Can you keep a secret?

di Touch the sound
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo-Just a surface ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1-Over and over again ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2-A fatal kiss ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3-Let me see what you can do ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4-Philosophy ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5-Tonight is the night ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6-The moment of truth in your lies ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7-When worlds collide. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8-Right or wrong? ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9-Is there a future when you only see in memories? ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10-Agony ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11-How the hell did this happen? ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12-I found a place so safe, not a single tear ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13-Love will kill us all ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14-I need to feel you here ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15-Instinctive and passionate... but I love you ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16-And without you, I'm hopeless ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17-I offer you forgiveness ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18-Everything will be tragically fine ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19-Happiness ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20-Rage and lies ***
Capitolo 22: *** -Capitolo 21-Restless beating ***
Capitolo 23: *** -Capitolo 22-Beautiful liar ***
Capitolo 24: *** -Capitolo 23-Corresponding shapes like puzzle pieces from the clay ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24- So baby let's keep it secret ***
Capitolo 26: *** -Capitolo25-Don't wanna be someone who walks away so easly ***



Capitolo 1
*** Prologo-Just a surface ***


Prologo-Just a surface.
Lo strato superficiale delle cose, quella patina spessa che si adagia su tutto e tutti, era questo che attirava sempre l'attenzione di Richard Olson perchè pensava che c'era sempre qualcosa oltre quel vetro opaco. Ricky si fermava spesso a riflettere anche sul suo strato superficiale. Ogni tanto lo incuriosiva perchè, in fondo, non sapeva cosa lo spingeva a vestirsi esclusivamente di nero o quale strana vocina gli metteva in testa di sfumarsi matita e ombretto nero intorno agli occhi azzurri. Cosa gli passava per la testa quando andava dal suo amico tatuatore per farsi bucare qualche parte del corpo? Cosa lo spingeva, a 17 anni, a nascondere quei primi tatuaggi ai suoi genitori? Lo mandava in bestia non riuscire a trovare una risposta a quelle domande, per questo motivo cercava sempre di smettere di pensarci. Ma mentre camminava per strada, mentre era a scuola gli risultava impossibile. Non riusciva a non guardare tutte quelle facce senza pensare a cosa nascondevano. C'era chi si travestiva da duro, chi da ragazza ricca e popolare, chi da rubacuori e chi da rubapanini durante la ricreazione. Il fatto è che ormai poteva dire di conoscere quasi tutti in quella scuola quindi, a parte qualche piccolo dettaglio nella vita di ognuno di loro, quel muro che mostrava solo quello che loro volevano far vedere si era sgretolato qua e là.
La campanella lo distrasse un attimo e il vociferare si attenuò sostituito subito dal rumore dei passi affrettati o stanchi di tutti. Doveva andare a lezione di chimica, ma aspettava sempre che si sciogliesse quel groviglio di gente prima di entrare nell'edificio e dirigersi in classe. A volte restava lì a gelare ma, pensava, meglio il freddo che un attacco di panico.
«Olson» gli urlò una voce a lui molto conosciuta. «Sempre qua fuori a prendere freddo, vero?»
«E tu sempre in ritardo, Ray?»
Rayan Sitkowski era uno dei suoi migliori amici. Lo conosceva da quattro o cinque anni e grazie a lui aveva conosciuto Devin Sola, un ragazzo parecchio strano che gli nascondeva ancora qualcosa. In giro si vociferava che il suo grande segreto riguardasse la sua sessualità, ma Richard Olson non era uno che si fermava ad ascoltare le voci di corridoio e poi poco gli importava se Devin fosse omosessuale, etero o qualsiasi altra cosa.
«Ho perso l'autobus» affermò Ryan una volta vicino all'amico.
«Lo perdi spesso»
Ryan tentò di inventarsi qualche scusa, ma ovviamente non serviva a nulla scusarsi fra di loro. Però quel suo modo di voler trovare sempre una soluzione a tutto lo inteneriva, era questo che rendeva Ryan Sitkowski una delle persone più buone che Ricky conoscesse.
«Che dici, possiamo entrare ora?» gli chiese sporgendosi verso i vetri, come a voler vedere meglio, anche se la visuale era alquanto perfetta anche dalla loro postazione.
«Credo... credo di sì» balbettò Ricky guardando il cortile asfaltato (ormai vuoto) e poi i cancelli grigio piombo semi aperti.
«Dai, su con la vita, probabilmente è già in classe» disse Ryan aprendo la porta e rivolgendogli un sorriso solare. Ricky lo seguì facendo attenzione a non sospirare. Sapeva che Ryan alludeva a Martha Sullivan, una ragazza dai lunghi capelli castani e un sorriso dolce. Ricky aveva sempre pensato che lo strato strato superficiale colpisse proprio tutti, ma grazie a Martha Sullivan si era dovuto ricredere. Ricky pensava che con il suo viso da angelo fosse troppo bella per non essere una stronza... e in effetti era una grande stronza.

L'ora di chimica filò liscia. Non prestò molta attenzione alle parole della professoressa, ma quel giorno nemmeno lei sembrava tanto interessata ad insegnargli qualcosa. La stessa cosa fu anche per l'ora di matematica. Anche senza fare nulla il tempo sembrava non passare mai, ma almeno era arrivato il tempo della ricreazione e questo significava che Ricky, finalmente, poteva andare all'aperto e respirare un'aria meno viziata di quella che si sentiva nelle classi o nell'edificio in generale.
Si diresse verso le porte e appena fu fuori venne colpito da quel venticello fresco che lo fece rinascere ma che presto, lo sapeva, si sarebbe trasformato in qualcosa di insopportabile che gli avrebbe dato i brividi.
Si sedette sul muretto ricoperto di marmo chiaro ai lati delle scale e aspettò che arrivassero i suoi amici. Non ci volle molto. Ryan e Devin lo accerchiarono in cerca di sigarette o gomme da masticare e infine ai tre ragazzi si aggiunse Joshua Balz, noto come Balz o semplicemente Josh. Per Ricky era come un libro aperto, ma forse lo era per tutti. Joshua Balz era uno di quei ragazzi che pur conoscendoti da poco ti trattava come se ti conoscesse da una vita. Ricky l'avrebbe definito estroverso, un pò fuori di testa, intelligente, sempre sorridente e con uno spiccato senso dell'umorismo.
«Ragazzi, ma che fine ha fatto Angelo?» chiese proprio Josh, addentando poi il suo panino farcito di prosciutto, formaggio e Doritos.
«Nottata a casa di qualche sua amichetta forse» enunciò Devin ridendo e trascinando con se tutti gli altri. Tutti tranne Ricky che, agli occhi degli altri, sembrava solo assorto nei suoi pensieri perchè la relazione con Matha Sullivan si era conclusa da poco. Ricky aveva lasciato credere a tutti che troncare con Martha era stato difficile e doloroso. Credeva di sapere perchè l'aveva fatto, per mascherare qualcosa di più grande, qualcosa che non doveva venir fuori per nulla al mondo, qualcosa che lui, insieme ai suoi tatuaggi e ai motivi legati al suo modo di vestire, doveva nascondere sotto lo strato superficiale.

 


Salve! Sono nuova in questo fandom e ho voluto provare a proporvi una storiella che mi è saltata in mente mentre ascoltavo i Motionless In White. Vorrei fare un appunto: come forse vi sarete già accorti tutti, in questa FF, i protagonisti non sono famosi perchè 1) prediligo FF in cui i protagonisti non siano famosi (quindi cantanti/attori ecc.), e 2) mi piace immaginare come potrebbero essere le loro vite se non avessero mai intrapreso la via del successo. Aggiungo che questo è solo un prologo, quindi è molto breve, ma i prossimi capitoli (sempre se la storia vi interessa) saranno più lunghi!
Bè, che altro potrei dire, fatemi sapere cosa ne pensate.
Baci :)

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Capitolo 2
*** Capitolo 1-Over and over again ***


Capitolo 1-Over and over again.
La cena a casa Cerulli era il momento di riunione della famiglia per eccellenza. La colazione era un momento pieno di silenzi colmati solo da lunghi sbadigli, dal volume leggermente alto della tv e dal rumore delle stampelle che era costretto a portare suo fratello per colpa della sua malattia; il pranzo non era come in tutte le famiglie quel momento in cui tutti si riuniscono e si fanno domande del tipo "Cosa avete fatto oggi a scuola?" oppure "Allora, avete fatto nuove conoscenze?", a quell'ora la famiglia Cerulli era sparpagliata per la città. La cena, quindi era l'unico momento in cui la famiglia non veniva colpita da attacchi di sonno o da emergenze improvvise. Al tavolo si sedeva sempre Michael Cerulli, un uomo di circa quarantacinque anni, lo seguiva Bettsy Cerulli, l'ultima della famiglia, poi quasi sempre arrivava Christopher Cerulli e infine, aiutato da sua madre Adele, si sedeva il secondogenito affetto da una grave forma di autismo, Jonathan Cerulli.
«Chris, com'è andato il compito di matematica?» gli chiese sua madre mandando giù un boccone di pollo che lei stessa aveva tentato di cucinare al meglio.
«Non abbiamo ancora avuto i risultati» rispose il ragazzo tenendo la testa bassa ma rivolgendo lo sguardo verso sua madre. Era una postura che assumeva spesso, scomoda, ma gli veniva naturale.
Riprese a mangiare ignorando le altre chiacchiere, il suo pensiero era fermo a quella domanda. Era una settimana che i suoi genitori aspettavano i risultati di quella verifica, lui continuava a rimandare per non dirgli che quel compito non l'aveva fatto e che a scuola non ci stava andando più. Non voleva distruggere quell'armonia che si era creata da due settimane a quella parte. Di solito più che sorrisi e parole di circostanza, si sentivano parecchie urla e rumori di oggetti rotti. Ma i suoi genitori avevano deciso di provare a sembrare una bella famiglia. Chris poteva dire che si stavano impegnando, non li sentiva più litigare e questo lo stava quasi spingendo a credere che quella pace fosse vera, autentica.

Quella sera aveva ricevuto una chiamata e si era messo in tiro. Bè, per Christopher Cerulli "mettersi in tiro" significava indossare dei pantaloni super aderenti, una camicia senza maniche e un chiodo, tutto del medesimo colore: nero.
Betsy, una ragazzina dai capelli neri e gli occhietti vispi, interruppe suo fratello mentre era intendo a stendersi un fondotinta chiarissimo che facesse da contrasto con i suoi occhi castani con sfumature color miele contornati di ombretto nero.
«Dove vai?» gli chiese sedendosi sul bordo della vasca.
«A fare un giro» 
«E tu ci vai così a fare un giro?» chiese Betsy scettica. Chris sospirò poggiando la spugnetta che teneva in mano nello scatolo stracolmo di trucchi.
«Ti ha mandato mamma?»
La ragazza scosse la testa e Chris decise di crederle.
«Ho un appuntamento»
«Con chi?» chiese Betsy interessata. Chris le si avvicinò inginocchiandosi davanti a lei che, di corporatura, era estremamente più piccola di lui.
«Questi non sono affari tuoi» concluse ritornando davanti allo specchio. La sorella sembrò molto contrariata da quella risposta allora si alzò e scomparve dal bagno in un lampo.
Chris si sistemò i capelli che da un anno portava rasati su un lato e poi uscì di casa. La temperatura esterna era nettamente diversa da quella interna, non sembrava che stesse per piovere ma il tempo era rigido e freddo. Infatti, per le strade, lui e altre poche persone passeggiavano, per il resto si vedevano solamente auto scorrazzanti.
Ad un isolato di distanza da casa sua abitava Jane Woods, una biondina di diciannove anni con la passione della pallavolo. Quello che piaceva a Chris, invece, era vederla nei pantaloncini aderenti e nel top con effetto push up che le lasciava la pancia scoperta.
Sorrise al solo pensiero e si affrettò ad arrivare alla porta della ragazza che da qualche mese abitava da sola. Appena suonò il campanello Jane corse ad aprire. Indossava dei jeans che fasciavano le sue gambe affusolate e una maglietta rossa, non aderente ma forse di una taglia in meno alla sua, pensò Chris. Ma constatò che anche con i capelli legati, scalza e con davvero poco trucco fosse bellissima, in fondo non aveva bisogno di acconciarsi molto visto che madre natura era stata generosa con lei. Spesso si era chiesto per quale ragione una ragazza come lei volesse uscire con lui o semplicemente essere sua amica. Non era nè ricco, nè bello. Aveva capito che però quella ragazza andava in cerca di protezione e nessuno, con un cervello funzionante, si sarebbe sognato di fare del male ad una ragazza che andava in giro con uno alto due metri e con un aspetto alquanto inquietante. 
«Christopher» cominciò Jane con la sua voce leggermente acuta, ma non fastidiosa. «Ti ho sempre detto che è vietato essere più sexy di me» disse a denti stretti, come ad esprimere una rabbia chiaramente fasulla.
«Il problema è che io ti trovo molto più sexy di me» si oppose lui.
«Vediamo... quindi io dovrei punirti non solo perchè sei molto più attraente di me» disse Jane mentre, lentamente, si alzava la maglietta e si sfilava una cintura nera che le stringeva i pantaloni sui fianchi. «Ma anche perchè mi stai contraddicendo»
Chris la osservò mentre si avvicinava a lui con cautela e gli metteva la cintura intorno al collo. La ragazza strinse la presa e Chris reclinò la testa all'indietro e si morse il labbro inferiore. Jane lo attirò a se e gli baciò le labbra. Fu un bacio parecchio casto rispetto alla situazione in cui si trovavano.
«Perchè? Perchè ti voglio così tanto?» sussurrò la ragazza tenendo i suoi occhi puntati in quelli di Chris. Poi si fiondarono l'uno sull'altro. Le loro lingue si intrecciarono quasi furiosamente e la porta si chiuse provocando un rumore sordo. Le mani di Chris scivolarono sul corpo atletico e sodo della ragazza che lo trascinò nella sua camera tappezzata di foto di lei e delle sue amiche e con i peluches sparsi per terra. 
Jane spinse Chris sul letto e si mise a cavalcioni su di lui liberandolo dalla cintura. Si spogliarono a vicenda, erano bramosi di aversi, si desideravano. Lei voleva averlo dentro di se e Chris assecondava ogni suo movimento e ogni sua voglia, anche le più strane. Era una ragazza che fantasticava molto, sul sesso soprattutto. Le piaceva usare tanti oggetti che Chris non avrebbe mai pensato che potessero essere inseriti in un rapporto sessuale. Come cibi avevano usato: Nutella, panna montata, miele (con un effetto ceretta terrificante), caviale, limone e qualche mentina; come oggetti avevano utilizzato di tutto, dalla cintura ad un frustino, da un paio di manette ad un fermacarte di vetro. Tutte quelle idee le tirava fuori lei. Chris si lasciava trasportare, cercava di divertirsi.

«Ti è piaciuto?» gli chiese Jane spegnendo la sua sigaretta nel posacenere che avevano messo sul letto, fra di loro.
«Questo dovrei chiedertelo io» rispose Chris aspirando e soffiando via quel fumo grigiastro. A quella sua affermazione seguì qualche minuto di silenzio, poi Jane scoppiò a ridere.
«Pensavo che tu fossi gay» sibilò fra le risate. Chris ebbe un fremito e il suo intero corpo si ricoprì di brividi. Si sforzò di fare un sorriso che sembrasse divertito.
«Mi dispiace deluderti, non lo sono»
«A me non dispiace per niente e comunque sei stato all'altezza del tuo compito, Christopher» disse la ragazza azzardando un tono malizioso. Chris le rivolse uno sguardo languido e riprese a fumare. Di solito non gli piaceva essere chiamato Christopher, ma lei l'aveva sempre chiamato così e lo pronunciava sempre lentamente, con un tono di voce basso... era quasi eccitante.

Chris aprì la porta di casa e la scena che si trovò davanti agli occhi non fu delle migliori, ma l'aveva vista talmente tante volte che ormai gli sembrava normale. Sì, per lui era normale vedere qualche bicchiere rotto a terra e sua madre distesa sul divano, in preda ad un pianto disperato.
Sospirò. Si sentiva sconfitto, non poteva fare nulla per fermare quella rabbia che i suoi genitori si urlavano contro. E anche lui era arrabbiato, arrabbiato perchè quelle due persone che l'avevano messo al mondo litigavano senza ritegno e poi fingevano di voler provare ad essere una bella famiglia, ma in una serata qualunque l'inferno ricominciava. Sempre.
Ripulì il pavimento dai pezzi di vetro sotto gli occhi lucidi e assenti di sua madre. Oltre ad essere privi di amore erano anche degli incoscienti, quei due. Sapevano che Jonathan si alzava spesso durante la notte per scorrazzare in casa e parlare con i suoi amici immaginari, se l'avesse fatto prima del suo arrivo probabilmente avrebbe calpestato il vetro e si sarebbe fatto male.
Chris strinse i denti e lasciò sua madre lì. Andò a controllare i suoi fratelli, apparentemente dormivano quindi decise di non svegliarli. La camera da letto era vuota, suo padre era uscito, era via chissà dove.
Si fece una doccia. Sotto il getto d'acqua quasi bollente tentò con tutte le sue forze di non piangere e non perchè per l'ennesima volta era stato deluso dai suoi genitori, ma semplicemente perchè non capiva, non riusciva a spiegarsi perchè tutte le persone che conosceva potessero avere una bella famiglia e lui doveva vivere così. Si faceva pena.
Strinse forte gli occhi e scosse la testa. Non era più un bambino, doveva smetterla di autocommiserarsi. L'aveva fatto per anni, finchè non aveva capito che quella era la situazione in cui si trovava e che gli piacesse o meno non poteva cambiarla. Doveva solo accettarla e proseguire per la sua strada.
In un paio di boxer e con la pelle ancora umida uscì dal bagno e andò a mettersi nel suo letto facendo attenzione a non svegliare Jonathan e Betsy. Dormivano tutti nella stessa stanza e svegliarne uno significava svegliare anche l'altro. Era sempre così, come una reazione a catena e era da evitare altrimenti non ci sarebbe stato verso di far addormentare di nuovo Jonathan.

«Chris» lo chiamò Mike dal bancone. Il ragazzo si voltò verso quell'uomo sulla trentina, robusto e pieno di tatuaggi che gli fece segno con la testa verso un ragazzo che lo aspettava in piedi con le mani nelle tasche dei jeans. Chris si alzò dalla sedia e andò verso il ragazzo, cercò in tutti i modi possibili di metterlo a suo agio e ispirargli fiducia, in fondo di lì a poco gli avrebbe bucato la faccia con un ago.
Chris eseguì ogni movimento con meticolosità sotto lo sguardo di Grace. Lui la definiva la sua insegnante. Grace era una piercer con molta più esperienza di lui, lavorava in quel settore da sette anni mentre Chris era alle prime armi. Tatuaggi e piercing erano la sua passione e da un pò di tempo aveva deciso di provarci. Mike non voleva assumerlo, dopo le prime due settimane di prova voleva mandarlo via, ma Chis non si era arreso, voleva quel lavoro e aveva convinto Mike ad assumerlo come apprendista.
Finì di torturare quel povero ragazzo e si allontanò portandogli uno specchio così che potesse vedere il suo lavoro compiuto.
«Come va?» gli chiese mentre ripuliva gli attrezzi usati e li metteva in ordine.
«Mi piace» disse il ragazzo guardandosi il labbro con soddisfazione. Ogni volta che vedeva quelle espressioni sui clienti si sentiva fiero di se stesso perchè all'inizio non sapeva fare assolutamente niente. In poco tempo aveva imparato a trattare con i clienti, a fare un lavoro che richiedeva precisione e, per quanto possibile, delicatezza.
Quando il ragazzo uscì dal negozio, Grace si avvicinò a Chris e gli diede un pugno sulla spalla.
«Le mani non ti tremano più, ragazzino» disse la donna con la sua voce rauca. Chris le sorrise. Aspettava quelle parole dal primo giorno quando, prendendo un ago in mano, gli cadde per il troppo tremare. 
«Hey, non ti pago per restare lì impalato, pulisci qui e poi puoi andare» disse Mike distogliendolo dai suoi pensieri. Chris si passò una mano fra i capelli, poi andò a ripulire il bancone senza obbiettare. Grace e Chip, il tatuatore, gli avevano detto che finchè Mike non l'avesse visto di buon occhio, avrebbe sempre pulito quello che lui lasciava in disordine. Purtroppo però avevano aggiunto che Mike era uno che diffidava parecchio e che probabilmente avrebbe smesso di sfruttarlo fra quattro o cinque anni.
Finito di mettere tutto in ordine, Chris si diresse nel piccolo studio di Mike. Stringeva con nervosismo un raccoglitore che poteva essere la sua salvezza o la sua rovina. Ma era convinto di quello che stava per fare.
Si schiarì la voce per richiamare l'attenzione di Mike impegnato a scrivere qualcosa su un figlio prestampato.
«Se hai finito puoi andare, ci vediamo domani» disse Mike senza nemmeno alzare lo sguardo. Chris rimase immobile accanto alla porta per qualche secondo, poi prese coraggio e con due lunghi passi arrivò alla scrivania e vi poggiò il raccoglitore. Mike lo guardò scettico.
«Cos'è?» 
«Tu mi hai chiesto sei disegni e io te li ho portati»
Mike si accigliò e sospirò appoggiandosi allo schienale della sedia.
«Quanti sono?»
«Credo una quarantina»
«Sono tanti, li guarderò e ti farò sapere che ne penso»
Chris non sapeva se sentirsi sollevato perchè per una volta Mike gli aveva dato retta o essere teso per il responso. 
Se ne andrò mordicchiandosi l'unghia dell'anulare destro. Se quei disegni non gli sarebbero piaciuti probabilmente Mike non gli avrebbe dato altre possibilità di dimostrare che lui poteva benissimo essere un bravo tatuatore. In fondo nessuno gli aveva insegnato a disegnare, quello che sapeva fare l'aveva appreso stringendo una matita con un foglio bianco davanti. Ma disegnava da quando era piccolo e sperava che quello che aveva imparato fosse abbastanza. Abbastanza per Mike che, dopo sei mesi di lungo girovagare per trovare un lavoro come quello, gli aveva dato una possibilità.
Aprì la porta. Era così preso dai suoi pensieri che andò a sbattere contro qualcuno che stava entrando. Lo guardò per un attimo e fu colpito dall'aspetto di quel ragazzo che, a sua volta, lo stava osservando. Aveva dei lunghi capelli neri, la pelle pallida e i suoi occhi erano così chiari e belli. Gli occhi azzurri gli erano sempre piaciuti, lo affascinavano. Sembravano così delicati e fragili, ma allo stesso tempo davano al viso un aspetto freddo e soprattutto misterioso.
«Scusa» disse tenendogli la porta aperta per farlo entrare.
«Figurati» rispose l'altro entrando e lasciando Chris fermo accanto alla porta. Poi, dopo qualche secondo, scosse la testa e corse a casa. Non vedeva l'ora di mangiare qualcosa e mettersi a letto, ovviamente dopo essersi assicurato che tutti, in quel manicomio che chiamava casa, fossero sani e salvi.

Il giorno successivo, Chris si svegliò di buon umore. Aveva il presentimento che quella sarebbe stata una bella giornata, la sua giornata. Non appena chiuse la porta del negozio alle sue spalle, Mike lo chiamò dicendogli di andare dritto nel suo studio. Chris ebbe un colpo al cuore e subito dopo un fremito. 
Mentre la distanza fra la porta d'ingresso e quella dell'ufficio diminuiva, Chris pensava che Mike avrebbe stroncato la sua carriera da tatuatore prima che questa cominciasse o, ancora peggio, che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe messo piede lì dentro. Ma se quella era una delle sue giornate "sì", si ripeteva Chris, nulla sarebbe andato male.
«Chiudi la porta e siediti» gli disse Mike, seduto dietro la sua scrivania in ferro. Chris eseguì l'ordine come un soldatino e attese che Mike gli dicesse qualcosa. I suoi disegni erano sparsi sul ripiano difronte ai suoi occhi. Forse era l'ansia, ma gli sembravano più brutti di come li ricordava.
«Christopher, questi non sono disegni di un esperto» disse con quel tono tanto serio che fece irrigidire Chris sulla sedia già scomoda di suo. «E, credimi, mi ferisce molto dirti che purtroppo non fanno schifo quanto vorrei io»
Chris strinse i pugni tutto il tempo quasi fino a farsi male, ma quella rivelazione finale gli fece rilassare tutti i muscoli e qualcosa esplose dentro il suo stomaco e velocemente si impossessò di tutto il suo corpo.
«Quindi?»
«Quindi trova qualcuno che ti insegni a tatuare e forse smetterai di lavare i cessi»
«Grazie» esultò Chris.
«Ho detto forse quindi non cantare vittoria»
Quelle parole non toccarono minimamente Chris che continuò a sorridere. Dopo qualche parola di circostanza, Mike lo fece uscire riconsegnandogli i suoi disegni. Chris chiuse la porta dello studio e subito dopo tirò un sospiro di sollievo. Si sentiva bene, finalmente apprezzato da qualcuno.
«Che ti ha detto?» gli chiese Grace.
«Gli sono piaciuti»
La donna gli rivolse uno sguardo quasi emozionato. Grace l'aveva sempre trattato bene, più di tutti voleva davvero aiutarlo a trovare uno sbocco in quel lavoro che aveva deciso di intraprendere.
«Adesso mi serve solo qualcuno che mi insegni a tatuare»
«Tu già sai come si fa, hai anche dei tatuaggi e questo ti aiuta, ti serve solo un pò di pratica»
«Secondo te posso chiedere a Chip?»
«Non direi, ha giornate pienissime fino al mese prossimo e non credo che tu avrai pazienza fino ad allora»
«Infatti» disse Chris sospirando.  Aveva una voglia matta di mettersi all'opera.
«Perchè non provi a chiedere a Mike?»
Chris fece spallucce, come a dire che Mike non l'avrebbe mai aiutato.
«Provaci Chris, non hai niente da perdere»
Il ragazzo rimase in silenzio. Avere Mike come Maestro era un sogno e probabilmente sarebbe rimasto tale. Chris non lo conosceva bene, ma gli dava l'impressione di essere una persona molto rigida, uno che sa il fatto suo e che vuole circondarsi solo di persone come lui. Forse però aveva anche un lato nascosto. Forse l'avrebbe aiutato.





Rieccomiii!!! Spero che il capitolo sia stato di vostro gusto e che non ci siano troppi errori, l'ho riletto ma sono le 03:20 del mattino quindi non mi fido molto della mia vista hahaha
Ditemi cosa ne pensate, sono aperta a tutto u.u
Al prossimo capitolo, bacioni c:

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Capitolo 3
*** Capitolo 2-A fatal kiss ***


Capitolo 2-A fatal kiss.
Casa sua era grande, tanto grande che ci si sarebbe potuti perdere, tanto grande che per tutti era quasi un'attrazione. Era situata nel quartiere più ricco della città e proprio al centro di quell'enorme giardino ornato di piante e fiori, si ergeva, maestosa e imponente, la villa della famiglia Olson.
Ricky di solito se ne stava nella sua camera che era ben più spaziosa di una normale cameretta e che odorava sempre di muschio bianco. Aveva un letto matrimoniale ma dormiva sempre sul lato sinistro, una cabina armadio quasi vuota e una scrivania posta proprio accanto alla porta del suo bagno. Lì, chiuso in quella stanza, si sentiva più al sicuro. Credeva di essere protetto dalle parole, dai respiri pesanti e dall'odore degli altri che spesso gli davano la nausea. Quindi preferiva starsene lì, seduto sul suo comodo letto, ad ascoltare la sua musica preferita, a guardare la tv o anche a fissare il soffitto. Gli piaceva addirittura fare i compiti. A dirla tutta gli piaceva qualsiasi cosa che non implicasse avere una relazione interpersonale con il resto del mondo anche se, quando serviva, era il solito ragazzo casinista che passa il weekend in giro per locali.
Sentì qualcuno bussare, la porta era chiusa a chiave allora dovette alzarsi. Prima di aprire si sistemò i pantaloni della tuta e si guardò i piedi, indossava solo dei terribili calzini neri e blu.
Girò la chiave e un istante dopo, quando la porta si aprì, Ricky perse un battito.
«Angelo» soffiò appena.
«Ciao Ricky» disse il ragazzo dagli occhi azzurri mettendosi le mani in tasca.
«Come mai sei qui?» gli chiese Ricky spostandosi dalla porta per farlo passare. Angelo entrò e osservò l'altro mentre richiudeva la porta. Non sapeva se coglierlo come un gesto casuale o se fosse una cosa fatta apposta, ma due sere prima era successa esattamente la stessa cosa, poi si erano messi a giocare alla PlayStation e una parola tira l'altra avevano fatto uno sbaglio enorme.
«Devo dirti una cosa» cominciò Angelo mentre Ricky tornava a letto.
«Dimmi» disse con tono freddo ossevando quel ragazzo che se ne stava in piedi accanto al letto. Cercava di non sembrare troppo sconvolto o a disagio nel vederlo dopo quello che era successo.
«Ecco io... quello che è successo l'altra sera e stat-»
«È stato solo uno sbaglio» intervenne Ricky facendogli capire di essere d'accordo con lui. Angelo annuì lentamente.
«Quindi è tutto risolto?»
«Era solo un bacio» disse Ricky con le mani che lentamente smettevano di tremare. Stava iniziando a rilassarsi conoscendo le intenzioni di Angelo (che erano esattamente uguali alle sue).
«Okay, allora io vado, ci vediamo a scuola»
Ricky lo accompagno alla porta. Appena Angelo uscì, sospirò pesantemente. Quel bacio non era stato solo un bacio. Per Ricky era qualcosa in più, ma non provava niente per Angelo. Grazie a quel bacio aveva capito qualcosa su se stesso. 
Prese un gran respiro e corse fuori. Quasi cadde dalla larga scala in legno scuro che faceva da contrasto con i toni crema e tortora della casa.
«Angelo» urlò quando fu sulla soglia di casa e l'altro ragazzo era vicino al cancello pronto per svoltare alla sua sinistra e tornarsene a casa. Però si bloccò e rivolse la sua attenzione a Ricky.
«Ce li hai dieci minuti?»

Ricky e Angelo erano seduti sotto il grande gazebo sul retro della casa. Entrambi avevano preferito stare fuori perchè, nonostante il freddo, ogni tanto si intravedeva un fascio di luce che intiepidiva l'aria. Stringevano una grande tazza di caffè fumante che una delle tante cameriere aveva preparato per loro. 
«Che devi dirmi?» fece Angelo bevendo un sorso. Ricky sembrò riflettere prima di parlare. In realtà non sapeva cosa dire, non era sicuro di niente, ma da quella sera sentiva che qualcosa era cambiato e doveva parlarne con qualcuno. Angelo era la persona giusta perchè 1) parlando con lui non avrebbe dovuto dire a nessun altro che aveva baciato un ragazzo, 2) non avrebbe messo nei casini un suo amico, 3) Angelo aveva la bocca cucita.
«Angelo, io e te siamo amici e tu lo sa-»
«Sì, vai al sodo»
Ricky sospirò stringendosi nelle spalle e riscaldandosi le mani tenendole intorno alla tazza.
«A me è piaciuto» disse abbassando lo sguardo subito dopo. Si vergognava così tanto. Di solito non giudicava mai le persone nè per il loro modo di vestire, nè per le scelte che facevano nè tanto meno per i loro gusti sessuali. Ma non aveva mai pensato che si sarebbe trovato in quella situazione. Insomma, a lui erano sempre piaciute le ragazze e nessun ragazzo gli era interessato "più del dovuto".
«Okay»
«Okay?»
«Già, okay» rispose Angelo continuando a bere tranquillamente il caffè. Ricky invece aveva solo la nausea e il suo non l'aveva nemmeno sfiorato con lo sguardo.
«Senti, ti piaccio io? E guarda che non mi offendo se non ti piaccio in quel senso»
Agli occhi di Angelo, Ricky sembrò estremamente combattuto. Gli sembrava che stesse sempre dire qualcosa, ma che poi subentrasse qualche altro pensiero nella sua testa che non gli permetteva più di parlare.
«Ricky io non voglio piacerti perchè non voglio che tu soffra, quel bacio mi ha fatto capire che a me piacciono le ragazze» disse Angelo posando la tazza sul tavolo e avvicinando la sua sedia a quella di Ricky.
«Ma per te è stato il contrario e va bene così»
Ricky strinse gli occhi. Sentiva che stava per piangere. Non voleva affrontare quella cosa, non sapeva nemmeno se tutto quello era reale. Magari era solo un momento, una sbandata, magari fra qualche giorno si sarebbe imbattuto in una ragazza che gli avrebbe fatto dimenticare tutta quella storia.
«E se mi sbagliassi? Non voglio alzare un polverone per niente» gli chiese timoroso.
«Non devi mica comunicarlo a tutto il mondo, devi pensarci, cerca di capire quello che provi e quando l'hai capito vai avanti senza paura»
«Senza paura?» gli chiese Ricky guardandolo finalmente negli occhi e Angelo annuì.
«Non saprei cos'altro dirti» disse il ragazzo alzandosi e rimettendo la sedia al suo posto.
«Cerca di capirci qualcosa e se hai bisogno sai dove trovarmi... grazie per il caffè» disse dandogli una pacca sulla spalla. Quando stava per andare via, però, Ricky lo chiamò ancora.
«Ti prego, quello che ti ho det-»
Angelo lo interruppe subito.
«Sarò una tomba»

Quella sera Ricky si mise a letto e cercò di addormentarsi, ma la sua mente era affollata. Pensava a tutto e a niente. Quasi gli tremavano le mani quando pensava a quello che avrebbe dovuto affrontare se... 
Scosse la testa per evitare di pensarci, poi mise la testa sotto il cuscino come se spingerselo sul viso significasse schiacciare ogni pensiero. Il mattino seguente Ricky si svegliò con la testa fra i due cuscini e sotto il pesante piumone bianco. Era domenica e per quanto ne sapeva poteva essere anche mezzogiorno.
Aveva ancora la mente annebbiata dal sonno quando si alzò e andò in bagno a farsi una doccia. Tenne gli occhi chiusi per quasi tutto il tempo e, mentre quell'acqua calda gli scorreva sul corpo vestito solo di brividi, qualcosa come un flash gli attraversò la mente. Un ricordo così forte, prepotente e quasi destabilizzante: due occhi castani tempestati di scaglie color oro. Li aveva visti il pomeriggio del giorno prima, qualche ora dopo la chiacchierata con Angelo. Li aveva visti e le ginocchia gli stavano per cedere. Non ricordava nient'altro del viso in cui erano incastonati, ma quegli occhi erano indescrivibilmente belli, non si sarebbe stupito se anche il resto fosse stato altrettanto bello.
Tornò con la mente alla realtà quando il barattolo di bagnoschiuma gli scivolò dalle mani. Lo raccolse ancora un pò confuso e turbato dai suoi pensieri, poi si risciacquò e uscì dalla doccia. Cercò di asciugarsi velocemente, si era scordato di accendere il riscaldamento quindi il freddo si fece sentire sotto forma di brividi e tremore. Senza accorgersene stava digrignando i denti tanto forte da procurarsi dolore da solo.
Uscì dal bagno e corse alla cabina armadio coperto solo da un grande asciugamano bianco che lasciò cadere nel cesto per gli abiti sporchi. Si infilò i boxer e mise la prima cosa che trovò, poi si lavò i denti e uscì di casa dopo essersi fermato qualche minuto in cucina a chiacchierare del più e del meno con sua madre.
Si alzò il cappuccio della felpa e camminò a passo veloce e spedito. Doveva finire il suo quinto tatuaggio. L'aveva iniziato mesi prima, poi per problemi legati alla scuola non aveva potuto terminarlo. Il giorno prima era ritornato nel negozio per prendere un appuntamento e Mike, che conosceva ormai da parecchio tempo, gli aveva detto di passare il giorno dopo nonostante fosse domenica.
Arrivato, aprì la porta e al bancone non c'era nessuno. Non c'erano nè Chip nè Grace, ma Mike doveva esserci.
«Mike» chiamò ad alta voce avvicinandosi al bancone. Dopo poco, Mike aprì la porta del suo studio.
«Hey Ricky, mettiti comodo, arrivo fra cinque minuti» gli disse richiudendo la porta. Ricky si tolse la maglia e si sdraiò sul lettino. In quei cinque minuti decise di ascoltare un pò di musica, poi Mike uscì dal suo studio e si dedicò alla finitura del tatuaggio. Circa mezz'ora dopo il tatuaggio fu finalmente ultimato. Il ragazzo si diede una guardata allo specchio attaccato alla parete e sorrise soddisfatto. Si rivestì mentre Mike ritornò nel suo studio. Subito dopo, da quella porta, uscì un ragazzo alto, magro, con i capelli neri e Ricky, ancora una volta, rimase immobile, paralizzato da quei due occhi che lo stavano deliberatamente squadrando.
«Tu devi essere Ricky» disse poi il ragazzo andando a posare dei fogli sul bancone.
«Ehm, si» farfugliò Ricky. Si sentiva in imbarazzo, ma non come quando si fa una figuraccia, era più un nervosismo che in un attimo gli aveva scombussolato lo stomaco e la testa.
«Io mi chiamo Chris» disse il ragazzo versandosi dell'acqua in un bicchiere di plastica.
«Vuoi?» gli chiese, ma Ricky scosse la testa.
«Con tutto quello che ho passato nell'ultima mezz'ora mi servirebbero due litri di Vodka»
Chris rise e poi mandò giù tutta l'acqua.
«Senti, sono le undici quindi direi che due litri di Vodka sono un pò tanti, ma io ho finito e stavo andando a prendere un caffè, se vuoi puoi venire con me»

Erano seduti al tavolino di vetro e rattan bianco di un bar del centro. Avevano ordinato un caffè macchiato per Chris e uno corretto per Ricky (che ne aveva più bisogno). La temperatura era leggermente più alta del solito e all'esterno, dove avevano deciso di sedersi loro, si stava bene anche se qualche folata di vento li infastidiva di tanto in tanto.
«Quindi tu sei amico di Mike?» chiese Chris.
«Diciamo che ci conosciamo da tanto tempo»
«Se ti dico che ogni tanto mi sta sulle palle non dirglielo, ti prego» disse Chris e Ricky scoppiò a ridere. Sapeva quanto scorbutico e antipatico poteva sembrare Mike, ma era un uomo di gran cuore. Infatti qualche secondo dopo Chris gli disse qualcosa che confermò il suo pensiero.
«Però gli ho chiesto di insegnarmi a tatuare e lui ha detto che mi aiuterà, a patto che porti io tutta l'attrezzatura»
«È un problema?»
Chris annuì e gli spiegò che tutto l'occorrente costava un occhio della testa. Ricky stette in silenzio per un pò, soprappensiero, mentre beveva il suo caffè.
«Chris, quindi tu sai disegnare?»
«Direi di sì»
«Mi piacerebbe vedere qualche disegno»
Chris non sapeva come avrebbe fatto a farglieli vedere, non li aveva con sè in quel momento e a casa sua non l'avrebbe mai portato. D'altra parte non aveva portato mai nessuno in quel buco con cucina e bagno integrati. Non era proprio il caso.
«Tutto bene?» gli chiese Ricky notando il suo silenzio.
«Sì... sì» sussurrò Chris che fu scosso dalla vibrazione del suo cellulare subito dopo. Senza nemmeno accorgersi delle sue azioni, estrasse il cellulare dalla tasca e rispose. Si dimenticò addirittura di leggere il nome sullo schermo.
«Pronto» disse tenendo la voce leggermente più bassa.
«Lo sai cos'ho addosso?» disse la voce dall'altro capo che venne immediatamente registrata dal cervello di Chris come "la voce più sensuale che potesse emettere Jane". Un istante dopo però si accorse di non poter avere una telefonata del genere con Ricky accanto.
«No» disse col tono più distaccato possibile.
«Quelle scarpe che piacciono tanto a te» sussurrò la ragazza.
«E nient'altro» aggiunse.
Il ragazzo non riuscì a trattenere un sorriso. Jane aveva delle semplicissime scarpe nere tacco dodici, senza plateau, in vernice, con la suola rossa; quelle scarpe riuscivano a mandarlo da zero a mille in una frazione di secondo.
«Sono seduta sulla poltrona, ho una mano in mezzo alle gambe e il letto è troppo in ordine» mormorò Jane aggiungendo alla fine qualche piccolo sospiro di piacere. Chris voleva correre da lei, strapparla dalla morbidezza di quella poltrona, sostituire le mani di Jane con le sue, rendere quel letto un casino e mettere a soqquadro tutta la stanza. Il desiderio si propagò nel suo corpo e la sua mente fece mille viaggi. Immaginò quella ragazza dalla pelle leggermente abbronzata sotto di lui, quasi gli sembrò di poter accarezzarle le cosce sode, di poter sentire i suoi dolci gridolini che a volte le si spezzavano in gola, di poter leccare ogni parte del suo corpo e stringere quelle sottili caviglie che sembravano scomparire nelle sue grandi mani. Ma c'era qualcosa che glielo impediva e quel qualcosa era seduto accanto a lui. Lo conosceva da pochi minuti, ma lo intrigava. Era interessante e voleva restare lì a parlarci a lungo. Per la prima volta nella sua vita si era presentato ad una persona, gli aveva chiesto di prendere un caffè insieme, ci stava dialogando e non si vergognava di dire nulla. Era una bella sensazione.
Chris guardò Ricky per pochi secondi poi riagganciò senza dire nulla a Jane. Strano, ma non si sentì nemmeno un pò in colpa.
Si portò una sigaretta alle labbra accendendola  col suo accendino. Riparò la fiamma con la mano sinistra e poi afferrò la sigaretta fra il pollice e l'indice soffiando via il fumo. Erano dei gesti che compiva senza nemmeno accorgersene ormai.
«Te ne posso scroccare una?» gli chiese Ricky spontaneamente, ma poi avrebbe voluto solo scomparire. Da quando era così sfacciato con gli sconosciuti?
Chris lo mise subito a suo agio spingendo il pacchetto di Marlboro sul vetro, facendolo scivolare proprio sotto lo sguardo di Ricky.
«Adesso però oltre al caffè mi devi anche la sigaretta»
Ricky sorrise e annuì. Si sentiva catturato completamente da quel ragazzo. I suoi occhi, i suoi movimenti, quel suo modo di essere che traspariva ad ogni sua parola. Quel ragazzo era...
Ricky abbassò lo sguardo vergognandosi dei suoi stessi pensieri. Non poteva fare "strani" pensieri su un ragazzo.
«Facciamo che io ti offro un caffè e tu mi fai vedere i tuoi disegni» disse un pò per distrarsi e un pò perchè voleva avere la sicurezza che l'avrebbe rivisto.
«Quando?»
«Dopodomani ti va bene?»
Chris annuì cercando di trattenere un sorriso che altrimenti sarebbe andato da un orecchio all'altro.

Ricky rientrò in casa di corsa. Pensava che avrebbe trovato i suoi genitori già a tavola, ma Ludmilla, una cameriera assunta da poco, stava cominciando solo ad apparecchiare.
«Buongiorno Richard» disse la donna con una forte pronuncia russa.
«Ciao Lud, dove sono mamma e papà?»
«Mi hanno chiesto di cucinare solo per te, tuo padre ha avuto un imprevisto sul lavoro e la signora aveva appuntamento con l'organizzatrice di eventi»
Ricky annuì nonostante l'idea che per il compleanno di suo padre venisse organizzata una festa memorabile non gli piacesse. Tutte le feste a casa Olson si festeggiavano così e di certo non le odiava, ma a Ricky le cose troppo sfarzose non piacevano per niente. 
Andò in camera sua e tornò nell'enorme sala da pranzo solo quando Ludmilla lo avvisò che il pranzo era pronto. Quando si sedette sulla sedia di legno chiaro, fredda e anche un pò scomoda, pensava sempre il ragazzo, venne colpito da un senso di malinconia che lo divorò fin nelle viscere. Gli capitava spesso di mangiare da solo e non gli piaceva un granchè, quindi decise di chiedere a Ludmilla di fargli compagnia. La donna rifiutò l'invito, ma Ricky continuò ad insistere finchè lei non accettò. Ricky sapeva bene che i suoi genitori non l'avrebbero di certo licenziata se l'avessero vista pranzare con lui, ma capiva la preoccupazione di una donna russa, arrivata da poco in America, con la famiglia lontana e che aveva davvero bisogno di lavorare. 
Il ragazzo si alzò dalla sedia e chiese a Ludmilla se volesse un aiuto, ma la donna stavolta fu irremovibile, quindi il ragazzo se ne tornò in camera sua e lasciò la cameriera a sparecchiare. Guardò la tv per qualche minuto poi smise perchè quelle parole gli risultavano stupide e inutili. Lesse una rivista di musica che aveva comprato qualche giorno prima, poi studiò per il compito di chimica che si sarebbe tenuto solo fra qualche giorno, ma a lui piaceva portarsi avanti per non farsi trovare impreparato. 
Chiuse il libro quando sentì delle voci al piano inferiore. Aveva sentito sua madre rientrare circa mezz'ora prima e l'ospedale non avrebbe lasciato andare suo padre prima di mezzanotte probabilmente.
Aprì la porta e scese le scale vedendo già Josh sulla porta.
«Oh, Richard, stavo venendo a chiamarti» disse sua madre che stava chiudendo la porta. Ricky le sorrise poi salutò Josh e insieme andarono in camera sua.
«Porca puttana, ogni volta che metto piede qui dentro mi perdo, ho fatto il giro di tutto il giardino prima di trovare l'ingresso» disse Josh lasciandosi cadere sul letto appena sgualcito. Ricky nel frattempo si era già immerso nell'operazione: preparare la borsa con tutti i libri per il giorno dopo. Odiava farlo, lo odiava più del doversi alzare presto la mattina per andare a scuola.
«Eppure c'è un vialetto che collega il cancello alla porta, Balz, non è molto difficile»
Josh rimase in silenzio. Il suo sguardo si fermò su Ricky che leggeva e rileggeva l'orario del lunedì senza mai mettere un libro nella borsa. Aspettò che avesse finito (ci volle quasi un quarto d'ora), poi si decise a spiegargli il motivo della sua visita.
«Oggi ho visto Martha»
Ricky, che aveva appena rimesso in ordine la sua scrivania, si immobilizzò.
«Quindi?» chiese voltandosi verso l'altro ragazzo.
«Ci siamo incontrati tipo mezz'ora fa al parco, mi ha chiesto come stavi»
«E tu che le hai detto?»
«La verità, che da quando vi siete lasciati tu sei diverso» rispose Josh sedendosi sul letto e poggiando la schiena al muro.
«Me ne sono andato senza specificare se eri cambiato in meglio o in peggio, ma, detto tra noi, fai schifo da quando non ti scopi più la Sullivan»
«Non sono diverso» sussurrò Ricky fingendo che quell'argomento non lo infastidisse o lo rendesse un pò nervoso. Aveva paura che venisse fuori qualcosa riguardante al bacio con Angelo, ma temeva di più che i suoi amici scoprissero che in realtà con Martha Sullivan lui non aveva mai fatto niente. Era vergine. Un verginello del cazzo che non aveva mai trovato il coraggio di fare sesso. E se ne vergognava, Dio se se ne vergognava. Probabilmente Joshua Balz, donnaiolo di natura, gli avrebbe fracassato il cranio se l'avesse saputo. Già se lo immaginava con quello sguardo incredulo che si metteva le mani nei capelli e gli ripeteva «Come hai potuto tenermi nascosta una cosa simile? Perchè non l'hai mai fatto? Ma sei sicuro di essere un ragazzo? Le seghe almeno te le fai?». Probabilmente avrebbe solo taciuto davanti a quelle domande. Perchè le seghe se le faceva, ma quando aveva provato a farsene una pensando a Martha qualcosa ai piani bassi non aveva voluto funzionare. Per non parlare di quando avevano provato a farlo nei bagni della scuola. Ricky aveva provato in tutti i modi a sentirsi almeno un pò eccitato, ma non ci era riuscito e Matha era scappata via; da allora non si erano parlati sì e no tre volte e Martha ogni tanto chiedeva di lui a qualche suo amico. Ricky, nonostante tutto, le era grato. Non aveva dato di matto, se n'era solo andata dicendo che era uno schifoso ragazzino.
«Hai capito?» disse Josh alzando un pò più la voce, ma Ricky non aveva sentito niente di quello che stava dicendo, tanto era assorto nei suoi pensieri.
«No»
Josh sbuffò.
«Ho detto che secondo me lei vuole tornare con te»
«Perchè dovrebbe?» chiese Ricky andando a sdraiarsi a pancia in giù sul letto mentre l'altro roteava gli occhi.
«Ma hai i paraocchi?»
Ricky continuava a non capire.
«Forse non ti sei accorto di essere ricco» disse Josh sapendo di poter risultare un pò cattivo, ma era la verità. Non pensava assolutamente che qualcuno potesse stare con lui solo per soldi, Ricky era un ragazzo adorabile, dolce, gentile e aveva più pregi che difetti, ma spesso le ragazzine con Martha Sullivan miravano solo alla popolarità. E essere la fidanzata di Richard Olson era il meglio a cui si potesse aspirare.
Ricky era felice di potersi permettere quasi tutto, ma odiava tutto il resto. La cattiveria delle persone poteva arrivare a livelli inimmaginabili e, forse, lo strato superficiale ce l'aveva anche Martha, ma lui non ce n'era mai accorto.
Sospirò stringendosi nella sua felpa grigio scuro.
«Ricky,  mi dispiace, dovevo dirtelo, non voglio che torni con lei»
«Certo» sussurrò Ricky sforzandosi di fare un sorriso quantomeno decente. Non voleva rendere quella situazione più penosa di quanto già non fosse.
«Okay... hey, senti questa, un'amica di Devin da una festa per i suoi diciotto anni stasera» disse Josh alzandosi. 
«Ci imbuchiamo?»
Ricky non aveva voglia di uscire, ma fare qualcosa come bere parecchio e fumare ancora di più era quello che ci voleva.



E rieccomi con questo nuovo capitolo che spero vi piaccia tanto quanto è piaciuto a me mentre lo scrivevo e lo rileggevo. Vorrei ringraziare chiunque stia seguendo questa FF e ringrazio particolarmente x___blackparade_foreverETF per aver recensito i capitoli precedenti. 
Se vi va lasciatemi un piccolo commento e fatemi sapere che ne pensate.
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 4
*** Capitolo 3-Let me see what you can do ***


Capitolo 3-Let me see what you can do.
Teneva gli occhi fissi sulla strada mentre i suoi piedi affondavano nel terreno umido velocemente. Erano passi lunghi e pesanti, furiosi.
Chris si svegliava ogni mattina alle cinque e mezz'ora dopo era già al campo da calcio (sempre se un campetto con l'erba un pò troppo alta, con le panchine rotte e un perimetro sterrato poteva definirsi così). Andava lì e correva, correva fino a non avere più fiato, fino a sentire le gambe talmente pesanti da temere che presto sarebbe caduto, fino a sentire lo stomaco sottosopra, fino a sentire quel freddo gelido insinuarsi dentro le sue ossa. Ma correva proprio per non avere fiato, per non sentire più le gambe, per cadere, per il mal di stomaco, per i brividi. Stava così male che aveva bisogno di quel dolore per sentirsi meglio.
Si fermò all'improvviso. Il cuore gli batteva forte, il suo petto compiva movimenti ampi ma molto brevi, e anche se aveva freddo, era zuppo di sudore. 
Si lasciò cadere e chiuse gli occhi. Sentì i vestiti impregnarsi della rugiada che durante la notte si era adagiata sull'erba. Aveva corso per un'ora e mezza senza mai fermarsi nemmeno per bere un goccio d'acqua, era stremato e senza forze; quella sensazione gli piaceva da morire.
Si prese quella piccola pausa, poi si alzò e andò via recuperando per strada la bottiglia d'acqua che lasciava sempre in un angolo del campo.
Arrivato a casa, Chris si fece una doccia rapidissima, poi svegliò i suoi fratelli. Quando giocavano alla famigliola felice, li svegliava sua madre, ma di solito se ne occupava lui. La disorganizzazione che regnava in quella casa era insopportabile, ma Chris tentava in ogni modo di far funzionare le cose.
«Fammi dormire, oggi non ci vado a scuola» biascicò Betsy tirandosi le coperte fin sopra la testa.
«Perchè?» chiese Chris mentre tentava di svegliare anche Jonathan.
«Perchè Michelle è una stronza»
«E allora tu falle vedere che sei più stronza di lei» disse il ragazzo con un tono talmente convincente che Betsy si alzò e prima di correre in bagno disse di essere una grande stronza. Chris non aveva idea di cosa stesse succedendo fra lei e la sua migliore amica, ma se dirle di essere più stronza di Michelle la tirava giù dal letto allora...
Mentre stava provando in ogni modo a svegliare Jonathan. Betsy lo chiamò ad alta voce.
«Che c'è?» disse Chris andando verso la porta del bagno che trovò chiusa a chiave.
«Sveglia mamma, è urgente»
La voce di sua sorella era quella di una bambina sul punto di piangere. Gli sembrò molto strano, Betsy non era una di quelle ragazzine che si lamentava per tutto. Betsy era autonoma, forte, forse più di lui. Qualcosa passò di fretta fra i suoi pensieri mentre entrava in camera di sua madre. Sua sorella stava crescendo e a lui sembrava impossibile.
«Che c'è, Chris? Fammi dormire» mugolò la donna stringendosi sotto le coperte. Chris si sedette sul bordo del letto e poggiò una mano sulla spalla di sua madre.
«Mamma, credo che a Betsy sia venuto il ciclo»
Vide gli occhi di sua madre spalancarsi, in un attimo spinse Chris e corse via dalla camera da letto. Urlò per il corridoio che sua figlia era diventata grande e altre cose alquanto imbarazzanti, poi si chiuse in bagno con Betsy.
Chris tornò da Jonathan pensando che quando -un pò brillo- aveva detto a sua madre di aver perso la verginità, lei aveva reagito tirandogli uno schiaffo in piena faccia. Sentiva un certo senso di gelosia.
Scosse la testa e aiutò suo fratello a prepararsi.
«Sono una stronza, Chris» esclamò Betsy rientrando in camera.
«E fra poco sarò una stronza con le tette, Michelle le tette non le ha ancora»
Chris fece finta di non sentire. Per sopravvivere, in quella casa, con quelle persone, la cosa migliore da fare era tapparsi le orecchie, chiudere almeno un occhio e porgere sempre l'altra guancia.

«Sei in ritardo» disse Mike non appena Chris mise piede nel negozio.
«Lo so, lo so, scusa» disse il ragazzo col fiatone perchè aveva corso per cercare di arrivare in orario.
«Tu mi chiedi di insegnarti a tatuare, ma ti presenti tardi a lavoro»
«Mike, ho fat-»
«Vuoi imparare davvero?» 
Chris restò immobile per un attimo, poi annuì.
«Bene, allora oggi iniziamo»
«Davvero?» chiese incredulo. Mike sospirò e questo fece capire a Chris che era ora di smetterla di fare domande stupide.
«Che devo fare?»
«Dai una sistemata al mio ufficio»
Chris si accigliò. Non aveva appena detto che avrebbe cominciato ad insegnargli qualcosa?.
«So quello che stai pensando» cominciò Mike.
«Stasera torni a casa con me, imparerai come ho imparato io»
«Cioè?» chiese Chris sempre più stranito, ma anche incuriosito.
«Lo scoprirai, adesso fa come ti ho detto e poi mettiti vicino a Chip, oggi resti anche di pomeriggio»
Chris eseguì tutti gli ordini. Passò il resto della giornata a guardare Chip che faceva con maestria quello che avrebbe voluto tanto fare lui.

Mike era impegnato a spiegargli bene come si disinfettano gli aghi e tutto il resto, ma Chris voleva vederlo all'opera e voleva imparare più di quello che gli stava mostrando. Ma sapeva bene che all'inizio avrebbe imparato solo ad assemblare e smontare, a far funzionare una macchinetta e a proteggersi da varie malattie. Anche perchè Mike non gli avrebbe mai fatto usare la sua macchinetta, doveva solo guardare, prendere appunti, guardare di nuovo e prendere ancora appunti.
In quel garage, con la luce fredda di due neon e la serranda chiusa solo per metà, faceva freddo e Chris aveva le mani letteralmente congelate, ma Mike sembrava non sentire il gelo delle 22:30.
«Oggi sembravi ansioso, che ti è preso?» chiese Mike senza distogliere lo sguardo dalla sua preziosa macchinetta dorata.
«Niente, ero solo impaziente» rispose Chris freddo come la temperatura.
«Bugiardo, ti ho osservato ogni minuto da quando lavori nel mio negozio, quella non era impazienza»
Chris rimase fermo, tenne la bocca chiusa, non voleva parlare perchè si sentiva già abbastanza uno schifo per quello che aveva fatto.
«Che fai? Non parli col tuo Maestro? Non avere segreti con me è una delle prime regole da seguire» mormorò Mike con lo stesso tono di voce che usavano le maestre con gli alunni indisciplinati.
«Dovevo vedere una persona oggi» disse Chris tenendo lo sguardo basso.
«La tua ragazza?»
Chris scosse spontaneamente la testa, ma se ne pentì subito, se avesse detto di sì la storia si sarebbe chiusa lì senza altre spiegazioni inutili.
«Dovevi farli vedere a questa persona?»
«Cosa?» chiese Chris confuso.
«I disegni» disse Mike indicando il raccoglitore appoggiato su una sedia accanto al muro dipinto di grigio. Chris annuì. Avrebbe dovuto vedersi con Ricky, ma le cose erano andate diversamente. Chris non aveva potuto avvertirlo perchè non si erano scambiati i numeri. 
Era stato in ansia tutto il pomeriggio. Chissà se Ricky aveva atteso per tanto tempo, pensava, magari se ne era scordato anche lui. Magari.
«Perchè non me l'hai detto? Ti avrei mandato in pausa»
Chris guardò Mike accigliandosi. Non ci credeva, non era per niente possibile che Mike gli avesse detto quelle parole.
«Quando mi hai detto che avremmo cominciato mi è passato di mente e...»
«E quando te ne sei ricordato era troppo tardi?» concluse Mike al suo posto. Chris annuì ancora. Non era un ragazzo di tante parole, diceva il necessario e non parlava quasi mai se non veniva interpellato. Tante volte gli avevano detto che era strano perchè aveva un aspetto strano ed era strano anche il suo modo di comportarsi; Chris invece riteneva strani tutti gli altri proprio perchè avevano un aspetto troppo comune, proprio perchè parlavano senza un vero e proprio motivo e senza qualcuno che ascoltasse, che cogliesse il vero senso di quelle parole -ammesso che ne avessero uno-.
«Quindi chi dovevi incontrare?» chiese ancora Mike. A Chris parve così strano che gli facesse tutte quelle domande su qualcosa che fosse fuori dai suoi interessi.
«Ehm... Ricky» sibilò appena tentando in ogni modo di non guardarlo in faccia. Quella situazione cominciava a stargli stretta, non aveva fatto nulla di strano quindi non capiva il motivo del suo imbarazzo.
«Quel Ricky?»
«Già»
Chris vide un sorriso sghembo dipingersi sul volto di Mike, ma chinò la testa e non proferì parola finchè quella "prima lezione" non fu finita.

Rientrato, Chris si era seduto nella cucina, aveva sparso sul tavolo i quattro panini che aveva comprato mentre tornava a casa, si era versato della Coca-Cola in una tazza gialla che era sua e di nessun altro -come pensava ogni volta che l'aveva fra le mani-, e aveva guardato una partita di basket senza però dare troppo peso alla telecronaca.
Aveva appena finito di mangiare quando sentì la porta aprirsi. Chiuse gli occhi per qualche istante, sapeva già quello che sarebbe successo.
Sentì i passi pesanti e trascinati di suo padre nel salone e già poteva immaginarselo: i vestiti sporchi, l'odore acre dell'alcol, la sigaretta che perde cenere sul pavimento.
«Perchè in questa casa ci sono sempre le luci spente, eh?» biascicò l'uomo trascinandosi a fatica fino alla porta della cucina. Chris evitò di rispondergli. Sarebbe stato inutile, solo fiato sprecato.
«Sei uguale a tua madre» disse Michael quasi sprezzante di quella somiglianza fra suo figlio e sua moglie. Chris cominciò a respirare piano e profondamente. Doveva mantenere la calma, doveva farlo per non sembrare anche lui un mostro agli occhi dei suoi fratelli. Non voleva essere un altro Michael, pensava sempre.
Inspirare col naso, espirare con la bocca. Gonfiare la pancia, non il torace. Quelle parole gli rimbombavano nella testa e eseguiva quelle regole per rilassarsi. Ma trattenere quella rabbia che gli si accumulava ogni volta sul fondo dello stomaco era terribilmente difficile.
«Ma almeno lei è brava a prenderlo in bocca» disse infine ridendo di gusto. Chris si alzò di scatto e la sedia cadde all'indietro. Si avvicinò a suo padre con aria minacciosa, ma l'altro non sembrò intimidirsi. Si guardarono negli occhi per interminabili secondi: quelli rilassati e lucidi del padre fissi in quelli rabbiosi del figlio. 
Chris lo guardò dalla testa ai piedi. Non sarebbe stato un altro Michael.
Gli passò accanto tentando di non ascoltare suo padre che aveva ricominciato a ridere. Poi, proprio mentre stava per imboccare il corridoio che l'avrebbe portato nella sua camera, sentì quella risata scemare, dei respiri molto pesanti e infine il rumore di qualcosa che cadeva. Si voltò e suo padre era a terra, con gli occhi chiusi, una mano sul petto e l'altra stesa sul pavimento che ancora stringeva la sigaretta fumante. Era svenuto di nuovo.
Sbuffò ritornando da lui, si inginocchiò per terra e si accertò che fosse ancora vivo. Non che gli importasse molto, ma ormai anche il più povero dei funerali costava troppo e non voleva spendere i suoi soldi per quell'essere che l'aveva messo al mondo -o che aveva solo contribuito con una singola prestazione sessuale-.
Recuperò la sigaretta e se la mise fra le labbra, poi si alzò e lo lasciò lì.

Il mattino seguente Michael era ancora lì. Chris l'aveva scavalcato per andare a prendere la sua bottiglia d'acqua, era ritornato da lui e gli aveva dato un paio di sonori schiaffi sulle guance, questi l'avevano svegliato all'istante. Si erano guardati in faccia, poi Chris gli aveva aperto la porta e lui era uscito, il tutto senza dirsi nemmeno una parola.
Chris chiuse la porta alle sue spalle e cominciò a correre, una corsa lenta che era una specie di riscaldamento, tanto per preparare i muscoli a quello sforzo a cui li avrebbe sottoposti di lì a poco.
Arrivato al campo da calcio si accigliò notando che era insolitamente occupato da un'altra persona. Non stava correndo, nè calciava un pallone, era solo intento a fumare qualcosa -dall'odore nell'aria doveva trattarsi di erba- con lo sguardo fisso nel vuoto.
Prese a correre nonostante conoscesse bene quel ragazzo che nascondeva lo sguardo sotto l'ombra del cappuccio che portava sulla testa. Si chiamava Trevor McKinley, aveva la stessa età di Chris. Si conoscevano da tre anni.
«Che ci fai sveglio a quest'ora?» chiese Chris a fatica quando gli fu abbastanza vicino, ma non si fermò.
«Sono venuto qui per te, non disprezzarmi»
Chris si chiedeva cosa passasse per la testa a Trevor. In tre anni aveva capito che quel ragazzo dai capelli neri come la pece e gli occhi scuri faceva tutto sempre con un secondo fine. Purtroppo Chris temeva di sapere cosa voleva da lui.
«Tornatene a casa e smettila di fumare quella merda»
Le loro voci echeggiavano per il campo perchè entrambi erano costretti ad alzare un pò i toni per potersi sentire.
«Un tempo la fumavi anche tu»
Chris lo ignorò e prese a correre sempre più veloce. Stettero in silenzio per tutto il tempo, si scambiarono solo qualche sguardo.
Dopo un'ora di stremante corsa, si fermò e emise un specie di rantolo di dolore. Gli facevano male le gambe, non riusciva a respirare, il sudore lo ricopriva dalla testa ai piedi e il cuore gli batteva a mille.
«Fai così pure quando vieni»
«Vaffanculo, Trevor» mormorò Chris lanciandogli uno sguardo inceneritore, poi si andò a sedere su una panchina in legno. Chiuse gli occhi per qualche secondo, quando li riaprì Trevor era già seduto accanto a lui. Nessuno dei due proferì parola finchè il respiro di Chris non ritornò regolare.
«Da quanto tempo non...» disse Chris lasciando la frase in sospeso. Sapeva che avrebbe capito. Trevor abbassò lo sguardo e fece spallucce.
«Da quando tempo non ci vediamo?» gli chiese.
«Mesi» rispose Chris. Gli faceva pure un pò pena perchè Trevor andava a letto solo con lui, il che significava che non faceva sesso da parecchio. 
Calò un silenzio tombale per un paio di minuti, poi Chris si alzò e lo guardò.
«Ho meno di mezz'ora»
L'altro ragazzo si alzò sorridendo malizioso.
«Allora fammi vedere cosa sai fare»

L'avevano fatto. L'avevano fatto e ci avevano messo molto meno di mezz'ora. Quando Trevor era arrivato al culmine del piacere a Chris era quasi venuto da ridere. Ci aveva messo dieci minuti. Una sveltina in piena regola.
«Chris, tu come fai?» gli chiese Trevor d'un tratto. Erano stesi, con il lenzuolo che li copriva a malapena.
«A fare cosa?»
«Come fai a fare sesso con un ragazzo se ti piacciono le donne?»
Chris schiuse le labbra per rispondergli, ma poi le richiuse. Come faceva? Non lo sapeva nemmeno lui. Non si era mai creato tanti problemi, aveva sempre pensato di avere solo una mente molto aperta e non si era mai posto le domande: ti piacciono le donne? Gli uomini? Entrambi?
«Non lo so» rispose.
«Mi spieghi come riesci ad eccitarti con uno come me? Voglio dire, vai a letto con Jane, la differenza fra me e lei è tanta» 
«Non so che dirti, forse mi piacciono pure i maschi»
Trevor rimase in silenzio. Lo invidiava, aveva forza e coraggio da vendere. Avrebbe voluto essere come lui.
Passarono pochi minuti, poi Trevor si alzò e si rivestì.
«Io non so tu come fai, ma l'ultima volta che ci ho provato con una ragazza non ce l'ho fatta» disse mentre si infilava i pantaloni. Sembrava arrabbiato.
«Era moscio?»
«Scherzi? Dire che era moscio è poco»
A Chris sembrò quasi disperato. Reprimeva la sua sessualità in una maniera assurda. Si costringeva in ogni modo ad andare a letto con le ragazze, non faceva sesso per periodi lunghissimi solo perchè non voleva che gli altri conoscessero le sue "preferenze". 
Trevor sapeva di potersi fidare di Chris, gli raccontava dei disagi che aveva con le ragazze e gli diceva spesso che si era eccitato solo al pensiero di un ragazzo. Chris non aveva mai pensato di poter fare sesso con un ragazzo -soprattutto con uno dei suoi migliori amici-, ma quando si era presentata l'occasione aveva acconsentito ai desideri di Trevor senza avere paura di quello che sarebbe successo dopo; era stato tutto estremamente naturale. 
«Perchè non lo dici? Perchè non vai in mezzo alla strada e fermi ogni persona che conosci e gli dici che sei gay?»
«Forse perchè se lo viene a sapere mio padre mi ammazza?» rispose il ragazzo con un tono ovvio.
«Le cose le devi affrontare, sei gay, sei passivo e se lo dici a tutti sei soprattutto te stesso» disse Chris con calma, voleva farlo ragionare e fargli capire che non c'era nulla di male a mostrarsi al mondo senza maschere.
Trevor si sedette sul bordo del letto dandogli le spalle e sospirò, Chris allora si avvicinò a lui e recuperò i suoi boxer mettendoseli subito dopo.
«Mi chiederà se mi piace il sesso violento, mi metterà a novanta, mi sparerà una pallottola nel culo e prima che io possa esalare l'ultimo respiro mi chiederà anche se mi è piaciuto» disse Trevor. Chris era impressionato dalla fervida immaginazione dell'altro, ma conoscendo suo padre non avrebbe escluso del tutto quell'opzione. Era un uomo rigido, uno di quelli che non sa controllare la rabbia, che passa subito alle mani.
«A cinque isolati da qui c'è un gay bar, perchè non ci vai?» gli chiese Chris evitando l'argomento "parenti".
«Vai lì, bevi, parli con qualche ragazzo, magari trovi qualcuno che è nella tua stessa situazione e se non lo trovi ne rimorchi uno che ti scopi come si deve»
Trevor lo guardò impaurito. Chris era stato il suo primo ed unico ragazzo, non aveva mai avuto il coraggio di andare oltre. A volte si rifiutava anche di pensare che ci potessero essere altre persone come lui.
«Lì nessuno ti giudicherà e... chi lo sa, magari incontri qualcuno di speciale» concluse Chris sorridedogli. L'altro si accese una sigaretta pensando a quelle parole. Non aveva tutti i torti, ma era difficile per lui.
Chris gli prese la sigaretta, aspirò un paio di volte, poi la spense. Prima di parlare si schiarì la voce per avere un tono meno comprensivo e apprensivo.
«Ho un quarto d'ora, scappo o scopo?»
Trevor si alzò e si spogliò, poi guardò l'altro ragazzo che lo stava osservando divertito. Lo fece sdraiare e si mise su di lui avvicinando le labbra ad un suo orecchio.
«Scopi» sussurrò prima di far scivolare una mano nei boxer di Chris e dimenticarsi dei problemi.





Eccomi di nuovo!!!
Non scrivendo l'appuntamento fra Chris e Ricky mi sono fatta del male da sola, ma penso sappiate che nella vita non è tutto rose e fiori :c
Riguardo Trevor: tenetelo d'occhio!
Tengo le dita incrociate e spero che il capitolo non faccia troppo schifo. Alla prossima e, se recensirete, grazie in anticipo :3

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Capitolo 5
*** Capitolo 4-Philosophy ***


Capitolo 4- Philosophy.
«Olson?» chiamò una voce maschile e un pò debole.
«Presente» rispose Ricky svogliatamente. Quel giorno il cielo era scuro, l'azzurro era stato completamente inghiottito da quelle enormi nuvole grigie e cariche di pioggia, la temperatura era probabilmente paragonabile a quella della Siberia, i visi delle persone erano stanchi e assonnati.
Ricky sbadigliò poggiando la testa sul banco. La noia si era impossessata di lui perchè la religione non era una materia che gli interessava particolarmente, ma più che noia sentiva una specie di disagio e tristezza. Ogni volta che gli chiedevano cosa c'era che non andava, però, diceva di stare bene. E lui credeva davvero a quelle parole, per Ricky tutto quel malumore nasceva col cadere della pioggia. L'inverno per lui significava solo pianti e apatia. Non sapeva se anche per gli altri fosse così, ma ogni cosa brutta sembrava capitare durante quei terribili mesi in cui il gelo e nebbia la facevano da padroni.
Riaprì gli occhi solo quando sentì la campanella. Era contento che quell'ultima ora fosse volata via, ma affrontare la pioggia per ritornare a casa non lo motivava di certo a correre fuori dall'edificio.
Si alzò e trascinò fuori se stesso e la sua borsa troppo pesante. 
Era arrivato a casa completamente bagnato e con una conclusione: gli ombrelli erano la cosa più inutile mai inventata.
Si fece subito una doccia e asciugò i capelli. Scese nel salone dove i suoi genitori erano già seduti e lo aspettavano per il pranzo. Mangiò in silenzio, non ascoltava i discorsi di suo padre -che stranamente quel giorno era tornato per pranzo- e nemmeno quelli di sua madre. Se ne stette solo lì finchè suo padre non disse che sarebbe uscito per ritornare a lavoro.
«Mi puoi accompagnare da Mike?» gli chiese Ricky.
«È la terza volta che ti porto da Mike nell'ultimo periodo, devo controllarti?»
Ricky roteò gli occhi. I suoi genitori erano abbastanza aperti e gli lasciavano fare un pò tutto, ma c'era un "no categorico" sui tatuaggi. Erano qualcosa di troppo permanente, dicevano. Lui era troppo immaturo per prendere una decisione simile, dicevano.
«Oh, hai ragione, dal collo in giù sono pieno di tatuaggi, perdonami per avertelo nascosto» rispose il ragazzo con un tono teatrale. Suo padre sospirò e gli disse di filare in macchina. Il trucchetto del dire la verità come se si stesse dicendo una bugia funzionava sempre.

Scese dalla macchina salutando velocemente suo padre e corse nel negozio.
«Ciao Mike» disse Ricky chiudendo la porta alle sue spalle.
«Hei Ricky, come mai sei qui? C'è qualcosa che non va nel tatuaggio?» gli chiese l'uomo quasi preoccupato. Non avevano un appuntamento nè il ragazzo l'aveva avvertito che sarebbe passato.
«No, va tutto bene» rispose Ricky guardandosi intorno. C'erano un paio di persone in attesa, e una ragazza stava sdraiata a pancia in giù sul lettino mentre Chip, chino su di lei, le stava tatuando qualcosa sulla parte bassa della schiena.
«Ehm... stavo pensando di fare un piercing» continuò mentre Mike si allontanava dal suo bancone, già intento a chiamare Grace. La donna arrivò subito nella sua esuberante pelliccia zebrata e negli immancabili stivali da cowboy. Dopo pochi convenevoli si spostarono alla postazione di Grace, Ricky si sdraiò sul lettino e si tolse la maglia.
«Come mai un piercing al capezzolo?»
«Perchè quello che ho fatto l'anno scorso si è chiuso» rispose lui tranquillamente. Grace non sapeva se crederci, ma eseguì il suo lavoro senza fiatare. Non sapeva bene che rapporto avessero lui e Mike, ma il suo capo pareva tenerci molto a quel ragazzino.
Quando Grace portò a termine il suo lavoro, Ricky si alzò e si rivestì.
«Grace, posso chiederti una cosa?»
La donna annuì.
«Ma quel ragazzo... quello che lavora qui... Chris» 
Abbassò lo sguardo e Grace subito intervenne.
«Oggi ha lavorato di mattina» disse.
«Poverino, Mike lo fa sgobbare» sussurrò fra se e se.
«Quindi tu potresti fargli avere... il mio numero?» chiese Ricky abbassando la voce mentre pronunciava le ultime parole.
«Perchè?» chiese la donna ormai incuriosita.
«Doveva farmi vedere una cosa qualche giorno fa, ma non si è fatto più sentire»
Grace gli disse che avrebbe provveduto a dargli il numero e Ricky la ringraziò.
«Comunque non credo che ti volesse dare buca, Mike lo fa stare qui fino a tardi e a volte vanno via insieme, sai gli sta insegnando a tatuare quindi fanno le ore piccole»
Ricky rimase piacevolmente sorpreso. Non era molto sicuro di voler lasciare il numero a Chris, infondo quattro giorni prima l'aveva aspettato per un'ora al freddo, ma la voglia di rivederlo era inspiegabilmente più grande dell'orgoglio e le parole di Grace l'avevano convinto che meritava un'altra possibilità.

Il cellulare squillò alle 22:17. Ricky scavò fra tutti quei libri che occupavano gran parte del letto. Era tardi, ma stava cercando di studiare perchè aveva passato tutto il pomeriggio a controllarsi il piercing, ad appisolarsi sul suo lato preferito del letto, a tenere sotto controllo il cellulare e ad aprire e chiudere i libri senza alcun risultato.
Trovò il cellulare sotto il voluminoso libro di filosofia. Non conosceva il numero e gli angoli della sua bocca si sollevarono automaticamente.
«Pronto» rispose velocemente.
«Ciao Ricky, sono Chris» sussurrò il ragazzo con un pò di incertezza.
«Ciao Chris» disse Ricky alzandosi dal letto. Aveva il brutto vizio di andare avanti e indietro mentre parlava al telefono, poi quella non era una chiamata come le altre. Sentiva una specie di formicolio nelle gambe e le guance gli bruciavano al solo sentirlo respirare. Gli piaceva il suono di quella voce.
«Scusa se ti ho chiamato a quest'ora, ho avuto delle cose da fare oggi»
«Non preoccuparti, stavo ancora studiando»
Ci fu un pò di silenzio , poi Ricky prese di nuovo a parlare.
«Perchè l'altro giorno non sei venuto? Ti ho aspettato» disse tentando di non fargli pena, non era quella la sua intenzione, voleva solo sapere se era successo qualcosa. Chris allora gli spiegò quello che era successo e Ricky gli fece capire che comprendeva la situazione.
«Però voglio vedere ancora i tuoi disegni» disse Ricky. Era entrato lentamente nella conversazione -era sempre così- e stava cominciando a sentirsi a suo agio.
«E io voglio farteli vedere, è solo che...» 
Ricky sentì Chris sbuffare.
«C'è qualche problema?» gli chiese.
«È solo che prevedo di non avere un minuto libero per i prossimi cinquant'anni» concluse Chris.
«Facciamo così, quando trovi dieci minuti mi avverti»
Chris sussurrò un "okay" quasi sforzato. Non avrebbe voluto dargli false speranze, per questo avrebbe tentato in ogni modo di trovare un pò di tempo da dedicare a Ricky.
«Bè, che hai fatto oggi?» 
Ricky sorrise e si toccò una guancia che era diventata rossa e calda. A Chris interessava quello che aveva fatto.
«Sono andato a scuola, mi sono annoiato, sono tornato a casa zuppo dalla testa ai piedi, poi ho dormito un pò e adesso stavo studiando filosofia»
«Che cosa si può pretendere da un mondo in cui quasi tutti vivono soltanto perchè non hanno il coraggio di suicidarsi?» sussurrò Chris.
«Schopenhauer» esclamò Ricky stupito. Chris rise.
«L'unico filosofo che ho studiato per bene, lui aveva capito tutto»
«E che cosa aveva capito? Che la vita di un individuo è solo il risultato del dolore proprio e altrui? Che il positivismo è solo una grande stronzata inventata da un francese schizzato con un cognome di merda?» chiese Ricky annoiato. Non gli piaceva per niente la filosofia, ma comunque doveva ammettere che fra i tanti filosofi Schopenhauer era il suo preferito.
«Comte era un idiota, Schopenhauer invece se ne fregava dell'amore, del romanticismo e del progresso, aveva ragione quando diceva che noi smettiamo di lamentarci delle sofferenze della vita solo quando moriamo, che consoliamo le pene della vita pensando a quelle della morte e viceversa, che noi ci aggrappiamo ad una volontà immotivata di vivere perchè nessuno di noi è davvero in grado di esistere» spiegò Chris quasi incantato dalle sue stesse parole. La sua professoressa di filosofia era stata brava a fargli comprendere quei ragionamenti filosofici spesso molto complessi. Sorrise pensando che probabilmente, sentendolo parlare in quel modo, sarebbe stata fiera di lui.
«Lui voleva far capire che l'uomo soffre di solitudine perchè è incapace di accettare la felicità... non siamo in grado di fare altro, ci autodistruggiamo fisicamente e moralmente, ci mettiamo in catene quando invece potremmo aprire le ali, ci lamentiamo in continuazione, ma senza tutto questo dolore saremmo indescrivibilmente vuoti e annoiati e saremmo capaci di lamentarci anche di questo»
Ricky rimase in silenzio per qualche istante. Quel momento era così perfetto e quelle parole l'avevano colpito. In effetti era la stessa cosa che gli spiegavano a scuola, ma detto da Chris risultava più interessante... o forse più sentito. E ancora una volta si ritrovò a pensare che Chris avesse la voce più bella che avesse mai sentito.
«Non ci appaga sapere che quel poco che abbiamo può renderci felici» sussurrò. Non sapeva bene cosa dire per non risultare uno stupido.
«Già, basterebbe accontentarci, così tutti vivremmo in un'assoluta libertà» disse poi Chris.
«Abbiamo un animo cupo che è consapevole di tutto ciò, ma che decide lo stesso di restare in solitudine»
Chris sorrise e poi prese un grande respiro mordendosi il labbro delicatamente.
«Ricky, mi stai facendo fare un discorso sull'animo umano a quest'ora, dopo una giornata estremamente stressante... devi avere qualcosa di speciale»
Ricky si sentì di nuovo arrossire. Quelle parole sembravano talmente sincere che Ricky stentava a credere che fossero rivolte a lui. Non voleva sembrare un montato, ma pensava davvero di avere qualcosa di profondo che aspettava di venire fuori con l'aiuto di qualcuno.
«Non credo» rispose per non sembrare, appunto, un montato. Essere Richard Olson poteva facilmente precipitare in qualcosa di estremamente artificioso, qualcuno poteva pensare che accettare subito un complimento fosse sinonimo della totale consapevolezza di essere il migliore. Nella sua mente scaturiva tutto dal fatto che era ricco sfondato, ma non sapeva nemmeno se Chris era al corrente della sua situazione economica. Lui stesso pensava che ostentare la propria ricchezza di tanto in tanto l'avrebbe messo in una posizione scomoda; era uno di quelli che non sopportava l'idea di sembrare un ragazzino ricco e viziato perchè non lo era affatto.
«Credo proprio che lo troverò un pò di tempo per te» disse Chris distraendo Ricky dai suoi pensieri che avevano preso il sopravvento sulla chiacchierata mettendo a tacere le parole.
«Non vedo l'ora» rispose con una voce calma. Si sentiva eccitato all'idea di vederlo, avrebbe aspettato una sua chiamata come si aspetta il calore del sole dopo una giornata rigida. Poteva sentire già l'ansia crescere.
«Allora ci sentiamo presto, okay?» chiese Chris quasi timoroso. Non capiva da dove nasceva quella paura, non c'era motivo di averne, Ricky non aveva ragione di dirgli di no.
«Sì» rispose l'altro, poi si salutarono e Ricky si lasciò cadere sul letto con un sorriso alquanto ebete sul volto. La prima idea che gli venne fu quella di avvisare tutti i suoi amici, ma mentre stava per digitare il numero di Ryan -che conosceva a memoria-, si ricordò che non poteva farlo, doveva limitarsi a parlarne con Angelo. Aspettò al telefono per un minuto, poi sentì la voce di angelo dire:«I Parente non sono in casa, lascia un messaggio se vuoi dirci qualcosa di interessante altrimenti non ci rompere più le scatole e vaffanculo»
Ricky scoppiò a ridere. Il messaggio della segreteria telefonica era di proprietà di Angelo. 
«Cretino, sono Ricky, chiamami» disse riagganciando. Circa tre secondi dopo il cellulare di Ricky squillo.
«Scusa, era troppo pigro per rispondere, ma per te ho fatto un'eccezione» disse Angelo con una voce assonnata. Ricky già sapeva che si era alzato dal divano -lo si poteva trovare sempre lì- e si era trascinato verso il telefono, tipo bradipo.
«Domani vieni a pranzo da me, vero?»
«Ehm... vero» rispose Angelo un pò spaesato. 
«Bene, ti devo parlare» 

La ricreazione era appena cominciata e Ricky, come sempre, aspettava i suoi amici seduto sul muretto in marmo. Vide Ryan correre verso di lui.
«Non fare domande» gli disse appena fu abbastanza vicino. Ricky non capì e l'altro se ne accorse.
«Non te lo posso spiegare, ma capirai presto e comunque non fare domande»
Ricky annuì mentre Ryan si sedeva accanto a lui. Subito dopo Josh e Angelo uscirono dall'edificio seguiti da Devin che camminava a testa bassa. Quando arrivarono accanto ai sue ragazzi, Devin si sedette un pò più in disparte, nessuno diceva niente, lo sguardo di Ricky era fisso sul viso di Devin. Più che sul suo viso, si stava concentrando sui lividi che portava. Non riusciva a capire perchè Ryan gli avesse detto di non chiedere nulla, voleva sapere se c'era qualcosa che non andava, soprattutto se riguardava uno dei suoi migliori amici.
Quando Devin sembrava distratto, Ricky rivolse uno sguardo interrogativo a Josh e lui rispose alzando le spalle e scuotendo la testa. 
«Ehm...Ricky mi accompagni al bar?» chiese Ryan e l'altro annuì alzandosi e seguendolo nell'edificio fino al secondo piano. Stettero in silenzio finchè non arrivarono al bar della scuola. Ryan comprò una busta di patatine e poi uscirono dalla porta finestra e si affacciarono dal balcone. La visuale era quella di una strada asfaltata male e oltre a quest'ultima solo tante piante. Se ne andavano lì se avevano voglia di fumare, nessuno li avrebbe visti o disturbati.
Ryan aprì la busta di patatine e Ricky tirò fuori le sigarette offrendone una al suo amico.
«Cosa diavolo è successo a Devin?» gli chiese, ma Ryan rispose dicendo che non ne sapeva niente.
«Non dire stronzate, mi hai detto di non fare domande e dopo due secondi mi ritrovo Devin con la faccia piena di lividi, tu devi sapere qualcosa»
Ryan sospirò.
«Non posso dirti niente»
«Ah, non puoi? Non puoi dirmi chi diavolo l'ha ridotto così? È stato suo padre?»
«No» rispose Ryan evitando lo sguardo indagatore di Ricky.
«E allora chi?» 
A quel punto Ryan scoppiò, come un vulcano in eruzione, come l'acqua che trabocca dai margini di un fiume durante una piena.
«Maledizione Ricky, non te lo posso dire, non posso, se Dev è venuto a dirlo a me e non a te avrà i suoi buoni motivi che io non conosco, ti ho detto di non chiedergli niente perchè so che l'avresti solo messo in imbarazzo, ma se tu sei così incapace di farti i cazzi tuoi allora vai a chiedere spiegazioni a lui»
Proprio in quell'istante comparve Josh che si schiarì la voce per richiamare l'attenzione dei due. Non si erano per niente accorti della presenza del loro amico.
«Ryan, una certa Cheryl ti sta cercando»
«Chi è Cheryl?» chiese l'altro spaesato.
«Che cazzo ne so, ti cercava»
Ryan sembrò rifletterci un pò, poi fu come se gli si fosse accesa una lampadina.
«Oh, sì, Cheryl... dovevo aiutarla per il compito di matematica» disse recuperando la sua borsa e le patatine, poi lasciò la sigaretta a Josh e guardò Ricky per qualche secondo prima di andare via senza nemmeno salutarli.
Josh non sapeva che fare, ma non poteva andarsene visto che aveva sentito la chiacchierata, o almeno quello che aveva detto Ryan. Si avvicinò all'altro ragazzo e fumarono in silenzio. Ricky era confuso. Non riusciva a capire cosa fosse successo a Devin e perchè Ryan sapeva e non voleva parlare. Era da apprezzare la fedeltà che aveva nei confronti di Devin, ma se aveva dei problemi, se loro potevano aiutarlo in qualche modo, non capiva perchè non dovessero esserne al corrente tutti.
«Che cazzo gli è successo, Josh? Chi l'ha ridotto in quel modo?»
«Non lo so, ma ho intenzione di scoprirlo»

Le voci di Ricky e Angelo rimbombavano fra le pareti di casa Olson. Erano intenti a giocare alla PlayStation, i loro occhi erano praticamente incollati al televisore mentre si scuotevano e si prendevano a gomitate seduti sul divano. Avevano pranzato da soli -i genitori di Ricky non c'erano di nuovo- e da circa un'ora se ne stavano lì a perdere tempo. Sulla strada del ritorno avevano parlato per tutto il tempo di Devin, ma ogni discorso era svanito insieme al fumo che fuoriusciva da quel groviglio di spaghetti al sugo che avevano mangiato.
«Ho vinto» esultò Ricky saltando sul divano e ridendo della sconfitta del suo amico.
«Ti ho lasciato vincere, è diverso» disse Angelo amaramente.
«Non è vero, sei un perdente» protestò Ricky puntandogli il dito contro.
«Solo perchè una volta su dieci vinci tu non significa che io sia un perdente, bastardo» disse tirandolo giù dal divano.
«E non puntarmi con quel dito orribile che ti ritrovi» continuò Angelo. La litigata si prolungò per almeno cinque minuti, poi Angelo decise di rinunciarci. Se ne stettero per qualche minuto in silenzio, ognuno assorto nei proprio pensieri, finchè Ricky non si decise a parlare.
«Si chiama Chris, ha un sorriso bellissimo, è intelligente e lavora da Mike» disse tutto d'un fiato. Angelo invece di fiato sembrava non averne più. Non poteva crederci, aveva già trovato qualcuno che gli interessava? Come diavolo era possibile?
«Non dici niente?» gli chiese Ricky intimorito da quel silenzio.
«Sto solo... sto tentando di capire»
Ricky aspettò per pochi secondi poi cominciò a raccontargli tutta la storia: dalla prima volta che aveva visto i suoi occhi, a quando lui gli aveva offerto il caffè, a quando non si era presentato all'appuntamento. Tutto, fino alla telefonata della sera precedente.
Angelo non poteva fare a meno di stupirsi di tutta quell'enfasi che Ricky metteva in quel racconto.
«Wow» sussurrò Angelo e Ricky assunse uno sguardo ricco di delusione.
«Non mi dici altro?»
Angelo inspirò quanta più aria possibile e si mise più comodo sul divano girandosi verso l'altro ragazzo.
«È che non so che dire, è strano»
«Ma guarda che ti ho solo detto di aver conosciuto un ragazzo» cominciò Ricky sentendosi un pò a disagio.
«E non mi sto costruendo castelli in aria come stai pensando tu, quel ragazzo ha qualcosa di interessante e... e poi sei stato tu a dirmi di andare avanti senza paura, no?»
Angelo annuì pentendosi di quello che gli aveva detto. Sapeva che Ricky prendeva sempre alla lettera tutto.
«Bene, allora se deve succedere qualcosa, succederà»
«Okay, ma stai attento, non sai niente di lui»
«Hai ragione, non lo so se gli piacciono i maschi» disse Ricky quasi incattivito da quel commento.
«Sai che non intendevo questo... cioè, non solo questo»
Angelo cominciava a non riuscire a spiegarsi. Odiava quando sapeva bene cosa voleva dire, ma non trovava le parole giuste.
«Ho capito, Angelo, non c'è bisogno che vai avanti... ma se io gli dovessi piacere, tu saresti contento per me?» chiese ingenuamente.
«Ma certo, cretino, perchè non dovrei?» 
I due si sorrisero, poi Angelo pose una domanda a cui Ricky non seppe dare risposta.
«Chris sta per Christian o Christopher?»




Eccomi con un enorme ritardo, mi dispiace moltissimo ç.ç non succederà più (spero). Comunque io mi sono divertita tanto a scrivere questo capitolo, sarei felice di sapere se a voi è piaciuto tanto quanto è piaciuto a me *-*
Alla prossima, un bacio grande a tutti!

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Capitolo 6
*** Capitolo 5-Tonight is the night ***


Capitolo 5- Tonight is the night.
«Ho un appuntamento» disse Chris aspirando il fumo. Jane, seduta sul davanzale della finestra con addosso solo un paio di mutandine in pizzo e i capelli a coprirle i seni, rimase con il braccio a mezz'aria, non riuscì a portarsi la sigaretta alle labbra.
«Cioè, non è proprio un appuntamento e non so nemmeno quando ci vedremo» precisò il ragazzo.
«Come si chiama?»
Chris abbassò lo sguardo per un pò. Non sapeva se dirle la verità, cioè che avrebbe visto un ragazzo.
«Ricky» sussurrò infine.
«Un ragazzo?» chiese incredula. Dentro di se però sapeva che Chris aveva qualche oscura perversione. Sempre che voler andare a letto con un ragazzo fosse qualcosa di oscuro.
Il ragazzo annuì alla domanda senza aggiungere nulla. Non sarebbe servito e per lui non c'era niente di strano.
«Ti piace?»
«No... cioè non lo so, sembra simpatico»
Nel silenzio tombale che c'era in quella stanza, si sentì chiaramente il rumore della brace della sigaretta di Jane che, a contatto con il posacenere in ceramica, si spegneva lentamente. Sentiva come un senso di gelosia, non perchè Chris fosse di sua "proprietà", ma perchè vedeva qualcosa di strano nei suoi occhi. Se si fosse impegnato con qualcuno probabilmente non l'avrebbe più rivisto. 
Chris la osservò mentre  poggiava i piedi per terra con delicatezza, mentre abbassava quell'unico indumento che portava addosso, mentre camminava verso di lui con i lunghi capelli che le  cadevano sulle spalle. Nonostante fosse una cosa che aveva sempre notato, gli parve strano che quella ragazza non sembrasse mai volgare. L'aveva vista in situazioni anche poco decorose, ma non aveva mai perso quella delicatezza e eleganza che la caratterizzava. 
«Jane, in realtà dovrei tornare a casa è tardi e sono stanco» biascicò mentre lei saliva sul letto e gattonava verso di lui. Ovviamente le sue lamentele non servirono a dissuadere la ragazza che gli lasciò una scia di baci umidi sul collo. Chris la fermò. Jane non sembrò comprendere le sue intenzioni finchè sul viso di Chris non comparve un sorrisino sghembo che normalmente sarebbe sembrato dolce, ma non in quella situazione, non abbinato ad uno sguardo che di dolcezza sembrava non averne mai sentito parlare.
Si scambiarono un bacio appassionato e Jane si lasciò sovrastare dal corpo caldo di Chris.

Gli occhi di Chris si aprirono lentamente. Una sveglia sul comodino segnava le 06:45. Gli occhi gli si chiusero di nuovo, poi si accigliò riaprendoli subito dopo. Non riusciva a rendersi conto di dove fosse. Perchè la sveglia non aveva suonato? Perchè il letto era così comodo?
Sentiva qualcosa cingergli il braccio e, muovendosi, capì cosa era successo: si era addormentato e ovviamente Jane non l'aveva svegliato per dirgli di tornare a casa.
Si liberò dalla stretta della ragazza e raccattò i suoi vestiti alla svelta. Doveva sbrigarsi a tornare a casa. Quasi non sopportava l'idea di aver lasciato i suoi fratelli da soli per una notte intera. Non l'aveva mai fatto, in diciotto anni quella era la prima volta. Ma d'altronde, col casino che regnava in casa sua, non poteva permetterselo.
Uscì di casa e sentì il freddo pizzicargli i pochi lembi di pelle nuda. C'era solo un pò di vento, ma faceva freddo. Si diresse verso casa sua e appena entrò sentì come una specie di tepore che lo fece sciogliere. La odiava, non aveva bei ricordi, quei muri gli facevano tornare alla mente solo le lacrime, le percosse, le urla disperate, il sangue. Era la sceneggiatura perfetta per un film dell'orrore, il film era la sua vita e lui il protagonista. Però era casa sua, la stessa casa in cui tutte le notti tornava per dormire, la casa in cui aveva visto crescere i suoi fratelli e in cui lui stesso era cresciuto, la casa in cui a dodici anni aveva dato il suo primo bacio alla figlia di un'amica di sua mamma, la stessa casa in cui tutto era andato a rotoli e quindi aveva dovuto smetterla di piangere e cominciare a prendere il toro per le corna.
Sospirò andando nella sua camera a svegliare Jonathan  e Betsy che, stranamente, quella mattina non fecero troppe storie. Aiutò suo fratello a lavarsi e vestirsi mentre Betsy preparava un specie di colazione. Mangiarono velocemente tutti insieme, poi Betsy corse a prepararsi. La fermata dell'autobus era vicino casa quindi Chris, prima di vederli uscire di casa mano nella mano, si raccomandò con Betsy di stare attenta a Jonathan. Quella scena si ripeteva tutte le mattine, come da copione Chris pronunciava quelle poche parole e lei roteava gli occhi rispondendogli che, nonostante fosse piccola, sapeva già come comportarsi.
«So cosa fare, non sono più una bambina» disse precisamente quella mattina.
Quando uscirono di casa, Chris andò in bagno per farsi una doccia, ma trovò la porta chiusa a chiave.  Non si era accorto che nel frattempo sua madre si era alzata. Sentiva dei rumori, ma anche bussando o chiamandola per nome, lei non rispondeva. A un certo punto, però, la donna spalancò la porta urlando che in quella casa non si poteva avere un minuto di pace, che nemmeno in bagno si poteva andare.
Chris pensò che era vero, ma lui doveva prepararsi per affrontare una giornata di lavoro, non se ne sarebbe di certo stato in casa a poltrire come lei, non avrebbe avuto il tempo di farsi un bagno caldo, nè di prepararsi un pasto decente. Ma formulò quel pensiero solo quando la voce di sua madre fu abbastanza lontana da arrivargli ovattata. Entrò in bagno lasciandosi alle spalle le parole di sua madre che sarebbero potute degenerare in una litigata se solo lui avesse risposto.

L'orologio segnava le 20:00 in punto quando Mike uscì dal suo studio e disse a Chris che poteva andare. Di solito andava via alle 21:30 circa -salvo imprevisti- quindi il ragazzo, prima di andare via, ci pensò su  e arrivò alla conclusione che quello potesse essere uno scherzo, forse qualcosa per metterlo alla prova. Ma quando fu fuori dal negozio, con l'aria fredda che gli ghiacciava anche i polmoni, quei pensieri svanirono e gli sembrò come se si fosse appena risvegliato da un sonno profondo. Lavorare lì lo rilassava, in fondo lo pagavano per fare una cosa che a lui piaceva. 
Si diresse verso casa e quando entrò la trovò vuota, buia, silenziosa. Betsy l'aveva chiamato a pranzo e gli aveva detto che sarebbe restata a dormire a casa di Michelle, Jonathan era a casa di una loro vicina che si era offerta di aiutarli quando non c'era nessuno. Quella donna, Rose, li aveva visti crescere e li aveva soccorsi ogni volta che uno di loro correva alla sua porta in cerca di aiuto. Chris poteva ricordare bene quando, a nove anni, si era arrampicato su un albero ed era caduto da un'altezza notevole riempiendosi di graffi e spaccandosi il labbro; lei gli aveva medicato ogni singola ferita, si era presa cura di lui in ogni modo e Chris non sapeva perchè lo faceva, ma le era inspiegabilmente grato.
Si fece una doccia che dovette essere per forza rapida perchè l'acqua calda lo abbandonò proprio quando doveva risciacquarsi. In boxer e con i capelli bagnati andò in cucina a prepararsi un panino. Sul tavolo vide delle carte sparpagliate e sbuffò sonoramente pensando che per pagare le bollette presto si sarebbe venduto un rene.
Mangiò in un silenzio tombale poi andò a vestirsi e tirò fuori tutti i soldi che aveva, poi tornò in cucina. Doveva contarli e dividerli in quelli che gli sarebbero serviti per le bollette, in quelli che doveva usare per comprare le medicine a Jonathan, in quelli per la spesa e in quelli da mettere da parte per le "emergenze". Ma qualcosa andò storto in quel conto meccanico che ripeteva settimanalmente. Mancavano dei soldi, quasi la metà, e quelli che aveva non sarebbero serviti a molto. Stette fermo lì a pensare per parecchio tempo, non voleva ammetterlo a se stesso, ma sapeva chi li aveva presi.
Si alzò e andò in camera da letto. C'era puzza di chiuso, di fumo, di polvere. Sua madre era a letto, dormiva. Pensò che fosse depressa visto che passava la sua vita in casa, sotto le coperte e spesso piangeva, ma quando quel male aveva aggredito lui a lei non era importato nulla quindi se ne fregò altamente.
«Mamma, sai se è passato papà?» le chiese dopo essersi accertato che fosse sveglia e vigile.
«Prima ho sentito la porta sbattere, forse era lui»
Il ragazzo sospirò e tornò in cucina. Era talmente arrabbiato che non riusciva a muoversi, poteva sentire la rabbia inondargli il corpo e annebbiargli la mente. Quello che mandava fuori di testa Chris non era che suo padre gli avesse rubato i soldi -a quello c'erano abituati tutti-, ma che lo avesse fatto sapendo che quei soldi gli servivano per i numerosi medicinali di Jonathan. Non poteva evitare di somministrarglieli, o forse sì, ma se l'avesse fatto Jonathan sarebbe morto nel giro di qualche mese, massimo un anno.
Passò qualche minuto a riflettere su dove potesse essere suo padre, ma lui non aveva un bar o un pub preferito dove lo si potesse sempre trovare, gli piaceva qualsiasi posto dove si potesse bere fino a svenire. 
Prese il cellulare chiamò Trevor, solo lui poteva aiutarlo.
«Ciao Chris» rispose il ragazzo con una voce compiaciuta. Era sorpreso del fatto che Chris si facesse sentire, di solito lo si doveva sempre cercare perchè, nella combriccola, lui era quello che non chiamava mai nessuno.
«Ciao» si sbrigò a salutarlo.
«Senti, Trevor, hai qualche lavoretto per me?» gli chiese poi senza perdere altro tempo.
«Vuoi tornare nel giro, Chris?»
«No, ma mi servono soldi»
Trevor pensò qualche secondo poi gli disse di passare a casa sua il giorno dopo.
«Trevor, per favore, se vedi mio padre spezzagli le ossa, digli che ti mando io e prendigli tutti i soldi che ha» disse Chris sperando con tutto se stesso di ricevere presto una chiamata dall'ospedale.
«Wow, deve averti fatto arrabbiare tanto»
«Non immagini quanto, a domani»
Riagganciò e rimise tutto in ordine, poi  controllò l'ora. Erano le 21:24. Per lui quello era un orario davvero insolito per mettersi a letto, ma doveva solo rilassarsi qualche minuto, poi sarebbe andato da Rose a riprendere Jonathan, l'avrebbe aiutato a mangiare, a lavarsi e a mettersi a letto. Lasciò che la rabbia e la tensione si sciogliessero e fuoriuscissero completamente dal suo corpo, poi si alzò e in quel momento un pensiero attraversò la sua mente. Senza nemmeno accorgersene aveva cercato il numero e ora era lì, quasi trepidante, con il sorriso sul volto.
«Pronto» rispose una voce timida.
«Ciao Ricky»
«Hei, Chris, come va?»
«Ehm, tutto bene... senti, lo so che è un pò tardi, ma mi chiedevo se-» 
Ricky lo interruppe con una vocina eccitata che Chris interpretò bene, ma non rise nè gli disse di essere meno entusiasta.
«Non fa niente, mi va, dove ci vediamo?»

