentiva nuovamente gli occhi di tutti puntati sulla sua figura per sputare fiele, o meglio, col desiderio di poterlo fare, così da torturare e condurre verso un’indegna fine colui che si era permesso di remare controcorrente, di contraddire Sonic.
Si sentiva sempre più disgustato.
Afferrò il riccio blu per il collo con una rapidità tale da coglierlo alla sprovvista e lo sbattè violentemente al muro, nessuno avrebbe tentato di intervenire, troppi fattori gli davano quella certezza, gli sguardi dei presenti, attoniti e presi istantaneamente dal terrore, innanzitutto.
Ma non provò nessuna soddisfazione nel farlo, addirittura ciò che seguì acuì ulteriormente la sua irritazione: Sonic, ripresosi dallo stupore iniziale, continuò a sostenere il suo sguardo imperterrito, non tentò di liberarsi la giugulare, stretta in quella morsa letale che di lì a poco lo avrebbe letteralmente lasciato senza fiato, ma non fu da ricercarsi nella consapevolezza, nota ad entrambi, della sua forza fisica, inferiore rispetto a quella del riccio nero, la ragione per la quale non azzardò a farlo.
Sonic the Hedgehog era impulsivo, testardo e un gran rompiscatole… ma era furbo.
Se l’avesse ucciso, lì, in quel momento, in quella particolare circostanza, paradossalmente avrebbe perso: avrebbe fomentato ulteriormente l’odio già fortemente vivido degli umani nei suoi confronti, e la razza umana era arrogante, se distruggevi i suoi “dei” ti avrebbe perseguitato, perché far crollare le proiezioni mentali coincideva col mostrare la debolezza di chi le aveva create per cementare in sé l’illusione di un essere superiore che preservasse la sua integrità.
Gli umani erano deboli, avevano bisogno di Sonic, privarli del loro “Dio” avrebbe svelato la loro vulnerabilità e li avrebbe trasformati in codardi bisognosi di illudersi di non essere tali e per farlo avrebbero dovuto eliminare lui.
Una mera seccatura, non sarebbero stati nulla di più singolarmente, ma unendosi inconsapevolmente alle turbe psichiche che già lo tormentavano avrebbero ottenuto un miscuglio abbastanza potente da rendere le cose difficili anche per lui.
E soprattutto, uccidere Sonic The Hedgehog lo avrebbe portato ad odiare se stesso per il resto della sua vita… e quando sei immortale la prospettiva è disgustosa.
Era orrendo da riconoscere, ma forse aveva ragione: aveva bisogno di parlare di ciò che stava accadendo, espellere tutto il veleno che le circostanze recenti gli avevano infuso in corpo e lasciare che la sua anima si epurasse almeno un po’ del marcio che albergava in lui.
Ma non riusciva a tollerare la visione di un Sonic gongolante che avrebbe sperimentato il piacere di primeggiare su di lui, era qualcosa di troppo sbagliato secondo la sua mente.
Ma finirlo, cancellarlo dall’esistenza in quel momento, avrebbe dato a Faker l’occasione di andarsene con la certezza di essere dalla parte del giusto: Shadow necessitava di un conforto, il non volerlo dichiarare, non a lui, era un’indiretta ammissione di una sottomissione verso il proprio orgoglio talmente influente da preferire i tormenti mentali piuttosto di una più semplice apertura nei suoi riguardi.
Un’onta per la “Forma di vita definitiva”, un’onta inestinguibile per giunta, la morte di Faker avrebbe portato anche l’impossibilità di lavare via la macchia che quell’offesa avrebbe causato, l’avrebbe accompagnato in eterno.
Quindi qual’era l’opzione migliore? Risparmiarlo, rinfoltire la dose di sicurezza di quegli insulsi umani che tanto disprezzava ma che aveva giurato di risparmiare per dar loro modo di maturare e migliorare, subire quell’umiliazione di fronte a loro, il cui giudizio non sarebbe mai stato in grado di scalfire la sua corazza o piuttosto ucciderlo e toglierselo di mezzo per sempre al pesantissimo prezzo dello smacco inguaribile subito dal suo orgoglio con conseguente odio verso se stesso, e dell’opinione che aveva di se gli importava eccome.
Era più facile di quanto non potesse apparentemente sembrare.
 
 
 
