Dio si copre gli occhi

di Walking_Disaster
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Dio si copre gli occhi




Sprazzi vaghi di ricordi tornavano in brevi e stordenti flash, usurando la sua mente così come la goccia scavava la pietra. La puzza lo prendeva alla gola riarsa: feci, sudicio, sangue e marcio. L'umidità era soffocante e dalle feriate, poste abbastanza in alto da non poter essere raggiunte, filtrava una luce malaticcia e fumosa, che anziché rischiarare l'ambiente contribuiva alla sensazione di oppressione che Anders sentiva sulle spalle, a volerlo schiacciare ulteriormente al terreno.
Si tirò faticosamente su con un gemito, i pesanti ceppi che gli costringevano i polsi stridevano sulla carne, neanche fossero giunti all'osso. Gli balenò confusamente l'immagine delle sue mani scheletrite – come un vecchio.
Tentò di guardarsi intorno e gli ci volle un po' a mettere a fuoco: si trovava in un budello di pietra oscuro, direttamente scavato nella roccia e sinistramente ravvivato da particolari biancastri accatastati negli angoli. Ad uno sguardo più attento riconobbe ciò che erano: ossa.
Laddove era stato colpito, sulla tempia, percepiva l'ispessimento fastidioso del sangue secco, che andava a mischiarsi allo sporco che gli si era attaccato addosso come una seconda pelle. Sporse la punta della lingua e sorpassò l'angolo sinistro della bocca, finché non riconobbe il sapore di sudicio mischiato ad un altro, dolciastro ed inconfondibilmente metallico.
Gemette, deglutendo rumorosamente: gli sembrò di percepire il rimbombo della saliva che passava per la gola.
I tagli slabbrati ed i lividi celati dalla pelle lercia erano testimoni impassibili: le guardie l'avevano colto a lavorare con le erbe e l'accusa di stregoneria, seppur meno prevedibile per il fatto che fosse uomo, non si fece attendere. Gli appellativi usati nel portarlo di forza alle celle, percosso e semi-svenuto, erano stati scelti con cura. Non solo armeggiava con la magia, ma lo faceva come una donna. I tempi di Anders non erano famosi per la clemenza o la benevolenza.
Il tintinnio inquietante delle catene sembrò annunciare l'arrivo di un disperato – o di un condannato a morte. Ed in effetti, in questo secondo caso, non sarebbe stato del tutto sbagliato: era stato Anders a produrre il rumore.
Strisciò verso l'ingresso della sua prigione, chiuso da pesanti sbarre di ferro. Stava per allungare una mano verso la grande serratura quando una fiaccola venne spinta davanti al suo viso, spaventandolo e facendolo ritrarre come un tentacolo ferito.
“Hai sete?”
La voce fu dolorosamente famigliare. Anders sussultò: tutto, andava bene tutto, la morte e la tortura, ma non quello. Farsi vedere in quelle condizioni dal proprietario di quella voce sarebbe equivalso a buttarsi nel fuoco fingendo anche di desiderarlo – ed Anders forse era un folle, ma non un masochista.
“Anders? Hai sete?”
Hawke aveva addolcito il tono ed ora la fiaccola rischiarava i suoi occhi color dell'ambra e la barba nera. L'enorme cicatrice rossa che pareva tagliare a metà quel viso dai tratti virili sembrava sorridergli. Tuttavia nessuno sorrideva. Anzi: sembrava che avessero disgregato tassello per tassello la felicità che tante volte Anders aveva visto illuminare il viso della guardia.
Era paradossale per un uomo venir accusato di stregoneria e non di omosessualità, se poi il suo amante si trovava davanti a lui portandogli dell'acqua.
Il biondo accettò il bicchiere che gli veniva offerto, emettendo un rumore di risucchio quando le labbra spaccate in più ponti raggiunsero il contenuto. Due rivoli corsero giù dagli angoli della bocca, creando ruscelli stranamente precisi in confronto del caos che ribolliva sotto la superficie della situazione.
Hawke si inginocchiò all'altezza dell'altro, strisciando un piede a terra. Infilò una mano tra le sbarre dell'ingresso, arrivando a posargli dolcemente il palmo sulla guancia. Anders fece violenza su se stesso per non scostarsi: aveva subito troppe percosse per essere toccato ancora.
“Oh Signore, mi dispiace. Mi dispiace così tanto...”
Soffiò la guardia, in un bisbiglio talmente fine che sulla punta della lingua sapeva di segreto e perfino gli angeli non l'avrebbero carpito. Perché in fondo tra loro due tutto era peccato e Dio si copriva gli occhi quando li scrutava.
“Doveva succedere. Lo sapevamo che prima o poi sarebbe successo.”
La voce di Anders era uscita arrochita e aliena, quasi non fosse sua. L'espressione di Hawke non tradì la stilettata che aveva sentito nel petto.

E dov'è Dio? È per lui che fanno questo, ma lui dov'è? Verrai torturato a morte, Anders.”
E la voce era urgente e tremò un po', come la fiaccola che rischiarava sicura i due uomini. Forse era l'unica luce che mai si sarebbe vergognata di baciarli, talmente effimera che con una secchiata d'acqua si sarebbe spenta.

