Smile, The worst is yet to come

di cioco_93
(/viewuser.php?uid=90190)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. The day that i met him ***
Capitolo 3: *** 2. The day that i met her ***
Capitolo 4: *** 3. Lavender ***
Capitolo 5: *** 4. I like to beat the odds ***
Capitolo 6: *** 5. Maybe we gonna hate each other ***
Capitolo 7: *** 6. That gonna be a mess ***
Capitolo 8: *** 7. You are looking beautiful to be a zombie ***
Capitolo 9: *** 8. You are incomprehensible ***
Capitolo 10: *** 9. I want this ***
Capitolo 11: *** 10. This is not a joke ***
Capitolo 12: *** 11. I'm so scared ***
Capitolo 13: *** 12. My wonderwall ***
Capitolo 14: *** 13. He is giving you love ***
Capitolo 15: *** 14. (∂ + m) ψ = 0 ***
Capitolo 16: *** 15. I'm gonna miss you princess ***
Capitolo 17: *** 16. I'm not ready to say goodbye ***
Capitolo 18: *** 17. Parigi, Milano & Portofino ***
Capitolo 19: *** 18. Portofino, Firenze, Roma ***
Capitolo 20: *** 19. But I'm not Izzie Stevens ***
Capitolo 21: *** 20. Happy Birthday ***
Capitolo 22: *** 21. I had a strange feeling ***
Capitolo 23: *** 22. My heart will be always with you ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Quando hai 25 anni ti sembra che il mondo è ai tuoi piedi.
Pensi che hai tutta la vita davanti per realizzarti, crescere, innamorarti, vivere.
Ma purtroppo non è per tutti così.
Per esempio io a 25 anni ho visto il mondo crollarmi addosso, e tutti i sogni e le aspettative che mi ero creata per il futuro erano state spazzate nell’arco di cinque secondi.
Tumore al Pancreas al secondo stadio, questa la sentenza del mio medico, data con il volto cupo di chi sa già le mie poche speranze. Da quando era stato scoperto la percentuale di sopravvivenza è minima, e per la maggior parte dei casi si parla di veri e proprio miracolati.
Io a fatica credevo in Dio, figuriamoci ai miracoli.
Scoraggiarsi fu facile: seguivo le cure, almeno per rallentare il processo, e andavo avanti con la vita a testa bassa.
Nell’arco di pochi mesi avevo stravolto tutto ciò che ero, e dalla ragazza aperta al mondo che tutti conoscevano, mi ero chiusa in me stessa, perché se me ne dovevo andare, volevo farlo senza dare nell’occhio, coinvolgendo meno persone del dovuto. Ma tutto quello che stavo vivendo e soprattutto come, cambiò il giorno in cui sulla mia strada si parò Damon Salvatore.

                                                                                            -*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-


Buongiorno.!!
Rieccomi qui di nuovo a scrivere.
Come avete già letto nella trama questa è una storia più agrodolce del solito che sarà fatta, di amore, passione, amicizia, lacrime e sorrisi, ma ch affronterà un tema non facile: il cancro.
Finirà bene.?? Finirà male.?? Non vi svelo niente ovviamente, ma sappiate che come sempre quello che descriverò riguardo la malattia di Elena non sarà frutto della mia immaginazione o troppe puntate di Grey's Anatomy. Ha purtroppo della basi e delle ricerche fatte per svariati motivi, e che non sono frutto della mia fantasia.
Il primo capitolo sarà postato in serata, ma spero che anche solo con il prologo sia riuscita a incuriosirvi.
Non posso che augurarvi buona lettura.
A presto
A.




 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1. The day that i met him ***


 1. The day that i met him

- Elena sei pronta.?? – mi richiamò Caroline oramai sulla porta.
- Si, si eccomi – dissi saltellando verso di lei mentre tentavo di infilarmi le converse – dovrei trovare il tempo di svuotare definitivamente tutti gli scatoloni, ho ancora un sacco di belle magliette disperse la dentro– commentai sorpassandola per andare a chiamare l’ascensore.
La mia bionda amica ovviamente evitò di commentare, ma mi bastò il suo sguardo per intendere la sua totale disapprovazione sul fatto che non avessi ancora sistemato la mia camera.
Erano passati oramai quasi tre mesi da quando io e la mia migliore amica ci eravamo trasferite in quel piccolo loft su due piani nei pressi del New York Presbiterian, e il fatto che io non avessi ancora disfatto del tutto la mia roba iniziava a dare sui nervi anche me.
Comunque ovviamente era stata un’idea di Care trasferirci: non potendo accettare quello che mi stava capitando, ne l’idea che l’affrontassi da sola tenendo all’oscuro di tutto i miei genitori, aveva deciso di trasferirci insieme nei pressi dell’ospedale, in modo che potessi esser più comoda a raggiungere il pronto soccorso in casi d’emergenza e soprattutto non essere da sola. Scontato dire che mi ero opposta fermamente, ma quando Caroline Forbes si metteva in testa una cosa, dissuaderla era impossibile. Era sempre stata così, fin da quando eravamo piccole, e cambiarla a 25 anni era impensabile, ma le volevo bene proprio anche per questo. Senza di lei sarebbe sicuramente stato tutto più duro.
- Allora ho parlato ieri al telefono con il dottor Brown, e mi ha detto che per questa visita puoi stare tranquilla, le sedute di chemio le stabilirete oggi, prima deve controllare come sono i risultati della PET posto operatoria – iniziò a spiegarmi mentre uscivamo dal palazzo.
- Oramai stai iniziando a parlare come un medico. Ti ci vedo con un camice bianco – la presi in giro io.
- Risulterei sicuramente favolosa, ma sto bene dove sto – rispose lei divertita e così cinque minuti dopo arrivammo in ospedale, e in altri cinque eravamo già nel reparto di oncologia.
Oramai mi sentivo tristemente troppo a mio agio lì.
Quando infatti mi avevano diagnosticato il cancro 3 mesi prima, all’inizio dell’estate, ero stata ricoverata d’urgenza per un’intera settimana. Esami del sangue, TAC, PET,… insomma mi avevano rivoltato come un calzino per capire a che stadio ero e cosa potessero fare per salvarmi, o quanto meno allungare il più possibile la mia permanenza tra i vivi. Da lì, essendo “solo” al secondo stadio del tumore, avevano deciso per l’operazione chirurgica, che però era dovuta avvenire in ben due visite alla sala operatoria: nonostante infatti non fossi ancora in condizioni critiche, il mio tumore non era piccolino, e per evitare di indebolire troppo il mio corpo avevano optato per tagliuzzarmi due volte. Erano un continuo avanti e indietro e a due settimane dall’ultima operazione quindi, ero di nuovo lì e il momento più temuto dalla sottoscritta era arrivato: la chemioterapia.
- Allora Elena, come ti senti oggi.?? – mi chiese gentilmente il medico non appena entrammo nel suo studio.
- Per una che al cancro decisamente bene Dottor Brown – risposi con sarcasmo al dottore.
- Elena.!! – cercò di riprendermi Caroline nell’immediato, odiava le mie pessime battute sulla mia malattia.
- Non preoccuparti Caroline, finché ci ride su va ancora tutto bene – la pacò dolcemente l’uomo – comunque, scherzi a parte ho visto giusto 5 minuti fa i risultati della PET. Non sono malaccio per le tue condizioni, quindi potrei azzardare che abbiamo guadagnato un bel po’ di tempo coll’operazione – affermò sorridendo.
- Quindi vuol dire anche che la chemio non sarà troppo aggressiva.?? – chiesi speranzosa.
- Esattamente. Ti presenterai qui da lunedì ogni due settimane per adesso. Soprattutto le prime volte ti consiglio di esser accompagnata, perché non è escluso che tu possa sentirti male a causa di nausee, giramenti di testa, ecc – iniziò a spiegarmi serio – Non posso vietarti di non divertirti, ma almeno il giorno prima delle sedute evita di bere, e non strafogarti di cibo. Tutto chiaro.?? – domandò in conclusione guardando sia me che la mia amica.
- Certo, l’accompagno io lunedì e la controllerò come un falco – affermò fiera la mia amica.
- Su questo non avevo dubbi – constatò divertito il medico – Fissate le prime due chemio, e a seguire, salvo ci siano ovviamente dei problemi, noi ci rivediamo la settimana a seguire del secondo trattamento. Va bene.?? – chiese l’uomo cercando il mio sguardo.
- Agli ordini Doc – risposi io facendo il saluto militare facendolo scoppiare a ridere.
- Dott Brown, dove dobbiamo andare a segnarci per lunedì.?? – gli domandò gentilmente Care prima di uscire.
- In fondo al corridoio a destra. Sappiatelo, se manca l’infermiera dovrete aspettare, ultimamente non sono di buon umore, meglio non farle arrabbiare – ci spiegò per concludere con toni finti terrorizzati.
Salutammo cordialmente l’uomo e non appena uscimmo dallo studio pregai la mia bionda amica di farmi uscire da quell’ospedale e andare ad aspettarla giù.
Ovviamente non dovetti insistere nemmeno troppo: la triste verità di una malata di cancro e che per assurdo si può ottenere quasi tutto con la scusa di esser moribonda.
Non appena uscì all’aria aperta iniziai a cercare sigarette e accendino in borsa. Il fatto di avere un tumore non aveva fatto si che smettessi di fumare, soprattutto contando che non era nemmeno ai polmoni, ma ovviamente mi concedevo questo piccolo lusso sola in assenza della mia migliore amica, che ovviamente non approvava il mio “sconsiderato” comportamento.
Il problema come al solito fu che nonostante avessi trovato le sigarette al primo colpo, l’accendino nella borsa era decisamente scomparso.
Mi accucciai davanti all’ingresso come una scema, e con tanto di borsa atterra iniziai a rovistare dentro la mia Louis Vuitton senza ritegno, quando la pallida mano di qualcuno non iniziò a sventolarmi un accendino sotto gli occhi. Alzai di scatto lo sguardo per ringraziare il mio salvatore, e persi in men che non si dica la capacità di parlare.
Davanti a me c’era un ragazzo, probabilmente il più bello che abbia mai visto: alto, capelli selvaggi e neri come la pece, un fisico che da sotto quella sua maglietta scura e aderente dava tutta l’idea di esser perfetto, e due occhi talmente azzurri da potersi confondere con l'oceano.
- G – Grazie – balbettai come una 15enne rialzandomi e accendendomi la sigaretta.
- Figurati, so benissimo cosa vuol dire rimanere senza un accendino. Soprattutto quando sei già pronto mentalmente di poterti godere la tua sigaretta – disse lui regalandomi un sorriso meraviglioso – Brutte notizie all’orizzonte.?? – chiese poi dal nulla riprendendosi l’accendino e dando fuoco alla sua sigaretta.
- Come scusa.?? – chiesi perplessa.
- Sei uscita come una furia, stavi perfino per buttarmi giù, e dopo di che ti sei messa a cercare le tue sigarette. Di solito è sintomo di chi è nervoso, e uscendo da un ospedale è facile dedurre che hai ricevuto qualche brutta notizia – si spiegò con un’alzata di spalle.
- Dio scusa, non ti avevo nemmeno visto – dissi imbarazzata – comunque no, in verità oggi le notizie erano perfino positive se così si può dire – iniziai a raccontare – solo che non amo gli ospedali, quindi ho lasciato la mia amica prenotare le sedute di chemio e me ne sono uscita di corsa – raccontai semplicemente, per poi rendermi conto di star parlando a un emerito sconosciuto.
- Ti capisco, anch’io cerco di evitare questo posto, ma quando tuo fratello e tuo padre sono dei medici, per riuscire a vederli ti tocca a entrare anche qua dentro – replicò lui con l’ennesimo ghigno.
- Mio padre è chirurgo pediatra, ho presente la situazione – risposi con un sospiro.
- Lavora qui.?? – chiese lui curioso.
- No no, a Mystic Falls. Virginia – specificai.
- Chiaro. Comunque piacere, sono Damon – proclamò in fine allungando la mano, ma non feci in tempo a rispondere che Caroline comparve alle mie spalle.
- Mamma mia, alla faccia del “le infermiere non sono di buon umore” – esordì la bionda raggiungendomi – sembravano quasi scocciate anche solo per il fatto che abbia chiesto la sessione della mattina – continuò furibonda – Ho decisamente bisogno di un bicchiere di vino per rilassarmi. Che ne dici.?? – concluse poi cambiando in men che non si dica i toni.
- Andata – le risposi ridendo io per suo comportamento quasi bipolare, e non feci in tempo a chiedere dove volesse andare che la ragazza era già partita come un treno. Divertita dal suo comportamento la seguì senza aggiungere altro, quando mi ricordai dello sconosciuto di nome Damon che aveva assistito a tutta l’iperattività di Caroline.
- Bhè, ci si vede – dissi girandomi di volata per salutarlo, e ritornare nell’immediato a rincorrere Caroline, senza ovviamente aspettare risposta.

- No, dai li ho detto “ci si vede” – constatai esasperata per l’ennesima volta al bar alla mia migliore amica – Che poi, l’unico posto in cui potrei a quanto pare incontrarlo è l’ospedale. Wo che romanticismo – continuai il mio monologo.
- Secondo me la fai troppo tragica. E poi era davvero così figo sto tipo.?? – domandò sorseggiando perplessa il suo bicchiere di vino.
- Giuro Care. Solo che tu eri troppo arrabbiata con le infermiere per notarlo– commentai ridendo.
- Bhè ti ha detto come si chiamava.?? – chiese la ragazza a quel punto curiosa, come se avesse avuto un’idea.
- Damon – risposi secca e sicura – Ti conosco, cos’hai in mente.?? – le domandai quasi con timore.
- Bhe hai detto che suo padre e suo fratello lavorano lì. Si potrebbe fare una ricerca tra i medici dell’ospedale, beccare i due con lo stesso cognome, conoscerli, e per puro caso rincontrare questo fantomatico Damon – iniziò a spiegarsi lei come se fosse la sua migliore idea, ma il suo entusiasmo, venne interrotto in men che non si dica dal mio realismo.
- Io… ti ringrazio, sarebbe anche divertente come cosa, ma…- tentai di riportarla con i piedi per terra, ma no mi fece finire la frase.
- Non è detto. Magari se amassi qualcuno, avresti una buona motivazione per lottare ancora di più – disse dolcemente lei.
- Caroline Forbes, tu sei una ragione più che valida per lottare per rimanere su questo mondo, ma io sono pur sempre una mina vagante: un giorno salterò in aria e distruggerò tutto quello che ho intorno e devo limitare i danni.* Tu starai male, i miei staranno male, perché coinvolgere altri.?? È già uno schifo così, non credi.?? – le dissi come se il mio discorso potesse esser mai veramente capito da lei.
- Non sono d’accordo – sentenzio severa – ma finché non sarà il momento giusto, ti lascerò nelle tue convinzioni – aggiunse poi fiera del suo ragionamento.

Quando tornammo a casa, non era nemmeno così tardi per esser un venerdì sera, al che decisi quindi di dedicarmi, con grande stupore di Caroline, finalmente a sistemare un po’ la mia camera.
Non che fosse chissà quanto grande, non che avessi chissà quanto da sistemare, ma svuotare gli scatoloni oramai era diventato inevitabile.
Inizialmente non avevo intenzione di dedicarmi chissà quanto a quell’appartamento che mi avrebbe ospitato solo finché sarei rimasta in vita, ma giustamente Caroline mi aveva fatto ragionare su come avrei dovuto vivere comunque in un bel posto, ordinato e piacevole, per non ricordarmi sempre di quanto stesse andando tutto a rotoli nella mia vita.
- Hai fatto qualche ritrovamento interessante.?? – chiese la mia coinquilina entrando in camera.
- Qualche paio di scarpe e pantaloni fantastici di cui mi ero dimenticata l’esistenza – dissi divertita sedendomi sul letto.
- Mi ha appena chiamato tua madre comunque – m’informò non appena si sedette al mio fianco – mi ha chiesto se stavi bene, perché è preoccupata che quest’estate non hai trovato un solo week end per scendere a Mystic Falls – continuò.
- Glie lo dirò prima o poi, e solo che non voglio fargli stare male – le dissi cercando il suo appoggio, ma sapevo bene quanto fosse contraria a questa mia farsa.
- Elena… Negarli di vederti, per non fargli capire che stai male, è fargli perdere del tempo prezioso che potreste passare insieme – tentò di farmi notare per l’ennesima volta.
- Gli racconterò tutto dopo la prima chemio. Ok.??- cedetti infine.
- Meglio che niente – affermò lei sorridendo – Comunque vuoi una mano.?? – domandò poi alzandosi in piedi e guardandosi intorno.
- No tranquilla, credo he per oggi abbia dato. Domani devo passare in Galleria, meglio che dorma un po’ – replicai serena.
La ragazza a quel punto non controbatté, mi abbracciò silenziosamente e mi lasciò preparare per andare a letto. Feci tutta con molta calma, persa nei ricordi felici passati con la mia famiglia, ma esattamente quando chiusi gli occhi, la prima cosa che ritrovai nei miei sogni, furono due incredibili occhi di ghiaccio.

*Cit. Colpa delle stelle

Buonasera.!!
Anche se a ora tarda, eccomi qua con il primo capitoletto della storia.
Come anticipato dal prologo partiamo già con il problema principale della storia: Elena ha il cancro.
Non è un tema facile, ma mi piace nelle mie storie "leggere" affrontare sempre qualche tematica diversa. Come già anticipato le cose che scriverç saranno abbastanza documentate, e come al solito mi permetto di parlarne perchè so purtroppo di cosa parlo.
Detto ciò, questa è comunque una FF e con happy ending o meno (questo lo scoprirete solo leggendo) spero di avervi introdotto in maniera degna.
Elena è malata, lo sa, si sta curando, ma comunque si è chiusa a guscio per evitare i così detti "danni collaterali". Purtroppo la verità è che quando qualcuno affronta malattie del genere, a starci male oltre il paziente è anche tutto il contorno, ovvero amici e parenti.
In questo caso parliamo della nostra Caroline, migliore amica di Elena, e dei suoi genitori che purtroppo ancora non sanno la vertà perchè la nostra Gilbert cerca di "proteggerli" dal dolore.
E poi nel capitolo spunta un affascinante Damon, che inizia a turbare Elena per la sua bellezza, e per la sua voglia, in parte, di saperne di lui.
Ora questa storia sarà impostata in due parti, ma per capire quello che intendo dovrete leggere il seguito ahahha ok basta, febbre e stanchezza mi portano il delirio.
Fatemi sapere cosa ne pensate.!!
Un bacio
A.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 2. The day that i met her ***


2. The day that i met her

-Ti sei perso nel tuo ufficio.? – mi chiese serio Stefan al telefono.
- Si, cioè no. Mi ha chiamato all’ultimo un mio cliente, un pezzo grosso, ho dovuto dedicargli 15 minuti della mia vita, non è colpa mia – gli spiegai mentre mi accendevo una sigaretta non appena messo piede fuori dal mio ufficio.
- Bhè comunque sbrigati, tra poco devo entrare in sala operatoria – replicò nell’immediato lui e chiuse la telefonata.
Non mi stupì nemmeno del gesto, in quei giorni l’avevo fatto impazzire, ma cosa serve un fratello medico se non lo puoi nemmeno sfruttare per un caso su cui stai lavorando.??
Settembre era arrivato in fretta, e a causa di quel maledetto caso, non mi ero nemmeno goduto le vacanze, ma finalmente dopo 3 mesi vedevo la fine del supplizio. Che sia chiaro, avevo sempre amato i casi difficili, quelli dove devi sudarti lo sbattere il cattivone di turno in prigione, ma non quando rimandi per ben tre volte il tuo viaggio all’Havana.
Fortuna voleva che fossi uno scapolo d’oro, viaggiavo da solo e non c’era nessuna fidanzata da calmare per i continui rinvii, se no sarebbe stata un’esperienza ancor più deleteria.
Arrivai così in ospedale entusiasta come un bambino di 5 anni in un negozio di giocattoli, e in men che non si dica ero già nell’ufficio di Stefan.
- Eccomi fratellino – esordì entrando euforico.
- Non ho tempo per i convenevoli, fammi vedere i referti medici al volo – rispose esausto lui, al che gli passai velocemente i documenti sedendomi sulla sua scrivania.
- Dimmi che il mio intuito ci ha visto giusto. I primi sono gli esami del sangue di aprile, i secondi di giugno, e gli ultimi di una settimana fa – iniziai a spiegargli.
- Direi che hai in mano una condanna quanto meno per truffa: o gli esami della settimana scorsa sono stati manomessi o quelli dei mesi prima. È sicuramente impossibile che nell’arco di due mesi il paziente sia passato ad avere gli esami di un moribondo a quelli di una persona totalmente sana – proclamò rimettendogli nella busta e passandomeli solennemente.
- Erano esattamente le parole che volevo sentire. Grazie del consulto Stef – gli dissi sincero.
- Non ti preoccupare. Scusa il brutto carattere, ma ho fatto la notte, e ora ho una craniotomia d’urgenza, quindi non sono al Top delle forze – cercò di giustificarsi mio fratello, ma con un padre medico ero decisamente abituato ai continui sbalzi d’umore dettati dalla stanchezza.
- Avresti bisogno di una donna mio caro – lo presi in giro – il sesso distenderebbe i tuoi muscoli, e fidati che anche le giornate peggiori le vedresti sotto un’altra prospettiva – cercai di spronarlo.
- Mi conosci Damon. Quello da una botta e via sei tu, non io – mi disse scrollando la testa mentre uscivamo dallo studio.
- A giusto, tu sei quello che si affeziona – specificai divertito beccandomi un pugno sulla spalla.
- E tu sei quello che fa lo stronzo. A ognuno il suo fratello – replicò nell’immediato lui con un’alzata di spalle – Ascolta, papà sapeva che passavi in ospedale, potresti gentilmente passare a salutarlo.?? – mi chiese poi iniziando ad allontanarsi e dirigersi verso il blocco operatorio.
- Ti odio quando mi incastri così.!! – gli urlai oramai a distanza e mi diressi dalla parte opposta alla sua.
Non potevo sicuramente scappare oramai dal vedere il Signor Giuseppe Salvatore, e decisi così di affrontare il tutto dopo una tranquilla sigaretta.
Mi diressi con calma all’uscita principale dell’ospedale, ma giusto quando mi fermai per cercare il mio pacchetto di Lucky, riuscì a scansarmi per un pelo da una piccola furia dai capelli color cioccolato, che stile posseduta uscì dall’ospedale e disperata si mise accucciata a cercare qualcosa nella borsa. Uscendo, e quindi avvicinandomi, notai come in men che non si dica trovò anche lei il suo pacchetto di sigarette e di quanto fosse incredibilmente bella. Avevo notato mentre evitavo che ci scontrassimo come avesse un corpo da favola e una chioma brillante, ma non appena le fui accanto intravidi anche la perfezione del suo volto. Per quanto corrucciato, scorsi le sue labbra rosee e carnose, gli occhi profondi che ricordavano un cerbiatto, e quella pelle olivastra che le dava quasi un tocco orientale. Era davvero bellissima.
Fu scontato a quel punto approfittare della situazione. Mi chinai leggermente con la schiena e le sventolai sotto gli occhi l’accendino.
L’espressione di gratitudine prima e stupore poi, non appena si scontrò con il mio sguardo, fu decisamente qualcosa di impagabile.
- G – Grazie – disse tremendamente imbarazzata rialzandosi e accendendosi la sua Winston.
- Figurati, so benissimo cosa vuol dire rimanere senza un accendino. Soprattutto quando sei già pronto mentalmente di poterti godere la tua sigaretta – dissi io sfoderando uno dei miei sorrisi più sghembi – Brutte notizie all’orizzonte.?? – chiesi poi curioso dell’irruenza con la quale era scappata da quel posto riprendendomi l’accendino e dando fuoco alla mia agognata Lucky.
- Come scusa.?? – chiese perplessa.
- Sei uscita come una furia, stavi perfino per buttarmi giù, e dopo di che ti sei messa a cercare le tue sigarette. Di solito è sintomo di chi è nervoso, e uscendo da un ospedale è facile dedurre che hai ricevuto qualche brutta notizia – le spiegai con un’alzata di spalle. Avevo visto così tante volte scene simili.
- Dio scusa, non ti avevo nemmeno visto – disse arrossendo e diventando ancora più bella – comunque no, in verità oggi le notizie erano perfino positive, se così si può dire – iniziò a raccontare – solo che non amo gli ospedali, quindi ho lasciato la mia amica prenotare le sedute di chemio e me ne sono uscita di corsa – raccontò semplicemente, per poi probabilmente rendersi conto di star parlando a un emerito sconosciuto. Ma la cosa non mi dispiaceva affatto.
- Ti capisco, anch’io cerco di evitare questo posto, ma quando tuo fratello e tuo padre sono dei medici, per riuscire a vederli ti tocca a entrare anche qua dentro – replicai ripensando a quante volte ero stato trascinato in ospedale senza volerlo.
- Mio padre è chirurgo pediatra, ho presente la situazione – rispose con un sospiro.
- Lavora qui.?? – chiesi a quel punto curioso, magari avrei avuto l’occasione di rivederla.
- No no, a Mystic Falls. Virginia – specificò.
- Chiaro. Comunque piacere, sono Damon – proclamai in fine allungando la mano, ma la sconosciuta non fece in tempo a rispondere che una bionda comparve alle sue spalle.
- Mamma mia, alla faccia del “le infermiere non sono di buon umore” – esordì la ragazza raggiungendo l’amica – sembravano quasi scocciate anche solo per il fatto che abbia chiesto la sessione della mattina – continuò furibonda – Ho decisamente bisogno di un bicchiere di vino per rilassarmi. Che ne dici.?? – concluse poi cambiando in men che non si dica i toni. Sembravo un urgano, bella ma metteva i brividi.
- Andata – rispose la sconosciuta divertita probabilmente dal comportamento della bionda, che in men che non si dica era già partita come un treno verso direzioni sconosciute. La ragazza accanto a me ancora ridente del suo comportamento la seguì senza aggiungere altro, quando sembrò di nuovo ricordarsi della mia presenza.
- Bhè, ci si vede – disse girandosi di volata regalandomi un meraviglioso sorriso, e ritornò nell’immediato a rincorrere la bionda, senza che avessi il tempo di risponderle. Era una visione, e dovevo assolutamente rivederla.

Fu così che per una delle poche volte in vita mia, fui più che contento di dover vedere mio padre.
- Si può.?? – chiesi entrando nel suo ufficio.
- Damon, figlio mio, che piacere. Certo entra pure e chiudi la porta – disse gentilmente l’uomo.
Giuseppe Salvatore non era un cattivo padre, ma purtroppo il mio continuo evitarlo era dato dal fatto che era fin troppo simile a me, e spesso e volentieri finivamo per scontrarci. Che si trattasse di politica, mio fratello, oppure il mio lavoro, ogni scusa era buona per tirarti fuori una discussione che faceva tramare i vetri del suo studio. Eravamo sempre stati così, ma sicuramente le cose peggiorarono quando invece che scegliere la facoltà di medicina e seguire le sue orme, avevo scelto legge. Non che non fosse contento di quello che avevo raggiunto da solo, ma ovviamente per lui fu un duro colpo, che solo mio fratello e il suo diventare medico erano riusciti a placare. Per lui avevo tutte le carte in regola per diventare un grande chirurgo e perché no, magari anche il capo del reparto di chirurgia, proprio come lui, ma a me l’anatomia non era mai interessata.
- Tutto bene papà.?? Ho sentito mamma al telefono, dice che ultimamente dormi qui in ospedale piuttosto che a casa – gli domandai seriamente preoccupato. Non tanto per lui, era un uomo forte, quanto per mia madre.
- Si, e che ho dovuto coprire qualche assenza di qualche mio collega – disse non curante - Te piuttosto.?? Stefan mi ha detto che dovevi passare da lui per un consulto. Privato o lavoro.?? – chiese perplesso a sua volta.
- Tranquillo, si trattava di lavoro – tagliai corto, volevo evitare domande e magari discussioni sul tema – comunque ascolta, tu sapresti ottenere informazione sui pazienti di oncologia.?? – domandai a bruciapelo, beccandomi una strana occhiata da mio padre.
- Dipende dalla motivazione. Come medico devo preservare la privacy dei miei pazienti. Sei un avvocato di prestigio dovresti saperlo meglio di me – mi fece notare con tanto di frecciatina.
- Si, bhè si tratta semplicemente di una buona azione – cercai di raggirarlo – ho incontrato un ragazza mentre ero all’entrata dell’ospedale. Abbiamo chiacchierato, e poi è andata via con la sua amica, ma mi ha lasciato l’accendino – inventai sicuro della mia palla – mi sembrava carino ridarglielo, tutto qua. So che la sua amica è in cura qui in ospedale. Bionda, carina, e ha prenotato una seduta di chemio per lunedì mattina. Magari riuscivi a sapere qualcosa, e io potevo trovarla e dirle di ridare l’accendino all’amica – dissi con una scrollata di spalle, come se fosse la cosa più logica al mondo.
- E tu faresti tutto questo trambusto, solo per ridare una accendino a una ragazza.?? – mi domandò sarcastico mio padre.
- Si bhè, sono un avvocato, in qualche modo me gli devo guadagnare i punti paradiso – cercai di tener fede alla mia balla io, facendo calare un momentaneo silenzio tra di noi. L’uomo mi guardò di sottecchi, ma alla fine sospirò pesantemente, segno che aveva ceduto.
- Vedrò cosa posso fare, ma non ti assicuro niente Damon - mi disse serio.
- Meglio che niente. Ora scappo – proclamai avvicinandomi direttamente alla porta.
- È sempre bello godere del maggiore dei miei figli per una durata di 5 minuti scarsi – commentò con toni offesi alla mia ritirata.
- Bhè il più piccolo lo sorbisci tutti i giorni. È una questione di equilibrio – constatai uscendo e non aspettando risposta.

- Andiamo Salvatore, per chiedere aiuto a tuo padre per cercare una ragazza, minimo deve esser più bella di Megan Fox, se no non si spiega – mi prese in giro Enzo.
- Era semplicemente la strada più facile e a portata di mano – replicai nell’immediato prendendo un sorso della mia birra.
- A sto giro concordo con Damon, perché scervellarsi e setacciare New York, quando hai una scorciatoia – mi spalleggiò Alaric.
- Il concetto rimane, perché mai dover cercare una sconosciuta, con tutte le belle ragazze che si trova ogni sera al bar – constatò di nuovo l’inglese.
Sapevo dal principio che era una pessima idea raccontare ai miei due migliori amici della mia perdita di razionalità per una ragazza, ma dopo qualche birra mi era venuto spontaneo.
Era stata una giornata lunga e pesante, ma tutto sommato gli avevo tirati fuori per festeggiare il fatto che avessi finalmente trovato la prova schiacciante per vincere il mio assurdo caso su cui ci avevo persa l’intera estate.
Una birra tirò l’altra ed ecco che mi venne da raccontargli di quella ragazzina dai occhi da cerbiatto che mi ero fissato di dover ritrovare.
- Non lo so ragazzi cosa mi è preso… aveva qualcosa in quei suoi occhioni che mi ha convinto fin da subito di doverla conoscere – gli spiegai perso nel ricordare il suo viso.
- Sei preoccupante, parli come tuo fratello – mi prese a quel punto in giro Rick.
- Ti prego, gli voglio bene, ma non osare mai più tale paragone – affermai fingendomi inorridito – e comunque Enzo hai ragione, ne ho tante a disposizione, questa è solo bho… una distrazione divertente. Cercare una ragazza a New York, è un gioco – aggiunsi cercando di destare le perplessità dei due ragazzi.
- Bene, brindiamo alla tua sfida allora – proclamò Enzo alzando la birra.
- Alla sfida – brindammo io e il mio compare divertiti, ma già sapevo che mi stavo cacciando in un grosso guaio. 

Buongiorno mie care.!!!
Rieccomi qui con un nuovo capitoletto tutto POV Damon. La questione è questa: a differenza delle mie vecchie storie questa sarà un sussegguirsi di capitoli una volta di Elena, una volta di Damon, in modo da vedere entrambi i punti di vista. Avviso però, a parte i primi episodi, come questo dove "rivediamo" la stessa scena descritta da Elena, anche dagli occhi di Damon, di base a seguire i tempi saranno sfalsati. Non so se mi sono spiegata bene, ma al massimo lo capirete leggendo ahahha.
Comunque, a parte questo, in questo capitolo abbiamo finalmente conosciuto meglio Damon: avvocato di successo, come sempre single e menefreghista riguardo le relazioni, ma che alla vista di Elena ha perso la testa. Ora non è ancora subito l'amore della sua vita, ma il pensiero di trovarla lo vive come un gioco, un passatempo. Ne parla ai suoi amici, e soprattutto chiede aiuto a suo padre, ma sbagliando fin dal principio: lui cerca l'amica di una ragazza che fa i trattamenti di Chemioterapia, senza aver intuito che la ragazza non è Caroline, ma Elena stessa.
Detto ciò cercare una ragazza a New York, e come cercare un ago in paglialo, quante probabilità avrà di riuscirci.? Ne riparliamo il prossimo capitolo.!! ehehhe
Bon ora vi lascio. Ringrazio solamente al volo chi mi ha già inserito tra le storie preferite e da seguire, chi mi legge, e un saluto speciale a Eli_s.!! Grazie del commento, sapere che anche se non riesci a commentare, mi leggi sempre mi fa un enorme piacere, davvero :D
Un bacio e alla prossima
A.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 3. Lavender ***


~~3. Lavender

- Caroline, dovresti esser al lavoro – cercai di far notare alla mia migliore amica mentre trafficava al computer di fianco a me.
- Non sarò nel mio ufficio, ma sto lavorando, quindi fine della discussione – replicò lei senza neanche alzare lo sguardo.
Il lunedì mattina era arrivato in fretta, e io mi ritrovavo alla mia prima chemio.
Sapevo che non potevo pensare di tornare a casa da sola, ma la seduta sarebbe durata circa due ore, e mi scocciava il pensiero di dover trattenere Caroline così al lungo in quel posto così triste.
- Sei la persona più testarda che io conosca – affermai in fine esasperata – almeno raccontami cosa stai facendo – aggiunsi poi: in parte per curiosità, in parte per distrarmi da quella strana sensazione di un strano flusso nelle mie vene.
- Ieri pomeriggio, all’inaugurazione della nuova mostra da te in galleria, mi si è avvicinata una signora per chiacchierare. Abbiam parlato del più e del meno e poi mi ha chiesto se sapessi chi ti ha aiutato a organizzare la festa d’apertura. Le ho detto che era opera mia, e mi ha chiesto allora se m’interessava di lavorare per lei per l’organizzazione di un party per i tot anni di lavoro di suo marito – iniziò a raccontarmi lei – ovviamente ho accettato e le ho chiesto d’inviarmi tutto via mail: data, lista degli invitati, temi preferiti ecc… - aggiunse con un’alzata di spalle.
- Bhe ma è fantastico.!! – le dissi sinceramente contenta – Alla fine la mostra è stata proficua per entrambe – aggiunsi sorridente, ripensando all’impegno che ci avevo messo per organizzare quell’esposizione. Non lavoravo da molto, ma fortunatamente in poco tempo, grazie al mio costante impegno e alle conoscenze giuste, la piccola galleria d’arte che gestivo a Manhattan si era fatta un nome, e dopo un intero mese di stalkering via mail, Steve Mccurry aveva ceduto a darmi l’ok per farci un’incredibile mostra che sarebbe durata l’intero mese di settembre e avrebbe sicuramente fruttato parecchio.
- C’è Bonnie in galleria a sostituirti.?? – mi chiese poi curiosa.
- Si si. Se la cava bene, le piace il lavoro… Quando dovrò mollare il colpo, sarei contenta se prendesse lei in gestione il tutto – dissi pensierosa.
- Hej Gilbert, ricordi il nostro patto.?? È vietato parlare della tua morte. Nessuno ti ha dato ancora uno scadere, finché sei viva, finché continueranno a curarti, ti è vietato pensare a cosa succederà quando te ne andrai – mi rimbeccò arrabbiata la bionda, e non potei che sciogliermi. La sua caparbietà nel vedermi vivere, a volte era quasi incoraggiante, a volte mi faceva crede che chissà… magari ce l’avrei fatta davvero, battendo tutte le probabilità. Ma solo a volte. La consapevolezza che prima o poi l’avrei lasciata era dura da sovrastare con i pensieri positivi.
Decisi così di non rispondere, le presi la mano e la strinsi più forte che potevo, per farle capire di quanto le fossi grata di esser lì con me.

Quando finalmente la seduta finì, inizialmente non ebbi troppi problemi. Mi diedero del cioccolato da sgranocchiare, mi dissero di bere molto acqua e non spaventarmi se da un momento all’altro iniziassi a sentimi male e avere forti nausee.
- Tesoro devo andare a firmare dei documenti come tua accompagnatrice, riesci ad aspettarmi un attimo.?? – mi chiese come al solito premurosa.
- Care, tranquilla. Fai quello che devi, io ne approfitto per andare in bagno. Ci vediamo all’uscita – la rassicurai gentilmente e mi avviai verso il bagno.
Ero persa nei miei pensieri, tanto da non notare nemmeno chi avessi davanti e scontrarmici senza ritegno.
- Mio Dio signorina, mi scusi ero distratto, non l’ho proprio vista – iniziò a scusarsi lo sfortunato di turno mentre cercava di tirarmi su.
- Non si preoccupi, anch’io avevo decisamente la testa altrove – replicai alzandomi e notando di essermi scontrata con un giovane e affascinante dottore.
- Le posso offrire qualcosa per sdebitarmi.?? Tipo non so, un caffè dalla macchinetta.? – domandò gentilmente strappandomi un sincero sorriso.
- La ringrazio, ma al momento mi è stato sconsigliato di bere qualsiasi cosa che non sia acqua – declinai con toni scoraggiati io – però la prego dottore, sarò poco più giovane di lei, mi dia del tu – aggiunsi divertita.
- Scusami, deformazione professionale. Però ti chiedo lo stesso. Sono Stefan, piacere – ribatté sorridente il ragazzo allungando la mano.
- Piacere mio, sono Elena – affermai mimando il suo gesto.
- Finita appena una seduta di chemio.?? – chiese poi curioso.
- Ho un aspetto così orribile da renderlo palese.?? – commentai preoccupata.
- Dio no, scusami. E che siamo nel reparto di Oncologia, mi hai appena detto che ti hanno detto di bere sola acqua e stai mangiando una barretta di cioccolato dell’ospedale. L’ho detto per logica medica – mi spiegò lui imbarazzato grattandosi la testa.
- Si bhè in effetti, non hai tutti i torti – constatai divertita – Però tu non sei di queste parti vero.?? Cioè non del reparto oncologia intendo – gli feci notare guardandolo di sottecchi.
- Mi hai scoperto – rispose lui alzando le braccia in segno di resa – Sono un neurochirurgo, ma un mio paziente a cui sono parecchio affezionato è stato portato qui e io sono passato a vedere come stava – ammise dolcemente.
- Allora avete un cuore anche voi dottori.!! – lo presi in giro io, quando d’un tratto un’incredibile colato raggiunse la mia gola.
- Hej, tutto a posto.? – chiese immediatamente il ragazzo avvicinandosi per sorreggermi, ma non riuscì nemmeno a rispondere che quel poco che avevo nello stomaco, finì sulle sue scarpe.
- Ok, questo è imbarazzante – dissi con la voce di chi avrebbe voluto scavarsi una fosse più velocemente possibile.
- Sono un medico, mi è successo di peggio – cercò di tranquillizzarmi lui portandomi al bagno.