Dalla cima di quel grattacielo in rovina si godeva di un’ottima vista del sole che tramontava.
Francamente, non gliene importava nulla.
-Cavolo, certo che tu non ci vai mai per il sottile, mi fa ancora male il collo!- dichiarò Sonic, di fianco a lui, toccandosi lievemente la parte del corpo offesa, ma ancora abbastanza in forze da ricorrere a quel tono ironico che tanto detestava.
-Che diavolo vuoi ancora?-
-Sbaglio o volevi confidarti col tuo caro amicone Sonic?- proseguì, impettito e impuntato nell’utilizzo di quella sfumatura decisamente accentuata d’ironia, il riccio blu.
-Solo perché ho deciso di non porre fine alla tua misera vita non significa che mi sia dichiarato disposto a spiattellare ai quattro venti i fatti miei.-
-Io non sono “Ai quattro venti” però.- e faceva anche lo spiritoso; cazzo, quanto avrebbe voluto sferrargli un calcio e gettarlo di sotto, era una bella altezza ed era praticamente certo l’esito che prevedeva la trasformazione del corpo in poltiglia dopo una caduta del genere, ma la pressione psicologica si faceva ancora sentire e fu l’unica cosa che riuscì a farlo desistere.
Shadow sospirò, volgendo un’occhiata alla volta celeste scomparsa per metà dietro la linea dell’orizzonte, non capiva ancora se fosse annoiato maggiormente per il fatto di essere sul punto di esternare a qualcuno che non fosse lui stesso le oscurità che albergavano nella sua mente o per l’aver dovuto riconoscere (in silenzio, mai l’avrebbe fatto oralmente)che Faker avesse ragione.
-Negli ultimi giorni ho avuto sempre lo stesso sogno.-
-Tu puoi sognare?!- niente ironia, ma sincero stupore.
Sonic, sinceramente, non immaginava che anche la sua “controparte” potesse godere della capacità di mandare il suo inconscio a vivere le sue situazioni più impensabili nel mondo onirico, non che gli fossero capitate situazioni più verosimili nella realtà, comunque.
Sotto certi aspetti ne fu contento e, sotto altri, confuso: poteva sembrare una sciocchezza, ma la capacità di sognare avrebbe dovuto essere un ulteriore fattore di prova di quanto poco artificiale fosse Shadow malgrado le sue scientifiche origini, nonostante ciò lui non aveva esternato nessun segno di apprezzamento per tale “privilegio”.
Dal canto suo, il riccio blu, benché ritenesse importante tale capacità, non aveva, nei confronti del sognare, un elevato interesse. Dei viaggi onirici di cui riusciva a conservare memoria vedeva paesaggi sconfinati e infiniti che ben presto divenivano nient’altro che strisce di colore troppo indefinite per poter essere associate con precisione, incapaci di stargli dietro.
Insomma, sognava di correre, di essere libero, per questo non ci badava molto, per lui corrispondeva a realtà.
Ma poteva chiaramente immaginare che per Shadow fosse un altro paio di maniche, qualcosa di ben più intricato della mancanza di originalità dei propri viaggi mentali, non troppo dissimili dalla verità, nel caso dell’Ultimate Life Form era decisamente più complesso lasciarsi andare al formulare ipotesi accettabili, troppe varianti e troppi tormenti interiori a sconvolgere l’equazione in ogni possibile momento.
Comprendere cosa passasse per la testa di Shadow era troppo difficile anche lui, Sonic dovette abbassarsi a riconoscere la propria incapacità, non era mica onnisciente, no?
Il riccio nero si limitò a squadrarlo, Sonic poté giurare di averlo visto sorridere impercettibilmente e per un lasso di tempo incronometrabile (e se lo diceva lui), dubitava fosse per serenità, non era proprio il caso, piuttosto per la soddisfazione personale di averlo colto sul fatto, nel pieno della sua impotenza, nel non essere stato in grado di scorgere quella parte del suo animo che voleva tenere nascosta a tutti, anche se non ne comprendeva le ragioni, a confidarsi subito sarebbe stato tutto più facile.
Shadow era decisamente più orgoglioso di lui e in una maniera del tutto particolare.
Sonic preferì non iniziare un’ulteriore discussione, sarebbe andata completamente fuori tema e aveva il serio presentimento che si sarebbe trattato di qualcosa di complesso che lo avrebbe ridotto col cervello fuso e totalmente perso dal contesto.
-Va bene, di che si tratta?- chiese dunque, meglio non discostarsi dal tema principale, aveva faticato parecchio per guadagnarsi quello che si poteva ritenere un ambito trofeo (quanti potevano vantarsi di aver convinto Shadow the Hedgehog a rivelare un suo tormento?), aveva tutta l’intenzione di goderselo; probabilmente si sarebbe perso a metà discorso, ma viste le circostanze, avrebbe decisamente fatto un maggiore sforzo per non deconcentrarsi e recepire ogni singolo termine che a breve sarebbe uscito fuori dalle labbra del suo interlocutore.
-Mi trovo tra le strade di Westopolis, è tutto in rovina, il cielo è colorato di rosso scarlatto misto a nuvoloni neri. Non c’è anima viva in giro. Proseguo per le strade, senza una metà effettiva credo. Non corro mai, mi limito a proseguire a passo lento, ogni volta è così, forse inconsciamente, con l’inconsapevole ipotesi di notare dettagli sfuggitimi nei sogni precedenti e comprendere la situazione generale, ritengo sia più idoneo che correre, vedrei tutto come una massa indistinta e non capirei niente. Giungo al limitare della città… e lì…-
Il riccio blu aggrottò le sopracciglia.
-Trovo i vostri cadaveri: il tuo, i tuoi amici, tutti sbrindellati e in un mare di sangue.-
-Certo che hai il gusto del macabro, te l’hanno mai detto?- ribatté Sonic con immediatezza e con cupa ironia, anche se era ben consapevole che tale ammissione da parte di Shadow non consentisse spazio ad essa.
Lo sguardo del riccio nero era indecifrabile, non aveva idea di come reagire se non con l’ironia che quest’ultimo pretendeva di non includere in quel loro discorso.
Come giudicare le parole che la sua controparte aveva appena dichiarato se il suo fisico non lasciava intravedere indizi: tono di voce atono, occhi fissi verso un punto che non esisteva se non nella sua mente, dai quali non traspariva niente, nessun gesto traditore da parte delle mani (ci aveva gettato una rapida occhiata, nella speranza di vederle magari stringersi in segno di rabbia o nervosismo, ma nulla); come interpretare le sue parole?
In quel momento Sonic si rese conto di una verità, slegata dal contesto, ma che forse non lo era poi così tanto: i misteri che attorniavano la figura di Shadow the Hedgehog erano molti, tanti, troppi, forse infiniti come i limiti che sembrava non avere!
Poteva anche sapere che mal sopportava la sua vicinanza per una questione di orgoglio, che non fosse poi così cupo come cercava di apparire, che avesse un animo nobile disposto a immolarsi per coloro che fossero riusciti nella quasi impossibile impresa di conquistare il suo affetto, ma malgrado questo ci sarebbero state sempre, e urgeva sottolineare il “sempre”, sfumature del suo animo che sarebbero rimaste precluse, sia a lui che a chiunque altro.
Era irrilevante quanto si sarebbe potuto carpire della sua persona e del suo carattere, vi sarebbero sempre stati aspetti e lati di Shadow destinati a rimanere nell’ombra, quella stessa ombra che, attratta da quel personaggio così misterioso e affascinante, aveva deciso di legarsi a lui divenendo il suo nome, per chiarire definitivamente che nessuno avrebbe mai potuto realizzare chi “Lui” fosse davvero.
-Ti sei voluto impicciare?! Ora vai fino in fondo!- sbottò leggermente Shadow.
