Dio si copre gli occhi di Walking_Disaster (/viewuser.php?uid=184401)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
Dio
si copre gli occhi
Sprazzi
vaghi di ricordi tornavano in brevi e stordenti flash, usurando la
sua mente così come la goccia scavava la pietra. La puzza lo
prendeva alla gola riarsa: feci, sudicio, sangue e marcio.
L'umidità
era soffocante e dalle feriate, poste abbastanza in alto da non poter
essere raggiunte, filtrava una luce malaticcia e fumosa, che
anziché
rischiarare l'ambiente contribuiva alla sensazione di oppressione che
Anders sentiva sulle spalle, a volerlo schiacciare ulteriormente al
terreno.
Si tirò faticosamente su con un gemito, i pesanti ceppi
che gli costringevano i polsi stridevano sulla carne, neanche fossero
giunti all'osso. Gli balenò confusamente l'immagine delle
sue mani
scheletrite – come un vecchio.
Tentò di guardarsi intorno e
gli ci volle un po' a mettere a fuoco: si trovava in un budello di
pietra oscuro, direttamente scavato nella roccia e sinistramente
ravvivato da particolari biancastri accatastati negli angoli. Ad uno
sguardo più attento riconobbe ciò che erano: ossa.
Laddove era
stato colpito, sulla tempia, percepiva l'ispessimento fastidioso del
sangue secco, che andava a mischiarsi allo sporco che gli si era
attaccato addosso come una seconda pelle. Sporse la punta della
lingua e sorpassò l'angolo sinistro della bocca,
finché non
riconobbe il sapore di sudicio mischiato ad un altro, dolciastro ed
inconfondibilmente metallico.
Gemette, deglutendo rumorosamente:
gli sembrò di percepire il rimbombo della saliva che passava
per la
gola.
I tagli slabbrati ed i lividi celati dalla pelle lercia
erano testimoni impassibili: le guardie l'avevano colto a lavorare
con le erbe e l'accusa di stregoneria, seppur meno prevedibile per il
fatto che fosse uomo, non si fece attendere. Gli appellativi usati
nel portarlo di forza alle celle, percosso e semi-svenuto, erano
stati scelti con cura. Non solo armeggiava con la magia, ma lo faceva
come una donna. I tempi di Anders non erano famosi
per la
clemenza o la benevolenza.
Il
tintinnio inquietante delle catene sembrò annunciare
l'arrivo di un
disperato – o di un condannato a morte. Ed in effetti, in
questo
secondo caso, non sarebbe stato del tutto sbagliato: era stato Anders
a produrre il rumore.
Strisciò
verso l'ingresso della sua prigione, chiuso da pesanti sbarre di
ferro. Stava per allungare una mano verso la grande serratura quando
una fiaccola venne spinta davanti al suo viso, spaventandolo e
facendolo ritrarre come un tentacolo ferito.
“Hai sete?”
La
voce fu dolorosamente famigliare. Anders sussultò: tutto,
andava
bene tutto, la morte e la tortura, ma non quello.
Farsi vedere
in quelle condizioni dal proprietario di quella voce sarebbe
equivalso a buttarsi nel fuoco fingendo anche di desiderarlo
– ed
Anders forse era un folle, ma non un masochista.
“Anders? Hai
sete?”
Hawke aveva addolcito il tono ed ora la fiaccola
rischiarava i suoi occhi color dell'ambra e la barba nera. L'enorme
cicatrice rossa che pareva tagliare a metà quel viso dai
tratti
virili sembrava sorridergli. Tuttavia nessuno sorrideva. Anzi:
sembrava che avessero disgregato tassello per tassello la
felicità
che tante volte Anders aveva visto illuminare il viso della guardia.
Era paradossale per un uomo venir accusato di stregoneria e non
di omosessualità, se poi il suo amante si trovava davanti a
lui
portandogli dell'acqua.
Il biondo accettò il bicchiere che gli
veniva offerto, emettendo un rumore di risucchio quando le labbra
spaccate in più ponti raggiunsero il contenuto. Due rivoli
corsero
giù dagli angoli della bocca, creando ruscelli stranamente
precisi
in confronto del caos che ribolliva sotto la superficie della
situazione.
Hawke
si inginocchiò all'altezza dell'altro, strisciando un piede
a terra.
Infilò una mano tra le sbarre dell'ingresso, arrivando a
posargli
dolcemente il palmo sulla guancia. Anders fece violenza su se stesso
per non scostarsi: aveva subito troppe percosse per essere toccato
ancora.
“Oh Signore, mi dispiace. Mi dispiace così
tanto...”
Soffiò la guardia, in un bisbiglio talmente fine che sulla
punta
della lingua sapeva di segreto e perfino gli angeli non l'avrebbero
carpito. Perché in fondo tra loro due tutto era peccato e
Dio si
copriva gli occhi quando li scrutava.
“Doveva succedere. Lo
sapevamo che prima o poi sarebbe successo.”
La voce di Anders
era uscita arrochita e aliena, quasi non fosse sua. L'espressione di
Hawke non tradì la stilettata che aveva sentito nel petto.
“E
dov'è Dio? È per lui che fanno questo, ma lui
dov'è? Verrai
torturato a morte, Anders.”
E la voce era urgente e tremò un
po', come la fiaccola che rischiarava sicura i due uomini. Forse era
l'unica luce che mai si sarebbe vergognata di baciarli, talmente
effimera che con una secchiata d'acqua si sarebbe spenta.
“Dio
si copre gli occhi. È più comodo per
lui.”
