Little things

di njaalls
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Protection. ***
Capitolo 2: *** Burnt hair. ***
Capitolo 3: *** Let it snow. ***
Capitolo 4: *** Unexpected. ***
Capitolo 5: *** Pieces. ***
Capitolo 6: *** Leftovers. ***
Capitolo 7: *** Fighting. ***
Capitolo 8: *** The brain. ***
Capitolo 9: *** Beating heart. ***
Capitolo 10: *** Brotherhood. ***
Capitolo 11: *** Hurt. ***
Capitolo 12: *** Drunk. ***
Capitolo 13: *** Broken souls. ***
Capitolo 14: *** Somebody. ***
Capitolo 15: *** Now what? ***
Capitolo 16: *** Rebirth. ***
Capitolo 17: *** A sister's forgiveness. ***
Capitolo 18: *** Nightmares. ***
Capitolo 19: *** Break up in a small town. ***



Capitolo 1
*** Protection. ***


Ho da poco scoperto cosa sono i prompt e, se prima ero scettica, poi li ho decisamente rivalutati.
Ho iniziato a scrivere per esercizio e ne sono venute fuori diversi storielle Bellarke senza pretese: questa è la prima e probabilmente è stata la più difficile, in quanto non sono brava con le drabble e da 270 parole iniziali, l'ho dovuta ridurre a 110. Meno non sono riuscita a fare e continua a non convincermi.
Saranno ambietate tutte nella prima stagione, almeno per il momento, perchè tutti amano le fanfiction sulla prima stagione -me compresa- e magari butterò giù qualche AU, anche se vedere questi personaggi in un contesto non post-apocalittico non mi è ancora del tutto facile.
Oh, vorrei ringraziare Venusmarion (cliccate sul nome per aprire il suo account, è bravissima!) grazie alla quale ho conosciuto il mondo dei prompt e a cui ho chiesto il "permesso" per creare una raccolta di os/drabble/flashfic (anche per risparmiare tempo sui banner: uno va benissimo hahah) che poteva magari sembrare simile a quella che sta scrivendo lei. So, thank you!
Ora vado e non ho idea di quando mi farò vedre di nuovo: magari nel pomeriggio, domani o tra tre giorni! Chi lo sa.
 - njaalls


Protecting.
 
Prompt: Write a drabble of character A protecting B.
 
 
Bellamy è stupito che ci sia qualcuno in quel suolo che voglia colmare gli spazi, leccare le ferite e proteggerlo senza chiedergli il permesso.
Glielo lascia fare: spera che lo tuteli come il bambino che non è mai stato, si sente ardere, mentre l’amore che lui ha riversato in Octavia gli viene inculcato con forza, aggressività e sopracciglia aggrottate.
Clarke gli prende la mano e si lega a lui, lo protegge dalle responsabilità che non può governare da solo, dai demoni e dalla sua anima spaventata. Il peggiore incubo di Bellamy è sé stesso, ma Clarke non ha paura: stringe le sue dita e para i colpi al posto suo.

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Capitolo 2
*** Burnt hair. ***


I'M BACK, BITCHESSSSSS.
No, okay, è che ho già diverse os/drabble/flash fic pronte e non vorrei che scrivendone di nuove, abbandonassi queste e le mettessi ingiustamente da parte. La qui presente non è per nulla il mio genere, perchè propendo sempre per le introspettive, ma probabilmente è una di quelle che mi è piaciuto di più scrivere, quindi ora ve la beccate. Sorry, ma il venerdì sono sempre cattiva: sarà a puntata.
So, pero vi piaccia.
- njaalls


Burnt hair.

Prompt: one cuts the other’s hair.
 

«Ho bisogno che mi tagli i capelli»
«Cosa?»
«Hai capito, i miei capelli-»
«Perché io? Non puoi chiedere a Raven, o-»
«Non parlo con Raven da qualche giorno. Mi evita. Monty e Jasper sono spariti, Octavia sta dormendo. Mi tagli questi maledetti capelli?» chiede esausta Clarke, sedendosi di slancio sul letto improvvisato e incrociando le gambe coperte dai pantaloni scuri. Lascia cadere accanto a sé il coltello che si è portata dietro e fissa un punto vago della tenda. «Lo sai fare, vero?»
«Certo»
«Bene»
Trascorrono pochi secondi, prima che Bellamy avanzi fino alle spalle di lei e si inginocchi guardando il coltello e successivamente i capelli bruciati di Clarke.
Le sue ciocche bionde, sulla parte destra della testa, ora sono un misto di castano che si spezza e scurisce ancora verso le punte, e Bellamy non riesce a non pensare alla scena in cui in ragazzino colpevole di quel gesto aveva letteralmente dato fuoco ai suoi capelli con una torcia artigianale. Octavia le aveva versato dell’acqua addosso, prima che le fiamme si propagassero, e allora Clarke era corsa via, alla sua tenda, non dopo un’occhiata stanca e un momento di silenzio imbarazzante tra i presenti. Bellamy aveva ordinato al ragazzo di farsi un giro e allontanarsi per un po’, intanto che Clarke Griffin spariva nel buio della sera.
«Puzzi di arrosto» mormora lui ora, afferrando la prima ciocca e prendendo le misure per tagliarle i capelli come meglio può. Spera di fare un lavoro almeno decente, ma la verità è che l’unica volta in cui aveva tagliato i capelli ad Octavia, le aveva fatto un caschetto davvero storto e si era salvato solo perché era troppo piccola per notarlo. «Quanto corti?»
«Grazie tante» risponde lei, storcendo il naso e mettendosi meglio a sedere sotto le mani grandi del ragazzo. «Quanto basta per togliere via tutta quella parte bruciata. E, Bellamy?»
«Uhm?»
«Non combinare casini»
Lui ride e Clarke sorride davvero, davvero, stancamente al vuoto, mentre lo sente armeggiare con il suo coltello e i suoi capelli. Sente il rumore della lama che a causa dello spessore del ferro taglia con poca precisione una ciocca per volta: ogni tanto Bellamy le spinge un po’ la testa in avanti sfiorandole la nuca e dopo un paio di istanti lei chiude gli occhi in un momento di totale appagamento.
Clarke ama che le si tocchino i capelli, che qualcuno le solletichi le spalle e la nuca, che Bellamy le stia dando la tranquillità sognata e la pace bramata.
Quando finisce, gli sente fare un sospiro e Clarke si volta, sperando di cogliere dalla sua reazione un’opinione sincera sul suo nuovo taglio alla spalla. All’inizio afferra nei suoi occhi allarme, ansia forse, ma lentamente il suo sguardo scuro e profondo si abbandona ad un’espressione sollevata, prima che le sue labbra si aprano in un sorriso.
«Mi devi decisamente un favore, Principessa»
«Come no» e Clarke si stende sul letto arrangiato con un sorrisino, mentre lui butta per terra le ciocche bionde della ragazza che, in pochi secondi, dorme al posto che solitamente è di Bellamy. Sospira affranto, ma non la sveglia. 

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Capitolo 3
*** Let it snow. ***


Hello, it's me!
Che dire, a parte che probabilmente pubblicherò due/tre lavori dopo questo: diciamo che la flash fic qui presente e l'os successiva non mi convincono granchè -non so perchè, ma non sento rispecchiano la mia idea di un buono scritto- quindi ve le posto con delle drabble di cui cui sono soddisfatta e magari i mei sensi di colpa si affievoliranno.
A dopo. <3
-njaals



Let it snow.

 
Prompt: Which one gets more excited over the first snow of winter?

 
Se la pioggia lascia tutti a bocca aperta, prima un po' spaventati e poi elettrizzati, la prima nevicata lascia completamente senza parole.
Clarke e Octavia ridono come bambine, Jasper ha già trascinato Monty e un altro gruppo di ragazzi verso il centro del campo, mentre Raven tormenta Finn estasiata.
Bellamy sorride appena felice, sì, ma più per quell'eccitazione generale che quasi gli fa dimenticare tutti i problemi fuori dalle mura, mentre Octavia fugge dalle navicella e gran parte dei cento la seguono. Bellamy non la ferma e se lo merita, di essere felice, spensierata.
Pochi sono i titubanti e Clarke è tutto tranne che guardigna, ma resta ugualmente dentro, avvicinandosi a lui con passo veloce e forsennato.
«Sciogliti un po’» esclama, euforica con quei grandi occhi azzurri che gli fanno contorcere lo stomaco ogni volta che lo scrutano con così tanta intensità. «È neve, Bellamy!»
Lui non può non sorridere più apertamente e sente le mani di lei prenderlo per il polsino del giubbotto logoro, prima di afferrarlo meglio e lasciare che la sua pelle bruci su quella di lui. I capelli biondi le svolazzano sulle spalle ed è il ritratto della felicità, accelera il passo e si trascina ancora dietro un Bellamy contento perché ogni fibra del corpo di lei gli sta trasmettendo quelle sensazioni di assoluta libertà.
È affascinato dalla neve, lo ammette, ma lo è di più da Clarke Griffin euforica per una cosa così banale —ma non scontata per loro che hanno vissuto nello spazio— e che gli scorrazza intorno, sperando che lui dica qualcosa.
C'è uno momento in cui lei apre le braccia e guarda il cielo da cui cadono grandi fiocchi: tutto intorno è un caos felice di gridolini e risa e in pochi secondi, dopo un sorriso contento e le sue braccia che si tendono, c'è Bellamy che agguanta Clarke prima che scivoli giù.
Poi la bacia ed è un caos ancora più felice.

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Capitolo 4
*** Unexpected. ***



Unexpected.
 
Prompt: “But they’ll kill me if I tell you!”
“…I’ll kill you if you don’t.”

 
 
Bellamy è sempre in giro, nei paraggi, da qualche parte dove lei possa trovarlo, ma non quella volta e si sente frustrata, perché non ha una bella sensazione e la testa le fa male. Cerca Clarke, quando non trova suo fratello, optando quindi per la scelta più ovvia: la prima persona a cui si sarebbe dovuta rivolgere, considerando il forte dolore alle tempie e gli arti doloranti.
Si trova a cercarli entrambi, alla fine, perché sembrano essere spariti come un’unica persona e storce il naso con un presentimento ancora peggiore del suo forte mal di testa.
È buio, le uniche luci sono le fiaccole accese tra una tenda ed un’altra, e di Bellamy e Clarke nemmeno l’ombra, mentre gli altri delinquenti si organizzano in piccoli gruppi per le chiacchierare notturne finché non sarà troppo tardi e vorranno andare a dormire.
Mentre cammina per il campo, Octavia sente degli occhi puntati addosso, si volta e intravede Jasper, seduto davanti al fuoco e l’attenzione su di lei. Le sembrerebbe quasi normale -perchè, sì, Jasper è cotto della minore di Blake- ma c’è qualcosa di strano nel modo in cui sposta lo sguardo altrove con finta innocenza. Quando di solito la scruta con gli occhi colmi di ammirazione e anche un po’ di imbarazzo.
«Dove sono» domanda, dopo averlo raggiunto con passo spedito, anche se un po’ traballante. «Mio fratello e Clarke»
«Oh, ciao Octavia» Jasper le sorride e si scansa dal legno sul quale è seduto, per farle spazio, prima di battere una mano al suo fianco. «Ti unisci a noi? Sta arrivando Monty con qualcosa di forte»
«Cerco Bellamy. E Clarke»
«Non li ho visti» e alza le spalle in maniera così automatica che Octavia affila lo sguardo, prima di afferrarlo dal colletto del giubbotto e tirarlo su.
«Dove sono»
«Ti giuro, io non-»
«Jasper» sibilla. «Non sto affatto bene e ho bisogno di Clarke»
«Ma mi uccideranno, se te lo dico!»
«Ti ucciderò io, se non lo farai!»
«D’accordo, ma lasciami andare» sbotta Jasper, alzando le mani in segno di resa. «Mi stai spaventando»
 
 
Octavia spalanca la bocca e, anche nel buio della notte, riconoscerebbe le spalle larghe di suo fratello perché sono cresciuti insieme e lo ha visto diventare quel ragazzo non più fragile, ma robusto che è adesso. E che sembra piacere a molte ragazze.
Evidentemente, Clarke è compresa nel numero e Octavia non riesce a reprimere la smorfia di disgusto mentre li guarda scambiarsi fin troppe attenzioni.
C’è solo una torcia, alle spalle della navicella contro cui sono stretti e non li illumina nemmeno abbastanza da farli identificare subito, ma nella notte silenziosa, Octavia sa che sono loro.
«Dio mio» mormora, facendosi sentire dai due interessati. «Avete una tenda, usatela, sembrate due adolescenti!»
Clarke si allontana repentinamente dalle labbra di Bellamy, sporgendosi oltre le sue spalle e quando nota Octavia osservarli disgustati, abbassa lo sguardo con un sorrisino colpevole e imbarazzato che Bellamy intravede solo di sfuggita. Quando si volta verso sua sorella, ridacchia più per l’espressione di Clarke. «Che vuoi, Octavia?»
«La tua ragazza, a quanto pare»
«Octavia, non-»
«Davvero» insiste, passandosi una mano sulla fronte. «Mi dispiace distruggere i vostri piani da dodicenni alla prima pomiciata, ma non mi sento bene. Potrei avere la febbre»
Clarke si scansa da Bellamy e lui la segue di slancio, con la loro unica torcia, percorrendo insieme i passi fino alla ragazzina che li ha appena interrotti. Osserva la bionda toccare la sorella e con ansia chiede: «Quindi? Cosa ha?».
Clarke gli lancia uno sguardo obliquo, prima di prendere Octavia per il polso e trascinarla delicatamente via. «La porto dentro la navicella. Ha bisogno di calore e di un letto, è solo una leggera febbre»
Bellamy annuisce e lancia un’occhiata ad entrambe.
«Vi seguo» risponde, ma nonostante il passo più lento rispetto a quello delle due donne e lo sguardo preoccupato per sua sorella, sente lo stesso la paura scivolargli via quando la sente parlare e rivolgersi a Clarke con malizia. Alza gli occhi e sta bene.
«Quindi, tra te e mio fratello-» inizia la bruna.
«Risparmia il fiato!»
«Pensavo, ci avreste messo di più!»
«Sta’ zitta, Octavia» e al tono esasperato di Bellamy, entrambe ridono e solo Clarke si volta, quando lui continua a mormorare frasi e imprecazioni. «Appena vedo Jasper lo uccido. Doveva fare solo una cosa»
Il sorriso che gli riserva non appena alza lo sguardo, lo riscalda per tutti i baci mancati ed interrotti. Ricambia, prima di vederla sparire e seguirla oltre la tenda della navicella, in cerca dei suoi capelli d’orati e dei suoi occhi immensi come il cielo.