-Non ho detto di volermene lavar le mani, ormai ci son dentro e non intendo uscirne.- e figurarsi se fosse stato il contrario, si trattava pur sempre di Sonic.
Aveva dei limiti, il riccio blu, e sinceramente quest’ultimo avrebbe dichiarato di adorare tale situazione. D’altronde, che gusto c’è a vivere una vita senza ostacoli da superare, senza possibilità di migliorarsi costantemente? Sarebbe sicuramente stata noiosa, non avrebbe fatto per lui un’esistenza così piatta.
E Shadow, in quel frangente, gli aveva piazzato davanti un muro decisamente allettante per non voler provare a superarlo.
-E poi? Succede altro?-
-Comincio a sentire dei suoi, ruggiti, o comunque versi decisamente poco amichevoli. Tre occhi rossi che si aprono, brillando sinistramente, tra le nubi scure, una figura che comincia a delinearsi, ogni volta mi risveglio in quel punto. Non riesco mai a notarne i contorni.-
“Capperi!” pensò Sonic. Decisamente non era un sogno dei più allegri, di certo non era uno che sarebbe mai stato partorito dalla sua di mente.
Ma Shadow era un essere complesso. Il suo poteva essere un semplice incubo passeggero quanto una sorta di messaggio criptato del suo subconscio per comunicargli chissà quale importante verità.
-Però, insomma, possiamo ben immaginare chi sia colui che cominci a notare tra le nubi. Sinceramente, a parte lui, non conosciamo altre “persone” con tre occhi.-
Che grande scoperta!
Sicuro che l’avesse detto con le migliori intenzioni, ma Faker aveva appena sentenziato un’ovvietà talmente grande da poter essere posta sul medesimo piano di “I pesci vivono in acqua.” o “Il fuoco brucia.”
Shadow si limitò a socchiudere gli occhi, l’altro avrebbe inteso, o almeno ci sperava.
Sonic lo fissò per un attimo e scrollò le spalle.
-Recepito, a questo ci eri arrivato già da solo.- e meno male.
Il difficile si palesava in quel momento.
Il riccio blu, con aria del tutto casuale, calciò un sassolino lì vicino e lo gettò di sotto, osservò la sua caduta in costante accelerazione, ad un certo punto divenne un punto talmente minuscolo da non essere più in grado di identificarlo rispetto al resto del territorio circostante, ma era ovvio che fosse finito con lo sfracellarsi sul terreno.
Fortuna che quella zona fosse stata evacuata e ancora tenuta off-limits per via delle riparazioni, si sarebbe decisamente sentito in colpa se avesse scoperto di aver centrato in pieno la testa di un ignaro passante.
Anche una pietruzza di minuscole dimensione, considerata la velocità fornitale da tale altezza, poteva rivelarsi fatale.
Gli era nato di colpo quel presentimento.
-Il tuo sogno è come quel sasso!- dichiarò all’improvviso, sentendosi soddisfatto di se stesso nel notare Shadow alzare un sopracciglio in segno di perplessità, stavolta era stato lui a non essere riuscito a vedere una sfumatura del suo animo.
Forse avrebbe dovuto dimostrarsi offeso; tutti non facevano che giudicarlo secondo lo stereotipo dell’eroe senza macchia e senza paura, qualcuno che si faceva in quattro per aiutare gli altri ma il cui intervento aveva una concezione prettamente fisica.
Erano in pochi a pensare che, malgrado l’impulsività, fosse perfettamente capace anche lui di parlare attraverso enigmi o formulare pensieri vagamente filosofeggianti, certamente non era un genio del calibro di Tails, ma ciò non escludeva che, a sprazzi, fosse capace anche lui di rivestire la parte del saggio che sa dispensare i giusti suggerimenti.
-Mi spiego: un sassolino di per sé non può certo farti male, tutto dipende dalla velocità che esso guadagna. Se viene lanciato può darti un po’ di fastidio se ti colpisce e nulla di più, ma se viene fatto cadere giù da un grattacielo un eventuale impatto porterebbe a ben altro risultato.-
-Dunque?-
-Dunque il sasso preso come quello che è non costituisce una minaccia, sono le condizioni in cui lo si pone a determinarne la pericolosità. Analogamente per il tuo incubo, anche se ti dico subito che si tratta della mia opinione: di per sé esso non ha alcuna importanza, tutto dipende esclusivamente dal valore che tu gli attribuisci. Può darsi dunque che tu stia costruendo castelli in aria per niente.-
Come aveva già pensato, Shadow era complesso di mentalità, motivo per cui riteneva decisamente probabile che non avesse preso in considerazione tale eventualità, non riusciva a concepire che qualcosa si potesse risolvere mediante la soluzione più semplice.
Il riccio nero fissò per alcuni istanti la sua controparte, quest’ultimo non avrebbe saputo dire se stava seriamente riflettendo su quanto gli aveva appena espresso o se stesso piuttosto decidendo se mandarlo a quel paese nella maniera più educata o con quella più volgare.
Shadow diede le spalle a lui e al tramonto, riflessi dorati creavano uno spettacolare gioco di luci con i suoi aculei, in particolare con le striature rosse creando un connubio rosso/arancione decisamente gradevole alla vista, Sonic osservò quei giochi di luce con sincero interesse.
-Non sei stupido come sembri!- si pronunziò poi, all’improvviso.
E altrettanto improvviso fu il pugno che rifilò allo stomaco del riccio blu, mettendolo in ginocchio e costringendolo a tenersi la pancia tra le braccia, respirando pesantemente.
-Questo per cos’era?- riuscì a mormorare, tra un ansimo e l’altro.
-Come ho già detto, non sei stupido come sembri!-
Shadow non disse più niente, Sonic lo vide solo dargli nuovamente le spalle e allontanarsi muovendosi a grandi balzi tra gli edifici.
Il blu ci mise ancora alcuni secondi a riprendersi, si massaggiò ancora un po’ il punto offeso prima di rialzarsi e lanciare un lungo sguardo verso la direzione per cui la sua controparte si era dileguata, ormai la sua figura non si poteva più intravedere.
Ghignò con la sua classica arroganza, era riuscito a togliersi un’altra bella soddisfazione.
-Prego.-
Ma Shadow doveva decisamente lavorare sulla sua formalità, e miseriaccia, lo stava pensando lui.
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autore:
Se qualcuno verrà a dirmi che questa sezione ha sentito la mia mancanza potrei anche commuovermi.
Tralasciando gli scleri derivanti dalla scarna considerazione che ho della mia persona in certi casi e di quelli schifosamente autocelebrativi che ho in altri, posso dire che è un piacere tornare qui tra voi, membri del fandom “Sonic” dopo alcuni mesi. E quale modo migliore di farlo se non con una storia dedicata al personaggio più controverso e folle, nonché idolo di una “certa autrice” che lo stima e adora in una maniera decisamente superiore alla mia, alias Shadow?
Confesso che già da parecchio quest’idea mi ronzava per la testa e ultimamente ho deciso di mettere le mani sulla tastiera e buttare giù le parole… che si son rivelate più del previsto, dal momento che pensavo che sarebbe venuta fuori una one-shot di non troppe parole, invece mi sono accorto che sarebbe potuto uscire un mattone pesante da leggere, motivo che mi ha indotto a fermarmi a questo punto.
Insomma, doveva essere una storiella introspettiva di breve durata, ho finito per doverla dividere, quindi aspettatevi il secondo capitolo, per il quale non faccio promesse.
Ogni impressione lasciatavi da questo capitolo verrà da me piacevolmente ascoltata nei commenti e degnata di una risposta, qualora abbiate voglia e tempo di commentare.
Arrivederci a tutti.


