Fiori D'Arancio

di donteverlookback
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fiori D'Arancio ***
Capitolo 2: *** Giurisprudenza e promesse ***



Capitolo 1
*** Fiori D'Arancio ***


Fiori D’Arancio
 
La chiesa di San Girolamo era incantevole. La navata era coperta di petali di fresie rose e fiori d’arancio, ai banchi erano legati mazzolini di fiori dai colori vivaci.
E la sposa non si vedeva.
A un passo da me lo sposo dondolava sui talloni e spostava il peso ora su un piede e ora su un altro; poi si spettinava i capelli e ricominciava da capo. I suoi capelli chiari erano sparati in duecento direzioni diverse, come se le ciocche avessero litigato tra di loro. Mi avvicinai a lui e gli battei una mano sulla spalla, cercando al contempo di fermarlo su una sola porzione di pavimento…e fallendo miseramente.
"Si vede che ha accettato la mia proposta di scappare col testimone!" dissi cercando di distrarlo un po’; di tutta risposta lui mi tirò un pugno su un braccio "Ahi! Ma che fai?". Si ripassò le mani fra i capelli prima di cominciare di nuovo a dondolare sui talloni "Smorzo la tensione!". No, io avevo smorzato la tensione, lui mi aveva picchiato!
Ma vabbè. Cose che si fanno per i migliori amici. Cose che si fanno per Alessandro.


Alessandro ed io ci siamo conosciuti all’università, al primo anno di giurisprudenza, il nostro primo giorno.
E avevamo entrambi sbagliato aula.
Prima della lezione ci eravamo messi vicini, in ansia per quello che ci aspettava, eccitati per quello che stava per iniziare; quando la lezione era cominciata il professore aveva esordito con “Benvenuti al vostro primo giorno del vostro primo anno di economia” e noi ci eravamo girati così in fretta che avevo sentito le  vertebre del mio collo scricchiolare con prepotenza. La faccia di Ale aveva la stessa espressione che credevo di avere sulla mia, un terrore sano… e una strana voglia di ridere.
Dopo ci eravamo alzati ed eravamo corsi via, ignorando le domande irritate del professore e correndo all’impazzata fino al banco della segreteria per chiedere affannosamente dove era la lezione di diritto civile.
“Al plesso di Sant’Agata” rispose la segretaria confusa dal nostro affannare “ma…” non la lasciammo neanche finire e partimmo di corsa, reggendo convulsamente i nostri zaini, per sant’Agata. Circa un chilometro più in là.
Quando eravamo arrivati, madidi di sudore e a malapena capace di respirare, avevo sbattuto con tanta forza contro la porta dell’aula che quella si era aperta battendo contro il muro con un rumore assordante.
Cento e rotti studenti di giurisprudenza, pronti ad apprendere i metodi per salvare o distruggere le persone, si erano girati a fissarci. Il professore era diventato così rosso che temevo che esplodesse da un minuto all’altro.
E noi eravamo scoppiati a ridere.