Dio si copre gli occhi. È più comodo per lui.”
Le parole di Anders calarono come una ghigliottina sul collo di entrambi, gli occhi nocciola come unico puntino di colore sul volto sporco e incrostato di sangue.
Torturato a morte. Stranamente, il biondo non fece una piega. Solo un subdolo sudore freddo si insinuò nella conca della spina dorsale, facendogli rizzare i peli sulla nuca.
Torturato a morte.
Torturato a morte.
A morte.

Se non avesse avuto la mano di Hawke a tenerlo saldo nella cella sarebbe sprofondato direttamente all'inferno.
“Non deve accadere.”
Decretò Hawke, con una fermezza tale che una parte del biondo avrebbe voluto potersi crogiolare lì. Avrebbe voluto potersi illudere e lasciarsi cullare dalle sue rassicurazioni, ma il loro tempo non faceva sconti neanche agli innamorati.
“E come non accadrà? Accopperai il topo prima che me lo piantino nella pancia*?”
Il tono del biondo grondò sarcasmo, amaro come fiele e crudele nella disperazione che provava. La mente galoppava febbrile: si ricordò tutto, si scolpì il viso sudato dell'amante nel cervello come un epigramma e poi allungò le mani e le dita tremolanti riuscirono a sfiorargli il dorso del naso, seguendo la linea della cicatrice. Memorizzò tutto, perché una parte di sé si percepiva già nella tomba.
Hawke parlava, ma Anders non ascoltava. Sorrise e sbatté le palpebre un paio di volte, per scacciare la patina di ricordi che gli abbracciò per un istante il petto.

--ire da qui.”
Fu questo ciò che il prigioniero afferrò, osservando il volto dell'alto con evidente confusione. Hawke aveva esposto il suo punto con animosità ed ora le guance erano rosse e il sudore gli imperlava la fronte, ravvivato da una determinazione che Anders non aveva mai visto prima. Resosi conto che l'altro non aveva compreso, sollevò gli occhi al cielo e sintetizzò: “Ho le chiavi. Uscirai da qui, fosse l'ultima cosa che faccio. Ho un debito con te – non accetterò che tu muoia così.”
Anders diede uno strattone e tentò di alzarsi, ma le gambe cedettero e rovinò nuovamente al suolo, boccheggiante: “Hai ripagato quel debito molto tempo fa, non posso permettermi di vederti giustiziare per avermi fatto fuggire!”
Hawke scosse il capo, sporgendosi verso le sbarre per essere col viso ancor più vicino a quello dell'altro. Vedere il proprio mondo logoro con la luce che contiene morente era tutt'altro che semplice.

Lo faccio perché ti amo. Ti ho amato e ti amerò e Dio saprà anche coprirsi gli occhi, come dici tu, ma io non ci riesco.
Tu non puoi stare qui, Anders. Non più. Non hai mai potuto starci – è un buco dell'inferno, questo, e non è posto per chi contiene una bellezza delicata e terribile come la tua.”
La vita al paese da quando era giunto non era mai stata semplice per il biondo. Era temuto, guardato con sospetto, tenuto d'occhio. Poi un giorno aveva trovato Hawke ed aveva deciso di fermarsi. Perché in fondo, pur nella sfiducia più oscura, tra il fango e i mendicanti, gli era giunto tra le mani un cuore, prezioso e possente. E il suo compito era quello di prendersene cura.

Allora vieni con me! Ce ne andremo da qui e – ti giuro – staremo bene. Non chiedermi di lasciarti però, per favore!”
Anche Anders aveva alzato la voce, che era uscita stonata e stridente come il metallo che si graffiava sulla pietra. Le mani, pur costrette da quelle catene maledette, avevano raggiunto le sbarre e ora le stringevano spasmodicamente, ignorando le fitte che sentiva in tutto il corpo.
Hawke si guardò intorno, prendendosi il labbro inferiore tra gli incisivi, come se soppesasse la possibilità. Fu timida la speranza che sorse nel petto del prigioniero.

D'accordo. Ti porterò altra acqua e del cibo: non appena calata la notte ti farò uscire. Mancano ancora diverse ore, cerca di riposarti.”
Era stato dannatamente facile da convincere. Talmente tanto che in un'altra situazione Anders non sarebbe rimasto persuaso – ed avrebbe indagato, perché Hawke era come una trappola. Come un ago, fine e doloroso, ma apparentemente innocuo, e tuttavia pregno di veleno. Ed ormai il biondo era intossicato e – davvero – non era in grado di mettere in dubbio lo sprazzo di vita che la clemenza pareva volergli concedere.
Così si sporse e lo stesso fece l'altro, dopo qualche istante. Le labbra si sfiorarono a malapena, una porta minuscola tra una sbarra e un'altra. Una porta che custodiva la calma e la sicurezza di un focolare di una casa e coperte sgualcite sotto corpi segnati.
Poi Hawke, dopo essersi concesso un'ultima, tremante carezza, si alzò e lo lasciò nuovamente solo.