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Capitolo 5
*** Pieces. ***


Per oggi (forse) è l'ultimo capitolo, dopo i due precedenti.
Okay, di queste drabble vado molto fiera e non perchè siano qualcosa di straordinario, insolito o chissà che, ma semplicemente perchè scriverle e portarle a temine mi hanno fatta stare bene e mi hanno resa soddisfatta. Spero che a voi piacciano allo stesso modo.
E, oh, il prompt dice di sceglie un personaggio e una parola, quindi immagino che -a senso loro- avrei dovuto scrivere una sola drabble: bhe, io ne ho scritte undici per ogni termine e ho scelato Bellamy come personaggio. Saranno bellarke, ma ruotano intorno a Bellamy (che poi è legato a Clarke, obv).
Le mie preferite? Assolutamente Scream, Ignore e, sì, forse anche Regret.
-njaalls

Pieces.
 
Pick a character and pick a word and write a short drabble:
Love, Hate, Tired, Awake, Scream, Whisper, Ignore, Watch, Silence, Talk, Regret.
 
 
Bellamy è un fuoco che scotta e arde: ama la natura, la vivacità e ama un metro e poco più di sicurezza, testardaggine e capelli biondi che svolazzano sulle spalle. Ora la guarda, lei gli fa un cenno e ama anche il modo in cui le sue mani armeggiano con il coltello. Sembra una dura, ma ha un cuore troppo puro per il sangue, la cattiveria e la violenza. Spera che non cambi, quindi le sorride e, se fosse più vicino, amerebbe anche quel rossore sulle guance.
 
 
Bellamy odia stare fermo per troppo tempo, ascoltare quei ragazzini che scherzano intorno al falò ogni sera e odia litigare con Octavia, se poi lei si volta e scappa via.
«Dovresti seguirla» gli suggerisce sempre Clarke accarezzandogli la schiena, ma lui odia anche sapere di poter incontrare occhi arrabbiati e delusi che potrebbe non saper curare, quindi si chiude in sé stesso e si odia per essere così codardo.
 
 
Essere a capo di un gruppo di ragazzini abbandonati a loro stessi, spaventati e senza un’idea precisa su come sopravvivere, distrugge le forze di Bellamy ogni giorno, come se badare a sua sorella non bastasse.
Vede Clarke che è la stessa ed entrambi la sera sembrano due automi che vagano in cerca di cibo e poi di una tenda per dormire, finché non sorge il sole.
Quella notte c’è però il corpo di lei che trema per il freddo e gli occhi di lui che si aprono appena, stanchi e devastati. Ugualmente si tira su e «Posso dormire qui con te?» chiede piano.
Le fa spazio.
 
 
Bellamy mentirebbe se dicesse di essere il primo a svegliarsi, perché riposare gli piace, soprattutto se poi ha la responsabilità di quello che è ormai un clan e arrivare a fine giornata è uno sforzo disumano.
La sua tenda è proprio di fronte a quella di Clarke che invece è sempre sveglia prima di lui, quasi a voler sottolineare il suo essere migliore, più piccola, ma più responsabile, quindi Bellamy si tira su e come prima cosa storce il naso.
Fuori, lei gli da sempre il buongiorno e allora lui dimentica qualsiasi screzio, sfida o competizione, le sorride e vederla fare lo stesso lo sveglia del tutto.
 
 
Urla.
Bellamy si volta di soprassalto, è notte e dal posto di sentinella si muove verso l’interno.
Le grida aumentano e il suo cuore batte all’impazzata, li vede e si ferma di scatto: Murphy la tiene stretta dalle spalle, un coltello alla gola e lo sguardo malvagio dipinto sul volto. Gli occhi di Clarke sono terrorizzati e quelli dei presenti anche, poi Bellamy punta addosso alla figura il fucile e gli ordina di lasciarla andare.
Ha ucciso Connor, urla Clarke, Bellamy trema e non può permettersi di sbagliare: spara un colpo e,  grazie a dio, lo ferisce alla spalla, schivandola. Lei lancia un grido e gli corre incontro terrorizzata.
 
Il virus ha attaccato gran parte di loro, un paio sono morti e i primi si stanno già riprendendo: Bellamy crede che potrebbe vomitare l’anima, restare in quelle condizioni per sempre, ma c’è Octavia che lo tranquillizza e gli accarezza la testa, mentre Clarke si accerta che stia bene, quando sua sorella non è nei paraggi.
Gli sussurra parole confortanti, mormora che è forte e che non vede l’ora di averlo di nuovo tra i piedi. Gli lascia anche un bacio quando crede che stia dormendo e allora lui la trattiene debolmente per un polso.
Le sussurra un «Grazie» che la fa tremare come foglie al vento.
 
 
Bellamy ignora Clarke per tutto il giorno successivo e il ricordo di lei che poggia le labbra su quelle di lui gli piace, lo sente ancora sulla pelle, ma allo stesso tempo lo atterrisce.
La vede di sfuggita vicino alla tenda, la incrocia più di un paio di volte,  gli rifila pure una gomitata nel modo di spostare la tenda della navicella -mentre è proprio ed inevitabilmente dietro di lei-, ma quando i loro occhi si incontrano Bellamy distoglie lo sguardo e si ammutolisce.
Almeno finche non cala il sole, sta in piedi a braccia incrociate e lei avanza livida di rabbia: poi gli molla un pugno.
«Ignorami ancora!» sbotta.
 
 
Si guardano e lo sanno.
Si scoprono a lanciarsi sguardi, occhiate, sorrisi storti e non smettono.
Vivono come selvaggi, lottano, sopravvivono, e mentre le loro pelli si induriscono, i loro cuori non cessano di osservarsi, toccarsi, amarsi.
Bellamy scruta Clarke ogni volta che può ed è sempre una boccata d’aria fresca in mezzo a quel caos che lo sta risucchiando: poi lei lo cerca a sua volta con un’occhiata, con i capelli che svolazzano e le spalle dritte e Bellamy sorride, perché sembra l’inferno, ma lui non guarderebbe altro. La ammira e sa che vale la pena sfidare il diavolo per una tentazione del genere.
 
 
Tutto quello che Bellamy sente è silenzio, il respiro di Clarke contro la guancia e ancora silenzio.
La tiene stretta, le braccia intorno alla sua vita, i capelli biondi che gli solleticano il braccio e ascolta il rumore della quiete, senza voler essere da nessun’altra parte.
Le lascia un bacio sulla tempia, lei sorride nella semi oscurità e in un mare in tempesta come quello in cui navigano, il silenzio è l’unico regalo che possano desiderare.
 
 
Bellamy non è bravo a parlare, confidarsi, o aprirsi con qualcuno, ma sa essere un bravo ascoltatore se crede che la persona che ha di fronte valga ogni secondo del suo tempo.
Così, ora, ha le gambe incrociare, lo sguardo concentrato e i capelli scombinati, mentre Clarke  guarda il cielo e gli racconta di lei. Non la interrompe, non la sfiora nemmeno per paura che possa distrarsi e osserva il suo profilo perfetto.
Parlano tutta la notte e anche lui a volte interviene, perchè Clarke è in grado di renderlo importante con la sua curiosità e le sue continue domande e Bellamy scopre che, alla fine, non è affatto male.
 
 
C’erano urla di battaglia, lui che correva e le grida straziate di Clarke che lo incitavano a fare più veloce, vicino alla navicella. Non avrebbe mai pensato di poter avere rimpianti, sapendo di aver fatto tutto il possibile per la sua gente e sua sorella, ma un moto di tristezza lo pervade ogni istante, sapendo di averla fatta preoccupare, obbligandola a chiudere la porta cosciente di aver lasciato lui e Finn a morire.
Avrebbe voluto dirle almeno di non preoccuparsi, di pensare a se stessa e a quei ragazzini spaventati, ma ora rimpiange e basta di non aver detto a Clarke Griffin d’amarla ogni secondo.

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Capitolo 6
*** Leftovers. ***


 
Buongiorno!
Ecco una piccolissima drabble con un prompt che spero di aver interpretato bene: rileggendolo, ho pensato che sarebbe potuto essere anche un verbo alla seconda persona, ma ormai era andata!
Spero vi piaccia, perchè, sì, a me piace.
-njaalls

 
Leftovers.
 
Prompt: drabble di 99 parole con prompt avanzi.
 

Clarke alza un muro impenetrabile, smette di farsi vedere la sera al falò e di giorno è un’ombra che si muove schiva, silenziosa, lontana da tutti: a Bellamy toccano porte in faccia e risposte brusche, anche se non ha nessuna colpa.
Per due giorni lascia gli avanzi dei propri pasti all’entrata della sua tenda e prega, agitato, che mandi giù qualcosa, oppure potrebbe sentirsi male
La terza sera, si stupisce nel  vederla tra loro: gli si siede accanto e «Grazie», mormora. Lui risponde che erano solo avanzi, ma sanno entrambi che sulla terra non esistono, gli avanzi. Nemmeno volendo.

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Capitolo 7
*** Fighting. ***


Mi dispiace molto per Heda e il fatto che Lexa compaia in questa os (anche se fuori dal suo contesto) è un puro caso. Davvero.
Mi sono detta pubblico e, guardando la scaletta, la one shot qui sotto era la prossima in successione: quindi, sorry.
Vorrei anche precisare che non mi soddisfa per quanto riguarda la trama, poichè è ambientata nella prima stagione e mi sembra tropppo rapida e gli avvenimenti che narra troppo... precipitosi? E poi odio i triangoli, la gelosia e tutti quei problemi da coppia in difficoltà, quindi accettare completamente questa storia un po' mi infastidisce. Ora mi zittisco o spilero e spero che a voi piaccia. M
agari mi lasciate un piiiiccolo commentino. Grazie?
May we meet again.
-njaalls.



Fighting.

Imagine your OTP getting into a fight, and Muse B says something really hurtful that Muse A thought they never knew (whether it be from their past or now).
 
A Bellamy non piace il modo in cui la guarda, i suoi occhi che analizzano il suo corpo o il modo in cui si muove –e nota con sempre più fastidio- che asseconda tutto quello che dice. Anche quelle teorie che non stanno in piedi, le missioni suicide e le idee più stupide. Ora Clarke ha deciso di uscire dalle mura e lei è d’accordo.
«Tu non vai da nessuna parte» la mano di Bellamy afferra Clarke per un braccio e la sua voce è bassa, ma abbastanza ruvida da trasmettere che quello è un obbligo, non un consiglio. Lei batte le palpebre e poi si libera con uno scossone.
«Non prendo ordini da te» risponde e, alzando un sopracciglio nella sua direzione, si volta.
La mascella di Bellamy si indurisce, il suo sguardo si affila e le nocche diventano bianche intorno al coltello che tiene nella tasca del giubbotto: è giorno, i cento si aggirano lì intorno mentre lavorano ognuno per conto proprio, ma lui le urla lo stesso dietro e non gli importa delle occhiate e dei mormorii. Clarke è forte, testarda e indipendente, lo sa, ma lui non può ignorare il nodo allo stomaco quando le viene puntato un fucile contro,  litiga con qualcuno ed è fisicamente più debole se si arriva alle mani, o è semplicemente in pericolo. E succede spesso, perché i guai seguono Clarke Griffin come un’ombra sempre pronta a soccombere sulla vittima prescelta.
«È un suicidio, ti farai ammazzare» grida ora, livido di rabbia. Qualcuno li scruta, c’è chi si è interrotto e chi finge di non interessarsi a Bellamy Blake che è pronto a supplicare la Principessa per non farla morire. Per un pessimo scherzo del destino, è passato dal tenersela vicina solo per toglierle quel dannato braccialetto e annunciare all’Arca la sua morte, al girarle intorno per mantenerla a galla e –soprattutto- viva. «Almeno lascia che venga con te»
I suoi capelli biondi ondeggiano sulle sue spalle, mentre compie mezzo giro su se stessa e i gli occhi grandi e azzurri si inchiodano in quelli scuri e turbolenti di Bellamy.
«I patti sono chiari: niente armi, sarà un incontro alla pari. Porterò Lexa e anche qualcun altro» risponde pacata, ma con uno sguardo di sfida che porta il ragazzo letteralmente fuori di testa. «Non ho bisogno che tu mi protegga» e Bellamy non rinuncerebbe a convincerla, se sentisse anche quel «Se non dovessi farcela, avrai sempre Raven» che invece Clarke mormora una volta avergli dato di nuovo le spalle.
Ha gli occhi lucidi, ma non vuole incontrare lo sguardo di nessuno: con passo spedito e la testa bassa si allontana, ignorando chiunque.
Bellamy resta indietro, interdetto e tremendamente arrabbiato, prima che i suoi occhi vaghino sul campo e si soffermino su un paio verdi, che non ricambiano il suo sguardo perché troppo impegnati a scrutare il corpo di Clarke finché non sparisce all’interno della navicella. Pochi secondi e Bellamy salta addosso ad una Lexa del tutto impreparata.
«Tu» ringhia. Senza che abbia il tempo necessario per metabolizzare ciò che ha pensato e fatto in pochi istanti: le punta il coltello che teneva nella tasca alla gola e lo spinge contro la sua pelle, intanto che la trattiene per non farla fuggire. «Stalle alla larga. Chiaro?»
Qualcuno afferra Bellamy per il giubbotto e altri trascinano via Lexa quanto basta per mantenerla lontana dalle mani grandi e brute del leader: lei sorride come un cucciolo ferito, ma astuto, e se non lo trattenessero le salterebbe di nuovo alla giugulare perché è sinistra, furba e ha puntato Clarke da un po’. Bellamy arde e Clarke compare lì dietro.
«Io sono pronta» annuncia. «Che sta succedendo qui?»
 