Quando Ricky arrivò fuori al pub dove si erano dati appuntamento, Chris era già lì. Stava fumando appoggiato al muretto che circondava il locale. In un primo momento fu imbarazzante per entrambi, ma una volta entrati nel pub la situazione cambiò radicalmente. Entrambi pensarono che fosse per quell'atmosfera calda che li circondava. Chris sorrise. Aveva scelto bene. Quello era un pub diverso dagli altri, non c'erano ubriaconi nè ragazzini pronti a voler fare a botte, si poteva parlare senza correre il rischio di essere ascoltati dagli altri, era carino e accogliente ma non abbastanza da farlo sembrare romantico. Era semplicemente perfetto.
Qualche minuto dopo arrivò una cameriera che prese le ordinazioni. Entrambi optarono per una semplice birra alla spina.
«Quindi Mike ti sta aiutando?» chiese Ricky.
«Sì, direi di sì, stasera mi ha mandato via prima però, probabilmente domani mi terrà impegnato fino all'alba» rise Chris anche se dentro di se voleva morire. Svegliarsi alle cinque del mattino e andare a dormire a tarda notte erano due cose che non andavano d'accordo.
Ricky si accorse che c'era qualcosa che non andava allora abbassò lo sguardo, ma Chris non poteva permettere che quella conversazione terminasse così.
«Ma io voglio imparare quindi sfodererò i miei super poteri  e ce la farò»
Si guardarono per qualche secondo, erano due sguardi completamente diversi che si incrociavano, due occhi castani che sfioravano i lineamenti perfetti dell'altro, due occhi azzurri che celavano l'avanzare di un dolce desiderio.
Quel silenzio per niente imbarazzante venne interrotto dall'arrivo di una cameriera diversa dalla prima che poggiò i due bicchieri stracolmi di bira sul tavolo. I due ragazzi la guardarono con disapprovazione. Nessuno dei due avrebbe voluto interrompere quel momento.
Quando la ragazza andò via, Ricky si sentì un pò in imbarazzo. Gli sembrò come se averlo guardato in quel modo avesse reso quella situazione equivoca. Anche se per lui non c'era nulla di equivoco. Per quanto lo si volesse negare, quello non sembrava un incontro fra due ragazzi che vogliono solo fare amicizia. Il loro rapporto stava nascendo in un modo diverso, in una maniera davvero strana Chris si era insinuato fra i pensieri di Ricky e, ogni volta che il ricordo del suo viso gli tornava alla mente, un sorriso si dipingeva sul suo volto e qualcosa si stringeva dentro di lui. Non poteva succedergli se l'unico interesse verso di lui fosse quello di avere una bella amicizia.
«Posso?» chiese prendendo il raccoglitore che se ne stava in un angolo del tavolo. Chris annuì cominciando a bere la sua birra. Si sentiva sempre molto nervoso quando qualcuno guardava i suoi disegni. Era come se in ognuno di essi ci fosse qualcosa di davvero sbagliato, qualcosa che lo rovinava completamente. Invece, quando era lui a guardarli, gli sembravano perfetti.
Osservò Ricky mentre teneva in mano quei fogli e la sua espressione stupita lo rilassò. 
Quando quella "tortura" finì, Ricky guardò Chris sorridendo.
«Sono bellissimi, Chris» disse dando un'altra occhiata veloce ai fogli.
«Davvero, li adoro, hai talento»
Chris tentò di non sembrare troppo compiaciuto mentre sorrideva per quel complimento, ma lo era; gli piaceva sentirsi dire di essere bravo in qualcosa.
«Grazie» 
«Figurati, io invece sono davvero negato, non so disegnare nemmeno un cestino con la frutta» 
Chris scoppiò a ridere.
«Credimi, quello non saprei disegnarlo nemmeno io» disse.
«A te invece cosa piace?» gli domandò bevendo ancora e portando quel liquido frizzante a metà bicchiere.
«Non lo so» mormorò pensieroso Ricky.
«Ehm, mi piace la pizza, questo basta?» chiese speranzoso. Voleva uscire da quel discorso visto che non sapeva cosa dirgli. Aveva tante passioni, ma non ne metteva in atto nemmeno una. Era troppo pigro e spesso non faceva qualcosa solo per paura di non riuscirci.
«Direi di si... per ora» 
Ricky cominciò solo in quel momento a bere, ma finì la sua bevanda nel giro di pochi minuti. Quel "per ora" quasi sussurrato l'aveva colto impreparato. Si sentiva così nervoso. Aveva Chris seduto di fronte a se, ma il pensiero di uscirci di nuovo, di stabilirci un rapporto che si sarebbe prolungato nel tempo, gli faceva tremare le mani.

Finito di bere decisero di andare a fare una passeggiata, ma quando passarono accanto al parco Ricky decise che era arrivato il momento di sedersi quindi cercarono una panchina che non fosse troppo esposta, ma nemmeno troppo appartata. Una volta trovata quella giusta si sedettero uno accanto all'altro e Chris si fermò ad osservare Ricky mentre l'altro sembrava non avere nemmeno il coraggio di guardarlo. 
La mente di Chris si stava lentamente liberando da ogni pensiero o problema che lo ingabbiava tutti i giorni della sua vita. Non sentiva più nulla, il suo corpo si stava intiepidendo, ogni rumore era così lontano da sembrargli impercettibile. La luce di un lampione poco distante illuminava quella carnagione quasi bianca e la rendeva perfetta.
Ricky alzò lo sguardo e si sentì in imbarazzo più di prima e non perchè Chris lo stesse guardando in quel modo, ma perchè nessuno l'aveva mai guardato così. Forse, più che in imbarazzo, si sentiva lusingato.
«Che c'è?» gli chiese. Chris alzò le spalle e gli sorrise.
«Niente, pensavo»
Ci fu ancora qualche secondo di silenzio, poi Chris si alzò.
«Aspettami qui, torno subito» 
«Sicuro che non scompari nel nulla?» domandò Ricky tentando di sembrare ironico, ma un pò di paura l'aveva davvero.
«Mh, te lo faccio sapere quando torno» 
Risero e poi Chis corse via. In un attimo era fuori dal parco. A qualche metro di distanza c'era il bar più brutto in cui Chris avesse mai messo piede, ma conosceva i proprietari quindi ogni tanto ci andava.
«Ciao Chris, come mai qui a quest'ora?» gli chiese il ragazzo che stava alla cassa.
«Mi servono due matite» rispose lui di fretta, ma dando un'occhiata dietro al bancone. Non c'era nessuno ed era meglio così altrimenti di sicuro l'avrebbero intrattenuto. 
Il ragazzo aggrottò la fronte, poi tirò fuori tutte le matite che aveva e Chris ne scelse due che potessero andare bene.
«Mi sa che non te le riporto, grazie»
Mentre tornava al parco di corsa controllò il cellulare . Aveva chiamato Rose prima di uscire e le aveva chiesto se poteva tenere Jonathan ancora per qualche ora e lei aveva accettato. Controllava solo per assicurarsi che fosse tutto a posto.
«Hei, a quanto pare non sono scomparso» disse sedendosi accanto a Ricky che nel frattempo si era mangiucchiato quattro unghie. Appena vide Chris, però, smise subito.
«Sei stato via quattro minuti, non credo di potertelo perdonare» piagnucolò Ricky.
«Vedrò cosa posso fare per rimediare» disse Chris cercando un figlio nel suo raccoglitore, uno bianco e pulito su cui poter disegnare.
«Che vuoi fare?»
Chris si portò l'indice alle labbra per mimargli di stare zitto e Ricky sbuffò.
«Posso?» gli chiese poi avvicinandosi a lui e spostandogli una ciocca di capelli senza aspettare una risposta o un cenno di assenso. In quel momento Ricky sentì come una scossa percorrergli la schiena; fece fatica a non raddrizzarsi o addirittura scattare in piedi. Chris invece si muoveva lentamente. Non voleva assolutamente spaventarlo, ma aveva davvero voglia di creare un contatto con l'altro ragazzo. Aver avuto i suoi capelli fra le dita, aver sfiorato appena la sua pelle fresca, averlo guardato da così vicino dritto negli occhi e avergli visto anche gli angoli più oscuri dell'anima, fu tutto quello a dargli la spinta, l'ispirazione giusta per cominciare a disegnare. Teneva gli occhi fissi sul volto di Ricky cogliendone ogni minimo dettaglio. La matita sfiorava la carta e poco a poco ogni curva di quel viso angelico prendeva vita sotto le sue mani. Catturò i tratti principali del volto di Ricky come la linea perfetta del naso, quella leggermente squadrata della mandibola, come le sue labbra sottili e leggermente dischiuse, come quell'espressione: un misto fra dolce imbarazzo, smarrimento, ma anche un'intensa voglia di restare lì a provare quelle sensazioni per sempre.
Chris ascoltava. Battiti, voci e passi lontani, il fruscio delle foglie mosse dal vento, il suo respiro, quello di Ricky. 
Improvvisamente ripose le matite sul foglio. Non voleva fermarsi, ma se si fosse spinto oltre avrebbe dovuto portare a termine il suo lavoro. Per quello, però, sarebbero servite ore ed ore di lavoro e concentrazione.
«Fatto» sussurrò infine. Ricky dovette sforzare ogni muscolo del suo corpo per potersi muovere, per riuscire a distogliere il suo sguardo da quello penetrante di Chris. Sì, Ricky l'avrebbe definito così: penetrante.
«Hai... hai già finito?» gli chiese tentando in tutti i modi di mantenere un torno calmo, provò almeno a non sembrare su di giri perchè si sentiva proprio così.
«No, lo finirò a casa»
Ricky si accigliò.
«È possibile ritrarre qualcuno senza guardarlo?» gli chiese incredulo. Chris avrebbe voluto tanto dirgli che ormai l'aveva osservato così bene che la sua immagine gli sarebbe rimasta impressa per il resto della sua vita. Quella risposta però gli sembrò un pò inopportuna.
«Ecco, in realtà sarebbe meglio evitarle situazioni simili, ma io ho la cosiddetta memoria fotografica, se vedo una cosa la ricordo alla perfezione»
Ricky sorrise spontaneamente. Quel ragazzo sembrava essere un accumulo di sorprese.
«Esiste davvero? Pensavo fosse solo una cazzata» disse Ricky con un'espressione davvero delusa.
«No, è vero, io ricordo le cose utilizzando prevalentemente la vista, c'è chi ha un udito molto sviluppato, o il tatto» spiegò Chris.
«Il mio super potere è la vista» concluse mentre rimetteva il foglio nel raccoglitore. 
«Quando l'avrai finito voglio assolutamente vederlo» disse Ricky impaziente.
«Te lo regalo»
Si sorrisero e contemporaneamente distolsero lo sguardo. Poi Ricky sospirò.
«Credo di dover tornare a casa ora, è tardi»
Chris prese il cellulare dalla tasca e si stupì nel vedere che, senza rendersene conto, il tempo era volato.
«Cazzo, è quasi mezzanotte» disse alzandosi dalla panchina seguito da Ricky. Camminarono lungo la strada calpestando la ghiaia e il terreno. Volevano solo godersi quegli ultimi istanti insieme quindi procedevano a passo lento, senza parlare, camminavano solo vicini e Chris gli lanciava qualche occhiata, mentre Ricky preferiva tenere lo sguardo basso. 
Quando arrivò il momento di salutarsi ci fu un momento un pò imbarazzante in cui nessuno dei due sapeva cosa fare, ma poi Ricky si decise a fare qualcosa, qualcosa che nemmeno lui avrebbe pensato di poter fare. Si alzò sulle punte, poggiò una mano sulla spalla di Chris e gli lasciò un bacio veloce sulla guancia. Appena dopo, lo guardò per un istante negli occhi, poi sussurrò un "okay, ciao" e corse via.
Chris si tolse quell'espressione da ebete solo quando Ricky scomparve dalla sua visuale.
«Ma come siete carini» disse una voce seguita da un lento battere di mani. Chris sussultò voltandosi.
«Vaffanculo Trevor»
«Perchè? Eravate davvero carini, gli hai fatto un disegnino, lui ti ha dato un bacetto sulla guancia e vissero per sempre felici e contenti» disse Trevor come se stesse davvero raccontando una favola ad un bambino.
«Tu che ne sai del disegno?»
Trevor sospirò.
«Io so sempre tutto, Christoph»
Non gli disse che aveva passato la sera nel parco a cercare di vendere un pò di roba a chiunque passasse.In realtà non c'era bisogno di dirlo, Chris sapeva cosa faceva per procurarsi un pò di soldi.
«Stalker» mormorò Chris cominciando a camminare verso casa sua. Sentiva i passi di Trevor dietro di se e sorrise. Non lo sopportava, ma gli voleva bene e non poteva farci niente.
«E non mi chiamare Christoph» disse Chris dopo circa cinque minuti di silenzio.
«A me piace»
«A me no»
Non appena finì di parlare, Trevor lo afferrò per un braccio stringendolo forte in modo che non potesse liberarsi facilmente. Lo trascinò in un vicoletto buio, sul retro di un ristorante giapponese chiuso da circa un anno.
«Che vuoi fare?» chiese Chris, ma quella era una domanda retorica.
«Secondo te?»
Le mani di Trevor corsero rapide e impazienti verso i pantaloni di Chris. Fra di loro era così, niente preliminari, niente perdite di tempo, andavano dritti al punto. E allora andarono al punto.






Rieccomi!!!! Dio santissimo ci ho messo di nuovo una vita, ma spero tanto che vi piaccia perchè ce la sto mettendo tutta. Vi prego fatemi sapere che ne pensate anche se, boh, è venuto fuori un pò così ç.ç 
Alla prossima, baci :3
P.S. ringrazio tutti, chiunque stia leggendo e/o recensendo questa storia. GRAZIE!

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6-The moment of truth in your lies ***


Capitolo 6- the moment of truth in your lies.
Martha Sullivan era una ragazza che si sarebbe autodefinita solare e carismatica. La sua più grande aspirazione era quella di frequentare l'università, avrebbe scelto medicina, probabilmente odontoiatria. Immaginava già il suo ultimo esame: alla domanda «Perchè vuoi diventare odontoiatra?», lei avrebbe risposto «Perchè voglio dare un sorriso alle persone». Probabilmente avrebbe maturato quella frase col passare degli anni, ma espressa con così tanta semplicità le sembrava comunque abbastanza incisiva. Nel frattempo, però, non voleva passare come la ragazza secchiona, non voleva starsene a casa il sabato sera. Quello che voleva erano gli amici e un fidanzato. Non le importava un granchè se tutte quelle persone di cui si circondava fossero fidate o meno, l'importante per lei era sempre essere sulla bocca di tutti. "Nel bene o nel male, purchè se ne parli", era quello il suo motto. Per parecchio tempo tutti avevano parlato di lei e della sua storia con Ricky, ora che si erano lasciati però le cose non andavano bene, le sembrava quasi che in poche settimane il suo nome fosse finito nel dimenticatoio. E non lo sopportava, non lo sopportava per niente.
Seduta all'ultimo banco, Martha aspettava che la campanella suonasse. Teneva gli occhi fissi su Ricky che se ne stava tranquillamente seduto ad un paio di banchi di distanza da lei. Le sembrò davvero strano che non l'avesse degnata nemmeno di uno sguardo, di solito quando si incrociavano lui la guardava almeno un pò. Le parve che fosse con la testa fra le nuvole, non era lo stesso di sempre. 
La campanella suonò e Ricky schizzò fuori dalla classe prima che lei potesse fare qualcosa. Si decise a seguirlo. Doveva parlargli.
Fuori l'aria era fredda, ma non eccessivamente, infatti la ragazza sorrise pensando che i suoi capelli non si sarebbero gonfiati per l'umidità e che non avrebbe dovuto indossare per forza un giubbotto, la sua maglietta aderente bastava.
«Richard» chiamò con la sua vocina sottile. Ricky fece finta di non sentire sedendosi sul muretto come sempre.
«Ricky» disse ancora lei avvicinandosi di più al ragazzo.
«Hei, Martha» rispose Ricky con una voce chiaramente sforzata. Parlare con lei era l'ultimo dei suoi pensieri dopo quello che era successo la sera prima con Chris. 
«Come stai?» gli chiese sedendosi accanto a lui.
«Bene, tu?»
«Male» disse Martha in un sospiro. 
«Mi manchi» continuò. Ricky la guardò scettico. Era stata lei a lasciarlo, quindi perchè stavano avendo quella conversazione?
«Ricky, mi dispiace per quello che ho fatto, mi dispiace per tutto quello che ti ho detto, io non volevo lasciarti»
«Però l'hai fatto» disse Ricky con schiettezza. La sua voce non permetteva repliche, ma lei ci provò ancora.
«Sì, ma io non sapevo cosa fare in quel momento e... Ricky, possiamo riprovarci» 
Ricky la guardò. Era bellissima. Aveva una pelle perfetta, due occhioni che chiedevano di essere ammirati e quei capelli sempre ben piastrati dietro i quali si nascondeva spesso che la rendevano misteriosa. Ma tutto quello non era abbastanza, la sua bellezza non poteva essere minimamente comparata a quella di...
«No, Martha, non possiamo» 
«Perchè? Guarda che se hai qualche problema con il tuo... voglio dire, il...»
«Io non ho nessun problema, funziona tutto benissimo» disse indispettito.
«E se vuoi saperlo, forse il problema eri proprio tu»
Forse il problema non era lei come persona perchè, che fosse vero o no, lei gli aveva detto di amarlo e si comportava come una ragazza innamorata sul serio; Martha era una donna, era questo il vero problema.
«Quindi adesso, scusa, ma stanno arrivando i miei amici» disse indicando la porta e lei guardò in quella direzione notando quella banda di zoticoni -così li aveva sempre definiti nei suoi pensieri- che si avvicinava.
«Va bene, ho capito, non c'è bisogno di alterarsi» disse Martha rimettendo i piedi a terra e andando via. Il ragazzo pensò che non si sarebbe arresa così facilmente anche se lo sperava con tutto se stesso.
«Un ritorno di fiamma?» chiese Josh non appena arrivò accanto a Ricky. 
«No» rispose infastidito dal comportamento di Martha.
«Dov'è Devin?» chiese notando la sua assenza. Ryan abbassò lo sguardo sentendosi al centro dell'attenzione. Josh, Ricky e Angelo sapevano che lui era al corrente di quello che stava succedendo quindi aspettavano una sua risposta.
«Ryan, tu sai qualcosa?» chiese Angelo.
«No, perchè dovrei? Probabilmente non si sente bene»
«Certo che non sta bene, qualcuno lo ha preso a botte» commentò Ricky a bassa voce, ma sapeva che tutti avrebbero sentito e andava bene così perchè dovevano sentirlo. Ryan, infatti, lo guardò e si poteva leggere nei suoi occhi tutto il senso di colpa che provava. Calò il silenzio e tutti presero a mangiare senza nemmeno guardarsi. Passarono così quei minuti di ricreazione. Ad un certo punto, però, Ricky si alzò e rientrò in classe senza dire niente. Era troppo arrabbiato per starsene lì a fare finta di nulla. Dalla porta entrò Angelo che l'aveva seguito senza pensarci due volte. Senza dire niente si sedette accanto a lui e, poggiandosi allo schienale della sedia, incrociò le braccia. Ricky non lo guardò e quindi Angelo sospirò una, due, tre volte, continuò finchè Ricky non si spazientì.
«Lo so che Dev è molto riservato, ma noi siamo suoi amici, abbiamo il diritto di sapere chi l'ha picchiato e soprattutto perchè» disse con un tono quasi isterico.
«Sì, anche gli altri sono nostri amici, ma noi non gli abbiamo detto che abbiamo limonato» pensò Angelo ad alta voce e con una calma che spazientì Ricky.
«Dannazione, Angelo, io e te non abbiamo limonato, era solo un bacio»
«Un bacio che ti ha fatto capire che tu non vuoi tette e vagina, ma pomo d'Adamo e cazzi»
«Non è vero» sussurrò imbarazzato.
«Invece sì»
Ricky sbuffò appoggiando la testa sul banco. La sentiva pensante, come se stesse per esplodere da un momento all'altro.
«Sono uscito con Chris ieri sera» disse mentre il sorriso riaffiorava sul suo viso.
«Ma dai? Com'è andata?»
«Lascia stare, gli ho dato un bacio sulla guancia, mi avrà preso per un cretino e non mi chiamerà mai più, però sono stato davvero bene»
Angelo rise, ma non riusciva ad immaginare quella scena. Ricky era davvero troppo impacciato e timido per poter fare una cosa simile.
«Lui come si è comportato?»
«È dolcissimo, io non ho mai conosciuto un ragazzo come lui, è attento a tutto, sa un sacco di cose, parla bene, è gentile e...» 
«E?» chiese Angelo notando che Ricky aveva chiuso gli occhi e si stava mordicchiando un labbro.
«Però dimmi tutto tranne che ti fa sesso»
«Non lo stavo pensando, volevo dire che Chris è... attraente»
Angelo inarcò le sopracciglia e prese un grande respiro.
«Mi raccomando, stai attento»
«Ancora con questa storia, Angelo?» 
«Io mi preoccupo per te» disse il ragazzo sincero. Ricky però si sentiva come preso in giro. Non era proprio un bambino e sapeva quando doveva stare attento. Quella non era una situazione da cui proteggersi, non c'era pericolo.
«Però quando uscivo con Martha nessuno mi ha detto di stare attento»
«Lei è una ragazza, che poteva farti?»
«Sono sicuro che quella stronza sarebbe capace di darmi in pasto ai cani e farlo sembrare un fottuto incidente»
Angelo sospirò. Ricky trovava sempre una via d'uscita, lui era quello sfigato che si pungeva con l'ago nel pagliaio e quello che vedeva il pelo nell'uovo.
«Sì, ma io non so questo Chris com'è... e se fosse uno schizofrenico o uno spietato assassino?» chiese Angelo.
«Ma per favore, mi ha fatto una specie di ritratto, come può essere un assassino?»
Angelo era curioso per quella storia del ritratto, ma un altro pensiero sovrastò la curiosità.
«Oddio, Ricky, è un maniaco sessuale e si farà le seghe sulla tua faccia»
Ricky voleva ribattere dicendo che si stava facendo solo un film mentale -inutile fra l'altro-, ma quel pensiero non era poi così male.
«Non è un maniaco e se si fa le seghe sono affari suoi»
«Non se poi viene sulla tua faccia»
Ricky si ammutolì arrossendo evidentemente. 
«Non è proprio la mia faccia» sussurrò.
«Adesso però smettiamola di parlare di questo, oggi vogliamo andare da Dev e scopriamo una volta per tutte cosa succede?»
Angelo annuì e si alzò per andare nella sua aula. Nel corridoio c'erano già tanti ragazzi pronti a ricominciare le lezioni, lui non era poi così pronto, ma doveva farlo lo stesso.
«Vieni da me e poi andiamo da Devin, okay?» gli chiese quando arrivò vicino alla porta. Ricky annuì e gli disse che si sarebbero visti verso le 16:00. Quando Angelo andò via Ricky si mise comodo, cioè prese il suo iPod e cominciò ad ascoltare un pò di musica. Dopo qualche minuto l'aula si riempì e accanto a lui si sedette Brad Rice, un ragazzo che non vedeva la doccia da qualche mese, che aveva dei vulcani sulla faccia e il respiro sempre pensante. Ma quel giorno non ci fece poi così caso, era troppo preso dalla musica e dai sui pensieri.

Chiamalo, chiamalo, chiamalo. Non riusciva a pensare ad altro mentre teneva il cellulare in mano, ma non trovava il coraggio di cercare il numero di Chris in rubrica.
Dannazione, Ricky, chiamalo. Lui ti ha chiamato, ti ha offerto sigarette, caffè, birra e tutto il suo tempo libero. Adesso sta a te chiamarlo, altrimenti lui penserà che non ti importa niente. Quelle erano le parole che gli rimbombavano nella mente da quando era tornato da scuola. Purtroppo non aveva ancora trovato il coraggio. Non sapeva nemmeno cosa dirgli, aveva solo tanta voglia di sentire la sua voce.
Prese un grande respiro e afferrò il cellulare, cercò il numero velocemente, poi aspetò che lui rispondesse.
«Hei, Ricky» rispose Chris.
«Ciao» disse timidamente e il cuore cominciava a battergli all'impazzata.
«Sei a lavoro?»
Chris sbuffò.
«Sì, ma oggi è una giornata tranquilla quindi non stiamo facendo niente»
«Capisco» sussurrò Ricky, poi ci fu un momento di silenzio.
«Ti stavo pensando, lo sai?» disse Chris.
«E, visto che non ho nulla da fare, stavo per mettermi a lavoro, voglio finire il tuo disegno»
A Ricky venne la pelle d'oca. Chris stava pensando a lui e il solo pensiero lo rendeva estremamente felice. Avrebbe dato tutto quello che aveva per poter essere con lui in quel momento, per poter sentire ancora il suo odore, per poterlo guardare da così vicino. Anche se era estenuante stargli accanto e non poterlo toccare.
Strinse forte gli occhi quando quei pensieri cominciarono a renderlo eccitato.
«Chris»
Quel nome, appena sussurrato, scivolò dalle labbra di Ricky senza che se ne rendesse conto.
«Dobbiamo rivederci» disse Chris subito dopo.
«Sì»
«Che ne dici di domani?»
«Sì»
«A pranzo?»
«Sì»
«Okay, a domani allora»
«Sì»
Ci fu un attimo di silenzio e fu in quel momento che Ricky si accorse di aver risposto a monosillabi e, in realtà, non aveva davvero capito cosa gli aveva detto Chris. Non aveva prestato attenzione alle sue domande, la voce dell'altro l'aveva incantato.
«Ehm, voglio dire, domani ci vediamo... domani... a pranzo»
Sentì Chris ridacchiare e si vergognò incredibilmente. Angelo aveva proprio ragione quando diceva che era impacciato.
«Ciao, Ricky»
«Ciao, Chris»

A casa di Angelo c'era un'atmosfera sempre allegra e, nonostante fosse piccola, era tanto accogliente. Ad aprirgli la porta era stata la madre di Angelo, una donna bellissima e sempre sorridente. Gli aveva offerto da bere, da mangiare, si era preoccupata quando l'aveva visto senza il suo solito berretto di lana, diceva che avrebbe preso freddo. A lui piaceva indossarlo, si sentiva come protetto, ma i suoi amici lo prendevano sempre in giro dicendo che lo metteva solo per non far congelare l'unico neurone che ancora si ostinava a vivere.
Angelo gli corse in contro mentre si infilava la scarpa sinistra e quasi cadde inciampando nei sui stessi piedi.
«Andiamo?» gli chiese riprendendosi dalla paura di ritrovarsi con la faccia spiaccicata sul parquet.
«Sì» rispose Ricky ridendo. Uscirono di casa e Angelo, a metà strada si fermò a comprare un paio di pacchetti di Marlboro.
«Corromperò Devin con queste» disse sventolando i pacchetti in aria. Riky scosse la testa e continuò a camminare. Devin non abitava con i suoi genitori, sua madre era chiusa in un'ospedale psichiatrico e suo padre era sempre a lavoro, quindi lui passava tutta la giornata da sua nonna e tornava a casa sua solo per dormire.
Suonarono il campanello, ma per un paio di minuti nessuno aprì la porta. Stavano quasi per andarsene, quando Devin aprì.
«Hei, che ci fate qui?» chiese con un sorriso che sembrava sincero, ma i due lo conoscevano fin troppo pene da sapere che non era così.
«Ehm... siamo venuti a vedere come stavi» disse Angelo cercando di non fissarlo. Ricky però non ci riuscì. Aveva il viso pieno di lividi violacei e un occhio gonfio. A Ricky venne quasi da piangere. Vederlo in quelle condizioni, ma con un sorriso stampato sul viso, era straziante.
Devin li fece entrare, loro salutarono sua nonna velocemente per poi andare nella camera che prima apparteneva a sua madre.
«Tieni, Dev» disse Angelo tirando i pacchetti di sigarette fuori dalle tasche del suo giubbotto.
«Oh, grazie... non ti dirò che non dovevi perchè per tutte le volte che vai a scrocco mi dovresti regalare una stecca» disse allungando una mano per prendere i pacchetti, ma Angelo si ritrasse.
«Non sono un regalo, ogni cosa ha il suo prezzo»
Devin si accigliò.
«Chi ti ha conciato così?» domandò Angelo con schiettezza e l'altro abbassò lo sguardo sospirando. Scosse la testa mentre andava a sedersi sul letto.
«Puoi tenertele, tanto finisce che me le rubi tutte» disse poi sprezzante. Ricky lo osservò in ogni movimento. Sicuramente sotto i vestiti nascondeva altri lividi come quelli sul viso. Lo poteva vedere nella sua espressione contratta quando camminava o quando si era seduto.
«Perchè non vuoi dircelo?»
«Angelo, sono affari miei e voi dovete restarne fuori»
«E Ryan?»
Devin non rispose. In realtà Ryan aveva scoperto tutto per caso, quindi era stato costretto a raccontargli tutto. Ma non poteva ammettere nemmeno di avergli detto qualcosa, altrimenti loro avrebbero voluto sapere cosa e sarebbe venuto tutto a galla.
«Tu non me lo fai il terzo grado?» chiese poi guardando in direzione di Ricky che ormai aveva gli occhi lucidi. Il ragazzo scosse la testa e si indicò una tempia. 
«Ti sta... ti sta uscendo del sangue»
Devin toccò la zona indicata e si guardò i polpastrelli sporchi di quel liquido rosso e appiccicoso.
«Cazzo» sussurrò alzandosi e andando verso il bagno. 
«Prova tu» disse Angelo sdraiandosi sul letto e lanciando un pacchetto di sigarette a Ricky, lui lo afferrò e seguì i passi di Devin poco convinto. Non gli avrebbe mai detto niente, ne era sicuro. Devin era una persona silenziosa, che non faceva domande, che ascoltava e dava consigli; Ricky pensava di conoscerlo bene. Pensava.
Quando entrò in bagno lo vide intendo a medicarsi la ferita sanguinante. Pensò che fosse un peccato quello di lasciare che qualcuno rovinasse il suo bel viso.
Aprì il pacchetto di sigarette velocemente e ne estrasse una portandosela alla bocca. Lanciò il pacchetto sul ripiano in cui era incastonato il lavabo e lo vide scivolare proprio accanto alla bottiglia di disinfettante.
«Fuma» gli disse con tono quasi imperativo. Devin non ci pensò due volte e prima di finire il suo lavoro, si accese la sigaretta.
«Perchè non mi racconti come sono andate le cose?» gli chiese Ricky cercando di andarci piano. Spaventarlo o metterlo sotto pressione non sarebbe servito a nulla.
«Io...»
«Voglio solo aiutarti, Devin, qualsiasi cosa sia successa tu puoi raccontarmela»
«Non capiresti» mormorò l'altro a denti stretti.
«Sai che non è così» disse Ricky poggiando una mano sul suo braccio, ma Devin si ritrasse bruscamente.
«Non mi toccare» disse guardandolo con aria terrorizzata. Ricky, per la prima volta, ebbe il serio sospetto che gli avessero fatto qualcosa di davvero terribile.
«Non... non avere paura, sono io, sono Ricky, non voglio farti del male» disse cercando di ammorbidire i torni di quella conversazione, di rendere la situazione meno tesa.
«Sì» sussurrò Devin sospirando.
«Sì, lo so» disse poi ritornando a fumare come se quell'ultimo scambio di battute non fosse mai avvenuto. Ricky sorrise, ma lo fece solo per dare sicurezza al suo amico, in realtà aveva tanta paura di sapere cosa gli fosse accaduto, o cosa stesse pensando in quel momento.
«Mi vergogno, Ricky, mi vergogno così tanto»
Ricky si accigliò e restò lì, per un pò, a guardarlo impietrito.
«Non farlo, Dev, non c'è bisogno di vergognarsi»
Devin  guardò l'altro ragazzo con la coda dell'occhio. Si sentiva troppo sotto pressione, voleva solo correre, scappare via da quella situazione. Voleva nascondersi, così avrebbe dovuto evitare le spiegazioni. Però Ricky, uno dei suoi migliori amici, era lì e poteva leggere nei suoi occhi la voglia di sapere di più su quella situazione. 
Devin trattenne la sigaretta stretta fra le labbra mentre apriva l'ultimo cassetto del mobiletto in fondo al bagno. Ne estrasse un paio di calze a rete, dei pantaloncini in pelle, una maglietta a mezze maniche nera e una specie di collare borchiato. Li fece cadere a terra, come se non volesse nemmeno tenerli in mano.
«Cosa sono?»
«È quello che devo indossare»
Ricky non capiva, non riusciva a trovare un nesso tra quei vestiti e i suoi lividi.
«Lui non vuole che metta altro quando siamo insieme»
«Dev, non... spiegati meglio, ti prego»
Devin lasciò cadere la sigaretta nel water e così fece anche Ricky. Insieme si sedettero sul bordo della vasca e Devin cominciò a parlare tenendo lo sguardo basso. Si vergognava tanto da non riuscire nemmeno a guardare il suo migliore amico negli occhi.
«Un pò di tempo fa ho cercato un lavoro, l'ho trovato in uno studio di un architetto, dovevo solo prendere qualche appuntamento, rispondere al telefono e ogni tanto portare il caffè al capo, dopo qualche giorno però lui mi ha licenziato e non capivo perchè, poi dopo una settimana mi ha chiamato e mi ha chiesto di andare a casa sua» 
Si prese una pausa prendendo un paio di grandi respiri. Si stava sforzando a raccontare tutto, ce la stava mettendo davvero tutto per combattere la vergogna e la paura.
«Lui ha cominciato a parlare di cose strane, mi ha detto che gli piacevo e poi ha... ha provato a baciarmi e io sono scappato, lui però mi ha cercato... io non sapevo che fare quindi un giorno sono andato a casa sua, volevo dirgli di smetterla di chiamarmi in continuazione, ma lui...»
«Lui?» chiese Ricky fin troppo preso da quel racconto. 
«Lui... io e lui... scusa, non ce la faccio» disse Devin alzandosi, ma Ricky gli afferrò prontamente un polso. Si guardarono negli occhi e Ricky sentì il bisogno di dirgli qualcosa. Doveva fargli capire quanto ci tenesse a lui, quanto gli volesse bene.
«Così non ti aiuti, Dev» gli sussurrò. Devin capì solo in quell'istante di quanto davvero Ricky volesse aiutarlo ad uscire da quella situazione. 
«Vieni qui, siediti»
Devin fece come gli aveva detto l'altro ragazzo. Doveva raccontargli tutto così lui avrebbe capito e l'avrebbe aiutato. Così si sarebbe aiutato.
«Mi ha fatto entrare in casa sua, mi ha fatto sedere e bere e... non lo so, Ricky, sembrava così diverso, sembrava gentile e io...»
«Ci sei andato a letto?»
Devin annuì sprofondando nel disagio.
«Ricky, io non sono gay, era la prima volta che andavo a letto con un uomo» disse con un tono quasi alterato, come a volersi proteggere da un'accusa che in realtà non gli era stata lanciata.
«Va bene, ti credo» ribattè Ricky sincero. Devin deglutì pesantemente, voleva togliersi quel peso dal petto il prima possibile, quindi ricominciò a parlare.
«Rimasi lì tutto il giorno, mi piaceva parlare con lui e pensavo che piacesse anche a lui, ma quando mi riaccompagnò a casa mi... mi diede dei soldi, mi disse che quello era solo un regalo e dovevo accettarli... non sapevo che fare quindi li presi, tanto a me facevano più comodo che a lui... pensavo che non mi avrebbe mai più chiamato, ma dopo due giorni mi venne a prendere qui e tornammo a casa sua, mi pagò di nuovo... è andata avanti così per un pò, poi ha cominciato a chiedermi cose strane... mi ha lasciato la chiave di casa sua, mi chiedeva di preparargli la camera da letto in un certo modo, voleva che mi truccassi in un certo modo, che camminassi in un certo modo... mi ha addirittura comprato quei vestiti, vuole che li indossi, ma solo lui può togliermeli... sai, non mi importava all'inizio, anzi io mi divertivo e mi dava tanti di quei soldi che non sapevo che farmene, ma l'altro ieri ho deciso che non poteva andare avanti così, io non sono una...» lasciò l frase in sospeso. Non ce la fece proprio a portarla a termine.
«Non lo sei, Devin»
«Ma facevamo sesso e lui mi pagava»
Ricky sospirò e, visto che Devin non si convinceva ancora a guardarlo, si alzò, si inginocchiò davanti a lui e, cercando di non fargli male, gli prese il viso fra le mani. Quasi lo costrinse a guardarlo negli occhi.
«Ascoltami, tu non hai nessuna colpa, quello stronzo ti ha raggirato, non credere di essere colpevole perchè tu sei la vittima, okay?»
Davin annuì poco convinto. Quelle parole lenivano un pò il dolore che portava dentro per quello che aveva fatto con quell'uomo, ma la vergogna restava, il senso di colpa lo stava divorando. Aveva lasciato che un uomo molto più grande di lui lo trattasse come una puttana, come un corpo senz'anima dentro cui svuotarsi a proprio piacimento, come un oggetto facile da comprare. Si faceva schifo.
«Perchè ti ha picchiato?» gli chiese Ricky.
«Perchè gli ho riportato tutti i soldi che mi erano rimasti e gli ho detto che non volevo più vederlo... non l'avevo mai visto così infuriato, ha cominciato ad urlarmi che senza di lui non sarei andato mai da nessuna parte, che lui per me era tutto, che non avrei mai trovato nessun altro come lui... io volevo solo andarmene, Ricky, ma lui ha cominciato a picchiarmi, sembrava che la rabbia non gli passasse mai, mi faceva male... ma quando si calmò pianse, mi chiese anche di perdonarlo, ripeteva in continuazione che gli dispiaceva di avermi fatto male»
«Dev, per favore, dimmi che non hai creduto alle sue parole»
Devin strinse un secondo gli occhi per non permettere alle lacrime di scivolare via. Non voleva piangere. Lui era uno di quelli che si sfogava sotto la doccia, o di notte nel suo letto.
«Mi disse di tornare, dovevamo solo parlare e-»
«E, guarda caso, invece di parlare ti ha preso a calci e pugni» disse Ricky alterandosi. Non poteva crederci, non riusciva a pensare che qualcuno se la potesse picchiare così violentemente un ragazzo come Devin. Nessuno poteva comportarsi così con lui, era impossibile. Poi notò qualcosa sul viso di Devin, qualcosa che lo fece spaventare, gli vennero i brividi quando quel pensiero attraversò la sua mente.
«Dev, ha fatto solo quello, vero?»
Il ragazzo tacque per qualche secondo poi sussurrò un "sì".
«Okay, ma la verità qual è?» chiese Ricky. Devin non aveva mai saputo dire le bugie, glielo si poteva leggere negli occhi che mentiva.
«Ricky, ti prego, basta... ti ho detto cosa è succes-»
«Ti ha costretto?» lo interruppe Ricky alzando un pò la voce. Devin tentò di dare una spiegazione, di deviare un pò il discorso, ma la voce gli si spezzò e cominciò a piangere. Tentava di nascondere il viso fra le mani procurandosi solo altro dolore. 
Ricky non sapeva cosa fare, aveva solo voglia di uccidere il bastardo che aveva fatto del male ad uno dei suoi migliori amici. Ma con Devin in quelle condizioni, decise che il suo benessere veniva prima di tutto, allora lo abbracciò e aspettò pazientemente che smettesse di piangere. Gli promise che l'avrebbe aiutato ad uscirsene da quella situazione, ma gli serviva tutta la sua collaborazione.
Restarono lì per qualche minuto poi tornarono da Angelo che stava fumando seduto sul davanzale della finestra. Prima che i due andassero via, Devin chiese a Ricky di raccontare tutto ad Angelo se voleva. Ripetere quella storia era l'ultima cosa che voleva. Quando però Ricky provò a spiegargli la situazione, Angelo lo informò che sapeva già tutto. Si era messo dietro la porta e li aveva ascoltati attentamente. Si sentiva solo parecchio arrabbiato con quell'animale che si era accanito su Devin.

«Dai, posso venire anche io?»
«No, non puoi»
«Ma dai, voglio solo vederlo»
«No»
«Me lo presenti e vado via»
«No, cazzo»
Quello scambio di battute andava avanti da circa cinque minuti. Ricky non riusciva a capire per quale strana ragione Angelo volesse conoscere Chris. Immaginava la curiosità, ma non poteva certo portarsi un amico al loro appuntamento. E non poteva credere di averlo definito "appuntamento".
«Dannazione» mormorò Angelo mentre prendeva il cellulare dalla tasca e si infilava le cuffie.
«Ci vediamo domani" disse con aria di superiorità, voltandogli le spalle.
«Oh, ma dai, Angelo... non te la sei presa, vero?»
Angelo continuò a camminare senza voltarsi.
«Angelo» disse con un tono più alto, ma senza urlare. Non voleva attirare l'attenzione di mezza scuola.
Appena vide Angelo girare l'angolo, scosse la testa e imboccò la strada di casa. Per tutto il tragitto pensò al messaggio che gli aveva inviato Chris quella mattina, gli aveva detto precisamente l'ora e il luogo dell'appuntamento. Aveva un'ora esatta per prepararsi, quindi una volta in casa sua, corse in bagno e si fece la doccia. Si vestì velocemente e si ritoccò il trucco sbiadito. Pulito e profumato, entrò nel grande salone di casa sua con un sorriso che proprio non riusciva a mandare via. 
«Richard, il pranzo è pronto da cinque minuti» disse sua madre mentre beveva un pò d'acqua da un bicchiere di cristallo, come suo solito.
«Ehm... no, mamma, oggi pranzo fuori»
La donna inarcò un sopracciglio.
«Scusa?»
«Esco con un amico»
«Va bene, ma non tornare tardi e non prendere appuntamenti per domani, è il compleanno di tuo padre»
Ricky annuì e corse fuori, Quell'inutile festa stava andando tutti fuori di tersta, ma non lui; era l'ultimo dei suoi pensieri.
Arrivò con cinque minuti di ritardo e Chris era già lì, seduto su uno sgabello, con una sigaretta fumante nella mano destra e gli occhi puntati sul televisore posto su una parete in alto. A Ricky tremarono le mani mentre entrava. Il televisore trasmetteva una partita di hockey di cui lui non sapeva niente. Non era un grande appassionato di sport e, fra tutti, l'hockey non era di certo il suo preferito.
Si guardò intorno, c'erano tante persone che guardavano quel televisore come se ne fossero dipendenti e commentavano ogni movimento dei giocatori. Non riusciva a trovare un modo per avvicinarsi a Chris senza sembrare uno stupido.
Prese un grande respiro e corse verso di lui sedendosi sullo sgabello accanto.
«Scusa, scusa, scusa, lo so, sono in ritardo»
Si stupiva ogni volta che diceva una bugia. Avrebbe potuto fare l'attore.
Chris rise, ma non riuscì a parlare. Quel ragazzo aveva qualcosa di estremamente bello capace di mettere a tacere ogni rumore intorno a lui. Smise addirittura di guardare quella partita di hockey che, in un'altra occasione, avrebbe catturato completamente la sua attenzione.
«Che c'è?» chiese Ricky incerto. Chris raccolse tutte le forze che aveva per riuscire a scollargli gli occhi di dosso.
«Ehm... niente e comunque non sei in ritardo» disse voltandosi poi verso la donna dietro al bancone.
«Tess, il solito»
La donna dai capelli biondi e ricci annuì.
«Tu cosa vuoi?» chiese Chris a Ricky e lui lo guardò insicuro.
«Non lo so... quello che hai preso tu»
Avrebbe tanto voluto aggiungere "anche se non so cosa diavolo hai ordinato", ma stette zitto e aspettò.
«Non ti piace l'hockey, vero?»
«No, non tanto» rispose Ricky intimidito da quella domanda così diretta, ma allo stesso tempo banale.
«A me sì, da impazzire»
Ricky sorrise e cominciò a torturarsi le unghie. Si sentiva tanto in ansia da avere vampate di calore continue. Sperava con tutto se stesso di non essere rosso in viso, ma il pensiero di poterlo essere lo metteva ancora più in imbarazzo. 
Alzò lo sguardo su Chis e si accorse che lo stava guardando. Non lo metteva in soggezione, ma quel suo modo di guardarlo era strano, quasi come se stesse cercando di catturare ogni particolare per poterlo portare con se. Si sentiva esattamente come se Chris riuscisse a vedergli dentro. Quelle nuove sensazioni lo facevano sentire leggero, ma allo stesso tempo lo spaventavano incredibilmente. Non riusciva a credere che provasse delle cose per un ragazzo. Si vergognava anche a chiamarli sentimenti tanto gli pareva strano.

Era passata mezz'ora, avevano mangiato ed erano usciti all'aria aperta. Si erano fumati una sigaretta e poi Chris gli aveva detto che entro quindici minuti doveva essere a lavoro. Ricky allora si era proposto di accompagnarlo, così si erano messi in cammino.
«Chris, posso chiederti una cosa?»
Chris annuì.
«Ti va di venire a casa mia domani sera?»
A Chris venne subito da ridere.
«Ti facevo un pò più timido, Ricky»
L'altro lo guardò imbarazzandosi oltre ogni limite.
«No, io non... non volevo dir-»
«Stavo scherzando» lo rassicurò Chris.
«Comunque credo che lavorerò fino a tardi» disse poi guardando fisso la strada piena di negozi che vendevano cose troppo brutte a prezzi troppo alti. I suoi pensieri erano così contrastanti da fargli venire il mal di testa. Quell'invito l'aveva sorpreso e di certo non aveva voglia di dirgli di no, ma allo stesso tempo si sentiva rilassato; cominciare ad andare a casa di Ricky avrebbe solo reso le cose più complicate.
Improvvisamente si sentì afferrare per un braccio e tirare indietro di qualche passo. Guardò Ricky un pò confuso e l'altro se ne accorse, così cominciò a parlare.
«Domani è il giorno più brutto della mia vita, mio padre festeggia il suo compleanno bevendo vino e champagne insieme ai suoi amici noiosi, mia madre impazzisce perchè tutto deve essere perfetto e io... io mi rompo il cazzo ad ascoltare i loro discorsi per tutta la sera»
«E... perchè non inviti i tuoi amici?»
Ricky fece un sorrisino sarcastico.
«I miei non li vogliono in casa quando ci sono feste come queste, dicono che se vogliono venie devono indossare un abito elegante... io li ho pregati di mettere una giacca per una sera, ma loro  si sono messi a ridere e sai cosa hanno detto?» chiese Ricky sull'orlo di una crisi isterica. Chris scosse la testa.
«Divertiti, fratello» sussurrò Ricky. Chris scoppiò a ridere. Poteva leggere la frustrazione nei suoi occhi. Era esilarante.
«Oh, bravo, ridi... ridi delle mie sciagure» disse Ricky ricominciando a camminare. Chris gli corse dietro cingendogli le spalle con un braccio e stringendolo leggermente. Ricky sentì un'esplosione dentro. Da un momento all'altro sentì un calore pervaderlo dalla testa ai piedi. Il contatto fisico era una delle cose che proprio non gli piaceva, ma per quelle braccia stava consapevolmente facendo un'eccezione.
«Okay, senti, io ci verrei volentieri e per te lo metterei un abito elegante, ma non posso»
Ricky stette zitto, ma qualcosa già gli passava per la mente. Trattenne un sorriso, poi si accorse di non essere più avvolto in quell'abbraccio e allora ritornò serio. In mezzo alla gente non era consigliabile camminare abbracciato ad un ragazzo, ma Chris non era un ragazzo qualsiasi.

Arrivati al negozio, Ricky disse a Chris che sarebbe entrato per salutare Mike, ma in realtà non doveva solo salutarlo.
«Mike, ti devo chiedere un favore enorme» gli disse tenendo d'occhio Chris che stava mettendo in ordine una scrivania lontana da loro.
«Non ti faccio nessun piercing nella zona cazzo» disse l'uomo distrattamente. Era impegnato a disegnare un cimitero con zombie, luna piena e Salici Piangenti.
«Non potrei mai farmi un buco lì» disse Ricky sconvolto dall'idea che qualcuno potesse invece farlo.
«Comunque, mi serve Chris domani sera»
Mike rallentò l'andatura della matita sul foglio.
«Vedo che state facendo amicizia»
Il ragazzo evitò del tutto quella frase.
«Lo fai uscire un pò prima sì o no?»
«Per prima cosa intendi?»
«Per le otto?» azzardò Ricky e Mike sospirò.
«Non posso, mi dispiace»
Il ragazzo sbuffò sonoramente un paio di volte per attirare l'attenzione di Mike. 
«Perchè? È solo per una sera» 
La tecnica del "giuro che non te lo chiederò più" non funzionò, quindi si sentì costretto ad usarne un'altra un pò più irritante.
«Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti pre-»
«Okay, va bene» disse Mike esasperato.
«Va bene, ma adesso vai via, sto lavorando» 
Ricky gli fece un grande sorriso e lo ringraziò, poi corse da Chris e gli comunicò la notizia. Non capì se Chris fosse davvero felice di andare a casa sua ma, in fondo, perchè  non avrebbe dovuto.
«Ti vengo a prendere io, ti porto in un negozio per comprare un abito elegante e poi... non so, ci vediamo domani, okay?»
Chris annuì e guardò Ricky allontanarsi e uscire dal negozio. Sembrava felice.



Salve salvino a tutti, spero che il vostro Natale/Capodanno/ feste in generale siano andate meglio delle mie e che vi siate, quindi, divertiti.
In questi giorni non ho postato e di conseguenza questo è un capitolo lunghissimo che -PERDONATEMI- non ho nemmeno riletto. Incrocio le dita sperando di non aver combianato un casino e... niente, aspetto qualche recensione(?) Baci :3 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7-When worlds collide. ***


Capotolo 7-When worlds collide.
Chris rientrò in casa con i capelli e i vestiti completamente bagnati. Aveva bestemmiato per tutta la strada del ritorno. Perchè doveva piovere proprio mentre lui tornava a casa?
«Chris, ho preparato la cena» disse Betsy comparendo dal salone.
«Va bene, mi do una sistemata e vengo, Jonathan come sta?» le chiese dirigendosi verso il bagno e cominciando a spogliarsi.
«Guarda la tv in cucina, sono andata a prenderlo da Rose mezz'ora fa»
«Okay»
Si chiuse in bagno e cercò di farsi una doccia, si asciugò i capelli e andò ad a vestirsi in camera sua. Quando entrò in cucina vide qualcuno di troppo.
«Che ci fai qui, Trevor?» chiese mentre si sedeva proprio accanto a lui.
«Ciao, fuggitivo» disse il ragazzo addentando un pezzo di pane.
«Non ti fa piacere avermi un pò qui?» gli chiese dopo aver mandato giù il boccone.
«Non se mangi il pane che compro per loro» disse facendo cenno ai suoi fratelli. Betsy lo ringraziò ad alta voce mentre gli serviva la cena.
«Grazie» le disse Chris cominciando a mangiare. 
Consumarono la cena velocemente e quando ebbero finito, Chris chiese a Betsy di aiutare lei Jonathan e la ragazza, senza lamentarsi, si alzò e accompagnò suo fratello a prepararsi per la notte.
«Sul serio lavi i piatti?» chiese Trevor accendendosi una sigaretta.
«Betsy ha un mare di pregi, ma è disordinata, se non pulisco io il disordine ci manda a dormire sotto i ponti» rispose Chris mettendo i piatti nel lavandino.
«Perchè oggi mi hai detto di non venire?» gli chiese.
«Non avevo trovato ancora niente» rispose Trevor allungando le gambe sulla sedia accanto alla sua.
«Vuoi dire che adesso ce l'hai qualcosa?»
«Sì, ho un lavoretto tranquillo, non ti metto nei guai... duecento da rollare entro venerdì»
Chris si fermò un attimo a pensare. Duecento canne per venerdì erano tante, soprattutto perchè venerdì era fra tre giorni.
«L'erba?» chiese cercando di non pensare alle due notti in bianco che avrebbe dovuto affrontare.
«Ce l'ho a casa, la vado a prendere?»
Chris annuì e Trevor si alzò. Senza dire niente uscì di casa e Chris si mise sul serio a lavare i piatti. 

«Ottantaquattro» mormorò Chris. Trevor, che se ne stava seduto accanto a lui, segnava su un foglio il numero che gli veniva dettato.
«Chris sono quasi le due, perchè non ci addormentiamo?»
Chris lo guardò male.
«Pausa caffè?»
«Okay»
Si alzarono dal divano e Chris costrinse l'altro a preparare il caffè visto che era stato proprio lui a proporlo.
«Sei stanco?» gli chiese Trevor.
«Sì, ma mi servono i soldi, per quelli non sono mai stanco» disse accendendosi l'ennesima sigaretta. Ne aveva fumate parecchie, un paio di pacchetti da venti, probabilmente.
«Ti ho visto oggi con... quello lì» disse Trevor dando la tazza di caffè a Chris che, non sapendo bene cosa dirgli, fece finta di niente.
«Ti piace?» chiese l'altro ricevendo un no secco da Chris.
«Però ci esci e, giuro, sembra che sputi miele, arcobaleni e cuoricini»
«Perchè non ti fai gli affari tuoi?»
«Chrissy, non ti arrabbiare con me» cantilenò Trevor con una vocina sottile, quasi da bambino. Chris sospirò. Non voleva parlare di Ricky e non perchè volesse tenergli nascosto qualcosa. Era sempre stato parecchio riservato, su tutto, quindi non si sentiva a suo agio a parlare di cose che gli riguardavano.
«Comunque, ti capisco se ci esci, ci uscirei anche io»
«Perchè? Non mi sembra il tuo tipo»
«Intendi che è troppo poco attivo per me?»
Chris rise annuendo e Trevor gli diede un pugno sulla spalla.
«Non mi prendere in giro» disse fingendosi offeso.
«In ogni caso, no, non è per quello, è perchè se uscissi con lui potrei permettermi le Marlboro invece che le sigarette di contrabbando»
Chris bevve un pò di caffè ritornando nel sul divano.
«Che intendi?» gli chiese.
«Come che intendo?»
«Sì, che vuoi dire?»
Trevor sembrò voler dire qualcosa, ma poi scoppiò a ridere. Chris si sentì preso in giro, ma aspettò che smettesse e che poi lo vide sedersi accanto a lui e posargli una mano sulla spalla.
«Davvero non lo sai?»
«Cosa?»
«Dannazione, Chris, tu esci con Richard Olson e non lo sai nemmeno?» chiese Trevor rubandogli la sigaretta e portandosela alle labbra. Chris cercò con tutto se stesso di capire il motivo delle parole di Trevor, di capire se quel nome potesse ricordargli qualcosa, ma non gli veniva in mente nulla.
«Okay, okay, ti do un indizio» disse Trevor lasciando uscire il fumo dalla bocca mentre parlava.
«Ospedale»
Passarono un paio di minuti colmi di silenzio. La mente di Chris vagava fra quelle parole. Gli stava venendo il mal di testa.
«Non capisco»
«Hai presente quell'enorme villa in centro? Quella nel quartiere dei ricchi?»
Chris annuì.
«Ecco, chi ci vive in quella casa?»
«Ehm... gente ricca, presumo»
«Sforzati, lo sai chi ci abita»
Chris sbuffò e mandò giù tutto il caffè che era rimasto.
«Che ne so, Trevor, io... l'ospedale... ci abita il primario della clinica lì»
Trevor gli fece un applauso.
«Sì, ma questo cosa c'entra con Ricky?»
«Dottor Patrick Olson, medico e primario modello, tutti dovrebbero prendere esempio da persone così dedite al lavoro» gli rispose.
«Così tanto da non accorgersi nemmeno che il proprio figlio sta con un poveraccio come noi» finì cambiando tono, diventando serio.
Chris si sentì come svenire, gli girava la testa e sentiva le mani tremargli. Come diavolo era possibile che quel ragazzo fosse figlio di quell'uomo? Non gli era mai passato per la mente di poter avere a che fare con il figlio di una persona così importante e ricca.
«Io e lui non stiamo insieme» disse Chris bruscamente riprendendosi la sigaretta e portando la tazza in cucina.
«Che c'è ora? Perchè ti incazzi?»
«Non mi incazzo» rispose secco Chris inspirando quando più fumo possibile, tanto da sentirsi la gola bruciare. Trattenne un conato quando espirò tutto il fumo.
«Invece sì... trovi impossibile che uno con così tanti soldi si avvicini a te? Ti sembra impossibile che Ricky ti rivolga anche solo la parola?»
Chris si voltò e lo vide in piedi, appoggiato allo stipite della porta. Con quelle due domande gli aveva davvero fatto saltare i nervi, ma non gli urlò contro perchè c'era del vero in quelle parole. Che cavolo ci faceva uno come Richard Olson con un ragazzo come Christopher Cerulli?
«E pensare che gli ho offerto il pranzo» disse ad un certo punto ridendo. 
«Davvero?»
«Sì, e lui ha fatto storie, voleva pagare... la prossima volta glielo lascio fare»
Trevor scosse la testa.
«Nah, non lo farai, sei un gentiluomo tu»
Chris pensò subito che quel ragazzo lo conoscesse fin troppo bene. Perchè, in effetti, era vero: non avrebbe mai permesso a Ricky di pagare qualcosa al suo posto. Forse era una strana fissazione, o forse era davvero un gentiluomo.
«Sai, vado a casa sua domani sera» disse riemergendo dal suo piccolo mondo.
«Cazzo, sei serio? Ti porta già a casa? Oddio, vuole presentarti ai suoi genit-»
«Ehi, ehi, ehi... no, è il compleanno di suo padre e per vari motivi i suoi amici non possono andarci e quindi l'ha chiesto a me»
Trevor si morse il labbro inferiore.
«Non voglio nemmeno sapere quello che stai pensando, io mi rimetto a lavoro» disse Chris ritornando nel salone seguito da Trevor subito dopo.
«Quante ne erano?» chiese Chris.
«Novantaquattro?»
«Se, ti piacerebbe... ottantaquattro» disse Chris con tono scherzoso. I numeri -ma anche la memoria in generale- non erano proprio il forte di Trevor.
«Sai cos'è? È che a me serve una pausa»
«Ne è appena finita una che è durata anche troppo» commentò Chris.
«Non intendevo una pausa caffè» sussurrò Trevor avvicinandosi sempre di più all'altro ragazzo.
«Io intendevo una pausa pompino» disse sbrigandosi ad inginocchiarsi davanti a Chris che, pur volendosi concentrare sul lavoro che doveva fare, non riuscì proprio a dirgli di no.

«Svegliati» mormorò Chris con la voce impastata dal sonno e gli occhi socchiusi. Trevor, riverso completamente su di lui, emise un sottile mugolio che assomigliava tanto alle fusa di un gatto.
«Dai, mi devo alzare»
«È ancora presto»
Chris afferrò il cellulare dal tavolino e guardò l'ora: 05:30.
«Per me è tardi, spostati» disse spingendolo contro la spalliera del divano e mettendosi a sedere. Nell'aria si sentiva puzza di erba, sesso e sigarette spente malamente nei due posaceneri stracolmi di mozziconi. Non gli piaceva. Niente gli andava a genio in quella situazione; l'erba sparsa sul tavolino, tutto quel fumo che sembrava aver impregnato ogni superficie di quella stanza e anche le sue mani e i capelli, lui e Trevor completamente nudi. Il solo pensiero di essersi lasciato andare così tanto gli diede il voltastomaco. Ma non ci pensò nemmeno prima di accendersi una sigaretta.
«Non ti ho mai visto fumare tanto» commentò Trevor improvvisamente riemerso dal mondo dei sogni.
«Già, che schifo» mormorò Chris. Continuò a fumare tranquillamente e si diresse verso il bagno solo dopo aver finito. Trevor lo seguì sbadigliando e lamentandosi a bassa voce perchè Chris l'aveva svegliato troppo presto.
«Perchè ti svegli così presto?» chiese osservando Chris che gli dava le spalle e faceva pipì.
«Vado a correre» rispose nervosamente e dopo qualche secondo sbuffò.
«E smettila di guardarmi, non riesco a pisciare»
Trevor rise per poi mettersi davanti allo specchio e sciacquarsi il viso. 
«Posso venire con te?» 
«Starai zitto?» chiese Chris prima di dagli una risposta positiva.
«Certo»
Chris tirò lo sciacquone e prese un grande respiro.
«Metti a posto quello schifo, lo portiamo a casa tua prima di andare, non voglio che lo veda nessuno» disse. Trevor annuì e fece come gli aveva chiesto l'altro ragazzo. Chris si lavò i denti e poi andò in camera sua a vestirsi. Mentre si infilava i pantaloni vide sua sorella alzarsi.
«Buongiorno» sussurrò per non svegliare Jonathan. Lei alzò appena una mano e scomparve oltre la porta. Completamente vestito e pronto per la corsa, Chris tornò in cucina.
«Chris, per favore, spiegami che cosa cazzo ci fa questa roba qui» disse Betsy non appena vide suo fratello varcare la soglia. Gli occhi di Chris si sbarrarono vedendo i sacchetto pieno d'erba nelle mani di sua sorella.
«Ehm... quella è-»
«È mia» intervenne Trevor sentendo subito lo sguardo accusatorio di Betsy e quello sollevato di Chris addosso. La ragazza lasciò cadere il sacchetto sul tavolo e trascinò letteralmente suo fratello nella stanza più lontana dalla cucina, il bagno.
«Allora?» gli chiese incrociando le braccia. Quel tono accusatorio fece rabbrividire Chris. Poteva pur sembrare strano, ma quella ragazzina di soli dodici anni aveva un potere su di lui, era in grado di metterlo in riga, di fargli cambiare idea e umore con una parola o un'occhiata particolare.
«Che vuoi sapere?» chiese timoroso.
«Che diavolo... Okay, Chris, in cucina c'è un sacchetto di plastica pieno d'erba che il tuo amico Trevor cretino McKinley dice di aver portato qui, ma io ho i miei dubbi» spiegò lei pacatamente, ma senza mai perdere quel tono di superiorità.
«Dimmi la verità» continuò senza spostare lo sguardo dal viso di Chris. Voleva percepirne ogni minimo movimento per poter essere sicura che non le stesse mentendo.
«Betsy, io... ecco, ved-»
«La verità» insistette la ragazza. Chris sospirò e per un istante pensò di raccontarle tutta la verità.
«A Trevor servivano soldi e quella roba è davvero sua, io l'ho solo aiutato» disse Chris. A Betsy sembrò sincero, aveva un tono così rassicurante che non riuscì a non credergli.
«Chris, tu non c'entri niente con quelle cose, vero?»
Il ragazzo represse l'impulso di parlare, meno diceva e meglio era per lui. Scosse semplicemente la testa.
«D'accordo, ma non metterti nei guai» sussurrò la ragazza.
«Io e Jonathan abbiamo bisogno di te»
Quelle parole lo travolsero completamente, lo colpirono con violenza facendogli temere di aver sbagliato a non dirle la verità. Betsy meritava molto più che una spudorata bugia. E si sentiva uno schifo per aver guardato dritto nei suoi occhi e essere stato in grado di mentire senza esitazione.
Abbassò lo sguardo per qualche istante. Non era da lui non trovare qualche parola da dire anche solo per rassicurarla e farle dimenticare di quella storia.
«Torna a letto» le disse con un tono quasi disperato, come se la stesse pregando di liberarlo da quella situazione che cominciava a stargli stretta. La ragazza andò via senza dire niente a suo fratello che, da tutta quella situazione per lui molto complessa e un pò imbarazzante, aveva realizzato solo quanto fosse importante per i suoi fratelli.
«Se l'è bevuta?» 
Chris sobbalzò voltandosi verso la porta dove Trevor era fermo a guardarlo chissà da quando.
«Sì» rispose bruscamente Chris.
«Perchè ti incazzi?»
«Non mi piace mentire a mia sorella» disse passandogli accanto.
«E allora perchè non le hai detto la verità?» gli chiese Trevor seguendolo.
«Perchè ha solo dodici anni» sbottò Chris voltandosi.
«Ha un padre che non c'è mai, una madre depressa e un fratello malato, non credo ci sia bisogno di dirle che Michael viene qui per rubare i soldi che io guadagno»
Trevor fece vagare lo sguardo in giro sentendosi in imbarazzo. Ogni tanto Chris poteva sembrare anche più disperato di lui che aveva una madre morta da sei anni e un padre drogato e parecchio incazzato col mondo che preferiva i suoi pusher a lui.
«Andiamo» disse Chris distraendolo.
«L'erba?»
«Non importa più, lasciala qui»
Trevor seguì Chris in un silenzio religioso. Ogni tanto lo guardava, ma Chris teneva lo sguardo dritto sulla strada. Glielo si leggeva sul viso che era turbato, forse per la bugia che aveva detto o forse per tutta la situazione in cui si trovava.
Arrivati al campo da calcio Chris cominciò a correre e Trevor fece davvero fatica a stargli dietro, tanto che dopo tre giri del campo dovette fermarsi.
«Già stanco?» gli chiese Chris lasciandoselo alle spalle.
«Sì, cazzo, sono fuori forma» si lamentò Trevor cercando di riprendere fiato. Il cuore gli sta quasi per uscire dal petto, poteva davvero sentirlo battere sotto ogni lembo di pelle. Gli veniva da vomitare.
«Tu come fai?» gli chiese poi, ma Chris non rispose, emise solo una piccola risata e continuò a correre. Ogni minuto la forza nelle gambe aumentava e gli dava la spinta per andare sempre più veloce, più veloce anche dei suoi pensieri che si stavano dileguando lentamente. 
Trevor rimase in mezzo al campo, sdraiato, con gli occhi chiusi. Si rilassò ascoltando il rumore dei passi feroci e instancabili di Chris che somigliavano a prepotenti frustate su quel terreno umido.
Chris ogni tanto lanciava uno sguardo a Trevor che per un'ora intera se ne stette con una mano tesa sul petto. Gli sembrò davvero strano, se lo ricordava più agile e soprattutto instancabile e iperattivo. 
«Sei ancora vivo?» gli chiese fermandosi di colpo. 
«Io sì, tu invece?»
Chris non trovò la forza per rispondergli, continuò solo ad ansimare pesantemente, con le mani sui fianchi, gli occhi rivolti al cielo e l'espressione contratta. Fece un giro del campo camminando lentamente. Le gambe non se le sentiva più, i piedi gli bruciavano come se stesse camminando sui carboni ardenti, ma infondo era quella la sensazione che desiderava provare. C'era da precisare che non gli piaceva per niente, ma la sua mente si rilassava quando tutto ciò a cui doveva pensare erano le gambe doloranti, il respiro irregolare e il sudore che gli bagnava la schiena.
«Andiamo» disse dopo un pò avviandosi, ma non sentì Trevor alle sue spalle allora si voltò e lui era ancora sdraiato.
«Trevor, andiamocene» lo sgridò come si sgridano i bambini capricciosi. Il ragazzo però se ne stava ancora lì, senza aprire gli occhi, senza dare segni di vita.
«Dai, non fare il cretino» disse avvicinandosi a lui.
«Guarda che non mi sono cagato addosso nemmeno quando quel bastardo mi ha puntato una pistola in faccia per colpa tua, non pensare di potermi spaventare e alza il culo» lo minacciò citandogli prima uno dei tanti casini in cui si era trovato per colpa sua. Ma quando vide che nonostante ciò lui non si degnava nemmeno di fargli un cenno, si inginocchiò accanto a lui e non appena gli afferrò il viso con una mano per scuoterlo un pò, Trevor aprì gli occhi sobbalzando.
«Ma che cazzo stavi facendo?» gli chiese Chris incredulo, ma dallo sguardo dell'altro capì che non era solo uno scherzo. Gli sembrò un pò spaesato e forse anche un pò impaurito.
«Che ci facciamo qui?»
Chris si accigliò a quella domanda, ma non gli sembrò tanto strano, forse si era addormentato e non ricordava bene come era arrivato lì.
«Siamo venuti a correre... cioè, io correvo e tu dormivi»
Trevor lo guardò con occhi vitrei che sembravano osservare ogni scena con distacco.
«Okay»
«Okay?» chiese Chris stranito. Trevor non disse più nulla, si alzò e cominciò a camminare con la testa bassa.  Chris decise di lasciar stare, forse gli avrebbe chiesto qualcosa dopo, o forse no.

Era difronte ad uno specchio rettangolare con una spessa tenda bordeaux alle spalle. Si stava osservando già da un paio di minuti senza trovare il coraggio di uscire dal camerino e farsi vedere da Ricky. Indossava una giacca con revers in satin e collo a lancia, dei pantaloni con una banda laterale in seta, una camicia bianca plissettata sul davanti e col collo diplomatico e, in fine, delle Oxford allacciate elegantemente. 
Si concentrò un attimo su come tutto quel tessuto si adattasse alla sua figura senza fare pieghe. La giacca aderiva perfettamente su spalle e fianchi, i pantaloni fasciavano le sue lunghe gambe e ricadevano sulle scarpe con una precisione millimetrica, mentre la camicia gli circondava il collo senza stringere e i polsini si intravedevano oltre le maniche della giacca di appena un centimetro. Il pensiero di poter essere scambiato per James Bond -o il suo apprendista- gli attraversò la mente e sorrise, nonostante si sentisse teso e anche un pò imbarazzato.
La morbida e incuriosita voce di Ricky dall'altro lato della tenda lo distrasse.
«Ho una cosa per te»
Chris si chiese cos'altro doveva aspettarsi.
«Posso?» chiese Ricky aprendo di poco la tenda. L'immagine di Chris in quell'abito era perfetta, tanto da lasciarlo senza parole, a bocca aperta e con gli occhi che balzavano su e giù su quel corpo davanti al suo.
Chris si schiarì la voce e Ricky abbassò lo sguardo con fare nervoso.
«Ero... ero venuto per darti questo» disse mostrandogli un papillon.
«Perchè non una cravatta?» chiese Chris un pò contrariato.
«Anche a me piace di più la cravatta, ma sullo smoking ci va questo» rispose l'altro ragazzo tendendogli il papillon. Chris lo prese controvoglia e cercò di legarselo intorno al collo, ma proprio non ci riusciva. Suo nonno gli aveva insegnato a fare il nodo alla cravatta ed era in grado di farlo anche ad occhi chiusi, ma non gli aveva mai fatto vedere come si mettesse un papillon.
«È che non vorrei che mi scambiassero per un cameriere»
Ricky scoppiò a ridere e si avvicinò a Chris chiedendogli il permesso di aiutarlo solo con lo sguardo. L'altro si arrese e lasciò fare a Ricky che si dimostrò molto abile nonostante gli tremassero le mani.
«Non sembrerai un cameriere» mormorò.
«Loro avranno giacche rosse e guanti bianchi»
Chris si zittì. Gli sembrava surreale quello che stava vivendo. Probabilmente i lacci di quelle scarpe che aveva ai piedi costavano molto più di tutto quello che lui aveva nel suo guardaroba, ma a Ricky sembrava non fare alcun effetto.
«Fatto» disse Ricky soddisfatto del suo lavoro. Chris si guardò di nuovo allo specchio e dovette ammettere che non era poi così male. 
«Continuo a preferire la cravatta» disse.
«Dai, ti sta da Dio»
Chris sorrise, poi però si voltò verso Ricky e lo guardò con serietà.
«Adesso però posso cercare qualcosa per stasera?»
Quella domanda lasciò Ricky un pò perplesso.
«Perchè? Pensavo che questo ti piacesse» disse un pò sconsolato. Non voleva vedergli niente di diverso addosso. Era perfetto.
«Sì, mi piace, ma... Ricky, io non...» 
Abbassò lo sguardo sentendosi in imbarazzo. Non poteva assolutamente permetterselo.
«Non preoccuparti, provvedo a tutto io, tu devi solo dirmi se ti piace»
«Sì, mi piace, ma non posso»
Ricky lo guardò confuso. Non avevano parlato di chi avrebbe pagato, ma visto che aveva deciso tutto lui gli sembrava il minimo non fargli spendere nemmeno un centesimo.
«Chris, ti prego, fallo per me»
«Io... mi dispiace, ma davvero non... Ricky, mettiti nei miei panni, non posso» 
«Sì che puoi, anzi, devi»
Chris scosse la testa  e Ricky sospirò. 
«Senti, forse è meglio se lasciamo stare» disse Chris togliendosi la giacca.
«Non voglio lasciar stare, voglio che prendi questi maledetti vestiti e li metti stasera»
Chris lo guardò aggrottando la fronte. Quella voce improvvisamente stridula e prepotente di Ricky lo fece innervosire non poco.
«Lo sai il problema qual è? È che voi ricchi siete abituati ad avere sempre tutto quello che volete, ma non è tutto così facile... io non posso semplicemente far finta che tu non spenderai un mare di soldi per comprarmi questa roba, forse nel tuo mondo è normale perchè tanto ci pensa papà, ma nel mio mondo, quello reale, le cose vanno diversamente» disse duramente. Ricky sembrò intristirsi di colpo. In realtà sapeva benissimo che quelle parole erano la pura verità, ma non immaginava che gli sarebbe capitato di sentirsele dire.
Ricky si sentì in dovere di dire qualcosa, non potevano starsene lì in silenzio.
«Mi dispiace, non volevo offenderti» disse.
«Sai, non mi infastidisce il fatto che tu mi abbia sputato in faccia ciò che pensi, quello che fa incazzare è che tu fai di tutta l'erba un fascio e sbagli di grosso» terminò fissando Chris negli occhi.
«Che dovrei fare? Far finta di niente?»
«Sì, Chris, sì»
Chris si sedette su uno sgabello in legno scuro che stava proprio accanto allo specchio. Non sapeva che fare. Accettare significava dover lasciare che qualcuno pagasse un sacco di soldi per dei vestiti che probabilmente non avrebbe più rimesso, rifiutare comportava litigare con Ricky. E nonostante non volesse per niente lasciargli fare una cosa simile, la paura stava sovrastando l'orgoglio. Ancora non riusciva a capire perchè quel ragazzino, in così poco tempo, si era insinuato nella sua testa e gli stava facendo dubitare di ogni cosa, anche dei principi morali che si era imposto per vivere una vita serena. Forse erano i suoi occhi, che avevano lo stesso colore di tutte le cose più belle, a mostrargli altri punti di vista.

Chris avrebbe dato di tutto pur di vedere la sua stessa espressione nel momento in cui si era trovato in casa di Ricky. Non aveva mai visto nulla di simile. La casa, già abbastanza sfarzosa di suo, era adornata da fiori bianchi e rossi, tavole apparecchiate con forchette, coltelli e cucchiai in cui ci si poteva riflettere e bicchieri di cristallo. Ad ogni passo gli sembrava di sentire una fragranza diversa invadergli le narici. Era come se quei profumi volessero accompagnare ogni ospite nel percorso dalla porta d'ingresso alle diverse stanze della casa; un vero e proprio viaggio di odori, insomma. 
Ricky gli mostrò casa sua con disinvoltura, ma Chris si sentiva sempre più piccolo ed insignificante difronte all'imponenza di archi e colonne tinete di avorio con decori in marmo, e alla bellezza delle tende che si abbinavano perfettamente all'ambiente.
Di tanto in tanto guardava Ricky e, se non fosse stato per quel suo modo così naturale di destregiarsi per i corridoi, non avrebbe mai detto che potesse abitare lì. Capelli lunghi, tatuaggi, pantaloni strappati, felpe e trucco intorno agli occhi facevano da contrasto con quell'ambiente così candido e dall'aspetto quasi regale.
Chris seguì l'altro ragazzo fino alla sua camera da letto. Si sforzò di non mostrare il suo stupore. Era semplicemente una stanza da sogno, quello che attirò la sua attenzione fu il letto: grande, con coperte bianche e parecchi cuscini; sembrava morbido, accogliente, caldo e comodo. 
«Chris, io vorrei farmi una doccia, ti dispiace se vado un attimo?» gli chiese Ricky.
«Ehm, okay, vai pure»
Ricky scomparve nella cabina armadio uscendo poi, con appoggiati all'avambraccio destro, dei pantaloni e una camicia.
«Torno subito, tu accomodati, fa come se fossi a casa tua»
A Chris venne spontaneo annuire e sorridere, ma quando Ricky chiuse la porta del bagno, sbuffò. E quando mai quella poteva assomigliare a casa sua?
Lasciò cadere sul letto il suo smoking chiuso nel copriabiti nero, in stoffa e con in nome del negozio stampato in rosso sul davanti. Si avvicinò alla libreria in legno che brulicava di libri, DVD, CD e giornali di varia natura. Il suo sguardo captò quasi tutti i titoli dei libri posizionati in verticale. Ne prese uno a caso. L'amore ai tempi del colera, diceva la copertina. Ne aveva già sentito parlare e conosceva la trama, ma la voglia di leggerne almeno qualche riga fu troppo forte. Si curò di comprendere davvero quelle parole. Non gli piaceva essere ignorante in qualche campo, tentava sempre di imparare qualcosa di nuovo. 
Il tempo passò velocemente e dopo circa quindici minuti qualcos'altro catturò la sua attenzione: voci, tante voci provenienti dal giardino. Si affacciò alla finestra e vide uomini in divisa, alcune rosse -quelle a cui aveva accennato Ricky-, altre bianche. Questi ultimi trasportavano grossi scatoloni. Sul lato del vialetto c'era una donna con indosso una vestaglia con stampa a fiori, i capelli avvolti intorno a grandi bigodini e una sigaretta nella mano sinistra. Dettava ordini come un ufficiale delle SS. 
Ricky uscì dal bagno e si accorse che Chris non si era reso conto della sua presenza, allora decise di avvicinarsi un pò di più per capire cosa stesse attirando così tanto la sua attenzione.
«Quella è mia madre» disse. Chris si voltò di scatto. Aveva indossato la camicia bianca e i pantaloni, teneva i capelli legati, era completamente struccato ed emanava un profumo quasi inebriante. Era bello.
«Se vuoi, puoi tenerlo, io l'ho già letto»
«Non so, non avrei nemmeno tempo di leggerlo» disse Chris riponendo il libro al suo posto.
«Come vuoi... puoi cominciare a vestirti, fra poco arriveranno gli invitati»
Chris si avvicinò al letto e osservò qualche secondo Ricky che si infilava delle scarpe molto simili alle sue.
«Ricky, potrei andare un attimo in bagno?»
Ricky gli sorrise.
«Chris, non devi chiedere il permesso anche per respirare» disse avvicinandosi alla cabina armadio.
«Rilassati... fatti una doccia» concluse lanciandogli un paio di boxer che lui afferrò al volo.
«No, non c'è bis-»
«Gli asciugamani sono nel mobile in alto» disse Ricky ignorando le lamentele di Chris che abbassò lo sguardo e annuendo si avvicinò al bagno. Quando si trovò sotto quel potente, ma allo stesso tempo dolce getto d'acqua calda, si sentì come rinato. A casa sua era già tanto se l'acqua bastava per tutti. E non potevano nemmeno avere pretese, che fosse gelida, bollente, tanta o poca, dovevano accontentarsi. Si sentiva come sbattuto in un posto bellissimo ma che non era suo, a cui probabilmente non avrebbe mai potuto appartenere.
Uscì dalla doccia e si asciugò, indossò i boxer e si sciacquò il viso per eliminare ogni residuo di trucco. Prima che potesse uscire, sentì Ricky bussare e chiedergli se poteva entrare. Lui gli aprì. Ricky tentò di dire qualcosa, ma preferì stare zitto, sapeva che qualsiasi cosa avesse detto, avrebbe balbettato. Trovarsi Chris a pochi centimetri, con addosso solo un paio di boxer neri e i capelli bagnati, gli stava facendo un certo effetto.
Entrò in bagno e prese una piastra per capelli. Mentre cercava di domare quella chioma corvina, non poteva fare a meno di guardare Chris che, nell'altra stanza, si vestiva. Non capiva se lo facesse lentamente o se fosse lui a vedere quella scena a rallentatore. Gli sembrò una specie di spogliarello all'inverso, ma comunque sexy all'inverosimile. 
Quando si accorse che forse stava esagerando e che, per il troppo guardarlo, si era deconcentrato bruciandosi praticamente tutti i capelli, decise che era arrivato il momento di riprendersi da quello stato di trance.
«Chris, vieni qui, ho un'idea» 
Il ragazzo raggiunse Ricky in bagno, incuriosito.
«Ti do una sistemata ai capelli»
«Perchè? Così non vanno bene?» chiese passandosi una mano nel ciuffo ancora umido.
«No, dai, fammi provare... al massimo li risciacqui e li lasci così»
Chris si fidò di Ricky e alla fine si guardò allo specchio, gli aveva tirato tutti i capelli indietro con il gel. Non li aveva mai portati così e si sorprese quando pensò che non erano poi così male.

La festa era cominciata già da perecchio, avevano cenato e bevuto e la serata stava continuando fra chiacchiere di circostanza e risate varie. Chris aveva conosciuto i genitori di Ricky che l'avevano accolto bene, gli sembravano gentili. Non si era nemmeno sentito troppo a disagio durante la cena, nonostante tutti gli invitati fossero fin troppo altezzosi e con la puzza sotto al naso per i suoi gusti. Erano persone molto eleganti, non solo nel modo di vestire, ma anche in quello di comportarsi. Gli uomini se ne stavano ben stretti nelle loro giacche costose e le donne sfoggiavano braccia e decolleté. Erano tutte molto belle, ma una lo colpì particolarmente. Indossava un lungo abito nero, con dei drappeggi sul seno e che scendeva morbido sui fianchi, si stringeva in vita grazie ad una cintura ricca di cristalli, questi si ripetevano anche intorno al collo e le illuminavano il viso, le braccia erano completamente nude. Delle morbide onde le ricadevano sulle spalle e due piccole trecce partivano dalle tempie e si incontravano dietro la testa, unite solo da un piccolo ma raffinato fermacapelli. Sembrava una Dea, una Dea di nome Jane. Quando era arrivata, accompagnata da un uomo molto più grande di lei, il padre di Ricky e sua madre gliel'avevano presentata ed entrambi avevano finto di non conoscersi, per tutta la cena erano stati seduti a pochi posti di distanza e spesso i loro occhi si erano incrociati.
«Non l'avevo capito» disse una voce alle sue spalle. Era la sua voce.
«Cosa?» chiese Chris continuando a guardare fuori dall'enorme finestra che affacciava su una piscina ovale, mentre stringeva un bicchiere con dentro dello champagne. Lui non beveva nemmeno così tanto, infatti ce l'aveva in mano da circa mezz'ora.
«Che il Ricky con cui uscivi era quel Ricky, ma soprattutto che ti piacessero quelli con le tasche piene di soldi» 
Chris si voltò verso di lei.
«E io non avevo capito che ti piacesse succhiare il cazzo ai vecchi con le tasche piene di soldi» disse sorridendo beffardo. 
«Senti, lui mi ha solo chiesto di accompagnarlo e io avevo voglia di uscire»
«Quindi non glielo succhi?»
«Qualche volta» ammise lei.
«Ma con lui non lo faccio perchè mi piace, ce l'ha pure piccolo» disse lasciando Chris senza parole per qualche secondo. Non capiva perchè una ragazza tanto bella come lei, perdesse tempo dietro ad un vecchio che stava con lei solo per mostrarla, come un qualsiasi oggetto prezioso.
«La verità è che tu credi sia bello venire a feste come queste, ma quello stronzo ti sfrutta e tu non dovresti accontentarti di così poco, meriti di più» disse allontanandosi dalla ragazza, ma lei lo raggiunse.
«Cosa?»
«Qualcuno che ti voglia veramente»
Jane capì che quel commento non fosse stato buttato lì tanto per dare una risposta alla sua domanda, capì che quello era un pensiero più profondo, ma decise di far finta di nulla, decise di prenderla con superficialità.
«E tu? Mi vuoi?» gli chiese in un sussurro. Chris la guardò ed era così bella, i suoi occhi gli stavano comunicando qualcosa che lui non riuscì ad ignorare.
«Jane, ti rendi conto che qui non si può, vero?»
«Mmh... no» disse, e avvicinandosi ancora di più al ragazzo, gli tolse il bicchiere dalle mani.  
«Io mi sto già bagnando» terminò per poi mandare giù tutto lo champagne in un solo sorso. Lasciò il bicchiere sul vassoio di un cameriere che passava accanto a loro e gli voltò le spalle. Proseguì per qualche metro nell'ampio salone. Il rumore delle sue scarpe che battevano sul parquet echeggiava nella testa di Chris attenuando tutti i rumori intorno. Il suo sguardo seguiva quella figura che si allontanava sinuosa, il suo vestito oscillava e sfiorava il pavimento ad ogni suo passo. 
La ragazza voltò il viso verso di lui, aveva uno sguardo eloquente e un sorriso malizioso, tanto che il ragazzo non riuscì a resistere alla tentazione. Si guardò intorno e vide che Ricky era impegnato ad annoiarsi con i suoi genitori; da circa un quarto d'ora l'avevano sequestrato e Chris era rimasto solo, il suo pensiero era corso ai suoi fratelli più volte. Si sentiva in colpa per averli lasciati da soli mentre lui era in quella casa enorme, con cibo in abbondanza e bevande di ogni genere.
Prese un grande respiro e seguì Jane che lo condusse al piano superiore, svoltarono a destra e proseguirono lungo il corridoio. La ragazza scelse una stanza a caso ed entrò.
«Ma guarda, è una camera da letto» squittì Jane tutta emozionata. Chris sorrise chiudendo la porta alle sue spalle. Le si avvicinò e la prese per i fianchi affondando il viso nella sua folta chioma dorata. Sorrise quando giunse alla conclusione che anche i suoi capelli lo eccitavano. 
La ragazza cominciò a camminare nel momento in cui sentì le labbra di Chris sfiorarle il collo. Il ragazzo la seguì senza staccarsi da lei. Quando arrivarono al letto, le mani di Chris si affrettarono a tirare su il tessuto morbido e liscio del vestito di Jane. La spinse sul materasso e le abbassò le mutandine nere. Fra di loro c'era una regola: se non avevano tempo, si andava direttamente al dunque saltando i preliminari. Infatti, la ragazza, dopo aver sentito appena la zip dei pantaloni di Chris abbassarsi, strinse forte il piumone bianco su cui poggiava anche il suo viso e la sua pancia piatta ed emise un piccolo gemito di impazienza. Qualche secondo dopo entrambi erano già completamente coinvolti in quell'atto così piacevole e soddisfacente.  

La festa era finita da circa mezz'ora e tutti gli ivitati avevano lasciato la casa. Ricky aveva trascinato Chris in camera sua non appena l'ultimo ospite aveva messo piede fuori casa.
Se ne stava seduto sul suo letto, aveva già messo un paio di pantaloni della tuta e una maglietta nera a meniche lunghe. Con le spalle appoggiate alla testiera imbottita del letto, osservava Chris mentre indossava i suoi jeans stretti.
«Com'è stato?» gli chiese improvvisamente, atono e con un'espressione seria che però Chris non vide.
«È stato divertente, ma mi devi insegnare quale forchetta si usa per il pesce, quale per la carne e soprattutto perchè ce n'è una per ogni portata» 
Ricky sorrise mentre Chris si toglieva la giacca e la camicia.
«Non intendevo la festa, intendevo farsi una ragazza appena conosciuta»
Chris si bloccò, solo dopo aver guardato l'altro ragazzo con un certo disagio riuscì ad infilarsi la maglietta. Era stato attento a non farsi vedere, come se n'era accorto?
«Ricky, io n-»
«Dimmi la verità» intervenne l'altro. Non voleva sentire scuse, voleva solo sapere cos'era successo. 
Chris si sedette accanto a lui e parlò senza riuscire a reggere il suo sguardo per più di qualche secondo.
«Non l'avevo appena conosciuta, io e Jane siamo... amici»
«Amici?»
Il respiro di Chris continuava ad essere irregolare contro il suo volere. Perchè tutte quelle domande? Perchè gli importava tanto? Il suo modo di parlare non faceva pensare ad un amico curioso, piuttosto ricordava un fidanzato geloso.
«Andiamo a letto insieme da sei o sette mesi, ma non stiamo insieme, ci vediamo ogni tanto»
«Quindi siete scopamici» disse Ricky che aveva il viso contratto, di chi non vuole mostrare quanta rabbia sta covando.
«Che ti importa se io vado a letto con una mia amica?» gli chiese l'altro ragazzo con tono calmo. Non voleva farlo sbraitare, nè era arrabbiato, tentava solo di spronarlo a tirare fuori quello che pensava.
«Niente... assolutamente niente, ma saresti tanto gentile da scopartela fuori da casa mia?»
«Okay, senti, mi dispiace, ma sai com'è...»
«No» sussurrò Ricky.
«Non lo so e non lo voglio sapere»
Chris lo guardò accigliandosi e, dopo una breve pausa di silenzio, fece un sorriso sghemo mentre si girava verso di lui per poterlo guardare meglio.
«Ricky, non che voglia farmi i cazzi tuoi, ma... per caso sei vergine?» gli chiese. Il viso di Ricky sembrò andare in fiamme, ma fortunatamente uno squillo lo salvò da quella situazione imbarazzante. Chris si affrettò a cercare il suo cellulare, che era poggiato sulla scrivania, e rispose velocemente non appena lesse il numero di casa sua sullo schermo. In un attimo sentì il mondo crollargli addosso, non riusciva a capire cosa stesse succedendo, sentiva solo la voce di sua sorella spezzata dal pianto e dalla preoccupazione che gli chiedeva disperatamente aiuto. Cercò di calmarla, ma fu tutto inutile e la ragazza non riusciva a spiegargli il motivo di quella chiamata. Però, appena sentì Betsy pronunciare il nome di suo fratello, perse un battito. Non ci pensò due volte prima di dirle che sarebbe corso da lei e che doveva solo stare calma.
Ricky, nel frattempo, osservava quella scena con evidente preoccupazione nello sguardo. Quando vide Chris riagganciare si alzò e seguì i veloci movimenti che compiva per mettersi le scarpe e poi la giacca di pelle.
«Chris, che è successo?» gli chiese, ma il ragazzo continuava a dire qualcosa sottovoce. Non ci avrebbe giurato, ma gli sembravano bestemmie.
«Devo andare, ci sentiamo» disse Chris mentre usciva dalla camera di Ricky che lo rincorse fino alle scale.
«Chris, aspetta... va tutto bene?» gli chiese con tono inquieto, ma Chris fece finta di non sentire, corse fuori lasciandoselo alle spalle. 




Rieccomi dopo taaanto tempo, mi dispiace non aver postato prima. In ogni caso spero che questo capitolo vi piaccia e vi annuncio che nel prossimo capitolo, probabilmente, succederà qualcosa che sarà sul serio di vostro gradimento...
Ora me ne starò in un angolino ad ascoltare musica e a deprimermi perchè Danny Worsnop ha lasciato gli Asking Alexandria (band preferita della sottoscritta), quindi non vedo l'ora di leggere qualche recensione così almeno mi riprendo un pò.
Baci!

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8-Right or wrong? ***


Capitolo 8 - Right or wrong?
Ricky scese le scale di corsa e diede un'occhiata in giro, non vedeva i suoi genitori fra tutti i camerieri che girovagavano per la casa intenti a togliere tutti gli addobbi. Gli si accelerò il battito cardiaco quando pensò che probabilmente l'avrebbero ucciso per quello che stava per fare, ma non ci pensò due volte prima di correre fuori. Arrivato in strada svoltò a sinistra e corse più che poteva. Chris, nel tragitto dal negozio alla casa di Ricky, gli aveva detto che abitava verso la periferia, gli aveva dato delle indicazioni, quindi si diresse deciso in quella direzione. Era praticamente senza fiato, ma continuò imperterrito. Nel momento in cui, indeciso, stava per imboccare un vicolo non troppo stretto ma abbastanza buio, sentì delle urla e in lontananza vide delle luci, probabilmente erano sirene. Si avvicinò a quella zona. Non c'era mai stato, i suoi genitori spesso ne parlavano male, dicevano che nei "quartieri dei poveri" un Olson non ci avrebbe mai messo piede, e poi ci ridevano su.
Si avvicinò alle persone che, numerose, avevano circondato una casa difronte alla quale vi era un'ambulanza ferma. Le sue orecchie sentivano così tanti rumori, i suoi occhi vedevano così tanti volti sconosciuti. Si distingueva un pianto disperato.
Di fianco a lui passò un ragazzo poco più alto di lui, aveva gli occhi scuri e i capelli completamente rasati, quasi gli fece paura.
«Hei, scusa» disse timidamente Ricky richiamando la sua attenzione.
«Sai che è successo?»
Il ragazzo lo guardò dalla testa ai piedi, quasi con disprezzo. Sembrava che però andasse di fretta quindi gli rispose velocemente.
«No»
Lo vide correre verso la calca e scomparire. Si sentì osservato mentre guardava quella scena da lontano. C'erano persone che probabilmente l'avevano riconosciuto e si stupivano di vederlo lì.
Qualche secondo dopo l'ambulanza partì e tutti si misero ad un lato della strada per lasciarla passare liberamente. In un attimo tutte quelle persone scomparvero, rimase solo una ragazza che piangeva, una donna che l'abbracciava e quel ragazzo con cui lui aveva parlato. La ragazza chiedeva di Chris e gli altri due la rassicuravano. La donna salì in macchina seguita dai due ragazzi e poi si misero sulla strada per l'ospedale.
Ricky rimase fermo sul ciglio della strada. Cercava di capire cosa fosse successo, ma ormai non c'era più nessuno e anche se avesse voluto, non avrebbe potuto chiedere informazioni a nessuno. Era indeciso sul dafarsi. Se quel Chris era il suo Chris, allora avrebbe voluto tanto correre da lui.
«È proprio un figlio di puttana» disse una voce alle sue spalle. Si voltò e vide un uomo con una bottiglia di birra in mano.
«Ha nove vite come come i gatti e sai su chi pesa? Su di me, dicono che dovrei prendermene cura, ma io nemmeno lo volevo un figlio malato»
Ricky pensò che probabilmente fosse ubriaco.
«Lo vedi questo?» gli chiese l'uomo avvicinandosi di un paio di passi e puntandosi un dito sull'occhio destro. Ricky annuì notando il grosso livido violaceo.
«Me l'ha fatto l'amico di quello lì... come si chiama? L'altro figlio di mia moglie... Christopher» disse gesticolando come un matto.
«E sai perchè? Perchè lui dice che gli ho rubato i soldi, ma io non ho rubato niente... anzi, sì, ma lui non ha nessuna prova eppure mi fa picchiare dai suoi amici» continuò con quel tono incredulo, mentre Ricky era a bocca aperta. Lo stomaco gli si strinse dolore. Se quello era il padre di Chris e quella storia che aveva raccontato era vera, significava che Chris non aveva una vita tanto semplice. Ma questo era ovvio, in quei brutti quartieri nessuno ce l'aveva.
«Mi dispiace» disse in un sussurro.
«Sa dove l'hanno portato?» gli chiese poi tirando fuori tutto il coraggio che aveva. Parlare con sconosciuti, tra l'altro ubriachi, non era una delle cose che gli riusciva bene. L'uomo ci pensò un pò su.
«Il... Saint... ehm... Saint Anem-»
«Saint Anemon Hospital?» lo bloccò Ricky con la voce spezzata da un brivido d'eccitazione. L'altro annuì e lui cominciò a correre di nuovo. A circa metà strada si fermò e si mise una mano sul petto mentre rifletteva. Suo padre, qualche volta, per andare in ospedale ed era in ritardo prendeva una scorciatoia, ma in così tanti anni non aveva mai imparato con precisione quale di quelle stradine era la giusta. Chiuse gli occhi qualche secondo e quando li riaprì, ne imboccò una, quella che gli sembrava la più giusta. Quando si ritrovò difronte all'ospedale sospirò sollevato. Probabilmente, dopo quella sera, non si sarebbe mai più confuso.
Dentro l'ospedale la temperatura era più calda e bastò quello a rilassarlo. C'erano tante persone e gli infermieri scorrazzavano a destra e sinistra, chi più indaffarato e chi meno.
«Ehi, Richard»
Ricky guardò di fronte a sè e vide una donna robusta, con i capelli ricci e un sorriso smagliante andargli in contro. Lui odiava gli ospedali, ma quell'infermiera gli stava simpatica. Ogni volta che andava lì era l'unica a sorridergli, gli altri probabilmente pensavano solo che lui fosse il figlio del dittatore che li costringeva a lavorare anche il sabato sera.
«Ciao, Emma»
«Che ci fai qui? Non è il compleanno di tuo padre oggi? A proposito portagli i miei auguri»
«Sì, grazie... io... Emma, io sto cercando un ragazzo che hanno portato qui in ambulanza circa dieci minuti fa, non lo so cosa gli è successo, non conosco il suo nome, ma i-io...» disse tutto d'un fiato e con lo sguardo disperato. 
«Ehi, rilassati... Richard, stasera sono arrivate così tante ambulanze e poi io non posso dirti i nomi dei pazienti»
«Sì, lo so, ma... va bene, scusa, non fa niente, resterò un pò qui poi andrò a casa» disse rassegnato. Non sapeva nemmeno perchè volesse sapere cosa era successo. In fondo, se Chris avesse voluto dirglielo l'avrebbe fatto. 
«Puoi solo fare una chiamata a mio padre? Gli dici che sono venuto qui solo perchè ho saputo che un mio amico è stato male»
La donna annuì e si allontanò. Ricky si diresse verso la sala d'attesa e si sedette. Cercò di rilassare tutti i nervi tesi che aveva nel corpo, poi si alzò e uscì dall'ospedale. Rabbrividì e si strinse fra le sue stesse braccia. Si guardò intorno distrattamente in procinto di incamminarsi verso casa, ma qualcosa lo costrinse a fermarsi. Quel ragazzo, quello con cui aveva parlato fuori casa di Chris, era a qualche metro da lui seduto su una panchina, si stava accendendo una sigaretta. Non sapeva se avvicinarsi, non era stato tanto gentile con lui, ma forse l'avrebbe aiutato. Andò a sedersi accanto a lui senza dire niente. Si sentiva molto a disagio, lui non era quel tipo di persona che si avvicina a chiunque senza pensarci su duemila volte.
«Che cazzo vuoi da Chris?» gli chiese il ragazzo senza aspettare che Ricky parlasse.
«Io non... non voglio niente, voglio solo... parlargli»
«Senti, ci puoi parlare quanto vuoi, ma sappi che per lui non sei niente»
Ricky si accigliò sentendosi offeso.
«Perchè?» chiese incredulo. Quel ragazzo non lo conosceva nemmeno, per quale motivo lo stava trattando così?
«Se tu non ti fossi messo in mezzo, stasera probabilmente non saremmo qui a sperare che suo fratello si salvi... sparisci» disse il ragazzo arrabbiato. 
«Trevor»
I due ragazzi seduti sulla panchina voltarono contemporaneamente lo sguardo verso l'ingresso dove c'era Chris che li guardava. Ricky vide il ragazzo accanto a lui alzarsi e andare verso Chris con decisione. Li sentì parlare fra di loro, ma non capì cosa si stessero dicendo, sembrava che stessero quasi litigando senza però alzare la voce. Trevor dopo un pò andò via e Chris si avvicinò a Ricky e si sedette. Lo guardò a lungo mentre l'altro se ne stava con lo sguardo basso e tremava leggermente.
«Come hai fatto a sapere che ero qui?» gli chiese.
«Ti ho seguito, poi ho... ho visto l'ambulanza e...» lasciò la frase in sospeso senza aggiungere il dettaglio di suo padre ubriaco che aveva parlato male di lui.
«Jonathan è autistico e ha dei problemi al cuore e ai polmoni... lo so che Betsy sa quali medicine deve prendere, ma questo non significa che devo lasciarglielo fare... è tutta colpa mia, lei è molto responsabile, ma ha pur sempre dodici anni» disse guardando il vuoto. Sembrava che si stesse odiando profondamente, la sua voce e il suo viso esprimevano rabbia.
«Betsy sarebbe...»
«Mia sorella» disse subito Chris con una punta di orgoglio. Si ritrovò anche a pensare che lei e Jonathan erano le uniche persone per cui lui avrebbe dato anche la vita. E immaginare suo fratello in quel letto, così piccolo e indifeso, gli stava provocando delle fitte dolorose allo stomaco.
«Devo tornare dentro» disse, ma non si mosse, non riuscì ad alzarsi. Ricky lo guardò esitante, non sapeva cosa dirgli o cosa fare. Chris sembrava combattuto fra il voler tornare dai suoi fratelli e qualcos'altro, qualcosa che Ricky non riusciva a decifrare.
«Ricky, mi dispiace per quello che ha detto Trevor» disse Chris con risentimento.
«Non fa niente» mormorò l'altro e Chris non potè non perdersi in quegli occhi che gli stavano sorridendo. Ricky sentì le guance pizzicargli, ma per una volta decise di non pensarci, decise di lasciarsi andare a quella sensazione, decise di far finta che quell'imbarazzo non lo stesse rendendo ridicolo, decise che guardare Chris fosse più importante di qualunque altra cosa. E c'era quel silenzio che sapeva di complicità, e le luci intorno che parevano diventare piccole lucciole danzanti, e il suo cuore che batteva a ritmo di una melodia inesistente, i loro caldi sospiri che si condensavano nella bassa temperatura della notte, e la mano di Chris che calma si poggiò sul viso di Ricky, gli sfiorò una guancia e poi le labbra, le sue dita che si insinuarono appena fra i suoi capelli e lì arrestarono la loro corsa. Ricky socchiuse gli occhi assaporando quella carezza, quando li aprì ebbe un fremito, non riuscì a reggere il peso dello sguardo di Chris che si avvicinava sempre di più, e allora guardò quelle labbra leggermente dischiuse e così invitanti. In un istante le sentì sulle sue. Fu un bacio casto, semplice, un tocco timido ma allo stesso tempo caloroso e suggestivo. Ricky non avrebbe voluto lasciar andare quelle labbra morbide e dolci, ma non lo trattenne quando non lo sentì più così vicino. Si sorrisero e, ancora, quell'atmosfera romantica li teneva legati. 
Quando Chris si alzò, Ricky lo seguì con lo sguardo e rimase quasi senza fiato, dal basso di quella panchina gli sembrò come una montagna che si innalzava su un mare calmo, sotto un cielo sereno. Si sentiva piccolo, ma protetto da quella roccia che si levava alta e imponente.
«Vai a casa, Ricky, è tardi» gli disse Chris e Ricky abbassò lo sguardo, riprendendosi di colpo. Si alzò.
«Sì e tu d-devi... andare nel... devi...»
«Devo tornare dentro» disse Chris senza nemmeno sforzarsi di trattenere una risata per quel balbettare, per quel suo modo di fare spesso impacciato.
«Sì» sussurrò Ricky.
«Ci sentiamo, okay?»
Ricky annuì e Chris si allontanò scomparendo oltre le porte scorrevoli dell'ospedale. Subito dopo Ricky si portò una mano sul petto e respirò pesantemente. Quel ragazzo gli causava spasmi involontari e tremendamente piacevoli al cuore, allo stomaco e nei pantaloni.  

Ricky si diresse in camera sua a testa bassa. Suo padre gli aveva fatto una lavata di testa perchè era uscito di casa senza avvertire e, secondo lui, qualche maniaco avrebbe potuto rapirlo, qualche macchina investirlo e qualche strano animale trasformarlo in un mutante.
Si mise a letto e sorrise. Non riusciva a smettere, ricordava la sensazione di avere Chris così vicino a lui e gli sembrava quasi di averlo ancora di fronte. Aveva tanta voglia di sentire la sua voce ancora e ancora, l'avrebbe ascoltata possibilmente fino alla nausea.
Si mise sotto le coperte e quel calore lo portò presto a sbadigliare e addormentarsi di colpo. 

L'ora di ginnastica sembrava non voler passare. Ma almeno Ricky se ne poteva stare tranquillo, seduto sul pavimento della palestra a guardare il vuoto, a pensare tanto profondamente da annientare il rumore dei piedi scalpitanti dei compagni di classe, del pallone che passava di mano in mano e che di tanto in tanto si schiantava per terra, delle grida dell'allenatore, dei battiti delle sue mani quando qualcuno segnava qualche punto.
Ricky stringeva forte il suo cellulare. Di solito, in quella situazione, avrebbe pensato a quanto odiava quella scuola, a quanto sarebbe voluto essere da qualche altra parte con i suoi amici o da solo, con la sua musica. Ma in quel momento non si concentrò molto su quanto non sopportasse il rumore del fischetto dell'allenatore, la sua mente viaggiava verso Chris. 
Stringeva il cellulare combattendo contro quella voglia incontrollabile di chiamarlo. Voleva sapere come si sentiva o, forse, quello nemmeno gli importava, gli importava sapere se quello che era successo la sera prima non era stato solo un sogno.
«Ricky»
Quella voce lo distrasse e istintivamente gli occhi corsero verso la direzione da cui proveniva quel suono. Dalla porta degli spogliatoi intravide Ryan che lo fissava e si accigliò. Di solito a quell'ora lui era nel bel mezzo dell'ora di algebra.
Vide che gli stava facendo cenno di andare verso di lui, allora, stando attento a non farsi vedere da nessuno, corse verso gli spogliatoi e si chiuse la porta alle spalle.
«Che ci fai qui?» chiese Ricky.
«Niente, il vecchio non c'è e io sono scappato dall'aula... ti va di fumare?»
Ricky lo guardò esitando. Non si erano parlati da quando avevano avuto quella piccola litigata sul balcone della scuola, ma Ryan era andato da lui come se non fosse mai accaduto e Ricky sorrise perchè non se l'era presa per quelle parole rabbiose che gli aveva detto.
«Okay»
Anche sul viso di Ryan si accennò un sorriso e insieme si avviarono verso l'uscita di sicurezza.
«Ho saputo che hai parlato con Devin» disse Ryan camminando a testa bassa mentre tirava fuori un pacchetto di Marlboro dalla borsa.
«Già» rispose timido Ricky accettando di buon grado la sigaretta. Arrivati sul retro della scuola si sedettero per terra e cominciarono a fumare in silenzio.
«Come ti va la vita?» gli chiese Ryan dopo un pò.
«Ehm, bene... direi» mormorò Ricky.
«Sicuro?»
Un sospiro rispose alla domanda posta di Ryan che si preoccupò perchè Ricky sospirava in quel modo solo in caso di profonda tristezza o confusione.
«Che c'è?»
«Niente» rispose Ricky. Non poteva dirgli quello che stava facendo di nascosto da tutti. Non poteva assolutamente fargli sapere che stava letteralmente perdendo la testa per un ragazzo.
«C'entra Martha?»
Ricky stava quasi per scuotere la testa, ma poi annuì. Solo così poteva liberarsi da quella situazione.
«Non vuole lasciarmi in pace, devo farle capire che fra noi è finita»
«Allora vai da lei e diglielo in faccia»
Ricky gli sorrise come a ringraziarlo del consiglio, ma avrebbe voluto bruciarsi con la brace di quella sigaretta invece che farla illuminare un pò di più ad ogni tiro. Odiava dover mentire ai suoi amici, loro erano la parte più bella della sua vita.

