Western shore

di Tide
(/viewuser.php?uid=732171)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La partenza ***
Capitolo 2: *** Una voce più reale ***
Capitolo 3: *** Lorelei ***
Capitolo 4: *** Il mare ***
Capitolo 5: *** Il viaggio ***
Capitolo 6: *** Il fuoco fatuo ***
Capitolo 7: *** La Dama ***
Capitolo 8: *** Tales of gore ***
Capitolo 9: *** Sleepy Hollow ***
Capitolo 10: *** Kleine dame ***
Capitolo 11: *** Sotto l'Albero dei Morti ***



Capitolo 1
*** La partenza ***


~~1- LA PARTENZA

Era sempre strano avere addosso i semplici vestiti di una persona povera e comune, dopo aver indossato a lungo abiti da guerra. Era sempre strano chiamare casa un posto. Era sempre strano tornare per qualche tempo ad avere una sorella amorevole. Era piacevole, ma così strano che non avrebbe mai potuto fermarsi a lungo. E anche quella volta sarebbe partito presto, molto presto.
Pensava a quel viaggio, alla guerra che lo attendeva e intanto osservava Theresa che preparava la colazione, nell’angusta cucina dell’inferma casetta.

Erano diversi. Lei aveva un pallore di neve, di latte, lui era pallido come un cadavere; lei aveva occhi azzurri come il cielo d’estate, lui li aveva chiari come il ghiaccio; i capelli della donna erano rossi e riflettevano la luce del sole, lui li aveva neri come il cielo di una notte senza luna; Theresa aveva gesti quieti e pazienti, lui non conosceva pace.
Nessuno avrebbe pensato che fossero fratelli per legame di sangue e non lo erano. Theresa, ancora ragazzina,  aveva raccolto sotto il proprio mantello una creatura di tre anni, ringhiante e fradicia di neve, e da allora lei era sua sorella. Gli aveva indicato luoghi sicuri per riposare, l’aveva aiutato a procurarsi di che vivere, gli aveva insegnato a parlare, a leggere e scrivere.
“Gli altri non vedono il mondo come lo vedi tu.” Gli aveva sempre detto “Tu sei speciale, fratello mio.”
Quella piccola creatura era ora un uomo forte, un temibile mercenario.

Theresa si voltò un momento
“Partirai domani, vero?”
Disse con calma
“Come lo sai?”
Lei venne al tavolo e gli porse la colazione con un sorriso triste e paziente
“Lo vedo dai tuoi occhi.”
La donna si sedette di fronte a lui.
“So che non puoi restare.” Sospirò a capo chino. Poteva sentire lo sguardo del fratello puntato addosso e si sforzò di sorridere “Non sei mai stato così lontano.”
L’America. No, non era mai stato così lontano. Non le rispose.
Theresa si alzò.
“Ho brutti presentimenti per questo viaggio.” Disse in tono più grave.”I fuochi fatui non hanno brillato in questi giorni e i corvi hanno fatto il nido qui vicino.”
“Sai che non posso restare.”
“Lo so.” Mormorò Theresa. Seguì un lungo silenzio, nel quale non fecero che guardarsi negli occhi. “Cerca di tornare, fratello mio.”

Quella notte il Cavaliere si diresse al bosco presso la casupola, si addentrò fin dove sapeva si vedevano i fuochi fatui e attese finchè nel cielo non vide il bianco dell’alba sostituirsi al nero della notte. I fuochi fatui non erano venuti a salutarlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Una voce più reale ***