 
«Mi dispiace per il comportamento di Bellamy, prima»
«Va tutto bene, Clarke, smettila si scusarti»
«No, in realtà non va tutto bene» risponde a tono la bionda, cercando il contatto visivo con Lexa, poi fa una smorfia che dovrebbe vagamente ricordare delle scuse. «Non so che gli sia preso»
L’altra annuisce e forza un sorriso, ma entrambe sanno che quelle giustificazioni non hanno nessun effetto e che tra Bellamy e Lexa non potrà mai scorrere buon sangue, anche se lei non ha nulla di diverso dal resto dei cento.
Gli alberi sono silenziosi, la foresta non attrae Clarke nemmeno un po’ e –non le piace ammetterlo- ma tutte le volte che è stata lì con il maggiore dei Blake, il suo fucile e la sua testardaggine si è sentita meno scoperta e più al sicuro. Passano troppi minuti, forse ore, e nessuna traccia del ponte.
«Penso dovremmo andare per di qua» le dice Lexa e Jasper si guarda intorno alle sue parole, come se avesse mai studiato quella foresta e tutte le sue possibili strade per arrivare al ponte. Poi annuisce convinto.
 L’orientamento di Clarke non è dei migliori, quindi dopo un breve istante di insicurezza, fa un cenno consensiente, seguendo il giubbotto logoro di Lexa, Jasper e Octavia, che ha insistito per accompagnarli, con totale fiducia.
«Tuo fratello ci ucciderà» mormora l’unico ragazzo, afferrandola al volo prima che la minore dei Blake inciampi su una radice troppo grande. «Sono un uomo morto»
«Lui non è qui»
«Sì, ma se dovesse mettersi male?» domanda Jasper, seguendo Lexa a qualche passo di distanza. Si sentono solo gli uccelli fischiettare, le foglie frusciare e poi la sua voce che è come uno schiaffo in quel paradiso spaventoso. Sono sulla Terra, bramata per un secolo, eppure Clarke ha paura, come se sapesse che appartenerle non è un bene. «Non so se impazzirà più se non dovessimo tornare, o se lo facessimo. A quel punto, saremmo spacciati»
«Smettila di preoccuparti di Bellamy» mormora Clarke e il suo nome brucia sulle labbra. «Non è un nostro problema»
«Certo, perché a voi perdonerebbe tutto, ma io-»
«Silenzio»
Tutti si immobilizzano e i loro occhi fluttuano fino a Lexa, stretta nei suoi jeans logori e nel suo giubbotto da aviatore, che con una mano alzata a metà aria intima loro di non fiatare. Clarke non sente altro se non il rumore delle foglie il canto degli uccelli, poi il fragore di acqua che scorre e sta per esultare, ma è un istante quello in cui una freccia la schiva, conficcandosi contro la corteccia alle sue spalle.
Sobbalza, qualcuno grida, e istintivamente si nasconde dietro l’albero toccandosi il braccio che la punta affilata dell’arma le ha ferito: le sue dita restano sporche di sangue e trattiene una smorfia per il pizzicore alla pelle. Si sporge per accertarsi che i suoi amici, siano al sicuro e nota Octavia raggomitolata con Jasper dietro ad un tronco, non molto distanti. Cerca anche Lexa, ma non la vede, così estrae un coltello dal passante dei pantaloni e li sente.
Si muovono veloci, c’è il rumore di passi che spezzano rami per terra e poi anche il chiasso di alberi, scossi in maniera innaturale.
Senza pensarci troppo esce allo scoperto e raggiunge Octavia e Jasper, urlando. «È una trappola! Dobbiamo tornare al campo!»
La seguono come in simbiosi e, lanciandosi verso il punto da cui sono arrivati, Clarke si guarda intorno individuando con suo grande sollievo Lexa muoversi da un punto all’altro. Si scambiano un’occhiata, ma sono troppo esposti, così le frecce cominciano a triplicarsi e la testa di Clarke inizia a pensare in maniera rapida, quasi spasmodica, mentre i Terrestri stanno loro alle calcagna.
Provano a farsi scudo con la natura, gli alberi, i cespugli alti e fitti che li confondono, ma sono in numero minore, non conoscono la foresta e sono disarmati: la mano di Clarke sanguina intorno all’unico pezzo di ferro che hanno come arma, ma inutile fuori da un corpo a corpo.
Corrono tanto veloci che si stupiscono di avere gambe così piccole per falcate così grandi, il respiro viene meno, ma non c’è tempo da perdere e Octavia zittisce Jasper quando tenta di dire qualcosa.
«Risparmi il fiato!»
Corrono ancora e poi c’è un rumore che dovrebbe spaventare chiunque, ma che li fa sussultare prima di tranquillizzarli quanto basta: uno sparo, poi un altro e alla fine li vedono.
Clarke lo nota subito: il giubbotto blu e la maglia dello stesso colore, i capelli sono neri come la pece e ha una postura rigida, mentre corre loro incontro. I suoi occhi scivolano sulle loro figure e prende un sospiro profondo solo quando lancia uno sguardo ad Octavia e poi a Clarke, le supera e continua a sparare, mentre i Terrestri lanciano qualche freccia, ma si fermano abbastanza indietro perché Bellamy e la scorta che si è portato non possano colpirli.
«Correte!» urla e Clarke lo afferra istintivamente per un braccio, quando tutti cominciano a fare dietro front e lui resta a indietro a proteggere loro le spalle. Si muovono velocemente, ma alla bionda non sfugge l’occhiata glaciale che le rivolge, prima di affiancarla.
 
 
Il campo li accoglie come una madre che ha appena salvato i suoi figli: tutti si accalcano per vedere se ci sono feriti, chi non è tornato a casa e come Bellamy reagirà.
Clarke è la prima a varcare l'ingresso e Lexa è al suo fianco e, con poca decisione, le fa un sorriso.
«Valeva la pena tentare»
«Ci hanno teso una trappola»
«Clarke?» Finn le interrompe e Raven gli sta alle calcagna, facendosi largo tra la folla e il suo solito sguardo accigliato in modo sarcastico. Le lancia uno sguardo e, no, non si odiano, ma c'è un attrito ancora troppo recente per essere ignorato e a Clarke brucia come una ferita aperta.
Non si accorge nemmeno che sono tutti dentro, salvi, mentre la guarda e sente ribollire un sentimento che non avrebbe mai voluto riprovare: vede quei capelli scuri legati in una coda, l'altezza invidiabile, la furbizia che cammina di pari passo con l'intelligenza ed è perfetta. Può essere un po' opprimente, a volte, e irritante, ma è una delle persone più belle, leali e sicure che abbia mai incontrato. Distoglie lo sguardo, quando la voce di Bellamy la intrappola come in una gabbia.
«Cosa credevi di fare!» il tono è alto, arrabbiato e duro. È furente. Fronteggia Octavia e ogni fibra del suo corpo trasuda nervosismo puro, misto ad agitazione e preoccupazione. Ha i capelli sudati appiccicati alla fronte e la mascella rigida, mentre la prende per un braccio e la scuote. «Volevi morire, eh?» e nell'esatto istante in cui sua sorella prova a protestare, lui si volta verso la figura di Clarke. Il fatto che per lei riservi la stessa intensità dello sguardo che è solo di Octavia, la spaventa quanto basta da metterla in guardia: ha le mani sporche del suo stesso sangue, ma le ignora. «E tu! Glielo avresti dovuto impedire! No, aspetta. Mi avresti dovuto dar retta, maledizione!»
«Non l'ho obbligata» si difende, ma il suo tono è così privo di emozioni che la rabbia di Bellamy non fa che triplicarsi. La raggiunge e la sua altezza è troppa rispetto a quella di Clarke, così proietta su di lei forza sterminata.
«Non l'hai obbligata?» sbotta. «Ti ho supplicata di restare qui, Clarke! E ti sei portata mia sorella, con Jasper e Lexa. Non mi fido di lei. E lo sai!»
A quel punto il tremore delle spalle di Clarke si fa palese e lei avanza verso il ragazzo che si staglia di fronte, con le sopracciglia aggrottate, mentre tutto intorno è il silenzio e ogni persona lì trattiene il fiato. Gli punta un dito sul petto e poi prova a spingerlo con forza, nello stesso instante in cui le parole gli escono dalla bocca come un fiume in piena. «Tu mi hai presa in giro! Sono io che non mi fido di te!»
L'espressione di Bellamy passa da una maschera di rabbia cieca a confusione, mentre non prova nemmeno a trattenersi. «Ma di che parli? Qualsiasi cosa abbia fatto non ti giustifica dall'andare a morire e trascinarti dietro mia sorella. Tu—»
«Sei andato a letto con Raven!» e le sue parole sono un urlo che squarcia il rumore delicato del silenzio, insieme al suo ansimare continuo che prova a far cessare, chiudendo gli occhi per un istante e riappropriandosi della calma persa. Bellamy resta immobile, la bocca schiusa, le spalle curve e la sua altezza che non è più così imponente, quando lei lo supera, prima che le lacrime minaccino di sabotare il suo fare indifferente. In realtà è una tempesta e vorrebbe assestargli un pugno, ma troppe emozioni la potrebbero far crollare e non vuole dar spettacolo.
Bellamy la guarda sparire e deglutisce a vuoto, mentre le parole si ribellano al suo cervello e insistono per non uscire. Potrebbe chiamarla, correrle dietro, ma non lo fa.
La figura di Lexa si muove con lentezza tra le teste dei cento, gli occhi di Bellamy scattano su una Raven senza parole e poi lui si incammina sullo stesso percorso intrapreso dai folti di capelli biondi e dalle occhiate truci di Clarke. Prima che la possa raggiungerla, intralcia il cammino di Lexa, i cui occhi sono freddi nella sua inespressività.
«Stalle lontana» e poi la scuote con violenza. Lei afferra un coltello e glielo punta contro, nell'esatto istante in cui lui la prende per il collo e la spinge indietro.
 
 
Bellamy non ha mai rincorso nessuno nella sua vita, non ha mi sperato che qualcuno credesse alle sue giustificazioni o che accettasse le sue scuse, a meno che non fosse sua sorella. Eppure Clarke Griffin gli ha dato filo da torcere nell'esatto istante in cui la navicella ha toccato il suolo e con la sua saccente parlantina gli ha fatto notare che la Terra sarebbe potuta essere soggetta a radiazioni. Bellamy non ricorda di averla guardata in modo gentile, quella volta, ma ora si trova a parlare quasi al vuoto, mentre fissa l'entrata della sua tenda e sa di avere uno sguardo colpevole dipinto sul volto.
«Clarke» ripete per l'ennesima volta. «È successo molto prima che tu... Io ti... Noi ci baciassimo» picchietta un dito per terra e questo sprofonda sul fogliame sul quale è seduto da parecchi minuti nella speranza che una testa bionda sbuchi dall'interno e ammetta di aver esagerato per qualcosa di cui lui non è totalmente colpevole. «Lei credeva che tu e Finn foste insieme e... È successo»
Il silenzio che ne segue è straziante. Octavia passa lì vicino e gli riserva un'occhiata delusa, prima di scuotere la testa e allontanarsi con passo spedito verso l'interno della navicella. Bellamy torna a fissare il telo di plastica davanti a sé e sospira. «Clarke, ti prego. Non puoi né avercela con me, né tirare su una missione suicida come quella di oggi. E sei ferita, dovresti farmi vedere il braccio, se proprio non ti vuoi curare da sola» mormora. Dopo un secondo di pausa, continua. «Quando ti ho conosciuta, non avrei detto saresti resistita sulla terra più di un paio di giorni e, credo, lo pensassi perché ero maledettamente geloso del tuo essere così testarda, che ti saresti spinta troppo oltre pur di raggiungere i tuoi obiettivi. Oggi senza quella testardaggine non sarei qui e non manderei tutto all'aria per niente, quando abbiamo combattuto —in tutti i sensi— per arrivare a questo punto. Quindi ora, per favore, potresti uscire da lì? Ti scongiuro»
Bellamy non ha mai supplicato nessuno e lo si capisce da quel modo squinternato di redimersi e giustificarsi, che altro non è che un insieme blando di frasi che dovrebbero rassicurare il suo interlocutore, ma che miste a sospiri pensati, invece, dicono tutt'altro: ha imparato ad apprezzare e volere bene a Clarke, ma la sua pazienza non durerà ancora per molto. «Non ti chiederò scusa per essere andato a letto con Raven, sia perché non sono bravo con le scuse, sia perché è successo prima che ti baciassi nel bosco. Forse ho sbagliato a non dirtelo, questo te lo concedo, e mi dispiace che tu non lo abbia scoperto da me, ma se cominciamo a darci contro anche per colpe che non abbiamo, come si sopravvivere?»
«Avresti dovuto dirmelo, dopo Finn» e Bellamy quasi sussulta nel sentire la sua voce, attutita dal telo della tenda che li divide. Si agita sul posto, pronto a captare ogni parola che possa uscire attutita dalla sua bocca, ma lei compare con un fruscio all'aria aperta. Ha gli occhi un po' rossi e i capelli raccolti in una coda scombinata, ma alla fine sembra stare bene e, con attenzione, si siede accanto a Bellamy. Insieme contemplano la sua tenda ormai vuota. «Hai ragione, ho esagerato, scusa»
«Direi proprio di sì—»
«Ma me lo avresti dovuto dire»
«Non pensavo avesse importanza, sono stato con altre ragazze da quando sono qui e le hai viste uscire dalla mia tenda, ma—»
«Ma nessuna di loro era la ragazza arrivata qui con una navicella solo per stare con Finn. Ci sono rimasta male quando lei gli è corsa incontro baciandolo, ma ho mentito spudoratamente nascondendomi dietro il fatto che lo conoscessi appena, che alla fine non mi importava. Quindi avrei preferito fosse chiunque ad essere stato con te prima di me, ma non lei. Sembra che ogni cosa le sia dovuta»
Annuisce. «Mi dispiace»
«Dispiace anche a me» e la mano piccola di Clarke cerca quella grande di Bellamy, prima di accarezzargliela con un sorriso timido. «Ah, prima che me ne dimentichi, potresti evitare di puntare addosso a Lexa un coltello ogni volta che ti passa davanti?»