 

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Capitolo 2
*** Specchi rotti, sfumature d'anima. ***


 
“Le tue speranze sono diventate il mio fardello. Troverò la mia liberazione…”
 
(RWBY – Black Trailer)
 
 
 
 
 
Al sentire la dicitura “Ultimate Life Form” verrebbe da pensare ad un essere incredibile, perfetto, dotato di poteri straordinari, capace di comprendere ciò che i comuni mortali non avrebbero mai modo di trascendere, superare i limiti e raggiungere la tanto agognata perfezione.
-Io sono Shadow the Hedgehog, io sono l’Ultimate Life Form!- sentiva di ribadirlo troppo spesso e con demerito.
Mai come in quegli ultimi tempi gli era parso di fregiarsi di un titolo di cui non era degno neanche lontanamente.
Tante convinzioni erano morte dinanzi ai suoi occhi, tante certezze si erano rivelate errate, tanti eventi verificatisi nel corso del tempo avevano portato la sua mente a riconsiderare e rivedere molti aspetti della sua vita.
Che Maria si fosse sbagliata?
Secondo alcune credenze umane (loro le chiamavano “religioni”, lui le riteneva, piuttosto, stronzate per tenere a bada gli idioti e distrarli da concetti ben più concreti e importanti) le persone che in vita erano state fautrici di nobili gesti degni di essere considerati “alti e puri” ricevevano “il grande onore” di ascendere in “Paradiso” con la propria anima e raggiungere così quelle delle altre persone buone decedute nei tempi trascorsi.
Sinceramente non ci credeva… per varie ragioni: chi aveva stabilito quali tipologie di azioni dovessero essere catalogate sotto l’aggettivo “buone” e quali sotto “cattive”? Se questo fantomatico “Dio” che tanti umani veneravano con tale assiduità esisteva davvero perché allora non si prodigava ad insegnare ai suoi “figli” che nella vita ci sono momenti in cui non ci si può rimettere al giudizio degli altri e pensare che andrà tutto bene senza conseguenze?
No, per lui era troppo assurdo, pieno di contraddizioni.
Avrebbe potuto anche sbagliarsi, d’altronde aveva già fatto sua la consapevolezza di non essere poi così “Ultimate” come si illudeva di apparire, ma non intendeva cambiare nuovamente la sua linea di pensiero, non su quell’argomento.
Si era sempre convinto che lo spirito di Maria (ambito religioso, sua ferrea convinzione o semplice pazzia che fosse)continuasse a vegliare sulla sua persona, uno “scudo mistico” eretto dalla forza del legame che li univa, al fine di preservare la sua integrità e permettergli di andare avanti, in memoria di quella promessa vecchia di anni ma che continuava ad ardere indomita nel suo cuore e nella sua mente.
Ma aveva cominciato ad interrogarsi se la fiducia di lei fosse stata davvero ben riposta, se davvero lui fosse stato in grado di adempiere al ruolo per cui era nato e per cui aveva scelto di votarsi.
Ed era colpa di Sonic, nuovamente, se si ritrovava in quello stato mentale precario… oltre a tutti i numerosi problemi che già lo affliggevano.
Sdraiato nel letto del suo appartamento, Shadow si stava ritrovando a maledire, non certo per la prima volta, la sua controparte.
Una volta rientrato aveva sbattuto istantaneamente la porta e si era lasciato cadere sul suo traballante giaciglio senza nemmeno aprire le imposte; doveva esserci solo lui in quella stanza, fintanto che il suo cervello non si fosse scrollato di dosso qualche interrogativo scomodo, nessuno doveva entrare, neanche i raggi lunari del satellite ormai ben visibile in cielo, neanche loro avevano il consenso di disturbare quella quiete che di tranquillo non aveva nulla.
-Maledetto faker, maledetto faker, maledetto faker…- sarebbe potuto andare avanti con quei lenti sussurri anche in eterno, scaricare sul riccio blu colpe che non era ben chiaro se le avesse davvero aveva il sorprendente effetto di alleviare parzialmente i suoi nervi… e poi stirarli ancor più di prima per via della consapevolezza che fosse una falsità.
Era masochismo il suo, molto probabile, ma non poteva fare a meno di proseguire nell’atto di scagliare anatemi all’indirizzo di quell’idiota amante delle corse che si illudeva stupidamente che bastasse un sorriso per andare oltre ogni ostacolo.
La logica ci moriva sotto i piedi di Sonic the Hedgehog, nel suo caso invece riusciva a salvarsi… perché non aveva mai avuto il dispiacere di conoscerlo, a conti fatti era un bell’esempio di ipocrita.
Ma era comunque colpa di faker, sua era la responsabilità del crollo di molte sue certezza, sua era la colpa se stava cominciando a dubitare di se stesso e di Maria.
Aveva sempre conferito a Sonic the Hedgehog la figura dello stupido arrogante, uno sciocco incapace di riflettere che si gettava a capofitto in ogni situazione possibile per pura e semplice voglia di pavoneggiarsi… e invece aveva scoperto, giusto poche ore prima, di sbagliarsi.
Il Sonic vanesio e privo di pensieri che escludessero il suo auto elogio era una montatura messa su dal riccio stesso, una farsa per dare il famigerato contentino a tutti coloro che non avevano mai visto sotto quello strato superficiale che celava la sua vera essenza; quegli stessi umani che Shadow sentiva di disprezzare ancora Sonic li aveva furbescamente messi in una posizione ambigua: li proteggeva, questo era vero, mai si sarebbe permesso di calpestare il diritto alla vita di qualcun altro, ma per lui restavano comunque dei perfetti estranei di cui non avrebbe mai tenuto in alta considerazione l’opinione, per il puro e semplice fatto che non erano persone significative nella sua vita. Loro non avrebbero mai visto il vero Sonic the Hedgehog ma soltanto quella scorza esterna che non rivelava niente di un “Dio” che loro avevano arrogantemente dichiarato come tale.