***


Lo sferragliare sgradevole fece trasalire Anders, rimasto raggomitolato al centro esatto della sua cella. Forse si era addormentato, dopotutto, perché non aveva sentito Hawke arrivare.
La guardia lo raggiunse a passi ampi, abbassandosi fino ad aprire con mani esperte le manette – sotto alle quali facevano sfoggio due profondi solchi rossi.
“Muoviti, non c'è tempo!”
C'era urgenza nel sussurro che era stato rivolto al biondo, mentre questi faticosamente si tirava in piedi aggrappandosi all'avambraccio possente dell'altro.
Hawke gli sistemò attorno alle spalle un mantello pesante, fermato davanti al collo con due alamari. Ci fu una strana dolcezza riluttante nei suoi gesti, mentre calcava il cappuccio sul volto di Anders e gli prendeva il viso tra le mani, coinvolgendolo in un bacio bagnato e caotico, di denti e lingue.
Il mago (o lo stregone, viste le accuse) non capiva – o forse, semplicemente, non voleva capire. Non appena mise il piede fuori dalla cella, malfermo sulle gambe, urla concitate giunsero dal corridoio che andava immergendosi nel buio alla sua destra. Hawke lo sorpassò e afferrò la sua mano, cominciando a trascinarlo di corsa su per le scale sconnesse di pietra.
Raggiunsero l'esterno e l'aria umida e fredda li colpì con la forza di una pugnalata. Corsero, la pioggia che cadeva sottile come aghi a pungere i loro visi nascosti dai cappucci, scivolando nel fango e ansimando come cinghiali braccati. Corsero finché non giunsero alla breccia nelle mura, nascosta dagli arbusti ma abbastanza grande perché potesse passarci un uomo. La usavano quando andavano al fiume per amarsi senza doversi nascondere perfino dal sole. Fu mentre Hawke scostava violentemente le piante e le strappava che le guardie li raggiunsero: erano cinque. Cinque uomini ghignanti, fradici come loro e le spade tra le mani.
“Dove pensavate di andare? Mh? Pensi che non sappiamo chi sei, Hawke?”
Anders, rimasto in silenzio fino a quel momento, trasalì. Osservò l'altro, che non sembrava sorpreso, ma solamente risoluto mentre si scopriva il volto e tirava su col naso. Gonfiò il petto e lasciò la mano dell'altro. Raccolse a sua volta la spada e si voltò per tre quarti verso il compagno, immobilizzato sul posto: “Devi andare. Vattene, Anders.”
Soffiò con fermezza, lanciandogli uno sguardo pregno di significato mentre si voltava a fronteggiare i cinque uomini.
Il terrore che prese il biondo fu gelido – e assoluto. In quell'istante comprese: aveva accettato di fuggire insieme a lui per concedergli più tempo. In pratica era un suicidio annunciato, quello di Hawke. Il cui responsabile era Anders stesso.
Anders si diede da solo del prevedibile, quando si rifiutò tassativamente di muoversi. Rimase indietro, togliendosi il cappuccio ed osservando con apparente e fredda tranquillità i loro nemici. Sentiva già le mani sfrigolare di magia.
“Sapete cosa?” Prese la parola, mentre le ampie spalle del moro si irrigidivano, ma non lasciava la posizione. La sua furia era percepibile anche senza poter vedere il suo volto.
“Quando mi avete accusato di stregoneria, mi sono chiesto il perché non ve ne foste accorti prima. Poi ho capito: siete degli imbecilli.”
Decretò Anders, un mezzo sorriso che celava un terrore cieco e venature di riverbero azzurrino che cominciavano a salirgli su per il collo.
Poi fu caos. Cominciarono le urla, concitate e violente, e uno sferragliare minaccioso. Hawke si muoveva fulmineo, con la possanza di un orso cacciato. Menava fendenti, si abbassava e sgusciava nel fango. Nel frattempo, lampi celesti si rovesciavano con violenza sulle guardie, immobilizzando, rallentando, e talvolta uccidendo. In fondo, non aveva più senso mantenere il basso profilo che Hawke gli aveva sempre raccomandato; “Fai attenzione, Anders. Non devi farti scoprire. Loro non capirebbero... ti ucciderebbero.”, gli diceva una volta consumato il loro amore in un orgasmo. Ed Anders aveva fatto attenzione, come gli veniva chiesto, ma quando c'erano in gioco amore e morte, con così poca differenza e a così poca distanza, gli strappi alle regole diventavano doveri.
La rapidità dei due fuggitivi parve avere la meglio in un primo momento, ma la superiorità numerica fece la sua parte quando nessuno riuscì a fermare la stilettata che una guardia dal naso storto (rotto da una gomitata del moro) e il volto macchiato di sangue aveva diretto verso Hawke. Il tempo rallentò, diventando distillato come in una clessidra. E come la sabbia che scandisce i secondi, con una precisione clinica e cristallina, Anders vide la punta della spada entrare nella pancia del compagno, facendolo piegare a metà, le palpebre spalancate ed un incubo a gridare negli occhi.
Hawke. Hawke. Hawke, Hawke, Hawke. Hawke che cadde in ginocchio, con le mani che si tenevano la spada che spuntava come il tronco di un albero dal terreno.
Hawke che sputava una boccata di sangue e cedeva, come una fiera tigre colpita a morte.
Le urla disperate di Anders non erano state percepite fino a quando il tempo non ricominciò a scorrere impetuoso – e stavolta accelerato. Il biondo si sentì sospinto in avanti, mentre dalle mani un lampo accecante partiva e si abbatteva sulla guardia. Fu da spettatore che vide cadere l'uomo colpito – e questo successe senza un lamento, gli occhi spalancati e vuoti: i bulbi erano stati bruciati e ora grandi buchi neri inghiottivano il dolore del morto.