Le parole di
Anders calarono come una ghigliottina sul collo di entrambi, gli
occhi nocciola come unico puntino di colore sul volto sporco e
incrostato di sangue.
Torturato a morte. Stranamente, il
biondo non fece una piega. Solo un subdolo sudore freddo si
insinuò
nella conca della spina dorsale, facendogli rizzare i peli sulla
nuca.
Torturato
a morte.
Torturato
a morte.
A
morte.
Se
non avesse avuto la mano di Hawke a tenerlo saldo nella cella sarebbe
sprofondato direttamente all'inferno.
“Non deve accadere.”
Decretò Hawke, con una fermezza tale che una parte del
biondo
avrebbe voluto potersi crogiolare lì. Avrebbe voluto potersi
illudere e lasciarsi cullare dalle sue rassicurazioni, ma il loro
tempo non faceva sconti neanche agli innamorati.
“E come non
accadrà? Accopperai il topo prima che me lo piantino nella
pancia*?”
Il tono del biondo grondò sarcasmo, amaro come fiele e
crudele
nella disperazione che provava. La mente galoppava febbrile: si
ricordò tutto, si scolpì il
viso sudato dell'amante nel
cervello come un epigramma e poi allungò le mani e le dita
tremolanti riuscirono a sfiorargli il dorso del naso, seguendo la
linea della cicatrice. Memorizzò tutto, perché
una parte di sé si
percepiva già nella tomba.
Hawke parlava, ma Anders non
ascoltava. Sorrise e sbatté le palpebre un paio di volte,
per
scacciare la patina di ricordi che gli abbracciò per un
istante il
petto.
“--ire
da qui.”
Fu questo ciò che il prigioniero afferrò,
osservando
il volto dell'alto con evidente confusione. Hawke aveva esposto il
suo punto con animosità ed ora le guance erano rosse e il
sudore gli
imperlava la fronte, ravvivato da una determinazione che Anders non
aveva mai visto prima. Resosi conto che l'altro non aveva compreso,
sollevò gli occhi al cielo e sintetizzò:
“Ho le chiavi. Uscirai
da qui, fosse l'ultima cosa che faccio. Ho un debito con te –
non
accetterò che tu muoia così.”
Anders diede uno strattone e
tentò di alzarsi, ma le gambe cedettero e rovinò
nuovamente al
suolo, boccheggiante: “Hai ripagato quel debito molto tempo
fa, non
posso permettermi di vederti giustiziare per avermi fatto
fuggire!”
Hawke
scosse il capo, sporgendosi verso le sbarre per essere col viso ancor
più vicino a quello dell'altro. Vedere il proprio mondo
logoro con
la luce che contiene morente era tutt'altro che semplice.
“Lo
faccio perché ti amo. Ti ho amato e ti amerò e
Dio saprà anche
coprirsi gli occhi, come dici tu, ma io non ci riesco.
Tu non puoi
stare qui, Anders. Non più. Non hai mai potuto starci
– è un buco
dell'inferno, questo, e non è posto per chi contiene una
bellezza
delicata e terribile come la tua.”
La vita al paese da quando
era giunto non era mai stata semplice per il biondo. Era temuto,
guardato con sospetto, tenuto d'occhio. Poi un giorno aveva trovato
Hawke ed aveva deciso di fermarsi. Perché in fondo, pur
nella
sfiducia più oscura, tra il fango e i mendicanti, gli era
giunto tra
le mani un cuore, prezioso e possente. E il suo compito era quello di
prendersene cura.
“Allora
vieni con me! Ce ne andremo da qui e – ti
giuro – staremo bene. Non chiedermi di
lasciarti però,
per favore!”
Anche
Anders aveva alzato la voce, che era uscita stonata e stridente come
il metallo che si graffiava sulla pietra. Le mani, pur costrette da
quelle catene maledette, avevano raggiunto le sbarre e ora le
stringevano spasmodicamente, ignorando le fitte che sentiva in tutto
il corpo.
Hawke si guardò intorno, prendendosi il labbro
inferiore tra gli incisivi, come se soppesasse la
possibilità. Fu
timida la speranza che sorse nel petto del prigioniero.
“D'accordo.
Ti porterò altra acqua e del cibo: non appena calata la
notte ti
farò uscire. Mancano ancora diverse ore, cerca di
riposarti.”
Era
stato dannatamente facile da convincere. Talmente tanto che in
un'altra situazione Anders non sarebbe rimasto persuaso – ed
avrebbe indagato, perché Hawke era come una trappola. Come
un ago,
fine e doloroso, ma apparentemente innocuo, e tuttavia pregno di
veleno. Ed ormai il biondo era intossicato e – davvero
– non era
in grado di mettere in dubbio lo sprazzo di vita che la clemenza
pareva volergli concedere.
Così si sporse e lo stesso fece
l'altro, dopo qualche istante. Le labbra si sfiorarono a malapena,
una porta minuscola tra una sbarra e un'altra. Una porta che
custodiva la calma e la sicurezza di un focolare di una casa e
coperte sgualcite sotto corpi segnati.
Poi Hawke, dopo essersi
concesso un'ultima, tremante carezza, si alzò e lo
lasciò
nuovamente solo.
***
Lo
sferragliare sgradevole fece trasalire Anders, rimasto raggomitolato
al centro esatto della sua cella. Forse si era addormentato,
dopotutto, perché non aveva sentito Hawke arrivare.
La guardia
lo raggiunse a passi ampi, abbassandosi fino ad aprire con mani
esperte le manette – sotto alle quali facevano sfoggio due
profondi
solchi rossi.
“Muoviti, non c'è tempo!”