Stare seduto a tavola insieme ai suoi genitori era un'impresa, ma gli piaceva molto. Teneva gli avambracci verso il tavolo e lo sfiorava appena, la schiena dritta e la bocca ben chiusa mentre masticava. I suoi genitori ci tenevano a certe cose, soprattutto sua madre. Suo padre, invece, gli obbligava a seguire il galateo solo in presenza di ospiti. 
Era da un pò che non riusciva a togliersi il sorriso dal volto e questo sorprese sua madre che era abituata a vedere il perenne broncio stampato sul volto del figlio.
«Cosa ti rende così felice, Richard?» gli chiese prima di bere un sorso d'acqua. Il ragazzo mandò giù il boccone e la guardò ancora sorridendo.
«Niente, è solo una bella giornata»
Il suo sguardo corse verso sinistra, dove era seduto suo padre.
«Papà, oggi posso venire in ospedale con te?»
«Vuoi fare visita al tuo amico?»
Ricky annuì.
«Va bene, allora appena hai finito di pranzare corri a prepararti»
«Grazie» disse Ricky senza sembrare troppo eccitato all'idea di rivedere Chris. Quell'espressione sorridente ce l'aveva proprio questo, perchè aveva combattuto la paura e l'aveva chiamato. Si era sentito in imbarazzo e insiecuro quando Chris gli aveva detto che gli avrebbe fatto piacere rivederlo anche se era ancora in ospedale. 
Si leccò lentamente le labbra immaginando quelle di Chris e cercando di ricordare la sensazione che aveva provato mentre le stava baciando. Socchiuse un attimo gli occhi mentre sentiva una piacevole sensazione allo stomaco. Anche se tutta quella storia lo spaventava e lo imbarazzava parecchio, non vedeva l'ora di baciarlo di nuovo, di sentire le sue mani che lo sfioravano. 
Smise di mangiare lasciando ancora un pò di cibo nel piatto e si alzò correndo in camera sua. Sapeva di aver vagato un pò troppo con l'immaginazione, ma sentiva che con Chris poteva permetterselo. Nonostante quella situazione gli mettesse paura, si faceva coraggio perchè dentro di sè sapeva che era esattamente quello che voleva. Stare con Chris gli sembrava fin troppo giusto. Gli piaceva tutto di lui e, diversamente dai discorsi classisti di suoi padre, a lui non importava se era cresciuto in un quartiere povero. Chris era pienamente all'altezza, era intelligente e gentile, e anche se non gli era stata impartita un'educazione particolarmente severa, sapeva come comportarsi. 
Si guardò allo specchio e vide qualcosa sul suo volto, forse erano i suoi occhi, brillavano e non riusciva a credere a quanto gli piacesse vedersi con quell'espressione. Non si era mai ritenuto un bel ragazzo, ma nemmeno si era fatto dei complessi sul suo fisico, semplicemente non aveva mai avuto un parere su se stesso. Ma in quel momento vedeva il suo sorriso e gli piaceva.
«Ricky, sei pronto?» gridò la voce rauca di suo padre che, probabilmente era in fondo alle scale. Poteva immaginarselo, nella sua camicia e il soprabito lungo e nero. Si sistemò velocemente i capelli e afferrò una felpa indossandola mentre correva per il corridoio.
Salutò sua madre con un cenno della mano e uscì di casa con suo padre.
In macchina stettero per un pò in silenzio, mentre la radio mandava una canzone che a Ricky non piaceva. L'ansia gli stava attanagliando lo stomaco e sentiva un formicolio poco piacevole partirgli dalle gambe e salirgli lungo la schiena. Vide con la coda dell'occhio che suo padre stava abbassando il volume e quel gesto catturò la sua attenzione.
«Come si chiama questo tuo amico?» gli chiese mentre teneva lo sguardo fisso sulla strada.
«Chris» sussurrò sperando che suo padre ricordasse di averlo visto la sera prima al suo compleanno.
«Ah sì, come mai è in ospedale?»
«Ehm, non lo so, ieri sera suo fratello si è sentito male e credo l'abbiano ricoverato visto che è ancora lì» rispose nervosamente il ragazzo torturandosi l'unghia dell'indice.
«Ieri sera me l'hai presentato, quindi lo conosci da poco»
A quel punto Ricky si sentì come il colpevole di un omicidio che veniva interrogato. Dove voleva andare a parare con quelle domande? 
«Infatti, saranno un paio di settimane più o meno»
Lo vide annuire e per un pò restò in silenzio. Ricky tirò un sospiro silenzioso mentre si rilassava, ma subito dopo tornò sugli attenti perchè suo padre riprese a parlare.
«Chi sono i suoi genitori?»
Ricky aggrottò la fronte.
«Papà, per quanto a te possa sembrare una cosa spregevole, quando un adolescente incontra qualcuno non va ad indagare sul suo albero genealogico»
Suo padre emise una sottilissima risata.
«Io non voglio che mio figlio frequenti brutte compagnie, noi abbiamo una reputazione»
Quel commento fece innervosire Ricky. Il suo tono di voce faceva trasparire la poca fiducia che aveva in lui. Era come se nella testa di suo padre lui non fosse abbastanza maturo da poter capire se una persona era "buona" o "cattiva". Probabilmente non aveva l'esperienza di un adulto, ma non era nemmeno un idiota e sapeva quali erano le persone da cui tenersi lontano.
«Papà, per favore» riuscì a dire solo quello e la conversazione morì in quel punto. Fortunatamente, pensò Ricky che, guardando l'espressione di suo padre, capì di non averlo convinto. Sperò con tutto se stesso che non cominciasse ad indagare nella vita di Chris, altrimenti sarebbe stata davvero la fine. Aveva fatto così anche con Josh e Devin e quel comportamento aveva infastidito Ricky al punto che per un certo periodo non gli aveva rivolto la parola, nemmeno una saluto.
Arrivati in ospedale, Ricky cercò di liberarsi velocemente dalle grinfie di suo padre e andò dritto al reparto che gli aveva indicato Chris. Cercò la stanza e prima di entrare chiuse gli occhi e prese un paio di respiri. Sembrava quasi che l'aria non volesse arrivare pienamente ai polmoni, il cuore gli batteva forte. 
Bussò un paio di volte e subito sentì una voce femminile che lo invitava ad entrare. Andò in panico per un secondo, giusto il tempo di mettere la mano sulla maniglia e abbassarla. Non sapeva chi avrebbe trovato oltre quella porta. Aveva sperato di stare solo con lui.
Entrò cautamente e vide subito una ragazza -la stessa che aveva visto piangere fuori casa di Chris e, probabilmente, era sua sorella- che era seduta su una sedia e teneva per mano il ragazzo steso sul letto, lui teneva gli occhi chiusi. 
«Ehm, ciao, io... sono Ricky, un ami-»
«So chi sei» disse velocemente la ragazza con un tono duro, quasi infastidito.
«Chris è andato a prendere qualcosa da mangiare, dovrebbe tornare presto»
Ricky annuì chiudendo la porta, ma non riuscì a muoversi. Si sentiva a disagio e sentiva le guance accaldarsi. La ragazza lo stava scrutando attentamente e probabilmente fu quello a metterlo in imbarazzo.
«Ehm... come sta?» chiese il ragazzo con la sua naturale gentilezza.
«Non lo vedi?» rispose lei con sgarbatezza. Ricky guardò verso il letto e vide solo tanti macchinari intorno a quel corpicino indifeso. Non ci capiva niente, ma da alcuni discorsi di suo padre aveva capito che quanti più tubi circondavano un paziente, più la situazione era grave. Ne riuscì a contare tre o quattro.
Abbassò lo sguardo e si infilò le mani in tasca, erano leggermente sudate.
Trattenne il respiro per lunghi secondi che gli sembravano interminabili. Gli capitava spesso di fermare volontariamente la respirazione, lo faceva quando era parecchio stressato, nervoso e, in alcuni casi, imbarazzato.
Riprese a respirare regolarmente quando sentì la porta alle sue spalle aprirsi. Si voltò e finalmente vide il volto di Chris che sembrò illuminarsi.
«Ciao» mormorò Ricky sentendo le gambe diventargli come gelatina. Chris lo guardò incapace di dire qualcosa. Vederlo dopo una notte insonne era come una ventata d'aria fresca.
«Chris, io avrei anche un tantino fame» 
La voce di Betsy li distrasse e Chris si affrettò a darle la busta che aveva in mano.
«Sono andato da Darrel, come volevi tu»
Gli occhi della ragazza sembrarono accendersi mentre tirava fuori il suo panino. Chris sapeva bene perchè le piacevano tanto quei panini, ma cercava sempre di ignorare le vere ragioni.
«Come stava?» chiese lei.
«Dietro un bancone, affettava prosciutto»
«Ma non Darrel, suo figlio, idiota»
Chris sospirò e Ricky si lasciò un pò andare, ridendo leggermente a quella scena.
«Betsy, quel tipo ha la mia età e tu non ci condividerai nemmeno l'ossigeno, chiaro?»
«Ma fatti gli affari tuoi» rispose Betsy acida.
«Tu sei affare mio e quindi si fa come dico io» 
Ricky si morse il labbro inferiore a quelle parole. Sentirgli pronunciare quella precisa frase con quel preciso tono di voce, così protettivo e autoritario, aveva scatenato in Ricky qualcosa che nemmeno lui riuscì a spiegarsi. Si sentì in colpa a pensare che in quella situazione lui stesse pensando solo a quanto diavolo fosse sexy. Lui, la sua voce e quelle maledette labbra che avrebbe voluto mordere ogni minuto di ogni ora di ogni giorno della sua vita. Non si era mai sentito tanto superficiale in tutta la sua vita. C'era un ragazzino intubato e due fratelli che litigavano per un motivo apparentemente futile, ma che stava palesemente infastidendo la ragazza, e lui riusciva a pensare solo a quanto avrebbe voluto portarsi via quel ragazzo bizzarro e senza sopracciglia.
«Chris, se questo continua a guardarmi così gli spacco la faccia» pronunciò Betsy guardando Ricky con aria di sfida e lui spostò subito lo sguardo.
«Betsy» disse Chris a denti stretti, guardandola male. Non aveva idea del perchè si stesse comportando in quel modo, ma a momento opportuno l'avrebbe rimproverata.
«Vieni, Ricky, andiamo un pò fuori»
Ricky seguì Chris in silenzio. Sentì bene Betsy che diceva a suo fratello che era un bene se lo portava via da lì, ma fece comunque finta di niente. Non sapeva cosa le aveva fatto di tanto terribile da meritarsi quel trattamento.    
Uscirono dall'ospedale e Chris andò a sedersi sulla stessa panchina della sera prima. Ricky esitò prima di raggiungerlo. Si sedette accanto a lui e schiuse le labbra come se davvero avesse qualcosa da dire, ma non era così. 
«Mi dispiace per mia sorella, lei non è sempre così, non so cosa le sia preso» disse Chris aprendo un pacchetto di sigarette e accendendosene una subito dopo. Ricky non riuscì a credere di non essersi accorto che Chris avesse un pacchetto di sigarette in mano. Era talmente preso dai suoi stessi pensieri che non si sarebbe accorto di un meteorite in procinto di colpirlo in pieno.
«Non fa niente» sussurrò per poi voltarsi verso di lui e guardarlo negli occhi. Voleva parlargli di quel bacio, voleva sapere per lui cosa aveva significato, voleva sapere se anche lui ne voleva disperatamente un altro, se anche a lui era piaciuto così tanto.
«Sei stanco, vero?» gli chiese infine. Non capì nemmeno da dove diavolo fosse uscita quella domanda.
«Sì, tanto, è stata una delle notti più brutte della mia vita, ma è passata come passano tutte le cose brutte» 
Ricky pensò che i suoi genitori dovessero essere davvero fieri di lui, ma gli tornò in mente la chiacchierata avuta con suo padre. Gli fece pena, ma allo stesso tempo provava ammirazione. Probabilmente quel ragazzo con gli occhi sfiniti aveva passato tante nottate brutte, tante giornate brutte, forse era stato più volte preso a pugni da una vita troppo ingiusta, ma era lì e nonostante tutto trasmetteva forza e sicurezza. Ricky avrebbe dato di tutto pur di poter essere come lui. Invece era solo un nanetto un pò effeminato che gridava alla vista di un insetto.
«A cosa pensi?» gli chiese Chris notando il suo sguardo perso.
«Che ho paura degli insetti» rispose Ricky svogliatamente, ma subito dopo si coprì la bocca con una mano. Chris rise.
«Wow, a me invece fanno schifo i ragni, piccoli o grandi che siano, dovrebbero estinguersi» disse poi cercando di mettere Ricky a suo agio. Adorava vedere quel rossore comparire in fretta sulle sue guance, ma immaginava quanto per lui fosse scomoda quella situazione.
Si sorrisero e Chris continuò a fumare con i gomiti poggiati sulle ginocchia e lo sguardo perso verso la strada. Ricky, invece, riprese a torturarsi le unghie e fissava le loro ombre sull'asfalto consolandosi con il tepore che avvolgeva tutta la città quel giorno. Anche senza guardarlo poteva sentire quella presenza costante, che anche con lo sguardo velato dalla stanchezza splendeva come una candela appena accesa.
Qualcuno alle loro spalle si schiarì la voce attirando l'attenzione dei due ragazzi. Ricky si rabbuiò appena vide quella splendida ragazza dai capelli biondi che guardava Chris dietro quegli enormi occhiali da sole. Ebbe il presentimento che presto Jane avrebbe attirato tutta l'attenzione su di sè e Chris si sarebbe dimenticato della sua presenza. 
Fu tutto molto veloce: lei salutò Ricky quasi con una smorfia e lui ricambiò con un accenno di sorriso; un attimo dopo Jane era seduta -senza che Ricky potesse capirne il motivo- sulle gambe di Chris. Ricky li ascoltò con discrezione. Di solito non gli importava molto ascoltare i discorsi degli altri, soprattutto quando non lo riguardavano. Riusciva a percepire che la preoccupazione di Jane verso Jonathan non era del tutto autentica, sembrava più che lei fosse lì per mettere in mostra le tette, per mostrarle a Chris. Quel pensiero rimbalzò nella mente di Ricky per qualche minuto e si accorse di provare una sensazione molto, tanto strana. 
Capì che que sentimento incontrollabile era gelosia quando vide che la ragazza prese quello che rimaneva della sigaretta di Chris e se la portò alle labbra e poi, con naturalezza, afferrò la mano di Chris e la diresse sulle sue cosce; tenne la sua mano su quella di Chris come per assicurarsi che non la spostasse mai. Sapeva che Jane lo stava facendo apposta, altrimenti per quale ragione avrebbe dovuto sedersi sulle sue ginocchia con tutto lo spazio libero che c'era? Perchè avrebbe dovuto fumare la sua sigaretta? Perchè avrebbe dovuto mettersi una sua mano in mezzo alle gambe? Perchè avrebbe dovuto fare tutti quei falsi sorrisi? 
Ricky strinse i denti reprimendo quella voglia crescente di scappare da quella situazione solo quando si rese conto che Chris lo guardava. Lo stava guardando nonstante Jane stesse provando ad attirare il più possibile la sua attenzione.
La ragazza parlò ancora e ancora e Chris seguì distrattamente i suoi discorsi. Ricky la trovò tanto superficiale da provare disgusto. Ma non si accorgeva che Chris non aveva voglia di parlare delle sue doppie punte? O, se se ne accorgeva, perchè continuava a raccontare stronzate?
«Io dovrei tornare da mio fratello adesso» disse Chris d'un tratto sovrapponendo la sua voce a quella di Jane. Lei sbuffò quasi e poi guardò l'orologio che portava al polso. 
«Io ho gli allenamenti fra un pò, me ne vado» disse alzandosi. 
«Verrò a trovarti» la sua voce era improvvisamente diventata meno acuta, più profonda. Chris le sorrise appena e la guardò mentre si allontanava.
«Credo si senta davvero tanto sola» sussurrò Chris senza spostare lo sguardo.
«E dovresti tenerle compagnia tu?» rispose Ricky indispettito. Sul viso di Chris comparve un sorrisetto che tentò di trattenere con scarsi risultati. Trovava interessante che quel ragazzo potesse essere tanto trasparente. Si lasciava andare a dei commenti che altri non avrebbero avuto il coraggio di fare e questo, pur risultando sgradevole e inappropriato a volte, era la conferma che non potesse nascondere sentimenti e sensazioni di ogni genere. E poi andava matto per quella sua solita espressione imbarazzata, di chi sa di aver parlato troppo. Chris l'avrebbe definito come il disegno di un paesaggio naturale perchè, per quanto gli scenari potessero essere diversi, i colori e tutte le loro sfumature rimanevano sempre le stesse.

Trevor era arrivato da circa cinque minuti con la donna che aveva visto Ricky la sera prima. Si chiamava Rose e sembrava tanto gentile, non come Trevor e Betsy che si ostinavano ad essere suoi nemici. Quella situazione non era bella, ma a Ricky non importava, c'era Chris e gli bastava.
Da quando Trevor e Rose erano arrivati, Chris e sua sorella avevano preso a litigare perchè lui voleva che se ne tornasse a casa per riposare, ma lei era contraria, voleva restare con suo fratello. Mezz'ora dopo Betsy si arrese e lasciò la stanza. Per l'ennesima volta erano rimasti soli. Ricky guardò Chris e gli sembrò pensieroso.
«Chris» sussurrò quasi impercettibilmente, ma l'altro lo sentì. Ricky non sapeva perchè aveva pronunciato il suo nome, nè cosa dirgli in quel momento allora tentò -balbettò come non mai- di chiedergli a cosa stesse pensando.
«Ho tanto sonno» si lamentò Chris.
«Prova a dormire un pò, io potrei... non so... posso restare qui e se dovesse svegliarsi ti chiamo»
Chris scosse subito la testa.
«Grazie, ma non posso... non c'ero quando ha chiuso gli occhi, devo essere qui quando li riaprirà»
Ricky lo trovò un pensiero molto dolce. Ormai erano lì già da qualche ora e Ricky si era posto mille domande. Voleva delle risposte. Alcuni aspetti di Chris, del suo carattere o della sua vita erano coperti da una specie di ombra scura. Era curioso di sapere tutto di lui, voleva conoscerlo in tutte le sue sfaccettature.
«Posso farti una domanda?» gli chiese.
«Certo»
«Ehm... non vorrei farmi gli affari tuoi ma... tua madre? Cioè i tuoi genitori perchè non sono qui?»
Chris lo guardò con evidente stupore. Non si aspettava una domanda simile.
«È un casino, non so nemmeno da dove cominciare... anzi, ho già cominciato, loro non sono qui perchè sono un casino e non mi dispiace nemmeno, se fossero qui probabilmente ci faremmo cacciare dall'ospedale»
«Perchè?»
«Oh, tu non hai assolutamente idea di quello che siamo capaci di combianare io e mio padre se cominciamo a litigare, e ti assicuro che lo facciamo ogni volta che ci vediamo... io tento di mantenere la calma e il più delle volte ci riesco, ma altre volte è impossibile... diventa una gara a chi urla di più, spesso anche a chi... a chi picchia più forte» disse abbassando lo sguardo. Se ne vergognava. Lui non era violento, non era una di quelle perosne che passava facilmente alle mani, ma con suo padre era difficile trattenersi.
«Sai, lui... lui ha i suoi cazzo di problemi e se la prende con sua moglie che a sua volta se la prende con noi e, ovviamente, noi di conseguenza ce la prendiamo con lui... Quello che odio è che io mi faccio in quattro per tirare avanti e per quadagnarmi la fiducia dei miei fratelli, e poi basta una giornata storta, basta una parola fuori posto, una minima scintilla e tutto quello per cui lotto ogni giorno va a puttane... Una sera Betsy mi urlò in faccia che aveva paura di me, mi disse che ero diventato come lui e che... che io non potevo essere... che io... io non potevo essere una bestia, un mostro come lui»
Ricky percepì tutta la fatica e lo sforzo che faceva per raccontare quella storia, allora si alzò dalla sua sedia e si avvicinò a Chris. Gli posò una mano sulla spalla tentando di rassicurarlo.
«Non devi dire altro, va bene così»
Chris lo ringraziò con lo sguardo e tornò a fissare Jonathan. Rimasero per qualche minuto nel silenzio opprimente di quella stanza asettica. Ricky stava ricominciando a trattenere il respiro e stavolta perchè si era accorto di avere ancora la mano sulla sua spalla. Fortunatamente era alle sue spalle e così Chris non poteva accorgersi di nulla.
«Ricky» disse Chris senza voltarsi verso di lui.
«Quello che è successo ieri sera è stat-»
«Lo so, non dovevamo, è stato solo uno stupido errore» disse Ricky atono. Aveva paura di sentirsi dire che era stato uno sbaglio o, forse, aveva paura del contrario. Se a Chris fosse piaciuto, lui avrebbe dovuto affrontare la realtà che tentava di nascondere anche a se stesso.
Chris restò a bocca aperta. Non poteva crederci, pensava che a Ricky fosse piaciuto tanto quanto a lui.
«Io... a dire il vero a me...»
Ricky si sentì mancare la terra sotto i piedi.
«Chris... oddio, non era quello che volevi dire? Perchè se non è così p-puoi dirmi quello che volevi dire» 
Chris rimase fermo per un pò, giusto il tempo di riflettere sul da farsi. Poteva dirgli che per lui era stata la cosa più bella che gli era capitata negli ultimi anni, o poteva affermare che si erano solo fatti prendere dal momento e che davvero non avrebbero dovuto farlo. Il dilemma era sorto per colpa delle risposte di Ricky, l'avevano confuso.
Decise di alzarsi e di guardarlo negli occhi. Non ebbe la forza o il coraggio di mentire. Sapeva che se ne sarebbe pentito se non gli avesse detto la verità.
«Ricky, io sono una di quelle persone che di solito riflette prima di fare qualcosa, ma ieri non ne ho avuto bisogno, non ho dovuto riflettere, non ho nemmeno avuto paura di sbagliare» disse avvicinandosi sempre di più a Ricky che lo guardava con gli occhi leggermente sgranati. Stava tremando e Chris se ne accorse.
«Q-quindi tu... volevi» balbettò Ricky intimorito ma allo stesso tempo rincuorato.
«Già, volevo baciarti la prima volta che ti ho visto, e anche la seconda e la terza e la quarta, e ne ho voglia anche adesso»
Ricky continuò a guardarlo con quell'espressione, si sentiva come pietrificato. Poi le mani di Chris corsero verso il suo viso e lentamente scesero verso il collo. Ricky emise un sospiro dettato dal quel piacere puro e incontrollabile che si era sparso velocemente nel suo corpo. Vedeva Chris sempre più vicino e, per una volta, decise di non restare in completa passività, decise di dargli una risposta eliminando ogni distanza, tagliando quel filo d'aria che distanziava le loro labbra calde e bramose.




Okay, finalmente si sono baciati, contenti? Io sì!
Scommetto che siete incazzati neri per la lunghissima attesa, ma spero che ne sia valsa la pena. Al prossimo capitolo, baci :3

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Capitolo 10
*** Capitolo 9-Is there a future when you only see in memories? ***


Capitolo 9 - Is there a future when you only see in memories?
Erano passate quasi due settimane da quella sera. Chris ormai era stremato e Jonathan non ne voleva sapere di svegliarsi. I medici non davano molte speranze, ma lui non ci credeva, non poteva credere che suo fratello se ne sarebbe andato così. Durante quei lunghi e tormentati giorni aveva riflettuto tanto, mangiato poco e bevuto molto caffè. Era tornato a casa poche volte e c'era rimasto per non più di un'ora. Ci andava solo quando sentiva il bisogno di starsene solo, o per farsi una doccia e controllare che tutto filasse liscio. Si era ritrovato ogni sera col volto bagnato dalle lacrime, quando era solo con Jonathan, seduto su quella sedia scomodissima, con la schiena a pezzi, la testa pronta ad esplodere e il freddo che lo pervadeva. Piangeva per suo fratello, piangeva perchè si sentiva male, piangeva perchè per stare in ospedale non poteva andare a lavoro e aveva paura di perderlo, piangeva perchè stava trascurando del tutto sua sorella che vedeva di rado e ogni volta litigavano. Betsy era davvero irrequieta, nervosa e intrattabile in quel periodo. Probabilmente dipendeva dallo stress, ma Chris desiderava tanto qualcuno a cui appoggiarsi in quei momenti. Purtroppo però lei non c'era e, da un punto di vista meno egoista, Chris capiva il suo comportamento. Almeno Trevor non l'aveva mai lasciato, andava regolarmente in ospedale e lo riempiva di chiamate e messaggi quando non c'era. Qualche volta era riuscito anche a farlo ridere di gusto. Aveva visto un lato di Trevor che difficilmente veniva fuori. La dolcezza e la delicatezza che adoperava nel parlare, nell'approcciarsi al dolore che stavano provando lui e Betsy, era ammirevole.
«O mio Amore, mia sposa! La morte che ha già succhiato il miele del tuo respiro, nulla ha potuto sulla tua bellezza»
Quella voce lo fece sobbalzare e tornare alla realtà. Ricky era seduto accanto al piccolo tavolo bianco in una maglietta nera a mezze maniche. Lui andava in ospedale quasi tutti i giorni e si metteva lì, in un angolo, a studiare. A Chris non dava mai fastidio girarsi e trovarlo alle sue spalle, seduto a quel tavolino, con in mano un libro diverso ogni giorno.
«Ancora non sei vinta e l'insegna di bellezza, sulle labbra e sul viso, è ancora rossa, e la pallida bandiera della morte su te non è distesa» continuò Ricky concentrato su quei fogli. Poi si fermò sentendo gli occhi di Chris puntati su di lui.
«Romeo e Giulietta?»
Ricky annuì.
«A scuola vogliono che ci impegniamo a fare lezioni di teatro, dovrei imparare il copione, ma non mi entra in testa» sbuffò Ricky annoiato.
«E tu che parte farai?»
«Le parti non sono ancora state assegnate e questo per assicurarsi che tutti impariamo il copione per intero... in ogni caso, io non farò nessuna parte, non pulirò nemmeno il palco dopo lo spettacolo»
Chris rise.
«Ma perchè? Secondo me saresti perfetto nella parte di Giulietta» disse notando subito l'espressione sconvolta e falsamente offesa di Ricky. Tornò serio alzandosi e andando verso di lui. Gli prese i fogli che aveva in mano e li sfogliò velocemente.
«A noi fecero leggere il libro e poi vedemmo il film che io ho rivisto altre mille volte» disse Chris ridandogli i fogli.
«Quindi conosci la storia?» gli chiese Ricky ritrovando subito la pagina che stava leggendo.
«Occhi, guardatela un'ultima volta, braccia, stringetela nell'ultimo abbraccio, o labbra, voi, porta del respiro, con un bacio puro suggellate un patto senza tempo con la morte che porta via ogni cosa»
Ricky aggrottò la fronte.
«Dovrebbe essere il continuo di quello che stavi leggendo prima» lo informò Chris e gli occhi di Ricky corsero subito fra le parole stampate in nero.
«Non ci posso credere, come cazzo hai fatto?» 
Chris alzò le spalle.
«Stavo attento mentre tutti saltavano la lezione o dormivano durante il film... mi dispiace non averlo imparato tutto, la professoressa fece un incidente e si giocò una gamba e la vista dell'occhio destro, e la sostituì un vecchio che aveva già un piede nella fossa quindi...»
Ricky rise e poi posò i fogli sul tavolino.
«Mi bruciano gli occhi» disse Ricky strofinandoseli con le dita.
«Collirio»
Ricky lo guardò con le palpebre socchiuse.
«Puoi smetterla di farmi sentire ignorante?» gli chiese.
«Dai, non fare così» disse Chris scompigliandogli i capelli.
«Lo so perchè capita anche a me e col collirio mi passa subito»
Ricky buttò la testa all'indietro chiudendo gli occhi. Chris lo guardò, guardò i suoi lunghi capelli, la pelle pallida del suo collo, le sue braccia. Si leccò le labbra e le strofinò fra di loro sentendole bruciare dal desiderio. Voleva baciarlo, morderlo, toccarlo e non fermarsi mai, per nessuna ragione al mondo. Gli mancava sentire il suo profumo e il sapore delle sue labbra. Senza un apparente motivo, non si erano più baciati accontentandosi di quei due baci durati fin troppo poco. 
Chris sentì che la tentazione di saltargli addosso stava prendendo il sopravvento, ma in quel momento un infermiere entrò nella stanza. L'aveva visto parecchie volte in quelle settimane. Non sapeva bene a cosa servissero tutti quei controlli che faceva a Jonathan. Tanto, nonostante tutto, non dava segni di vita.
Ci vollero meno di dieci minuti e l'infermiere se ne andò. Chris si era addirittura stancato di ringraziarli, aveva smesso di farlo già da un paio di giorni.
«Chris, tu non hai fame?» chiese Ricky alzandosi e facendogli gli occhi dolci. Da quando erano bloccati in ospedale, Chris aveva appurato quanto grande fosse l'appetito di Ricky. Mangiava in continuazione, e se non mangiava, beveva caffè o bibite varie.
«Ricky, hai mangiato meno di un'ora fa»
«Lo so, ma ho fame e se non mangio divento isterico»
«Lo sei sempre» puntualizzò Chris e l'altro emise una falsa risata mostrandogli poi uno sguardo inceneritore.
«Andrò a prendermi un panino col tonno e a te non porterò niente»
Chris si portò la mano sul petto mimando un'espressione di forte dolore. Ricky se ne andò indispettito. Chris si guardò intorno e i suoi occhi caddero su una felpa che ciondolava dallo schienale della sedia di Ricky. La prese fra le mani e l'annusò. Profumava di lui.
«È il comportamento standard di un maniaco sessuale»
«Vaffanculo Trevor, mi farai venire un infarto» disse mettendo la felpa al suo posto.
«Tanto siamo già in ospedale... "vaffanculo Trevor" me lo stai dicendo troppo spesso, potrei farlo sul serio» disse il ragazzo sedendosi tranquillamente e Chris fece lo stesso.
«Dov'è la principessa sul pisello?» gli chiese fissandolo con aria scherzosa.
«Non chiamarlo così» 
«Come vuoi... senti, lo so che non hai mai tempo, ma visto che lui sta sempre qui... voi due che cosa...»
Chris inarcò le sopracciglia. Che diavolo voleva dire?
«Cioè, ci è ma stato?» terminò Trevor.
«Dipende da cosa intendi»
«Sul pisello, Chris»
Chris lo guardò subito male tirandogli un calcio su un ginocchio. 
«No, ma dovresti comunque farti i cazzi tuoi»
Trevor mormorò qualcosa che Chris non capì, ma lo lasciò perdere. Non gli importava molto di quello che pensava, soprattutto se riguardava Ricky. Era sempre contro di lui e, forse, dietro quelle parole scherzose pronunciate con un pizzico di acidità, si nascondeva una forte gelosia. Ma Chris decise di ignorare del tutto quella possibilità, aveva già troppi pensieri nella mente.
Ricky entrò nella stanza e si rabbuiò un pò nel vedere Trevor. Non che gli dispiacesse sapere che qualcuno ci teneva a Chris, ma quel ragazzo era quasi irritante e non riusciva a capire perchè gli stesse tanto sulle scatole.
Trevor gli rivolse un sorriso appena accennato e Ricky fece lo stesso avvicinandosi a Chris. 
«Tieni» gli disse porgendogli un panino e Chris lo prese.
«È avvelenato?»
Ricky rise scuotendo la testa.
«Non potevo non prenderti niente» disse sottovoce con la speranza che Trevor non riuscisse a sentirlo, ma fu inutile perchè lui sentì e a stento trattenne una risata. Chris lo ringraziò e mangiò il panino dividendolo con Trevor che, in realtà, prese la sua parte con la forza. 
Ricky, seduto sulla sua sedia, accanto al tavolino, guardava i due con invidia. Non si era mai sentito così, invidiare qualcuno non gli era mai successo. Ma quei due ragazzi che litigavano per un panino, che sembravano sapere bene cosa stessero pensando senza aver bisogno di parole, che avevano sicuramente superato tanti ostacoli insieme, avevano qualcosa che a lui era sempre mancato. Non avrebbe saputo definirlo, ma era come se una strana energia si sprogionasse dai loro occhi, sembravano sempre complici l'uno dell'altro.
Chris lo guardò per un secondo e si accorse di quel suo sguardo malinconico, come se si stesse sentendo escluso, ma non sapeva cosa fare per metterlo a suo agio. Fra Ricky e Trevor c'era tensione e, pur volendo, lui non avrebbe potuto allentarla. Avrebbe potuto parlare con Trevor, ma si sarebbe schiantato contro un muro. E avrebbe potuto parlare con Ricky, ma sapeva che il ragazzo avrebbe accettato quella situazione abbassando lo sguardo e chiudendosi nella sua bolla. 
«Ah, Chris, devo dirti una cosa» disse Trevor. Chris lo guardò incitandolo a parlare.
«Ehm... ho visto tua mamma prima»
Chris si accigliò.
«Parlava con un tipo fuori casa tua, poi l'ha fatto entrare» disse Trevor a bassa voce e Chris si irrigidì di colpo. Non riusciva a capire cosa potesse essere successo in quelle due settimane. Non capiva, ma avrebbe già voluto spaccare tutto.
«Betsy» sussurrò riprendendosi. Voleva assicurarsi che non tornasse a casa, qualunque cosa fosse successa.
«Tranquillo, prima di vedere tua madre ho visto lei fuori scuola, ha detto che sarebbe andata a casa di quella sua amica... quella rossa»
«Michelle?»
Trevor annuì e Chris si sentì subito sollevato. Non voleva che Betsy si avvicinasse a quell'uomo, chiunque lui fosse. 
Trevor si alzò e a passo lento si avvicinò alla porta.
«Io me ne vado»
«Di già? Sei appena arrivato» disse Chris dispiaciuto.
«Sì, ho una cosa da fare... a proposito» disse tornando accanto all'amico.
«Ti servono soldi?» gli chiese tanto a bassa voce che Ricky, seduto a mezzo metro da loro, non riuscì a sentirlo.
«Perchè?»
Trevor guardò Ricky con la coda dell'occhio. Non voleva che sentisse i fatti loro.
«Perchè oggi me ne guadagnerò un bel pò e tu... non stai lavorando»
Chris si preoccupò non poco. Chissà che diavolo avrebbe fatto per procurarsi un pò di grana, ma il pensiero che lui volesse condividere i suoi soldi con lui lo fece quasi sciogliere. Trevor era sempre stato generoso nei suoi confronti. Chris aveva sempre pensato che con quei modi tanto gentili lui volesse solo sentirsi parte di qualcosa, forse di una famiglia, disastrata o sana che fosse, ma pur sempre una famiglia. E anche lui tentava di essere altrettanto altruista nei suoi confronti, ma spesso non poteva. Doveva far fronte alle spese di tutta la sua famiglia, mentre Trevor doveva occuparsi solo di se stesso e, oltre al cibo e alle sigarette, non aveva bisogno di molto altro.
Chris gli sorrise appena.
«Grazie» gli disse solamente e si strinsero distrattamente la mano, poi Trevor se ne andò senza nemmeno salutare. Chris fissò la porta chiusa per un pò, poi un starnuto lo distrasse.
«Dio Santo» mugolò Ricky con un'espressione buffa che fece ridere Chris.
«Odio starnutire» biascicò strofinandosi il naso.
«Oh, piccolo, gli starnuti sono cattivi» lo prese in giro Chris e l'altro mise il broncio. Lo trovò così carino che dovette costringersi a dominare quella voglia crescente di abbracciarlo, baciarlo e coccolarlo. Si ritrovarono di nuovo occhi negli occhi , a dividerli c'era solo quell'aria che sapeva malattia e dolore. Entrambi avrebbero preferito essere da un'altra parte. Magari da soli, magari senza altro a cui pensare. 
«Vieni qui»
Ricky ci mise un pò a recepire il messaggio, poi si alzò. Ci vollero piccoli passi esitanti e fu davanti a Chris, tanto vicino che le gambe sfiorarono le sua ginocchia. Il ragazzo, ancora seduto, riuscì a percepire l'inquietudine di Ricky. Le sue labbra dischiuse tremavano come foglie in una bufera, il suo petto era immobile, come se non stesse respirando, e i suoi occhi sembravano urlare la trepidazione che tratteneva nel vano tentativo di non sembrare troppo maldestro.
Chris portò una sua mano all'altezza del polso di Ricky. Le sue dita lo sfiorarono e in quel momento il ragazzo prese un grande e frenetico respiro. Chris proseguì verso l'alto flemmaticamente sfiorando la sua pelle candida. Teneva lo sguardo fisso sul viso di Ricky, che seguiva attentamente i movimenti di quelle dita dalle unghie smaltate malamente di nero. La lentezza e la delicatezza di cui si stava avvalendo Chris nel toccarlo era disarmante, tanto che il più giovane si abbandonò completamente. Chris continuò imperterrito nel suo lavoro, non esitò nemmeno quando sentì un gemito appena pronunciato sfuggire da quelle labbra rosee. Il suo viso era nascosto fra i suoi lunghi capelli, ma questi non riuscirono ad eclissare del tutto la sua espressione, non riuscirono a celare il piacere che stava provando in quel semplice tocco.
La mano di Chris ritornò cautamente al punto di partenza, ma non si fermò, avanzò fino ad arrivare alla mano. Incrociò le sue dita a quelle di Ricky che, finalmente, riprese a fissare quegli occhi che lo guardavano estasiati. Il silenzio che li circondava era diventato assordante, ma loro non se ne curarono, loro si persero completamente.
Chris non riuscì più a contenersi. Senza interrompere il contatto visivo e senza lasciargli la mano, si alzò e si precipitò sulle sue labbra. Le baciò senza pudore, senza freno. Se solo non fosse stato già impegnato a fare altro, avrebbe sorriso, urlato e saltato di gioia. La sua mente era totalmente vuota, si era dimenticato di ogni suo problema in pochi secondi. 
Strinse leggermente di più la presa sulla mano di Ricky, mentre con l'altra saliva lungo la sua schiena avvicinandosi ancora di più al suo corpo. Lo abbracciò forte e in cambio ricevette un mugolio sommesso. Questo lo incitò solo a continuare. Avrebbe voluto essere da solo con lui, in una stanza buia, e come sottofondo solo i loro respiri appena udibili. 
Chris sentì la mano di Ricky salire lungo il suo braccio e poi insinuarsi fra di loro fermandosi sul suo petto. Afferrò la maglia di Chris e la strinse nel pugno tanto forte da farsi male, poi la lasciò andare spingendolo via con tutta la forza che aveva. Chris aprì gli occhi all'istante, ma Ricky era già di spalle con le mani fra i capelli. In un istante gli sembrò di aver sbagliato tutto, gli sembrò che Ricky non avesse provato tutte le belle sensazioni che aveva provato lui. Non sapeva se, senza volerlo, aveva fatto qualcosa di sbagliato. In quell'attimo, prima di prendere fiato, ebbe paura che Ricky si fosse sentito forzato a baciarlo. Temette di essere respinto.
«Ricky» sussurrò, come se avesse paura di sentire quello che aveva da dire. Tentò di dire altro, ma prima che potesse anche aprire la bocca lo sentì singhiozzare. Tremava. Non sapeva cosa fare. Si avvicinò a lui e gli posò un mano sulla spalla delicatamente e Ricky si irrigidì. Chris, quasi spaventato da quella reazione, ritirò la mano e sospirò.
«Perchè piangi?» chiese disperato. Ricky si asciugò velocemente le lacrime e si sforzò di sorridere. Si voltò verso Chris che notò che i sui bellissimi occhi azzurri erano iniettati di sangue.
«Non sto piangendo» disse poi con la voce spezzata.
«Non ci provare nemmeno, dimmi perchè piangi» 
Ricky non rispose, si strofinò distrattamente il naso e ritornò sulla sua sedia. Tentò di ricominciare a studiare, o almeno fece finta nella speranza che Chris se la bevesse. Ma, evidentemente, non funzionò visto che Chris gli strappò il libro dalle mani. Ricky lo guardò male, si finse arrabbiato, provò ad evitare il suo sguardo, a dirgli che andava tutto bene, ma Chris si sedette per terra con gambe e braccia incrociate. Non si sarebbe fatto convincere molto facilmente.
«Ricky, ti prego, guardami, fammi capire... ho fatto qualcosa di sbagliato?»
Ricky scosse la testa e questo sollevò Chris.
«E allora perchè piangevi?»
«Chris, io non... non lo so... ma sto bene e non c'è niente che non va» disse Ricky cercando di sembrare sincero, ma il tuo tono leggermente malinconico lo tradì.
«Perchè non vuoi dirmelo?»
Ricky chiuse gli occhi vergognandosi profondamente e invidiando le persone in grado di esprimere i loro sentimenti. 
«Non c'è niente da dire» proferì infine.
Chris sospirò incapace di dare una spiegazione a quel comportamento.
«Mi dispiace» disse il ragazzo alzandosi dal pavimento freddo. Ricky lo guardò subito con un'espressione interrogativa. Non capiva perchè si stesse scusando, avrebbe dovuto farlo lui.
«Per cosa?»
Chris strinse forte i denti prima di parlare.
«Mi dispiace se ho fatto qualcosa che a te non andava bene, ma ti assicuro che non l'ho fatto di proposito, e mi dispiace se piangi per un bacio che, onestamente, è stato il più bello della mia vita, e mi dispiace perchè vorrei che tu parlassi un pò di più con me»
«Abbiamo parlato tanto in questi giorni» provò a dire Ricky.
«Sì, abbiamo parlato di me... sai, tu sembri davvero tanto interessato a me e io sono felice di accontentarti quando mi fai tutte quelle domande sulla mia vita, ma poi io ti bacio e sembra che a te vada bene finchè mi fermi e dici che è sbagliato, poi ti basta un niente per baciarmi di nuovo ma cominci a piangere... e poi stai qui tutti i giorni, mi guardi e sorridi e...oh, dannazione, Ricky, tu mi mandi fuori di testa»
Ricky lo guardò per tutto il tempo consapevole che ogni parola era detta con sincerità. Disprezzava il suo comportamento, ma gli piaceva anche meno sapere che a Chris non andassero giù i suoi modi di fare.
«Come devo fare con te, Ricky? Io non lo so, aiutami a capire come devo comportarmi» gli disse Chris avvicinandosi di nuovo a lui. Gli venne istintivo abbassarsi e prendergli le mani. Ricky lo lasciò fare e stette in silenzio per un pò, crogiolandosi in quella sensazione di protezione che stava provando nel tenere quelle mani intorno alle sue.
«Chris, tu non sbagli niente, tu... tu vai bene così»
«E allora cosa c'è che non va?»
Ricky deglutì pesantemente.
«Io non... sono... i-i-io non sono... gay»
Chris si accigliò e poi scoppiò a ridere. Ricky lo guardò male e si vergognò profondamente. Aveva davvero detto una cosa così stupida?
«Non ridere di me» disse e Chris si calmò quasi subito.
«Ehi, no, io non sto ridendo di te, rido perchè... Ricky, io non ti ho chiesto di essere gay, non voglio costringerti ad essere qualcosa di diverso da quello che sei, è la tua vita, fai quello che vuoi, dici quello che vuoi e sei libero di essere quello che sei» disse serio, fissando gli occhi in quelli dell'altro ragazzo.
«Io non lo so»
«Cosa?» chiese Chris.
«Quello che sono» mormorò Ricky arrossendo. Chris abbassò un attimo lo sguardo. Sentì l'obbligo di fare un passo indietro.
«Prenditi tutto il tempo che ti serve, io aspetterò» disse. Ricky si sciolse come un ghiacciolo al sole.
«Davvero?»
Chris annuì stringendogli le mani, poi si alzò e fece per ritornare al suo posto ma notò che Ricky aveva una strana espressione, come se volesse dire qualcosa. Lo guardò e aspettò che parlasse.
«Sì»
Chris si accigliò.
«Scusa?»
«Quella sera, a casa mia, tu mi avevi... ehm, mi avevi chiesto... mi hai fatto una domanda e la risposta è sì»
Chris si concentrò. Cercò di ricordare cosa era successo la sera del compleanno del padre di Ricky, due settimane, mille litigi con Betsy e tre baci prima. Quando ci riuscì, quando finalmente riuscì a collegare quella risposta ad una domanda, sorrise.
«L'avevo capito»
Ricky sospirò. 
«Ma, fidati, è un bene, tanto il sesso è sempre più bello quando si è vergini»
«Perchè?» chiese timidamente Ricky.
«Non lo so» riflettè.
«Pensa che io l'ho fatto a quindici anni e ora me ne pento»
Ricky restò in silenzio qualche secondo. Pensava alla scioltezza che aveva Chris nel parlare di quell'argomento che a lui imbarazzava tantissimo.
«Forse non era la persona giusta» azzardò. Chris scosse la testa. No, lei era la ragazza perfetta e, probabilmente, se lei fosse rimasta al suo fianco, Chris non si sarebbe filato Ricky nemmeno di striscio.
«Sai cos'è? È che ero pazzo di lei, infatti sono contento di averlo fatto con lei, ma era solo sesso e, per quello che ti dicevo, il sesso è solo sesso, è una bella sensazione, ma... ah, non lo so, potrei parlare all'infinito di quest'argomento» disse scuotendo la testa e andando a sedersi.
«Parla pure»
Chris alzò le sopracciglia sorpreso, ma allo stesso tempo contento. Probabilmente era curioso.
«Okay... ehm... prima di infilarti in questo mondo impara che c'è una differenza tra fare sesso e fare l'amore, per come la vedo io, il sesso, non è quello da una botta è via, non è quello che fai senza amore, ad esempio con una ragazza appena conosciuta e che non ci sarà il giorno dopo, ma è quello che puoi fare anche con una persona che ami, credo che la cosiddetta sveltina si possa definire sesso perchè è una cosa prettamente fisica, lo si fa perchè si vuole solo soddisfare la voglia di avere un orgasmo, invece, fare l'amore è una cosa totalmente diversa, io penso che fare l'amore con una persona sia meraviglioso, è fantastico perchè non inizia nel momento in cui ci si ritrova nudi in un letto, io faccio l'amore con chi amo anche quando mi sveglio al mattino e comincio la giornata col sorriso solo perchè il suo pensiero mi ha attraversato la mente, lo faccio quando guardo i suoi occhi e me ne innamoro sempre di più, lo faccio quando tocco la sua pelle, quando mi sorride e quando decidiamo di concederci completamente, fare l'amore è emozionante e coinvolge mente e corpo, quando fai l'amore tocchi l'anima di una persona tramite il suo corpo, la puoi sentire sotto le mani, fare l'amore è la cosa più soddisfacente che esista, ma è difficile farlo... io mi ritengo fortunato perchè l'ho fatto, ho provato questa sensazione e ti assicuro che è... non ho parole per descriverlo, ma è qualcosa di cui non potresti pentirti, mai»
Ricky lo guardava fisso, non riusciva a togliergli gli occhi di dosso e Chris se ne accorse. Di solito non affrontava quell'argomento, di sesso ne parlava con Trevor o Jane ma, purtroppo, con loro non poteva permettersi un discorso tanto profondo. A quei due interessava solo soddisfarsi e Chris faceva di tutto pur di accontentarli perchè, nonostante non gli piacesse fare solo dello squallido sesso, era comunque un modo per svagarsi e non pensare a tutto il resto.
«Posso farti una domanda?» chiese Ricky imbarazzato. Chris annuì. 
«Perchè tutti sono innamorati della persona con cui perdono la verginità, ma poi dicono di essersene pentiti? Voglio dire, tu hai detto che eri pazzo di lei, ma te ne penti lo stesso»
Con quella domanda lo colse di sorpresa. C'erano probabilmente mille motivi, ma in pochi secondi cercò di trarne una specie di riassunto.
«Forse perchè col senno di poi, con l'esperienza, con la maturità, tutti arrivano a pensare che, se solo avessero spettato un pò, avrebbero avuto la loro prima volta ideale, l'avrebbero fatto nel modo che preferiscono, ma credo sia anche stupido perchè solo facendolo si possono scoprire le proprie preferenze... io ho sempre pensato che mi sono pentito perchè ero troppo piccolo per capire l'importanza di quello che stavo facendo, ero curioso di sapere cosa si provava e eccitato al solo pensiero di vedere una ragazza nuda, volevo fare l'amore con lei, ma non capivo che per fare l'amore con una persona non dovevo portarci solo il mio corpo in quel letto... mi fa pure rabbia perchè, non sapendo bene come comportarmi, l'ho trattata come un oggetto»
«Non è colpa tua, in fondo, avevi solo quindici anni, che ne potevi sapere?»
«Già... è per questo che dico che il sesso è mille volte più bello quando si è ancora vergini, perchè non lo sai ancora cos'è, non hai mille dubbi, non ti fai tante paranoie, pensi solo a quanto possa essere bello che una persona ti faccia avere un orgasmo»
Ricky arrossì al solo pensiero di mettersi nudo davanti a qualcuno. La sua timidezza gli impediva anche solo di pensarla una cosa simile. Ma, nonostante questo, tutto quello che aveva detto Chris era vero. Il sesso per lui era come un mito ancora da sfatare, non sapeva quali erano le sensazioni che si provavano, non poteva nemmeno immaginare cosa si provava a lasciare una persona libera di occuparsi del suo piacere.
«Ricky?» 
Il ragazzo scosse la testa riprendendosi dallo stato di trance in cui era precipitato.
«Cosa?»
«Niente, è solo che avevi uno sguardo inquietante» disse Chris non troppo sorpreso da quella reazione. In realtà, avrebbe tanto voluto sapere a cosa stesse pensando. Se lo chiedeva sempre, ogni volta che lo vedeva con lo sguardo perso, ogni volta che si mordeva le labbra o che si mangiava le unghie mentre le ginocchia gli tremavano.
Spostò lo sguardo sulla porta quando la sentì aprirsi lentamente, come se dietro vi fosse qualcuno che la spingesse timorosamente. Si alzò inconsapevolmente, con l'espressione forse più sconcertata e sorpresa che il suo viso avesse mai assunto, nel momento in cui vide comparire sua madre. Gli sembrò troppo strano vederla dopo tanti giorni, vederla in piedi con indosso dei normali vestiti invece del solito pigiama.
«Mamma» mormorò quasi contrariato. Si era ripreso, ci stava vedendo di nuovo chiaro e si stava chiedendo che diavolo chi facesse lei in ospedale. La donna spostava lo sguardo da Chris a Jonathan, era evidentemente spaesata e Chris si accorse dei sui occhi velati dalle lacrime. L'aria era fredda e la tensione era palpabile. Chris non riuscì a sopportare più il silenzio e decise di rompere il ghiaccio.
«Vieni» disse spostando la sua sedia di poco, mimandole di accomodarsi. La sua voce però non risultò molto invitante o gentile. Proprio non ci riusciva ad esserlo. Covava tanto, forse troppo rancore nei suoi confronti.
Quando lei si sedette, Chris lanciò uno sguardo a Ricky che se ne stava in silenzio, timidamente seduto sulla sua sedia.
«Ricky, lei è mia mamma»
A Chris non importava molto che sua madre sapesse chi fosse Ricky o quale ruolo svolgesse nella sua vita, ma gli importava che Ricky sapesse che lei era sua madre. Ricky arrossì rivolgendo un saluto formale alla donna che gli sorrise appena. Sembrava sentirsi più a disagio di Ricky. Poi si voltò verso il figlio che stava sdraiato con gli occhi chiusi e le braccia lungo i fianchi. Gli prese una mano e lo guardò in silenzio. Chris osservava quella scena dall'alto. Non gli sembrava possibile che lei fosse lì. Gli sembrava solo una messa in scena, una finzione, una presa per il culo. Perchè mai avrebbe dovuto scomodarsi per uno dei suoi figli?
«I medici non sono molto ottimisti» disse amareggiato e sua madre lo guardò, poi ritornò con lo sguardo sul viso pallido di Jonathan.
«Cosa gli è successo?» chiese la donna flebilmente.
«Quando l'ho visto pensavo che avesse avuto un collasso» disse con naturalezza. Ricky pensò che, per parlare in quel modo, gli era sicuramente già capitato di dover correre in ospedale per quel motivo.
«Ma poi ho visto il sangue uscirgli dalla testa» continuò stringendo i pugni.
«Betsy ha detto che stava avendo una delle sue crisi e ha sbattuto la testa contro il muro, mamma» pronunciò quella frase pieno di rabbia. 
«Tu dov'eri? Eh?»
Aspettò una risposta che non arrivò.
«Te lo dico io, tu eri nel tuo letto a dormire e a sprecare la tua vita, mentre tua figlia tentava di calmare suo fratello che si stava spaccando la testa da solo... capisci che lei era sola e chiedeva aiuto? Ma tanto a te che importa? Te ne sei fregata come sempre, tanto dormire è più importante che tentare di salvare la vita di tuo figlio, vero? Questo lo può fare benissimo una bambina, no? È abituata, siamo tutti abituati ai suoi momenti di sclero, possiamo cavarcela da soli»
Il silenzio gelido spaventò Ricky che si sentiva impotente. Avrebbe voluto fare qualcosa per calmare quella rabbia che l'altro stava palesemente trattenendo.
«Se muore, la colpa è tua» disse Chris incattivendosi sempre di più davanti alla totale apatia di sua madre. Scosse la testa contrariato e stanco di tutto. 
«Ricky, vieni con me» 
Ricky si alzò subito seguendolo.
«E tu non toccare niente» disse alzando un pò la voce, rivolgendosi ovviamente a sua madre. I due ragazzi arrivarono nella sala d'attesa dove c'erano solo un paio di persone sedute. Si avvicinarono alla grande finestra che Chris aprì subito. Aveva bisogno di respirare un pò d'aria pulita.
«Va tutto bene?» chiese Ricky sussurrando appena. Chris lo guardò di sottecchi e l'altro abbassò lo sguardo.
«Scusa, domanda stupida»
Dopo un pò Chris chiuse la finestra e si sedette su una sedia a caso. Ricky gli corse dietro sedendosi accanto a lui.
«La odio»
«Chris... io non so... mi verrebbe da dirti che non dovresti odiarla, che è comunque tua madre, ma... non lo so» disse Ricky cercando di non sembrare brusco.
«Non si è mai presa cura di noi, non l'ha mai fatto, mai» biascicò Chris sprofondando in quelle sedie molto più comode di quelle su cui dormiva lui.
«Io sono sempre stato quello che i problemi se li creava, non sono stato un figlio modello,  ma i miei fratelli sì, loro non meritavano questa vita»
Ricky abbassò lo sguardo non sapendo come ribattere. Non poteva semplicemente intromettersi in quell'argomento. Da quando era in quell'ospedale, Chris si era confidato tanto con lui, gli aveva raccontato parecchie cose, ma allo stesso tempo non gli aveva detto abbastanza. Non si sentiva in grado di dargli qualche consiglio, non riusciva proprio ad intromettersi in quella storia troppo dolorosa. E Chris se n'era accorto, capiva il suo disagio.
«Andiamo? Non è prudente lasciare mia madre da sola» disse Chris alzandosi. Ricky sorrise amaramente e lo seguì. Quando Chris mise piede nella camera, si accorse immediatamente che sua madre non c'era più. Gli occhi gli si riempirono rapidamente di lacrime. Si sorprese di quella sua reazione così emotiva. In fondo, era abituato alla sua immaturità e incostanza. Aveva lasciato suo figlio solo da chissà quanto tempo e senza nessun altro a controllarlo. Aveva fatto di nuovo quello che le riusciva meglio, era scappata e non sarebbe più tornata.



Okay, scusatemi (lo so che non mi perdonerete più perchè ad ogni capitolo chiedo scusa e vi imploro di non picchiarmi perchè faccio sempre ritardo). Spero tantissimo che vi piccia il capitolo e che mi lasciate qualche commentino *fa gli occhi dolci*
Ringrazio tutti, tutti, tutti! Alla prossima, baci :3  

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Capitolo 11
*** Capitolo 10-Agony ***


Capitolo 10 - Agony.
Non riusciva a crederci. Non poteva credere che una madre potesse abbandonare così i suoi figli. Aveva cercato di giustificarla, ma forse non lo meritava. Lasciare un ragazzo da solo in una situazione simile, non poteva per niente essere un'azione perdonabile. Ma, agli occhi di Ricky, Chris sembrò non perdere quella sua forza d'animo. Anche se per un instante aveva temuto che sarebbe crollato, che si sarebbe abbandonato alle lacrime. Invece lui, preso un grande respiro, si era seduto al suo posto e tutto sembrava essere tornato come prima. Come se quel brutto episodio non fosse mai accaduto.
«Chris, io credo di dover andare»
Il ragazzo lo guardò con uno sguardo che Ricky non riuscì a decifrare. Sembrava solo vuoto. Era la prima volta che lo vedeva così e quella visione gli diede i brividi.
«Torno domani» aggiunse come a giustificarsi. Non voleva lasciarlo solo, ma non poteva stare sempre con lui, pur desiderandolo terribilmente. 
Chris abbassò lo sguardo e lo salutò distrattamente. Non l'aveva mai salutato così, di solito  era molto più affettuoso e cordiale. 
Ricky si morse il labbro e sentì qualcosa fargli male nello stomaco. Avrebbe tanto voluto dirgli qualcosa, o anche solo prendergli la mano e stargli accanto.
Sospirò silenziosamente e andò verso il tavolino. Una volta raccattate tutte le sue cose, lo salutò ancora una volta e poi uscì quasi di corsa da quella stanza. Non avrebbe sopportato quella tensione un minuto di più. 
Quando si ritrovò fuori dall'imponente struttura di quell'ospedale che conosceva a memoria, prese un respiro profondo. Aveva bisogno di quell'aria pulita, doveva come rigenerarsi dall'odore insopportabile che c'era nei reparti. 
Si incamminò verso casa di Angelo. Si erano dati appuntamento, per questo era andato via così presto. Quando arrivò e suonò il campanello, con sua grande sorpresa, fu Josh ad aprirgli la porta.
«Balz, che ci fai qui?» gli chiese entrando in casa.
«Che credi? Non sei l'unico amico di Angelo»
Ricky lo guardò senza capire bene perchè avesse usato quel tono così scontroso. Lasciò perdere quando sentì la voce di Angelo provenire dalle scale.
«Visto che siete già di sotto, andate in cucina e cercate qualcosa da mangiare, ho fame»
Ricky rise e si diresse in cucina seguito dall'altro ragazzo.
«Me la togli una curiosità?» chiese Josh aprendo il frigorifero in cerca di qualcosa da bere. Ricky, intento a cercare del cibo nella dispensa, si concentrò su di lui.
«Certo»
«Dove dannazione te ne vai ogni pomeriggio? Ti chiamo e ti mando mille messaggi ma tu non mi rispondi»
«Scusa» rispose Ricky arrossendo. Non aveva detto a nessuno di Chris, non si sentiva ancora pronto. Solo Angelo sapeva che ogni giorno andava in ospedale, ma non gli aveva raccontato dei baci, non ne aveva avuto il coraggio.
«Sì, ma mi dai una risposta?»
Ricky schiuse le labbra sperando di riuscire a formulare una bugia abbastanza credibile, ma il campanello suonò ancora.
«L-la... la porta»
Josh gli lanciò uno sguardo rabbioso prima di andare ad aprire. Ricky sospirò passandosi una mano fra i capelli. Prese un paio di buste di patatine e si decise ad andare dagli altri. Josh era ancora accanto alla porta e con lui c'era Devin. Era felice di vederlo, infatti non riuscì a non corrergli incontro e abbracciarlo. Era bello vederlo di nuovo sorridente, senza lividi o sangue pronto ad uscire da qualche parte. Non avevano più affrontato quell'orribile discorso, ma Devin sembrava una persona diversa. Andava a scuola tutti i giorni, i suoi voti erano anche migliorati e Angelo gli aveva detto che erano usciti insieme in quei giorni, cosa che prima accadeva raramente. Sperò con tutto se stesso che quel bastardo si fosse fatto finalmente da parte. Anche se Ricky non era del tutto d'accordo a lasciarlo libero, per lui andava punito, ma Devin non aveva voluto sporgere denuncia per le violenze subite. 
Lui e Devin corsero di sopra mentre Josh ritornava in cucina a prendere le bevande. Quando tutti furono insieme nella camera di Angelo, Ricky mangiò poche patatine in silenzio mentre tutti ridevano e scherzavano. Non riusciva a liberarsi dal pensiero di Chris. Lo immaginava da solo in quella stanza, a cercare un passatempo impossibile da trovare.
«Ricky, ma che cazzo, non ci sei mai e quando ci sei te ne stai per i fatti tuoi, se oggi non volevi stare con noi potevi startene anche a casa... o dovunque tu sia quando non ti fai sentire» 
Quella voce lo distrasse e il suo sguardo corse sul viso di Josh che lo stava guardando male.
«Cos... no, io n-»
«Ma stai zitto» disse Josh alzandosi dal letto. Sembrava davvero arrabbiato. Ricky lo seguì con lo sguardo mentre usciva dalla camera di Angelo. Quando il ragazzo scomparve oltre la porta, Ricky guardò gli altri due ragazzi che seguivano la scena ammutoliti. Dalle loro espressioni dedusse che erano d'accordo con Josh, nonostante non stessero sbraitando come lui.
«Vado io» disse Angelo in un sospiro, seguendo Josh al piano inferiore. 
Fra i due ancora seduti sul letto era calato il silenzio. Ricky sentiva lo sguardo pesante di Devin puntato su di lui e non aveva il coraggio di guardarlo. Cominciò a spezzarsi un unghia e a mordersi il labbro, ad un certo punto sentì il sapore metallico del sangue pizzicargli la punta della lingue e poi invadergli la bocca. Sentì un sospiro e poi, nella sua visuale, comparvero le mani di Devin che presero le sue.
«Smettila, ti farai male»
Ricky alzò lo sguardo sull'altro ragazzo.
«Perchè è così arrabbiato con me?» chiese disperato.
«Ricky... ehm... diciamo che tu ultimamente non sei molto... presente»
Il ragazzo sentì le lacrime agli occhi, ma non pianse.
«Credimi, Dev, mi dispiace»
«Sì, sì, io ti credo, lo so che tu non vuoi allontanarti da noi, ma... a dire il vero sembra così»
Ricky scosse la testa sconcertato. Perchè se la prendevano tanto?
«Scusa, Dev, con questo vorresti dire che io non posso avere una vita al di fuori di voi?» chiese alterandosi.
«No, ma visto che siamo tuoi amici dovresti coinvolgerci»
«Sì, ma... dannazione, anche noi siamo tuoi amici ma tu non ci hai raccontato quello che ti stava succedendo, se non fossi venuto da te probabilmente non ce l'avresti mai detto»
Davin sospiro socchiudendo gli occhi e si alzò dal letto. Andò avanti e indietro per la stanza. Emanava nervosismo.
«E poi dov'è Ryan? Non lo sento da un sacco di tempo, anche lui è scomparso»
Devin si accigliò e poi scosse la testa.
«Ryan si è fidanzato e non è qui perchè oggi è il compleanno di Meghan, passano la giornata insieme»
Ricky rimase in silenzio per un pò, poi deglutì.
«Io non lo sapevo... quando si sono conosciuti?»
«In realtà si conoscevano già da parecchio, si sono messi insieme la settimana scorsa, sembra che Ryan abbia perso la testa per lei... non te l'ha detto?»
Ricky fece spallucce scuotendo la testa. Si stava sentendo male. Stava davvero capendo di aver sbagliato.
«Ci siamo visti a scuola, ma non ci parlo da parecchio» mormorò ricominciando a mordersi le labbra. Davin sbuffò sonoramente.
«Rick, tu puoi avere altri amici, per quanto mi riguarda puoi anche perdere la verginità con un trans, ma non tenerci all'oscuro di tutto»
Ricky diventò rosso come un peperone in un istante.
«C-che ne sai tu che i-»
«Tranquillo nessuno lo sospetta, se lo sapesse Balz ti sparerebbe nelle palle, lo sai?» gli chiese cercando di farlo ridere. Voleva solo sdrammatizzare un pò.
«Io... io credo di tenerci alle mie palle, quindi non dirglielo»
Devin gli sorrise ritornando verso di lui e saltandogli addosso. Caddero entrambi sul letto e Ricky cominciò a contorcersi quando Devin prese a fargli il solletico, gli chiedeva di smettere fra le risate.
«La smetto quando mi dici chi è» rideva Devin con lui.
«Smettila»
Devin si fermò di colpo. Entrambi avevano il fiatone e tentavano di ricomporsi.
«Davvero, dimmi chi è» disse sedendosi su di lui in modo che non potesse scappare.
«Nessuno, solo che... ogni tanto devo starmene da solo»
«Raccontale ad un altro le stronzate, a me dì la verità»
Ricky lo guardò pienamente cosciente di potersi fidare di lui, ma c'era qualcosa che lo fermava. Non era ancora sicuro di niente, nonostante lui e Chris si fossero baciati più volte.
«Te ne parlerò quando ci capirò qualcosa»
Senza dire nulla, Devin si alzò lasciando l'altro libero di alzarsi e sistemarsi i vestiti.
«Va bene, adesso perchè non vai a parlare con pò con Josh? Cercate di chiarirvi altrimenti dobbiamo sopportarlo noi, non tu»
Ricky sospirò prima di uscire dalla stanza e scendere lentamente le scale. Non sapeva cosa avrebbe detto, non sapeva cosa aspettarsi, non sapeva come si sarebbe parato il culo, ma ci avrebbe provato.
Arrivò in cucina e Josh era seduto sul tavolo e Angelo era appoggiato al frigo, si stava ingozzando di popcorn. Appena i loro sguardi si incrociarono, Angelo decise che era arrivato il momento di andare via.
«Devo pisciare» disse nel suo orrendo modo di recitare.
«Certo» rispose Josh guardandolo storto. Non voleva rimanere solo con Ricky.
«E smettila di mangiare, hai un culo enorme»
In tutta risposta, Angelo prese una manciata di popcorn e li mangiò tutti insieme mentre lasciava la cucina. Ci fu un momento molto imbarazzante in cui nè Ricky e nè Josh sapevano bene cosa dire. O meglio, non sapevano come allacciare il discorso.
«Smettila di stare lì impalato» disse Josh scendendo dal tavolo. Ricky lo seguì con lo sguardo mentre apriva la portafinestra. Gli andò dietro a testa bassa. Si sedettero su uno dei tre gradini che portavano al piccolo giardino sul retro e Josh estrasse un pacchetto di sigarette dalla tasca della felpa. Ricky capì quanto fosse arrabbiato dal fatto che non gli avesse nemmeno chiesto se aveva voglia di fumare. 
«Perchè sei così arrabbiato?» gli chiese incapace di sopportare quella situazione ancora per molto.
«Forse perchè sono due settimane che non ti vedo, o forse perchè ti avrò fatto duemila telefonate e tu non hai risposto nemmeno una volta, oppure sarà perchè da un giorno all'altro sei cambiato, non esci più con noi, anzi sembra che di noi non te ne importi più niente»
Ricky deglutì a vuoto. Aveva la gola talmente secca da fargli male e non riusciva a regolare il respiro. Non era suo solito far arrabbiare i suoi amici, lui era quello che faceva riappacificare tutti dopo un litigio.
«Come potrebbe non importarmi di voi, Josh? Siete i miei migliori amici»
«E allora, se ci tieni tanto a me come dici, perchè non mi racconti un pò cosa fai nelle tue giornate? Dove sei quando ti cerchiamo?»
Ricky boccheggiò per qualche secondo.
«Non posso dirtelo»
«Ah, bene, allora torna quando potrai dirmelo»
Ricky sentì una stretta forte allo stomaco. Si stava odiando. 
Fissò Josh che fumava mentre gli occhi, pian piano, gli si riempivano di lacrime e quell'immagine gli appariva sempre più offuscata.
«Non piangere» disse Josh senza essersi nemmeno voltato verso di lui. Sapeva che in situazioni come quelle, Ricky scoppiava in lacrime, allora cercò di prevenire.
«Per favore, Ricky, non chiuderti, parla con noi se c'è qualcosa che non va» lo implorò Josh.
«Non è quello che sto facendo, io... sto bene, sono solo un pò confuso»
«Riguardo cosa?» chiese Josh ostinato.
«Josh, ti prego , io no-»
«Okay, va bene, non importa, lascia perdere» 
Josh si alzò buttando la sigaretta e ritornando dentro. Ricky non ebbe nemmeno la forza di seguirlo, cominciò solo a piangere in silenzio. Pensava a quanto oltre si stesse spingendo per mantenere quel segreto. 
Restò a fissare il vuoto per un bel pò, immerso completamente nei suoi pensieri, tirava su col naso di tanto in tanto e si asciugava le lacrime con le maniche della felpa.
«Ehi» disse una voce  morbida alle sue spalle. Ricky si voltò istintivamente. Angelo era in piedi con le mani in tasca.
«No-non ce l'ho fatta a dirglielo»
«Me ne sono accorto» disse il ragazzo andando a sedersi accanto a lui. 
«Senti, io non dico che tu dovresti dirgli che ti piace un ragazzo» 
Ricky lo guardò preoccupato. Sapeva che nessuno li stava ascoltando, ma temeva che qualcuno sentisse il discorso e capisse quello che stava succedendo.
«Ma almeno digli che hai incontrato una persona e ci stai passando un pò di tempo insieme»
«E credi che Josh si accontenterà? Lo sai che mi farà mille domande e io non saprò come rispondergli» disse Ricky. Angelo sospirò.
«Non so che dirti, Rick... ma, dimmi, c'è qualcosa che devo sapere?»
Ricky lo guardò e poi sorrise arrossendo. Non aveva idea del perchè non gli avesse raccontato tutto, forse aveva avuto troppa paura. In fondo, raccontare di un bacio sulla guancia era più semplice di spiegare la sensazione che aveva provato nel bacio vero e proprio; temeva che Angelo non avrebbe capito.
«In questi giorni... io e Chris... noi ci... mi ha baciato, tre volte» sussurrò sfiorandosi appena le labbra. Fu un atto quasi involontario.
«Baci veri? Cioè, con la lingua?»
Lui annuì e Angelo rise dandogli una leggera spinta.
«Perchè non me l'hai detto prima? Devi tenermi aggiornato»
Ricky sorrise abbassando lo sguardo. In quel momento capì di potersi fidare davvero di Angelo perchè, se avesse voluto giudicarlo, l'avrebbe già fatto e non avrebbe riso di felicità nel sapere che lui e Chris avevano fatto dei "passi avanti".
«Vieni, andiamo da quei due» disse Angelo alzandosi.
«Forse è meglio se vado a casa» 
Angelo guardò Ricky un pò confuso, poi capì.
«E tu non stai con me e Devin per colpa di Josh? Che per la cronaca è un coglione a prendersela tanto»
Ricky sospiro e poi, controvoglia, si alzò e seguì l'amico fino alla sua camera. Josh era sdraiato sul letto con gli occhi fissi sul cellulare, mentre Devin stava in piedi davanti allo specchio a disegnarsi le sopracciglia. In un primo momento fu parecchio imbarazzante per Ricky, ma poi Angelo decise di truccare Devin e quindi tutto sembrò tornare lentamente alla normalità.
Per tutto il tempo Ricky cercò di concentrarsi solo sui suoi amici, tenne Chris lontano dalla sua mente. Solo così riuscì a sentirsi di nuovo parte di quel gruppo a cui apparteneva ormai da una vita.

Il mattino dopo Ricky si svegliò molto tardi. Era domenica e come tutte le volte che non andava a scuola, si alzava tardi, faceva colazione e poi andava a passare qualche ora in bagno, sotto la doccia. Quella volta però, mentre era intento a mangiare i suoi cereali preferiti, sentì il cellulare squillare. Era Chris.
«Ciao Chris» rispose felicissimo di sentirlo.
«Ehm, no, sono Trevor»
Ricky si stupì di sentire la sua voce e si accigliò.
«C-ciao Trevor, come mai mi chiami col cellulare di Chris?»
«In realtà volevo sapere se era con te, ma deduco che non è così» disse Trevor con un tono che a Ricky sembrò parecchio preoccupato.
«Ehm, no, non lo vedo da ieri... Non è in ospedale?» gli chiese.
«No, Ricky» disse il ragazzo sbuffando. Ricky riusciva a sentire della tensione nelle sue parole.
«Trevor che sta succedendo?»
Il ragazzo non parlò per un pò, poi lo sentì sospirare.
«Jonathan... è morto»
Ricky sbarrò gli occhi facendo cadere nella tazza il cucchiaio che aveva tenuto in mano per tutto il tempo.
«Cos... quando?»
«Stamattina presto... quando sono arrivato in ospedale non c'era più, ha lasciato tutto qui e non so che fine abbia fatto»
Il cuore di Ricky cominciò a battere fortissimo.
«Cosa... cosa facciamo?»
«Non lo so, credo che andrò a cercarlo»
«Posso venire con te?»
«Come vuoi, ma sbrigati, ti aspetto qui» disse Trevor riagganciando subito dopo.
Ricky, ancora scosso, lasciò tutto sul tavolo e corse in camera sua. Si lavò i denti e mise addosso le prime cose che gli capitarono per le mani.
Uscì di casa senza nemmeno avvertire sua madre che stava facendo pilates nella stanza riservata appositamente allo sport. Corse verso l'ospedale e arrivò in meno di cinque minuti. Stava per entrare quando vide che Trevor stava camminando nella sua direzione. 
«Quando dico che devi fare presto intendo che devi essere da me in due minuti, non dieci» disse furioso mentre gli passava accanto.
«Scusa» mormorò Ricky alzando gli occhi al cielo.
«Come sta Betsy?» chiese subito dopo cercando di tenere il passo, ma Trevor era incredibilmente veloce.
«Come credi che stia? Ha un fratello morto e un altro che è scomparso dalla faccia della terra» disse l'altro accendendosi una sigaretta.
«Dove diavolo è andato? Lo dico io che è un figlio di puttana» sbraitò poi con gli occhi fissi sulla strada.
«Tu lo conosci meglio di me, sai se ha un posto dove va quando vuole stare solo?» gli chiese timidamente.
«Chris non ce l'ha il tempo per stare solo» disse Trevor scuotendo la testa.
«Sì, ma ci sarà un posto dov-»
Trevor si voltò verso Ricky di scatto.
«Senti,  fidati quando ti dico che per me Chris è come un libro aperto, se ti dico che non ha un posto dove va quando vuole stare solo è perchè è così e basta, quello stronzo conosce ogni buco di questa città e se non vuole farsi trovare noi non abbiamo alcuna speranza, ma sai che ti dico? Che io sono più stronzo di lui e che appena lo trovo gli spacco la faccia, deve sputare sangue perchè non doveva lasciare sua sorella a cavarsela da sola nella situazione di merda in cui si ritrovano» disse tutto d'un fiato.
«Adesso, per favore, cerchiamo di andare d'accordo altrimenti mi sfogo su di te» finì con un finto sorriso. Ricky, a bocca aperta per il discorso che aveva appena sentito, annuì solamente e insieme ripartirono alla ricerca di Chris. 
Camminarono per dieci minuti, poi Trevor si avvicinò ad un gruppetto di ragazzi. Li salutò velocemente. Ricky si sentì talmente in imbarazzo a stare fra quelle persone che tenne la testa bassa per tutto il tempo. Si sentiva troppo osservato per non paralizzarsi nel punto in cui si era fermato. Cercò solo di sentire cosa stavano dicendo Trevor e quelle specie di scimmie poco evolute.
«Avete visto Chris?»
«Chris chi? Ne conosco una ventina con quel nome» disse uno di loro.
«Il figlio di Michael»
«No, ma Michael deve dei soldi a mio padre, prima o poi gli faccio la festa a quel bastardo»
Trevor lasciò perdere quel commento e si allontanò da loro salutandoli appena. Ricky camminò dietro di lui per tutto il tempo, come se fosse la sua ombra. Tentava di non fare troppo rumore, ma allo stesso tempo di non sembrare invisibile. Cercava di fare di tutto pur di non fargli saltare i nervi. 
«Allah» gridò improvvisamente Trevor. Ricky pensò che fosse impazzito, ma capì che aveva chiamato qualcuno solo quando un ragazzo dalla carnagione scura si voltò verso di loro. Erano arrivati in uno spiazzale enorme, c'erano delle roulotte sparse qua e là e quel ragazzo era circondato da bambini e ragazzi, probabilmente solo perchè vendeva hot dog e kebab. 
«Mi chiamo Adnan, non Allah» disse quel ragazzo con un tono stanco, come se avesse ripetuto quella frase più e più volte. Dall'accento, Ricky pensò che fosse turco.
«Avrei potuto chiamarti cioccolatino» ribattè Trevor e l'altro scosse la testa infastidito mentre dava un panino ad un bambino.
«Hai visto Chris?»
Il ragazzo sembrò pensarci, poi annuì. A Ricky sembrò di riuscire a respirare di nuovo. Almeno qualcuno l'aveva visto.
«Ha comprato un hot dog, l'ha mangiato nell'arco di due secondi e poi se n'è andato»
«Dove andava?»
«Da quella parte» disse il ragazzo indicando una stradina sulla destra.
«Ma che cazzo, di là ci sono i ponti» esclamò Trevor arrabbiato. Ricky ebbe paura. Non sapeva di cosa stessero parlando nè perchè Trevor avesse avuto quella reazione, ma gli sembrò di doversi preoccupare.
«Amico, non è colpa mia se quello si droga»
Trevor riprese a camminare verso la direzione appena indicatagli senza nemmeno dibattere a quell'affermazione. Ricky cercò ancora di stargli dietro. Era confuso, non sapeva dov'era o dove stesse andando e aveva paura per Chris. Ma ciò che lo stava mandando più in paranoia era quella storia della droga.
«Trevor, dove stiamo andando?» gli chiese pieno d'ansia.
«Hai sentito, no? Ha detto che andava verso i ponti»
«C-che cosa sono i ponti?»
Trevor sbuffò.
«Che c'è? Voi ricchi usate parole diverse da noi comuni mortali? I ponti sono ponti, a forma di arco, sporchi, che puzzano di piscio, ci sono le puttane e gli spacciatori, quelli grossi non quelli di quartiere»
«E perchè mai Chris dovrebbe andarci?»
Trevor si fermò sbuffando ancora. Aveva sempre voluto essere ricco sfondato, ma se i milionari erano così poco perspicaci allora preferiva non avere un soldo in tasca ma un pò più di sale in zucca.
«Chris è la persona più ragionevole che io abbia mai conosciuto, ma quando perde il controllo fa stronzate colossali... l'ultima volta, l'anno scorso, è finito nei casini perchè ha rubato un auto e ha guidato fino ad Allentown, ci è rimasto per tre giorni e ha dormito con una clandestina africana che vendeva preservativi, lubrificanti e vibratori»
Ricky rimase a bocca aperta, non sapeva cosa dire. Anche lui qualche volta aveva pensato di scappare e mollare tutto per un pò, ma non l'avrebbe mai fatto davvero, non avrebbe saputo come.
«Perchè l'ha fatto?»
Trevor riprese a camminare e con lui anche Ricky.
«Perchè suo padre è più stronzo di lui, quel bastardo gli ha rovinato la vita, gli ha sempre messo i bastoni fra le ruote... quella volta prese tutti i soldi che Chris conservava da anni, li teneva da parte per comprarsi una macchina, dovevamo andare a comprarla il giorno del suo diciottesimo compleanno, ma una settimana prima Chris andò a depositare gli ultimi soldi e non c'era più niente, neanche un quarto di tutto quello che c'era prima... È andato fuori di testa e fatto quella stronzata, quindi ora non lo so cosa potrebbe fare»
«Non si... non si farebbe del male, vero?» chiese Ricky ancora più preoccupato dopo quello che aveva sentito.
«Chi lo sa? Stavolta potrebbe mettersi a battere»
Ricky si strinse nelle spalle e sospirò. Decise di non dire altro. Camminò a testa bassa, fissava i piedi di Trevor e li seguiva senza esitazione. Quando alzò lo sguardo si ritrovò su delle scale, oltre ad esse c'erano i famosi ponti. Erano tre, uno accanto all'altro e già da lontano poteva sentire quell'odore terribile di cui parlava Trevor. Al di sopra di quei ponti c'erano dei vecchi binari poco visibili perchè un groviglio di erbaccia secca li aveva infestati. Ricky lo capì solamente perchè qualche metro prima aveva intravisto una stazione ferroviaria chiusa. Quel posto gli dava i brividi. Era pieno giorno eppure sembrava tutto così buio e tetro. E il frastuono che sentiva, le grida, le risate, il rumore di tacchi sull'asfalto,  lo stavano terrorizzando. 
«Puoi restare qui se non vuoi venire» disse Trevor fermandosi e aspettando una risposta.
«No, no... vengo»
Trevor alzò le spalle e scese le scale velocemente. Quando si trovarono abbastanza vicini ad uno dei tre ponti, Ricky guardò attentamente, curioso di sapere cosa accadeva lì sotto e la scena che gli si presentò gli fece voltare lo stomaco: una ragazza magrissima, completamente nuda,  piegata in avanti, con le mani che cercavano disperatamente un appiglio su quel muro disastrato; dietro di lei c'era un uomo, grosso, la prendeva con forza e la ragazza per un'istante guardò nella sua direzione, sembrava che i suoi occhi lucidi stessero chiedendo aiuto. Avrebbe voluto tanto strapparla da quella situazione, gli sarebbe piaciuto darle dei vestiti caldi e qualcosa di più comodo di quei tacchi vertiginosi che aveva ai piedi. 
Si sentì afferrare per un braccio e trascinare via. Per un attimo ebbe paura, ma poi si accorse che era Trevor e si tranquillizzò.
«Andiamocene» disse.
«C-cosa? Ma... non eravamo qui per cerc-»
«Ho visto quello che dovevo vedere mentre tu ti sei messo a guardare il porno in diretta» lo interruppe Trevor ritornando sulle scale.
«N-no, io non...» lasciò la frase in sospeso imbarazzandosi.
«Te l'avevo detto di non venire quindi non te lo pago lo psicologo» disse Trevor notando l'espressione sconvolta di Ricky che, quando si riprese, ricordò il vero motivo della loro presenza in quel posto orribile.
«Chris... dobbiamo trovare Chris» sussurrò.
«Non ci è venuto qui, fortun...»
Ricky lo osservò aspettando che finisse la frase, ma Trevor si era bloccato. Aveva lo sguardo basso e un'espressione contratta, come se stesse provando dolore.
«Stai bene?»
Trevor non rispose, ma si portò le mani sul volto e quando le scostò Ricky notò i suoi occhi lucidi. Sentiva che il suo respiro era diventato pesante, ma era chiaro che stesse cercando con tutto se stesso di controllarsi. 
«Trevor, ti senti male?» gli chiese ancora, ma l'altro annuì solamente andando a sedersi sul marciapiede di quella strada deserta. Ricky restò in piedi accanto a lui, che aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia e i palmi sulla fronte. Sembrava volesse nascondersi, forse per non fargli notare che stava soffrendo.
Stette lì qualche minuto, poi si alzò. Aveva il viso ancora segnato dalle fitte dolorose che aveva provato, ma fece finta di nulla. 
«Andiamo, dobbiamo cercare Chris» disse riprendendo a camminare. Ricky stette in silenzio, ancora più confuso di prima. Camminò di fianco a Trevor per parecchio tempo e vide parti di quella città in cui abitava che non aveva mai visto prima, non sapeva nemmeno della loro esistenza. Si sentiva a disagio quando l'altro ragazzo si fermava a parlare con qualcuno, anche solo per chiedere di Chris. C'erano ragazzi che gli facevano paura anche solo a guardarli, forse perchè erano loro stessi a mandargli delle occhiatacce o a guardarlo dalla testa ai piedi. In quei momenti e non solo, nella sua testa aleggiava solamente il pensiero di Chris che era solo e probabilmente disperato. Ormai camminava da ore e sopportava i lamenti di Trevor e i piedi che gli facevano male solo per Chris, per riuscire a trovarlo e portarlo in un posto sicuro. Non si sarebbe dato pace fino a quel momento.



HO POSTATO! *festeggia e applaude* (la smetto subito, perdonatemi)
Tengo sempre le dita incrociate sperando che vi piaccia il capitolo. Spero di leggere qualche vostro commento *w*. Ringrazio tutti, chi legge,chi recensisce, chi la segue senza firmi il suo parere... tutti, tutti, tutti!!!
P.S. Voglio aggiungere una cosina che avrei sempre voluto dire, ma ho sempre dimenticato. Come avrete notato i nomi di chiunque non faccia parte della band (sorelle/fratelli/fidanzate ecc..) sono diversi dalla realtà e questo perchè credo che, in fondo, la storia sia basta unicamente sui Motionless In White. In generale, in una fanfiction, gradisco poco l'inserimento di personaggi che non sono parte della band, quindi... sì, spero di essere stata chiara C:
Al prossimo capitolo bella gente!

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11-How the hell did this happen? ***


Capitolo 11 - How the hell did this happen? 
Ormai era notte fonda. Era calato un buio tenebroso e il cielo era completamente coperto da nuvole grigiastre. Chirs le stava fissando da ore e non gli importava che il suo corpo stesse quasi gelando, che tremasse, che ogni suo muscolo fosse contratto tanto da fargli male. Aveva la gola secca, era dalla notte precedente che non beveva e gli riusciva difficile anche respirare. Fissando il vuoto, tentava di immaginare se stesso in quella situazione pietosa: sdraiato sul terreno umido, con gli occhi gonfi e arrossati dalle troppe lacrime che scendevano copiose lungo le sue tempie. Aveva delle brutte fitte allo stomaco, il dolore lo stava divorando lentamente. Avrebbe tanto voluto cavarsi gli occhi e strapparsi via il cervello. L'avrebbe fatto pur di non rivedere in continuazione la scena di suo fratello che si spegneva completamente. Provava un senso di rabbia troppo profondo per potersene stare ancora lì senza alcuna distrazione.
Si tirò su a fatica e andò in cerca di un locale, voleva sedersi, bere qualcosa, magari parlare con qualcuno; era ormai troppo tempo che nella sua testa sentiva solo il rumore dei suoi pensieri, non riusciva più a sopportarli.
Entrò in una specie di vecchio pub che puzzava di cibo andato a male. Era un posto sudicio, i divanetti azzurri erano impolverati, le mattonelle bianche del pavimento erano ormai deteriorate dal tempo, l'intonaco cadeva a pezzi e l'arredamento datato gli dava un'aria antica, monotona e noiosa. Chris si stupì nel vedere che però era abbastanza popolato, sicuramente più di quanto si aspettasse. 
Si trascinò fino al bancone e le sue orecchie percepirono una melodia a lui sconosciuta ma che gli stava dando fin troppo fastidio.
«Cosa ti porto, tesoro?» gli chiese una donna dai capelli ramati e ricci. Chris le fissò la bocca, il modo in cui stava masticando quell'ingombrante chewing gum e le sue labbra rosse e bagnate di saliva gli diedero il voltastomaco.
«Voglio ubriacarmi» disse bruscamente, come se quella donna dovesse già sapere cosa desiderava lui in quel momento.
«Ho quello che fa per te»
Chris non la degnò più di uno sguardo, nemmeno quando gli posò sotto gli occhi un bicchiere pieno di un liquido giallastro e maleodorante. Poggiò appena le labbra su quel vetro freddo e subito dopo sentì la bocca bruciare. Ogni suo senso si riattivò e si sentì pervadere da un brivido per niente piacevole. Represse l'impulso di sputare quello schifo stringendo forte le labbra, ingoiò tutto, poi prese un grande respiro tentando di riprendersi da quell'orribile esperienza. Non era per niente abituato a bere alcolici, al massimo si concedeva una birra ogni tanto e si chiedeva come facessero le persone a bere fino allo sfinimento. 
Strinse un attimo gli occhi allontanando i suoi pensieri e sbattè un paio di bicchiere sulla superficie di legno.
«Un altro» disse guardando distrattamente la donna che qualche secondo dopo si avvicinò a lui con una bottiglia in mano e gli vesò altro alcol. Mentre stava per allontanarsi, Chris prese una decisione che lo fece scattare verso di lei. Le afferrò il braccio e la donna si accigliò come allarmata da quel gesto improvviso.
«Lasciala qui» disse Chris mollando la presa sul braccio e indicando velocemente la bottiglia. Lei sorrise e fece come richiesto. Chris prese un grande respiro e si decise a bere, bere e bere ancora. Poteva sentire lo stomaco bruciargli, ma bicchiere dopo bicchiere la testa gli sembrava alleggerirsi. Tutti i brutti pensieri ormai erano scivolati via e, in quel momento, per lui l'importante era solo continuare a bere fino a perdere i sensi. 
Era passato forse un quarto d'ora e quella bottiglia che continuava a fissare era ormai vuota. Quando provò ad alzarsi dovette reggersi al bancone perchè improvvisamente tutto cominciò a giare, i rumori ormai erano ovattati, quasi non li sentiva più. E rise, senza accorgersene nemmeno scoppiò in quella risata isterica mentre tutti intorno lo osservavano, alcuni ridendo, altri impassibili. Chris iniziò a farfugliare, parlava con se stesso e si diceva di abbassare la voce, di ridere di meno, di stare dritto e di uscire dal locale. Purtroppo la realtà era ben diversa, gli cedevano le ginocchia e quella sensazione di stordimento lo portava solo a ridere a crepapelle.
«Ehi, devi pagare» 
Chris riuscì a voltarsi nonostante quel suono gli arrivasse lontanissimo. Fece una faccia buffa e poi infilò le mani nelle tasche tirandone fuori le fodere.
«Ops, non c'è niente» disse scoppiando a ridere. La donna, già abbastanza spazientita, cominciò ad urlare che se non avesse pagato non se ne sarebbe andato da lì. Prima che Chris potesse mandarla a quel paese e scappare, vide un uomo che si avvicinava al bancone e lasciava dei soldi; riuscì a capire che stesse pagando per lui.
«Vieni con me» disse poi quella voce rauca, profonda, quasi spaventosa.
Il ragazzo lo seguì fuori dal locale. Tentando di non inciampare nei suoi stessi piedi raggiunse l'auto di quell'uomo che lo aiutò ad entrare.
«Perchè sono seduto nella tua macchina?» chiese con una voce acuta e stridula.
«Se mi spieghi la strada ti porto a casa tua»
Chris scosse furiosamente la testa.
«Non voglio andarci»
«Okay, allora dove ti porto?» chiese l'uomo senza ottenere risposta. Chris prese a canticchiare, ridere e battere le mani.
«Va bene» disse poi cominciando a guidare nel buio. Chris non fece caso a dove quella strada portasse, non gli importava dove sarebbe finito, in quel momento la testa era così leggera e vuota che si azzardò a paragonare quella sensazione alla felicità. Poi si addormentò, così, di colpo. Quando si svegliò era nel parcheggio di un palazzo. L'uomo incontrato al pub era accanto a lui e tentava di strapparlo dal mondo dei sogni in ogni modo. Chris aveva aperto gli occhi solo dopo un paio di sonori schiaffi.
«Scendi»
«Scendo?» chiese il ragazzo ancora parecchio stordito.
«Sì»
Fece come gli era stato detto senza calcolare la possibilità che quello sconosciuto avrebbe potuto benissimo abbandonarlo lì, ma fortunatamente non lo fece. Chris lo vide scendere della macchina e lo seguì come un cagnolino. Insieme entrarono nel palazzo e poi in un'ascensore. Al ragazzo, quella sensazione di chiuso e di movimento, fecero venire da vomitare, ma non lo fece. Le porte dell'ascensore si aprirono e Chris corse fuori inalando quanto più ossigeno possibile. Non si sentiva affatto bene, gli girava tutto.
L'uomo lo trascinò nel suo appartamento. Con difficoltà riuscì a portarlo in camera da letto dove gli tolse le scarpe e lo mise sotto le coperte.
«Tu dove dormirai?» gli chiese a bassa voce. 
«Ho un divano comodissimo... adesso dormi, buonanotte» rispose l'uomo spegnendo la luce e chiudendo la porta. Chris si rigirò nel letto che cigolava lievemente. Il buio lo avvolgeva eppure gli sembrava di vedere il mondo che gli ruotava intorno. Si ritrovò a parlare da solo, a ridere e piangere e poi ridere di nuovo. Non riusciva a formulare un pensiero normale. Non si rese conto nemmeno di quanto fosse stupido abbracciare un cuscino immaginando che quello fosse il corpo caldo di una ragazza. Quando involontariamente si ritrovò a pancia in giù sul pavimento, decise di alzarsi e fare due passi. Ci mise un pò a trovare la porta e ancora di più per riuscire ad afferrare la maniglia e aprirla. Do fronte ai suoi occhi c'era in un corridoio lunghissimo che gli diede un senso di claustrofobia orribile. Barcollando riuscì a trovare il salone che per quella notte avrebbe dovuto ospitare il padrone di casa, ma sul divano non c'era nessuno allora Chris si tuffò fra i cuscini.
«Non ti avevo messo a letto?» disse l'uomo che era comparso dalla cucina. La sua voce sembrava un misto fra stanco e disperato, ma anche divertito dai comportamenti buffi del ragazzo.
Chris si alzò rischiando di spaccarsi la testa un paio di volte durante quell'operazione.
«Come ti chiami?» gli chiese.
«Michael» rispose l'altro.
«No, non ci posso credere... tu non puoi... no, non ti puoi chiamare così, basta... io ho chiuso con tutti i Michael del pianeta, sono stanco» disse Chris inceppandosi di tanto in tanto e urlando le ultime due parole. All'altro venne quasi da ridere, ma dovette avvicinarsi a lui e reggerlo. Tentava anche di zittirlo, ma Chris continuava a biascicare qualcosa su un certo Mike e un Michael che lui non conosceva.
«Okay, va bene, abbassa la voce... tu come ti chiami?» gli chiese facendolo sedere ancora.
«Thomas, ma puoi chiamarmi Tom» disse serio, poi scoppiò a ridere.
«Ci sei cascato... mi chiamo anche Thomas, ma in realtà mi chiamo più Christopher che Thomas... non so se puoi capirlo, non è una cosa che possono capire proprio tutti, solo quelli più intelligenti»
L'uomo annuì. C'erano due possibilità che aleggiavano nella mente di Michael: 1) aveva davvero due nomi, 2) non si chiamava affatto così e aveva dimenticato la sua identità. 
«Allora come devo chiamarti?»
«Trevor»
L'altro sbarrò gli occhi a quel nuovo nome, ma Chris precedette ogni suo pensiero o parola.
«Trevor mi chiama Chri, Chris, Chrissy, Christoph o Christopher... dipende da quanto è arrabbiato o da quanto cazzo vuole... capisci?»
«Ehm... credo di sì, Christopher» rispose l'uomo quasi sconvolto. Chris gli sorrise come un bambino innocente, poi tornò serio.
«Tu non sei gay, vero?»
Michael scosse la testa facendo sospirare pesantemente l'altro.
«Peccato, avevo voglia» disse mettendo il broncio.
«Mi porti da Trevor? Anzi no, portami da Ricky... lui ha un culetto troppo bello... glielo prenderei a morsi... se non fosse vergine me lo sarei già fatto, ma non deve fare sesso... non con gli altri, con me invece sì, dovrebbe...  e sai perchè? Perchè ho davvero un bel cazzo»
L'uomo tossì pensando che mai e poi mai gli sarebbe capitato di riascoltare un discorso del genere, e di certo non avrebbe mai dimenticato quella notte.
«Che c'è? Non mi credi?» lo accusò Chris.
«Guarda che una persona, una volta, mi ha detto che il naso non è l'unica cosa enorme che ho... e se non mi credi posso anche fartelo vedere, lui non si vergogna» esclamò Chris tentando di sbottonarsi i jeans, ma Michael lo fermò in tempo.
«No, per carità, ti credo»
E in effetti gli credeva visto che qualcosa lo si poteva già intravedere attraverso quei jeans strettissimi. 
«Adesso, che ne dici di andare a dormire?» gli chiese spostando lo sguardo sul suo viso. Chris aveva gli occhi rossi, il viso pallido e stanco.
«Va bene»
Michael tentò di aiutarlo a ritornare nella sua camera da letto, ma Chris lo fermò.
«Posso arrivarci anche da solo... non ho bisogno del tuo aiuto, grazie»
L'uomo non obbiettò e lo lasciò andare. Si assicurò lo stesso che si fosse messo a letto e poi andò a dormire.

Il mattino seguente Chris si svegliò con un fortissimo mal di testa. Non riusciva a rendersi conto di cosa era successo e non capiva nemmeno perchè mai si trovasse in una casa che non era la sua. Uscì dalla stanza tenendosi la testa fra le mani. Cercò di guardarsi intorno e trovare qualcuno che gli potesse dare qualche spiegazione. Entrò nel salone e qualche ricordo lo colpì in pieno ma era ancora tutto troppo confuso e il mal di testa gli impediva di pensare.
«Ma buongiorno» 
Sussultò voltandosi e ritrovandosi un uomo alle spalle.
«Ehm... b-buongiorno»
«Hai voglia di pranzare? Così magari ti racconto quanto è stato brutto concederti il mio letto per una notte»
Chris era sempre più spaesato, ma in quel momento gli sembrò giusto accettare. Annuì solo, poi gli chiese dov'era il bagno. Ne aveva urgente bisogno o se la sarebbe fatta addosso.
«Seconda porta a sinistra... potresti farti anche una doccia, puzzi»
Involontariamente Chris si annusò la felpa e in effetti non aveva proprio un odore di pulito.
«Grazie»
«Figurati, trovi tutto in bagno»
Chris si diresse verso il bagno e ne uscì solo dopo una buona mezz'ora. Si sentiva già meglio, ma doveva ancora capire come mai si trovasse in quella casa, chi era quell'uomo che stava cucinando per lui, se era troppo lontano da casa sua e se aveva combinato qualche guaio.
Nel corridoio, su un mobile di legno scuro, trovò delle maglie piegate e non ci mise molto ad infilarsene una. Gli stava un pò grande, ma era un semplice maglioncino nero quindi se ne fregò. Indossò i suoi jeans e recuperò le scarpe nella camera da letto. Pronto per capirci qualcosa, ritornò nel salone, ma venne attirato dai rumori provenienti da un'altra stanza. Entrò in una cucina abbastanza grande ma un pò spoglia. 
Si schiarì la voce per attirare l'attenzione dell'uomo ai fornelli.
«Ehi» disse voltandosi e accigliandosi subito.
«Quella è una mia maglia?»
«Sai com'è, quando esco non mi porto dietro tutto il guardaroba» rispose Chris sgarbatamente.
«Certo... come ti senti?»
«Una merda» 
Michael senza rispondergli prese un'aspirina e un bicchiere d'acqua e glielo porse. Chris mandò giù tutto sperando di riuscire a mandare via il mal di testa. Si sedette al tavolo e aspettò che quello sconosciuto finisse di cucinare. Quando gli posò il piatto sotto gli occhi lo ringraziò e mangiò in silenzio.
«Mi togli una curiosità? Come ti chiami?» chiese l'uomo.
«Chris... perchè?»
«Perchè la scorsa notte non hai saputo dirmelo molto bene e comunque io sono Michael... eri parecchio ubriaco, che ti è successo?»
Chris sospirò con un'espressione incerta. Non sapeva cosa dirgli, in fondo non erano affari suoi. Alzò le spalle e continuò a mangiare, non aveva nemmeno voglia di parlare.
«Mi hai raccontato un sacco di cose, sai?»
«Tipo?» chiese Chris allarmato.
«Ehm... mi hai detto praticamente che mi odi solo perchè mi chiamo Michael, che vorresti mordere il sedere di un certo Ricky e che hai un amico che ti affibbia nomignoli perchè vuole venire a letto con te»
Chris arrossì di colpo. Davvero aveva detto quelle cose?
«Ho detto proprio di volerglielo mordere?»
L'uomo annuì pulendosi le labbra con un fazzoletto poi bevve. Rise per l'espressione di stupore e disagio che aveva Chris.
«Hai anche detto che dovrebbe perdere la verginità con te perchè hai un... un bel cazzo»
Se solo Chris avesse potuto, sarebbe stato felicissimo di evaporare.
«Ho detto una cazzata simile? Perchè non mi hai sparato un colpo in testa?»
Michael rise e scosse la testa.
«Sei solo un ragazzo, puoi ancora permetterti di dire cavolate»
Si sorrisero e poi Chris si alzò tastandosi le tasche dei pantaloni.
«Il mio cellulare?»
«Non so, non mi sembra che ce l'avevi»
Chris sbuffò e si passò le mani sul viso. A Michael sembrò che stesse sull'orlo di una crisi isterica.
«Se vuoi puoi chiamare col telefono di casa, o ti accompagno a casa» propose gentilmente. Chris decise di chiamare prima Trevor. Durante la telefonata Trevor sbraitò come un matto, gli gridò che l'avrebbe ammazzato appena se lo sarebbe trovato davanti. Chris lasciò che sfogasse la sua rabbia, poi gli disse semplicemente che sarebbe tornato a casa presto. Si stranì molto quando Trevor gli disse di passare prima a casa sua, ma accettò senza obbiettare. 
«Tutto bene?» gli chiese Michael quando lo vide posare il telefono con lo sguardo preoccupato.
«Sì... senti, io devo andare»
«Ti accompagno?»
Chris guardò oltre il vetro della finestra che illuminava la cucina e decise di poter fare anche da solo.
«No, grazie, faccio due passi»
«Sicuro? Guarda che siamo un pò lontani dal centro»
Chris scosse le spalle.
«Vuol dire che farò più di due passi»
L'uomo annuì rassegnato, ma prima che andasse via gli lasciò il biglietto da visita della sua officina.
«Se dovesse servirti qualcosa, chiama pure» gli disse con un sorriso appena accennato, ma convincente e spontaneo. A Chris sembrò tanto strano il comportamento di quell'uomo, ma prese il biglietto e lo salutò. 