Da quel giorno eravamo diventati amici, con quell’imprinting improvviso che può accadere solo nelle grandi storie d’amore…o d’amicizia. E quando Ale era arrivato da me, con la faccia di chi aveva visto la Madonna, avevo saputo che era innamorato cotto; e Vanessa era stata un raggio di sole, una risata fresca col gorgheggio finale alto incredibilmente allegra.
Erano stati quattro anni insieme, sopravvivendo all'erasmus di lei e al lavoro di lui. Io nel frattempo ho cominciato a frequentare Ilaria ed eravamo diventati un magnifico quartetto, sincronizzati nei valori e nelle passioni. Un magnifico quartetto di amici.
E poi Ale le aveva chiesto di sposarlo.
Era stato preso in un turbine di preparativi e presentazioni ai parenti di lei che aveva una famiglia più allargata di quella dei Windsor; lui mi mandava video in cui imitava lei che diceva “dobbiamo andare a trovare la zia…” e lui che faceva finta di impiccarsi. Io ne ridevo.
Poi era arrivato da me un pomeriggio con la faccia mortalmente seria.
“Mike” aveva cominciato sedendosi sul mio divano. Mamma mia che ansia quando faceva il serio. “Devo chiederti una cosa. Vuoi…” e allora avevo dovuto per forza smontare quel momento drammatico. “Sì, sì, mille volte sì!” avevo urlato in falsetto protendendo l’anulare alla ricerca di un anello inesistente. “Dai, cretino!” mi aveva spintonato ridendo; era tornato serio un attimo dopo “Mike senti, volevo sapere se vuoi farmi da testimone.”
“Stai cercando di farmi piangere? Perché non ci riuscirai.” Ottenni una risatina da parte sua “Ma non doveva farlo tuo fratello?”.
“Tommaso ha voluto un altro ruolo” disse guardandosi le mani intrecciate, per poi alzare lo sguardo e fare un piccolo sorriso “Vane è incinta”. Lo placcai sul divano ammaccandogli il cervello, forse per sempre, cantando We Are The Champions (non mi chiedete perché, quando sono contento mi partono canzoni in modalità shuffle).
“Ma aspetta, aspetta” dissi riemergendo dal divano e abbandonando lì il cadavere del mio migliore amico “Cosa c’entra Tommaso?” assunsi la mia aria finto-seria “E’ lui il padre, non è vero?”. E Ale resuscitò solo per tirarmi uno schiaffo. Che ragazzo violento. “Macchè, cretino. Vuol fare il padrino al bambino e quindi ha ceduto il posto a te.”. Ci alzammo entrambi. “Sono così felice per te.” Sospirai nel suo orecchio, abbracciandolo “il mio migliore amico diventa padre.”.
Il suo viso era strano. Come infastidito, o triste. Qualcosa non andava.
“Ehi, che succede?”
Aveva scosso la testa e si era grattato la nuca “Sono solo confuso. E spaventato. E voglio che il bambino sia bello come me perché, insomma, guardami” disse facendo un vago cenno al suo metro e ottanta.
“Facciamo che questo a Vane non glielo dico, eh?” dissi, battendogli di nuovo la mano sulla spalla per poi tirarmelo di nuovo addosso per stritolarlo. Quando lo lasciai gli sorrisi.
Non detti importanza al fatto che non mi aveva ricambiato.

Quel mattino di primavera, insomma, stavo cercando di calmare il mio migliore amico. Lo tenni fermo sull’altare e provai a lasciarlo, pronto ad inchiodarlo al pavimento se si fosse reso necessario. Vedendolo fermo lo lasciai e mi feci di nuovo da una parte, scambiandomi un sorriso con la mia Ilaria che stava nella schiera delle damigelle. Un secondo dopo partì la marcia di Wagner e Vanessa sbucò dal fondo della chiesa, camminando a ritmo di musica. Ad Ale sfuggì una lacrima.
“Maledizione, Mike” disse girandosi appena verso di me. “Non sono innamorato”.

Angolo dell’autrice
Salve a tutti. Non so se questa debba rimanere una OS oppure se mi verrà voglia di allungarla. Per ora non credo, ma non ci giurerei. L’idea di questa One Shot mi è venuta da un post che avevo letto non mi ricordo dove e l’ho voluta ampiare.
Nnnnnon so, fatemi sapere che ne pensate, se vi va.
Donteverlookback

 

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Capitolo 2
*** Giurisprudenza e promesse ***