~~2- UNA VOCE PIU’ REALE

Doveva proseguire a sud, verso il Reno. Il più delle volte si accontentava di rifugi di fortuna o si lasciava guidare da Temerario lungo la notte.
Quella sera invece s’era imbattuto in una locanda, in un paesino, e aveva deciso di fermarsi per la notte, raccogliere alcune provviste e lasciar riposare il destriero.
Si occupò innanzi tutto di Temerario, avendo cura di sistemarlo come meglio era possibile insieme agli altri cavalli  e di fornirgli acqua e cibo a sufficienza.
 Poté  cogliere appena l’atmosfera allegra solita delle  locande, perché, quando entrò, d’improvviso tutti tacquero, chi per averlo riconosciuto, chi colpito dall’apparizione, chi semplicemente per sapere che stesse succedendo.
Il Cavaliere avanzò verso il bancone, cercando di non far caso al senso di minaccia che emanava quel silenzio venato di bisbigli. Conosceva un solo modo di reagire a una minaccia: la strage.
Passando lanciò uno sguardo agghiacciante  in un angolo del locale, dove il violinista se ne stava con l’archetto a mezz’aria. Quello riprese a suonare e poco a poco il brusio tornò quasi ai livelli consueti.
Il Cavaliere mise sul banco i soldi per una notte e un pasto, senza aprir bocca e si ritirò in disparte, a un tavolo vuoto.
Socchiuse gli occhi e passò lo sguardo su tutte le figure che si muovevano e parlavano in quella locanda. Quasi non gli sembravano reali, come se lui non appartenesse allo stesso mondo, come se loro non fossero del suo stesso mondo.
Chiuse gli occhi cercando di allontanare quelle voci e quei suoni. Tra tutti loro c’era qualcuno …
Era una presenza che percepiva poco a poco più vicina,  finchè non la sentì seduta al proprio finaco, senza vederla, senza poterla toccare, tiepida e affine:
Da me non sei diverso 
sussurrò al suo orecchio una voce per lui più reale.  

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Lorelei ***


~~3-  LORELEI

Giunse al porto fluviale il giorno stabilito. Gli altri mercenari radunati dalla principessa erano affaccendati presso i moli, salivano e scendevano dalle navi. Lui osservava da lontano: avrebbe fatto volentieri a meno dei propri compagni esattamente quanto loro avrebbero fatto volentieri a meno di lui.
Non sarebbe salito su una di quelle navi, le avrebbe seguite a cavallo lungo il corso del fiume.
Il Cavaliere avrebbe dovuto affrontare un lungo viaggio senza il suo destriero e  per nulla al mondo avrebbe accettato di separarsene prima che fosse strettamente necessario. Dopo tutto Temerario non conosceva la stanchezza e il suo padrone non la soffriva.
Alla Gola del Reno dovettero addirittura attendere: stavano precedendo le navi.
Il Cavaliere era passato spesso da quelle parti: le imbarcazioni procedevano con cautela in quel tratto e si parlava di una creatura meravigliosa e terribile che induceva al naufragio.
Lorelei …” mormorò l’uomo chinandosi sull’acqua.
Ogni volta provava il desiderio fortissimo di assistere, partecipare a un naufragio per vedere e toccare quell’immensa potenza, vedere quella creatura, sentire quel canto di morte.
Attese osservando incuriosito il proprio riflesso
Lorelei …” ripetè piano. 
… Aveva i suoi stessi occhi di ghiaccio, capelli lunghissimi che si confondevano nell’acqua nera e denti acuminati che più volte avevano assaggiato la carne e il sangue di un uomo …
  Ricordava d’averla cercata a volte, per ore, e mai l’aveva sentita così vicina.
Chiuse gli occhi piano, la mente rivolta alle profondità dell’acqua, e fu allora che la sentì cantare, divina,  solo per lui.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il mare ***


~~4- IL MARE

Arrivarono al Mare del Nord in una giornata capricciosa di primavera, con un cielo ingombro di nubi scure e nella quale l’aria immobile prometteva di diventare tempesta entro breve.
Era la prima volta che il Cavaliere si trovava davanti a quello spettacolo; non una delle sue molte battaglie l’aveva mai portato sulla costa.
Non si vergognò del proprio stupore quando vide il mare. Non gli importava altro che quella vista incredibile: acqua ovunque a perdita d’occhio, acqua che respirava regolare e potente, acqua assolutamente padrona di tutta la strada di lì all’America.
La prima cosa che fece fu scendere alla spiaggia, fin dove le onde morivano. Si levò il guanto, mise la mano bianca in acqua e se la portò alla bocca per sapere se davvero il mare sapeva di sale come dicevano.  Temerario fece per bere, ma il Cavaliere lo trattenne
“Salata.” Disse.

