Pericolo nell'ombra

di mar_79
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** “Non abbiate mai paura dell'ombra. E' li a significare che vicino, da qualche parte, c'è la luce che illumina.” Ruth E. Renkel ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** “Non abbiate mai paura dell'ombra. E' li a significare che vicino, da qualche parte, c'è la luce che illumina.” Ruth E. Renkel ***


Capitolo 1
 
La sua tazza da tè preferita stretta tra le mani, Sharon era appoggiata alla ringhiera del terrazzo e lasciava vagare lo sguardo sulla città che si apriva sotto di lei. Era da poco passata l’alba e quello era uno dei momenti che preferiva, quando la città non era più addormentata ma neanche del tutto liberata dal torpore notturno, quando le prime luci e le prime voci cominciavano a riempire l’aria e i raggi del sole iniziavano a far sentire il loro tepore. Quando poteva ancora illudersi che omicidi e violenza non fossero tra le attività principali a LA. Si lasciò sfuggire un profondo sospiro e bevve un sorso del sue tè caldo per cercare di scacciare i brutti pensieri insinuatisi a forza nella sua mente. “Basta” si disse, “cerca di concentrarti sulle cose belle della tua vita, hai tanto per cui essere felice e grata”.
Il rumore della porta scorrevole della vetrata la fece voltare. Eccola lì una delle ragioni per cui essere felice. “Ricky, scusami ti ho svegliato”.
Suo figlio le si avvicinò e, dopo averle dato un bacio sulla guancia, si appoggiò alla ringhiera dando le spalle al panorama. “Non preoccuparti mamma, mi piace alzarmi presto… di solito. Devo averlo preso da te” concluse accompagnando le parole con un grande sbadiglio.
“Già, lo vedo” rise lei facendogli una carezza. Ricky era arrivato a Los Angeles due giorni prima per una settimana di vacanza da passare in famiglia e, come capitava in quelle occasioni, si era sistemato sul divano del soggiorno. Sharon era così felice di averlo a casa, anche se per un breve periodo, le occasioni per stare insieme erano talmente rare con Ricky così impegnato con il suo lavoro. Perciò aveva deciso di fare qualcosa che non faceva praticamente mai: aveva lasciato Provenza a capo della MC e si era presa un week end completamente libero da dedicare ai suoi due ragazzi. Non avevano fatto nulla di particolare, avevano mangiato fuori, girato per la città e per negozi – secondo Sharon, Ricky doveva assolutamente rinnovare il suo guardaroba e farsi un taglio di capelli decente – erano andati al cinema ma, soprattutto, erano stati insieme a chiacchierare, scherzare e ridere e ogni momento passato insieme era stato veramente speciale per lei. A volte a lei, Ricky e Rusty si erano uniti anche Gus e Andy, e il suo cuore si era gonfiato di gioia rendendosi conto come tutti insieme fossero ormai una famiglia e che quella era anche l’immagine data a chi li osservava da fuori. Se solo anche Emily fosse stata lì la sua felicità sarebbe stata veramente completa. Anche se…
Una ruga le si formò in mezzo alla fronte e strinse le labbra come infastidita.
“Mamma, qualcosa non va? Sembri preoccupata.”  Ricky le si avvicinò e la guardò dritta negli occhi, poi le diede un colpetto sulla spalla con la sua. “A me puoi dirlo, problemi a lavoro? Oppure non riuscivi a dormire perché il tuo bel tenente stanotte ti ha lasciato sola?” Un sorriso malizioso distese le labbra del ragazzo. “Rusty mi ha detto che Andy si ferma qui spesso per la notte, spero non abbiate cambiato abitudini perché ci sono io. Ci sono aspetti della vostra relazione che preferisco non sapere ma …”
“Richard William Raydor, attento a quello che stai per dire” lo ammonì lei agitandogli un dito davanti al naso.
“Ehi, tranquilla, volevo solo dire che siamo tutti grandi e non vorrei creare problemi in paradiso. Penso di poter sopportare di vedere Andy in giro per casa anche al mattino presto, anzi Rusty dice che prepara un ottima colazione, e il mio stomaco gradirebbe molto assaggiarla”, concluse massaggiandosi la pancia.
“Mi spiace per te ma dovrai accontentarti della mia cucina. E comunque no, Ricky, non sei tu il motivo. Certo Andy ed io preferiamo essere discreti, ma in ogni caso lui ieri sera aveva una riunione agli alcolisti anonimi e poi andava a cena da Nicole, era tanto che non la vedeva e non passava un po’ di tempo con i bambini.”