Ci mise circa un'ora per arrivare a casa di Trevor. Gli sembrò un tempo infinito, forse perchè la sua mente aveva viaggiato velocemente da un pensiero all'altro cercando di rimettere insieme i pezzi. Non ricordava assolutamente niente di quello che era successo dopo la sua fuga dall'ospedale. Il pensiero di suo fratello gli portò le lacrime agli occhi e di nuovo tanta tristezza.
Non appena mese piede in casa di Trevor se lo ritrovò addosso come una furia.
«Ma ti sembra questo il modo? Sei uno stronzo, dovrei davvero ucciderti» urlò tirandogli un paio di schiaffi e un pugno su braccia e spalle.
«Smettila, non rompermi le palle» rispose Chris svogliato. Lo allontanò e andò dritto sul divano. Era il divano più scomodo su cui si fosse mai seduto, ma in quel momento si sarebbe coricato anche su una distesa di cemento.
«Dov'è mia sorella?» chiese socchiudendo gli occhi.
«È da Rose ed è incazzata nera con te, quello che ti vorrei fare io e niente in confronto a quello che vorrebbe farti lei... l'ho vista stamattina, mi ha detto che vuole vederti soffrire»
Chris non mostrò alcuna emozione, ma dentro di sè pensò di meritarsi davvero una morte lenta e dolorosa.
«Mi sono ubriacato» disse d'un tratto. La sua voce fu l'unico rumore in quella stanza e rimbombò nelle orecchie di Trevor. 
«Mio fratello è morto» continuò mettendosi seduto.
«Morto» disse ancora sospirando. L'altro ragazzo cerco di parlare ma Chris si alzò col viso distorto in una smorfia di rabbia e dolore.
«Jonathan è morto, dopo tutto quello che io ho fatto per lui, dopo essermi preso tutte le responsabilità che nessun ragazzo della mia età si sarebbe mai preso, lui muore... perchè è vero, si fa trattare come un re, si fa portare su un piatto d'argento da suo fratello e poi per ringraziarlo cosa fa? Muore? E mi lascia solo a pensare che non posso prendermi un secondo per stare solo, che non posso andarmene nemmeno per una notte perchè ho diciannove anni e... e a diciannove anni ho una sorella piccola che mi odia e sono grande, devo essere maturo, responsabile e devo mantenere la mia famiglia, devo essere duro come una roccia, non devo disperare ma devo essere la spalla su cui la mia sorellina deve piangere e sfogarsi... è quello che dovevo fare, Trevor? Dovevo davvero essere così apatico? Perchè tanto Christopher non ha punti deboli, lo puoi colpire dove vuoi ma lui non si lamenta, va avanti... ma sai che ti dico, amico mio? Ti dico che Christopher di punti deboli ne ha un milione, che se lo colpisci forte, ma davvero forte, come ora, Christopher si spezza, va in frantumi... e adesso ho voglia scappare di nuovo anche se so che così facendo farei soffrire mia sorella... voglio andare via, sparire e non vedere mai più le vostre facce, non voglio più guardare negli occhi di qualcuno e avere la certezza che quegli occhi hanno visto lo stesso schifo che ho dovuto vedere io, non voglio una sorella che mi giudica per le mie azioni, non voglio un migliore amico che ha visto sua madre morire proprio come io ho dovuto vedere mio fratello fare la stessa fine... sono davvero stanco di tutto questo, ma non posso lasciare tutto, sono imprigionato in questo schifo di posto... che anche se me ne vado, anche se abbandono tutto, mi porto dietro la vergogna, la puzza, la faccia e l'anima sporca di chi ha vissuto qui» disse con le lacrime che gli riempivano gli occhi offuscandogli la visuale. Trevor lo guardava a bocca aperta. Non sapeva cosa pensare. Aveva immaginato più volte che quel momento sarebbe arrivato, sapeva che prima o poi Chris sarebbe esploso, che l'avrebbe fatto in quel modo, ma non aveva mai preparato un discorso da fargli in quell'occasione.
«Vai Chris, vai pure, la porta è aperta e la strada è lunga... vattene, ma non ti voltare e non pensare al passato, non pensare a quello che vedranno le persone quando ti guarderanno negli occhi, vai e vivi la vita che vuoi vivere, ma sappi che io non ci sarò più»
Chris lo guardò con uno sguardo affranto che l'altro ricambiò pienamente, poi gli passò affianco e uscì da quella casa. Tentò di respirare ma era come se intorno a lui non ci fosse più ossigeno. Il cuore gli batteva forte e sentiva le gambe indebolirsi, ad ogni passo quella sensazione aumentava. Poi però, prima di mettere piede in strada, giusto un attimo prima di abbandonare il vialetto, fece un gesto quotidiano, di quelli che tutti fanno senza nemmeno accorgersene, si tirò su le maniche di quella maglia troppo larga. La sensazione di quel cotone di buona qualità fra le dita lo riportò alla realtà. Uno come lui poteva permettersi maglie come quelle e mai avrebbe potuto. Si ritrovò in un bivio: fingere per il resto della sua vita, o essere se stesso e tentare di essere felice con quel poco che gli rimaneva.
«Ne hai ancora per molto?»
Quella voce lo fece voltare di scatto. 
«No, perchè ieri sono successe tante cose mentre non c'eri e vorrei raccontartele... è importante» disse Trevor guardandolo dalla porta. Chris sospirò e scosse la testa, poi si avvicinò a lui e lo spinse in casa.
«Parliamo dopo» disse sbattendo la porta e tirandolo fra le sue braccia. Lo baciò. L'altro ricambiò senza nemmeno pensarci due volte. Improvvisamente il corridoio che portava alla camera di Trevor sembrò troppo lungo, i loro vestiti troppo scomodi e le loro mani troppo piccole per potersi toccare.

«Chri» sussurrò Trevor con il respiro ancora affannoso.
«Mmh»
«Hai voglia di parlare ora?» gli chiese mentre giocava con capelli dell'altro che se ne stava ancora sdraiato su di lui. Chris roteò gli occhi infastidito da quella sua insistenza.
«Sono nudo e ce l'ho ancora duro, perchè mi chiedi se ho voglia di parlare?» gli chiese accoccolandosi ancora di più sul petto dell'altro. In quel momento desiderava solo starsene lì in silenzio a godersi quella pace.
«Lo so, ma è importante»
«Va bene, parla»
Trevor si schiarì la voce e cercò di trovare le parole più adatte.
«Tua madre ha deciso di occuparsi del funerale»
Chris si sollevò sulle braccia e, accigliato, lo guardò.
«E questo è solo l'inizio» continuò Trevor. Chris capì che le cose si stavano facendo troppo serie allora si sdraiò accanto a lui.
«Sono pronto» disse.
«Ehm... te lo ricordi quell'uomo di cui ti ho parlato? Quello che vidi parlare con tua mamma?»
Chris annuì aspettandosi il peggio.
«Betsy mi ha detto che sono un paio di giorni che praticamente vive a casa vostra»
Calò il silenzio. Chris non poteva crederci, ma allo stesso tempo immaginava che sarebbe successa una cosa simile.
«Chris... va tutto bene?»
«No, devo andare a casa» rispose atono alzandosi. Si rivestì e Trevor fece lo stesso.
«Chris, non è il momento di fare stronzate, lo sai?»
«Sono calmo»
Trevor annuì per niente convinto. Quando lo vide uscire di casa con lo sguardo fisso per terra, capì che forse non avrebbe dovuto lasciarlo andare da solo, ma decise di farsi da parte quella volta. 

Un uomo di media corporatura, con i capelli corti, e gli occhiali sul naso abbracciava sua madre seduta sul divano, mentre Chris se ne stava sulla porta e li guardava in silenzio. Non poteva vedere viso di sua mamma perchè era coperto dalle braccia dell'altro, ma sentiva i suoi singhiozzi. Loro si accorsero quasi subito della sua presenza e ci fu un momento imbarazzante per i due che, dal divano, lo osservavano senza fiatare. Chris invece li guardava con uno sguardo di sfida. Non capiva come potessero fare una cosa simile in quel momento.
«Ehm... C-Chris, lui è Hector» disse la donna asciugandosi le lacrime e alzandosi.
«Non me ne frega un cazzo di chi è, se ne deve andare» disse Chris brusco.
«Christopher, per favore, non far-»
«Sta zitta» urlò facendo tacere sua madre all'istante.
«Devi stare zitta e lui deve andarsene»
L'uomo, che intanto si era alzato, cercò di difendere la donna che guardava suo figlio con tristezza.
«Non dovresti parlare così a tua madre»
Chris lo guardò dall'alto in basso e gli venne quasi da ridere. Come si permetteva di dirgli cosa fare?
«Ti voglio fuori da questa casa, adesso» ringhiò fra i denti pronto anche a cacciarlo fuori a calci. 
«Sei tornato» disse una vocina debole e affranta alle sue spalle. Chris si voltò e vide Betsy ad appena qualche metro da lui. Aveva gli occhi gonfi, pieni di lacrime e arrossati, il viso stanco e triste. Aveva voglia di correre da lei, abbracciarla e dirle che avrebbero affrontato tutto insieme, che non se ne sarebbe andato più, che le sarebbe stato sempre accanto, ma c'era qualcosa nell'espressione di sua sorella che gli impedì anche di muoversi.
«Dove sei stato?» gli chiese lei con un tono indescrivibilmente freddo.
«I-io... Betsy... ehm...»
La ragazza scosse la testa infastidita e contrariata dal comportamento di suo fratello.
«Vai via, Chris»
Il ragazzo rimase a bocca aperta. 
«Ti prego, Chris, vattene»
A quella supplica Chris cominciò a piangere, ma non fece scenate, non implorò perdono. La guardò negli occhi per qualche minuto, poi le si avvicinò e le diede un bacio sulla fronte carezzandole i capelli. Betsy cercò di contenersi, ma il suo cuore in quell'istante esplose. Non permise però che quel sentimento la distraesse dalla decisione che aveva preso e lo lasciò andare.




Okay, mi verogno quindi non mi dilungo. Lo so che avrei dovuto postarvi un capitolo perfetto e questo sicuramente non lo è, ma spero che lo appreziate lo stesso! 
Grazie a tutti quelli che continuano a seguire la mia FF nonostante io sia una ritardataria cronica :c
Baci :3


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Capitolo 13
*** Capitolo 12-I found a place so safe, not a single tear ***


Capitolo 12 - I found a place so safe, not a single tear.

Negli ultimi due mesi Chris era completamente cambiato. Da quando non abitava più a casa sua e aveva cambiato lavoro, lui e Ricky passavano tutte le sere insieme. Ormai era diventata un'abitudine, Chris alle 21:00 in punto era fuori casa sua e insieme se ne andavano in giro, senza una meta. Avevano parlato tanto, si erano confrontati su così tanti argomenti che Ricky non riusciva più a ricordarli tutti. Si era creata una sintonia che entrambi apprezzavano forse più del dovuto. Ricky, col passare del tempo, si era abituato all'idea di stare con una persona del suo stesso sesso. Non aveva ancora avuto il coraggio di parlare di Chris ai suoi amici, ma gli aveva già accennato di aver conosciuto un ragazzo con cui stava stringendo amicizia. Era convinto che Devin avesse capito già qualcosa, ma non si era azzardato a chiedergli nulla sull'argomento. Josh l'aveva presa malissimo, si lamentava in continuazione, voleva che Ricky ritornasse "quello di prima". Angelo e Ryan invece erano quelli che davano meno problemi. Angelo era semplicemente felice che Chris si stesse dimostrando una brava persona, mentre Ryan era troppo preso dalla sua relazione per poter pesare ogni gesto o parola di Ricky. Dal canto suo, Ricky, si stava godendo quei pomeriggi con gli amici e quelle serate con Chris. Si sentiva felice, nulla andava storto, tutto intorno a lui sembrava essere diventato più bello. Anche le giornate uggiose e fredde sembravano belle perchè sapeva che avrebbe visto Chris, e ci avrebbe pensato lui a scaldarlo fra le sue braccia, a fargli dimenticare per un pò tutto il resto del mondo.
Uscì in strada e Chris ovviamente era lì, ad aspettarlo seduto sul marciapiede. Quella sera l'aveva fatto aspettare un bel pò lì fuori, i suoi genitori non ne volevano proprio sapere di lasciarlo andare. 
Chris si alzò non appena sentì i passi di Ricky alle sue spalle.
«Finalmente» disse Chris col sorriso tentando di abbracciarlo. Ricky si ritrasse e l'altro roteò gli occhi. Ricky non voleva mai abbracciarlo fuori casa sua, aveva paura che i suoi genitori potessero vederli in un modo o nell'altro, ma Chris non ne voleva proprio sapere di stargli lontano.
«Non fare quella faccia» disse Ricky cominciando a camminare e Chris lo seguì.
«Va bene, non lo farò più»
«Sì, e poi domani sera diremo di nuovo la stessa cosa, come ogni sera»
Entrambi risero e fecero qualche metro in silenzio.
«Dove stiamo andando?» chiese Ricky a scopo puramente informativo. In fondo non gli importava dove andassero, l'importante era passare quanto più tempo possibile insieme.
«Non lo so, hai fame?»
Ricky annuì.
«Okay, allora andiamo a casa... Jane stava preparando un arrosto o una cosa simile, sembrava buono» disse Chris con occhi quasi sognanti. Ricky accettò nonostante l'idea di vedere Jane non gli piacesse. Ma, in ogni caso, conviveva con l'idea che Chris vivesse a casa sua ormai, quindi non poteva permettersi di essere geloso.
Arrivati a casa, Jane li accolse con un sorriso enorme, poi ritornò ai fornelli. I due ragazzi si sedettero sul divano, ma ben presto si ritrovarono l'uno sopra l'altro. Si baciavano e si coccolavano. In realtà non si erano mai chiesti cosa fossero loro due, ma si comportavano proprio come due fidanzati, almeno quando erano da soli o quando sapevano di potersi comportare come tale.
«C'è Jane» sussurrò Ricky all'orecchio di Chris, ma lui fece finta di non sentire e continuò a baciargli e mordergli il collo. Ricky tentò ancora di allontanarlo e dopo vari tentativi ci riuscì. 
«Tu vuoi farmi soffrire» sentenziò Chris mentre si rimetteva al suo posto. Ricky ridacchiò rimanendo sdraiato e, come se non bastasse, allungò le gambe su quelle dell'altro. 
«No, hai ragione, fai pure, lo so che oggi ti sei spezzato la schiena a lavoro» gli disse poi Chris prendendolo in giro.
«Chris, anche studiare è stancante» si difese Ricky e l'altro rise solamente. In tv davano una partita di hockey quella sera e Chris non poteva perdersela. Un'ora volò via veloce. Ricky non distolse lo sguardo da Chris nemmeno un secondo. Era fin troppo bello potersene stare lì indisturbato a guardarlo mentre lui gli accarezzava delicatamente le gambe. La magia di quel momento svanì quando Jane ritornò nel salone annunciando che la cena era pronta. Mangiarono tutto alla velocità della luce e non solo perchè avevano fame, ma anche perchè Jane aveva preparato davvero un'ottima cenetta. 
«Chri, prima ha chiamato Trevor» disse la ragazza.
Chris rimase col bicchiere d'acqua a mezz'aria. Ricky notò una strana espressione sul viso di dell'altro. Non ne sapeva molto, ma aveva capito che con Trevor non correva buon sangue in quel periodo.
«Che voleva?» chiese Chris riponendo il bicchiere sul tavolo, come se avesse anche dimenticato che un istante prima stava per bere.
«Non me l'ha detto... credo volesse solo sentirti»
Chris inarcò le sopracciglia e a quel gesto seguì una falsa espressione di indifferenza.
«Lo chiamerò» disse infine alzandosi.
«Ricky, ti va di uscire un pò?»
Il ragazzo annuì solamente e lo seguì. Camminarono in silenzio per un tempo troppo lungo. Ricky ogni tanto lo guardava, ma Chris sembrava perso nei suoi pensieri. Lo vedeva completamente immerso in un modo tutto suo, con lo sguardo fisso sulla strada e le labbra serrate. Quando però Chris decise di sedersi su una panchina in una strada abbastanza deserta, Ricky capì che era arrivato il momento di parlare. 
«Puoi spiegarmi cosa sta succedendo?» gli chiese e Chris solo in quel momento gli rivolse finalmente lo sguardo.
«Nulla»
«A me non sembra»
Chris sospirò.
«Abbiamo solo litigato, non è niente di grave» disse poi.
«Io invece credo che sia grave... insomma, solo sentendo il suo nome tu o dai di matto, o ti comporti come ti stai comportando ora, eviti di parlarci, eviti ogni discorso che lo riguardi e sinceramente voglio sapere il reale motivo di tutto questo»
Il silenzio che calò per qualche istante li mise talmente a disagio da far desiderare ad entrambi di non essere lì in quel momento.
«Ricky, è complicato, fidati... non c'è bisogno che tu lo sappia» disse Chris cercando di porre fine a quella fastidiosa conversazione, ma Ricky si accigliò. Si sentiva escluso e per questo contrariato e arrabbiato.
«Sai, Chris, credo che adesso me ne andrò a casa e domani non permetterti di venirmi a prendere» così dicendo, il ragazzo si alzò e tentò di allontanarsi da lui, ma non ebbe nemmeno il tempo di voltargli le spalle. Chris gli prese la mano, ma non la strinse e non lo fece per non costringerlo a restare lì. Voleva che fosse lui stesso a cambiare idea.
Si guardarono per poco poi Ricky, nonostante fosse pienamente consapevole di sbagliare, si sedette di nuovo senza lasciargli la mano.
«Posso fidarmi di te, Chris?»
«Io questo non lo so, a volte ci fidiamo delle persone sbagliate... io probabilmente sbaglierò, ma sono una persona e come tale il massimo che posso fare è provare ad essere sincero»
Quella risposta colse Ricky impreparato. Non sapeva come sentirsi a riguardo, ma Chris era davvero stato sincero e con quella risposta non aveva provato a modificare i suoi pensieri in nessun modo.
«Hai un modo di dire le cose davvero strano» mormorò Ricky rivolgendogli un sorriso appena accennato, lanciò poi uno sguardo nel vuoto e ritornò a guardarlo. Chris aveva un'espressione seria.
«Mi piace» terminò aspettando una reazione di Chris. Lui, in un primo momento restò impassibile, poi abbassò lo sguardo e Ricky non potè non notare il suo sorriso.
«Qui ci sono delle persone»
Ricky annuì non sapendo bene dove l'altro volesse arrivare, ma il suo tono di voce lo intrigò inevitabilmente.
«E queste persone potrebbero notarli due ragazzi che si baciano» continuò Chris e Ricky annuì ancora inarcando lievemente le sopracciglia.
«A me non importa, che a loro piaccia o no, che a te piaccia o no, io adesso ti darò un bacio»
Ricky non ebbe nemmeno il tempo di formulare un pensiero o una qualsiasi risposta, che Chris si fiondò sulle sue labbra. Quella volta, nonostante intorno ci fosse della gente, nonostante avesse paura, chiuse gli occhi e ricambiò il bacio. Stranamente non prese nemmeno in considerazione l'idea di allontanarlo. E finalmente, almeno per una volta, si sentì libero.

Ricky ignorava del tutto che Chris potesse sentirsi a disagio in casa sua, ma dopo tutto quel tempo passato ad uscire insieme gli sembrò brutto non chiedergli di entrare qualche volta. La sera successiva a quel bacio riparatore e rivelatore, Ricky si fece coraggio e gli chiese se gli andava di passare la serata a casa sua, come due amici. Chris rifiutò l'invito senza un valido motivo, disse solo che non gli andava, che quella sera gli sarebbe piaciuto uscire. Quel suo strano comportamento insospettì Ricky. Glielo chiese più e più volte finchè quella sera, esattamente due settimane dopo al primo invito, Ricky non gli impose di entrare o non gli avrebbe mai più rivolto la parola. In realtà sapevano entrambi che quella non era una minaccia, ma Chris accettò lo stesso.
«Papà stasera non torna?» chiese Ricky a sua madre. Lei alzò lo sguardo dai fogli che stava leggendo e scosse la testa.
«Te lo chiedevo perchè stasera ho invita-»
«Va bene, Richard, sto lavorando non ho tempo ora» 
Ricky sospirò, ma fece finta di non essere per niente disturbato dal poco interesse che sua madre dimostrava nei suoi confronti. La guardò ancora un pò, poi uscì dal suo ufficio e ritornò in camera sua. Terminò velocemente gli esercizi di matematica e afferrò il cellulare. Messaggiò un pò con Angelo e poi decise di chiamare Josh. Fu una conversazione un pò fredda, soprattutto quando gli disse che quella sera Chris avrebbe passato la serata a casa sua, ma in quel momento a Ricky importava poco di quello che pensava lui. Stava male anche solo a pensarlo, ma non gli fregava niente della sua opinione. Non commetteva alcun reato ad avere un amico al di fuori del loro gruppo.
Passò il resto della giornata a guardare la tv e ascoltare musica, poi andò a farsi una doccia e si rese presentabile. Chris arrivò solo qualche minuto dopo, puntuale come sempre. Ricky corse ad aprire e rimase senza fiato. Lo osservò bene e solo dopo un pò si accorse che c'era qualcosa di strano.
«Chris, ma che hai fatto ai capelli?» gli chiese con gli occhi sbarrati. Aveva entrambi i lati della testa rasati e l'ultima volta che l'aveva visto, cioè la sera prima, non li aveva così.
«Niente, Jane si è fatta prendere un pò la mano e... non so nemmeno se mi piacciono o no»
Ricky lo guardò per qualche secondo, poi fece spallucce.
«Ti stanno bene» sussurrò allontanandosi dalla porta. Chris si morse il labbro inferiore per costringersi a non sorridere come un ebete, poi lo seguì in casa.
«I tuoi non ci sono?»
«Papà è a lavoro e mamma è nel suo ufficio, lavora anche lei» disse Ricky salendo le scale. Chris gli corse dietro e lo afferrò per i fianchi. Ricky si fermò di colpo e nonostante avesse paura di essere visto, lo lasciò fare. Aveva una voglia matta di sentirselo addosso.
«Andiamo in camera tua?» gli sussurrò Chris all'orecchio. Ricky sospirò rilassandosi fra le sue braccia, ma dovette allontanarlo.
«Sì, ci andiamo, ma promettimi che farai il bravo»
«Questo dipende da te»
Ricky scosse la testa e sorrise riprendendo a salire le scale. Una volta arrivati in camera, Ricky si sdraiò sul letto e si meravigliò quando si accorse che Chris non gli era ancora saltato addosso. Di solito lo faceva.
«Perchè te ne stai vicino alla porta?»
«Mi hai detto di fare il bravo e se resto qui credo di potercela fare»
Ricky scoppiò a ridere e il viso di Chris si illuminò. Dopo una dura giornata, sentire il suono di quella dolce risata era la cosa più bella che gli potesse capitare. Infatti cercava sempre di strappargli un sorriso perchè, quel sorriso, gli dava una carica incredibile. Era bello da morire quando rideva, i suoi occhi brillavano. 
Ricky corse verso di lui e gli prese le mani.
«E se ti dico di fare solo un pò il bravo, ci vieni sul letto con me?»
Chris fece finta di pensarci e Ricky subito gli diede uno schiaffo sul braccio.
«Che cazzo, ci pensi pure?» gli chiese con un'espressione incredula. A quel punto fu Chris a ridere e l'altro tornò a letto ignorandolo del tutto.
«Non solo lo inviti a casa tua, ti tratta pure male e rifiuta di fare quello che gli chiedi» borbottò Ricky sperando che Chris capisse bene quello che stava dicendo. E sorrise impercettibilmente quando lo vide avvicinarsi al letto. Non si aspettava però che gli sarebbe saltato addosso e avrebbe cominciato a riempirlo di baci.
«Smettila... sono arrabbiato» lo respinse Ricky, ma Chris prese solo a ridere di nuovo e ricominciò a dargli tanti amabili e dolci baci sul viso. Ovunque le sue labbra riuscissero ad arrivare, lì posavano un bacio che per Ricky valeva molto più di qualunque altra cosa. Lo lasciò fare e si crogiolò in quel tepore che il corpo di Chris emanava. Si baciarono a lungo e Ricky si divertì spesso a morderlo fino a fargli male. Fra un bacio, un morso e una carezza Chris si eccitò e non cercò nemmeno di nasconderlo. Ricky, nonostante non si fosse mai trovato in situazioni come quella, continuò a stuzzicarlo in ogni modo possibile. In tutte quelle sere passate con lui aveva imparato esattamente quali fossero i suoi punti deboli e come gli piacesse essere toccato. Non oppose alcuna resistenza quando Chris, già sopra di lui da un bel pò, continuando a baciarlo appassionatamente e senza sosta, gli afferrò entrambe le gambe e se le portò intorno ai fianchi. Emise un gemito di puro godimento quando sentì l'erezione dell'altro premere sulla sua che stava crescendo irrimediabilmente. Nello stesso momento le mani di Chris finirono sotto la sua maglietta. Gli strinse i fianchi e gli accarezzò la pelle calda lasciandolo senza fiato. Le loro labbra si separarono dopo qualche minuto e Chris colse l'occasione di togliergli la maglietta, lentamente, senza alcuna fretta. Entrambi erano consapevoli che non si sarebbero spinti troppo oltre, ma quei momenti erano importanti per entrambi. Il più giovane, soprattutto, coglieva l'occasione di imparare a conoscere il suo stesso corpo e quello dell'altro, si immergeva completamente nel suo odore, perdeva la cognizione del tempo abbandonandosi nelle sue mani, sotto le sue labbra che ormai avevano iniziato ad esplorargli il collo, il petto e la pancia pallidi come sempre ma che acquistavano un pò di colore ovunque venissero lambiti. Ricky cercava di non perdersi nemmeno un'istante di quella visione paradisiaca, ma i suoi occhi si socchiudevano mentre dalle sue labbra sfuggivano dei sospiri di piacere che non riusciva a controllare.
Gli strinse i capelli in una mano e con l'altra si aggrappò alle coperte ormai spiegazzate. Non aveva alcuna forza in quel momento, i suoi muscoli si rilassarono del tutto, del tutto avvolti nel godimento. Fu in quegli istanti che ogni sua barriera cadde del tutto. Aveva sempre pensato che non avrebbe mai lasciato nessuno toccare il suo corpo, che nessuno mai l'avrebbe visto nudo o sentito gemere. Ma con Chris, su quel letto, non voleva altro che sentire il corpo dell'altro sopra il suo, sentire quanto fosse eccitato, quanto anche lui desiderasse baciarlo, toccarlo, averlo.
Chris ritornò sulle sue labbra e le baciò ancora. Con una mano gli toccava una gamba e poi la fece scivolare sul sedere, l'altra invece si intrufolò fra i capelli lunghi. Ricky invece gli avvolse il collo con le braccia per tenerlo più vicino possibile. Lo allontanò solo nel momento in cui venne distratto da un paio di voci provenienti dall'esterno. Ritornare alla realtà fu come un pugno nello stomaco, ma capì all'istante chi era a fare tutto quel baccano. Tutte le belle sensazione che aveva provato fino ad un istante prima, vennero sostituite da paura e un pizzico di vergogna.
«Che c'è?» gli chiese Chris accigliandosi. Ricky gli mimò di stare zitto e ascoltò ancora un pò quelle voci. Fortunatamente provenivano dal giardino e non dal corridoio.
«Cazzo» sussurrò a denti stretti. Chris capì e si allontanò lasciandogli lo spazio necessario per alzarsi. Ricky corse verso la finestra e l'aprì. Nel vialetto vide Angelo e Ryan che ridevano e chiacchieravano a voce alta.
«Che diavolo ci fate qui?»
I ragazzi alzarono lo sguardo attirati dalla voce di Ricky.
«Facci entrare» disse Angelo. Ricky annuì solamente richiudendo la finestra.
«Chi è?» chiese Chris incuriosito.
«Angelo e Ryan» disse recuperando la maglia dal pavimento. La indossò in fretta e corse verso la porta, poi si fermò.
«Chris, io... cioè Ryan non...» 
Sbuffò non trovando le parole per dirgli che non aveva ancora avuto il coraggio di raccontare tutto ai suoi amici.
«Ti reggerò il gioco, cosa sanno?» gli chiese Chris notando quanto fosse in difficoltà. In effetti non gli piaceva molto l'idea che non avesse parlato di lui ai suoi amici, ma non voleva creare problemi.
«Ryan sa che siamo amici, Angelo invece sa un pò tutto» disse timidamente. Chris annuì. Non riusciva a spiegarsi perchè quel ragazzo, Angelo, potesse sapere tutto e gli altri no.
«Grazie, Chris» disse aprendo la porta.
«Figurati» rispose con un sospiro silenzioso che Ricky non notò nemmeno.  Entrambi arrivarono al piano inferiore. Ricky gli disse di andarsi ad accomodare nel salone e Chris fece come gli era stato detto. Quando aprì la porta, i due ragazzi entrarono subito facendo un sacco di baccano.
«Ma siete ubriachi?» gli chiese Ricky. Angelo gli disse subito di no, ma spiegò che stavano ridendo perchè mentre andavano verso casa sua, Ryan era inciampato e se l'era trascinato dietro. Ryan continuò a ridere piegandosi in due, mentre Ricky guardò con serietà Angelo che assottigliò le palpebre capendo che c'era qualcosa che non andava.
«Rick, chi c'è in camera tua?» gli chiese schiettamente facendolo prima sbiancare e poi arrossire.
«C-Chris... ma non è in camera mia, è di là nel salone»
Angelo sbarrò gli occhi. Non gli aveva detto che sarebbero restati a casa quella sera. Ripresosi dallo stupore, sorrise entusiasta. 
«Fammelo conoscere, no?» disse avviandosi nell'altra stanza. Ricky lo seguì subito dopo e così fece anche Ryan, che tentò in ogni modo di smettere di pensare alla caduta e quindi anche di ridere. Appena si ritrovarono nell'enorme salone, gli occhi di tutti si puntarono su Chris che era seduto sul divano, con le braccia incrociate e gli occhi ormai fissi su di loro avendo notato la loro presenza. Ricky prese un grande respiro e respinse l'imbarazzo che, inspiegabilmente, provava in quel momento.
«Ehm, Chris, loro sono Angelo e Ryan» disse. Lui, con disinvoltura, si alzò e li fronteggiò con un sorriso appena accennato ma amichevole. Si strinsero la mano e Chris potè sentire una specie di tensione mentre stringeva quella di Angelo. Sentiva il suo sguardo addosso e non capiva se fosse semplicemente curioso o se, per qualche motivo a lui sconosciuto, lo stesse guardando male. Ma visto che con Ryan non aveva questa strana sensazione, pensò che fosse tutto collegabile al fatto che Angelo sapesse del suo rapporto con Ricky.
«Rick, ho una fame che non ti vedo» disse Ryan lasciandosi cadere sul divano e rompendo il gelo che si era creato.
«Mangia» rispose il ragazzo. 
«Ho voglia di... mmh... pancakes» esultò mentre pronunciava l'ultima parola.
«Non ci pensare nemmeno, non sfrutterò una povera cameriera a quest'ora solo perchè tu hai fame»
Ryan si finse offeso, ma gli ritornò subito il sorriso quando sentì la voce di Chris che gli diceva che glieli avrebbe preparati lui.
«Davvero?» chiese Ryan incredulo e Chris annuì.
«Tu sei sulla strada giusta per diventare il mio migliore amico» disse subito dopo alzandosi dal divano e trascinando Chris in cucina. Angelo, appena li vide scomparire, si voltò verso Ricky con un'espressione che l'altro non riuscì a capire.
«Allora? Co-come ti sembra?».
«Ehm... non lo so, è... strano» rispose Angelo camminando lentamente verso il divano sul quale si sedette.
«In senso positivo o negativo?» chiese ancora Ricky mettendosi accanto a lui. Si curò di parlare a voce bassa, non voleva che Chris sentisse quei discorsi.
«Non so, l'avevo immaginato diverso»
Ricky lo guardò perplesso, ma prima che potesse fargli qualsiasi domanda Angelo riprese a parlare.
«Vi abbiamo interrotti, vero?» chiese Angelo senza rivolgergli lo sguardo. 
«Che intendi?» rispose l'altro flebilmente. Sentiva già il solito calore alle guance e voleva tentare di respingerlo o nasconderlo, ma fu impossibile.
«Quando ti sei affacciato alla finestra avevi i capelli in disordine e non avevi la maglia» 
Ricky, dopo un primo momento di imbarazzo totale, mise da parte quel sentimento e lo osservò con attenzione. Aveva lo sguardo basso, si stava torturando le unghie e il suo petto si gonfiava a ritmi irregolari. 
«Angelo, che c'è?» chiese preoccupato. Il ragazzo alzò le spalle e scosse la testa per fargli capire che non c'era niente che non andasse come doveva andare.
«Odio quando fai così, non fare così» disse Ricky infastidito.
«Così come?»
«Così, mi rispondi a gesti... per tua informazione, ci siamo evoluti, non siamo più scimmie, abbiamo sviluppato un linguaggio verbale che tu puoi usare come tutti gli altri»
Angelo lo guardò malissimo.
«Che vuoi che ti dica?» gli chiese subito dopo con un tono duro, quasi arrabbiato.
«Quello che pensi»
«Quello che penso?» sussurrò il ragazzo girandosi completamente verso di lui, lentamente.
«Penso che devi stare attento, che non mi sembra ancora arrivato il momento di starvene da soli su un letto, che lui è più grande di te e che quindi non puoi mai sapere dove il suo cervello possa arrivare, e che... niente, sta solo molto attento, sul serio»
Ricky si strinse nelle spalle, offeso e per niente rassicurato dalle parole dell'amico.
«Perchè parli così? Non lo conosci nemmeno» disse ingenuamente.
«Se credi che io non lo conosca allora non chiedermi nemmeno cosa penso di lui... la mia risposta per il momento è quella, accontentati»
Ricky si alzò.
« Ti do un consiglio, se la tua vita va male non venire a rovinare la mia» disse guardandolo dritto negli occhi. L'altro ragazzo sostenne il suo sguardo finchè non lo vide allontanarsi e raggiungere gli altri in cucina. 

Dopo aver mangiato i buonissimi pancakes preparati da Chris e essersi impegnati a ripulire la cucina, ritornarono nel salone, vicino ad Angelo che era ancora seduto a guardare la tv. Era stato in disparte tutto il tempo. A Ricky la rabbia era passata nel momento in cui aveva visto Chris parlare amabilmente con Ryan, vedere che almeno loro due sembravano andare d'accordo l'aveva rianimato. Ma in un angolino del suo cuore provava un forte senso di malinconia e tristezza. Non capiva il comportamento di Angelo. Un minuto prima era felice per lui e quello dopo tentava di tutelarlo, tirarlo sotto la sua ala protettiva. Gli piaceva che si preoccupasse per lui, ma non poteva permettere che qualcuno si comportasse così nei suoi confronti.
«Ryan, ce ne andiamo?» chiese Angelo alzandosi di scatto. 
«Ma siamo appena arrivati» rispose l'altro in un lamento. Si stava davvero divertendo a parlare con Chris, gli stava già simpatico nonostante lo conoscesse da meno di un'ora.
«Fa quello che vuoi, io torno a casa» disse atono avviandosi verso la porta. Se ne andò senza nemmeno salutare e Ricky strinse i denti.
«Ma che diavolo gli prende?» disse Ryan alzandosi e recuperando il suo cellulare.
«Vado a scoprirlo... buonanotte, ciao Chris» disse prima scompigliando i capelli di Ricky e poi rivolgendo un sorriso all'altro ragazzo che gli rispose educatamente, ricambiando il sorriso. Rimasti di nuovo soli, Chris prese a fissare Ricky che se ne stava in silenzio con gli occhi puntati verso il basso.
«Era simpatico» disse poi attirando finalmente la sua attenzione.
«Sì, Ryan diventa antipatico solo quando si parla di scroccargli le sigarette»
Chris sorrise a quell'affermazione, ma poi scosse la testa.
«Io non parlavo di Ryan, ma di Angelo... cazzo, non ha detto una parola, mi ha guardato tutto il tempo»
Ricky rimase interdetto, poi scosse le spalle.
«Mi dispiace, lui non è così, non so cosa gli sia successo»
Chris sorrise addolcito dal tono dispiaciuto che aveva usato l'altro.
«Va bene così, avremo tempo per conoscerci»
Ricky annuì e chiese a Chris se volesse tornare di sopra, ma l'altro rifiutò.
«Perchè no?» si lamentò.
«Perchè stavolta non verrà nessuno a disturbarci e, anche se lo desidero più di quanto immagini, non voglio che accada nulla... non adesso»
Gli occhi di Ricky si inumidirono dall'emozione. Non sapeva se fosse per la dolcezza di quello che aveva detto o perchè in realtà avrebbe preferito ricominciare dal momento esatto in cui erano stati interrotti. E magari andare oltre, molto oltre. 
Scivolò sul divano proprio accanto a lui, vicino, tanto che Chris si guardò intorno per assicurarsi che nessuno li stesse guardando. Stando così vicini, nessun sano di mente avrebbe detto che quella posizione non era equivoca.
«E se io volessi far accadere qualcosa?» gli sussurrò Ricky all'orecchio. Non sapeva da dove provenisse tutta quella sicurezza e spavalderia, ma gli piaceva un sacco stuzzicarlo.
«Ricky» mormorò l'altro come a rimproverarlo, a dirgli di non continuare con quel giochetto.
«Mmh, prima non ti lamentavi così, anzi, quelli di prima sul mio letto non erano lamenti» disse Ricky con un'aria innocente, ma entrambi sapevano quanto fosse falsa. Allora Chris sospirò con un'espressione seria.
«Cosa vuoi? Che ti scopi adesso, su questo divano?» gli chiese fermamente, fissando gli occhi nei suoi. Il ragazzo sostenne il suo sguardo, ma non seppe come rispondere e deglutì a vuoto.
«Non mi ci vuole molto, anzi, sono già pronto» aggiunse. Ricky non riuscì a controllare il movimento dei suoi occhi che quasi involontariamente corsero verso il basso, come se volessero controllare se quello che l'altro stava dicendo fosse vero. E lo era, ma nonostante tutto continuava a mantenere la lucidità per non cadere in tentazione.
«Christopher» disse senza un tono preciso, lasciando scorrere delicatamente le dita lungo il suo petto.
«Richard» 
Il ragazzo, udendo il suo nome pronunciato con quella voce profonda e eccitante, sentì un brivido scuoterlo in tutto il corpo. Provò una sensazione inspiegabile al bassoventre che gli tolse il fiato per pochi instanti. Le sue labbra si schiusero ed un sottilissimo gemito si fece spazio fra di loro arrivando dritto alle orecchie di Chris. Il ragazzo lo osservò in quel processo lento e sensuale. Quei due occhi azzurri che non riuscivano a celare l'esorbitante eccitazione che cresceva, gli fecero pulsare il cuore violentemente. Riusciva a sentire il sangue fluire abbondantemente in ogni vena del suo corpo e svuotarsi quasi completamente nella sua erezione, fino a fargli provare dolore. Ricky gli si avvicinò un pò di più arrivando a qualche centimetro dal suo viso. La mano che poco prima gli aveva sfiorato il petto salì sulla sua spalla, aggrappandosi ad essa si diede la spinta giusta per imprigionarlo sotto di lui. Quando si appoggiò su Chris, riuscì a percepire quanto ardente fosse il desiderio dell'altro di possederlo. In quel contatto Chris venne travolto da un delizioso brivido che lo portò inevitabilmente a gemere sommessamente. Si morse infatti le labbra per non permettere a quel suono di espandersi troppo. Ricky gli guardò gli occhi a lungo senza interruzioni, senza parlargli, immobile, irrimediabilmente incastrato in quelle iridi meravigliose. I loro respiri così vicini si mescolavano ed entrambi in quel momento desiderarono di poter sentire quel dolce suono prodotto dai loro corpi per l'eternità.
Ricky strinse le braccia intorno al suo collo costringendolo a stargli ancora più vicino. I loro nasi erano divisi da un sottile velo d'aria mentre i loro sguardi continuarono a fondersi gli uni negli altri.
«Quando faremo l'amore, voglio farlo così» sussurrò Ricky con la voce spezzata. Averlo tanto vicino gli mozzava il fiato.
«Vuoi fare l'amore con me?» gli chiese l'altro stringendo meglio la presa sui suoi fianchi. Ricky annuì lentamente strofinando con delicatezza il suo naso con quello dell'altro, dove poi lasciò un bacio leggero.
«La tua prima volta» bisbigliò Chris. Rispondendogli, Ricky fece lo stesso.
«La mia prima volta»
Si sorrisero. Un sorriso moderato, dolce, che non coinvolse solo le loro labbra, ma ogni parte dei loro visi. Una mano di Chris corse verso la guancia lievemente arrossata e calda dell'altro ragazzo e la sfiorò. Per Ricky fu un contatto sublime, che gli fece socchiudere gli occhi ormai lucidi e bramosi di poter osservare ogni parte del suo corpo bollente, ogni frammento della sua anima. Si strinsero ancora di più e le loro labbra finalmente si toccarono, ma fu un bacio breve, che si interruppe nel momento in cui stava per essere approfondito.
«Richard, dove sei?» chiese una voce femminile che fece sobbalzare i due ragazzi. Ricky spaventato, ritornò velocemente sul suo lato del divano e tentando di ricomporsi.
«Nel salone, mamma» disse riutilizzando normalmente le corde vocali. I suoi occhi però erano fissi sull'erezione abbondantemente presente nei pantaloni di Chris, che però sembrava tranquillo o forse concentrato a mandarla via.
Nel frattempo si erano sentiti dei passi pesanti sulle scale e subito dopo la donna fece la sua comparsa nella visuale dei ragazzi.
«Buonasera» disse con un tono freddo, osservando Chris.
«Buonasera» rispose il ragazzo, gentilmente. Ricky deglutì pesantemente. Si vergognava, aveva paura, stava per esplodere. Rivolse uno sguardo nervoso a Chris e poi si alzò, doveva scappare da quell'atmosfera tesa.
«Mamma, ti vanno dei pancakes? Li ha preparati Chris, erano buonis-»
«Hai mangiato dei pancakes dopo cena?» chiese la madre zittendolo. Ricky boccheggiò qualche secondo, poi annuì.
«Quante volte ti ho detto di non mangiare fuori pasto? Non ti fa bene, metterai su peso» 
Alle orecchie di Chris, che era rimasto seduto ad osservare la scena, quello sembrò come un insulto. Non capì perchè glielo stesse dicendo. Ricky non aveva assolutamente bisogno di stare attento col cibo. Ovviamente non doveva esagerare, ma poteva permettersi di mangiare un paio di pancakes dopo cena.
«Scusa, mamma»
La donna sospirò.
«Tuo padre tornerà tardi stasera e io sono molto stanca, vorrei andare a dormire... e vorrei che lo facessi anche tu, Richard» disse con un sorrisetto alla fine, ma era chiaro che quello non fosse un consiglio, bensì un ordine.
«Mamma, tu vai, noi restiamo qui ancora un pò»
«Richard, ubbidisci... e poi, il tuo amico dovrà pur tornare a casa, no?» 
«Va bene» rispose Ricky evidentemente infastidito. Chris si alzò dal divano per non creare più imbarazzo di quanto già non ce ne fosse.
«Allora... io vado, buonanotte» disse principalmente al ragazzo, ma poi rivolse lo sguardo anche alla donna che lo guardava dalla testa ai piedi. Non si sarebbe comportato male, non l'avrebbe fatto nonostante lei lo stesse palesemente cacciando.
«Buonanotte, Chris» gli disse Ricky con uno sguardo dispiaciuto. Mentre Ricky saliva al piano superiore, sua madre accompagnò l'altro ragazzo alla porta.
«Che cosa vuoi da mio figlio?» chiese appena vide Ricky scomparire oltre le scale. Chris si accigliò.
«Nulla» 
«Ah, sì? E come me lo spieghi quello che stavate facendo prima sul divano?» chiese indispettita e arrabbiata, ma non alzò la voce per non permettere a Ricky di sentire il loro discorso. Chris perse un battito. Li aveva visti?
«Ci stavamo divertendo, finchè non è arrivata lei» gli rispose con compostezza. Non si sarebbe lasciato innervosire. 
La donna sembrò offendersi e scosse la testa. I suoi occhi sembravano andare in fiamme.
«Non mettere mai più le tue sporche mani su Richard, non ritornare in questa casa, non importunare mio figlio in alcun modo, stagli lontano... la gente come te non dovrebbe nemmeno guardarle le persone come noi» disse sprezzante. Chris capì che si era documentata su chi fosse e da dove venisse. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato presto e non si stupì per niente di quella reazione.
«Signora Olson, io non importuno suo figlio e, con tutto il rispetto, a Ricky piace avere le mie sporche mani addosso»
«Non ti azzardare a dir-»
«Io mi azzardo, invece» disse fermo.
«E sa cosa? Le consiglio di ascoltarlo di più, suo figlio... buonanotte» concluse voltandole le spalle e andando via. La donna imprecò a bassa voce sbattendo la porta. Passato lo stupore del primo momento per aver visto suo figlio baciare un ragazzo, era subito sopraggiunta la rabbia. Suo figlio non sarebbe stato lo zimbello di tutti e, soprattutto, non avrebbe fatto coppia con un morto di fame.






Saleveeee *saluta con la manina*
Che diavolo è successo fra Trevor e Chris? Angelo è fuori di testa? La madre di Ricky vincerà il premio per la donna più simpatica del pianeta? Se avete delle risposte, ditemele lol Okay, seriamente, spero davvero tanto che vi sia piaciuto leggere questo capitolo tanto atteso(?). Non mi dilungo perchè sono noiosa, quindi scappo sperando di ricevere qualche recensione *prega in ginocchio*.
P.S. VI AMO TUTTI :3 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13-Love will kill us all ***


Capitolo 13- Love will kill us all
Quella stessa sera Chris rientrò in casa e si diresse verso il bagno dove però trovò Jane con addosso solo della biancheria intima molto sexy. Stava fumando seduta sul bordo della vasca. Aveva una gamba accavallata sull'altra, i capelli le scendevano sulle spalle e sulla schiena in grandi onde, indossava delle scarpe nere con un tacco vertiginoso ma non al punto di diventare volgare, una sottile collana di perle le ciondolava dal collo e i suoi occhi risplendevano grazie al trucco.
«Adrian ha bisogno di qualche minuto» disse passandogli la sigaretta che lui prese senza farselo ripetere. Tenendola stretta fra le labbra si tolse i pantaloni rimanendo solo in boxer.
«In che senso?» le chiese infastidito. Quell'Adrian era un uomo di quasi sessant'anni che ormai aveva una relazione con la ragazza. Lo mandava fuori di testa, non riusciva a capire perchè mai una splendida ragazza come Jane dovesse buttare gli anni più belli della sua vita per un vecchio a cui piaceva solo portarsela a letto e alle feste di prestigio.   
«Non lo so, mi fa aspettare sempre fuori e quando mi chiama lo trovo già completamente nudo e... pronto» disse riprendendosi la sigaretta.
«Pillola blu?» ipotizzò Chris togliendosi anche quell'ultimo indumento che lo copriva. Le pupille di Jane si dilatarono a quella visione. 
«Credo di sì» disse distrattamente. Era concentrata a guardarlo mentre metteva in ordine i vestiti sporchi. Tutto nudo.
«Ma non c'è proprio speranza che l'animale rientri in gabbia?» gli chiese poi alludendo ovviamente all'unione dei loro genitali. Chris scosse la tesa.
«Christopher, che ti prende?» gli domandò ancora accorgendosi del suo silenzio. Aveva il viso triste, serio, non aveva sorriso nemmeno mezza volta. Chris si bloccò di fronte a lei, immobile. La fissò con gli occhi più spenti che avesse mai avuto.
«Mi prende che stasera mi sono venute due erezioni una peggio dell'altra, e fidati l'animale vorrebbe tornare in gabbia, ma non lo farà e sai perchè? Perchè la vocina cogliona che c'è nella mia testa mi dice che non posso farlo entrare in nessuna gabbia se non in quella...»
Se avesse potuto si sarebbe strappato la lingua per ciò che stava per dire.
«Può entrare solo nella gabbia di Ricky?»
Chris sospirò arrabbiato. Respingeva il motivo di quella rabbia, ma era consapevole di quello che gli stava succedendo.
«Christopher, ti sei innamorato?» gli chiese Jane gettando la sigaretta nel water. Quell'argomento le interessava più di una sigaretta a cui restava mezzo centimetro di tabacco. 
Chris si sentì nudo nell'animo e non riuscì a risponderle nonostante avesse bene in mente quale fosse la risposta. Guardò Jane per un lunghissimo minuto. Lei fece lo stesso cercando di scavare dentro di lui il più possibile. Sembrava angosciato per qualcosa, turbato. I suoi occhi e il suo viso erano una miscela di emozioni troppo forti per essere ignorate.
«Chris, parlami, che cosa è successo?»
Il ragazzo spostò lo sguardo, giusto il tempo di decidere cosa fare, poi andò a sedersi accanto a lei. 
«Sua madre sa tutto, di noi due, di me, sa tutto... tutto»
«Di te?»
Chris annuì e le raccontò in breve cosa era successo poco prima a casa di Ricky. Lei lo ascoltò con attenzione, ma nonostante ciò non seppe cosa dirgli. Restarono in un silenzio tombale per qualche secondo, poi Chris prese un grande respiro.
«Non posso permettermelo» disse poi liberandosi i polmoni rumorosamente. Jane lo guardò interrogativa.
«Ricky... non posso permettermelo» sospirò ancora. Si stava facendo del male dicendo quelle parole, ma era quella la pura verità.
«Christopher, parli sul serio? Vuoi lasciar perdere tutto?»
Il ragazzo annuì senza guardarla. Provava un certo senso di vergogna che prima d'ora non aveva mai sentito. Forse perchè era la prima volta che si paragonava a qualcuno seriamente migliore di lui. La sua mente tornò a quando frequentava ancora la scuola. Parecchie volte si era trovato in situazioni scomode, ma col passare del tempo si era reso conto che quelle persone che lo insultavano non erano certo migliori di lui. Ma Ricky era migliore in tutto e sua madre aveva ragione: Richard Olson meritava molto più di un poveraccio di nome Christopher Cerulli.
«Wow... te lo lasci scappare così e la dai vinta a sua madre?»
Chris deglutì pesantemente, gli occhi gli si inumidirono e il respiro decise di non seguire più un ritmo costante. Non voleva piangere, non davanti a Jane.
«Chris, non farlo» lo pregò la ragazza.
«E che dovrei fare? Io non posso offrirgli niente, in una vita intera non riuscirei a dargli nemmeno la metà di quello che ha avuto lui negli ultimi sedici anni, quindi è meglio fermarsi ora»
Jane lo guardò con uno sguardo desolato, triste.
«E come avresti intenzione di dirglielo?»
Il ragazzo sospirò riflettendo a lungo.
«Non lo so, probabilmente gli dirò che l'ho preso in giro o che in realtà a me piace qualcun altro, mi dirà che sono uno stronzo, piangerà, mi darà un paio di schiaffi, mi odierà, ci starà male, ma fra qualche mese mi avrà dimenticato e si sarà messo col suo amico... come diavolo si chiamava? Angelo?»
«Ti ha fatto conoscere i suoi amici? E comunque non puoi fargli questo, ci starete troppo male entrambi»
Chris si alzò incapace di restarsene seduto un altro secondo. Aveva i nervi testi e al solo pensiero di lasciare Ricky gli venivano delle fitte dolorose allo stomaco.
«Ne ho conosciuti due, Ryan era simpatico, ma l'altro... bho, mi stava già sul cazzo, mi guardava troppo e credo che abbia detto qualcosa a Ricky che l'ha fatto arrabbiare» 
Jane sorrise dolcemente mordendosi il labbro inferiore.
«Ma lo vedi che lo ami? Ti fa incazzare che qualcuno l'abbia fatto arrabbiare... come puoi pensare di lasciarlo?»
«Io non lo amo... io... » sussurrò Chris senza sapere come uscirsene da quel groviglio di pensieri.
«Sai anche tu che è così» disse Jane puntandogli il dito contro. Un istante dopo, la voce rauca di Adrian chiamò il suo nome e lei scattò in piedi.
«Ora devo andare, ma sappi che non finisce qui»
Chris annuì distrattamente e la lasciò andare. Rimase fermo per qualche secondo a riflettere su cosa fare, ma poi decise di liberarsi di quei pensieri per un pò e si mise finalmente sotto il getto d'acqua calda che gli lavò via ogni tensione. Si trattenne a lungo, ma dopo mezz'ora ne ebbe abbastanza anche di quello, allora si decise ad uscire dalla doccia. Si infilò un paio di boxer puliti, ormai un lato del mobiletto in bagno era suo, anche se a lui non serviva poi così tanto spazio. C'erano i suoi boxer, della schiuma da barba, il suo gel per capelli e i suoi trucchi. 
Si struccò velocemente e subito dopo si accorse di non essersi procurato dei vestiti prima di lavarsi. Sbuffò pesantemente e decise che avrebbe dato un'occhiata nell'asciugatrice. Ci trovò solo una felpa completamente nera con cappuccio. La strinse fre le mani e l'annusò. Profumava di fresco e pulito, non come prima che era impregnata dell'odore di casa sua. Provava dei sentimenti contrastanti, delle emozioni forti ogni volta che prendeva in mano quella felpa che era appartenuta a suo fratello per mesi prima che morisse. I ricordi erano nitidi, gli si palesavano davanti agli occhi come se fosse ritornato al passato. Non aveva idea di quante volte gli aveva fatto indossare quella felpa, ma ricordava quando lo faceva e ricordava la felicità sul viso di Jonathan ogni singola volta. Quella felpa gli piaceva tanto e proprio per questo motivo Chris aveva deciso, prima di lasciare casa sua definitivamente, di portarsela via, come ricordo permanente della sua famiglia, della persona che l'aveva indossata per tanto tempo. 
La indossò e si sentì di nuovo a casa. I rimorsi e il dolore lo divoravano. 
Strinse gli occhi così forte da farsi male, non voleva piangere, sarebbe stato inutile. Sospirò e si tirò su il cappuccio andando silenziosamente in cucina. Sentiva Jane e Adrian spassarsela e gli venne da ridere. La ragazza gli aveva raccontato delle sue esperienze sessuali con Adrian e, stando ai suoi racconti, ogni orgasmo era puramente e perfettamente recitato. Lei diceva che non era poi così male, ma non riusciva proprio a farla venire. Aveva anche ipotizzato che probabilmente Adrian era leggermente egoista a letto.
Aprì il frigorifero e, felice di averlo trovato, afferrò il suo succo di frutta preferito portandoselo nel piccolo salone. Si sdraiò sul divano e accese la tv, ma tenne il volume basso e non prestò molta attenzione al programma che mandavano in onda. Bevve un pò di succo, poi cercò di addormentarsi, ma dopo vari tentativi falliti decise di alzarsi e prendere una boccata d'aria. Visto che indossava solo un paio di boxer e quella felpa, aprì solo la finestra. Respirò piano l'aria fresca e poi si guardò intorno. Quando riuscì a trovare una sigaretta, se l'accese e la fumò nel silenzio totale, seduto sul davanzale. Durante quei pochi minuti cercò di rimettere in ordine i suoi pensieri, ma si procurò solo un forte mal di testa e un senso di stanchezza. Era da parecchio tempo che si sentiva come strappato dal suo mondo, da quel mondo che in realtà odiava ma che era comunque il posto in cui era cresciuto. E in quel momento gli ritornarono in mente i suoi vecchi amici, quelli che non vedeva più da mesi, forse un anno. Un pò gli mancava quella vita che, grazie alla loro presenza, diventava leggera e spensierata. Gli era venuta una voglia matta di rivederli, di sentire di nuovo quella leggerezza che sentiva prima, prima di subire quella metamorfosi. Odiava dover fare l'uomo a diciannove anni. Voleva essere ancora un ragazzino stupido, con le tette come unica passione e come problema i troppi brufoli. Invece no, ancora prima di compiere quei maledettissimi diciannove anni si era messo in cerca di un lavoro, e non perchè volesse avere una sua indipendeza, ma perchè altrimenti la sua famiglia sarebbe finita sotto un ponte e sarebbero tutti morti di fame. E aveva sacrificato i migliori anni della sua vita per cosa? Per finire senza i suoi fratelli, senza i suoi amici, e probabilmente senza la persona che amava.
Sbuffò pesantemete, indignato da tutto. E cominciò ad innervosirsi e arrabbiarsi. Che diavolo doveva fare con la sua famiglia? E con Ricky? 
Si allontanò dalla finestra e girovagò per il salone a lungo. Non riusciva a togliersi dalla testa la conversazione avuta con la madre di Ricky. Quella donna, con quelle poche parole, gli aveva aperto un mondo. In quel momento si era dimostrato forte, non poteva abbassare la guardia, ma probabilmente non era davvero alla loro altezza. Forse avrebbe dovuto dimenticarsi di lui per il bene di tutti. Eppure non voleva, non aveva voglia di smettere di vederlo. Perchè avrebbe dovuto? Stavano così bene insieme.
Si passò una mano fra i capelli, poi andò nel corridoio, si avvicinò alla piccola libreria in legno dove c'erano diversi DVD. Cercò qualche film da vedere per ammazzare il tempo, ma ad un certo punto i suoi occhi caddero sul suo raccoglitore, quello che conteneva tutti i suoi disegni. Così, lasciò perdere l'idea di vedere un film e ritornò in cucina col racoglietore. Lo aprì e guardò tutti i suoi disegni, uno dopo l'altro assorbendo tutte le diverse emozioni che quei tratti a matita gli trasmettevano. Si ritrovò a sorridere. Immergersi di nuovo nella sua prima e vera passione gli fece battere forte il cuore, e la voglia di ritornare alla "vecchia vita" gli si palesò con prepotenza. Ma ormai aveva smesso di sognare, non ce l'avrebbe mai fatta ad essere quello che voleva. Si maledì per non essere un approfittatore. Ricky, dopo la morte di Jonathan, gli aveva proposto di parlare con Mike per fargli riavere il lavoro dopo quelle lunghe settimane di completa assenza, ma Chris aveva rifiutato categoricamente. Era abituato a cavarsela da solo e così aveva fatto, nonostate quella decisione gli avesse mandato in frantumi il suo più grande sogno.
Lasciò cadere un foglio sul tavolo e si guardò le mani. Lavorare per Michael gliele aveva rese uno schifo totale. In così poco tempo le unghie gli si erano irrimediabilmente sporcate e non mancavano diversi tagli o anche lividi su dita e sui palmi. Se non fosse stato per la paga alquanto decorosa, non avrebbe mai più messo piede in un'officina. Stava ancora imparando ma, viste le sue necessità, si era dato una mossa e aveva appreso quanto più possibile in un tempo limitato.
Ritornò ai suoi disegni e sfogliando, pagina dopo pagina, si ritrovò davanti al disegno di Ricky incompleto. Ebbe un forte flashback: il volto di Ricky gli riapparve come se lo stesse guardando in quell'istante, come se ce l'avesse davanti agli occhi e fosse ritornato in quel preciso momento al parco; la luce dei lampioni, il vento fra i capelli e i rumori della città in sottofondo.
Sentì il bisogno impellente di portare a termine quel lavoro cominciato già troppo tempo fa. 
Si munì velocemente di tutto il materiale necessario e riprese a disegnare. Solo così riuscì a mettere a tacere tutti i pensieri e le mille preoccupazioni. Quando iniziò a disegnare si sentì un pò impacciato, come se fosse ancora alle prime armi, ma non ci volle molto per riprendere l'andatura e l'abilità di una volta.
Un'ora volò via veloce e, alla fine, gli sembrò impossibile che quel ritratto fosse finalmente finito. L'osservò con attenzione, ogni minimo dettaglio di quel viso angelico gli dava i brividi. 
Si ritrovò a sospirare socchiudendo gli occhi. Non poteva lasciarlo, non ce l'avrebbe mai fatta se solo un suo semplice disegno gli faceva quell'effetto.
Delle voci alle sue spalle lo distrassero, ma non si voltò minimamente. Non ci teneva a guardare Adrian che lasciava Jane con un bacio appena accennato dopo essersela scopata per un paio d'ore. Quando sentì la porta chiudersi, si voltò verso la ragazza che stava andando verso di lui. Era esattamente come prima, ma con i capelli più in disordine e il trucco leggermente sbavato.
«Pensavo ti fossi addormentato» disse lei aprendosi una lattina di birra presa dal frigorifero.
«Ho avuto da fare» disse lui mostrandole il ritratto con un sorriso fiero. La ragazza lo prese e rimase a bocca aperta. 
«È bellissimo, Chris» disse ritornando con lo sguardo su di lui. 
«Sul serio? Devo darlo a Ricky quindi deve essere perfetto»
La ragazza guardò ancora il foglio per un bel pò, poi lo ripose sul tavolo.
«Christopher, daglielo»
A Chris venne da ridere e Jane lo seguì subito dopo.
«Il disegno, coglione» esclamò dopo dandogli un buffetto sul braccio. Poi si fece seria.
«Ma anche qualcos'altro, così magari ti ralissi un pò» 
Chris fece finta di non aver sentito, anche se la ragazza tanto torto non aveva.
«Puoi cambiare le lenzuola? Voglio dormire» la pregò. Jane annuì e tornò nella camera da letto. Chris ne approfittò per mettere tutto in ordine, poi andò da Jane che aveva quasi finito. Si fermò sulla porta e si appoggiò allo stipite incrociando le braccia. La osservò bene con un sorriso poco innocente. La ragazza se ne accorse quasi subito.
«Che c'è?» gli chiese spostandosi i capelli in modo che cadessero tutti su un'unica spalla.
«Niente, pensavo che sei sexy»
Jane nascose il leggero imbarazzo dietro una risata. Le piaceva quando Chris, dal nulla, le faceva dei complimenti. Forse perchè lui era stato il primo ed unico ragazzo con cui si era aperta. Non era mai stata abituata a parlare della sua vita con nessuno, ma con Chris era diverso. Certo, ci aveva fatto sesso, ma questo non aveva mai impedito al loro rapporto di crescere e trasformarsi in amicizia. Da quando vivevano insieme, soprattutto, fra di loro si era instaurato un rapporto di complicità inaspettato. Entrambi si erano ricreduti su vari lati dei loro caratteri e la convivenza proseguiva nel migliore dei modi.
«Allora guardami bene perchè, quando lascerai questa casa, non ti capiterà più di vedere una donna che ti prepara il letto in reggiseno, mutandine e tacchi» 
Risero e poi Chris si mise a letto.
«Vado a fare una doccia e vengo anche io» disse la ragazza togliendosi le scarpe e lasciandole accanto all'armadio. Chris annuì e la guardò mentre lasciava la stanza. Si tolse la felpa e la piegò per bene, la poggiò sul comodino e si mise sotto le coperte. Sentiva il rumore dell'acqua provenire dal bagno e questo lo rilassò molto, tanto da farlo scivolare in un sonno profondo in pochi minuti.

Il mattino seguente si svegliò col suono della sveglia. La staccò subito per non svegiare Jane che dormiva beatamente accanto a lui, sdraiata su un lato. Quando si alzò la coprì bene e poi, come ogni mattina, andò in bagno, si lavò i denti e si sciacquò il viso, si diede una sistemata ai capelli, ritornò nella camera da letto, si vestì e poi fece colazione. Prima di uscire di casa per andare a lavoro, svegliò Jane che fece un pò di capricci, ma alla fine si alzò. Chris non andava mai via senza prenderla prima un pò in giro sui suoi capelli. Si svegliava sempre con dei capelli fin troppo gonfi e in disordine, ma le bastavano dieci minuti in bagno per riportarli al loro stato naturale.
Uscì di casa e si mise in cammino verso la fermata dell'autobus che, fortunatamente, lo portava dritto a destinazione. L'unica cosa brutta era dover passare fuori casa sua tutti i gironi e non poter entrare. Aveva sentito spesso le voci che provenivano dell'interno -soprattutto di sera- e sembravano felici anche senza di lui. Purtroppo doveva per forza passare di lì tutti i gironi, non c'era un'altra strada per arrivare a quella dannata fermata.
Arrivato all'officina Michael era già lì. Si salutarono e, come sempre, l'uomo gli diede la sua buona dose di compiti da svolgere. Ma era mercoledì, e di solito il mercoledì e il giovedì erano giorni più tranquilli. Passarono delle ore e quando arrivò l'ora di pranzo, Chris riuscì a fermarsi un attimo. Di solito mangiava insieme a Michael, ma quel giorno qualcosa andò storto. Mentre stavano per uscire, davanti agli occhi di Chris, in lontananza, comparve una figura fin troppo familiare.
«Cazzo» mormorò a denti stretti. 
«Che c'è?» gli chiese Michael accortosi di quella sua agitazione. Aveva imparato a conoscerlo. Era un ragazzo che si dedicava completamente a tutto quello che faceva, che non parlava molto ma sapeva essere parecchio espressivo.
«Niente» 
Quando si avvicinarono di più a quella figura, Chris non riuscì a fare finta di nulla.
«Che ci fai qui, Trevor?» gli chiese senza nemmeno fermarsi. Il ragazzo li seguì stando accanto a Chris.
«Visto che a casa non ci sei mai, sono venuto a cercarti»
«Non dovevi, i patti erano chiari, io ero stato chiaro»
Trevor sbuffò e Michael si sentì di troppo.
«Chris, oggi stai con lui, ci vediamo fra un'ora»
Chris avrebbe tanto voluto fermarlo, ma era il suo capo, ancora non si poteva permettere di parlargli in un certo modo nonostante il loro fosse un rapporto di quasi amicizia.
«Trevor, che diavolo vuoi?» gli chiese con un tono per niente gentile, quando Michael era ormai lontano da loro.
«Niente, cazzo, volevo solo vederti» 
Chris si sedette appena ne ebbe la possibilità. Gli era passata pure la fame.
«Allora? Come ti vanno le cose?» chiese Trevor dopo qualche istante di silenzio.
«Bene, ma vai al dunque, chiedimi quello che vuoi sapere davvero»
Trevor prese un grande respiro recuperando tutte le sue forze. Avva un groppo alla gola e lo stomaco in subuglio. Non capiva da cosa dipendesse davvero: dal nervosismo o dalla presenza di Chris?
«Te lo sei fatto?» gli chiese sgarbatamente, vomitando il disgusto e la gelosia senza vergognarsene minimamente.
«Non sono affari tuoi» 
Si guardarono negli occhi con aria di sfida, ma il primo a mollare fu proprio Trevor che si sentì ferito.
«Che cazzo, io e te eravamo migliori amici, perchè ti comporti così?» gli chiese arrabbiato. A Chris sfuggì un sorriso mentre i suoi occhi vagavano in giro. 
«Forse perchè tu sai solo parlare, dici una cosa che poi non hai il coraggio di dimostrare» disse con un tono inorridito, rabbioso, incredulo. Trevor, innervosito, si accese una sigaretta...


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Due mesi prima.
Il silenzio nella stanza era tombale, i loro respiri erano appena percettibili, i loro corpi erano fermi in quell'ultima posizione. Le mani di Trevor erano pesantemente appoggiate sul petto di Chris che aveva lo sguardo perso e un braccio che ciondolava dal letto suo cui era sdraiato . Non sentiva minimamente il peso di Trevor su di lui, era fin troppo assorto nei suoi pensieri. Avevano appena fatto sesso e l'unica cosa a cui riusciva a pensare era sua sorella chiusa in casa con sua madre e quello sconosciuto. Non poteva credere che Betsy l'avesse scelto a lui, che avesse deciso di stare in casa con una persona che non conosceva invece che restare al sicuro con suo fratello. Si era preso cura di lei da quando era nata, aveva provato in tutti i modi di non farle mai mancare nulla, le aveva voluto bene. Si era comportato come un padre e, perchè no, anche come una madre, ma lei aveva deciso di condannarlo per uno stupido errore. Non gli restava che sperare. Sapeva che sua sorella era una ragazzina intelligente e che magari, col tempo, avrebbe capito e sarebbe tornata da lui.
Trevor provò a chiamarlo più volte, ma solo alzando un pò la voce riuscì a richiamare la sua attenzione.
«Che c'è?» gli chiese Chris rivolgendogli uno sguardo distratto e stanco.
«Vuoi che ti accompagni?»
Chris ci mise un pò, ma poi capì. Si stava riferendo al fatto che presto sarebbe dovuto andare a casa sua a prendere le sue cose.
«Sì, forse è meglio»
Trevor annuì lentamente e si sdraiò accanto a lui. Cadde di nuovo il silenzio. I loro corpi nudi erano immobili, sembravano quasi non volersi muovere nemmeno per assecondare il normale movimento della respirazione.
«Ti amo» mormorò Trevor con un filo di voce. Aveva paura della reazione di Chris, ma sentiva di doverglielo dire, non poteva più portarselo dentro.
«Lo so» rispose l'altro alzandosi subito dopo. Si vestì prestando molta più attenzione ai suoi movimenti che alla rivelazione di Trevor. Infatti non era per niente sconvolto o stupito. Si era accorto già da parecchio di quella cosa.
«No-non dici niente?»
«Sì, che è meglio se andiamo ora a prendere le mie cose, Betsy a quest'ora non è mai a casa»
Trevor rimase immobile per un bel pò prima di sospirare pesantemente e rivestirsi. 

Ci avevano messo davvero poco a recuperare le cose di Chris, anche perchè lui stesso aveva deciso di non spendere nemmeno un minuto in più in quella casa. Era cambiata troppo in troppo poco tempo. Era passata solo una notte eppure si respirava già un'aria diversa e la tensione fra lui e sua madre si tagliava col coltello. Una volta fuori da quella casa che Chris non sentiva più essere la sua, si diressero di nuovo a casa di Trevor. Lasciarono tutto nel salone non preoccupandosi di posare i vestiti nell'armadio o i suoi trucchi in bagno.
Chris si sedette sul divano e prese il cellulare.
«Chi chiami?» gli chiese Trevor.
«Mike» rispose serio. Aveva il cuore che gli batteva fortissimo e un brutto peso sullo stomaco. Sapeva che probabilmente quella chiamata sarebbe finita male, ma doveva affrontare anche quella situazione.
Mike rispose dopo pochi squilli e Chris capì dal suo tono di voce che, ormai, per lui non c'era più posto. Era mancato per troppo tempo e, giustamente, Mike non se n'era stato ad aspettare lui. Chris lo ringraziò e lo salutò con gentilezza, ma riagganciò senza aspettare che l'altro rispondesse al saluto. A Trevor bastò solo guardare la sua espressione per capire che ormai il sogno di Chris era andato a puttane. Tentò di dirgli qualcosa, ma Chris lo zittì subito. Non aveva voglia di sentirsi dire nulla di rincuorante, sapeva che non avrebbe funzionato. 
Prese un grande respiro e lasciò cadere il cellulare sul divano. Si alzò prendendo l'altro per mano e si apprestò ad uscire di casa, ma Trevor lo fermò. Non potevano davvero camminare per strada mano nella mano. Certo, lo desiderava, ma non potevano.
«Chris, che vuoi fare?» gli chiese. L'altro lo guardò con uno sguardo assente, ma Trevor intravedeva un misto di emozioni spaventose. La tristezza, la malinconia, l'angoscia e lo sconforto incastrati in quegli occhi lasciarono Trevor senza parole.
«Mi hai detto che mi ami, no? Allora dimostramelo» rispose Chris.
«Ma... Chris, ti prego, non posso, non farmelo fare»
Chris sospirò. Aveva un'espressione sofferente.
«Voglio solo andare lì fuori con te» disse pacatamente.
«Perchè?» gli chiese Trevor sconcertato. Era davvero strano che volesse farlo.
«Non chiedermi perchè, se mi ami lo farai»
«È un ricatto, Chris?»
Il ragazzo fece spallucce con aria strafottente.
«Può essere, e sai cos'altro può essere? Può essere che se non esci in quella cazzo di strada, mantenendo la mia cazzo di mano, io e te abbiamo chiuso»
Trevor perse un battito. Perchè gli stava facendo tutto quello? Voleva vederlo soffrire?
«Se esco lì fuori, Chris, sarò un uomo morto, chiaro?» disse Trevor.
«Se non esci lì fuori, Trevor, sarai un vigliacco, chiaro?» rispose Chris a sua volta, scimmiottando la voce dell'altro. Trevor lo guardò intensamente e il suo cuore si spezzo, si ridusse in mille piccolissimi pezzi. 
Gli prese una mano e la strinse. In quel semplice tocco riuscì a sentire tutte le belle sensazioni che, inconsapevolmente, Chris gli aveva offerto. Era profondamente innamorato di lui, col tempo era diventato il centro di tutto e non avrebbe mai potuto immaginare una vita senza Chris al suo fianco. Ma non si sentiva pronto, aveva trobbi dubbi, troppa paura.
«Mi dispiace, Chris» disse Trevor lasciando a malincuore la sua mano. Chris sembrò davvero dispiaciuto e triste per quella decisione. In effetti lo era. Ricevere quella risposta, vedersi chiudere un'altra porta in faccia, sentirsi rifiutato da una persona tanto importante per lui, lo fece stare tanto male da non riuscire a trovare nemmeno una parola per poter descrivere il dolore e la frustrazione che provava in quel momento. Niente, non gli rimaneva più niente a cui aggrapparsi.
«Dispiace anche a me» disse a voce bassa, calma, quasi come se non volesse pronunciare quelle parole. E così andò via, lasciando Trevor solo sull'uscio della porta. Cosa gli sarebbe rimasto di lui? La sua voce spezzata, o i suoi sguardi sospesi, o le sue parole soffiate fuori dalla bocca e lasciate lì, in aria, fra i loro corpi freddi. Gli sarebbe piaciuto fare un'altra pazzia, scappare di nuovo, dimenticare il suo passato, ma non poteva. Aveva cominciato a pensare che non ne sarebbe mai stato capace, non era nella sua indole abbandonare tutto, strapparsi bruscamente dalle sue radici. 
Sapeva bene che si sarebbe dato solo qualche ora per assimilare il dolore, poi avrebbe ripreso le sue solite attività: svegliarsi presto al mattino e rendere la propria vita un agglomerato di impegni e caos.
Quella notte non dormì, girovagò per la città come un'anima in pena. Si fermò a chiacchierare distrattamente con dei ragazzi che, qualche anno prima, avrebbe definito amici. Si guardò intorno e pensò a tutte le cose che, con gli anni erano camiate: la pizzeria dove sua madre lo portava a pranzo e a cena quando suo padre decideva di svignarsela per un pò, era stata ristrutturata e adibita a ristorante, il negozio di dolciumi chiuso da anni che lasciava intendere quanto anche i bambini fossero ormai adulti già da piccoli, il vecchio calzolaio che gli aveva incollato mille volte la stessa suola della stessa scarpa per anni, la piccolissima libreria poco frequentata con l'insegna arruginita sul cancelletto color asfalto, polvere, gli alberi lungo i marciapiedi ridotti ad un appoggio per persone piegate in due dal dolore, gli occhi tristi dei più grandi e quelli ignari dei più piccoli; quella notte non sfuggì nulla al suo sguardo attento.
Seduto su un marciapiede scalfito dal tempo e dalla furia degli abitanti di quella brutta periferia, aspettò l'alba che si fece attendere più di quanto Chris si aspettasse. Non appena vide il sole comparire, però, pensò che infondo ne era valsa la pena. Il cielo era nuvoloso e grigio, ma il sole migliorò notevolmente la temperatura e anche il morale di Chris. 
Quando si alzò da quel marciapiede aveva gli arti inferiori doloranti e la schena gli scricchiolava come una vecchia porta dai cardini arruginiti. Non ci fece molto caso, la sua mente era altrove. Aveva provato in ogni modo a distrarsi e per ore ce l'aveva fatta, ma le palpebre pesanti e il sonno dietro l'angolo gli facevano tornare in mente solo un letto caldo e comodo dove sdraiarsi. Automaticamente pensava a casa sua e alla sua, ormai, vecchia famiglia, ripensava al letto di Trevor e a lui con malinconia, gli venne in mente Ricky e i suoi abbracci. Pochi ma buoni, pensava continuamente. 
Si rese conto che solo mentre pensava a lui riusciva a sentire il corpo più leggero e la mente più libera. Sorrise. Felice, ecco come si sentiva quando il pensiero di Ricky gli balzava nel cervello. Il cuore gli batteva, nè velocemente nè lentamente, gli batteva e riusciva a percepirlo. Sensazione più bella, forse, non l'aveva mai provata.
Iniziò a correre, più forte che poteva, mentre il sole batteva sul suo viso pallido, suoi vestiti neri e sulla strada impolverata davanti a lui. Gli brillarono gli occhi quando arrivò fuori l'enorme villa della famiglia Olson. Non sapeva bene perchè aveva corso tanto per arrivare lì e starsene fermo davanti al cancello senza fare nulla. 
Riprese fiato per qualche minuto, fermo ad un paio di metri dal citofono. Avrebbe tanto voluto suonare, ma non lo fece, rimase solo lì a guardare fra gli spessi ferri del cancello. Attendeva che il destino gli venisse in contro, sperando di non essere troppo in ritardo. Si sentì fortunato ed ebbe un'esplosione nel petto quando vide quel corpicino delicato che usciva dalla grande casa. 
Rimase immobile finchè non lo vide a meno di un metro da lui, fuori da quelle sbarre che sembravano racchiudere e risucchiare qualsiasi cosa ci fosse al loro interno.
«Chris» pronunciò il ragazzo con una voce sorpresa e stranita allo stesso tempo. Non capiva perchè mai fosse lì a quell'ora. Gli servirono pochi secondi per notare la stanchezza celata nei suoi occhi.
«Buongiorno, Ricky» rispose Chris con dolcezza. Quella volta, però, c'erano tracce di malinconia in quel tono tanto gentile. A Ricky sembrò ovvio che se si era presentato lì a quell'ora, allora voleva dirgli qualcosa di importante, o aveva bisogno di aiuto.
«Come stai?» gli chiese con premura.
«Non lo so» convenne Chris fissando gli occhi chiari e appena assonnati dell'altro ragazzo. Non ebbe subito una risposta, ma capì che era meglio così. Riprese a parlare.
«È stata una notte lunghissima, ho pensato tanto e allo stesso tempo ho cercato di fermare del tutto i miei pensieri, in ogni caso sono arrivato ad una soluzione, una sola cosa che può risolvere tutto»
Ricky lo guardò accigliato, ma incuriosito. Sperava solo che non avesse bevuto ancora.
«Quale sarebbe la soluzione?» gli chiese calmo.
«Non so se dirtelo, ti metterai a ridere» la voce di Chris rispecchiò appieno i suoi sentimenti: rabbia, paura, tristezza.
«No, Chris, non lo farò... ormai sei qui, dimmi, qual è la soluzione a tutto?»
Chris sospirò, arrancò un attimo in cerca di aria pulita e fresca, poi lo guardò ancora negli occhi avvicinandosi di un passo.
«Tu» rispose. Ricky assunse un'espressione incerta, insicura. Non capiva come potesse lui risolvere i suoi problemi.
«Ho solo bisogno di te, Ricky, io voglio starti accanto, sempre» continuò Chris avvicinandosi pericolosamente all'altro. Gli afferrò delicatamente il viso fra le mani. La voglia di baciarlo era tanta, ma si diede un freno e si limitò a bearsi nel profumo che il corpo di Ricky emanava.
«Non perderò tempo a fare un discorso lunghissimo, voglio solo dirti che stare con te mi rende felice, spensierato e sereno e... ti prego Ricky, dammi una possibilità»
Gli occhi di Ricky si riempirono di lacrime. Che Chris gli avesse detto quelle parole in quel momento così particolare e delicato della sua vita, l'aveva inevitabilmente emozionato.
«Davvero, Chris? S-sei sicuro? Non ci conosciamo nemmeno» gli chiese spostandogli le mani dal suo viso. Non si sentiva al sicuro lì, chiunque avrebbe potuto vederli: i suoi genitori, il giardinire che avrebbe cominciato la manutenzione del giardino di lì a poco, amici, vicini di casa curiosi.
Chris ebbe un attimo di esitazione quando Ricky fece quel gesto, ma lasciò perdere. Si era accorto di aver esagerato un pò. In realtà gli sarebbe piaciuto stare con lui anche in strada, nei negozi, in casa sua. Odiava i segreti, li aveva sempre odiati, e da qualche tempo aveva capito che odiava anche doversi nascondere. Perchè mai avrebbe dovuto eclissarsi dal mondo intero? Eppure per lui, per un sedicenne imbranato, per un ragazzo dagli occhi del colore del cielo, per una persona dolce, gentile e aggraziata, l'avrebbe fatto senza esitazione.
«Sì, lo so, ma possiamo conoscerci... se vuoi»
Quelle ultime parole, pronunciate con dolcezza, riuscirono a nascondere una supplica. Ricky non stette molto a pensarci, decise di seguire l'istinto. Annuì solamente e sul viso di Chris comparve un sorriso allegro che contagiò l'altro ragazzo. Entrambi pensarono che in quel momento, un bacio, avrebbe reso quell'atmosfera ancora più magica, ma Ricky indietreggiò un pò e cercò di rendere quel disocorso meno intimo.
«Sarebbe fantastico se tu ora andassi a dormire, Chris»
«Perchè? Si nota tanto che ho passato una notte insonne?»
Ricky sorrise per il tono stanco -anche un pò buffo- usato da Chris.
«Un pò» rispose.
«E io comunque devo andare a scuola» disse poi cominiando a camminare. Chris lo seguì.
« Ci vediamo stasera?» chiese d'un tratto.
«Certo» sussurrò Ricky. Chris allora lo salutò e andò via. Lungo la strada pensò a dove sarebbe potuto andare per riposare un pò. Gli venne in mente solo di correre nel letto di Jane.
Arrivato a qualche metro da casa sua, la vide uscire di casa di fretta e quando si ritrovarono faccia a faccia la ragazza rimase sorpresa.
«Che diavolo ci fai qui a quest'ora? Hai dormito, Christopher?» gli chiese velocemente. Lui, in tutta risposta, scosse la testa.
«Dammi le chiavi, ti spiego dopo» disse solamente e la ragazza non fece una piega. Jane salì in macchina e corse a scuola e lui entrò in casa richiudendo la porta. Si tolse i vestiti nel corridoio e li lasciò per terra. Alla camera da letto ci arrivò con addosso solo un paio di boxer spiegazzati . Si mise sotto le coperte e in un attimo i suoi occhi si chiusero, i muscoli si rilassarono e i suoi pensieri si placarono.

Al suo risveglio Jane era già in casa, poteva sentirla canticchiare in lontananza, probabilmente in cucina visto che c'era anche un buon profumo di cibo. Si alzò barcollando e arrivò in cucina. 
«Ma buonasera» esclamò Jane appena lo vide varcare la soglia. Lui alzò la mano in un buffo cenno di saluto.
«Trevor ha portato qui uno scatolo e un borsone, ha detto che sono tuoi... puoi spiegarmi?»
Chris si sedette al tavolo sospirando. 
«Niente, solo... Jonathan è morto, io mi sono ubriacato, mia mamma si è messa con uno di nome Hector che non so dove l'abbia conosciuto e mia sorella mi ha cacciato di casa»
La ragazza lo guardò con gli occhi spalancati.
«T-tuo fratello è... quando è successo, Chris? Non lo sapevo»
«Due giorni fa»
Jane si portò una mano sul petto e i suoi occhi si inumidirono. Non conosceva Jonathan, ma Chris le aveva sempre parlato di lui. Il ragazzo, notando quanto fosse turbata, preferì cambiare argomento. Le chiese se poteva restare lì almeno per un pò e la ragazza accettò subito. 

Quella stessa sera, appena dopo aver cenato, Chris sistemò le sue cose nell'armadio di Jane. Per Chris quello poteva assomigliare anche al paradiso, si sarebbe accontentato di lasciare quelle cose nei borsoni e di dormire nel salone. Jane però era stata chiara: non voleva troppo disordine e non avrebbe mai lasciato che, per quel tempo indefinito, lui si spezzasse la schiena su un divano. 
Quando tutte le sue cose erano al loro posto, chiamò Ricky per dirgli che stava andando da lui. Prima di uscire però, sul pavimento, proprio accanto alla porta, vide un biglietto da visita di un'officina. Lo raccolse ed ebbe un flash, si ricordò bene di Michael che gliel'aveva dato e gli aveva detto di chiamarlo per qualsiasi emergenza. Gli parve ancora strano che pur non conoscendolo era stato tanto gentile con lui.
In un primo momento pensò di gettarlo via, ma un'istante dopo ebbe un'idea. Forse Michael avrebbe potuto aiutarlo.


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...  Chris rientrò in casa distrutto, ma felice. Si era già dimenticato della chiacchierata con Trevor. Avrebbe dovuto solo lavarsi e correre da Ricky per lasciarsi tutto alle spalle definitivamente. Gli mancava il suo sorriso, il suo profumo; aveva tanta voglia di abbracciarlo forte e baciarlo. Si mise sotto la doccia e in circa quindici minuti era già pronto.
«Vai da Ricky?» gli chiese Jane entrano nella camera da letto dove Chris si stava disegnando le sopracciglia.
«Sì» rispose sorridente.
«Quindi ti è passato il complesso d'inferiorità?» 
Chris ci pensò un pò prima di rispondere.
«Non darò importanza alle parole dei suoi genitori, ma spero che Ricky abbia capito cosa può aspettarsi da me»
«Ricky non è stupido, Christopher... forse un pò ingenuo, ma stupido no» riflettè la ragazza.
Poco dopo Chris era pronto.
«Jane, posso prendere la tua macchina?» gli chiese afferrando già le chiavi, sicuro che lei avrebbe detto sì.
«Certo, ma usa il preservativo e torna qui con tutti i finestrini aperti» scherzò lei. 
Cinque minuti dopo era quasi arrivato a casa di Ricky. In lontananza si poteva già vedere quella grossa villa dai toni chiari, il giardino era ben illuminato e curato nei minimi dettagli; si percepiva che la famiglia Olson ci teneva a fare bella figura ogni giorno della loro vita.
Arrivato fuori casa Ricky era già lì, davanti al cancello. A Chris parve davvero troppo strano, ma decise di non allarmarsi. 
Ricky non gli diede nemmeno il tempo di fermarsi che era già seduto accanto a lui. Chris osservò il suo viso: serio, freddo, forse un pò triste, malinconico.
«Buonasera» disse Ricky sottovoce.
«Buonasera? Davvero? Così?» gli chiese Chris incredulo. Di solito non gli parlava mai con una tale serietà da fargli raggelare il sangue, ma l'aveva fatto quella volta.
«Chris, dobbiamo parlare» disse Ricky. Gli riuscì molto difficile guardarlo negli occhi, infatti i loro sguardi riuscirono ad incrociarsi solo per qualche istante.
Chris sospirò sentendo già la paura crescere in lui. Sapeva già come sarebbe finita quella serata.
«Vuoi restare qui o possiamo andare a fare un giro?»
«Come vuoi» mormorò Ricky. Chris non ci pensò due volte prima di allontanarsi da quella casa. Nessuno avrebbe dovuto vedere o -in qualche modo- sentire quello che si sarebbero detti. Non avrebbe dato quella soddisfazione a chiunque fosse interessato a vederli separati.
Portò Ricky lontano da casa sua, lontano da tutto e tutti. Non voleva vedere nemmeno una faccia conosciuta mentre parlava con lui, voleva che fossero davvero soli cosicchè nulla potesse influenzare le parole di Ricky, modificare l'atmosfera che si sarebbe creata.
Restarono in macchina per mezz'ora senza guardarsi, senza dirsi nulla. In sottofondo si sentiva solamente il rumore delle altre macchine, delle ruote sull'asfalto, dei frequenti sospiri ansiosi di entrambi. Quando arrivarono, Ricky si concentrò sul luogo in cui si trovava: la macchina era ferma in un vialetto sterrato che conduceva ad una casa modesta, sembrava però vecchia e abbandonata; li avvolgeva un buio cupo e tenebroso e l'unico spiraglio di luce proveniva dalla luna che quella sera era piena. 
«D-dove siamo?» gli chiese Ricky.
«Quella era la casa dei miei nonni» sussurrò Chris.
«Perchè... perchè siamo venuti qui?» gli chiese Ricky imbarazzato. Nella sua voce si percepiva anche un senso di paura, come se stare solo con lui, in quella macchina e in un luogo buio e desolato l'avesse intimorito. Chris la trovò una cosa molto dolce, si sentì in dovere di rassicurarlo. Non voleva fargli del male, non ne avrebbe avuto il coraggio.
«Tranquillo, volevo restare solo con te, hai detto di dovermi parlare, no?»
Ricky annuì tentando di allontanare la paura. Osservò con attenzione il viso sereno ma attento dell'altro e si diede dello stupido. Chris non era una persona cattiva, non c'era ragione di allarmarsi.
«Allora?» chiese Chris inducendolo a parlare.
«I-io... Chris, io credo che...»
Chris l'osservò bene: i suoi occhi che brillavano alla luce della luna, la sua pelle bianca e l'ombra scura del suo corpo; non sapeva come avrebbe fatto a stare senza di lui. Perchè sì, immaginava già cosa sarebbe successo di lì a poco. 
Allungò una mano su quella di Ricky. Era fredda.
«Ricky...» 
«Okay... ehm... oh, smettila, non ci riesco se fai così» esclamò improvvisamente Ricky.
«Così, come?» chiese Chris e Ricky sospirò scuotendo la testa.
«Perchè sei sempre così apprensivo e dolce con me?»
«Di solito ti piace» commentò Chris. Lo stava quasi rimproverando. Ricky prese un grande respiro. Sentiva il cuore uscirgli dal petto e aveva i brividi tanto era testo.
«Lo so, ma adesso ho bisogno che tu... che tu stia fermo ad ascoltarmi»
Chris annuì, ma non avrebbe mai voluto lasciargli la mano, non avrebbe mai voluto che Ricky portasse a termine quel discorso.
«Non so come dirtelo... ehm, p-penso che sarebbe meglio se io e te... insomma, se... smettessimo di vederci» sussurrò appena le ultime parole. Non ebbe il coraggio di guardare Chris negli occhi. Ferirlo era la sua paura più grande in quel momento, ma sapeva che l'avrebbe fatto irrimediabilmente. Chris però rimase lì, immobile. Lo fissò per un tempo lunghissimo e gli sembrò di non provare nulla, nessuna emozione. Forse c'era già troppo vuoto dentro di lui per sentire anche quello che avrebbe lasciato Ricky andandosene.
«Mi dispiace» disse Ricky con le lacrime agli occhi e la voce spezzata. Si stava odiando. Chris non meritava di star male, soprattutto per una decisione presa da lui.
«Perchè, Ricky, perchè?» chiese Chris rompendo quel silenzio tagliente e doloroso che si era creato.
«Penso di essermi sbagliato...io ho... ho conosciuto una ragazza... scusami»
Per Chris quella notizia fu come un fulmine a ciel sereno. Ma qualche secondo dopo gli sembrò impossibile che fosse vero. Ricky non sapeva mentire.
«Sbagliato? Cioè tu vuoi farmi credere che non ti piacciono i maschi? Che improvvisamente hai incontrato questa ragazza che ti ha fatto capire che la nostra è stata solo una sbandata?» 
Ricky annuì a testa bassa. 
«Sai io cosa credo? Credo che tu abbia già capito cosa ti piace, ma sai bene che c'è qualcuno a cui non va giù quello che sei»
Ricky riuscì appena a guardarlo, ma non poteva reggere lo sguardo dell'altro troppo a lungo. Dentro di sè sapeva che Chris aveva detto la verità e che lui gli stava mentendo, ma non voleva che sapesse cosa stava succedendo davvero. Pensava che Chris ci sarebbe stato troppo male.
«Ricky, ieri sera, a quest'ora, io e te eravamo sul tuo letto a fare Dio solo sa che cosa e non provare a negare quando ti dico che ti piaceva... dimmi la verità, Ricky, perchè hai preso questa decisione?» gli chiese con tanta gentilezza, una gentilezza che forse Ricky non meritava.
«M-mi dispiace, Chris, non voglio che tu soffra... è per questo che è meglio se ci lasciamo ora, n-non voglio prenderti in giro»
Chris non lo mandò giù quel pessimo tentativo di mentire. Ciò che confermava i suoi sospetti erano le lacrime di Ricky che scendevano lente e silenziose e che gli rendevano il respiro irregolare.
Ricky aspettò solo qualche secondo prima di parlare ancora. Non riusciva più a stare lì, quella tensione lo stava lacerando nel profondo. Sentire la bellissima voce di Chris sbattergli in faccia tutte quelle verità era doloroso, e dovergli mentire era ancora peggio.
«Ti prego, portami a casa»
Chris non avrebbe mai voluto assecondare quella richiesta, ma lo fece. Per tutto il tragitto restarono in silenzio: Ricky piangeva contenendo i singhiozzi e Chris fissava la strada con occhi vuoti, spenti.
Arrivati fuori casa di Ricky, il ragazzo si asciugò le lacrime pronto a scendere dall'auto. Chris però lo fermò prima che potesse aprire la portiera.
«Devo darti una cosa» disse prendendo una cartellina di un colore scuro dai sedili posteriori. All'interno c'era il suo ritratto, quello che dopo mesi lui aveva portato a termine alla perfezione. All'improvviso quel disegno acquistò un valore inestimabile.
Gliela diede e si accorse della curiosità sul volto di Ricky.
«Non aprirla ora, aprila più tardi»
Ricky annuì piano. E fu in quel momento che calò un silenzio imbarazzante fra di loro. Nessuno dei due sapeva cosa dire, ma sicuramente entrambi non desideravano fervidamente separarsi.
Si guardarono negli occhi un'ultima volta. Fu come ritornare al loro primo incrocio di sguardi. In quel preciso istante, come la prima volta, si innamorarono dei loro occhi e non esisteva nient'altro.
Passò un tempo indefinito prima che Chris prendesse la decisione di avvicinarsi a lui. Gli accarezzò il viso infilando lentamente le dita fra i suoi capelli. Sarebbe stata sicuramente la sensazione che gli sarebbe mancata di più. Era un atti così semplice ma che in un modo o nell'altro finiva sempre per compiere.
Ricky lo lasciò fare. Si fece asciugare le lacrime dalle sue grandi mani in cui si sentiva al sicuro, poi le strinse fra le sue e le baciò con cura.
«Ciao, Chris» disse in un sussurro guardandolo negli occhi. Chris stentò a credere che stesse succedendo davvero, ma si trovò costretto ad assecondare il volere dell'altro.
«Ciao, Ricky» 
Il ragazzo gli lasciò le mani e scese dall'auto con la cartellina stretta fra le braccia.




Rieccomi! Mi dispiace se sono stata assente per tanto tempo, ma ecco un capitolo. Sono sicura che ci siano mille errori, ma vado davvero di fretta. Non ci sarò per due settimane e non volevo andare via senza postare. Spero che comunque vi sia piaciuto. 
Alla prossima :3

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14-I need to feel you here ***


Capitolo 14 - I need to feel you here
Ricky camminò lentamente con lo sguardo basso. Si vergognava di se stesso, avrebbe voluto solo sotterrarsi per non sentire il peso dello sguardo di Chris che ancora lo seguiva. Poteva sentirlo sulla sua schiena, appena dietro le orecchie, fra i suoi capelli. Sapeva che quel ragazzo che gli piaceva tanto, nonostante tutto, non sarebbe andato via prima che la porta di casa si fosse chiusa; così, per premura. Tenne duro, impiegò ogni tipo di energia del suo corpo per avere la forza necessaria a non girarsi e correre di nuovo da lui. Strinse un pò di più la presa sulla cartellina e accelerò il passo. Chiuse la porta dietro di sè e il cuore gli esplose. Rimase attaccato alla porta, con la fronte poggiata sul legno freddo. Ricominciò a piangere in silenzio. Le lacrime bollenti gli rigavano il viso e gli scavavano grossi solchi sotto gli occhi. Sentiva una stanchezza che non gli permetteva di respirare, di muoversi, di reggersi in piedi. Infatti, in pochi secondi, si ritrovò a terra con la cartellina sulle ginocchia e la schiena contro la porta. Il dolore divenne straziante nel momento in cui si rese conto che Chris non era più dietro quella porta ad aspettarlo; non avrebbe più visto l'emozione nei suoi occhi dopo un bacio e non si sarebbe più sentito stringere da quelle braccia calde e accoglienti.
«Allora, hai fatto quello che dovevi fare?» chiese una voce femminile. Ricky l'associò alla voce del male.
«Sì, mamma» rispose fermo, senza però smettere di piagere. Sarebbe stato inutile, lo sapeva che non ce l'avrebbe fatta. Probabilmente quel pianto sarebbe durato un'eternità.
«Bene, smettila di frignare e vai a dormire»
Ricky deglutì rumorosamente e si alzò evitando lo sguardo di sua madre. Le passò accanto e per la prima volta in vita sua non disse "buonanotte mamma", frase che era abituato a dire ogni sera.
Entrò in camera sua e si tolse le scarpe mettendosi a letto senza spogliarsi di altro. Gli tremavano le mani e aveva la vista offuscata, la testa gli pulsava e il cuore gli faceva male nel petto. Decise di aprire la cartellina: l'ultima cosa che Chris gli aveva dato. Quando i suoi occhi si imbatterono in quel suo stesso ritratto, sul suo volto apparì un sorriso triste, malinconico. Si era del tutto dimenticato che Chris aveva fatto quel disegno, quella sera. 
Cercò di focalizzare ogni dettaglio tracciato a matita, e l'unica cosa che gli saltava in mente ogni qual'ora si concentrava su un particolare, era che lui non fosse davvero così bello. Gli sembrò di vedersi attraverso gli occhi di Chris. Lo vedeva davvero così perfetto? 
Strinse quel foglio al petto: abbastanza da poter sentire il calore e l'amore che conteneva, ma non al punto di rovinarlo. Era qualcosa di prezioso.

Aveva pianto, forse per tutta la notte, forse per tutto il giorno seguente, forse per qualche settimana; fuori, ma anche dentro. C'era qualcosa che Ricky non riusciva a lasciarsi alle spalle. Soffriva in silenzio e ascoltava i discorsi di sua madre. Non gli sembravano altro che parole buttate al vento, senza alcun senso, vuote e stupide. Quando si riferiva a lui, sapeva solamente dire che aveva bisogno di ricominciare d'accapo, che magari gli sarebbe stato utile cambiare compagnie; "se proprio non riesci a toglierti dalla mente quell'ignorante, allora proveremo a mandarti da un medico", era arrivata a dire anche questo. Ricky sprofondava in un misto di ansia e rabbia ogni volta che sua madre affibbiava a Chris quegli aggettivi per nulla adatti a lui. Infatti, non gli importava molto quello che pensava di lui, ma Chris non era un ignorante, nè uno stupido, nè un bastardo, nè qualsiasi altra cosa. Ma sua madre non capiva, e non capiva solamente perchè non voleva finire sulla bocca di tutti.
«Ricky, se non la smetti di fissare il vuoto ti do un pugno in faccia» disse Ryan con la sua solita delicatezza e svogliatezza. Era passato a casa sua per stare un pò di tempo con lui, ma era rimasto tutto il pomeriggio e aveva deciso di cenare lì.
«Non sto fissando il vuoto» mormorò distratto.
«Invece sì, comunque devi dirmi che diavolo sta succedendo, non sti capisco più»
Ricky si rigirò nel letto dandogli le spalle.
«Sono solo stanco» mentì pietosamente.
«Sì, certo» sbuffò Ryan non bevendosi quella scusa. Conosceva Ricky, non avrebbe mai creduto ad una cosa simile. Ricky non replicò. Si sarebbe tenuto tutto dentro, anche se tutti i suoi amici avrebbero provato ad estorcergli un briciolo di verità. Anche ad Angelo non aveva raccontato tutto. "Abbiamo deciso entrambi che non era il caso di continuare, lui per un motivo, io per un altro...", disse a grandi linee. Dallo sguardo dell'altro aveva capito che non ci era cascato, ma gli fu immensamente grato quando non sentì opposizioni o domande sulla faccenda. Per questo motivo Angelo era il suo miglior amico: non faceva domande, aspettava sempre che le cose venissero da sè.
«Ti hanno fatto del male?» gli chiese Ryan di getto, dopo parecchi minuti di silenzio. Quella domanda colpì molto Ricky. Sentiva la preoccupazione forte incastrata fra le parole dell'amico. Ryan emanava tensione, la percepiva nonostante non si trovassero faccia a faccia. Gli arrecava solo altro dolore sapere che i suoi amici erano in pena per lui.
«No... perchè me lo chiedi?» 
Ryan alzò delicatamente le spalle come se Ricky potesse vederlo, ma non poteva: era sdraiato a pancia in giù con la testa rivolta verso la porta, mentre Ryan era dietro di lui, con le spalle poggiate alla testata del letto.
«Cerco solo di capire, le sto pensando tutte»
Ricky strinse le lenzuola fra le mani e trattenne il pianto. Perchè riusciva sempre a far stare in pensiero i suoi amici? Tante volte aveva desiderato essere il "pagliaccio" del gruppo, quello che fa sempre ridere tutti, che tira su di morale il compagno che sta male.
«Allora?» chiese ancora Ryan preoccupato e ansioso di sapere perchè Ricky si stesse comportando in quel modo ultimamente.
«Cosa?»
«Mi dici perchè sei sempre depresso?»
«Non sono depresso» disse con una voce sottilissima e un pò impastata.
«Certo... credi che non mi sia accorto che piangi sempre? Credi che Angelo non se ne sia accorto? O che magari anche Devin non ci abbia fatto caso? Forse pure Josh, tanto lui è un cavernicolo, figurati se si accorge di te... o sbaglio?»
Ricky, sentendosi sempre più in colpa, si girò verso di lui. Non gli avrebbe detto la verità, non ne avrebbe avuto il coraggio.
«Ryan, lo so che siete preoccupati, ma ti assicuro che vi state preoccupando per nulla» disse alzandosi.
«Sto bene, davvero... scendiamo, sicuramente fra poco sarà pronta la cena» disse risoluto camminando verso la porta. 
Durante la cena Ricky se n'era stato con la testa bassa. Aveva mangiato i pollo al forno con l'insalata lentamente, non aveva detto nemmeno una parola. Suo padre, che quella sera era riuscito a tornare a casa in tempo per la cena, non si era reso conto del suo silenzio. Era troppo preso dai suoi pensieri, problemi di lavoro. Sua madre invece lo guardava. Ricky si sentiva perennemente osservato. Gli veniva quasi da strizzare gli occhi e allontanarsi, come quando ci si ritrova qualcuno con un pugno puntato verso il proprio viso; la brutta sensazione di essere colpito lo pervadeva, lo spaventava a morte. Aveva paura che sua madre potesse dire qualcosa che l'avrebbe ferito. Ma sapeva che non era una donna stupida: non avrebbe detto nulla che avrebbe potuto mettere lei, suo figlio e suo marito in cattiva luce. La presenza di Ryan, quindi, era diventata di fondamentale importanza per Ricky in quel momento.
Quando finalmente anche la cena era finita, i due ragazzi risalirono in camera di Ricky.
«Hai litigato con tua madre, vero? È per questo che stai così?»
«No, cosa te lo fa pensare?» gli chiese Ricky alzando un pò il tono di voce. Si sarebbe morso la lingua fino a farsi male: alterarsi non avrebbe convinto Ryan che la sua ipotesi fosse sbagliata.
«Okay, come vuoi, ma non ti capisco... dovresti parlare un pò di più, lo sai?»
Ricky roteò gli occhi.
«Non fare così, quando è successo il casino con Devin tu eri il primo a dirgli queste cose» lo rimproverò l'altro.
«Ma che c'entra, quella è una cosa completamente diversa, avevo paura per lui»
«Permetti che quando ti vedo piangere mi preoccupo per te? Perchè, sai, non è proprio normale che quando sei in classe corri in bagno con le lacrime agli occhi» 
Ricky aggrottò la fronte. Cosa ne sapeva lui di quello che succedeva quando era a scuola?
«Mi spii per caso?»
«No, ti ho visto l'altro ieri, quella di storia mi aveva mandato dal preside»
Ricky sospirò. Non poteva avere un momento di libertà, si sentiva controllato da tutti e tutto. Forse quello che gli piaceva di più della sua relazione con Chris era proprio il sentirsi libero. Con lui poteva fare tutto quello che voleva e non si sentiva giudicato, tenuto d'occhio o protetto più del dovuto.
«Per favore, smettila, va tutto bene, davvero» disse mettendosi di nuovo a letto. Ryan strinse i denti arrabbiato e deluso, poi si sedette sul bordo del materasso.
«Fra un pò vado a fare un giro con Josh e Devin, vuoi venire?» gli chiese con gentilezza. 
«E Angelo?» gli chiese Ricky alzando la testa dal cuscino.
«Non so, Devin mi ha detto che aveva da fare, forse ci raggiunge più tardi» 
Ricky valutò le varie possibilità, ma alla fine decise di uscire. Stare solo in casa con i suoi genitori -soprattutto con sua madre- non era sicuramente una bella prospettiva.
Si alzò e corse a farsi una doccia veloce. Ryan lo aspettò sdraiato sul letto. Ben presto però si annoiò di starsene lì fermo e cominciò a girovagare per la stanza. Non era suo solito mettere le mani fra le cose degli altri, ma Ricky era uno dei suoi migliori amici e di certo non si sarebbe arrabbiato se avesse frugato nei suoi cassetti. Almeno sperava.
Aprì tutti i cassetti della scrivania: elastici per capelli, penne, fogli, lo scatolo pieno di calamite e cartoline dei posti che aveva visitato, un album di foto. Doveva ammettere che cercava qua e là anche per trovare qualcosa che potesse aiutarlo a capire. Sperava tanto che ci fosse quel qualcosa.
Entrò nella cabina armadio e cercò fra i vestiti cercando di non metterli troppo in disordine. Non trovò nulla, ma mentre era sul punto di arrendersi, notò qualcosa dietro la cesta dei vestiti sporchi. La tirò fuori e la guardò accigliato: una cartellina di un blu scuro, quasi nero, sembrava vuota. L'aprì e all'interno vide un disegno, un ritratto di Ricky. Lo guardò bene senza capirci molto. Non aveva idea di chi avesse potuto fargli quel ritratto.
Sentì il rumore dell'acqua che si affievoliva e allora rimise tutto al suo posto. Si mise a letto pensando che presto avrebbe dovuto parlare con Angelo in privato.