C'era urgenza
nel sussurro che era stato rivolto al biondo, mentre questi
faticosamente si tirava in piedi aggrappandosi all'avambraccio
possente dell'altro.
Hawke gli sistemò attorno alle spalle un
mantello pesante, fermato davanti al collo con due alamari. Ci fu una
strana dolcezza riluttante nei suoi gesti, mentre calcava il
cappuccio sul volto di Anders e gli prendeva il viso tra le mani,
coinvolgendolo in un bacio bagnato e caotico, di denti e lingue.
Il
mago (o lo stregone, viste le accuse) non capiva – o forse,
semplicemente, non voleva capire. Non appena mise
il piede
fuori dalla cella, malfermo sulle gambe, urla concitate giunsero dal
corridoio che andava immergendosi nel buio alla sua destra. Hawke lo
sorpassò e afferrò la sua mano, cominciando a
trascinarlo di corsa
su per le scale sconnesse di pietra.
Raggiunsero l'esterno e
l'aria umida e fredda li colpì con la forza di una
pugnalata.
Corsero, la pioggia che cadeva sottile come aghi a pungere i loro
visi nascosti dai cappucci, scivolando nel fango e ansimando come
cinghiali braccati. Corsero finché non giunsero alla breccia
nelle
mura, nascosta dagli arbusti ma abbastanza grande perché
potesse
passarci un uomo. La usavano quando andavano al fiume per amarsi
senza doversi nascondere perfino dal sole. Fu mentre Hawke scostava
violentemente le piante e le strappava che le guardie li raggiunsero:
erano cinque. Cinque uomini ghignanti, fradici come loro e le spade
tra le mani.
“Dove pensavate di andare? Mh? Pensi che non
sappiamo chi sei, Hawke?”
Anders, rimasto in silenzio
fino a quel momento, trasalì. Osservò l'altro,
che non sembrava
sorpreso, ma solamente risoluto mentre si scopriva il volto e tirava
su col naso. Gonfiò il petto e lasciò la mano
dell'altro. Raccolse
a sua volta la spada e si voltò per tre quarti verso il
compagno,
immobilizzato sul posto: “Devi andare. Vattene,
Anders.”
Soffiò
con fermezza, lanciandogli uno sguardo pregno di significato mentre
si voltava a fronteggiare i cinque uomini.
Il terrore che prese
il biondo fu gelido – e assoluto. In quell'istante comprese:
aveva
accettato di fuggire insieme a lui per concedergli più
tempo. In
pratica era un suicidio annunciato, quello di Hawke. Il cui
responsabile era Anders stesso.
Anders si diede da solo del
prevedibile, quando si rifiutò tassativamente di muoversi.
Rimase
indietro, togliendosi il cappuccio ed osservando con apparente e
fredda tranquillità i loro nemici. Sentiva già le
mani sfrigolare
di magia.
“Sapete cosa?” Prese la parola, mentre le ampie
spalle del moro si irrigidivano, ma non lasciava la posizione. La sua
furia era percepibile anche senza poter vedere il suo volto.
“Quando
mi avete accusato di stregoneria, mi sono chiesto il perché
non ve
ne foste accorti prima. Poi ho capito: siete degli
imbecilli.”
Decretò Anders, un mezzo sorriso che celava un terrore cieco
e
venature di riverbero azzurrino che cominciavano a salirgli su per il
collo.
Poi fu caos. Cominciarono le urla, concitate e violente, e
uno sferragliare minaccioso. Hawke si muoveva fulmineo, con la
possanza di un orso cacciato. Menava fendenti, si abbassava e
sgusciava nel fango. Nel frattempo, lampi celesti si rovesciavano con
violenza sulle guardie, immobilizzando, rallentando, e talvolta
uccidendo. In fondo, non aveva più senso mantenere il basso
profilo
che Hawke gli aveva sempre raccomandato; “Fai
attenzione,
Anders. Non devi farti scoprire. Loro non capirebbero... ti
ucciderebbero.”, gli diceva una volta consumato il
loro amore
in un orgasmo. Ed Anders aveva fatto attenzione, come gli veniva
chiesto, ma quando c'erano in gioco amore e morte, con così
poca
differenza e a così poca distanza, gli strappi alle regole
diventavano doveri.
La rapidità dei due fuggitivi parve avere la
meglio in un primo momento, ma la superiorità numerica fece
la sua
parte quando nessuno riuscì a fermare la stilettata che una
guardia
dal naso storto (rotto da una gomitata del moro) e il volto macchiato
di sangue aveva diretto verso Hawke. Il tempo rallentò,
diventando
distillato come in una clessidra. E come la sabbia che scandisce i
secondi, con una precisione clinica e cristallina, Anders vide la
punta della spada entrare nella pancia del compagno, facendolo
piegare a metà, le palpebre spalancate ed un incubo a
gridare negli
occhi.
Hawke. Hawke. Hawke, Hawke, Hawke. Hawke che cadde
in ginocchio, con le mani che si tenevano la spada che spuntava come
il tronco di un albero dal terreno.
Hawke che sputava una boccata
di sangue e cedeva, come una fiera tigre colpita a morte.
Le urla
disperate di Anders non erano state percepite fino a quando il tempo
non ricominciò a scorrere impetuoso – e stavolta
accelerato. Il
biondo si sentì sospinto in avanti, mentre dalle mani un
lampo
accecante partiva e si abbatteva sulla guardia. Fu da spettatore che
vide cadere l'uomo colpito – e questo successe senza un
lamento,
gli occhi spalancati e vuoti: i bulbi erano stati bruciati e ora
grandi buchi neri inghiottivano il dolore del morto.