“Bene, sono contento di sapere che la sua assenza non dipende da me!” Ed era sincero. Rusty lo teneva informato degli sviluppi della relazione della loro madre e sapeva, per aver parlato con lei e per averli visti in quei giorni, che quei due erano veramente felici insieme e che Andy era realmente ciò di cui sua madre aveva bisogno in quel momento della sua vita. Lo capiva da come si guardavano, da come si sfioravano appena possibile e da come si sorridevano e ridevano insieme. Doveva ammettere di non aver mai visto prima sua madre tanto rilassata e spontanea. Ma ciò che lo aveva veramente convinto era stato l’averli visti baciarsi. Stava tornando dal bagno e, entrando in cucina, li aveva colti in flagrante, l’uno nelle braccia dell’altro, completamente estranei a tutto ciò che non fosse la persona che stavano stringendo e accarezzando, persi in un completo momento di beatitudine. Allora, non volendoli mettere in imbarazzo, era tornato sui suoi passi e aveva fatto abbastanza rumore per avvisarli della sua presenza. Era entrato solo quando aveva sentito sua madre chiedere a Andy di passarle l’insalata. Sorrise al ricordo e si passò una mano tra i capelli. “Ora entro a farmi una doccia prima che il fratellino si svegli e occupi il bagno per almeno un’ora.”
“Vai caro, io resterò qui ancora un poco”. Rimasta sola, il sorriso scomparve dalle sua labbra e una profonda ruga tornò a solcarle la fronte. Come poteva spiegare a Ricky che quella notte non aveva dormito perché dalla sera prima aveva uno strano senso d’inquietudine che non la abbandonava? Aveva la sensazione che qualcosa di brutto stesse per abbattersi su di loro, una sensazione viscerale diventata quasi un dolore fisico che l’aveva costretta ad abbandonare il letto e a cercare conforto nel suo amato the. Lei non era certo il tipo che si fidava delle sensazioni o prendeva le proprie decisioni in base ad esse. Amava le regole, i fatti concreti, con quelli si sentiva al sicuro, con quelli lavorava ogni giorno, ma quella volta era una percezione troppo forte e troppo concreta per poterla ignorare. Qualcosa di brutto, qualcosa di pericoloso e, tremò al pensiero, forse qualcosa di mortale.
Guardò un ultima volta la città ormai completamente sveglia e si appoggiò una mano sulla bocca per trattenere un singhiozzo. Sperava solo di essere in errore.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Un’ora più tardi la casa era in piena attività. Sharon era in cucina a preparare la colazione per tutti; Ricky leggeva qualcosa sul suo iPad seduto comodamente nella poltrona vicino la vetrata, i piedi appoggiati sul tavolino da caffè, mentre Rusty faceva avanti e indietro tra la sua camera e il bagno.
Il silenzio fu spezzato dal suono del campanello. “Uno di voi due può aprire, per favore” chiese Sharon, impegnata ai fornelli.
Ricky non si mosse dal suo posto, anzi sprofondò ancora di più nella poltrona. “Rusty, hai sentito la mamma? Apri la porta fratellino.”
Rusty andò ad aprire lanciando un’occhiataccia al fratello che gli sorrideva e faceva una smorfia ironica.
Sulla soglia c’era Andy e il ragazzo accennò quello che, con molta fantasia, poteva considerarsi un sorriso.  “Tenente” lo salutò, “Sharon è in cucina, io vado a finire di prepararmi.” E senza aggiungere altro ritornò nella sua stanza.
“Buongiorno anche a te ragazzo”, sorrise Andy entrando in casa agitando la testa. “Ricky” salutò l’atro ragazzo con un cenno del capo. Un largo sorriso gli distese le labbra quando arrivò di fronte a Sharon. “Ciao” sussurrò mentre l’attirava vicina per darle un bacio sulla testa. Lei ricambiò il sorriso e gli accarezzò il petto all’altezza del cuore.
Ricky, che aveva osservato tutta la scena, sollevò un sopracciglio. “Tenente, questa mattina presto mi è stato riferito che la mia presenza non vi ha fatto cambiare le vostre abitudini. Mi hanno detto il falso?”
Andy era confuso, non capiva dove Ricky volesse andare a parare e perciò guardò Sharon in una muta richiesta di spiegazioni. Lei si limitò a scrollare le spalle e sorridere con un cenno d’assenso, come a dire “è strano lo so, ma accontentalo”. E Andy lo fece. “No, ragazzo, è vero. Siamo quel che vedi.”
“Quindi devo credere che sia così che al mattino saluti la donna che ami?” chiese incrociando le braccia sul petto e cercando di mantenersi serio. “Mi sarei aspettato di meglio da uno con la tua fama, tenente!”
Sharon non poté evitare di arrossire. “Ricky smettila subito, e togli i piedi dal tavolino!”
“Dai mamma, era una domanda innocente. Capisco che abbiate un’età, ma quando si ama…”