Due ore dopo ero stesa nel letto, abbracciata alla mia bacinella, a guardare vecchie repliche di Friends.
- Come ti senti.?? – chiese gentilmente Caroline entrando in camera.
- Dici per la nausea o per la vergona.?? – risposi io accennando un sorriso tirato.
- Per la nausea scema. La vergogna fattela passare, quella è inutile – affermò lei sedendosi accanto a me sul letto.
- Non per qualcosa, ma era un medico abbastanza carino, e io gli ho letteralmente vomitato addosso – ribattei io esasperata.
- Lo so, ma pensa che grazie a questo fatto, io ho un appuntamento – disse sorridente lei.
- Come scusa.?? – domandai incredula – Come.?? Quando.?? – continuai con l’interrogatorio.
- Bhè Stefan… - iniziò a raccontare.
- Wo, siamo già a Stefan.?? – le chiesi divertita.
- Oh ma smettila, si chiama così – mi rimbeccò lei fingendosi offesa – Comunque dicevo, mentre abbracciavi solitaria il gabinetto dell’ospedale, Stefan dopo essersi cambiato, è venuto a vedere come stavi e se avevamo magari bisogno di una mano o un’ambulanza per portarti a casa. Gli ho detto che abitavamo qui di fianco e che non c’era bisogno, e poi abbiamo iniziato a chiacchierare. Alla fine l’hanno chiamato per un’urgenza ed è scappato, non prima però di lasciarmi il suo numero se avessimo bisogno di una mano – spiegò sorridente – Quando siamo arrivate a casa l’ho richiamato subito, per sapere il numero delle scarpe che gli avevi rovinato, per sdebitarmi della sua gentilezza, e lui ha risposto che l’unico modo per sdebitarsi che avrebbe accettato sarebbe stato prendersi con me un caffè – aggiunse al settimo cielo.
- Bene, almeno ho vomitato sulla persona giusta – commentai divertita.
- Decisamente – affermò lei battendo le mani come una bambina – comunque tesoro devo scappare in ufficio, ti posso lasciare da sola o è un problema.?? – domandò poi titubante.
- Vai, credo di aver vomitato davvero tutto quello che avevo in corpo per star ancora male – cercai di tranquillizzarla io.
Ovviamente Care non era troppo convinta delle mie parole, ma fortunatamente cedette e dopo avermi salutato e chiesto altre tre volte se fossi sicura di rimanere da sola, finalmente uscì.
Mi dedicai così ancora un po’ a qualche serie TV, mi addormentai mezz’oretta, e una volta sveglia decisi di buttarmi in doccia. Stavo decisamente meglio, ma se fossi rimasta in casa da sola un minuto in più sarei morta di noia.
Decisi così di farmi una passeggiata e passare al supermercato a comprare quel che mancava in casa.
Ero decisamente presa dal scegliere quale detersivo comprare per i pavimenti, quando una voce, non del tutto sconosciuta, mi sorprese alle spalle.
- Quello al mughetto, se ci lavi l’intero appartamento, a una certa diventa nauseante. Personalmente ti consiglio la lavanda – affermò il ragazzo.
- E se scegliessi il profumo di rose.?? – chiesi divertita.
- Nessuno te lo vieta. Ma parliamoci chiaro, le rose le trovi ovunque e anche il loro profumo. La lavanda invece è più particolare, potresti immaginare di correre tra i campi della Provenza, mentre prepari delle crep in cucina – commentò lui.
- Hai decisamente un’ottima immaginazione – constatai prendendo il detersivo dallo scaffale  - Lavanda sia allora – aggiunsi sorridente voltandomi finalmente verso il mio interlocutore.
- Curiosità, ora che ti ho prestato l’accendino, consigliato il giusto detersivo, e soprattutto battuto ogni singola probabilità per la quale sono riuscito a tener fede al tuo “ci si vede”, posso sapere almeno il tuo nome.?? – domandò divertito il ragazzo, facendomi arrossire.
- Elena. Mi chiamo Elena – replicai porgendoli la mano.
- Finalmente un nome per questi occhioni da cerbiatta – commentò lui facendomi arrossire una seconda volta – Allora Elena, sarai pure originaria della Virginia, ma deduco che sei di queste parti per venire a far qui la spesa – aggiunse regalandomi uno di quei sorrisi sghembi che avevo per assurdo sognato in quei giorni.
- Può darsi, oppure ogni settimana vengo qui da Mystic Fall a farmi un giro tra ospedali e supermercati – gli dissi fingendomi misteriosa avviandomi verso le casse.
- Sarebbe un opzione possibile, ma se compri il pesce congelato posso trarre conclusione che in fin dei conti, un posto che non disti più di mezz’ora da qua tu ce l’abbia. In caso contrario ti consiglio di non mangiare quella sogliola una volta che approderai in Virginia – mi fece notare lui con finti toni seri.
- Buona immaginazione, buon intuito, ottimo osservatore… sarai mica un poliziotto.?? – chiesi divertita.
- Peggio mia cara, sono un avvocato – rispose lui sussurrandomelo all’orecchio non appena ci fermammo in fila, provocandomi una scarica di brividi mica da poco – e tu.?? – chiese poi lasciandomi ancora spaesata dalla sua vicinanza, quando la cassiera richiamò la mia attenzione.
- Sono 43.78 $ signorina – disse la donna divertita probabilmente dal mio stato di trans.
- Si ecco, scusi – mi ripresi porgendole i soldi e iniziando a infilare tutto in una busta – Comunque gestisco una galleria d’arte – risposi distratta a causa del mio cellulare che iniziò a suonare.
Ovviamente non badai più al ragazzo, quando il nome di Caroline apparse sullo schermo e capì nell’immediato che stavo per subirmi una bella ramanzina.
- Si, lo so. Non dire niente. 5 minuti e sono a casa – affermai colpevole al telefono senza aspettare risposta, e non appena presi la mia busta, diedi un ultimo sguardo al Damon che mi guardava spaesato – Bhè, chissà che non ribattiamo le probabilità. Ci si vede Damon – dissi divertita salutandolo con un cenno della mano, e senza aspettare risposta, uscì in men che non si dica dal supermercato, soddisfatta del mio esser così sfuggente.

Buongiorno lettrici.!!
Rieccomi con un nuovo capitoletto che ci porta sempre più nella storia.
Allora abbiamo Elena che inizia ad affrontare la chemio, e nonostante un iniziale stato di “buona salute”, a una certa i postumi si fanno sentire, e ovviamente portano delle conseguenze, come vomitare addosso ad un affascinante dottore: Stefan Salvatore. Inutile sottolineare che si tratti proprio di quel  Stefan, fratello del  misterioso Damon che tanto è riuscito a stregare Elena con i suoi occhi di ghiaccio, ma è una di quelle cose che verranno a galla tra un po’. Sicuramente il fatto che Caroline ha pure un appuntamento con lui, sarà una parte interessante dei vari intrecci.
Detto ciò, nonostante le minime possibilità, i nostri Delena si rincontrano al supermercato.  Elena abita lì, a due passi dall’ospedale, quindi la domanda che ci si pone è semplice: perché Damon, tra tutti i supermercati di Manhattan si trovava proprio lì.?? Ovviamente lo scoprirete nel prossimo capitolo :D
Per concludere spero vi sia piaciuta la loro interazione, giocosa,  sarcastica, non troppo personale, e come sempre sfuggente.
Bona, ho finito di stressarvi  XD Spero abbiate gradito la lettura, e alla prossima.!!
Bacio
A.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 4. I like to beat the odds ***


4. I like to beat the odds


Stavo vagando già da dieci minuti in quel cavolo di supermercato quando riuscì finalmente a trovare dove avessero messo gli smacchiatori.
Mio fratello mi aveva chiamato disperato nel bel mezzo di un incontro con dei clienti per pregarmi di portargli in ospedale, il prima possibile, uno smacchiatore ultra rapido, in modo da non dover buttare le sue costosissime scarpe italiane, sulle quali, a quanto pare, una ragazza ci aveva bellamente vomitato sopra. E così dopo essermi occupato della signora Fitzpatrick nel minore tempo possibile, ero andando alla ricerca dell’agognato smacchiatore.
Come predetto, inizialmente fu letteralmente un’impresa impossibile, ma la gioia di averlo trovato fu maggiorata dal fatto, che proprio a due passi da me, ritrovai lei: la ragazza dell’ospedale.
Mi sentì inizialmente come un ragazzino di 15 anni, eccitato e senza la minima idea di cosa fare, cosa che personalmente non mi capitava molto spesso, al che decisi di improvvisare non appena le fui abbastanza vicino.
- Quello al mughetto, se ci lavi l’intero appartamento, a una certa diventa nauseante. Personalmente ti consiglio la lavanda – affermai non cogliendola poi così di sorpresa come avevo immaginato.
- E se scegliessi il profumo di rose.?? – chiese divertita e con non chalance lei.
- Nessuno te lo vieta. Ma parliamoci chiaro, le rose le trovi ovunque e anche il loro profumo. La lavanda invece è più particolare, potresti immaginare di correre tra i campi della Provenza, mentre prepari delle crep in cucina – commentai stupito della sua repentina risposta.
- Hai decisamente un’ottima immaginazione – constatò lei prendendo il detersivo dallo scaffale - Lavanda sia allora – aggiunse voltandosi finalmente verso di me e regalandomi quel meraviglioso sorriso che cercavo da giorni tra la gente.
- Curiosità, ora che ti ho prestato l’accendino, consigliato il giusto detersivo, e soprattutto battuto ogni singola probabilità per la quale sono riuscito a tener fede al tuo “ci si vede”, posso sapere almeno il tuo nome.?? – domandai a quel punto divertito, in modo da scoprire almeno il nome della sconosciuta che tormentava da giorni i miei pensieri, facendola arrossire.
- Elena. Mi chiamo Elena – replicò porgendomi la mano.
- Finalmente un nome per questi occhioni da cerbiatta – commentai imbarazzandola una seconda volta e rendendola se possibile più bella – Allora Elena, sarai pure originaria della Virginia, ma deduco che sei di queste parti per venire a far qui la spesa – aggiunsi giocando con il mio sorriso sghembo migliore, per ottenere con il mio charme le risposte che volevo.
- Può darsi, oppure ogni settimana vengo qui da Mystic Fall a farmi un giro tra ospedali e supermercati – mi disse lei avviandomi verso le casse, come a sottolineare di quanto, nonostante il mio charme, non me l’avrebbe data subito vinta.
- Sarebbe un opzione possibile, ma se compri il pesce congelato posso trarre conclusione che in fin dei conti, un posto che non disti più di mezz’ora da qua, tu ce l’abbia. In caso contrario ti consiglio di non mangiarla quella sogliola una volta che approderai in Virginia – le feci notare a quel punto con finti toni seri.
- Buona immaginazione, buon intuito, ottimo osservatore… sarai mica un poliziotto.?? – chiese divertita.
- Peggio mia cara, sono un avvocato – risposi io sussurrandoglielo all’orecchio non appena ci fermammo in fila, per vedere quanto effetto comunque potessi avere anche su di lei – e tu.?? – chiesi poi lasciandola spaesata proprio come mia intenzione, quando la cassiera richiamò la sua attenzione.
- Sono 43.78 $ signorina – disse la donna divertita probabilmente da quella particolare scenetta tra preda e predatore.
- Si ecco, scusi – si riprese lei porgendole i soldi e iniziando a infilare tutto in una busta – Comunque gestisco una galleria d’arte – rispose finalmente, però oramai distratta a causa del cellulare che iniziò a suonare. Era incredibile come venissimo sempre interrotti.
Ovviamente a quel punto, come quando fummo colti dalla sua amica davanti all’ospedale, la ragazza perse nei miei confronti ogni minimo interesse, al che diedi quasi per scontato si potesse trattare magari del suo fidanzato, o addirittura marito.
- Si, lo so. Non dire niente. 5 minuti e sono a casa – affermò lei colpevole al telefono senza neanche aspettare risposta, e non appena prese la busta, mi diede un ultimo sguardo mentre la guardavo del tutto spaesato.
– Bhè, chissà che non ribattiamo le probabilità. Ci si vede Damon – disse divertita salutandomi con un cenno della mano, e in men che non si dica sparì dalla mia vista lasciandomi totalmente spiazzato. Dovevo assolutamente scoprire di più sul suo conto. Dovevo assolutamente conoscerla per davvero.

- Damon Salvatore, siamo a due visite in ospedale nell’arco di tre giorni, non è che stai pensando di passare anche a tu alla chirurgia.?? – mi prese in giro Rosie, la capo infermiera del reparto, talmente secolare da conoscermi fin da quando ero bambino.
- No Rosie, sono solo dei casi sfortunati e un fratello molto impaziente che mi hanno trascinato qui così frequentemente. Continuo a preferire i tribunali alle sale operatorie – commentai io salutandola con un baciamano.
- Sai che ci spero sempre – disse lei con gentilezze – comunque deduco dal tuo commento che stai cercando Stefan, e non il grande capo – aggiunse poi guardandomi di sottecchi.
- Mi ha trascinato qui per portargli uno smacchiatore, non ti dico altro. Dove lo trovo.?? – chiesi gentilmente, quando la figura di mio fratello apparve dietro al corridoio.
- Dio Dam.!! Quando ci hai messo per comprare quel robo – esordì non appena ci raggiunse.
- Ringrazia anche solo il fatto che te l’abbia preso – lo rimbeccai nell’immediato.
- Su voi due, non fate i bambini – ci rimproverò Rosie come d’abitudine – Non cambiate mai, sempre a bisticciare.!! Ci si vede Salvatore – aggiunse poi allontanandosi e salutandoci con la mano.
- Quanti anni avrà oramai Rosie.?? – chiesi del tutto seriamente guardando la sua imponente figura allontanarsi.
- Non lo so, ma non credo di volerlo sapere. È identica a quando eravamo bambini, deduco abbiamo fatto un patto con il diavolo – disse fingendosi spaventato lui – Su dai, vieni in ufficio così vediamo se quello che hai comprato funziona – concluse poi facendomi cenno di seguirlo.
Non dissi parola e li stetti dietro, ma non appena ci chiudemmo alle spalle la porta del suo studio, mi venne più che spontaneo chiedergli cosa fosse successo.
- Ora spiegami, com’è che non potevi approfittare della ragazza che ti ha vomitato sulle scarpe per farti prendere uno smacchiatore, e ho dovuto fare tutto io.?? Sarebbe stato il minimo per scusarsi – gli feci notare passandogli l’oggetto desiderato.
- Parte uno, era una dolcissima ragazza appena uscita dal trattamento di chemio. Stava male, ed era più che imbarazzata per l’accaduto, non mi pareva il caso di farmi ripagare le scarpe o preoccuparsi dello smacchiatore – iniziò a raccontare Stefan – e poi, caso vuole che avesse un’amica molto carina e simpatica, che nel pomeriggio mi ha chiamato per ripagarmi le scarpe. A quel punto ho approfittato dell’occasione e le ho detto che l’unico modo per sdebitarsi sarebbe stato uscire per un caffé con me ed ha accettato. Quindi ti dirò, non mi è andata tanto male che la ragazza mi abbia vomitato addosso – finì tutto sorridente.
- Ok, se tutto questo ti porterà a fare sesso ti perdono – dissi alzando le mani.
- Per carità divina Damon, non si tratta solo di sesso. Caroline è molto bella, ma anche decisamente simpatica e gentile – continuò a fantasticare lui con gli occhi a cuoricino.
- Ma guardati, ha già un nome.. Caroline – lo presi in giro io imitando i suoi toni da sognatore.
- Sei odioso quando ti comporti così – ribatté lui incrociando le braccia.
- Si, dai scusa… - mi arresi a modi scuse alzando le mani – piuttosto, ora ti lascio, devo fare qualche ricerca su delle gallerie d’arte. Devo trovarne una in particolare – iniziai a farneticare in prossimità della porta.
- Hai il nome.?? – chiese perplesso Stefan
- Assolutamente no – dissi divertito, come se fosse la cosa più logica al mondo.
- Damon siamo a New York, ce ne sarà una a ogni angolo della strada – mi fece notare sempre più incredulo delle mie affermazioni.
- Ho voglia di battere le probabilità – replicai semplicemente con un sorriso da chi la sapeva lunga, uscendo platealmente dall’ufficio.

- Lo sai vero che mi sento un emerito idiota.?? – domandò esasperato Enzo continuando a fissare il computer.
- Dovrei essere io a sentirmi un idiota, mica te – gli feci notare alzando lo sguardo verso di lui.
Era oramai più di un’ora che fissi sul divano stavamo perlustrando via internet le gallerie d’arte di tutta Manhattan, avendo davvero minime informazioni. Ma oramai ero fissato. Avevo sentito mio padre mentre tornavo a casa, e mi aveva avvisato di come, bionde ragazze tra i 25 e i 30, non risultassero all’appello di chi seguiva la chemio in ospedale. Fu così che mi ritrovai a obbligare il mio caro amico Enzo ad aiutarmi a trovare la misteriosa Elena seguendo il piano B: trovare la sua galleria d’arte. Mio fratello aveva ragione, la quantità di quei piccoli musei era innumerevole nella sola zona di Manhattan, contando che probabilmente, nonostante Elena potevo dedurre abitasse in prossimità dell’ospedale, non voleva dire che anche il suo posto di lavoro fosse nelle vicinanze.
Ma il fatto che fosse lei a gestirla, e non una sola dipendente, rendeva minimamente più facile la ricerca.
- E curiosità, una volta che trovi la galleria cosa fai.?? – mi chiese perplesso il mio amico.
- Semplice, mi ci presento e le chiedo di uscire – affermai con un’alzata di spalle.
- Come se fosse scontato che ti dica di si – mi fece notare perplesso.
- Direi che solo per l’impegno di averla ritrovata, me lo deve, non credi.?? – replicai come se fosse la cosa più logica al mondo.
- Ti rendi conto che è una pazzia.?? Potrebbe denunciarti per stalking – ribatté lui divertito.
- Ma smettila – gli dissi quasi rabbuiandomi – ci siamo incontrati in un ospedale, in un supermercato, per puro caso mi ritroverò nella sua galleria d’arte. Mica deve saperlo che ho setacciato internet per trovarla – aggiunsi prendendo l’ultima birra dal tavolo, ma Enzo me la tolse dalle mani in men che non si dica.
- Scordatelo, me la devi – disse aprendola e bevendone un sorso tutto fiera.
- Scusa.?? – gli chiesi stralunato e di risposta girò il pc nella mia direzione – Non ci credo è lei.!! – dissi entusiasta notando l’immagine di Elena come direttrice di una piccola Galleria nei pressi del Central park.
- Te l’ho detto, me la devi – constatò con un sorriso a trentadue denti lui.

Inutile dire che il giorno seguente, dopo una lunga riunione con i soci dello studio in mattinata, verso l’ora di pranzo mi capitò di vagare nei pressi del Central Park, precisamente sulla 5th Avenue, proprio dove si trovava la piccola galleria Art, Coffee & Gossip.
Una grande vetrata faceva intravedere quello che era l’ingresso di quel grazioso posto, dove tra l’altro al momento esponeva le sue opere uno come Steve Mccurry, fotografo di fama internazionale che faceva ben presupporre sulla qualità del posto. Una volta entrati l’aroma di caffè che arrivava dal fondo, ti faceva percorrere con piacere tutta la mostra, fino ad arrivare a quello che era un piccolo e inaspettato chiostro con tanto di bar e tavolini che rendeva il posto ancora più caratteristico.
Mi guardai intorno, ma non la intravidi, al che decisi di godermi momentaneamente il suo arrivo, prendendomi un caffè in quel piccolo cortile e visionando alcune pratiche di alcuni miei casi.
- Gradisce qualcosa Signore.?? – mi chiese una dolce ragazza di colore poco dopo che tirai fuori i documenti sul tavolo. Avrà avuto sui 23 anni, e dire che era bella era poco.
- Un caffè grazie – dissi cordiale – e complimenti, la vostra galleria è veramente graziosa – aggiunsi fingendo di non sapere che non era lei la proprietaria.
- Oh è molto gentile da parte sua, ma non è merito mio tutto questo, è opera di una mia cara amica – sorrise la ragazza confermandomi di esser probabilmente nel posto giusto.
- Bhe allora la prego, si complimenti con la proprietaria, a meno che non possa farlo di persona se è nei paraggi - affermai giocando subito la mia carta.
- Le farò avere i suoi complimenti. Purtroppo non so se oggi passerà – replicò lei nell’immediato con toni quasi tristi – Ma mai dire mai con lei – aggiunse rasserenandosi di colpo, e ritornando verso il bancone.
Rimasi momentaneamente perplesso dal suo cambio repentino d’umore, ma non ebbi troppo tempo per rifletterci su, quando vidi Elena apparire all’interno di quella che era l’area caffè.
- Elena.!! – sentì pronunciare allegra la ragazza al bancone.
Le amiche si salutarono calorosamente e notai di come iniziarono a cincischiare tra di loro. Decisi quindi di ritornare alle mie pratiche, lasciandole una momentanea privacy aspettando che la dolce cameriera si ricordasse del mio caffè e dei complimenti che avrei gradito fare alla proprietaria.
Mi persi così per qualche attimo in uno dei miei casi che stavo seguendo, quando la voce che non vede l’ora di risentire si fece incredibilmente vicina a me.
- Inizio a credere che tu mi pedini – affermò Elena posandomi il caffè sul tavolino, con una calma che non avevo previsto.
- Oppure semplicemente ho battuto l’ennesima probabilità – le risposi incatenando i suoi occhi con i miei.

 

Buona sera mie care.!
Rieccomi con un nuovo capitolo.
Mi scuso profondamente per il ritardo ma ho avuto problemi con il server :O
Allora a sto giro siamo alle prese con quello che accade a Damon, e scopriamo di come si sia ritrovato al supermecato per cercare lo smacchiatore per ripulire le scarpe di suo fratello sulle quali ci aveva vomitato proprio la nostra Elena. In poco parole i ragazzi sono già; connessi senza neanche saperlo. Escludendo questo però, il capitolo gira anche sulla modalità stalking del nostro protagonista, che munito di pazienza ed Enzo, riesce a trovare la galleria dove lavora Elena.
Cosa succederà ora che è riuscito nell'impresa di trovarla.?? Ovviamente sarà Elena a raccontarcelo nel prossimo capitolo :D

Ecco da qui in avanti preciso che i vari capitolo saranno temporaneamente sfalsati. Nel senso non ci saranno più le ripetizioni delle scene :)
Bon basta. Ringrazio ovviamente chi legge e commenta: davvero ragazze grazie :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.!!
Un bacione e a presto
A.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 5. Maybe we gonna hate each other ***


5. Maybe we gonna hate each other

Fosse stato per Caroline, il giorno seguente alla chemio, non mi sarei dovuta muovere da casa, ma ovviamente dopo un’intera mattinata passata a lavorare sulla prossima mostra dal mio divano, stavo per impazzire dalla noia e decisi di passare in galleria.
Sapevo che Bonnie se la stava cavando alla grande nel gestire il tutto, ma finché ero in forza, volevo godermi quel posto che avevo creato e che era diventato come una seconda casa.
Così mi ritrovai a entrare nella galleria persa nei miei pensieri, e non feci in tempo a varcare l’area caffè che la voce della mia lavoratrice risuonò tra le mura.
- Elena.!! – mi richiamò allegra correndo subito ad abbracciarmi.
Ci eravamo conosciute alla Columbia Bonnie ed io, ovviamente grazie ai corsi d’arte, anche se non gli frequentammo contemporaneamente. Quando io iniziai il mio ultimo anno, lei era appena al primo, e divenni così la sua tutor. Quando finì eravamo oramai buone amiche, e negli anni ci siamo sempre tenute in contatto, tanto che quando lei finalmente uscì dal college, caso volle che io avessi bisogno di qualcuno che mi aiutasse con la gestione della mia galleria, e non potevo trovare elemento migliore.
- Non ti aspettavo.!! A sentire Care ieri sei stata malissimo – mi disse la ragazza preoccupata.
- C’era d’aspettarselo, ma era temporaneo, niente per cui oggi dovessi rimanere chiusa in casa – le risposi sorridente.
- Sei sempre la solita, dovresti star più tranquilla invece che passare tutto questo tempo al lavoro – mi fece notare la ragazza.
- Fidati, sono molto più tranquilla qui che altrove – replicai nell’immediato – comunque tutto a posto.?? – domandai curiosa.
- Si si, la mostra di Mccurry ha attirato un sacco di clienti nuovi, e pensa c’è un signore seduto fuori che vorrebbe farti i complimenti di persona – mi raccontò entusiasta.
- Ha ordinato qualcosa.?? – chiesi interessata.
- Un caffè – rispose Bonnie con sguardo d’intesa.
- Carino.?? – replicai con toni maliziosi.
- Mooolto carino – sottolineò lei – guardalo, è quello seduto da solo, fuori nel cortile – aggiunse poi indicandomi un ragazzo oltre la vetrata.
Ci misi qualche istante a individuarlo e vederlo in faccia, ma non appena capitò l’occasione, ringraziai di non avere nulla in mano che mi sarebbe potuto cadere: l’uomo dei complimenti era Damon.!!
- Non ci credo… - sussurrai sbalordita.
- Tutto bene Elena.?? – domandò preoccupata la mia amica.
- Passami il caffè, ci penso io – risposi poi riprendendomi in men che non si dica.
Non avevo davvero idea di cosa ci potesse fare li, ne se era un caso, il destino, oppure una buona abilità di stalking, ma non mi sarei presentata sicuramente impacciata o troppo stupita della sua presenza. Non volevo dargli peso, così presi il caffè, e mi avvicinai con tutta la sicurezza che avevo in corpo.
- Inizio a credere che tu mi pedini – affermai posandogli la tazzina sul tavolino, con una calma ben calcolata.
- Oppure semplicemente ho battuto l’ennesima probabilità – rispose lui incatenando i suoi occhi con i miei, facendo calare un momentaneo silenzio.
- Mi è giunta voce che hai apprezzato il posto – ripresi a parlare d’un tratto vagando con lo sguardo sulla mia galleria.
- È veramente bella. Davvero. Poi l’idea di questo chiostro in mezzo ai palazzi, dopo che ci si è goduti la mostra, da quasi la sensazione di esser ovunque, fuorché a New York – iniziò a commentare lui, e mi piacque notare come fossero complimenti sinceri.
- Magari in un cortile in Provenza, vicino i campi di lavanda.?? – lo presi in giro riferendomi alla conversazione del giorno prima.
- Se avete anche i croissant, ne potremmo parlare – replicò divertito, e non potei che sorridere sincera anch’io.
- Bhè, goditi allora la Francia e il tuo caffè, ti lascio alle tue pratiche ora – dissi poi infine, in modo da allontanarmi da quello che, aveva tutta l’aria di avere la scritta al neo “guai” che lampeggiava sopra la sua testa.
- Ti va di bere qualcosa una sera.?? – domandò spiazzandomi – intendo insieme – aggiunse quasi imbarazzato, cosa che mi procurò non poco divertimento interiore.
- Io… - tentai di sfuggire bellamente alla proposta con una scusa più che valida.
- Suvvia, un drink – insistette lui – abbiamo battuto qualsiasi probabilità, non farmi girovagare per New York nella speranza di rivederti ancora per caso – continuò senza freni – e poi, ora che so che so di questo angolo di Francia, mi ritroveresti comunque sempre tra i piedi finche non mi dici di sì – aggiunse imperterrito e li fu il momento esatto in cui mi frego.
Avrei voluto dirgli di no, ma data la sua insistenza, non riuscivo a escludere che avrebbe davvero continuato comunque a frequentare la mia galleria, tanto valeva uscirci, fargli vivere il peggior appuntamento della storia e finire tutto sul nascere.
- Il tuo silenzio fa presupporre che stai cercando o una scusa plausibile da profilarmi per dirmi di no, oppure che comunque una minima sei combattuta sul da farsi. Quindi tagliamo la testa al toro, sta sera alle 8 ti va bene.?? – interruppe lui il mio flusso di pensieri.
- Sei così bravo anche nel tuo lavoro, o solo con le donne.?? – chiesi con un tono mezzo ridente e mezzo esasperato.
- Lo scoprirai sta sera – disse lui divertito alzandosi e sgombrando il tavolo dai suoi documenti. Dopo di che lasciò 5$ sul tavolo e prese un tovagliolo dove ci scrisse sopra il proprio numero, per poi porgermelo gentile – Fammi sapere dove venirti a prendere. E no, se non mi scrivi potrei comunque scoprire dove abiti – aggiunse sussurrandomelo all’orecchio.
- Voi avvocati siete peggio del diavolo – ribattei secca girandomi di scatto e ritrovandomi a pochi centimetri dal suo volto.
- Ci vediamo alle 20.00 – replicò lui quasi sfiorando le mie labbra e se ne andò, lasciandomi totalmente in balia delle mie emozioni.

- Mi sono persa nel tuo ragionamento – affermò Caroline guardandomi perplessa mentre mi provavo l’ennesimo vestito - Hai detto che vuoi fargli passare il peggior appuntamento della storia, in modo che non ti cerchi più, ma nello stesso tempo sei in crisi perché vuoi apparire più bella che mai in modo da fargli venire l’acquolina. È un contro senso – concluse persa nel suo stesso ragionamento.
- Care, mi conosci: mi piace sedurre, e perdonami il francesismo, voglio godermi i miei ultimi orgasmi, con persone che secondo me saprebbero farti venire anche solo con dei baci sul collo, cosa che credo questo Damon sia in grado di fare. Ma, per quanto possa sembrarmi una persona decisamente interessante, oltre che estremamente sexy, non posso rischiare nessun coinvolgimento sentimentale. Quindi per quanto renderò la serata disastrosa, voglio comunque che ceda al suo istinto maschile, per il quale potrà vantarsi la mattina seguente di essersi portato a letto una bomba sexy, senza desiderare però di incontrarmi di nuovo – risposi specchiandomi nel mio tubino nero – questo è perfetto – aggiunsi infine.
- Ma scusa, se lo reputi interessante, anche se ci fosse qualcosa di più del semplice sesso, che diamine di problema ci sarebbe.?? – continuò a domandare imperterrita la mia amica, come se non lo sapesse.
- Sto morendo Caroline. So che odi quando ne parlo, ma è la verità e lo sappiamo benissimo entrambe. Forse non sarà domani, forse ho ancora qualche mese o addirittura uno o due anni, ma non di più, e non vedo perché coinvolgere più persone del dovuto in questo inferno – dissi duramente, e per la prima volta la ragazza non controbatté. Sapeva benissimo quanto avessi ragione.
- Sei divina con questo vestito – sospirò solamente in modo da cambiare discorso.
- Grazie – risposi sorridendole dolcemente – bene sono le 19.55 direi che metto le scarpe, soprabito e ci sono – aggiunsi tornando a toni più allegri.

Incredibilmente non fecero in tempo a scattare le 20.01 che Damon mi aveva già scritto di scendere.
Quando uscì dal portone me lo trovai impeccabile e più sexy del solito, appoggiato a una meravigliosa auto d’epoca azzurra, che mi guardava esattamente come volevo: mi stava mangiando con gli occhi.
- Una Chevrolet Camaro SS Convertible del ‘70.?? Devo dire che hai buon gusto – esordì stupendolo del mio commento avvicinandomi.
- Wow, una donna che sa parlarmi di macchine. Stai diventando sempre più interessante – ribatté lui e io iniziai a maledirmi mentalmente: dovevo annoiarlo, non stupirlo – Comunque è del ’69 – precisò poi aprendomi galantemente la portiera.
- Come siamo pignoli – l’ammoni cingendomi ad entrare.
- Deviazione professionale – affermò il ragazzo con un’alzata di spalle – comunque sei bellissima – mi sussurrò poi all’orecchio prima di chiudermi la portiera provocandomi non pochi brividi.
- Allora dove stiamo andando.?? – domandai curiosa non appena salì anche lui e mise in moto.
- Hudson Sky Terrace – rispose.
- Che eleganza, mi vuoi ammaliare grazie alle luci della città.?? – replicai divertita.
- Forse, oppure è semplicemente un posto non troppo caotico, dove si può chiacchierare amabilmente con un buon cocktail in mano – disse regalandomi uno di quei suoi sorrisi sghembi.
- Ricorda che so che sei un avvocato, quindi non mi lascerò abbindolare facilmente solo perché sei bravo a parlare. È il tuo lavoro, sarebbe scontato – lo punzecchiai a quel punto in modo da rendermi un po’ odiosetta; alla fine era quello il mio scopo.
- E tu non credere che basterà esser così rompi palle per farmi passare la voglia di conoscerti. Come hai detto tu, sono pur sempre un avvocato, so riconoscere chi sta sulla difensiva per non farsi scoprire – ribatté lui sicuro di se, come a farmi capire che aveva intuito il mio gioco.
- Quanta sicurezza – risposi a mia volta.
- Non potrei fare l’avvocato – constatò Damon.
- Giusta osservazione – commentai io.
- Ti piace avere l’ultima parola non è così.?? – continuò lui.
- Senti chi parla – ribattei nuovamente, capendo quanto il ragazzo non fosse da meno. Ci guardammo istintivamente complici entrambi, e scoppiammo a ridere per quella scenetta così tremendamente naturale.
- Non ti dico che ti devi fidare di me, non mi conosci, sarebbe da sciocchi, ma goditi la serata. O quanto meno provaci – cercò di spronarmi Damon.
- Non è così facile – ammisi sovrappensiero, senza realmente accorgermi di quanto mi ero pericolosamente esposta.
- Vecchie delusioni che ti hanno fatto perdere fiducia negli uomini.?? – chiese subito curioso.
- Dio no – scoppia a ridere per quanto fosse totalmente fuori strada – è complicato – aggiunsi.
- Eh allora non voglio sentire altre obbiezioni. Stiamo uscendo solo per un cocktail, ci facciamo 4 chiacchiere e ti riaccompagno a casa da bravo gentiluomo. Non c’è nulla di complicato in tutto questo. Che poi magari scopriamo che ci stiamo pure antipatici e non abbiamo niente da raccontarci – sentenziò fiero del suo ragionamento, e sorridere mi venne fin troppo spontaneo.
- Fammi indovinare, sei uno di quelli veramente bravi nel tuo lavoro vero.?? – domandai divertita, facendoli intuire di come avessi ceduto al non fare l’acida, ed esser semplicemente me stessa.
- Bravissimo – proclamò lui fin troppo fiero di avermi fatta capitolare.