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Capitolo 8
*** The brain. ***


Non sono quel tipo di persona che fa gli auguri per la festa della donna, perchè dovrebbe essere ogni giorno e perchè nasce da un massacro di cui molti ignorano l'esistenza, ma volevo condividere con voi questa os molto easy per celebrare un personaggio che non è tra i più forti, a mio avviso, ma che potrebbe davvero esserlo.
Buona lettura. 
- njaalls


The brain.
 
Prompt: write a story about a powerful female leader.
 
 
«Combatti come una ragazza»
«Io sono una ragazza»
C’è il corpo sudato di Bellamy che brilla alla luce che penetra dalle finestre, mentre mette insieme qualche passo veloce e raggiunge la figura minuta e affannata che gli sta di fronte. Lei prova a placcarlo con tutta la forza che possiede: ma perde la sfrontatezza, quando sono ormai a pochi centimetri l’uno dall’altro e la afferra dalle spalle, prima di darle un calcio ai polpacci e farla cadere per terra.
Clarke impreca e chiude gli occhi.
Non riesce mai a stenderlo, o solo a prenderlo alla sprovvista, raramente arriva ad assestargli un pugno e le sue gambe sono troppo piccole e lente ogni volta che tenta di rifilargli un colpo, così lui riesce sempre a difendersi e a metterla al tappeto prima che lei possa anche solo rendersi conto di aver appena battuto il sedere per terra. Clarke sospira frustrata e Bellamy chiede se si sia fatta male, sovrastandola con la sua figura imponente.
«Non è fondamentale che tu sappia combattere corpo a corpo» le ripete, tendendole una mano e quando lei la afferra, il maggiore dei Blake non si sforza nemmeno nel tirarla su. «Sei fisicamente svantaggiata contro gran parte degli avversari e la tua agilità fa schifo, quindi non compensa affatto l’altezza mancante o le braccia troppo gracili-»
«E hai finito?» domanda lei, evitando di osservare il suo addome nudo e lucido, allontanandosi quanto basta per guardalo negli occhi. Poi si rimette nella posizione iniziale, quella che le ha insegnato qualche tempo prima, e sorride stancamente. «Riproviamoci»
Bellamy alza gli occhi al cielo e sospira come se avesse a che fare con una bambina viziata che fa i capricci, ma fa ugualmente diversi passi indietro e alza i pugni all’altezza del viso. «Pronta?»
Clarke sorride e non risponde: avanza rapidamente e allunga un braccio cercando di colpirlo nella parte del corpo che lui sta proteggendo, mentre con un piede cerca di assestargli un calcio, prendendolo alla sprovvista. Bellamy intercetta la sua gamba e, contemporaneamente, afferra entrambi gli arti, mandandola al tappeto con una spinta verso il basso. Clarke emette un suono frustrato, quando comprende di essere di nuovo stesa sul pavimento, e poi ansima, mentre il suo petto si alza e si abbassa forsennatamente.
Bellamy si siede accanto a lei e sorride, vedendola stanca e un po’ ferita a causa della sua testardaggine. «Che ne dici di tornare alla pistola?» la prende in giro e il pugno sulla spalla che riceve all’improvviso non lo sfiora neanche.
Clarke si tira su, a gambe incrociate, lanciandogli uno sguardo un po’ deluso, mentre lui capta quello stato d’animo e le prende una mano.
«Hey» mormora con voce bassa e un tono rassicurante, cercando il contatto visivo che lei non gli nega. «Hey. Non siamo tutti predisposti per lo stesso genere di combattimento e questo non significa che tu hai meno possibilità di batterti e sopravvivere contro un nemico. Te la sei sempre cavata, anche da sola»
«Ho sempre avuto un arma, ma potrebbe capitare di non avere nulla con cui difendermi» risponde lei, ricambiando la stretta alla mano e guardando ora quel intreccio di pelle che si sfiora. E si cerca. «Octavia è piccola, ma lei sa combattere»
Bellamy sorride, ma Clarke  lo intravede soltanto quel gesto spontaneo e involontario, perché troppo occupata a sentire il pollice di lui sfiorare con gentilezza il dorso della mano. «Sì, ma ad Octavia manca qualcosa che tu invece possiedi»
«Cosa?»
Il ragazzo scioglie la loro presa con un sospiro nascosto dietro un abbozzo di sorriso, prima allungare le sue dita verso il viso della bionda e con delicatezza poggiare più volte l’indice sulla tempia destra. «Sei la mente, Clarke. Octavia è brava a combattere, ma impulsiva. Raven è intelligente, ma l’ambizione la indebolisce. Tu, invece, sei testarda e allora cerchi sempre di fare la cosa giusta perché sei predisposta a trovare la via di fuga che implichi meno danni possibili» poi la sua voce si fa più bassa, quasi inudibile, e Clarke si deve sforzare per sentirlo. «Anche se poi non sempre funzionano. Ma comunque ci provi, perché sei sveglia. E sei un leader»
C’è un instante di silenzio e Clarke ha capito dove vuole arrivare, come ha compreso che allude alle sue doti di capo durante la sopravvivenza sulla terra, o al salvataggio violento a Mount Weather. Cerca di nuovo la mano di Bellamy e annuisce quando lui alza lo sguardo, cercando di trasmettergli quella forza che lui le ha appena ricordato di possedere, per infondergli anche un po’ d’affetto e strapparlo via dai ricordi dolorosi.
Poi sono interrotti poi da Harper che «Clarke, abbiamo bisogno di te» dice con voce alterata e respiro affannato, quando sbuca da una porta del nuovo campo Jaha. La bionda stringe la presa intorno alle mani di Bellamy. «E anche urgentemente»
Clarke annuisce e si solleva sui talloni, guardandosi intorno e lanciando poi un’occhiata ad un Bellamy ancora seduto per terra e l’aria assorta. Quando scorge la figura di Harper scomparire oltre la porta, si piega in avanti e gli lascia un bacio delicato sulla guancia.
«Grazie» sussurra, prima di allontanarsi con una corsetta rapida e parecchio goffa, intanto che le sue gote sono rosse per gli sforzi delle lotte e misto all’imbarazzo per quel gesto intimo.
«Clarke?» la chiama un Bellamy adesso sorridente, trattenendola ancora un istante. «Ti ho detto che combattevi come una ragazza, perché di solito lo fai come una donna»
E a quelle parole ci credono entrambi perché si sbaglia –e Clarke lo fa da sempre- ma a modo suo è forte come uragano.

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Capitolo 9
*** Beating heart. ***


Ho spesso difficoltà ad inserire The 100 e tutto quello che ne fa parte in un altro contesto, sopratutto nel mondo presente, ma avevo appena iniziato il rewatch di Teen Wolf e contemporaneamente seguivo la quinta stagione quando ho trovato il prompt, quindi mi sono presa di coraggio e questo è il risultato.
Spero vi piaccia, perchè mi spaventa un po' tutta questa storia di buttare giù drabble/os come quasi fosse una esercitazione: spesso credo di non dare loro la giusta attenzione, quindi non sempre mi soddisfano.
Incrocio le dita, anche questa volta, e grazie sempre a chi legge.
- njaalls


Beating heart.

Imagine your OTP in the universe of one of your other fandoms.
 
C'è il verso di una belva in lontananza, ma Clarke la sente fin troppo vicina, ruvida sulla pelle e nella mente: si volta con gli occhi sgranati e il respiro che si mozza.
Hayden era prima al suo fianco e ora la vede in piedi a bordo campo, mentre la gente si disperde impaurita e confusa e quel rumore tormenta Clarke da sopra gli spalti, perché ancora non è in grado di isolare le voci, i fragori, gli odori e le sensazioni. Percepisce nel caos la voce della sua migliore amica chiamare Liam con tutta la forza che ha e lei si regge ad una seduta, la mente che brucia di rumori e i capelli biondi che si muovono spinti dal vento: c'è poi un ruggito, un rumore palese di artigli che graffiano qualcosa —o qualcuno— e Clarke che crolla in ginocchio, la testa pronta ad esplodere.
In lontananza, tra le urla della gente che cerca riparo lontano dal campo di lacrosse, si sente Liam gemere e poi le urla straziate di Hayden. Qualcuno afferra Clarke per un braccio e in pochi secondi, viene trascinata via con forza: lancia uno sguardo alla Bestia e con suo grande sollievo vede  Hayden e Liam soli, mentre il mostro li supera. Non ha tempo per accertarsi che stiano bene, ma l'idea che non siano pasto per una creatura sovrannaturale la tranquillizza quanto basta per guardare avanti e focalizzarsi sulla figura al suo fianco: se si fosse concentrata con più calma, probabilmente si sarebbe accorta che quell'odore non era del tutto estraneo, anzi piuttosto familiare.
Bellamy Blake la tira con tutta la forza che ha e lei fa del suo meglio per stargli dietro, così senza sforzo si ritrova a seguirlo fin dentro il liceo nel quale regna il caos. Clarke vorrebbe stringersi le braccia alla testa, ma lui la scuote e cerca la sua mano in un gesto di intima rassicurazione, mentre non smette di correre. Nonostante l’istante di tensione, non può fare a meno di pensare che è la prima volta che lui sembra preoccuparsi per lei e che non la sta trattando con la solita diffidenza.
«Non ora, Griffin» urla con voce profonda, imboccando la prima rampa di scale e scansando la gente che, come loro, cerca un posto dove ripararsi. «Concentrati su una cosa sola. Provaci!»
E con tutta la fatica del mondo, lo fa: scansa le urla, isola i ruggiti al piano inferiore e cerca di captare il battito del cuore del ragazzo al suo fianco, utilizzando il loro contatto come tramite e, nonostante l'organo vitale batta all'impazzata, è come una calamita che attrae Clarke. In pochi istanti, sente le urla che sono solo un sottofondo appena udibile e piuttosto trascurabile, mentre il battito ora irregolare la distrae in maniera quasi piacevole.
«Per di qua» e Bellamy spalanca la porta di quella che Clarke riconosce come l'aula di chimica e la spinge dentro senza troppi complimenti. «Entra e scrivi alla tua amica. Dille dove siamo»
«Perché?» domanda Clarke di slancio. Non ha intenzione di chiedere a Hayden di entrare nell'edificio quando è fuori, probabilmente più al sicuro di loro chiusi lì dentro. «Non la chiamerò a morire qui»
«Bhe, moriremo noi se non li chiami. E anche molto presto» ribatte lui, afferrandole un gomito e spingendola verso l'angolo più lontano dalla porta: senza chiedere il permesso la nasconde di fianco all'armadietto comune dei materiali per la lezione e le si piazza davanti, coprendole la visuale con le sue spalle larghe. Spinge la sua testa scura oltre il mobile di metallo e osserva, mentre il fiato di Clarke batte contro la sua maglia di lacrosse che emana puzza di sudore, mista all'odore di muschio dei detersivi per bucato. «Abbiamo due possibilità: o ci supera e possiamo poi andare ad aiutare i nostri amici o moriamo qui non appena ci trova. Nel secondo caso avremmo più chance per uscirne solo feriti, se siamo numericamente superiori. Allora, vuoi fare parte di un vero branco?»
Quando Bellamy si volta, la supera in altezza e lei deve portare la testa molto indietro per guardarlo nella semi oscurità, ad una vicinanza così ristretta, poi annuisce e sussurra un «D'accordo» un po' troppo aggressivo.
Scrive il messaggio a Hayden con una sola mano, mentre i suoi occhi restano incollati a quelli di Bellamy che ricambia a sua volta. Clarke non si rende conto di essere ancora avvinghiata al suono del suo battito finché non lo sente accelerare ancora di più e all'improvviso, poi avverte il suo odore e sorride con audacia.
«Sul serio?» chiede con un sussurro divertito. «Fai parte del branco di Scott McCall e poi non sai controllarti con una ragazza nei paraggi? Il tuo nervosismo è palpabile a chilometri di distanza, fai prima a urlare che siamo qui, tanto la Bestia ci scoprirà comunque»
Lui apre la bocca per ribattere, allontanandosi si pochi centimetri da lei e il suo sguardo si affila. «Non sei tu il motivo del mio nervosismo»
«So distinguere l'adrenalina data dalla paura, dall'agitazione ormonale di un ragazzo e, fidati—»
Bellamy la zittisce e poi le tappa la bocca con una mano, mentre si concentra sulle grida che ancora si accavallano nel corridoio e che significano solo che la Bestia non ha perlustrato quella zona del corridoio: poi li sente, mentre al piano inferiore percepisce dei ruggiti e odore di rabbia, i passi scoordinati che ha imparato a riconoscere con il tempo. Una manciata di istanti e Stiles entra nell'aula con Hayden e un Liam incosciente.
Clarke e Bellamy sbucano dal nascondiglio, mentre il figlio dello sceriffo blocca l'entrata con dei banchi e nel vederli sospira quasi contento. Clarke vorrebbe fargli notare che un paio di mobili scolastici non fermeranno una bestia di portata gigantesca, ma non ne ha il tempo.
«Bene, siete qui» mormora passandosi una mano tra i capelli castani, mentre Bellamy afferra Liam dalle braccia di Hayden e lo poggia sulla cattedra con cautela.
«Che è successo? Ho portato via Clarke prima che potessi aiutarvi» dice corrucciato e i ricci neri si muovono sulla fronte sudata.
«Gli è andato incontro e lo ha messo fuori gioco in meno di pochi secondi!» sbotta spaventata Hayden, cercando lo sguardo prima del ragazzo e poi di Clarke. Quando la vede, allunga le braccia e la stringe felice che sia salva. «Poi quella cosa ci ha superato, ma per arrivare qui abbiamo dovuto prendere le scale secondarie»
«E crediamo che Scott sia al piano inferiore, da solo» dice Stiles, subentrando nella conversazione agitata intono alla cattedra. «Devi provare ad alleviare il dolore, così forse guarirà e potremmo andare a salvare il mio migliore amico»
Gli occhi Hayden lo guardano con intensità, come se volesse tradurre quello che ha appena detto, prima di annuire e voltarsi verso Liam. Si piega in avanti quanto basta e, mentre Clarke crede che potrebbe fargli del male per aiutarlo, lei lo bacia. Se in un primo momento resta stupita, poi si acciglia quando le guance della sua migliore amica diventano una ramificazione di vene scure che pulsano e sembrano contenere qualcosa che non è decisamente sangue.
«Hayden—» sussurra, ma una mano la afferra prima che possa fare un passo avanti e Clarke si volta verso Bellamy che, fissando un punto nel vuoto, scuote la testa negandole qualsiasi intervento. Poi Liam si riprende e, se loro restano in silenzio, Stiles commenta con una battuta tipica del figlio dello sceriffo che fa sorridere tutti.
Per un attimo, c’è un’illusione vana che vada tutto bene.
«Ora che si fa?» chiede Bellamy, dopo qualche secondo di silenzio, lanciando un'occhiata all'altro Beta del branco di Scott e riportando tutti alla realtà.
«Noi siamo con voi» interviene Hayden, lanciando un'occhiata a Clarke, che annuisce infondendole coraggio. «Qualsiasi cosa succeda, vi aiutiamo»
«Theo non ne sarà contento» commenta Stiles con una smorfia, poi sorride in modo sinistro.
«Non prediamo ordini da nessuno» risponde Clarke di slancio, facendo un passo avanti. «Ancora meno da Theo»
«Principessa coraggiosa» e la voce profonda di Bellamy, per quanto irritante, la tranquillizza nell'istante in cui capta in suo odore e ne legge fiducia. La guarda e i suoi occhi scuri in quelli chiari e immensi di lei sono come una tempesta che ha trovato la calma.
Prima che chiunque possa dire o fare qualsiasi mossa, un fragore li distrae e la porta dell'aula viene buttata giù: le loro voci sono riuscite a richiamare la Bestia e, mentre Stiles retrocede, il branco si trasforma come un'unica voce. Bellamy avanza rispetto a Clarke e con un braccio teso la invita a non fare l'eroina e non muoversi da quella posizione.
Nonostante tutti i suoni, i ruggiti e le urla, la biondina si concentra sul battito che l'ha salvata dal non impazzire nell'inferno e poi ringhia con tutta la forza che le è stata donata, perché non ha nulla che la distrae dal proteggere il cuore pulsante di Bellamy Blake e di quello che potrebbe essere il suo nuovo branco.