Nel frattempo, l'ultimo uomo rimasto aveva calato un altro fendente su Hawke, colpendogli la spalla. Fu un empio tuono che sancì altro sangue che colava, ma solo un rantolio lasciò la gola bruciante di quell'uomo che da troppo amore fu ferito.
La sorte dell'ultimo non fu diversa da quella dei suoi compagni.
C'era solo fango misto a sangue, intorno a loro. Ed Anders ed Hawke erano perfettamente al centro di quella melma pesante e soffocante come pece. Era come per un pesce nuotare nella melassa: rallentato e asfissiante.
Il mago non si diede tempo di pensare, mentre un ronzio sordo gli entrava nel cervello e lo faceva muovere per puro istinto, il dolore come carburante.
“Ti prego. Hawke, ti prego-- tieni duro, amore mio. Tieni duro.”
Quelle suppliche, in fondo, neanche Anders sapeva con esattezza a chi fossero rivolte. Perché in fin dei conti, anche un senza-dio come lui si aggrappava al cielo quando era costretto a vedere un fiore nero e d'oro appassire, in una bellezza tanto effimera quanto preziosa ed amata. La sequela di mormorii, quel sermone dedicato a nessuno e tutti, proseguì. Proseguì anche quando riuscì ad adagiare il corpo sul tavolaccio della capanna sul fiume che usavano per incontrarsi. Proseguì anche quando utilizzò un incantesimo per sigillare il luogo, per sviare le guardie che senza dubbio sarebbero tornate a cercarli. E proseguì, ancora e ancora, mentre ignorava completamente le forze esaurite e il peso che sentiva sul petto e spogliava Hawke degli abiti lordi di sangue, rivelando delle ferite slabbrate e ampie.
“No. Nononono. Hawke, no!”
Ringhiava Anders, il volto bagnato di qualcosa di sconosciuto (solamente molte ore dopo si sarebbe reso conto che erano lacrime) e le mani che mandavano bagliori di un tenue azzurro – così fioco che sembrava disperato anch'esso. Si muoveva con un'esperienza navigata e totalmente meccanica, prima sulla ferita sul ventre e poi sulla spalla. E poi mischiava erbe, masticava radici e schiacciava i boli sugli slabbri. E proseguì così, imperterrito, mentre fuori i lampi lanciavano bagliori che parevano voler prendersi gioco di loro due.
Hawke, nel frattempo, rantolava. Le labbra erano cianotiche, il corpo veniva scosso da brividi ad intervalli irregolari, le guance color della cenere e neve. La coscienza l'aveva abbandonato praticamente subito dopo la seconda ferita; all'inizio c'era stato dolore. Lancinante, totalizzante. Poi, rapido com'era arrivato, se n'era andato. Ed era arrivata la pesantezza – a braccetto con un freddo indescrivibile. Si era chiesto perché, perché non c'era pace, ma poi aveva visto Anders ammazzare con un movimento di mano colui che l'aveva colpito, e tra sé aveva sorriso: il perché ce l'aveva davanti agli occhi.
Per Anders ne valeva la pena. Ne sarebbe sempre valsa la pena.
Fu con uno spasmo che Hawke si riebbe, arrancando in cerca d'aria e stringendo la mano viscida di sangue e fango attorno al polso del mago. Gli occhi erano stelle opache incastrate nel bianco granitico del volto, puro terrore a piegargli la linea cinerea della bocca.
“Hawke! Piano, va tutto bene!”
La voce di Anders, pregna di sollievo e tremolante, mentì. Mentì spudoratamente, col candore inconsapevole di un bambino. Perché niente andava piano – tanto meno andava bene.
La guardia percepì le mani dell'altro sul volto, ma non riusciva a vederlo, perché la vista era offuscata da un velo perlaceo. Si beò del calore che Anders gli trasmetteva nonostante tutto e poi tossì. E fu terribile, perché solo allora, con altro sangue che colava impietosamente dagli angoli della bocca e tutto precipitava e il sollievo veniva ucciso spezzandogli un osso per uno, anche il biondo si rese conto dell'ineluttabile: non c'era vita da trattenere ancora, nel corpo del compagno.
“Merda! Hawke, Dio, ti prego-- Non puoi morire! Ho bisogno di te, non--”
Ma Hawke, benché la totale convinzione del non arrendersi dell'altro, non poté percepire alcun sollievo quando le mani di Anders tornarono a risplendere di quell'azzurrino tenue ed ad imporsi sulle ferite, aperte e rosse come bocche urlanti. Non poté farlo, perché la lucidità rimastagli era appena sufficiente per dirgli ciò che doveva: “A Dio non interessa. Si copre gli occhi, l'hai detto tu.”
Fu un rantolo di un vecchio – il soffio di un fantasma che era stato. Anders si piantò i denti nel labbro inferiore, scuotendo vigorosamente la testa e sussurrandogli una sequela di insulti e di “stai zitto”, incapace di smettere di attingere ad energie ormai inesistenti. E continuava, continuava e continuava a voler curare, ad imporre le mani, a non accettare.
“Sei vivo.”
Furono queste le ultime parole di Hawke. Un nuovo gorgoglio rantolato, proveniente dalla parte più profonda del suo cuore. Parole cariche di sollievo, come se solo in quel momento avesse trovato il senso di tutto. Tutto, che non era nient'altro se non Anders che calcava la terra. Gli arti si rilassarono, il petto smise di alzarsi ed abbassarsi. La magia del biondo si arrese prima di lui: anche quando dalle mani non fluiva più alcunché non smise di tenerle sospese sulle ferite, gli occhi fissi e vuoti e un urlo incastrato tra le corde vocali.
Fu dopo un tempo indefinibile che sollevò lo sguardo sul viso ormai immobile e freddo di Hawke. Le palpebre morbidamente chiuse, l'espressione serena e il rosso scuro come unica macchia di colore su di lui.
Anders non si sarebbe mai dimenticato del sorriso che era rimasto ad aleggiare in pace su quelle labbra esangui.