Buona sera lettrici.!!
Rieccomi di nuovo, con tempi fortunatamente più brevi a postare.
Allora che ne dite.?? Ritorniamo a vedere la storia dal punto di vista di Elena. Ci troviamo alla galleria, ed ecco che avviene finalmente quel manovrato ennesimo incontro tra i nostri due protagonisti. Elena ovviamente non può che rimanerne decisamente lusingata, ma è fin dal principio fin troppo ben consapevole quanto questa cosa inizia a farsi "pericolosa". Ed ecco così, che nonostante la voglia di uscire e godersi quel bocconcino che è Damon, dall'altra vede la possibilità in lui di scoprire una persona interessante, una a cui in un ipotetico futuro potrebbe vedere qualcosa di buono, ma ovviamente ne ha paura, perchè lei un futuro non ce l'ha. Non almeno uno che vada oltre quache mese/anno, e non vuole esporsi ed esporre più persone del dovuto a quello che è "la sua triste storia". La si può biasimare.?? Certo che no, ma nonostante le sue intenzioni di esser "odiosa" Damon non si lascia scoraggiare, e mette subito in chiaro le cose con la nostra Gilbert per la serata con un ragionamento sensato : "è solo un drink, e magari scopriamo pure di esserci antipatici".
Nel prossimo capitolo leggerete il loro appuntamento e le conseguenze sotto il punto di vista di Damon, e ci saranno decisamente dei risvolti interessanti.
Spero come sempre che la lettura vi sia piaciuta, e ringrazio come al soltio chi legge, segue e commenta.
Un grosso Bacione
A.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 6. That gonna be a mess ***


6.That gonna be a mess

Dopo 3 ore passate in compagnia di Elena, ero giunto a conclusione di aver passato tra le migliori serate della mia vita, e contando che non ero riuscito ancora nemmeno a strapparle un bacio, era una cosa incredibile.
Era bella da mozzare il fiato, semplice, piena di vita, intelligente, e con una risata che mi faceva perdere un battito ogni volta che la sentivo. Insomma, mi ero cacciato in un bel casino.
- Quindi, fammi capire, hai letteralmente stalkerizzato un personaggio come Steve Mccury per un intero mese.?? – le chiesi divertito mentre parlavamo della sua caparbietà.
- Certo. La mia è una galleria piccola, e soprattutto nuova. Voglio far conoscere gli artisti che propongo, ma per farlo ho bisogno di farmi un nome grazie a chi ha già un riscontrato successo – iniziò a spiegarmi piena di passione. Si vedeva che amava il suo lavoro – Il prossimo mese avrò in mostra questa nuova artista, che mischia la fotografia alla pittura. È una cosa molto particolare, ma che vale assolutamente la pena di vedere, il problema che la conosco davvero in pochi. Quindi ho giocato d’astuzia: ho esposto un’artista del calibro di Mccurry, la gente viene a vederlo e s’interessa al posto, che ho appositamente creato anche come luogo di ritrovo per via della caffetteria interna, e quando vi ritornano, ecco che si ritrovano un nuovo artista in esposizione sconosciuto, ma che potrebbe decisamente interessarli – concluse infine fiera del suo ragionamento.
- E fammi indovinare: mentre esponi questa artista sconosciuta stalkeri un altro elemento famoso da esporre il mese successivo – constatai ridente.
- Esattamente – rispose lei con un sorriso a trentadue denti.
- Ti piace proprio il tuo lavoro vero.?? – chiesi incantato dalla passione con cui parlava di ciò che faceva.
- Amo l’arte, in tutte le sue forme: pittura, scultura, fotografia…e soprattutto credo ancora ci siano persone che sappiano renderle giustizia. Quindi si, mi piace il mio lavoro – affermò sicura delle sue parole – E a te.?? Ti piace il tuo lavoro.?? – domandò di rimando curiosa.
- Decisamente. Provo magari qualche risentimento quando rimando tre volte di fila le mie vacanze per un caso, ma l’adrenalina che sento in tribunale quando devo dimostrare che ho ragione, la gratificazione quando riesco a rinchiudere in cella il cattivo di turno… Bhè, si mi piace eccome – risposi ripensando a tutte le volte che mio padre avrebbe voluto farmi cambiare idea.
- Mi hai detto però che tuo padre e tuo fratello sono medici: loro come hanno preso la tua scelta.?? – fece eco ai miei pensieri.
- A mio fratello poco cambiava. Lui ha sempre adorato fin da bambino girare per l’ospedale con mio padre, voler salvare vite…Con mio padre è stata più dura. Per lui sarei stato un ottimo chirurgo, un ottimo capo reparto. Dice sempre che sono caratterialmente la sua copia, il che è anche vero, quindi non ha mai digerito totalmente la mia scelta, per quanto comunque sia fiero di dove io sia arrivato – le spiegai vagando con la mente a tutte le nostre litigate sull’argomento.
- Non andate molto d’accordo quindi – commentò lei tristemente.
- No, quello no. Ci scontriamo spesso, perché fin troppo simili, ma ci vogliamo bene. Basta che non passiamo troppo tempo insieme – dissi divertito.
- Signori gradite ancora qualcosa.?? – chiese gentilmente il cameriere avvicinandosi a noi.
- La ringrazio, ma al 4° Cosmopolitan potrei rivelare i miei segreti più oscuri, non credo sarebbe il caso – rispose Elena ridendo.
- Seguirò la signorina, grazie – dissi io al ragazzo, per poi rivolgermi nuovamente a lei – Comunque buona a sapersi, la prossima volta ti farò perdere il conto così almeno scoprirò tutto di te – la stuzzicai.
- Cosa ti fa crede che ci sarà una prossima volta.?? – replicò lei piccata, ma con una certa malizia.
- Oh andiamo… siamo stati bene: abbiam chiacchierato, riso, scherzato e non puoi negare che ci sia una certa reciproca affinità sessuale – le risposi spudorato avvicinandomi pericolosamente al suo viso.
- Tu porti guai e io altrettanto, non conviene – ribatte lei seria, senza però scostarsi minimamente.
- E quindi.?? La vita è una Elena, bisogna godersela, perché dover scappare da qualcosa che entrambi desideriamo.?? – domandai cercando di capire cosa la trattenesse.
- Tutto ciò non porterà a nulla di buono – affermò con toni sempre più cupi.
- Amo il rischio – continuai io imperterrito.
- Ma non sai nemmeno qual è la posta in gioco – rispose quasi esasperata ma allo stesso tempo divertita, ma non diedi più spazio alle parole.
Mi fiondai sulle sue labbra con una foga che trattenevo fin dal primo momento in cui l’avevo vista davanti all’ospedale, e lei non si tirò indietro.
Fu così che giusto il tempo di pagare e arrivare al mio appartamento, che fortunatamente distava a pochi isolati da lì, che Elena era mia tra le mura della mia casa.
Feci giusto in tempo a chiudere la porta che iniziai a torturarla contro di essa. Baci infuocati, decisamente di suo gradimento da prima sul collo, poi trai suoi seni, per poi continuare tra le sue cosce non appena riuscì a sfilarle le mutandine. I suoi gemiti erano musica, e fu facile capire che come la volevo io, così mi voleva anche lei. L’aggressività da felina con la quale sbottono la mia camicia, e slacciò i miei pantaloni furono il giusto input per farla mia contro il muro non appena il mio membro fu libero dai boxer. L’intensità con la quale vivemmo quel primo round valse già solo quello tutte le precedenti notti che avevo passato in lieta compagnia. A seguire, quando la trascinai per una doccia fredda per riprenderci, Elena seppe rendere decisamente bollente anche quella.
Era in balia delle sue voglie e soprattutto senza vergogna. Era decisamente qualcosa di spettacolare.
Quando ci asciugammo, ci ritrovammo in cucina a ridere e scherzare, mangiando delle ciliegie che, non so come, lei aveva trovato in frigo.
La ragazza era seduta sul bancone dell’isola, io in piedi di fianco a lei.
- Bell’appartamento – commentò d’un tratto guardandosi intorno.
- Grazie – risposi sorridendo porgendole una ciliegia direttamente alla bocca, che lei non rifiutò.
- Però non è tutta opera tua. Qui c’è il tocco di una donna – aggiunse a seguire divertita.
- Mi hai scoperto – affermai ridendo alzando le mani in segno di resa – Mia madre mi ha dato una mano. Aveva paura di qualche mio colpo di testa – aggiunsi ridente.
- Del tipo.?? – chiese subito curiosa.
- Diciamo che ho una vena un po’ Dark, che ho minimizzato solo nel outfit total black fuori dall’ufficio. Quando mi sono trasferito qui qualche hanno fa, mamma era terrorizzata che trasformassi la casa in un posto lugubre, cosa che in verità non mi era mai passata dall’anticamera del cervello, ma la lasciai fare – spiegai alzando le spalle e fregando un’altra ciliegia – il tuo appartamento invece com’è.?? Un attico tutto rosa pieno di gattini.?? – le domandai poi a mia volta prendendola in giro.
- Dopo una serata passata con me, ti immagini davvero questo.?? – replicò perplessa e quasi offesa.
- Sto scherzando – dissi scoppiando a ridere, facendola rilassare immediatamente.
- Ah ecco – esclamò divertita – comunque niente di che, è un piccolo loft su due piani. È carino, ma è da poco che ci siamo trasferite lì, quindi è ancora abbastanza incasinato – raccontò vaga.
- Da quant’è che siete là.?? – le chiesi in risposta.
- Giugno – ribatté quasi freddamente.
- Ok, ok, non ti piace parlare di casa tua, recepito – tentai di smorzarla a quel punto di nuovo io, riuscendo a strapparle un sorriso – forse è meglio se continuiamo a parlare che so, della mia di casa, per la precisione della mia camera da letto – iniziai a stuzzicarla malizioso sporgendomi verso le sue labbra, insinuandomi tra le sue cosce ed Elena non se lo fece ripetere due volte. Strinse gambe e braccia attorno al mio corpo, e si lasciò trasportare fino al mio letto per un’incredibile 3° round.

La mattina seguente Elena non c’era più.
Nessuna traccia di lei in tutto l’appartamento, quasi avessi sognato tutta quella meravigliosa notte, ma io sapevo che non era così. Lei era stata in quella casa, lei era stata mia tutta la notte, ed era stato qualcosa di inspiegabile e meraviglioso.
Ero perso nella balia dei miei pensieri quando il telefono iniziò a squillare all’impazzata ricordandomi che oltre quella notte, avevo però una vita e un lavoro che decisamente necessitavano della mia presenza.
- Damon ho bisogno di un consiglio – esordì la voce di mio fratello mentre mi dirigevo in cucina per prepararmi un caffè.
- A tua disposizione Stefan – dissi ancora assonnato.
- Ma sei ancora a casa.?? – mi domandò di rimando il ragazzo.
- Si, lo so, sono in ritardo. Ma sai qual è il bello di esser il capo di uno studio d’avvocati.?? Che non devo render conto praticamente a nessuno, soprattutto a mio fratello neurochirurgo – gli feci notare irritato.
- Ok, ok messaggio recepito – affermò con toni colpevoli – comunque, un bel posto dove portar fuori a cena una donna.?? – chiese supplichevole.
- Uhuhu qualcuno qui ha un appuntamento con la fantomatica Caroline – iniziai a prenderlo in giro.
- Damon ti prego, fai il serio – mi rimbeccò lui nell’immediato.
- Sei ancora più noioso di prima mattina – commentai in risposta – Comunque dipende da che tipo è questa Caroline – domandai sta volta seriamente.
- Alta, bella, bionda, simpatica, intelligente… - raccontò sognante, ma lo bloccai nuovamente sul nascere.
- E magari con due braccia, due gambe, nata da un padre e una madre – dissi sarcasticamente – ho capito che ti piace, ma io parlavo di altro. È una raffinata o più camionista.?? Angelo sceso in terra o seduttrice.?? - specificai sospirando dell'ingenuità di mio fratello.
- Raffinata, della serie che ci tiene ad apparire elegante e ben vestita, ma non è attaccata ai soldi. Sicuramente non è una seduttrice, sembra un angelo, ma non per questo secondo me non ci sa fare, anzi – rispose sognante.
- Ok, mi stai facendo venire la nausea. Portala al The River Caffè. Elegante, prezzi non eccessivi, e vista tra le migliori di New York, la farai perdere te come oramai tu lo sei di lei – gli dissi ridendo.
- Grazie Damon – replicò lui sinceramente grato – Tu piuttosto dov’eri ieri sera.?? – domandò cambiando totalmente argomento.
- Io… preso dal lavoro. Sono stato su un sacco di carte tutta notte, e infatti ora sono in ritardo – gli raccontati sbrigativo – Fammi sapere come va la cena.! Ci sentiamo – aggiunsi, e senza aspettare risposta chiusi la telefonata.
Era relativamente strano che avessi mentito a mio fratello. Di base non mi facevo problemi a raccontargli delle mie scappatelle con qualche modella o cliente, ma con Elena era diverso. C’era qualcosa in lei che mi aveva stravolto in una sola serata, e il mio orgoglio era non poco ferito per la sua fuga.
Andai così al lavoro perso nei miei pensieri, ma non appena misi piede in studio riuscì a fare quelle che facevo sempre. Scindere vita privata e lavoro, e concentrarmi sul secondo. In quei giorni sarei nuovamente entrato in tribunale per condannare quel bastardo che aveva rovinato la vita a tre persone e le mie vacanze, e non c’era cosa che in quel momento mi gratificasse di più.
Esaminai per l’ennesima volta tutti i documenti, parlai con il mio secondo, ovvero l’avvocato del mio studio che mi aveva supportato nel caso, non che il mio fedele amico e collega Rick, e senza rendermene conto la giornata volò. Guardai per la prima volta l’orologio solo per le 21.30.
- Alaric, direi che per oggi abbiamo finito. Più di quello che abbiamo fatto, non possiamo fare – proclamai chiudendo il malloppo di documenti sulla mia scrivania.
- Vedrai che domani la vittoria sarà nostra – cercò di tranquillizzarmi lui.
- Lo spero bene. Non tanto per me, quanto per quei poveri ragazzi. Sono stati manipolati, hanno ucciso e commesso suicidio, e avevano solo 20 anni. Non si meritavano tutto questo – inizia a commentare ad alta voce.
- Ascolta lo sai che l’opinione pubblica è dalla tua parte. Ti mancavano solo le prove per rinchiudere quel mostro, e adesso ce le hai. Andrà tutto bene amico – affermò sorridendomi il mio collega – parliamo di cose più interessanti piuttosto. La sconosciuta.?? – domandò curioso.
- Eh…- sospirai - mi sa proprio che mi sono incasinato con la persona sbagliata Rick – aggiunsi scuotendo la testa avvicinandomi al carrellino degli alcolici.

Buonasera lettrici.!!
Scusate il ritardo ma sono state giornate un po' piene.  Concentriamoci però sul capitolo.
Avevamo lasciato i nostri Delena in macchina pronti a godersi la serata, senza tentativi di sabotaggio soprattutto della nostra Gilbert, e in effetti le cose vanno a meraviglia. Scherzano, parlano, ridono, si stuzzicano, e nonostante il tentativo di Elena di metter in guardia Damon, che tutto questo non ne vale la pena, lui se ne infischia beatamente e giunge al suo scopo. Passano tutta la notte insieme, ma nonostante ciò la nostra protagonista non si farà trovare al risveglio del ragazzo, con grande dispiacere di lui, che però, nonostante l'orgoglio ferito, deve tornare alla sua vita, che ora come ora ovviamente non gira in torno ad Elena. Di una cosa però oramai ne è certo anche lui: Elena non è come le altre, e sa per certo che lei è davvero un bel casino. Tornerà alla galleria a cercarla.?? Elena si lascerà andare.???
Lo scopriremo nel prossimo capitolo.!! 
Ora vi saluto ma ringrazio come sempre chi trova 5 minuti per leggermi.!!
Un grosso bacio
A. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 7. You are looking beautiful to be a zombie ***


7. You are looking beautiful to be a zombie

- Elena credo che dovresti andare a casa – mi disse preoccupata Bonnie non appena uscì per l’ennesima volta dal bagno.
- Bonnie tempo un’ora e mi riprendo, mi conosco, e soprattutto conosco oramai come funziona lo schifo che ho nel corpo – replicai esausta sciacquandomi la faccia.
Era passata una settimana dalla mia uscita con Damon e dalla mia ritirata furtiva dal suo appartamento. Dopo la fantastica serata e incredibile notte che avevamo passato insieme, avevo deciso che era meglio sparire il prima possibile onde evitare gli effetti collaterali che avrebbe portato pensare di rivederlo o anche solo sentirlo e il fatto che non mi avesse più cercato, nonostante un po’ di delusione, aveva ovviamente facilitato le cose. Ero tornata alla mia solita vita insomma, l’unico problema quel lunedì mattina fu il mio simpatico cancro, che aveva deciso dopo qualche settimana di pausa post operazione, di ritornare a stressarmi la vita con i suoi fantastici sintomi: forti nausee, vomito e ovviamente stanchezza incredibile.
- Posso avvisare almeno Caroline.?? – insistette nuovamente la mia amica guardandomi tristemente.
- Ti prego Bon, finirei diretta in ospedale, lo sai – le feci notare severa uscendo dalla toilette.
Mi diressi al bancone del bar e iniziai a pulire la macchina del caffè quasi maniacalmente in modo da potermi distrarre, quando una voce, che per quando sensuale speravo di non sentire più, mi sorprese alle spalle.
- Credo che anche se non luccichi, la si possa ritenere pulita sai.?? – domandò retorico il ragazzo facendomi scattare sull’attenti.
- E tu cosa ci fai qui.?? – ribattei a mia volta con toni scocciati senza comunque girarmi.
- E me lo chiedi.?? – replicò lui divertito dal mio far finta di niente.
- Direi – affermai degnandolo della mia attenzione - Punto uno, mi sembrava di esser stata abbastanza chiara l’altra mattina sgattaiolando senza avvisarti. Punto due, non ti sei fatto ne vedere ne sentire fino ad oggi, pensavo avessi recepito il messaggio – risposi duramente cercando di evitare comunque il suo sguardo, e ricacciare il più possibile il conato di vomito che spingeva nella mia gola.
- Punto uno, sono stato ingabbiato tutta la settimana tra il mio studio e il tribunale. Punto due, mi sembrava di esser stato abbastanza chiaro che non rinuncio facilmente alle cose che mi interessano e punto tre…– iniziò a replicare divertito lui.
- C’è anche un punto tre.?? – chiesi ironica io.
- Punto tre…- continuò lui imperterrito – hai una pessima cera – concluse stupendomi dell’ultima affermazione.
- Capita – risposi secca, sempre più intenta a correre nuovamente in bagno.
- Elena, stai tremando – mi fece notare Bonnie apparendo di fianco a me – servo io il signore – aggiunse riferendosi a Damon, non collegandolo al ragazzo dei complimenti della settimana scorsa.
- Sto bene – risposi nervosamente – ho solo…- tentanti di continuare la mia battaglia, ma dovetti rinunciare e dirigermi nuovamente al gabinetto senza guardare più in faccia niente e nessuno.
Rimasi lì dei buoni cinque minuti, stremata da aver buttato fuori quella che ritenevo a quel punto esser la colazione del giorno prima, essendo che mi rimaneva oramai ben poco nello stomaco, ma quando uscì per darmi una sciacquata fu la figura di Damon appoggiato al muro, ad accogliermi di nuovo tra il mondo dei vivi.
- È il bagno delle donne – dissi solamente.
- Stai meglio.?? – mi chiese preoccupato.
- Si – mentì – si può sapere cos’hai da guardare.?? Mi stai mettendo ansia lì impalato – aggiunsi degnandolo finalmente di uno sguardo.
- Cosa ci vuoi fare, metto in soggezione – replicò non curante lui – su dai, muoviti. Ti porto a casa – seguì staccandosi dal muro e dirigendosi alla porta.
- Come scusa.?? – domandai interdetta – È solo un’intossicazione alimentare. Tra poco starò meglio, quindi non vado da nessuna parte e sicuramente non con te – proclamai severa incrociando le braccia come una bambina.
- Elena, escludendo il fatto che hai un aspetto orribile che spaventa i clienti, ho parlato con la tua amica Bonnie, e intossicazione alimentare o meno, hai due opzioni: o ti fidi e ti lasci portare a casa dal sottoscritto, o la gentile ragazza al bancone ha parlato di chiamare la tua coinquilina, cosa di cui ho capito non saresti per niente entusiasta – affermò divertito lui, fin troppo consapevole di avermi incastrata.
- Bene – ribattei fuori di me sorpassandolo e uscendo dal bagno.
Salutai rabbuiata Bonnie, e dopo di che segui in silenzio Damon alla macchina.
Fu un viaggio decisamente silenzioso, interrotto solo dalle mie indicazioni.
Quando arrivammo al mio appartamento io ero sull’orlo di una crisi di nervi: sia per il suo odioso ghigno di vittoria che si tenne stampato per tutto il tragitto sia, e soprattutto, per la nausea che invece che darmi pace aumentava ogni secondo di più.
Scesi dalla macchina senza nemmeno salutarlo, ma nel momento in cui mi accorsi che mi stava seguendo a ruota, finalmente tornai a parlare.
- Scusa, cosa staresti facendo.?? – gli domandai perplessa.
- Accompagnando a casa.?? – mi fece eco retorico – Ti reggi a stento in piedi, non è il caso tu stia da sola – aggiunse come se fosse la cosa più logica al mondo. Avrei voluto avere le forze di replicare, ma purtroppo il nuovo round di vomito stava per arrivare al che mi dovetti semplicemente arrendere.
Entrai in ascensore e chiusi gli occhi come a pregare di raggiungere il bagno il prima possibile, e non appena aprì la porta dell’appartamento riuscì a mala a pena a sussurrare – Non guardare il disordine – che corsi immediatamente via.
Stavo davvero male. Non ebbi nemmeno le forze di ribattere o di divincolarmi quando Damon entrò nello stanzino e iniziò a reggermi la testa.
Fu straziante, e anche decisamente umiliante come situazione, ma dovetti ammettere che il ragazzo si rivelò un vero gentiluomo e soprattutto dallo stomaco forte. Quando finì la mia re interpretazione dell’esorcista, si premurò di lavarmi la faccia, prendermi in braccio e sotto mie sussurrate indicazioni portarmi al piano di sopra nella mia camera. Ringraziai davvero il cielo di aver finito in quei due week end di svuotare tutti gli scatoloni e aver sistemato la stanza.
Non so quando mi addormentai, ma nel momento in cui riaprì gli occhi mi sentì decisamente meglio.
Mi ci volle qualche attimo per realizzare tutta quella movimentata mattina, ma non potei non ammettere che dovevo sicuramente un’enorme favore al ragazzo steso sul letto di fianco a me.
Dopo avermi tenuto la testa senza troppi problemi e avermi portata nel letto, a quanto pare si era premurato di ricercare una bacinella per la casa, in modo di esser pronto per una ricaduta, e da bravo infermiere che si era rivelato, si era procurato anche una scodellina con dell’acqua fredda per bagnarci un panno da mettermi in fronte.
- Stai meglio.?? – mi chiese ancora con gli occhi chiusi, non appena captò i miei movimenti.
- Decisamente meglio – affermai arrossendo – Grazie. Davvero – aggiunsi sussurrando togliendo il panno dalla fronte.
- Fa sentire – disse sedendosi e allungandosi verso di me e posandomi una mano in fronte – Ti si è anche abbassata la febbre per fortuna – proseguì poi regalandomi un sorriso dolcissimo.
- Ho dormito tanto.?? – domandai poi cercando di alzarmi dal letto.
- Dove credi andare.?? – mi fece eco retorico il ragazzo bloccandomi per un braccio – Devi stare buona a letto te, cosa ti serve.?? – chiese poi tutto serio.
- Pensavo fossero tuo fratello e tuo padre a esser i medici – ribattei ridendo – Comunque volevo andare allo specchio e vedere come sono conciata – sospirai imbarazzata della mia vanità, e soprattutto di come avesse potuto vedermi lui.
- Sei bellissima per esser la versione di uno zombie. Ti piace come risposta.?? – chiese divertito.
- Direi che sfiora il pessimo, ma farò finta di crederci – risposi piccata.
- Si può sapere comunque cosa hai mangiato ieri sera.?? Come minimo doveva esser scaduto da qualche giorno – commentò perplesso.
- Uova – dissi pensando al primo alimento credibile di cui sapevo i pessimi effetti collaterali – si vede che ho letto male la data di scadenza e questo è stato l’orrendo effetto da film horror che ne è conseguito – spiegai cercando di esser più credibile possibile – comunque mi dici o no quanto sono collassata.?? – richiesi a seguire per sviare l’attenzione sull’argomento.
- Un’oretta e mezza. Sono le 15 adesso. A che ora arriva la tua coinquilina.?? – domandò lui facendomi ricordare della mia bionda amica.
- Teoricamente dovrebbe esser già qui – constatai pensierosa – quindi, grazie davvero per il tuo aiuto, Care mi avrebbe direttamente portato in ospedale, è un po’ esagerata, ma adesso puoi andare – conclusi sbrigativa. Non mi pareva il caso di spaventarla con uno sconosciuto in casa. Ma soprattutto non mi pareva il caso di illuderla che tale sconosciuto potesse esser qualcosa di più, sapendo bene cosa fosse successo tra di noi la settimana precedente.
- Non se ne parla, rimango qui finché non arriva, non ti lascio sola – replicò lui nell’immediato.
- Damon davvero, ti sono grata ma…- cercai di ribattere, ma ovviamente non me ne diede modo.
- Scordatelo – m’interruppe serio e solenne lui, ma tanto il danno era già fatto.
Esattamente in quel momento sentì scattare la serratura al piano di sotto, e in men che non si dica la voce di Caroline iniziò a risuonare in tutto l’appartamento.
- Elena.?? Sei a casa.?? Stai bene.?? – iniziò a gridare la bionda, al che dopo uno sguardo esasperato nei confronti di Damon, le diedi un segno di vita.
- Care sono su – urlai sospirando.
- Ero passata in galleria per vede… - partì in quarta la mia coinquilina preoccupata, ma ovviamente le parole le morirono in gola non appena mi vide seduta a letto con Damon al mio fianco – Oh c-ciao – balbetto alquanto sorpresa.
- Piacere, sono Damon – si presentò subito il ragazzo alzandosi dal letto e porgendole la mano, facendo strabuzzare gli occhi alla ragazza per il nome appena sentito.
- Oh Damon… - commentò maliziosa facendo aumentare il mio imbarazzo – Piacere sono Caroline, la coinquilina di Elena – disse regalandogli uno dei suoi migliori sorrisi.
- Ti stavamo aspettando, la signorina voleva cacciarmi da casa, ma stavo giusto dicendo che non mi sarei mosso fino al tuo arrivo. Ha passato una mattinata intensa, non mi pareva il caso – le spiegò cordialmente.
- Si bhè grazie mille allora, vuoi fermarti per un caffè.?? Credo sia il minimo per tutto quello che hai fatto oggi – gli propose giustamente la ragazza, ignorando i miei segnali di fumo discordi.
- Ti ringrazio, ma devo assolutamente scappare in ufficio – rispose sorridente lui – Mi raccomando Elena riguardati, e vedi di controllare cosa mangi – disse poi divertito voltandosi nella mia direzione – Ci vediamo presto – aggiunse infine malizioso, come a farmi intendere che con me il colpo non l’avrebbe mollato tanto facilmente.
- Vedremo – risposi fingendomi rabbuiata io – e grazie ancora – aggiunsi più dolcemente.
- Almeno lasciati accompagnare alla porta – commentò Caroline, ed entrambi sparirono dalla mia vista.
Sentì le voci dei due parlottare ancora per qualche minuto, ma una volt chiusa la porta ci vollero pochi attimi prima di ritrovarmi una bionda coinquilina furiosa ed estremamente curiosa, nuovamente nella mia stanza.
- Ti salvi dalla mia ira solo se mi racconti per filo e per segno cos’è successo, e cosa intendesse con “vedi di controllare cosa mangi” – esordì sedendosi accanto a me sul letto.
- È passato dalla galleria verso la tarda mattinata, quando io avevo già iniziato a stare male – inizia a raccontarle.
- Allora era tornato per vederti.!! – esclamò entusiasta la bionda.
- Care… - la ripresi io.
- Ok ok scusa, vai avanti – si calmò.
- Dicevo, è passato, io stavo già male e abbiamo iniziato a bisticciare, e a una certa sono dovuta correre nuovamente in bagno perché non riuscivo più a controllare le nausee. È venuto a controllore come stessi e a forza mi ha portato a casa, e con altrettanta forza mi ha accompagnata dentro. Da qui è stato il degenero, di quel che ho capito mi si è alzata la temperatura e Damon, devo riconoscerglielo, è stato ammirevole: mi ha tenuto la testa, portata a letto, messo i panni bagni in fronte… - le narrai ancora incredula del suo comportamento – devo dire che è stato davvero gentile, e che è stato un bene che abbia insistito così tanto – ammisi infine sincera.
- Bhè ma… non ti ha chiesto niente su perché stessi così male.?? – chiese titubante.
- Uova probabilmente scadute – sospirai con un sorriso tirato.
- Ora si spiega “vedi di controllare cosa mangi” – constatò passandomi un braccio dietro la spalla a mo di abbraccio – comunque mi sa che gli piaci davvero sai.?? – affermò poi sorridendo.
- Smettila di sorridere. Non è per niente una cosa positiva – ribattei severa scostandomi.
- Elena… - cercò di spronarmi lei.
- Care ne abbiamo già parlato, ti prego – la supplicai, al che la bionda non instette maggiormente.
Rimanemmo così, qualche minuto in silenzio, quando finalmente tornai a parlare spostando l’attenzione su argomenti più piacevoli.
- E comunque qui quella che mi deve raccontare qualcosa sei tu.!! Sbaglio o sei tornata decisamente tardi sta notte.? – le feci notare maliziosa riferendomi al suo appuntamento della sera prima.
- Si in effetti, Stefan mi ha portata fuori a cena, e dopo di che ci siamo fatti una passeggiata al molo perdendo totalmente la cognizione del tempo – raccontò arrossendo.
- Ti piace molto il dottor Salvatore allora – la presi bonariamente in giro.
- Parecchio – sospirò preoccupata.
- Eh no.! Cos’è quel musino scusa – la rimbeccai al volo.
- E che mi conosci, io sono quella che si prende sempre troppo facilmente e poi ci sei tu che raccogli i miei pezzi quando come al solito finisce che mi sono illusa troppo – commentò tristemente, alche questa volta fui io ad abbracciarla.
- Andrà tutto bene Care… tu che puoi goditi questo stato di ebrezza da 15enne alla sua prima cotta, e anche se fosse che ti spezzerà il cuore, cosa che sta volta non credo, ricordati che io sono ancora qui, pronta a raccogliere i tuoi pezzi e a spezzargli le gambe – la tranquillizzai facendoci scoppiare entrambe a ridere.

Buonasera mie lettrici.!!
Mi scuso immediamente per il mio ritardo, ma purtroppo è stata davvero una settimana pesante sotto tanti punti di vista e avvicinarmi al computer (escludendo le 8 ore che ci passo attaccata al lavoro ovviamente -.-) è stato infattibile.
Detto ciò eccomi di nuovo qui con un capitoletto post una settimana dal famoso appuntamento. Come si poteva immaginare Elena dopo la sua dipartita post seratona con Damon ha mantenuto fede ai suoi progetti, sparirare con il nostro Salvatore, e andare avanti con la sua vita.
Causa lavoro intenso, il nostro ragazzo tra l'altro non le è stato neanche troppo dietro, anche perchè giustamente ora come ora, tra la ragazza con cui è uscito una sera e sbattere qualcuno in galera, ha messo il lavoro in testa alle sue preoccupazioni. Possiamo biasimarlo.?? Direi proprio di no, soprattutto perchè nonostante la settimana trascorsa a preoccuparsi dei suoi casi, appena ne ha avuto l'occasione si è ritrovato alla galleria d'arte per cercare la bella Elena. Tempismo ovviamente pessimo, o forse, ideale (dipende dai punti di vista) perchè ritrova la giovane Gilbert decisamente in codizioni mica da ridere. Per quanto voglia rendere leggera questa storia, Elena ha comunque un cancro, e non è una cosa "che non ti causa mai problemi".
Vediamo qundi Damon in veste "bravo infermierino", cosa che ovviamente non sfugge alla nostra protagonista, per quanto la sua presenza inizialmente l'alteri alquanto. Detto ciò però tra una battutata e l'altra il ragazzo le rende chiaro una cosa: a lui poco importa perchè lei stia scapando da lui, Damon non mollerà il colpo, e sotto sotto ad Elena questo non dispiace affatto. Come finirà.?? ehehhe dovrete leggermi ancora per scoprirlo ;)
Bon fine del mio sproliloquio, spero solo che vi sia piaciuto il capitolo.!!
Grazie come sempre a tutte Lettrici, seguaci e commentatrici.!!
A presto
A. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 8. You are incomprehensible ***


8. You are incomprehensible 

- Quasi quasi ci è rimasta male a non vederti sta mattina – disse Bonnie poggiandomi il caffè sul tavolino.
- Quindi è sempre più vicina a cedere.?? – le chiesi divertito e speranzoso.
- Ho detto quasi Damon – sottolineò la ragazza – non ti montare troppo la testa - aggiunse allontanandosi ridente.
Erano passate oramai quasi settimane due da quando avevo fatto da infermiere ad Elena dopo la sua intossicazione da uova scadute, e da quel giorno mi ero presentato tutti i giorni (week end compreso) alla galleria per prendere un buon caffè, lavorare su qualche documento, e soprattutto vederla.
Ogni giorno era la stessa storia: io che passavo durante la mattinata, ordinavo qualcosa da bere e mi sedevo al mio solito tavolino, e lei che compariva dal suo studio, mi vedeva, mi prendeva in giro per la mia caparbietà e discutevamo su cosa stessi lavorando io o con quale artista stesse negoziando lei. Dopo di che ognuno per la sua strada, finché il sottoscritto non andava via, non prima però di averla salutata (in ufficio o al bancone) e averle chiesto per l’ennesima volta di uscire, sentendomi sempre e solo un sonoro No, senza nessuna spiegazione. Ma io non cedevo.
- Buon pomeriggio fratello – dissi rispondendo al telefono, non appena vidi lampeggiare il suo nome sullo schermo.
- Sai che giorno è oggi.??- chiese immediatamente lui senza nessun cenno di saluto.
- A meno che il mio calendario non erri è venerdì – affermai ironico.
- Damon…- mi rimbeccò lui nell’immediato.
- Stefan scherzavo. Oggi c’è la serata di gala per la raccolta fondi dell’ospedale, me lo ricordo – risposi pacato.
- Ci sarai vero.?? – chiese ansioso
- Si, vai tranquillo. Da quando ti interessa così tanto che io ci sia o meno.?? – lo presi in giro io.
- Ho chiesto a Care di accompagnarmi, e ci terrei che tu la conoscessi – mi spiegò lui.
- Wowowo, ci saranno anche mamma e papà alla serata, allora la ragazza ti piace sul serio – replicai incredulo, ma comunque felice per lui.
- Esattamente – disse serio lui.
- Recepito il messaggio, vedrò di esser più brutto di te, così non rischia d’innamorarsi del fratello sbagliato – ribattei divertito.
- Sei sempre il solito scemo. Tu ti degni di portare qualcuna piuttosto.?? – domandò ancora, proprio quando Elena apparve nel mio campo visivo.
- Ancora non so. Forse, ma rimango più sul no – affermai osservandola da lontano, mentre mi guardava con quei immensi occhi da cerbiatta, che sognavo oramai perfino la notte, e con quella sua buffa posa con le braccia sui fianchi, che si fingeva esasperata della mia presenza.
- Va bhè nel caso ho detto a Care ti portare un’amica se voleva – replicò lui, ma ovviamente non me ne poteva importare di meno. Oramai il mio obbiettivo e ossessione era diventata solo Elena.
- Smettila di rifilarmi le amiche brutte delle tue fidanzate. Giuro che me la so cavare da solo Stef – lo ripresi perso nei miei pensieri – a sta sera – conclusi chiudendo la telefonata giusto in tempo per poter concentrarmi su di lei.
- E io che pensavo ci avessi rinunciato – esordì sorridente la ragazza, sedendosi al mio tavolino.
- Suvvia, Bonnie mi ha detto che quasi ti dispiaceva non avermi visto sta mattina – la presi in giro, mentre fulminea la ragazza aveva già messo le mani sui miei documenti.
- L’avrà detto solo per illuderti maggiormente – ribatté divertita, ma comunque presa dal spulciare i miei fogli.
- Lo sai che quei fascicoli dovrebbero esser una cosa privata.?? – le feci notare mentre leggeva il caso che maggiormente mi aveva preso in quei giorni.
- Sai che me lo dici ogni giorno.?? Ma tanto alla fine non me gli togli mai dalle mani – rispose lanciandomi uno sguardo da furbetta.
- Sta sera esci con me.?? – le chiesi senza troppi preamboli.
- Sai che anche questo me lo chiedi ogni giorno.?? – replicò lei senza neanche degnarmi di uno sguardo.
- E tu ogni giorno mi dici di no, che ne dici di cambiare risposta.?? – le proposi togliendole di sorpresa i fogli dalle mani.
- Non se ne parla – ribatté lei alzandosi dal tavolo, ma la fermai al volo per un polso.
- Non sarebbe un vero appuntamento, giuro. Devo andare a un ricevimento e sarebbe carino avere un’accompagnatrice – cercai di convincerla io.
- Come se non potessi chiederlo a qualcun’altra – rispose sbuffando lei, liberandosi dalla presa.
- Ma io voglio te, non una qualunque – le dissi più serio che potevo.
- Damon io… non posso davvero – mi disse come se vi fosse un qualcosa che la bloccasse dal dirmi quel maledetto si.
- Ma io e te siamo già usciti – le feci notare.
- Lo so – rispose lei con un’alzata di spalle.
- E ci siamo divertiti direi – continuai con malizia.
- Lo so – ribatte nuovamente seguendo il mio stesso tono malizioso, spaesandomi totalmente da quel suo comportamento.
- Va bene, va bene, sei incomprensibile – mi arresi io con le braccia al cielo – ma guarda che lunedì sarò ancora qui – l’avvisai sfoderando uno dei miei migliori sorrisi.
- Tanto lunedì non mi trovi – affermò lei divertita con un’alzata di spalle.
- Hej cos’hai contro il lunedì te.?? – domandai a quel punto curioso – settimana scorsa sei sta male, questo non c’eri, il prossimo neppure, inizio a pensare che ti stia proprio antipatico – le feci notare divertito riuscendole però a strappare un sorriso sincero.
- E a chi piace il lunedì.?? – mi fece notare ridente – Comunqe è una lunga storia – sospirò – Però questo lunedì non ci sarò solo la mattina – confessò infine.
- Vorrà dire che passerò il pomeriggio – ribattei nell’immediato, facendola allontanare ridendo nuovamente.


Alle ore 19.30, come promesso più volte ai miei e Stefan, mi trovavo conciato come un pinguino al grande gala per la raccolta fondi del Presbyterian Hospital.
Non che odiassi quel tipo di feste, ma dopo la settimana pesante di lavoro che avevo avuto, avrei sicuramente preferito ritrovarmi con Enzo e Rick al solito pub con una birra in mano, piuttosto che a sorseggiare champagne e far conversazione con fin troppe persone.
- Ricordami di non investire più in vita mia in un ospedale – proclamò Enzo comparendo alle mie spalle mentre cercavo qualcosa di commestibile al buffet.
- Ricordati di non uscire più per un anno intero con una dottoressa di un qualche ospedale – lo presi in giro io ricordandogli a causa di chi e cosa si trovasse là.
- Giusta osservazione. Alaric.?? – domandò a seguire cercandolo tra la folla.
- Ci stava provando con la barista – dissi ridente – Tu per caso hai incrociato mio fratello invece.?? Mi vuole presentare la sua nuova ragazza – chiesi di rimando.
- Wo se l’ha portata qui dev’esser seria la cosa – commentò incredulo.
- Gli ho detto la stessa cosa, quindi sono davvero curioso di conoscere la biondina – risposi vagando con lo sguardo per la sala.
- Se stai cercando Stefan è impegnato con due bellissime donne all’ingresso – mi sorprese mia madre comparendo tra me ed Enzo.
- Lily, è sempre meraviglioso vederti – l’adulò sincero il mio amico con tanto di baciamano.
- Sei sempre troppo gentile Enzo – rispose cordiale lei.
- Mamma – la salutai io con un dolce bacio sulla guancia –cos’è questa storia di mio fratello con ben due donne.?? – chiesi alquanto perplesso.
- Bhè so che ti aveva avvisato che avrebbe portato la sua amica speciale sta sera – iniziò a spiegare lei facendomi scoppiare a ridere.
- Mamma non abbiamo più 15 anni, “amica speciale” è insentibile. Stef ha 30 anni oramai – la presi in giro io.
- Odio contraddirti Lily, ma tuo figlio ha ragione sta volta – concordò divertito Enzo.
- Oh eh va bene, avete capito il concetto – si rabbuiò lei – comunque dicevo, è venuto accompagnato dalla sua nuova ragazza, alla quale però ha proposto di venire con un’amica in modo da non sentirsi troppo a disagio – raccontò sempre con suo modo di fare pacato.
- E anche l’amica vale la pena.?? – domandò curioso il mio compare.
- È decisamente graziosa – confermò la donna – ora vi lascio però, devo andare a parlare con un paio di persone – disse per conclude – con permesso – aggiunse infine.
- Se l’amica è carina me la prenoto – affermò divertito Enzo al mio fianco non appena mia madre si fu allontanata abbastanza.
- Calma stallone, sono pur sempre io il fratello di Stefan, ho la precedenza – gli feci notare divertito.
- Si ma tu hai già la tua causa persa. Come si chiama.?? Elena.?? – mi prese in giro lui.
- Siamo in vena di esser spiritosi sta sera.?? Comunque ricordati che quando io riuscirò a conquistarla, eviterò a quel punto di presentarti la sua graziosa coinquilina – lo rimbeccai.
- Questo è un colpo basso – ribatté lui fingendosi offeso con una mano sul petto – però scusa, non mi avevi detto che aveva un cancro o una roba del genere.?? – mi ricordò Enzo, di quel primo strano incontro davanti all’ospedale.
- Credo, ma non so di preciso. Elena quel giorno davanti all’ospedale, disse di sfuggita che la sua amica era a prenotare la Chemio, ma di base feci controllare perfino mio padre ricordi.?? Ha detto che non c’era nessuna ragazza che corrispondesse alla descrizione che gli avevo fatto. Magari avevo capito male – dissi con un’alzata di spalle.
- Speriamo, perché prendermi pure la ragazza morente sarebbe un problema – replicò con sarcasmo.
- Enzo, per carità, questa era orribile come battuta – gli feci notare rabbrividendo.
- Scusa, hai ragione – disse lui realmente conscio delle pessime parole usate.
- Eccovi qua.!! – esordì comparendo dal nulla Alaric.
- Ma dove diamine eri finito.??- gli chiese divertito Enzo.
- Non vi preoccupate di questo miei compari – affermò malizioso lui – preoccupatevi piuttosto di quello che ho appena visto – aggiunse con toni misteriosi.
- Rick, spara – lo esortai secco.
- Tuo fratello, con due donne incredibili – proclamò con fierezza della sua scoperta.
- Sei in ritardo mio caro, sappiamo già tutto – replicò scoppiando a ridere Enzo – e per la cronaca, se l’amica della fidanzata di Stefan è carina, mettiti in coda, ci sono prima io – sottolineo il ragazzo.
- Non le avete ancora viste.?? – domandò curioso il nostro amico.
- Nada – risposi io preso dal sistemarmi la giacca.
- Bhè, sono proprio lì, ditemi se non ho ragione. Ora bisogna capire solo qual è la famosa Caroline – richiamò la nostra attenzione Alaric indicando un punto in fondo alla sala, ma quando alzai lo sguardo e finalmente ebbi modo di trovare la figura di mio fratello e delle due donne, persi totalmente ogni capacità mentale.
- Elena… – sussurrai incredulo.
- Come scusa.?? – chiese quasi strozzandosi con il proprio champagne Enzo.
- La ragazza mora è Elena – affermai senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso.  