“Richard!” le guance di Sharon adesso erano in fiamme, gli occhi spalancati. Suo figlio era sempre stato un tipo ironico e con la battuta pronta, ma adesso stava esagerando, tutte quelle domande e quei discorsi sull’amore iniziavano a essere fuori luogo.
“Ok, ok,” si intromise Andy mentre appoggiava la giacca allo schienale di una sedia. “Posso?” chiese guardando Ricky con occhi sorridenti e indicando Sharon con una mano.
“Ma certo.” Il ragazzo diede il suo consenso, come se realmente spettasse a lui decidere.
Immediatamente Andy circondò con le braccia la vita di Sharon e l’attirò contro di sé con decisione mentre lei lo guardava allibita e gli occhi le si spalancavano ancor di più per la sorpresa. “Buongiorno amore”, disse Andy prima di catturarle le labbra in un vero bacio. A quel contatto così dolce ma passionale, ogni possibile tentativo di protesta si sciolse come neve al sole e Sharon ricambiò il bacio mentre una mano, come dotata di vita propria, si poggiava sulla guancia di Andy per una tenera carezza.
Rusty, che arrivava proprio in quel momento, si bloccò sulla porta. “Ehi voi, credevo avessimo un accordo per questo!”
Pur allontanandosi un po’ da Sharon, Andy non la liberò completamente, impedendole così di scappare via. “Gli accordi sono la specialità di tua madre, non mia, spiacente. E poi ogni tanto uno strappo alle regole è piacevole. Ormai sono quasi riuscito a convincere anche vostra madre, vero Sharon?”, aggiunse guardandola con un sorriso sornione e sollevando velocemente entrambe le sopracciglia.
“Giusto tenente, sono d’accordo” annuì energicamente Ricky prima di rivolgere la sua attenzione a Rusty. “Dunque sei tu, fratellino, ad avere problemi con le effusioni pubbliche.”
“Io non ho nessun problema”, il ragazzo prese posto al tavolo da pranzo, “solo preferisco non vedere. Per te è più facile, non sei qui tutto il tempo, se li lasciassi fare…beh, lo zucchero preso a grandi dosi non è una buona cosa, se capisci cosa intendo.”
Sharon alzò gli occhi al cielo prima di rivolgere a entrambi i sui figli lo sguardo severo da Darh Raydor. “Adesso basta, state esagerando. La vita di coppia mia e di Andy riguarda solo noi, chiaro? E adesso mangiate.” Sapeva benissimo che si stavano divertendo a provocarla e che non c’era nessuna malizia in loro, anzi era un modo per esprimere il loro affetto, e li amava per questo, ma non poteva evitare di imbarazzarsi con quei discorsi. Perciò voleva sembrare decisa e incutere loro timore, ma la voce tradiva un po’ di emozione e le guance erano nuovamente arrossate.
“Oh, guarda fratellino” esclamò Ricky raggiungendoli al tavolo, “hai fatto arrossire la mamma!”
“Veramente era già arrossita con le tue domande Ricky,” chiarì Andy versandosi un bicchiere di aranciata. “Ma queste guance rosse non sono nulla di che, dovreste vederla quando io…”
“Andy!” scandalizzata Sharon gli diede una pacca sul braccio. “Non dargli corda anche tu, sono già scatenati da soli.”
“Va bene, da questo momento saremo buoni, vero ragazzi?” 
Quando Ricky e Rusty annuirono, Sharon poté finalmente rilassarsi. Da quel momento parlarono un po’ di tutto ma non della sua vita sentimentale. Ascoltò i suoi figli discutere di nuove tecnologie di cui lei non conosceva neanche il nome, si unì alla conversazione quando Andy iniziò a parlare di baseball e football, rise alle loro battute e ne fece di proprie.  Finalmente, dopo molte ore, la sensazione che l’aveva tormentata sembrò acquietarsi pur non scomparendo del tutto. 
Terminato di mangiare, i tre uomini misero i piatti nella lavastoviglie parlando dei loro piani per la giornata. Era lunedì mattina e Sharon doveva tornare a lavoro, due giorni liberi erano il massimo che aveva potuto  prendersi, mentre Rusty doveva andare a lezione e poi a fare delle ricerche che lo aiutassero a decidere quale nuovo caso trattare nel suo vlog. Per questo Ricky si era organizzato per incontrarsi con dei vecchi amici mentre con la famiglia si sarebbero rivisti in serata sempre che Sharon e Andy non dovessero rimanere a lavoro fino a tardi.
Sharon stava prendendo distintivo e pistola dal mobile dell’ingresso quando l’iPad di Ricky segnalò una notifica e lei lo vide leggere il messaggio con una strana espressione. “Qualche problema? I tuoi amici hanno annullato l’appuntamento?”