Una montagna non avrebbe mai potuto fermare il soffio del vento, analogamente il porcospino blu non si sarebbe mai fatto bloccare dai giudizi di chi era troppo ignorante sulla sua persona, li avrebbe scavalcati e avrebbe continuato ad essere sempre Sonic, quello vero, che pochi conoscevano.
E Shadow si era reso conto di essere stato, fino a poco prima, escluso da quei “Pochi”.
E sentiva di essere profondamente arrabbiato con se stesso per il prematuro giudizio che aveva dato per ovvio su quel riccio così simile eppure così diverso da lui.
Per questo percepiva quel forte risentimento, aveva sbagliato nelle sue considerazioni, malgrado fosse convinto di non essere nel torto, quindi non erano da escludere minimamente le possibilità che prevedevano un suo tremendo errore nel conferire l’aggettivo “Sicuro” alla sua idea che Maria non avesse sbagliato sotto nessun punto di vista nell’affidarsi a lui, nel chiedergli di mantenere la loro promessa.
E se non fosse stato in grado di mantenerla? Maria era stata e sarebbe sempre rimasta la sua ancora di salvezza in quel mondo corrotto che continuamente e insistentemente martellava la sua mente, insinuando in essa il pensiero “Sterminali tutti, non meritano di vivere!”
Ma se avesse preso un abbaglio e lui avesse ceduto a quell’oscurità che mai lo aveva realmente abbandonato allora ne avrebbe ricavato la definitiva conferma: Maria era nel torto e, dopo il trapasso, di lei non era rimasto più niente.
E Shadow sapeva che, in quel caso, ne sarebbe morto… e non avrebbe mai potuto accettarlo.
Ironico, in certi momenti aveva sinceramente bramato la fine della propria esistenza, ma gli era sempre apparsa come un traguardo irraggiungibile, l’immortalità era la peggior maledizione che potesse esistere, e pensare che c’era chi invece la desiderava ardentemente, qualche povero idiota troppo abbagliato dai suoi sogni egoistici da non comprendere l’effettivo “peso” di una condizione simile.
In certi momenti aveva sinceramente sperato di morire… ma non in quel modo. Non intendeva lasciare quel mondo con l’atroce convinzione che Maria valesse meno di quanto avesse sempre pensato, che avesse passato tutto quel tempo ad alimentare il falso mito di uno spirito protettore che fungesse da freno alle sue inibizioni più oscure.
No, Maria non poteva essere solo questo, non poteva essere solo il frutto delle sue fantasie meno apocalittiche, un concetto astratto che si era auto propinato per illudersi che anche uno come lui potesse agire in nome del “Giusto”.
-MI RIFIUTO DI CREDERLO!- urlò, in un improvviso scatto di rabbia; altrettanto in fretta balzò giù dal letto e corse in bagno dove, non sapendo nemmeno quale motivazione lo spingesse, tirò un pugno allo specchio, forte abbastanza da infrangerlo in centinaia di minuscole schegge che gli penetrarono attraverso il guanto e giunsero fin nella mano; altre fecero un’indegna caduta dentro il lavandino.
Furono però i successivi protagonisti delle attenzioni del riccio.
Non badava al sangue che l’arto ferito cominciò a perdere, colorando il suo guanto di un rosso scarlatto che tanto si abbinava alle sue screziature, non sentiva nessun dolore fisico, la sua testa che minacciava d’esplodere superava di gran lunga tutto quanto.
Fissava quei pezzetti di vetro con sguardo assente: erano tanti, sparsi senza ordine, alcuni più grandi d’altri, altri ovviamente più piccoli, riflettevano la sua immagine ciascuno con prospettiva diversa, ma nessuno di loro forniva un riflesso chiaro e conciso.
Somigliavano così tanto alla sua anima.
-Chi sono io? Perché sono qui?-
E non sarebbe bastato il ricordo di Maria, della cui esistenza cominciava perfino a dubitare, a confortarlo, non stavolta.
Era stato messo tutto in discussione, non vi erano più certezze, solo un patetico essere pieno di dubbi; si odiava in quel momento, come mai prima d’ora.
Troppo era successo, perfino per lui, troppe pressioni e troppi misteri tutti in una volta, nessuna verità, si sentiva schiacciato; crollò in ginocchio.
E in quel momento Shadow the Hedgehog dov’era? Dov’era la tanto decantata Ultimate Life Form? Di certo non poteva essere lì, non quel patetico ammasso di membra morte nell’anima che giaceva in pezzi tra le schegge dei suoi ricordi sparpagliati alla rinfusa.
Si rimise in piedi con fatica, barcollò fino al letto, ci sprofondò malamente senza probabilmente nemmeno accorgersene, non era li, la sua mente.
-Dunque il sasso preso come quello che è non costituisce una minaccia, sono le condizioni in cui lo si pone a determinarne la pericolosità. Analogamente per il tuo incubo, anche se ti dico subito che si tratta della mia opinione: di per sé esso non ha alcuna importanza, tutto dipende esclusivamente dal valore che tu gli attribuisci. Può darsi dunque che tu stia costruendo castelli in aria per niente.- un flashback improvviso, la figura di un riccio sorridente che gli rivolgeva uno sguardo carico di fiducia.
“Dannato faker!” l’ultimo pensiero cosciente prima dell’oblio.
Gli occhi, un rosso spento e senza vita, si chiusero lentamente. Nessuno avrebbe saputo dire se si sarebbero aperti nuovamente.
 