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Capitolo 10
*** Brotherhood. ***


Perchè la versione più completa dei Blake, per me, è quella in cui ci sono Bellamy, Octavia e Clarke. Lui, senza quelle ragazze –entrambe– sarebbe perso.
Si può pensare quello che si vuole dei Bellarke romanticamente parlando, ma non che Bellamy non consideri Clarke come una sorella e, tra l’altro, per rafforzare la mia idea, aggiungo che allo stesso J. Rothenberg è stato chiesto su Twitter chi avrebbe salvato Bellamy, se Clarke e Octavia fossero state entrambe in una situazione di vita o di morte. Ha risposto che le avrebbe messe in salvo entrambe, anche a costo di morire, ma se proprio non avesse avuto scelta –solo allora- avrebbe scelto O.
Penso che, sì, Bellamy e Clarke prima di qualsiasi appellativo si voglia dare loro, sono come un fratello ed una sorella, ormai.
-njaalls

 Brotherhood.

Prompt: Character A gets physically or mentally hurt just to keep Person B safe/happy/etc.
Prompt: Hug/cuddles.
 
Clarke è un fascio di nervi, mentre con Octavia cammina per il corridoio buio e angosciante dei sotterranei di Mount Wather: sono ufficialmente sole. Lexa e il suo esercito le hanno abbandonate, lasciando che Clarke affronti da sola il nemico più grande, la morte dei suoi amici, della sua famiglia e di Bellamy che sarebbe potuto essere al sicuro, al suo fianco, ma che invece è lì dentro solo per lei. Perché è stata debole e non per aver provato affetto, perché l’amore non è debolezza e questo Clarke lo ha capito, ma lo è stata perché si è lasciata manipolare da una persona che non ha mai cercato di aiutarla, ma che ha fatto tutto –anche offrirle un esercito- solo per il proprio tornaconto.
Alla fine, anche non provare affetto per qualcuno l’ha resa una debole, perché Lexa vive nella paura che gli altri hanno di lei, nell’oscurità di essere temuta e nella violenza che sperpera tra i suoi sudditi. E ora che le ha voltato le spalle, tutto grava su Clarke, la quale è devastata e forse di più, mentre segue silenziosa un’Octavia arrabbiata con lei. E, mentre il suo petto è un profondo squarcio, non le può dare torto.
Non lo fa perché ha lasciato che un missile piombasse su un villaggio innocente, mettendosi in salvo come una codarda, solo per proteggere Bellamy dal suo stesso sbaglio: se lei non lo avesse spinto tra le braccia del nemico, nulla di tutto ciò sarebbe accaduto, nessuno sarebbe morto a causa sua e il suo più fidato amico, l’unico di cui pensa possa realmente fidarsi, starebbe trovando un modo per entrare con lei a Mount Weather.
Insieme, come sempre, perché sono confidenti, alleati e probabilmente qualcosa di molto simile a due fratelli che, nonostante il tempo passato lontani, morirebbero ancora l’uno per l’altro.
Octavia si ferma di scatto, quando Clarke si accorge che sono arrivate alla fine del tunnel, che c’è una porta e, soprattutto, che dall’altro lato si sentono dei passi indistinti: la minore dei Blake smette di imprecare contro la bionda, rinfacciarle quanto la detesti in quel momento e cerca di afferrare la spada che tiene con sé, nell’istante in cui Clarke prepara la propria pistola e la porta si apre. La canna di una un’arma da fuoco compare nella loro visuale ed entrambe prendono un respiro profondo, prima di abbozzare un sorriso felice di vedere Bellamy sano e salvo in una divisa da guardia.
Octavia gli corre incontro, lo stringe di slancio e Clarke non può fare a meno di sentire alcune ferite rimarginarsi lentamente, mentre lo guarda e prova a non mostrare gli occhi lucidi e tutte le sue vere debolezze. Ma lui ricambia quello sguardo intenso, che fa male più di un litigio, e allora lo sa che è terribilmente arrabbiato e deluso da lei: alza un braccio, intanto che stringe ancora Octavia con l’altro, e lascia che Clarke nasconda gli occhi umidi contro la sua spalla, mentre abbraccia entrambe e sa che, al momento, la sua famiglia è salva. 

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Capitolo 11
*** Hurt. ***


Mi ero un po' buttata giù per il successo di questa raccolta, ma siccome scrivere mi piace ancora e avevo già qualche storiella su questi due pronta, son torntaa.
Rimgrazio chiunque legga, anche silenziosamente.
- njaalls

Hurt.
 
Prompt: Scrivere una drabble di minimo 250 parole senza mettere un punto.
 

C'è il vento a sfavore mentre percorrono la strada sterrata, gli occhi languidi di Clarke che sono tormentati dai sensi di colpa e quelli di Bellamy pure, intanto che le parole  sono del tutto inutili, perché non sono sufficienti a descrivere il dolore, le perdite, la frustrazione di aver fatto la cosa giusta —ma che è comunque quella sbagliata— e allora li fa soccombere sotto il peso della vita, perché sono un uomo e una donna cresciuti troppo in fretta e ogni briciolo di gioventù ora brucia e arde con quel vento che alza polvere e detriti di cuori infranti e massacrati,  famiglie distrutte e sentimenti repressi per il bene di tutti, quando Clarke lascia un bacio sulla guancia di Bellamy e, no, niente tornerà al suo posto mentre perdono loro stessi e anche l'altro, con gli occhi lucidi e sono due anime intrecciate che percorrono adesso strade diverse in quella terra bramata -come l'ossigeno che gli è sempre stato negato- e che non si è dimostrata altro se non catene per i loro corpi fragili nella loro grandezza, nelle teste alte e i petti in fuori che hanno padroneggiato e sperperato finta spavalderia e sguardi minacciosi per tutto il tempo: ora Clarke e Bellamy lo sanno che niente tornerà come prima, mentre quello che rimane delle loro ossa rotte si allontana,  i loro cuori scheggiati sanguinano sempre più vicini, e allora piangeranno come bambini intrappolati in corpi di adulti, feriti, tormentati dalla colpa e dalla nostalgia di un affetto, di qualcuno che capisca e che ti assicuri che non sei un mostro, anche dopo tutto quello che hai affrontato.

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Capitolo 12
*** Drunk. ***


Drunk.

Prompt: Scrivere una drabble che inizi per "Piano" e finisca per "Forte".
Prompt: Scrivere una drabble senza dialoghi.
 
Piano Bellamy scosta la tenda che separa l'accampamento da Clarke, la quale dorme profondamente e ignara della seconda presenza in quello spazio piccolo e anche un po' angusto.
Bellamy ha in mano un bicchiere di quello che —stando a Monty e Jasper— dovrebbe essere un drink con i fiocchi ma che al maggiore dei cento ricorda solo pipì con un sapore troppo forte.
Forte come la quantità di alcool che contiene e che, per un momento, lo scombussola parecchio.
C'è il corpo di Clarke che è caldo, quando si sdraia accanto a lei e le si stringe contro, e ci sono le labbra della ragazza che sorridono inconsciamente al contatto della loro pelle.
Resta lì per quelle che sembrano ore, stupefatto dalle sensazione che provoca stringerla tra le braccia, mentre lei lo cerca nella semioscurità, quasi fosse cosciente.
Bellamy tracanna tutto quello che resta nel bicchiere con irruenza e, quando sta per addormentarsi con il fiato di Clarke contro il collo, gli sembra che lei apra gli occhi e che sorrida ancora, cercandolo quasi con maggiore foga.
A quel punto, Bellamy si convince che, davvero, quel drink era troppo forte.

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Capitolo 13
*** Broken souls. ***



Broken souls.
Prompt: Guilt.
 
Raven chiede scusa a Jasper quando la aiuta a raggiungere il fuoristrada e a Clarke durante il viaggio piuttosto silenzioso nel vano posteriore, mentre i fratelli Blake occupano i sedili davanti.
Bellamy guida in silenzio per tutto il tragitto e nessuno gli pone domande o prova solo a distrarlo dalla guida, le nocche bianche per la presa intorno al volante e le sopracciglia perennemente aggrottate. Tutti hanno compreso che, sedersi al posto del guidatore, è stata una tattica, ma Raven guarda nella sua direzione per tutto il tempo della strada, fino alla grotta dove Harper e Miller fanno la guardia al fuoco acceso e agli zaini più o meno vuoti che il gruppo ha lasciato loro.
Ora, sono seduti per terra all'interno della cavità naturale, come se fosse la sala d'aspetto del centro medico di Abby, e anche se gli occhi di tutti sono chiusi per la stanchezza, ognuno di loro sa che la persona accanto o quella di fronte è più sveglia di quando sono arrivati.
Raven è un fascio di muscoli indolenziti, la testa che gira e le palpebre pesanti: è l'unica sdraiata e infagottata in una vecchia coperta che devono aver preso a casa di Niylah. Quando alza la testa vede Clarke ed Octavia, sedute accanto, mantenere una manciata di centimetri tra loro, rannicchiate e con le spalle alla parete frastagliata. Più distanti —da lei e tra loro— Jasper e Monty si ignorano; Harper, Miller e il suo ragazzo sonnecchiano all'entrata e Sinclair sta lavorando su qualcosa che Raven non focalizza. L'ultimo che nota, o che forse vuole notare, è Bellamy a qualche centimetro di distanza da lei, seduto con le gambe stese per terra. Clarke gli è praticamente seduta di fronte.
La mora si mette a sedere ed è più forte il nervosismo e il senso di colpa, che il dolore fisico per la notte infernale. Emette un gemito di fastidio e tutti spalancano gli occhi, o si voltano, per accertarsi che stia bene e, in caso di pericolo, alzarsi per andarle in contro ed aiutarla. Lei solleva una mano ed è tutto okay, deve solo arrivate da Bellamy, in un modo o in un altro. Jasper prova ad alzarsi per accertarsi che vada tutto bene, ma Raven lo ferma scuotendo la testa.
«Sto bene» mormora e nessuno fiata, immobilizzandosi all'istante.
C'è il corpo magro e provato di Raven che striscia —letteralmente— fino al fratello maggiore di Octavia, mentre lui la guarda con le labbra serrate e uno sguardo preoccupato. Quando il meccanico si mette a sedere con grandi difficoltà e lui non ha ancora fiatato, gli altri alternano le loro occhiate da uno all'altro, prima di smettere e lasciare i loro spazi.
«Mi dispiace» mormora Raven con un tono così basso e fiacco, che perfino lei ha difficoltà a sentire la propria voce. Spera solo che lui la senta e che Clarke continui a far finta di riposare di fronte a loro.
«È tutto a posto» la risposta di Bellamy è altrettanto bassa, rauca e un po' fredda, mentre entrambi si scambiano uno sguardo e lui lancia all'amica un'occhiata stanca, torturata e terrorizzata da qualcosa di cui lei non fa parte. Poi abbozza una smorfia che dovrebbe tranquillizzarla, ma che risulta piuttosto carente. «Va tutto bene, davvero»
Gli occhi di Raven e di Bellamy scivolano contemporaneamente verso la bionda seduta di fronte a loro ed entrambi abbassano lo sguardo per due motivi diversi: uno senso di colpa, l'altro paura.
Poi Bellamy sussurra di nuovo un «È tutto okay» che non convince Raven nemmeno un po' e lei si sente in dover di far qualcosa. Lotta contro la voglia di parlare, fare una battuta sarcastica o restare in silenzio, così trattiene altre scuse tra le labbra piene, gli prende una mano e gli rivolge un sorriso. 
Cerca di cacciare fuori il più bel e convincente sorriso che è in grado di regalare e quando lo vede ricambiare, sa che non sarà stato il massimo, ma almeno era qualcosa.
Ora, sospirano entrambi e non va bene nulla, ma Raven non sopporta di far male ai suoi amici e prende un respiro profondo che le provoca una fitta alle costole.
Pensa che Finn non c'è più, quindi può anche azzardarsi a dire la sua famiglia. Nel bene e, a malincuore, in quel male che sembra arrampicarsi sulle loro ossa come un brutto vizio. 
Si stringe nelle spalle e sono solo ragazzini, si ripete, e non è giusto che siano stati mandati a morire sulla terra senza essere interpellati, che abbiano combattuto guerre, stipulato paci precarie, amato persone che non ce l'hanno fatto e dovuto sopportare un dolore fisico e psicologico oltre l'immaginabile.
Non è giusto, come non lo è guardare le persone che ti amano, che ti proteggono e ti fanno sentire importante, cadere a pezzi, quando tu vorresti aiutarle, ma non puoi essere forte nemmeno per te stessa. Il massimo che può fare Raven, ora, è chiedere scusa e sperare che il senso di colpa si affievolisca. Pian piano.