Il locale era colmo di ragazzini che non superavano i vent'anni: luci soffuse all'interno, un faro illuminava i tavolini all'esterno. Le porte del bar verniciate di bianco si aprivano e chiudevano continuamente. Ricky, Josh, Ryan e Devin erano seduti all'esterno, avevano ordinato un drink a testa e li stavano gustando in santa pace. 
«Ne voglio un altro» disse Josh posando il bicchiere vuoto sul tavolino. Nessuno rimaneva più sconvolto ormai: Josh riusciva a bere alla velocità della luce qualsiasi cosa.
«Aspettaci almeno» commentò Devin provando a bere più velocemente quello che rimaneva nel suo bicchiere, ma non ci riuscì. Era davvero troppo freddo e l'alcol gli pizzicava la gola.
«Mi vuoi far festeggiare sì o no?» gli chiese Josh in un mix di felicità e sgarbatezza.
«Ma che cazzo hai da festeggiare tu tutte le sere?» gli rispose l'altro a tono.
«Okay, sì, forse ogni tanto bevo qualcosa, ma stasera festeggio davvero»
Tutti lo guardarono aspettando che continuasse, che spiegasse il motivo della sua totale allegria.
«Dai, ragazzi, vi siete accorti che c'è Ricky stasera? È una vita che non esce con noi di sera» pronunciò l'ultima frase con un pizzico di rancore, ma poi sorrise guardando proprio in direzione di Ricky. Si guardarono negli occhi per un lungo istante, poi Ricky chiamò una delle tante bariste e Josh ordinò il suo secondo drink. Ricky fece sì che tutti ordinassero qualcos'altro dicendo che il secondo giro l'avrebbe offerto lui.
«Vuoi farci ubriacare, per caso?» gli chiese Ryan. Ricky si rivolse a lui.
«Dobbiamo festeggiare il mio ritorno, no?»

Il mattino seguente, Ricky si svegliò col mal di testa. Già prima di aprire gli occhi capì di essersi preso una bella sbronza. Nel momento in cui tutto davanti ai suoi occhi prese forma e colore, si accorse di non essere in casa sua. Ci mise qualche secondo per connettere, poi riuscì a ricordare: quella era la camera di Angelo.
Dopo un lungo sbadiglio decise di alzarsi dal letto. Sul pavimento c'era Devin che dormiva beatamente fra due cuscini, Josh era sul letto che, prima della sua partenza per gli studi di informatica, apparteneva alla sorella di Angelo. Abbandonò con allegria il continuo russare di Josh e si diresse in cucina. La sua mente non aveva calcolato che c'era un componente in meno nella camera di Angelo, ma se ne ricordò non appena udì la sua voce provenire dalla cucina. Si fermò dietro la porta. Origliare non gli piaceva e non lo trovava educato, ma in quel momento gli sembrò la cosa giusta da fare.
«Secondo te?»
«Non lo so, Ryan, a me Ricky non ha detto assolutamente nulla... probabilmente avrà avuto qualche giornata storta» rispose la voce dolce e gentile di Angelo. 
«Ma dai, non dirmi che ci credi davvero... gli è successo qualcosa, ne sono sicuro» disse Ryan con la bocca piena di qualcosa.
«Prova a parlarci tu, Ricky con te riesce sempre ad aprirsi» continuò dopo aver ingoiato.
«Ci provo, okay? Ma sono sicuro che non è successo nulla di grave»
Ricky sentì un sospiro forte e poi un "è una settimana intera che piange, sono davvero preoccupato".
Quelle parole colpirono Ricky nel petto come pugnali roventi. Ryan non era il tipo che si lasciava andare, era sempre quello che non mostrava preoccupazioni e debolezze, quindi sentirgli dire quelle parole fece provare a Ricky un senso di pena verso se stesso.
Decise che quello era il momento di entrare, non voleva sentire altro. Varcò la soglia con un occhio aperto e l'altro socchiuso, finse uno sbadiglio: voleva far credere di essere appena arrivato.
«Ma buongiorno» disse Angelo non appena si accorse della sua presenza. Ryan lo salutò con un gesto della mano e così fece anche Ricky con entrambi.
«Che ore sono?» chiese poi sedendosi al tavolo della cucina accanto ai due.
«Quasi mezzogiorno» rispose Angelo.
Ricky sbarrò gli occhi. 
«Ho dormito così tanto?»
«Già, ma tanto è domenica» disse Ryan finendo la sua tazza di latte e cereali.
«Adesso devo andarmene, ho un appuntamento con Meghan dopo pranzo» 
Ricky e Angelo lo salutarono e Ryan corse fuori rischiando di inciampare nei suoi stessi piedi. Ricky sorrise e Angelo scosse la testa: Ryan era un imbranato cronico.
Quando la porta si chiuse, in casa calò un silenzio tombale. Angelo guardava Ricky cercando il coraggio per parlare. Voleva davvero accertarsi che andasse tutto bene. Sapeva molto di più di tutti gli altri e aveva capito perchè Ricky stava così male, ma non era al corrente di tutto. Infatti, Ricky non era stato chiarissimo. "Chris ha deciso che non poteva continuare e io non ho insistito. È meglio così, in fondo nemmeno io ero così sicuro di quello che stavo facendo", gli aveva detto Ricky precisamente. Angelo provava un pò di rabbia perchè, se le cose erano andate davvero così, e se Chris l'aveva lasciato, significava che lui aveva avuto ragione: si era accorto che non era un tipo troppo affidabile, quel Chris. Ma non voleva trarre conclusioni affrettate, perchè quando l'aveva conosciuto, si era accorto che nei confronti di Ricky si comportava benissimo. Qualcosa non quadrava.
«Allora? Come va oggi?» gli chiese cercando di sembrare più sciolto possibile. Era teso come una corda di violino. Senza motivo, in realtà.
«Bene» rispose Ricky meccanicamente.
«Dovrei tornare a casa, non ho avvertito mamma che sarei stato fuori, sarà arrabbiata» aggiunse subito dopo.
«No, tranquillo, ieri sera ho chiamato a casa tua e ho detto a tuo padre che restavi qui»
Ricky sospirò silenziosamente. Voleva scappare, ma come poteva?
«Perchè siamo venuti tutti da te?» gli chiese Ricky.
«Quando vi ho raggiunti eravate già ubriachi e, sinceramente, non ci tenevo proprio ad accompagnarvi a casa uno per uno»
Ricky annuì quasi impercettibilmente.
«Ricky, ti va di parlare un pò?»
«Ma perchè avete tutti voglia di parlare? Non c'è nulla da dire» si alterò. Angelo rimase un attimo interdetto.
«Scusa, è solo che tu mi hai sempre detto tutto e ora... non so, se hai bisogno di qualcosa...»
Ricky scosse la testa e si alzò avvicinandosi al frigo. Gli diede le spalle soprattutto per evitare il suo sguardo. Non voleva raccontargli la verità, se ne vergognava troppo.
«Ricky» disse Angelo poggiandogli una mano sulla spalla. Ricky sussultò e si accorse di essere stato fermo davanti al frigo aperto per parecchio tempo, probabilmente qualche minuto.
I loro occhi si incrociarono e Angelo notò che quelli di Ricky erano rossi e lucidi. Non ebbe la forza nè trovò le parole giuste, ma quando Ricky si fiondò fra le sue braccia, non ci mise troppo a capire che era proprio quello ciò di cui aveva bisogno Ricky. Lo tenne fra le sue braccia finchè non fu proprio lui ad allontanarlo.
«Scusa, ti ho bagnato la felpa» disse Ricky rosso in viso mentre si asciugava le lacrime.
«Non importa» rispose subito Angelo, poi gli fece un sorriso che l'altro tentò di replicare al meglio.
«Angelo, non metterti mai con nessuno, l'amore fa schifo» gli consigliò Ricky prendendo una bottiglia d'acqua e sedendosi di nuovo al suo posto.
«Quindi... lo amavi?»
Il ragazzo ci pensò per un pò abbandonando lo sguardo nel vuoto. Nella sua testa si ripresentarono tutti i momenti passati con Chris: baci, carezze, risate, qualche pianto, parole, sguardi. 
«No, non lo amavo» sussurrò.
«Lo amo» affermò infine. Angelo rimase senza parole. Più quella chiacchierata andava avanti, più lui si sentiva confuso e non riusciva a trovare un filo logico a quella storia. Si sedette di fronte a lui.
«Credi che lui... non ti amasse?» gli chiese con delicatezza. Aveva paura di offenderlo.
«Cosa ti fa credere che lui non mi am... che lui mi abbia amato?» gli chiese invece Ricky. Il solo pensiero che qualcuno pensasse che lui e Chris non provassero dei sentimenti fortissimi,  lo faceva andare in bestia.
«Ti ha lasciato, questo deve pur significare qualcosa» provò a giustificarsi Angelo.
«Sai, a volte ci si ritrova costretti a fare delle scelte che non vorremmo fare... magari non voleva, ma ha dovuto» disse alzando un pò la voce.
«Ma tanto tu che ne sai?» continuò sbuffando.
«Appunto, vorrei saperne di più» rispose Angelo secco. Ricky lo guardò con uno sguardo affranto e impaurito. Poteva fidarsi di lui, ma c'era qualcosa che lo frenava. Non c'era nemmeno un motivo a tutto questo: perchè mai non avrebbe dovuto raccontargli la verità?
«Non ora» rispose. In quel momento entrò in cucina Devin: trucco sbavato, occhi rossi e sbadigli continui. Non era proprio il momento di parlare.

Qualche ora dopo Ricky tornò a casa in tempo per il pranzo. Sua madre, non appena lo vide gli corse in contro.
«Come ti sei azzardato? Che hai fatto stanotte?» gli disse pronta a tirargli uno schiaffo sulla guancia. Ricky si ritrasse.
«Angelo... s-sono stato da lui, abbiamo dormito tutti a casa sua» tentò di spiegarle. Era una donna diversa da quella che appariva nella società. Il suo sguardo era inquietante.
«Non mi importa, devi tornare a casa la notte» disse alzando la voce. Un occhio di Ricky catturò una figura in cucina che li osservava: una delle tante donne di servizio. Si vergognava immensamente, sua madre non l'aveva mai rimproverato in presenza di estranei.
«Mi dispiace, non lo farò più»
La donna sbuffò passandosi una mano fra i capelli biondi, curati e lucenti.
«Spero che tu abbia davvero dormito dai tuoi amici, non ti conviene mentirmi» sussurrò guardandolo dritto negli occhi.
«C-cosa intendi? Io non ho mentito» disse Ricky impaurito.
«Intendo dire che se scopro che la notte ti piace sgattaiolare fuori casa per incontrare quel nullatenente, te la faccio pagare»
Il ragazzo provò una strana sensazione, quella volta. Niente rabbia nè frustrazione, solo tanta voglia di dimostrarle che lui aveva diritto di fare quello che voleva con la propria sessualità e con la persona che amava. Gli venne voglia di chiamare Chris, di farlo correre a casa sua, di baciarlo proprio lì, di fronte a sua madre. Eppure sapeva di non poterlo fare.
«Ho capito... mamma» mormorò l'ultima parola facendo uno sforzo sovrumano. Non avrebbe mai pensato che un giorno gli sarebbe risultato difficile utilizzare quella parola. Certo, il rapporto con lei era stato spesso freddo, ma non fino a quel punto.
«Ecco, adesso siediti, il pranzo è pronto» 
Si misero a sedere. Distanti e in silenzio, pranzarono. Ricky guardava la sedia di suo padre e pensò, per la prima volta, a quanto fortunato fosse quell'uomo: non era mai in casa, così non doveva subire gli scleri di sua moglie. 
Sospirò mandando giù qualche sorso d'acqua. Si chiedeva se suo padre fosse al corrente della sua relazione con Chris. Anche lui ci teneva a portare avanti il nome degli Olson e a camminare sempre a testa alta, ma di solito era molto più elastico nei suoi confronti. Non si sarebbe stupito se sua madre avesse preso la decisione di non raccontargli nulla. Suo padre avrebbe potuto decidere di accettarlo così com'era; era un rischio che sicuramente non voleva correre.
Finito il pranzo, sua madre uscì di casa per motivi di lavoro. Ricky riprese a respirare regolarmente. Si chiuse in camera sua e affondò la testa fra i cuscini. Stette fermo per circa un'ora. La sua mente vagò, girò in tondo, ma al centro dei suoi pensieri c'era solo Chris. Avrebbe dato tutto ciò che aveva per poterlo vedere. In fondo, non chiedeva molto: voleva solo stare con la persona che amava. 
Strinse i denti e si alzò; aveva intenzione di chiamarlo. Non poteva soccombere alle decisioni di sua madre, per una volta nella vita sarebbe stato lui a decidere.





Ehi! Sono ritornata con un altro fantastico (ho i miei dubbi) capitolo :3 Lo so è un pò triste e deprimente, ma si sa che l'amore fa male(?)
Spero davvero con tutto il cuore che non abbandoniate questa storia. Ci tengo a ringraziare tutti quelli che, fortunatamente, ancora mi seguono *abbraccio virtuale*
Spero di leggere qualche recensione in più, ma okay, l'importante è che continuiate a leggere...
Vi saluto tutti e... niente, alla prossima!

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Capitolo 16
*** Capitolo 15-Instinctive and passionate... but I love you ***


Capitolo 15 - Instinctive and passionate... but I love you.
Camminava deciso e spedito. Non sapeva se quella sarebbe stata una buona idea. Parlare con lui forse non avrebbe risolto nulla, ma voleva provarci. Ormai lontano dal suo quartiere, cominciò a sentire il peso di un posto che non conosceva bene. Aveva quasi paura. L'aria sembrava avere un odore e una densità diversa; sembrava pesargli sulle spalle. 
Cominciò a pensare che andare lì fosse stata un'idea stupida, sbagliata e inutile. Cosa avrebbe risolto? Probabilmente nulla.
Arrivato a destinazione -o almeno sperò con tutto se stesso di non essersi sbagliato-, prese un grande respiro e si avvicinò alla porta. Dopo qualche secondo, suonò il campanello. Quando davanti a lui comparve una ragazza dai capelli biondi e il fisico di una modella, pensò di essersi sbagliato. Si sarebbe voluto sotterrare.
«Ciao» disse lei accigliata. Non lo conosceva e questo le parve strano. Un tipo del genere si sarebbe notato da quelle parti, proprio come Chris.
«C-ciao» rispose il ragazzo, intimidito. La ragazza sbuffò leggermente.
«Ehm... ti serve qualcosa?» gli chiese cercando di tagliare corto.
«I-io... sì, io stavo cercando una persona» disse lui guardandosi un attimo intorno, con le mani nelle tasche.
«Non so se... forse ho sbagliato casa, ma-»
«Okay, okay, dimmi chi è» lo interruppe lei. 
«Se è di queste parti potrei conoscerlo e aiutarti, come si chiama?»
Il ragazzo annuì e il respiro cominciò a riprendere un ritmo regolare.
«Chris... Christopher»
L'espressione della ragazza mutò radicalmente. Divenne improvvisamente interessata, allarmata. 
«Perchè lo cerchi?»
Quella domanda gli fece capire che, allora, non si era sbagliato. Lei lo conosceva. Forse quella era la Jane di cui Ricky gli aveva parlato di tanto in tanto.
«Ehm... voglio parlargli di una cosa»
Rimasero un attimo in silenzio, poi la ragazza parlò.
«Chi sei?»
«Mi chiamo Angelo» rispose lui. La ragazza ci mise un pò a connettere, poi sorrise appena.
«Ah, l'amico di Ricky, vero?»
Lui annuì subito.
«Io sono Jane... entra» 
La ragazza si spostò dalla porta e lo lasciò passare. Angelo, non appena mise piede in quella casa, si guardò intorno: il salone era in ordine, non c'era polvere sui mobili, l'aria profumava di pulito. Non era esattamente quello che aveva immaginato. In un quartiere povero come quello, non ci si aspettava di trovare una casa così accogliente e anche alquanto decorosa.
Jane gli disse di seguirlo. Arrivati in cucina, lo fece accomodare al tavolo.
«Vuoi bere qualcosa? Acqua, caffè, thé?»
«Un pò d'acqua, grazie» rispose Angelo. Aveva la gola secca. Bevve un intero bicchiere d'acqua non appena gli fu servito e si sentì meglio.
«Ehm... quindi, posso sapere dov'è Chris?» chiese Angelo.
«Bella domanda, vorrei saperlo pure io... al'improvviso sparisce» disse lei ravvivandosi i capelli. Sembrava rilassata, non si preoccupava del comportamento di Chris.
«Stamattina è uscito presto per andare a lavoro, a quest'ora dovrebbe già essere qui, ma a quanto pare non è tornato»
Angelo si scusò per l'orario, andare lì di sera non era stata una buona idea. Ma visto che comunque Chris aveva un lavoro che lo impegnava tutto il giorno, sarebbe stata una cattiva idea anche andare di pomeriggio. Semplicemente, avrebbe fatto meglio a starsene a casa.
«Senti, posso provare a chiamarlo se proprio vuoi parlargli»
«Sì, per favore» rispose Angelo. Jane chiamò Chris un paio di volte prima che lui si degnasse di rispondere. La ragazza gli chiese di tornare subito a casa, disse che era urgente. Chris in un primo momento rispose che non aveva voglia di tornare, ma Jane riuscì a convincerlo.

Quando Chris entrò in casa udì subito una voce maschile. Gli sembrò di conoscerla, ma non riusciva ad associarla a nessun volto. Incuriosito, si incamminò verso la cucina, ma venne raggiunto nel salone da Jane.
«Chris, ma che cavolo, lo sai che quando fai tardi mi devi avvertire» lo rimproverò mentre si avvicinava a lui.
«A che ora avevi intenzione di tornare stasera?»
Chris sbuffò annoiato.
«Senti, Jane, non ho avuto una bella giornata, lasciami in pace» disse togliendosi la maglia. Si sentiva parecchio stanco, ma ciò che ne risentiva di più di quella vita di sbattimenti, era sicuramente il suo morale.
«Piuttosto, perchè mi hai chiamato?»
Jane ebbe un attimo di esitazione, ma non le servì parlare. Alle sue spalle comparve Angelo e gli occhi di Chris corsero velocemente dalla figura di Jane a quella del ragazzo. In un attimo il suo cuore cominciò a battere fortissimo e la sua mente formulò mille domande. 
«Vi lascio soli» disse Jane salutando Angelo e andando verso la camera da letto. Non appena sentì la porta chiudersi, Chris rivolse la sua attenzione solo ad Angelo.
«Dimmi che non gli è successo niente» disse cercando di non agitarsi. Angelo lo guardò un attimo spaesato, poi scosse la testa.
«No, sta bene... credo»
«Credi?»
«Sì, io... ecco, in realtà sono qui per capire cos'è successo fra di voi»
Chris si accigliò, poi seguì un lungo sospiro. 
«Se non vuole parlartene lui, perchè dovrei farlo io?» gli chiese passandogli accanto. Una volta in cucina, lasciò la maglia sullo schienale di una sedia e aprì il frigorifero; bevve qualcosa come un litro d'acqua in soli pochi sorsi.
«Chris, l'unica cosa che so è che gli manchi, tanto... a me non piace vederlo così, non mi piace che pianga»
A Chris sfuggì un sorriso beffardo che nascose perfettamente la sua preoccupazione. Gli venne voglia di spararsi una pallottola in mezzo agli occhi. Perchè si era messo in quella situazione? Perchè aveva deciso di immischiarsi nella vita di Ricky? La loro relazione aveva portato solo problemi. In fin dei conti, però, non poteva darsi alcuna colpa. Chris sapeva di non aver sbagliato nulla.
«Sai, Angelo, non ho mai voluto avere intorno ragazzini ricchi e viziati, ma Ricky mi sembrava diverso... purtroppo solo ora mi accorgo che non è così, Ricky è proprio come tutti gli altri» disse con tanta delusione nella voce, negli occhi, nell'espressione.
«Cosa vorresti dire?» lo affrontò Angelo. Sentiva come se, dopo tutto il tempo passato con Ricky, adesso Chris stesse parlando male di lui senza alcun motivo. 
«Voglio dire che se non mi avesse lasciato, adesso non starebbe così male» disse tenendo gli occhi fissi in quelli di Angelo. Non si sarebbe lasciato spaventare da lui. La sua presenza lo stava già infastidendo, era pronto a mandarlo via a calci.
«È... è stato lui a lasciarti?» chiese Angelo accigliandosi. Chris annuì, poi si rese conto che qualcosa non andava. Perchè gli aveva fatto quella domanda?
«No, aspetta... a me Ricky ha detto che sei stato tu a lasciare lui»
Chris rimase immobile, ci mise un pò per capire cosa stesse succedendo. O almeno ci provò. Non si sarebbe mai aspettato una cosa simile da Ricky, non sapeva perchè l'aveva fatto, non capiva il motivo di quella bugia.
«No, senti, le cose sono andate diversamente» disse Chris sedendosi. Angelo fece lo stesso incuriosito da tutta quella situazione.
«È stato lui a lasciare me, non mi ha dato un vero motivo... anzi, mi ha detto che aveva incontrato una ragazza, ma non gli credo, stava mentendo sicuramente» terminò lasciando un pò il discorso in sospeso. Non sapeva se poteva dirgli quello che pensava fosse successo realmente. In fondo, Ricky ed Angelo erano amici, e se non era stato proprio Ricky a parlargliene, perchè avrebbe dovuto farlo lui? Poi, magari, poteva anche sbagliarsi; magari Ricky si era solo stancato di lui e aveva deciso di lasciarlo.
«Perchè dovrei credere a te e non a lui?» gli chiese Angelo.
«Perchè sei venuto qui se poi non hai intenzione di credermi?» gli domandò a sua vota con aria di sfida. Angelo sostenne ancora un pò il suo sguardo, poi lo abbassò.
«Allora, se è stato lui a lasciarti, perchè sta così male?»
Chris sospirò. Era troppo combattuto, ma infine decise che parlarne con lui forse non sarebbe stato tanto terribile.
«Credo che c'entri qualcosa sua madre»
Angelo continuava a non capire. Lei non era al corrente di nulla, come poteva aver creato scompiglio?
«Ricky non le ha detto nulla di... di voi due» mormorò.
«Non credo le sia servito Ricky per scoprirlo»
L'altro ragazzo si accigliò.
«Ci ha visti» terminò Chris con una punta di imbarazzo nella voce. Non gli piaceva parlare dei momenti che aveva condiviso con Ricky. Odiava dover condividere con qualcuno quei dettagli personali, cose che appartenevano solo a lui e all'altra persona.
«Vi ha visti fare... cosa, precisamente?» gli chiese Angelo. Poteva immaginarlo, certo, ma era sinceramente curioso di sapere qualche particolare della loro storia che Ricky non gli raccontava. Tutto ciò che sapeva, cioè che i due ragazzi si limitavano a baciarsi e toccarsi qua e là senza ancora andare sotto i vestiti, aveva dovuto estorcerlo all'amico.
«Io... io non lo so, un bacio... credo» cercò di tagliare corto Chris. Ricordava bene cosa era successo quella sera, aveva stampato nella mente gli occhi di Ricky puntati nei suoi mentre erano sul divano, ricordava il suo corpo sotto il peso dell'altro ragazzo, ricordava le sue mani sui fianchi di Ricky e non avrebbe mai potuto dimenticare quelle poche parole che si erano scambiati e quel bacio così dolce. Sapeva bene che tutto quello l'avevano fatto sotto gli occhi della madre di Ricky. 
«Credi?» gli chiese ancora Angelo. Quindi si erano spinti un pò oltre e Ricky, probabilmente per la sua timidezza, non gliel'aveva raccontato.
Chris sospirò. Quel ragazzo era troppo curioso, doveva fermarlo prima che continuasse con tutte quelle domande.
«Se lo credo davvero? No, probabilmente ha visto qualcosa in più di un semplice bacio» disse con un tono fermo.
«Fatto sta che ci ha scoperti e sono sicuro che abbia convinto Ricky a lasciarmi, non mi pare che le piacessi un granchè» 
Angelo annuì pensando a quanto gli era stato detto. In effetti, il racconto di Chris stava in piedi, non come quello di Ricky che l'aveva lasciato a dir poco confuso. Chiese a Chris di raccontargli un pò meglio tutto quello che era successo e il ragazzo, un pò contro voglia, gli parlò del battibecco con la madre di Ricky. Angelo lo lasciò parlare, non lo interruppe. Stranamente, più lo sentiva parlare, più cambiava idea su di lui. Era stato abituato -come quasi tutti nel suo quartiere ricco di gente benestante- ad allontanare le persone provenienti dai famosi "quartieri dei poveri". Così aveva sempre sentito chiamare i quartieri di periferia. In effetti, non erano solo voci, c'era della brutta gente da quelle parti, ma Chris aveva qualcosa di diverso. Sembrava la classica eccezione alla regola.
Quando Chris finì il suo discorso, rimasero un attimo in silenzio. Angelo spostò lo sguardo verso il basso e quando lo rialzò aveva un'espressione quasi mortificata. Gli dispiaceva aver pensato male di lui quando l'aveva conosciuto, il suo aspetto l'aveva tratto in inganno.
«Io... mi dispiace, pensavo fossi stato tu a lasciarlo»
«Figurati... sembravi sul piede di guerra prima» rispose Chris rilassandosi un pò. Cominciava ad avere fame. Aveva passato una giornata intera con solo un caffè e un mezzo sandwich nello stomaco. Ma decise di non dargli peso, ci avrebbe pensato dopo.
«Non volevo spaventarti» rispose Angelo di getto, senza pensare. Quando lo vide ridere però si sentì molto a disagio.
«Spaventarmi? Dio, ci vuole molto di più per spaventarmi»
Quasi non riuscì a finire la frase che nell'ambiente di sparsero due fortissimi colpi. Provenivano dalla porta. Chris scattò in piedi e con un passo sostenuto arrivò all'ingresso. Angelo rimase fermo, non sapeva cosa fare.
Quando Chris aprì la porta, si ritrovò davanti la persona che meno si sarebbe aspettato di vedere: suo padre.
«Cazzo, Michael, ma ti pare il caso?» gli chiese notando i vari segni che l'alcol, anche quella sera, avevano lasciato su di lui. Puzzava, rideva e non riusciva a parlare.     Di suo padre avrebbe ricordato per sempre che era un pezzo di merda sempre ubriaco.
«Che vuoi?»
«I-io... voglio...» non riuscì a terminare la frase. Cadde a terra, svenuto. Chris non tentò nemmeno di aiutarlo, lasciò che si schiantasse al suolo. Decise di trascinarlo in casa, ma non perchè non l'avrebbe mai lasciato nel freddo di quella sera, ma perchè era senza maglia e non avrebbe preso freddo per colpa di quell'ubriacone.
Lo trascinò in casa e chiuse la porta. Tornò da Angelo subito dopo.
«Scusa, dicevamo?» gli chiese sedendosi di nuovo, proprio come non fosse accaduto nulla.
«C-chi è quell'uomo?» domandò Angelo guardando verso l'altra stanza.
«Ah, lascia stare, è solo mio padre» rispose Chris con una totale indifferenza nella voce.
Angelo lo guardò perplesso. 
«Che c'è? È uno stronzo, gli stronzi non vanno trattati bene» disse Chris quasi giustificandosi per averlo lasciato per terra in mezzo al salone. Angelo annuì lentamente. In quel momento Jane apparì in cucina.
«Che cazzo ci fa tuo padre nel mio salone?» chiese con una leggera sfumatura di rabbia nel tono.
«Lo so, scusa, fra un pò lo sveglio e lo sbatto fuori»
«Ecco... comunque, ragazzi, avete fame? Io sì» disse Jane di nuovo sorridente.
«Ecco io... credo che dovrei tornare a casa» disse Angelo.
«Ma no, dai, dopo ti riaccompagna Chris»
Il ragazzo, sentendosi nominare, rivolse tutta l'attenzione a Jane. Ma chi cazzo gliel'aveva chiesto di dire quella cavolata? Era stanco, voleva solo mangiare qualcosa e andare a letto. Ma, per qualche ragione non declinò l'offerta fatta dalla ragazza.
«Se per te non è un problema» disse infine Angelo guardando Chris. Lui scosse la testa e gli rivolse un mezzo sorriso. 
«Okay, che ne dite di una pizza?» chiese Jane e tutti annuirono.
«Intanto vado a farmi una doccia» disse Chris alzandosi e avviandosi in bagno. Fece solo una piccola sosta per tirare un calcio nello stomaco a suo padre e per  frugargli nelle tasche. Vi trovò un pacchetto di sigarette quasi pieno e pochi soldi, ma Chris non disdegnava nulla quindi prese tutto e se lo infilò in tasca.

Mangiarono tranquillamente, seduti nel salone a guardare la tv e a prendere in giro Michael. Angelo si era davvero ricreduto su di loro. Certo, sapeva che in quella periferia c'erano poche persone come loro, ma era un bene che Ricky avesse scelto lui. Chris, sotto quella massa di tatuaggi, piercing e sguardi intimidatori, era un ragazzo come un altro. Era semplice, gentile, anche un pò timido. In qualche modo si sentiva come autorizzato ad aiutarlo a tornare con Ricky. Aveva capito che Chris, in fondo, al suo migliore amico, voleva bene.
«Christopher, credo sia ora di svegliarlo, vorrei andare a dormire» disse Jane indicandogli l'uomo ancora svenuto sul pavimento. 
«Sì, hai ragione» disse alzandosi. Non dovette cercare il coraggio o radunare le sue forze, non gli fece nemmeno male pensare a quello che avrebbe fatto. Si avvicinò a suo padre, lo afferrò per il collo e senza nemmeno pensarci lo schiaffeggiò pesantemente sul viso. Lo fece un paio di volte e l'uomo spalancò gli occhi sbraitando. Chris ignorò le sue lamentele e lo spinse verso la porta che chiuse appena l'uomo mise entrambi i piedi all'esterno della casa.
«Se ne andrà subito, non è vero?» chiese Jane non appena rivide Chris nel salone.
«Gli servono pochi secondi, poi comincerà ad avere voglia di bere e se ne andrà»
Jane alzò le spalle un pò più rilassata. Michael Cerulli era un uomo abbastanza famoso per i vicoli stretti di quei quartieri, ma lo era perchè aveva vomitato più volte davanti a case di sconosciuti, o perchè aveva fatto incazzare qualcuno, oppure perchè aveva debiti qua e là. Non era di quelli pericolosi, di cui preoccuparsi, ma Michael era una calamita per i problemi e di conseguenza a Jane non piaceva che restasse intorno a casa sua.
Non ci volle molto che i passi sconnessi e le parole pronunciate male scomparvero. Se n'era andato.
«Okay, adesso, posso accompagnarti» disse Chris rivolgendosi completamente ad Angelo. Il ragazzo annuì  alzandosi dal divano.
«Jane, vuoi venire con noi?» le chiese Chris. In effetti era preoccupato che suo padre tornasse mentre lui non c'era. Non voleva che infastidisse Jane in nessun modo. Jane la percepì quella preoccupazione. Aveva imparato a conoscerlo, riconosceva i suoi sguardi, le sue parole. Era come un libro aperto.
«No, tranquillo... ma non metterci troppo» 
Chris annuì e aspettò che Jane e Angelo si salutassero, poi uscirono di casa e Chris condusse Angelo all'auto di Jane. Durante il tragitto non si dissero molto, solo parole buttate lì per riempire il silenzio e qualche indicazione che Angelo dava a Chris per poter arrivare fuori casa sua.  Quando arrivarono a destinazione, Chris si guardò intorno. Anche quel quartiere era popolato di gente benestante. Sicuramente anche Angelo lo era.
«Ehm... allora, buonanotte e... grazie»  disse Angelo un pò imbarazzato, poi si decise a scendere dall'auto, ma Chris gli afferrò un braccio.
«Aspetta»
E Angelo aspettò, attese quanto bastava all'altro ragazzo per raccogliere tutti i pensieri.
«Devi farmi sapere come sta» disse Chris senza guardarlo. 
«Ti chiamerò»
Chris sorrise al vuoto davanti ai suoi occhi. 
«Voglio vederlo, ma voglio che sia lui a fare qualcosa» mormorò Chris.
«Potrò sembrarti anche un egoista, ma io non ce la faccio a... voglio che lui capisca che fra di noi c'era qualcosa di speciale per cui vale la pena lottare, ma deve fare tutto lui stavolta, anche se mi manca e farei di tutto pur di poter stare di nuovo con lui... non farò nulla, nulla... però vorrei che sapesse che io posso aspettare, non all'infinito, non lo aspetterò per sempre, ma ho voglia di toccarlo ancora, di sentire la sua voce e di vedere il suo sorriso, io posso aspettare ancora ma voglio che venga lui da me, io sono troppo stanco... puoi dirglielo?»
Angelo lo guardò con gli occhi pieni di tristezza, ma anche ammirazione. Chris era evidentemente a pezzi. I suoi occhi, i suoi movimenti lenti, la sua voce spezzata e insicura, tutto rendeva il suo dolore visibile, quasi palpabile.
«Lui non sa che sono venuto qui, non posso dirglielo» rispose timoroso. Non sapeva perchè, ma non voleva deluderlo.
«Angelo ho bisogno che Ricky lo sappia, non voglio che pensi che me ne sono fregato, voglio che capisca che sto solo aspettando che lui faccia un passo verso di me... solo perchè io non posso farlo, non posso riuscirci»
Angelo lo guardò negli occhi a lungo, poi annuì.
«Va bene» disse infine. L'espressione di Chris tramutò in una sorriso di ringraziamento. Se Angelo avesse riferito tutto a Ricky, gli sarebbe stato grato per sempre.
Quando il ragazzo scese dall'auto, Chris si rimise sulla strada di casa. 

Entrò nella camera da letto e Jane non c'era, probabilmente era in bagno a farsi una doccia. Si sedette sul bordo del letto e si tolse le scarpe. Non fece altro. Voleva sdraiarsi e dormire, ma gli scoppiava la testa. Non aveva smesso di pensare un attimo a ciò che aveva detto ad Angelo. Voleva che Ricky sapesse quello che sentiva, voleva che Ricky capisse quanto era importante per lui, ma allo stesso tempo voleva fargli capire che quella fra di loro non era una storia romantica da film, non sarebbe durata tanto se lui non si fosse dato una mossa. Aveva una strana sensazione nel petto, era come se sapesse già a cosa andava in contro se fosse tornato con Ricky. Non si era mai sentito così confuso ed insicuro in tutta la sua vita. Sapere di essere innamorato di lui lo rendeva felice, ma allo stesso tempo lo spaventava perchè sapeva che la loro relazione avrebbe portato solo ad un grande disastro. Il loro lieto fine, se mai fosse arrivato, si sarebbe fatto attendere.
Stava per sdraiarsi quando dalla porta comparve Jane. Aveva i capelli bagnati che le ricadevano sulle spalle, un asciugamano bianco intorno al corpo ed era a piedi nudi. 
«Tutto bene?» gli chiese a voce bassa, senza spostarsi dalla porta. Chris la guardò senza alcuna espressione sul viso. Restò immobile per un pò, poi la ragazza si avvicinò e si sedette di fianco a lui. Gli avvolse le spalle con un braccio.
«Ehi»
Chris le accennò un amaro sorriso e lei lo strinse un pò di più. Chris la lasciò fare, si sentiva bene in quel momento. Gli piaceva quella sensazione, non essere lui ad abbracciare, a consolare, a rassicurare, era davvero bello. Non gli succedeva spesso, di solito era lui ad essere quello forte, era sempre lui a lasciare chiunque piangere sulla sua spalla.
La ragazza gli accarezzò lentamente la schiena e posò qualche bacio sulla sua spalla. Chris continuò a guardarla, a sentire il delicato profumo della sua pelle, a percepire la sua calda mano addosso. Jane era una creatura così  dolce ed aggraziata, gli capitava di restare talmente ammaliato dalla sua bellezza da restare a fissarla per lunghi minuti. Non si stancava mai. 
Si guardarono negli occhi per un pò. All'inizio lei gli sorrideva, ma man mano il suo sorriso andò a scemare e la sua espressione divenne seria. Chris le accarezzò una guancia delicatamente, era morbida e cada. Non smisero di guardarsi nemmeno un secondo. La scarsa luce che li circondava stava riscaldando l'atmosfera senza che loro facessero troppi sforzi. E i loro visi erano sempre più vicini, tanto da potersi quasi sfiorare. In quel momento nessuno dei due pensava a quanto tutto quello potesse essere giusto o sbagliato. Fu un bacio lento ma pieno di passione quello che si scambiarono. Chris sembrava averne bisogno più dell'ossigeno, mentre Jane si aggrappò a lui con forza. Ad entrambi era mancato potersi toccare. Chris decise di non pensare a quanto immorale fosse quel suo comportamento, allontanò ogni pensiero, ogni preoccupazione e si dedicò solo a Jane. La desiderava ardentemente. 
Jane non provò a tirarsi indietro, era eccitata, forse più di lui. Chris la tirò su di lui senza interrompere quel bacio. Le tolse l'ingombrante asciugamano e cominciò a toccare quella pelle ancora umida con una certa avidità. Lasciò in un angolo remoto del suo cervello le buone maniere, strinse le mani su di lei, sui fianchi, sui seni, non risparmiò le sue parti più intime. Il continuo ansimare di Jane spingeva Chris a cercare ancora di più quel contatto. Le loro labbra si separarono e Jane colse l'occasione per spogliarlo, stavano dando fastidio ad entrambi tutti quei vestiti. Quando anche lui rimase senza alcun indumento addosso, il ragazzo afferrò Jane e la spine sul letto, sotto di lui. Baciò e leccò ogni parte del corpo della ragazza che, rapidamente, si ricoprì di brividi. Sentiva il desiderio crescente di possederla. 
Presto, entrambi ne ebbero abbastanza dei preliminari e si abbandonarono a quell'atto che non era dettato dalla dolcezza o dall'amore. Quelle lunghe ore che seguirono, erano colme di desiderio; quei gemiti, quelle urla di piacere sapevano di  passione, i loro movimenti erano animaleschi e primitivi.

Le lenzuola erano cadute sul pavimento, i cuscini erano sparsi sul materasso disordinatamente e i loro corpi erano stanchi e tremanti, avevano ancora il respiro affannoso.
Jane rilasciò un sospiro seguito da un sorriso raggiante.
«Che c'è?» le chiese Chris.
«Niente, è stato del meraviglioso sesso selvaggio» sussurrò Jane sensualmente.
«Grazie» disse subito dopo.
«Dovrei essere io a ringraziare te, non scopavo da... cazzo, quasi tre mesi»
La ragazza scoppiò a ridere e Chris fece lo stesso. Si sentiva libero come non mai. 
Jane ritornò seria e si sdraiò su un lato appoggiando la testa sul palmo della mano e il gomito su un cuscino, così da poter vedere meglio il viso del ragazzo. Con l'altra mano cominciò ad accarezzargli la spalla, quasi solleticandolo con la punta delle dita.
«Ti senti in colpa?» gli domandò in un sussurro. Chris la guardò negli occhi.
«Per il meraviglioso sesso selvaggio? No, lo rifarei subito»
Jane sorrise. In fondo, pur volendogli bene quasi come un fratello, non poteva non essere felice che lui le rivolgesse quel tipo di attenzioni.
«E... Ricky?»
Chris roteò gli occhi, sembrava davvero annoiato da quel discorso.
«Non lo so, chiedimelo domani mattina, quando ripenserò al meraviglioso sesso selvaggio e mi renderò conto che, visti i miei principi morali, ho tradito il più che probabile amore della mia vita»
Jane inarcò le sopracciglia, ma infine annuì e si sdraiò di nuovo, a pancia in giù. Non si dissero altro, Jane dopo qualche secondo dormiva già beatamente. Non appena se ne accorse, Chris recuperò le coperte e coprì entrambi. Non ci volle molto prima che si addormentasse anche lui.
Il mattino seguente venne svegliato da Jane che urlava e correva per la camera come una matta. Guardò subito la sveglia sul comodino: erano le già le nove. Scattò in piedi e corse verso il bagno. Era in ritardo di circa un'ora. Era in ritardo e probabilmente Michael l'avrebbe licenziato. Ancora completamente nudo, si lavò i denti, si sciacquò il viso e si sistemò i capelli. Avrebbe tanto voluto avere il tempo per farsi una doccia, ma non ne aveva tempo. Si vestì e corse fuori casa salutando Jane mentre chiudeva la porta. Corse verso la fermata dell'autobus e non lo perse per un pelo. Col fiatone si sedette su un sedile e ringraziò chiunque avesse deciso che lui, in quella vita, dovesse essere dotato di quelle gambe tanto lunghe.
Arrivato a destinazione, scese di corsa e a passo veloce arrivò all'officina. 
«Michael» chiamò ansante, ma nessuno rispose. Non era possibile che Michael fosse uscito lasciando tutto aperto. Preoccupato, si avviò verso lo studio del suo capo. Mentre stava per entrare, però, dalla porta aperta compare una ragazza. Chris restò fermo a guardarla: aveva il viso sottile, degli occhi grandi e verdi, i capelli ondulati e di uno splendente castano chiaro le incorniciavano il volto sfiorandole appena le spalle, il naso alla francese a dir poco perfetto era coperto da qualche leggera lentiggine e le sue labbra erano carnose e tinte di un rosso intenso.
«Ehi, tu devi essere Chris»
Il ragazzo scosse impercettibilmente la testa e annuì.
«Sì, ma... tu chi sei?»
«Sheryl, la figlia di Michael»
Chris rimase a bocca aperta. Michael gli aveva parlato di sua figlia, in effetti gli aveva anche detto che presto si sarebbe trasferita per un pò da lui. 
La ragazza ignorò lo sguardo inebetito di Chris e gli passò accanto. Chris la seguì con lo sguardo. In quel momento riuscì ad osservarla meglio: era abbastanza alta, le gambe slanciate erano fasciate dai jeans a vita alta, una maglietta rossa le strizzava il punto vita mettendo ancor più in risalto la sua silhouette morbida, formosa.
«Sbaglio o tu saresti dovuto essere qui già da un'ora?» 
Chris si riprese da quello stato di trance e spostò gli occhi dai generosi fianchi della ragazza. 
«Ehm... sì» mormorò Chris un pò a disagio. Non sapeva bene come comportarsi con quella ragazza che era molto giovane, probabilmente sua coetanea, ma allo stesso tempo era la figlia del suo capo.
La ragazza si voltò verso di lui e i loro sguardi si incrociarono. Cercò di mantenere quell'espressione severa, ma non le riuscì e scoppiò in una risata fragorosa.
«Perchè ridi?» le chiese Chris.
«Scusa, scusa, è che... nulla, sta tranquillo, non dirò a mio padre che sei arrivato con un'ora di ritardo»
Chris sembrò subito sollevato e tutta la tensione accumulata la liberò in un sospiro seguito da un sorriso. 
«Dov'è Michael?»
«Non lo so, ha aperto ed è uscito dopo cinque minuti, mi ha detto di aspettare che arrivassi tu» rispose la ragazza. Chris annuì e si diede uno sguardo intorno. Nonostante gli sarebbe piaciuto continuare a chiacchierare con Sheryl, decise che quello era il momento per mettersi a lavoro. Doveva completare un lavoro iniziato il giorno prima.
Si tirò su le maniche della vecchia felpa che ormai utilizzava solo per lavorare. In quel momento sentì Sheryl emettere un suono di stupore e, voltandosi verso di lei, anche la sua espressione sembrava meravigliata. 
La ragazza corse verso di lui afferrandogli il braccio destro. Guardò con attenzione i suoi tatuaggi e li accarezzò mentre li squadrava. Stranamente Chris non si tirò indietro. Di solito non gli piaceva il contatto fisico, a meno che non fosse lui a richiederlo. Lasciò che Sheryl si divertisse in quell'accurato lavoro di osservazione. 
«Mio padre mi ha parlato di te» disse lei improvvisamente lasciando il suo braccio. Non si allontanò da lui, anzi, se possibile si avvicinò ancora di più. A Chris tutto quello non sfuggì di certo. La cosa che lo spaventò di più fu che non tentò di allontanarsi da lei. Non capiva cosa gli stesse succedendo.
«Ah sì? E cosa ti ha detto?»
La ragazza fece spallucce sorridendogli.
«Delle cose... cose buone»
Chris sorrise, poi scosse la testa e si mise a lavoro. Sheryl rimase a guardarlo per un pò, ma poi lo lasciò solo. Dopo pochi minuti arrivò Michael. Sembrò felice di vedere che sua figlia e Chris si fossero già conosciuti e che andavano d'accordo.

Chris rientrò in casa. Sporco, distrutto e maleodorante, ecco come si sentiva. Solo quando era già in bagno si rese conto che in casa non c'era nessuno. Decise subito di farsi una doccia che gli lavasse via tutta la stanchezza, poi si vesti e andò in cucina. Mentre mangiava la prima cosa che gli era capitata a tiro, prese il suo cellulare che quel giorno, nella fretta, aveva dimenticato a casa. Perse un battito quando, fra tutte le chiamate perse di Jane, ne trovò anche una di Ricky. Che Angelo avesse deciso davvero di parlare con lui? Non ne aveva idea, ma quella chiamata c'era e non poteva certo far finta di niente. Improvvisamente, tutto ciò che aveva fatto, cominciò a fargli male. Andare a letto con Jane per scaricare la tensione non era stata una buona idea. E non lo era stata nemmeno flirtare con Sheryl tutto il giorno. L'avevano fatto in modo scherzoso, ma Chris non poteva negare che quella ragazza aveva qualcosa che lo attraeva. Solo in quel momento si sentì in colpa per le sue azioni. Si diede dello stupido perchè magari Ricky era in casa sua a disperarsi e a lottare contro sua madre, e invece lui cosa aveva fatto? L'aveva ringraziato così, andando a letto con un'altra e provandoci con la figlia del suo capo.
Si passò una mano fra i capelli e sospirò pesantemente. Forse avrebbe dovuto chiamarlo.






Ed ecco un altro capitolo! Spero tanto che vi piaccia e che non vi faccia tanto schifo quanto ne fa a me lol Recensite(?) 
Alla prossima :3

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16-And without you, I'm hopeless ***


Capitolo 16 - And without you, I'm hopeless.
Quella sera era scivolata via lentamente. Non era uscito con i suoi amici, non l'aveva fatto anche per non subirsi le urla di sua madre al ritorno, e non aveva cenato fingendo un mal di stomaco. Si era messo sotto le coperte e aveva ascoltato la musica per tutto il tempo. Sentiva davvero un dolore allo stomaco, ma non era lo stesso dolore che aveva finto davanti ai suoi genitori. Quello era un dolore che si estendeva al petto, alla testa. Forse era tensione, forse era paura, non ne aveva assolutamente idea. Quando Angelo era andato a casa sua, quel pomeriggio, e gli aveva raccontato di quello che aveva fatto, era scoppiato in lacrime. Non sapeva se quella reazione fosse derivata dalla vergogna per la bugia che aveva detto, per il fatto che Angelo avesse fatto tanta strada per lui, o per le parole che il ragazzo gli aveva riferito per volere di Chris. Perchè gli chiedeva uno sforzo così grande? Non capiva che per lui era impossibile fare qualunque cosa?
Strinse un cuscino al petto. Nonostante fosse arrabbiato con Chris per quello che gli aveva chiesto e perchè non gli aveva risposto al cellulare, la sua mente non riuscì a frenare il desiderio che aveva di potersi stringere ancora a lui. Tentò di immaginare che quel cuscino fosse il corpo caldo dell'altro ragazzo, ma non c'era nulla di lui in quel letto; nè il suo odore, nè la sua voce o il suo sguardo premuroso, non c'erano le sue braccia a stringerlo e i suoi denti sempre pronti a mordicchiarlo ovunque. Senza di lui era tutto così vuoto, spento, si sentiva debole. La disperazione era tanta che non poteva pensare ad un domani senza di lui. Aveva provato a convincersi che quella per Chris fosse solo una cotta passeggera, ma dentro di sè conosceva la verità e non poteva negarla.
Sorrise amaramente. Gli mancavano troppo quei momenti fra di loro, quando dal nulla si abbracciavano e tutto sembrava più bello.
Trasalì quando sentì una vibrazione forte alle sue spalle. Afferrò velocemente il cellulare e gli occhi gli brillarono quando lesse il suo nome sullo schermo. Rispose subito.
«Chris» disse freneticamente mentre si sedeva in mezzo al letto. Si accorse di aver alzato un pò troppo la voce e decise di moderarsi.
«Ehi» gli rispose la voce soffice e avvolgente dell'altro. 
«Come stai?»
Quella domanda arrivò a Ricky è il cuore gli esplose. Gli importava davvero sapere come stava, altrimenti non gliel'avrebbe chiesto.
«Mi manchi... ti stavo pensando» mormorò Ricky.
«Angelo ti ha-»
«Sì» lo interruppe subito il più giovane.
«E avrei tante cose da dirti a riguardo, ma... adesso ho solo voglia di vederti, Chris»
Sentì il sospiro leggero del ragazzo.
«T-tu... tu non vuoi?» gli chiese allora impaurito.
«Certo che voglio»
«Ma?» chiese Ricky un pò allarmato. La voce di Chris sembrava perplessa, insicura, titubante. Non gli aveva mai parlato così.
«Se hai parlato con Angelo allora sai cosa mi passa per la testa»
Ricky rimase per qualche secondo in silenzio. Non sapeva cosa dirgli.  Quella situazione gli sembrava un ostacolo troppo difficile da superare. Prese un grande respiro cercando di darsi coraggio.
«Quando possiamo vederci?» gli chiese con un tono quasi autoritario. Gli sembrò impossibile che avesse usato quel tono con lui. O che l'avesse usato in generale.
«Ti vengo a prendere ora, possiamo andarcene da qualche parte o stare qui... Jane non c'è»
Ricky perse un battito. Non si aspettava certo che Chris decidesse di correre da lui così presto, e di certo non aveva alcuna idea di come avrebbe fatto ad uscire da quella prigione.
«Va bene» rispose di getto, senza pensarci due volte. Mandò al diavolo tutto, non gli importava più di nulla se non di Chris.
 
Avevano progettato un piano in pochi minuti, Chris aveva pronunciato un "funzionerà" abbastanza convinto, mentre lui era spaventato, ma ci sperava lo stesso. Ricky aveva chiamato Angelo, gli aveva detto di richiamarlo sul telefono fisso così che sua madre potesse sentire sicuramente la telefonata, Angelo aveva finto di aver avuto un problema con i compiti e Ricky, sperando che sua madre gli avrebbe dato il permesso, gli aveva detto che in poco tempo sarebbe stato da lui. Avendo risposto al telefono nel salone, Ricky era stato sotto lo guardo vigile di sua madre che era seduta sul divano, davanti alla tv, con un bicchiere di vino rosso in mano. Quando le aveva spiegato la situazione l'aveva vista pensare per qualche secondo, poi aveva detto che avrebbe dovuto chiederlo a suo padre. Fortunatamente l'uomo non si era opposto e lui stesso l'aveva accompagnato a casa di Angelo. 
«Mi raccomando, non fare troppo tardi» gli disse prima che scendesse dall'auto.
«Cercherò di sbrigarmi, a dopo» disse poi chiudendo la portiera e correndo verso la villetta del suo amico. Quando la porta si aprì, Angelo e Ricky salutarono l'uomo in auto guardandolo andare via.
«Mi spieghi cosa diavolo sta succedendo?» chiese Angelo richiudendo la porta d'ingresso e seguendo Ricky nel salone.
«I tuoi dove sono?» gli domandò Ricky in tutta risposta. Era nervoso, Angelo se ne accorse dal modo in cui si muoveva, dal fatto che si stese guardando intorno con circospezione.
«Sono già a letto»
«A quest'ora?» chiese stranito. Erano solo le 20:30. Angelo alzò semplicemente le spalle sviando quel discorso superfluo.
«Devo chiamare Chris» disse Ricky subito dopo. Prese il cellulare dalla tasca dei jeans. Angelo lo guardò accigliandosi.
«E... mi hai coinvolto in tutto questo solo per una chiamata? Ti serve il mio appoggio per digitare il suo numero, per caso?» scherzò sedendosi sul divano. Ricky gli lanciò appena uno sguardo inceneritore.
«Ma no, stupido, lo chiamo così lui capisce che il piano è andato a buon fine e quindi può venire a prendermi» mormorò le ultime parole ritornando con gli occhi sul cellulare, poi se lo attaccò all'orecchio. Quel tremolio di eccitazione che provava lo stava scombussolando. Gli piaceva quella sensazione. Chris rispose subito e gli disse che sarebbe arrivato in cinque minuti.
«Quindi tu mi stai usando?» disse Angelo fingendosi sconvolto.
«Sì» rispose Ricky sedendosi accanto a lui. Il cuore gli batteva a mille. Non era solo colpa della bugia detta ai suoi genitori e della paura che aveva di essere scoperto da sua madre, ma sentiva quell'agitazione nello stomaco perchè presto avrebbe rivisto Chris. Mancavano solo cinque minuti, forse i più lunghi della sua vita. Angelo, per cercare di placare il suo nervosismo, gli chiese di raccontargli com'era cominciata tutta quella storia e sembrò riuscire nel suo intento. Quei cinque minuti li passarono così. Quando Chris arrivò fuori casa di Angelo, Ricky scattò in piedi. 
«È lui» sussurrò a denti stretti.
«Che aspetti? Vai» disse Angelo vedendolo diventare una lastra di marmo all'improvviso.
«Ho paura... che faccio appena lo vedo? Lo abbraccio? Gli devo chiedere come sta? E se mi viene voglia di baciarlo?»
Angelo tentò di ignorare quegli argomenti imbarazzanti.
«Vai e fai qualsiasi cosa ti viene voglia di fare, tanto lui non ti allontanerà di certo»
Ricky sospirò e trattenne il respiro per qualche secondo, come spesso faceva.
«Okay, vado» disse guardando l'amico negli occhi. Gli diede un minimo di speranza.
«Grazie, Angelo»
Il ragazzo gli sorrise e lo accompagnò alla porta. L'auto ferma davanti casa sua era buia, si poteva intravedere appena una figura al suo interno. Ricky guardò ancora una volta Angelo poi si avviò verso la macchina a testa bassa. Appena chiuse la portiera percepì subito il profumo di Chris. Era esattamente come lo ricordava. Lentamente alzò lo sguardo e quando incrociò quello dell'altro ebbe un fremito. Quegli occhi gli erano mancati: il loro colore, la loro profondità, il loro modo di guardare e quell'impressionante capacità che avevano di comunicare ogni tipo di emozione. Chris spostò lo sguardo dal viso del ragazzo e, senza dire nemmeno una parola, ritornò sulla strada di casa. Ricky non potè fare a meno di osservarlo tutto il tempo. Era anche più bello di come lo ricordava, e anche le emozioni che provava nel vederlo sembravano più forti, gli esplodevano nel petto ad ogni respiro.
Arrivati a casa di Jane, scesero entrambi dall'auto e corsero dentro. Le luci in casa erano spente, c'era solo la lampada nel salone che restava sempre accesa, giorno e notte.
«Dov'è andata Jane?» chiese Ricky. Voleva sapere se avrebbero avuto la possibilità di stare soli per un tempo sufficiente a risolvere quella situazione invivibile.
«Da Adrian, saremo soli, tranquillo»
Si guardarono per un pò, fermi nella luce calda e avvolgente. Fu Chris a prendere l'iniziativa, si avvicinò lentamente a lui e gli prese una mano. Con lo sguardo seguiva i suoi movimenti, non si soffermò sul viso di Ricky. Guardò le loro dita che si incrociavano lentamente. Gli sembrò di toccare della seta tanto era liscia e morbida la pelle del ragazzo. Si sincerò di sfiorare quella mano con delicatezza. Ricky invece lo guardò con le labbra tremanti. Aveva atteso quel contatto per così tanto tempo. Fremeva, voleva di più.
«Chris» 
Il ragazzo alzò lo sguardo sul volto pallido e impaziente dell'altro.
«Baciami» soffiarono le sue labbra sottili. Chris non si fece attendere. Quel bacio sapeva di sofferenza, una sofferenza repressa che aveva stretto i loro cuori in una morsa dolorosa. Ma perdendosi in quel caldo e appassionato bacio, tutto il dolore scomparve. L'altra mano di Chris corse verso la guancia arrossata di Ricky e, come sempre, sfiorò i  suoi capelli col le dita e sorrise senza però separare le sue labbra da quelle dell'altro. Ricky si strinse ancora di più al corpo di Chris che lo accolse con piacere. Rimasero per un lungo tempo a stringersi ed accarezzarsi mentre quel bacio tanto desiderato continuava a legarli. Ricky aprì gli occhi solo quando, in cerca d'aria, le loro labbra si distaccarono. Ricky lo lasciò fare quando la mano che teneva incrociata con la sua e quella sulla sua guancia non erano più al loro posto. Chris gli tolse con calma la giacca di pelle e la fece cadere per terra. Potè notare il rossore che giungeva sempre più forte sul viso di Ricky. Lo guardò negli occhi cercando una reazione da parte sua. Ricky tremava e pensò che presto gli sarebbero cedute le ginocchia. Deglutì pesantemente, poi gli avvolse il collo con le braccia e ripresero a baciarsi. Questa volta fu un bacio diverso, meno dolce e desideroso d'amore. Chris  gli afferrò i fianchi tanto da farlo gemere e lui si aggrappò al suo corpo stringendogli la maglietta nei pugni. Subito dopo il bacio divenne molto più appassionato e focoso, Chris lo spinse lungo il corridoio. Più si avvicinavano alla camera da letto e più le loro sagome si confondevano nel buio. Ricky si lasciò trasportare, ogni sua difesa si stava sgretolando fra le mani di Chris. Non si sentiva esattamente a suo agio, non lasciava sempre le persone libere di mettergli le mani addosso, di toccargli il sedere, di bagnargli le labbra con la loro saliva, ma con Chris era tutto diverso. Grazie alle emozioni che provava con lui, il contatto fisico era sempre facilitato. Si sentiva libero di potersi muovere come voleva, sapeva che Chris non l'avrebbe preso in giro. Con lui era tutto più facile. 
Nel preciso istante in cui si ritrovò accanto al letto, Chris gli tolse la maglietta. Si stupì di se stesso per averglielo lasciato fare, subito dopo però subentrò il terrore. In quell'oscurità i loro sguardi riuscivano appena a sfiorarsi, avevano entrambi le labbra infuocate e gli occhi lucidi e pieni di desiderio. Chris gli prese il viso fra le mani e si avvicinò un pò di più.
«Va tutto bene?» gli chiese con un filo di voce. Ricky riuscì solamente ad annuire, poi gli posò un bacio appena accennato sulle labbra. Vi furono pochi secondi di silenzio assoluto. Tennero gli occhi chiusi, i respiri rallentarono. Solo in quel momento Ricky capì che nulla sarebbe andato storto, che di Chris poteva fidarsi, che non c'era motivo di avere paura. Potè sentire il suo cuore battere quando gli poggiò le mani sul petto. Non avrebbe mai voluto smettere di provare quella sensazione, ma scivolò lentamente verso il basso, fino all'orlo della maglietta e gliela tirò via. Il rumore di quel tessuto morbido che sfiorava il pavimento diede a Chris il permesso di riattaccarsi alle labbra dell'altro. Era la prima volta che i loro corpi si toccavano senza alcun indumento a dividerli. Ricky si strinse a Chris il più possibile, voleva sentire il calore della sua pelle e la morbidezza con cui aderiva alla sua. Si fece adagiare sul letto e per un attimo gli sembrò di essersi appena  destato da un sogno fantastico. Non riusciva a vederlo nè a sentirlo su di sè, non fu una sensazione piacevole, ma quando sentì di nuovo il suo peso si rilassò. Le labbra di Chris si posarono sotto l'ombelico di Ricky, da lì lasciarono una scia bagnata di baci roventi. Gli baciò l'addome, il petto e il collo mentre con una mano gli sbottonava i jeans. Ricky cominciava a tremare e non capiva se fosse per l'eccitazione o per la paura. Rilasciò un lungo e trepidante gemito quando quella mano si infilò nei suoi boxer. Non riusciva a stare fermo, si agitava, il suo petto si abbassava e si alzava con impazienza, teneva gli occhi chiusi mentre si mordeva le labbra. Stava permettendo a Chris di toccarlo, di torturargli un lato del collo e di procurargli piacere, e non gli importava più del suo pudore. Era solo in attesa del suo prossimo gesto. Smise di contorcersi quando avvertì la mano di Chris spostarsi dalla sua erezione.  
«P-perchè ti sei fermato?» gli chiese trafelato cercandolo con lo sguardo in quel buio. Sentì una sottilissima risata proprio sotto al suo orecchio, poi subito un bacio sulle labbra appena accennato. Un attimo dopo non sentì il suo peso su di sè, avvertì dei movimenti, ma non capì bene cosa stesse succedendo. Le mani di Chris gli afferrarono i pantaloni e insieme ai boxer li tirò giù lentamente. Ricky si irrigidì, ma si lasciò spogliare completamente. Le sue orecchie percepirono ogni rumore: quello delle scarpe che una alla volta caddero sul pavimento, e quello dei pantaloni che le seguirono subito dopo. Rimase immobile con gli occhi serrati, cercava di mandare via la paura. Benedì chiunque avesse deciso che tutto quello dovesse succedere nell'oscurità di quella stanza.
Chris, sdraiandosi si nuovo su di lui, gli afferrò le ginocchia ai lati e gli divaricò le gambe. Cercò di essere delicato, accompagnò con gentilezza i movimenti un pò impacciati e rigidi di Ricky. Gli fece scivolare una mano sul viso accarezzandolo. Sentiva il disagio che stava provando, non poteva far finta di nulla.
«Ricky... mi devo fermare?»
Per qualche istante si sentirono solo respiri pesanti, poi un "no" appena sussurrato. Chris sorrise e lo baciò di nuovo. Ricky, nonostante la paura e la tensione, riuscì a godersi davvero quel bacio. Cominciò a provare piacere anche nel toccarlo, la sua pelle era bollente contro le sue mani. Tentò di arrivare ai suoi pantaloni. Non capì se a spingerlo fosse la voglia di fare l'amore con lui, o quella di portare a termine quell'impresa. Gli sbottonò i jeans e con l'aiuto di Chris riuscì a toglierglieli, subito dopo toccò anche ai boxer. Era la prima volta che si trovava completamente nudo davanti ad una persona, ed era la prima volta che aveva una persona nuda davanti ai suoi occhi. All'improvviso sentì come se il primo, ingente passo fosse stato compiuto. Provò sollievo e riuscì a smettere di tremare, almeno finchè Chris non lo afferrò saldamente per i fianchi e lo spinse verso l'altra piazza del letto. Sussultò e gli mancò il fiato.
«Chris» strillò per poi coprirsi la bocca, si sentì andare in fiamme dall'imbarazzo. L'altro rise, poi con più delicatezza gli divaricò ancora un pò le gambe e gli lasciò dei baci nell'interno coscia.
«Scusa» sussurrò.
«Non lo farò più»
Ricky sorrise allungando una mano fra i suoi capelli, li accarezzò mentre Chris non smetteva di baciarlo e mordicchiarlo. Ricky lo ringraziò infinitamente per quello che stava facendo, sapeva che tutto quell'approcciarsi lentamente a lui era solo un modo per metterlo a suo agio. Lasciò che gli aprisse ancora di più le gambe, che lo toccasse ancora, che lo preparasse a tutto ciò che sarebbe successo dopo. Passarono diversi minuti che a Ricky sembrarono lunghe ore di dolce tortura. Si meravigliò quando il dolore provato all'inizio lasciò spazio ad uno strano piacere. Chris continuò ancora e ancora, desiderava che Ricky portasse quel momento nel suo cuore per il resto della sua vita. Un ricordo felice, non solo un atto scomodo e quasi atroce. Decise che bastava quando Ricky, già da un pò, aveva smesso di opporre resistenza, e quando sentì che ormai era completamente rilassato e forse anche pronto. Gli prese una mano e lo aiutò a mettersi seduto. Ricky non capì perchè l'avesse fatto, ma non voleva fargli alcuna domanda, era troppo imbarazzato.
«Vieni qui» mormorò Chris accompagnandolo su di lui. Ricky, nel panico, non capì nemmeno come si fosse ritrovato seduto su di lui, o come Chris si fosse ritrovato con la schiena contro la testiera del letto. Si imbarazzò quando si rese conto che se ne stava lì fermo, con il cuore a mille, senza sapere cosa fare. Le sue pupille si erano abituate a quel buio e poteva percepire i  tratti dell'altro. Cercò lo scintillio dei suoi occhi e rimase a guardarli, poi abbassò lo sguardo.
«C-Chris... i-io non...»
«Quando faremo l'amore, voglio farlo così» disse Chris accarezzandogli una guancia. Ricky si avvicinò ancora un pò al viso dell'altro ragazzo poggiandogli una mano sul petto.  
«Te lo sei ricordato» sussurrò stupito mentre le sue labbra si piegavano in un dolce sorriso.
«Sì... ma se vuoi pos-»
«No» lo interruppe Ricky colpito improvvisamente da una scarica di adrenalina.
«È solo che... io non so come... e-ecco...»
Chris gli prese il viso fra le mani e si avvicinò tanto da far sfiorare il suo naso con quello del ragazzo di fronte a sè.
«Ricky, qualsiasi cosa farai andrà bene... te lo prometto, andrà tutto bene»
«Davvero?» 
La voce di Ricky tremò tradendo la sua tensione. Chris sospirò. Non voleva forzarlo, ma gli era sembrato che tutto quello gli stesse piacendo.
«Di cosa hai paura?»
Ricky rimase in silenzio. Di cosa aveva paura? Di sbagliare? Di rendersi ridicolo? Non ne aveva idea. Sentiva le lacrime bagnargli gli occhi, ma non voleva piangere, avrebbe solo peggiorato quella che già di per sè era una situazione complessa.
«Ascoltami, Ricky, non devi fare nulla se non lo desideri davvero, ma sappi che io sono qui, sono qui e voglio solo te, voglio che tu possa sentirti libero di fare tutto con me... anche questo» gli disse Chris baciandolo subito dopo. Ricky lo lasciò fare, ricambiò il bacio pensando intensamente alle parole che aveva appena sentito. Non poteva lasciarsi sfuggire una persona come Chris.
Quel bacio si prolungò per un tempo infinito e Ricky trovò il coraggio di muoversi, di spostare finalmente le mani dal suo petto. Chris fece attenzione ad ogni suo movimento, lo aiutò, lo assecondò, non gli mise alcuna fretta, tentò di calmarlo ogniqualvolta avvertiva il suo corpo opporre resistenza. Ricky strinse le braccia intorno al collo di Chris, lo abbracciò forte e conservò dentro di sè tutte le sensazioni spiacevoli che lo stavano colpendo senza preavviso. Però sapeva che non poteva nasconderlo del tutto, che Chris si era accorto della difficoltà che stava affrontando. Strinse i denti e si lasciò andare. Non aveva idea di quanto sarebbe durato quel tormento, ma si costrinse a resistere, a combattere quelle frequenti fitte di dolore, ad ascoltare i sospiri dell'altro aspettando pazientemente che anche i suoi si tramutassero in gemiti di puro piacere.
Ricky strinse forte Chris e sorrise socchiudendo gli occhi. Non poteva credere che fosse finito tutto così in fretta. All'improvviso gli sembrò che quel dolore che aveva provato fosse stato solo un rito di passaggio, una sfida contro il suo stesso corpo per riuscire a raggiungere la beatitudine che provava in quel momento. Si era concesso completamente ad un'altra persona, gli aveva dato anima e corpo. Gli parve incredibile, ma il suo unico pensiero era che, nonostante la paura, il dolore, il disagio e l'inesperienza, non fosse andata poi così male. Provava una gioia mai sentita prima ed era contento di aver fatto quell'importante passo con Chris.  
«Come stai?» gli chiese Chris lasciandogli un baciò sulla fronte.
«Bene» sussurrò Ricky con la testa sulla sua spalla. Chris sentì un pizzico di esitazione nella sua voce.
«C'è qualcosa che non va?»
Ricky sospirò. Spesso non gli piaceva la perspicacia dell'altro, non poteva tenergli nascosto nulla, neanche la più banale delle cose.
«N-no, è solo che... durerà sempre così poco?» gli chiese. Si vergognava di fargli quella domanda, ma la vergogna che provava in quel momento non era minimamente paragonabile a quella che aveva provato quando non era riuscito a gestire il suo orgasmo. 
Chris rise e si beccò uno schiaffo su una spalla.
«Non ridere»
Chris tornò subito serio. 
«Andrà sempre meglio, durerà di più, ti farà meno male... te lo prometto»
Ricky pensò un pò a quelle parole, poi si rilassò di nuovo.
«Non voglio tornare a casa, voglio restare qui con te» disse con un filo di voce appena percettibile. Si rannicchiò fra le braccia di Chris e rimase ad ascoltare il respiro lento e regolare dell'altro. Poteva sentire il suo cuore battere, sarebbe rimasto lì per sempre.
«Ti amo, Ricky»
Il ragazzo spalancò gli occhi. Non poteva credere alle sue orecchie. Aveva sempre saputo che entrambi provavano gli stessi sentimenti, ma era la prima volta che qualcuno gli diceva quelle parole. Lo stupore prese il sopravvento e per un pò non seppe cosa dire. Non sapeva bene come comportarsi, si sentì un pò in imbarazzo per non aver avuto subito una reazione, e in colpa per non avergli risposto all'istante. Doveva assolutamente cogliere l'occasione per confessargli anche i suoi sentimenti. Col cuore pronto a balzargli fuori dal petto, prese fiato e si preparò a rispondergli.
«Anche io, Chris... ti amo anch'io» 
Chris lo strinse forte rilasciando un sospiro di sollievo. Rimasero fermi, in quella posizione, in quel buio, su quel letto, immobili come statue, potevano percepire solo i loro respiri. Fu Chris, dopo qualche minuto, a decidere che era arrivato il momento di riaccompagnarlo.
«Non voglio» si lamentò Ricky facendo sorridere Chris che, intanto, si era alzato in cerca dei suoi vestiti. Quando trovò i suoi boxer se li mise subito.
«Dove sono i miei vestiti?» chiese Ricky sbuffando e mettendosi a sedere.
«Aspetta, accendo la luce» 
Ricky esclamò un secco "no". Non voleva che Chris lo vedesse nudo.
«Ma dai, Ricky, non hai nulla di cui vergognarti» disse Chris con una risatina che Ricky non seppe bene come interpretare, sembrava una di quelle che lasciano dietro di sè una scia di malizia.
«Cosa vorresti dire?»
«Quello che ho detto» rispose. Ricky potè subito vedere il suo sorriso sfacciato perchè una luce calda illuminò la stanza. Spostò velocemente lo sguardo dal viso di Chris al suo basso ventre, con un gesto repentino afferrò le lenzuola e si coprì completamente. 
«Mh, non sei stato abbastanza veloce, l'ho visto» lo prese in giro Chris. Ricky arrossì coprendosi il viso con le mani. Chris si avvicinò a lui e gliele prese fra le sue, spostandole.
«Sei così bello quando ti imbarazzi» gli disse lasciandogli un bacio sulle labbra. L'altro alzò gli occhi al cielo.
«Smettila di prendermi in giro e dammi le mie mutande»
Chris gli passò i suoi vestiti e cercò di non guardarlo troppo, ma gli sembrava impossibile staccargli gli occhi di dosso. Ricky dal canto suo aveva lo stesso problema, lo osservava con la coda dell'occhio e stava attento a non farsi scoprire. 
Quando si ritrovarono entrambi pronti per uscire, Ricky si incamminò nel corridoio e Chris lo seguì subito dopo. Il più giovane recuperò anche la sua giacca e la indossò.
«È mezzanotte passata» esclamò Chris stupito mentre guardava l'orario sul suo cellulare. Erano chiusi in quella casa da circa quattro ore, eppure ad entrambi sembravano essere volate. Ricky sorrise pensando che quelle ore erano state sicuramente le più belle della sua vita. Aveva provato mille emozioni e si era abbandonato completamente nelle mani del ragazzo che aveva davanti. Voleva solo rivivere quelle sensazioni, non desiderava altro.
Prima di uscire di casa, si scambiarono un forte abbraccio e qualche bacio. Ricky catturò il suo profumo e il sapore delle sue labbra, voleva mantenerne vivo il ricordo nella sua mente, almeno fino al loro prossimo incontro. Mentre erano intenti a sciogliere l'abbraccio, si sentì un forte bussare. Chris si accigliò, era strano che a quell'ora succedesse qualcosa di simile. Si avviò verso la porta e appena l'aprì una ragazzina gli si fiondò addosso abbracciandolo, piangeva e sembrava sconvolta. Successe tutto molto velocemente, ma Chris ricambiò quell'abbraccio all'istante. Non impiegò nemmeno pochi istanti a capire che si trattava di Betsy, sua sorella. Ricky rimase immobile a fissarli. Notò lo stupore e la preoccupazione sul viso di Chris e non potè fare a meno di preoccuparsi altrettanto. La ragazza continuava a singhiozzare fra le braccia del fratello e dopo pochi secondi cominciò a chiedergli disperatamente aiuto. Chris chiuse la porta e le prese il viso fra le mani. Aveva gli occhi iniettati di sangue e il volto bagnato e arrossato, il respiro corto, sembrava stremata.
«Cos'è successo?» gli chiese tentando di mantenere la calma. Non aveva mai visto sua sorella piangere tanto, aveva un bruttissimo presentimento.
La ragazza continuò solo a piangere e singhiozzare pesantemente. Chris, allora, l'abbracciò di nuovo e le sussurrò ogni genere di parole che potessero aiutarla a calmarsi. Spostò per qualche secondo lo sguardo incrociando quello di Ricky. Nessuno dei due si aspettava che quella serata sarebbe finita così, e Chris non aveva di certo immaginato che avrebbe rivisto sua sorella in un'occasione simile. 




HO POSTATO! Sembra impossibile, vero? HAHAHA Terrò le dita incrociate sperando che il capitolo vi piaccia e che mi lasciate un commentinoinoinoino :3
Alla prossima, baci a tutti! 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17-I offer you forgiveness ***


Capitolo 17 - I offer you forgiveness.
«Tieni, bevi un pò d'acqua» disse Jane porgendo il bicchiere a Betsy. La ragazza lo prese con le mani tremanti e bevve qualche piccolo sorso. Aveva smesso di piangere solo da qualche minuto, gli occhi erano ancora gonfi, la sua pelle si increspava continuamente di brividi. Tenne gli occhi chiusi per un attimo e sentì le labbra di suo fratello poggiarsi su una sua tempia. Non l'aveva l'asciata nemmeno per un istante, l'aveva accompagnata sul divano, fatta sedere ed era rimasto lì vicino ad abbracciarla e consolarla per ore. Si era torturato per tutto quel tempo pensando a cosa potesse esserle accaduto, ma aveva aspettato pazientemente che si sfogasse. Sapeva che tentare di estrapolare qualche racconto durante un pianto tanto disperato non lo avrebbe portato a nulla, sarebbe stato solo tutto più confuso. 
«Come va?» le chiese tenendo un tono di voce basso e delicato. Betsy non rispose, ma accennò un movimento delle spalle. Chris sapeva cos'era, sapeva che voleva significare che stava male, ma che non poteva cambiare la situazione e se lo faceva andare bene. Lo sguardo del ragazzo corse verso Jane che era seduta sul tavolino, proprio difronte ai due. Si scambiarono uno sguardo, poi lei sospirò silenziosamente. Quella situazione le pareva incredibile. Era tornata a casa da un bel pò, aveva trovato Chris seduto sul divano, abbracciato ad una ragazzina che piangeva e Ricky seduto in disparte che li osservava. Ci aveva pensato lei a riportarlo a casa di Angelo.
«I-io vado a farmi una doccia» 
Chris la ringraziò con lo sguardo e lei scomparve dal salone qualche istante dopo. Ci fu ancora qualche secondo di totale silenzio, poi Chris prese un grande respiro e spostò le sue braccia dal corpicino tremante di Betsy.
«Me lo dici perchè piangevi?» le chiese ancora con lo stesso tono. Vederla così disperata gli aveva spezzato il cuore. Non sapeva ancora perchè stava piangendo, ma qualunque cosa fosse sapeva che avrebbe ferito anche lui.
Betsy lo guardò per qualche istante, prima di trovare la forza e il coraggio per rispondergli. Si vergognava un pò di ciò che stava per confessare, non trovava le parole per spiegare cosa le era accaduto.
«Hector... l-lui ha... voleva...»
«No, no, aspetta, stai calma» le disse Chris notando il suo disagio. Voleva solo sapere cos'era successo esattamente prima di trarre conclusioni affrettate.
«Va tutto bene, Betsy, raccontami tutto»
La ragazza tirò su col naso e abbassò lo sguardo. Dopo qualche istante cominciò a parlare.
«Mi ero messa a letto, stavo quasi per addormentarmi quando ho sentito la porta che si apriva, ho visto Hector entrare e gli ho chiesto cosa volesse, ma lui non mi ha risposto, si è solo seduto accanto a me e... Chris, lui ha... ha cominciato a toccarmi... io n-non lo so come ho fatto, ma sono scappata» disse con le mani che le tremavano.
«Sono scappata prima che lui... non potevo permettergli di farmi una cosa simile, vero?»
A quelle parole il ragazzo restò immobile. Un'espressione seria e impietrita si impossessò del suo viso. Non poteva credere a ciò che aveva appena sentito. Provò un dolore lancinante allo stomaco e subito dopo un moto di rabbia che tentò di controllare stringendo i pugni tanto forte da farsi male. Rimasero entrambi in silenzio per un pò. Betsy contnuò a guardare in basso mentre Chris tenne lo sguardo fisso di fronte a sè, cercava un modo per risolvere quella situazione.
«Chris?»
Il ragazzo quasi sobbalzò rivolgendole lo sguardo. 
«Sì... sì, hai fatto bene, sei stata bravissima... vieni qui» disse dopo un pò a sua sorella abbracciandola e accarezzandole i capelli. Betsy si sentì molto meglio. Aver raccontato quell'episodio a suo fratello l'aveva liberata da un peso enorme.
«Che ne dici di dormire un pò? Hai bisogno di di riposo» le disse Chris.
«Tu resti con me, vero?» 
Chris le accennò un sorriso.
«Sì, resto con te, tranquilla» disse alzandosi dal divano. Il suo intento era quello di andare da Jane e dirle che solo per quella sera sarebbe rimasta anche Betsy, ma sua sorella lo fermò.
«Chris, posso... posso farmi prima una doccia?» gli chiese imbarazzata. Non sapeva come comportarsi, non conosceva quasi per niente Jane e le sembrava poco educato lavarsi in casa sua, ma ne sentiva il bisogno, voleva togliersi di dosso la sensazione di avere ancora le mani di quel bastardo su di sè.
«Ma certo, andiamo» disse Chris prendendole la mano. Sua sorella lo seguì e tenne lo sguardo basso anche quando Jane le diede dei vestiti che potessero andarle bene.
«Fai con calma» le disse il ragazzo sorridendole. Si era accorto del disagio che stava provando, cercava di ricordarle solo che con lui al suo fianco non doveva preoccuparsi di nulla. Betsy annuì e si chiuse in bagno. Chris restò davanti alla porta per una manciata di secondi, poi andò in cucina da Jane . Si sedette accanto a lei e strinse forte gli occhi. Nonostante la confusione e la rabbia, la stanchezza cominciava a farsi sentire.
«Tieni» disse Jane passandogli una sigaretta appena accesa. Chris la prese e la fumò in silenzio. La sua mente ormai non era in grado di creare pensieri concreti. Un istante prima gli veniva voglia di correre da Hector e tagliargli la gola, e quello dopo voleva solo stare con sua sorella e lasciare che quella storia svanisse via col passare del tempo.
«Cosa le è successo?» chiese Jane.
«Quello stronzo che si scopa mia madre voleva farsela» 
La ragazza sbarrò gli occhi. Quella notizia e la freddezza con cui Chris aveva parlato, la destabilizzarono. Si portò una mano sulla bocca e quasi cominciò a piangere pensando a quello che poteva essere successo a Betsy. La conosceva solo di vista, ma non poteva sopportare l'idea che un uomo maturo potesse fare qualcosa di così terribile ad una ragazza, tra l'altro minorenne.
«Mi dispiace, Chris» sibilò davvero dispiaciuta e preoccupata. Lui la guardò per un pò, impassibile, poi spense la sigaretta e si alzò.
«Ti dispiace se stanotte dorme qui?»
Jane scosse subito la testa.
«No, figurati, non può tornare a casa»
Chris la ringraziò poi uscì da quella casa. Aveva bisogno di un pò d'aria fresca. Si sedette su uno dei tre gradini davanti alla porta e si resse la testa fra le mani. Gli faceva un gran male, tutto gli doleva, qualsiasi parte del suo corpo sembrava punta da spilli roventi. E più pensava, più il dolore si accentuava. Non poteva starsene senza fare nulla, non gliel'avrebbe fatta passare liscia.
«Christopher»
Chris quasi si spaventò, ma alzando gli occhi si accorse che in fondo al vialetto c'era Trevor. In quel momento la rabbia verso di lui era completamente scomparsa, non gli importava più nulla di ciò che era successo fra di loro.
«Trevor»
Il ragazzo rimase fermo per un pò, poi andò a sedersi accanto a lui. Agli occhi di Chris non sfuggirono i vari cambiamenti nel corpo dell'altro. Sembrava molto dimagrito, i vestiti gli andavano larghi, aveva le mani e il viso un pò pallidi e le labbra secche.
«Che faccia di merda che hai» disse Trevor facendo sfuggire un sorrisetto amaro all'altro ragazzo.
«Tu non stai messo meglio, sembri un deportato»
Trevor ignorò completamente il commento di Chris. Non gli era mai fregato del suo aspetto fisico e non avrebbe cominciato a farlo per piacere al ragazzo di cui era innamorato, sapeva che non avrebbe ottenuto nulla nemmeno sforzandosi ad apparire bello e meno trasandato.
«Perchè stai così?» gli chiese davvero interessato.
«Ho un problema, riguarda mia sorella»
Trevor si accigliò. Non sapeva che avessero ricominciato a frequentarsi, o com'era successo. Era fuori dalla vita di Chris da troppo tempo e, forse, si era perso un sacco di cose.
«Cosa posso fare?»
«Non ti sto chiedendo aiuto» rispose Chris scontroso.
«Lo farei per Betsy, non per te» disse Trevor con un tono simile a quello usato dall'altro. Chris, infatti, rimase per qualche istante in silenzio, poi si alzò.
«Vieni con me se ti dico che sto andando ad ammazzare un figlio di puttana?»
A Trevor sfuggì una risata, ma tenendo lo sguardo fisso sull'espressione seria di Chris, capì che quello non era uno scherzo. I suoi occhi sembravano neri, pieni di rabbia, la sua espressione era vuota, gli dava quasi i brividi.
«Non sei serio, vero?»
«Hector, quello stronzo, ha messo le mani dove non doveva metterle, cioè su mia sorella, e se ne pentirà» disse Chris atono. Trevor deglutì a vuoto. La sua mente cercò velocemente una soluzione. Non voleva che Chris si mettesse nei guai, Betsy era solo una ragazzina che aveva ancora bisogno di lui.
«Lei come sta?» gli chiese cercando di temporeggiare.
«È dentro, l'ho vista piangere per tre ore senza mai riuscire a calmarla... non posso non fargli nulla dopo quello che è stato capace di fare lui, capisci?»
Il ragazzo annuì, poi cercò di riordinare i pensieri. Un modo per uscirne puliti doveva pur esserci.
«Allora? Sei con me sì o no?»
Trevor si alzò. Gli faceva male la testa, si sentiva anche molto debole e in quelle condizioni non gli sarebbe stato molto d'aiuto, ma annuì lo stesso. Chris si incamminò verso casa sua pronto a tutto, non gli importava più di nulla. Sua sorella era la persona più importante della sua vita e quell'essere immondo aveva provato a farle del male. Non l'avrebbe accettato e di certo non l'avrebbe trattato bene.
Sentiva i passi di Trevor dietro di sè e per un istante sorrise. In fondo a lui era molto grato, nessuno avrebbe fatto quella cosa per lui.
Erano circa a metà strada quando Trevor gli afferrò il braccio all'improvviso. Appena si voltò potè notare la sua espressione un pò sorridente che lo incuriosì.
«Ho avuto un'idea migliore, Chris»
Il ragazzo lo guardò interrogativo.
«Ascoltami, io lo so che tu ora vuoi solo fargliela pagare e lo so che la voglia di ammazzarlo con le tue stesse mani è tanta, ma cosa ne sarà di Betsy? Non è stupida, capirà che sei stato tu»
Chris abbassò un attimo lo sguardo, poi scosse la testa.
«Capirà perchè l'ho fatto» disse ritornando sulla sua strada, ma Trevor lo fermò ancora.
«Chris, ragiona, chi se ne accorgerebbe se tuo padre scomparisse dalla circolazione? Anzi, a chi importerebbe?»
«A nessuno, penso» rispose frettolosamente, impaziente di arrivare al nocciolo del discorso. Non che gli importasse quello che Trevor aveva da dire, voleva solo scaricare tutta la rabbia, ma sapeva che se non l'avesse lasciato parlare l'avrebbe solo invogliato a distrarsi da suo compito. L'aveva guardato bene, conosceva Trevor come le sue tasche e sapeva che c'era qualcosa che non andava in lui. Non aveva capito perchè mai avesse deciso di aiutarlo se poi cercava di dissuaderlo.
«Ecco, e questo perchè tuo padre non ha un lavoro fisso, perchè tuo padre non ha amici, perchè tuo padre non ha quasi mai avuto a che fare con tua madre, ma Hector sì» gli spiegò il ragazzo.
«Chri, se gli metti le mani addosso, se lo uccidi, qualcuno se ne accorgerà e lo sai che non ci metteranno molto ad arrivare a te»
Chris si accigliò. Aveva capito cosa stava tentando di dire il suo amico, ma non si sarebbe fatto fermare da lui. La rabbia era troppa.
«Se non hai le palle di venire con me puoi anche andartene, ci vado da solo»
Gli sputò in faccia quelle parole e riprese a camminare. Non avrebbe prestato ascolto a nessuno dei suoi discorsi. Trevor, intanto, lo seguiva borbottando di tanto in tanto. Quando però si trovarono a pochi metri dalla casa di Chris, il nervosismo dell'altro aumentò e decise di fare un ultimo tentativo. Gli afferrò un braccio e lo tirò tanto forte da farlo voltare verso di lui.
«Che cazzo fai?» gli chiese l'altro già troppo infuriato per poter restare lì, a qualche passo da Hector.
«Picchia me... dai, sto aspettando»
Chris lo guardò dalla testa ai piedi come se stesse guardando un pazzo. In effetti, pensò che avesse davvero perso la testa. Chi mai si sarebbe fatto picchiare di sua spontanea volontà?
«Non farmi perdere tempo» disse infine voltandosi di nuovo. Riuscì a muovere solo qualche passo prima che Trevor gli si piazzasse di nuovo davanti e gli sferrasse un pugno sul viso, all'altezza dello zigomo. Chris gemette dal dolore, ma un istante dopo si scagliò addosso. La parte lesa gli pulsava, gli faceva una male cane, ma non riuscì a restarsene impalato a piagnucolare. 
Colpì Trevor sul viso, allo stomaco e non gli importò molto di quanto lui si lamentasse, continuò a picchiarlo sempre più forte. Trevor, nonostante si sentisse già troppo debole, strinse i denti e lo lasciò fare. Non poteva tirarsi indietro, era stato lui stesso a provocarlo, l'aveva deciso lui di essere il punto di sfogo dell'altro. Perchè sì, Trevor era assolutamente sicuro che se Chris avesse scaricato tutta quella tensione su di lui, non sarebbe andato da Hector e di conseguenza non sarebbe finito nei guai.
Quando le gambe decisero di non reggerlo più, Trevor si accasciò per terra. Chris, ormai accecato dalla rabbia e troppo preso da quella situazione, si mise su di lui e afferrandogli il colletto della maglia cominciò a sferrargli pugni sul viso. Non gli importava ciò che colpiva: naso, guance, occhi, mento. In pochi istanti vide il sangue, lo sentì fra le mani, gli sembrò quasi di poterne percepire l'odore. Provò una strana sensazione di potere e soddisfazione che lo incitò solo a continuare. Ciò che lo fermò, che calmò quel movimento del suo braccio ormai quasi automatico, fu vedere Trevor col volto e i vestiti ormai imbrattati di sangue, ma soprattutto furono le sue lacrime. Aveva iniziato a piangere da pochi secondi, ma non si lamentava più, piangeva e si lasciava trattare in quel modo. Chris rimase con il pugno a mezz'aria. Non ce la fece a colpirlo di nuovo. Guardò il suo viso già ricoperto da svariate ecchimosi. L'osservò bene in quella scarsa luce: lo sguardo rivolto altrove, il sangue, i suoi respiri spezzati. Perchè gli aveva fatto tutto quel male? 
Strinse i denti respingendo un pianto disperato, poi si alzò. Barcollando si avvicinò ad un vecchio muretto scalfito dal tempo. Fissò il pavimento con il cuore che batteva tanto forte da fargli male, aveva ancora i pugni stretti. Non riusciva più a pensare, la sua mente era così vuota, provava solo tanto dolore.
Dopo qualche minuto, sentì Trevor tossire leggermente e alzò lo sguardo. Si stava tirando su a fatica. Sputò un misto di saliva e sangue sul marciapiede polveroso, poi si pulì le labbra con la manica della felpa.
«Ce la fai?» gli chiese Chris seriamente preoccupato. Trevor annuì.
«Torna a casa... Betsy ha bisogno di te» farfugliò riuscendo finalmente a rimettersi in piedi. Si guardarono per un pò.
«Qualcuno deve un favore a mio padre» disse poi asciugandosi il sangue che gli colava dal naso. La sua espressione era dolorante.
«Se ne occuperanno loro di Hector»
«Chi? I tre gemelli che vivono di fronte casa tua?» gli domandò Chris a titolo informativo. L'altro annuì semplicemente.
«Dev'essere come se non ci fosse mai stato in casa mia e... e non davanti a mia madre» durante quell'ultimo commento appena accennato Trevor notò una punta di tristezza, malinconia e paura incastrata negli occhi del suo migliore amico. Per quanto volesse fare il duro, Chris dentro di sè era probabilmente la persona più buona che Trevor avesse mai avuto il piacere di incontrare.
«Riferirò... ora vattene, non farti vedere qui intorno finchè non te lo dico io»  
Chris strinse i denti e lo lasciò lì. Si pentì quasi subito di non avergli nemmeno chiesto scusa, ma sapeva che all'altro non sarebbe importato.

Rientrò in casa e corse subito in bagno. Si guardò allo specchio, aveva un livido appena percettibile in faccia e le mani rosse e sporche di sangue. Le sciacquò accuratamente e si tolse la maglia mettendola fra i vestiti sporchi. Quando ritornò nel salone, Betsy era sdraiata accanto a Jane, avevano aperto il divano letto e l'avevano rifatto facendolo somigliare quanto più possibile ad un letto decente. Entrambe lo fissarono, ma Chris guardò solo sua sorella. Sperava che non si fosse arrabbiata per non averlo trovato in casa. La sua espressione però sembrava serena, forse un pò stanca, ma finalmente tranquilla e rilassata. Era così che gli piaceva vederla. Per anni aveva fatto sforzi e sacrifici enormi pur di vedere quell'espressione sul suo viso, non sarebbe stata la mente perversa e malata di un uomo a rovinargli il lavoro.
«Vieni» disse Betsy ritornando con gli occhi sulla tv. Chris si avvicinò a lei e si sedette sul bordo del letto, fissò il televisore per qualche istante poi si rivolse alle due ragazze con un tono annoiato.
«Vi presento Joe Black? Sul serio?»
Jane gli tirò uno schiaffo sul braccio e a sua sorella sfuggì un sorrisetto vispo e allegro.
«Non ti azzardare, è uno dei miei film preferiti»
«Sì, certo» fu la risposta di Chris che, distrattamente, si stava togliendo le scarpe.
«Okay, il film è quasi finito ed è tardissimo quindi io vi do la buonanotte» disse la ragazza alzandosi e lasciando il posto a Chris che nel frattempo si era spogliato. I due la salutarono e Jane andò in camera sua.
Betsy rimase immobile nel letto mentre suo fratello rimetteva in ordine i jeans che si era appena tolto. Gli era mancato vederlo ogni giorno, gli erano mancate anche le sue lamentele, i suoi discorsi contorti, la sua voce. Si sentiva così tanto in colpa per quello che gli aveva fatto che probabilmente non se lo sarebbe mai perdonato.
Tentò di alzarsi, ma Chris la fermò subito.
«Ti serve qualcosa?»
«Ho sete» rispose lei.
«Vado io, stai qui» le disse sorridendole. Betsy lo trovò esagerato non farla nemmeno alzare dal letto, ma conosceva bene suo fratello. In effetti era stata abituata proprio da Chris ad essere indipendente e forte anche nelle situazioni peggiori, ma poi era lui stesso a fare qualsiasi cosa al posto suo per non arrecarle fastidio o disturbo.
Quando Chris tornò da lei aveva in mano una bottiglia d'acqua e due bicchieri. Si sedette di nuovo vicino a lei. La ragazza fece per afferrare la bottiglia e un bicchiere, ma lui la fermò ancora.
«Chris, ce la faccio a versarmi un pò d'acqua» disse in una sorta di rimprovero ironico.
«Lo so» rispose lui porgendole il bicchiere pieno.
«Mh, pensavo che mi avresti aiutato anche a bere, o che mi avresti dato una cannuccia»
Lui sorrise, poi poggiò la bottiglia e il suo bicchiere sul tavolino che le due ragazze avevano spostato di lato per far spazio al letto. Si sdraiò accanto a lei che nel frattempo si era dissetata e aveva lasciato il bicchiere per terra, così da poterlo prendere facilmente nella notte. Quella situazione sembrò un pò strana ad entrambi, ma nessuno dei due si sentiva particolarmente a disagio. Chris era ormai abituato a dormire con qualcuno al suo fianco, ma Betsy non lo era per niente. Non avevano mai dormito così vicini, nonostante avessero condiviso la stessa camera per dodici lunghissimi anni. 
«Chris» 
Il ragazzo le rivolse subito lo sguardo.
«Dove sei andato prima?»
Chris si sentì preso alla sprovvista, ma mantenne la calma.
«Da nessuna parte, sono uscito due secondi, poi ho incontrato Trevor e abbiamo parlato un pò»
Betsy non sembrò per niente convinta agli occhi di Chris, ma in fondo non le aveva detto proprio una bugia, aveva solo omesso qualche dettaglio.
La ragazza si sdraiò su un fianco in modo da rivolgersi completamente a lui. Chris notò i suoi occhi, avevano qualcosa di strano, malinconico e triste.
«Ehi... cosa c'è?» le chiese allungando una mano sul suo viso, l'accarezzo dolcemente sperando di darle un pò di conforto.
«Mi dispiace, Chris, mi dispiace tanto per quello che ti ho fatto... sei arrabbiato con me? Perchè io non lo sono più, non lo sono mai stata, ho sbagliato e mi dispiace»
Chris la guardò per qualche secondo senza riuscire a risponderle. In realtà la rabbia verso di lei non c'era mai stata, lui aveva provato un risentimento forte nei confronti di sua madre e di quell'uomo che aveva cercato in vano di prendere il suo posto. Per tutto quel tempo aveva solo pensato che a dodici anni si può non capire e non accettare il comportamento degli altri, non gliene aveva fatto una colpa e non aveva smesso di volerle bene nemmeno per un istante.
«No, non sono arrabbiato... tu sei sempre la mia sorellina, la mia piccola Bet» 
Lei sorrise soddisfatta di quella risposta, ma poi gli pizzicò forte un braccio. Il ragazzo assunse un'espressione di sorpresa e dolore allo stesso tempo, non se l'aspettava in quel momento.
«Non ti azzardare mai più a chiamarmi Bet, lo sai quanto lo odio»
Risero per un pò, poi Betsy si avvicinò un pò di più a Chris che l'accolse fra le sue braccia. Le diede la buonanotte in un sussurro e poco dopo la ragazza era già beatamente addormentata. Rimase a guardarla per un pò, il suo viso era così dolce e spensierato. Trovò totalmente ingiusto che qualcuno potesse voler fare del male ad una creatura così adorabile e indifesa.

Il mattino seguente, i due fratelli si svegliarono con l'odore del caffè che proveniva dalla cucina. Betsy si accucciò ancora un pò sotto le coperte, mentre Chris si alzaò e andò nell'altra stanza sbadigliando.
«Buongiorno» mormorò. Ricevette una risposta allegra da Jane che era intenta a riempire le tazze per la colazione.
«Com'era il letto? Spero non fosse troppo scomodo, da quando l'ho comprato l'avrò aperto un paio di volte» 
Chris sembrò un attimo confuso, poi alzò le spalle. Guardò l'orologio e si rilassò, era ancora presto per andare a lavoro.
«Come mai sei già in piedi?» le chiese mentre la ragazza gli porgeva la tazza di caffè.
«Non lo so, mi sono svegliata mezz'ora fa e non riuscivo a riaddormentarmi» rispose Jane sedendosi accanto a lui.
«Betsy?»
Chris lanciò uno sguardo verso il salone, nonostante non potesse vedere sua sorella dalla sua posizione.
«Non si è svegliata durante la notte, credo stia già meglio» disse il ragazzo bevendo qualche sorso di caffè caldo. Jane non disse altro, ma rimase a fissarlo per un sacco di tempo con uno sguardo incuriosito, tanto che ad un certo punto Chris la guardò e la implorò di dirgli cosa le stesse frullando nel cervello.
«Christopher, non credo che tua sorella si sia accorta di qualcosa, ma io ti ho visto andare via con Trevor ieri sera, cosa avete fatto?»
Chris abbassò lo sguardo portandolo sulla tazza tiepida che ancora teneva tra le mani. Non poteva dirle nulla di tutto quello che era successo, soprattutto non poteva proferire nemmeno una parola riguardante i tre gemelli.
«Ero arrabbiato, dovevo fare due passi e Trevor... lui è capitato»
Jane inarcò per qualche secondo le sopracciglia. Poteva anche credergli, ma sapeva che fra lui e Trevor non correva buon sangue in quel periodo e fu proprio questo a sembrargli strano.
«Okay, farò finta di non aver notato quel livido che hai in faccia»
Chris quasi sbarrò gli occhi. Che cazzo avrebbe raccontato a Betsy?
«Si vede tanto?»
«Un pò, ma il fatto che tu abbia più lividi sulle mani che sul corpo mi dice che le hai date e non prese, questo potrebbe essere un bene, ma dipende sempre da chi hai picchiato» disse risoluta. Il ragazzo la guardò scocciato.
«Non sono affari tuoi»
«Va bene, non mi interessa anche se spero che non ti sia messo in qualche casino pazzesco, ma... passiamo ad un altro argomento» disse lei più pimpante sporgendosi di più verso di lui.
«Ieri sera cosa ci faceva Ricky qui?»
Chris la guardò un pò a disagio, ma poi mandò a quel paese ogni pensiero e sorrise ripensando a Ricky e a quello che avevano fatto.
«L'abbiamo fatto»
Potè notare lo stupore farsi spazio in ogni millimetro del viso di Jane e rise leggermente.
«Aspetta, non gli hai detto quello che è successo l'altra sera, vero?» domandò lei preoccupata.
«Ma ti pare? Secondo te gli dicevo che mentre lui era disperato io scopavo con te?»
Jane si rilassò sospirando pesantemente. In effetti poteva averlo dedotto da sola che Chris non gli avesse raccontato nulla della loro nottata di sesso. Nel tragitto da casa sua a casa di Angelo, Ricky non le aveva fatto domande strane nè l'aveva guardata in modo particolare.
«E comunque non deve saperlo, mi raccomando» concluse Chris finendo il suo caffè.
«Sì... tranquillo»
Chris si accigliò. La voce della ragazza aveva un'inflessione parecchio strana che non gli piacque per niente.
«Ascoltami bene, quello era solo sesso, chiaro? Non farmi scherzi anche tu, Jane»
La ragazza lo guardò un attimo, poi spostò lo sguardo. Non le fece male ascoltare quelle parole, ma le parve strano il suo tono un pò brusco.
«Non me lo devi dire tu» rispose un pò acida.
«E poi che volevi dire? Chi altro ti ha preso in giro?»
Chris sbuffò non gradendo quel discorso. Non aveva voglia di parlarne e, in un certo senso, non poteva.
«È stato per caso... Trevor?» chiese la ragazza pronunciando quel nome molto lentamente. Chris sentì un tuffo al cuore in quel momento.
«Che? Trevor? Che c'entra lui?»
Jane lo guardò assottigliando le palpebre.
«Christopher, lo so che mentre ti facevi me, ti facevi anche lui... che ha fatto? Si è innamorato di te?»
Il ragazzo rimase immobile per qualche istante, poi alzò lo sguardo e l'affrontò cercando di mantenere un tono pacato e rilassato.
«Fatti i cazzi tuoi, Jane»
«Oh... quindi è vero che ti fai Trevor?» chiese lei quasi divertita.
«Io... no, non mi faccio Trevor, smettila» disse alzandosi e andando da sua sorella. Ignorò le risatine di Jane, non gli andava più di parlare di quelle cose. Svegliò Betsy facendo attenzione a non scuoterla troppo. Non lo ammise a se stesso, ma aveva il terrore di spaventarla e farle male in qualche modo.  
Quando vide gli occhietti assonnati della ragazza ben aperti, sorrise e si sedette lì vicino.
«Scusa, non volevo svegliarti, è solo che io ora devo andare a lavoro, volevo dirtelo»
«Devo alzarmi?»
«No, tranquilla, dormi quanto vuoi»
Betsy sorrise, poi però vide Jane in cucina già vestita e ben truccata. Che dovesse uscire anche lei?
«Chris, resterò sola?» 
Il ragazzo scosse subito la testa.
«No, tranquilla, oggi Jane resterà qui con te, io tornerò per pranzo, okay?»
Betsy annuì e lasciò che suo fratello si alzasse e le coprisse un pò di più le braccia con le coperte.
«Dormi, ci vediamo dopo» le disse infine baciandole la fronte e correndo subito dopo verso il bagno. Si preparò e poi usci di casa quasi pronto per affrontare un'altra estenuante giornata di lavoro.