Buonaseraaa.!!
Chiedo perdono per esser bellamente sparita per più di una setimana senza avvisare, ma sono stata via dalla mia cara nonnina, e purtroppo il buon vicino che per anni mi concedeva gratuitamente internet, ha deciso di metter la password al wifi, e io sono rimasta fuori dal mondo  XD
Escludendo ciò però rieccomi con un nuovo capitolo che sta per portare la svolta per i nostri Delena.
Ci ritroviamo infatti a due settimane post Elena esorcista, e come spiega il nostro Salvatore la situazione tra i due è migliorata, ma non va avanti. I due obbiettivamente stanno stringendo amicizia, ma Elena comunque rimane sfuggente e continua a declinare qualsiasi tipo d'invito. Damon non demorde e tenta anche di portarla a questo Gala con la scusa di aver bisogno senza impegno di un'accompagniatrice, ma niente, la nostra Gilbert rimane nel suo. Caso vuole però, che proprio al Gala alla fine ci si ritrovano entrambi. Finalmente un bel po' di nodi verranno al pettine, ma come e perchè lo saprete solo tra qualche giorno.!!
Spero il capitolo vi sia piaciuto e vi aspetto al prossimo.!!
Un bacio
A. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 9. I want this ***


9. I want this

Quando nel pomeriggio Caroline mi aveva chiamato e chiesto ti tornare prima a casa che aveva bisogno assolutamente di un favore, tutto mi sarei potuta immaginare, ma non di ritrovarmi un favoloso abito rosso di Marchesa, che mi sembrava quasi cucito addosso, a un gala per una raccolta fondi dell’Èlite newyorkese.
Stefan aveva invitato la ragazza, ma essendo che ci sarebbe stata anche la sua famiglia, aveva immaginato di quanto la mia bionda amica si sarebbe potuta sentire decisamente più a suo agio con qualcuno affianco, peccato che Caroline dopo aver accettato la proposta, e dato per scontata anche la mia presenza, non avesse contato quanto mi sarei potuta sentire a disagio io.
- Sei bellissima – mi disse dolcemente lei nell’ascensore del grattacielo dove si teneva la festa.
- Grazie, ma farmi complimenti non mi farà dimenticare il fatto che non vorrei esser qui – risposi piccata giusto due secondi prima che porte si aprissero e dessero l’accesso a un immenso atrio dove Stefan, vestito di tutto punto, ci aspettava sorridente.
- Buonasera signore – disse cordialmente avvicinandosi prima a Caroline per lasciarle un bacio sulle labbra e poi a me, per fare addirittura il baciamano – siete stupende, entrambe – sottolineò sorridente il ragazzo e io mi lasciai scappare una risata.
In quelle tre settimane sicuramente aveva avuto l’occasione di vedere a sua ragazza nelle sue condizioni migliori, ma decisamente non potevo dire lo stesso di me.
La nostra conoscenza era esordita con me che gli vomitavo sulle scarpe, ed era seguita con una serata in casa nella quale giravo in tuta stordita dalla chemio, e un’altra mattina nel mio pigiama con gli orsacchiotti e i capelli tutti arruffati. Quella era probabilmente la prima volta che mi vedeva effettivamente decente.
Seguimmo il ragazzo attraverso l’atrio, chiacchierando del più e del meno, ma una volta entrati nel salone principale entrammo nel vivo della festa.
- Wow, quanta gente – affermò incredula Caroline.
- Sono in molti fortunatamente che hanno a cuore il finanziare l’ospedale. Anche i più ricchi della città hanno delle debolezze, e tra queste qualcuno d’importante che purtroppo sta male e ha bisogno delle migliori cure nelle strutture migliori – ci spiegò cordialmente Stefan.
- In poche parole sono circondata da gente che paga le mie chemio – commentai sarcastica.
- Elena – mi riprese la mia bionda amica.
- Ok, prometto che per sta sera evito le battute sul mio cancro – risposi alzando le mani in segno di resa.
- Care stai tranquilla, da medico posso dire che finché Elena ci scherza sopra è un buon segno - la tranquillizzò il ragazzo, ma la mia coinquilina non fece in tempo a rispondere, che una bellissima donna sulla 50tina si avvicinò a noi.
- Figlio mio, non avrai esagerato a portare due così belle donne in una volta sola.?? A tuo fratello verrà un colpo al cuore – esordì la signora, salutando con un bacio sulla guancia Stefan, facendoci dedurre al volo di aver davanti la signora Salvatore.
- Volevo procurargli un po’ di invidia – rispose divertito lui – Comunque mamma ti presento Caroline Forbes, la ragazza di cui ti ho parlato, e la sua amica Elena Gilbert – ci presentò a seguire cordiale.
- È davvero un piacere conoscervi, tutte e due – disse gentile la donna – ora scusatemi, volevo assolutamente salutarvi, ma purtroppo devo scappare un attimo. Ci vediamo dopo – proclamò sorridente, e con un eleganza incredibile si allontanò da noi.
- Quella è tua madre.?? – gli chiesi stupefatta.
- È meravigliosa.!! Poterci arrivare così belle alla sua età – commentò Caroline.
- Poterci arrivare alla sua età e basta – replicai io beccandomi un’occhiataccia dalla bionda – Scusa, mi ero dimentica – aggiunsi colpevole.
- Si bhe, mia madre credo abbia fatto un patto con il diavolo. Molti credono più che altro con il chirurgo plastico, ma per assurdo, nonostante un figlio e un marito chirurghi, ha il terrore degli ospedali, figurarsi farsi operare da qualcuno – ci spiegò divertito l'uomo
Non capivo perché, ma c’era qualcosa di tremendamente famigliare nel suo racconto, eppure non riuscivo a ricollegare niente.
- Tuo padre è il capo di chirurgia giusto.?? – domandò poi curiosa la mia amica.
- Esatto. Però di base è un cardiochirurgo – rispose Stefan, e un’incredibile dubbio s’insinuò nella mia testa. Iniziai così a riflettere, ma fu Caroline a destare i miei pensieri.
- Elena mi hai sentito.?? – mi chiese stranita.
- Scusa, mi ero distratta, dimmi pure – replicai con un sorriso tirato.
- Dicevo, vi abbandono un attimo per il bagno, torno subito – disse guardandomi preoccupata per il mio comportamento e perplessa se ne andò.
- Stai bene.?? – mi chiese cordiale il ragazzo, ma non feci in tempo a rispondere che una voce che oramai conoscevo fin troppo bene distrasse entrambi.
- Fratellino, mi hanno detto in giro che eri con due splendide donne, ma qui ne vedo solo una – esordì il nuovo arrivato fermandosi al mio fianco, come se nulla fosse.
- Damon – replicò semplicemente Stefan con tanto di abbraccio fraterno – Giuro che erano due, la mia però è scappata in bagno, questa è Elena, la sua coinquilina non che il nostro cupido – specificò poi presentandomi.
- Scappata in bagno o da te.?? – lo prese in giro il maggiore con sguardo divertito, per poi rivolgersi a me – Non pensavo di rivederti così presto Elena – aggiunse poi con tanto di baciamano, facendomi arrossire al solo tocco delle sue labbra sulla mia pelle.
- Vi conoscete.?? – domandò stupito a quel punto Stefan.
- Decisamente, frequento spesso la sua galleria d’arte – specificò con il suo solito ghigno il ragazzo – il che mi porta a dedurre che conosco già anche la tua dolce metà – continuò poi rivolgendo lo sguardo al fratello.
- A quanto pare il mondo è decisamente piccolo – dissi io imbarazzata, quando notai una strana luce negli occhi di Damon. Come se avesse appena realizzato qualcosa.
- Damon.!! – esclamò d’un tratto Caroline riapparendo dal nulla.
- Si direi che è proprio il mio nome – affermò ironico il ragazzo, salutando anche la mia amica con il rituale baciamano.
- Bhè, se vi conoscete già tutti, vuol direi che mi sono risparmiato almeno qualche presentazione tirata e imbarazzante – giunse a conclusione divertito il più piccolo dei due fratelli – però sono curioso, hai detto che hai conosciuto Elena nella sua galleria, ma voi come vi siete incontrati.?? Sempre lì al caffè.?? – chiese rivolgendosi a Caroline, ma fu Damon a rispondere prontamente.
- Diciamo che per casi fortuiti ho fatto da infermiere ad un’Elena stile esorcista, e nel cambio di turno medico ho incontrato e conosciuto la sua coinquilina, non che la tua bellissima fidanza – raccontò lui, portando però Stefan a domande inopportune, che furono l’inizio dei miei problemi durante quella lunga serata.
- Ricadute del tumore o è stato a causa della chemio.?? – domandò preoccupato nella sua veste medica, come se tutti i presenti fossero al corrente della mia situazione, ma decisamente così non era.
M’irrigidì immediatamente sul posto, e riuscì solo a intravedere lo sguardo impanicato della bionda affianco a me.
- Ho detto qualcosa che non va.?? – chiese nettamente imbarazzato Stefan, come ad intuire di aver parlato troppo.
- No tranquillo – risposi sfoderando il mio migliore sorriso – Comunque era una ricaduta del tumore, me lo dovevo aspettare che prima o poi tornasse a farsi vivo – continuai con una pacatezza disumana sotto sguardo incredulo di tutti – Ora scusatemi, è il mio turno del bagno. Con permesso – conclusi sviandomela a gambe levate da quella imbarazzante situazione.
Sentivo lo sguardo di Damon su di me, lo sentì per tutto il tempo in cui attraversai la sala gremita di gente, ma tirai dritta e mi chiusi in bagno.

Quando finalmente ripresi padronanza delle mie emozioni, e riuscì ad allontanarmi dalla toilette, approfittai di quel momento di solitudine per avviarmi alla terrazza. Oramai la brezza autunnale era alle porte, ma nonostante tutto le temperature esterne erano decisamente piacevoli, e lo spettacolo di New York dal palazzo era meraviglioso.
Alla fine era successo. Damon sapeva del mio piccolo grande segreto e ora sarebbe stato tutto diverso.
Quando lo vidi per la prima volta, ero rimasta ovviamente subito folgorata dalla sua bellezza e i suoi occhi di ghiaccio, ma solo da quando eravamo usciti quella prima ed unica volta avevo intuito fin dal principio che se mi fossi concessa troppo avrei finito per farmi male. L’avevo evitato, ma lui era tornato a cercami, ed ecco che quel suo caffè alla galleria ogni santa mattina era diventata una piacevole abitudine. Lo conoscevo e mi facevo in parte conoscere tra una battuta e l’altra, ma niente di troppo impegnativo, solo due persone che si condendo per quei 5 minuti. Fossi stata una persona sana, una persona senza una data di scadenza così breve, dopo quel primo appuntamento non avrei mai esitato a replicare un uscita con lui. Era tutto quello che mi aspettavo da un uomo: bello, forte, deciso, intelligente, sarcastico, premuroso. Mi sarei concessa di innamorarmi magari in un futuro. Ma io sapevo di morire, e non volevo esser vista da lui come un povera ragazzina a cui concedere qualche notte per pietà.
Quella sera invece, rendendo noto il fatto che fossi malata, avrebbe voluto dire probabilmente la sua scomparsa. Chi mai vuole affezionarsi a qualcuno che sai che morirà.? O ancora peggio, sarebbe rimasto, per esser cordiale, per comportarsi come una persona che per educazione non sparisce da un giorno all’altro, ma niente di più: niente più malizia, niente più quei giochi di sguardi mentre cercava di capire perché li fossi così restia, nessuna più insistente domanda sul concedergli un secondo appuntamento.
- Bella vista, ma secondo me dall’ Hudson Sky Terrace era migliore – mi sorprese Damon affiancandosi alla sottoscritta scrutando l’orizzonte.
- A me sembrano più o meno le stesse – constatai perplessa di tale affermazione.
- All’Hudson Sky Terrace sorridevi, tutto era più bello – affermò girando la testa nella mia direzione e facendomi perdere una battito.
- Sembra che hai rubato la frase a qualche canzone dei Sum 41 – cercai di ironizzare io, voltandomi a mia volta verso di lui, ma fu un grosso errore.
Le sue iridi ghiaccio era fin troppo visibili anche al buio, e la loro intensità mi tolse immediatamente il fiato.
- È divertente come un avvocato bravo come me, nonostante avessi tutti gli indizi a portata di mano, non sono riuscito a ricollegare chi fossi e la tua storia – iniziò a raccontare amareggiato – Ti ho conosciuta davanti all’ospedale, ma il fatto che quella volta mi dicesti di star aspettando la tua amica che stava prenotando le chemio, mi fece pensare fosse lei ad esser malata, non tu. L’ho pure cercata sai.?? Chiesi a mio padre con una scusa di scoprire il suo nome per raggiungere te. Ma mi disse che di ragazze intorno ai 25 anni in chemio non c’era nessuna bionda, ma solo una moretta e io rinunciai di seguire così quella pista – continuò perso nei suoi ragionamenti che adesso li erano così chiari – e mio fratello poi. Mi ha servito le risposte su un piatto d’argento: “ho conosciuto Caroline in ospedale, grazie alla sua amica che dopo la chemio mi ha vomitato sulle scarpe”. Stesso nome, stessa età, stesso posto dove vi avevo incontrato io, eppure niente. E poi tu… il tuo volermi stare lontana, il tuo stare male, le tue assenza dal lavoro a causa di motivi “complicati”. Ho sempre avuto la risposta davanti ai miei occhi – concluse con toni quasi arrabbiati, non distogliendo mai i suoi occhi dai miei.
- Bhè forse non volevi vederlo, o forse non l’avrebbe capito nemmeno il migliore dei agenti dell’FBI. Comunque ora lo sai, e puoi capire le mie ragione – iniziai a dirgli tornando a guardare le luci della città – Io ho un tumore per il quale non c’è cura. C’è la possibilità di rallentarlo, avere qualche mese o forse uno/due anni in più, ma io morirò – sentenziai severa.
- Elena, io mi sto dando dell’idiota per non averlo capito prima, ma non ho assolutamente detto di comprendere o condividere le tue ragioni – replicò lui nell’immediato innervosendosi.
- Come fai a non comprendere.?? Mi stai dicendo che ora che sai tutto vorresti ancora uscire con me.?? Vorresti esporti a conoscere e forse voler bene a una persona che tanto saprai che se ne andrà dalla tua vita in qualsiasi caso.?? – cercai di farlo ragionare alzando la voce, ma Damon come al solito mi sorprese a modo totalmente suo. Non parlò più e non mi fece più parlare, semplicemente prese il mio volto tra le sue mani, si fiondò con foga sulle mie labbra, e io non riuscì a non farmi trasportare dalla sua passione e convinzione.
- Io voglio questo. Forse per un giorno, forse finché rimarrai in vita, o magari potremmo volerlo entrambi per qualche mese e poi stufarci, ma a me non importa altro. Dici che vuoi tenere lontane le persone per non esporle poi alla tua perdita, ma la verità e che sei tu l’unica che ha paura di vivere davvero quello che della vita le rimane – disse serio come forse non l’avevo mai visto e mi spiazzò. Cercai le parole per controbattere, ma niente di sensato ovviamente mi venne in mente. Rimasi quindi così, fissa e persa nei suoi occhi, finché non fu lui, dopo avermi lasciato un bacio sulla fronte, ad andarsene senza dire altro.

Buonasera bella gente.!!
Rieccomi finalmente con il capitolo che svela le verità.
Eravamo rimasti a un Damon incredulo che ritrova Elena alla festa in compagnia di suo fratello, e dopo un imbarazzante reunion tra i nostri protagonisti, ecco che il minore dei Salvatore, senza pensare, fa la domanda sbagliata al momento sbagliato, in presenza delle persone sbagliate. 
Ed è così che tutto il mistero di cui si era cicordata la nostra Gilbert svanisce in attimo e cerca modo di sfuggire alla situzione dcisamente scomoda, scappando prima in bagno e poi in terrazza. Ma Sia in questa FF che nella serie, sappiamo bene che Damon non è uno che molla il colpo. La ritrova e finalmente hanno il loro primo confronto.
Elena pensa di averlo finalmente, ma purtroppo, allontanato definitivamente.
Damon invece è di tutt'altro avviso. Lui vule Elena, e non sarà l malattia della ragazza a fermarlo. Ora, parliamoci chiaro: per il  momento il nostro Salvatore non ha ancora del tutto capito in cosa si imbarcando. Lui vede semplicemente una ragazza, che come mai nessun altra l'ha stregato, e vuole conquistarla, e non crede che sarà così facile perderla per via del Cancro, ma tutti i suoi ragionamenti più complessi li vedremo più avanti.
Ora come ora però abbiamo finalmente una chiara presa di posizione, e anche un po' dura del ragazzo nei confronti di Elena: lui sa quello che vuole e non ha paura, l'unica qui che si vuole realment proteggere è Elena, ed è un argomento tra l'altro che tratterò più avanti anche per quanta la questione dei suoi genitori.
Bon vi lascio, e spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Come sempre grazie mille a chi legge e segue, e un saluto particolare alla mia cara eli_s.!!
Bacioni
A.

ps. vi lascio con l'abito che indossa elena al gala
https://s-media-cache-ak0.pinimg.com/236x/66/c9/fa/66c9faf7790537326582135dcf3dd1b7.jpg

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 10. This is not a joke ***


10. This is not a joke

Era stato un week end lungo e stressante e sicuramente quel lunedì mattina non fu da meno.
Avevo assolutamente bisogno di staccare, ma soprattutto avevo bisogno di rivedere e riassaporare lei: Elena.
Dopo la nostra conversazione fuorviante in terrazza durante il gala, mi ero dileguato in men che non si dica dalla festa. Avevo decisamente bisogno di pensare, e anche di lasciarle spazio perché potesse farlo lei.
Il sapere che Elena fosse una malata terminale mi aveva decisamente sconvolto, ma anche in quei due giorni di riflessione e bevute in compagnia di Rick ed Enzo, constatai che le ultime parole che le avevo rivolto quella sera erano sincere. Io la volevo vivere. Non mi importava per quanto, ma volevo avere quell’opportunità, nonostante il dolore che ne sarebbe conseguito poi.
Cosa mi avesse fatto quella ragazza in sole tre settimane non ne avevo idea, mai in 32 anni di vita non mi era capitata davanti una persona che sapesse stravolgermi così tanto, ma con lei era successo. E non solo per la bellezza. Il suo modo di fare, di ridere, la passione che metteva in quello che faceva, la sua caparbietà, il suo modo anche di farmi impazzire a letto. Tutto. Volevo il pacchetto completo di Elena Gilbert.
Per questo motivo, dopo quel pesantissimo lunedì mattina, non c’era cosa che non desiderassi di più che andare alla sua galleria, bere il mio caffè, vederla e chiederle nuovamente di uscire, per farle capire che io non andavo da nessuna parte.
Arrivai lì per le 15.30, sperando che fosse già tornata da quella che scoprì esser da Stefan, una visita di controllo.
- Non ci credo – commentò Bonnie ad alta voce non appena varcai la soglia del caffè, e senza che feci in tempo a risponderle mi stupì correndomi incontro e abbracciandomi.
- Wow Bon Bon, mi stai abbracciando, che succede.?? – le chiesi perplesso ma decisamente divertito.
- Stai scherzando.?? Sei venuto.!! Ti prego dimmi che è per Elena, e non perché facciamo un ottimo caffè – iniziò a blaterare a macchinetta avviandosi al bancone, e io la seguì a ruota.
- Certo che sono venuto per Elena - dissi appoggiandomi al banco abbastanza spaesato – cosa diamine ti ha raccontato per esser così felice di vedermi.?? – le domandai poi curioso.
- Bhè che hai scoperto tutto e della vostra diciamo discussione, se così si può chiamare, di venerdì sera. Mi ha detto che ha riflettuto sulle tue parole, e che è vero, in parte avevi ragione, ma che secondo lei, il tuo volerla continuare a vederla a discapito delle conseguenze, fosse più una reazione del momento, ma che non lo pensavi – mi raccontò la ragazza – ma tu sei qui, e sei qui per lei.!! – concluse poi euforica.
- Si ecco, a proposito di questo. È già tornata.?? – domandai cercando di riportarla con i piedi per terra.
- Ehm in verità no – affermò spiazzandomi – Ma dovrebbe tornare tra poco, è uscita per una commissione – puntualizzò immediatamente.
- Perfetto, allora nel mentre il solito grazie – conclusi per poi dirigermi al mio tavolino preferito.
Tirai così fuori tutti i miei documenti, e mi persi nell’esaminare l’ultimo caso che mi era arrivato tra le mani.
Si trattava di una madre single, la cui figlia 15enne era stata uccisa. L’accusato principale era l’ex marito della donna, già precedentemente accusato negli anni di pedofilia, ma nonostante alcune prove schiaccianti c’era ancora qualcosa che non mi quadrava. Non tanto se fosse colpevole o meno, di quello ne ero praticamente certo, ma c’erano delle discrepanze che avrebbero potuto andar meno alla classica frase “oltre ogni ragionevole dubbio”.
Immerso così nei miei pensieri, quando vidi la tazza di caffè poggiarsi sul mio tavolino, non diedi troppo peso a chi effettivamente me la stesse ponendo. Sovrappensiero accennai un – Grazie Bonnie – e continuai a leggere i miei documenti.
Solo quando sentì il rumore della sedia, capì che c’era qualcosa di strano.
Alzai immediatamente lo sguardo, e vi trovai Elena, seduta di fronte a me intenta a leggere corrucciata come al solito i miei documenti.
- Spero che tu abbia tutto quello che ti serve per sbattere questo mostro in prigione – commentò senza stogliere lo sguardo dal foglio che teneva in mano.
- Forse, ma ho bisogno ancora di qualche prova più imponente perché gli possa assicurare un biglietto di sola andata per la prigione – constatai.
- Bhè dicono in giro tua sia bravo – affermò lei riponendo nuovamente i documenti sul tavolo e sorridendomi timidamente – Ciao – aggiunse poi arrossendo.
- Ciao – risposi io sorridendo come un ebete.
- Sei ancora qua – constatò guardandomi negli occhi.
- Non che avessi mai detto il contrario – le feci notare con un sorriso sta volta più sicuro – allora sta sera sei libera.?? – domandai a bruciapelo spiazzandola.
- Damon… - cercò di controbattere lei, ma non glie lo lasciai assolutamente fare.
- Non ci provare – la bloccai subito – Quando siamo usciti la prima volta mi dicesti che non sapevo qual era la posta in gioco: ora la so, e voglio giocare comunque – le dissi serio prendendole una mano.
- Questo non è un gioco Damon – replicò lei facendomi salire il nervoso, ma cercai di trattenermi.
- Te l’hanno mai detto che saresti stata un bravo avvocato.?? – le dissi ironicamente – Io voglio viverti Elena. Non importa a che prezzo – aggiunsi guardandola fissa in quei suoi occhioni da bambi.
Il mondo sembrò fermarsi in quei momenti di silenzio, finché finalmente non si arrese.
- Sta sera alle 20.00 sotto casa mia – sospirò sconfitta e senza dire altro si alzò per andare via, ma non la lasciai andare immediatamente. La fermai per una mano, e prima che potesse reagire la trassi a me per stamparle un bacio.
- A sta sera – le sussurrai tra sulle labbra facendola arrossire.

- Ma come fai a trovare il tempo per esser anche un bravo cuoco.?? – mi chiese divertita Elena poggiata al bancone della mia cucina, mentre sorseggiava un buon Montepulciano.
- È un passatempo. Cucino dai tempi del liceo perché mi piace, in più ho scoperto che l’uomo che cucina ha un certo fascino su una donna, tanto vale approfittarne – le spiegai divertito avvicinandole il mestolo per farle assaggiare il sughetto che stavo preparando.
Alla fine, dopo essermi scervellato tutto il pomeriggio su dove l’avessi potuta portare, avevo deciso di sfruttare il fascino dell’uomo casalingo.
Così alle 20.00 le feci trovare un taxi sotto casa sua e per la 20.15 era già a gironzolare tra i fornelli cercando di capire cosa stessi preparando.
Non so cosa le fosse successo, ma era serena, senza troppi muri, proprio come l’avevo conosciuta quella sera al Hudson Sky.
- Dio ma questa sala è squisita.!! – commentò lei come una bambina.
- Hej, quale salsa.!! Questo è un sugo, che è diverso. Infatti sto preparando le mie famose polpette al sugo non alla salsa – le precisai fingendo toni offesi.
- Come sei puntiglioso. Sei proprio un avvocato – mi rimbeccò lei ridendo bevendo l’ultimo sorso di vino.
- Vieni qui – le feci cenno in modo da riempirle il bicchiere, ma non appena si avvicinò me approfittai per rubarle un bacio. Casto inizialmente, ma non andare oltre fu quasi impossibile.
Elena posò in automatico il suo bicchiere, e io in men che non si dica avevo già spento il fuoco dei fornelli e la stavo trascinando sul mio divano.
Ci spogliammo vogliosi entrambi, e come quella prima sera, la passione fu padrona di ogni nostro singolo gesto.
In certi momenti avevo quasi paura di spezzarla, per quanto rude fossi nel prenderla troppo imponentemente, ma appena rallentavo o facevo per addolcire i miei movimenti, lei mi faceva ben intendere di non provarci nemmeno.
- Non ti piaceva proprio il mio vestito – commentò a caso lei non appena finimmo stremati.
- Come scusa.?? – le risposi divertito e spaesato.
- L’hai lanciato attraverso la sala in due secondi, deve esser proprio brutto – replicò lei ridente.
- Non, è che ho un debole nel vederti senza – le soffiai malizioso sulle labbra.
- Bhè, così sono sicuramente più comoda, ma non credo sia il caso giri nuda per il tuo appartamento – affermò lei alzandosi, dandomi le spalle.
- Ne sei certa.?? Non avrei nulla in contrario, giuro – le dissi ridendo io. La ragazza si voltò di scatto per farmi una linguaccia, e li la notai. La cicatrice ben evidente al centro del suo corpo. Elena si accorse subito del mio sguardo ben indirizzato, e si coprì imbarazzata con le mani.
- Ti frego una maglietta – proclamò semplicemente, come se fosse l’avesse già fatto mille volte e corse in camera mia.
Mi sentì un emerito cretino: nonostante le sue mille ostilità ero riuscito a convincerla di provarci, che non importava, ero riuscito a farle dimenticare che io sapessi del suo tumore, e poi eccomi lì come un ebete a fissare il suo “ricordino” della propria malattia. Ero terrorizzato che dati i suoi veloci cambi d’opinione sull’argomento potesse scappare da quella casa da un momento all’altro, ma come al solito riuscì a stupirmi.
Feci in tempo giusto in tempo a infilarmi i boxer e i jeans, che sentì la ragazza abbracciarmi dal dietro.
- Ti ho fregato anche dei pantaloni della tuta – sbiascicò contro la mia schiena, e mi girai lentamente verso di lei, senza però porre fine a quel contatto.
- Hai fame.?? – le chiesi gentile, come a voler cancellare quegli ultimi strani minuti, e riportare la sua mente a qualcosa di più piacevole.
- Abbastanza. Questo tipo di attività fisica mi fa venire sempre un certo languorino. Per non parlare del fatto che il cuoco sembrava esser bravo, quindi sarei curiosa di assaggiare cos’ha preparato – mi disse maliziosa per poi scostarsi da me e dirigervi in cucina.
Mi persi così a fissarla mentre si allontanava e capì quanto mi ero mi ero letteralmente fottuto da solo.

Quando la mattina seguente la sveglia mi riportò nel mondo dei vivi, mi stupì e mi rasserenò fin troppo il fatto di ritrovare Elena tra le mie braccia. Dormiva beata, e mi fece strano pensare che un mostro la stessa uccidendo dal dentro.
Era stata molto chiara su questo fatto: lei stava morendo e non c’era ancora una via d’uscita al suo male. L’unica cosa che si poteva fare era guadagnare tempo, e chissà, magari con esso riuscire ad arrivare a una soluzione che la salvasse, ma anche su questo c’erano poche possibilità. Quando quella domenica parlai con mio padre sull’argomento fu anche lui decisamente poco ottimista, ma oramai non mi importava più. Elena mi aveva legato a se quella prima volta davanti all’ospedale, e non ci sarebbe stata nessuna soluzione nemmeno per me per allontanarmi da lei. Oramai avevo scelto la mia strada.
- Deduco che devi andare in ufficio – sbiascicò la ragazza ancora con gli occhi chiusi.
- Scusa, non volevo svegliarti – le sussurrai accarezzandole la spalla nuda.
- Tanto devo andare al lavoro anch’io – replicò lei voltandosi nella mia direzione e spalancando quei suoi occhioni cioccolato, nel quale vi lessi però qualcosa di strano.
- Tutto bene.?? – le chiesi immediatamente preoccupato.
- Non iniziare a fare il medico con me – rispose secca alzandosi di scatto dal letto.
- Elena… - provai a richiamarla subito, ma era già scomparsa nel bagno.
Mi alzai così svogliatamente anch’io e mi dedicai a preparare una buona colazione per farmi perdonare in cucina, ma non appena Elena riuscì dal bagno, già incredibilmente pronta e con dei abiti più consoni alla giornata rispetto al vestitino succinto della sera prima o la mia tuta, intuì che avevo cucinato per niente.
- Io vado, alla fine devo incontrare per un caffè questa nuova scultrice per negoziare per una sua esposizione – disse frettolosamente cercando la sua borsa.
- Elena che succede.?? – domandai seriamente turbato dal suo strano comportamento.
- Niente Damon – rispose nervosa lei – Devo andare, ci vediamo – concluse poi dileguandosi dal mio appartamento.
Dire che rimasi basito dal suo comportamento era poco, ma avevo intuito in quelle poche settimane quanto potesse cambiare facilmente umore e decisione, anche a causa della minima cosa.
Decisi così di lasciarle spazio, almeno per quella mattina, e dopo il caffè andai a prepararmi in bagno.
Non ci feci caso nell’immediato, ma dopo poco potei constatare come fosse estremamente pulito e tirato a lucido, troppo rispetto a quello che era in quei giorni. Ci misi un attimo prima di capire cosa fosse successo, ma poi le vidi. Delle piccole macchioline rosse proprio vicino al gabinetto, che altro non erano che sangue. Elena stava male.

Buongiorno mie care.!!
Rieccomi con un nuovo capitolo, finalmente decisamente DELENA. 
Ritroviamo infatti un Damon convinto della sua scelta di voler uscire con Elena, e una Gilbert che finalmente si lascia andare alle sue emozioni, nonostante in parte cerchi inizialmente di ricordargli che la sua malattia non è uno scherzo.
Detto ciò abbiamo finalmente un secondo vero appuntamento, una cena normale, fatta di passione e serenità, che però si conclude la mattina seguente con un cambio di rotta da parte della nostra protagonista. Damon inizialmente non ci da peso, ma a fine episodio capisce che Elena è stata male.
Cosa porterà tutto ciò.?? lo scoprirete solo nella prossima puntata ;D ahha
Spero in tutto ciò che il capitolo vi sia piaciuto e vi aspetto presto :)
Un bacio
A.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 11. I'm so scared ***


11. I'm so scared

- Devi avvisare i tuoi – sentenziò dura Caroline.
- Care… - cercai di calmarla io.
- No basta, niente Caroline. Ti stai comportando in modo immaturo ed egoista. Non è non dicendogli niente del tuo tumore che li farai stare meglio – affermò davvero arrabbiata la ragazza – Sono passati 4 mesi da quando l’hai saputo, hai subito due operazioni e sei pure sotto chemio. Glie lo devi dire, e giuro su Dio che se non lo fai tu, ci penserò io – continuò sempre più fuori di se, iniziando a fare avanti e indietro per lo stanzino.
Erano oramai due ore che eravamo in ospedale, e l’attesa stava snervando entrambe.
Quella mattina, appena sveglia tra le braccia di Damon, avevo immediatamente intuito ci fosse qualcosa che non andasse. Delle fitte tremende avevano iniziato ad attanagliare il mio ventre, e tempo di giungere al bagno avevo iniziato a rigettare tutta la cena della sera precedente e sangue. Tanto sangue.
Non mi era mai successo prima, ed è inutile dire di quanto io mi sia spaventata. Non ero pronta per questo, nessuno mi aveva preparato per questo, non così presto comunque.
Avevo appena passato tra le nottate più belle della mia vita, e poi eccolo lì, il campanello che mi ricordava di come questo non sarebbe stato per sempre.
Ero stata odiosa con Damon, in parte perché stavo male, in parte per tentare nuovamente di allontanarlo da me e tutto questo, ma conoscendo il soggetto non ero poi così certa di esserci riuscita.
Fortuna volle però, che almeno quella mattina, non fu in vena di insistere con la sottoscritta, e appena varcata la porta di casa usa, ebbi modo di chiamare immediatamente Caroline e l’ambulanza che mi portò tempo zero in pronto soccorso.
- Vuoi che gli chiami adesso mentre vomito sangue.?? – le chiesi sarcastica.
- Appena ti sentirai meglio e capiamo il motivo. Non ti credere – ribatté lei incrociando le braccia sotto il seno.
Seduta nel lettino mimai il suo stesso movimento sbuffando, quando finalmente entrò il medico.
- Elena, Caroline… - salutò il dottor Brown cordiale appoggiandosi al mio letto – come sta la nostra ragazza.?? – domando poi controllando la bacinella di fianco a me.
- Ho smesso di rimettere quasi subito arrivata in ospedale. Ho solo delle costanti fitte alla schiena e al ventre – risposi immediatamente – Dottore quante è grave.?? – chiesi poi seriamente preoccupata. Caroline a quel punto, nonostante il suo esser arrabbiata, si affiancò immediatamente al letto e mi prese per mano, per farmi capire che mi era comunque vicino.
- Allora abbiamo un’ipotesi, ma per ora ti portiamo a fare qualche analisi più specifica – disse serio il medico.
- Dottor Brown, mi ha in cura da 4 mesi, sa che preferisco quando mi parla direttamente rispetto ai mille giri di parole. Cosa ipotizzate, e nel caso quanto potrebbe esser grave.?? – replicai imperterrita.
- Allora sono esclude le metastasi, l’ultima PET risale a un mese fa, sarebbe impossibile, per quanto il tumore al pancreas sia aggressivo, che dopo l’esportazione di quasi tutta la massa e la chemio, si possano esser formate – iniziò a spiegare rasserenandomi minimamente – Però può darsi che la chemio abbia indebolito più di quanto già non lo fossero alcuni vasi, portando a delle piccole emorragie interne – concluse sospirando pesantemente.
- E questo cosa vorrebbe dire.?? – domandò perplessa e preoccupata Caroline.
- Che mi dovrebbero ri operare in modo da risanare i vasi danneggiati – risposi per il dottore, il quale semplicemente annuì per concordare.
- Iniziamo prima a fare gli esami. Ti verranno tra poco a prendere per una risonanza, dopo di che faremo comunque anche una PET per sicurezza – disse pacato il dottore – in qualsiasi caso mettiti pure comoda, prima di domani da qui sicuramente non esci, sta notte devi stare in osservazione, qualsiasi sia il risultato – aggiunse guardandomi di sottecchi. Mi conosceva oramai abbastanza per sapere che speravo di svignarmela da li il prima possibile – a dopo – concluse poi uscendo e lasciando me e Caroline di nuovo in stanza da sole.
Nessuno delle due proferì parola, ma dopo qualche istante la mia migliore amica iniziò a sventolarmi il telefono davanti agli occhi.
- Non voglio sentire repliche. Sono qui fuori se hai bisogno – affermò, e senza dire altro uscì dalla stanza.
Mi rigirai in cellulare in mano per qualche minuto, cercando di trovare una qualsiasi scusa per evitare quella dannata chiamata, ma ero fin troppo consapevole che A) Caroline aveva ragione B) se non l’avessi fatto, sta volta la ragazza non si sarebbe fatta troppi scrupoli.
Cercai così il numero di casa in rubrica, e dopo aver preso un profondo respiro feci partire la telefonata.
- Pronto.?? – esordì la voce squillante di mia madre al telefono.
- Ciao mamma… sono Elena – dissi titubante.
- Amore.!!! Tutto bene.?? Non mi chiami mai a quest’ora – domandò subito preoccupata.
- Sisi, cioè…no. Io… - provai a balbettare senza sapere nemmeno cosa dire.
- Elena, mi stai preoccupando – replicò lei seria notando il mio tentennare.
- Ascolta, io sono in ospedale. È una storia lunga, e credo che non sia il caso affrontare tutta la questione al telefono…- iniziai a raccontarle, ma ovviamente venni interrotta tempo zero.
- Tu cosa.?!? – gridò la donna al telefono.
- Mamma ti prego devi mantenere la calma. Ti sto parlando, quindi vuol dire che sono viva – cercai di tranquillizzarla io immediatamente – però… ho bisogno della mia mamma – ammisi infine con gli occhi lucidi.
- Entro sta sera sono lì. Te lo prometto – affermò dolcemente lei, e chiuse la telefonata.

Verso le 3 di pomeriggio fui di ritorno da tutti gli esami che dovevo fare. Entro l’ora successiva sarebbero dovuti arrivare i risultati, e nel mentre Caroline ed io stavamo facendo dei stupidi test su una qualche rivista, per passare il tempo con un po’ più di leggerezza.
- Allora, morale della favola io sono estate e tu primavera – proclamò dopo aver calcolato i risultati.
- Il che vorrebbe dire.?? – domandai perplessa e divertita.
- Non lo so, non c’è scritto altro – replicò lei.
- Bha, che test inutili – commentai lasciando cadere la testa all’indietro. Avevo sempre odiato entrare negli ospedali, figuriamoci l’esserci costretta a forza.
- Vuoi che ti porti qualcosa.?? Non hai ancora pranzato, e oramai hai finito con gli esami – mi fece notare premurosa la ragazza, ma giusto quando aprì gli occhi per risponderle, notai due pozze azzurro cielo di cui proprietario stava per bussare alla porta della mia camera.
- Damon… - bisbigliai incredula – Come diamine….?? – inizia a domandare ad alta voce spostando direttamente lo sguardo verso la mia coinquilina.
Le probabilità che fosse stata lei ad avvisarlo, contando che usciva con il fratello, erano alte.
- Prima di inveire contro la bionda, sappi che quando cerchi di nascondere le prove di un reato a un avvocato dell’accusa, parti già svantaggiata – esordì lui con il suo solito ghigno vittorioso entrando nella stanza – per non parlare che hai tirato a lucido il bagno di un uomo. Dai, quanto poteva esser credibile.?? – aggiunse divertito sedendosi ai piedi del letto.
- Fortuna allora che non ho ucciso nessuno, o sulla mia testa graverebbe l’accusa di un ergastolo – commentai divertita. Vederlo lì, per quanto lo volessi allontanare, in quel momento mi rasserenò più qualsiasi altra cosa al mondo.
C’era qualcosa in Damon, che in così poco tempo mi aveva travolto, e per quanto sperassi per lui che scappasse da me, contemporaneamente pregavo segretamente che non rinunciasse mai al rincorrermi.
- Bene, approfitterò della tua presenza per andare a prendere qualcosa da mangiare – proclamò alzandosi dalla poltroncina Caroline – a dopo – aggiunse guardandomi maliziosa e uscì dalla camera.
- Come hai scoperto che ero qui.?? – domandai curiosa al ragazzo non appena ci ritrovammo da soli.
- Nel momento in cui ho capito che eri stata male, ho chiamato Stefan. Per pulire così quasi dettagliatamente il bagno dal sangue, dovevi averne perso molto, e immaginavo fossi corsa subito in ospedale. Così ho sentito mio fratello, gli ho fatto controllare se il tuo nome compariva tra quelli dei ricoverati in mattinata, e sono venuto appena ho sistemato due/tre cose in ufficio. Mi hai fatto preoccupare, ma per quel che ho capito di te, se mi fossi presentato qui immediatamente mi avresti incenerito – mi spiegò accarezzandomi il volto.
- Sta mattina sono stata odiosa – gli feci notare.
- Lo so – ribatté divertito lui.
- Eppure sei qui – constatai poggiando la mia mano sulla sua.
- Non è trattandomi male che mi allontanerai da te – replicò lui avvicinandosi al mio viso e strappandomi un veloce bacio sulle labbra.
Chiusi automaticamente gli occhi per gustarmi il suo sapore, e per un attimo mi sembrò di esser di nuovo nel suo letto coccolata dai suoi baci.
- Ora come stai però.?? – chiese preoccupato non appena i nostri sguardi si scontrarono di nuovo.
- Meglio, ma stiamo aspettando i risultati per capire cos’è stato. C’è la possibilità che mi rioperino. In più sta notte non posso muovermi da qui – gli raccontai sospirando.
- Va bene, ti terrò compagnia allora – rispose lui come se fosse la cosa più logica al mondo.
- Se ti urlassi contro che non se ne parla, che mi devi stare lontano e che tutto questo è folle, servirebbe a qualcosa.?? – domandai a quel punto retorica e un po’ divertita.
- Assolutamente no – affermò lui ridendo e posando di nuovo le sue labbra sulle mie.