“No mamma, si tratta di un’applicazione che ho installato da poco. Mi invia una segnalazione ogni volta che il nome di uno dei miei contatti viene citato su un sito internet. È così che ho saputo delle recensioni sull’ultimo spettacolo di Emily e dei nuovi casi di papà.”
Rusty si avvicinò a sbirciare da sopra la spalla del fratello. “E questa volta di chi si tratta?”
“Di mamma, diversi siti giornalistici la citano.” Ricky continuò a scorrere il touchscreen con sguardo interessato.
Andy si grattò il mento. “Forse per il triplo omicidio che abbiamo risolto la settimana scorsa? Vostra madre è stata davvero brillante e dovevate vedere come quel verme è crollato quando l’ha interrogato.”
Ricky fece segno di no con la testa. “E’ qualcosa di molto più vecchio. Qui dice <>. Ti ricordi questo tizio, mamma?”
Se lo ricordava? Non avrebbe potuto dimenticarlo neanche volendo. E aveva sperato di non sentirne parlare mai più. Ma, a quanto sembrava, il suo desiderio sarebbe rimasto tale.
“Wow, il caso Lloyd,” Andy era sinceramente sorpreso. “Uno dei più grandi successi di vostra madre quando era agli Affari Interni.  Un paio d’anni prima che iniziasse a collaborare con il Capo Johnson e la Major Crimes. Fu un’indagine lunga e complessa, un vero caso mediatico, i giornalisti cercavano in tutti i modi di avere delle dichiarazioni da vostra madre ma lei non cedette neanche dopo la condanna. Ricordo che alcuni giornali non furono per niente gentili con lei per questo suo silenzio. E anche all’interno del dipartimento ci furono diverse tensioni.”
Sharon, il viso completamente inespressivo e lo sguardo fisso davanti a lei come se stesse riportando alla memoria dei ricordi sgradevoli, si lasciò scappare un “non hai idea quante.” Poi scosse la testa e prese la borsa, pronta ad uscire.
“Dai mamma, dicci di più, non puoi lasciarci così.”
Rusty sembrava molto curioso. La tipica curiosità dei giornalisti, pensò lei, simile a quella con cui si era scontrata diversi anni prima. Ma, oggi come allora, lei non avrebbe discusso di quel caso con nessuno. “E’ una storia del passato Rusty, e lì deve rimanere. Non è materiale per il tuo vlog, e non farmelo ripetere.” Il tono della sua voce doveva essere stato più duro di quanto avrebbe voluto, perché tutti e tre gli uomini la guardarono sorpresi e un po’ preoccupati.
Andy si schiarì la gola. “Adesso è ora di andare, si sta facendo tardi. Buona giornata ragazzi.” Mise una mano sulla schiena di Sharon e la guidò fuori dalla porta. Doveva ammetterlo, era sorpreso della sua reazione, della sua reticenza a parlare di quella che lei stessa aveva definito una storia del passato, ma preferì non darlo a vedere. In fondo, si disse, a quei tempi lui non conosceva bene Sharon e tutto quello che aveva saputo del caso Lloyd gli era arrivato da voci di corridoio o dai documenti ufficiali disponibili. E, lui lo sapeva bene, in quelle carte c’erano solo delle mezze verità, i fatti descritti erano la punta dell’iceberg, la parte più consistente restava ben nascosta, soprattutto ciò che riguardava le pressioni e gli scontri interni. La verità era privilegio di pochi, dei diretti interessati e di pochissime altre persone. E spesso, più di un privilegio si trattava di un peso che gravava soprattutto sulle spalle dalle persone corrette e oneste come Sharon.
Quando si fermarono davanti all’ascensore le prese il mento tra le dita e, sollevandole il viso, la costrinse a guardarlo negli occhi. “Sharon, stai bene?” le domandò dolcemente scrutandola con occhi gentili. Il buon umore che aveva avuto durante la colazione era chiaramente scomparso, ora sul suo volto vedeva solo tensione e preoccupazione. Per lui, che riusciva ormai a leggerla come un libro aperto, era chiaro che qualcosa l’aveva turbata ed era successo appena era stato pronunciato il nome Lloyd. In ogni caso non le avrebbe chiesto direttamente se volesse parlarne, sapeva che insistere quando lei era di quell’umore sarebbe stato peggio, l’avrebbe solo fatta chiudere ancora di più a riccio.
Sharon era così, aveva bisogno dei suoi tempi e lui ormai aveva imparato a conoscerli e a rispettarli, perciò avrebbe aspettato che fosse lei a scegliere il momento per sfogarsi. Per ora si sarebbe limitato a farle capire che lui era lì per lei, con lei. Sempre.
E Sharon lo capì. Gli sorrise e addolcì lo sguardo accarezzandogli un braccio. “Tutto bene, tranquillo. E ora sbrighiamoci prima che Provenza ci telefoni esasperato lamentandosi di essere sepolto dalle scartoffie.”
 