* : La tortura alla quale fa riferimento era spesso applicata agli accusati di stregoneria: consisteva nell'aprire una ferita nell'addome del colpevole ed inserire in essa un roditore, col muso rivolto verso gli intestini della vittima. La ferita veniva ricucita e l'animale, cercando una via d'uscita, cominciava a scavare all'interno del corpo della persona, fin quando non fosse sopraggiunta la morte.




Walking_Disaster's corner:

Ringrazio sentitamente Francesca per il prompt. Senza di lei questa follia non sarebbe mai nata e non sarebbe neanche tornato per me il piacere di scrivere qualcosa che possa reputare valido. Mi piace ciò che ho scritto, mi piace enormemente. Prossimo passo sarà il capitolo 2, nonché capitolo conclusivo, che spero potrà essere all'altezza di questo.

Mi farebbe molto piacere se lasciaste due righe in cui mi dite che ne pensate.
Grazie a chi ha letto,

WD

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


La porta di legno venne tartassata di colpi, che si intrecciavano ad urla dal sapore urgente. Anders ci mise un istante a comprendere cosa stesse dicendo la voce che penetrava nella malmessa casupola sul fiume – ma tese l'orecchio mentre si puliva le mani con un pezzo di stoffa laida e strappata.
“Per favore! Mio fratello è in pericolo, ha bisogno d'aiuto!”
E poi ci fu un singhiozzo ed altri pugni alla porta.
Il mago strinse le labbra tra loro, decidendo di aprire alla donna che stava implorando assistenza.
Anders discostò appena la porta, osservando guardingo dietro il legno la scena che gli si stava parando davanti: una giovane donna dai folti capelli color di pece aveva le guance arrossate e la veste sporca di sangue. Dietro di lei, un uomo alto, occhi azzurri, ne sosteneva un terzo – più possente di questo ed evidentemente incosciente. Non furono le diverse corporature ad attrarre l'attenzione di Anders, però, quanto piuttosto la maschera cremisi che pareva indossare lo svenuto.
“Per favore! So che siete un guaritore, vi supplico-- è nostro fratello, si chiama Philippe! È stato attaccato da un bandito e Carver l'ha soccorso, ma--”
La donna non poté finire, perché Anders l'aveva già scostata dall'uscio per far poi cenno all'uomo di entrare – trascinandosi dietro Philippe. L'uomo, una folta barba nera lorda di sangue, era totalmente abbandonato contro il corpo del giovane ragazzo, che era evidente stesse facendo molta fatica.

Fatelo stendere qui.”
Ordinò con voce ferma e decisa, scostando con una manata alcune pergamene fittamente scritte dal tavolo.
Carver adagiò il fratello dove gli fu ordinato, ma nella mente di Anders tutto sfumò non appena la sua attenzione si fu focalizzata su quell'improvviso paziente.
Lei, a quanto pareva, si chiamava Bethany e continuava a dare spiegazioni che il mago non stava ascoltando. Il ragazzo invece si terse il sudore dalla fronte, ma solo il labbro inferiore stretto tra i denti tradiva il suo animo.
Il biondo analizzò con occhio esperto e distaccato ciò che gli era davanti, i rumori annullati e risucchiati altrove: Philippe era giovane – doveva essere poco sotto la trentina. Il corpo sembrava in forze, i muscoli ben torniti e sodi – e tuttavia il volto era invisibile, sotto il mare di sangue, fango e sudicio che lo copriva.
Anders fece schioccare la lingua contro al palato: “Non posso lavorare in queste condizioni. Dovete prendermi una bacinella d'acqua pulita – laggiù, nell'angolo. Dopodiché, uscite. Vi chiamerò io quando sarò pronto.”
Se non muore prima, concluse con tono amareggiato nella sua testa.
Carver, rimasto in silenzio fino a quel momento, contrasse l'espressione in ciò che – Anders intuì – doveva essere il principio di un'animata protesta. Bethany, però, fece scattare la mascella e bloccò ogni parola del fratello sul nascere. Andò quindi a recuperare ciò che il mago aveva chiesto e poi, insieme al ragazzo, uscì dalla casupola senza proferire parola.