Nel
frattempo, l'ultimo uomo rimasto aveva calato un altro fendente su
Hawke, colpendogli la spalla. Fu un empio tuono che sancì
altro
sangue che colava, ma solo un rantolio lasciò la gola
bruciante di
quell'uomo che da troppo amore fu ferito.
La sorte dell'ultimo non
fu diversa da quella dei suoi compagni.
C'era solo fango misto a
sangue, intorno a loro. Ed Anders ed Hawke erano perfettamente al
centro di quella melma pesante e soffocante come pece. Era come per
un pesce nuotare nella melassa: rallentato e asfissiante.
Il mago
non si diede tempo di pensare, mentre un ronzio sordo gli entrava nel
cervello e lo faceva muovere per puro istinto, il dolore come
carburante.
“Ti prego. Hawke, ti prego-- tieni duro, amore mio.
Tieni duro.”
Quelle suppliche, in fondo, neanche Anders
sapeva con esattezza a chi fossero rivolte. Perché in fin
dei conti,
anche un senza-dio come lui si aggrappava al cielo quando era
costretto a vedere un fiore nero e d'oro appassire, in una bellezza
tanto effimera quanto preziosa ed amata. La sequela di mormorii, quel
sermone dedicato a nessuno e tutti, proseguì.
Proseguì anche quando
riuscì ad adagiare il corpo sul tavolaccio della capanna sul
fiume
che usavano per incontrarsi. Proseguì anche quando
utilizzò un
incantesimo per sigillare il luogo, per sviare le guardie che senza
dubbio sarebbero tornate a cercarli. E proseguì, ancora e
ancora,
mentre ignorava completamente le forze esaurite e il peso che sentiva
sul petto e spogliava Hawke degli abiti lordi di sangue, rivelando
delle ferite slabbrate e ampie.
“No. Nononono. Hawke,
no!”
Ringhiava Anders, il volto bagnato di qualcosa di
sconosciuto (solamente molte ore dopo si sarebbe reso conto che erano
lacrime) e le mani che mandavano bagliori di un tenue azzurro
–
così fioco che sembrava disperato anch'esso. Si muoveva con
un'esperienza navigata e totalmente meccanica, prima sulla ferita sul
ventre e poi sulla spalla. E poi mischiava erbe, masticava radici e
schiacciava i boli sugli slabbri. E proseguì
così, imperterrito,
mentre fuori i lampi lanciavano bagliori che parevano voler prendersi
gioco di loro due.
Hawke, nel frattempo, rantolava. Le labbra
erano cianotiche, il corpo veniva scosso da brividi ad intervalli
irregolari, le guance color della cenere e neve. La coscienza l'aveva
abbandonato praticamente subito dopo la seconda ferita; all'inizio
c'era stato dolore. Lancinante, totalizzante. Poi, rapido com'era
arrivato, se n'era andato. Ed era arrivata la pesantezza – a
braccetto con un freddo indescrivibile. Si era chiesto
perché,
perché non c'era pace, ma poi aveva visto Anders ammazzare
con un
movimento di mano colui che l'aveva colpito, e tra sé aveva
sorriso:
il perché ce l'aveva davanti agli occhi.
Per Anders ne valeva la
pena. Ne sarebbe sempre valsa la pena.
Fu con uno spasmo che
Hawke si riebbe, arrancando in cerca d'aria e stringendo la mano
viscida di sangue e fango attorno al polso del mago. Gli occhi erano
stelle opache incastrate nel bianco granitico del volto, puro terrore
a piegargli la linea cinerea della bocca.
“Hawke! Piano, va
tutto bene!”
La voce di Anders, pregna di sollievo e
tremolante, mentì. Mentì spudoratamente, col
candore inconsapevole
di un bambino. Perché niente andava piano – tanto
meno andava
bene.
La guardia percepì le mani dell'altro sul volto, ma non
riusciva a vederlo, perché la vista era offuscata da un velo
perlaceo. Si beò del calore che Anders gli trasmetteva nonostante
tutto e poi tossì. E fu terribile,
perché solo allora, con
altro sangue che colava impietosamente dagli angoli della bocca e
tutto precipitava e il sollievo veniva ucciso spezzandogli un osso
per uno, anche il biondo si rese conto dell'ineluttabile: non c'era
vita da trattenere ancora, nel corpo del compagno.
“Merda!
Hawke, Dio, ti prego-- Non puoi morire! Ho bisogno
di te,
non--”
Ma Hawke, benché la totale convinzione del non
arrendersi dell'altro, non poté percepire alcun sollievo
quando le
mani di Anders tornarono a risplendere di quell'azzurrino tenue ed ad
imporsi sulle ferite, aperte e rosse come bocche urlanti. Non
poté
farlo, perché la lucidità rimastagli era appena
sufficiente per
dirgli ciò che doveva: “A Dio non interessa. Si
copre gli occhi,
l'hai detto tu.”
Fu un rantolo di un vecchio – il soffio di
un fantasma che era stato. Anders si piantò i denti nel
labbro
inferiore, scuotendo vigorosamente la testa e sussurrandogli una
sequela di insulti e di “stai zitto”, incapace di
smettere di
attingere ad energie ormai inesistenti. E continuava, continuava e
continuava a voler curare, ad imporre le mani, a non accettare.
“Sei
vivo.”
Furono queste le ultime parole di Hawke. Un nuovo
gorgoglio rantolato, proveniente dalla parte più profonda
del suo
cuore. Parole cariche di sollievo, come se solo in quel momento
avesse trovato il senso di tutto. Tutto, che non era nient'altro se
non Anders che calcava la terra. Gli arti si rilassarono, il petto
smise di alzarsi ed abbassarsi. La magia del biondo si arrese prima
di lui: anche quando dalle mani non fluiva più
alcunché non smise
di tenerle sospese sulle ferite, gli occhi fissi e vuoti e un urlo
incastrato tra le corde vocali.