Uscì dall'officina alle 12:30. Non si stupì quando vide Trevor che lo aspettava lì fuori, con una sigaretta fra le labbra. Era ridotto molto male, ma stava tranquillamente in piedi quindi non gli aveva procurato alcun tipo di danno che un pò di disinfettante e il tempo non potessero curare. Si guardarono per qualche secondo, poi Chris lo oltrepassò e l'altro lo seguì a testa bassa.
«Perchè sei venuto fin qui?» gli chiese Chris senza voltarsi.
«Lontani da occhi indiscreti, Chris, ecco perchè»
Chris strinse istintivamente i denti, poi gli rubò la sigaretta.
«Allora?»
«È tutto risolto, potete tornarvene a casa anche adesso»
Chris fece un paio di tiri, poi buttò via la cicca.
«Che fine ha fatto?»
Trevor pensò di non aver mai sentito il suo amico usare un tono così coscienzioso. Sicuramente non voleva correre il rischio di trovarlo in giro o, peggio, di vederlo ronzare intorno a sua sorella.
«Non lo so, ma quei tre mi hanno assicurato che non tornerà più»
«Mi devo fidare di loro?» gli domandò Chris. C'era qualcosa di strano nella sua voce. Aveva paura. Temeva di ritrovarsi in qualche guaio troppo grosso, di rovinare di nuovo la felicità di sua sorella. Non poteva permettesi nulla, doveva mettere la sua vita su un binario che portasse tutti ad una destinazione giusta e pulita. Ringraziò mentalmente Trevor per averlo convinto a tornarsene a casa, la sera prima. A mente lucida, si era reso conto davvero della cosa orribile che stava per fare. 
«Chris, gli ho dovuto dire ciò che aveva fatto per convincerli e quando hanno capito la situazione non hanno battuto ciglio» rispose Trevor serio.
«Ti assicuro che non avrai più problemi, devi solo far sì che tua sorella dimentichi tutto»
Chris prese un grande respiro poi, in silenzio, arrivarono alla fermata dell'autobus. Si sedettero accanto, ma per tutto il viaggio nessuno dei due osò dire niente.
«Ci si vede» disse Trevor una volta arrivati a destinazione. Chris annuì solamente, era troppo preso dai suoi pensieri. Quando furono abbastanza lontani da doversi parlare alzando di più la voce, Trevor lo chiamò e Chris si voltò nella sua direzione.
«Dimentica tutto anche tu»
Chris lo guardò per un pò, poi gli accennò un sorriso amaro e ritornò sulla sua strada.

Entrato in casa aveva trovato la tavola apparecchiata, il letto rifatto e Jane che portava posate e bicchieri in una mano e una bottiglia d'acqua nell'altra. L'aveva salutata e si era guardato intorno. Betsy non c'era, ma prima che lui potesse chiedere dove fosse, la ragazza gli corse in contro abbracciandolo. Si accertò che stesse bene, ma da quell'abbraccio così amorevole e spensierato aveva già capito tutto. Betsy gli chiese come si fosse fatto quel livido che, fortunatamente, non aveva notato quella mattina, Chris le rispose vagamente, disse che si era fatto male a lavoro. Lei reagì bene a quella bugia, tanto da non dare peso alle sue parole.
Mangiarono chiacchierando di vari argomenti e Chris dovette ammettere che, non solo fra le due c'era un bel feeling, ma anche che Jane era stata alquanto brava a rapportarsi con una ragazzina complicata come sua sorella. 
Aspettò il momento giusto prima di cercare lo sguardo di Betsy. Si sentiva un pò nervoso, non sapeva come l'avrebbe presa, non aveva assolutamente idea di quello che sarebbe successo. Era come tuffarsi a capofitto nell'ignoto e ciò lo spaventava non poco.
«Devo dirti una cosa»
Betsy lo guardò interessata, mentre Jane rimase un attimo in disparte pensando di non essere coinvolta in quella situazione.
«Torniamo a casa» disse rilasciando un sospiro silenzioso. Fu come liberarsi di un macigno che gli opprimeva il petto da troppo tempo.
Betsy abbassò un pò lo sguardo, il suo viso aveva una strana espressione. Forse non era ancora pronta? Si era ambientata a casa di Jane tanto da preferirla? Aveva paura di qualcosa?
Chris trattenne un sorriso amaro e triste. Certo che aveva paura, lei non sapeva che ormai Hector era acqua passata.
Guardò Jane che fissava entrambi con un viso inespressivo. Strano, ma dopo tutto quel tempo passato a vivere con lei, desiderava avere anche un suo parere.
Betsy prese un grande respiro e mise fine a quel silenzio indesiderato e pesante.
«Quindi vieni anche tu con me?»
Chris annuì.
«Okay» disse infine Betsy portandosi il bicchiere d'acqua alle labbra, poi Jane si alzò e iniziò a sparecchiare. Chris, per restare qualche secondo solo con lei, decise di darle una mano. Quando la ragazza cominciò a sciacquare i piatti da mettere in lavastoviglie, vide Chris entrare in cucina e buttare qualche tovagliolo sporco.
«Come mai hai deciso di andartene?» gli chiese fingendo disinteresse. In realtà le dispiaceva, si era abituata alla sua presenza in casa.
«È mia sorella, credo di dover seguire lei adesso»
Jane annuì, ma subito dopo si accigliò.
«E cosa farai con Hector?»
Chris ebbe un attimo di esitazione.
«Christopher, non so cosa tu e Trevor abbiate fatto per risolvere questa situazione, e non mi interessa nemmeno» proferì seria fissandolo negli occhi.
«Ma comunque quello stronzo non meritava alcuna pietà»
Sollevato da quell'ultima frase, Chris si avvicinò un pò di più a lei.
«Mi dispiace dover andare via»
«E a me dispiace che te ne vai, ma è la cosa giusta»
Si sorrisero, poi Chris la lasciò e tornò da sua sorella. Aveva ancora un pò di tempo per stare lì, erano appena le 13:20. Si sedette sul divano letto, Betsy stava cercando qualcosa da guardare. Pochi minuti dopo, però lasciò cadere il telecomando e si rivolse a Chris.
«Ho una domanda, anzi due» disse.
«Okay» mormorò Chris. 
«Prima di tutto voglio sapere come mai hai preso la decisione di tornare a casa... intendo, dopo quello che è successo con Hector...»
«Ehi, credi davvero che se lui fosse ancora in quella casa io ti riporterei a vivere lì?» le chiese. La ragazza spostò gli occhi su un punto indefinito della coperta sotto di loro, poi scosse la testa. Non aveva capito davvero come aveva fatto a mandarlo via, ma si fidava di Chris ciecamente. Sospirò pesantemente e lo guardò di nuovo.
«Sei gay?» gli chiese poi con un tono diretto, ma il suo viso un pò perplesso rese quella domanda meno difficile da sopportare.
«Ecco... io... no, ma-»
«Vi ho sentiti qualche volta... tu e Trevor intendo» disse un pò imbarazzata. A dire il vero tentava solo di aiutare suo fratello a dire la verità, a non fare troppi giri di parole per poi arrivare ad una non risposta o una bugia.
Chris deglutì a vuoto e si prese qualche istante per raccogliere i suoi pensieri. Non le avrebbe mentito, non aveva motivo per farlo.
«Non volevo, mi dispiace... non credo di essere gay, Trevor è stato il primo ragazzo con cui... ecco...»
Trovò un pò di difficoltà ad una usare la parola "sesso" con sua sorella e lei se ne accorse.
«Ho capito» lo fermò Betsy.
«Sì, e... e però adesso io e Trevor ci parliamo a malapena... adesso è diverso, ora c'è un'altra persona che mi piace... tanto»
Betsy si accigliò per ciò che aveva appena sentito su Trevor. Non poteva credere che due amici come loro si allontanassero tanto da "parlare a malapena". Ma il pensiero che Chris avesse conosciuto qualcun altro la distrasse subito.
«Un... ragazzo?»
Chris annuì solamente.
«Chi è? Lo conosco?» chiese curiosa.
«Sì... è... Ricky» mormorò sorridendo subito dopo. Gli venne spontaneo ricordare tutto quello che era successo la sera prima e sentì un formicolio allo stomaco.
Betsy sbarrò gli occhi tanto fu grande la sorpresa. Pensò a tante cose: Chris e Ricky davanti a lei non avevano mai fatto o detto nulla di equivoco, Ricky non le stava particolarmente simpatico anche se non lo conosceva bene, a suo fratello piaceva un ragazzo e chissà se lui ricambiava i suoi sentimenti.
«Va bene» disse poi sorridendogli. Chris si rilassò. Quel sorriso era probabilmente la cosa che più voleva vedere in quel momento, come un segno di approvazione per tutto, come un appiglio, un aiuto, una mano sempre tesa verso di lui pronta ad afferrarlo.



Spero che il capitolo sia decente perchè altrimenti mi torturo da sola calandomi in una teca piena di ragni(?) LOL
Vi adoro tanto tanto, bacini *w*

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18-Everything will be tragically fine ***


-Capitolo 18 - Everything will be tragically fine.
«Hai preso tutto?» domandò Jane piegando l'ultima maglia di Chris e riponendola nel borsone.
«Credo di sì, tanto le mie cose da qui non scappano» rispose Chris mentre si asciugava i capelli nella camera da letto. Erano appena le 14:30, quel sabato Chris aveva finito di lavorare e, avendo il pomeriggio libero, aveva deciso di tornare a casa sua proprio quel giorno. Lui e Betsy avevano deciso il giorno prima che avrebbero passato solo un'altra notte a casa di Jane, solo per poter riportare le cose di Chris a casa loro con più calma. 
Jane chiuse il borsone e si sedette sul letto osservandolo per un pò.
«Quando chiamerai Ricky?»
Chris sospirò. Non l'aveva ancora sentito. Sapeva di essersi comportato male, l'aveva mandato via senza nemmeno salutarlo per bene e non gli aveva nemmeno mandato un messaggio.
«Non lo so, penso che lo farò più tardi, voglio prima rimettere tutto in ordine e poi mi occuperò di lui»
Jane annuì, poi si alzò quando Chris ebbe spento l'asciugacapelli. Gli prese la mano e lo accompagnò accanto al letto facendolo sedere. Lei rimase in piedi davanti a lui e si mise un pò di gel fra le mani. Lo passò lentamente fra i capelli di Chris.
«Potresti farti una super cresta, come quelle dei punk»
Il ragazzo rise e scosse la testa.
«Te li divido a metà come il prof di algebra?»
«No, ti prego, li metteva in quel modo orribile per coprire l'alopecia»
Jane sorrise e cominciò ad acconciargli i capelli come aveva sempre fatto.
«Hai uno strano modo di amarlo... parlo di Ricky, ovviamente»
Chris sospirò. In effetti non era mai stato molto giusto nei confronti di quel ragazzo. A volte si sentiva debole, ma forse era solo una questione di età. Non era abbastanza grande per quelle cose che raramente gli erano importate, gli serviva più tempo. Aveva solo diciannove anni e, nonostante il suo cuore avesse imparato a battere forte da quando c'era Ricky, non riusciva a comandare il suo corpo se qualcun altro lo stuzzicava.
«Non è vero» mentì. Jane diede un'ultima occhiata ai capelli, poi andò a sciacquarsi le mani. Quando ritornò in camera da letto, Chris era ancora lì seduto.
«A cosa pensi?» gli chiese.
«Voglio che stavolta vada tutto bene» mormorò Chris.
«A casa, con Betsy, mia mamma, Ricky, il lavoro... voglio una vita normale, sono stanco di tutto lo schifo che ho avuto finora»
Jane si commosse, ma cercò di non darlo a vedere. Se si concentrava sulla sua normale vita da ventenne pensava solo a quanta leggerezza aleggiasse su di lei, ma Chris aveva avuto mille responsabilità che l'avevano solo imprigionato. Aveva sempre pensato che con un pò d'aiuto quel ragazzo potesse fare grandi cose, ma purtroppo era incatenato ed erano davvero poche le persone su cui poteva contare.
Chris si alzò e si vestì sotto lo sguardo di Jane. Quando stava per mettere la maglia, la ragazza lo fermò.
«Aspetta, metti questa» disse prendendo una felpa dal borsone. Chris notò con quanta bravura aveva preso quella maglia senza sgualcire le altre. Jane era nota per la sua accurata ordinatezza.
«Cosa cambia?» disse Chris poggiando la maglia scelta da lui sul letto. Jane lo aiutò ad indossare l'altra.
«Questa ti sta meglio» rispose lei mantenendogli ancora l'orlo della felpa. Si osservarono per un pò, poi lei spostò le mani sul viso di Chris e si avvicinò pericolosamente.
«Mi mancherai» gli sussurrò prima di lasciargli un bacio appena accennato sulle labbra. Chris la lasciò fare, sapeva che non si sarebbe spinta oltre.
«Ripeto» disse lei pochi istanti dopo il bacio. I loro visi erano ancora vicinissimi.
«Hai uno strano modo di amarlo»
Chris non riuscì a risponderle. Jane aveva pienamente ragione. La lasciò andare e rimise tutto in ordine, poi portò tutto nel salone. Betsy era seduta accanto a Jane, parlavano di qualcosa.
«Betsy, io sono pronto»
Lei voltò verso di lui, poi si alzò.
«Vi accompagno» disse Jane prendendo le chiavi dell'auto. Il viaggio fu breve e silenzioso e quando Jane si fermò fuori casa, Chris ci pensò un pò prima di scendere. Betsy chiuse la portiera, ma non entrò in casa. Aspettò che Chris salutasse la ragazza con calma.
«Senti, grazie per-»
«Non mi ringraziare, l'ho fatto volentieri e se ce ne dovesse essere il bisogno puoi anche tornare da me»
Chris le sorrise.
«Non ti chiedo di entrare, non so in che condizioni la troverò» disse guardando casa sua dal finestrino.
«Tranquillo... adesso vai, ci vediamo»
Chris annuì e scese dall'auto. Mentre prendeva il suo borsone, i suoi amati disegni e le altre cianfrusaglie, Betsy e Jane si salutarono, poi la ragazza andò via.
«Non ci vieni da un sacco di tempo» disse Betsy camminando dietro di lui. Aveva un pò di timore, ma suo fratello camminava davanti a lei e si sentiva protetta.
«Sì, mi sono preso una pausa da quel letto schifoso su cui ho dormito per diciannove anni» scherzò strappandole una sorriso. Entrarono in casa e le luci erano tutte spente. Chris lasciò le sue cose davanti la porta e si guardò in torno. Betsy aveva acceso le luci. Era molto più pulita e in ordine di come la ricordava, il salone non era il massimo ma meno impolverato del solito. In cucina non c'erano piatti sporchi e il tavolo non era cosparso di briciole di cibo o carte di vario genere.
«Mamma ha smesso di passare tutto il tempo in camera sua, Hector pagava le bollette e lei... ha ripreso ad uscire più spesso, ha detto anche che voleva cercarsi una lavoro» disse Betsy alle sue spalle. Chris annuì. Non poteva crederci, sembrava quasi che il problema di sua madre fosse sparito quando lui era andato via. Si sentiva come se tutto ciò che aveva fatto per rendere felice i suoi fratelli e per tirare avanti non fosse servito a nulla. Tanto era arrivato Hector che aveva reso le cose migliori.
«Dove diavolo è adesso?» chiese Chris e sua sorella fece spallucce senza badare al fatto che lui non potesse vederla.
«Non saprei» mormorò dopo.
«Chris, lei è ritornata ad essere affettuosa con me»
Il ragazzo di voltò verso di lei. Sperò con tutto il cuore che sua madre fosse realmente intenzionata a seguire Betsy. Non gli importava come si sarebbe comportata con lui, non aveva più bisogno di una madre, ma forse le cose potevano migliorare con sua sorella. Allo stesso tempo sperava che quella ragazzina fosse abbastanza astuta da non cascarci del tutto, così da non rimanere delusa se sua madre l'avesse di nuovo abbandonata.
«Sono contento» le disse con un sorriso un pò sforzato. Betsy ritornò nel salone e prese il borsone di Chris, più leggero di quanto immaginasse.
«Mettiamo di nuovo queste cose al loro posto?» gli chiese. Chris annuì e prese le altre cose. Andarono in camera loro. Ciò che saltò agli occhi dei due appena entrarono e le luci illuminarono la stanza, fu il letto ancora sfatto di Betsy. Sua madre probabilmente non ci era proprio entrata lì. Chris lo prese come un altro segno della sua inutile figura di madre.
«Apri la finestra» disse il ragazzo posando le sue cose sulla piccola e vecchia scrivania. Mentre sua sorella faceva ciò che le era stato chiesto, Chris si guardò intorno. C'erano cose che per quanto odiasse non poteva dimenticare: la macchia di umidità sul soffitto, l'intonaco screpolato in un angolo, la porta che scricchiolava, il pavimento vecchio e graffiato, lo spazio minimo fra i tre letti incastrati malamente in quello spazio troppo piccolo. Sospirò quando posò lo sguardo sul letto di Jonathan. Non seppe dare un nome al sentimento che provava, ma qualcosa si ruppe di nuovo dentro di lui. Quella, la morte di suo fratello, era solo una delle tante ingiustizie che aveva subito inutilmente e ingiustamente.
«Ehm... togliamo prima le coperte, tutte, sono sporche» disse Chris avvicinandosi al letto di sua sorella. Lei lo guardò accigliandosi.
«Chris, quello è il mio letto» disse quasi ridendo. Mancava da un pò in quella casa, ma di certo non poteva essersi dimenticato di dove dormiva.
«Lo so» disse togliendo la federa del cuscino. Non voleva assolutamente che sua sorella rivivesse qualche scena di quella sera, quando, in quel letto, Hector aveva tentato di farle del male.
Per rifare i letti impiegarono pochi minuti, poi Chris rimise i suoi vestiti nell'armadio mentre sua sorella ripuliva un pò la camera che era rimasta abbandonata per un paio di giorni.
Mentre Chris era intento a rimettere i suoi trucchi in bagno, Betsy comparve e si sedette sul bordo della vasca. Lo guardò un pò, ma Chris non diede peso a quello sguardo finchè lei non gli fece una domanda che lo fece quasi rabbrividire.
«Perchè non sei venuto al funerale?» 
Chris non riuscì subito a rivolgerle lo sguardo, nè a trovare una risposta. C'erano tanti motivi per cui non aveva voluto assistere al seppellimento di suo fratello, quindi non trovava il modo per cominciare. Non aveva nemmeno voglia di parlarne.
«Io...»
Guardò in basso, poi si abbassò di fronte a lei e le prese le mani nelle sue.
«Lo sai che io non ci vado, al cimitero intendo... e poi pensavo che tu non volessi vedermi»
Betsy si morse le labbra.
«Non ti è dispiaciuto perderti quel momento?» 
Agli occhi del ragazzo sembrò amareggiata e pronta a piangere.
«Cosa vuoi che ti dica?»
«Che ti dispiace e che in quel momento volevi essere lì con me... ho pianto tanto» disse Betsy con gli occhi lucidi. Chris la strinse a sè, un pò per consolarla e un pò perchè non voleva che si accorgesse di quanto anche lui era sull'orlo di un pianto.
«Mi dispiace non esserci stato... avrei tanto voluto essere lì con te» le sussurrò. Accarezzò un pò i suoi capelli, poi sciolsero l'abbraccio. Entrambi evitarono di guardarsi, consapevoli dell'effetto che aveva avuto quell'argomento e quell'abbraccio su di loro.

Avevano finito già da un pò, Chris aveva rimesso tutto al suo posto e Betsy aveva guardato in ogni angolo della casa per assicurarsi che non ci fosse più alcuna traccia di Hector. Il ragazzo se ne stava sdraiato sul letto, mentre Betsy preparava uno spuntino. Entrambi avevano voglia di riempirsi un pò lo stomaco dopo aver rimesso praticamente a nuovo la casa. Teneva gli occhi fissi sul soffitto e, lentamente, nella sua testa si formulò una musichetta a lui familiare. Forse una canzone che aveva sentito in tv qualche tempo prima. Non ricordava bene, ma la poteva sentire nella sua testa e gli bastò per distrarsi e rilassare i nervi. Dopo un bel pò Betsy si affacciò nella stanza.
«Chris»
Lui spostò lo sguardo di scatto su di lei.
«È pronto?» le chiese speranzoso e lei annuì.
«Sì, ma... c'è una persona di là... per te»
Chris si accigliò. Sperò con tutto il cuore che non fosse Trevor, non aveva voglia di sentire nessuna delle sue storie o lamenti. Non gli andava per niente.
Arrivò nel salone e in un attimo i suoi occhi si posarono in quelli dell'altra persona. Non poteva crederci.
«Ricky? Che ci fai qui?» gli chiese sorpreso. 
«Io... ecco, sono passato per... volevo vedere come stava tua sorella e poi...» non riuscì a terminare la frase, ma Chris lo interruppe.
«Okay, ehm... ti unisci a noi? Facciamo un pessimo spuntino ad un orario improponibile»
Ricky sorrise e annuì. Betsy, nonostante non avesse mai visto di buon occhio Ricky, decise di starsene buona e accontentare Chris che sembrava felice di vederlo.
Cinque minuti dopo, Betsy aveva finito di preparare la specialità dei Cerulli: il pane tostato con dentro qualsiasi cosa commestibile e non scaduta presente nel frigorifero. Ricky lo guardò un pò prima di addentarlo, ma non rifiutò di mangiarlo tutto perchè tanto anche loro lo stavano mangiando. Non doveva essere così terribile. 
Quando ebbero finito, Chris tolse piatti e bicchieri dal tavolo e rimase solo con Ricky quando Betsy decise di andare a farsi una doccia. Non appena scomparve dalla loro visuale, fu impossibile per entrambi restare lontani. Si abbracciarono forte e baciarono a lungo.
«Come stai?» gli chiese Chris allontanandosi di poco dalle sue labbra.
«Bene, credo... ho parlato con mia madre»
Chris sbarrò gli occhi. Non se lo aspettava.
«Dimmi tutto» disse sedendosi di nuovo al tavolo trascinandolo sulla sedia accanto alla sua.
«Le ho detto che non me ne frega niente di quello che dice lei, che voglio stare con te e che avrei fatto di tutto pur di riuscire a vederti» disse stringendo le mani di Chris come se fossero due oggetti preziosi.
«Lei mi ha detto che me ne sarei pentito, che un giorno tornerò da... che tornerò da lei strisciando, chiedendole aiuto e perdono»
Gli occhi di Ricky sembravano troppo tristi e privi di quella vitalità che tanto piaceva a Chris.
«Ricky, sei ancora in tempo, io non mi arrabbierò se deci-»
«No, no, no, ti prego... non dire così, io ti amo... e magari ha pure ragione lei, ma non mi importa, io voglio stare con te, ora so che è questo ciò che voglio» disse, poi prese un pò di fiato cercando di calmare il suo cuore.
«Vorrei solo che mia madre appoggiasse questa mia scelta, ma non fa niente, starò bene»
Chris lo abbracciò di nuovo.
«Staremo bene» lo corresse. Ricky sorrise e si lasciò stringere forte. Quando sciolsero l'abbraccio ci furono pochi istanti di silenzio.
«Gliel'hai detto ad Angelo?» gli chiese Chris improvvisamente.
«Cosa?»
L'aria innocente di Ricky non era per nulla paragonabile a quella maliziosa dell'altro.
«Lo sai» cantilenò Chris e Ricky rise imbarazzato.
«Ma ti pare che glielo dicevo?»
Chris lo fissò trattenendo un sorriso. Gliel'aveva detto, ne era certo.
«Chris, smettila... non mi guardare così» disse perentorio cercando di non incrociare il suo sguardo. Non poteva però evitare di sentirselo addosso, quello sguardo.
«Finiscila, io non... non gliel'ho detto... io...»
Si guardarono per un solo istante e Ricky dovette cedere.
«Okay, sì, gliel'ho detto»
Sul viso di Chris comparve un sorriso a trentadue denti.
«Devi raccontarmi tutto, voglio sapere cosa gli hai detto e come ha reagito»
Ricky roteò gli occhi e gli disse che non gli avrebbe mai raccontato nulla e si alzò per andarsene, per scappare da quella situazione, ma Chris glielo impedì afferrandogli un braccio e tirandolo verso di lui. Ricky, inevitabilmente, finì per sedersi sulle sue gambe.
«Dimmelo» sussurrò Chris baciandogli il collo, annusando l'odore fresco dei suoi capelli e assaggiando la loro morbidezza sul viso.
«Perchè vuoi saperlo?» piagnucolò Ricky.
«Perchè spero che tu mi abbia fatto qualche complimento» scherzò Chris.
«Che genere di complimenti credi che possa farti?»
Chris fece finta di pensarci, poi si guardò il cavallo dei pantaloni sospirando pesantemente. Ricky scoppiò a ridere.
«Tu sei completamente impazzito se pensi che io gli abbia detto che ce l'hai grosso»
«Non gli hai detto che ce l'ho piccolo, vero?»
Sconvolto e ormai a bocca aperta, Ricky scosse la testa e si strinse nella spalle. Non poteva credere alle sue orecchie. Per lui non era assolutamente normale fare certi discorsi.
«Io... no, ma...»
«Questo è l'importante, puoi andare, sei libero»
Ricky si accigliò, ma rimase seduto su di lui.
«Che stronzo, volevi solo che ti elogiassi, non ti fregava niente di quello che ho detto ad Angelo» disse fingendosi offeso. Mise subito il broncio e Chris lo trovò più tenero del solito. Lentamente, si avvicinò di nuovo al suo collo e si bagnò le labbra prima di poggiarle su di esso.
«Ti amo» sussurrò dandogli un altro bacio. Ricky non gli rivolse nemmeno lo sguardo. In fondo, quel giochetto lo divertiva e voleva scoprire fin dove si sarebbero spinti.
«Ti amo» disse ancora Chris spostandogli cautamente i capelli e mordendogli il lobo dell'orecchio, ma Ricky rimase immobile.
«Ti amo» bisbigliò sul suo viso facendo scivolare la mano fra le sue cosce. Ricky socchiuse gli occhi, il cuore gli esplodeva nel petto e il piacere che provava nell'avere le sue mani addosso gli fece sentire una fitta di puro godimento in ogni singolo muscolo.
«Ti amo» disse abbassandogli la cerniera dei jeans. Ricky si morse le labbra e lo lasciò continuare. I brividi lo percorrevano come scosse elettriche. Non riusciva a muoversi e il respiro gli si spezzava in gola.
«Ti amo»
Ricky rilasciò un lento mugolio mentre la mano di Chris scivolava fra i morbidi boxer e la pelle bollente. Sorrise constatando che le sue piccole provocazioni stavano dando i loro frutti.
«Ti prego...» mormorò Ricky fra i sospiri cercando di respingerlo, ma il suo corpo non reagiva ai comandi della sua mente.
«Cosa?» gli domandò Chris sogghignando. La sua mano continuava a muoversi contro l'erezione quasi completa dell'altro. Ricky riuscì a trascinare il suo sguardo sul viso di Chris e cercò di parlargli, ma dalla sua bocca sfuggirono solo dei sospiri. L'espressione di godimento sul suo viso era paradisiaca. Chris non avrebbe mai voluto interrompere i suoi gemiti sommessi, ma dovette baciarlo, dovette appropriarsi delle sue labbra. Intorno a loro era ormai tutto buio e i loro respiri erano diventati pesanti, forse troppo rumorosi. Chris sentì Ricky aggrapparsi forte a lui quando il movimento della sua mano divenne più deciso. Le loro labbra si separarono e di nuovo si guardarono negli occhi.
«N-non ti fermare, Chris... ti p-prego... continua»
Chris accontentò le sue richieste e continuò fino allo stremo delle sue forze, non si fermò fin quando non lo sentì contorcersi su di lui, col viso in fiamme, lo sguardo annebbiato dal desiderio. Non interruppe quel momento bruscamente, si accertò che Ricky si gustasse fino all'ultimo istante quel piacere che aveva deciso di donargli. Si baciarono di nuovo e Chris sfilò la mano dai boxer di Ricky solo quando sentì il suo respiro di nuovo regolare. Il ragazzo si ricompose subito cercando prima di pulirsi un pò. Chris rise mentre, osservandolo, si lavava le mani.
«Che cazzo ridi?» gli chiese Ricky imbarazzato.
«Niente, pensavo che è un vero peccato che non sia tua madre a lavarti le mutande, certe cose dovrebbe proprio vederle»
Ricky rise leggermente, poi seguì Chris che andò a sedersi sul divano. Guardarono la tv per qualche minuto , poi a loro si unì anche Betsy. In un primo momento, la ragazza si sentì un pò a disagio, non voleva disturbare i due piccioncini. Qualcosa però cambiò quando si accorse che Ricky non era stato avvertito da Chris che lei era al corrente della loro relazione. Ne approfittò quando Chris si alzò per andare in bagno. Di proposito, sospirò con aria sognante seguendo con lo sguardo suo fratello mentre usciva dalla stanza. Riuscì a catturare l'attenzione di Ricky.
«È proprio bello» gli disse prendendolo evidentemente alla sprovvista.
«Chris, intendo... è meraviglioso, non credi?»
Ricky, imbarazzato e nervoso, annuì e si sforzò a sorriderle.
«Sai, credo che se lui non ci fosse la mi vita non avrebbe alcun senso, preferirei morire invece che vivere senza di lui» mormorò Betsy avvicinandosi un pò di più. Potè notare quanto lo stesse mettendo sotto pressione.
«Vedi, Ricky, noi non abbiamo molto, non possiamo permetterci tutto quello che vogliamo, ma è solo grazie a lui se abbiamo ancora un tetto sulla testa, un letto in cui dormire e ci possiamo permettere almeno due pasti al giorno»
Guardò le mani del ragazzo che si sfioravano nervosamente fra di loro, il suo petto che aveva preso ad abbassarsi e alzarsi più velocemente, la sua espressione incerta e un pò tesa. 
«Già, Chris è... una persona fantastica» 
«Non potrei sopportare che qualcuno me lo portasse via, davvero non ce la farei... in realtà voglio solo che sia felice, so che troverà una persona che lo allontanerà da me in un modo o nell'altro, ma vorrei poterlo tenere per sempre con me» disse quasi con le lacrime agli occhi. E quella non era finzione.
«Deve essere felice, lo merita... tu non gli farai del male, vero?»
Ricky non capì il motivo di quelle confessioni, forse aveva capito qualcosa. Scosse la testa alla domanda che gli aveva appena rivolto la ragazza.
«No, non lo farò... non voglio»
Betsy annuì e decise di accontentarsi solo perchè quelle pochissime parole e i suoi occhi sembravano sinceri. In quel momento Chris rientrò nel salone. Entrambi fecero finta che quella discussione non fosse mai esistita. Chris, ovviamente, nonostante avesse origliato gran parte della conversazione, stette zitto e rimase in loro compagnia finchè Ricky non decise di andarsene.

Erano esattamente le 22:00 quando sua madre rientrò in casa. Chris era in cucina, da solo, una sigaretta fra le dita e lo sguardo perso nel vuoto. Stava solo pensando. Pensava agli ultimi tre giorni, a quello che Betsy aveva detto a Ricky in sua assenza, a tutte le cose che erano successe, a tutto quello che doveva ancora accadere. 
Non spostò gli occhi su sua madre, non aveva nemmeno voglia di vederla. Aspettò che fosse lei a trovarlo.
«S-sei tornato?»
Chris non rispose. Che razza di domanda era? 
La donna si sedette accanto a lui e gli poggiò una mano sul braccio, ma lui lo spostò subito. Non gli importava se il suo rifiuto verso di lei le facesse male o meno, era quello che sapeva di dover fare. In qualche modo doveva tutelarsi da lei, dalle sue stronzate, dai suoi cambiamenti d'umore, dalle bugie che era continuamente pronta a dire, dalle finte lacrime.
«Non sapevo che fumassi» disse la donna.
«Non sai un sacco di cose» mormorò Chris senza rivolgerle lo sguardo.
«Non sai un cazzo di me» disse infine spegnendo la sigaretta e alzandosi.
La donna lo seguì. 
«Dove vai? Non andartene» piagnucolò lei quando lo vide aprire la porta e uscire di casa. 
«È tardi, non andare in giro a quest'ora» lo pregò lei afferrandogli la felpa. Chris si fermò di colpo. Che senso aveva tutto quello? Quelle parole erano completamente buttate al vento. Pensava davvero che lui fosse così ingenuo da credere a quella messa in scena?
«Non fare finta di preoccuparti per me, a sei anni mi facevi uscire di casa perchè eri a corto di alcol, tu e Michael mi mandavate in piena notte in mezzo ai tossici e gli spacciatori per trovarvi un briciolo di droga... lo sai quante volte mi hanno ammazzato di botte per colpa tua? Oppure quanti chilometri mi sono fatto per trovare quello che mi chiedevi? Perchè, cara mammina, io lo facevo per cercare la tua approvazione, speravo che facendo tutto quello che mi ordinavi mi avresti voluto bene, che Michael non mi avrebbe più sputato addosso e picchiato fino allo sfinimento, credevo che... ci credevo ancora, ma adesso le cose sono cambiate»
La donna scoppiò a piangere scuotendo la testa.
«Ma... Chris...»
«Cosa vuoi da me?» le chiese brusco ed esausto.
«Che ritorni qui a casa, voglio che torniamo ad essere una famiglia»
Chris scoppiò immediatamente a ridere.
«Ma quale famiglia? Io, Jonathan e Betsy eravamo una famiglia, tu e quello stronzo di Michael non c'entravate un cazzo» le disse con una calma inquietante. La donna lo fissò negli occhi senza trovare le parole, ma cercò di giustificarsi in qualche modo.
«No, non ti azzardare, non provare a chiedere scusa e smettila di piangere... le lacrime dovrei versarle io, non tu»
Lei abbassò lo sguardo.
«Perchè mi dici queste cose?»
«Io ti odio, per me sei inutile, potresti morire davanti ai miei occhi e... probabilmente non me ne fregherebbe nulla... ma Betsy pensa ancora che tu possa cambiare, quindi starò attento a quello che farai, cercherò di proteggerla da te, non merita di subire l'ennesima delusione»
«No, i-io non voglio deludervi... voglio davvero cambiare le cose» sussurrò avvicinandosi a suo figlio. Cercò di accarezzargli il viso, ma non ci riuscì, le sfuggì ancora.
«Ma dai? Davvero? Oh, così mi fai commuovere... smettila di recitare questa parte» disse Chris.
«Puoi prendere in giro Betsy, perchè lei è ancora troppo ingenua o forse spera davvero che in un futuro magari non troppo lontano possa avere una madre, ma io... io non sono Betsy, tu non mi prendi per il culo, l'hai fatto troppe volte, adesso basta» disse mettendole una mano sotto al mento, la costrinse a guardarlo dritto negli occhi.
«Vuoi davvero fare la mammina? Ti accontento, io e te adesso facciamo una cosa insieme, entriamo in casa e facciamo finta che tu non sia una stronza, che io non sia incazzato a morte con te e che ci vogliamo tutti bene... lo faremo per Betsy e lo faremo per sempre, quindi pensaci bene prima di accettare»
«Quindi... ricominceremo d'accapo?»
Chris scosse la testa.
«No, ho detto che faremo finta solo per rendere felice Betsy... finti abbracci, finti sorrisi, finti auguri di buon compleanno, finti saluti... chiaro?»
Sua madre aspettò un pò, poi annuì. A Chris non piaceva per niente rivolgersi alle persone in quel modo, con quel tono duro, ma era l'unico modo che aveva per farle capire quali erano le sue intenzioni. Qualcosa dentro di lui si stava bruciando. Forse gli occhi intristiti di sua madre non lo lasciavano del tutto indifferente, ma non poteva lasciarla entrare di nuovo nella sua testa, non poteva permetterle di trattarlo come un giocattolo. Non sapeva se davvero qualcosa era cambiato in lei, ma lui aveva a cuore solo il bene di sua sorella e il suo.
Stava per parlare di nuovo quando una voce femminile alle sue spalle lo chiamò. Si voltò verso la strada e vide subito Sheryl camminare verso di lui. Si accigliò preoccupato. Decise di rimandare sua madre in casa, non era il caso che si mettesse in mezzo.
«Sheryl? Che ci fai qui?» le chiese correndo verso di lei. Sembrava spaventata, aveva le lacrime agli occhi. Questo lo preoccupò molto perchè la prima idea che gli venne in mente fu che le fosse successo qualcosa di brutto. Era una ragazza, sola e a piedi, in un posto orribile come quello; le poteva essere successo di tutto.
La ragazza lo abbracciò forte, poi lo guardò rimanendo vicinissima a lui.
«A meno che tu non sia in realtà uno spietato assassino, sei la miglior cosa che poteva capitarmi» disse Sheryl ritornando col sorriso.
«Mi spieghi cosa ci fai qui?» le chiese ancora.
«È una lunga storia, ma diciamo che dovevo andare a casa di un amico e mi sono persa»
«Come diavolo ci sei arrivata fin qui?» chiese più a se stesso che a lei. Se si era persa era logico che, camminando per cercare la strada di casa, era potuta capitare lì. 
«Te l'ho detto, mi sono persa» disse abbassando lo sguardo. Chris la osservò bene: aveva addosso una semplice maglietta bianca a maniche lunghe, molto scollata e che le copriva a malapena l'ombelico, un paio di jeans stretti le lasciavano le gambe scoperte su diversi punti, ai piedi indossava degli stivaletti bassi. Chris sorrise.
«Che ridi?»
«Pensavo che sei stata fortunata a non aver indossato un tacco dodici prima si uscire... da casa tua a casa mia sono quasi cinque chilometri»
«Mi fanno male lo stesso» disse guardandosi i piedi. A Chris sembrò molto stanca.
«Dai, vieni con me»
La ragazza lo seguì in silenzio. Una volta in casa si guardò in torno. Non era sicuramente la casa più bella che avesse mai visto, ma almeno non era sola.
Chris la fece accomodare sul divano e andò a prenderle un pò d'acqua. Sua madre era in cucina.
«È la tua fidanzata?» gli chiese subito.
«No» rispose posando la bottiglia in frigo.
«È molto bella» gli sussurrò. Chris pensò di mandarla a quel paese, ma qualcosa gli disse di non farlo. Si voltò verso di lei con un sorriso appena accennato.
«Sì, è bella, ma ecco un'altra cosa che non sai di me» disse muovendo un passo verso di lei. Le luci erano spente, voleva solo assicurarsi di catturare la sua espressione.
«Da un bel pò mi scopo gli uomini» 
Un sorriso quasi malvagio si appropriò delle sue labbra quando vide sua madre a bocca aperta, completamente sconvolta da quella notizia. Non aveva mai avuto tanta sete di vendetta in tutta la sua vita.
Tornato da Sheryl, le diede il bicchiere e si sedette accanto a lei.
«Chiamo tuo padre, ti faccio venire a prendere»
Lei scosse subito la testa.
«No, ti prego, lui non lo sa che sono uscita, crede... crede che sia a casa a dormire» disse scocciata legandosi i capelli con un elastico che portava al polso.
«Dovrai pur tornare a casa, no?»
Sheryl sospirò mordendosi le labbra. Chris la guardò per un pò. Sì, era molto bella.
«Senti, facciamo così, dammi qualche minuto, vedo di trovare il modo per accompagnarti» disse Chris alzandosi. Prese il suo cellulare e chiamò Jane, ma la ragazza non rispose a nessuna delle sue cinque telefonate. Sapeva cosa stava facendo, sapeva che era insieme ad Adrian e il solo pensiero lo fece arrabbiare.
Pensò di non avere nessun'altra soluzione, ma poi notò che le luci in casa di Rose erano ancora accese. Disse a Sheryl di seguirlo. Bussò a casa della donna un paio di volte, poi sentì la sua voce provenire dall'interno.
«Chi è?»
«Rose, sono Chris»
Un istante dopo la porta si aprì e la donna comparve in una vecchia vestaglia e delle pantofole da stanza.
«Da quanto tempo... ti è successo qualcosa? Entra» disse preoccupata. Di solito, se si presentava a casa sua di notte, era solo per cercare aiuto.
«No, volevo solo chiederti se potevi prestarmi l'auto, dovrei riaccompagnarla a casa» le disse indicando distrattamente Sheryl.
«Ehm... sì, va bene»
Rose rientrò qualche secondo in casa e ritornò da Chris con le chiavi dell'auto in mano.
«Grazie, Rose»
«Di niente, sta attento»
Chris annuì e, insieme a Sheryl si diresse verso la macchina. Le strade erano quasi vuote quindi non impiegarono molto tempo per arrivare fuori casa della ragazza, ma Chris dovette ammettere che Sheryl era stata in grado di strappargli qualche sorriso. Canticchiarono le canzoni che passavano alla radio e si divertirono ad imitare le voci dei cantanti. Il ragazzo fu colpito dal modo naturale che aveva Sheryl di comportarsi davanti a lui. Si erano visti poche volte da quando lei era arrivata e sempre in presenza di Michael. Quella sera era molto diversa dal solito, la trovò più genuina. Forse, la presenza di suo padre la inibiva.  

Arrivato a casa, rimise l'auto esattamente dov'era prima e riconsegnò le chiavi a Rose dandole la buonanotte. Fischiettando, attraversò la strada pensando che il prossimo passo sarebbe stato quello di mettersi finalmente a letto e dormire. Aprì la porta, ma qualcosa catturò la sua attenzione. Un suono strano, un gemito di dolore e dei passi ruppero il silenzio inquietante che raramente si formava lì intorno. Pensò quasi di fregarsene, ma quando sentì una voce a lui molto familiare, si pentì anche solo di averlo pensato. Corse in strada e vide Trevor che barcollava nel buio. Gli corse incontro preoccupato.
«Chris» rantolò Trevor aggrappandosi all'altro. Chris, nonostante il buio, notò che si reggeva un fianco.
«Che cazzo... Trevor, ma che cazzo è successo?» gli chiese rendendosi conto di quanto dolore stesse provando. Si era praticamente appeso su di lui e non smetteva di lamentarsi a denti stretti. Si guardarono negli occhi, poi Trevor riuscì a parlare.
«Gliel'ho detto» mormorò spostando la mano dal fianco. Chris sbarrò gli occhi quando vide la mano ricoperta di sangue e i vestiti impregnati anch'essi dello stesso liquido scuro. Lo guardò di nuovo incredulo.
«L'ho... gliel'ho detto, C-Chris» disse ancora, ma stavolta con un sorriso amaro sul volto. Chris decise che non poteva più starsene lì a fissarlo. Lo trascinò in casa. Fortunatamente Betsy dormiva già da parecchio e, a quanto potè constatare, anche sua madre si era messa a letto.
Chris lo fece sdraiare sul divano e gli tolse la felpa. Non si sarebbe mai aspettato di vedere tutto quel sangue sgorgare come una fontana dalle svariate ferite che aveva su tutto il fianco destro. 
«Aspetta qui, torno subito» gli disse correndo in bagno. Prese degli asciugamani puliti e ritornò da lui.
«Trevor» lo chiamò per accertarsi che non avesse perso conoscenza. Il ragazzo gli rivolse uno sguardo stremato.
«Trevor, sto per farti molto male» lo avvertì prima di premere gli asciugamani sulla pelle squarciata, ridotta quasi in brandelli. Trevor emise un urlo che però venne smorzato dalla poca energia che aveva in quel momento. Chris continuò a premere, non gli importava quanto male gli stesse procurando.
In quel momento entrò nel salone sua madre. Per la prima volta in vita sua fu felice di vederla.
«Chiama un'ambulanza» si affrettò a dirle, ma lei sembrò paralizzata, terrorizzata dalla scena davanti ai suoi occhi. Si guardò intorno: sangue per terra, sangue sul divano, sangue sulle mani di suo figlio, sangue sul corpo di Trevor. Le girò la testa. Chris la guardò ripetendole di nuovo di sbrigarsi, ma lei sembrava sorda.
«Vaffanculo» le urlò arrabbiato, poi chiamò sua sorella a voce alta e la ragazza dopo pochi secondi comparve nel salone. Aveva gli occhi stanchi, ma era preoccupata. Quando vide Trevor rimase a bocca aperta.
«Ti prego, Betsy, chiama un'ambulanza» le disse con un tono più calmo. Betsy staccò a fatica gli occhi da quella scena orribile e si sbrigò ad ubbidire a suo fratello. Chris prestò di nuovo tutta la sua attenzione a Trevor. Continuava a premergli sulle ferite, gli asciugamani erano ormai intrisi di sangue, il suo viso era pallido e respirava con difficoltà.
«Andrà tutto bene... te lo prometto»
Trevor gli sorrise aggrappandosi alla sua maglia, lo tirò verso di sè con la poca forza che gli era rimasta.
«Gliel'ho detto per... per te» sussurrò vicinissimo al viso dell'altro. Cercò di guardarlo bene: i lineamenti del suo viso che per lui erano assolutamente perfetti, i suoi occhi così belli e profondi, le sue labbra che desiderava ardentemente baciare. Cercò di catturare ogni immagine, ogni sensazione, il suono della sua voce. Non sapeva se sarebbe sopravvissuto, si sentiva troppo debole, il respiro gli si spezzava in gola, sentiva le palpebre pronte a chiudersi, era tutto confuso e ovattato. Non provava più dolore, si sentiva solo... sospeso.
«Cazzo, Trevor, parlami... tieni gli occhi aperti» lo pregò Chris disperato. Aveva distrattamente sentito sua sorella dirgli che l'ambulanza stava arrivando. Quei pochi minuti gli sembrarono un'eternità. Potevano essere fatali.
«Vaffanculo, Trevor, se muori ti ci butto a furia di calci nella fossa... mi hai capito?» gli chiese arrabbiato. Le braccia ormai gli facevano male e non riusciva più a pensare. Voleva solo che quell'ambulanza arrivasse presto. Poggiò la testa sul cuscino, proprio di fianco a quella di Trevor.
«Ti spaccherei la faccia»
«L'hai... già fatto» sussusrrò Trevor cominciando a tremare. Chris sorrise osservando i lividi sul suo viso e sul corpo.
«C-Chris, ho freddo»
Il ragazzo sospirò rimanendo immobile. Non era proprio un bel segno. Betsy, rimasta lì vicino a fissare la scena con le lacrime agli occhi, gli prese subito una coperta e gliela mise addosso come meglio potè. Trevor si sforzò di sorriderle per ringraziarla, poi voltò stancamente lo sguardo verso Chris. Si guardarono negli occhi. Trevor avvicinò così tanto il viso a quello di Chris che le loro labbra quasi si sfiorarono.
«Ti amo» mormorò impercettibilmente. Chris però capì. Non trovò il tempo di rispondere perchè, accompagnati da Betsy che probabilmente nel frattempo era uscita in strada, entrarono tanti infermieri che lo spinsero via. In un istante Trevor era già sull'ambulanza, sulla strada per l'ospedale. 
Chris si guardò le mani, le braccia, i vestiti. C'era sangue ovunque.
«Chris» disse cautamente sua sorella avvicinandosi a lui. Il ragazzo la guardò sconvolto. Solo in quel momento, quando il corpo di Trevor non c'era più, aveva realizzato che tutto quello non era un brutto incubo. Trevor rischiava davvero di morire.
«Chris, stai bene?» gli chiese piangendo.
«Sì... sì, sto bene... io... devo andare in ospedale» disse alzandosi dal pavimento. Betsy l'afferrò per un braccio. Voleva dirgli di darsi prima una pulita, che ormai lui non poteva fare più nulla per Trevor.
«Betsy, devo andare» 
Le diede un bacio sulla fronte.
«Stai attenta» disse prima di correre via.





Yayyyy, ho postato! *festeggia*
Me lo lasciate un commentino? Sì? Davvero? Mi commuovo :') LOL
Vi voglio bene, baci :3

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19-Happiness ***


-Capitolo 19 - Happiness
Chris si svegliò col suono acuto della sveglia. Aveva dormito forse tre o quattro ore. La sera prima era andato in ospedale, coperto di sangue e stanco morto. I medici gli avevano detto che non avrebbe potuto vederlo per un pò. Si era ben informato sulle su come stesse, il medico con cui aveva parlato era stato molto chiaro: Trevor era in condizioni gravissime, aveva bisogno di trasfusioni e di un'operazione urgente. Gli avevano anche detto che se l'ambulanza fosse arrivata un minuto dopo gli sarebbe morto fra le braccia. Avrebbe preferito restare tutto il tempo con lui, ma non gliel'avevano permesso ed era tornato a casa. Si era messo sotto la doccia, l'acqua era fredda ma non gli importava, voleva solo togliersi di dosso tutto quel sangue che non voleva andare via. Era come indelebile, si era infilato ovunque. Uscito dalla doccia si era asciugato strofinandosi addosso un asciugamani fino a farsi male e, nel frattempo, le lacrime avevano cominciato ad uscire dai suoi occhi come cascate. Non capiva il motivo di tutto quel dolore, non capiva perchè la vita dovesse dargliene così tanto. 
Si alzò sperando di non aver svegliato anche Betsy. Era troppo presto per svegliarsi, di solito di domenica dormiva fino a tardi. Andò in bagno e si diede una rinfrescata. Sentiva un peso sulle spalle, sul petto, lo stava opprimendo.
Quando uscì dal bagno, sua madre era lì fuori ad attenderlo.
«Come mai sei già sveglio?» gli chiese. Il suo tono era preoccupato, ma Chris non le credeva per niente. Decise comunque di risponderle, così da non creare altri litigi. 
«Vado in ospedale» disse stanco. La donna annuì e rimase ad osservarlo mentre si vestiva. Chris avrebbe tanto voluto spaccarle la faccia, ma non era in vena, voleva solo correre da Trevor.
Prese il cellulare e, per strada, decise di mandare un messaggio a Ricky. Gli scrisse solo di chiamarlo appena poteva. Arrivato in ospedale aspettò che gli dessero il permesso di entrare nella stanza. Dopo qualche minuto di estenuante attesa, un dottore lo accompagnò da Trevor.
«Come sta?» gli chiese Chris sperando che potesse dargli una risposta.
«Ieri le avrei chiesto di avvertire qualche familiare, oggi... bhe, è sopravvissuto alla notte quindi crediamo che sia fuori pericolo, ma è ancora molto debole»
Chris annuì entrando nella stanza. Ringraziò il medico e chiuse la porta alle sue spalle. Non avrebbe mai voluto voltarsi e vedere Trevor in quel letto, con gli occhi chiusi, la pelle pallida e le labbra secche. Si avvicinò lentamente e spostò un pò la coperta che lo copriva. Era stato ben medicato. Sospirò ricoprendolo. C'era una sedia lì vicino, decise di sedersi e aspettare che si svegliasse. Il silenzio era assordante, pensò quasi di impazzire. Tutto gli ricordava suo fratello, il dolore che aveva provato nel vederlo soffrire per tutti quei giorni, vederlo morire. Non voleva che succedesse lo stesso con Trevor.
Circa mezz'ora dopo, il suo cellulare squillò, era Ricky. Trovò incredibile quanto solo il suo nome scritto sullo schermo potesse rallegrarlo. Rispose e dopo essersi accertato che stesse bene, decise di dirgli il motivo di quel messaggio inviato così presto.
«Ricky, sono in ospedale... per Trevor» disse subito sentendo il ragazzo dall'altro agitarsi.
«Cosa gli è successo?» 
«Ehm... non mi ha detto molto, ma probabilmente si è trovato in qualche rissa» mentì. In realtà non voleva che Ricky sapesse davvero cosa era accaduto a Trevor. Era troppo crudele e poi non poteva dirgli il motivo per cui suo padre l'aveva accoltellato.
«Cosa gli hanno fatto, Chris?»
«Nulla, sta bene, volevo solo dirtelo»
Sentì Ricky sospirare e decise di cambiare argomento. Parlarono per qualche minuto, poi Chris vide Trevor muoversi e capì che stava per svegliarsi.
«Ricky... ehm, ti chiamo io dopo, devo andare»
Si salutarono in fretta e Chris si voltò verso Trevor. Il ragazzo stava aprendo a fatica gli occhi.
«Ehi» mormorò Chris avvicinandosi di più a lui. Si sentiva così sollevato di vederlo sveglio. Trevor tenne gli occhi socchiusi, ma accennò un sorriso. Dopo l'accaduto, era davvero felice di poterlo vedere ancora.
«Come stai?»
«È... bello essere vivi» sussurrò con la voce rauca, ancora addormentata. Chris gli prese la mano.
«Avresti... avresti davvero preso... a calci il mio cadavere?» gli domandò Trevor. L'altro aveva quasi rimosso tutto quello che era successo la sera prima, ma rise leggermente appena gli tornò in mente.
«No, stronzo, che cazzo di persona credi che sia?»
Rimasero per un attimo in silenzio. Chris avrebbe tanto voluto strapparlo via da quel letto e uscire di lì come se niente fosse successo.
«Il medico che ti ha in cura ha detto che ha visto poche volte qualcuno sopravvivere ad un'aggressione simile»
Trevr sospirò.
«È davvero così terribile?» mormorò cercando di guardarsi le ferite, ma non riuscì a muoversi. Era completamente senza forze.
«Ti ha accoltellato sei volte con un coltello con lama a doppio taglio, non chiedermi se è terribile»
Trevor sorrise amaramente. Non poteva crederci, nonostante si sarebbe aspettato anche di peggio da suo padre. 
«Marcus McKinley non scherza» mormorò. Chris scosse la testa alzandosi. Non riusciva a pensare a ciò che gli aveva fatto. E perchè? Solo per dimostrargli che essere gay significava essere zero. Vivo o morto non faceva alcuna differenza.
Si avvicinò alla piccola finestra e l'aprì, l'aria fresca lo colpì sul viso e si sentì meglio. L'odore di quella stanza gli dava la nausea.
«Non voleva ucciderti» disse girandosi verso il letto.
«Se avesse voluto ammazzarti l'avrebbe fatto subito»
Trevor lo fissò terrorizzato. Ciò che lo spaventava non era pensare che Chris avesse formulato quel pensiero, ma che quella era la realtà dei fatti.
«Forse voleva vedermi morire lentamente»
«O farti soffrire... tuo padre è malato» disse Chris sprezzante e Trevor concordò annuendo. Chris ritornò accanto a lui e rimasero per un pò in silenzio, poi Trevor cercò di raccontargli com'era accaduto, dopo un pò Chris gli bagnò le labbra con un fazzoletto perchè aveva sete ma dopo l'operazione non poteva bere. Trevor non pensò di non potercela fare senza di lui, quello che gli ronzava in testa era che nessuno dei due poteva andare avanti senza l'altro. In poco tempo avevano sviluppato un rapporto così forte e profondo che niente avrebbe potuto distruggere. Entrambi sapevano bene che ci sarebbero sempre stati l'uno per l'altro.
Chris chiamò un medico quando Trevor cominciò a lamentarsi dal dolore, l'uomo lo visitò e gli diede dell'antidolorifico per attenuargli il bruciore che quelle ferite gli provocavano. Quando il dottore andò via Chris si sedette di nuovo accanto a lui poggiando la testa sulle sue gambe. Aveva tanto sonno.
«No, sta tranquillo, accomodati pure» disse ironico Trevor cercando di distrarsi.
«Sì che mi accomodo, me lo merito visto che ti ho salvato la vita»
Trevor cercò di ridere, ma si procurò solo altro dolore. Chris chiuse gli occhi e, nonostante la posizione fosse scomoda, si rilassò completamente. Trevor lo guardò per tutto il tempo con un sorriso sul volto. Non riusciva a non essere felice, anche se suo padre aveva tentato di ucciderlo, anche se stava soffrendo. Chris lo rendeva felice, averlo accanto era tutto ciò che desiderava, che gli serviva per stare bene.
Allungò una mano sul suo braccio, lo sfiorò così delicatamente che non riuscì quasi a sentirlo. Non voleva svegliarlo, non voleva una reazione da parte sua, aveva solo voglia di guardarlo e godersi quel momento fino in fondo. 

Appena rientrò in casa, Chris sentì delle voci provenire dalla cucina. Le riconobbe subito: Betsy, sua madre e Rose. Gli sembrò strano che si trovasse in casa loro, di solito non ci andava mai, erano sempre stati lui o sua sorella a correre da lei.
Cercò di non guardare il divano che gli ricordava troppo quell'orribile scena vissuta la sera prima. Il sangue non era andato via del tutto, nonostante Betsy avesse tentato di pulirlo in ogni modo. Entrò in cucina e vide le tre sedute al tavolo con delle tazze di caffè in mano.  Salutò Rose e sua sorella, poi si sforzò a sorridere anche a sua madre.
«Come sta Trevor?» gli chiese Betsy.
«Meglio» disse versandosi dell'acqua. L'odore di quell'ospedale gli era rimasto incastrato in gola. Bevve, poi prese del caffè e infine si accese una sigaretta. Fece tutto meccanicamente, mentre Betsy lo osservava attentamente. Non poteva minimamente immaginare quanto fosse preoccupato. Trevor aveva spesso fatto finire Chris nei guai, ma era il suo migliore amico e non riusciva ad immaginarli lontani. Se Trevor fosse morto, Chris avrebbe perso una gran parte di sè e di conseguenza anche lei, e lei un fratello diverso non lo voleva.
«Ieri sera sono crollata appena mi hai riportato l'auto, non ho sentito l'ambulanza» disse Rose guardando Chris con uno sguardo dispiaciuto.
«Cosa gli è successo di preciso?» 
«L'hanno accoltellato» disse serio. La donna si coprì la bocca con una mano evidentemente sconvolta.
«Che cosa orribile... perchè?»
Chris finse di non saperne nulla scuotendo le spalle. Era così che facevano sempre, mentre per non attirare troppe attenzioni.
«Una rissa finita male, probabilmente»
Le due donne ripresero a chiacchierare e Chris decise di andare in camera sua. Si tolse le scarpe e si sdraiò. Qualche minuto più tardi gli arrivò un messaggio di Ricky. Sorrise nel leggere le parole dolci che gli aveva scritto. Gli piaceva quando gli scattavano quei momenti di tenerezza, si sentiva amato e apprezzato come pensava di meritare. Forse qualche volta aveva ceduto alla tentazione di possedere un altro corpo, aveva sicuramente sbagliato, ma se pensava a tutte le cose brutte che la vita gli aveva offerto non riusciva a pentirsi di essersi goduto dei piccoli momenti di libertà.
Rispose al messaggio e quando gliene arrivò un altro sbarrò gli occhi. Ricky l'aveva appena invitato a casa sua perchè i suoi genitori erano andati a pranzo fuori e lui aveva finto un mal di stomaco per restare a casa. Chris ripose il cellulare nella tasca dei jeans e si alzò di corsa. Si lavò i denti, si diede una riaggiustata ai capelli e alle sopracciglia perfettamente disegnate. Vide sua sorella in fondo al corridoio, probabilmente era diretta alla loro camera.
«Betsy» la chiamò attirando la sua attenzione.
«Io devo uscire, devo fare una cosa importante»
«Torni per pranzo?» gli chiese.
«Non lo so»
Betsy lo guardò per un pò, poi sospirò. Aveva capito che non sarebbe tornato molto presto.
«Okay, ti conservo qualcosa»  
Chris le sorrise ringraziandola, poi le diede un bacio sulla guancia e uscì di casa. Salutò Rose che era nel suo giardino, l'aveva sentita andare via poco prima e ora era lì a cercare di ravvivare una povera pianta. Camminò così velocemente che ad un certo punto non riusciva più a controllare il movimento meccanico delle sue gambe. Le sentiva pesanti, segno che avrebbe dovuto iniziare a correre di nuovo. Un pò gli mancava portare il suo corpo allo stremo delle forze, si sentiva troppo fuori forma.
Arrivato fuori casa di Ricky entrò nel lungo viale costeggiato dall'enorme giardino. Era perfettamente curato, sembrava quasi finto.  Tutto quello che lo circondava aveva un'aria troppo diversa da tutto ciò a cui era abituato lui, gli faceva uno strano effetto.
Suonò il campanello cercando di distrarsi, ci riuscì non appena Ricky aprì la porta e gli afferrò un braccio tirandolo in casa.
«Mmh, mi piace così» disse Chris afferrandogli saldamente i fianchi mentre l'altro era intento a chiudere la porta. 
«Scemo, non possiamo rischiare che qualcuno ci veda»
Chris, preso a baciargli il collo, si fermò di colpo.
«Ah, certo» 
Lo lasciò andare e si mise le mani in tasca. Odiava dover dar conto a qualcuno, non aveva dovuto farlo quasi mai in tutta la sua vita. 
Ricky lo guardò sentendosi in colpa. In fondo, anche a lui dava fastidio tutta quella restrizione, ma non poteva farci nulla.
«Chris, è che... non voglio che la gente sappia che...»
«Che sei gay?»
Ricky abbassò subito lo sguardo. C'era troppo silenzio, non poteva credere di aver già rovinato tutto. Sentì un sospiro ma non riuscì a guardare in alto.
«Ehm... mi dai qualcosa da bere? Ho sete»
Ricky annuì solamente e lo condusse in cucina. Gli disse che aveva della coca, dell'aranciata e dell'acqua. Chris scelse la prima e Ricky gliela versò, poi gli passò il bicchiere. Si incamminò verso il solone, ma Chris non lo seguì. Non appena Ricky se ne accorse, ritornò da lui. Gli stava dando le spalle, poteva solo capire che si stava gustando la sua bevanda. Odiava dovergli stare così vicino eppure così lontano. L'aveva invitato a casa sua per stare insieme, da soli, ma se ne stavano lì a non guardarsi nemmeno.
Si avvicinò lentamente e lo avvolse in un forte abbraccio poggiando la testa sulla sua schiena.
«Mi dispiace» sussurrò stringendolo un pò di più. Chris lasciò il bicchiere sul tavolo difronte a sè e si liberò di quell'abbraccio voltandosi finalmente verso di lui. Lo guardò negli occhi, nei suoi bellissimi occhi. Gli prese delicatamente il viso fra le mani e si chinò per lasciargli un bacio sulla punta del naso.
«Non fa niente»
Ricky lo guardò speranzoso.
«Non sei arrabbiato?» gli chiese e Chris gli sorrise.
«Con te? No» 
Ricky, sorridendo, si alzò sulle punte e posò le labbra sulle sue. Le loro lingue si scontrarono, si intrecciarono, proprio come le braccia intorno ai loro corpi. Chris lo spinse nel salone e lo fece sdraiare sul divano. Un lembo di pelle fuoriuscito fra la maglietta e jeans catturò la sua attenzione. Si sentì già esplodere, non vedeva l'ora di poter mettere le sue mani su di lui. Ricky lo osservò sprofondando nella morbidezza dei cuscini: si leccava e mordeva le labbra mentre lo scrutava, gli sembrò quasi che stesse per divorarlo con lo sguardo.
Respinse l'imminente imbarazzo e si liberò della maglia lasciandola cadere per terra. Chris si fiondò su di lui baciandolo quasi freneticamente. Aveva bisogno di sentire il sapore delle sue labbra, la loro morbidezza. Gliele morse, ci giocò quasi. Si divertiva a sentirlo gemere per ogni suo movimento. Sentì le mani dell'altro aggrapparsi alla sua sua felpa e tirarla su e dovette separarsi dalle sue labbra per potergli permettere di spogliarlo. Ricky fece scorrere le dita sulla sua schiena e sorrise chiudendo gli occhi. Sentì il calore della sua mano stretta intorno ad un fianco mentre la sua bocca gli esplorava il petto, poteva percepire la morbidezza e l'umidità che la sua lingua lasciava sul suo corpo. Aprì gli occhi e incontrò lo sguardo di Chris. Non ci fu bisogno di parlare, Chris gli sorrise e sbottonò quei jeans alla velocità della luce. Ricky deglutì a vuoto spostando lo sguardo, ma quello che vide lo colse di sorpresa. Spalancò gli occhi tenendoli fissi in quelli di Devin che, dal giardino, li osservava a bocca aperta attraverso la finestra. Chris stava per tirargli giù i jeans, ma Ricky riuscì a fermarlo in tempo afferrandogli le mani e scuotendo la testa.
«Che c'è?» gli chiese il ragazzo preoccupato. Aveva notato la sua espressione sconvolta. Ricky lo spinse via cercando di ricomporsi. Solo in quel momento Chris notò il ragazzo che ancora li guardava. 
«Ma chi cazzo è?» gli chiese alzandosi. 
«Devin» rispose velocemente Ricky correndo verso la porta. Qualche istante dopo, Chris lo vide comparire dietro la finestra e tirare via il ragazzo che era rimasto immobile con quell'espressione sorpresa in viso. Scosse un attimo la testa e rimise al loro posto un paio di cuscini che erano caduti. Si sedette e sospirò aspettando che Ricky rientrasse in casa. Quella situazione era del tutto assurda. Che cosa poteva fare? Andarsene? Non era di certo una buona idea, ma allo stesso tempo lo era visto che ai suoi jeans stava per saltare il bottone. Pensò di sentirsi male.
Dopo poco Ricky entrò seguito da Devin. Chris si alzò e dopo i primi, imbarazzanti, convenevoli, si sedettero. Chris cercò di far finta che nulla fosse accaduto, ma l'imbarazzo era quasi incontenibile. Sentiva lo sguardo pesante e curioso di Devin scorrere su di lui. Gli era capitato davvero poche volte di sentirsi così a disagio.
«Okay, quindi... state insieme?» chiese Devin guardando finalmente Ricky che cercò una risposta guardando Chris. Avrebbe dovuto dire di sì, senza nemmeno pensarci, ma la loro era una situazione strana. Avevano fatto l'amore e si erano detti che si amavano, ma non avevano mai ufficializzato nemmeno a loro stessi la loro relazione. 
«Sì, stiamo insieme» rispose Chris ricevendo un adorabile sorriso da parte di Ricky.
«Bene, allora se stasera non hai nulla da fare, sei invitato»
Ricky sbarrò gli occhi guardando Devin.
«Invitato?» chiese Ricky prima che Chris potesse rispondere.
«Sì» rispose Devin sorridendo. Ricky avrebbe voluto ucciderlo. Non sapeva se Chris volesse conoscere i suoi amici e, in fondo, non sapeva nemmeno quanto lui stesso lo desiderasse. Temeva il loro giudizio più di ogni altra cosa.
«Dev, ma tu che cavolo sei venuto a fare qui?» gli chiese brusco.
«Sono passato da mia madre, ma era talmente imbottita di farmaci che non ricordava nemmeno il mio nome quindi sono andato via quasi subito, sulla strada del ritorno ho pensato a te» spiegò Devin. Ricky si sentì in colpa per avergli parlato in quel modo e sospirò.
«Mi dispiace, Dev»
Il ragazzo scosse le spalle e gli sorrise.
«Posso fumare?»
Ricky annuì e si alzò dal divano dicendo ai due che sarebbe andato di sopra a prendere le sue sigarette. Devin ne offrì una a Chris e lui la prese. Ricky doveva essersi messo a fare qualcos'altro visto che gli sembrò di rimanere in sua assenza per un'eternità.
«A me non importa... cioè, mi sta bene» disse Devin andando ad aprire la finestra. Fumava già da un pò, ma l'odore del fumo in casa gli dava fastidio.
«Cosa?»
«Che stiate insieme» disse ancora ritornando sul divano. Si sedette più vicino a lui. Chris lo osservò meglio. Era anche più strano di lui con quel trucco un pò bizzarro ma perfetto, e con quel modo di muoversi e di parlare. C'era qualcosa di strano, inquietante in lui, ma allo stesso tempo non gli sembrava più tanto terribile averlo così vicino. Probabilmente doveva tutto alla sua spontanea approvazione.
Gli sorrise e in quel momento Ricky rientrò nel salone. Si accese la sigaretta. Non riusciva a guardare nè Chris nè Devin. Si era comportato davvero da schifo nei confronti di Chris quando Devin l'aveva invitato ad uscire con loro, se ne vergognava talmente tanto che avrebbe portato Chris con sè quella sera. Avrebbe fatto finta di non aver paura di essere scoperto e tutto solo per Chris. 

Rientrato in casa, Chris controllò che tutto fosse al suo posto, poi andò a farsi una doccia. Nella permanenza a casa di Jane non gli era mai mancata la sua doccia. Sbuffò quando l'acqua da tiepida passò a fredda prima che potesse risciacquarsi dal bagnoschiuma. Accadeva sempre così, forse era una cospirazione.
Quasi asciutto e quasi congelato dalla testa ai piedi, andò in camera sua e si vestì. Betsy era lì a leggere un libro.
«Perchè ti sei fatto la doccia a quest'ora?» gli chiese senza guardarlo. Erano appena le 15:10.
«Vado da Trevor, poi esco»
Quell'ultima affermazione catturò del tutto l'attenzione di Betsy. 
«Che significa che esci?» gli chiese posando il libro accanto a sè. Le sembrò molto strano visto che Chris aveva chiuso i ponti con tutti i suoi amici, a parte Trevor ovviamente. E poi lui di solito la sera restava a casa.
«Esco con Ricky e i suoi amici»
Lei annuì lentamente. Sentiva qualcosa dentro lo stomaco che la fece stare male. Era contentissima che suo fratello avesse trovato qualcuno a cui voleva bene e che questa persona tentava anche di renderlo partecipe nella sua vita, ma la paura di perderlo le faceva terribilmente male.
«Tutto okay?» le chiese Chris notando il suo sguardo fisso e pensieroso.
«Sì» rispose Betsy sforzando le sue labbra a piegarsi in un sorriso convincente. Voleva che restasse a casa con lei, ma non glielo disse. Aveva paura di litigare con lui, non voleva togliergli quei pochi minuti di svago che gli rimanevano solo per tenerselo tutto per sè.
Chris si sedette sul suo letto e si mise le scarpe.
«Perchè non inviti Michelle? È una vita che non la vedo» 
Betsy sospirò.
«Tanto non la vedresti lo stesso visto che ora vai via»
Il ragazzo rimase sconcertato dal tono duro usato da sua sorella. 
«Ehi» la richiamò mostrandole un'espressione intristita. Betsy roteò gli occhi strisciando sul suo letto.
«Io e Michelle abbiamo litigato»
A Chris parve incredibile. Quelle due ragazzine sembravano due anime gemelle, era impossibile separarle. 
«Perchè?»
«Non te lo posso dire, abbiamo litigato e basta»
«Ah, non me lo puoi dire?»
Betsy scosse la testa e lui la fissò per un bel pò prima che lei sbuffasse infastidita.
«Senti, non te lo dico altrimenti tu ti incazzi»
Chris sorrise. Gli parve davvero strana quella situazione. Poco tempo prima sua sorella era piccola, gli chiedeva di prenderla in braccio e puntualmente gli rovesciava addosso qualsiasi cosa stesse bevendo in quel momento, gli macchiava i vestiti con la cioccolata oppure si addormentava sulla sua spalla e gli sbavava addosso. Ricordava che ogni volta che provava a metterla giù, lei cominciava a piangere come se qualcuno la stesse torturando, quelle urla infastidivano Jonathan e quindi lui era costretto a tenerla in braccio fin quando lei non era soddisfatta. 
In quel momento la guardò e la sua piccola Betsy non era più così piccola.
«Chi è? Lo conosco?»
«Cos... ma che dici? Cosa ti fa credere che ci sia qualcuno di mezzo?» 
Chris rise. 
«Okay, facciamo così, quando e se avrai voglia di dirmelo io sarò qui» le disse. La ragazza annuì e Chris si alzò mettendo il cellulare in tasca.
«Vado» disse dandole un bacio sulla guancia. 
«In bocca al lupo»

La serata stava procedendo bene. Devin e Ryan sembravano estremamente felici di rivedere Chris, anche Angelo stava facendo di tutto pur di metterlo a suo agio. Chris aveva notato che il gruppo era abbastanza vario: Ryan e Angelo era sicuramente i più silenziosi, ma non risultavano assenti, Davin non aveva smesso un attimo di parlare e Ricky lo assecondava. A Chris piaceva osservare Ricky che, dopo parecchio tempo passato a mordersi le labbra, rideva rilassato e spensierato. L'unico problema ce l'aveva con quel tipo di nome Josh. Chris aveva provato a sorridergli, ma lui continuava a fissarlo perennemente con uno sguardo strano, come se lo stesse studiando. All'inizio si sentì a disagio, ma poi decise di lasciar perdere. In effetti Ricky l'aveva avvertito: Josh era abbastanza testardo e probabilmente gli sarebbe servito solo un pò più di tempo.
Ad un certo punto della serata decisero di andare in un bar molto carino che probabilmente frequentavano spesso visto che Ryan e Davin persero tempo in chiacchiere con uno dei baristi. Si sedettero ad un tavolo e ripresero tutti a ridere per qualche strana battuta o frase imbarazzante di Devin, e anche Ricky non risparmiò al gruppo qualche sua perla di saggezza. Chris si stava lentamente cominciando a sentire davvero bene quando all'improvviso notò una ragazza che già da un pò era ferma in un punto a fissarli. Tentò di non farsi notare da lei, ma con un minimo di attenzione in più notò che lei non fissava tutti: stava guardando Ricky. Si sentì al sicuro finchè quella ragazza con i capelli scuri e la pelle bianca non si avviò verso di loro. 
«Buonasera ragazzi» disse sorridendo. Chris non potè fare a meno di notare le reazioni dei ragazzi e soprattutto quella di Ricky che assunse un'espressione tesissima. Era ovvio che loro sapevano qualcosa che li non sapeva.
«Ciao, Ricky» disse sbattendo più volte le palpebre. Il ragazzo le lanciò solo uno sguardo nervoso e un mezzo sorriso, poi abbassò lo sguardo. Chris non ci mise molto a capire che rapporto avessero quei due. Non poteva conoscerne i particolari, ma senza troppi fronzoli si vedeva che lei ci stava provando.
«E tu come ti chiami? Non ti conosco» disse poi la ragazza spostando lo sguardo proprio su di lui.
«Mi chiamo Christopher» rispose lui gentilmente. 
«Mmh... Io sono Martha, tanto piacere» disse lei afferrando una sedia da un tavolo libero e portandola proprio accanto a quella di Ricky.
«Ricky, mi offri qualcosa da bere? Ho molta sete»
Ricky alzò lo sguardo prima su Chris che lo guardò con un misto di divertimento e sfida. Cosa doveva fare? Accontentarla e magari litigare con lui o risponderle male e beccarsi qualche insulto il giorno dopo dai milioni di amici di Martha?
«Ma perchè non te ne vai?» 
La voce di Devin si fece spazio in quel momento di silenzio che si ruppe come vetro. La ragazza lo guardò con uno sguardo inceneritore.
«Sempre velenoso, vedo»
Devin si passò una mano fra i capelli e la guardò con una certa superiorità.
«Come una vipera, cara» rispose. Si scambiarono un sorriso falso, poi Martha si alzò.
«Ci vediamo presto... Ricky» sussurrò sfiorandogli un braccio e andando via lentamente. Da quel momento l'aria fra di loro divenne tesa, ma presto decisero di tornare tutti a casa. Quando finalmente si ritrovarono soli, Chris colse l'occasione di fermare i passi nervosi di Ricky.
«Ehi, tutto bene?» gli chiese prendendogli una mano. Non aveva detto più nemmeno una parola da quando Martha era andata via.
«C-certo»
«Dai, non dirmi bugie»
Ricky sospirò. Doveva dirglielo, non sapeva cos'altro inventare. 
«Chris, quella ragazza... Martha... ecco, l-lei-»
«Stavate insieme?» disse Chris cerando di tranquillizzarlo col suo tono calmo. Ricky annuì abbassando lo sguardo. Non voleva che Chris pensasse che lui provava ancora qualcosa per lei, non voleva che qualcosa si mettesse fra di loro. Era stanco degli ostacoli.
Chris gli prese il viso fra le mani e gli baciò la punta del naso strappandogli un sorriso.
«Lei non mi piace, ma è convinta che torneremo insieme... Josh dice che lei lo fa solo per avere attenzioni, io non-»
Chris lo zittì baciandolo. Solo dopo un pò Ricky lo strinse a sè in un abbraccio quasi disperato. Voleva averlo tutto per sè e voleva essere suo. Gli sembrava ancora troppo strano stare insieme ad un ragazzo. Nel profondo un pò l'avevano influenzato le parole di sua madre. Non pensava che fosse anormale, ma prima del bacio con Angelo non aveva mai pensato a stare con un ragazzo. Non gli erano nemmeno mai piaciuti gli uomini, li aveva sempre ritenuti degli esseri rozzi, spesso violenti e anche esteticamente brutti.
«Hai un buon profumo» sussurrò inalando il suo odore. Chris sorrise e decise che voleva vederlo ridere.
«Sì, lo so, ma ho dimenticato di mettere il deodorante, vuoi annusare?» gli chiese spingendogli la testa sotto un'ascella. Il ragazzo scoppiò in una risata fragorosa spingendolo via con tutte le forze.
«Che schifo... stammi lontano» esclamò cominciando a correre. Chris lo raggiunse in un attimo e lo strinse fra le braccia sollevandolo tanto da fargli staccare i piedi dal suolo. Il ragazzo, preso alla sprovvista, lanciò un urlo aggrappandosi disperatamente alle braccia e alle mani di Chris. Lo pregò di rimetterlo a terra e l'altro lo fece camminando poi dietro di lui con le braccia ancora avvolte intorno al suo corpo esile. Il calore della sua risata, il luccichio nei suoi occhi chiari, il profumo dei suoi capelli, erano al centro dei suoi pensieri e quelle poche cose lo rendevano felice. Desiderava poter provare per sempre quell'emozione incastrata fra lo stomaco e il cuore.
«A cosa pensi?» gli chiese Ricky rallentando i suoi passi. Chris sorrise prima di fermarsi e farlo ruotare su se stesso fino a trovasi faccia a faccia con lui.
«Penso a quanto ti amo»
Ricky sorrise imbarazzato.
«E... quanto mi ami?»
Chris sospirò.
«Prepara i fazzolettini, ti farò emozionare» disse schiarendosi la voce.
«Quanto ti amo? Fai la somma delle stelle nel cielo, della sabbia nei deserti, delle strade nel mondo, degli spermatozoi in ogni essere viven-»
Ricky lo prese a schiaffi prima che potesse terminare la frase.
«Stupido, pensavo fossi serio» piagnucolò voltandogli le spalle. Chris non riuscì a non ridere, ma infine lo abbracciò di nuovo avvicinando le labbra ad un suo orecchio, gli sussurrò tutto con un tono quasi sconfitto.
«Va bene, fa la somma solo degli spermatozoi»
Ricky non disse nulla, si liberò dalle sue braccia e lo guardò con un sorriso sghembo.
«Vuoi sapere invece tu quanto sei scemo?» gli domandò. Chris ci pensò qualche secondo.
«Conto gli spermatozoi?» gli chiese infine.
«Esattamente» esclamò Ricky dandogli un buffetto sulla guancia, poi si incamminò di nuovo. Chris lo seguì continuando a sorridere. Non riusciva proprio a smettere. 

Fuori casa di Ricky c'era un silenzio quasi spaventoso. Ma Ricky non sembrò per nulla preoccupato, sapeva che di sera lì era sempre così. Tutte le famiglie nei dintorni si erano già ritirate nei loro letti ampi e comodi per godersi un sonno ristoratore.
«Sai, Chris, mi piacerebbe che venissi a cena a casa mia» disse cogliendolo di sorpresa.
«E... io sarò la cena?»
Ricky rise.
«No, ma solo per il semplice fatto che non sarà mia madre a cucinare»
Chris sapeva che non era una buona idea, ma avrebbe fatto uno sforzo per lui.
«Va bene, quando vuoi» 
Ricky sorrise rincuorato da quella risposta e dalla dolcezza dell'altro. Probabilmente lui stesso avrebbe declinato quell'invito, ma Chris aveva accettato ed era felicissimo.
Purtroppo era proprio fuori casa sua quindi non gli saltò in braccio baciandolo a perdifiato, ma si limitò a guardarsi velocemente in torno e a lasciarli un bacio veloce sulla guancia. Si salutarono e Chris andò via, ma solo dopo aver visto Ricky scomparire dietro la porta di casa. 




Okay, lo so che sono mesi che non posto e lo so che il capitolo non è nemmeno tutta questa bellezza, ma ci ho provato dopo il blocco totale che ho avuto in questo periodo. Spero con tutto il cuore che a qualcuno piaccia! Grazie a chiunque dedica ancora un pò di tempo a questa storia, cercherò di postare il prima possibile.
Un bacio a tutti!

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20-Rage and lies ***


Capitolo 20 -  Rage and lies.
Ricky uscì dalla sua classe e in quel mare di ragazzini scalpitanti riuscì ad intravedere Martha che usciva dalla sua classe insieme al suo gruppetto di false amiche dai capelli platinati. Non riusciva a capire perchè lei dovesse essere sempre al centro, perchè lei dovesse essere così diversa dalle altre. Gli dava fastidio quel suo atteggiamento da ragazzina viziata. L'aveva conosciuta con i capelli ricci, del suo colore castano che splendeva alla luce del sole, con le unghie mangiucchiate e un paio di occhiali che riflettevano la sua ingenuità e dolcezza. Dopo poco, però, era cambiata radicalmente. Tentava di essere diversa dalle altre lisciando sempre quei capelli nero corvino che contrastavano col colore cadaverico della sua pelle, vestiva alla moda ma non metteva mai qualcosa che possedeva qualcun'altra come se conoscesse a memoria il guardaroba delle sue amiche, era dimagrita tanto da sembrare più magra delle altre ma mai troppo scheletrica. Non era assolutamente brutta, ma tutti quei cambiamenti non le avevano giovato; il suo carattere docile era scomparso e, provando ad apparire diversa, era caduta nell'oblio trasformandosi nella terribile copia di una ragazza frivola.
Si accorse che anche la ragazza lo stava guardando e allora corse fuori e fortunatamente Angelo e Ryan erano già lì. Si sentì al sicuro perchè Martha non lo avvicinava quasi mai quando era in compagnia. La sera prima infatti era stata una delle poche eccezioni.
«Ehi, hai visto l'uomo nero?» gli domandò Angelo notando il suo sguardo pensieroso e l'espressione seria. Ricky però non rispose, prese solo il suo panino dalla borsa e cominciò a mangiare mentre altri ragazzi uscivano nel cortile per la ricreazione.
«Nha, lo so io cos'è successo» mormorò Ryan indicando con lo sguardo Martha che era appena uscita. Ad Angelo sfuggì un sorriso divertito.
«Ricky, lo sai che non ti mangia, vero? E poi te l'ho insegnato tanto tempo fa che se ti attacca, la cosa più semplice da fare è darle una testata sul naso» disse scatenando la risata di Ryan.
«Esatto, così tu potrai dire di esserti difeso, ma non l'hai sfiorata nemmeno con un dito» continuò ridendo ancora. Ricky sospirò. Quei due a volte lo irritavano così tanto.
«Salve gente, perchè ridete?» si intromise Devin comparso dal nulla.
«Angelo tenta ancora di offrire al mondo le sue tecniche di autodifesa»
Devin alzò gli occhi al cielo stanco di quella storia dell'autodifesa, ma ricevette lo sguardo truce di Angelo.
«Ti spacco la faccia, ragazzina» gli disse poi scherzoso sapendo quanto a Devin desse fastidio essere chiamato in quel modo.
«Con o senza le tue tecniche ancora in fase di sperimentazione, la ragazzina qui presente ti può spaccare il culo... in ogni senso»
Ricky a quella frase non riuscì a trattenere un sorriso e Ryan di fianco a lui continuò a ridere mentre quei due cominciavano a battibeccare. La conversazione cadde nell'osceno quando si misero a parlare di lunghezze e diametri. Dopo un pò li raggiunse anche Josh, come al solito aveva un sorriso per tutti tranne che per Ricky. Il ragazzo non riusciva a capire perchè mai ce l'avesse così tanto con lui. Josh non era mai stato così rancoroso e poi non credeva di avergli fatto qualcosa di tanto terribile da meritarsi quel trattamento.
«Dovresti parlargli» gli sussurrò Ryan notando la tensione fra i due. Ricky lo guardò con uno sguardo sconfitto.
«Non saprei cosa dirgli»
«Infatti non devi essere tu a parlare» disse Ryan. Si guardò intorno sperando di poter parlare ancora indisturbato.
«È fatto così, davanti a tutti non ti dirà mai quello che gli gira per la testa, dovete essere soli»
Ricky sospirò annuendo. Probabilmente Ryan aveva ragione, doveva chiarire quella situazione una volta per tutte. Aspettò che tutti rientrassero e camminò appena dietro a Josh, quasi come se fosse la sua ombra. Quando anche l'ultimo era rientrato e i corridoi erano ormai quasi vuoti, Ricky pensò che fosse il momento giusto, ma Josh lo anticipò.
«Perchè mi segui?» gli domandò annoiato voltandosi verso di lui. Ricky deglutì innervosito. 
«Ecco, io... volevo sapere se oggi ti andava di vederci»
«E ci voleva tanto?»
Ricky abbassò lo sguardo. Quando ci si metteva sapeva essere davvero stronzo.
«Comunque oggi non posso, devo studiare per il compito di matematica» disse riprendendo a camminare verso la sua classe. L'altro lo seguì.
«Ma, Josh, io vol-»
«Senti, se non prendo almeno una sufficienza questa volta quella troia mi fa ripetere l'anno»
Ricky rimase in silenzio. Avrebbero potuto parlare anche un altro giorno, ma ormai Ryan gli aveva messo quel pensiero nella testa.
Josh sbuffò pesantemente.
«Facciamo così, io conto di finire per le otto, vieni tu da me e portami una ciambella glassata»
Ricky sorrise, poi però pensò che probabilmente Chris quella sera gli avrebbe chiesto di vedersi.
«Puoi, oppure quel tizio ti tiene per il guinzaglio?»
Ricky sussultò quasi spaventato dalla durezza della sua voce. Non poteva nemmeno credere a come gli aveva letto nel pensiero. 
«Ci vediamo alle otto» disse velocemente allontanandosi da lui per raggiungere la sua classe.
  
Mandò giù l'ultimo boccone e poggiò la forchetta nel piatto. Gli sarebbe piaciuto potersi complimentare con la cuoca per l'ottimo pranzo, ma l'unica donna seduta al tavolo era sua madre che probabilmente in tutta la sua vita non aveva preparato nemmeno una tazza di latte. Stava per alzarsi e andare dritto in camera quando sua madre lo fermò.
«No, Richard, stai seduto»
Il ragazzo ubbidì.
«Oggi ho ricevuto una chiamata dalla scuola, era la professoressa Stevens»
Ricky si accigliò, quel giorno nella sua ora non era accaduto nulla di strano.
«Si è lamentata della tua condotta, insieme a lei anche altri professori dicono che ultimamente sei troppo distratto» disse con un tono accusatorio.
«Non è vero, le ultime interrogazioni sono andate bene» si difese lui sperando di trovare una via di fuga.
«Non mi importa, tu hai sempre avuto ottimi voti e un comportamento impeccabile, se la Stevens dice che sei distratto deve pur significare qualcosa»
Fu in quel momento che Ricky capì a cosa stesse alludendo. Il suo sguardo cattivo e minaccioso non lasciava spazio ad altre interpretazioni.
«Mamma, io...»
«Non inventare scuse inutili, sappiamo entrambi di chi è la colpa»
Ricky scosse la testa, era stanco di sentire discorsi stupidi ed infondati. 
«Chris non ha nulla a che fare con-»
«Quel bastardo ti rovinerà la vita» urlò la donna sbattendo una mano sul tavolo di legno. L'acqua nei bicchieri tremò, le posate produssero un suono metallico muovendosi nei piatti di porcellana. Per qualche istante nessuno dei due si mosse o disse nulla, poi la donna si schiarì la voce e aggiustò accuratamente la fede che le fasciava l'anulare.
«Richard, tu sei molto intelligente, sai cos'è la cosa migliore da fare»
«Perchè devo essere io a cambiare idea? Perchè non vuoi che sia felice?» le chiese sentendo le lacrime bagnargli gli occhi.
«Io voglio che cambi idea perchè so che quel ragazzo ha visto in te un'opportunità che non gli capiterà mai più nella vita, è solo un approfittatore»
Ricky si alzò incapace di ascoltare ancora quei discorsi. Per lei Chris lo stava solo raggirando ma allora, in base ai fatti, avrebbe dovuto passare il resto della sua vita a preoccuparsi delle intenzioni di ogni persona a cui era legato.
«Tanto vale farmi fregare da lui adesso che da una puttana qualsiasi domani» disse lasciandola da sola. Si chiuse in camera sua e si buttò a letto. La rabbia e la frustrazione lo assalivano sempre di più, ad ogni secondo che passava aveva sempre più voglia di urlare. Voleva ribellarsi, non gli piaceva essere così tanto sottomesso a quella donna da sentirsi oppresso, senz'aria.
Prese il cellulare dalla tasca e avviò una chiamata al cellulare di Chris.
«Alla buon'ora, Ricky, che fine hai fatto? Ti ho chiamato tre volte stamattina»
Il ragazzo sorrise non appena sentì la sua voce.
«Scusa, stamattina ho fatto tutto di fretta e sono arrivato anche tardi a scuola»
«Va bene... Hai una voce terribile, è successo qualcosa?»
Ricky rimase in silenzio. Perchè l'aveva chiamato? Per dirgli che sua madre l'aveva irritato di nuovo parlando male di lui? Non poteva, eppure sentiva il bisogno di ascoltare la sua voce.
«Mi ami?»
«Certo che ti amo» rispose Chris con scioltezza e sincerità, sempre più stranito.
«Dove sei?»
«Ho appena finito di lavorare, sono sicuro che mia sorella si senta abbandonata quindi da oggi pranzerò a casa... ma mi spieghi cos'hai?»
Ricky sospirò. Aveva lo stomaco contratto dalla rabbia e la tristezza, non riusciva a calmare il tremore improvviso alle gambe.
«Posso venire a casa tua?» gli domandò di getto. Chris sembrò pensarci, ma in realtà stava solo valutando il suo grado di disperazione. Ricky non gli aveva mai chiesto di incontrarsi con quell'urgenza, quindi era accaduto qualcosa senza alcun dubbio.
«Ehm... okay, ti aspetto»
Si salutarono e Ricky non ci pensò due volte prima di correre giù per le scale e uscire di casa, senza degnare sua madre nemmeno di uno sguardo. Nel vialetto, suo padre stava scendendo dal suo bel macchinone comprato pochi mesi prima. 
«Dove vai così di fretta?» gli chiese l'uomo seguendolo con lo sguardo.
«Da nessuna parte» 
Suo padre decise di lasciar perdere, i suoi cambiamenti improvvisi di umore non gli facevano più nessun effetto. Ricky, però, prima di poter mettere piede in strada si voltò verso di lui.
«Papà» lo chiamò.
«Dimmi»
«In ospedale dovrebbe esserci un ragazzo di nome Trevor McKinley, è stato portato in ospedale due sere fa e credo abbia subito un'operazione, potresti farmi sapere come sta?»
«Richard, non posso parlare dei pazienti dell'ospedale con te»
«Ti prego, oggi non ho tempo di andare da lui, devo studiare altrimenti domani prenderò un voto insufficiente in tutte le interrogazioni e poi tu dovrai venire a scuola e-»
«Okay» disse l'uomo.
«Va bene, fra poco ritorno a lavoro e ti faccio sapere»
Ricky gli sorrise gentilmente, lo ringraziò e poi si diresse verso casa di Chris.

Quando Chris aprì la porta di casa, Ricky lo abbracciò tanto forte da togliergli il fiato. Gli bastò quell'abbraccio per sentirsi meglio. Socchiuse gli occhi per qualche secondo, poi alzò lo sguardo su di lui tenendolo ancora stretto.
«Mi mancavi tanto»
«Sì, me ne sono accorto» gli sorrise Chris portandolo in casa. Ricky camminò timidamente dietro di lui e quando entrò in cucina salutò con un sorriso appena accennato. Rimase però stupito quando vide la madre di Chris seduta accanto a Betsy e dall'altro lato del tavolo una ragazza dai capelli corti e un sorriso smagliante. Non la conosceva e, per quanto riguardava la madre di Chris, gli sembrò davvero troppo strano vederla lì. In realtà Chris non si era mai sbottonato molto sull'argomento, ma gli aveva fatto capire che lei era praticamente inesistente nell'ambito familiare.
«Ricky, lei è Sheryl» disse Chris facendogli spazio vicino al tavolo.
«Trattala bene, è la figlia del mio capo» 
La ragazza rise stringendo la mano a Ricky che, in imbarazzo, si sedette e rimase in silenzio.
«Ah, stavo dicendo, stamattina Chris stava per perdere le dita» esclamò Sheryl. Tutti guardarono il ragazzo curiosi di sapere cos'era accaduto, sua madre sembrò preoccupata. Chris però accolse quella sua piccola apprensione con una smorfia che non sfuggì allo sguardo di Ricky.
«È tutta colpa sua, è arrivata all'improvviso e stava per farmi saldare una mano ad una lastra di acciaio» disse poi, volgendo lo sguardo verso Betsy che rise alla difesa creata da suo fratello.
«Ti avevo chiamato già prima, ma tu evidentemente hai bisogno di farti controllare l'udito» ribattè Sheryl.
«Il mio udito funziona alla perfezione»
Ricky li guardò mentre cominciavano a litigare e raccontare aneddoti accaduti giorni prima. Non capiva dentro di lui cosa stesse succedendo, forse era geloso della purezza di quelle risate e della semplicità dei loro discorsi. Sapeva di non aver avuto quasi mai momenti come quello che stavano condividendo Chris e Sheryl, forse aveva portato solo problemi nella vita già troppo complicata di quel ragazzo. Gli piaceva vederlo ridere in quel modo, ma stava male perchè a farlo ridere era una bellissima ragazza dall'aspetto fresco e gli occhi limpidi.
A distrarlo dai suoi pensieri fu un continuo bussare alla porta d'ingresso. Chris si alzò per andare ad aprire e quando tornò da loro si portò dietro un uomo barbuto e maleodorante.
«Se resti più di dieci minuti ti sbatto fuori, chiaro?» gli disse Chris sedendosi al suo posto. Ricky capì che quello doveva essere suo padre solo perchè lo ricordava vagamente dalla prima volta che l'aveva visto. Quando li vide vicini potè notare quanto poco Chris gli somigliasse.
«Non essere sempre così antipatico, ricorda che ho donato qualcosa di me per crearti» borbottò l'uomo rubando del pane dalla tavola.
«Grazie, Michael, ora sì che ho una buona ragione per suicidarmi» disse Chris fingendo un sorriso. Suo padre scosse la testa e si avvicinò a Sheryl guardandola bene, poi spostò lo sguardo su Betsy. Si sentiva confuso.
«Michael, è quella tua figlia» si intromise Chris indicando sua sorella. 
«Ma certo... è ovvio, pensi che sia stupido?»
Chris scosse la testa. Ormai si era rassegnato agli stupidi comportamenti di suo padre. Gli sembrava ancora impossibile che anni addietro non avesse veduto uno dei suoi figli per un pò di crack.
Dopo pochi secondi di totale silenzio, le conversazioni ripresero tranquillamente. C'era Betsy che parlava con Chris, Chris che quel giorno sembrava troppo allegro e faceva battutine che mettevano di buon umore anche Sheryl, sua madre che tentava di far mangiare a Betsy ciò che aveva lasciato nel piatto, Michael che cercava di attirare la loro attenzione in qualche modo. In tutto ciò, Ricky riuscì a vedere Sheryl avvicinarsi a Chris e sussurrargli qualcosa all'orecchio, poi lui scoppiò a ridere. Quella cosa lo fece imbestialire. Si alzò dalla sedia e corse fuori. Sentì lo sguardo di tutti addosso mentre usciva di casa, ma non gli importava della figura che stava facendo. Era andato lì per stare con lui e invece lui stava con Sheryl, non gli aveva nemmeno rivolto la parola.
Pochi secondi dopo sentì una mano introno al suo braccio, ma si liberò e continuò a camminare nonostante avesse capito bene chi fosse. 
«Cazzo, Ricky, ti fermi per favore?» gli domandò, ma Ricky lo ignorò. Dopo qualche passo Chris riuscì ad afferrarlo di nuovo e questa volta anche a fermarlo.
«Mi dici che ti prende?»
Il ragazzo non lo guardò, incrociò le braccia al petto e sospirò, arrabbiato. Chris gli prese il viso fra le mani ripetendogli la domanda con un tono più calmo.
«Che ci fa lei a casa tua?» gli domandò Ricky ancora innervosito.
«Ah, è questo... senti, Sheryl è così, si è autoinvitata»
«Oh, Sheryl è così» disse Ricky scimmiottando la voce dell'altro e liberandosi dalle sue mani.
«Perchè tu la conosci molto bene, a fondo, non è vero?»
Chris lo guardò senza parlare. Non sapeva davvero cosa dirgli, nonostante avesse la coscienza pulita.
«Ti piace lei?» gli domandò Ricky tentando di non piangere. Era terrificato. Temeva una risposta indesiderata, o che si arrabbiasse per quella sua mancanza di fiducia.
«Ricky, riflettici, se avessi avuto qualcosa da nascondere avrei lasciato che tu venissi in casa mia quando sapevo bene che c'era anche lei?»
Ricky aspettò qualche secondo, poi scosse la testa.
«Ecco, allora hai la risposta che ti serve»
Il ragazzo sospirò ancora, stavolta meno furioso. Come poteva pensare che lui potesse fargli qualcosa del genere? 
«Scusami» mormorò.
«Non devi scusarti, va tutto bene» disse Chris, sincero. Non riuscì a stargli lontano, sentì il desiderio di baciarlo e lo fece senza troppi preamboli.
«Dai, ho ancora qualche minuto, dimmi il vero motivo per cui sei venuto qui» gli disse dopo. Ricky abbassò lo sguardo.
«Te l'ho detto, mi mancavi»
«Certo... ehm, hai litigato con tua madre?» 
Ricky lo guardò accigliato.
«No, cioè... io... sì, però... come l'hai capito?»
Chris sorrise.
«L'ho capito dalla tua voce che diventa simile a quella di Regan quando dice a Padre Karras che sua madre succhia cazzi all'inferno»
Ricky rimase un attimo interdetto. Cos'era quello? Un insulto?
«Okay, farò finta di non aver sentito, comunque... sì, abbiamo litigato»
Chris, dal modo timido ed impaurito che aveva usato Ricky, capì che qualcosa era accaduto ma che lui non voleva raccontarglielo.
«Ricky, se non mi spieghi il motivo del litigio io non posso aiutarti»
Il ragazzo abbassò lo sguardo senza sapere cosa dire. Non poteva ripetere le sciocchezze dette da sua madre. In effetti non sapeva nemmeno perchè si era arrabbiato tanto visto che sua madre sapeva sparare solo cavolate. 
«Oh... credo di aver capito» mormorò Chris sospirando. Ricky lo guardo con un misto di preoccupazione e tristezza negli occhi.
«Puoi dirmelo, dai, non mi arrabbio» 
Tentò anche di mostrargli un sorriso dolce, che potesse rassicurarlo e dargli la forza per confidarsi con lui. Avrebbe voluto vedere quella donna morta, ma di certo non se la sarebbe presa con lui. Non era colpa sua se aveva una madre troppo rigida.
Ricky ci mise un pò a trovare il coraggio per confessargli tutto, ma alla fine ci riuscì e Chris lo ascoltò in silenzio. Mentre parlava, non potè fare a meno di pensare a quando fosse tenero lo sguardo comprensivo di Chris.
«Sei arrabbiato?» gli domandò in fine Ricky mordendosi le labbra.
«Ehm... no, ma credo di non poter venire a cena a casa tua» rispose l'altro lasciandosi sfuggire un sorriso.
«Ho paura che tua madre possa usare i miei occhi come contorno»
Ricky rise, poi gli prese le mani e si avvicinò di più a lui puntando lo sguardo nel suo.
«Invece ci verrai, altrimenti ti lascio» disse serio.
«Okay, ci si vede» disse Chris fingendo di allontanarsi, ma Ricky lo tenne ben stretto.
«Non ti azzardare a fare un altro passo» sussurrò, minaccioso. Chris rilasciò un mugolio appena udibile.
«Quando mi parli così mi viene duro»
Ricky gli diede uno schiaffo su un braccio e lo guardò male.
«Io non ti ho mai parlato così» esclamò.
«Infatti l'ho capito solo ora»
Ricky scosse la testa. Forse avrebbe dovuto lasciarlo davvero. Rise a quel pensiero, poi Chris gli rubò l'ennesimo bacio. Non riuscì a tirarsi indietro, nonostante fosse su un marciapiede e tutti potessero vederli. Lì, lontano da casa sua e soprattutto da sua madre, si sentiva libero di poter essere se stesso. La sensazione che provava era talmente piacevole che non avrebbe mai voluto lasciarlo andare.
«Potrei ricattarti» disse dopo Chris senza allontanarlo troppo. Ricky si incuriosì.
«Vengo a casa tua ogni volta che vuoi, ma visto che rischio la vita, in cambio tu dovrai essere il mio schiavo sessuale»
Il viso di Ricky diventò di un porpora intenso che la luce evidenziava ancora di più. 
«Chris...»
Il ragazzo rise e lo abbracciò forte.
«Tanto ci verrò lo steso, anche se mi mandi sempre in bianco»
Ricky avrebbe voluto ribattere oppure svanire nel nulla, ma Sheryl era appena arrivata in strada e aveva chiamato Chris ad alta voce.
«È già tardi, mio padre ci fa il culo se non ci muoviamo» disse la ragazza avvicinandosi ai due già pronta ad avviarsi verso la fermata dell'autobus.
«Come se dovessi andarci tu a lavorare» 
«Non fare storie e muovi quelle gambine»
Chris roteò gli occhi e poi li portò su Ricky che aveva osservato quella scena con gelosia. Provava a fidarsi con tutto se stesso delle parole di Chris, ma non conosceva Sheryl e non sapeva quali erano le sue intenzioni.
Tutti insieme si incamminarono verso la fermata dell'autobus. Dovettero aspettare qualche minuto e Ricky rimase lì con loro. Non li avrebbe lasciati da soli anche quando non era costretto dalle circostanze. Cercò anche di camminare vicinissimo a lui, di abbracciarlo appena poteva e toccarlo il più possibile. Si sentì come un animale che fa di tutto pur di difendere il suo territorio. Chris però non si divincolò, ma allo stesso tempo non gli saltò addosso come era abituato a fare di solito. Sheryl salì sull'autobus appena si fermò davanti ai loro occhi e Chris diede un bacio velocissimo all'altro sulle labbra.
«Vai dritto a casa, mi raccomando» gli disse, premuroso. Ricky annuì guardandolo salire sul bus e sedersi accanto a Sheryl che subito prese a parlargli. Si morse le labbra sospirando. Non aveva sentito quella sensazione nemmeno quando Chris abitava con Jane.
L'autobus tardò a partire perchè un paio di ragazzi decisero di salire all'ultimo momento, ma Ricky si stava già avviando verso casa. Sentì in lontananza le porte che si chiudevano, poi una vibrazione in tasca. Prese il cellulare e sullo schermo c'era il nome di suo padre.
«Papà, sei già in ospedale? Hai notizie di Trevor?» gli chiese ansioso. Senza una ragione vera e propria si sentiva preoccupato per quel ragazzo. Non voleva che il migliore amico del suo ragazzo stesse male, si ripercuoteva tutto su Chris e non poteva sopportare di vederlo sempre stanco e preoccupato.
«Sì, Richard, l'ho appena visitato» 
In un primo momento Ricky pensò che stesse bene, ma poi qualcosa gli saltò alla mente. Fu come un una doccia gelata.
«No... no, papà, non è possibile» disse sconcertato, qualcosa non gli tornava.
«Cosa?»
«Papà, lui non dovrebbe essere in oncologia, sono quasi sicuro che sia finito in ospedale per una rissa»
L'uomo dall'altra parte del telefono rimase in silenzio qualche secondo, come se stesse riflettendo.
«Richard, ho appena ricontrollato, è nel mio reparto e l'ho visitato pochi minuti fa... non posso dirti altro, mi dispiace»
Ricky deglutì a vuoto. Non riusciva a capire cosa fosse successo.
«Ehm... ci vediamo stasera, grazie» mormorò riagganciando. Ripose il cellulare in tarsca e ritornò lentamente a casa con la testa piena di mille pensieri. Chris gli aveva detto che era in ospedale per una rissa, non potevano averlo sistemato nel reparto di oncologia. Gli risuonava nella testa la voce di suo padre che sembrava fin troppo seria. Provò a respingere quel pensiero, ma la mente lo trascinava al tono vago di Chris quando gli aveva dato la notizia, a come aveva cambiato subito il discorso senza sprecare qualche parola in più sulla situazione dell'amico. Non voleva, ma arrivò a pensare che Chris gli avesse mentito su tutta la faccenda. La ragione di quella bugia non la conosceva, forse era stato proprio Trevor a chiedergli di non dire nulla a nessuno. Quella era la spiegazione più plausibile e alla quale voleva aggrapparsi disperatamente.