Quella notte iniziò a soffiare il vento, il mattino dopo il temporale sferzava la costa e quando il Cavaliere vide il mare in tempesta ne fu addirittura esaltato. Subito abbandonò gli alloggi, prese Temerario e lo condusse tra le onde, in pieno fortunale. L’acqua non aveva più il colore plumbeo del cielo: ora era nera e le sue ignote e glaciali profondità si rimestavano con la superficie, schiumando; Il mare aveva smesso di respirare e sussurrare, ora ruggiva, si agitava con furia e il Cavaliere e il suo nero destriero erano come una parte di esso.
“Che se lo prenda un fulmine.” Pensarono quelli che lo videro, ma il Cavaliere era a casa ovunque non vi fosse pace- e non c’era nulla di pacifico in quelle acque scure- e sapeva che nulla poteva accadergli. Più volte una folgore colpì l’acqua e più volte la corrente lo portò dove i pesanti abiti da guerriero avrebbero potuto trascinarlo sul fondo, ma non ebbe alcun timore.
Rimase tra quelle enormi onde battute dalla pioggia finché l’acqua ghiacciata non ebbe reso viola le sue labbra e degna di una fantasma la sua pelle. Allora si aggrappò a Temerario e il cavallo, senza bisogno di ordini, lo trascinò a riva.  

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Il viaggio ***


~~5- IL VIAGGIO

Gli altri soldati avrebbero definito il viaggio lungo e scomodo. Per il Cavaliere fu come essere sepolto vivo. Sentì da subito la mancanza di Temerario, che era stato imbarcato su un’altra nave insieme agli altri destrieri, come di una parte vitale di sé stesso.
Dal secondo mese soffrì terribilmente una solitudine popolata di spettri che si facevano sempre più sconosciuti e confusi man mano che si allontanava dall’Europa. Entro poco non si trattò che di un groviglio di voci, sensazioni e sfuggenti immagini.
Restava quasi tutto il tempo sotto coperta, stretto in un angolo, decapitando tutti i topi che capitavano a tiro: erano veramente troppi ed era giunto a pensare che avrebbero potuto rosicchiare anche la sua mente e la sua anima come facevano con tutto il resto.
Usciva sul ponte solo quando c’era tempesta per assicurarsi che la nave con a bordo i cavalli non subisse danni e per vedere il più vicino possibile il mare in quello stato glorioso e terrificante. Ne traeva sempre sollievo.
Ma c’erano momenti in cui fantasmi, visioni, grida, sussurri giungevano a occupare tutta la sua mente senza lasciare nulla al suo controllo, togliendogli qualsiasi contatto con l’esterno. Allora lo si vedeva immobile nel suo angolo, con le ginocchia al petto e gli occhi fissi avanti, spalancati e vuoti.
La cosa più temibile furono certi deliri che si aggiunsero verso il quarto mese di navigazione e durante i quali nulla si salvava dalla sua spada. Una volta un marinaio tentò di fermarlo: la sua testa volò in mare meno di un minuto dopo.
Quel fatto riuscì a calmare il Cavaliere: da quel momento sedette in quell’angolo sotto coperta sfiorando il sangue rappreso sulla lama, pensando alle sue battaglie, una per una, e questo bastava almeno ad allontanare quella ressa di voci e presenze indistinte.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Il fuoco fatuo ***


~~
6- IL FUOCO FATUO 

La prima cosa che il Cavaliere fece quando sbarcarono fu prendere Temerario e allontanarsi da tutto e da tutti. Avevano entrambi bisogno di recuperarsi a vicenda dopo tutti quei mesi passati l’uno senza l’altro.
Corsero avanti, verso il fronte: gli altri mercenari li avrebbero trovati già là. Il cavaliere non poteva aspettare i loro tempi, sarebbe stato il primo a vedere i bagliori della battaglia e doveva vederli al più presto.
Si fermarono quando ebbero messo molti chilometri tra sé e i loro compagni e quando il sole già tramontava.
Nessuno dei due era ancora abbastanza stanco: avevano dovuto sopportare troppo a lungo spazi angusti e affollati.
Il Cavaliere scese di sella e prese tra le mani il muso di Temerario, vi posò la fronte, poi lo condusse al passo in un bosco vicino, camminando al suo fianco, senza una meta, seguendo qualcosa che sapeva nessun altro avrebbe potuto percepire.
Era qualcosa di familiare, pacifico come la fiammella di un caminetto, eppure di arcano, oscuro e profondo come un baratro senza fine. Lui procedeva attento, pronto a una rivelazione, certo di vederla in quella sera che ormai diventava notte.
Era buio quando lo scorse tra i tronchi degli alberi. Un foco fatuo galleggiava nell’aria con la sua fredda luminescenza.
Il Cavliere legò Temerario a un tronco e si avvicinò, senza smettere di osservare quel fenomeno. Si inginocchiò davanti alla fiammella e rimase a contemplarla. Era come se gli sussurrasse in una lingua sconosciuta.
Tolse il guanto destro e allungò cauto la mano, cercando di sfiorare i confini incerti della sfera. Era fredda come la nebbia.