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Capitolo 14
*** Somebody. ***


pre season 3.

Somebody.
Prompt: phobia.

Bellamy è seduto oltre la recinzione del campo, il fucile con la punta rivolta contro il terreno e delle guardie armate alle sue spalle che controllano ogni movimento sul limitare del bosco.
Hanno lavorato duramente durante quei due mesi in cui ogni cosa è sembrato andare per il verso giusto, ma ci sono alcuni di loro che sono molto più provati di quanto non vogliano ammettere.
C'è chi piange la notte e di giorno lavora per distrarsi, chi cerca la normalità che è solo una facciata, mentre poi c'è chi rivive il massacro, la carneficina, il dolore fisico e chi, invece, quel dolore lo ha provato nella mente e ancora lo continua a provare, sentire, vibrare, dentro al petto. Bellamy è uno di quelli che stringe i denti e ci pensa e se non avesse Octavia, sarebbe un cumulo di ossa fragili in un corpo troppo grande, vivrebbe perché respira e non perché è felice di farlo. Si sente come un automa, con l'unica eccezione che consuma ossigeno e si chiede perché. Perché a lui è stata data la possibilità di aver attraversato quel inferno, è stata data la forza per lottare ed andare avanti, di amare qualcuno che potrebbe fare anche a meno di lui, quando tutto quello che tocca si distrugge come se fosse sabbia. Sa che Octavia gli vuole bene nonostante tutto, che c'è quella ragazza —Gina— che quando lo vede al campo gli sorride, ma le sue mani sono macchiate di un sangue che non è il suo e allora si convince ancora di più che lui, quel ossigeno, non se lo merita. Non se ha ucciso, non se ha guardato i cadaveri di innocenti che si accasciavano ovunque, a causa sua, in quella che consideravano casa loro. Bellamy ha una vita e non sa perché, ma se deve viverla, ha bisogno di un appiglio.
Octavia è sempre stato il suo, sin da quando è nata, dal suo primo pianto e il suo primo respiro, e impazzirebbe all'idea di perderla, ma nonostante tutto, sa che lei lì al Campo Jaha non sta bene e lui ha paura.
È terrorizzato all'idea di perdere anche lei, quando l'unica altra persona per cui sarebbe disposto a morire lo ha lasciato e lui è ferito, più che arrabbiato.
Bellamy aspetta ogni giorno che Octavia gli dica che se ne va o che Clarke torni e trattiene il fiato perché sa che nulla dura per sempre, ma lui ha paura di rimanere da solo, di non avere più nessuno, mentre la vita intorno a lui procede a tentoni, Kane è in carica, Raven lavora senza distrazioni e Jasper è sempre troppo ubriaco per rendersi conto che intorno a lui c'è un mondo. Bellamy non lo incolpa di nulla, perché, se le parti fossero invertite, non è sicuro di poter reggere meglio la situazione: magari non si rifugerebbe nell'alcol, ma è certo che non riuscirebbe a mantenersi integro.
Ora guarda il limite del bosco, mentre sua sorella è ancora dentro la recinzione —ancora al suo fianco— e spera inutilmente che una ragazzina dai capelli d'oro e alta almeno venti centimetri in meno di lui compaia per dirgli che è tornata, che resta e che vuole essere perdonata per averlo lasciato. Bellamy, come sempre, le darebbe tutto il perdono che raramente chiede e che è alla base della loro amicizia. Gli manca non averla intorno e lui ha paura.
Si sono promessi di incontrarsi di nuovo, ma l'idea di non sapere quando o se mai accadrà, lo spaventa, perché è parte della sua vita quanto lo è Octavia e allora ha bisogno di entrambe, perché gli danno tutto quello che gli è mancato in quegli anni: l'affetto.
Bellamy si alza dall'erba e sua sorella lo aspetta al cancello del campo, le braccia incrociate al petto e un'espressione accigliata sul viso, lui lancia un'occhiata al bosco e la raggiunge con un sospiro. Sanno entrambi cosa ci faceva lì Bellamy, che, come tutte le volte che lui si siede oltre le mura, non è un modo per cercare libertà, ma per sentirsi ancora legati a qualcuno che invece ha provato a tagliare quel filo che li tiene insieme. Nonostante tutto.
Anche se riesce a prendere Octavia sottobraccio, Bellamy ha paura.
Paura di restare solo e di amare qualcuno che possa andarsene o non tornare più.

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Capitolo 15
*** Now what? ***


season3.

Now what?
 
Prompt: Scrivere una drabble da 300 parole esatte che inizi e finisca con una domanda.
 
C’è ancora un dannato chip tra loro, lì, pronto a dividerli?
A Bellamy sembra di fare un passo avanti e cinque indietro giorno dopo giorno, ora dopo ora, e allora la guarda e lui si sente morire dentro. Non vuole ferirla, urtare i suoi sentimenti e provocarle altro dolore, perchè ha sempre provato a difenderla,  parare per lei tutti i colpi violenti di quel mondo da cui vorrebbero allontanarsi e sarebbe stupido accanirsi contro i sentimenti che ha provato per qualcun altro, contro se stesso per non sentirsi abbastanza o contro Clarke che sta ancora soffrendo.
È stato arrabbiato con lei, ma adesso non serba più rancore nei confronti dell’unica persona -oltre sua sorella- che è stata in grado di dargli felicità; la sola al mondo a renderlo l’uomo a cui punta ogni giorno. Nemmeno mentre la osserva guardare l’ultimo pezzo, come fosse un’ancora o un appiglio, dell’ex Comandante: Lexa sarà sempre una parte di Clarke e Bellamy imparerà a conviverci, ma anche a farsi apprezzare di più. Amare di più.
Ha fatto diversi sbagli, ne paga il prezzo solo cercando il viso di Octavia e ha le mani impregnate di sangue non suo e anche –indirettamente- di affetti, cari e amici.
Bellamy guarda Clarke, il chip nella tasca del suo abito e il mare che si stende davanti ai loro occhi, come una tavola che potrebbe anche lasciarli cadere e sprofondare.
Jasper e Octavia li raggiungono, li affiancano e guardano dritto davanti a loro e chissà se ci vedono una via di uscita, una soluzione.
Bellamy sa solo che la sua, di soluzione, è quella testa bionda con le sue colpe, i fantasmi del passato e quel chip ancora a tenerli inevitabilmente legati a qualcuno che dovrebbe essere ricordato, ma superato.
Bellamy guarda Clarke e chiede: e ora?

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Capitolo 16
*** Rebirth. ***


Se credete che una teoria (abbastanza infondata, a mio avviso) sulla 3.16 possa essere uno spoiler per voi, non leggete.
Questa os nasce da un’idea sul finale di stagione che ho trovato su tumblr (perciò non è mia!) secondo la quale Clarke –e Bellamy- potrebbero essere costretti a fare un altro genicidio, prima di cercare asilo con i delinquenti sopravvissuti (e compagnia) presso Luna.
Alla base vi è il fatto che nella prima stagione Clarke è costretta a bruciare trecento Terrestri e nella seconda entrambi i ragazzi irradiano Mount Weather condannandone trecento ottantuno: non è che, forse, per distruggere Alie sono costretti a mettere fine alle vite di tutte le persone controllate dall’intelligenza artificiale?
Sinceramente, non ne sono nemmeno lontanamente convinta perchè Isaiah Washington ha spoilerato che la season 4 sarà una stagione di redenzione per Jaha e Bellamy, facendoci capire che nemmeno questa volta ci sbarazzeremo di Thelonious. Lui è stato il primo a prendere il chip quindi se la teoria di questa ragazza fosse vera, allora lui dovrebbe morire insieme agli altri.
Nonostante tutto mi piaceva l’idea che si spostassero presso il clan di Luna, quindi –per capirci- l’ambientazione dell’os è quella della piattaforma in mezzo al mare, in cui ci sono Clarke, Bellamy, la loro famiglia acquisita formata da giovani delinquenti e pochi altri sopravvissuti.
Spero vi piaccia.
-njaalls
 
 
 
Rebirth.
 
Prompt: “Sai, quando si è molto tristi si amano i tramonti" (Il piccolo principe).
 
Clarke è seduta con i piedi penzoloni, un maglione rosso scuro che le è stato prestato tempo fa e i pantaloni logori rotti sulle ginocchia.
Sono passati mesi ormai, ma ogni giorno lei si siede lì, poggia le mani sulla banchina vecchia e rovinata e osserva il mare estendersi come una tavola pacifica, ma spaventosa per la sua immensità, sotto il suo corpo. Studia il sole abbassarsi, istante dopo istante, e aspetta che scompaia nello stesso modo in cui è svanita la sua innocenza: l’unica differenza è che lui ha sempre modo di ricominciare, regalando luce ogni giorno fino alla notte opprimente, e poi quello successivo ricominciare; quello di Clarke, invece, era un sole che si è andato affievolendo, fino a scomparire.
«Sai, quando si è tristi si amano i tramonti» Bellamy compare come sempre alle sue spalle, la maglietta blu, che ha sostituito quella beige con cui Clarke si era ormai abituata a vederlo, sotto ad una giacca dello stesso colore e un viso più rilassato, ma anche più maturo e carico del peso dei fantasmi del passato, degli errori e delle decisioni che inevitabilmente sono diventate vere e proprie responsabilità.
In quel istante, Clarke sposta lo sguardo sulla figura dell’amico che, come ogni giorno, l’ha raggiunta dopo il suo turno di lavoro. Le sorride appena, di rimando a quell’occhiata, e le si siede così vicino che la donna è costretta a togliere il palmo della propria mano dalla banchina e fargli spazio. Le loro spalle si sfiorano appena.
«È una frase di Antoine de Saint-Exupéry, lo scrittore de-»
«So chi è Antoine de Saint-Exupéry» lo interrompe Clarke, voltandosi verso lui. Alla  luce di quel sole arancione tipico dei tramonti, in cui il cielo è di mille colori -forse troppi per apprezzarne ogni singola sfumatura- la sua carnagione sembra più scura e le sue lentiggini sono disposte sul naso e sulle guance come delle stelle in un cielo stellato.
Clarke torna a fissare il mare e Bellamy sospira. «So che sai chi sia. Volevo solo di aiutarti»
«Mi hai detto che sono molto triste»
«Speravo che il ricordo di una nostra vecchia conversazione ti avrebbe fatto ridere» mormora lui con voce bassa e profonda, andando indietro con la schiena e stendendosi sul pavimento della banchina.  «Ma evidentemente mi sbagliavo»
Clarke si volta a guardarlo, intanto che Bellamy scruta il cielo rossiccio sulle loro teste e non le riserva troppa attenzione, quando lei arriccia le labbra e abbassa gli occhi in colpa.
Hanno cambiato aria, hanno provato a ricominciare da capo, superando quel gigantesco scoglio che sono tutte le altre vite che hanno dovuto irrimediabilmente portare via e, sebbene sia impossibile buttarsi ogni sbaglio e ogni lutto alle spalle, Clarke sa che Bellamy come lei sta soffrendo e che allo stesso tempo sta facendo tutto ciò che è in suo potere per andare avanti e portarla con sé.
Non glielo ha chiesto lei di farlo, ma è così che si comporta Bellamy: se impara ad amare qualcuno, lo protegge anche a costo della propria vita.
Clarke sa che anche lui è triste, perché ogni giorno si siede lì accanto a lei e guarda il tramonto trasformarsi nella notte che ha strappato loro l’innocenza.
Quando si stende con la schiena sulla banchina a sua volta, dopo un ultimo rapido sguardo al mare, le loro mani si sfiorano prima per caso e poi perchè insieme sono più forti.
«Sarebbero fieri di noi» dicono le labbra di Clarke rivolte verso il cielo. Forse dovrebbero semplicemente smettere di guardare il sole che torna e se ne va e tenersi più spesso per mano.
«Sì, lo sarebbero»

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Capitolo 17
*** A sister's forgiveness. ***



A sister's forgiveness.