Ed ecco un altro capitolo che non so quanto sia bello, ma mi sono divertita a scriverlo quindi spero che piaccia anche a voi. Credo sia più breve degli altri, ma è fondamentale per lo svolgimento della storia. Abbiate pazienza u.u
Alla prossima e grazie a tutti :3


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Capitolo 22
*** -Capitolo 21-Restless beating ***


 -Capitolo 21 - Restless beating.
 Quella sera Chris era tornato da lavoro molto più tardi del solito e non appena aprì la porta una strana musichetta gli arrivò alle orecchie. Era una melodia lenta e dolce, ma ricoperta dai mille rumori della natura. Lentamente si avvicinò al salone dove tutte le luci erano spente. Trovò suo padre seduto per terra con le gambe incrociate. Ad illuminare la sua figura, davanti a lui, aveva delle piccole candele accese che puzzavano incredibilmente. Lo guardò bene e si accorse che aveva gli occhi chiusi e le mani poggiate sulle ginocchia. Di tanto in tanto emetteva dei lunghi sospiri, espirando con la bocca. 
«Che cazzo stai facendo?» gli chiese sconvolto. Suo padre sembrò uscire all'istante dallo stato di trance in cui era sprofondato.
«Non farlo mai più, mi hai spaventato» disse portandosi una mano sul petto. 
«Sì, ma che stai facendo?»
Michael rimase seduto nella sua posizione.
«Mi sto purificando»
Il ragazzo non poteva credere alle sue orecchie. Non si faceva vedere per mesi e poi quando tornava gli appestava la casa con le candele e i sacchetti di rosmarino?
«E non puoi farlo da qualche altra parte?»
L'uomo scosse la testa.
«Devo farlo in un luogo a me familiare, in un ambiente che sento essere mio e in cui sono al sicuro»
Chris inarcò le sopracciglia. Stava già stilando una lista dei mille modi per sbatterlo fuori.
«Familiare, eh? Allora ti consiglio il bar in fondo alla strada, saresti molto più al sicuro lì, lontano da me» 
Michael sospirò con un sorrisetto che infastidì il ragazzo, ma mai come quello che disse dopo.
«Tu sei ancora piccolo, non le puoi capire certe cose»
«Dai, vattene» gli ordinò Chris incrociando le braccia.
«Non ancora, sono qui solo da mezz'ora e conto di restare per un paio d'ore» disse Michael richiudendo gli occhi.
«Fra mezz'ora farò una pausa per il frullato di barbabietole, carote, avocado, limone e un filo d'olio, il mio fegato ha proprio bisogno di depurarsi»
«È ovvio, un frullato ti salverà dalla cirrosi epatica» disse Chris ironico, ma suo padre non sembrò colpito dalle sue parole.
«Figliolo, io sono un uomo nuovo e come tale ho deciso di non bere più e tornare in questa casa come parte integrante della bella famiglia che siamo»
Chris non riuscì a trattenere una risata mentre si avviava in cucina. Di proposito, prese una birra e la sorseggiò lentamente mentre tornava nel salone. Suo padre aprì un solo occhio e poi sospirò.
«È così dissetante» esclamò il ragazzo prendendo un altro sorso.
«Ti sbagli se pensi di potermi tentare» mormorò Michael con un tono duro, poi riprese a meditare.
«Non era mia intenzione» rispose appoggiando pesantemente la bottiglia sul tavolino di fianco a lui. Si allontanò da suo padre e andò in camera sua. Quando aprì la porta si accorse che ai suoi piedi c'era un asciugamano arrotolato, messo lì a proteggere il piccolo spessore fra il pavimento e la porta. Guardò subito sua sorella che era sul letto a leggere.
«Non parlare, è qui da una vita e la puzza di rosmarino passa anche attraverso le pareti» disse Betsy, arrabbiata.
«Me ne sono accorto» 
«Dice che il rosmarino ha proprietà rilassanti e curative» borbottò la ragazza scuotendo poi la testa.
«Gli ho lasciato una birra a mezzo metro da lui, fra un pò vado a vedere quanta ne ha bevuta mentre non c'ero» disse Chris prendendo dei vestiti puliti dall'armadio. Betsy rise riprendendo la sua lettura non appena Chris uscì dalla stanza.
Quando il ragazzo, pulito e rilassato dalla precedente doccia, chiuse la porta del bagno alle sue spalle, storse il naso per quell'odore fin troppo forte di rosmarino a cui le sue narici non erano più abituate. Si passò una mano fra i capelli ancora bagnati mentre arrivava lentamente nel salone. Suo padre non c'era più, ma le candele erano ancora accese, quasi consumate del tutto. La bottiglia di birra era sparita insieme a lui.
«Figliolo, io sono un uomo nuovo» sussurrò imitando la voce di suo padre. 
«Ma vaffanculo» disse poi spegnendo le candele e buttandole nella spazzatura. Era stato fin troppo buono a pensare che Michael si sarebbe limitato solo a bere qualche sorso di birra, avrebbe potuto immaginarlo che se ne sarebbe andato. 
Aprì la finestra nel salone per mandare via quel tremendo odore, poi chiamò sua sorella che lo raggiunse in pochi secondi.
«Hai già mangiato?» le chiese aprendo il frigorifero.
«No, ma mamma ha comprato delle bistecche, poi ha detto che aveva sonno e non ha voluto cucinare» disse la ragazza sedendosi al tavolo. Chris le prese, le annusò e fortunatamente non avevano ancora un cattivo odore. Non come sua madre, che la puzza di marcio la si poteva sentire da lontano.
«Patatine fritte?» le domandò e lei gli mostrò un sorriso enorme. Dopo poco erano entrambi ai fornelli. Chris controllava di tanto in tanto il cellulare sperando di ricevere una chiamata o un messaggio da parte di Ricky, ma aspettò in vano tutta la sera. L'aveva sentito qualche ora prima, gli aveva solo detto che avrebbe mangiato una pizza a casa di Josh e poi aveva riagganciato. Chris aveva il presentimento che qualcosa non andasse. Non sapeva se era cominciato dal momento in cui l'aveva visto così nervoso per colpa di sua madre o se dipendesse da altro. Ma qualsiasi fosse la ragione, quell'angoscia non lo lasciava in pace. 

Appena finirono di consumare la loro cena, Chris prese i piatti dal tavolo ma Betsy lo fermò.
«Lascia, faccio io»
«Cosa? Tu?» le chiese Chris, sorpreso. Betsy annuì.
«Tu hai un'altra cosa da fare» disse la ragazza togliendogli i piatti dalle mani.
«Sono arrivate un mare di bollette ed è da troppo tempo che qualcuno non tiene il conto delle finanze»
Chris sorrise.
«Cominci a somigliarmi troppo, smettila»
Betsy scosse la testa e lavò le stoviglie, mentre Chris si metteva a lavoro. Con le mani ancora umide, la ragazza si sedette di fronte a suo fratello e lo osservò in silenzio. Era quasi invidiosa della sua meticolosità, faceva sempre quadrare tutto. Anche quando sembrava impossibile cavarsela, lui riusciva a trovare un modo per mettere le cose in ordine. Per Betsy sarebbe stato un onore somigliare a suo fratello.
«E... ho finito» disse Chris.
«Quelli per la spesa?» domandò Betsy e Chris le spinse sotto gli occhi i soldi che aveva chiesto. La ragazza li prese e li piegò infilandoseli in tasca.
«Quelli a cosa servono?» chiese indicando un bel gruzzoletto di soldi ancora sul tavolo.
«Sono tuoi, fanne quello che vuoi» rispose Chris alzandosi, non vedeva l'ora di andare a dormire.
 «Ma che... no, se non servono a te puoi anche metterli da parte» si oppose Betsy. Lei non aveva mai speso soldi in sciocchezze. Comprava solo il necessario per mangiare, per pulire la casa, per potersi lavare ogni giorno. Non le era mai passato per la mente di sperperare denaro in cose fondamentalmente inutili. Fino ad allora aveva sempre indossato vestiti vecchi, non era mai andata dal parrucchiere o comprato una bella collana. 
Chris scosse la testa e le baciò una tempia.
«Se non avessi potuto darteli, non l'avrei fatto»
Betsy si sentì un pò in colpa, non voleva prendere quei soldi che aveva guadagnato lui per comprarsi una cosa non per forza necessaria. 
Lo guardò meglio e il suo sguardo stanco la convinse ad annuire e ringraziarlo, voleva lasciarlo andare a letto. Avrebbe pensato il giorno dopo a cosa farne di quei soldi.

Il mattino seguente Chris venne svegliato da un forte rumore. Aveva così tanto sonno che sarebbe rimasto a letto anche se gli stessero buttando giù la casa, ma si alzò e uscì dalla sua camera. Il suo udito ancora poco attivo gli ordinò di andare verso il salone, quel rumore sembrava provenire da lì. Quando varcò la soglia, vide appena il viso di Jane che era oscurato da un cappuccio di una felpa di qualche taglia di troppo. La finestra era aperta e lei si stava alzando dal pavimento per chiuderla. Chris rimase immobile a guardare i suoi movimenti strani, circospetti. Quando riuscì a chiudere la finestra e tirare le vecchie tende, Jane si voltò e solo in quel momento si accorse del ragazzo.
«Chris, ma che sorpresa» esclamò di colpo. La sua voce risuonò nervosa, più acuta del solito.
«Ehm... a dire il vero questa è casa mia, dovrei dirlo io» disse Chris sconcertato. Non aveva alcuna idea di che ora fosse, nè perchè Jane fosse piombata in casa sua in quel modo.
«Ma certo, lo so... è carina» 
Chris scosse la testa. Era la prima volta che entrava in casa sua e con le luci così basse era quasi impossibile vedere qualcosa. In effetti, non avrebbe mai potuto immaginare che sarebbe entrata in casa sua, per la prima volta, attraverso la finestra.
«No, non lo è» mormorò il ragazzo spostandosi dalla porta per accendere la luce.
«Potresti dirmi cosa ci fai qui, per favore?»
Jane sembrò combattuta, poi sospirò togliendosi il cappuccio.
«Mia madre è qui»
Chris le sembrò ancora più confuso dopo quella sua affermazione, allora decise di dargli qualche spiegazione.
«Ecco, vedi, io e mia madre abbiamo un rapporto molto strano» disse andando a sedersi sul divano, Chris la seguì ancora troppo stanco per rimanere in piedi.
«Lei è... è... una rompicoglioni, io non voglio incontrarla e quindi tu mi devi aiutare»
Chris ascoltò la sua voce supplichevole e percepì una profonda ansia nei suoi movimenti.
«Cosa dovrei fare esattamente?» le chiese.
«Tenermi un pò qui, quando vedrà che la evito del tutto andrà via»   
Chris avrebbe preferito mandarla via, non perchè non volesse aiutarla, ma perchè non voleva che restasse in casa sua. Odiava pensare che qualcuno venisse a conoscenza della sua situazione. Nasconderlo fra quelle quattro mura era come una protezione, uno scudo per fingere che andasse tutto bene. Però, dopo tutto quello che aveva fatto per lui, era il minimo che potesse fare.
«Va bene, puoi restare»
Jane lo ringraziò, poi si alzò dal divano e diede un'occhiata alla stanza. Le sembrò strano non essere mai stata a casa di Chris. In quei quartieri era praticamente l'unico amico che aveva, gli altri erano solo i suoi compagni di scuola che abitavano in centro e che vedeva raramente al di fuori dall'ambito scolastico. Lei non amava particolarmente stare di continuo con il suo gruppetto di cheerleader, o passare il tempo a corteggiare il più bel ragazzo della scuola. In effetti, quando spostò lo sguardo su Chris, pensò che lui era stato l'unico ragazzo per il quale aveva provato un interesse maggiore. Da quando lui le aveva rivolto la parola, le era sembrato che finalmente aveva trovato qualcuno con cui poteva portare avanti una conversazione. Chris era in grado di capire quel che diceva, non come tutti gli altri in cui era purtroppo inciampata.
«Perchè hai tirato le tende? Tu abiti in un altro quartiere e dubito che a quest'ora tua madre ti perseguiti» disse Chris sbadigliando subito dopo.  
«Ehm... io... non lo so, sono entrata in casa e l'ho trovata a dormire nel mio letto e quindi sono scappata, potrebbe essersi svegliata  e... Christopher, io non voglio ascoltare alcuna lamentela su quanto i miei capelli abbiano bisogno di un nuovo taglio, o su quanto indecorosi siano i miei vestiti, o ancora su quanto dovrei dormire di più perchè ho le occhiaie, oppure... ah, lo sai che mi dice sempre che dovrei farmi qualche iniezione di botulino? Io, che ho solo vent'anni» disse istericamente. Chris dopo quel discorso si era ripreso del tutto da suo stato di dormiveglia. Capì perchè non avesse alcuna voglia di incontrarla. 
«Beh... tranquilla, qui nessuno ti giudicherà se hai le doppie punte, probabilmente non ti noteranno nemmeno»
Jane fece spallucce e restò qualche secondo ferma, un pò imbarazzata. 
«Ehm... Vorrei riposare un pò, dove dormo?»
Chris sospirò alzandosi, le fece strada verso la sua camera.
«Nel mio letto» sussurrò per non svegliare Betsy che dormiva beatamente.
«Tu non vieni a dormire con me?» gli chiese lei ammiccando. Chris roteò gli occhi e scosse la testa.
«Non cambi mai, eh» 
Lei rise, poi si tolse le scarpe e i pantaloni. Chris decise di vestirsi mentre lei si preparava per coricarsi.
«Dove vai?» gli chiese Jane mettendosi sotto le coperte. Chris si infilò una felpa e tirò su il cappuccio.
«Sono le sei, vado a farmi una corsetta»
La ragazza si accigliò. Non ricordava che andasse a correre e nemmeno che si alzasse così presto per andarci. Decise di fregarsene e si accucciò al caldo. Chris si infilò le scarpe.
«Eri con... come si chiamava?» le domandò distrattamente.
«Se intendi Adrian, la risposta è sì» disse la ragazza sorridendo.
«Mi ha regalato una collana di diamanti, è bellissima anche se non so in che occasione potrei indossarla»
Chris sorrise appena, riflettendo sull'uso che avrebbe potuto farne lui. La ragazza se ne accorse e volle assolutamente sapere a cosa stava pensando.
«Io la venderei al miglior offerente, ma visto che tu non lo faresti nemmeno morta ti do un consiglio, mettila la prossima volta che scopate e non toglierla, è sexy e i diamanti gli ricorderanno quanto è ricco così magari non avrà nemmeno bisogno della pillola»
Jane rise al solo pensiero. Forse non era nemmeno una cattiva idea.

Di ritorno dalla sua estenuante corsa, Chris rimase per un pò fermo davanti casa sua. Aveva dimenticato come ci si sentiva a correre fino allo sfinimento. Era totalmente fuori allenamento, sentiva già i muscoli doloranti ad ogni movimento. Bevve un grande sorso d'acqua dalla bottiglia che portava sempre con sè, poi si accese una sigaretta e la fumò lentamente beandosi di quei pochi minuti di totale silenzio e pace. Quando buttò via il mozzicone, rientrò in casa e sua sorella era in cucina a bere una tazza di latte.
«Buongiorno» disse Betsy. Lui ripose con un cenno della testa.
«Perchè Jane è nel tuo letto?» domandò poi, curiosa.
«Resterà qui per un pò, per te va bene?»
La ragazza scosse le spalle e ritornò alla sua colazione. Chris andò dritto in bagno e si fece una doccia rapidissima. Doveva sbrigarsi o avrebbe fatto tardi a lavoro. Mentre si vestiva gli tornò in mente che non sentiva Ricky dal pomeriggio precedente. Non era da lui scomparire per tutto quel tempo, di solito Ricky lo inondava di messaggi. 
Uscì di casa insieme a sua sorella, lei pronta per la scuola e lui per il lavoro. Si salutarono non appena Betsy salì sul pullman. Chris chiamò Ricky diverse volte, ma lui non rispose. Non voleva preoccuparsi, ma era parecchio strano. Decise comunque di aspettare l'ora di pranzo, avrebbe riprovato a chiamarlo.

«Non so che fine abbia fatto... io lo richiamo» disse nervoso.
«Ma smettila, vedrai che ti chiamerà lui» cercò di rassicurarlo Jane servendogli un piatto stracolmo di pasta. Chris la ringraziò, poi lei chiamò Betsy che arrivò subito dopo. Anche sua madre si sedette al tavolo con loro. Chris, già troppo nervoso, storse le labbra. Non riusciva a sopportare la sua presenza, e poi perchè pretendeva di riunirsi a loro se non era nemmeno in grado di cucinare un pranzo? 
«Chris, quelli li ho cucinati perchè tu li mangiassi, non perchè ci giocassi» disse Jane. Non si era nemmeno reso conto di quel che stava facendo, tanti erano i suoi pensieri.
«Non riesco a capire, perchè non mi chiama?»
La ragazza alzò gli occhi al cielo e Betsy si intromise nel discorso.
«Ricky?» chiese. Chris annuì mentre con le dita tamburellava sul cellulare come se quel gesto potesse in qualche modo fargli arrivare un messaggio di Ricky.
«Sarà impegnato a fare qualcosa» disse la ragazza.
«Certo, starà facendo qualcosa che lo tiene impegnato da ieri pomeriggio, è ovvio» mormorò Chris.
«Dai, rilassati»
«Jane, se il tuo caro Adrian non si facesse sentire per un giorno intero tu come reagiresti?»
«Mi preoccuperei, ma solo perchè ha sessant'anni e quell'età è a rischio di infarto»
Chris scosse la testa e prese a mangiare in silenzio. Forse sarebbe dovuto andare a casa sua. Non voleva presentarsi lì senza essere stato invitato, di certo non aveva voglia di creare altri litigi, ma il comportamento di Ricky era troppo insolito. Forse si stava preoccupando per niente, ma non poteva fare a meno di sentirsi in ansia. 
«Ti capisco» mormorò sua madre. Chris pensò che forse era arrivato il momento di andarsene. Non riusciva a sopportare nemmeno la sua voce.
«Pensavo che Hector fosse meglio di tuo padre, ma è andato via anche lui... ero molto preoccupata i primi giorni»
Improvvisamente cadde il silenzio. La consapevolezza negli sguardi di Jane e Chris era palese. In fondo, nessuno dei due sapeva bene cosa fosse capitato davvero ad Hector, ma entrambi erano coscienti che Chris c'entrava qualcosa nella sua scomparsa e che probabilmente quell'uomo non era nemmeno più in vita.
«Grazie, mi dai così tanta speranza» sussurrò Chris, infastidito. La donna sospirò e finì lentamente il suo pasto. Dopo un pò Chris si alzò pronto per ritornare in officina. Jane lo accompagnò fuori.
«Vai davvero così di fretta?» gli domandò accendendosi una sigaretta.
«No, ma non riesco a stare qui... devo fare qualcosa altrimenti impazzisco»
«Tua sorella ha ragione, avrà un valido motivo se non si fa sentire»
Chris si passò una mano fra i capelli. Non poteva credere che si stesse innervosendo così tanto, ma temeva che qualcosa di brutto gli fosse capitato o che avesse avuto qualche discussione con sua madre.
«Sei proprio innamorato, eh?» 
Al ragazzo non sfuggì il suo tono beffardo.
«Sì, continua a prendermi per il culo» mormorò lanciandole uno sguardo inceneritore. La ragazza non gli diede peso e cambiò argomento.
«Senti... e Trevor?»
Chris sbarrò gli occhi. Aveva totalmente dimenticato di fargli una chiamata o di andare da lui. 
«Trevor... ehm, sta bene... credo» 
Jane lo guardò con le palpebre socchiuse, poi scoppiò a ridere.
«Wow, ti sei scordato del tuo migliore amico che ha rischiato la vita, fantastico»
Chris sbuffò.
«Non è morto, okay? Che vuoi che faccia? Tanto Trevor ha gli occhi da bambino indifeso, ma lo sappiamo tutti che è un animale... se la cava benissimo da solo» disse camminando verso la fermata dell'autobus. Jane lo seguì in silenzio. Durante l'attesa la ragazza non smise di guardarlo e ad un certo punto Chris, spazientito, si voltò verso di lei. Sentirsi osservato era una di quelle cose che poco sopportava.
«A che cavolo stai pensando?»
Jane sembrò felicissima di aver suscitato il suo interesse.
«Lo so che tu hai il cuore che pompa melassa per Ricky, ma a Trevor ci pensi?»
Chris si accigliò.
«A che devo pensare?»
La ragazza alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa.
«Ah, voi uomini avete il cervello freddo e duro come il marmo»
Chris cercò di difendersi, ma lei non glielo permise mettendogli l'indice sulle labbra e dicendogli di stare in silenzio.
«Non credi che anche lui vada preso di più in considerazione? È il tuo miglior amico, ti vuole più che bene, si può benissimo dire che vive la sua vita per stare dietro a te e tu che fai? Non ti preoccupi minimamente di lui perchè tanto hai un fidanzatino che pende dalle tue labbra, il che ti fa comodo visto che a lui basta una tua carezza per abbassare la guardia e starsene buono» disse quasi arrabbiata.
«Jane, pensi che io stia con Ricky perchè mi fa comodo?» le domandò sconvolto. Non aveva mai pensato una cosa simile, si sarebbe odiato da solo se mai gli fosse capitato di formulare un pensiero simile.
«Non lo so, ma di certo ti starebbe scomodo stare con Trevor... sai, nonostante lui ti ami da impazzire, non si farebbe fare il lavaggio del cervello da te, pensa con la sua testa lui»
«Che vuol dire? Io e Trevor siamo amici, è normale che il nostro rapporto sia diverso da quello che ho con Ricky e poi credi davvero che Ricky faccia tutto quello che gli ordino?»
Jane decise che non meritava nemmeno una risposta.
«Anche se non lo conosco bene, penso che Trevor meriti un trattamento migliore, pensaci bene»
Chris non disse nulla, la guardò mentre andava via. Quelle parole l'avevano messo improvvisamente di malumore. Sentiva quella brutta sensazione alla bocca dello stomaco, e i pensieri sembravano rimbombare, peggiorando un mal di testa che persisteva ormai da ore. Nonostante tenesse davvero a conoscere le condizioni di Trevor, in quel momento il suo unico pensiero era Ricky. 
Guardando fuori dal finestrino dell'autobus notò che il cielo si stava lentamente incupendo, ciò non lo aiutava minimamente, peggiorava solo il suo stato d'animo. Aveva bisogno di sentire la voce del suo ragazzo, di sapere che stava bene, in fondo non gli importava molto del perchè non si fosse fatto sentire per tutto quel tempo. Provò a chiamarlo altre cinque volte, ma il cellulare risultava irraggiungibile, altre volte ignorava le chiamate. Non riusciva a capire. L'ultima volta che si erano visti non avevano litigato, di certo non gli era sembrato di buon umore, ma non si sarebbe mai aspettato che lo evitasse.  
Decise di chiamarlo un'ultima volta prima di entrare in officina, era anche presto per cominciare a lavorare quindi aveva ancora un pò di tempo. Anche quella volta Ricky non rispose. Gli inviò un messaggio, un semplice "Chiamami appena puoi", poi si infilò il cellulare in tasca e aspettò che arrivasse Michael. Dopo una manciata di minuti, però, in lontananza vide arrivare Sheryl. Ebbe tutto il tempo per osservare la sua raggiante bellezza. In quel tempo rigido e grigio, quella larga camicia color ciliegia e i suoi capelli ondulati sembravano portare con loro il calore di una giornata estiva. La ragazza si fermò davanti a lui allungandogli delle chiavi.
«Apri» gli disse sfilandosi gli occhiali da sole e appendendoseli allo scollo della camicia.
«Mio padre ha avuto un imprevisto, verrà fra un pò»
Chris aprì l'officina e si mise subito a lavoro. Aveva bisogno di distrarsi, di indirizzare i suoi pensieri verso qualcosa che non gli facesse esplodere la testa. Rimase in silenzio, concentrato. Sentiva gli occhi di Sheryl addosso, ma lo lasciavano totalmente indifferente in quel momento. Voleva solo finire quel lavoro e liberarsene il più in fretta possibile. Dopo circa mezz'ora, Sheryl si appoggiò alla macchina e sospirò.
«Cosa c'è?»
Chris alzò appena gli occhi su di lei dicendole che andava tutto bene.
«Dai, si vede lontano un miglio che qualcosa non va»
Chris sospirò.
«È solo una brutta giornata» mormorò. Sheryl lo guardò con attenzione, sembrava così teso e nervoso. Voleva aiutarlo in qualche modo.
«Sai, adesso che posso scegliere, penso che resterò qui... mi piace Scranton, stare a casa con mio padre non è nemmeno così tremendo come pensavo» disse la ragazza ricevendo un sorriso dal ragazzo.
«Ti fa piacere?» gli domandò.
«Sai com'è, non si vedono molte donne qui dentro»
«Ah, quindi è solo per le tette?» domandò Sheryl fingendosi offesa.
«E il culo, i capelli e le gambe... soprattutto quando metti quei pantaloni bianchi che avevi un paio di giorni fa»
La ragazza scoppiò in una risata, leggermente imbarazzata. Non che non si fosse mai accorta che lui la guardasse, ma che ricordasse anche cosa indossava era strano.
«Mi hai detto di essere fidanzato o sbaglio?»
«Sì, ma nessuno mi ha buttato l'acido negli occhi»
Sheryl non disse nulla. Si allontanò da Chris e si avviò verso l'uscita.
«Dove stai andando?»
«Ti offro un caffè, ma solo perchè mi hai riempita di complimenti» disse scomparendo poi dalla visuale del ragazzo che, con un sorriso sulle labbra, riprese a lavorare. In pochi minuti aveva portato a termine il suo impegno e proprio il quel momento Sheryl ritornò con due bicchieri pieni di caffè caldo. Bastò l'odore e un piccolo sorso per rilassare Chris che aveva i nervi a fior di pelle. Per sorseggiarlo in santa pace, si sedettero nello studio di Michael.
«E tua madre è d'accordo? Col fatto che vuoi rimanere qui, intendo» le domandò all'improvviso. 
«Ho diciotto anni ormai, non può impedirmelo» disse con un tono pacato.
«Voglio dire, io e lei abbiamo un bel rapporto, ma io ho un padre e vorrei poter restare più tempo con lui»
Chris abbassò lo sguardo per un pò. Inevitabilmente finì per ripensare all'orribile rapporto che aveva con i suoi. Anche se provava a negarlo, anche se aveva sempre finto di potersela cavare senza l'aiuto di nessuno, un pò gli sarebbe piaciuto poter avere un padre con cui condividere una passione, o una madre che lo svegliasse al mattino con la sua voce dolce e premurosa.
«Da quanto sono divorziati?» le domandò cercando di sembrare più delicato possibile.
«Penso da circa dieci anni... in realtà non ho molti ricordi di loro due insieme, ma è meglio così perchè fa meno male vederli separati»
Il ragazzo annuì, voleva saperne di più. Non era mai stato curioso, non gli interessava conoscere i drammi delle vite degli altri -gli bastavano i suoi-, ma Sheryl sembrava una di quelle ragazze che ha davvero tante cose da raccontare. Lei gli rese tutto più facile parlando prima che lui potesse chiederle qualcosa.
«Non vedevo papà da quasi due anni nonostante lui mi abbia sempre telefonato e chiesto di venire qui per stare insieme, ma io avevo sedici anni e preferivo uscire con i miei amici invece di andare in una città del tutto sconosciuta e dormire in casa di un... un uomo che non conosco»
Chris l'ascoltò attentamente. 
«Mia madre si è sposata con un altro uomo quattro anni dopo il divorzio, penso di conoscere meglio lui che il mio vero padre»
«Quindi ti trovi bene con lui?»
Sheryl annuì.
«È un pò rigido a volte, ma è una brava persona e tratta me e mia madre molto bene... Michael però è sempre mio padre ed è per questo che vorrei riallacciare il nostro rapporto»
Chris le sorrise e fu felice di ricevere la stessa espressione di gioia da parte di Sheryl.
«Tu, invece?» chiese poi la ragazza sistemandosi più comodamente sulla sedia.
«Io?»
Sheryl annuì.
«Hai l'aria di una persona piena di segreti»
Chris sorrise tenendo la testa bassa. Non sapeva se fidarsi di lei. Non era mai stata una di quelle persone che ha sempre il bisogno di dire la sua, non si era mai sentito in dovere di raccontare qualche dettaglio della sua vita, raccontare le sue storielle tragiche non era nelle sue corde. Semplicemente, non gli importava mettersi sempre davanti agli altri.
«Non so se si possano definire segreti»
La ragazza stette zitta, lo osservò mentre beveva il suo caffè. Chris non avrebbe preso l'iniziativa, non le avrebbe raccontato molto se non spinto nel modo giusto.
«Perchè lavori qui?» gli domandò, poi si accorse che formulata in quel modo quella domanda aveva poco senso.
«Voglio dire, come ci sei finito?»
In un primo momento Chris non seppe come rispondere. Voleva essere sincero, ma quella era la figlia del suo capo. Insomma, sapeva che non c'era nulla di cui preoccuparsi vista la simpatia che aveva sviluppato Sheryl verso di lui, ma cercò lo stesso le parole giuste prima di parlare. Non poteva dirle che si trovava lì perchè non sapeva più cosa farne della sua vita.
«Diciamo che avevo perso il lavoro e me ne serviva un altro, tuo padre è capitato solo al momento giusto» disse posando il bicchiere sulla scrivania di Michael.
«Facevi lo stesso lavoro prima?»
Chris scosse la testa.
«No, infatti penso che tuo padre abbia avuto parecchia pazienza con me»
La ragazza fece un movimento con le labbra che lo insospettì.
«Cosa?» le domandò, divertito.
«Niente, è che mio padre sembra contento di averti qui» 
Chris non riuscì a non esserne felice. Spesso negava a se stesso quanto fosse importante sentirsi apprezzato, ma le parole di Sheryl gli avevano fatto davvero piacere.
«Parla sempre di te, di sera mentre ceniamo mi racconta tutto quello che è successo durante il giorno, non vado a dormire se non ha finito di dirmi anche quante volte ti sei fatto male, quante volte ti sei lavato le mani... è quasi insopportabile, non fa altro che riempirti di complimenti, e il problema è che se si accorge che smetto di ascoltarlo si arrabbia»
Chris non riuscì ad interpretare il tono della ragazza, non capiva se fosse infastidita o solo sorpresa dal comportamento di suo padre.
«Forse vuole solo cercare un contatto con te, cerca di renderti partecipe della sua vita»
La ragazza rimase in silenzio pochi secondi, assorta nei suoi pensieri, poi alzò lo sguardo in quello del ragazzo.
«O forse voleva un figlio maschio» disse lasciandosi sfuggire un sorriso divertito. Chris sorrise a sua volta, poi si alzò pronto a ritornare a lavoro. Gli sarebbe piaciuto rimanere lì a chiacchierare amabilmente, ma non era proprio un bene farsi trovare da Michael a perdere tempo. Se proprio doveva ricevere dei velati complimenti, voleva almeno meritarseli.
La ragazza si affacciò dalla porta dell'ufficio richiamando l'attenzione di Chris con un fischio.
«Io ti voglio in tanti modi, ma non come fratello, che sia chiaro» disse con voce calma e rilassata, ma i suoi occhi sembravano volergli dire qualcosa in più, in un modo molto più esplicito. Chris non le rispose, scosse solo la testa con un sorriso sghembo. Non che potesse dire di conoscerla a fondo, ma era già abbastanza abituato alle sue paroline sussurrate, ai suoi sguardi eloquenti, al fatto che poteva essere ingenua e dolce un minuto prima e provocante quello dopo.   

Quella sera Chris rientrò in casa e la prima cosa che fece fu chiamare Ricky per l'ennesima volta. Sospirò gettando il cellulare sul divano quando, anche quella volta, l'altro non rispose.
«Ciao»
Chris si voltò per vedere Jane che, in pigiama e con i capelli legati, se ne stava appoggiata allo stipite della porta.
«Ciao»
«Ti preparo qualcosa da mangiare?» gli chiese, ma il ragazzo scosse la testa. Prima di tornare a casa aveva mangiato con Sheryl.
«Tranquilla, poi andare a dormire se vuoi» rispose andando verso il bagno. La ragazza lo seguì.
«Che c'è?»
Jane si sedette sul water mentre Chris si spogliava da quei vestiti sporchi.
«Vorrei chiederti scusa per quello che ti ho detto oggi, non sono affari miei se tu vuoi stare con Ricky oppure... non sono affari miei» concluse abbassando lo sguardo. Il ragazzo la guardò riflessa nello specchio davanti a lui. Sembrava sincera. Ma, in fondo, anche se non lo fosse stata, non avrebbe creato ancora altro scompiglio. La sua unica preoccupazione in quel momento era un'altra, e poi non era stato tanto terribile quello che Jane gli aveva detto. Non l'aveva presa come un affronto, anzi era contento che lei gli avesse esposto i suoi pensieri.
«Sei scusata»
Jane sorrise.
«Ricky ti ha risposto?»
«No e mi sto seriamente preoccupando»
Jane si avvicinò a Chris appoggiandogli una mano sulla spalla, cercando di rassicurarlo in qualche modo.
«Nel pomeriggio ho chiamato Trevor» disse poi.
«Davvero? Che ti ha detto? Come sta?»
«Sembrava stanco, ma ha detto di sentirsi meglio e che lo dimetteranno presto, forse dopodomani»
Chris rimase in silenzio per un pò con lo sguardo basso. Si sentiva così tanto in colpa per non essergli stato accanto in quel periodo. Trevor era abbastanza forte da poter affrontare quella situazione anche da solo, ma ciò non scusava il suo comportamento superficiale.
«Permaloso com'è, sarà sicuramente incazzato nero con me» mormorò con un sospiro.
«No, non sembrava incazzato, soprattutto quando gli ho detto che per colpa del lavoro a stento torni a casa per dormire» gli disse avvicinandosi alla porta.
«Il Chris che conosce lui l'avrebbe trovato il tempo»
Il rancore verso se stesso era percepibile e la ragazza non potè fare a meno di rendersi conto di quanto fosse stressante per Chris quella situazione.
«Trevor capirà, anzi, direi che lui ti giustificherebbe anche se non gli rifilassi scuse a caso» disse Jane sorridendogli. Il ragazzo annuì provando a convincersi di quello che aveva appena sentito. In effetti non c'era molto da preoccuparsi, Trevor gli avrebbe detto che era un pezzo di merda e poi sarebbe tornato tutto come prima. Però c'era sempre qualcosa dentro di lui che gli diceva di non adagiarsi troppo sulla cedevolezza di Trevor solo per allontanare i sensi di colpa.
Chris lanciò uno sguardo alla ragazza che in quel momento varcò la soglia e chiuse la porta.

Uscito dal bagno finalmente pulito, andò dritto in camera sua. Jane non era a letto, ma Betsy già dormiva. Avrebbe voluto parlare un pò con lei, chiederle com'era andata a scuola, cosa aveva fatto tutto il giorno, voleva solo assicurarsi che almeno lei stesse bene. 
Indossò qualcosa di comodo facendo attenzione a fare meno rumore possibile. Quando Jonathan era ancora vivo avevano fatto molta pratica. La pura di svegliarlo era sempre stata tanta, ma solo perchè dopo era impossibile fargli chiudere gli occhi di nuovo.
Uscì dalla stanza e entrò nel salone dove si aspettava di trovare Jane. Infatti era lì, seduta sul divano col suo cellulare in mano. Appena sentì il ragazzo arrivare si voltò verso di lui con un'espressione sconvolta.
«L'hai chiamato quasi quaranta volte» disse.
«È poco?» chiese Chris preso da un attimo di panico improvviso.
«Scherzi, non è vero? Cioè, quaranta telefonate sono davvero tante in un giorno solo»
Chris sospirò sedendosi accanto a lei. Finalmente riuscì a rilassare un attimo i suoi nervi.
«Dici che faccio bene se vado da lui»
Jane ci pensò, calcolando tutte le possibili opzioni.
«Secondo me dovresti aspettare ancora un pò, se anche domani non si fa sentire allora potrai andarci»
«Sì, lo so , tu hai ragione, ma io... sto andando fuori di testa»
Jane gli lasciò il cellulare, poi sembrò come illuminata.
«Ho avuto un'idea, perchè non provi a chiamare Angelo? Magari lui l'ha visto e può quantomeno tranquillizzarti»
Chris non ci pensò due volte, cercò il numero di Angelo e attese nervosamente la risposta dell'altro. Jane, rannicchiata in un angolo, ascoltò la breve conversazione. Non capì molto visto che poteva sentire solo la voce preoccupata di Chris, ma intuì qualcosa dalla sua espressione.
Chris riagganciò, sconfitto.
«Che ti ha detto?» gli domandò fin troppo curiosa.
«Che nemmeno lui l'ha sentito e che proverà a chiamarlo, ma ha detto che stamattina era a scuola e stava bene»
Jane sospirò, poi Chris la guardò per un'istante e ricordò il vero motivo per cui lei era in casa sua.
«Tua madre?» le domandò.
«Non so, mi ha mandato un messaggio per sapere dove sono, le ho risposto che sto seguendo un corso di yoga fuori città»
«E ci ha creduto?» 
La ragazza sembrava sconvolta quanto lui, ma annuì.
«È sempre stata una che non fa caso ai particolari che non le interessano, tipo i miei vestiti ancora nell'armadio e la piastra in bagno» pensò Jane ad alta voce. Chris rise alzandosi dal divano.
«Almeno cerca di trovarti un pigiama perchè quello che hai addosso lo mettevo a tredici anni ed è probabilmente la cosa più brutta al mondo, fa davvero schifo»
«Mi sta un pò piccolo, ma credo che me lo porterò a casa, è caldissimo» disse entusiasta . Chris provò a risponderle in qualche modo, ma gli mancarono le parole e decise di lasciar perdere.
«Vai a dormire, sembri così stanco»
Chris sembrò combattuto. Probabilmente non avrebbe chiuso occhio, ma doveva provare a riposare prima di arrivare al limite. Non poteva permettersi di crollare, doveva essere lucido e riposato per poter ricominciare tutto d'accapo alle luci della prossima alba.
Jane disse che sarebbe andata in bagno e poi l'avrebbe raggiunto. Quando Chris entrò in camera sua, dubitò prima di sedersi sul letto di Jonathan. Non aveva mai dormito su quel letto e l'idea non gli piaceva minimamente. Gli portava alla mente troppi ricordi e, pur sapendo quanto fosse impossibile, gli sembrava di poter sentire il suo odore sul cuscino. Gli sembrava di violare quello spazio che era solo di suo fratello, l'unico posto in cui rimaneva davvero solo con se stesso, dove dava vita ai suoi pensieri e i suoi sogni. Quel letto che fino a quel momento era rimasto intatto, era la cosa che più lo faceva sentire vicino a suo fratello. Se ne stava rendendo conto man mano che i secondi scorrevano, ma ciò un pò lo rincuorava. Era una bella sensazione.
Immerso nei suoi pensieri, quasi non aveva sentito la vibrazione del cellulare. Era un messaggio da parte di Angelo, gli diceva che Ricky non aveva risposto al telefono e che magari gli avrebbe dato notizie il giorno dopo. Lo ringraziò solamente, poi cercò il numero di Trevor in rubrica. Non sapeva se chiamarlo oppure no, era tardi e probabilmente dormiva. Decise di fare un unico tentativo. Pensò che forse Trevor era in un'estenuante attesa quando, dopo soli due squilli, gli rispose. Il ragazzo non parlò, Chris riusciva a sentire solo i suoi respiri pesanti, affaticati. Attese qualche secondo prima di dire qualcosa. La tensione che sentiva nello stomaco gli faceva tremare le mani, odiava aver sbagliato così tanto verso l'unica persona che non gli aveva mai voltato le spalle, nemmeno nel peggiore dei casi.
«Sei arrabbiato con me?»
Trevor non gli rispose. Doveva tentare ancora.
«Mi dispiace»
Quella volta Chris udì un soffio più forte, come una risatina trattenuta. A quel punto capì e riprese a parlare sempre a voce bassa.
«Scusami se non sono venuto da te, sono stato uno stupido, avrei dovuto almeno chiamarti e chiederti come stavi»
L'altro rimase in silenzio per l'ennesima volta. Chris roteò gli occhi sospirando.
«E mi manchi davvero tanto»
Trevor attese solo pochi istanti prima di rispondergli.
«Mmh, adesso va un pò meglio» disse con una voce un pò impastata, stanca. 
«Che cretino che sei» mormorò Chris, ridendo. Cominciava a sentirsi meglio.
«Sì, parla lo stronzo che se n'è fregato del suo miglior amico quasi morto»
Chris si morse le labbra per non rispondergli a tono. Aveva sbagliato, quindi doveva incassare i colpi in silenzio.
«Spero mi perdonerai se fra un paio giorno rimetterò piede nella tua vita» gli disse. Subito dopo senti il rumore delle lenzuola rigide degli ospedali, poi di nuovo solo il respiro leggermente affannoso dell'altro.
«Adoro quando lo fai... quando compari nella mia vita»
Chris sorrise al tono meno duro dell'altro. Non poteva negare che gli piacesse sentire Trevor che gli parlava in quel modo. In quel momento avrebbe solo voluto dirgli che gli voleva bene, ma non lo fece. Trevor cosa gli avrebbe risposto? Un falso "anche io" solo per non ripetergli che, a differenza sua, lui lo amava? Non voleva ritrovarsi in qualche imbarazzante silenzio.
«Se ci riesco, provo a comparire già domani, okay?»
«No... ehm... no, lascia stare, tanto torno a casa fra due giorni»
Chris si accigliò pensando a quanto fosse strano che lui gli dicesse quelle cose. Quella risposta lo irritò.
«Va bene... come vuoi» gli disse.
«Chris, posso chiederti un favore?» gli chiese Trevor subito dopo. 
«Certo»
Trevor ci mise un pò a rispondere, prese fiato lentamente. Chris non capiva bene il motivo di quel suo respiro così pensate, ma sembrava che anche la sua voce fosse indebolita. Sperava che non stesse soffrendo troppo, che le ferite infertegli dal padre fossero meno dolorose, almeno sopportabili.
«Dormi con me, non riattaccare»
Chris sorrise appena mettendosi più comodo sotto le coperte calde. Sentiva che era arrivato davvero il momento in cui il suo corpo era riuscito a calmarsi dalla frenesia e dallo stress accumulato durante il giorno. Poteva finalmente dormire, alle sue mille preoccupazioni ci avrebbe pensato l'indomani.
«Dormo con te, non riattacco»
Nel momento in cui chiuse gli occhi, sentì la porta della camera aprirsi e chiudersi un attimo dopo. Sentì Jane che si metteva a letto, e con i respiri man mano più lenti e regolari di Trevor, riuscì ad addormentarsi.





CHE FINE HA FATTO RICKY? È ANCORA VIVO? I SUOI CAPELLI FARANNO ANCORA SWISH? LO SCOPRIREMO NEL PROSSIMO CAPITOLO!
Ritorno in me e come sempre mi scuso tantissimo se non ho postato prima, ma sono stata molto impegnata e non ho avuto tempo ç.ç Chiedo perdono! Non vi chiedo di lasciarmi una recensione perchè so che non lo farete *piange*, ma va bene così, vi voglio bene lo stesso u.u
Alla prossima :3

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Capitolo 23
*** -Capitolo 22-Beautiful liar ***


-Capitolo 22 - Beautiful liar.
Ricky ritornò a casa lasciando lo zaino accanto alla porta. Ignorò del tutto le lamentele di sua madre che, quel giorno, l'aveva stranamente accompagnato e andato a prendere. Non aveva più detto nulla, non avevano litigato, e proprio per questo gli sembrava strano il suo comportamento improvvisamente docile. Entrò nella sua stanza lasciandosi alle spalle anche i pensieri su sua madre. 
Prese il cellulare dalla tasca dei jeans e analizzò di nuovo con attenzione tutti i messaggi e le chiamate che aveva ignorato il giorno prima. Gli faceva male pensare che Chris fosse tanto disperato da chiamarlo così tante volte, ma la rabbia verso se stesso gli faceva salire il sangue al cervello. La delusione era troppa, sapeva degli sbagli che aveva commesso, non riusciva a chiamarlo e far finta di nulla.
Stette a fissare il cellulare per tanto tempo, troppo indeciso su cosa fare. Continuò a far finta che Chris non lo stesse chiamando, che non gli stesse mandando alcun tipo di messaggio. Sapeva che la cosa giusta da fare era chiamarlo e spiegargli il motivo di quella sua temporanea assenza, ma non ne aveva il coraggio.
Stava quasi per appisolarsi quando qualcuno bussò alla porta della sua camera.
«Chi è?» chiese con la voce stanca. La porta si aprì piano e comparve Josh che non si annunciò in nessun modo. In silenzio, sotto lo sguardo teso di Ricky, chiuse la porta e andò a sedersi sul bordo del letto, dandogli le spalle.
«Cosa ci fai qui?» domandò ancora Ricky mettendosi a sedere. Stette ben attento a mantenere le distanze.
«Non lo so, avevo voglia di vederti» 
Ricky sorrise appena abbassando lo sguardo. Josh lo guardò e il ricordo della sera precedente lo colpì in pieno. Non negava a se stesso che gli sarebbe piaciuto ripetere la cosa, ma non voleva dirlo a Ricky perchè non sapeva quali erano i suoi pensieri.
«Josh... io non credo che sia una buona idea»
«Che io stia qui, da solo, con te?»
Ricky lo guardò con uno sguardo dispiaciuto, ma annuì.
«Okay, quindi vuoi che me ne vada?» domandò Josh sperando in una risposta negativa, ma Ricky abbassò lo sguardo senza dire nulla. Ci fu un minuto di silenzio in cui entrambi evitarono di guardarsi, troppo presi da loro pensieri, poi Josh si alzò e uscì dalla stanza senza neanche salutarlo. Ricky lo seguì con lo sguardo e perse un battito quando lo vide fermo, fuori dalla sua stanza, come se stesse riflettendo su qualcosa e fosse tentato di tornare indietro. Ed infatti lo fece, chiudendo la porta a chiave. 
«Che stai facendo?»
Josh non rispose, lo raggiunse e si sedette accanto a lui guardandolo dritto negli occhi. Era così bello con quell'espressione persa e imbarazzata.
«Non farmi andare via così» gli disse prendendogli la mano. Ricky mostrò un evidente disagio, cercò anche di ritrarre la mano, ma Josh gliela strinse un pò di più.
«È sbagliato» mormorò Ricky un secondo prima che Josh lo baciasse. La passione di quel bacio sembrò inebriare le loro menti. Josh lo spinse delicatamente sul materasso mettendosi sopra di lui. Quando le loro labbra si separarono, Ricky emise un leggero gemito facendo sorridere l'altro. Si sentiva come scisso a metà: provava vergogna per quello che stava facendo, ma allo stesso tempo non riusciva a controllare il suo corpo che voleva sempre di più.
Mentre quei pensieri si ripetevano nella sua testa, Josh aveva provveduto a togliergli la maglia. Gli stringeva i fianchi, gli baciava il collo e le loro crescenti erezioni si sfregavano ad ogni movimento.
«Josh, ti prego...»
Il ragazzo ritornò sul suo viso mordendogli il labbro inferiore con una certa prepotenza.
«Ti prego, cosa?» gli domandò, spostandosi verso l'orecchio. 
«Ti prego, fermati? Oppure...» sussurrò leccandogli il lobo e succhiandolo fra le labbra.
«Ti prego, continua?»
Ricky aprì gli occhi solo quando Josh smise di sottoporlo a quella tortura. I loro visi erano tanto vicini da sfiorarsi, potevano sentire solo i respiri pesanti e loro corpi vogliosi. Si guardarono negli occhi. Ricky sperò fino all'ultimo istante di trovare il coraggio per respingerlo, ma poi fu proprio lui a baciarlo e a mettere a tacere ogni dubbio di Josh.

Il poco sole che aveva illuminato quella giornata stava tramontando quando Josh lasciò la casa di Ricky con un incancellabile sorriso sulle labbra. Ricky corse subito in bagno e farsi una doccia per togliersi di dosso lo schifo che sentiva dentro. Si appoggiò alla parete fredda e iniziò a piangere. Come era arrivato a tutto ciò? Aveva tradito Chris per ben due volte  e non poteva crederci. Non riusciva a definire il rapporto che c'era fra lui e Josh, ma era sicuramente diverso da quello che aveva con Chris. La loro amicizia si stava trasformando in qualcosa di diverso, ma non sapeva nemmeno cosa provava nei suoi confronti. Provava mille emozioni contrastanti. Cosa avrebbe dovuto fare? Dirlo a Chris o mantenere il segreto? Non aveva alcuna sicurezza, non sapeva se sarebbe successo ancora. Ciò che cominciò a bruciargli dentro fu la sensazione che, se mai si fosse ripresentata l'occasione, non l'avrebbe evitata, proprio come aveva fatto poche ore prima. Il senso di colpa lo spinse a piangere sempre di più mentre, dalla sua camera, sentì il suo cellulare squillare per l'ennesima volta. Era sicuramente Chris. Dove stava trovando il coraggio di non rispondergli? Ma, allo stesso tempo, dove avrebbe trovato la forza di guardarlo negli occhi e nascondergli quel tradimento? 
Si passò le mani sul viso sciacquandolo sotto il getto d'acqua tiepida, poi uscì dalla doccia asciugandosi velocemente. Dopo essersi vestito uscì dal bagno e guardò il letto con insistenza e disgusto. Quelle lenzuola tutte stropicciate e i cuscini sparsi qua e là gli ricordarono per l'ennesima volta il suo comportamento scorretto ma allo stesso tempo inevitabile. Era così confuso, non riusciva a darsi pace. Il cuore gli stava esplodendo nel petto.
In uno scatto di rabbia, tirò via le coperte dal letto e la lanciò in un angolo della stanza. Desiderava vederle bruciare.
Si appoggiò alla scrivania e cercò di riprendere fiato e calmarsi. In qualche minuto riacquistò la lucidità e prese il cellulare con l'intento di chiamare Chris. Non poteva nascondersi per sempre, avrebbe dovuto affrontarlo prima o poi. Compose il numero, ma alla fine non lo chiamò, non ce la fece. Aveva bisogno di parlare con qualcuno e pensò che la persona giusta fosse Angelo. Parlare con lui comprendeva dovergli raccontare tutto, ma non poteva tenersi tutto dentro.
Inviò un messaggio ad Angelo chiedendogli se era a casa e se poteva parlare con tranquillità, senza troppe interruzioni. Angelo gli rispose quasi subito. In un primo momento aveva pensato di chiamarlo e raccontargli tutto al cellulare così da non dover affrontarlo faccia a faccia, ma poi cambiò idea. Gli scrisse di aspettarlo, che sarebbe andato a casa sua. Si infilò il cellulare in tasca, mise le scarpe e uscì di casa dicendo a sua madre che sarebbe tornato presto. Ignorò le sue domande correndo fuori, voleva solo liberarsi il più in fretta possibile di quel peso.
Durante il tragitto non troppo lungo sentì il cellulare vibrare, ma non lo tirò nemmeno fuori dalla tasca pensando che fosse semplicemente la risposta di Angelo al suo precedente messaggio. Arrivato fuori casa dell'amico suonò il campanello e attese qualche secondo, poi la porta si aprì.
«Ehi, Ricky» disse Angelo con un'espressione strana che notò subito.
«Stai bene?» gli domandò.
«Ehm... sì, ma non l'hai letto il messaggio?» chiese Angelo a bassa voce. Ricky pensò che stesse impazzendo anche lui. Non l'aveva ancora fatto entrare e si comportava in modo ambiguo.
«No, ero praticamente già qui quando mi è arrivato»
Angelo sospirò, poi gli fece cenno di entrare. Il suo viso era serio, preoccupato. Ricky andò in panico. La coscienza sporca gli faceva dubitare di tutto, pensò addirittura che Josh gli avesse già detto tutto e che Angelo fosse arrabbiato con lui. 
Entrò in casa cercando di nascondere il suo nervosismo. Angelo camminò lentamente dietro di lui mentre si avvicinavano al salone. Non appena vi mise piede, ciò che vide lo pietrificò. Appoggiato al tavolo, con le braccia conserte e la più seria delle espressioni, c'era Chris. Si sentì quasi svenire. Imbarazzato, spostò  gli occhi su Angelo, ma non riuscì a reggere nemmeno il suo sguardo.
«Hai intenzione di restare lì?»
Sentì un nodo alla gola a quella domanda posta da Chris. La sua voce era spaventosamente calma, aveva paura che sarebbe esploso all'improvviso in uno scatto d'ira.
«Chris...»
«Ti dimentichi che esisto, ma almeno il mio nome lo ricordi... è confortante» disse Chris, con un sorriso ironico. Ricky lo guardò con le lacrime agli occhi. Non riusciva a dire nulla, sentiva il sangue fluire velocemente e pulsargli nelle tempie. Guardò ancora una volta Angelo in cerca del suo aiuto. Probabilmente in quel messaggio che non aveva letto, Angelo lo avvertiva della presenza di Chris. Se l'avesse letto non si sarebbe trovato in quella situazione.
«Volete che vi lasci soli per un pò?» domandò Angelo.
«No, è casa tua, dovremmo essere noi ad andare via» disse Chris aspettandosi una reazione da parte di Ricky, ma il ragazzo rimase immobile con gli occhi sospesi nel vuoto. Angelo sperò con tutto se stesso che si desse una mossa, che spiccicasse qualche parola, ma non fu così. Chris attese anche oltre il suo limite di pazienza, voleva dargli ancora un pò di tempo, ma ad un certo punto quella situazione lo stancò e decise che non avrebbe aspettato ancora. Ricky era abbastanza grande da poter prendere una posizione in quel contesto -creato da lui, tra l'altro-, ma si stava tirando indietro e non poteva fare altro che andarsene. Non gli piaceva comportarsi in quel modo nei suoi confronti, avrebbe potuto affrontarlo con più dolcezza così da ottenere un risultato nettamente migliore, ma oltre alla preoccupazione c'era la rabbia per essere stato ignorato. Proprio non ce l'aveva fatta a far finta di nulla e ad interpretare la parte del fidanzatino comprensivo. 
«Grazie per la cena, Angelo, buonanotte» disse passando accanto ai due senza degnare Ricky di uno sguardo. Quando la porta si chiuse, Ricky scoppiò a piangere coprendosi il viso con le mani. Angelo lo abbracciò subito totalmente sconcertato da quanto appena accaduto. 
«Calmati, va tutto bene» gli sussurrò, ma Ricky scosse subito la testa.
«No... non va bene»
Angelo lo strinse ancora un pò, poi lo accompagnò sul divano. Lì sarebbero stati più comodi.
«Perchè l'hai lasciato andare via?» gli chiese. Non che volesse rimproverarlo, ma non capiva il suo comportamento. Per quanto ne sapeva, Ricky era pazzamente innamorato di lui. Quell'improvviso cambiamento gli risultava strano.
«Angelo, io... d-devo dirti una cosa»
Il ragazzo gli mise una mano dietro la schiena, stava tremando come una foglia.
«Tranquillo, sono qui, ti ascolto»
Ricky prese un grande respiro e, incoraggiato dalle parole dell'amico, trovò il coraggio per confessare tutto.
«L'ho tradito»
La mano di Angelo che massaggiava lentamente la schiena di Ricky si bloccò all'istante. Non poteva credere alle sue orecchie. Ricky non era mai stato quel tipo di ragazzo, anzi lui odiava i tradimenti.
«Ehm... quando è successo?» gli chiese cercando di non sembrare troppo contrariato. Voleva aiutarlo a chiarirsi le idee, immaginava già in casino che c'era in quella testolina.
«Ieri... e anche oggi» mormorò asciugandosi inutilmente le lacrime. Stava male, le fitte alla testa e la confusione lo stavano facendo impazzire.
«Non dici nulla?» 
Angelo lo guardò senza rispondere, poi si alzò e gli disse che gli avrebbe portato un pò d'acqua, ma in realtà voleva solo allontanarsi per un pò, giusto il tempo di metabolizzare e decidere cosa dirgli.
Qualche minuto dopo tornò da Ricky e gli porse il bicchiere d'acqua fresca. Il ragazzo bevve e sembrò riprendersi un pò.
«Va meglio?»
Ricky annuì, ringraziandolo.
«Glielo dirai?» gli chiese Ricky, spaventato.
«Lo sai che non lo farei mai»
Il ragazzo sorrise appena, rincuorato da quella risposta. Non si pentiva mai di aver detto qualcosa ad Angelo, quel ragazzo era la sua salvezza.
«E tu, invece?»
Ricky abbassò lo sguardo senza sapere cosa dire.
«Cosa devo fare? Io sono innamorato di lui, non volevo tradirlo ma... è successo»
Angelo poteva sentire la sincerità nella sua voce, credeva alle sue parole e quelle non erano lacrime di coccodrillo. Era davvero disperato e combattuto e ne poteva capire il motivo.
«Sei andato a letto con un ragazzo per ben due volte, se lo farai ancora vuol dire che devi lasciare Chris» disse riflettendo ad alta voce.
«Se invece non hai alcuna intenzione di tradirlo ancora, allora potresti non dirglielo ma dovrai portarti questo peso sulla coscienza e sapere di esserti comportato male, oppure potresti essere sincero e lasciarti alle spalle questa storia»
Il ragazzo pensò attentamente alle parole dell'amico.
«So che ho sbagliato, non lo farò mai più... non voglio perderlo»
«Questo vuol dire che non hai intenzione di dirglielo?»
Ricky lo guardò vergognandosi di quella decisione che stava prendendo, ma non avrebbe permesso che un suo errore rovinasse tutto. Chris era la cosa più bella che gli fosse mai capitata, lo rendeva felice. Improvvisamente tutta la confusione cominciava a sparire. Ancora non riusciva a spiegarsi come aveva fatto a cedere così facilmente ad una tentazione, ma sapeva cosa voleva. Doveva solo comunicarlo a Josh, parlare con Chris e lasciare quella storia fra le ombre scure del passato.
Angelo non disse nulla, non voleva condizionarlo in alcun modo. Non poteva negare che Ricky lo stava un pò deludendo. Da lui non si sarebbe aspettato un tradimento, ma soprattutto che poi avrebbe deciso di tenerlo nascosto. Tutti quei pensieri derivavano solo dal fatto che, nonostante volesse difendere il suo miglior amico, Chris non meritava quel trattamento. Quella sera aveva conosciuto un altro lato del carattere di Chris. Avevano passato la sera insieme perchè il ragazzo era totalmente irrequieto, aveva bisogno di qualcuno con cui parlare di Ricky, e chi meglio di Angelo? Chris si era aperto con lui. Gli aveva raccontato di quanto Ricky gli avesse migliorato la vita, che prima di lui non faceva altro che disperarsi per colpa dei suoi genitori e delle troppe responsabilità e che finalmente sentiva di potersi godere la sua libertà. Aveva detto parole che non avrebbe dimenticato facilmente. In ogni caso, non poteva intromettersi più di quanto non avesse già fatto. Giusto o sbagliato che fosse, Ricky era in grado di prendere le sue decisioni e lui non poteva costringerlo a cambiare idea.
«Bhe... a questo punto penso che dovresti solo parlare con Chris»
«Era così arrabbiato»
«No, non lo era, voleva solo che tu ti scusassi per esserti comportato di merda e aveva anche ragione» disse Angelo mostrandogli un sorriso divertito. Ricky sbuffò e parlò solo dopo un piccola pausa con un sorriso dolce sulle labbra.
«Hai visto quanto era bello stasera?»
Angelo rise per nulla intenzionato a replicare in qualche modo, poi però decise di togliersi una curiosità. Gli avrebbe annullato quel sorriso, ma non riuscì a frenare quell'istinto.
«Ricky, scusami se te lo chiedo, ma... chi sarebbe il tipo con cui sei andato a letto?»
Il ragazzo deglutì, scavando nella sua mente nella disperata ricerca di una risposta. Aveva agito senza pensare alle conseguenze. Non poteva dirgli che la persona in questione era Josh, o forse non voleva. Gli sembrava anche più grave confessare di aver tradito il suo ragazzo con uno dei suoi migliori amici, poi di certo non voleva mettere in difficoltà Josh. 
«Non lo conosci» disse infine portandosi di nuovo il bicchiere alle labbra, bevendo.
«Che ne sai che non lo conosco? Come si chiama?»
«Senti, tu frequenti gli ambienti gay?» gli chiese innervosito dalla sua insistenza, cercando di trovarsi qualche scusa.
«Perchè, tu invece li frequenti?»
Ricky venne zittito da quella domanda. Come poteva venir fuori da quella storia?
«Angelo, fidati, non lo conosci quindi è inutile che insisti»
Angelo alzò le mani in segno di resa. Quel momento imbarazzante che susseguì mise molto a disagio entrambi. Ricky avrebbe voluto teletrasportarsi in una realtà meno incasinata, mentre Angelo era sempre più curioso e voleva fargli mille domande. 
«Perchè?» chiese d'un tratto. Ricky lo guardò, preoccupato.
«Insomma, perchè l'hai fatto? Ti piace anche quel ragazzo?»
«No» esclamò Ricky.
«Insomma, ti ho appena detto che non ho intenzione di rivederlo e che è Chris la persona con cui voglio stare»
«Ci sei andato a letto, un motivo ci deve pur essere»
Ricky abbassò lo sguardo. Era così difficile dare un senso a tutta quella situazione. A lui non era mai piaciuto Josh se non come amico, nemmeno lui sapeva darsi una spiegazione. 
«Non lo so, non ho idea di cosa mi sia preso, non ce l'ho fatta a respingerlo... entrambe le volte» sussurrò infine. Quella pace interiore che aveva sentito era durata poco. Stava scivolando di nuovo in basso. 
«Okay... bhe, l'importante è che non accada mai più, quindi evita di incontrarlo»
Il ragazzo annuì con le lacrime agli occhi, di nuovo. Come avrebbe fatto a non incontrare Josh? Anche provandoci in ogni modo, non sarebbe stato possibile.
Sospirò asciugandosi le guance, poi si guardò intorno.
«Angelo, ma in tutto ciò, dove sono i tuoi?»
«Il viaggio per i vent'anni di matrimonio, non te lo ricordi? L'ho detto oggi a scuola che sarebbero partiti» 
Ricky rimase senza parole, imbarazzato. Non aveva alcuna idea di ciò che stava dicendo, non l'aveva proprio ascoltato quella mattina a scuola.
«Scusa è che... sai, con quello che è successo non...»
Angelo sorrise in segno di perdono, poi si alzò e cominciò a togliere dalla tavola i piatti sporchi. Ricky, in un primo momento non ci fece caso, poi si rese conto di ciò che stava facendo l'amico e lo collegò alle ultime parole che aveva pronunciato Chris prima di andare via.
«Ma scusami un secondo» disse alzandosi. Angelo si fermò con i bicchieri in mano.
«Perchè cazzo Chris ha cenato con te?»
Angelo scoppiò in una risata che lasciò sconvolto l'altro.
«Perdonami se sarò cattivo, ma non siamo io e Chris i traditori quindi togliti quel tono da gelosone»
Quel commento lasciò Ricky a bocca aperta.
«Ah, bene, fantastico... siete amici ora?»
«Non era quello che volevi?» chiese Angelo ritornando alle sue mansioni.
«Sì, ma... cenate insieme e non me lo dici nemmeno»
Angelo sospirò roteando gli occhi. In un certo senso provava ammirazione per Chris anche per la sua forza di volontà. Già era complicato avere Ricky come amico, non poteva immaginare come fosse nelle vesti di fidanzato, probabilmente anche peggio.
«In teoria te l'ho detto nel messaggio che non hai letto»
Ricky mantenne quella sua espressione contrariata nonostante avesse capito di essere nel torto.
«Dici che dovrei chiamarlo?» domandò dopo un pò, piagnucolando e attaccandosi ad un braccio di Angelo.
«Dico che avresti dovuto rincorrerlo quando se n'è andato, ma credo che prima risolvi questa situazione e meglio è»
Ricky si prese qualche minuto per decidere cosa fare. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto parlargli, ma doveva prima trovare il coraggio. Prese il cellulare e lo fissò dimenticandosi anche di battere le palpebre. Doveva farlo, per il bene di tutti. E poi, di cosa aveva paura? La peggiore delle reazioni l'aveva già avuta quindi, al massimo, avrebbe mantenuto quel comportamento freddo.
Si potrò il cellulare all'orecchio e attese. Sentiva il cuore battergli sempre più forte mentre un brivido di paura e agitazione gli scuoteva il corpo. 
Con un sospiro di frustrazione, gettò il cellulare sul divano. Non gli aveva risposto e sicuramente lo aveva fatto di proposito. Sapeva di meritarsi quel trattamento, ma non lo trovava giusto viste le sue intenzioni. Certo, comprendeva che Chris non avesse idea di ciò che a lui passava per la testa, ma avrebbe lo stesso preferito una risposta. 
Il suo cellulare squillo e corse subito a prenderlo nella speranza che Chis avesse deciso di parlargli, ma poi sbuffò leggendo il nome di sua madre.
«Che vuoi?»
«Innanzitutto, non parlarmi così» disse sua madre, irritata.
«E adesso torna a casa, è tardi»
«Mamma, se pensi che ti abbia mentito, non è così» disse mettendo il vivavoce e facendo cenno ad Angelo di dire qualcosa così che lei potesse sentire la sua voce e tranquillizzarsi.
«Buonasera, signora Olson» disse Angelo preso alla sprovvista.
«Mh... Buonasera, Angelo» disse lei distaccata. Ricky si riportò il cellulare all'orecchio, spaventato da qualsiasi cosa che potesse dire sua madre. Infatti, subito dopo disse qualcosa di offensivo.
«Comunque non è che lui mi stia più simpatico di quel ragazzino indisponente con cui credi di stare»
«Sì, sì, torno fra un pò, ciao» disse Ricky riagganciando. Sapeva che avrebbe sclerato anche pechè aveva riattaccato in quel modo brusco, ma non gli importava. Si sedette di nuovo e pensò di dover riprovare a chiamare Chris. 
«Sai che ti dico? Dagli tempo, adesso è lui quello ferito e deve assimilare il fatto che tu non abbia nemmeno provato a dargli una spiegazione» disse Angelo sedendosi accanto a lui. Ricky sembrò stanco e aveva un'aria sconfitta.
«Sono stato uno stupido»
«In effetti... pensa che lui era così disperato che voleva venire a casa tua pur sapendo che c'era tua madre»
Ricky fu sollevato dal fatto che non avesse fatto irruzione in casa sua, ma allo stesso gli sarebbe piaciuto vedere un litigio fra lui e sua madre. Non che volesse vederli litigare, ma sarebbe stata una bella dimostrazione d'amore.
«Mi chiamerà, vero?» domandò con gli occhi pieni di speranza.
«Sì, è una persona ragionevole, vedrai che si calmerà e... andrà tutto bene»

Il mattino seguente Ricky si alzò senza alcuna voglia di andare a scuola. Si sentiva stanco, aveva dormito poco e pensato troppo. Avrebbe visto Josh e temeva che qualcosa sarebbe venuto fuori. Si vestì svogliatamente trascinando i piedi sul pavimento. Non fece colazione, aveva lo stomaco che sembrava annodarsi e rivoltarsi su se stesso. Arrivato a scuola passò le prime tre ore a sbadigliare e tentare di non addormentarsi, venne anche richiamato più volte dalla professoressa di matematica perchè, secondo lei, non stava prestando abbastanza attenzione. Non appena suonò la campanella, il suo cuore perse un battito. Doveva uscire per la merenda e sicuramente avrebbe incontrato Josh, stavolta insieme a tutti gli altri.
Si trascinò fuori dalla classe e aspettò che arrivasse almeno uno dei suoi amici, Ryan lo raggiunse subito. 
«Allora, hai parlato con Josh?» fu la prima cosa che gli chiese.
«Sì, sembra che abbia capito ma... non saprei» concluse cercando di allontanare quel discorso.
«Ma stai bene? Sei pallido»
Quelle sue attenzioni gli misero ansia, avere i suoi occhi addosso era come se Ryan gli stesse leggendo nel pensiero e avesse capito tutto.
«Sì, è che ho dormito poco e ho mal di stomaco»
Ryan annuì sedendosi sul muretto. L'aria fresca stava permettendo a Ricky di respirare con più regolarità. Angelo e Devin arrivarono dopo un paio di minuti, stavano litigando già. Ricky li osservò a lungo, gli sarebbe piaciuto potersi godere quella spensieratezza insieme a loro. A volte pensava che stare con una persona fosse come costringersi a non avere più la totale libertà, ma quelle erano parole del cervello e il cuore non voleva proprio comprenderle.
Angelo gli lanciò uno sguardo preoccupato. 
«Stai bene?» gli chiese sedendosi accanto a lui.
«Sì... dov'è Josh?» gli chiese cercando di scoprire il motivo della sua assenza e, allo stesso tempo, di sviare il discorso.
«Sono passato davanti alla sua classe, parlava con una professoressa e lei sembrava arrabbiata»
Ricky si morse il labbro inferiore pensando che, probabilmente, il compito per cui doveva studiare era andato male visto che, invece di imparare la matematica, avevano preferito fare altro.
«Chris non mi ha più risposto, ieri sera ho provato a chiamarlo altre due volte»
«Sta bene, ma è ancora un pò arrabbiato» disse Angelo continuando a mangiare tranquillamente sotto lo sguardo sconvolto di Ricky.
«L' hai sentito?» gli domandò, irritato. Non sapeva se quella fosse gelosia, ma gli dava troppo fastidio che il suo migliore amico e il suo ragazzo stringessero amicizia mentre a lui non era nemmeno permesso intromettersi nei loro discorsi, visto che comunque si svolgevano sempre a sua insaputa.
«Stamattina, l'ho chiamato per dirgli che aveva parlato a lungo con te e che tu eri dispiaciuto per tutto ciò che è successo»
«E lui?» 
Angelo alzò le spalle.
«Niente, mi ha detto che doveva riflettere un pò e che ci saremmo sentiti, penso stesse andando a lavoro»
Ricky sospirò, poi si richiuse in se stesso. Quando Josh li raggiunse non riuscì a guardarlo o a parlargli. Sicuramente lui gli aveva lanciato qualche sguardo, ma non avrebbe ricambiato. Doveva prendere le dovute distanze. 
Si mise in piedi e prese le sue cose, poi corse dritto verso i bagni. Anche la sua voce sembrava attrarlo, ormai. Non capiva perchè un'amicizia tanto bella come la loro dovesse essere rovinata in quel modo. Come potevano essere cambiate così rapidamente le cose? Ma, soprattutto, perchè vederlo gli faceva bello strano effetto? Eppure, fino a quel momento, era sicuro di non volere nulla da Josh. Chris doveva essere il suo unico pensiero. 
Deglutì pesantemente e appoggiò la schiena alla parete imbrattata da così tante scritte che ormai si faceva fatica a distinguerne una dall'altra. Sentiva le gambe deboli, reggevano appena il suo peso.
«Pensi a lui?»
Quella voce lo fece sobbalzare.
«Josh... che ci fai qui? Mi segui?»
Josh entrò in una delle cabine senza preoccuparsi della voce alterata dell'altro.
«Non sapevo fossi qui, devo solo pisciare»
Ricky sospirò pensando a quanto quella storia lo stesse rendendo paranoico. Stava per andarsene quando gli venne un'idea.
«Senti, Josh, io e te dobbiamo parlare» disse più serio che mai. Gli sarebbe piaciuto chiarirsi in quel momento, così da non essere costretto ad incontrarlo in un secondo momento e nel provato di una delle loro abitazioni.
«So già cosa vuoi dirmi» disse subito Josh, il suo viso era triste e amareggiato.
«No, non lo sai»
«Vuoi per caso dirmi che sono l'amore della tua vita e che mollerai Chris per me?»
Il ragazzo boccheggiò per qualche secondo poi abbassò lo sguardo.
«Ecco, allora so già cosa vuoi dirmi» disse avviandosi verso la porta, ma Ricky gli afferrò un braccio.
«Quindi a te va bene così? Insomma, non te ne frega nulla?»
Josh roteò gli occhi leggermente infastidito dai mille deliri di Ricky.
«Cosa sono per te? Ieri, a casa mia, cosa abbiamo fatto?» domandò ancora. Entrambi si guardarono negli occhi addolcendo lentamente la tensione che si era creata.
«Io ho fatto quello che aspettavo già da tanto tempo, ma tu continui a preferire lui» disse Josh avvicinandosi un pò di più all'altro ragazzo. Gli accarezzò una guancia con tale delicatezza da farlo arrossire.
«Vorrei che tu provassi dei sentimenti per me, ma forse chiedo troppo»
Ricky sentì una fitta allo stomaco. Ciò significava che Josh non era solo interessato a portarselo a letto, ma che desiderava qualcosa in più.
«No... non chiedi troppo» mormorò sospirando. Gli occhi di Josh si illuminarono. C'era ancora una piccola speranza per lui.
«Oggi i miei genitori non ci sono, possiamo passare un pò di tempo insieme... se vuoi» disse, ma Ricky sembrò subito indeciso.
«Non lo so, ma... posso chiamarti, va bene?»
Josh accennò un sorriso e annuì.  Ricky abbassò lo sguardo consapevole dell'errore che aveva commesso, non avrebbe dovuto nemmeno farsi sfiorare.
I due si lasciarono con un saluto un pò imbarazzato. Ricky uscì dal bagno qualche minuto dopo Josh e corse subito in classe. Si sedette e, mentre attendeva l'arrivo degli altri, prese il cellulare e controllò le chiamate perse. Chris ancora non si faceva sentire. Stava ricambiando con la stessa moneta. Il suo comportamento era fin troppo vendicativo, ma poteva capirlo. Mettendosi nei suoi panni, probabilmente, l'avrebbe trattato anche peggio.




Ehm *si schiarisce la voce*, ciao a tutti! È passato un bel pò dall'ultimo capitolo, ma ho dei motivi validi, sono stata troppo impegnata. Ora però ho deciso di postare sperando che non faccia proprio schifo e che non mi tiriate pomodori addosso(?) 
Alessia, VOLEEEEVI Ricky e Devin eh! Alla prossima :3

 

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Capitolo 24
*** -Capitolo 23-Corresponding shapes like puzzle pieces from the clay ***


Capitolo 23​ - Corresponding shapes like puzzle pieces from the clay.
«Se non spegni quel cazzo di cellulare pago qualcuno per farti ammazzare mentre dormi» sbuffò Jane accendendosi una sigaretta. Il fumo saltellò nell'aria e venne subito spazzato via da una folata di vento.
«Grazie, ti voglio bene anch'io» rispose Chris. La ragazza sorrise, poi gli strappò il cellulare dalle mani. Chris le sembrò contrariato, ma era stanca di vederlo fissare quello schermo.
«Senti, devi rilassarti un pò, non ci credo che ti fai fottere il cervello da un ragazzino»
«Non è così» obiettò Chris.
«E invece sì, non ti azzardare a negare l'evidenza»
Chris si riempì i polmoni d'aria fresca e poi sospirò. Jane aveva ragione, si stava facendo prendere così tanto da quella situazione da non riuscire più a pensare ad altro. Stava diventando un'ossessione e non faceva nulla per respingerla. Era ancora arrabbiato con Ricky, non capiva il motivo del comportamento che aveva avuto la sera prima. 
«Non so più se lo amo o lo odio» mormorò. Jane rimase in silenzio, non sapeva cosa dirgli.
«Ieri, quando l'ho visto a casa di Angelo, mi è sembrato così... diverso»
C'era una profonda angoscia nella sua voce, per la prima volta Jane percepì il suo dolore. Avrebbe voluto fare qualcosa per aiutarlo, magari parlare con Ricky, ma si sentiva la persona meno indicata a farlo.
«È successo qualcosa di cui non vuole parlarmi»
«Forse sta solo passando un brutto periodo» azzardò la ragazza.
«Credo che dovresti mettere da parte l'orgoglio e fare tu il primo passo, di nuovo»
Chris alzò gli occhi al cielo. Era stanco di dover essere sempre lui a fare le cose, gli altri non si scomodavano mai per lui. 
«Dai, vedrai che andrà tutto bene» disse infine la ragazza tirandolo per la manica della felpa e abbracciandolo subito dopo. Chris si abbandonò per qualche secondo fra le sue braccia. Non era mai stato bravo a dimostrare affetto, forse succedeva ogni tanto con Betsy, ma di solito si sentiva quasi a disagio in quelle situazioni. Quella volta, però, decise che un abbraccio non avrebbe peggiorato le cose.
«Janette» quella voce squillante interruppe quell'attimo di pace. Jane si separò da Chris, ma non ebbe il coraggio di voltarsi.
«Capelli palesemente tinti e labbra come gommoni?» domandò tanto a bassa voce che Chris riuscì appena a capire le parole. Il ragazzo lanciò un rapidissimo sguardo alla figura che si avvicinava sempre di più e annuì. Jane si passò una mano fra i capelli, disperata, poi si voltò.
«Mamma, ciao, cosa ci fai qui?» 
La donna non le rispose, continuò ad avvicinarsi. Una volta arrivata a destinazione, abbracciò appena sua figlia. Chris notò i sorrisi tesi di entrambe.
«Dov'eri? Sono stata a casa tua e tu non sei mai tornata»
La ragazza boccheggiò per qualche secondo, poi dalla bocca le uscirono parole che non riuscì a controllare.
«Sto dormendo qui, a casa di Chris... il mio ragazzo»
Chris quasi si strozzò con la sua stessa saliva e sua madre sbarrò gli occhi. Il gioco di Jane era quello di infastidirla tanto da farla andare via, magari poi le avrebbe fatto visita anche meno di frequente.
«Lui... lui è il tuo ragazzo?» chiese con un tono irritante.
«Sì» esclamò Jane prendendo Chris per la mano.
«Amore mio, non essere timido e presentati» disse poi voltandosi verso il ragazzo con uno sguardo omicida. Chris non sapeva in che casino stava per mettersi, ma per qualche motivo allungò la mano verso la donna e pronunciò il suo nome. Lei esitò.
«Sharon, tanto piacere» disse stringendogli la mano per appena un secondo. Poi rivolse l'attenzione di nuovo a sua figlia.
«Tesoro, perchè non vieni a casa? Fai una doccia, metti qualcosa di... decente addosso e andiamo a fare una passeggiata insieme»
Jane strinse forte la mano di Chris trasmettendogli il suo disapprovo verso quella proposta.
«Io... non so se posso, mamma, ho delle cose da fare»
«Sì, ma io non vengo qui molto spesso, quindi prendi quello che ti serve e... andiamocene da qui» sussurrò guardandosi intorno con un'aria quasi disgustata. La ragazza sospirò e poi annuì. Chris poteva ben comprendere perchè Jane non sopportasse la sua presenza. Come si permetteva di guardare in quel modo il suo quartiere? Certo, lui era il primo ad odiarlo, ma ne aveva tutto il diritto essendo nato e cresciuto lì, lei invece doveva solo andarsene se qualcosa non le andava bene. E poi, quell'aria altezzosa e il modo in cui lo scrutava, gli ricordava un pò la madre di Ricky e ciò non era un punto a suo favore.
«Io dovrei andare a lavoro» disse accorgendosi che, in effetti, doveva essersi fatto tardi. Jane quasi non voleva lasciarlo andare.
«A dopo, Janette» la prese in giro Chris.
«E divertitevi, mi raccomando»
Sarah si limitò ad un sorriso di circostanza, invece Jane gli lanciò uno sguardo inceneritore mentre gli porgeva il cellulare. Chris lo riprese e si allontanò.
Quel giorno, anche se molto confuso, si sentiva stranamente pieno di energie. Forse Jane aveva ragione, doveva smettere di pensarci troppo e prenderla più alla leggera. In fondo, in ogni coppia potevano accadere momenti di difficoltà, probabilmente quello era solo il primo di una lunga serie. 
Scese dall'autobus e fece i soliti venti metri a piedi per arrivare all'officina. Aveva fatto appena in tempo a prendere l'autobus quindi non era arrivato tardi. Vide subito Michael che usciva dallo studio. Si salutarono e l'uomo gli stilò subito una lista lunghissima di cose da fare. Il ragazzo di mise subito a lavoro, non voleva perdere tempo. Anche perchè, prima finiva il suo lavoro, prima poteva tornarsene a casa. Michael era molto accondiscendente nei suoi confronti, la prima volta che lo mandò via due ore prima della chiusura pensò che quello fosse un cattivo segno, che forse voleva licenziarlo, ma non fu così.
Durante la giornata non ebbero nemmeno il tempo di scambiarsi qualche parola, entrambi avevano troppo da fare. Erano le 19:30 quando Michael decise che di quella giornata infinita ne aveva abbastanza. Chris non poteva che esserne contento. Provava il forte desiderio di correre via, ma decise di restare e aiutare Michael a dare una ripulita.
«Chris, non preoccuparti, puoi andare»
«No, tranquillo»
Michael lo ringraziò. Chris notò che ogni tanto gli lanciava qualche sguardo, come se avesse qualcosa da dirgli o rimproverargli. Michael non potè fare a meno di parlare quando, proprio mentre lo stava guardando, Chris alzò lo sguardo. Si avvicinò di più a lui prima di parlare.
«Senti, volevo chiederti una cosa»
«Dimmi» disse Chris fra il curioso e lo spaventato. Ogni volta che "dovevano parlare" gli si fermava il cuore per qualche istante. Temeva sempre di essere licenziato e trovarsi di nuovo per strada.
«Ti andrebbe di cenare a casa mia? Non per forza stasera, quando vuoi»
Lo stupore era ben evidente sul suo viso e Michael poteva capirlo.
«Certo, per me va bene» rispose. Perchè rifiutare? Michael era una persona piacevole con cui passare il tempo, e poi era pur sempre il suo capo e non voleva fargli alcun torto. Non poteva neanche dimenticare che era solo grazie a lui se, la notte in cui si erano conosciuti, non era finito a dormire per strada o in chissà quale altro strano luogo. Si sentiva sempre un pò in dovere verso di lui, era stato gentile nei suoi confronti dal primo momento.
«Bene... sai com'è, lo faccio anche per Sheryl, spesso è sola e non vorrei che si annoiasse a stare con me tutto il tempo»
Agli occhi di Chris quella sembrò una richiesta d'aiuto. Conosceva la storia di quella famiglia abbastanza da poter essere certo che Michael cercava un modo per poter creare un contatto con sua figlia. Altrimenti non trovava altra spiegazione alla sua richiesta.
Gli sorrise.
«Che ne dici di sabato?»
L'uomo annuì, ringraziandolo, poi gli disse di tornare a casa e quella volta Chris ubbidì. Aveva intenzione di tornare a casa, darsi una rinfrescata e andare a casa di Ricky, così da portare a termine quella situazione spiacevole.

Dopo essersi fatto una doccia, Chris si sedette a tavola e cenò in compagnia di sua sorella. Quella sera la trovò silenziosa, non stava mangiando per niente e non aveva spiccicato nemmeno una parola.
«C'è qualcosa che non va?»
La ragazza alzò lo sguardo su di lui, poi lo riabbassò mentre scuoteva leggermente la testa.
«Dai, Betsy, non fare così»
«Non sto facendo nulla»
«Appunto» esclamò, poi andò in panico per qualche istante. Non si stava dimenticando del suo compleanno, vero? No, lei era nata a luglio e per l'estate dovevano aspettare ancora un pò.
«Lo sai che mi da fastidio quando non mi nascondi le cose» disse, ma stavolta con una voce più calma. La ragazza lasciò cadere la forchetta e si appoggiò alla sedia con fare annoiato.
«Se non c'è nulla da dire, come faccio a dirti qualcosa?»
Chris lasciò perdere il resto della sua cena.
«È successo qualcosa a scuola?»
Lei scosse la testa. Ancora non lo guardava in faccia, si mangiava le unghie. Perchè era così nervosa?
«Allora sei arrabbiata con me?»
La risposta arrivò subito dopo con l'ennesimo cenno muto. Quel suo sguardo affranto gli trasmetteva tutta la sua tristezza. Non aveva mai potuto fare a meno di sentirsi in quel modo. Vederla stare male, faceva star male anche lui e quando invece era contenta e sorrideva lui non poteva che esserne felice. Era sempre stato così e quella cosa non sempre gli piaceva. A volte si chiedeva se anche per lei era lo stesso, o se si rendeva conto di quello che era in grado di scatenargli dentro.
«Ti prego, Betsy, non farmi stare in pensiero»
Lei rimase zitta ancora per pochi secondi, poi lo guardò un attimo negli occhi.
«Non te lo ricordi, vero?»
Quella domanda zittì Chris che si mise a riflettere. Ma sua sorella non gli diede poi così tanto tempo per pensarci, e le sue parole esplosero in quella stanza proprio come una bomba.
«Sono passati quattro mesi da quando Jonathan è morto» 
Per Chris fu come una doccia fredda. Non si era reso conto di quanto il tempo corresse veloce. Si accorse anche di quanto poco avesse pensato a suo fratello in tutto quel tempo.
«Non fare quella faccia, immaginavo che l'avresti dimenticato»
Chris sospirò sentendosi in colpa. Come aveva fatto a dimenticare una cosa tanto importante? In effetti non ci aveva mai pensato, neanche nei mesi passati. Era stato così preso dal lavoro e dai suoi problemi sentimentali che si era scordato delle cose più importanti. 
«Mi dispiace» mormorò. La ragazza sfuggì a quella situazione alzandosi e cominciando a mettere in ordine e pulire anche cose che neanche necessitavano particolare attenzione. Chris restò a guardarla, teneva lo sguardo basso e si nascondeva il più possibile dietro i capelli sciolti. Sentì una lunga e dolorosa stretta allo stomaco, sapeva che stava trattenendo le lacrime. Si alzò piano, senza fare troppo rumore si avvicinò a lei e le tolse ciò che aveva in mano. Betsy lo guardò appena, poi abbassò lo sguardo, ma Chris notò lo stesso i suoi occhi rossi e lucidi.
«Almeno gli volevi bene?» gli chiese con la voce spezzata, eppure piena di risentimento.
«Certo che gli volevo bene, gliene voglio ancora»
«E allora perchè l'hai dimenticato?» domandò ancora la ragazza lasciando finalmente scorrere le lacrime.
«Non lo so, scusami» sussurrò dispiaciuto, poi l'abbraccio cercando di calmare il suo pianto. Betsy lo lasciò fare, poi lo guardò negli occhi mantenendo la poca distanza che li divideva.
«Non mi importa di cosa vuoi fare tu, domani andremo insieme al cimitero, gli porteremo dei fiori... ho tanto bisogno di parlare con lui»
Chris, come ogni volta, ad una richiesta tanto esplicita di sua sorella, non potè che acconsentire. La ragazza si asciugò le lacrime e ritornò alle sue faccende. I lunghi minuti che seguirono furono molto silenziosi. Si potevano sentire in sottofondo solo delle voci lontane provenienti dalla strada e la tv che dopo un pò era stata accesa proprio da Chris per riempire quel vuoto.
Jane rientrò in casa e si sedette pesantemente sul divano. Emise un sonoro sospiro e Chris, seduto accanto a lei, la osservò mentre buttava la testa all'indietro e si rilassava lentamente.
«Non sapevo ti chiamassi Janette, è stata una sorpresa»
La ragazza voltò la testa verso di lui con uno sguardo assassino.
«Vuol dire che so nasconderlo bene, quindi non rovinarmi la vita dicendolo a qualcuno e smettila di chiamarmi Janette, il mio nome è Jane»
Chris si scusò in una risata appena accennata.
«Passare del tempo con tua madre ti rende una vipera» la prese in giro.
«Vorrei vedere te a passare un pomeriggio intero con tua madre»
Chris inorridì al solo pensiero.
«Comunque hai fatto colpo su mia madre, tanto che ha deciso di andarsene domattina per assicurarsi di non vederti più, mi ha anche esortato più volte a lasciarti... quindi, volevo dire, me ne ritornerò nella mia casetta»
«Bene, un problema in meno»
La ragazza lo mandò a quel paese, poi si sorrisero. Chris si alzò intenzionato ad andare finalmente da Ricky, ma quando fu sulla porta, la ragazza lo bloccò.
«Chris, aspetta, devo dirti una cosa» sussurrò Jane correndo verso il ragazzo.
«Non potevi dirmela prima? Sto uscendo»
Jane non si curò minimamente del tono infastidito di Chris e si fece seria. A lui non sfuggì quel cambiamento d'espressione, solo per quel motivo restò ad ascoltarla.
«Si tratta di Trevor»
A quelle parole Chris si sentì totalmente coinvolto nel discorso. Non lo sentiva dalla loro telefonata notturna. In realtà gli mancava davvero tanto averlo tra i piedi, la sua vita senza Trevor non era la stessa.
«Mentre tornavo qui, l'ho visto» sussurrò la ragazza, come se quello fosse un segreto. Chris non seppe come sentirsi a riguardo. C'erano così tante cose che non quadravano. Era sicuramente contento che fosse uscito dall'ospedale, ma perchè non si era ancora fatto vivo e perchè Jane sembrava avere uno sguardo preoccupato?
«Mi stai spaventando»
Jane abbassò lo sguardo, come alla ricerca delle parole giuste.
«Diciamo che non mi è sembrato che stesse tanto bene»
«Non vedo cosa ci sia di strano, hai idea di quello che ha passato negli ultimi giorni?»
La ragazza sospirò, incapace di farsi comprendere.
«Era troppo... non so, sembrava stare male» disse le ultime parole con una tale disperazione da far preoccupare davvero Chris. Le accarezzò un braccio decidendo rapidamente cosa fare.
«Va bene, io ora devo andare da Ricky, poi mi occuperò di Trevor» 
La ragazza annuì lasciandolo uscire. Chris camminò nel buio di quelle strade con ormai solo Trevor nella testa. Perchè non gli aveva detto che era uscito dall'ospedale? Sarebbe andato a prenderlo, l'avrebbe accompagnato a casa. La sua, ovviamente, di certo non poteva tornare a casa con suo padre. E dove era andato? Da uno dei suoi amichetti spacciatori per mettersi a dormire sul pavimento o, se proprio gli andava bene, sul divano?
In pochi minuti si ritrovò davanti casa di Ricky e dovette eliminare ogni pensiero riguardante l'amico. Si ritrovò con un nodo alla gola e un nervosismo che nemmeno sapeva spiegarsi. Non era lui quello a dover dare delle spiegazioni, ma aveva paura di sentire ciò che Ricky gli avrebbe detto. 
Prese un grande respiro e si decise a suonare al citofono sperando che il ragazzo fosse in casa. Non gli aveva mandato alcun messaggio per dirgli che voleva parlargli, tanto meno aveva provato a chiamarlo. Voleva solo farla finita, liberarsi per sempre di quei dannati dubbi che non facevano altro che fargli esplodere la testa.
Un attimo prima che potesse premere quel pulsante sul quale aveva indugiato già troppo per i suoi gusti, sentì una risata a lui fin troppo conosciuta. Vide subito Ricky uscire di casa col cellulare attaccato all'orecchio e un sorriso smagliante stampato sul volto. Era bello da togliere il fiato. L'altro non fece subito caso a lui, ma questo diede il tempo a Chris di ragionare per qualche secondo. Sentiva il cuore sciogliersi alla vista di quel sorriso, ma allo stesso tempo un brivido di rabbia lo scosse da capo a piedi. Perchè non trovava un secondo per chiamarlo, ma poteva benissimo starsene al telefono con qualcun altro? Quella risata così dolce e limpida non riusciva ad ascoltarla sapendo che non era rivolta a lui. Si sentiva così stupido, non aveva mai formulato pensieri così melensi. E da quando era diventato tanto geloso?
Restò immobile ad osservarlo, finchè non fu proprio Ricky, a pochi metri da lui, ad intravederlo oltre i ferri spessi del cancello. Si guardarono a lungo, il sorriso sul volto del ragazzo sparì in un baleno. Sentì le ginocchia cedere, non poteva credere che Chris si fosse presentato lì, senza nemmeno avvertirlo. La voce di Josh al telefono continuava a parlare, ma aveva smesso di ascoltarla. Riuscì a sussurrargli che doveva andare e che l'avrebbe richiamato, poi mise via il cellulare, il tutto senza spostare lo sguardo da Chris. Sembrava arrabbiato.
Chris sospirò per niente intenzionato a ripetere la scena della sera prima.
«Vuoi restare lì?»
Ricky sussultò al suono della sua voce. Gli mancava così tanto, eppure, quando era in compagnia di Josh, se ne dimenticava completamente e viceversa. Come in quel momento che si stava chiedendo per quale ragione, qualche secondo prima, stava per correre fra le braccia di Josh quando invece poteva avere Chris?
Compì i primi passi incerti, poi superò il cancello e se lo ritrovò a pochi centimetri. Non sapeva se quella fosse solo una sua suggestione, ma gli sembrava di poter sentire il suo profumo. Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso e Chris non era da meno. Quei due occhioni azzurri come il cielo gli erano mancati da impazzire, avrebbe voluto baciarlo e lasciarsi tutto alle spalle. Fu lui a spostare lo sguardo per primo, proprio per reprimere quel desiderio crescente.
«Dove... dove stavi andando?» 
Ricky ci mese un pò a dargli una risposta. Doveva decidere cosa dirgli.
«A casa di Devin, devo... dovevo dormire lì» disse cercando di sembrare credibile. Ora aveva qualcos'altro per cui odiarsi, gli aveva mentito guardandolo negli occhi. Chris annuì impercettibilmente tentando in ogni modo di convincersi che quella era la verità. Ci credette quando poi il ragazzo prese il cellulare e gli mandò un messaggio per dirgli che non sarebbe più andato.
Subito dopo Ricky rimase a guardarlo per un pò, poi con la voce tremante gli domando quale fosse il reale motivo di quella sua visita. Poteva immaginarlo, ma voleva che fosse lui ad aprire il discorso.
«Voglio solo sapere se stiamo ancora insieme» disse Chris con evidente sforzo. Aveva paura della risposta e, non sentendo neanche un sospiro fuoriuscire dalle labbra dell'altro, si sentì ancora peggio.
«Il tuo silenzio non è rassicurante» commentò con il cuore a mille.
«No, è solo che...»
«Che cosa, Ricky? Che cosa? Dimmi quello che non mi hai detto in tutti questi giorni, ne ho bisogno» disse alzando un pò la voce. Non urlò, non voleva attirare l'attenzione di nessuno, ma non riuscì nemmeno a contenersi più di tanto.
In quel momento Ricky mise insieme i pezzi di quella storia. Doveva dirgli la verità, doveva farlo per riuscire ad andare avanti e per districare quel groviglio nella sua testa.
«La verità è che... Chris, io ho provato a starti lontano perchè ho cominciato a pensare che quelle cose che mia madre continua a dirmi siano vere» disse con voce spezzata, sapendo bene di aver detto l'ennesima bugia. Non stava per piangere per la gioia di essersi liberato da quel peso, ma perchè involontariamente se n'era aggiunto un altro. L'espressione sconcertata e triste di Chris non lo aiutava, ma sapeva che con quella frase appena pronunciata l'aveva ferito molto. Si sentiva troppo in colpa, doveva rimediare, ma aveva paura di sbagliare ancora.
«Il fatto è che quando lei dice quelle cose, mi sembrano sensate e poi... poi lei smette e io ricomincio ad avere voglia di stare con te» 
Chris rimase ancora in silenzio. Non credeva alle sue orecchie. Quelle parole non facevano che arrecargli ancora più rabbia.
«Mi dispiace, sono così confuso» terminò scoppiando in lacrime. Quelle erano lacrime vere. Piangeva dalla disperazione, piangeva perchè voleva che quella confusione scomparisse per sempre, piangeva perchè desiderava solo che Chris lo abbracciasse e gli promettesse che sarebbero rimasti insieme. Si vergognava a pensare quelle cose sapendo tutto ciò che gli stava nascondendo, ma desiderava davvero stare con lui.
Chris tenne le distanze. Lo guardò mentre provava ad asciugarsi le lacrime che gli scorrevano copiose sulle guance. Quella scena lo stava distruggendo, ma si sentiva come colpito in pieno da un treno per quello che aveva appena sentito. Non riusciva ad avere una reazione. Da dove doveva cominciare per rimettere tutto in ordine? 
«Ricky... Ricky, guardami»
Il ragazzo alzò lo sguardo. Aveva il naso arrossato, le labbra che gli tremavano. Lentamente gli prese il viso fra le mani, gli asciugò le lacrime, ma ciò non fece che commuovere di più l'altro. La sua pelle arrossata e calda era così morbida, quasi l'aveva dimenticata quella sensazione. Prima che Chris potesse parlare, però, Ricky rispose esattamente alla domanda che lui gli avrebbe voluto porre.
«Chris, per favore, resta con me» sussurrò avvicinandosi un pò di più al viso dell'altro.
«Io ti amo... ti amo, ti amo, ti amo da impazzire, ti am-»
L'avrebbe ripetuto all'infinito, se Chris non l'avesse finalmente zittito con un bacio che ad entrambi era mancato più di qualunque cosa. Le loro labbra si cercavano, le mani non chiedevano altro che stringersi sui loro corpi. I pensieri di Ricky si arrestarono e lo strinse a sè. Si scambiarono ogni singola emozione in quel bacio: la rabbia per quello che era accaduto, la paura per tutto ciò che sarebbe accaduto in futuro, il desiderio che entrambi avevano provato dall'istante in cui le loro labbra si erano incontrate. Fu Chris ad interrompere quell'incredibile bacio. Osservò bene il visino perfetto che a sua volta lo guardava. Aveva le labbra arrossate, le guance ancora bagnate, gli occhi tanto profondi che in quel momento ci si sarebbe perso volentieri. Nonostante i suoi mille dubbi, voleva convincersi che quello sguardo non poteva mentirgli, che ciò che aveva ascoltato era la pura verità. Insieme avrebbero chiuso per sempre quella parentesi, si sarebbero di nuovo appoggiati l'uno all'altro per andare avanti. Un sentimento forte come quello che aveva provato baciandolo doveva per forza essere ricambiato. Ricky non poteva avergli mentito. In fondo, l'aveva imparato col tempo che quelle dolci labbra non erano in grado di dire bugie. 
Ricky lo prese per mano e accennò un sorriso.
«Vieni con me» mormorò muovendo piccoli passi all'indietro. Chris lo seguì in silenzio. Camminarono per il grande giardino, sul vialetto di ghiaia che scricchiolava sotto i loro piedi. Ricky camminò davanti a lui senza lasciargli la mano. Fecero il giro della grande villa per ritrovarsi sul retro. Chris l'aveva intravista quella parte della casa, ma non ci era ancora stato. Le grandi siepi erano tenute in condizioni ottime, l'acqua nella piscina era appena increspata dal vento e limpida. Passarono accanto al grosso tavolo in ferro, posizionato sotto la massiccia copertura in legno che seguiva fedelmente tutta la lunghezza del retro della casa.
Chris, incantato da tutto quel lusso che lo circondava, non si era nemmeno accorto che si erano fermati. Erano di fronte ad una porta dalla struttura in legno, con al centro due ampi vetri satinati. Il ragazzo gli lasciò la mano e dal vaso accanto alla porta prese una chiave.
«Nascondiglio perfetto, molto originale» disse Chris con ironia, l'altro sorrise.
«È la stanza adibita al personale» spiegò Ricky.
«Qui vengono a prepararsi per il lavoro e a volte capita che restino per la notte, prima era solo un grande ripostiglio mentre ora...»
Aprì la porta e davanti agli occhi di Chris si palesò... una casa. Quella non era solo una stanza, c'era un piccolo angolo con qualche fornello, di fianco una porta che probabilmente portava in un bagno, addirittura una libreria abbellita da vasi, e infine tre letti singoli. Chris rimase senza parole, era davvero un appartamento incastonato in una casa.
Appena entrati, Ricky chiuse di nuovo la porta e accese la grossa lampada che illuminò la stanza di una luce calda. Si guardarono per qualche secondo, poi Chris si avvicinò di nuovo all'altro. Senza parlare, iniziarono a spogliarsi a vicenda. Lasciarono una scia di vestiti sul pavimento, poi il corpicino tremante e ansioso di Ricky venne a contatto con le lenzuola del letto. Forse fu il contrasto fra quella superficie fredda e il corpo quasi bollente di Chris, o forse furono le mille sensazioni che i baci di Chris gli donavano, ma la sua pelle non smetteva di ricoprirsi di brividi. Tutti i loro pensieri si dileguarono totalmente, non avevano bisogno di pensare se entrambi erano lì, insieme. Si guardarono così intensamente negli occhi da amplificare ulteriormente quel piacere che stavano provando, e il calore che emanavano i loro corpi li coinvolgeva sempre di più. Per la prima volta Ricky si sentì totalmente amato. Gli sembrava quasi che Chris, con le sue mani, stesse toccando molto più che il suo corpo, era come se gli stesse accarezzando il cuore, come se quei baci privi di malizia volessero sfiorare molto più che le sue labbra. Sentiva di non aver mai provato un'emozione simile e sperò che anche Chris stesse attraversando quel momento così magico provando le stesse sensazioni. Non potevano perdersi quando il loro amore era appena cominciato.