 
 
Una Westopolis distrutta e corpi di umani anonimi sparsi ovunque in orripilanti pozze di sangue.
Beh, non c’era nessuna novità in quella visione, ormai era divenuta una tale costante da causargli soltanto noia.
Un presagio per il futuro? Sintomo di eccessivo stress? La sua pazzia stava degenerando ulteriormente? Per quanto ne sapeva, poteva essere un miscuglio di tutte e tre le opzioni.
Aveva perso interesse ormai, per quei sogni, per il suo destino, per tutto, tanto valeva ripercorrere quelle strade ancora una volta e finirla definitivamente, forse sarebbe stata la volta buona che ci avrebbe finalmente capito qualcosa.
Paradossale, considerando che non provava più il bisogno di scoprire cosa celassero quelle visioni oniriche.
Mentre camminava tra resti di edifici e corpi smembrati, Shadow si chiese se qualcosa sarebbe mai cambiato; insomma, era entrato in quella che si sarebbe potuta definire una “crisi mistica”, era divenuto l’ombra di se stesso (che crudele ironia), le sue certezze erano ridotte in frantumi, quindi perché insistere, perché non lasciarsi precipitare in quel limbo di oscurità eterna e lasciare che quel poco che era rimasto integro della sua essenza venisse consumato a sua volta?
Perché, malgrado tutto, l’istinto di sopravvivenza è insito in tutti gli esseri viventi, Shadow the Hedgehog non faceva eccezione.
Maria, sempre ammesso che di lei fosse mai rimasto qualcosa, probabilmente lo avrebbe assecondato in quel suo bisogno di risposte.
Chissà come l’avrebbe guardato se fosse stata presente al momento del suo crollo emotivo antecedente al suo ritorno in quel mondo onirico, di certo non sarebbe stata felice.
Era prossimo al limitare della città, ed eccoli lì, come ogni altra volta: Sonic, Tails e tutti gli altri, almeno era ciò che si riusciva a intendere dai resti, sparsi praticamente dappertutto.
Decisamente sadico da parte sua, ma le prime volte, dinanzi al cadavere del riccio blu, aveva provato una soddisfazione che un qualunque umano moralista avrebbe definito disturbante, aveva addirittura pensato che fosse una proiezione di qualche desiderio recondito della sua mente che, in virtù del suo cambiamento di approccio nei confronti degli uomini, sarebbe rimasta sempre tale… forse.
Un conto era mantenere la promessa fatta a Maria, un altro era togliersi lo sfizio, decisamente allettante, di ritrovarsi Sonic the Hedgehog tra le mani e distruggerlo pezzo per pezzo.
Ma ciò che avveniva in seguito gli aveva fatto capire, sin dalla prima volta, che non si trattava affatto della visione di qualche suo desiderio interiore, ma qualcosa di molto più complesso, che ancora non sapeva definire.
-Eccolo lì!- mormorò a bassa voce con disgusto, osservando la figura imponente profilarsi tra i nuvoloni neri, si potevano già notare il possente paio di corna e il trio scarlatto d’occhi che lo puntava allo stesso modo di un predatore con la preda.
Se voleva intimidirlo era tempo perso, a che scopo quindi giocargli quel tiro mentale? Il suo cervello doveva essere decisamente andato in tilt.
E nel mentre la figura cominciò a discendere; si sarebbe nuovamente svegliato all’improvviso in una pozza di sudore, o stavolta avrebbe avuto la soddisfazione, che in realtà non sarebbe stata poi così gratificante, di trovarselo davanti e scoprire quale misteriosa allusione simboleggiasse la sua presenza?
Quando la figura ultimò la sua lenta discesa il riccio comprese che qualcosa sarebbe andato diversamente, chissà perché proprio quella volta, c’era un particolare motivo o era semplicemente un caso?
No, non riusciva a concepire l’idea della casualità, non era una coincidenza che il sogno fosse progredito proprio in quella situazione di precarietà mentale che lo coinvolgeva.
-È un bello spettacolo, non trovi?- Black Doom allargò le braccia, un gesto plateale per sottolineare quella che, dal suo punto di vista (o che la mente di Shadow reputava tale, quanto meno), aveva le caratteristiche di una visione magnifica.
Un concerto fatto dal silenzio conseguente ad un massacro, quel tipo di silenzio opprimente che ti penetra fin nelle più remote profondità dell’animo e ti avvolge nel suo oscuro manto, bloccandoti; per lui, quella era “musica” per le sue orecchie.
-Come se te ne fosse mai importato della mia opinione.-
L’insensatezza di rispondere, l’inutilità di un discorso che non stava coinvolgendo nessun altro all’infuori di se stesso, eppure decise di non soffocarlo sul nascere, di inoltrarcisi e scoprire cosa avrebbe portato quell’indesiderato confronto con “suo padre”.
-Indipendentemente da questo fattore, non puoi negare di provare piacere per ciò che vedi.-
Ed era fottutamente vero; una parte di lui trovava decisamente piacevole quella visuale, una brama di distruzione e morte non del tutto sopita, uscita allo scoperto per rammentargli della sua presenza nel suo animo, per questo si era mostrata sotto le forme di chi, più di tutti, poteva associare a quei nefasti paesaggi.
-A che scopo sopperire chi sei davvero? Tu vuoi questo, hai sempre voluto questo!-
-TI SBAGLI!- urlò Shadow, decisamente troppa enfasi nella sua voce, sicuramente eccessiva per qualcuno conscio del fatto di aver intrapreso una discussione mentale con se stesso, che sapeva già le risposte a tutte le eventuali, perché erano quesiti puramente formali, concetti di cui era già consapevole.
E allora perché reagire con tale veemenza?
-Mi sbaglio? O stai semplicemente provando a illuderti che la realtà dei fatti sia diversa da come si presenta?-