Ricordava la prima volta che aveva visto un fuoco fatuo, da bambino. Non era stato per caso: il fuoco l’aveva chiamato e lui aveva corso a perdifiato nel bosco, con un terribile senso d’angoscia. Quando l’aveva trovato s’era inginocchiato e aveva preso a scavare con furia, certo di trovare qualcosa di importante, tanto da far paura. Le sue unghie avevano infine urtato un cranio umano, graffiando via la poca pelle che ancora vi era attaccata. L’aveva strappato dal collo del cadavere, l’aveva stretto al petto e aveva gridato, per liberare l’angoscia. Theresa aveva dovuto attendere a lungo prima che lui fosse disposto a lasciarle il teschio. Lei l’aveva rimesso al suo posto, l’aveva riseppellito, mischiando preghiere cristiane  a un rito magico. Non aveva più visto quel fuoco fatuo, ma da allora li aveva sempre ascoltati, quando li incontrava e spesso li aveva cercati e atteso pazientemente che loro si mostrassero.
Anche lì, in America, sentiva i fuochi fatui bisbigliare segreti.
Abbassò lo sguardo e toccò il terreno. Era stato smosso. Prese a scavare con calma, con cura.    

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** La Dama ***


~~
7- LA DAMA

Chi l’aveva visto in battaglia nel mezzo della mischia, chi l’aveva visto mettersi volontariamente in pericolo in mille modi, pensava che il Cavaliere non conoscesse la paura. Non era vero. Solo non aveva paura di ciò che tutti gli altri temevano. Non aveva paura della spada del nemico. Non aveva paura della tempesta. Non aveva paura del freddo e della fatica.
Ciò che temeva era invisibile. Aveva paura del silenzio, non il silenzio degli uomini, ma il silenzio di quei segreti che sembravano schiudersi solo alla sua mente. Aveva paura quando quei segreti gridavano tanto da essere incomprensibili. Erano situazioni che lo gettavano nella disperazione, che lo costringevano a gesti per chiunque altro insensati: sparire per giorni, ricomparire solo in mezzo alla battaglia, cambiare fronte, restare chiuso nella sua tenda il giorno e vagare per l’accampamento di notte … Era tutto per fuggire dal silenzio o per calmare la confusione, cercare o allontanare creature impalpabili.
Da quando era in America per lo più le presenze, i segreti che gli si presentavano erano troppo insistenti per la sua mente e quasi sempre sconosciuti e incomprensibili.
Passava ora immobile, sulla sua branda o steso in un qualche bosco,  tentando di mettere ordine, distinguere tra loro le ombre che premevano nel suo animo.
Una soprattutto si lasciò riconoscere da lui e quella soprattutto il Cavaliere cercò poi tra le altre. Era una donna, la donna più bella che avesse mai visto. Non una ragazza, una donna già fatta e certo non pura: lo vedeva dai suoi occhi chiari, occhi misteriosi. Aveva capelli lunghi, biondi che ricadevano lungo un viso dai tratti perfettamente regolari. Era magnifica e allo stesso modo per cui lo era il sangue.
 Il Cavaliere non osava domandarle nulla- sapeva che non avrebbe risposto- solo osservava quella visione velata di mistero e ne era stregato.
Meine Dame, la chiamava in cuor suo.
Lei sussurrava parole che suonavano come un incantesimo e il Cavaliere poteva quasi sentire il suo tocco, le sue dita sottili, fredde, sfiorargli la fronte e il viso e poi segnare un linea di fuoco sul collo.
Una testa per una testa.