Quando Caroline tornò con qualcosa da sgranocchiare, passò poco tempo prima che mi riuscissi ad addormentare. La mattinata era stata pesante e dolorosa, quindi non appena i miei dolori si affievolirono, il mio corpo cedette al sonno.
Fu decisamente la voce potente di mio padre, proveniente furiosa dal corridoio, a risvegliarmi.
- Sto cercando mia figlia, stanza numero 540, Gilbert. Elena Gilbert – lo sentì chiedere in ansia probabilmente a un’infermiera.
Aprì gli occhi di scatto, e cercai nell’immediato terrorizzata lo sguardo della mia coinquilina che sedeva di fianco al mio letto.
- È qui – gli richiamo una voce che riconobbi come quella di Damon, e non appena aprì la porta, tempo zero, mio padre si fiondò dentro.
- Cosa diamine sta succedendo.?!? – esordì l’uomo totalmente in ansia e spaventato abbracciandomi come per controllare se fossi reale.
- Papà, calmati – cercai di tranquillizzarlo io, non appena mi diede modo di tornare a respirare.
- Tesoro.!! – esclamò mia madre scansandolo e replicando il suo abbraccio.
- Finché continuate a stritolarmi non vi posso dire niente – gli feci notare innervosendomi.
- Lasciatela respirare, sembrate due pazzi isterici – gli riprese mio fratello comparendo per ultimo nella stanza.
- Jeremy.!! – lo chiamai io felice, e sta volta, fui io stessa a sporgermi per cercare un suo abbraccio, che ovviamente non tardò ad arrivare, ma decisamente meno soffocante dei precedenti.
- Sei nei guai grossi sorella – mi bisbigliò lui nell’orecchio.
- Più di quanto immagini – replicai a mia volta sotto voce e lo lasciai andare.
- Bhè io vado a salutare mio fratello. Passò più tardi – annunciò Damon uscendo per potermi lasciare con la mia famiglia.
- Vengo con te.!! – affermò scattando in piedi Caroline.
- Eh no signorina, tu sai più di quanto ci hai raccontato in tutti questi mesi, quindi da qui non ti muovi – la bloccò mio padre, e la ragazza silenziosamente e a sguardo basso tornò a sedersi colpevole.
- Ora raccontaci tutto – tornò a parlare dolcemente mia madre, e senza più vie d’uscita, presi un profondo respiro e iniziai a parlare.

Per tutto il tempo in cui raccontai la verità alla mia famiglia, nessuno osò interrompermi. Gli dissi del tumore, del fatto che mi avessero già operata, che avevo iniziato la chemio, e cercai di fargli capire che se non gli avevo detto niente per tutto quel tempo era perché cercavo di proteggerli.
Non se capirono il mio punto di vista, o semplicemente erano troppo sconvolti, ma quando finì di dirgli tutto, nessuno di loro mi andò contro e semplicemente mi chiesero cosa fosse successo quella mattina.
- In verità i risultati sarebbero dovuti esser pronti nel primo pomeriggio, ma non so come mai non si sia ancora palesato nessun medico – gli spiegai anch’io perplessa di non aver avuto nessuna notizia.
- Adesso andrò a chiedere informazioni – disse mio padre tutto serio come quando parlava di un suo paziente – Così vediamo anche se puoi mangiare. Sono le 18.30, tra poco, salvo operazione in vista, qualcosa te la farei buttar giù – continuò.
- Grayson vengo con te. So quali infermiere sono più disponibili a cercarti un qualche dottore – proclamò Care alzandosi finalmente da quella sua poltroncina. L’uomo annuì e senza dire altro uscì con la mia migliore amica dalla stanza.
- Io vado a fare una chiamata – sentenziò mio fratello con sguardo complice, sapevo che voleva lasciarmi da sola un po’ con mamma, ed uscì.
- Si chiama Anna – mi suggerì dal nulla mia madre.
- Si avevo intuito stesse andando a chiamare la sua ragazza – le dissi sorridente – Me l’aveva detto che si era fidanzato, e si era anche arrabbiato con la sottoscritta che non ero mai scesa un week end a casa per potermela presentare – aggiunsi con toni più tristi facendo calare un momentaneo silenzio.
- Amore mio, io capisco le tua motivazioni, ma è stato un errore non dircelo – constatò prendendomi la mano e guardandomi con gli occhi lucidi, e io finalmente crollai.
- Dirlo a voi sarebbe voluto dire renderlo reale, e io non volevo – iniziai a dirle tra le lacrime – Io ho paura. Ho tanta paura, e non voglio morire, non voglio – aggiunsi buttandomi fra le sue braccia, sentendo come anche lei oramai si era lasciata del tutto andare al pianto.
- È giusto avere paura… significa che hai qualcosa da perdere* – mi sussurrò mia madre tra i capelli e io mi sentì come una bambina, che aveva solo bisogno della sua mamma.

*Frase di Grey's anatomy 


Buonsera lettrici.!!
Con tempi più rapidi nonostante le giornate intense rieccomi con un nuovo capitoletto :)
Ci siamo: Elena sta male, finisce in ospedale, e questo porta finalmente Caroline a prendere una decisione netta sul tema dei genitori di Elena: o ci pensa la nostra Gilbert o ci pensa direttamente lei senza troppi giri di parole. Elena capisce le ragione dell'amica, e finalmente non può che non darle ragione, ed eccoci quindi che dopo aver saputo del problema sorto a causa della chemio, finalmente chiama sua madre.
Ora, nel mentre viviamo una fugace scena Delena, che porta Elena ufficialmente a capire che del nostro Salvatore non si libererà facilmente (cosa però che in verità non fa che farla stare meglio), ma ammetto che ho voluto concentrare maggiormente questo capitolo sulla famiglia.
Infatti vediamo arrivare tutta la famiglia alla carica e vediamo finalmente una Gilbert che si apre e che tra le braccia della sua mamma finalmente crolla.
Spero che il capitolo via sia piaciuto, e concludo ringraziandovi sempre di leggermi.!!
Un bacio
A.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 12. My wonderwall ***


12. My wonderwall

Il numero di gente presente all’ “Art, Caffè & Gossip” quel sabato sera, era incredibile.
L’inaugurazione della nuova esposizione firmata Roy Lichtenstein e l’organizzazione dell’evento da parte di Caroline erano davvero impeccabili, ma più impeccabile di tutte era lei: Elena. In quel suo vestito da cocktail che le fascia il suo angelico corpo, e quel sorriso che non si spegneva da tutto il giorno, era semplicemente meravigliosa.
Dopo l’operazione subita a fine settembre a causa del cedimento di alcuni vasi vicino al Pancreas, aveva ripreso totalmente le forze. Aveva avuto una sola giornata stile film horror e qualche di dolore perenne, ma per il resto era forte. O forse così voleva solo dimostrate, ma nel caso le riusciva maledettamente bene. L’unica pecca era che aveva dovuto interrompere momentaneamente la chemio, in modo da non ridanneggiare i vasi già fragili, il che voleva dire dare una minima possibilità al tumore di formarsi più velocemente.
- Chiudi la bocca o ti uscirà la bava – mi prese in giro Enzo affiancandosi a me.
- È la mia ragazza, non vedo perché non possa – replicai prontamente io guardandolo furbamente.
- Wo… ho sentito bene.?? La tua ragazza.?? Qui qualcuno finalmente ha reso ufficiale qualcosa.?? – mi domandò divertito, ma comunque incredulo il mio amico.
- Ma smettila… - lo rimbeccai immediatamente – non è che ci siamo detti siamo fidanzati o robe del genere, ma direi che oramai è abbastanza scontato – gli feci notare logicamente. Infondo eravamo a metà novembre, non ci frequentavamo da due giorni, e soprattutto era raro non ci vedessimo per più di 24 ore. Il caffè alla galleria oramai era diventata una piacevole abitudine, che non aveva a che fare solo con lei, ma comunque la incrociavo sempre.
- Ragazzi, vi prego, almeno fate finta di interessarvi a qualche quadro – ci rimproverò divertita spuntando dal nulla Bonnie, appoggiandosi alle spalle di entrambi.
- BonBon non dovresti intrattenerti anche tu, come la proprietaria, insieme a qualche ospite per spiegare la bellezza del signor Roy.?? – le risposi io ridendo.
- Che uomo senza cuore.!! Una donna meravigliosa ci degna della sua attenzione e tu la cacci così.?? – affermò con toni catartici il mio compare. Oramai era qualche settimana, che capitava spesso con me alla galleria, e quasi come fu per me, un colpo di fulmine con Elena, lui aveva perso la testa per Bonnie non appena gli si parò davanti una mattina.
- Enzo non ci esco con te – gli rispose ridente la ragazza – comunque hai ragione Dam, ero solo passata per salutarti e avvisarti che il fusto coi capelli cotonati non sta osservando il gesticolare di Elena, ma il suo seno, quindi ti consiglio di fargli intuire di girare alla larga – disse poi rivolgendosi al sottoscritto - In modo fine e senza spargimenti di sangue ovviamente - aggiunse con un sorriso prima di allontanarsi nuovamente.
- Quella ragazza mi farà impazzire – sospirò Enzo senza speranza.
- Si immagino – commentai sovrappensiero – Io vado a far capire al tipo cotonato che ci sta provando con la ragazza sbagliata – dissi a seguire senza neanche più ascoltarlo.
Scolai d’un fiato quello che rimaneva sello spumante nel mio bicchiere, lo posai su un tavolino e ne fregai un ennesimo a un cameriere che mi passo davanti, per poi avvicinarmi alla coppia che chiacchierava allegra come vecchi amici, con il sorriso migliore che potessi indossare.
- Elena – la richiamai cingendola per la vita e stampandole immediatamente un bacio sulle labbra davanti al tizio cotonato – Stai ottenendo un sacco di apprezzamenti sai.?? Sia per la mostra che per la galleria – la informai in maniera cordiale.
- Ottimo – rispose sorridente lei – Comunque Damon, ti presento Liam Davis. Liam questo è Damon Salvatore – ci presentò sorridente.
- Vi conoscete già.?? – chiesi curioso in modo da evitare figuracce.
- Bhe oramai sono quasi 6 anni – rifletté Elena.
- Di cui 2 e mezzo molto intimi – sottolineo furbo l’odioso tizio di fronte a me facendomi ribollire il sangue.
- Liam.!! – l’ho riprese arrossendo la ragazza.
- Non c’è niente di male Elena – ribattei io in modo straordinariamente pacato – Tutti abbiamo un passato e delle storie. Quello che conta però è il presente e chi ne fa parte – aggiunsi guardando di sottecchi quel certo Liam e stringendo maggiormente la ragazza a me.
Eravamo in scontro aperto.
- Si bhè, certe cose, o persone non passano mai - ripose il ragazzo facendo aumentare la mia voglia di tirargli uno schiaffo.
- Stai cercando di insinuare qualcosa.?? - replicai a toni di sfida.
- Bene – c’interruppe sul nascere Elena nervosa - mentre voi fate la gara a chi ce l’ha più grosso io vado a intrattenere qualcuno di più maturo – commentò scocciata, e senza che nessuno dei due avesse tempo di controbattere se ne andò.
Il ragazzo ed io ci guardammo perplessi, ma senza nemmeno salutarci tornammo ognuno per la propria strada.

 

Mezz’ora più tardi comunque mi trovavo a fumare una sigaretta nel mio posto preferito di tutta la galleria, il cortiletto interno, quando la voce di mio fratello, interruppe la mia quiete.
- Ti uccideranno quelle cose, lo sai.?? – domandò con toni di rimprovero affiancandomi.
- Eviterei di fare battute del genere a chi ha un ragazza con un cancro incurabile – gli feci notare sospirando.
- Touchè – replicò immediatamente – comunque, a proposito della tua donna, ho saputo del siparietto da eccesso di testosterone – commentò spaesandomi momentaneamente.
- Come scusa.?? – chiesi perplesso.
- Aspetta, come l’ha definito Elena.?? Ah si, una lotta di potere sul territorio da parte di due maschi alpha: patetico e fuori luogo – mi spiegò imitando la voce della ragazza.
- Quel damerino le stava fissando le tette – risposi piccato.
- Si chiama gelosia Damon – specificò lui richiamando la mia attenzione.
- Cosa.?? No – replicai come se mi avesse appena detto una cosa impossibile.
- Guarda che non è una malattia – mi prese in giro mio fratello – Io sono più che geloso di Caroline – constatò con un’alzata di spalle.
- Non è da me esser geloso – commentai tornando a guardare davanti me, e finendo di fumare la mia Lucky.
- Come non è da te avere una ragazza, ma le cose cambiano - replicò lui con una pacca sulla spalla, e tornammo entrambi alla festa.
Le sue parole ovviamente mi vorticarono in testa per tutta la sera.
Era incredibile come quella ragazzina mi avesse sconvolto la vita nell’arco di neanche tre mesi, ma era successo, e io non potevo farci proprio un bel niente.
Comunque quando la serata finì, Elena decise di rimanere anche dopo la chiusura, in modo da sistemare il grosso per non lasciare troppo casino per la mattina seguente, e ovviamente non la lasciammo sola. A una certa però anche Bonnie e Caroline decisero di tornare a casa, ed essendo che teoricamente Elena avrebbe dovuto dormire da me, rimasi con lei in galleria.

https://www.youtube.com/watch?v=9DvRCykzHy4

- Guarda che ne avrò ancora per un po’. Se vuoi vai, io dormo a casa – mi disse secca la ragazza raccogliendo i bicchieri, quando capì che fossi rimasto solo io.
- Non mi sorride l’idea di lasciarti attraversa Manhattan da sola all’una di notte. Casa mia è più vicino, e in più non mi dispiace aiutarti – le spiegai pacato passandole accanto cercando la scopa.
- Guarda che prima del tuo arrivo me la sapevo cavare benissimo da sola, e non ho smesso di saperlo fare – rispose piccata e inacidita. Era decisamente ancora arrabbiata, avrei dovuto lavorarla un po’ prima di farmi perdonare.
- Non lo metto in dubbio Elena. Solo che ora ci sono anch’io, e puoi approfittare della mia presenza – cercai di intortarla da bravo avvocato mentre iniziai a spazzare il pavimento.
- Un conto è esserci, un conto è imporsi, come avete fatto oggi tu e Liam – affermò lei nervosa – Io non sono un oggetto. So cavarmela da sola, nonostante il mio tumore sono comunque una donna indipendente – continuò seria parandosi davanti a me.
- Lo so. Ma io sono pur sempre un uomo, che quando vede qualcuno che ci prova con la mia ragazza, perde le staffe – le inizia a spiegare indurendomi anch’io mentre si allontanava nuovamente – smettila di pensare che ogni mia azione sia dovuto al fatto che sei malata, perché non è così. Tu sei tante cose Elena, non solo una ragazza con il tumore. Non hai scritto in fronte “Non consideratemi, ho un cancro”, perciò la gente ti guarda, ci prova e questo perché sei bella, gentile, forte, e io… io sono semplicemente geloso – conclusi tutto d’un fiato procurandomi i suoi occhi su di me.
Rimanemmo così, fissi a guardarci per qualche istante come se ci stessimo studiando, e poi lei mi stupì.
Lasciò cadere il sacco della spazzatura che teneva in mano, mi corse in contro e mi baciò con una foga tale come se avesse paura che scappassi da lei.
A quel punto non ci fermammo più, la presi in braccio, e iniziai a torturarla contro un muro, tra un quadro di Lichtenstein e un altro.
- Sono la tua ragazza.?? – mi chiese d’un tratto richiamando la mia attenzione mentre mi stavo dedicando al suo collo.
- Sei la mia ragazza – risposi quasi fossi in uno stato di trans perso nei tuoi occhi.
- Dimostramelo – mi chiese quasi con voce spezzata, e non me lo feci ripete due volte.
Abbassai i miei boxer, e spostai leggermente le sue mutandine per poter immediatamente entrare in lei.
Era calda, forse come non lo era mai stata, e la feci mia con una intensità tale che quasi mi spaventai. Occhi negli occhi, le sue mani intrecciate alle mie, i suoi gemiti che si confondevano con i miei.
Venimmo insieme e non ci fu sensazione più bella.

Lo fecimo altre due volte prima di ritrovarci appagati stesi sul pavimento, e per quanto l’ora precedente fosse stata sublime, tenerla nuda tra le mie braccia a chiacchierare, in quel posto così inusuale, rendeva l’atmosfera ancor più magica.
- Non l’avevo mai fatto in una galleria d’arte – commentai divertito – nei bagni di qualche locale, in macchina, al parco… - continuai a riflettere ad alta voce, ma venni ovviamente interrotto.
- Stai zitto un po’, stai rovinando l’atmosfera.!!! – mi riprese lei fingendosi rabbuiata, per poi scoppiare a ridere - comunque mi spiace per aver fatto l’acida prima – aggiunse poi con toni più seri.
- Non ti preoccupare, anch’io ho esagerato nel mio voler “marcare il territorio” – replicai dandole un bacio tra i capelli.
- E che sono terrorizzata dal fatto che le persone abbiano dei atteggiamenti, di qualsiasi tipo, nei miei confronti, solo perché ho un tumore e io invece non voglio dei trattamenti diversi per questo. Voglio che mi chi mi stia accanto lo faccia perché vuole stare con me, perché sono una bella persona, non perché sto morendo – mi spiegò cupa, e per quanto odiassi parlare con lei del suo cancro capivo il suo sfogo.
- Non è così Elena. Non per me quanto meno – inizia a rassicurarla – Quando ti ho vista per la prima volta, mi hai colpito per la tua bellezza e il tuo sorriso. Quando siamo usciti per il nostro primo appuntamento per la tua intelligenza e ammettiamolo, per la tua bravura a letto – specificai facendola arrossire – e dopo di che, ogni santo giorno in cui sono passato di qua per vederti, sono rimasto affascinato dal tuo modo di fare e la tua caparbietà. Il cancro è venuto dopo. E nonostante ciò ho scelto di rimanere, per la persona che sei – le dissi serio cercando i suoi occhi.
- Grazie – rispose semplicemente lei posandomi un bacio sulle labbra, e si riaccoccolò sul mio petto.
- I don’t believe that anybody feels the way I do about you now… - iniziai a canticchiarle dal nulla -Because maybe, You’re gonna be the one who saves me – continuai sentendola sorridere sulla mia pelle -
And after all, You’re my wonderwall – conclusi poco prima lei tornasse a baciarmi con passione.
- Sei tu che mi stai salvando dal non vivere a pieno quello che mi rimane – mi bisbigliò lei sulle labbra.
- Fidati tu stai facendo molto di più – le risposi sincero e tornai a stringerla a me, con la sua testa appoggiata ad ascoltare il mio cuore, che oramai non era altro che suo.

Buonasera care.!!
Mega ultra di fretta, quindi commenterò al prossimo capitolo.!!
Spero comunque la lettura vi sia piaciuta.!!
Un bacione
A.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 13. He is giving you love ***


13. He is giving you love

- Dici che sarà buono.?? – domandai preoccupata a Damon fissando il tacchino.
- Ti ho mai deluso in cucina.??- replicò lui fingendosi offeso della mia domanda.
- No, ma voglio che sia tutto perfetto, volatile morto compreso – risposi nervosa andando a controllare la situazione del tavolo.
Era il giorno del ringraziamento, e nonostante gli ultimi anni non avessimo mai organizzato le cose in grande Care ed io, il fatto che ci fosse la possibilità che fosse il mio ultimo, fece si che decidessimo, o più che altro decidessero tutti tranne me, di festeggiarlo insieme non solo ai nostri ragazzi, ma anche la mia famiglia, in viaggio per l’occasione da Mystic Falls.
- Se te lo stai chiedendo, si Elena, è tutto perfetto. Sto sistemando i tovaglioli e Stefan è andanto a prendere il vino che aveva lasciato in macchina – disse immediatamente Caroline non appena mi affiancai alla ragazza.
- Su bevi questo che magari ti calmi – mi propose Damon sbucando dal nulla e passandomi un bicchiere di vino rosso – Che poi si può sapere tutto questo nervosismo da dove arriva.?? Manco volevi festeggiarlo il ringraziamento – mi fece notare perplesso.
- Esatto, non volevo, ma siccome avete fatto tutti le vocine tristi dicendomi “potrebbe esser il tuo ultimo Elena”, ho dovuto accettare, e il fatto che tu e i miei genitori sarete allo stesso tavolo mi mette ansia – spiegai buttando giù il liquido nel bicchiere in un solo colpo.
- Wo, mica era uno shot Elena – mi prese in giro Caroline prendendomi il bicchiere dalla mano e tornando verso la cucina.
- Quindi sei preoccupata perché conoscerò i tuoi.?? – mi domandò perplesso.
- Non conosci mio padre – affermai sospirando.
- In verità si. Ricordi.?? A settembre, in ospedale…- tentò di rimembrarmi lui.
- Erano circostanze diverse, e non stavamo neanche ufficialmente insieme – ribattei io iniziando a sistemare a caso i cuscini del divano, quando suonò il campanello – Merda sono qui. Come sto.?? – chiesi preoccupata a Damon.
- Sei bellissima – mi rassicurò lui accarezzandomi il volto – andrà tutto bene – aggiunse poi accompagnandomi all’ingresso.
- Famiglia – esordì aprendo la porta, e in men che non si dica fui travolta dagli abbracci dei miei genitori.
- Tesoro come stai.?? Ti senti bene, nessun problema post operatorio.?? – mi tartasso ancora sull’uscio mia madre.
- Mamma – le dissi staccandomi – Partendo dal presupposto che mi hai chiesto le stesse cose sta mattina al telefono, e anche ieri, e l’altro ieri ancora, oggi del mio cancro non si parla. Che sia chiaro a tutti – proclamai guardando seria tutti i presenti.
- Io approvò – confermò mio fratello sbucando come al solito dal dietro, e proprio come in ospedale, tempo zero fui tra le sue braccia, in quel suo gesto non soffocante di cui sentivo la mancanza costantemente.

- Hai cucinato tu.?? – chiese perplesso Jeremy spuntando in cucina mentre controllavo le patate nel forno.
- Ovviamente no, ma non dirlo a mamma e papà, se no gli verrà il dubbio che in tutti questi anni non abbia imparato a usare i fornelli e sia vissuta di take away – gli dissi divertita.
- Ma esattamente quello che hai fatto – mi fece notare ridendo lui.
- Ma loro non lo sanno – replicai furba io assaggiando una patata – Dio sono squisite – aggiunsi facendogliene assaggiare una.
- Mmmm buone si.!! Caroline.?? – chiese forse ancor più perplesso.
- Ma va, Damon – specificai con un sorriso a trenta due denti.
- Mazza oh… bello, intelligente, simpatico, ricco e pure cuoco. Dovresti sposarlo – mi prese in giro il ragazzo, e io mi rattristi di colpo.
- Dio scusa Elena, non… - provò a giustificarsi lui.
- Hej tranquillo – lo rassicurai immediatamente con un sorriso – sarei stata una sposa pessima: sono una stakanovista, non cucino, sono disordinata, non ci so fare con i bambini… - cercai di alleggerire la situazione.
- Lui ti piace.?? – mi chiese premuroso, e fu la prima volta che mi trovai a rispondere. Nessuno mi chiedeva mai di lui, nemmeno Caroline. Forse perché erano tutti troppo impauriti che se mai avessi constatato di tenerci ad alta voce, ci avrei nuovamente ripensato, e dopo che finalmente a fatica mi ero lasciata andare, non volevano rischiare.
- Molto. Mi tiene viva: letteralmente – iniziai a spiegargli – e mi fa sentire come se avessimo tutto il tempo del mondo, anche quando entrambi sappiamo benissimo che non è così. Ma non importa, mi sta regalando comunque qualcosa che va oltre al fatto che non potrà esser per sempre – conclusi perdendomi a guardarlo oltre la cucina seduto a ridere e scherzare con Stefan e mio padre.
- Lui ti sta dando l’amore – constatò a quel punto con sicurezza ridestando la mia attenzione.
- Forse si, o forse qualcosa che gli assomiglia, ma va bene così – ribattei io sorridendo timidamente – su torniamo di là, o ci daranno per dispersi – dissi poi prendendo il vassoio con le patate.
- Elena ci hanno scoperto in pieno – affermò Caroline ridente non appena riapparì al tavolo.
- Oh oh, in cosa.?? – chiesi preoccupata risedendomi affianco a Damon.
- Che non siete state voi signorine a cucinare tutto, ma il tuo ragazzo – mi spiegò con toni di rimprovero mio padre.
- Dai glie l’hai detto.?? – domandai come una bambina capricciosa al ragazzo affianco a me.
- Giuro, non l’ho fatto apposta. Mi hanno chiesto la ricetta dando scontato che l’avessi fatto io e ho risposto d’istinto – tentò di giustificarsi lui.
- Amore mio, sarebbe stato comunque poco credibile, tu e Caroline avete sempre avuto una certa repulsione per i fornelli - ci prese in giro mia madre.
- Oddio, Miranda ti ricordi quando abbiamo fatto esplodere la zuppa.?? – ricordò ridendo Caroline.
- Come diamine avete fatto a far esplodere una zuppa.?? – chiese spaesato Stefan guardandoci incredulo.
- Credo che rimarrà un mistero. Il bello che manco la stavamo cucinando, era solo da riscaldare.!! – raccontai io facendo scoppiare a ridere tutti i presenti, e mi si strinse il cuore. Quando avevo scoperto del tumore, mi ero chiusa a riccio. L’unica che era riuscita a starmi accanto era stata Caroline. Per quattro mesi non ho voluto sapere di altri, nemmeno della mia famiglia. Quattro mesi, che avevo perso di loro, e che non avrei avuto più il tempo di recuperare.
- Tutto bene.?? – mi sussurrò preoccupato Damon all’orecchio.
- Sisi, solo… un attimo di malinconia – affermai stringendoli la mano, che prontamente Damon baciò come a farmi capire che sarebbe andato tutto bene.

- Rimango dell’idea che avremmo potuto lasciare l’appartamento mio o di Damon ai tuoi genitori, invece che fargli dormire in albergo – commentò Stefan portando i piatti in cucina.
- Ma glie l’abbiamo detto anche noi, ma non c’è stato verso – replicai io – si sono fissati che volevano dormire in albergo, io cosa ci potevo fare – continuai cercando disperata il solvente per i piatti.
Era oramai passata la mezzanotte, e la mia famiglia aveva da poco deciso di rincasare in hotel, mentre Care, Stefan, Damon ed io ci eravamo messi a risistemare l’appartamento. Piatti e cucina il più piccolo dei fratelli Salvatore in mia compagnia, mentre la sala era a discapito della mia coinquilina e il mio ragazzo.
- Ascolta, so che non ti va di parlarne, eccetera, ma come stai Elena.?? Purtroppo sono un medico, ho un occhio più vigile degli altri, perfino di Caroline che ti controlla h24… Ho notato i tremori e soprattutto stai iniziando a perdere peso, e si vede – iniziò a dirmi preoccupato e sottovoce Stef.
- Lo so. Sono passata in ospedale settimana scorsa e ho parlato con il dottor Brown. Ho fatto una nuova Pet e saprò domani. Ho un appuntamento nel pomeriggio. Care non sa niente, Damon nemmeno – risposi seria anch’io.
- Vai tranquilla – mi rassicurò lui posando una mano sulla spalla.
- Non per qualcosa ma la tua ragazza è sul divano Stefan, questa è la mia – esordì il maggiore dei due fratelli comparendo in cucina.
- Oh cavoli, hai proprio ragione, questa non è Caroline – lo prese in giro il ragazzo e divertito uscì dalla cucina lasciando me e il mio uomo da soli.
- Hej – mi sussurrò il ragazzo baciandomi il collo abbracciandomi dal dietro.
- Hej – risposi io rabbrividendo al suo solo tocco.
- Credo di stare simpatico a tuo padre. Mi ha chiesto se sarebbe possibile che scendessi con te a Natale a Mystic Falls – proclamò fiero di quell’invito.
- Wo… questo da mio padre proprio non me l’aspettavo. Si vede proprio che sto morendo, per accettare tempo zero un mio fidanzato – commentai sarcastica.
- Secondo me, hai ancora un annetto o due prima che succeda qualcosa - disse lui positivo, senza sapere come in quei giorni avessi riniziato a sentirmi male.
- Forse, ma… anzi sai cosa.?? Non voglio parlare del mio tumore, non sta sera – affermai girandomi verso di lui, ma non sottraendomi dalle sue braccia.
- Va bene signorina – replicò lui rubandomi un bacio.
- Comunque c’è una cosa che vorrei dirti… - iniziai a parlare imbarazzata e nemmeno troppo sicura che fosse il momento giusto.
- Quello che vuoi – mi rassicurò lui guardandomi con quelle sue pozze azzurro cielo.
- Ho capito una cosa su di te, su di noi. E puoi dare la colpa al fatto che stia morendo, e sai cosa? Forse è così ma ti dico che è la cosa più vera che abbia mai sentito in tutta la mia vita…. Ti amo, Damon. Io ti amo – dissi tutta d’un fiato terrorizzata di farlo scappare a gambe levate, ma sembrava piuttosto che fosse caduto in trans – Damon…- lo richiamai e lui finalmente riprese vita.
Si fiondò sulle mie labbra con una passione tale da farmi girare la testa, e mi lasciò andare solo per riprendere aria.
- Che ne dici, se salutiamo i due piccioncini in salotto e noi due andiamo in camera.?? – mi chiese con uno sguardo totalmente perso, per niente malizioso, solo….intenso e incredulo.
- Si certo, andiamo – risposi spaesata, ma comunque persa anch’io nel suo comportamento.
E così, non appena salutammo i due ragazzi accoccolati sul divano davanti alla tv, salimmo nella mia camera ad amarci.
Damon non rispose quella sera alla mia assurda dichiarazione, ma i suoi gesti e la sua reazione, mi fecero capire che, almeno in parte, i miei sentimenti erano ricambiati.

Buonasera lettrici.!!
Mi scuso della mia assenza, ma purtroppo sono stati giorni lunghi, duri e decisamente tristi, e la mia testa era tutto tranne che qui.
Detto ciò, rieccomi con un nuovo, e ammetto breve, capitoletto.
Elena si è operata, ha parlato finalmente con i suoi genitori e ha decisamente accettato la sua relazione con Damon. Le cose insomma sembrano andare a gonfie vele, ma la nostra ragazza sa che qualcosa in verità non va per niente bene, e Stefan, da buon medico lo nota nell'immediato.
I prossimi capitoli ci vedranno catapultati a Mistyc Fall, in un clima decisamente natalizio, e sicuramente saranno più dettagliati e ricchi di emozioni rispetto a questo che voleva esser una sorta di capitolo di "passaggio"
Nonostante ciò ho voluto regalarvi una piccola perla: il "ti amo" di Elena, che prende decisamente ispirazione dalla sua dichiarazione originale della 4x10.
Spero che per quanto breve, la lettura vi sia stata gradita e spero di riuscire a postare in tempi  più brevi.
Un grosso bacio
A.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 14. (∂ + m) ψ = 0 ***


14. (∂ + m) ψ = 0

- Una borsa.?? – mi propose Enzo.
- Non si stacca mai dalla sua Louis Vuitton – risposi sicuro.
- Un gioiello – suggerì Rick.
- Ci starebbe, ma volevo regalarle qualcosa di significativo, di non materiale… non so come spiegarvi – replicai prendendo l’ennesimo sorso della mia birra.
- Bhè potresti sprecarti a risponderle che l’ami anche tu – disse con un’alzata di spalle l’inglese, beccandosi un’occhiata torva dal sottoscritto.
Natale era alle porte, la mattina seguente saremmo partiti per Mistyc Falls per festeggiare con la famiglia di Elena, e io ancora non aveva trovato cosa regalarle. Ero vergognoso. In più, dopo l’inaspettata e incredibile dichiarazione di Elena del giorno del ringraziamento, io non le avevo ancora risposto.
Non che non l’amassi, anzi, oramai avevo constato la cosa da forse ancor prima di lei, ma quando me lo disse ero troppo spaventato che a risponderle “anch’io” avesse potuto pensare che glie l’avessi detto solo per compiacerla. Mi ero deciso così di dirglielo in un momento speciale, nel quale le avessi potuto dimostrare il mio amore più puro e reale, ma ovviamente non riuscivo mai a trovare il momento adatto.
- Il dirle “ti amo” va oltre al regalo di Natale – sospirai esasperato.
- Damon non per qualcosa, ma partite domani, fatti venire un’idea al volo o farai una figura di merda, in più davanti ai suoi – mi fece notare Alaric fregandomi la bottiglia dalla mani, ma era stato più utile di quanto potesse immaginare.
- Volo.!!! – urlai scattando in piedi sotto gli sguardi perplessi dei miei amici, ma poco importava, avevo finalmente trovato il regalo perfetto.

In quelle ore della Vigilia passate a casa Gilbert, scoprì tante nuove cose su Elena, di cui non avevamo mai parlato, come ad esempio il fatto che fosse un’ottima pianista.
Dopo cena infatti, come tradizione della famiglia, ci eravamo riuniti tutti in salotto a cantare i motivetti natalizi, accompagnati da Elena al pianoforte.
- È brava vero.?? – mi chiese d’un tratto Gryason, sedendosi affianco a me sul divano.
- Molto. Non avevo idea suonasse – risposi perso nel guardarla. Ero rilassata come non la vedevo da tempo, ma allo stesso tempo le si leggeva in faccia l’impegno che ci stava mettendo nel suonare.
- Ha sempre amato l’arte in qualsiasi forma: pittorica, architettonica, musicale, letteraria. Non c’era gita più bella per lei che andare in un qualche museo, e quando usciva, se non era con Caroline era chiusa a leggere alla biblioteca comunale e questo da quando aveva 7 anni. La musica però è arrivata anche prima – iniziò a raccontarmi l’uomo caricò di fierezza e amore – e qui il merito va a mia moglie. Lei era bravissima, lo è ancora, e ogni sera, da che mi ricorda, dopo cena ci sedevamo tutti in salone e lei si metteva a suonare il piano. Un giorno però ricordo che ebbe l'influenza e quindi dopo mangiato si chiuse subito in camera, per non contagiare ovviamente i bambini, e allora Elena decise di sostituirla. Purtroppo non sapeva leggere una nota dei mille spartiti sparsi sul piano forte, aveva solo 4 anni, quindi iniziò a premere i tasti a caso, cercando però di farli stridere tra di loro il meno possibile. Io diedi di matto a causa del fracasso e le proibì di toccare il piano forte senza di lei – continuò divertito dal suo stesso ricordo -fatto sta che quando Miranda guarì, dopo la usuale cena, si mise come sempre al piano, ma questa volta chiamò affianco a se la piccola. Iniziò a spiegarle quali sono e come si leggono le note, e tentò di insegnarle a suonare, dandole anche esercizi da svolgere nel pomeriggio, quando non c'era nessuno in casa ovviamente, così la prossima volta che lei sarebbe stata male e non avrebbe potuto suonare, l'avrebbe potuta sostituire, ma in modo più dignitoso. Con gli anni diventò brava, e quelle poche volte che riuscivamo a riunirci dopo cena, o durante le svariate feste di famiglia, iniziammo a insistere perché fosse lei a suonare - concluse poi, rivolgendo anch’egli lo sguardo verso la sua bambina.
- Doveva esser bellissima da bambina – commentai semplicemente.
- Chiedi a Miranda dopo. Di nascosto da Elena magari ti fa vedere qualche foto – ripose ridendo lui e tornammo entrambi a cantare tutti insieme.
Quando oramai la mezzanotte era vicina, la ragazza smise di suonare e si sedette sulle mie gambe, in modo, a detta sua, di farmi gli auguri per prima.
- Ho visto che parlavi con mio padre, ti ha tarchiato.?? – chiese preoccupata.
- Ahaha nono, mi ha raccontato come hai iniziato a suonare il piano. Sei una continua scoperta – le dissi strappandole un bacio veloce e tirandola un po’ più a me.
- Sapete che siete diabetici.?? – ci prese in giro Jeremy.
- Zitto te, le mie fonti rivelano che sei anche peggio con Anna – lo riprese immediatamente la ragazza – Sbaglio o ti sei presentato sotto il suo dormitorio con tanto di chitarra in mano e canzone scritta di tuo pugno.?? - aggiunse con sguardo furbo.
- E tu questo come lo sai.?? – le chiesi stupito e imbarazzato lui.
- Si dice il peccato, non il peccatore – replicò piccata Elena, facendo a scoppiare tutti a ridere.