Non appena la porta venne chiusa, Anders si mise al lavoro: un pezzo di stoffa immerso nell'acqua servì a detergere con delicatezza il volto sfigurato dell'uomo – la mascella volitiva, il naso dritto e la folta barba nera. Individuò una cicatrice vecchia di chissà quanti anni su di un sopracciglio e studiò con attenzione il grosso e profondo taglio che campeggiava nel bel mezzo del volto. Gli attraversava il naso e gli arrivava fin poco sotto gli zigomi. Causato certamente da una spada, decretò.
Poi si ritrovò per le mani un'altra ferita, stavolta alla tempia. Nonostante il posto, era decisamente meno grave e profonda della prima – e sarebbero bastati un paio di incantesimi per risolvere.
Il passaggio successivo all'analisi, più rapida possibile, fu il fermare l'emorragia che continuava a insozzare il volto di Philippe. Anders non sapeva quanto sangue avesse perso, ma non si muoveva mai se prima non capiva ciò con cui aveva effettivamente a che fare – e perciò aveva atteso. Sperò solo che non avesse aspettato troppo.
Una luce azzurrognola gli sfrigolò dalle dita; il calore gli si irradiò giù per le falangi, a partire dal centro del palmo. Impose le mani sul grosso taglio e recitò in un soffio poche parole arcane. E così pura energia fluì, riversandosi sul bel volto virile, arricciolandosi ai capelli, alla barba, attorno alle ciglia. Il mago smise solo quando la ferita non apparì come seccata – la carne viva ed esposta prosciugata. L'aspetto, ad un occhio qualunque o di un normale guaritore, sarebbe sembrato alieno – ma lui sapeva ciò che faceva.
Si disse soddisfatto e si concesse addirittura un mezzo sorriso quando vide il petto ampio alzarsi ed abbassarsi, come sollevato. Forse era la sua immaginazione ed il suo desiderio di rimetterlo in piedi, ma si crogiolò comunque in quell'azione magari mai avvenuta.
Poi si mosse: individuò e prese alcuni vasetti pieni di erbe che lui stesso raccoglieva. Ufficialmente, il suo ruolo cominciava e finiva con quelle. Altrettanto ufficialmente, però, senza la magia i morti avrebbero decisamente attraversato in numero maggiore la porta di Anders. Ed invece, con quello che per i profani non era altro che vomito del diavolo fluito direttamente dall'Inferno, riusciva a guarire. E tanto bastava.
Si infilò un paio di foglie ampie in bocca e cominciò a masticare, impastando il boccone. Non appena il bolo fu sufficientemente umido, spalmò sulla gobba del naso e sulle guance l'impiastro verde, riempiendo il solco di quella pasta.
Anders rimaneva cauto nei pronostici, mentre all'azione dell'impacco univa un ulteriore incantesimo, recitato a voce bassa e con gli occhi chiusi. Le palpebre di Philippe tremavano, come se il bulbo coperto si muovesse frenetico e quello – decise il mago – era un buon segno.
Con una carezza delicata discostò i ciuffi di capelli incrostati dalla fronte, misurando la temperatura: era caldo, quello sì, ma non in maniera tale da allarmarlo.
Prese degli stracci e glieli infilò sotto la testa, dopodiché gli versò un decotto giù per la gola, atto a calmare il dolore ed evitare l'insorgenza di possibili infiammazioni od infezioni alla ferita. Per concludere, dopo aver curato con un paio di incantesimi blandi il taglio alla tempia, fasciò la ferita sul volto e gli posò una coperta addosso, sperando sinceramente che si fosse ripreso più presto possibile.


Ho fatto tutto ciò che potevo”, annunciò, passandosi le mani macchiate di sangue sui capelli biondi. I due fratelli si voltarono verso Anders, l'espressione di Carver evidentemente animata dalla preoccupazione e quella di Bethany da una forte determinazione.
“Non posso ancora dirlo fuori pericolo, ma... sono ottimista” e si concesse addirittura un pallido sorriso. Il gemello distolse lo sguardo, i pugni stretti, mentre la donna si portava le mani tremanti alla bocca e si appoggiava a Carver, che le cinse la vita con un braccio dopo un attimo di esitazione.
“Vi ringraziamo, signore. Senza di voi sarebbe sicuramente morto. Possiamo vederlo?” Queste furono le prime parole che il maschio pronunciava, i piccoli occhi azzurri che indagavano il viso di Anders.
“Andate, ma per pochi minuti. Dovrà rimanere qui: stanotte avrà bisogno di ulteriori cure. Ed io aspetterei a ringraziare, se fossi in voi.” Soffiò il mago, facendo cenno ad entrambi di entrare in casa.
Lui rimase fuori, volendo concedere quel momento solo a loro tre; si osservò le mani, rosse e bianche, la veste sporca ed un fiato di vento che fece agitare i fini capelli come tentacoli. Non doveva essere un bello spettacolo – col naso pronunciato e dritto e il volto un po' scavato. Mentre si carezzava l'accenno di barba sfatta, non pregò – perché Anders non credeva. Però sperò come raramente aveva fatto di riuscire a salvare quel giovane uomo. Poco tempo bastò perché un colpetto di tosse lo avvertisse del fatto che i due fratelli erano dietro di lui – e così si voltò per tre quarti, osservandoli da sopra la spalla.
“Possiamo tornare domani?”
Anders annuì, stiracchiando il volto in un sorriso timido: “Sarò sempre qui. Domani dubito che sarà già in piedi, se dovesse riprendersi, e comunque non sarebbe prudente farlo spostare. Se resterà vivo, si fermerà qui almeno per tre giorni.”
E il mago seppe di essere stato quello che doveva: non brutale, non lapidario e disinteressato, ma ugualmente chiaro. Le occhiate sgranate che gli vennero rivolte, però, gli perforarono lo sterno: fin troppe volte se le era viste addosso.
Vide Bethany abbassare lo sguardo, la mandibola serrata, e Carver salutarlo con un cenno millimetrico del volto. Solo quando posò lo sguardo sulle loro schiene riuscì a tirare un sospiro di sollievo.