Giurisprudenza e promesse

7 Luglio 2007 - 8 anni, 8 mesi e 24 giorni prima del matrimonio
Casa di Alessandro

Sospiro pesantemente una, due tre volte. Poi entro in soggiorno.
mio papà è seduto sul divano, un bicchiere di limonata ghiacciata in una mano e il suo libro preferito di Ken Follett nell’altra; muove appena la testa a ritmo de “La Campanella” di Liszt e Paganini. Mi siedo sulla sedia di legno del tavolo, preferendola alla pelle del divano che non farebbe che aumentare il caldo che già sento. L’orribile, orribile caldo che ha preso il pieno possesso di questo luglio.
Ho finito gli esami di maturità da una settimana, ricevendone il responso solo questo mattino. Avevo promesso a me stesso che se il risultato dei miei studi - i cinque anni del liceo classico che ho amato e odiato nello stesso momento – avesse superato il 90 allora sarei andato a fare giurisprudenza.
Mio padre, che è a sua volta un avvocato, non sa nulla della mia scelta; sto per dirglielo e so che, anche se ci ha sempre sperato, non ha mai ammesso ad alta voce che vorrebbe che seguissi le sue orme.
“Papà?” lo chiamo. Quando legge non sente niente, il mondo che vive è quello che legge, le sensazioni che sente quelle che immagina. Alza lo sguardo piano, poi mi rivolge un sorriso stanco e aperto, facendo solo un cenno della mano verso di me per concedermi la parola; deglutisco di nuovo, a vuoto, nervoso e non so perché. Alla fine parlo.
“Papy” sospiro “sono uscito con novantaquattro.”.
Si alza, ruggendo una risata mentre mi abbraccia dandomi grandi pacche sulle spalle; poi chiama la mamma che accorre dalla cucina, col viso rosso di chi sta ai fornelli da ore su cui spiccano le prime macchie dell’età: mi hanno avuto dopo i trent’anni, dieci anni buoni dopo aver dato alla luce mio fratello Lorenzo. “Mamma, ho preso novantaquattro!” esclamo contagiato dall’euforia di mio padre, il mio nervosismo ormai scordato. Mi abbraccia ridendo e asciugandosi le lacrime di commozione, neanche le avessi appena annunciato di essere diventato astronauta.
Giurisprudenza, arrivo. O forse no. Ma sì, dai, faccio l’avvocato.
“Papà” dico “che ne pensi se mi iscrivessi a giurisprudenza?”
Mi rivolge uno sguardo strano, come se stesse cercando di soppesare la mia decisione. Poi però mi abbraccia e mi dice tra i capelli “Quello che vuoi. Tutto quello che vuoi.”.

Dopo il magnifico viaggio di maturità con i miei amici comincio a muovermi per l’iscrizione a giurisprudenza. E’ controllando il programma di studi con attenzione che sento riemergere la domanda che ho respinto per tutte le vacanze: è davvero quello che voglio?
Quando avevo fatto quella specie di scommessa con me stesso avevo sottovalutato quello che mi promettevo: che avrei studiato sodo, ancora, per imparare come salvare le persone da destini che certe volte in realtà si sarebbero meritati; avrei dovuto lottare andando contro i miei principi morali, contro le mie idee e convinzioni, compiendo opere e omissioni, mentendo con tutta la veemenza di cui ero capace. Ma poi mi si presentava l’altra faccia della medaglia: proteggere con tutte le mie forze le persone cui era stato fatto del male, affidandomi alla giustizia. Sorrido davanti al computer decidendo di sì, che è bello e giusto, e che voglio farlo sul serio.
Il mese successivo passa in una specie di assurdo carosello di auguri e di congratulazioi, di battute scherzose e di dubbi. Tutte le volte che riemerge la domanda – voglio farlo davvero? – vedo nella mia mente la faccia di giurati sconvolti dalle mie arringhe che decidevano di credermi e darmi ragione. E la faccia del mio cliente, la gratitudine che la permeava mentre sentiva il giudice dargli finalmente giustizia.
E’ un bel pensiero.
Un paio di settimane prima dell’inizio delle lezioni, a metà settembre, mio padre mi prende da parte e mi porta nel suo studio. E’ una stanza che mi ha sempre messo a disagio nella sua austerità: la scrivania enorme sta proprio davanti alla finestra così che, tutte le volte che ero entrato nello studio da bambino, mio padre era stato sempre in controluce e questo non mi permetteva di vedere chiaramente la sua espressione.
Oggi si siede non dall’altro lato della scrivania ma accanto a me, poggiando i gomiti sulle ginocchia e guardandosi un attimo le scarpe di cuoio prima di fissare il suo sguardo nel mio. La sua faccia, quella inespressiva del penalista, non vuole darmi suggerimenti sui suoi pensieri: come sempre vuole che io prenda le mie decisioni libero dai suoi pregiudizi.
“Ale” comincia, prende un profondo respiro e poi continua “in questo momento sei nella posizione di stallo più paurosa ed eccitante insieme della tua vita. Ore come ora, tutte le porte della tua vita sono aperte, mai come ora hai la possibilità di scegliere. Io non voglio influenzarti, ti appoggerò qualunque cosa tu voglia fare, anche se questo dovesse andare contro i sogni che avevo fatto per te. Sei un ragazzo intelligente, molto dotato, e poi fare quello che vuoi, tutto quello che sogni, qualsiasi cosa desideri. Quello che ti chiedo, è di scegliere una strada, una sola, che sia quella che vuoi per tutta la vita: voglio che tu scelga qualcosa che ti bruci dentro come fuoco, che ti guidi, che ti faccia desiderare di andare avanti anche quando ci sarà da stringere i denti. Quello che ti chiedo, Alessandro, è di non scegliere ciò che è più facile, ma di scegliere quello che ami davvero, qualcosa che vada al di là del tuo orticello. Tu hai scelto giurisprudenza. Io non so quanto questa tu decisione sia dettata dalla mia influenza, che ho sempre cercato di rendere minima, e quanto sia frutto di una tua scelta ragionata; spero solo che ti renda felice, felice davvero, felice sul serio, perché se sarai felice facendo qualcosa che ami allora vorrà dire che ho avuto successo come genitore e come uomo.”.
inebetito dal suo discorso cerco qualcosa da rispondere, ma lui mi posa una mano sulla spalla e mi invita a prendermi la notte almeno per pensare a che dire.
Quella sera, in camera mia, trovo un’immagine che mi colpisce: è la foto di un uomo di colore di circa cinquant’anni, nel momento in cui è stato prosciolto dall’accusa di un omicidio che non ha commesso, dopo ventisette anni di carcere. E sul suo volto, sulla sue espressione che va al di là della semplice gioia commossa, io leggo qualcosa di solo mio: leggo che voglio che non accada mai più, che voglio aiutare le persone come lui, che le ingiustizie non devono esserci. E che io farò la mia parte per evitare che questo accada. Mi alzo e vado nello studio di papà, che sta controllando dei documenti.
“Lo farò” dico solo. E nel suo sguardo qualcosa si muove. Quando fa sì con la testa, tra di noi passa qualcosa di silenzioso che abbatte ogni mia riserva, un dubbio profondo che non sapevo di avere fino ad adesso: quello che mio padre non avrebbe capito.
E adesso so con certezza che sarò felice.