Chris avvolse le braccia intorno al corpo di Ricky che ne approfittò per rannicchiarsi sul suo petto. Quello era un momento che entrambi si sarebbero portati nel cuore per sempre. Incommensurabile era la pace che li avvolgeva, che colmava i loro cuori.
Chris accarezzò piano la schiena nuda dell'altro. Poteva avvertire il suo respiro solleticargli la pelle. Quella situazione era strana: fino a poco prima non si rivolgevano più la parola e poi, come se il passato non fosse mai esistito, avevano fatto l'amore e desiderava farlo ancora, fino a restare senza fiato. Com'era appena capitato, ormai erano stremati, totalmente privi di energie. Ma non poteva desiderare di meglio, quello che sentiva nel profondo cominciava a somigliare davvero alla felicità. 
La voce flebile di Ricky richiamò la sua attenzione e lui lo incitò a parlare.
«Ci mettiamo sotto le coperte? Ho freddo»
Chris sorrise. Avrebbe preferito non smuovere quella tranquillità che si era creata, ma come poteva dirgli di no?
Quando si ritrovarono sotto la pesante coperta, Ricky si accoccolò di nuovo al ragazzo di fianco a lui.
«Non abituarti, fra un pò devo andare via» disse Chris.
«No, voglio che resti qui»
Prima che Chris potesse rispondere, un tuono fece sussultare entrambi. Dopo pochi secondi iniziò a piovere e Ricky sorrise con soddisfazione.
«Il destino è dalla mia parte»
«Me ne andrò lo stesso, non posso restare qui»
Ricky si imbronciò e Chris non potè non baciarlo, era troppo dolce. Si sbaciucchiarono a lungo, finchè Ricky non si allontanò un pò. Aveva un'espressione improvvisamente seria, quasi impaurita.
«Va tutto bene?» gli domandò.
«Sì, ma volevo chiederti una cosa»
Chris si preoccupò.
«Dimmi» sussurrò spostandogli i capelli dal viso.
«Ehm... cosa hai fatto in questi giorni?» domandò già timoroso.
«Cosa intendi? Vuoi sapere qualcosa in particolare?»
Ricky prese un grande respiro, Chris potè notare un leggero rossore sul suo viso.
«Bhe... anche se in fondo tu ne avevi tutto il diritto perchè è tutta colpa mia se si è creata questa situaz-»
«Ricky, cosa vuoi sapere?»
Il ragazzo sospirò.
«Sei stato... con qualcuno? In... quel senso» gli disse con un filo di voce. Dentro di sè sapeva bene che non poteva neanche permettersi di chiederglielo, ma quello era l'unico pensiero che l'aveva davvero torturato. L'aveva tradito, certo, ma non voleva che Chris si fosse comportato allo stesso modo. E se lui gli avesse confessato un tradimento probabilmente sarebbe morto dentro ma, come gli aveva appena detto, era tutta colpa sua quindi non si sarebbe fatto vedere arrabbiato.
Fece attenzione alla sua prima reazione e Chris non sembrò per niente turbato, anzi, aveva un'espressione sorpresa.
«Perchè avrei dovuto?»
«Non lo so, forse perchè eri arrabbiato e la confusione può farci fare cose che non vorremmo fare» disse sentendo le lacrime pronte ad uscire.
«Io so che mi sono comportato molto male nei tuoi confronti, quindi dimmi la verità perchè posso... accettarlo»
Chris sospirò e Ricky non seppe come interpretarlo, allora rimase zitto aspettando che l'altro parlasse.
«La verità è che mi sei mancato tanto, ma non posso semplicemente rimpiazzarti alla prima occasione»
Ricky lasciò che Chris incrociasse le dita con le sue prima di baciargli il dorso della mano.
«Non mettere mai in dubbio ciò che provo per te, chiaro?» gli chiese Chris guardandolo dritto negli occhi. Il ragazzo annuì piano, poi le sue labbra si piegarono in un dolce sorriso. 
Rimasero abbracciati ad accarezzarsi con in sottofondo solo il rumore della lenta pioggia.

Chris si svegliò battendo le palpebre più volte. La luce fredda che penetrava dai vetri della porta gli dava fastidio agli occhi mentre, improvvisamente, sentì un freddo brivido lungo la schiena. Ci mise qualche istante a capire dove si trovava, poi sentì la mano di Ricky muoversi appena sul suo petto. Rivolse lo sguardo verso la sua destra e Ricky dormiva di fianco a lui, con i capelli scombinati e la coperta a coprirlo bene fino alle spalle. Restò lì ad osservarlo per un bel pò con un sorriso stampato in viso che non riusciva a mandar via. Era così bello mentre dormiva, con quell'espressione completamente distesa e serena. Ricordò ciò che era successo la sera prima: l'ansia che aveva provato quando se l'era trovato di fronte, le sue lacrime, quel bacio che gli aveva portato alla mente tutti i vecchi ricordi, i suoi occhi lucidi mentre facevano l'amore. Come poteva, un semplice ragazzo come Ricky, avergli stravolto la vita? Forse non avrebbe mai trovato una risposta, ma gli importava meno di quanto voleva far credere a se stesso.
Spostò lo sguardo controvoglia e vide che l'orologio appeso alla parete segnava le 06:30. La voglia di tornare alla realtà di tutti i giorni era minima, se non inesistente.
Si mosse piano sul materasso e svegliò Ricky con qualche bacio sulla guancia, accarezzandogli i capelli. Il ragazzo fece un pò di capricci, poi finalmente aprì gli occhi. Forse erano ancora più belli nella luce del mattino.
«Buongiorno» gli sussurrò, l'altro sorrise accucciandosi ancora di più.
«Mi hai fatto dormire senza coperte stanotte» rise Chris. In tutta risposta, Ricky lo spinse sotto di lui e coprì i loro corpi infreddoliti con la coperta. Si mise comodo, con la testa appoggiata sulla sua spalla e pensò che così avrebbe potuto dormire per ore ed ore.
Chris lo abbracciò e si lasciò trasmettere un pò di calore.
«Che ne dici di alzarci?»
«Mmh... è ancora presto» sussurrò Ricky con la voce impastata.
«In realtà è tardi, devo andare a lavoro... e tu a scuola» gli ricordò.
«Non voglio andarci, ho sonno... restiamo qui»
Chris sorrise sfiorandogli la schiena.
«Non posso, mi dispiace»
Ricky sospirò godendosi quegli ultimi istanti. Non sapeva quando gli sarebbe ricapitato di poter avere un'occasione del genere. Non aveva mai dormito con nessuno e, dalla sera precedente, aveva provato quella strana sensazione di profonda intimità con Chris che non voleva lasciar andare.
Si sollevò un pò e gli posò un bacio sulle labbra, poi gli fece spazio per permettergli di alzarsi.
Chris si mise a sedere e osservò quel groviglio di vestiti sparsi sul pavimento in cerca dei suoi boxer, si alzò solo quando li intravide fra i pantaloni e le scarpe. Si vestì e Ricky lo guardò tutto il tempo, come la prima volta. 
«Non dovresti vestirti anche tu?» chiese Chris mentre si allacciava le scarpe seduto sul bordo del letto.
«Sì, prendimi tutti i vestiti e mettimeli qui» rispose Ricky aggiustando la coperta in modo tale che fosse dritta e ci fosse spazio per appoggiarvi il tutto. Chris si accigliò, divertito dal tono dell'altro. Si alzò prendendo di proposito una sua scarpa.
«Solo perchè sei passivo, non significa che devi fare la femminuccia» disse lanciandogliela. Ricky rimase a bocca aperta. 
«Quindi prenditeli da solo» aggiunse infine, ridendo.
«Sei cattivo, in assoluto il fidanzato più cattivo della storia» borbottò Ricky.
«No, questa conservala per quando dimenticherò il nostro anniversario»
Ricky assottigliò le palpebre, indispettito.
«Ah, sì? Solo perchè sei attivo, non significa che devi fare il maschiaccio» disse lanciandogli di nuovo la scarpa.
«Quindi vedi di ricordarlo»
Chris lo fissò con un sorriso sforzato, poi alzò le mani in segno di resa.
«Va bene, hai vinto tu» disse raccogliendo tutti i vestiti dell'altro e mettendoglieli sul letto. Aspettò che si vestisse, poi misero in ordine il letto e uscirono dalla stanza. Fecero attenzione a non fare troppo rumore o farsi vedere da qualcuno, soprattutto dai genitori di Ricky.
«Credo che mio padre sia già uscito» sussurrò Ricky affacciandosi appena da dietro il muro. La sua macchina non c'era nel viale.
«E allora facciamo attenzione a Herr Hitler»
Ricky si voltò vero di lui con un sorriso sghembo.
«Come l'hai chiamata?»
«Herr Hitler, hai presente quel coglione che-»
«Ripetilo ancora» mormorò Ricky avvicinandosi di più all'altro che sorrise appena.
«Herr Hitler» disse piano trovandosi subito dopo le labbra di Ricky sulle sue.
«Hitler ti eccita, che cosa macabra» sussurrò Chris ancora attaccato alle sue labbra.
«Non è lui, è come lo dici... impara il tedesco» 
Chris rise.
«Questo non te lo prometto»
«Che peccato» disse Ricky sospirando. Si diedero un ultimo bacio, poi camminarono sull'erba bagnata per non fare rumore sulla ghiaia. Sua madre non sembrava essere nei dintorni o vicina alle finestre, allora Chris si affrettò a superare l'imponente cancello. Si scambiarono un sorriso, poi tirò su il cappuccio della felpa e ritornò a casa. 
  
Si tolse i vestiti e si sbrigò a darsi una pulita, poi liberò il bagno per Betsy che doveva prepararsi per la scuola. Non rispose al suo saluto nè gli disse altro. Gli faceva male vederla così arrabbiata, ma le aveva già chiesto scusa e quel pomeriggio sarebbe anche andato con lei sulla tomba di Jonathan. Cos'altro doveva fare?
Sospirò andando in camera sua per vestirsi. Jane era ancora a letto, ma si stava svegliando.
«Buongiorno»
La ragazza rispose al saluto, poi si mise a sedere, tutto con molta calma.
«Cos'è successo esattamente stanotte?» gli chiese stringendosi nelle spalle. Faceva molto più freddo degli altri giorni.
«Te lo spiego dopo, ora non ho tempo»
«Ma io dopo non ci sono, ritorno a casa» si lamentò Jane. Chris pensò per qualche secondo per riordinare i pensieri.
«Se arrivo a stasera sano e salvo, passo a casa tua»
La ragazza annuì e gli augurò una buona giornata. Chris corse fuori e, anche quella volta, per un pelo non perse l'autobus.
La mattinata sembrò volare. Aveva come l'impressione che aver fatto pace con Ricky gli avesse donato di nuovo la voglia di vivere, ricominciava a vedere le cose a colori e neanche lavorare sembrava così terribile.

Pranzarono in silenzio. Sua madre seduta lontano da lui, Betsy al suo fianco. Un pò si sentiva la mancanza di Jane, in quei giorni aveva portato allegria in casa sua. 
«Mamma vuole venire con noi» disse sua sorella d'un tratto. Chris si sorprese. Da quando sua madre ci teneva ad essere una parte integrante della famiglia? E, soprattutto, da quando usciva di casa? L'idea di portarsela dietro non gli piaceva, la sola presenza di quella donna lo infastidiva, ma decise che non ne valeva nemmeno la pena di mettersi ad obiettare.
Non appena ebbero finito di pranzare, uscirono di casa senza nemmeno rimettere le cose in ordine. Chris non aveva tempo, doveva fare quella cosa e tornare a lavoro. 
Betsy e sua madre scelsero accuratamente dei fiori, Chris si fece avanti solo quando arrivò il momento di pagare. Si era messo da parte senza una ragione, non gli andava di essere partecipe. Forse sapeva che, una volta davanti alla tomba di suo fratello, si sarebbe sentito male, quindi avrebbe preferito non andarci. L'idea di camminare sul cadavere di suo fratello non faceva altro che rigirare il coltello nella piaga. Poteva sembrare un ragionamento superficiale, ma preferiva pensare a lui sporadicamente invece che andare a contemplare una lapide.
Camminò per tutto il tempo dietro le due che, inspiegabilmente, stavano chiacchierando. Non troppo allegramente visto che la meta non era delle più felici, ma le sentiva parlottare e stare molto vicine. Avrebbe voluto strappare sua sorella da quella situazione, difenderla dalla recita sempre perfetta di sua madre. Tanto poi sarebbe tornato tutto come prima. Proprio come una bambina con le sue bambole, sua madre li aveva sempre presi e poi gettati via come se non avessero sentimenti, e sapeva che sarebbe successo di nuovo. Chris si domandava spesso se Betsy avesse capito il suo gioco o se, nella speranza che tutto ciò potesse davvero durare, le desse realmente nuove possibilità.
Alzò lo sguardo quando si accorse che, a pochi passi da lui, le due si erano fermate. Osservò mentre posavano i fiori accanto alla lapide. Lì il tempo sembrava fermarsi, non si sentiva altro che il rumore del vento gelido che tirava quel giorno. Era quasi rilassante.
Sua madre iniziò a piangere e a pregare. Si sarebbe emozionato se solo non la conoscesse bene. Infatti, dopo pochissimi minuti, disse di non farcela e che li avrebbe attesi fuori, poi si allontanò.
Dopo qualche secondo si rese conto che Betsy lo stava osservando. La sua espressione era indecifrabile, non riusciva ad intuire i suoi pensieri. La vide avvicinarsi e prendergli la mano, poi gli sorrise.
«Vieni, non avere paura» sussurrò la ragazza. In quel momento Chris sentì qualcosa muoversi dentro di lui, una strana sensazione che gli fece tremare il cuore. Ricordò quella volta quando Michael l'aveva picchiato lasciandolo in lacrime sul pavimento e Betsy gli era andata in contro e gli aveva preso la mano dicendogli proprio la stessa frase che aveva appena pronunciato, poi gli aveva asciugato il sangue che gli colava dal naso e gli aveva messo un cerotto su un livido dandogli un bacio sulla guancia. Gli aveva imbrattato la faccia di sangue e attaccato male un cerotto, ma a quei tempi  Betsy aveva solo cinque anni e quei piccoli gesti gli fecero sfuggire un sorriso, nonostante tutto. Era sempre stato lui ad indicarle la direzione giusta, ma gli capitava di perdersi e Betsy era sempre lì ad aiutarlo, a mostrargli con semplicità come superare un ostacolo.
Si avvicinò alla lapide e seguì sua sorella che si sedette per terra. Leggere il nome di suo fratello e la data della sua morte incisi in una pietra, lo ferì come niente prima di allora. Forse Betsy aveva ragione, la sua era solo paura, un'innata paura di affrontare quella brutta realtà. Per lui era stato molto semplice smettere di pensarci e concentrarsi su altro, ma Jonathan non c'era più, si era spento davanti ai suoi occhi e lui non aveva potuto fare nulla per aiutarlo. Quella volta, per la prima volta, si era sentito davvero impotente.
Improvvisamente Betsy iniziò a parlare. Gli teneva ancora la mano, ma con gli occhi fissava la piccola foto di Jonathan incastonata nella lapide. Salutò suo fratello, gli raccontò della sua vita, di ciò che era cambiato negli ultimi mesi e di quello che faceva a scuola. Chris lasciò che liberasse quel fiume di parole, nonostante per lui fossero tutte frasi buttate al vento. Vedeva un luccichio nei suoi occhi, sorrideva.
«E comunque hai visto chi ti ho portato oggi? C'è Chris, te lo ricordi, vero? Ricordi quando ti lamentavi perchè le croste dei sandwich non ti piacevano? Ecco, lui le mangiava al posto tuo anche se in fondo pure lui le odia»
A Chris venne da ridere, ma una risata che voleva solo nascondere una profonda commozione.
«E poi ricordi quando ti svegliavi di notte e non riuscivi a dormire? Lui restava sveglio accanto a te e parlava per ore ed ore finchè non ti riaddormentavi, anche se era stanco o se il giorno dopo doveva alzarsi presto» disse Betsy appoggiando poi la mano sulla foto, come se così potesse accarezzarlo davvero.
«Anche se a volte non ci facevamo caso, lui ci ha sempre protetti... non l'abbiamo mai ringraziato abbastanza»
Chris sentì le lacrime riempirgli gli occhi. Non voleva piangere, lo odiava.
«Sai, Chris è rimasto con te fino all'ultimo istante, quindi puoi stare tranquillo perchè lui... anche lui ti vuole molto bene, proprio quanto te ne voglio io»
I due fratelli si guardarono negli occhi, entrambi erano evidentemente emozionati. Chris l'abbracciò, la strinse forte e gli sembrò di essersi liberato dell'ennesimo peso che gli gravava sulle spalle da troppo tempo. 



Dopo due vite e mezzo sono finalmente tornata! 
Lasciatemi qualche recensione se vi va (tanto lo so già che non vi va T_T) 
Baci :3


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Capitolo 25
*** Capitolo 24- So baby let's keep it secret ***


Capitolo 24 - So baby let's keep it secret.
Era stata davvero un'impresa rientrare in casa. Insomma, aveva una bella scusa da propinare a sua madre, ma era nervoso perchè sapeva che avrebbe mentito.
L'aveva incrociata nel corridoio, mentre si dirigeva in camera sua. Aveva un asciugamano arrotolato intorno ai capelli, una lunga vestaglia di seta e ai piedi dei sandali con qualche ghirigoro. 
«Come mai qui? Non eri andato a dormire a casa di Josh?» gli domandò. Ricky non fece alcun caso al suo tono freddo o al fatto che non l'avesse neanche salutato.
«Sì, infatti ci sono andato, il problema è che non so dove avevo la testa quando sono uscito, ho dimenticato i libri»
La donna gli rivolse uno sguardo scettico, poi le squillò il cellulare e corse a rispondere. Ricky sospirò. Stava diventando un maestro nel dire menzogne. E pensare che prima nemmeno era in grado di formularla nella sua testa una bugia.
Entrò in camera sua e chiuse la porta a chiave. Aveva ancora un pò di tempo prima di dover correre a scuola. Si spogliò completamente e si diresse in bagno. Aprì l'acqua calda che produsse immediatamente una nuvola densa. Quel giorno faceva più freddo del solito, ma dentro sentiva un calore che raramente aveva provato, forse mai. Gli occhi gli si inumidirono anche solo pensando alle sensazioni che aveva provato poche ore prima. Chris aveva ragione, fare l'amore era una cosa bellissima, e mai nessuna parola sarebbe stata in grado di descrivere l'emozione di un momento tanto intenso.
Poggiò la schiena al muro senza bagnarsi sotto il getto d'acqua e chiuse gli occhi. Con calma si sfiorò le labbra con la punta delle dita, poi le fece scivolare sul collo e sul petto. Amava sentire le sue labbra toccarlo in quei punti così sensibili che prima nemmeno sapeva di avere. Il vapore gli inumidì la pelle, imperlandogli leggermente il corpo tremolante. Ogni rumore era ovattato e lontano ormai, solo il battito del suo cuore sembrava rimbombargli dentro. Gli riapparvero precise immagini della sera precedente, avrebbe potuto giurare di sentire le sue mani addosso, i loro gemiti che si rincorrevano, il suo respiro solleticargli la pelle. Non riuscì a contenere l'eccitazione, la mente correva veloce e gli sembrava di sentirlo di nuovo sopra, dentro di lui. 
Schiuse leggermente le labbra lasciandosi sfuggire un gemito che fin'ora aveva schiacciato sul fondo della gola. La mano gli scivolò involontariamente verso il basso. Ci fu un attimo, solo un breve istante in cui la sentì intorno all'erezione che man mano cresceva, poi un forte rumore lo destò bruscamente. Sbarrò gli occhi e gli servì un bel pò per tornare alla realtà. La sveglia in camera sua squillava forte, uno strido orribile che in un primo istante l'aveva addirittura spaventato.
Si guardò intorno, quasi alla ricerca dell'altro corpo che poco prima aveva percepito così vicino, ma Chris non c'era. Cercò di darsi una calmata ma, anche in quel caso, gli servì del tempo. Pochi mesi prima non ci pensava nemmeno a cose del genere, neanche era interessato al mondo del sesso, mentre in quel momento il suo unico desidero era quello di essere preso in quel modo così dolce ma allo stesso tempo passionale. Provava vergogna anche solo a pensarlo, ma voleva sperimentare il più possibile.
Sospirò abbassando la temperatura dell'acqua, era quasi gelida, ma una doccia fredda gli serviva o non si sarebbe potuto neanche muovere di casa.
Si vestì velocemente con la pelle ancora umida, prese le sue cose e corse fuori casa. Non era per niente pronto ad affrontare il mondo quel giorno, se ne sarebbe stato volentieri a casa a rimuginare sui bei ricordi. Aveva paura di incontrare Josh, non aveva voglia di subirsi due ore di matematica. Insomma, quella non sarebbe stata una bella giornata e il grigiore nel cielo non aiutava per niente.
Si accese una sigaretta aspettando l'arrivo dei suoi amici. Nemmeno due minuti dopo, vide Angelo avvicinarsi, ma gli prestò attenzione solo quando fu molto vicino, appoggiato al  muretto accanto al cancello.
«Che faccia di merda, ti è successo qualcosa?» 
Ricky inspirò dal filtro per l'ennesima volta, poi guardò il ragazzo accanto a sè, senza rispondere.
«Ma che hai? Mi spaventi quando fai così» commentò Angelo. Non capiva perchè a volte l'amico si chiudesse così tanto nel suo mondo. Ogni tanto era quasi irritante, sembrava che volesse essere pregato. Non gli piaceva nemmeno pensare quelle cose del suo miglior amico, però era quella l'impressione che dava.
«Smettila di fissarmi»
«Scusa» mormorò Ricky. Finì la sigaretta lentamente, Angelo non disse altro.
«Ti ho fatto arrabbiare?» gli chiese d'un tratto.
Angelo scosse la testa.
«E invece sì, perchè stai rispondendo a gesti e tu rispondi così solo quando sei arrabbiato»
L'altro sospirò, poi sorrise. Ricky conosceva perfettamente com'era fatto.
«È che lo sai che mi da fastidio quando non mi dici le cose e io te le devo chiedere dieci volte» 
Ricky pensò bene a cosa dire prima di sparare parole a caso.
«Io e Chris abbiamo fatto pace, mi ha perdonato»
Gli occhi di Angelo sembrarono sgranarsi all'inverosimile.
«Gli hai detto che l'hai tradito?» gli domandò incredulo.
«No, scemo, gli ho raccontato un'altra cosa, ma lui mi ha perdonato lo stesso e quindi ora siamo di nuovo una... coppia» disse sentendosi subito meglio, come se raccontargli quella cosa gli avesse liberato la mente. Angelo non seppe come rispondere, ma proprio in quel momento arrivarono Devin e Ryan. Si scambiarono un ultimo sguardo e ad Angelo sembrò di vedere di nuovo il suo Ricky, quello che sorrideva e che aveva due occhi pieni di vita. Era da tanto che non lo vedeva chiacchierare con Devin come solo loro sapevano fare. 

La seconda campanella della giornata suonò liberando tutti dalle materie che stavano studiando in quel momento. Ricky attese che tutti uscissero, poi si alzò dalla sedia e abbandonò la classe di inglese. Camminò come sempre lungo le parete per evitare di scontrarsi con chiunque corresse per i corridoi o fosse troppo distratto, quella volta qualcosa andò storto. Qualcuno lo afferrò per un braccio e lo trascinò in una classe sbattendo la porta alle loro spalle. Appena si voltò, vide Josh che si appoggiava alla porta con un'espressione arrabbiata. Ecco, sapeva che sarebbe successo.
«Non credi di dovermi una spiegazione?»
Ricky abbassò lo sguardo, cercò di guadagnare tempo. Non voleva ferirlo, anzi, voleva solamente evitare il discorso.
«Mi dispiace» sussurrò. Non sapeva che dirgli.
«Non me ne frega niente se ti dispiace o meno, voglio una spiegazione chiara, non mi accontento di un messaggino di merda quando invece mi aspettavo che venissi a casa mia» disse Josh, alterato. Gli aveva rovinato la serata e per tutta la notte non aveva fatto altro che rigirarsi nel letto e mangiucchiarsi le unghie. 
«Ecco, quando ti ho attaccato il telefono in faccia, l'ho fatto perchè... ho incontrato Chris uscendo di casa»
Josh s'incupì subito. Non sopportava neanche sentirgli pronunciare il suo nome. Provava così tanta gelosia. Voleva Ricky tutto per sè, ma finchè c'era quel Chris di mezzo non poteva avere nulla di lui. 
«E... che avete fatto?» chiese pronto a tutto, ormai.
«Abbiamo parlato di quello che è successo» rispose. Avrebbe preferito che quella frase bastasse all'altro. Non voleva nè dirgli di aver mentito a Chris, nè mentire a lui dicendogli che invece gli aveva raccontato del tradimento.
Josh fissò il vuoto, la sua mente era da tutt'altra parte in quel momento.
«Devo aspettarmi che venga ad ammazzarmi di botte con qualche suo amichetto drogato?» chiese, più arrabbiato che impaurito. Trovava così stupido il comportamento di Ricky, incapace di prendere una decisione, eppure non riusciva a smettere di trovarlo stupendo. Gli era sempre piaciuto di più rispetto agli altri ragazzi, ma non aveva mai capito che quelli che provava per lui erano sentimenti veri. L'aveva capito troppo tardi, quando l'aveva visto pendere dalle labbra di un altro ragazzo. Era stata come una violenta scossa elettrica. 
Ricky si accigliò, arrabbiato.
«Che cazzo di persona credi che sia?» gli chiese, sconvolto.
«Un figlio di puttana che vive in quei quartieri malfamati dove è pericoloso anche respirare e che ha approfittato di un tuo momento di debolezza per scoparti e farti il lavaggio del cervello, se fosse stato un qualunque altro ragazzo a tradirlo l'avrebbe già mandato a quel paese» 
Ricky avrebbe voluto picchiarlo, prenderlo a calci, sputargli in faccia. Come si permetteva di dire quelle cose? Aveva visto Chris una sola volta e ciò non gli dava il diritto di giudicarlo, non lo conosceva per niente.
«Parli così perchè hai paura che io possa scegliere lui invece che te, sei geloso... l'invidia ti sta divorando, non è vero?»
Josh scosse la testa sforzando una risata che innervosì l'altro ulteriormente.
«Invidioso, io? Di quello lì? Ma ti ascolti quando parli?»
Ricky non ne poteva più, voleva andare via anche se erano lì da pochi minuti. Non aveva mai trovato Josh così irritante come in quel momento, e in quell'aula sembrava non esserci più spazio per entrambi. Voleva andare via, respirare aria fresca, lontano da Josh.
«Pensavo che tu fossi una persona migliore» sussurrò appoggiandosi al banco dietro di lui.
«Anche io lo pensavo di te» 
Ricky inarcò le sopracciglia, sorpreso. L'aveva detto come se, in quella situazione, fosse lui quello che aveva parlato troppo a sproposito.
«Ma davvero? Non ci posso credere» disse passandosi una mano fra i capelli.
«In tutta questa storia ho capito che non posso fidarmi di te nè come amico, nè come... qualsiasi altra cosa» disse Josh. 
«Sono stato tuo amico per così tanto tempo, come puoi dirmi una cosa simile?» chiese Ricky, offeso come non mai.
«Hai scoperto di essere gay e non me l'hai detto, ti sei fidanzato e neanche questo ho avuto l'onore di sapere... se quella sera non fossi venuto a casa mia, adesso sarei ancora all'oscuro di tutto»
Ricky si sentì in colpa. Sapeva di aver sbagliato a non dire subito ai suoi amici della sua relazione con Chris, ma aveva paura. Ancora non l'aveva detto a Ryan, Devin l'aveva scoperto per sbaglio e a Josh l'aveva detto perchè altrimenti si sarebbe trovato allo stesso momento in due relazioni diverse e avrebbe tradito sia lui che Chris. Gliel'aveva confessato solo per dare un minimo di senso a quel caos.
«Ah, sì? Però neanche tu mi avevi detto che ti piacevano gli uomini»
Josh si passò le mani sul viso, appoggiandosi alla porta.
«A me non piacciono gli uomini» disse con un tono meno duro.
«A me piaci tu, nessun altro»
Il ragazzo abbassò lo sguardo, incapace di reggere quello di Josh. Come ci era finito in quella situazione? E come doveva uscirne senza ferire qualcuno?
«Josh, ti prego, basta» sussurrò. Dopo un istante se lo ritrovò addosso. Il ragazzo gli prese il viso fra le mani.
«Ascoltami, per favore»
Ricky sospirò annuendo, ma per sentirsi più a suo agio gli spostò le mani. Quel gesto non passò inosservato agli occhi di Josh, ma decise di non infierire.
«Mi dispiace per quello che ti ho detto, io ti... ti voglio molto bene e quello che provo per te mi sembra impossibile, non so se sarò mai in grado di trovare le parole giuste per spiegare cosa sta succedendo dentro di me... So che tu non hai spazio nel tuo cuore per me, ma io devo provarci, ormai posso dirti quello che sento senza dovermi nascondere e finchè tu me lo permetterai io ti starò accanto... È da troppo tempo che desidero poterti baciare e, adesso che posso farlo, devo smettere perchè qualcuno è arrivato solo un pò prima di me? Io so che potrei farti stare bene, se solo tu lo volessi» la sua voce era andata ad abbassarsi sempre di più facendo quasi incantare Ricky. Si sentiva sempre più piccolo. Non aveva mai pensato di poter provocare sensazioni così belle a più di una persona, fino a poco tempo prima pensava addirittura che mai e poi mai qualcuno l'avrebbe trovato davvero interessante. Per così tanto tempo Josh gli aveva nascosto quei sentimenti con la paura di non essere ricambiato, e un pò era curioso di sapere come sarebbe stato se Josh fosse arrivato nella sua vita sentimentale prima di Chris. Forse, con lui sarebbe stato tutto più semplice. Si sentiva troppo stupido e frivolo nel formulare quei pensieri, ma non poteva negare che a volte la mancanza di Chris si faceva sentire. Non poteva pretendere di passare un'intera giornata con lui, non sempre poteva correre da lui quando gli veniva voglia di vederlo. La poca maturità che naturalmente c'era dentro di lui lo spingeva molto spesso a pensare di voler averlo sempre accanto, ma il suo lato razionale gli faceva capire che per Chris era importante lavorare, capiva che non era stato fortunato quanto lui e il tempo libero a sua disposizione era davvero poco. Con Josh forse avrebbe semplicemente appagato l'adolescente spensierato che c'era in lui. Il fatto che conducessero una vita simile, gli permetteva di poter passare più tempo insieme. Quelle non erano sciocchezze, pensava che fosse importante condividere i momenti di quotidianità con un compagno, ma come poteva mettere da parte i suoi sentimenti? E poi, quali erano i suoi reali sentimenti? Per Chris provava un amore fin troppo speciale per poterlo spiegare, l'aveva conquistato dal primo sguardo che si erano scambiati e ricordava la tensione che aveva provato la prima volta che erano usciti insieme. Non poteva non sorridere a quel pensiero. Josh, invece, non aveva le buone maniere e l'affabilità di Chris, lui aveva un carattere più scontroso nonostante fosse sempre pronto ad aiutare gli altri e tirarli su di morale, ma la sua permalosità a volte infieriva nei suoi rapporti con gli altri. Erano molto diversi fra loro, non riusciva a trovare qualcosa che li accomunasse. A parte i loro sentimenti vero di lui, ovvio. Poteva percepire l'amore di Chris, era incredibile la sensazione che gli trasmetteva ogni qualvolta che si baciavano. Nonostante potesse essere stupido, il fatto di aver passato con lui un'intera notte nello stesso letto, sembrava aver portato la loro relazione su un altro livello. Ma anche con Josh, sebbene non con la stessa intimità e con un bel pò di confusione in testa, aveva passato dei bei momenti, e poi lui era suo amico da anni, poteva dire di conoscerlo come le sue tasche. Sapeva di potersi fidare di entrambi, ma ciò che non sapeva era chi dei due doveva scegliere. In fin dei conti, con entrambi qualcosa non filava del tutto liscio, ma non voleva tagliere quel filo che lo legava a Chris inesorabilmente, nè voleva  troncare sul nascere una relazione possibilmente perfetta con Josh. La confusione era troppa e lui era incapace di compiere una scelta. Non capiva nemmeno perchè dovesse avere fra le sue mani i sentimenti di due persone, non era giusto. Nessuno dei due meritava di soffrire per colpa sua.
Sospirò portandosi le mani sul petto, sentiva il cuore farsi pesante e la respirazione sembrava quasi annullata. Come poteva prendersi la responsabilità di ferire uno dei due?
Josh desiderava una risposta, qualunque essa fosse, ma dopo quella lunga pausa capì che Ricky non era ancora pronto per accontentarlo. Ciò un pò lo rincuorava perchè poteva significare che stava rivalutando la relazione con Chris e dando più spazio alla loro, ma allo stesso tempo lo teneva sulle spine perchè poteva significare che per lui non c'era alcuna speranza e Ricky non trovava le parole giuste per comunicarglielo. 
Il suono fastidioso della campanella fece sussultare entrambi, particolarmente Ricky che tremò come una foglia. Si scambiarono un ultimo sguardo, poi Ricky corse via.

Camminava spedito verso casa con la testa bassa. Contava i passi mentre ascoltava il rumore del vento che soffiava forte. Si era isolato dal mondo intero già da qualche ora ed era fuggito dalla scuola per evitare i suoi amici. Non aveva voglia di parlare. 
La strada era ancora bagnata dalla pioggia che aveva smesso di scendere solo un'ora prima. Non c'era nemmeno un raggio di sole a riscaldare Scranton, quel grigiore somigliava molto all'umore di Ricky. Voleva solo tornare a casa, mettersi a letto e dormire, solo per scordare per un pò quanto poco leale fosse il suo comportamento. Si era trattenuto dal saltare fra le braccia di Josh, poche ore prima, e non poteva darsi pace al solo pensiero che poche parole avessero fatto effetto su di lui. Non poteva cancellare dalla mente nemmeno una parola e i suoi occhi. 
Sospirò quando sentì la voce di Angelo richiamare la sua attenzione. Lo sentiva correre dietro di lui. Non aveva alcuna voglia di parlargli.
«Ehi, come mai sei uscito di corsa?» gli domandò arrivandogli accanto.
«In realtà sei tu quello che sta correndo» rispose Ricky con un pizzico di ironia che fece sorridere l'altro.
«Che fine hai fatto oggi? Non ti sei fatto vedere» 
«Sì, stavo... facendo degli esercizi di matematica che non avevo fatto ieri»
Angelo non sembrò perplesso, ma non disse nulla. Restarono un silenzio per un pò, solo pochissimi minuti.
«Sai, anche Josh non è uscito... era con te?»
Quella domanda lo innervosì molto, tanto che non riuscì a fingere un tono rilassato.
«Cosa? No, assolutamente no... ero da solo»
Angelo stette zitto. Aveva subito notato quella strana reazione, ma Ricky era così strano a volte che decise di non dargli molto peso. Inoltre, ultimamente fra lui e Josh non correva buon sangue, poteva essere quella la spiegazione.
Si salutarono davanti casa di Angelo e Ricky continuò a camminare a testa bassa, rientrando nel suo mondo. Entrato in casa, corse in bagno a darsi una rinfrescata e togliersi di dosso l'odore terribile dell'edificio da cui proveniva, gli impregnava i vestiti e i capelli. Lo odiava. Ritornò al piano inferiore solo quando venne chiamato per il pranzo. Quel giorno suo padre pranzava con loro, seduto come sempre a capotavola. Sua madre lo squadrò dalla testa ai piedi mentre prendeva posto. Negli ultimi giorni il loro rapporto si era totalmente annullato, non parlavano più, nè litigavano. Nonostante lei non sapesse della notte precedente, gli sembrava che con quello sguardo gli stesse leggendo la mente. Mangiò in silenzio, rispose solo a qualche banale domanda di suo padre. Aveva pensato a come avrebbe reagito lui se avesse saputo della sua omosessualità. Suo padre era un medico, curava ogni genere di persona. Per lui non c'era alcuna differenza fra giovani e vecchi, etero e gay, bianchi e neri. Ma come avrebbe reagito alla notizia? Lui non si era mai sbilanciato su questo tipo di discussioni, ma Ricky aveva spesso sentito i suoi discorsi su come, per lui, avere un figlio maschio fosse una gioia. Ricky però non si sentiva fiero di questo, perchè ciò significava che per suo padre fosse solo un trofeo da mostrare. Ricordava che da piccolo, quando pensava ancora che i bambini fossero come giocattoli, ad ogni compleanno chiedeva ai suoi genitori di regalargli un fratello o una sorella. Li aveva sempre desiderati, ma forse non era stato poi così sfortunato a non averne avuti. Sarebbe stato più facile confessare la sua sessualità in una famiglia più grande. In fin dei conti, doveva dirlo solo a suo padre. La sua paura più grande non era la sua reazione che poteva essere più o meno violenta, ma ritrovarsi faccia a faccia con un volto segnato dallo scontento era spaventoso per lui. Ecco, non voleva deludere le sue aspettative, ma come poteva farlo se ciò che era l'avrebbe irrimediabilmente deluso? La prospettiva di ciò che sarebbe accaduto lo intimidiva sempre di più, fino a calpestarlo e lasciarlo inerme al suolo.

Quando aprì gli occhi, questi incontrarono quasi subito la sveglia. Aveva dormito per quasi quattro ore dopo un breve pianto. Socchiuse di nuovo gli occhi e rimase ancora per un pò sotto le coperte calde, poi ricordò che aveva dei compiti da fare e dovette trascinarsi fuori dal letto. Aprì la finestra lasciando entrare la luce che aveva evitato per ore e l'aria fresca. Andò a sciacquarsi il viso, aveva ancora gli occhi arrossati e gonfi. Prese i libri che gli servivano e si mise seduto alla scrivania. Dopo circa due ore, proprio quando stava per rimettere tutto nella borsa per la scuola, gli squillò il cellulare e si tuffò a letto.
«Chris» esclamò, felice di sentire la sua voce. Dopo pranzo non l'aveva chiamato, aveva preferito mettersi a letto, ma la sua voce gli era mancata.
«Sei sparito di nuovo?»
Ricky sorrise al tono di Chris.
«Io ho una vita molto impegnata, sai? Ho dovuto dormire e fare i compiti» si difese sentendo una risata dall'altra parte.
«Scusami, probabilmente ti ho interrotto»
«No, avevo appena finito... tu, invece? Che ci fai al telefono col tuo bellissimo fidanzato invece di lavorare?»
«Volevo sapere se al mio bellissimo fidanzato andava di fare un pò di sesso al telefono»
Ricky sorrise sapendo che l'altro stava solo scherzando, ma decise di non spegnere quella conversazione sul nascere. Si morse il labbro inferiore, come se Chris potesse vederlo e parò a voce bassa.
«Mmh... in realtà ti vorrei sul letto con me, non al telefono»
«Potrei accontentarti»
Ricky socchiuse gli occhi accennando un sorriso.
«Davvero?» gli chiese incuriosito.
«Chiedimelo»
Ricky avrebbe tanto voluto chiederglielo, ma non lo fece. Sapeva che, pazzo com'era, avrebbe davvero lasciato il lavoro per correre da lui. Voleva comunque tenerlo ancora sulle spine.
«Non pensavo di dovertelo chiedere, ma comunque l'offerta sarà ancora valida stasera»
Chris sospirò, impaziente come non mai.
«Penso proprio che ne approfitterò»
Ricky rise immaginando già la bella serata che avrebbero passato insieme. 
«Adesso devo andare, ci vediamo fra qualche ora» disse Chris, con un tono scocciato, sarebbe rimasto a chiacchierare con lui molto volentieri.
«Non farmi aspettare troppo»
«Farò del mio meglio... a dopo»
Ricky sorrise salutandolo a sua volta, poi lasciò cadere il cellulare di fianco a lui. Rimase qualche minuto a letto, a sognare il loro prossimo incontro come se avesse dovuto attendere anni prima del suo arrivo, poi si decise ad alzarsi e mettersi sotto la doccia. Voleva essere pulito e profumato per Chris.

«Spiegami di nuovo cosa stiamo facendo qui»
Ricky sbuffò afferrando un intero pacco di piccole candele profumate dallo scaffale.
«Angelo, io e Chris adesso abbiamo bisogno di stare in pace e in armonia, stasera è la nostra serata»
«È arrivato l'esperto sessuologo» lo prese in giro, ricevendo in cambio solo uno sguardo scocciato.
«Io lo sapevo che dovevo portarmi Devin, tu non capisci» esclamò dandogli in mano le candele e mettendosi alla ricerca di qualcos'altro di carino per quella serata. Aveva scoperto che i suoi genitori quella sera dovevano partecipare ad un evento organizzato proprio da sua madre, quindi sarebbero stati completamente da soli. Gli era andata fin troppo bene perchè aveva dato appuntamento a Chris senza nemmeno sapere se casa sua era davvero libera, nonostante ricordasse che suo padre gli aveva parlato di una festa a cui dovevano partecipare. Essendo stato invitato suo padre e essendo proprio sua madre l'organizzatrice dell'evento, non sarebbero stati a casa e probabilmente avrebbero fatto anche molto tardi.
«Appunto, la prossima volta chiama lui»
Ricky si fermò al centro del lungo corridoio e lo guardò con aria di sfida.
«Perchè non vuoi aiutarmi a fare la pace con lui?»
«Tu hai già fatto pace con Chris» sussurrò passandogli accanto.
«Sì, è vero, ma che c'è di male se voglio organizzare una cenetta romantica per lui?»
Angelo sorrise scuotendo la testa.
«Gliel'hai detto di non cenare prima di venire a casa tua?»
Ricky venne preso di sorpresa da quella domanda e l'altro se ne accorse.
«Ehm... certo che gliel'ho detto, per chi mi hai preso?» disse superandolo per non restare sotto il suo sguardo. L'aveva completamente dimenticato. Gli avrebbe mandato un messaggio appena tornato a casa, ma doveva sbrigarsi visto che erano quasi le 20:00.
Cercò fra gli scaffali anche dei sali da bagno alla vaniglia. Non aveva intenzione di usarli per forza quella sera, ogni tanto gli piaceva rilassarsi, quindi li avrebbe utilizzati in ogni caso. Quando si avvicinarono alla cassa continuando a battibeccare, Ricky notò subito qualcuno che correva fuori, con un cappuccio in testa. Rimase quasi paralizzato, restò a fissare le porte automatiche che si chiudevano lentamente. Non l'aveva visto in faccia, ma era sicuro che quel ragazzo che tanto si era affannato ad uscire di corsa fosse Josh. Erano amici da tanti anni, l'avrebbe riconosciuto pure ad occhi chiusi, anche solo dal suo odore. Quei vestiti e il modo di camminare. Era lui. 
«Ricky, svegliati, ti offro la mia compagnia, ma le candele te le paghi da solo» disse Angelo in una risata, ignaro di tutto. Il ragazzo si riprese e pagò ciò che aveva comprato. 
«Cos'è successo prima?» gli domandò Angelo quando erano già da un pò sulla strada di casa.
«Ehm... niente, stavo solo riflettendo... non vorrei che mi mancasse niente stasera»
Angelo rimase in silenzio, pensando intensamente alle parole dell'amico. O meglio, a come le aveva pronunciate. Alla fine però decise di non infierire, a volte Ricky era strano e basta.
Non appena arrivarono, Ricky inviò il messaggio a Chris, poi si mise a lavoro. Aveva chiesto ad una delle cameriere di preparare qualcosa di buono e lasciarglielo in forno, così avrebbe solo dovuto riscaldarlo all'occorrenza. Dalla cucina proveniva un buonissimo odore che gli fece venire l'acquolina, ma si concentrò prima sul preparare la tavola e mettere le candele in giro. Angelo lo aiutò ad accenderle quando Chris chiamò Ricky dicendogli che stava arrivando, poi lo lasciò augurandogli di passare una buona serata. Ricky si sentiva sempre più teso, ma non vedeva l'ora di stare solo con lui. Durante quei pochissimi minuti di estenuante attesa, corse nel bagno di camera sua per aggiustare trucco e capelli per l'ennesima volta. Il momento in cui sentì il campanello suonare fu il peggiore, il non sapere cosa sarebbe successo di lì a pochi secondi, lo faceva impazzire. Non capiva perchè fosse così agitato, in fin dei conti era solo Chris, ma voleva passare una bella serata e desiderava che tutto andasse liscio. Il pensiero di ciò che era accaduto poco prima al negozio lo tormentava anche se provava a mandarlo via in ogni modo. Non sapeva perchè Josh fosse scappato in quel modo, come se non volesse essere visto. Cosa stava facendo, lo seguiva? Un pò lo spaventava quella storia. Aveva paura che potesse presentarsi lì e raccontare tutto a Chris, aveva paura anche di avvicinarsi alla porta e trovarci lui. 
Prese un bel respiro e provò a respingere i cattivi pensieri. Un sospiro di sollievo sfuggì dalle sue labbra quando vide Chris con quella sua aura luminosa che lo avvolgeva ogni volta che sembrava davvero felice, il suo sorriso quasi gli mozzò il fiato. Ci fu un secondo di imbarazzo in cui non fecero altro che fissarsi, poi Ricky si spostò per farlo passare. Gli occhi di Chris squadrarono i particolari messi a punto da Ricky: le luci nel salone spente, tante piccole candele sparse qua e là ad illuminare la stanza di una luce calda e accogliente, i petali rossi sparsi sulla tavola apparecchiata solo per loro due. C'era un'atmosfera piacevole.
Ricky si fece coraggio e gli prese la mano.
«Ehm... ti piace?» gli chiese, imbarazzato. Chris sorrise spostando lo sguardo su di lui.
«Certo che mi piace» rispose, poi gli diede un bacio. Ricky lo allontanò prima che le cose potessero sfuggirgli di mano.
«Siediti, sono quasi sicuro che se ceniamo adesso... insomma, non sarà una schifezza» disse dirigendosi verso la cucina.
«Ti aiuto»
Ricky si voltò di nuovo verso di lui, trovandoselo addosso.
«No, devi solo sederti e rilassarti, lascia fare a me» sussurrò accarezzandogli la guancia. Aveva deciso che quella sera si sarebbe dedicato a lui, voleva fargli passare qualche ora di completo riposo. Sapeva bene che Chris non era per niente abituato a farsi coccolare, e proprio per questo avrebbe fatto qualunque cosa pur di servirlo in tutto e per tutto.
Chris si arrese e fece come gli era stato ordinato. Ricky andò dritto in cucina e tolse la cena dal forno. Si era sempre sentito imbranato ai fornelli, ma non lo era tanto da non saper impiattare qualcosa che era stato già cucinato. Quando fu soddisfatto del suo lavoro, rimise la teglia nel forno per non lasciare la cucina in disordine e ritornò nel salone. L'espressione di Chris lo rassicurò quando gli posò il piatto davanti. In realtà non sapeva neanche cosa avrebbero mangiato, sperava che Chris non glielo chiedesse. Si sedette di fronte a lui e versò nei due calici di cristallo del vino rosso che proprio la cuoca gli aveva consigliato. Sembrava un vino pregiato, uno di quelli che sua madre ordinava per le feste, aveva un aroma fruttato e un sapore corposo, adatto probabilmente alla carne a cui era stato accostato. 
«Cosa stiamo mangiando?» chiese Chris, curioso. Notò subito il cambio di espressione dell'altro.
«Ecco, questo è un... un pezzo di...carne»
Chris scoppiò a ridere.
«Farò finta di credere che tu abbia cucinato per me»
Ricky abbassò lo sguardo diventando man mano più rosso in viso. Avrebbe dovuto informarsi meglio sulla cena.
Chris sorrise a quella visione. Era da tempo che non lo vedeva così imbarazzato. Lo trovava meraviglioso, e quello che stava facendo per lui lo era ancora di più.
Cenarono chiacchierando sempre più animatamente, passando da un argomento all'altro. Ricky sperava che stesse apprezzando ogni secondo di quella serata. Stava cercando di dargli quello che nessuno gli dava mai, anche solo in quella stupidissima cena.
«Hai ancora fame?» gli chiese quando avevano ormai terminato.
«No» rispose Chris appoggiando intenzionalmente la sua mano su quella dell'altro. Aveva gradito molto la cena anche se non era stata preparata da lui, ma entrambi sapevano che non era quello il punto focale della serata. Sia lui che Ricky non aspettavano altro che arrivare al punto. Ricky si alzò per potergli andare più vicino, si sedette su di lui in modo tale da poter essere faccia a faccia. Si fissarono a lungo, senza parlarsi, senza baciarsi. Chris sentì gli occhi di Ricky puntati intensamente nei suoi, quasi lo intimidirono. Si chiedeva cosa lo spingesse a guardarlo in quel modo, quali pensieri gli annebbiassero la mente. Nonostante la curiosità e per quanto potesse sembrare un gesto egoistico, lo baciò per distrarlo e per prendersi al più presto ciò che desiderava. Non aveva più alcuna voglia di parlare, nè di chiacchierare allegramente, nè di ascoltare qualche suo conflitto interiore. Potevano pensarci in un'altra occasione.
Ricky chiuse gli occhi e si lasciò andare. Se Chris non l'avesse baciato in quell'esatto istante, probabilmente gli avrebbe raccontato tutto, sentiva tutta la verità fare forza contro la sua gola. Il senso di colpa era così forte da fargli provare una disgustosa vergogna verso se stesso, non si sentiva nemmeno degno di stargli così vicino. Non sapeva quanto fedele gli fosse stato Chris durante tutta la loro relazione, ma aveva fiducia in lui. 
Aprì gli occhi, scostandosi.
«Dimmi che mi ami» lo pregò tenendo il suo viso fra le mani. Chris gliele prese fra le sue e le baciò piano, delicatamente.
«Ti amo» disse poi, alzando lo sguardo. Ricky sorrise incrociando le sue dita a quelle dell'altro.
«Vieni»
Chris lasciò che si alzasse e lo seguì. Salirono le scale e Ricky lo condusse in camera sua. Aveva abbellito anche quella stanza con petali e candele. La cera colava sui loro bordi consumandole lentamente, ma le piccole fiammelle continuavano a bruciare piene di energia. 
Trascinò Chris sul letto e riprese a baciarlo, sdraiato su di lui. Si spogliarono senza troppa fretta, Ricky prestò attenzione ad ogni sua esigenza. Voleva compiacerlo sotto ogni punto di vista e dimostrargli quanto profondi fossero i suoi sentimenti, nonostante tutto.

L'acqua calda si muoveva intorno ai loro corpi producendo un fruscio rilassante, inoltre l'odore di vaniglia contribuiva abbondantemente.
«Avevi pensato proprio a tutto» mormorò Chris giocherellando con un petalo che galleggiava accanto al bordo dell'ampia vasca.
«Non sono così stupido come sembro» rise Ricky, mentre le braccia di Chris ritornarono a stringersi intorno al suo corpo. Poi sentì uno strano sospiro.
«Potrei abituarmici» disse Chris subito dopo.
«Vuol dire che troverò il modo di accontentarti»
Chris sorrise. Era così bello il modo in cui Ricky tentava di prendersi cura di lui, era stato premuroso e dolce in ogni momento. Non avrebbe mai potuto immaginare di vederlo in quelle vesti, di solito amava farsi coccolare, ma quella sera aveva fatto in modo di essere sempre lui a prendere l'iniziativa. Avevano passato una serata totalmente diversa dalle altre. Tutta quella tranquillità non c'era mai stata fra di loro, per una sera avevano potuto dimenticarsi del mondo circostante e amarsi liberamente. Chris desiderava con tutto se stesso poter provare sempre quella sensazione, odiava l'idea di potersi comportare con scioltezza solo davanti a poche persone. Non sopportava il peso di quel segreto.
«A cosa pensi?» gli chiese Ricky muovendosi fra le sue braccia. Si sedette ancora una volta su di lui, esattamente come prima. Chris osservò le goccioline d'acqua che scorrevano sulle sue braccia, sul suo petto, e i capelli bagnati che gli si attaccavano alle spalle. Riuscì a sentire la sua pelle ricoprirsi di brividi quando gli sfiorò la schiena con le mani.
«Chris...» sussurrò il ragazzo. 
«Hai mai pensato a come sarà quando avrai detto a tutti che sei gay?»
Ricky rimase senza parole e non ebbe più il coraggio di guardarlo.
«Perchè vuoi parlarne ora?» gli chiese in un sospiro.
«Perchè sono stanco di rimandare, non abbiamo mai l'occasione di parlarne quindi facciamolo ora» rispose Chris percependo subito il disagio dell'altro. Non voleva che stesse male, ma non potevano andare avanti in quel modo. Ricky sembrava volersi annullare totalmente ogni volta che affrontavano il discorso, e lui era troppo stanco di quella situazione.
«Non riesci neanche a parlarne con me... qual è il problema?»
Ricky stava scavando nei punti più oscuri della sua mente per riuscire a tramutare i suoi sentimenti in parole, ma nessuna parola riusciva ad uscire dalle sue labbra. Da quando avevano cominciato a frequentarsi, quella era sempre stata l'unica pretesa di Chris, non gli aveva mai chiesto altro. Stava male al solo pensiero di non aver mai avuto la forza di accontentarlo. Ciò avrebbe potuto giovare anche a se stesso, ma non riusciva a superare le sue paure. 
«Non lo so» rispose col cuore che cominciava a battere troppo forte.
«Cosa? Ti spaventa ciò che sei?»
Ricky sentì gli occhi bruciare, era sul punto di piangere.
«O sono io il problema, Ricky? Guarda che io so benissimo quanto siamo diversi... al tuo posto anche io mi vergognerei ad andare in giro con uno come me» disse trattenendo in ogni modo il dolore. Speso non si era sentito all'altezza, e nonostante ciò lo ferisse nel profondo, sapeva che quella era una ragione più che plausibile per il suo comportamento.
«No» si affrettò a dire.
«Tu vai benissimo così e ti assicuro che non desidero nulla in più a quello che già mi dai» 
«Devo crederti, Ricky?»
Il ragazzo tremò perdendo totalmente il controllo. Le lacrime scorrevano sul suo viso, sembrava quasi che gli solcassero la pelle tanto era forte il sentimento racchiuso in ognuna di esse. 
«Perchè stai rovinando tutto?»
Chris sospirò. Non voleva rovinare nulla, ma da quegli occhi ormai rossi capì di esserci riuscito. Provava una sensazione devastante nel petto a vederlo in quello stato. Gli avvolse le braccia intorno al collo tirandolo verso di lui. Gli accarezzò i capelli e si scusò più volte nel tentativo di tranquillizzarlo. Gli lasciò qualche bacio sulla guancia avvicinandosi sempre di più alle sue labbra, che subito baciò con premura. Gli asciugò le lacrime.
«Ti prego, non piangere» sussurrò ancora vicinissimo alle sue labbra. Ricky deglutì cercando di trovare il coraggio per parlare. 
«Perchè è così importante per te, Chris? Io non ti ho mai chiesto di andare in giro a dire a tutti che ti piacciono gli uomini» disse con una punta di rabbia nella voce, ma non lo allontanò, non era davvero arrabbiato con lui.
«Non ho nessuno a cui dirlo, ne ho parlato con mia sorella e anche con il mio miglior amico» disse. 
«Se potessi ti bacerei davanti al mondo intero e sarei fiero di farlo» disse con una decisione disarmante. Ricky si prese un piccola pausa provando a darsi un contegno.
«Lo faresti davvero?»
Chris non rispose, ma il suo sguardo parlò per lui. 
«Vorrei essere coraggioso come te»
L'imbarazzo sul suo viso era pienamente visibile, ma a Chris non importava.
«Ma non lo sono, io ho bisogno di tempo, solo un pò... ancora un pò»
Chris guardò i suoi occhi che sembravano celare delle scuse e anche quella volta decise di mordersi la lingua. Non poteva continuare a fargli del male, per i suoi gusti l'aveva visto piangere per troppo tempo quella sera.
«Quando vorrai» disse spostandogli i capelli. Potè vedere ancora meglio il viso di Ricky che ogni giorno sembrava sempre più bello. I suoi occhi inniettati di sangue, sciolti dalle lacrime, gli lanciavano delle fitte al cuore. Non poteva resistergli, sapeva che nonostante odiasse non poter fare a modo suo, avrebbe attenso a lungo, finchè quel fottuto momento giusto non sarebbe arrivato.
Ricky lo strinse forte fra le braccia. Era il miglior modo che conosceva per ringraziarlo. Quanto poteva essere stupido vergognarsi di una cosa simile. Ricky provava dei sentimenti forti per lui, e il fatto che fossero due uomini non poteva andare ad intaccare la loro relazione. 
Inalò il suo profumo che si mescolava al dolce aroma di vaniglia, le braccia che sembravano avvolgerlo in un manto protettivo gli davano così tanta sicurezza che desiderò vedere entrare i suoi genitori da quella porta e farsi vedere lì, nudo, senza alcuna difesa, aggrappato al suo primo vero amore. 



Mi rendo conto che dopo così tanto tempo di assenza un capitolo di merda del genere non è abbastanza, MA quando mai io scrivo capitoli meno schifosi????? LOL
Spero che vi piaccia lo stesso, ciao!!!

 

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Capitolo 26
*** -Capitolo25-Don't wanna be someone who walks away so easly ***


Capitolo 25 - Don't wanna be someone who walks away so easly.
Quella sera, come d'accordo, Chris sarebbe andato a cena a casa di Michael. Non si sentiva per niente nervoso, sapeva che si sarebbero persi in futili chiacchiere e Michael l'avrebbe adorato ancora di più. Sheryl non si era fatta vedere per tutta la mattina, nel pomeriggio invece era arrivata in officina con i suoi immancabili occhiali da sole appesi alla camicetta azzurra e i capelli scombinati dal vento. Allo sguardo attento di Chris non erano sfuggite le occhiatine che le avevano lanciato alcuni clienti. Non li sopportava, alcuni di loro si piazzavano lì e fiassavano ogni donna che passava, Sheryl era solo una delle tante belle ragazze che ormai potevano solo sognarsi. Certo, lei non faceva nulla per allontanare quegli sguardi, sembrava farlo apposta a mettersi pantaloni sempre più aderenti in cui le sue belle forme risaltavano ulteriormente.
La ragazza salutò suo padre e poi si avvicinò a Chris.
«Ho un programmino per stasera»
«Buonasera anche a te» disse Chris lasciandosi sfuggire un sorriso. 
«Sì, sì, adesso ascoltami, a te piace la carne?»
Chris non potè non ripensare alla cena che Ricky, anche se non del tutto con le sue mani, gli aveva preparato.
«Sì, mi piace» disse infine.
«Perfetto» esclamò Sheryl.
«Ho comprato delle bistecche che solo a guardarle mi è venuta fame, poi preparerò anche altre cosine che ho trovato in un libro di ricette vecchio come mia nonna»
Se la immaginava ai fornelli, gli dava l'idea di un ragazza un pò imbranata ma che alla fine portava in tavola dei piatti almeno mangiabili.
«Ho anche un piano B» disse senza perdersi d'animo.
«E sarebbe?»
«Bhe, se riduco le bistecche in tre pezzi di carbone, ordino la pizza»
«Mh, un ottimo piano B, meglio di quello originale» la prese in giro. Sheryl finse una risata, poi disse che sarebbe corsa a casa, doveva cominciare con la preparazione della cena. La guardò andare via e, in quell'officina grigia e sporca, sembrò essersene andato un raggio di sole. 

Alla fine di quella giornata alquanto estenuante, Chris ricevette una chiamata da Ricky. Adorava sentire la sua voce quando era stanco, lo tirava su di morale. Anche se stavano al telefono per due minuti, anche se non parlavano di nulla in particolare, anche se si sentivano solo per salutarsi, per lui era importate. La sua voce era sempre bellissima. Ciò che gli piaceva di più era che poteva riconoscerne ogni singola sfumatura e quella sera la sentiva triste. Sapeva cos'era, avrebbe preferito passare quel sabato sera con lui. In realtà aveva pensato di chiedere a Michael se per lui era un problema rimandare la cena, ma poi aveva deciso di lasciar stare. Non cascava il mondo se per una sera stava lontano da Ricky. 
Si salutarono solo quando Chris riuscì a strappare almeno una risata all'altro, poi ritornò da Michael che stava chiudendo l'officina.
«Chris, stavo pensando... visto che si è fatto già tardi, ti va di venire ora a casa mia?»
«Volevo prima farmi una doccia»
L'uomo non sembrò scomporsi da quella specie di rifiuto.
«Puoi farla a casa mia... non sarebbe neanche la prima volta»
Chris rimase immobile per qualche secondo ricordando la mattina in cui si era risvegliato nel suo letto e poi, come se fosse stata davvero casa sua, si era infilato nella doccia per togliersi di dosso la puzza di alcol e tutta la stanchezza. Si ricordò anche di quel maglione che gli aveva preso e che gli aveva restituito solo dopo essere stato assunto.
«Va bene, avverto mia sorella e poi possiamo andare» 
Michael annuì e gli disse che l'avrebbe aspettato in macchina. Chris chiamò Betsy che rispose quasi subito.
«Chris, stai tornando?» chiese la ragazza.
«No, ti ho chiamato per dirti che non passo per casa, torno dopo cena»
«Ah, okay... non fa niente, mangerò qualcosa con mamma»
A Chris dispiaceva sempre lasciarla sola. Di sera poi aveva anche quella paura perenne che potesse succederle qualcosa. E poi Chris sapeva bene quanto apprezzasse passare del tempo con lui, toglierle anche quel poco lo faceva sempre stare un pò male.
«Stai attenta, okay? Io non farò tardi»  
«Va bene, divertiti»
Si salutarono e Chris raggiunse l'auto di Michael. L'ultima volta che ci era salito nemmeno se la ricordava. Aveva dei flash di quella terribile serata della sua vita, ma forse era un bene aver rimosso tutto. 

Michael lasciò che Chris si lavasse per primo, nel frattempo aiutò sua figlia ad apparecchiare la tavola. Sheryl sembrò molto felice di avere già Chris in giro per casa. Michael aveva notato che il loro era un bel rapporto, ma non era così stupido da non accorgersi degli sguardi di sua figlia. Non ci avrebbe giurato, ma sembrava si stesse prendendo una cotta per lui. La gelosia non era mai stata nella sua natura quindi non era ciò che provava, sperava solo che quella storia non andasse troppo oltre, ma solo per paura che potesse finire male. Era l'unica cosa che aveva sempre temuto da quando la sua ex moglie aveva dato alla luce quella piccola bambina, non voleva che un qualsiasi ragazzo potesse spezzarle il cuore. Non sapeva se le era già successo, non conosceva i particolari della sua vita, ma l'amava infinitamente e allo stesso tempo si stava man mano affezionando a Chris. Non voleva screzi fra di loro. 
Quando il ragazzo apparve nel salone, Michael ne approfittò subito per andare a farsi una doccia, non voleva che Sheryl finisse di cucinare e la cena si freddasse.
Chris seguì quella scia profumata che veniva dalla cucina e vi trovò Sheryl che mescolava qualcosa in una padella. La ragazza si accorse subito della sua presenza e appena lo vide scoppiò a ridere.
«Quella è di mio padre?» gli chiese indicando l'ennesima maglia che aveva preso in prestito.
«Così sembra... non mi sta grande, vero?»
Sheryl scosse la testa con un'espressione divertita. In effetti non era proprio della sua taglia, ma se la faceva andare bene. Era quasi impossibile contraddire o avere qualcosa da ridere nei confronti di Michael, era così tanto generoso che si sarebbe accontentato anche di un sacchetto dell'immondizia.
«Che c'è?»
A quella domanda Sharyl si accorse che il suo viso era velocemente cambiato. Lo stava guardando, più intensamente rispetto alle altre volte, il suo sorriso l'aveva incantata.
«Ehm... niente» disse ritornando velocemente alle sue faccende. Non si voltò più verso Chris che, non sapendo bene cosa fare, decise di prendere un pò d'aria fresca sul balcone. Non era enorme, ma c'era un tavolino, qualche sedia e una poltrona che sembrava comoda, ma aveva l'impressione di non potercisi sedere visto che aveva piovuto tutto il giorno. Si appoggiò alla ringhiera grigia e un pò arrugginita in alcuni punti. Cercò di guardare in basso dove non c'era altro che un parcheggio buio, in quel momento entrò qualcuno lasciando lì la macchina e scomparve alle porte dell'edificio. Un senso di nausea lo colpì subito, nell'attimo in cui non ebbe più nulla da osservare. Aveva paura di una cosa così stupida, eppure non poteva farci nulla. Provava sempre ad affrontare ciò che temeva, ma quella paura probabilmente non l'avrebbe mai abbandonato. Stare così in alto lo spaventava a morte. Gli sembrava strano perchè non aveva paura di cadere e credeva di non essere impaurito nemmeno dal fatto di essere così in alto. Era semplicemente il suo corpo che reagiva male nonostante sapesse che nulla di brutto gli sarebbe accaduto.
Si allontanò quando iniziò a sentire la classica ondata di calore che presto l'avrebbe fatto sudare. Quelle vertigini avrebbero tardato ad andare via, lo sapeva già. 
«Che stai facendo?» gli chiese Sheryl dalla cucina.
«Provo a non morire» soffiò a denti stretti. 
«Eh?»
Chris decise che forse era meglio rientrare, il solo pensiero di essere su un balcone al settimo piano gli faceva girare la testa.
«Sei pallido» disse la ragazza, preoccupata, appena lo vide.
«No, sto bene, ho solo... guardato giù e non avrei dovuto farlo» rispose. Se non fosse stato per quel leggero malessere che ancora propvava, avrebbe riso di se stesso. 
«Oh, ho capito... è una cosa così carina, non  me l'aspettavo da te»
«Non c'è nulla di carino in tutto questo, e poi che significa che non te l'aspettavi da me?»
La ragazza prestò la sua attenzione solo a lui, dimenticandosi di qualche secondo della cena.
«Sembra sempre che tu non abbia paura di niente»
«Hai detto bene, sembra»
La ragazza nascose un sorriso dietro alle leggere onde dei suoi capelli e ritornò alla cena. Non voleva che dopo tanta fatica tutto andasse in fumo.
«Puoi versarmi un pò d'acqua, per favore?» gli chiese dopo poco, allungando verso di lui un bicchiere. Chris lo prese e si avvicinò al frigorifero, ma prima che potesse fare altro venne colpito dall'ennesimo capogiro e il bicchiere gli sfuggì dalle mani. Cadde sul pavimento frantumandosi in mille pezzi, alcuni grandi e altri piccoli. Scintillavano sotto la luce e Chris non riusciva a smettere di guardarli. Sheryl lo raggiunse subito, gli chiese qualcosa mentre si chinava a raccogliere i cocci, Chris però ancora non si muoveva e la ragazza si accorse della sua espressione solo quando si alzò col vetro fra le mani.


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Tredici anni prima.
Due pianti si distinguevano bene in casa sua. La storia era sempre la stessa, ogni singolo giorno. Non importava che ore fossero, se fosse mattina o sera, quando Jonathan cominciava a piangere era impossibile fermarlo. Aveva sempre fame, ma dopo aver mangiato voleva che gli cambiassero il pannolino, dopo continuava a piangere per ore e tenerlo in braccio non era più una cosa piacevole. Chris non riusciva a capire perchè i suoi genitori, una volta stanchi di sentire i suoi lamenti continui, gliela dessero sempre vinta su tutto. Sua madre era disperata e distrutta. A Chris un pò piaceva quando Jonathan faceva i capricci e sua madre subito correva da lui, voleva dire che non era proprio così cattiva come l'aveva immaginata. Da lei raramente aveva ricevuto una carezza ed era geloso del rapporto che avevano quei due, però non diceva mai nulla, se ne stava sempre zitto. Quando aveva provato a copiare i comportamenti di Jonathan, sua madre l'aveva sgridato e suo padre gli aveva tirato uno schiaffo che gli aveva fatto male per tanto tempo. Dicevano che non doveva fare il bambino, che doveva crescere perchè non volevano due marmocchi lagnosi, uno gli bastava. Allora Chris aveva imparato a stare zitto e aspettare che i suoi genitori si accorgessero di lui, anche se poi non succedeva mai.
Quella sera a piangere non era solo Jonathan, ma anche sua madre. Lui non sapeva cosa fare, non aveva alcuna idea del perchè lei stesse piangendo. Suo padre era stravaccato sulla poltrona logora e ai suoi piedi c'erano già quattro bottiglie di birra vuote. Si chiedeva perchè non facesse mai niente quando vedeva sua moglie in quello stato. A volte lo vedeva uscire e tornare dopo poco, la trascinava in bagno o in camera da letto e poi non si sentiva più nulla. Solo con gli anni avrebbe capito che suo padre aiutava sua madre comprandole la droga, e che non lo faceva ogni volta perchè non sempre aveva i soldi. 
Chris era solo un bambino, non sapeva che la sua situazione non era delle migliori, aveva vissuto tutta la sua vita chiuso in casa o con i pochi bambini che abitavano lì vicino. Anche loro correvano a casa terrorizzati se venivano richiamati, e anche loro avevano i lividi addosso a volte. Non aveva mai visto una realtà diversa, quindi lasciava che Jonathan e sua madre piangessero e che suo padre si lamentasse perchè con le loro voci non riusciva a seguire il quiz in tv, e stava in silenzio. A dire il vero, neanche lui sopportava più di ascoltarli, così si alzò dalla sedia per tornare in camera sua, ma prima tolse la sua tazza gialla dalla tavola e la pulì. Tutte le sere beveva il latte da quella tazza e se non la toglieva lui sarebbe rimasta lì anche per giorni. O, nel peggiore dei casi, suo padre l'avrebbe lanciata contro un muro in uno scatto d'ira.
Quando si avviò in camera sua trascinando i piedi, suo padre richiamò la sua attenzione con un biascico che Chris odiava. 
«Prendimi un'altra birra»
Chris, stanco come si sentiva, non avrebbe voluto accontentarlo, ma se non l'avesse fatto poi avrebbe urlato anche lui. Tornò in cucina e gli prese la birra, l'aprì prima che fosse lui a chiederglielo. Suo padre allungò il braccio tendendogli il bicchiere. Chris, pazientemente, lo prese e versò lentamente la birra. Michael gli aveva insegnato a versarla in modo tale che non formasse la schiuma in cima, poi aveva pensato che tutto il resto delle cose le poteva benissimo imparare da solo. Quell'uomo non gli dava mai troppa importanza, ma sotto i suoi occhi si sentiva a disagio e pensava sempre che di lì a poco gli avrebbe urlato qualcosa di cattivo. Quella sera lo scrutava stranamente con un'espressione fin troppo attenta. Chris non osava guardare altro che il bicchiere, ma lo sentiva già il suo sguardo attaccato addosso. Mille domande gli riempirono la testa e sentì un tremolio afferrarlo in una morsa. Non voleva farlo, non voleva che quel bicchiere gli sfuggisse così stupidamente dalle mani, non voleva che tutto il contenuto si rovesciasse sui pantaloni di suo padre e gocciolasse sul pavimento, non voleva che il rumore del vetro infranto facesse piangere Jonathan ancora di più.
Suo padre scattò in piedi e lui strizzò gli occhi, già sapeva che l'avrebbe picchiato. Lo afferrò per il maglione sdrucito e gli inveì contro. Chris non lo ascoltava, era una tecnica che aveva imparato da un pò. Non poteva tapparsi le orecchie, ma riusciva a non sentire la sua voce, la eliminava dalla sua testa. Purtroppo però i suoi occhi non potevano non vedere quella faccia arrabbiata che sembrava ruggire, e la puzza di alcol e fumo così vicina era impossibile da ignorare. Aveva molta paura e nessuno era lì a togliergli di dosso quella montagna di ossa e carne infuriata. In quei casi sperava che si limitasse a ripetergli come un automa quanto fosse stupido e inutile.
«Non ti bastano mai gli schiaffi?» gli domandò, tirando sempre più forte il maglione. Ce l'aveva addosso, a Chris faceva schifo anche solo toccarlo. Era sporco e puzzava. Neanche lui poteva definirsi pulito, ma la doccia non la faceva da soli due giorni, suo padre forse da una settimana. 
«Mio padre aveva ragione, servono sempre le maniere forti... spogliati»
Chris era confuso e non credeva di aver sentito bene, ma capì di non essersi sbagliato solo quando suo padre cominciò a ripetere che doveva spogliarsi e nel frattempo gli frugava fra i vestiti nel tentativo di cominciare a toglierglieli. Non sapeva cosa voleva fargli, di solito per picchiarlo non si metteva a perdere tempo nel denudarlo.
Si sentì afferrare per un braccio e trascinare per casa. Gli aveva lasciato addosso solo le mutande, ma per Chris era come stare totalmente nudo. Ciò che non capiva era il senso di quello che stava facendo, ma poi tutto si fece chiaro quando si fermarono davanti alla porta e suo padre l'aprì spingendolo fuori. Sentì immediatamente il freddo pungente e i piedi bagnarsi. Era dicembre e aveva nevicato per tre giorni di seguito, la neve si stava sciogliendo sotto di lui, ma non poteva combattere il gelo che gli comprimeva le costole ad ogni respiro.
«Resta qua fuori... e non provare a scappare o a chiedere aiuto, io ti guarderò dalla finestra» 
Chris non riuscì a rispondergli, la porta gli si chiuse in faccia sbattendo forte. Vide subito la figura di suo padre comparire dalla finestra di fianco. 
Aveva cominciato a tremare e a battere forte i denti. Corse verso quella figura dietro al vetro sperando di ritrovare un briciolo di umanità in lui chiedendogli scusa, ma suo padre lo guardava con indifferenza e la cintura dei suoi pantaloni già appoggiata sul davanzale non era d'aiuto. Si arrese dopo qualche minuto e gli diede le spalle cominciando a piangere. Gli sembrava di lacrimare lame di acciaio, gli tagliavano il viso. Stava attento a non mordersi la lingua fra i denti che battevano forte. Cercava di non restare fermo, di muoversi almeno un pò, ma col passare del tempo iniziò a sentirsi tanto debole da non riuscire nemmeno a reggersi in piedi. Non era mai stato molto forte fisicamente e sapeva bene che lì fuori non avrebbe resistito ancora molto. Piangeva, ma non per quello che stava vivendo, piuttosto perchè il suo desiderio più forte era quello di riuscire a scappare e trovare un riparo. La cosa che più desiderava non poteva ottenerla, aveva il terrore di un'ennesima reazione di suo padre. Allora non gli restava che stare lì seduto, a tremare e singhiozzare. 
Chris era solo un bambino e in quel momento, più di tutte le altre volte, desiderava morire. E quel desiderio, se pur forte, lo terrorizzava. Se nessuno si fosse deciso ad riaprire la porta, si sarebbe avverato.
Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando era stato sbattuto fuori casa. Gli sembrava un'eternità, un periodo tanto lungo da non poter essere inseguito nemmeno da un orologio, nemmeno da quelli costosi che sua madre invidiava alle persone ricche. Ma loro non erano ricchi perchè non avevano mai posseduto un orologio d'oro, così diceva sua madre. Chris non l'aveva neanche mai vista una persona benestante, non sapeva nemmeno che aspetto avesse, poteva solo immaginarsela come una creatura quasi mitologica. In quel momento, fra tutti i pensieri, ragionò sul fatto che sua madre avesse ragione: loro non erano ricchi. Nella sua testa, un bambino con un orologio costoso al polso, non poteva stare sdraiato fra la neve sciolta, con le dita delle mani tanto intorpidite da non riuscire più a sentirle e con un continuo tremare che gli contorceva le viscere. 
Un sospiro gli sfuggì dalle labbra e pianse, continuò a piangere per ancora molto tempo, sperando sempre di più di trasformarsi in quel bambino ricco. Così, come per magia. Ma dopo un pò capì che nulla sarebbe accaduto. Perse tutto ciò che gli rimaneva della sua infanzia da bambino povero, la magia non esisteva più e disse addio al suo vecchio amico immaginario che non era di fianco a lui a tendergli la mano. Provava una strana sensazione, sentiva i mille dolori sparsi nel corpo, la tristezza impressa nel cuore, ma la sua testa era leggera. Anche se continuava a piangere, aveva smesso di singhiozzare. Pensò che gli sarebbe piaciuto vivere ancora qualche anno, ma gli occhi gli si chiudevano e non era come quando aveva sonno.  Già sapeva che li stava chiudendo per l'ultima volta, sapeva che addormentarsi significava non potersi svegliare mai più. Ne era consapevole perchè lui non era stupido, anzi, fra tutti i bambini sapeva di essere quello più intelligente, non sbagliava mai e qualunque cosa dicesse questa poi accadeva. Chris aveva sempre pensato, pensato e pensato prima di aprire la bocca e sputare fuori parole inutili, era una caratteristica che l'aveva sempre distinto dagli altri bambini. Per il resto, era identico agli altri, vestito di stracci, con le unghia mangiucchiate e qualche segno addosso lasciato come ricordo da suo padre. Ma ormai non era più importante neanche fare differenze fra lui, i figli dei vicini e i bambini ricchi, allora chiuse gli occhi e aspettò che i dolori lancinanti svanissero e che quel freddo fosse rimpiazzato da qualcos'altro, qualunque altra cosa. 
Provò un'emozione strana quando percepì qualcosa toccargli il viso, era la stessa sensazione che provava quando piangeva. La sua curiosità lo costrinse a riaprire quegli occhietti sempre un pò vispi, ma che in quella serata avevano perso la loro lucentezza. Non riuscì ad avere subito una completa percezione di ciò che stava accadendo intorno a lui, ma dopo poco il suo corpo venne scosso ancora, ma dallo spavento. Un tuono così forte non l'aveva mai sentito, ma una pioggia come quella che sarebbe arrivata dopo pochi secondi l'aveva già vista, era comune che lì arrivassero tempeste di quel genere. Guardò con gli occhi socchiusi il manto di neve sulla strada sciogliersi sotto la pioggia e nonostante tutto, riuscì a tirare su un angolo della bocca, una scarsa imitazione di un sorriso. Quella pioggia sembrava calda sulla sua pelle di ghiaccio, gli diede qualche istante di sollievo. Inaspettatamente, quei pochi secondi gli bastarono a riprendere coscienza del suo corpo. Non capiva cosa gli stesse succedendo, perchè all'improvviso tutto sembrava essere ritornato così reale. Per la prima volta prese un respiro di proposito e non solo perchè il suo corpo ne sentiva il bisogno. Decise che non sarebbe morto lì. Suo padre si sarebbe arrabbiato molto, forse l'avrebbe ucciso dopo qualche minuto a calci e pugni, ma Chris non sarebbe rimasto nudo in quel freddo di dicembre. Prese ancora qualche respiro,sapeva quanto fosse necessario per dare forza al suo corpo debole. Ma dovette farlo piano, gli sembrava di inspirare veleno ogni volta. Quel veleno fu la sua unica arma, lo aiutò ad alzarsi da quella pozza d'acqua gelida. Non sapeva se dopo tutto quel tempo suo padre fosse davvero rimasto in casa ad osservarlo, era spaventato al solo pensiero che non si fosse rimesso sulla poltrona a bere la sua birra da un altro bicchiere, ma ormai si era alzato, non poteva deludere se stesso così tanto. Non guardò mai alle sue spalle. Cominciò a camminare, prima piano, zoppicando e rischiando di cadere, poi sempre più veloce. Sentiva i muscoli come pietre pesanti, le ossa volevano sciogliersi, accasciarsi al suolo. Ogni passo era sempre più complesso di quello precedente. Non capì quanto realmente si fosse allontanato da casa sua quando due braccia lo afferrarono, gli si strinsero intorno e lo sollevarono dal cemento duro e spaccato della strada. Non riusciva a sentire nulla, nelle sue orecchie cera solo un fischio, quello del silenzio.  Quelle braccia intorno al suo corpo gli stavano lacerando la pelle, lo stringevano forte, lo spostavano. Sapeva che quello era suo padre, la puzza di alcol e sudore padroneggiavano anche su quella dolce fragranza della pioggia. Si abbandonò, si lasciò stritolare e portare ovunque lui volesse. Era realista, in quel momento sapeva che pur volendo non avrebbe mai potuto combattere contro di lui, cercare di sfuggirgli era inutile. Non urlò, non provò neanche a richiamare l'attenzione di qualcuno. Se ne sarebbero comunque rimasti tutti a letto o, qualcuno più impavido, sarebbe uscito e avrebbe osservato la scena con curiosità. E Chris non aveva mai amato dare spettacolo di se stesso, non in quel modo. Allora rimase in silenzio e attese. La parte più brutta per lui arrivò dopo pochissimi minuti, quando sentì il suo corpo sbattere pesantemente su una superficie dura. Il pavimento di casa sua. Sentì di nuovo il pianto di Jonathan e quello strido straziante gli scaldò il cuore. Pensò solo a nutrirsi del bene che voleva a quel bambino che a quattro anni ancora non smetteva di comportarsi da neonato. Non poteva ignorare del tutto i calci che stava prendendo, le cinghiate che di tanto in tanto si facevano sentire, più acute e insopportabili. Allontanare la mente lo aiutò a superare quella notte. Una notte in cui Chris, un bambino povero e senza speranza, aveva pianto, sperato di morire, sorriso per una tempesta e ascoltato i lamenti di suo fratello come se fossero l'unica soluzione per fuggire a quell'inferno.    

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Le aveva chiesto scusa, aveva finto di non aver improvvisamente rivissuto una scena che pensava di aver accantonato per sempre, poi l'aveva aiutata a ripulire. A Sheryl non era sfuggita la totale assenza dell'altro, e capì che Chris aveva mentito quando le aveva detto che era solo colpa dei giramenti di testa. Era sicura che qualcosa l'aveva turbato, ma avrebbe provato a chiedergli spiegazioni in un altro momento, quella non era la sede adatta.
Lo osservò per tutta la serata, il suo atteggiamento era diverso dal solito. Chris era un ragazzo quasi sempre sorridente, abbastanza spontaneo. Dopo l'episodio del bicchiere, si era come rabbuiato e i suoi sorrisi sembravano comparire per sbaglio sul suo viso, erano forzati. Non dava l'idea di essere triste, piuttosto sembrava pensieroso. Teneva lo sguardo fisso nel vuoto finchè poi non veniva distratto. Lei provava sempre a smorzare quella tensione con qualche battuta, ma poi riceveva uno sguardo strano. Forse Chris aveva intuito che lei si era accorta del suo comportamento. Moriva dalla voglia di sapere cosa stesse pesando e, soprattutto, sperava che non si fosse creata quel contorto castello di pensieri inutilmente.
Dopo cena Chris sembrava ancora più irrequieto agli occhi di Sheryl. Ne approfittò di un momento in cui si ritrovarono entrambi soli in cucina, per assicurarsi che stesse bene.
«Chris, è successo qualcosa? Mi sembri un pò nervoso»
Il ragazzo, che la stava aiutando a sparecchiare, posò  i piatti nel lavello.
«No, va tutto bene... devo chiamare mia sorella, scusami» 
«Sì, tranquillo» disse seguendolo appena con lo sguardo mentre lui ritornava sul balcone. Capiva perchè era sempre preoccupato per sua sorella. L'aveva visto il posto da cui proveniva e non era il massimo dello splendore. Davanti ai suoi occhi, in pieno giorno, aveva visto passare un uomo ubriaco che si reggeva al braccio di una donna con addosso una minigonna inguinale. Quella non era di certo sua moglie.
Decise di non restare lì impalata ad ascoltare la sua telefonata e finì di sparecchiare. Solo quando lo vide rientrare, fingendosi il meno interessata possibile, gli lanciò uno sguardo e sorrise.
«Come sta tua sorella?»
«Bene, ti saluta» 
Sheryl sorrise. Era già cambiato qualcosa, il viso di Chris era totalmente diverso, più rilassato. Ormai aveva passato abbastanza tempo con lui da poter dire che quella era la sua parte migliore. Quando era tranquillo tutto gli riusciva meglio, intorno a lui le cose sembravano funzionare bene.
«Chris, ti va una sigaretta?» gli chiese Michael tendendogli già il pacchetto per offrirgliene una. Chris accettò e insieme si recarono sul balcone. Stavolta Chris stette ben attento a non sporgersi troppo e a guardare altrove.
«Non sapevo che fumassi» disse Chris osservando la strana immagine di Michael con una sigaretta fra le labbra.
«Infatti non fumo di solito, avrò questo pacchetto da un mese, ma dopo una cena così me la posso concedere una»
«Già... era buona la cena» disse Chris.
«Detto fra noi, da Sheryl mi aspettavo di peggio» aggiunse dopo qualche istante. Michael rise, annuendo.
«È stata cresciuta da una donna brava in cucina e da un cuoco, c'era da aspettarselo»
Chris, per un attimo, aveva dimenticato ciò che Sheryl gli aveva raccontato sulla sua vita, ma gli ritornò tutto alla mente giusto in tempo, evitando situazioni imbarazzanti e lunghi silenzi.
«Il marito della tua ex moglie?»
Michael annuì.
«Ha imparato a cucinare da lui... e pensare che se mai dovesse bucare non saprebbe cambiare la ruota» disse con una voce meno allegra e lo sguardo pensieroso. Chris si sentì in dovere di provare a tirarlo almeno un pò su.
«Sarebbe una scusa perfetta per poterti chiamare, no?»
L'uomo gli sorrise.
«A volte mi chiedo se almeno nel mio piccolo sono stato un buon padre, ma non lo so, io e Sheryl non abbiamo passato molto tempo insieme»
«Lei mi ha detto che in tutti questi anni tu l'hai sempre cercata, e il solo fatto che ti dispiace per non essere stato abbastanza presente, ti rende un padre migliore di tanti altri»
Michael si prese il suo tempo prima di parlare. Assorbì lentamente le parole di Chris che gli furono stranamente di conforto. Era da anni che non apriva bocca sull'argomento e parlarne non era per niente semplice.
«Tuo padre com'è? Non mi hai mai parlato di lui»
Chris si lasciò sfuggire un mezzo sorriso e un lamento che si undì anche contro la sua volontà.
«Mio padre è... probabilmente la persona più inutile di questo pianeta» disse senza alcuna inclinazione nella voce.
«Non c'è stato?»
Chris scosse la testa e ancora una volta Michael potè notare quanto fosse inespressivo il suo volto in quel momento. Non pensò che stesse nascondendo qualcosa dietro quella maschera, si vedeva che non stava provando assolutamente nulla.
«Prima restava un pò con noi, ma forse è stato meglio per tutti se ha preso l'abitudine di passare tutto il tempo fuori casa»
«E... tua madre?»
A quel punto, un istante dopo quella domanda, il viso di Chris cambiò. Stava pensando, con più intensità.
«Lei non... non sta bene, non è mai stata bene» disse.
«Non so cosa abbia, a volte passo anche mesi senza vederla... di solito se ne sta chiusa in camera sua e io che non sto mai a casa non la incrocio neanche se si alza una volta al giorno per andare in bagno, capisci?»
«In realtà è un pò difficile immaginarsi la tua situazione, pensavo avessi una famiglia... normale»
«Bhe, è questa la mia normalità... in compenso ho mia sorella che è meravigliosa, lei è una delle poche persone su cui so di poter contare»
Michael sorrise ripensando a quante volte al giorno lo lasciava libero di chiamare Betsy. Chris ripagava sempre quella sua gentilezza passando al telefono solo pochissimi minuti e riprendendo a lavorare subito dopo, senza perdere altro tempo. In fondo, non gli dispiaceva dargli qualche minuto di pausa, visto che a fine giornata gli portava sempre a termine ogni lavoro. Michael pensò che lui, all'età di Chris, non aveva tutta quell'energia che invece il ragazzo aveva ogni giorno. Spesso gli era capitato di lasciare incompleti dei lavori che potevano essere rimandati, ma Chris invece non lasciava mai nulla in sospeso. A meno che non fosse Michael stesso a chiederglielo.
Il giorno in cui Chris era andato da Michael a chiedergli se poteva dargli un lavoro, Michael aveva quasi pensato di mandarlo via. Ciò che aveva visto poco tempo prima non lo convinceva affatto. Un ragazzo che si ubriaca da solo, in quel modo così autolesivo, con gli occhi rossi e bagnati, non gli sembrava un buon partito per la sua piccola impresa. Fortunatamente però quel giorno Chris stava bene, i suoi occhi erano normali e l'unica cosa che gli stava chiedendo era di poter almeno concedergli un breve periodo di prova. Gli aveva detto di non aver mai lavorato in quel campo, ma aveva anche aggiunto che sapeva apprendere le cose velocemente. 
Quella sera, appoggiato al tavolo, con quel ragazzo di fianco, fu felice di avergli permesso di lavorare con lui. Chris, nonostante la sua giovane età, si era dimostrato una persona ligia al dovere e, per fortuna, non aveva dovuto mandarlo via come aveva fatto con altri.
«Spero di essere fra quelle persone, Chris... anche perchè se non è così da domani comincio a lavorare di nuovo da solo» disse con un sorriso alla fine. Non gli andava di passare quella bella serata a parlare di cose tristi, anche se gli piaceva capire qualcosa in più della persona con cui passava più tempo in assoluto.
Chris rise e gettò la sigaretta che, più che fumata, si era lasciata consumare dal vento.
«Te lo chiedi anche? Tu sei in cima a quella lista, vieni anche prima del mio miglior amico» rispose. Gli passò per la mente Trevor, che in realtà non se ne andava mai dalla sua testa. Non sapeva perchè non avesse trovato il tempo di chiamarlo o di cercarlo, ma presto avrebbero dovuto incontrarsi. Chris aveva l'assoluto bisogno di sapere se si era ripreso. E, comunque, un pò gli mancava.
Michael gli diede una pacca sulla spalla, poi insieme rientrarono in casa.
«Ah, finalmente, pensavo vi foste buttati dal balcone» esclamò Sheryl quando li vide rientrare. Aveva già ripulito tutto ed era comodamente seduta sul divano, davanti alla tv.
«Che umorismo macabro» mormorò Chris sedendosi di fianco a lei. Sheryl sembrò irrigidirsi per un attimo, poi gli sorrise. Era così evidente che le risultava difficile averlo intorno, soprattutto così vicino, e per qualche strana ragione Chris adorava punzecchiarla. Vedere la reazione che provocava in lei ogni volta era stranamente appagante. Gli piaceva farlo un pò con tutti, ma ovviamente preferiva dei soggetti che gli davano più soddisfazioni.

Michael l'aveva riaccompagnato a casa. Chris avrebbe preferito tornare da solo, ma lui aveva insistito. Si erano salutati e poi le loro strade si erano divise, si sarebbero rivisti il lunedì prossimo all'officina. 
Quando Chris rientrò in casa fu ben felice di trovarla come l'aveva lasciata. Betsy era già a letto, ma aveva aspettato che tornasse prima di addormentarsi. Chris si mise a letto senza spogliarsi, tolse solo le scarpe. Guardò per un pò sua sorella mentre si abbandonava al sonno più profondo. Ogni volta che tornava tardi a casa, la trovava ancora sveglia ad aspettarlo. Betsy, un pò come una mamma, diceva che dormiva più tranquillamente quando lo vedeva rientrare sano e salvo dopo un'intera giornata di assenza, ma Chris aveva il sospetto che invece lei non riuscisse a prendere sonno perchè aveva pura di stare sola. Da sveglia poteva essere vigile, sentire qualche eventuale strano rumore e scappare in caso di pericolo, ma se dormiva non poteva fare tutto ciò. La sua compagnia le dava conforto, non era sola. 
Quando ne ebbe abbastanza di vederla dormire, si alzò e prese il cellulare chiamando Ricky subito dopo.
«Mmmh»
Chris sorrise chiudendosi la porta alle spalle. Si avviò verso la cucina.
«Ehi... stavi dormendo?» gli chiese mentre cercava qualcosa da bere in frigo.
«Sì» rispose l'altro, la sua voce era appena percettibile.
«Scusa, non volevo svegliarti, ma... mi avresti ucciso se non ti avrei chiamato, non è vero?»
Dopo pochi secondi di totale silenzio sentì il rumore delle coperte e poi nient'altro. Aveva riagganciato? Senza dire altro?
Chris rimase a guardare lo schermo del cellulare con un'espressione incredula, nell'altra mano teneva una bottiglia d'acqua. Non ebbe neanche il tempo di ricomporre il numero che fu proprio Ricky a richiamarlo.
«Ehi, Chris... ehm, scusa, non l'ho fatto apposta»
«Okay, tranquillo, va tutto bene?» gli chiese. Nella voce di Ricky sentiva una strana inclinazione. Sperava di non essere troppo paranoico, ma dopo tutto ciò che era successo aveva sempre il timore che qualcosa potesse accadere da un momento all'altro. 
«Sì, tutto bene, è solo che mi sono appena svegliato quindi... com'è andata la cena?» 
«Bene, abbiamo mangiato tanto» disse aprendo la bottiglia e dirigendosi nel salone mentre beveva qualche sorso.
«Okay... senti, ho davvero tanto sonno e anche tu sarai stanco, perchè non ci sentiamo domani?»
«Ehm... va bene, a domani» disse dopo una breve pausa. Sentì un saluto in un sussurro, ma quando gli augurò una buonanotte era già troppo tardi, aveva staccato di nuovo. Non riusciva a capire tutta quella fretta, di solito era proprio lui a voler passare più tempo al telefono. 
Sospirò lasciando cadere il cellulare sul divano. Si distese nonostante quello non fosse il posto più comodo e accese la tv. Non c'era nulla di molto interessante a quell'ora, ma tanto a Chris non importava. Stava continuando a pensare a Ricky e al suo comportamento. Non che trovasse così assurdo che volesse dormire, ma avrebbe voluto passare un pò di tempo con lui, anche se solo al telefono.
Sospirò riprendendo il cellulare. Cercò un numero in rubrica, il numero di Trevor. Era tardi, ma sapeva di trovarlo sveglio, non era un gran dormiglione. Non lo sentiva da tempo, non sapeva neanche cosa dirgli, voleva solo parlare con lui. In realtà non aveva idea del perchè si fosse impuntato tanto. Neanche Trevor, una volta uscito dall'ospedale, si era fatto vivo, quindi perchè sentiva quel senso di colpa? Eppure si stava preoccupando per lui. Aveva voglia di rivederlo, di sapere come stava. Gli mancava avere il suo migliore amico fra le scatole.
Il cellulare squillò una, due, tre volte, ma Trevor non rispose. Ci riprovò ancora una volta e poi un'altra volta, ma niente. Avrebbe voluto distruggerlo, quel cellulare.
Certo, era probabile che stesse dormendo, però Chris si fece prendere lo stesso da quel leggero moto di rabbia. Si alzò dal divano e andò dritto in camera sua. Si rimise le scarpe e prima di uscire accarezzò delicatamente i capelli di sua sorella. Sapeva che non era il caso di lasciarla da sola a quell'ora, ma non riuscì a fermarsi. Chiuse la porta e uscì di casa. Camminò a passo spedito, evitò di bussare a casa di Trevor, sicuramente non era tornato lì. Pensò a mille posti in cui si sarebbe potuto rifugiare e li avrebbe ispezionati, uno ad uno. Trevor aveva una vasta cerchia di amicizie che neanche a lui erano sconosciute. Era gente poco raccomandabile e da tempo Chris aveva preferito allontanarsene per restare con i piedi per terra. Ma Trevor non aveva nessuno, doveva provvedere solo a se stesso, quindi aveva continuato a frequentarli.
Guardò in tutte le stradine, chiese ad ogni persona, e ogni volta sperava di non trovarlo insieme a quella gente. Non voleva che si fosse cacciato in qualche casino per colpa di quei delinquenti. Ci aveva provato un sacco di volte ad allontanarlo da quelle cattive compagnie, ma alla fine aveva rinunciato. Trevor era abbastanza grande da poter decidere per se stesso e poi era sempre stato in grado di darsi una controllata. Gli altri si abbandonavano lungo marciapiedi, finivano per addormentarsi anche sulle panchine, ma Trevor no, lui si lasciava trasportare dalle cattive abitudini senza però farsi schiacciare. Aveva fiducia in lui, si fidava come non si era mai fidato di nessuno. I suoi vecchi amici l'avrebbero pugnalato alle spalle pur di raggiungere i proprio scopi, mentre era sicuro che Trevor avrebbe preferito ammazzarsi piuttosto che tradirlo. 
Si stava avviando in quella zona del parco dove di solito si riuniva a tarda ora con i suoi amici. Lì a volte Trevor si guadagnava qualcosa. Non vendeva roba troppo buona, ma i compratori erano solo ragazzini inesperti e gente talmente disperata da accontentarsi di qualsiasi cosa. 
«Chris... sei tu?»
Si voltò verso quella voce. Sapeva che non era Trevor, ma quella voce gli era familiare lo stesso. da dietro un albero comparve un ragazzo di colore, grosso, poco più basso di lui. Non era cambiato dall'ultima volta che l'aveva visto.
«JJ... ancora qui?»
Il ragazzo si guardò intorno, po si avvicinò di più. 
«Eh sì... ma tu che fine hai fatto? Non ti fai vedere da una vita» disse ridendo e dandogli un pugno sulla spalla.
«Cazzo, JJ... fallo di nuovo e sei morto» disse massaggiando il punto in cui era stato colpito. Jordan Johnson, meglio conosciuto come JJ, era famoso per le sue mani incapaci di dare carezze. Anche quelle sarebbero sembrate sberle. Ma, di fondo, era un bravo ragazzo. Chris l'avrebbe definito un giocherellone, come tutti però aveva dovuto adattarsi, anche perchè non sarebbe mai diventato qualcuno, era troppo stupido per andare a scuola e crearsi un futuro. Spacciava cocaina e erba da quando era solo un bambino. Quella vita contrastava con il suo carattere, ma non tutti lo conoscevano e la sua stazza intimidiva chiunque. Il suo aspetto era l'unica garanzia che aveva per potersi guadagnare qualcosa spacciando in quel parco.
«L'hai sempre detto, ma non mi hai mai ucciso veramente»
«Hai ragione, questa potrebbe essere l'occasione giusta»
JJ rise come se avesse sentito una barzelletta. Chris pensò si fosse calato qualcosa quindi lasciò perdere.
«Senti, per caso hai visto Trevor?»
«Trevor? Ehm... non mi pare»
«Sei sicuro? Guarda che è importante» disse Chris con un tono serio.
JJ si guardò intorno.
«Io non faccio la spia» sussurrò. Chris allora si insospettì e finalmente, dopo due ore di ricerche, cominciava a vedere uno spiraglio di luce.
«Ti prego, Jordan, non lo dico a nessuno»
Si guardarono negli occhi per un bel pò, poi JJ dovette cedere.
«L'ho visto qui ieri notte... è andato via con Brent Morris, hai presente?»
Chris ci pensò. Quel nome non gli era assolutamente nuovo. Trevor e Brent erano amici da quando erano piccolissimi, ma la loro amicizia col tempo si era trasformata. Da ciò che sapeva si vedevano solo in caso di necessità, e quella sembrava una necessità. A Chris non piaceva neanche l'idea che Trevor frequentasse quel tizio. Brent era un tipo molto più furbo di JJ, per lui spacciare droga era una copertura. I Morris erano una famiglia più che numerosa, sparsa nel mondo. Erano tutti in un grande giro di prostituzione e traffico d'armi. Quello era il personaggio più losco che avesse mai conosciuto, un vero e proprio malvivente. In realtà credeva che Trevor si fosse allontanato da lui, ma aveva appena scoperto di aver creduto male per tutto quel tempo. Dentro di sè sperava che non si stesse rifugiando a casa sua, ma Brent abitava nella direzione opposta al suo quartiere, quindi JJ poteva avere ragione.  
«Senti, Chris, quello mi uccide se viene a sapere che ho detto il suo nome» disse JJ, preoccupato.
«Lo so, ma andrò da lui, quindi se vieni a sapere che sono morto dattela a gambe»
Il ragazzo rise, una risata nervosa, il suo viso esprimeva solo paura. Chris lo ringraziò e lo salutò allontanandosi subito. Prima di farsi ammazzare da Brent Morris provò più volte a chiamare Trevor. Perchè non gli rispondeva? Ce l'aveva così tanto con lui da negargli anche una chiacchierata al cellulare?

Fuori casa di Brent l'aria era cupa. C'era spazzatura lungo il marciapiedi, il giardino lasciato a morire alle intemperie e una casa che sembrava cadere a pezzi. Chris poteva solo immaginare quanti soldi potessero avere, eppure vivevano in quella merda di posto solo perchè per loro, restare nell'anonimato, era la migliore delle scelte.
Dalle finestre vedeva una luce fioca, sembrava che fossero tutti svegli. Si avvicinò alla porta e bussò più volte. Non si sentiva molto a suo agio, ma doveva trovare Trevor e togliersi quel peso dalle spalle una volta per tutte.
Ad aprire fu uno dei cinque fratelli Morris, lo conosceva solo di vista, ma non sapeva neanche il suo nome.
«Chi diavolo sei?» gli chiese. Sembrava annoiato.
«Se ti dico il mio nome continuerai a non conoscermi»
Il ragazzo lo guardò male, ma non disse nulla.
«Sto cercando Trevor»
A quel nome, vide la porta aprirsi del tutto e di fianco al ragazzo comparve Brent. Era un ragazzo bassino, con i capelli biondi e gli occhi neri. Aveva una grossa cicatrice sulla fronte. Lui diceva che se l'era procurata dopo una rapina, scappando dalla polizia, ma Trevor gli aveva detto che da piccolo era caduto dalla bicicletta e si era spaccato la testa sul marciapiede. 
«Christopher Cerulli... qual buon vento?»
«Dov'è?» chiese Chris, era già troppo stanco di perdere tempo.
«Chi?»
«Trevor... devo parlare con lui»
Brent sospirò e scosse la testa.
«Non è qui, mi dispiace» mentì, con un sorrisetto alla fine, poi tentò di chiudere la porta ma Chris glielo impedì.
«Lo so che è qui, fammi parlare con lui»
Brent riaprì la porta. Il suo viso era una via di mezzo fra l'annoiato e l'arrabbiato. Non era rassicurante.
«Per il tuo bene, Chris, non farmi incazzare... vattene»
Chris scosse la testa. Non si sarebbe mosso da lì. Da quando doveva mettere su un teatrino del genere per vedere Trevor?
Brent prese un grande respiro e rientrò in casa. Fu un attimo, Chris non ebbe neanche il tempo formulare un pensiero che si ritrovò con la canna di un fucile puntata verso il petto.
«Te ne vai, sì o no?»
Chris deglutì. Raramente aveva provato così tanta paura in tutta la sua vita, ma allo stesso tempo aveva la certezza che Trevor era lì e che non avrebbe permesso a Brent di sparargli.
Fece un passo in avanti, abbastanza da annullare ogni distanza fra il fucile e il suo sterno.
«Trevor... esci, figlio di puttana» urlò senza spostare lo sguardo dagli occhi di Brent.
«Vuoi morire?»
«Trevor» urlò ancora, ignorando le minacce del ragazzo. Un istante dopo si trovò addosso altri quattro ragazzi armati. Non riusciva neanche più a capire che quelle erano vere pistole, che bastava uno solo di quei proiettili per ucciderlo. Quel fucile gli stava bucando il petto tanto premeva contro la pelle. 
Ormai era lì, non c'era modo di tornare indietro. Urlò per l'ennesima volta il nome dell'amico. Loro continuavano a puntargli le armi addosso, sempre più vicini, sempre più minacciosi.
Non si sarebbe fermato, avrebbe continuato finchè Trevor non fosse uscito da quella casa. O finchè quei cinque non l'avessero lasciato morto davanti alla porta.
«Sto perdendo la pazienza» gridò Brent.
«Vattene» disse ancora spingendo sempre di più contro di lui. Anche gli altri cominciarono ad assalirlo e spingerlo via, ma Chris non si allontanò. L'avrebbe portato via da lì una volta per tutte, Trevor non sarebbe rimasto con quella gente.
Chris ormai non aveva più il controllo di quella situazione, era tutto nelle loro mani. Decise di fidarsi ancora una volta di Trevor, anche in quella circostanza. E gridò ancora il suo nome. Si creò un miscuglio di voci che andavano ad alzarsi sempre di più e, infine, uno sparo.





...Okay, grazie, ciao c:
 

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