Appena arrivati alla Major Crimes, Sharon salutò frettolosamente la squadra e si diresse immediatamente alla scrivania di Provenza. Se c’era qualcuno che poteva sapere meglio cosa stava accadendo, quello era il vecchio tenente, era lì da molti anni e aveva le conoscenze giuste. Non che lei non le avesse, in fondo era stato un suo caso e nessuno si sarebbe sorpreso se avesse fatto un paio di chiamate per saperne di più, ma prima di mettersi in gioco personalmente sperava di riuscire ad avere qualche altro dettaglio. Sempre meglio sapere chi o cosa devi affrontare, si evitavano inutili rischi per sé stessi e per gli altri. Era una delle regole che l’aveva sempre accompagnata nel suo lavoro.
“Tenente, cosa sappiamo della riapertura del caso Lloyd?” chiese quindi senza troppi preamboli.
“Le belle notizie viaggiano veloci a quanto vedo.” Il tenente posò il giornale che stava leggendo sula scrivania e ne indicò il titolo in prima pagina.  “Cosa sappiamo…oltre al fatto che l’hanno riaperto?”
Sharon mise le mani sui fianchi e lo guardò severa. “Tenente, non ho per nulla voglia di scherzare.”
“Scherzare? Pensa che stia scherzando?” Si passò una mano sul viso e la guardò sconsolato. “Nessuno parla, è tutto un dannatissimo segreto! Nuove prove dicono, e chi le ha mai viste! Un supertestimone? E chi lo conosce! E come se non bastasse, per peggiorare tutto questo casino, il procuratore che si occupò del caso è morto.”
Sharon annuì. “Si, Frank ha avuto un incidente d’auto due anni fa.”
Se qualcuno si sorprese che il Capitano chiamasse per nome il Procuratore Allen, beh, nessuno lo diede a vedere anche se Andy e Provenza si scambiarono un’occhiata veloce.
“Esatto”, riprese Provenza. Ma una cosa sono riuscito a saperla e, mi creda Capitano, non le piacerà come non è piaciuta a me. So chi è il nuovo procuratore che si occuperà del processo e vi dico che, mentre con Allen si poteva parlare, il nuovo DDA non è certo un tipo disponibile.”
“Lo conosciamo?” si intromise Amy.
“Eccome Sykes, eccome. È la nostra cara Emma Rios. Perciò se vuole sapere qualcosa, beh, buona fortuna Capitano.”
Sharon alzò gli occhi al cielo esasperata ed emise un profondo sospiro.
“Capitano, mi spiace portare altre brutte notizie”, intervenne il tenente Tao, “ma ha chiamato il Capo Taylor. Vuole vederla tra mezz’ora nel suo ufficio e le comunica che ci sarà anche il Capitano Morrison.”
“Il tuo sostituto agli Affari Interni?” la sorpresa nel tono di Andy era evidente. “Sharon, ma cosa sta succedendo?”
“Non lo so Andy, davvero non lo so. Ma voglio scoprirlo presto.” Li guardò con un mezzo sorriso di circostanza. “Bene signori, questa non è una nostra indagine perciò non dovete preoccuparvene. Ora vado nel mio ufficio.” Prese il giornale che fino a qualche minuto prima era tra le mani di Provenza. “Se non le dispiace, porto questo con me. Grazie a tutti.”
“Sharon…” Andy allungò la mano per sfiorarle un braccio, ma lei si limitò a un cenno e a un sorriso che sembrava più che altro una smorfia prima di sparire oltre la porta, richiudendola con un colpo secco più forte del solito.
Andy e Provenza si scambiarono un’altra occhiata, questa volta più tesa della precedente. Era chiaro che qualcosa di grosso stava per succedere e il colloquio per cui Sharon era stata convocata da Taylor ne era la conferma. Potevano esserci degli sbagli o delle irregolarità nelle indagini condotte dal Capitano otto anni prima? L’avvocato di Lloyd avrebbe potuto utilizzarle per riaprire il caso? Di sicuro c’erano cose del passato di Sharon, di quando svolgeva il suo vecchio lavoro, che non sapevano e che non avrebbero mai saputo, questioni che probabilmente riguardavano sia la sua vita lavorativa sia quella privata.  Ma poteva esserci qualcosa di negativo in quel passato? Qualcosa che avrebbe potuto cambiare l’opinione che avevano di lei che ormai per Provenza era una buona amica e un ottimo superiore, e per Andy addirittura la donna che amava? No, pensarono entrambi, difficile, anzi impossibile.
Sharon Raydor, la donna delle regole e dei protocolli non poteva avere quel tipo di segreti.
Intanto, al sicuro da sguardi indiscreti, Sharon era appoggiata con la schiena contro la porta, cercando di mantenersi calma. Quella dannata sensazione, quel doloroso nodo allo stomaco, era tornato più forte di prima, tanto forte che persino respirare le era diventato difficile.
Tirò le tende e andò a sedersi alla scrivania. Mise il giornale davanti a sé e iniziò a leggere, ma dopo sole poche righe le fu impossibile concentrarsi. I ricordi la chiamavano inesorabilmente.
Chiuse gli occhi, si lasciò andare contro lo schienale della sedia e finalmente permise al passato di riaffiorare con tutta la sua forza, nitido e tangibile come se gli ultimi otto anni non fossero mai esistiti.
 