Assurdo, non sembrava di parlare con prodotto della sua immaginazione, ma con Black Doom stesso.
Quell’arroganza, quel triplo sguardo di superiorità di chi non teneva in considerazione niente e nessuno eccetto se stesso sembravano appartenere all’originale, era uscito fuori dal risultato dei suoi tormenti interiori eppure pareva reale, come se parte del suo spirito fosse sempre stata dentro la sua mente, pronta ad emergere quando l’avrebbe reputato necessario.
-Io sono cambiato. Il vecchio me voleva questo, prima di riuscire a fare chiarezza tra i suoi pensieri, prima di capire cosa volesse davvero!-
-Ancora quella stupida promessa?- la massiccia dose di sarcasmo del suo interlocutore gli causò i brividi, seppur esternamente fosse impassibile e truce come al solito i dilemmi interiori lo stavano dilaniando.
Forse stupida lo era davvero, era necessario tormentarsi tanto per un morto?
Un guizzo durato un istante, quel breve momento di indecisione trasparì dagli occhi di Shadow e bastò a scatenare i successivi eventi: Doom gli si gettò addosso e lo colpì con un poderoso pugno che lo incastrò al suolo.
-Il tuo destino era ben altro, Shadow. Avresti potuto avere il Potere, che occasione sprecata!- dichiarò con disgusto l’alieno, fissando con rabbia repressa la figura immobile nel piccolo cratere venutosi a creare.
Shadow non reagiva, non ne sentiva il bisogno, dopo tutto nulla aveva più senso, tanto valeva permettere alla parte più oscura di lui di opprimerlo a morte e porre fine alla sua esistenza.
Un altro pugno lo portò a stringere i denti, ma nulla di più.
-Guardati, non c’è più alcuna traccia della tua fierezza. Che delusione!- e un altro pugno lo colpì.
Distrutto, nel corpo, nello spirito, il riccio nero attendeva lo scoccare della sua ora. Per lo meno, se concetti come Paradiso e Inferno si fossero rivelati veri, forse avrebbe avuto modo di chiedere scusa a Maria prima di venir gettato tra le Fiamme della Dannazione.
Un altro pugno ancora, gli occhi di Doom si assottigliarono, trasmettevano arroganza e ribrezzo, per quel verme che non aveva neanche la forza di strisciare e aspettava di venir definitivamente schiacciato.
-E come siamo arrivati a tutto ciò? Semplicemente perché una stupida ragazzina ti ha messo di fronte ad una scelta… e tu hai optato per l’opzione sbagliata perché le volevi bene!-
Nessuno poté vedere cosa accadde nella mente di Shadow quella notte, ma anche se fosse avvenuto non avrebbe comunque saputo dire se i successivi eventi fossero stati scatenati dalle parole udite dal riccio o se, malgrado tutto, questi avesse riflettuto e analizzato i suoi trascorsi da una prospettiva più rinnovata, ripensando, nel mentre che i ricordi attraversavano la sua vista come una vecchia pellicola, alle parole pronunciate da un certo riccio blu.
Avrebbero semplicemente visto questi alzare un braccio e parare l’ennesimo pugno prossimo ad abbattersi sul suo corpo, per poi stringerne la carne con una forza tale da farla sanguinare di un disgustoso liquido verdognolo.
“…sono le condizioni in cui lo si pone a determinarne la pericolosità.”
Shadow si rialzò, senza mai mollare la presa, serrandola ancor di più, ignorando lo sguardo del “padre”, ora colmo di quella che poteva definirsi paura.
-Esatto… perché le voglio bene!- si trattava di quello, si era sempre trattato di quello.
Strinse la sua morsa e poi afferrò il braccio dell’alieno con entrambe le mani per sbatterlo a terra con inaudita violenza.
Gli occhi di Doom si riaprirono in tempo solo per vedere una palla di spine nere e rosse piombare a tutta forza sul suo stomaco e strappargli un verso di dolore e frustrazione.
Troneggiando adesso su di lui, Shadow lo fissò con uno sguardo così tagliente che sembrava potesse tranciarlo in più parti.
“Analogamente per il tuo incubo… tutto dipende esclusivamente dal valore che tu gli attribuisci!”
-Tutto questo, questa distruzione, questa desolazione, non hanno importanza. Ho lasciato che la tua entrata nella mia vita mi condizionasse, che facesse riemergere quell’oscurità che ho rinnegato, quello che tu volevi, farmi dubitare delle mie condizioni. Ma, a conti fatti, io so cosa voglio!-
Lo doveva riconoscere, era stato stupido.
Maria gli aveva permesso di scegliere, non per assegnargli un compito, semplicemente perché si fidava di lui. Aveva commesso l’errore di innalzare emotivamente la sua figura, finendo per farsi influenzare dalla visione che si era creato e da quegli oscuri incubi che lo avevano tormentato.
Malgrado tutto, era molto più semplice: Maria non lo aveva mai considerato come un protettore degli oppressi o un eroe, aveva stretto quella promessa con lui perché non avrebbe mai affidato a nessun altro la forza del loro legame.
Religione o convinzione era irrilevante, lei era esistita e fintanto che avesse conservato il suo ricordo, e avrebbe lottato per la loro promessa, avrebbe continuato a vivere in lui.
Aveva potuto scegliere, e aveva scelto di non rinnegare la loro amicizia, di seguirla fino in fondo.
Non c’era nulla di cui dubitare, nulla di cui pentirsi.
Aprì la mano destra e la puntò alla testa dell’alieno, una sfera d’energia crepitante era pronta sul palmo.
-Che tu sia davvero un rimasuglio dell’anima di Doom, o più semplicemente uno scherzo della mia mente non ha importanza, non hai rilevanza nella mia vita, non più.-
-Maledetto…- la frase non venne finita, un lampo di luce venne scagliato e un’esplosione inghiottì tutto il luogo.
Shadow lasciò che la luce lo avvolgesse, era il momento di svegliarsi.
 