31 Marzo 2016 – Giorno del matrimonio
Chiesa di San Girolamo


Guardavo agghiacciato il mio migliore amico, senza sapere cosa fare. Vanessa – la sua quasi moglie – era a meno di dieci metri dall’altare e lui non la amava; tutto ciò mentre era incinta di suo figlio.
Mi girai verso di lui e nel farlo intercettai lo sguardo di Ilaria, che doveva aver capito dalla mia espressione –che, se era terrorizzata la metà di quello che pensavo, doveva essere spaventosa - che qualcosa non andava. Abbozzai un sorriso poco convinto prima di guardare di nuovo Ale, che era riuscito a far passare il suo pianto per commozione; non avevo la minima idea di cosa fare o dire e rimasi lì, intontito dallo shock, a osservare Vanessa accompagnata da suo padre che arrivava all’altare.
Seguii la cerimonia, inebetito, risvegliandomi soltanto al momento delle promesse di rito “Vuoi tu Vanessa prendere il cui presente Alessandro come tuo sposo, promettendo di essergli fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, di amarlo e onorarlo tutti i giorni della tua vita?”.
Vanessa era in lacrime, ma riuscì comunque a sorridere e dire di sì, infilando l’anello al dito di Ale. Il suo sorriso era il solito, quello che sembrava scacciare le nuvole. Niente di più diverso dall’espressione di Ale che sembrava solo molto concentrato mentre il prete ripeteva la stessa domanda a lui.
Nessuno l’aveva notato, e forse io me l’ero immaginato perché mi sembrava quasi di vedere la sua lotta interiore, ma un muscolo si contrasse nelle sue guance mentre diceva con voce ferma “Sì”.

Angolo dell’autrice
Per la gioia di Dilo_Dile2000 e di ineedofthem ho scritto il secondo capitolo. Non so quanto la storia andrà avanti, anche se ho già in mente la trama generale. Intanto ringrazio immensamente entrambe per la fiducia che mi hanno dimostrato e chiunque altro apprezzerà la mia storia. Grazie.
Alla prossima!
Donteverlookback


 

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