 Questo era il segreto che aveva per lui la Dama.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Tales of gore ***


~~
8- TALES OF GORE

How soft your fields so green can whisper tales of gore …
(Immigrant song- Led Zeppelin)

Era notte ormai. Il Cavaliere camminava su quello che era stato il campo di battaglia. Regnava un silenzio infinito, nel quale misteriose creature attendevano e come lui si aggiravano tra i cadaveri lasciati a terra. Doveva usare attenzione a guidare Temerario, perché non inciampasse.
Quello era un momento che il Cavaliere amava al pari dello scontro. Non avrebbe tollerato la presenza di nessuno: era un momento troppo prezioso per essere diviso con altri.  Il sangue sui vestiti, il sangue sulla spada, il sangue sul manto di Temerario diveniva allora qualcosa di estremamente sacro, a cui lui solo era iniziato.
E quando il suo piede incontrava una testa mozzata nulla lo faceva sentire tanto in pace quanto sapere d’essere stato lui a versare quel sangue che impregnava il terreno. Perché lui sapeva come tutto fosse crudele e magnifico e come la vita chiamasse la morte e la morte chiedesse la vita, e sapeva, sapeva con certezza che solo dove lui aveva ucciso sarebbe cresciuta l’erba più verde e più viva a sussurrare infiniti racconti di sangue.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Sleepy Hollow ***


~~
9- SLEEPY HOLLOW

Sleepy Hollow. La Valle Addormentata.
Là infondo doveva esserci un paese e verso nord ovest un contingente americano. Sarebbe stata lì la prossima battaglia.
Quella mattina d’inverno una nebbia fitta rendeva  la valle un'unica macchia bianca.  Né loro, né gli americani avrebbero attaccato con quel tempo.
Il Cavaliere attendeva. Lo turbava aspettare e quasi mai restava vicino ai compagni in quelle occasioni. Ma c’era come un sibilo nell’aria e il Cavaliere l’ascoltava. S’era allontanato quanto bastava perché la nebbia coprisse anche l’accampamento e lui fosse l’unica cosa esistente al mondo. Era certo che in quel bianco, dove appena si percepiva la terra sotto i piedi, qualcosa si nascondeva  per lui. Molti spiriti abitavano la nebbia in quella valle e aveva una strana sensazione, come di un respiro lento e profondo, tanti respiri … E nemmeno un sussurro …
Dormivano, dormivano tutti
Era triste, infinitamente.
Un’unica voce sottile, come fatta di nebbia, salì piano al suo cuore e alla sua mente
Stenditi con noi nella nebbia. Dormi con noi nella valle addormentata. La neve piangerà per te, noi piangeremo nella nebbia per te …
Si lasciò cadere in ginocchio, affondando nella neve, preda di un indicibile angoscia, come se la nebbia avesse il potere di bere la sua vita sorso a sorso e piano, dolcemente lasciarlo scivolare a terra, sottoterra …
Dovette gridare con tutta l’aria che aveva nei polmoni, prima che davvero accadesse davvero.
No, non così si sarebbe addormentato.
La nebbia si sarebbe alzata e di lì a poco la battaglia avrebbe infuriato: la valle addormentata avrebbe dovuto svegliarsi per un giorno.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Kleine dame ***


~~
10-KLEINE DAME

Due bambine. Due bambine bionde, vestite di rosa, che lo guardavano stupite e immobili, l’una con un ramoscello secco in mano, l’altra col mucchietto di quelli già raccolti tra le braccia. Due graziosissime bambine dove non avrebbe dovuto essere anima viva!
Furono una visione così inaspettata che per qualche secondo il Cavaliere si chiese se non fossero creature che lui solo poteva vedere. Ma le loro figure erano troppo nitide e concrete, si distinguevano troppo bene dallo sfondo bianco della neve, i loro piedi vi affondavano, le mani si serravano sul legnetto, i loro occhi non lo stavano aspettando. 
Eppure fu certo che volesse dire qualcosa quell’incontro, non c’era altra spiegazione: aveva dovuto abbandonare Temerario, la morte aveva alzato lo sguardo a fissare lui questa volta, e in quella situazione delirante incontrava due bambine …
Ma loro non lo sapevano e lo fissavano immobili.
Lui si portò l’indice alla bocca.
“Shh”
Gli parve quasi di sentire il pensiero della bambina che stringeva il ramo:
Per stare zitta, sto zitta …
Il suono del legno secco spezzato risuonò nel silenzio del bosco innevato e voltandosi di scatto il Cavaliere vide subito i soldati americani farsi strada tra gli alberi.