Prompt: Grazie, Scuse, Giustificazioni, Perdono
 
«Non ho bisogno di te»
È almeno la quinta volta che Octavia lo ripete a Bellamy, il viso contratto in una smorfia di fastidio e i capelli scuri che le scivolano intorno al viso. Lui abbassa ancora gli occhi e questa volta non riesce a trattenere né lo sbuffo che gli nasce in gola, né i pensieri che per tutto quel tempo si sono accavallati in mente e ha tenuto per se stesso.
Clarke lo vede mordersi un labbro e poi cercare lo sguardo e la considerazione della sorella, in un gesto quasi disperato. Octavia dà lui le spalle e quando lei si acquatta contro il tronco di un albero, avvicinandosi a Clarke, questa di allontana cercando un posticino più lontano. Bellamy raggiunge la sorella ed entrambi sanno che la bionda sta ascoltando la conversazione, ma lui non vi bada, Octavia lo ignora e lei per lasciare loro i giusti spazi fa finta di guardare i possibili movimenti tra gli alberi: Kane ha dato loro il permesso di uscire a cacciare, ma nessuno ormai sembra più in grado di portare avanti una battuta di caccia, se non c'è nemmeno collaborazione e l'aria è impregnata di tensione.
«O» tenta Bellamy, la voce bassa e profonda carica di rammarico ed esasperazione. «Per quanto ancora—»
«Per sempre!» l'urlo di Octavia squarcia il silenzio della foresta, Clarke sussulta e in pochi secondi la ragazzina dai capelli scuri si volta, puntando la lama della propria spada contro il collo del fratello. Bellamy resta immobile, le mani strette in due pugni e gli occhi lucidi per le lacrime che tra poco scivoleranno sul suo viso fissi in quelli di sua sorella.
Clarke fa un passo avanti, i capelli che le svolazzano sulle spalle e un ramoscello che si spezza sotto la sua scarpa pesante sul terreno umido per la pioggia della notte prima. È solo in quel istante che Bellamy distoglie lo sguardo da Octavia e guarda Clarke rapidamente, prima di tornare a concentrasi sugli occhi di sua sorella, la sua bambina. Deglutisce e fa un passo indietro allontanandosi dalla lama che le punta al collo e poi annuisce a malincuore: da quel gesto Clarke comprende che potrebbe essere arrivato il momento in cui esplode e lei dovrà poi raccogliere i pezzi. Quando è convinta che dirà qualcosa ad Octavia e cercherà di farla ragionare, mostrando le sue emozioni, invece, fa un passo indietro e dice che le aspetta al fuoristrada. Contro ogni previsione, sparisce oltre gli alberi e forse è anche peggio perché Bellamy riempie, riempie, riempie e poi il peso lo porta giù fino all'autodistruzione.
«Devi smetterla» la voce di Clarke risuona limpida nel silenzio della natura, è seria e anche un po' alterata. «Non può continuare così»
«Non sono affari tuoi, Clarke»
«Sta soffrendo»
Le labbra di Octavia si aprono un sorriso, ma è tutto tranne che felice o gioioso. È più sporco. Sporco di cattiveria, testardaggine e dolore. Non guarda Clarke e scuote solo la testa. «È divertente detto da te»
«Ma io non—» tenta di iniziare, quando comprende dove la minore dei Blake voglia andare a parare. Sa che non sono fatti suoi, almeno i parte, ma glielo deve a Bellamy. Lei deve almeno tentare di alleviargli il dolore, in qualsiasi modo possa riuscirci, e trovare il perdono di Octavia sarebbe una rinascita per Bellamy, un punto di partenza.
«Lo hai lasciato» la interrompe Octavia, guardandola negli occhi. «Sei stata tu la prima a farlo soffrire ed è colpa tua se, oggi, io e lui non abbiamo più un legame»
«Non è colpa mia. Non è colpa di Bellamy»
«Lui si è fidato di Pike, perché tu lo hai lasciato»
«Si è fidato di Pike anche perché la sua ragazza è morta in una dannata esplosione!»
A quel punto Octavia scoppia ridere, ma gli occhi sono lucidi, sofferenti, colmi di dolore e Clarke sa che non può nemmeno essere arrabbiata con lei, ma se deve aiutare qualcuno, quello allora sarà Bellamy. «Ti sei mai chiesta perchè avesse una ragazza? O perché l'abbia lasciata sola quel giorno? La risposta sei sempre tu, dannazione, Clarke. Te ne sei andata e ha cercato di ricominciare, poi ha provato a salvarti, perché è questo che fa! Ti aiuta, lasciando indietro chiunque, e tu gli hai voltato le spalle. È colpa tua»
Le parole di Octavia fanno più male di quel che potesse credere. Clarke conosce la storia, una parte l'ha anche vissuta e il resto lo ha appreso con il tempo, ma in quel istante è impossibile non sentire la ferita che si apre sul suo petto. È inevitabile che accolga ogni singola parola come coltellata, perché in gran parte sono parole vere e non vorrebbe.
Quando torna a parlare e Octavia lancia un ultimo sguardo alla natura, prima di posare la spada, la sua voce è limpida, ma tormenta. «Allora arrabbiati con me. Non con lui»
Lei scuote la testa e la guarda, con i capelli scuri che gli scivolano intorno al viso: sulle labbra nemmeno l'accenno di un sorriso nervoso o arrabbiato. «È stato debole, è anche colpa sua»
Clarke annuisce appena, affranta, mentre sente in proprio cuore scalpitare ad ogni parola e ormai ci è abituata, a quella sensazione. «Forse sì. Ma in questo istante lo sei anche tu. So cosa vuol dire perdere la persona che si ama, ma prendertela con Bellamy non la te porterà indietro, né ti farà sentire meglio. E tu lo sai. L'amore sta rendendo debole anche te, Octavia, stai dimenticando tutto quello che ha fatto per proteggerti, quello per cui dovresti ringraziarlo, le scuse che non sa più come proporti. Lui ti ama e lo stai portando alla distruzione»
«Devi tenere solo la bocca chiusa, Clarke»
«E tu sei solo una ragazzina che crede di poter cambiare il mondo, quando non riesce nemmeno a perdonare l'unica persona che l'abbia mai amata più di Lincoln»
«Non hai il diritto di parlare di lui»
«Tu non hai il diritto di calpestare il cuore altrui. Sei egoista. Non sei migliore di me»
«Vai via»
Quando lo sguardo che entrambe devono reggere è troppo pesante, tutt'e due lo distolgono. Clarke guarda il punto dove poco prima è sparito Bellamy con le spalle curve e gli occhi lucidi, mentre Octavia lo volge dal lato opposto. Nessuna delle due fiata più, pronuncia parole contro l'altra, intanto che il silenzio della natura le avvolge.
Quando Clarke la lascia sola, il grido che squarcia la quiete le provoca un tremito e poi gli uccelli abbandonano unanime le fronde. Non vede Octavia crollare a terra, in ginocchio sul fango, ma sa che ama ancora suo fratello e abbraccia Bellamy, seduto sul cofano del fuoristrada, che piange come un bambino.
«Ha detto che ti perdonerà. Vuole ancora un po' di tempo»

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Capitolo 18
*** Nightmares. ***



Nightmares.

 
Prompt: persone A of your OTP has a nightmare about person B.

Bellamy le vede entrambe, a modo loro belle e terribilmente diverse, sorridersi a vicenda.
Clarke ha i capelli biondi, ma intorno a lei ogni cosa sembra essere più scura e opprimente mentre quella sensazione di male grava sul petto dell'uomo che la guarda come fosse un brutto vizio, un tormento, un male radicato da troppo tempo in un corpo troppo infantile. Gina, invece, ha lunghe ciocche scure, appuntate sulla nuca in modo distratto, e sorride in maniera amichevole, spontanea, illuminando tutto intorno.
Sembra l'entrata di Arcadia e sono naturali in quel contesto, tra loro, in una casa che non è mai stata veramente di nessuna delle due, se l'unica cosa che hanno condiviso è stato l'affetto dello stesso uomo, niente di più, niente di meno, ma forse un buon legante.
Quel uomo che, adesso, sembra essere solo uno spettatore esterno, nell'ombra e nel silenzio. Almeno fino a quando pare che entrambe lo notino e gli sorridano: quando si voltano, Bellamy annaspa e i loro petti sono impregnati di sangue che si dirama sopra i loro seni come in una macchia che diventa sempre più grande.
Gina cade a terra e Clarke prova ad aiutarla, ma anche la sua ferita è troppo grave perché possa reggere qualcun altro, i suoi occhi si riempiono di lacrime e lei crolla in ginocchio.
Lo sguardo che entrambe rivolgono a Bellamy è straziante, disperato, grave e spaventato, quasi fosse sua la colpa. Poi, comprende: vede la sua mano armata, la pistola argentata e il braccio teso. Il cuore batte all'impazzata quando si sveglia e capisce di essere stato lui a sparare. Allo stesso tempo, è anche l'arma.


Resta immobile sul letto della camera che gli è stata data e si guarda intorno, la fronte imperlata di sudore e il petto che si alza e si abbassa in maniera incontrollata. Studia l'arredamento minimo della cabina davvero piccola e chiude gli occhi, sperando di cancellare la sua presenza lì, quello che ha fatto, che è successo, gli errori che lo tormentano e quel incubo che è vivido. Troppo vivido.
Le sue gambe si muovono tra le coperte leggere e c'è la sua giacca da guardia appesa ad un gancio vicino l'entrata, i vestiti che usa di solito —e a cui dovrebbe dare una rinfrescata— sulla sedia ai piedi del letto e la pistola sul piccolissimo mobile che funge da scrivania. È l'unico oggetto sulla superficie fredda e liscia, ma nemmeno il resto della minuscola camera contiene affetti, oggetti personali, o qualcosa che lo identifichi. Durante il giorno, quando ha tutto addosso e la coperta è ripiegata alla perfezione, sembra quasi inutilizzata.
Adesso Bellamy ha la fronte impregnata di sudore, il cuore che batte senza sosta e le mani chiuse in due pugni così stretti da avere le nocche di un bianco spaventoso. Respira più volte, come per tranquillizzarsi, ma l'angoscia è quasi soffocante perché era lui.  E le sue mani, sogno o no, sono macchiate di sangue che non è il proprio.
Quando getta le gambe fuori dal letto e tasta per terra alla ricerca delle solite scarpe consumate, ma non le mette, limitandosi a fissarle.
Non dorme mai al buio. Sa che è grande e grosso, che probabilmente ha già compiuto ventiquattro anni e non ha paura di restare incastrato nel baratro della notte, ma preferisce sapere di aprire gli occhi dopo incubi come quelli e di sapersi orientare, riconoscere dove si trova, se in una tenda con cento ragazzini, sull'Arca o ad Arcadia. Ogni possibilità lo spaventa: ogni posto ha un ricordo traumatico della sua vita, la morte lo segue e lui è sempre arrabbiato.
Le due cose spesso coincidono.
Si alza e tira giù dalla sedia i pantaloni neri, li mette e si stropiccia più volte gli occhi, con i capelli scombinati e la maglietta blu che ha utilizzato per gran parte del tempo sulla terra prima di entrare a Mount Weather e che gli si appende malamente sull'addome. L'ha ritrovata dopo poco essere tornato al campo, quella maglia, e l'ha riconosciuta al centro di raccolta degli abiti usati per il buco sul fianco sinistro, l'ha preso come un segno e se l'è tenuta senza battere ciglio. Ora la usa per dormire, essendo l'unico indumento pulito che gli appartiene.
Lascia tutto in camera —la giacca da guardia, la pistola, l'altra maglia sporca e il coltello che conserva sotto al cuscino— e potrebbe essere confuso per un sonnambulo che arranca per tutto il corridoio, se almeno ci fosse qualcuno. Invece è deserto.
Gli viene istintivo, non ci pensa nemmeno e senza riflettere sulle conseguenze, percorre il breve spazio fino alla camera due porte dopo la sua: vicini, ma non troppo. Le sue nocche, le stesse che erano bianche fino a poco prima per la tensione nel suo corpo, bussano leggere alla superficie liscia e fredda dell'entrata. Poi si poggia allo stipite con il gomito e lascia che il viso stanco, spaventato e martoriato affondi nella pelle liscia del bicipite: strizza gli occhi e prende un profondo respiro per resistere, farcela, vincere il suo passato.
La porta di scosta e lui repentinamente si allontana quando basta per lasciare che la figura minuta appena comparsa veda il suo viso e lui faccia lo stesso con un sorriso un po' di colpa.
Gli occhi di Clarke sorridono insieme alle sue labbra, sono belli, magnetici e caldi come quelle giornate d'estate in cui Miller vorrebbe andare al mare, ma sono troppo lontani e allora lui impreca togliendosi più vestiti possibili e Bellamy ride per la sua parlantina. Clarke apre di più la porta e lascia che, oltre il suo viso, venga alla luce del corridoio anche il suo corpo morbido, avvolto in una camicia da notte verde scuro e lunga fino alla caviglia. Non è la prima volta che Bellamy gliela vede addosso da quando fingono che quella sia casa loro e che vada tutto bene, ma ogni volta guarda il tessuto fasciargli il ventre e le braccia, osserva come i suoi piedi piccoli sbuchino sul pavimento freddo e quanto il colorito della sua pelle e i suoi capelli biondi stiano bene con quella sfumatura di verde, quasi tendente al marrone.
«Non riesci a dormire neanche stanotte?» domanda, alzando le sopracciglia e ammorbidendo la sua espressione.
Lui sospira e scuote la testa, abbassandola come se potesse avere una colpa e quindi una vergogna. Sono bravi ad addossarsi sempre tutti gli sbagli, anche quando non ne hanno, perché per loro il perdono è facile da dare agli altri, ma non a se stessi. «Tu ci riesci?»
Le labbra di Clarke si piegano in una smorfia, mentre —Bellamy lo vede— prova a non sprofondare nell'oscurità e nella morsa di ciò che più li sconvolge: il sangue che macchia le loro mani e che, giorno dopo giorno, non sembra andar via. Ma come potrebbe, alla fine? «Vuoi entrare?»
Bellamy si scosta i capelli umidi dalla fronte e lancia uno sguardo al corridoio che si staglia al loro orizzonte, prima di abbozzare un sorriso stanco e tirato verso la piccola Clarke, che piccola non lo è più, ma che per lui sarà sempre la spina nel fianco che è in grado di farlo piangere e imprecare. Per quella ragazzina, che ormai una donna è, andrebbe in capo al mondo e sarebbe pronto a mandare all'aria mesi di redenzione e fatica pur di difenderla e proteggerla. Morirebbe per lei ed è stato ad un passo dal farlo, mentre ora non se ne pente un solo istante e correrebbe di nuovo il rischio se fosse necessario.
Si stringe nelle spalle e guarda quanto sia meravigliosa nelle sue spalle pesanti e nelle dita intrise si sangue. Come le sue. Le sorride perché è sempre Clarke, solo più cresciuta, ed è con lui. Uguale a lui. «Ti va di bere qualcosa?»
«Va bene»
Bellamy deve solo aspettare che metta svelta un paio di scarpe logore sulle punte, prima che lo raggiunga e non si preoccupi nemmeno di chiudere la porta alle sue spalle, tanto sono le loro camere, ma è come se non lo fossero mai state. La osserva e sa che non possono avere nulla di così importante e materiale in quella terra, dove l'unica cosa che conta è tenersi stretta la propria vita e quella delle persone a cui si tiene.
Le loro braccia si sfiorano più volte, mentre percorrono i lunghi corridoi di Arcadia e nessuno sembra notarli in quel silenzio soffocante.
Quando prendono posto l'uno di fronte all'altro, finalmente, con quei bicchieri che tracannano in un sorso immediato e liberatorio, forse cominciando a comprendere che se lo sono meritato, dopo tanta agonia e tanta sofferenza.
Ci meritiamo un drink.
Prendine uno anche per me.