- Mi fa strano pensare di dormire nel tuo vergine letto – presi in giro Elena mentre usciva dal bagno, seduto comodamente sul suo materasso abbracciato a un suo orsacchiotto.
- Guarda che il mio letto non è mica vergine – replicò divertita lei facendomi venire i brividi.
Dopo la mezzanotte eravamo saliti in camera, per prepararci alla giornata di domani nella quale avrei conosciuto il resto della famiglia Gilbert, ma nessuno dei due era obbiettivamente stanco per andare subito a dormire.
- Ti prego, ci sono cose che sul tuo passato che voglio fingere non esistano, come il fatto che tu abbia avuto altri uomini oltre a me – la ripresi fingendomi terrorizzato alla sola idea.
- E come credi sia mai potuta diventare così brava.?? – mi provocò maliziosa lei mettendosi a cavalcioni sul sottoscritto e avvicinandosi a pochi centimetri dal mio volto.
- Nella mia mente solo grazie alla mia presenza – replicai fiero al suo orecchio.
- Presuntuoso – sussurrò lei sulle mie labbra, per poi baciarmi con estrema lentezza e sensualità – Hai sonno.?? – domandò poi staccandosi di scatto con toni più seri.
- No, perché.?? – chiesi stranito dal suo cambio repentino d’umore.
- Vestiti, ti porto in un posto – proclamò seria, e si alzò nell’immediato dal letto.
Seguì i suoi ordini, e sotto la neve che scendeva oramai da quella mattina, mi feci trascinare in quello che si rivelò esser il cimitero della città.
- Ok, il cimitero non me l’aspettavo proprio. Però se tu pensi sia romantico… - iniziai a commentare stranito del posto, ma la ragazza mi bloccò.
- Zitto, non centra il romanticismo qui – sentenziò seria, quando ci fermammo sotto un albero un po’ più lontano rispetto al resto delle lapidi – io voglio esser sepolta qui – sentenziò semplicemente dopo un lungo respiro per poi provare a riprender parola, ma la fermai immediatamente.
- Scordatelo, non affronterò questo argomento con te – la interruppi duramente.
- Damon…- cercò di riprendere parola lei, ma non glie lo lasciai fare.
- No, niente Damon. Non voglio parlare della tua morte, ne tanto meno del tuo funerale , non sono pronto, e probabilmente non lo sarò mai – continuai imperterrito.
- Ma succederà, e ho bisogno che qualcuno sappia cosa fare nel momento in cui non ci sarò più – provò di nuovo a parlare.
- Scrivilo su un post it, manda un mail, non mi importa, ma io non ne voglio sapere. Tu sei viva e…- ripresi a urlare io.
- Per ora, sono viva per ora – sottolineò lei, come a ricordarmi che la sua condanna a morte fosse già scritta.
- Lo so che è un per ora, me lo ricordo ogni santa mattina quando ti vedo tra le mie braccia che non sarà per sempre, e mi uccide già abbastanza… - ribattei esausto, ma non riuscì a finire.
- E allora lasciami. Se non ce la fai, vattene. Dimenticati di me, rifatti una vita, scegli una donna che possa amarti e darti dei figli.!! Sapevi in cosa ti stavi immischiando, tu…- tornò a sbraitare lei con gli occhi lucidi.
- Certo, perché secondo te se io adesso me ne vado cancellerò tutti i sentimenti che provo. Dio santo Elena, io ti amo.!! E non sarà lasciandoti prima che tu esala il tuo ultimo respiro che smetterò di farlo – le urlai a quel punto scosso dalla discussione, facendo calare il silenzio tra di noi. L’aria era immobile, sembrava che solo le nuvolette creata dai nostri respiri potessero muoversi.
- Tu mi ami.?? – domandò poi Elena quasi in un sussurro.
- Mi sembra di avertelo appena urlato dietro. Tu che dici.?? – le chiesi quasi innervosito dalla sua domanda, come se fosse quasi incredibile che glie l’avessi detto davvero. Come se, nonostante i miei mille comportamenti espliciti dei miei sentimenti, non fosse stato comunque chiaro come il sole – Comunque si, Elena. Io ti amo, ed proprio perché ti amo che non voglio neanche immaginare quando non ci sarai più. So che succederà prima o poi, ma finché sei qui, un futuro con te è tutto quello che vedo, per quanto sappia che sia irreale – le spiegai frustato e lei rimase così, ferma a fissarmi smarrita, quando poi, senza se e senza ma, si fiondò sulle mie labbra.

Tornammo a casa poco dopo, bagnati e infreddoliti, ma ci scaldammo in men che non si dica sotto le sue coperte facendo l’amore.
Quando mi svegliai la mattina seguente però, mi spaesò non poco non trovarla nel letto tra le mie braccia.
- Elena.?? – la chiamai preoccupato, ed eccola che spuntò saltellante dal bagnato, già vestita per la giornata.
- Buon Natale.!! – affermò entusiasta buttandosi affianco a me e strappandomi un bacio.
- Wow dovremmo festeggiare Natale una volta al mese se questo ti rende così felice – la presi in giro tirandola tra le mie braccia.
- Scemo.!! Il Natale è bello così com’è proprio perché lo si vive una volta all’anno – mi corresse nell’immediato lei – e poi mi costerebbe troppi soldi e troppi sforzi scervellarmi una volta al mese per trovare i giusti regali – aggiunse alzandosi di nuovo dal letto e iniziando a frugare nel suo borsone.
- Cosa cerchi.?? – le chiesi curioso.
- Il tuo regalo ovviamente – rispose lei come se fosse la cosa più scontata al mondo.
- Me lo vuoi dare adesso.?? – replicai perplesso.
- E scusa, quando.?? – mi fece eco lei – Non mi dire che il mio l’hai messo giù con gli altri.!!! – mi rimproverò poi.
- I regali si scartano solitamente sotto l’albero, non avevi specificato che doveva esser una cosa privata – le feci notare divertito, mentre con suo sguardo torvo e con le braccia dietro la schiena, si sedeva sul letto di fronte a me.
- Prometti di non prendermi in giro.? – mi domandò preoccupata.
- Prometto – dissi sorridendo e la ragazza tirò fuori un astuccino che mi posò in mano.
Lo rigirai tra le mani, e l’aprì con cautela. Era una stilografica della Parker: nera, con il pennino in argento, e una piccola incisione su di essa “(∂ + m) ψ = 0”.
- È bellissima – commentai strappandole un dolce bacio.
- Sei un avvocato rinomato, e sia fuori che in studio scrivi con le Bic. È una cosa che non si può vedere mio caro – iniziò a prendermi in giro lei – così ho pensato che una Stilografica, ti potesse dare la classe che ti manca, anche se l’ho scelta rigorosamente nera, per rispettare il tuo lato dark – continuò ridendo.
- Hai pensato a tutto – le risposi dolcemente – e la formula.? – le domandai poi curioso.
- Quella è per ricordarti di me, anche quando non ci sarò – sentenziò abbassando lo sguardo – si chiama equazione di Dirac. Matematicamente parlando spiega che se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possono più essere descritti come due sistemi distinti, ma in qualche modo, diventano un unico sistema. In altri termini, quello che accade a uno di loro continua ad influenzare l’altro, anche se distanti chilometri o anni luce – raccontò come una scolaretta – riferito agli esser umani quindi, vorrebbe dire che se due persone entrano in relazione e instaurano tra di loro, nel tempo, un rapporto di amicizia o di amore e poi vengono separate, esse non possono essere definite come due soggetti differenti ma, in qualche modo, ne diventano un sola. Anche dopo la separazione, continueranno nel bene e nel male, a conservare dentro di sé una parte dell’altra. Per sempre – aggiunse arrossendo, ma ritrovando i miei occhi – Hai reso ben chiaro che odi parlare del fatto che un giorno non ci sarò più, ma questo e per ricordarti che, anche quando mi spegnerò, una parte di me sarà sempre con te e che per quanto breve il nostro per sempre possa esser stato, tu hai comunque influenzato il mio esser e la mia vita – concluse oramai con le lacrime agli occhi e a quel punto non risposi più di me. La tirai con foga sulle mie labbra, e pregai mentalmente che quel momento non potesse finire mai.

Buonasera lettrici.!!
Un po' in ritardo ma buon Natale.!!
Scusate le mie sparizioni e il mio discontinuo pubblicare, ma come già sottolineato nel capitolo precedente, non è stato un bel periodo e per quanto la storia sia già sul mio computer, trovare anche solo il tempo di correggere e pubblicare è stata dura.
Nonostante ciò eccomi con il mio nuovo capitoletto, tutto natalizio, per la prima volta in linea con l'effettiva festività ehehhe
Ci ritroviamo in casa Gilbert, a Mistyc Falls e abbiam decisamente un mix di emozioni: la malinconia e i ricordi di papà Gilbert, che fa scoprire sempre più a Damon chi è Elena, la scena angst nel cimitero, dove  ritroviamo il nostro Salvatore oramai sempre più consapevole della dura strada che ha scelto, ovvero quella di innamorarsi di qualcuno che non potrà avere per sempre, ma finalmente in un momento che più vero di così si muore, riesce a dire quelle due paroline magiche alla nostra Gilbert: Ti amo.
E infine ritroviamo il regalo di Elena, che cerca di far capire a modo suo quanto sia grata a Damon di quell'amore che le sta regalando, per quanto sarà breve.
Il regalo di Damon.?? ovviamente lo lascio al prossimo capitolo che spero davvero di pubblicare prima del nuovo anno.
Vi ringrazio come sempre per chi ancora mi legge, e spero di avervi interessato anche a sto giro.
Un grosso bacio
A.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 15. I'm gonna miss you princess ***


15. I'm gonna miss you princess

Se c’era una festa che avevo sempre amato era il Natale.
L’atmosfera magica che si creava intorno alla persone, la famiglia, i regali, il cibo, la neve. Tutto era sempre più bello a Natale, e sicuramente quello passato in casa quell’anno fu tra i più belli che avessi mai vissuto.
Damon mi aveva detto Ti amo la notte precedente, e il mondo in cui fecimo l’amore quella mattina, dopo il mio regalo, fu talmente intenso da spezzarmi quasi il cuore a pensare che un giorno non sarei più stata sua. E quel giorno purtroppo ero ben consapevole fosse più vicino di quanto tutti si aspettassero.
Quando infatti, dopo il ringraziamento andai dal dottor Brown, quello che scoprimmo non fu sicuramente un rassicurante. L’interruzione della chemio aveva fatto si che il tumore si fosse esteso ai linfonodi, e che quindi, anche se a gennaio avrei ripreso con la terapia, le metastasi erano purtroppo sempre più imminenti.
Nessuno sapeva niente, e a quel punto, preferivo così: la mia morte era cosa certa, per quanti tutti sperassero in un miracolo per il quale avendo più tempo, i medici trovassero qualche cura, ma distruggerli rendendoli partecipi che in verità di tempo me ne rimaneva anche meno del previsto, non era nei miei piani. Volevo che mi vivessero in un modo normale, come se il peggio fosse ancora lontano.
- Dai Elena, apri il mio regalo.!! – mi spronò su di giri Jeremy, passandomi il suo sacchetto.
- Ok, ok ora lo apro – affermai divertita scartando il suo pacchetto che si rivelò una scatoletta contenente un finissimo braccialetto d’argento con una medaglietta come ciondolo, con inciso “Carpe Diem”.
- È bellissima Jer.!! – gli dissi abbracciandolo.
- Credo che data la situazione, non ci sia frase più azzeccata per te – mi bisbigliò all’orecchio.
- Grazie – risposi io sotto voce staccandomi – bene adesso a chi tocca.?? – chiesi poi curiosa.
- Direi che è il mio turno – affermò Damon sorridendo fiero, e mi posò una piccola busta sul tavolino di fronte a me.
- Mi hai scritto una lettera.?? – lo presi in giro aprendola curiosa, ma quando vidi il contenuto ammutolì.
- Cos’è tesoro.?? – domandò gentile mio padre.
- Il tuo silenzio stampa è dato dal fatto che non ti piace, o…- iniziò a commentare preoccupato il mio ragazzo, e io tornai finalmente a parlare. Anzi a gridare.
- Oh mio Dio.!! Oh mio Dio.!! Oh mio Dio.!!! – urlai incredula saltando per la stanza – È fantastico.!!! – continuai entusiasta buttandomi tra le braccia di Damon.
- Ti prego, rendici partecipi.!! - disse mia madre.
- Sono dei biglietti aerei.!! Andata Parigi ritorno da Roma.!! Damon mi porta in Europa.!!! – spiegai tornando a saltare come una squilibrata.
- Wow.!! E quando partireste.?? – chiese mio fratello interessato.
- Partiamo il 2 gennaio e torniamo il 16. Facciamo 4 giorni a Parigi, 2 a Milano, 2 in Liguria a Porto Fino, 2 a Firenze e per finire 4 giorni a Roma – Iniziò a spiegare Damon a me e i miei famigliari – Al nostro primo appuntamento Elena ha parlato di quanto avrebbe voluto visitare il Louvre, la porta di Brandemburgo, i musei Vaticani, le maggiori opere rinascimentali, la Sagrada famiglia, il cenacolo di Leonardo Da Vinci, … Purtroppo non sono riuscito a organizzare un viaggio così lungo, ma diciamo che ho cercato di fare del mio meglio – concluse poi lasciandomi nuovamente senza parole. Si era ricordato tutto. Si era ricordato tutto di quel nostro primo appuntamento e di quello che avrei voluto vedere nella mia vita. Nella mia breve vita.
- N- non so co-cosa dire – balbettai emozionata.
- Credo che “grazie Damon, è un regalo meraviglioso” possa esser appropriato – mi suggerì ridendo mio fratello.
- Grazie Damon, è un regalo meraviglioso – affermai con sorriso a trentadue denti, e mi fiondai a baciarlo.

- Si tranquilla Care. Salutami tanto i tuoi. Un bacione – affermai concludendo la telefonata con la mia migliore amica ed espirai profondamente l’odore di neve che riempiva l’aria, portandomi alla bocca il mio tazzone di cioccolata calda.
- Pensavo fosse palese che la festa fosse dentro dove ci sono tutti gli invitati – esordì mio padre comparendo in veranda e sedendosi sull’altalena di fianco a me, rubandomi un po’ di coperta.
- Ero al telefono con Caroline. Ho fatto gli auguri a lei, i suoi e Stefan al telefono – gli spiegai sorridendo dolcemente.
- Stefan è il suo ragazzo giusto.?? – cercò conferma spaesato mio padre.
- Esattamente, non che fratello di Damon – risposi passandogli la cioccolata – l’hai già conosciuto tra l’altro, quando mi avete raggiunto la prima volta in ospedale a settembre – aggiunsi sospirando.
- Uhuhu giusto, il neurochirurgo che era passato a salutarti. È grazie a lui che hai conosciuto quindi Damon.?? – mi domandò curioso.
- In verità no. Gli abbiamo conosciuti in occasioni separate. Con Damon è stato tutta una questioni di incontri fortuiti nei luoghi più disparati. A Stefan invece gli ho vomitato sulle scarpe – ricordai ridente.
- Oj figlia mia… sei unica – affermò seguendo il mio buon umore ripassandomi la tazza fumante – comunque mi piace quel Damon, sembra proprio un bravo ragazzo – aggiunse poi sorridendo dolcemente.
- Già… però non credere, anche lui ha un bel caratterino. Bisticciamo un giorno si è l’altro pure. È molto testardo, probabilmente più di me – dissi con finti toni esasperati.
- Questo è poco ma sicuro. Per aver abbattuto i tuoi muri, e riuscirti a starti accanto bisogna esserlo – replicò divertito – Però ti rende felice, e questo è tutto ciò che un padre vorrebbe per la propria figlia – continuò poi con malinconia, e mi venne in automatico poggiare la mia testa sulla sua spalla, proprio come quando da bambina mi consolava quando ero triste, facendo calare il silenzio tra di noi.
- Sai da piccola con Caroline sognavamo sempre il nostro matrimonio. Lei aveva tutti questi grandi progetti in testa, io invece riuscivo a immaginare solo due cose: come sarebbe dovuto esser il mio futuro marito e tu che mi accompagnavi tutto elegante all’altare, promettendomi che se mai avessi voluto tornare a casa, io sarei rimasta sempre la tua principessa e che nel tuo castello ci sarebbe sempre stato posto per me – iniziai a raccontare con lo sguardo perso e la voce triste – negli anni però ho smesso di immaginarlo, e quando ho scoperto di aver il cancro, tra tutte le cose che ho capito non avrei potuto più fare, è stata probabilmente una delle cose infondo alla lista – continuai prendendo un profondo respiro – poi è arrivato Damon. Mi ha travolto con il suo modo di essere, con il suo modo di amarmi, e come una sciocca sono tornata a immaginarmi con quell’abito bianco e non c’è cosa più al mondo adesso che vorrei che esser scortata da te a quel maledetto altare e sentirmi dire che potrò tornare a casa quando solo lo vorrò – conclusi oramai con voce spezzata e gli occhi lucidi.
Mio padre non disse parola, semplicemente mi avvolse in un dolce abbraccio, permettendomi così di sfogare di nascosto le mie lacrime, proprio come quando lo facevo da bambina: nascosta dal mondo, protetta dal mio re.
- Ti voglio bene principessa mia. Mi mancherai – mi sussurrò poi lui con una voce piena di dolore.

Dopo una decina di minuti finalmente decidemmo di rientrare, e l’aria in casa Gilbert era decisamente più fresca e leggera.
Damon, Jeremy e il piccolo Sebastian erano presi sul divano a giocare alla play, mamma e zio John ridevano in cucina, zia Jenna e la moglie di John, parlavano serie al tavolo davanti a una tazza di the caldo.
Nessuno disse niente della nostra sparizione, ne tanto meno chiese del perché dei nostro occhi lucidi, solo Damon, che era momentaneamente fuori gioco, si alzò da divano per venirmi ad abbracciare e insieme ci avvicinammo a Jenna e Sarah.
Chiacchierammo amabilmente del nostro, a quanto pare prossimo, viaggio in Europa, e feci girare la testa a tutti, con tutto quello che mi ero già prefissata di voler vedere.
Ero felice, e tutto questo mi terrorizzava.
Odiavo pensare che probabilmente tra un anno non sarei più stata lì tra loro.
Odiavo pensare che in qualche mese, sarebbero spariti i sorrisi, e tutti quanti avrebbero dovuto affrontare la realtà che me ne stavo andando.
Odiavo pensare che avrei dovuto vederli stare male per me.
- Un penny per un tuo pensiero – affermò Damon abbracciandomi dal dietro mentre mi ero persa nel guardare il mio riflesso nello specchio.
- Niente di emozionante – replicai io girandomi e dandogli un bacio sulle labbra.
- Farò finta di crederci – mi prese in giro lui facendo scontrare come degli eschimesi i nostri nasi – allora pronta per l’Europa.? – mi chiese sorridente.
- Mai stata più pronta di così. Dovrò solo rimandare un paio di cose, ma niente di che – risposi riferendomi a qualche appuntamento di lavoro e il nuovo ciclo di chemio – Però ammetto mi ha sorpreso una cosa – aggiunsi uscendo dal bagno e buttandomi sul letto.
- Spara – disse sicuro sedendosi accanto a me.
- Mi porti in Francia, a Parigi, e non mi fai visitare i campi di Lavanda in Provenza?? – lo presi in giro ridente.
- Mi spiace, ma la Provenza all’alba del 2 di gennaio non è tutto sto granché. Preferisco far finta di assaporarla da te in galleria – ribatté divertito lui – in compenso Portofino, se tutto va come previsto e ci sarà il sole, è molto pittoresca, quasi come i campi di Lavanda – mi spiegò a seguire.
- Hai pensato proprio a tutto – dissi allungandomi verso le sue labbra.
- Sono un avvocato, non lascio mai nulla al caso – soffiò lui sulle mie labbra, ma proprio quando strappargli un bacio era cosa certa, il ragazzo mi ribaltò sul letto per farmi il solletico.
- No, no, ti prego – iniziai a gridare come una bambina, non riuscendo a smettere di ridere, finché non riuscì furtivamente a liberarmi e iniziare a difendermi con un cuscino, facendo partire così una lotta all’ultimo sangue.
Continuammo a giocare per almeno un quarto d’ora, per finire poi a fare l’amore sotto le lenzuola.
Mi prese in giro, e non poco, quando tornai a vestire il mio pigiama e l’obbligai a far lo stesso, invece che addormentarci nudi e abbracciati come nostra abitudine, ma l’idea che mio padre sarebbe potuto entrare in stanza, per un qualsiasi motivo al mondo, mi terrorizzava.
Per casi sfortunati però, le mie paranoie, furono l’unico risvolto positivo di quella notte.
Mi svegliai infatti d’un tratto senza forze di respirare e l’incredibile lucidità di Damon sul da farsi fu la mia salvezza.
Senza pensarci un attimo chiamò l’ambulanza, buttò nell’immediato i miei genitori giù dal letto, e cercò di far mantenere la calma a tutti fino all’arrivo dei soccorsi. Sentivo le voci spaventate della mia famiglia nella testa, ma non riuscivo a concentrarmi a causa della tosse soffocante che mi attanagliava.
Non so di preciso quando smisi di sentirgli, ma fu sicuramente poco prima che nella mia testa ci fu il vuoto.

Buonasera lettrici e buon anno.!!!
Spero che abbiate passato bene tutte le feste, o che almeno siano state migliori delle mie passate sempre in ufficio ehehhe
Comunque bando alle ciance, eccomi con un novo capitoletto, ancora immerso nell'atmosfera natalizia.
In primis scopriamo finalmente il regalo di Damon: un bel viaggetto tra Parigi e l'Italia per la nostra coppietta preferita, regalo che tra l'altro sarà parte fondamentale dei prossimi capitoli.
A seguire ho voluto dare spazio anche alla famiglia di Elena, e  in questo caso a un momento totalmente cuore a cuore tra padre e figlia. Non so voi, ma credo che un po' tutte noi ragazze abbiamo sempre sognato l'abito bianco e il nostro papà ad accompagnarci, perfino Elena, che realizza sempre più quanto oramai stia per perdere. Soprattutto ora che la situazione si è aggravata, le è sempre più chiaro di quanto il momento di dire addio sia sempre più vicino.
La crisi non è casuale, e spingerà come sempre Elena a dover aggiornare, per quanto al momento decisa a non farlo, tutti i suoi cari della situazione sempre peggiore.
Spero il capitolo vi sia piaciuto, e come al solito ringrazio ancora a chi mi sta dietro leggendomi, e un grosso ringraziamento va come sempre alle eli_s che mi supporta sempre tramite i suoi commenti.
Un bacio e a presto.!!
A.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 16. I'm not ready to say goodbye ***


16. I'm not ready to say goodbye

- Niente di rotto, ma la botta la sentirai per più di qualche giorno – affermò il medico che mi stava fasciando la mano – tienici per ora il ghiaccio sopra, metti il Lasonil mattina e sera, ed evita di tirare altri pugni al muro – aggiunse con toni di rimprovero.
- Si, si certo, ora posso andare.?? – domandai secco e il cenno esasperato del dottore mi fece schizzare nuovamente in sala d’attesa.
Elena era stata ricoverata da circa una 40tina di minuti quando tornai dal resto dei suoi famigliari: aveva avuto una crisi respiratoria in piena notte.
L’avevo sentita tossire, poi avevo percepito i respiri affannati e in men che non si dica avevo chiamato l’ambulanza e svegliato i suoi.
Avevo cercato di calmarla, tenerla lucida, rassicurare tramite la mia pacatezza tutta la famiglia, ma non appena varcammo le porte dell’ospedale di Mystic Falls, e l’avevo vista scomparire d’urgenza dietro le porte del pronto soccorso, ero scoppiato in grande stile, tirando un pugno al muro.
Risultato: mano sanguinante, gonfia e visita forzata alla mano sotto obbligo di Grayson Gilbert.
- Ci sono novità.?? – esordì nell’immediato non appena mi avvicinai a Jeremy.
- Ancora niente – rispose scoraggiato lui, ma non ebbi tempo di rispondergli che il mio cellulare aveva iniziato a suonare all’impazzata.
- Non sappiamo ancora niente – dissi nell’immediato prendendo la chiamata. Avevo avvisato tempo zero Caroline dell’accaduto, e immaginavo di sentire prima o poi la sua voce quella notte.
- Dio Grayson è un medico dell’ospedale. Non può spronare i suoi colleghi a muoversi.?? – replicò nervosa la ragazza. Per quel che l’avevo conosciuta, sapevo che la stesse uccidendo non esser lì con noi.
- Stefan è con te.?? – chiesi sospirando stancamente.
- No, è in ospedale. Aveva il turno di notte oggi – rispose tristemente lei.
- Ok – risposi pensando a come calmarmi e calmarla – facciamo che non appena ho delle novità, sarai la prima a esser informata. Ok.?? Ti fidi.?? – le proposi non sapendo più cosa dire.
- Mi fido – rispose secca lei – non esitare a chiamare a qualsiasi ora, tanto oramai non credo che chiuderò occhi – affermò sconsolata e spense la telefonata.
- Era già capitato.?? – mi domandò immediatamente Jeremy spaesandomi al momento.
- Come scusa.?? – ribattei perplesso.
- Era già capitato che stessa male in questo modo.?? – disse in modo più esplicito.
- No – risposi con un sospiro pesante – Nausea, pesantezza, vomito, dolori costanti alla schiena, ma questo… è decisamente un nuovo sintomo, il che vuol dire solo una cosa … - iniziai a spiegarli come un automa.
- …Che è peggiorata – concluse Jeremy per me.

Quando poco dopo finalmente riuscimmo a parlare con i medici, scoprimmo quello che già mi aspettavo da tempo: l’aver bloccato momentaneamente la chemio aveva fatto si che il tumore si rinforzasse nuovamente ed avesse avuto il tempo di attaccare indisturbato i linfonodi circostanti il pancreas e quelli toracici. Da qui la crisi respiratoria. Fortunatamente era uno di quei sintomi controllabili e quindi, dopo quella prima volta sarebbe bastato stare attenti alle avvisaglie e prendere direttamente delle pastiglie prescritte dal medico.
Quando alle 4 del mattino avemmo finalmente la possibilità di entrare da lei in stanza, lasciai inizialmente spazio ai suoi genitori e suo fratello, e ne approfittai per chiamare la sua bionda e ansiosa coinquilina, in modo da procurarle qualche ora di sonno.
Solo quando i tre uscirono decisi di fare il mio ingresso in stanza.
- Hej – disse con toni stanchi ma dolci la ragazza.
- Ciao – replicai io con un lieve sorriso, ma Elena oramai mi conosceva abbastanza da scorgere subito nei miei occhi qualcosa che non andasse.
- Sei arrabbiato – affermò semplicemente, senza porre nemmeno domande.
- Da quanto lo sapevi.?? – replicai io severo mentre mi appoggiavo sul letto.
- Da circa un mese – sospirò lei – ma non volevo rovinare il Natale a nessuno, me stessa compresa – rispose lei sconsolata.
- Sei un’irresponsabile.!! E se fossi stata da sola.?? E se avessi dato di matto e non avessi fatto in tempo ad avvisare chiunque perché troppo spaventato.?? – iniziai a rimproverarla alzando la voce.
- E se, e se, e se… ma non è successo. Ti prego, basta… - mi supplicò lei con gli occhi lucidi, e mi spezzò il cuore.
Mi avvicinai a quel punto maggiormente a lei, e con lo sguardo perso nel suo, le accarezzai dolcemente il viso.
- Scusa. E che…non sono ancora pronto a dirti addio – ammisi con voce spezzata.
Elena a quel punto posò con leggerezza la sua mano sulla mia, e dolcemente si avvicinò alle mie labbra per lasciarmi un bacio.
- Nemmeno io – affermò con un’intensità tale da spiazzarmi. Era quasi come se me lo stesse promettendo – detto ciò cos’hai fatto alla mano.?? – domandò poi perplessa.
- Ho litigato con un muro – affermai ironico con alzata di spalle.
- Damon… - mi riprese lei seria.
- Ok, ok mi hai scoperto…. Dopo aver mantenuto la calma fin che non hai messo piede in ospedale, ho dato di matto e me la sono presa con il muro – le spiegai con un ghigno quasi divertito.
- Non credi che basto io a far preoccupare le persone in ospedale.?? – ribatté lei scuotendo la testa.
- Non puoi esser sempre tu la protagonista – la presi in giro io fingendomi offeso.
- Scemo… - mi rimbeccò lei – ascolta i medici hanno detto quanto dovrò rimanere ricoverata.?? – chiese poi preoccupata. Odiava stare rinchiusa nei ospedali, me l’aveva sempre detto.
- Credo che ti faranno uscire in serata. Così poi ceniamo dai tuoi, dormi tranquilla nel tuo letto e partiamo la mattina a seguire – le spiegai premuroso, ma notai subito come i suoi occhi si rattristarono in men che non si dica – Hej Gilbert che ti prende.?? – domandai spaesato.
- E che… volevo godermi la mia casa per un ultima volta. Ho così tanta paura di non tornare più, e invece passerò tutto domani ancora in ospedale. –iniziò a spiegarmi in lacrime, e istintivamente l’abbracciai forte a me.
- Ascoltami bene Elena. La tua situazione è grave, ma non gravissima. E si è vero, non abbiamo tutta la vita davanti, ma fidati, che il tempo di riportarti a casa, lo troveremo. Chiaro.?? – la spronai con entusiasmo.
La ragazza non rispose, ma fece solo un lieve cenno con la testa, che al momento mi poteva bastare.
Il nostro corpo è una macchina interessante: nei momenti di malattia, a seconda di come reagisce il soggetto, la prognosi può variare. La forza e la volontà di voler resistere, porta a superare perfino il tempo a disposizione. Lo scoraggiamento, e la poca voglia di lottare, possono portare invece la persona a non arrivare neanche alla metà del tempo rimasto. Proprio per questo volevo che Elena lottasse: per avere la possibilità di avere più tempo.

Nonostante la nottata movimentata, la mattina ovviamente mi svegliai prestissimo, anche a causa ovviamente della scomoda poltroncina su cui avevo dormito.
Avevo passato la notte infatti in ospedale, nella camera di Elena, insieme a sua madre Miranda. Grayson era stato purtroppo chiamato per un’emergenza chirurgica, su un bambino di 7 anni, proprio il giorno di Santo Stefano, mentre a fatica, avevamo convinto Jeremy ad andare a casa.
Per le 8 quindi, dopo che i medici mi avevano svegliato entrando in stanza per fare i classici controlli di routine ad Elena, lei si era bellamente riaddormentata io invece avevo perso totalmente il sonno e mi ero dato alla ricerca di una macchinetta per il caffè.
- Immaginavo di trovarti qui – disse d’un tratto gentile una voce alle mie spalle.
- Miranda, pensavo ti fossi riaddormentata – replicai stupito della sua presenza – caffè.?? – domandai a seguire.
- Volentieri e grazie – ribatté lei – Sai, stai facendo davvero molto per mia figlia, e nonostante tutta questa storia, non credo di averla mai vista sorridere così tanto per qualcuno, quindi sappilo. La mia famiglia, per questo sarà sempre in debito con te Damon Salvatore– mi spiegò successivamente lasciandomi decisamente basito.
- Non so cosa rispondere. Grazie, sono contento che voi apprezziate, ma Miranda, voi avete dato alla luce la donna che amo, quello a esser in debito dovrei esser io, quindi lasciamo perdere tutta questa cosa dei debiti – suggerì imbarazzato ponendole il suo bicchiere.
- Ha ragione mia figlia, parli proprio come un avvocato – mi prese in giro la donna – piuttosto, devo chiederti una cosa più seria – aggiunse incupendosi – credi che sia il caso di partire.?? Dici che Elena possa reggere tutto il viaggio.?? – domandò infine preoccupata.
- Io…io posso capire la tua preoccupazione, ma credo che partire per lei sarà un tocca sana. Staccare dal suo inferno, svagarsi un po’… - iniziai a rassicurarla -Ho parlato già sta notte con il medico che l’ha ricoverata, che ha confermato la mia tesi, e sto aspettando che il dottor Brown, che segue Elena a New York, mi risponda, ma credo che concorderà anche lui – conclusi.
La donna non rispose, semplicemente mi abbracciò con le poche forze che la stanchezza le concedeva.

Per le 18, dopo svariati via vai di medici nella stanza di Elena, finalmente ci concessero di tornare tutti a casa. A causa della stanchezza, nessuno ebbe voglia di mettersi ai fornelli, e così optammo per una pizza in famiglia sul divano dei Gilbert.
Nonostante la frenesia delle ultime 20 ore però, riuscimmo a goderci la serata rilassati, ma quando oramai l’ora di coricarsi era vicina, notai di come Elena era sparita già da un po’ dalla mia vista.
- Sarà in veranda – mi suggerì Grayson con un sorriso, è senza pensarci troppo mi buttai addosso il cappotto e uscì a controllare.
Come ipotizzato dal padre, la ragazza era lì, seduta a gambe incrociate sull’altalena, protetta da una calda coperta di lana, fissa a guardare l’orizzonte mentre beveva la sua cioccolata calda. Con i capelli sciolti e mossi che cadevano sulle spalle, e quelle guance rosse dal freddo, era semplicemente meravigliosa.
- Devo dedurre che sia tra i tuoi posti preferiti della casa, se ti rifugi sempre qua – esordì annunciando la mia presenza.
- Ottima deduzione Sherlock – mi prese in giro lei, alzando la coperta per farmi segno di mettermi accanto a lei.
- Non hai troppo freddo.?? – le chiesi preoccupato.
- Fidati, tra poco sentirai anche tu come questa coperta tenga caldo, e in più sto facendo scivolare nel mio corpo questa bollente cioccolata: fidati, sto benissimo – rispose lei con sorriso.
- Su, raccontami la storia di questo posto – le dissi cingendole le spalle con un braccio.
- In che senso.?? – mi domandò spaesata.
- Andiamo Gilbert. Quando un luogo diventa il tuo preferito, è perché c’è una storia dietro – la spronai curioso, alche la ragazza, dopo un primo sguardo divertito tornò a fissare l’orizzonte e iniziò a parlare.
- Non ha una vera e propria storia, semplicemente ogni volta che cercavo di riflettere, mi ritrovavo qua. Certe volte da sola, a volte con Caroline, altre ancora con mio padre. Mi rilassa tutto qua – disse con un’alzata di spalle – Sentiamo il tuo qual è.?? – chiese poi divertita.
- Il cortile della tua galleria – risposi di getto.
- Ma smettila – mi riprese immediatamente lei.
- Hej, guarda che sono serio. E non lo dico solo perché ci lavori tu mia cara. Ricordi.?? È il mio angolo di pace e Provenza in quella che è la caotica New York – le dissi sincero.
- Ma non ci sono le lavande – commentò lei.
- Ma la mia immaginazione basta e avanza – replicai piccato strappandole un bacio – Comunque, a proposito di Francia, devo chiederti una cosa – dissi facendomi più serio.
- Non mi piace questo risvolto – affermò Elena rabbuiandosi.
- Ho parlato con tua madre, convinto tuo padre, rassicurato Caroline e avuto l’ok da 4 differenti medici, ma ora ho bisogno di saperlo da te – iniziai a farneticare.
- Damon arriva al sodo – mi richiamò lei.
- Te la senti di partire Elena.?? – le domandi scontrandomi con quelle sue due pozze cioccolato.
- Credo che non mi fermerebbe nulla al mondo dal partire al momento. Nemmeno tu – rispose sicura lei, e io non potei esserne più felice.
Le avrei fatto assaporare la parte migliore della vita, per spronarla a non mollare fino al suo ultimo respiro, e tenerla il più possibile con me.

Buona domenica mie lettrici.!!
Rieccomi qui con un nuovo chapter che ripòrta tutti con i piedi per terra. Elena sta peggiorando e nonostante la speranza di tutti di aver ancora tempo, ovviamente è sempre più ovvio che i giorni sul calendario invece che aumentare, dimuiscono drasticamente.
Ora, nessuno ancora sa quanto, ma è ovvio che la preoccupazione inizia a farsi sempre più presente nell'umore di tutti, Elena compresa, timorosa di non poter più rivedere la sua casa, ma questo non ferma i nostri Delena a partire, tanto che dal prossimo leggerete già del loro viaggio.!!
Ora vi lascio.
Un bacio
A.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 17. Parigi, Milano & Portofino ***


17. Parigi, Milano & Portofino.

Parigi

- Et pour la Mademoiselle, qu'est-ce que vous voulez.?? – mi chiese gentilmente il cameriere, destandomi dai miei pensieri.
- Un jus d'orange et un croissant, s'il vous plaît – risposi sorridendo timidamente, per poi guardare l’uomo che cortese s’allontanava.
Erano già passati tre giorni da quando eravamo approdati in Europa, e nonostante le pesanti giornate prima della partenza, in quel momento mi sentì come una qualsiasi comune mortale di 25 anni in viaggio con il suo fidanzato, senza pensieri sul futuro o la mia malattia. Era una sensazione fantastica, e a me sembrava di esser stata catapultata in un sogno.
- Complimenti Elena, tre giorni di Francia e il tuo francese è migliorato notevolmente.!! – mi prese in giro Damon.
- Il tuo senso d’orientamento invece fa schifo uguale – replicai nell’immediato io, ripensando alla camminata di 40 minuti per la città in cerca della cattedrale descritta da Victor Hugo, quando teoricamente ne sarebbero dovuti bastare 10 dal nostro albergo.
- Hej, questa era cattiva.!! E comunque, dimmi che questo caffè non è meraviglioso – mi fece notare lui.
- Ti salva solo questo, e il fatto che qui vi abbiamo passato del tempo Wilde e Rimbaud – precisai fingendomi rabbuiata.
- E tu come lo sai.?? – domandò lui incredulo.
- Siamo al Café des deux Magots, è tra i caffè letterari più famosi di Parigi, come potrei non saperlo.!! Peccato che mancano ancora 20 minuti da Notre Dame.!!- sbuffai incrociando le braccia sotto il seno come una bambina.
- Ok, ok, colpa mia… riuscirai mai a perdonarmi.?? – mi fece eco lui sbattendo come una ragazzina quei suoi occhioni azzurro cielo, facendomi scoppiare a ridere di gusto.
- Solo perché ti amo – lo presi in giro tirandolo per la sciarpa verso si me.
- E allora sposami- rispose lui come se mi avesse appena chiesto di passargli lo zucchero.
- Parigi ti ha dato alla testa – replicai ridente io sulle sue labbra.

Il giorno successivo, precisamente durante la nostra ultima sera nella città dell’amore, Damon aveva organizzato una cenetta romantica nel ristorante extra lusso della torre Eiffel come sorpresa. Ovviamente avevo disapprovato non appena capì i suoi intenti, ma nonostante la discussione di 15 minuti sotto la torre, alla fine cedetti, facendomi intortare dai suoi mille discorsi da avvocato.
- No ti prego, l’escargot no.!! – iniziai a protestare non appena il cameriere mi poggiò davanti in piatto pieno di lumache.
- Ascolta, devi provarle almeno una volta nella vita, poi puoi dire che ti fanno schifo, ma almeno prima assaggiale – mi spronò lui.
- Vorrei dire che le assaggerò un’altra volta, ma effettivamente non so se ne avrò il tempo quindi… - affermai prendendo un guscio di lumaca tra le mie mani, ma era troppo per il mio stomaco – Niente, morirò non sapendo il sapore delle lumache – proclami infine rimettendola nel piatto e facendo scoppiare a ridere il mio accompagnatore.
- Sei una pappa molle Gilbert – ribatté lui prendendone una e provandola con aria di sfida, ma la faccia che fece dopo i primi 5 secondi fu la miglior rivincita che potessi avere.
- Fammi indovinare sono disgustose, non è così.?? – lo presi in giro a mia volta, con un sorriso da trentadue denti.
- Chiama il cameriere, al diavolo le lumache, devo mangiare assolutamente un dolce squisito per farmi passare questo saporaccio – ammise lui mentre la sottoscritta se la rideva di gusto.
Quando finimmo di cenare decidemmo a quel punto di goderci, per un’ultima volta, la vista di Parigi da quella così famosa torre, ed ammirare tra tante altre coppiette, le luci della città che le davano un’aria ancora più magica.
- Credo di non aver mai visto niente di più bello – sospirai sognante.
- Io si – ribatté Damon perso anch’egli a guardare l’orizzonte.
- E sentiamo, cosa ci sarebbe di più di questo.?? – gli domandai curiosa cercando i suoi occhi
- Tu – rispose senza esitazione il ragazzo ricambiando il mio sguardo e facendomi arrossire – sposami Elena, sono serio – aggiunse poi spiazzandomi, sia per quell’ennesima proposta, sia per l’intensità con la quale sta volta me lo chiese.
- Damon non ha senso, ci conosciamo da troppo poco, e poi…il matrimonio è una cosa seria, e io sto morendo , e…- iniziai a elencarli come una pazza, ma lui i bloccò con un dolce bacio sulle labbra.
- Ok – mi disse sorridendo.
- Tutto qua.?? – gli chiesi perplessa.
- Si – mi cercò di calmare lui con una carezza sul viso.
- Ti ho appena rifiutato una proposta di matrimonio nella città più romantica al mondo sulla torre Eiffel – gli feci notare perplessa.
- Lo so, ma prima o poi cederai, e non mi importa se saremo qui, o sul divano di casa tua. Io lo so – ribatté lui baciandomi nuovamente e spiazzandomi ancora di più.