Fu dopo un tempo indefinibile che
sollevò lo sguardo sul viso ormai immobile e freddo di
Hawke. Le
palpebre morbidamente chiuse, l'espressione serena e il rosso scuro
come unica macchia di colore su di lui.
Anders non si sarebbe mai
dimenticato del sorriso che era rimasto ad aleggiare in pace su
quelle labbra esangui.
*
: La tortura alla quale fa riferimento era spesso applicata agli
accusati di stregoneria: consisteva nell'aprire una ferita
nell'addome del colpevole ed inserire in essa un roditore, col muso
rivolto verso gli intestini della vittima. La ferita veniva ricucita
e l'animale, cercando una via d'uscita, cominciava a scavare
all'interno del corpo della persona, fin quando non fosse
sopraggiunta la morte.
Walking_Disaster's
corner:
Ringrazio
sentitamente Francesca per il prompt. Senza di lei questa follia non
sarebbe mai nata e non sarebbe neanche tornato per me il piacere di
scrivere qualcosa che possa reputare valido. Mi piace ciò
che ho
scritto, mi piace enormemente. Prossimo passo sarà il
capitolo 2,
nonché capitolo conclusivo, che spero potrà
essere all'altezza di
questo.
Mi
farebbe molto piacere se lasciaste due righe in cui mi dite che ne
pensate.
Grazie a chi ha letto,
WD
|
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
La
porta di legno venne tartassata di colpi, che si intrecciavano ad
urla dal sapore urgente. Anders ci mise un istante a comprendere cosa
stesse dicendo la voce che penetrava nella malmessa casupola sul
fiume – ma tese l'orecchio mentre si puliva le mani con un
pezzo di
stoffa laida e strappata.
“Per favore! Mio fratello è in
pericolo, ha bisogno d'aiuto!”
E poi ci fu un singhiozzo ed
altri pugni alla porta.
Il mago strinse le labbra tra loro,
decidendo di aprire alla donna che stava implorando assistenza.
Anders discostò appena la porta, osservando guardingo dietro
il
legno la scena che gli si stava parando davanti: una giovane donna
dai folti capelli color di pece aveva le guance arrossate e la veste
sporca di sangue. Dietro di lei, un uomo alto, occhi azzurri, ne
sosteneva un terzo – più possente di questo ed
evidentemente
incosciente. Non furono le diverse corporature ad attrarre
l'attenzione di Anders, però, quanto piuttosto la maschera
cremisi
che pareva indossare lo svenuto.
“Per favore! So che siete un
guaritore, vi supplico-- è nostro fratello, si chiama
Philippe! È
stato attaccato da un bandito e Carver l'ha soccorso, ma--”
La
donna non poté finire, perché Anders l'aveva
già scostata
dall'uscio per far poi cenno all'uomo di entrare –
trascinandosi
dietro Philippe. L'uomo, una folta barba nera lorda di sangue, era
totalmente abbandonato contro il corpo del giovane ragazzo, che era
evidente stesse facendo molta fatica.
“Fatelo
stendere qui.”
Ordinò con voce ferma e decisa, scostando con
una manata alcune pergamene fittamente scritte dal tavolo.
Carver
adagiò il fratello dove gli fu ordinato, ma nella mente di
Anders
tutto sfumò non appena la sua attenzione si fu focalizzata
su
quell'improvviso paziente.
Lei, a quanto pareva, si chiamava
Bethany e continuava a dare spiegazioni che il mago non stava
ascoltando. Il ragazzo invece si terse il sudore dalla fronte, ma
solo il labbro inferiore stretto tra i denti tradiva il suo animo.
Il biondo analizzò con occhio esperto e distaccato
ciò che gli
era davanti, i rumori annullati e risucchiati altrove: Philippe era
giovane – doveva essere poco sotto la trentina. Il corpo
sembrava
in forze, i muscoli ben torniti e sodi – e tuttavia il volto
era
invisibile, sotto il mare di sangue, fango e sudicio che lo copriva.
Anders fece schioccare la lingua contro al palato: “Non posso
lavorare in queste condizioni. Dovete prendermi una bacinella d'acqua
pulita – laggiù, nell'angolo.
Dopodiché, uscite. Vi chiamerò io
quando sarò pronto.”
Se non muore prima, concluse con
tono amareggiato nella sua testa.
Carver, rimasto in silenzio fino
a quel momento, contrasse l'espressione in ciò che
– Anders intuì
– doveva essere il principio di un'animata protesta. Bethany,
però,
fece scattare la mascella e bloccò ogni parola del fratello
sul
nascere. Andò quindi a recuperare ciò che il mago
aveva chiesto e
poi, insieme al ragazzo, uscì dalla casupola senza proferire
parola.
Non
appena la porta venne chiusa, Anders si mise al lavoro: un pezzo di
stoffa immerso nell'acqua servì a detergere con delicatezza
il volto
sfigurato dell'uomo – la mascella volitiva, il naso dritto e
la
folta barba nera. Individuò una cicatrice vecchia di
chissà quanti
anni su di un sopracciglio e studiò con attenzione il grosso
e
profondo taglio che campeggiava nel bel mezzo del volto. Gli
attraversava il naso e gli arrivava fin poco sotto gli zigomi.
Causato certamente da una spada, decretò.