Mi vuoi morto, kleine dame.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Sotto l'Albero dei Morti ***


~~
11-SOTTO L'ALBERO DEI MORTI

Sentì una morsa di fuoco al collo. Sentì come una lama ritirarsi tratto a tratto. Sentì la carne strato a strato strisciare sul cranio. Sentì l’aria mancargli. Ma finalmente sentiva, finalmente tornava ad essere l’unico e il solo ad avere controllo su di sé. Per alcuni secondi, in ginocchio, ansimante, fu l’unica cosa che avesse importanza nella sua mente. Poi si alzò, con un vago giramento di testa. Tutto riprese consistenza: la terra sotto i piedi, gli alberi immersi nella nebbia, il lampi nel cielo … Loro alle sue spalle.
Si voltò. Il giovane uomo e la ragazza erano stretti l’un l’altro, il ragazzino al loro fianco.
Il Cavaliere mosse un solo passo. Loro lo guardavano in attesa, incerti, sgomenti, ma pronti. Non c’era più posto per la paura nei loro occhi.
Non c’era nulla di più che andasse detto o fatto, non un passo di più: quella era la distanza che doveva restare tra due mondi.   
Sentì un morbido rumore di zoccoli sulle foglie cadute, un nitrito e li riconobbe immediatamente. Si girò e andò incontro a Temerario, gli accarezzò il muso e  subito salì in sella con un brivido di emozione: tornava in possesso di un’ultima parte di sé.  Con un grido spronò il destriero. C’era qualcos’altro che gli apparteneva.
La donna giaceva prona a terra, priva di sensi, poco lontano . Fece fermare Temerario accanto a quel corpo.
Per un istante osservò l’abito scuro, i lunghi capelli biondi, come gli fossero intimamente familiari. Si chinò  e sollevandola a viva forza la caricò avanti a sé, su Temerario.
Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che la corteccia e le radici dell’Albero si stavano aprendo per loro e al destriero bastò un semplice comando perché vi si portasse di fronte.
Il Cavaliere guardava la donna che aveva tra le braccia, la donna più bella che avesse mai visto. La guardò svegliarsi piano, accorgersi d’essere sollevata da terra, guardò i suoi occhi smarriti cercare un punto di riferimento e infine lo sguardo risalire gli abiti da guerriero fino al  volto e agli occhi di ghiaccio e fissarlo. Allora la riconobbe senza più alcun dubbio.
Era lei: la strega che l’aveva tenuto in proprio potere; lei: la bambina che aveva deciso la sua morte; era lei…
 Meine Dame …
Lo sguardo del Cavaliere indugiò ammaliato sugli occhi chiari e increduli di Lady Van Tassel, sulla sua bocca socchiusa, mentre tra sé l’uomo contemplava una consapevolezza che gli parve meravigliosa: quella donna crudele e magnifica era sua. 
Era sempre stata sua, da sempre gli era promessa.
Gioì terribilmente quando la vide aprire la bocca nel tentativo di gridare, perché in quel momento lesse nei suoi occhi che anche lei se n’era resa conto.
D’impeto le chiuse la bocca e le soffocò la voce con un bacio che rendesse inequivocabile quella consapevolezza. Volle che i denti affilati affondassero nella lingua di lei, volle mordere quelle labbra perfette, perché lei, la sua donna, era meravigliosa come il sangue e la battaglia e di sangue e battaglia doveva essere il suo sapore. 





Angolo autrice:
Ci tengo a ringraziare Padme83 che ha seguito questa storia fino alla fine. Grazie ;)

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3538583