La cena fu a base di un pesce pescato quello stesso pomeriggio, prima dell'arrivo del suo paziente, e di un tozzo di pane nero un po' duro. Stette in silenzio, solo il rumore dei ciottoli e lo scoppiettio di un fuoco bluastro avvolsero la serata.
Anders si adoperò, con Philippe: gli cambiò la fasciatura e l'impiastro, all'occhio aranciato delle candele sparse per la stanza. Le forbici rugginose tagliarono la camiciola ormai insalvabile, concedendogli lo spettacolo di un ampio petto muscoloso e coperto da una fitta peluria nera. Si ritrovò ad ammirarlo, nonostante le macchie di sangue vecchio e secco: l'uomo che gli stava davanti era bello anche così conciato. Somigliava molto alla sorella, notò.
Presa una bacinella d'acqua pulita e cominciò a detergere la pelle fin dove riusciva a raggiungere – con una delicatezza che solo chi guariva e accarezzava possedeva. Nonostante la bruttezza delle sue mani (macchiate, le dita grosse e perennemente tagliuzzate), erano lievi.
“Mi dispiacerebbe molto se tu morissi, Philippe. Ci sono troppe cose brutte al mondo e – tu potresti bilanciare. Sarebbe un peccato perderti” mormorò tra sé, lanciando un'occhiata al volto tagliato a metà dalla benda fresca. Chiaramente Anders sapeva che non poteva essere sentito, ma (forse scioccamente, visto il suo mestiere) pensava che chi non riusciva a tornare al sole non avrebbe disprezzato un incoraggiamento. Si soffermò un istante a scostargli le ciocche di capelli incrostate dalla fronte, approfittando anche per monitorargli la temperatura. Una volta appurato che non c'era di che preoccuparsi, decise di cucinare del brodo per l'indomani, nella prospettiva che vedeva il suo assistito sveglio e moderatamente affamato.
Seduto su una sedia, stava davanti al tavolo che ospitava Philippe, e al lume di un mozzicone di candela scribacchiava su una pergamena simboli arcani e fitti in quella sua grafia sgraziata e piccola.
Fu dopo un lasso di tempo imprecisato che si addormentò, la guancia premuta sul legno rozzo su cui giaceva il suo paziente.

Fu un tramestio non meglio precisato a ridestarlo. La posizione gli aveva indolenzito il collo e le spalle e ci mise un istante di più a comprendere di essere sveglio, dato lo stordimento.
Nel sollevare il viso, la pergamena gli rimase appiccicata alla guancia e Anders fu veloce a togliersela dal viso per guardarsi intorno: davanti a lui c'era Philippe che gli dava la schiena. Una larga cicatrice sulla scapola catalizzava l'attenzione, la testa abbassata e un'imprecazione arrochita che fece sussultare il mago.
“Ma cosa diavolo state facendo, Philippe!? Rimettetevi immediatamente giù! Non voglio che il mio lavoro si rovini!”
Abbaiò Anders, seppur in modo poco convincente, dato il tono biascicato e insonnolito. Si diede dello sciocco per essersi fatto sfuggire il risveglio dell'uomo, dato che senza dubbio doveva essere stato intontito; tirò ugualmente un sospiro di sollievo, però, quando lo vide obbedire, e valutò rapidamente che doveva stare decisamente meglio di quanto lui stesso si fosse aspettato. Gli pose con delicatezza la mano sulla fronte, ancora una volta per controllare la temperatura; era piacevolmente fresco, nonostante il pallido grigiore diffuso sul suo viso. Gli occhi (ed Anders notò immediatamente il loro colore indefinito) si volsero verso di lui, vigili anche se stanchi. Esitò un attimo prima di prendere la parola, distratto dal rossore che sentì montargli lungo il collo: “Perdonatemi: non volevo essere brusco. Siete stato portato qui dai vostri fratelli, nel tardo pomeriggio di ieri. Avete avuto un incontro con un bandito, da che mi è stato riferito, e questi vi ha causato una bella ferita proprio sulla metà del viso – e gli passò l'indice su tutta la lunghezza del taglio coperto dalla benda -; io mi chiamo Anders, e sono colui che vi ha guarito.”
Spiegò brevemente, il tono basso e calmo e la sensazione di miele nello stomaco che non pareva volersene andare. Era senza dubbio un bellissimo uomo, chi gli stava difronte, nonostante le condizioni non fossero delle migliori.
“Hawke.”
Era stata una singola parola stentata e rotolata a forza fuori dai denti. Philippe chiuse gli occhi con un grugnito di sofferenza – e Anders si chinò di più verso di lui, per farlo sforzare meno: “Come?”
“Non Philippe: Hawke. Ed hai la guancia macchiata di inchiostro.”
Il mago rimase un solo momento interdetto, a guardare con la coda dell'occhio il viso contratto di Philip-- di Hawke. Fu inspiegabile, poi, come la mano di Anders fosse corsa agli sbafi neri sulla gota ed un sorriso fosse sbocciato, caldo e meravigliato, sulle sue labbra.