Poi si ritrovò per le
mani un'altra ferita, stavolta alla tempia. Nonostante il posto, era
decisamente meno grave e profonda della prima – e sarebbero
bastati
un paio di incantesimi per risolvere.
Il
passaggio successivo all'analisi, più rapida possibile, fu
il
fermare l'emorragia che continuava a insozzare il volto di Philippe.
Anders non sapeva quanto sangue avesse perso, ma non si muoveva mai
se prima non capiva ciò con cui aveva effettivamente a che
fare –
e perciò aveva atteso. Sperò solo che non avesse
aspettato troppo.
Una luce azzurrognola gli sfrigolò dalle dita; il calore gli
si
irradiò giù per le falangi, a partire dal centro
del palmo. Impose
le mani sul grosso taglio e recitò in un soffio poche parole
arcane.
E così pura energia fluì, riversandosi sul bel
volto virile,
arricciolandosi ai capelli, alla barba, attorno alle ciglia. Il mago
smise solo quando la ferita non apparì come seccata
– la carne
viva ed esposta prosciugata. L'aspetto, ad un occhio qualunque o di
un normale guaritore, sarebbe sembrato alieno – ma lui sapeva
ciò
che faceva.
Si
disse soddisfatto e si concesse addirittura un mezzo sorriso quando
vide il petto ampio alzarsi ed abbassarsi, come sollevato. Forse era
la sua immaginazione ed il suo desiderio di rimetterlo in piedi, ma
si crogiolò comunque in quell'azione magari mai avvenuta.
Poi si
mosse: individuò e prese alcuni vasetti pieni di erbe che
lui stesso
raccoglieva. Ufficialmente, il suo ruolo cominciava e finiva con
quelle. Altrettanto ufficialmente, però, senza la magia i
morti
avrebbero decisamente attraversato in numero maggiore la porta di
Anders. Ed invece, con quello che per i profani non era altro che
vomito del diavolo fluito direttamente dall'Inferno, riusciva a
guarire. E tanto bastava.
Si infilò un paio di foglie ampie in
bocca e cominciò a masticare, impastando il boccone. Non
appena il
bolo fu sufficientemente umido, spalmò sulla gobba del naso
e sulle
guance l'impiastro verde, riempiendo il solco di quella pasta.
Anders rimaneva cauto nei pronostici, mentre all'azione
dell'impacco univa un ulteriore incantesimo, recitato a voce bassa e
con gli occhi chiusi. Le palpebre di Philippe tremavano, come se il
bulbo coperto si muovesse frenetico e quello – decise il mago
–
era un buon segno.
Con una carezza delicata discostò i ciuffi di
capelli incrostati dalla fronte, misurando la temperatura: era caldo,
quello sì, ma non in maniera tale da allarmarlo.
Prese degli
stracci e glieli infilò sotto la testa, dopodiché
gli versò un
decotto giù per la gola, atto a calmare il dolore ed evitare
l'insorgenza di possibili infiammazioni od infezioni alla ferita. Per
concludere, dopo aver curato con un paio di incantesimi blandi il
taglio alla tempia, fasciò la ferita sul volto e gli
posò una
coperta addosso, sperando sinceramente che si fosse ripreso
più
presto possibile.
“Ho
fatto tutto ciò che potevo”, annunciò,
passandosi le mani
macchiate di sangue sui capelli biondi. I due fratelli si voltarono
verso Anders, l'espressione di Carver evidentemente animata dalla
preoccupazione e quella di Bethany da una forte determinazione.
“Non
posso ancora dirlo fuori pericolo, ma... sono ottimista” e si
concesse addirittura un pallido sorriso. Il gemello distolse lo
sguardo, i pugni stretti, mentre la donna si portava le mani tremanti
alla bocca e si appoggiava a Carver, che le cinse la vita con un
braccio dopo un attimo di esitazione.
“Vi ringraziamo, signore.
Senza di voi sarebbe sicuramente morto. Possiamo vederlo?”
Queste
furono le prime parole che il maschio pronunciava, i piccoli occhi
azzurri che indagavano il viso di Anders.
“Andate, ma per pochi
minuti. Dovrà rimanere qui: stanotte avrà bisogno
di ulteriori
cure. Ed io aspetterei a ringraziare, se fossi in voi.”
Soffiò il
mago, facendo cenno ad entrambi di entrare in casa.
Lui rimase
fuori, volendo concedere quel momento solo a loro tre; si
osservò le
mani, rosse e bianche, la veste sporca ed un fiato di vento che fece
agitare i fini capelli come tentacoli. Non doveva essere un bello
spettacolo – col naso pronunciato e dritto e il volto un po'
scavato. Mentre si carezzava l'accenno di barba sfatta, non
pregò –
perché Anders non credeva. Però sperò
come raramente aveva fatto
di riuscire a salvare quel giovane uomo. Poco tempo bastò
perché un
colpetto di tosse lo avvertisse del fatto che i due fratelli erano
dietro di lui – e così si voltò per tre
quarti, osservandoli da
sopra la spalla.
“Possiamo tornare domani?”
Anders annuì,
stiracchiando il volto in un sorriso timido: “Sarò
sempre qui.
Domani dubito che sarà già in piedi, se dovesse
riprendersi, e
comunque non sarebbe prudente farlo spostare. Se resterà
vivo, si
fermerà qui almeno per tre giorni.”
E il mago seppe di essere
stato quello che doveva: non brutale, non lapidario e disinteressato,
ma ugualmente chiaro. Le occhiate sgranate che gli vennero rivolte,
però, gli perforarono lo sterno: fin troppe volte se le era
viste
addosso.