La mano di Clarke scivola lungo la superficie fredda del tavolo e, con attenzione e delicatezza, prende quella di grande e rovinata di Bellamy, distraendolo dai suoi pensieri che lo conducono sempre al punto di partenza: lei che se ne va, Gina, la sua morte, lui che perde la testa e l'elenco potrebbe non finire mai. Gli sorride, cercando di conquistare il più bel grande sorriso che possa voler regalare a qualcuno -alla persona di cui le importa di più- e guarda l'espressione dell'uomo ammorbidirsi.
«Vuoi parlarmi del tuo incubo?» chiede, un filo di voce e un amore immenso, in mezzo a tanto male, che le scoppia dentro al cuore.
Lui annuisce, come un bambino che finalmente ha trovato il modo per esprimere se stesso, cosa lo turba e la persona giusta su cui contare, crescere e fare affidamento.
«Ti perdevo» ammette. E quel pensiero, ora espresso ad alta voce, non ha mai fatto così male.

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Capitolo 19
*** Break up in a small town. ***



Break up in a small town.
 
Prompt: Everyone thinks we came to this party as a couple because our costumes match AU
Prompt: ’I wanna say, "that guy!" but I can't/ It's my fault, I let her go/ I never thought that she would get down with somebody I know/ I guess that's just how it goes/ When you break up in a small town.’ (Sam Hunt)


Probabilmente è quello che succede quando si proviene da una piccola città, si cresce, le prime storie d’amore nascono e finiscono e poi ci si ritrova da soli, il cuore infranto e una valigia pronta per il college. Tanto andrà meglio.
Bellamy è appena tornato dopo sette mesi e non credeva, fino al giorno prima, che in così poco tempo potessero cambiare tante cose, iniziando dalla gente, dalle persone che ha frequentato per una vita e che era convinto conoscere. Ora, un drink in mano e una sensazione di disagio addosso, non sa più cosa pensare, mentre si chiede, se non avrebbe dovuto aspettarselo. Probabilmente sì, e lo sa, perché si sono lasciati da un po’ e lei ha tutto il diritto ora di pretendere una nuova vita, una nuova forza e soprattutto qualcuno che la ami di nuovo. Ma Bellamy ha mai smesso?
Ha mai smesso di pensare ai loro abbracci, al loro primo appuntamento, alle serate davanti alla tv a guardare documentari più o meno educativi, mangiando torta al cioccolato e porcherie varie da supermercato? Ha mai smesso di pensare ai compiti in classe in cui si scambiano risposte, ai sabato sera al parco dietro casa con gli amici o al solito posto che ha iniziato ad occupare nel giardino di casa sua, quando Marcus le ha regalato un’auto contro il volere di Abby? No, Bellamy non ha mai smesso di pensarci e non ha nemmeno provato ad allontanare le emozioni e le sensazioni e non lo sta facendo nemmeno ora, mentre seduto al bancone del locale la guarda ballare con addosso un costume aderente in maniera provocante, con qualcuno che non è lui.
Qualcuno che avrebbe dovuto essere suo amico, si ripete, e Bellamy non l’avrebbe mai fatto, se le parti fossero state invertite. Ma, come tante altre cose, se lo sarebbe dovuto aspettare.
La guarda ballare nei pantaloni sintetici ed è sempre una stella luminosa anche in mezzo alla confusione, ai corpi sudati degli estranei e alle luci psichedeliche del locale. Qualcuno poggia sul suo braccio una mano e lui la sente appena, ma con un sorriso, si volta ugualmente verso Raven.
«Non sarebbe dovuto venire» urla ne suo orecchio, per sovrastare il rumore assordante della musica commerciale e dei bassi. «Mi dispiace»
«Avrebbe fatto qualche differenza?»
«Bhe, i vostri costumi non sono coordinati per nulla» lo rimbecca, indicandogli di nuovo la bionda che in pista si agita a ritmo. È un secondo quello in cui Bellamy guarda di nuovo Clarke ballare con Finn Collins e se ne pente nell’istante in cui le sue iridi scivolano loro addosso. «Io lo chiamo destino»
«Io lo chiamo Octavia, invece, che ne dici?» sbotta Bellamy, alzandosi di scatto dallo sgabello intorno al banco in cui sono seduti: gli occhi di tutti i suoi amici, compresi quelli di sua sorella, sono fissi su di lui. Evita di guardare Jasper o Monty, John o la stessa Raven, lanciando un’occhiataccia ad O che chiude la bocca, stringendo la mascella quadrata. «È stata lei a convincermi a vestirmi così, e mi chiedo come posso anche solo aver accettato» prende un profondo respiro, per poi poggiare il bicchiere sulla superficie fredda del tavolo e alzare la mani in segno di resa. «Ho bisogno di una sigaretta, ora torno»
E si allontana dai suoi amici, da sua sorella, dal tipo travestito da Iron Man e dalla ragazza che a qualche metro da lui ondeggia con i fianchi pronunciati e i capelli ricci per l’occasione a ritmo di musica, dentro un costume da Sandy Olsson. C’è un istante in cui Clarke lo vede e si arresta quasi istintivamente, urtando per sbaglio Finn: Bellamy abbassa il capo e allora si allontana con il suo chiodo alla Danny Zuko e uno sguardo nostalgico dipinto addosso.
Avrebbero potuto essere una coppia, stringere i denti e non lasciarsi andare, invece ora si ignorano e lei sta con un altro: forse è quello che succede quando si rompe in una piccola città. Uno dei due trova sempre il modo per ricominciare, con qualcuno che si conosce da una vita. Bellamy con Finn ci giocava solo da quando era bambino, alla fine, e non se lo aspettava, ma avrebbe dovuto.
La serata è gelida, le mani gli tremano mentre cerca a tentoni l'accendino e non lo trova. Impreca nell'esatto istante in cui la porta che ha chiuso un attimo prima, si riapre lasciando che i bassi e la musica esplodano in strada.
Quando si volta, Jasper sta guardando lui e alza le sopracciglia come per salutarlo, ma la verità è che erano seduti allo stesso tavolo di amici solo pochi istanti prima. Poi lo raggiunge sul ciglio del marciapiede e gli allunga l'accendino rosso che ha comprato la settimana prima.
«Me lo hai prestato» gli ricorda l'amico e Bellamy annuisce. «Mi sono dimenticato a ridartelo»
«Non lo avresti fatto, se non avessi dato di matto prima» gli dice il maggiore dei due e l'altro annuisce con il sorrisino di uno che è stato colto in flagrante.
«Beccato» scherza Jasper e dà una scrollata di testa. «Ma gli amici lo fanno. Ti restituiscono gli accendini, anche quando non vorrebbero, solo per farti stare meglio. Ora Jasper Jordan è qui e la tua serata sta cominciando a sorridere, no?»
Bellamy ridacchia e scuote la testa esasperato perché quei ragazzini, più che amici, sono la sua famiglia: lui, che è il più grande,  è il fratello maggiore della situazione da tempo immemore e, per loro, farebbe  l'impensabile.
Restano in silenzio e le due sigarette si consumano troppo velocemente, mentre altra gente entra ed esce dal locale e loro invece battono i piedi sullo stesso pezzo di cemento più e più volte.
«Penso che sia quello che succede quando si rompe in una piccola città» mormora ad un certo punto Bellamy a nessuno in particolare, forse a se stesso, ma sa che Jasper sta ascoltando e va bene, oppure resterebbe in silenzio. «Lei con un altro che, inevitabile, conosci da una vita, e non ci puoi fare niente perché è tutta colpa tua. Non puoi tornare indietro, o pretendere che ti perdoni, se sta cercando di andare avanti e dimenticati»
Jasper al suo fianco annuisce e resta in silenzio, quando per l'ennesima volta alle loro spalle la porta di ingresso si apre e hanno smesso di voltarsi da ormai un paio di minuti.
«Lei e Finn litigano parecchio, comunque» butta lì l'amico, lanciando il mozzicone di sigaretta con una scrollata di spalle. «E Maya dice che spesso a lavoro lei ignora le sue chiamate. Come si dice? Guai in paradiso, no? E, poi, tu sei Bellamy Blake, fai tutto quello che cazzo ti pare e quella ragazza lì dentro, con dei pantaloni alla Sandy Olsson e una scollatura da capogiro —scusa se lo dico, amico— non si è mai tirata indietro quando si è trattato di te. Dovresti corre dentro quel maledetto locale e riprendertela. Conquistarla di nuovo»
«L'ho mollata, Jasper» esala Bellamy con una risata un po' nervosa, lasciando il mozzicone dentro un bicchiere pieno di un liquido giallo, abbandonato vicino ad un lampione. Non chiede dove l'amico abbia trovato quel discorso di incoraggiamento, se in un film, o chissà dove. Alla fine, è di Jasper che si parla. «Non vorrà saperne più di me per principio»
«Sul serio? Potrebbe scegliere Finn Collins a te?»
«Lo ha già fatto»
«Glielo hai lasciato fare» insiste, obbligando un barlume di speranza ed euforia ad insinuarsi nel petto del maggiore.
Bellamy ci pensa un paio di istanti, prima di alzare un sopracciglio verso l'amico e «Dici che tornerebbe con me?» chiede.
«Intendi subito o con il tempo?» domanda l'altro senza dare all'altro il tempo di rispondere. «Se non è cambiata —e non lo è—, penso che prima ti farà soffrire un po'. Ma, sì, tornerebbe con te»
Il più grande dei due annuisce, pondera ogni azione e annuisce ancora. Jasper si incammina verso l'ingresso e apre la porta, lasciando che i bassi e la musica lo investano come un'onda. Sorride al suo amico, al fratello maggiore che i suoi genitori non gli hanno dato, e poi scompare inghiottito dalla folla.
Bellamy ci pensa ancora un secondo, sorride al vuoto e scrolla le spalle, lasciandosi ogni insicurezza alle spalle. I capelli mossi sono scombinati sulla fronte, quando a grandi passi segue la scia di Jasper e si lascia sopraffare dai corpi e ne cerca uno in particolare.
Sulla pista da ballo non ci sono più le gambe di Clarke Griffin che ballano in miniera audace dentro dei pantaloni così stretti da metterle in risalto ogni forma. Quando si guarda intorno, Bellamy la scorge inevitabilmente, con quei capelli dorati che assorbono i colori delle luci psichedeliche, mentre conversa amabilmente con Octavia e Raven.
È un secondo di assoluta pazzia quello che lo investe e sa che i loro costumi non sono coordinati per nulla, anche se c'è lo zampino di suo sorella e, alla fine, apprezza lo sforzo. Le raggiunge a grandi falcate, la musica che conduce il battito del suo cuore e l'adrenalina che lo fa stare bene, lo rende forte, allegro e capace di fare qualsiasi cosa. I suoi passi scompaiono coperti dalla musica e lei non lo sente arrivare, nemmeno lo vede, perché gli dà le spalle. È quando poi la mano di Bellamy afferra il suo gomito, che si volta, un'espressione confusa sul volto, che ben presto si trasforma in sorpresa.
Esala il suo nome con tono normale, come si parlerebbe ad un amico, un vecchio conoscente con cui si è rimasti in discreti rapporti, ma lui la sente appena. Prima che possa anche solo pensare altro, scostarsi dalla sua presa o corrugare le sopracciglia, la bacia.
Le sue labbra pongono una certa resistenza contro quelle di Bellamy solo nei primi istanti, poi ogni fibra del corpo di Clarke si rilassa, fino ad abbandonarsi completamente.
Bellamy la bacia con studiata lentezza, ma senza esasperare il gesto, e poggia il palmo della propria mano sulla sua guancia, assaporando le sue labbra che sanno di birra e di qualcosa di più dolce, forse un drink alla fragola. Gli lascia un retrogusto che in altre circostanze gli farebbe storcere il naso, perché Bellamy è un tipo da menta, vodka classica e, sì, birra, però sorride lo stesso sulle sue labbra e quando si allontana ha gli occhi che brillano, elettrizzati, colmi di qualcosa che Clarke non vede da tanto. Troppo.
È un istante quello in cui lei ricambia, gli angoli della bocca che si sollevano e le luci colorate che danno ai suoi occhi mille false sfumature. Poi, in una nuova versione di Grease, Sandy colpisce Danny e c'è il suo naso che emette un suono sordo, che non lo spaventa nemmeno, nonostante quel crack se lo senta comunque addosso come con una fitta. Se lo tasta spaesato e le sue mani restano sporche di sangue, perché Clarke gli ha appena mollato un pugno e se l'è meritato, Bellamy lo sa.
Al loro fianco Octavia esclama qualcosa e poggia una mano sulla schiena del fratello piagato in avanti, intanto che il resto degli amici è indeciso se ridere, scegliere per chi fare il tifo o se provare a proteggere uno dei due dalle esagerate dimostrazioni d'affetto dell'altro; poi Bellamy sorride a Clarke e lei ricambia in maniera complice.
Il pugno di Finn negli istanti dopo —deve essere sincero— gli fa meno male ed è quasi più delicato, quando le sue nocche bianche per la stretta approdano contro il labbro di Bellamy, che per tutta risposta ride.
I loro amici avrebbero detto che Finn Collins è tante cose, ma di certo non uno violento: eppure se ne devono ricredere quando afferra il maggiore dei Blake per il colletto del chiodo e lo sbatte al muro. Sono tutti così scioccati, che il panico fa sì che —anziché bloccarli— ognuno lasci il proprio posto e intervenga per sedare quella piccola divergenza che potrebbe scatenare un vero inferno. E Bellamy sembra sempre avere una particolare predisposizione per giocare con il fuoco.
L'ultima cosa che Clarke ricorda è il maggiore dei Blake che continua a sorridere, illuminato dalle luci psichedeliche, e lei che gli lancia un'occhiataccia non abbastanza credibile prima di seguire Finn e cercare di farlo ragionare.


Quella sera non è lei a disinfettare le ferite di nessuno dei due, perché sa che non è nemmeno lei ad aver bisogno di tempo, di spazio e comprensione, che è cosciente di amare ancora Bellamy e che con Finn le sembrava sbagliato fin dall'inizio. Mentre quei due, crede, necessitino sicuramente di una buona dormita e una dose di tranquillità. Hanno bisogno di riflettere e non sarà lei a mettere loro pressione.
Quella sera Clarke, al ritorno a casa, è un concentrato di euforia e entusiasmo, anche se non dovrebbe e ha appena rotto un cuore e un naso a due ragazzi diversi. Poi si guarda allo specchio e sa che non ha scelto per caso quel vestito, che Octavia è una brava spia e un'ottima complice.

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