 

Milano

Per chi come la sottoscritta arrivava dalla grande Mela, Milano poteva sembrare, in quanto a caos, velocità e dinamicità, la sua versione in miniatura.
Ma per quanto più piccola, era comunque un colosso a livello mondiale, soprattutto per la moda, e in più aveva un vantaggio notevole: la magia italiana.
- Allora, adesso ascoltatemi attentamente: quando qui ordinate un caffè non vi arriverà mai la vostra brodaglia americana in tazza grande, un caffè è un espresso. Punto e basta – iniziò a spiegarci Alessio, una vecchia conoscenza di Damon, che aveva accettato ben volentieri di farci da guida per la città – Se chiedete un macchiato, sarà un espresso con un goccio di latte, ma a quel punto dovrete scegliere se caldo o freddo. A seguire abbiamo il cappuccino, ovvero un espresso con il latte montato a schiuma, il marocchino servito rigorosamente in tazza di vetro che alla fine non è altro che un cappuccino in miniatura con l’aggiunta del cioccolato e per concludere il “corretto”, ovvero un espresso corretto con qualche alcolico – concluse dettagliatamente.
- Wow… ora domanda: non che voglia bere qui la mia “brodaglia” come la chiami tu, ma se mai volessi bere il mio caffè come lo chiamo.? – chiesi divertita e perplessa nel mentre.
- Se non ricordo male, qua a Milano lo chiamate “americano” giusto.?? – mi fece eco Damon.
- Esattamente – replicò Alessio – ma credo che se dici “americano” lo capiscono un po’ in tutta Italia – specificò, proprio mentre arrivava il cameriere.
- Buongiorno, cosa vi porto.?? - chiese cordiale l’uomo.
- Per me un marocchino – affermai sorridente.
- Io prenderò un espresso – aggiunse Damon.
- Io il solito Teo, grazie – concluse Alessio.
- Lo conosci.??? – chiesi a quel punto curiosa.
- Vengo qui tutte le mattine cara. Quando esco di casa, scendo qui al bar, bevo il mio caffè, mangio la mia briosche e corro al lavoro – mi raccontò – a Milano mediamente 8 persone su 10 hanno il proprio bar di fiducia dove vanno tutte le mattine, per non più di 5 minuti , a fare colazione – specificò sorridendo.
- 5 minuti.?? Ma non fai in tempo nemmeno a sederti.! – constatai incredula.
- Infatti, fanno colazione al bancone Gilbert – mi fece notare Damon, indicandomi un signore in giacca e cravatta bere il suo caffè al banco, con tanto di dolce in mano, e pochi secondi schizzare via. – Non pensavo gli italiani fossero così attivi – commentai spaesata da quel comportamento.
- Infatti, qui siamo a Milano – mi corresse tutto serio il ragazzo – è un mondo a parte – concluse divertito.

- Pensa è la terza cattedrale più grande al mondo dopo San Pietro e la cattedrale di Siviglia – spiegavo a Damon mentre passeggiavamo all’interno del Duomo di Milano – tu pensa, per costruirlo crearono dei veri e propri canali, di cui adesso rimangono infatti solo i due navigli, che arrivavano fino alla piazza, per poter trasportare il marmo che serviva alla costruzione – continuavo a spiegare con toni incanti – è una chiesa unica nel suo genere. Sia perché segue uno stile poco noto, ovvero il gotico internazionale, sia perché ci hanno messo così tanto tempo per costruirlo, che negli anni ha subito influenze artistiche diverse – conclusi poi fermandomi ad ammirare il soffitto.
- Elena a volte sai così tante cose da spaventarmi – mi prese in giro Damon.
- Ma smettila – lo rimproverai io tirandogli un pugno sulla spalla – comunque dopo andiamo sul tetto.?? Ti pregoooo - lo supplicai a seguire e in men che non si dica, una volta finito il giro della cattedrale, ci trovammo pronti a scalare il Duomo.
L’unico problema, fu che senza riflettere, mi rifiutai di prendere l’ascensore, e quando arrivammo poco più della metà della salita, il mio tumore, mi ricordò di quanto, anche se stavo vivendo quei giorni senza pensare troppo a lui, il cancro non era sparito magicamente nel nulla.
- Elena forse è il caso che scendiamo – mi propose Damon preoccupato.
- Scordatelo – risposi secca appoggiata al muro – piuttosto cerca nella mia borsa le pastiglie – continuai tra un colpo di tosse e l’altro. Il medico era stato chiaro, se le prendevo quando avvertivo una crisi respiratoria, mi avrebbero aiutato.
- Scendiamo e prendiamo l’ascensore, non è che ci rinunciamo del tutto – tentò nuovamente di dissuadermi lui.
- No.!! – urlai secca, spaventando gli altri turisti che stavano salendo le scale, ma almeno riuscì a zittire il mio ragazzo.
Presi le pastiglie, rimasi seduta come una scema per dei buoni dieci minuti sugli scalini, e non appena ebbi le forze mi rialzai e tornai a salire le scale senza più fermarmi, finché non arrivammo alla terrazza. E ne valse la pena.
Da ogni lato del tetto, si scorgeva un punto diverso della città, e grazie al sole che splendeva e il vento possente della notte prima, il cielo era di un azzurro pulito, proprio come gli occhi di Damon, e si potevano perfino scorgere le montagne.
- È bellissimo – commentò il ragazzo che ammirava il tutto al mio fianco.
- Già – risposi persa nei miei pensieri – scusami se ti ho urlato addosso sulle scale, ma era una cosa che dovevo fare. Non voglio arrendermi con il mio cancro, in qualsiasi momento lui cerchi di indebolirmi – cercai poi di spiegarmi a modi scuse.
- Lo so – constatò semplicemente lui, e mi tirò a se per baciarmi con passione.

Portofino

Sedere in felpa all’alba dell’8 di gennaio, era sicuramente una di quelle cose che non mi sarei mai aspettata di fare nella mia vita.
Ovvio avessi avuto il tempo, avrei fatto un giro in qualche posto caraibico, dove addirittura invece che in felpa, sarei stata direttamente in costume, ma quell’angolo di paradiso sulla costiera ligure, chiamate spiagge di Paraggi, bastava eccome.
Ero intenta a leggere una raccolta di poesie, mentre aspettavo che Damon tornasse con me sulla spiaggia quando mi ritrovai a pensare, per l’ennesima volta, all’assurda proposta di sposarci.
Ci conoscevamo solo da 4 mesi e la mia morte era cosa certa, che senso aveva.?? Forse era una proposta fatta per pietà, forse semplicemente l’aria di Parigi gli aveva davvero dato alla testa.
Forse. Era una pazzia, ma sicuramente la pazzia più grande era quella mia insana voglia di dirgli di si. E non era solo per il vestito bianco e papà che mi portava all’altare, non era solo perché tanto stavo per morire quindi “il fin che morte non ci separi” non sembrava poi così ansiogena come frase, ma era solo e semplicemente perché ero follemente innamorata di lui.


Buongiorno lettrici.!!
Sono davvero stra di volata, quindi il commento vero e proprio ve lo sorbite il prossimo capitolo. A fine viaggio insomma ehehhe
Spero comunque vi sia piaciuto.!!
Un bacione
A.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 18. Portofino, Firenze, Roma ***


18. Portofino, Firenze, Roma

Portofino

Quando venni in Italia la prima volta, sotto invito di Alessio dopo il suo ritorno dall’Erasmus, mi ero innamorato del Bel paese in men che non si dica. La cultura italiana, l’arte, il modo di fare delle persone, i magnifici paesaggi… mi avevano stregato in men che non si dica. Quell’anno però, quando mi ritrovai a riscoprirla con Elena mi innamorai una seconda volta. Tutto quello che vedevo era più bello, se c’era lei ad impreziosirlo.
Ritornai alla spiaggia dove l’avevo lasciata con le sue poesie dopo aver fatto razzia di uno dei migliori panifici che avessi mai provato, e quando la trovai a gambe incrociate fissare persa il mare di fronte a lei. Presi la macchina appesa al collo e tempo zero la immortalai.
- Ti ho fatto una foto meravigliosa – esordì avvicinandomi
- E come hai fatto con quel coso enorme in mano.?? – mi domandò divertita – Su fa vedere cosa mi hai portato di buono – mi esortò con l’acquolina in bocca mentre mi sedevo dietro di lei, affinché s’incastrasse tra le mie gambe.
- Specialità del posto mia cara: focaccia liscia e quella di Recco con il formaggio. Non esiste posto al mondo, nemmeno a New York, dove tu possa trovare una focaccia così buona – le spiegai fiero passando glie ne un pezzo.
- Mmm è squisita – constatò ancora con la bocca piena non appena fece un morso – alla faccia delle escargot – aggiunse scoppiando a ridere, e il mio cuore perse come al solito un battito.
Era così bella e quella sua risata mossa dal vento rendeva quella spiaggia deserta ancora più paradisiaca. Oramai avevo perso completamente la testa per lei, ed Elena non riusciva a capirlo. Aveva ragione, la proposta di matrimonio era una pazzia, era avventata, ma oramai a me non me ne importava più nulla. L’amavo, e finché sarebbe rimasta in vita, volevo renderla mia in tutti i modi possibili su questa terra, matrimonio compreso.
- Mi stai ascoltando.?? – mi richiamò d’un tratto distogliendomi dai miei pensieri.
- Scusa, mi ero distratto – ammisi sincero. Elena sbuffò ma senza aggiungere altro si alzò e mi porse la mano.
- Su forza, alzati e togliti le scarpe – ordinò con toni da generale. Non me lo feci ripete due volte, e non appena fui pronto, mi trascinò a riva.
- Dio è meravigliosa. Non è per niente fredda.!! Ma poi guarda che colore – iniziò a esclamare entusiasta come una bambina, per poi fermarsi di colpo e cercare i miei occhi.
- Elena ti senti male.?? – le chiesi immediatamente preoccupato avvicinandomi.
- No – disse seria – Promettimi solo, che quando io non ci sarò più, non ti chiederai mai sei hai fatto abbastanza per me, perché ha fatto molto di più di quello che ci si possa immaginare – proclamò con un’intensità che quasi poteva spaventare, e si fiondò sulle mie labbra.

Firenze

- Per fortuna ti si è abbassata la temperatura – affermai toccandole la fronte – Se tutto va bene, entro sta sera ti sarai ripresa – aggiunsi andando a svuotare in bagno la bacinella d’acqua.
- Se sto meglio usciamo vero.?? – mi chiese lei supplichevole.
- Vediamo – le urlai dal bagno.
- Damon… - mugugnò come una bambina.
- No signorina, niente Damon. Abbiamo sfidato la sorte con questo viaggio, sapendo che saresti potuta stare male. Ora non farò il pazzo facendo armi e bagagli per riportarti a New York, ma almeno cerca di fare la brava non sfidare ulteriormente il tuo cancro stando buona a letto finché non ti sarai completamente ripresa. Chiaro.?? – la intimai stendendomi nuovamente accanto a lei sul letto, mentre Elena mi piantava il broncio.
- Tu pensa, la prima volta che sono riuscito a infilarmi nel tuo letto era una situazione del genere: tu versione esorcista e io infermiere – cercai di prenderla un po’ in giro per distrarla, ma notai come oramai era partita in qualche sua riflessione con lo sguardo perso fuori dalla finestra – Elena.?? – la richiamai preoccupato.
- Andrà peggiorando lo sai.?? – affermò dal nulla con toni spiritati – se adesso sto male una, massimo due volte al mese, tra poco le cose peggioreranno. La chemio mi debiliterà, il cancro prenderà sopravvento più spesso, le metastasi porteranno nuovi sintomi… non sarà facile per chi mi starà accanto – mi spiegò a seguire con toni sempre più cupi.
- Hej, hej, hej…. Fermati – la bloccai richiamando la sua attenzione prendendola per le spalle – so come sarà il futuro, e so che non sarà roseo, ma non mi importa. Io voglio starti accanto fino all’ultimo, e non m’importa di quante volte ti dovrò tenere la testa o passare le giornate a tenerti compagnia a letto – le dissi serio e preoccupato di quella sua ricaduta nel volermi allontanare.
Elena mi guardò fissa nei occhi con quel suo sguardo da cerbiatta impaurita, e mi venne a quel punto spontaneo tirarla tra le mie braccia, e stringerla più forte possibile.
- Ti amo – mi sussurrò in lacrime contro il petto.
- Non hai idea di quanto ti ami io – risposi sincero e terrorizzato anche solo dall’idea di quando non sarebbe più stata mia.

Roma

Il fascino della capitala italiana, era qualcosa di imparagonabile.
La città eterna era qualcosa di unico e spettacolare sotto ogni punto di vista, e ho sempre creduto che di tutto quel viaggio, sia il posto di cui Elena si fosse innamorata maggiormente.
Dopo infatti i bui giorni a Firenze, aveva ritrovato finalmente il sorriso e una vivacità incredibile.
Erano due giorni che giravamo come trottole per tutta la città, ed Elena avevo lo spirito di una bambina di 5 anni in un negozio di giocattoli: estasiato e senza fine.
La seconda sera comunque decidemmo di vivere un po’ più la città, nonostante il freddo pungete e iniziammo il giro notturno con una bella mangiata in una buona trattoria casereccia che ci avevano consigliato vicino a Castel Sant’Angelo.
- Ammaza che bona.!! – esclamò un uomo sulla 40tina, non appena entrammo in quel pittoresco ristorante, riferendosi ad Elena.
- Aripijate.! Te pare er modo de trattà na Signorina.?? Nun fa’ er solito mandrillo.!! – Gli urlò il proprietario avvicinandosi a noi – Lo perdoni Signorì, è po’ burino il mio compare – aggiunse poi facendo pure il baciamano nei confronti della ragazza.
- Mi spiace, me la cavo con l’italiano, ma il dialetto non lo comprendo proprio. Quindi, qualsiasi cosa mi abbia detto il vostro amico tanto non l’ho capita – ribatté scoppiando a ridere lei.
- Tanto meglio, se fidi.!! Immagino vojate magnà.?? Seguiteme – rispose sorridente l’uomo indicandoci di stargli dietro.
- Ma cos’ha detto.?? – mi chiese divertita e spaesata.
- Non è ho la più pallida idea, ma immagino ci stia facendo accomodare – le risposi ridente anch’io.
Quando finalmente riuscimmo a prendere posto, ordinare e iniziare a mangiare, le cose furono sempre più divertenti: dal proprietario che si ostinava a parlarci in romano, al venditore di rose mentre cercavamo di goderci il dolce, alla vivacità delle persone nel guardare la partita di quella che era la loro squadra di calcio nel cuore: la Roma.
- Dai, siamo sinceri, in America non siamo così tifosi, ne per il football ne tanto meno per il Baseball – commentò Elena guardando l’euforia di tutti quelli che ci circondavano vestiti con tanto di sciarpe e berrettini rosso e giallo.
- Ti devo dar ragione. Comunque sono divertenti da osservare, si vede che hanno comunque un’altra cultura nel sangue rispetto alla nostra – constatai mentre tutti ansiosi si alzavano in piedi per vedere meglio quello che era chiaramente un rigore.
- Daje er Pupone, non devi sbajà… - sussurrava un ragazzotto di fianco a me.
- Chi è il Pupone.?? – domandò ingenuamente Elena procurandosi gli occhi di almeno una decina di persone addosso.
- Sono americana – si giustificò imbarazzata e ridente subito lei.
- Er Pupone è il nostro Capitano, l’ottavo Re de Roma, è…- iniziò a spiegarle fiero un signore, quando il “Gooooool” urlato dal telecronista fece scoppiare di euforia tutta la trattoria.
Non so come, ma in un batter baleno vidi Elena tra le braccia di due omoni che la facevano saltare in aria e lei che se la rideva senza smettere, mentre io venni baciato incredibilmente da una nonnina di 60 anni.
Quando la pazzia finì e anche i nostri dolci, scoprimmo che per quella sera non avremmo dovuto nemmeno pagare la cena, dato che il proprietario aveva vinto una schedina con il rigore del Pupone che conteggiava parecchi zeri, e uscimmo felici e decisamente increduli dalla trattoria per le 11, dopo tra l’altro parecchi amari.
- Dio mio è stata una serata pazzesca – affermò la mia donna quando misimo finalmente piede di nuovo all’aria aperta.
- A parte i dieci anni di vita che ho perso, nel vederti lanciare in aria, mi sono decisamente divertito anch’io – concordai cingendola per il fianco.
- Damon.?? – disse d’un tratto seria lei fermandosi e cercando i miei occhi.
- Dimmi – la spronai perplesso.
- Io… - iniziò titubante - ho voglia di gelato.!! – aggiunse poi cambiando completamente toni e facendomi scoppiare a ridere di nuovo.

( https://www.youtube.com/watch?v=W4qIHv1CbG8&index=5&list=PLD7070D86BEEDEB41 )
- Quindi fammi capire: stiamo camminando su uno dei ponti più importanti e antichi di tutta Roma.?? – le chiesi curioso mentre attraversavamo il ponte Milvio.
- Si, praticamente si – rispose sorridente lei.
Mancavano oramai poche ore al ritorno a casa, e avevamo deciso di dedicarci un’ultima passeggiata per la città soleggiata.
- Però che peccato, è rovinato da tutti questi lucchetti attaccati ovunque a caso – le feci notare perplesso, domandandomi come facessero tutti a dimenticarsi dei lucchetti appesi a una ringhiera, ma capì dalla risata di Elena, che avevo appena detto una bella cavolata.
- E io che ti facevo un bravo osservatore. Non noti che sono quasi tutti con delle scritte sopra.?? – mi fece notare avvicinandosene a uno, e facendomi sentire un completo idiota.
- Ah…quasi quasi potrebbe iniziare ad avere senso tutto ciò – commentai imbarazzato dalla mia gaffe.
- Pensa, una volta erano molti di più. Teoricamente non si possono più attaccare dal..mhmhm credo 2012. Però c’è chi lo fa ancora – disse pensierosa appoggiandosi al parapetto e fissando il Tevere.
- E questa cosa dei lucchetti da dove nasce.?? – le chiesi a quel punto curioso.
- Bhè la tradizione dei lucchetti è remota e non la so con precisione, ma diciamo che sono andati di moda a causa di un libro di un autore italiano, dove i protagonisti appendevano qua il proprio lucchetto, a una catena che oramai non c’è più, e insieme gettavano la chiave, in modo che il lucchetto non si sarebbe più potuto aprire e il loro amore sarebbe stato per sempre – mi raccontò lei.
- E la catena adesso dov’è finita.?? – domandai ancora, oramai preso dal racconto.
- Era attaccata a un lampione, e divenne così famosa che chiunque per giurare il proprio amore veniva qui ad appendere il proprio lucchetto, ma a una certa divenne così pesante che fece crollare il luminare a cui era attaccata – disse ridente – morale ora i pochi coraggiosi che lo fanno ancora, attaccano i lucchetti alla ringhiera – aggiunse per finire.
- Vuoi attaccare un lucchetto.?? – le domandai divertito.
- Mi fai davvero una tipa che attacca lucchetti in giro.?? – ribatté prontamente lei, fingendosi un po’ offesa.
- Naaa… decisamente no – confermai tirandola tra le mie braccia.
- Però un po’ gli invidio tutti quelli che l’ho fanno – disse d’un tratto pensierosa guardando i pochi lucchetti rimasti – hanno speranza, hanno una vita davanti che sognano di condividere con quell’unica persona per sempre. Possono credere nel loro lieto fine – aggiunse, ma tentati di bloccare il suo discorso.
- Elena… - provai a interromperla, ma non me lo permise.
- Aspetta Damon, fammi finire. Quello che sto cercando di dirti, e che è vero, io non posso avere il mio “lieto fine”, non esiste quest’opzione quando entro qualche mese sarai morta a 25 anni, ma posso decidere di vivere il mio per sempre con qualcuno, per quanto il mio per sempre non sia un periodo poi così lungo – proclamò con gli occhi emozionati, e per quanto assurdo, avevo assolutamente capito il suo discorso.
Finì così per inginocchiarmi, prendere la sua mano, e chiederle guardandola dritto in quei suoi occhi da cerbiatta – Elena Gilbert, mi vuoi sposare?? – e finalmente la ragazza, in lacrime, ma senza esitazioni rispose – Si, si, si – e io non potei che fiondarmi sulle sue labbra.

Buonasera lettrici.!!!
Rieccomi con il mio solito commento, questa volta un po' riassuntivo di questi due capitoli.
Come predetto, sono stati entrambi concentrati sul viaggio della nostra coppia, e a seconda delle città ho cercato di farvi vivere l'emozioni di entrambi. Vi ho voluto sorprendere con la proposta di Damon nella prima parte del tour e farvi capire il perchè di tale proposta da parte del ragazzo, e poi ho giocato con Elena, con i suoi pensieri inizialmente negativi sull'idea che nel corso di due settimane sono cambiati e l'hanno spinta a far sì che Damon le richiedesse la sua mano e lei finalmente accettasse. Si lo so , sono stati due capitoli mega diabetici, ma spero vi siano paciuti lo stesso XD come spero vi siano piaciute le descrizioni e le caratteristiche dei vari posti che ho citato. Dall'escargot francesi, ai caffè italiani, al dialetto romano e l'amore per la Roma ehehhe e si, per chi avesse il dubbio il ponte di cui parlo è proprio quello di "Ho voglia di te" e la canzone di sottofondo fa parte della colonna sonora di 3MSC. Non so da dove mi sia uscita questa vena da 14enne, ma amen nel complesso mi sono divertita a spolverare vecchi ricordi ehhehe
Bn fine dello sproliloquio.!!!
Spero vi siano piaciuti entrambi i capitoli e vi aspetto con il ritorno a New York.!!
Grazie come sempre a tutte.!!
Un bacio 
A.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 19. But I'm not Izzie Stevens ***


19. But i'm not Izzie Stevens

- VOI COSA.??? – urlò Caroline incredula non appena le diedi la notizia della pazza decisione che Damon e io avevamo preso.
- Care ti prego calmati, è l’una di notte, se urli così rischi di svegliare i vicini – cercai di tranquillizzarla io.
- La mia migliore amica mi ha appena detto che si sposa. Dopo 4 mesi di relazione. 4 mesi, direi che posso esser sotto shock eccome.! – mi fece notare lei come se già non sapessi di mio quanto fosse una cosa folle.
- Lo so. Ma c’è da dire che 4 mesi sono tanti quando ti rimane poco più di un anno di vita, no.?? – provai a persuaderla, alche stranamente si calmò.
Damon ed io ci eravamo saluti poco meno di un’ora prima, e sotto mia insistenza, gli avevo detto di lasciarmi almeno per quella notte da sola con Caroline. Volevo dirle ovviamente nell’immediato del matrimonio, ma la conoscevo come le mie tasche e avevo immaginato la sua reazione.
Così dopo che avevo portato su le valige in camera, e ci eravamo messe a chiacchierare a grandi linee del viaggio, davanti a una tazza di cioccolata calda al bancone del cucina, le avevo dato la notizia bomba.
- Mmmm si in effetti è vero – disse sospirando lei.
- Wo, tutti qui.?? Davvero.?? – le chiesi sconcertata da quel suo cambio repentino d’umore e opinione.
- Elena, è un’idea assolutamente assurda, e probabilmente fossimo state in condizioni normali staremmo tutta la notte a discuterne, ma… - iniziò a spiegarsi cercando le parole giuste – …io spero, io prego, io lo desidero con tutto il cuore, che da un giorno all’altro accada un miracolo per il quale tu non abbia più il cancro che ti porterà via da me, e per quanto sia una cosa stupida, questo pensiero mi da forza. Però so benissimo che prima o poi tu te ne andrai, per quanto lo neghi a tutti, te compresa. Quindi si, penso che questa cosa del matrimonio sia da fuori di testa, ma è vero anche che, se attraversa la navata della chiesa vestita di bianco è quello che ti farà sorridere per i prossimi mesi, fanculo… sposati Gilbert e guai se non sarò la tua damigella d’onore.!! – affermò sorridendo ma con le lacrime agli occhi, e non potei resistere dal costeggiare il bancone e lanciarmi tra le sue braccia.
- Grazie Care… non sai quanto significhi per me la tua approvazione – le dissi stretta nel nostro abbraccio.

Il giorno seguente, tornai ovviamente, e in parte finalmente, al lavoro.
Avrei avuto l’inizio delle nuove sessioni di chemio il giorno seguente, quindi volevo godermi almeno quella giornata nel modo più normale possibile.
Arrivai sul presto, a causa del jet leg che mi aveva decisamente scombussolato il sonno, e dopo aver dato la notizia a Bonnie del mio imminente matrimonio, mi ero chiusa in ufficio a darmi da fare per le nuove mostre.
Uscì per le 11.30, bisognosa di prendere aria e soprattutto ingerire una buona dose di caffeina in corpo.
- Direi che sei uscita giusto in tempo dal bunker – commentò la mia amica non appena apparì dietro il bancone.
- Come scusa.?? – chiesi rubando una briosche e preparando il caffè.
- C’è un avvocato ai tavolini fuori che ha chiesto il caffè. Potrebbe esser il tuo tipo – mi prese in giro lei, indicando Damon fuori in cortile. Era come sempre preso da qualche documento, tutto serio e corrucciato nella lettura di qualche pratica, e non potei non approfittarne di portargli il caffè.
- Non fa un po’ troppo freddo per lavorare fuori.?? – domandai divertita ponendoli la tazzina sul tavolo.
- Il freddo schiarisce le idee – rispose serio senza degnarmi troppo di uno sguardo.
- Oook… bhe vedo che sei preso, ti lascio a lavorare – commentai perplessa dal suo comportamento, ma tempo di fare un passo che il ragazzo mi tiro a se, tanto da ritrovarmi sulle sue ginocchia.
- Scusami – mi disse baciandomi – ho passato neanche 3 ore oggi in ufficio e sono riusciti a farmi dare di matto – mi spiegò rubandomi un altro bacio ancora.
- E i casi che stavi esaminando.?? – gli chiesi preoccupata.
- Un accusa di omicidio e una di stupro. Niente di leggero insomma. Me ne stavo molto meglio a passeggio per San Pietro – ribatté strappandomi un sorriso – Parlato con Care.? – chiese poi curioso.
- Abbiamo la sua benedizione. Tu hai sentito tuo fratello.?? Caroline, le belle notizie, se le lascia sfuggire facilmente – replicai divertita.
- Pranziamo nel mio ufficio più tardi. Glie lo renderò noto tra un morso e l’altro – rispose accarezzandomi una guancia.
- Dovremmo scegliere una data, e non per metterti fretta, ma vorrei avere ancora i miei capelli per quel giorno – dissi sarcastica riferendomi agli effetti collaterali che da li a poco purtroppo avrebbe portato la chemio.
- La sceglieremo presto, te lo prometto – mi rassicurò lui, e dopo un ultimo bacio mi lasciò andare.

La mattina seguente quando andai in ospedale per la seduta di chemio, venni convocata, prima del trattamento, nell’ufficio del dottor Brown.
- Dottore, lo sa vero che se volesse rassicurarmi, con quella faccia cupa è totalmente fuori strada.?? – lo presi in giro per smorzare la tensione.
- Elena… è meglio che tu ti sieda – rispose senza nemmeno accennare un sorriso e io iniziai a preoccuparmi davvero, tanto che, senza aggiungere, altro mi ritrovai tempo zero alla scrivania di fronte a lui.
- Che la situazione era peggiorata rapidamente da dopo che hai dovuto interrompere la chemio credo tu ne fossi totalmente consapevole, vero.?? – mi chiese pacato l’uomo.
- Si bhè… c’era la storia che il tumore aveva iniziato a intaccare i linfonodi. Prima quelli in prossimità del pancreas, poi a seguire aveva preso le vie respiratorie – replicai a mo di scolaretta.
- Esattamente. Quando sei stata ricoverata a Natale, a Mystic Falls ti avevano fatto una PET, e prima di partire io te ne ho fatta far un’ennesima, ricordi.?? – mi domandò nuovamente.
- Dottor Brown, la prego, giunga al sodo – lo ripresi immediatamente innervosendomi. L’uomo sospirò pesantemente, si alzò per andare agli schermi luminosi, vi appese tre radiografie, e accese il tutto.
- Questa è di fine novembre, questa è quella di Natale e questa del giorno prima della partenza – mi spiegò mostrandomi le tre immagini, e non arrivare a quello che stesse dicendo era impossibile.
- Mi faccia indovinare, i punti bianchi sono i linfonodi danneggiati, e il fatto che tra il ringraziamento e Natale fossero aumentati e tra Natale e il nuovo anno siano raddoppiati, se non di più, non è per niente un buon segno – costatai amaramente.
- Sei entra al terzo stadio Elena. Tre su quattro nel prossimo mese inizieranno le emorragie, a causa dei vasi sanguini che inizieranno a cedere, e da adesso la chemio sarà tutto ciò che avremo a disposizione per rallentare l’apparizione delle metastasi – mi spiegò risedendosi alla scrivania l’uomo.
- Quindi, a quando la mia data di scadenza.??- chiesi senza troppi giri di parole.
- Nei migliori dei casi un anno – disse sospirando per l’ennesima volta.
- E nei peggiori.?? – replicai chiudendo gli occhi dalla tensione.
- Fine estate – disse quasi in un sussurro, e giusto il tempo di riaprire gli occhi che una lacrima percorse la mia guancia.

Quando terminai la chemio quella mattina, iniziai a percorrere i corridoi dell’ospedale con fare spiritato.
Non mi sentivo al meglio, ma ero riuscita a convincere sia Care che Damon del fatto che sarei riuscita ad arrivare a casa sana e salva.
- Spero che non farai la stessa faccia quando camminerai verso l’altare, o mio fratello penserà che tu stia pensando a come scappare – disse d’un tratto Stefan apparendo al mio fianco.
- Sicuramente eviterò la chemio il giorno del matrimonio – cercai di giustificarmi io per la mia brutta cera – Come mai in oncologia comunque.?? – domandai poi per distogliere l’attenzione dalla sottoscritta.
- Visita pre operatoria a un paziente. Devo togliergli praticamente una palla da baseball dal cervello – mi spiegò elettrizzato.
- Pensavo che l’entusiasmo per un’operazione impossibile fosse solo una leggenda creata da Grey’s Anatomy – lo presi in giro io.
- Emh…scusa, effettivamente non è carino vedere un medico esser felice per un tumore – si scuso imbarazzato lui, facendomi scoppiare a ridere di gusto.
- Vai tranquillo Stef, se ci fosse un modo per farmi togliere il mio di tumore, esulterei anch’io con i chirurghi – lo rassicurai sincera.
- Onesto- ribatté lui con un’alzata di spalle – ora scusami, devo scappare, la mia sfida mi aspetta – disse salutandomi con un bacio sulla guancia.
- Buona fortuna Dott. Sheperd.!! – lo stuzzicai divertita.
- Grazie Izzie – replicò lui salutandomi con la mano oramai verso la fine del corridoio.
- Hej.!! Questo è un colpo basso – gli urlai dietro ancora ridente – lei alla fine sopravvive – aggiunsi sussurrando tristemente.

Tornata a casa mi buttai tempo zero a letto e mi addormentai nell’immediato.
Tra la simpatica notizia e la chemio, ero davvero sfinita, e speravo di riaprire gli occhi solo quando Caroline o Damon avessero messo piede in casa, in modo da non crogiolarmi troppo nella solitudine dei miei cupi pensieri.
Mi persi nel mondo dei sogni e così ritrovai nella mia mente, me e Damon in vacanza insieme tra qualche anno su quella spiaggetta di Portofino. Io leggevo e lui controllava in acqua i bambini. I nostri bambini.
Mi svegliai in lacrime, come non accadeva da quando ero una ragazzina.
- Hej, Elena.!!! – si palesò immediatamente Damon di fianco a me nel letto – era solo un incubo, stai tranquilla, ci sono io qua – tentò di rassicurarmi lui abbracciandomi a se, provocando però una mia crisi isterica ancora più forte.
- N-non era u-un brutto so-sogno – iniziai quindi a spiegargli io tra un singhiozzo e l’altro – era…era semplicemente qualcosa di impossibile – aggiunsi calmandomi, e stringendomi maggiormente a lui.
- Oook… - affermò lui perplesso – ti va se scendiamo a mangiare.?? Care e Stefan stanno cucinando una super cena per festeggiare il nostro fidanzamento a quanto pare – cercò allora di farmi svagare cambiando argomento.
- Cena.?? Scusa ma che ora sono.?? – domandai a quel punto spaesata.
- Le 19.30 mia cara, mi sa che eri proprio esausta – disse lui strappandomi un bacio divertito – Stai bene comunque.?? – chiese poi preoccupato e li mi trovai davanti alla scelta che mi aveva attanagliato tutta la mattina.
Potevo dirgli la verità, raccontargli della mia chiacchierata con il dottore, e vivere quindi i prossimi mesi nell’angoscia di aspettare il momento giusto per dirci addio. Oppure potevo mentire. Dire che ero debilitata dalla chemio di quella giornata e continuare a vivere nella nostra illusione che c’era ancora tempo e speranza per me, per noi, senza farci influenzare da quella sentenza oramai delineata.
- La seduta di oggi è stata pesante, ma va tutto bene adesso – risposi con il sorriso migliore che potevo – Dai andiamo a festeggiare – aggiunsi alzandomi dal letto e dirigendomi fuori dalla stanza, sperando di esser stata abbastanza credibile.

--*--*--*--*--*~~--*--*--*--*--*~~--*--*--*--*--*~~--*--*--*--*--*

Buongiorno lettrici.!!
Oggi davvero di volata. Se riesco commento il tutto al prossimo capitolo :)
Scusatemi, anche per il ritardo, ma ultimamente sono davvero presa.!! :(
Un bacio
A.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** 20. Happy Birthday ***


20. Happy Birthday

Ero in ritardo. Ero in più completo ritardo, e in poco tempo sarei stato anche un uomo morto grazie a Caroline Forbes. Non mi aveva ancora chiamato, ma oramai la conoscevo. Era solo la quiete prima della tempesta, ma per una volta aveva completamente ragione.
Non mi aveva affidato un compito difficile: finire di lavorare, passare alle 18.00 in pasticceria a prendere la torta, e dopo di che esser per le 18.30 in galleria, pronto a festeggiare il compleanno di Elena. Invece no: mi ero perso tra i miei documenti, avevo lasciato uscire prima Alaric (perdendo così il mio cane da guardia per gli appuntamenti), e avevo guardato l’orologio solo per le 18.20. Insomma, l’avevo combinata grossa.
Quando però entrai al Art, Caffè & Gossip, chiuso appositamente al pubblico per la festa, fu fortunatamente Bonnie ad accogliermi.
- Ricordati che al matrimonio sarà Elena a dover esser in ritardo – affermò divertita afferrando la torta lasciandomi la possibilità di togliermi il cappotto.
- Sono l’ultimo.?? – chiesi sospirando preoccupato.
- Ovviamente, ma per tua fortuna la festeggiata è in balia dei presenti, per non parlare che ti conosce abbastanza da aver dato per scontato che ti saresti perso in qualche documento in ufficio- iniziò a rassicurarmi lei - Non si può dire lo stesso però della sua migliore amica: ti ha definito un uomo morto già un paio di volte – aggiunse ridendo poi facendomi strada.
La festa era intima, non era gremita come un gran galà, ma tutti quelli che tenevano ad Elena da più o meno tempo erano lì: Caroline e Bonnie in prima linea, i coniugi Gilbert, Jeremy e la sua fidanzata, Alaric ed Enzo, che oramai si erano affezionati alla ragazza a furia di presenziare alle uscita in compagnia, qualche vecchia amicizia della ragazza e perfino mia madre, che più volte aveva invitato me ed Elena a cena in casa Salvatore, e non era non riuscita a volerle bene.
- La mia ragazza ti vuole uccidere – esordì Stefan avvicinandosi al sottoscritto passandomi un calice di spumante.
- Non l’avevo messo in dubbio nemmeno per un secondo – ribattei divertito – la mia di donna invece dov’è finita.?? – domandai a seguire perplesso non vedendola in sala.
- Credo sia andata momentaneamente in bagno – rispose pacato lui.
- Come l’hai vista.?? – replicai preoccupato.
- Dipende quale versione vuoi. Quella di un medico o quella di tuo fratello.?? – mi fece eco cupo immediatamente.
- Entrambe – sentenziai cercando i suoi occhi.
- Da fratello ti posso dire che si, è dimagrita parecchio data la malattia, ma oggi è raggiante, sorridere, ha un vestito bellissimo e si sta godendo la festa – iniziò a commentare con un sorriso tirato – ma da medico, so per certo che quello che dimostra, non è quello che è. Elena vuole dimostrare la sua forza, ma la verità è che il cancro la sta logorando più velocemente di quello che dice, e non è solo la chemio ad averla indebolita così tanto – aggiunse poi sconsolato dandomi una pacca sulla spalla.
- Perché non dirmelo.?? Perché si sta tenendo tutto dentro.?? – replicai davvero abbattuto.
- Perché vuole godersi quello che le rimane, senza che tutti si comportino con lei come se oramai la fine fosse vicina, anche se lo è – disse semplicemente lui.
- E io quindi dovrei far finta di niente, anche se so benissimo che sta male.?? – chiesi retorico.
- Credo proprio di sì – rispose lui allontanandosi.
Rimasi così in momentanea balia delle mie emozioni. Sapevo che mio fratello aveva ragione, e capivo le motivazioni di Elena nel tenermi nascosto tutto, ma faceva male sapere che mi avesse escluso dal sapere la verità, tanto quanto faceva male sapere che oramai il tempo per noi era agli sgoccioli.
- Stai rimuginando su come farti risparmiare da Caroline.?? – domandò d’un tratto il fulcro dei miei pensieri comparendo alle mie spalle.
- Tu proverai almeno a metterci una buona parola.?? – replicai divertito strappandole un bacio – Buon compleanno festeggiata – aggiunsi poi dolcemente.
- Vedremo…- ribatté lei strofinando il mio naso con il suo.
Era bellissima. Per quanto oramai la chemio e il tumore stessero portando via tutto quello che era quando l’avevo conosciuta, per me rimaneva sempre e comunque da togliere il fiato.
Anche con quel fular che copriva oramai da qualche settimana il suo capo pelato. Anche con quel corpo oramai fatto più di ossa e di pelle che di carne. Anche con quei occhi sempre più spenti. Io non riuscivo a non vedere la persona di cui mi ero innamorato.
- Vedremo.?? Che donna senza cuore – la presi in giro e la trascinai in mezzo ai nostri amici a chiacchierare.