Vide Bethany abbassare lo sguardo, la mandibola serrata,
e Carver salutarlo con un cenno millimetrico del volto. Solo quando
posò lo sguardo sulle loro schiene riuscì a
tirare un sospiro di
sollievo.
La
cena fu a base di un pesce pescato quello stesso pomeriggio, prima
dell'arrivo del suo paziente, e di un tozzo di pane nero un po' duro.
Stette in silenzio, solo il rumore dei ciottoli e lo scoppiettio di
un fuoco bluastro avvolsero la serata.
Anders si adoperò, con
Philippe: gli cambiò la fasciatura e l'impiastro, all'occhio
aranciato delle candele sparse per la stanza. Le forbici rugginose
tagliarono la camiciola ormai insalvabile, concedendogli lo
spettacolo di un ampio petto muscoloso e coperto da una fitta peluria
nera. Si ritrovò ad ammirarlo, nonostante le macchie di
sangue
vecchio e secco: l'uomo che gli stava davanti era bello anche
così
conciato. Somigliava molto alla sorella, notò.
Presa una
bacinella d'acqua pulita e cominciò a detergere la pelle fin
dove
riusciva a raggiungere – con una delicatezza che solo chi
guariva e
accarezzava possedeva. Nonostante la bruttezza delle sue mani
(macchiate, le dita grosse e perennemente tagliuzzate), erano lievi.
“Mi dispiacerebbe molto se tu morissi, Philippe. Ci sono
troppe
cose brutte al mondo e – tu potresti bilanciare. Sarebbe un
peccato
perderti” mormorò tra sé, lanciando
un'occhiata al volto tagliato
a metà dalla benda fresca. Chiaramente Anders sapeva che non
poteva
essere sentito, ma (forse scioccamente, visto il suo mestiere)
pensava che chi non riusciva a tornare al sole non avrebbe
disprezzato un incoraggiamento. Si soffermò un istante a
scostargli
le ciocche di capelli incrostate dalla fronte, approfittando anche
per monitorargli la temperatura. Una volta appurato che non c'era di
che preoccuparsi, decise di cucinare del brodo per l'indomani, nella
prospettiva che vedeva il suo assistito sveglio e moderatamente
affamato.
Seduto su una sedia, stava davanti al tavolo che
ospitava Philippe, e al lume di un mozzicone di candela scribacchiava
su una pergamena simboli arcani e fitti in quella sua grafia
sgraziata e piccola.
Fu dopo un lasso di tempo imprecisato che si
addormentò, la guancia premuta sul legno rozzo su cui
giaceva il suo
paziente.
Fu un tramestio non meglio precisato a ridestarlo.
La posizione gli aveva indolenzito il collo e le spalle e ci mise un
istante di più a comprendere di essere sveglio, dato lo
stordimento.
Nel sollevare il viso, la pergamena gli rimase appiccicata alla
guancia e Anders fu veloce a togliersela dal viso per guardarsi
intorno: davanti a lui c'era Philippe che gli dava la schiena. Una
larga cicatrice sulla scapola catalizzava l'attenzione, la testa
abbassata e un'imprecazione arrochita che fece sussultare il mago.
“Ma cosa diavolo state facendo, Philippe!? Rimettetevi
immediatamente giù! Non voglio che il mio lavoro si
rovini!”
Abbaiò Anders, seppur in modo poco convincente, dato il tono
biascicato e insonnolito. Si diede dello sciocco per essersi fatto
sfuggire il risveglio dell'uomo, dato che senza dubbio doveva essere
stato intontito; tirò ugualmente un sospiro di sollievo,
però,
quando lo vide obbedire, e valutò rapidamente che doveva
stare
decisamente meglio di quanto lui stesso si fosse aspettato. Gli pose
con delicatezza la mano sulla fronte, ancora una volta per
controllare la temperatura; era piacevolmente fresco, nonostante il
pallido grigiore diffuso sul suo viso. Gli occhi (ed Anders
notò
immediatamente il loro colore indefinito) si volsero verso di lui,
vigili anche se stanchi. Esitò un attimo prima di prendere
la
parola, distratto dal rossore che sentì montargli lungo il
collo:
“Perdonatemi: non volevo essere brusco. Siete stato portato
qui dai
vostri fratelli, nel tardo pomeriggio di ieri. Avete avuto un
incontro con un bandito, da che mi è stato riferito, e
questi vi ha
causato una bella ferita proprio sulla metà del viso
– e gli passò
l'indice su tutta la lunghezza del taglio coperto dalla benda -; io
mi chiamo Anders, e sono colui che vi ha guarito.”
Spiegò
brevemente, il tono basso e calmo e la sensazione di miele nello
stomaco che non pareva volersene andare. Era senza dubbio un
bellissimo uomo, chi gli stava difronte, nonostante le condizioni non
fossero delle migliori.
“Hawke.”
Era stata una singola
parola stentata e rotolata a forza fuori dai denti. Philippe chiuse
gli occhi con un grugnito di sofferenza – e Anders si
chinò di più
verso di lui, per farlo sforzare meno: “Come?”
“Non
Philippe: Hawke. Ed hai la guancia macchiata di inchiostro.”
Il
mago rimase un solo momento interdetto, a guardare con la coda
dell'occhio il viso contratto di Philip-- di Hawke. Fu inspiegabile,
poi, come la mano di Anders fosse corsa agli sbafi neri sulla gota ed
un sorriso fosse sbocciato, caldo e meravigliato, sulle sue labbra.
*
L'odore
prendeva alla gola. Ogni scintilla e crepitio erano una conferma:
Hawke – il
suo Hawke
– era morto.