 
 
Due occhi rossi si aprirono di scatto, il loro proprietario attese qualche secondo per rialzarsi, ancora intontito per l’improvviso, eppur non brusco, risveglio.
Si portò una mano alla tempia, aspettandosi di sentirla pulsare fastidiosamente come accadeva da ormai troppe mattine, invece non sentì nulla, piacevolmente strano.
Si girò sulla schiena per poi mettersi a sedere, con studiata lentezza, come se avesse nutrito il dubbio che, senza preavviso, il familiare spettacolo della sua stanza buia si infrangesse in migliaia di pezzi per rigettarlo in quell’abisso caotico e tetro da cui era appena uscito.
Assicuratosi che, effettivamente, si fosse risvegliato da un altro dei suoi tormentati viaggi onirici, riuscì a rimettersi i piedi e dirigersi verso le imposte per aprirle e lasciare che i raggi del sole, una volta fatto poté constatare che stava albeggiando, andassero a posarsi sulle sue membra, con un effetto sorprendentemente rilassante.
Qualcosa era accaduto quella notte, non riusciva a focalizzarlo con esattezza, vedeva solo spezzoni istantanei che sparivano e apparivano a sprazzi, eppure non sentì il bisogno di maledirli.
Ironico, si ritrovò distrattamente a pensare, che l’unico sogno di quei tempi di cui non conservasse esatta memoria fosse anche l’unico a non aver avuto su di lui un effetto deleterio, quanto piuttosto il contrario.
Osservò per un po’ la sfera luminosa che compiva il suo percorso di ascesi nel cielo, non seppe dire da cosa derivasse quell’improvviso interesse, come se poterla rimirare tutto ad un tratto fosse divenuto un privilegio che aveva rischiato di non possedere più.
Si sentiva rinvigorito, meglio in un certo senso, come se lo stress dei giorni passati fosse svanito in un’ipotetica nube di polvere trasportata via dal vento.
Non seppe perché, ma si ritrovò a sorridere; un sorriso lieve, semplice, eppure se qualcuno avesse potuto vederlo lo avrebbe descritto come radioso e sereno.
Ricordava cos’era accaduto il giorno prima e, anche se difficile da ammettere, quella discussione con Sonic si era rivelata proficua, probabilmente lo avrebbe “ringraziato” nuovamente la prossima volta che l’avrebbe incontrato.
-Ma c’è una cosa che devo fare prima!- dichiarò fermamente, un ordine chiaro, rivolto a se stesso.
Armatosi di un tubetto di colla entrò in bagno, accese la luce e posò lo sguardo sui frammenti sparsi nel lavandino.
Era stato decisamente impulsivo, ma le ferite sulla mano si erano già rimarginate, i vantaggi di una rigenerazione rapida, ma c’era un animo ferito di cui rimettere insieme i cocci.
Decisamente rivedeva se stesso in quello specchio infranto, eppure, in quel frangente, stava riuscendo ad analizzarlo sotto una prospettiva nuova, meno autodistruttiva; già, qualunque cosa fosse accaduta quella notte, lo aveva aiutato a riflettere e rivalutare molte questioni.
Osservò la sua immagine e non poté a fare a meno di pensare che ogni riflesso, per quanto distorto, non fosse una versione diversa di lui, quanto piuttosto un rappresentante di una diversa sfaccettatura del suo essere.
Era sempre lui, in ogni suo aspetto, diversi l’uno dall’altro, ma che insieme creavano Shadow the Hedgehog, doveva solo imparare ad accettarli, a conviverci e valorizzarli.
Maria, dopo tutto, non aveva fatto si che giurasse perché lui era “L’Ultimate Life Form”, ma perché erano amici.
Era stata capace di comprenderlo e accettarlo, era dunque il caso che anche lui imparasse a rispettarsi per com’era.
Prese un frammento e, con un po’ di colla sui bordi scheggiati, lo collegò al pezzo corrispondente.
Ci sarebbe voluto del tempo, non sarebbe stato facile e gli ostacoli non sarebbero mancati, ma avrebbe rimesso insieme i suoi pezzi, compreso tutte le sfumature che lo caratterizzavano e lottato per quello in cui lui credeva.
Quando l’insieme si sarebbe ricongiunto, finalmente avrebbe visto Shadow the Hedgehog nella sua interezza.
-Ora so perché sono qui! Ho fatto una promessa e sono qui per mantenerla!-
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autore:
Credetemi, è stato quasi come un parto… quasi, ma c’è l’ho fatta, ho completato questa mini-long di due capitoli dedicata a Shadow.
Non vi dico quanto tempo ho sprecato, certe volte, per trovare le parole giuste per spiegare ciò che volevo trasmettere, tanto è vero che ancora adesso nutro dei dubbi per certe parti che forse avrei potuto fare meglio.
Ma bene o male mi ritengo soddisfatto, ho raggiunto il mio scopo.
Spero quindi che questo mio piccolo tributo al personaggio più complesso del SonicVerse vi sia piaciuto, ovviamente se avete delle critiche non mancate di farmelo sapere, a patto ovviamente che siano costruttive.
Detto questo, vi saluto ragazzi e ragazze.


 

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