- Allora come stanno andando i preparativi per il matrimonio.?? – ci chiese dolcemente mia madre.
- A rilento, a causa mia, ma entro giugno sarà tutto pronto – rispose sorridendo Elena al mio fianco.
- Tesoro io ci ho messo un anno da quando tuo padre mi ha messo l’anello al dito per preparare il mio, tu lo stai organizzando da 4 mesi e hai ancora un mese a disposizione. Hai fatto tutto comunque in tempi da record – la rassicurò Miranda.
- Si bhè, non è che avessi troppa scelta. Già avrei preferito sposarmi con la mia fantastica chioma, e invece indosserò una parrucca, almeno vorrei arrivarci viva – ribatté con tagliente ironia lei.
- Sarai comunque stupenda – cercai di farle ritornare il sorriso io dandole un bacio sulla fronte.
Ero abituato alle sue battute sul suo cancro, sulla chemio, sulla morte, ma sapevo quanto i suoi genitori, e soprattutto sua madre, morissero un po‘ dentro ogni volta che ne sentivano una.
- Damon ha ragione – taglio corto mia madre – Hai già scelto il vestito.?? – chiese poi curiosa e per cambiare argomento.
- Si, si. Vado a fare l’ultima prova giusto qualche giorno prima del matrimonio – raccontò sorridendo – tu mamma sarai già qua, vero.? – domandò poi titubante alla donna al suo fianco.
- Certo tesoro, Tuo padre ha già preso un’intera settimana di ferie – la tranquillizzò lei.
- Mio marito non ha preso l’intera settimana, ma ha promesso di non mancare per nulla al mondo nemmeno lui – affermò divertita mamma.
- Tra l’altro mamma, ero rimasto che sarebbe venuto anche lui sta sera – feci notare alla donna.
- È successo quello che succede sempre. Un’urgenza che non poteva prorogare – mi spiegò sospirando.
- Oh cara, con mio marito è lo stesso. Quest’anno l’hanno trascinato via il giorno di Santo Stefano, con nostra figlia in ospedale – la spalleggiò Miranda, e notai come Elena se la rideva sotto i baffi.
- Perché ridi.?? – le bisbigliai all’orecchio.
- Sto immaginando una cena con i tuoi e miei genitori allo stesso tavolo. Diverrebbe uno schieramento mogli contro mariti. Ci sarebbe da divertirsi – mi spiegò sorridente.
- Possiamo sempre organizzarla – le proposi gentile, ma Elena come al solito mi spiazzò.
- Sarebbe bello, ma non credo ce ne sarà il tempo – proclamò schietta senza guardarmi, e dopo un cenno di saluto alle nostre madri, si allontanò.

( https://www.youtube.com/watch?v=FOjdXSrtUxA )

La serata continuò serena. Elena aprì i regali, ci fu il taglio della torta, e per mezzanotte decidemmo di rintanare tutti a casa. Ne io ne Elena ci eravamo trasferiti, ma era comunque un perenne avanti e indietro dal mio e il suo appartamento. Quella sera per esempio la convinsi a dormire da me, anche perché avevo un’ultima sorpresa in serbo per lei, che in casa sua, con Caroline, avrebbe perso d’intimità.
- Prego mia cara, a te l’onore – affermai passando le mie chiavi di casa ad Elena.
- L’onore di aprire il tuo appartamento.?? Guarda che quando ti aiuto con la spesa, e tu sei sommerso dalle buste, lo faccio sempre – mi prese in giro lei.
- Su Gilbert, non impuntarti sui dettagli inutili – la spronai esasperato beccandomi un’occhiataccia dalla ragazza mentre apriva la porta scettica, ma fortunatamente, non appena ebbe modo di dare un’occhiata a quello che avevo organizzato la sua faccia aveva esattamente l’espressione che desideravo.
- Oh mio Dio… è bellissimo.!! – affermò emozionata poggiando la borsa per terra all’ingresso.
- Ed è solo l’inizio – sottolineai spingendola a percorre la scia di petali di rose che avevo creato che attraversava il salotto.
Tolse guardandomi maliziosa il suo capotto e pian pianino, come una bambina emozionata, seguì la via che avevo tracciato, dove l’aspettava la vera sorpresa. Avevo decorato tutto il bagno di petali e candele, e l’enorme vasca idromassaggio che non avevamo mai tempo di usare era già li pronta piena di schiuma ad accoglierci, con tanto di spumante e bicchieri al bordo.
- Tra la proposta di matrimonio a Parigi e questo, inizio a pensare che sei davvero un’inguaribile romantico – mi prese in giro lei girandosi divertita verso di me.
- Non ho fatto mai per nessuna così tante romanticherie. E con nessuna mi è nemmeno mai sfiorato il pensiero di sposarla – replicai serio guardandola nelle sue profonde pozze cioccolatose.
- Bhè, il nostro matrimonio ha un impegno più breve del previsto, non mi devi sopportare tutta la vita, non vale mica – disse con toni persi abbassando lo sguardo, e non ci pensai un attimo a riappropriarmi del suoi occhi, alzandole di nuovo il volto con due dita sotto il mento.
- Non ti ho chiesto di sposarmi perché so che non durerà per sempre. Che ti sia chiaro. Per quanto pazzo e senza senso, ti avrei chiesto di diventare mia moglie in Europa, anche se avessimo avuto davanti tutta la vita. E sai perché.?? Perché domani mattina potrei uscire di casa ed esser investito da un autobus e morire. Perché anche senza il tuo tumore, tra qualche anno tu saresti potuta salire su un aereo e schiantarti da qualche parte. La vita è un’incognita per la quale un giorno ci sei e il giorno dopo potresti non esserci più, per un milione di differenti motivi, e io voglio averti mia in tutti modi possibili, matrimonio compreso, che sia per un giorno, per un anno o la vita intera – proclamai tutto d’un fiato perdendomi in lei, e fu un attimo che le sue labbra furono sulle mie.
Ci spogliammo con avidità, e fu lei a trascinarmi dentro quella vasca a fare l’amore tra le bolle di sapone e i petali di rosa.
Poi, quando finalmente fummo entrambi appagati, la ragazza si accoccolò sdraiata tra le mie gambe, e quasi mi uccise il notare come oramai era diventata minuta tra le mie braccia.
- Elena… - la richiamai pronto a chiedere di dirmi la verità su quello che stava accadendo, su quanto tempo effettivamente ci rimaneva da vivere insieme.
- Dimmi amore – rispose dolcemente lei , con la testa poggiata sul mio petto e gli occhi chiusi. Sembrava un angelo, nonostante tutto, e persi così la forza di chiederle qualsiasi cosa.
- Buon compleanno… - riuscì solo a sussurrarle lasciandole un bacio sul capo.
- Grazie – rispose lei sorridendo e tirandosi su in modo da potersi girare e ritrovare il mio sguardo – e non solo per sta sera, ma per tutte quelle emozioni che mi hai regalato e che pensavo mi dovessero esser recluse. Grazie per non aver avuto paura di amarmi – disse seria.

Buonasera.!!
Doppo la mia sparizione finalmente son o riuscita di nuovo a trovare un poco di tempo x rivedere le mie bozze e postare, ma purtroppo anche oggi non posso soffermarmi troppo a commentare.
Prommeto di rimettermi a scrivere e postare tranquilla prima o poi, o più che altro, prima che finisca la storia.!!
un grosso bacio
A.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** 21. I had a strange feeling ***


21. I had a strange feeling

Stesa nel letto fissavo il soffitto e cercavo di controllare i miei respiri. Stavo male: dei dolori atroci mi stavano attanagliando tutto il corpo, e io dovevo trovare assolutamente il modo di riprendermi. Al 10 di giugno mancavano solo 3 giorni, e quella mattina avevo l’appuntamento per l’ultima prova dell’abito. Da quando ero andata a provarlo l’ultima volta, a occhio l’avevo fatto stringere di altri 4 cm, ero dimagrita ancora e volevo che per quanto io non sarei stata perfetta oramai sfinita dalla malattia, almeno l’abito addosso a me lo sarebbe stato.
Stavo morendo, e stava accadendo decisamente prima del previsto. Avevo intuito immediatamente quando avevo iniziato a peggiorare, e quindi a fine aprile avevo fatto visita al dottor Brown, che demoralizzato dal blando effetto della chemio, mi aveva annunciato il peggio: le metastasi erano iniziate, ero ufficialmente al 4 stadio del tumore, e non aveva la più pallida idea di quanto sarei resistita. Passai così tutto il mese di maggio a sperare di arrivare almeno al matrimonio, e data la mia costante impossibilità di fingere che tutto era sotto controllo, avevo avvisato la mia famiglia che la situazione era critica, senza però star troppo a precisare quanto.
Caroline mi aiutava più che poteva, Damon cercava di starmi vicino e amarmi senza però starmi troppo addosso, ma l’atmosfera tra tutti oramai era cambiata. In quei giorni prima del matrimonio, la presenza dei miei in casa e l’euforia del momento, fortunatamente avevano allietato minimamente le cose, ma quella mattina sentivo l’inferno dentro al mio corpo.
- Hej dormigliona – esordì il mio fidanzato entrando in camera mia.
- E tu cosa ci fai qui.?? – gli chiesi perplessa sedendomi a fatica.
- Ieri sera ho finito tardi e non sono riuscito a passare a salutarti, quindi ho pensato di farlo adesso – mi spiegò dolcemente sedendosi a bordo del letto e sporgendosi per rubarmi un bacio – Come stai.? – domandò poi preoccupato.
- Sto – affermai con un sospiro – sarà il nervosismo per la prova dell’abito, spero sia giusto, e che non debba farlo stringere nuovamente a tre giorni dalla cerimonia – aggiunsi come a scostarlo dalla verità.
- Sarà impeccabile, non ti preoccupare troppo – rispose stringendomi la mano – Caffè.?? Lo metto su mentre ti prepari – propose a seguire alzandosi.
- Volentieri, 10 minuti e scendo – dissi seguendo a fatica i suoi gesti e mi chiusi in bagno sperando di riprendermi.

Quando per le 11.30 fui pronta, aspettai con Damon il ritorno all’appartamento dei miei e mio fratello, e dopo aver salutato il mio fidanzato, ci dirigemmo finalmente all’atelier. Caroline ovviamente ci aspettava già lì da una ventina di minuti, ma per una volta non a causa del mio ritardo ma del suo maledetto anticipo.
- Allora ho già mandato la ragazza a prendere l’abito. Mi hanno detto che hanno seguito tutte le istruzioni che hai dato nell’ultimo mese per quanto riguarda la taglia e anche ovviamente sulle rifiniture che preferivi, quindi adesso non manca che constatare che sia perfetto – mi spiegò subito come un tornado.
- Credo che senza di te non avrei davvero organizzato niente di questo matrimonio. Davvero grazie Care – dissi abbracciandola sinceramente.
- Hai avuto fortuna ad avere come migliore amica un’organizzatrice di eventi con manie di controllo – rispose ridendo lei staccandosi – come ti senti.?? – chiese poi amorevole guardandomi spaesata. Effettivamente non avevo per niente una bella cera.
- Ho avuto giornate migliori, ma non commentare la cosa davanti ai miei, non voglio preoccuparli più del dovuto – le bisbigliai con sguardo d’intesa, e dopo aver accennato un lieve si con la testa, andò a salutare il resto del gruppo.
Quando finalmente arrivò la commessa con il vestito, andai nell’immediato nei camerini per cambiarmi, ma una volta che me lo misi addosso non ebbi il coraggio di guardarlo da sola, e uscì nella sala d’aspetto per ammirarlo con il resto della mia famiglia.
Non appena mi parai davanti a tutti, Caroline iniziò a sorridere entusiasta, mia madre scoppiò in lacrime, mio fratello e mio padre rimasero semplicemente in muta contemplazione e io finalmente mi guardai allo specchio.
- Immagino che la tua amica ti abbia già detto tutto mentre aspettavate il vestito, ma giusto per info abbiamo…- iniziò a spiegarmi la donna che si era occupata di me dalla prima volta che avevo messo piede in quel negozio, ma io ero troppo intenta a fissare il mio riflesso.
Non ero sicuramente quello che avevo sempre sognato: niente folta e mossa chioma cioccolatosa, le curve dal mio corpo erano oramai sparite, come il colore olivastro e sano della mia pelle, ma dopo mesi di agonia, quella fu probabilmente la prima volta in cui vidi di nuovo qualcosa di bello in me.
Il vestito era molto semplice: un corpetto arricchito di piccoli brillantini con uno scollo a cuore, che scendeva fino ai fianchi e una gonna ampia di velluto che formava infine uno strascico, ma io mi sentivo una principessa: era meraviglioso, e incredibilmente mi stava preciso.
- È perfetto – sussurrai emozionata più a me stessa che ai presenti.
- La mia bambina si sposa – commentò mia madre ancora in lacrime, che cercava disperatamente di asciugare.
- Dai mamma, se continui a piangere iniziò anch’io, e non mi pare il caso – constatò divertito, ma anch’egli già con il groppo in gola, mio fratello.
Mio padre invece non proferì parola. Si alzò, mi fece fare una giravolta su me stessa mentre mi guardava con occhi persi e mi trasse tra le sue braccia.
- Se mai vorrai tornare a casa, tu rimarrai sempre la mia principessa e nel mio castello ci sarà sempre posto per te – mi sussurrò all’orecchio togliendomi il fiato – so che avrei dovuto dirtelo tra qualche giorno, ma credo proprio che sarò più emozionato di adesso per riuscire a dire qualsiasi cosa – aggiunse in seguito cercando i miei occhi e io crollai. Crollai in lacrime che avevano tanti sapori diversi.
Amore infinito verso quell’uomo che mi aveva cresciuta, gratitudine per quelle parole, malinconia nel sapere che a casa oramai non ci sarei più potuta tornare, e dolore nel pensare che quello era uno degli ultimi abbracci che stavo dando a mio padre.
- Ssshhs principessa. Andrà tutto bene. In qualsiasi caso, andrà tutto bene – affermò ancora mentre mi stringeva tra le sue braccia – Ora però forza, sorridi.!! Hai addosso un abito da sposa, e nessuna sposa dovrebbe piangere così con un vestito del genere addosso – continuò poi strappandomi un sorriso.
Mi asciugai così le lacrime, ringraziai il cielo di non aver messo il mascara evitando così di assomigliare a un panda, presi un bel respiro e tornai a guardarmi allo specchio.
- Bhè direi che non c’è nulla che non sia fuori posto – commentai felice in direzione della mia migliore amica.
- Direi proprio che hai ragione – replicò lei sorridendomi sincera.

Dopo la mattinata nel negozio di abiti da sposa, e il pranzo fuori in famiglia, Caroline ovviamente tornò al lavoro, riuscì a convincere i miei a farsi un giro per il Central Park, e io mi rintanai in casa sotto sguardo vigile di mio fratello.
- Non puoi capire quanto mi fa strano pensare che ti sposi – commentò Jeremy buttandosi sul divano di fianco a me – Per me sei ancora la liceale scassa palle che pomiciava in veranda con Matt Donovan – aggiunse divertito.
- Non sputare nel piatto dove hai mangiato mio caro. Sarò stata pure una scassa palle, ma ricordati di quante volte ti ho fatto da spalla e ti ho coperto – gli feci notare io con finti toni offesi.
- Lo so, lo so, ma Matt Donovan era insopportabile – replicò nell’immediato.
- Non era insopportabile… solo non era decisamente il mio tipo – constatai perplessa del solo fatto che ci fossi stata insieme.
- Come hai fatto a metterci un anno e mezzo a capirlo.?? – domandò lui fingendosi inorridito.
- Disse quello che si è fatto sua sorella per l’intero anno successivo – lo ripresi esasperata.
- Touchè – ribatté infine lui e scoppiammo entrambi a ridere come due scemi, per poi ritornare a guardare la tv.
Jeremy ed io eravamo fatti così. Il nostro rapporto era fatto di molti silenzi, ma non risultavano mai scomodi. Quando eravamo più piccoli capitava spesso che nei week end in cui i miei ci lasciavano soli, noi passassimo intere giornate stesi sul divano a guardare la Tv senza spiaccicare parola. Ogni tanto ci lanciavamo un qualche cuscino o ci alzavamo per preparare qualcosa da mangiare, ma se nessuno dei due aveva bisogno di sfogarsi, ci godevamo semplicemente la nostra presenza.
Al contrario, quando uno dei due aveva un problema, rimanevamo in piedi anche tutta notte a parlare e a cercare di risolvere i nostri problemi insieme. Di solito funzionava che uno si appostava in camera dell’altro e si aspettava finché il diretto interessato non si palesava nella stanza. Non importava l’ora: che fossero le 21 o le 2 di notte, ci si muniva di pazienza e caffeina in corpo e si parlava.
Quando mi trasferì a New York, le cose cambiarono poco. Se c’era un problema, Jeremy si fiondava in città e mi aspettava davanti alla porta del mio dormitorio durante il college, e quella dei miei appartamenti a seguire. Solo quell’estate, grazie anche al fatto che aveva iniziato anch’egli a lavorare, tutte le nostre chiacchierate erano state al telefono.
- Riuscirai mai a perdonarmi.? – chiesi d’un tratto cercando i suoi occhi. Non c’era bisogno che specificassi di cosa stessi parlando, mio fratello lo sapeva fin troppo bene del fatto che mi rifessi al mio silenzio sulla mia malattia.
- Non credo, come non credo che riuscirò mai a perdonare nemmeno me stesso - affermò lui ricambiando lo sguardo – Avrei dovuto capirlo – aggiunse poi abbassandolo, e una lacrima gli rigò il viso. Fu difficile per il mio cuore non spezzarsi.
- No Jer, fermati – lo richiamai nell’immediato – tu non hai nessuna colpa. Quindi per favore, non ricordarti di quello che poteva esser: ricordati solo la versione migliore di me e te insieme – dissi a seguire con i miei occhi oramai anch’essi lucidi.
- Ci proverò – rispose lui abbozzando un sorriso e tirandomi tra le sue braccia.

Sempre quella sera sarei dovuta rimanere a casa, ma una strana sensazione mi attanagliava, e sentì l’immediato bisogno di vedere Damon.
Così quando i miei rientrarono, e il mio fidanzato mi fece sapere che stava per uscire dall’ufficio mi fiondai diretta a casa sua.
- Elena.?? – iniziò a richiamarmi non appena entrò nel suo appartamento – Amore, tutto a posto.?? – continuò poi a chiedere preoccupato dal mio comportamento.
Effettivamente un messaggio con scritto “Tra quanto sei a casa.?? C’è qualcosa che non va, ho bisogno di te” avrebbe messo in all’allarme chiunque.
- Arrivo, sono in camera. Aspettami in salotto – urlai mentre finivo di sistemarmi.
- Ma stai bene.?? Mi hai fatto venire un colpo con il tu… – iniziò a farmi notare esasperato, quando si ammutolì non appena gli apparì davanti – Wo… sei… sei bellissima – affermò boccheggiando.
- Dici.?? Non lo so ho questa strana sensazione. So che teoricamente non bisognerebbe farsi vedere con l’abito prima della cerimonia, ma è tutto il pomeriggio che sentivo che tu mi dovessi vedere, che mi dicessi che va bene, che è perfetto, che….- provai a spiegarli come un fiume in piena, quando il ragazzo mi trasse a se e mi baciò dolcemente.
- Il vestito è perfetto, tu sei perfetta ... – mi sussurrò poi dolcemente sulle labbra.
- Ok – commentai sorridendo – Grazie di sopportare le mie pazzie. Ti amo – aggiunsi perdendomi nei suoi occhi color ghiaccio.
- Prego, ma ora scappa a cambiarti, non sfidiamo le tradizioni più del dovuto. Farò finta di non averti vista fino al giorno del matrimonio – ribatté lui ridendo.
Accennai un euforico si con la testa e strappandoli un ultimo veloce bacio, corsi verso la camera.
Inizia a spogliarmi, quando d’un tratto le fitte che mi avevano attanagliato quella mattina iniziarono a farsi nuovamente vive. Prima lievi, mentre mi slacciavo il vestito, poi sempre più forti a mano a mano che me lo sfilavo e infine, arrivarono dei dolori lancinanti e il buio.

Buonasera lettrici.!!
Rieccomi a postare un nuovo capitol, che altri non è che il penultimo della mia storia.
Il tempo scorre, e Elena è sempre più vicina al suo matrimonio,ma purtroppo anche a dire addio.
Poco Delena in queste righe, ma d'altro canto la nostra Gilbert non è amata deolo dal maggiore dei Salvatore ma anche dalla sua famiglia, alla quale ho voluto dare più spazio in questi ultimii attimi. Come ben si può capire, il prossimo e ultimo capitolo sarà del tutto POV Damon.
La scena finale comunque, l'ho ripresa dalla 6° stagione delle Gilmore quando Lorelai chiama Luke a casa perchè le cnfermi che l'abito è giusto, e che andrà tutto bene.
Ovviamente io ho fatto non poche modifiche dall'originale, ma spero vi sia comunque piaciuta, come del resto il capitolo in se.
Un grazie a tutte voi che continuate a leggermi, ma un grosso saluto soprattutto ad eli_s che non smette mai di commentarmi è trasmettermi sempre così tanto con le sue parole.
Alla prossima
A.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** 22. My heart will be always with you ***


Ultimo capitolo di questa mia avventura.
In dedica speciale a eli_s, che non ha mai smesso di leggermi e supportarmi, e ha saputo leggere i messaggi più sottili e profondi che mi piace celare in queste semplici FF.


22. My heart will be always with you

https://www.youtube.com/watch?v=EsvHC9UMrGs ---->  da ascoltare

La corsa in ospedale fu esasperante. Le mie lacrime scendevano senza controllo, e di tutto quello che mi stavano dicendo i paramedici non riuscivo a sentire una parola. Le strinsi la mano tutto il tempo, e la lasciai andare solo ed esclusivamente quando, una volta scesi dall’ambulanza, i medici mi trattennero per schizzare in sala operatoria.

Dopo averla vista con quel vestito non vedovo l’ora del 10 di giugno. Volevo che fosse mia, volevo vederla sfilare con quell’abito e dirmi di “si” davanti a parenti e amici. Non riuscivo a desiderare altro. Era un colpo all’anima.

Non riuscivo a calmarmi, ma fortunatamente riuscì ad avere quel minimo di lucidità per chiamare i suoi genitori.
Mio padre, che casualmente si trovava in pronto soccorso, avvisò immediatamente Stefan dell’accaduto e tempo zero anche Caroline venne messa al corrente di tutto. Io non ragionavo più, mi sembrava di vivere tutta quella situazione come se non fossi veramente lì, come se fossi fuori dal mio corpo e davanti a me scorressero le scene di un film drammatico.

Preso da quella visione, non mi accorsi del tempo che era passato. Ero intento a preparare qualcosa da mangiare, quando mi resi conto che era trascorso oramai più di un quarto d'ora da quando Elena era andata in camera a cambiarsi. C’era qualcosa che non andava.

- Cos’è successo.?? Dove l’hanno portata.??? – iniziò a urlare in lacrime Miranda non appena varcò come un uragano le porte della sala d’attesa. Era sconvolta.
Grayson tentava di calmarla, ma lei non si fermava, piangeva, si disperava, ma come biasimarla.
A Natale la situazione era nota e grave, ma quando la portammo in ospedale sapevamo che era un peggioramento, ma che lei aveva ancora tempo. In quel momento invece nessuno di noi era sicuro di rivederla uscire viva. Nessuno lo disse mai ad alta voce in quei momenti assurdi, ma eravamo tutti fin troppo consapevoli della cosa.

Corsi in camera mollando immediatamente tutto quello che stavo facendo, ed ecco che ritrovai Elena riversa a terra priva di sensi.
- No, no, no – iniziai a gridare cercando di farla svegliare. Presi al volo in cellulare dalla tasca e chiami il 911.
- Ti prego non mi lasciare – le sussurrai a quel punto in lacrime tenendola stretta tra le mie braccia – ti prego resisti – continuai distrutto.


Passò un’ora e mezza prima che qualcuno venisse a darci notizie a riguardo.
Nel mentre erano arrivati tutti. Caroline, Bonnie, Rick, Enzo, mia madre…. Stefan e mio padre facevano avanti e indietro in cerca di qualche buona notizia, ma quando finalmente vennero a informarci, ciò che i medici ci dissero fu semplicemente agghiacciante.
Eravamo agli sgoccioli. Elena aveva avuto un collasso interno e più che fermare l’emorragia e rianimarla prima di perderla definitivamente sul tavolo non potevano fare. Le prossime ore sarebbero state le ultime, se si sarebbe risvegliata o meno però, non era dato sapere.
- Lei si sveglierà – mi disse spiritata Caroline sedendosi affianco a me non appena i dottori si allontanarono.
- Hai doti da veggente Forbes?? – risposi fin troppo piccato, ma la lei non si scompose. Era come se in verità non stesse nemmeno parlando con me.
- Non mi ha detto addio, e lei invece me l’aveva promesso. L’ha sempre detto “quando arriverà il momento lo saprai, e prometto che ti dirò addio” – continuò come se in trans mentre le lacrime le solcavano il viso, e fu più forte di me a quel punto, tirarla tra le mie braccia.
- Si sveglierà, te l’ha promesso – affermai a quel punto, e non potevo che sperarci anch’io.
Non ero pronto a lasciarla andare, ma sarebbe stato ipocrita pensare che lo sarei mai stato. L'unica cosa che m'importava in quel momento, era solo di poter vivere ancora anche solo 5 minuti con lei, sentendo il suono della sua voce; avere la possibilità di dirle, per un ultima volta, un sussurrato ti amo, perso in quei suoi occhioni da cerbiatta, tanto intensi quanto tristi, che mi avevano fatto perdere la testa ancora prima di sapere il suo nome.
Era egoista come pensiero, avrei dovuto preferire di lasciarla andare in pace, senza più la fatica di doversi svegliare e vederci piangere per lei, ma non m'importava, avevo bisogno di sentire ancora il suo cuore battere tra le mia braccia.

https://www.youtube.com/watch?v=n6BwAWiHcSg ----> da ascoltare

Quando Elena venne trasferita nella sua stanza, ero terrorizzato di vederla piena di mille tubi e macchinari, ma giusto prima di entrare, suo padre, mi spiegò come probabilmente, data oramai la preannunciata fine, l’avessero semplicemente lasciata libera di andarsene in modo sereno, senza gli innumerevoli macchinari che avrebbero prolungato in modo doloroso l’inevitabile.
Fu così, che dopo l’addio dei suoi genitori, fu il turno mio e di Caroline entrare in quella gelida camera.
Non so se fu la promessa fatta a Caroline, un miracolo o chissà cos’altro, ma non fecimo davvero in tempo a chiudere la porta, che la ragazza aprì di colpo gli occhi.
- Gilbert.!! – disse emozionata la bionda avvicinandosi per prenderle la mano – Dio avevo paura che… - tentò di continuare la ragazza oramai nuovamente in lacrime, ma Elena la fermò.
- Te l’avevo promesso – sussurrò semplicemente lei allungando la mano per asciugarle le lacrime – ora però tu devi fare una promessa a me – aggiunse poi iniziandosi anch’ella a commuoversi.
- Certo, tutto quello che vuoi – disse immediatamente l’amica prendendole le mani.
- Ama, divertiti, piangi, ridi, urla, fa tutto quello che la vita ti darà la possibilità di fare e non precluderti niente per paura. Vivi come meglio puoi, e fallo per me. Vivi per entrambe. Ok.?? – le disse tutto d’un fiato la donna che amavo.
- Ok – affermò l’amica accennando un lieve si con la testa, e dopo di che si buttò tra le sue braccia e si strinsero in un braccio silenzioso, che valeva però più di mille parole.
Io rimasi lì in silenzio, a guardare quella scena straziante, e nella mia mente iniziai a pensare cosa mai le avrei detto una volta che fosse stato il mio turno a dirle addio. Avevo così tanti pensieri per la testa, così tante parole ed emozioni che avrei voluto esprimere.
Fu così che quando Caroline mi posò dal nulla una mano sulla spalla, come a provarmi a dare forza prima di lasciare me e la mia fidanzata da soli, venni letteralmente preso dal panico.
- Hai una pessima cera – provò a smorzare la tensione Elena con voce flebile mentre mi sedevo accanto a lei sul letto.
- Capita quando trovi la tua ragazza svenuta ancora nel suo abito da sposa in casa – ribattei io con un sorriso tirato.
- Ora capisco perché dicono che porti sfortuna farlo vedere prima del matrimonio - disse nuovamente ironica facendo calare il silenzio tra di noi, mentre delicatamente la cingevo con un braccio.
- Non sono brava con gli addii – constatò poi con voce spezzata, che mi fece chiudere automaticamente gli occhi per trattenere le lacrime.
- Allora non lo fare. Non dire niente – bisbigliai posandole un dolce bacio sulla testa – anch’io sono pessimo in queste cose – aggiunsi cercando di abbozzare un triste sorriso.
- Quanto tempo ho ancora.?? – chiese poi spiazzandomi.
- Diciamo che è quanto meno miracoloso che tu sia sveglia – risposi sospirando – vuoi che chiami i tuoi.?? – le proposi poi. Non avrei voluto per nulla al mondo lasciarla fino all’ultimo, ma non ero l’unico ad amarla.
- No – ribatté secca lei – ero già sveglia quando erano qui, ma la mamma piangeva così tanto…non sono riuscita a dire niente. È molto egoista.?? – domandò tristemente.
- Non lo so. Ma gli dirò che gli vuoi bene, te lo prometto – proclamai lasciando che lei poggiasse la testa nell’incavo del mio corpo. Stava perdendo le forze.
- Grazie. E non solo per questo – ribatté lei sempre più flebile – mi hai dato il lieto fine che pensavo non mi fosse concesso – mi spiegò a seguire.
- Tu mi hai fatto scoprire l’amore, direi che siamo pari, non credi?? - cercai di ironizzare io.
- Forse. Però ti prego, non richiuderti in te stesso. Datti del tempo, ma dopo di me lascia il tuo cuore aperto a qualsiasi altra possibilità d’amare - constatò lei alzando il busto in modo da potersi girare e trovare i miei occhi.
- Nessun altra sarà come te – dissi di getto quasi arrabbiato che lei mi potesse spingere nella braccia di un'altra, quando due giorni dopo ci saremmo dovuti sposare.
- Damon. Si ragionevole. Amami, ma non precludere la tua vita a causa del mio ricordo – mi rimproverò lei con durezza, e senza darmi modo di rispondere posò le sue labbra oramai sempre più gelide sulle mie.
- Riesci a esser testarda anche in punto di morte – risposi concedendomi il groppo in gola a causa della consapevolezza di quel nostro ultimo battibecco.
- Volevo che mi ricordassi per quest’ultima volta così come mi hai conosciuta – replicò sdraiandosi nuovamente tra le mie braccia.
Non so quanto rimanemmo in quella posizione, ma non appena mi accorsi di quanto fosse fin troppo silenziosa quella stanza capì: Elena se ne era andata.
Le lacrime iniziarono a uscire senza più barriere, e dopo un ultimo bacio su quella bocca tanto carnosa quanto gelida, mi alzai stremato per uscire dalla stanza.
Fu un attimo perché tutti capissero cosa fosse successo.
La madre di Elena perse coscienza e suo padre, nonostante il dolore che immaginavo l’attanagliasse in quel momento, si prese immediatamente cura di lei insieme ad alcuni infermieri. Caroline iniziò a piangere isterica sulla spalla di Stefan, mentre Bonnie silenziosamente veniva consolata da un Enzo provato.
Mia madre tentò di avvicinarsi al sottoscritto, ma per quanto apprezzassi in quel momento la sua presenza, mi diressi senza dire parola in direzione di Jeremy.
Non piangeva, non parlava, fissava semplicemente il vuoto davanti a se, come se fosse in vero e proprio stato di shock.
Lo raggiunsi, e per quanto non ci conoscessimo così bene, lo strattonai tra le mie braccia per stringerlo a me. Ci volle qualche secondo, ma d’un tratto il piccolo di casa Gilbert ricambiò il gesto, e si lasciò andare in una scia di singhiozzi strazianti.
Nonostante il dolore riuscì così a sorridere.
Elena me l’aveva chiesto il giorno del suo compleanno: “Quando arriverà il momento non abbandonare Jeremy”. Sapeva che nonostante il mio amore, quello di Caroline, dei suoi amici e genitori, lui sarebbe stato quello che avrebbe avuto più bisogno di tutti e non me la sarei mai sentito di deluderla.
- Io avevo ancora bisogno di lei – mi sussurrò straziato.
- Lo so – risposi stremato e continuai a sorreggerlo sentendo come mano a mano il mio cuore si sgretolasse sempre più.

*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*-*

https://www.youtube.com/watch?v=fwMowPviUAQ ------> da ascoltare

Il sole splendeva in alto nel cielo senza nemmeno l’ombra di una nuvola. Le temperature erano calde, ma un leggero venticello rendeva tutto più piacevole.
Sarebbe stata la giornata perfetta per il nostro matrimonio, e invece, quel 10 di giugno, eravamo tutti vestiti di nero pronti a celebrare un funerale. Il funerale.

Ti ho conosciuto una mattina di settembre.
Eri una ragazza senza nome, con la quale avevo scambiato due chiacchiere davanti all’ospedale, ma con quei tuoi occhioni da cerbiatta e il tuo timido sorriso mi travolsi immediatamente.


Quando ci eravamo conosciuti, lei oramai era già nella sua fase di chiusura nei confronti del mondo, e non avevo incontrato molte persone che facessero costantemente parte della sua vita quotidiana, ma durante la cerimonia ebbi modo di capire, quante persone l’avessero in verità conosciuta e amata prima del mio arrivo, prima della sua solitudine.

Sei stata la mia sfida personale fin dal primo momento. Trovarti, conquistarti, perfino amarti… e non per colpa della malattia, ma del tuo incredibile caratterino.

Parenti, amici, conoscenti che erano arrivati da molte parti dello stato per darle un ultimo saluto.
I più stretti però, erano tutti in prima fila, a cercare di farsi forza a vicenda, lì dove di forza per accettare la cosa in verità non c’era in nessuno di noi.

Mi avevi chiesto di lasciarti perdere, mi hai dato delle motivazioni più che valide anche per farlo, ma alla fine della fiera ti sei ritrovata davanti un uomo innamorato più cocciuto di te.

La prima a parlare sotto quel salice piangente fu Caroline, a seguire Jeremy e infine presi parola anch’io.
Fu difficile, anche per me, che tanto mi piaceva ostentare forza e sicurezza, non parlare con voce rotta e spezzata, ma sapevo che se fossi crollato, non avrei avuto le forze di stare accanto a chi era sicuramente più fragile di me.

Quindi oggi sono qui, a prometterti di amarti, e non fine alla fine dei tuoi giorni, ma dei miei.
Perché se c’è una cosa di cui sono sicuro oggi e lo sarò per sempre, e che non importa quanto ci resta, io lo so che anche se un giorno deciderò di andare avanti con la mia vita, tu sarai sempre parte di me, e se esiste un posto dove io possa ritrovarti quando sarà arrivata la mia ora, io ti cercherò e ti ritroverò. Perché mi piace credere che il nostro amore ha battuto così tante probabilità impossibili, che riuscirà anche in questa impresa.


Quando le parole di tutti furono ascoltate, arrivò il momento probabilmente più difficile: sotterrare la bara.
A uno a uno iniziarono i presenti a gettare la terra nella fossa, e a dire il loro ultimo e silenzioso saluto, ma io avevo bisogno ancora di qualche minuto da solo con lei prima di dirle definitivamente addio, e quindi mi tenni a distanza, in modo da far passare prima tutto il resto delle persone.

Questo era il discorso che avrei dovuto tenere oggi.
Questo è il discorso che avrei dovuto fare tenendoti per le mani e guardandoti negli occhi, in quel tuo meraviglioso vestito bianco. Ma il destino ha voluto diversamente, in maniera forse troppo ironica anche per noi che con l’ironia e il sarcasmo ci siamo sempre protetti.


Quando rimasi finalmente da solo, presi un profondo respiro, e su quella terra smossa posai un ultimo fiore: una rosa bianca, come quelle che avrebbero dovuto addobbare il suo buoquette.
- Pensi che lo sapesse.? Intendo, pensi che sapesse che stava morendo – mi domandò comparendo alle mie spalle Jeremy ancora con voce distrutta.
- Si, ma credo che sperasse davvero di arrivare al matrimonio – sospirai cupo volgendo lo sguardo verso il ragazzo.

Sei entrata nella mia vita dicendomi che io e te non avremmo portato a nulla di buono, ma oggi, anche se non ci sei più, sono qua davanti ad amici e parteni a dirti che ti sbagliavi. Ci siamo conosciuti che non ero solo una persona non amata, e che non amava. Ero un nemico dell'amore.* Perciò avevo innalzato un muro, ma tu l'hai abbattuto, senza nemmeno accorgertene, senza nemmeno averlo come scopo, e per questo non smetterò mai di esser in debito con te.

- Lei… lei non voleva che vivessimo nell’angoscia che da un momento all’altro se ne sarebbe potuta andare. Voleva viverci con il sorriso, e farsi vivere felice – cercai di spiegargli, in modo da rincuorarlo da quella dolorosa bugia.
- Lo so – rispose lui riposando con lo sguardo rivolto alla tomba della ragazza – Ma fa male lo stesso – aggiunse lasciando che nuovamente le lacrime solcassero il suo viso.

Perché anche se adesso sto soffrendo, anche se in questo momento sento un tale vuoto per il quale faccio fatica anche solo a respirare, so che se non fosse stato per te, non avrei mai vissuto l’amore della mia vita, per quanto breve, complicato e doloroso.

Ci demmo un veloce abbraccio, e così come era arrivato, il ragazzo si diresse nuovamente verso il resto del gruppo, lasciandomi ancora un po’ in solitudine con Elena. Dopo qualche passo però, quando oramai entrambi ci stavamo dando le spalle, Jeremy mi richiamò.
- Per quel che vale, lei ti ha amato davvero – disse semplicemente, strappandomi un malinconico sorriso – Sei una bella persona Damon, non negarlo al mondo solo perché lei se n’è andata – concluse spiazzandomi per quell’affermazione così simile al parole che usava sua sorella per spronarmi, e se ne andò.

Io adesso non so chi sono senza di te. Un amico egoista? Un fratello geloso? Un terribile figlio? O magari con un pò di fortuna...Sarò la persona che sono diventato con te al mio fianco. Perché potrai essere lontana 1500 chilometri o 100 anni, ma sei sempre qui con me. E il mio cuore sarà sempre in quella bara con te.**

The End

*Tratto frase tratta da Once Upon a Time, dal discorso durante il matrimonio di Tremotino nella 3x22
** Tratto dalla lettera che Damon scrive ad Elena nella 7x04

Buongiorno mie care.!!
Ed eccomi qui con il capitolo finale di questa mia storia, decisamente agrodolce rispetto ai Happy Ending che sono solita a scrivere.
Avevo inizialmente pensato di scrivere anche un epilogo, una sottospecie di "5 anni dopo" ma credo che obbiettivamente forse per una volta sia meglio finire così. Nel mio immaginario Damon è giustamente andato avanti, non scordandosi mai del suo Grande Amore, ma non riuscivo a trovare un modol che rendesse davvero giustizia t alla storia, quindi ho lasciato perdere ehehhe
Detto ciò, spero che nonostante questo tipo di finale, la storia vi sia piaciuta.
Ringrazio davvero tanto chi mi ha letta, seguita, commentata, e spero che se mai tornerò a scrivere su TVD ritroverò gran parte di voi.
Perciò ora vi saluto, non so per quanto, ma vi saluto.
Un grosso bacio a tutte voi.
A. 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3562729