Anders era troppo vicino alla pira, sulla sponda
del fiume, e sentiva le ondate di calore raggiungergli le gote e
mordicchiargli il viso. A questo si univa la pesante cappa
d'umidità
e i sottili aghi che le nubi lasciavano cadere, compartecipi del
denso dolore che sapeva di perdita e abbandono.
La notte era
passata in modo impercettibile. Era passata in modo sciocco –
come
se la morte non facesse differenza, per lei. Come se il mondo non
avesse smesso di girare.
Anders non era sicuro neanche di aver
battuto le palpebre – per ore e ore. Era rimasto
lì, il volto
cereo, la sete a soffiargli direttamente in bocca e il corpo bloccato
in una sorta di rigido stallo – come se qualcuno l'avesse
murato in
quella posizione. Era lì che l'aveva rivisto, con la benda
sul viso
e i capelli sporchi di sangue. L'aveva sentito dirgli di non
chiamarlo Philippe, ma Hawke – e Anders si diede dello
stupido nel
realizzare che non aveva mai saputo il motivo di quella preferenza.
Sembrava così importante, ora. E non l'avrebbe mai
più scoperto.
Rifletté di come la sua vita si fosse capovolta –
rapida e
caotica come una moneta lanciata per aria. Il problema era che quella
moneta ora si era schiantata a terra: nessuno l'aveva salvata dalla
sua caduta. E così, a quella realizzazione, un ennesimo
singhiozzo
strozzato e secco gli uscì dalle labbra. Anders si
tappò la bocca,
premendo forte la mano, imponendosi il silenzio mentre lacrime calde
– lacrime che aveva creduto fossero terminate – gli
rotolavano
giù per le guance scavate e ispide di barba.
Sentì le gambe
tremare, le spalle scosse, il mondo risucchiarlo. E non cadde a terra
solo a causa del tanfo del cadavere bruciato sulla pira. A quanto
pare, la morte si rifiutò di vederlo cedere. Come se ci
fosse
qualcosa di ancora integro, dentro Anders. Qualcosa che ancora valeva
la pena essere sbriciolato.
“Mi hai lasciato con dei cocci,
amore mio. Ma io non so neanche da dove cominciare per rimetterli
insieme...” Si ritrovò a sillabare, muto. Per la
prima volta,
dalla notte precedente, si concentrò: non guardava
più solamente la
pira, ma ora l'osservava. Osservava quelle mani ondeggianti e
crepitanti purificare ed estinguere ciò che era stato
Philippe Hawke
– ciò che era stato Amore. In mezzo a quella trama
arancione,
rossa e gialla, le sagome nere della legna e di Hawke erano un
profilo indistinguibile che davano vita ed alimentavano le fiamme.
La faccia di Anders era di cera: un quadro dipinto sui toni di un
grigio malsano. I capelli fradici erano ormai appiccicati alla fronte
e la pioggia creava rivoli giù per il volto e per il collo
del
guaritore. Se ne stava là, immobile. E tuttavia, niente
venne in suo
soccorso: non il sole, non un fiato di vento, non un uccello a
razzolargli tra i piedi. Perché – ormai era
chiaro: Dio, per
l'ennesima volta, si era coperto gli occhi.
Le dita, ad un certo
punto, si strinsero attorno ad un ciondolo (una semplice moneta
forata) che Hawke gli aveva donato: “Forse è vero,
che abbiamo
sbagliato. Forse è vero che siamo abomini –
creature impure
meritevoli solamente di un castigo. Lo dicono loro, inneggiando al
loro Dio. Però una cosa è certa: non
smetterò di chiamarti “amore
mio” e di amarti – perché, in fondo,
è ciò che so fare meglio.
Non rinnegherò un solo istante, non rimangerò
nessun fiato e
nessuna parola e non cancellerò mai dalla mia memoria le
notti che
solo io e te abbiamo vissuto. E se questo significa essere un mostro,
sarò lieto di chiamarmi tale.”
Quella di Anders era stata una
preghiera mormorata tra le pieghe di un sorriso amaro.
Poi rimise
in tasca la sua moneta, da cui non si sarebbe mai separato. Estrasse
il suo coltello e si prese i capelli, sudici e bagnati, raccolti nel
solito codino. Fu netto il taglio, mentre le ciocche gli ricadevano
sul viso e si chiudevano all'altezza delle tempie come un sipario. Si
avvicinò quel tanto che bastava per gettare nel fuoco quei
fili
biondi e spenti e lo fece ingoiando un'altra ondata di dolore e
pianto e nausea. Lo fece ricordandosi il volto del suo uomo quando si
studiò per la prima volta con la sua cicatrice, rossa e
gonfia.
Ricordò se stesso che diceva: “sei
sempre molto bello”,
guadagnandosi
per la prima volta
il bene più prezioso: il suo sorriso.
“E' così, amore mio.
Non avresti voluto morire da solo e così è stato.
Dio si è coperto
gli occhi, non ti ha guardato; sono i miei occhi, Hawke, quelli a
rimanere aperti.”
E non disse, mentre voltava le spalle alla
pira e se ne andava, che sempre i suoi occhi sarebbero stati aperti.
E non disse neanche, mentre le fiamme si estinguevano quiete, che lo
amava.
Perché, in fondo, questo, anche Dio lo sapeva.
Walking_Disaster's
corner:
E' stata dura, ma ce l'abbiamo fatta. Sono molto contenta di questa mia
storia e per me spuntare "completa" è una piccola vittoria
ogni volta. Spero piaccia a voi com'è piaciuta a me.
Lasciatemi un commento, se vi va :)
Alla prossima,
WD
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