*



L'odore prendeva alla gola. Ogni scintilla e crepitio erano una conferma: Hawke – il suo Hawke – era morto.
Anders era troppo vicino alla pira, sulla sponda del fiume, e sentiva le ondate di calore raggiungergli le gote e mordicchiargli il viso. A questo si univa la pesante cappa d'umidità e i sottili aghi che le nubi lasciavano cadere, compartecipi del denso dolore che sapeva di perdita e abbandono.
La notte era passata in modo impercettibile. Era passata in modo sciocco – come se la morte non facesse differenza, per lei. Come se il mondo non avesse smesso di girare.
Anders non era sicuro neanche di aver battuto le palpebre – per ore e ore. Era rimasto lì, il volto cereo, la sete a soffiargli direttamente in bocca e il corpo bloccato in una sorta di rigido stallo – come se qualcuno l'avesse murato in quella posizione. Era lì che l'aveva rivisto, con la benda sul viso e i capelli sporchi di sangue. L'aveva sentito dirgli di non chiamarlo Philippe, ma Hawke – e Anders si diede dello stupido nel realizzare che non aveva mai saputo il motivo di quella preferenza. Sembrava così importante, ora. E non l'avrebbe mai più scoperto.
Rifletté di come la sua vita si fosse capovolta – rapida e caotica come una moneta lanciata per aria. Il problema era che quella moneta ora si era schiantata a terra: nessuno l'aveva salvata dalla sua caduta. E così, a quella realizzazione, un ennesimo singhiozzo strozzato e secco gli uscì dalle labbra. Anders si tappò la bocca, premendo forte la mano, imponendosi il silenzio mentre lacrime calde – lacrime che aveva creduto fossero terminate – gli rotolavano giù per le guance scavate e ispide di barba. Sentì le gambe tremare, le spalle scosse, il mondo risucchiarlo. E non cadde a terra solo a causa del tanfo del cadavere bruciato sulla pira. A quanto pare, la morte si rifiutò di vederlo cedere. Come se ci fosse qualcosa di ancora integro, dentro Anders. Qualcosa che ancora valeva la pena essere sbriciolato.
“Mi hai lasciato con dei cocci, amore mio. Ma io non so neanche da dove cominciare per rimetterli insieme...” Si ritrovò a sillabare, muto. Per la prima volta, dalla notte precedente, si concentrò: non guardava più solamente la pira, ma ora l'osservava. Osservava quelle mani ondeggianti e crepitanti purificare ed estinguere ciò che era stato Philippe Hawke – ciò che era stato Amore. In mezzo a quella trama arancione, rossa e gialla, le sagome nere della legna e di Hawke erano un profilo indistinguibile che davano vita ed alimentavano le fiamme.
La faccia di Anders era di cera: un quadro dipinto sui toni di un grigio malsano. I capelli fradici erano ormai appiccicati alla fronte e la pioggia creava rivoli giù per il volto e per il collo del guaritore. Se ne stava là, immobile. E tuttavia, niente venne in suo soccorso: non il sole, non un fiato di vento, non un uccello a razzolargli tra i piedi. Perché – ormai era chiaro: Dio, per l'ennesima volta, si era coperto gli occhi.
Le dita, ad un certo punto, si strinsero attorno ad un ciondolo (una semplice moneta forata) che Hawke gli aveva donato: “Forse è vero, che abbiamo sbagliato. Forse è vero che siamo abomini – creature impure meritevoli solamente di un castigo. Lo dicono loro, inneggiando al loro Dio. Però una cosa è certa: non smetterò di chiamarti “amore mio” e di amarti – perché, in fondo, è ciò che so fare meglio. Non rinnegherò un solo istante, non rimangerò nessun fiato e nessuna parola e non cancellerò mai dalla mia memoria le notti che solo io e te abbiamo vissuto. E se questo significa essere un mostro, sarò lieto di chiamarmi tale.”
Quella di Anders era stata una preghiera mormorata tra le pieghe di un sorriso amaro.
Poi rimise in tasca la sua moneta, da cui non si sarebbe mai separato. Estrasse il suo coltello e si prese i capelli, sudici e bagnati, raccolti nel solito codino. Fu netto il taglio, mentre le ciocche gli ricadevano sul viso e si chiudevano all'altezza delle tempie come un sipario. Si avvicinò quel tanto che bastava per gettare nel fuoco quei fili biondi e spenti e lo fece ingoiando un'altra ondata di dolore e pianto e nausea. Lo fece ricordandosi il volto del suo uomo quando si studiò per la prima volta con la sua cicatrice, rossa e gonfia. Ricordò se stesso che diceva: “sei sempre molto bello”, guadagnandosi per la prima volta il bene più prezioso: il suo sorriso.
“E' così, amore mio. Non avresti voluto morire da solo e così è stato. Dio si è coperto gli occhi, non ti ha guardato; sono i miei occhi, Hawke, quelli a rimanere aperti.”
E non disse, mentre voltava le spalle alla pira e se ne andava, che sempre i suoi occhi sarebbero stati aperti. E non disse neanche, mentre le fiamme si estinguevano quiete, che lo amava.
Perché, in fondo, questo, anche Dio lo sapeva. 

Walking_Disaster's corner: 
E' stata dura, ma ce l'abbiamo fatta. Sono molto contenta di questa mia storia e per me spuntare "completa" è una piccola vittoria ogni volta. Spero piaccia a voi com'è piaciuta a me.
Lasciatemi un commento, se vi va :)
Alla prossima,
WD

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