 
 
 
 
 

 

 

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


- La storia è ambientata tra le stagioni 4 e 5.
N.d.A.: Le parti in corsivo sono ambientate nel passato
 
Febbraio 2008
Anche quella sera aveva fatto tardi, ormai era diventata un’abitudine. Guardò l’orologio che portava al polso: le 21.00! stava nel suo ufficio agli Affari Interni molto più che a casa.
Ma in fondo non era poi tanto male, almeno rimanendo lì si portava avanti con il lavoro, nel suo appartamento si sarebbe ritrovata da sola, con un bicchiere di vino in mano, a chiedersi quando i suoi figli sarebbero tornati a farle visita e a rimuginare su quanto solitaria stesse diventando la sua vita.
Abbassò lo sguardo sulle carte che aveva sulla scrivania e ci picchiettò sopra con la penna. Se quel caso si fosse rivelato serio anche solo la metà di quanto sembrava,  il colpo per il LAPD sarebbe stato tremendo, e lei occupandosene rischiava di essere anche più sola e malvista del solito nel Dipartimento. Già adesso non aveva un gran numero di sostenitori, non era possibile con il lavoro che faceva. Tutti quanti si limitavano a pensare – e spesso dire – che gli Affari Interni erano la rovina del LAPD, dei “falsi” poliziotti che impedivano a quelli veri di fare il loro lavoro con norme assurde e che addirittura e spesso rovinavano la vita e la carriera a persone perbene.
Nessuno si sforzava di capire. Tutti loro erano poliziotti, tutti loro avevano fatto lo stesso giuramento – proteggere e servire la popolazione di LA – e l’intervento degli Affari Interni non avveniva per gioco o per vendetta, era necessario per investigare gli appartenenti alla forza di polizia sospettati di aver infranto la legge, di aver avuto una cattiva condotta o un comportamento criminale. Nessuno veniva condannato senza un’indagine giusta e completa, così come avveniva per le rapine, i rapimenti e gli omicidi. Certo, quando un reato era commesso da chi aveva giurato di combatterli, quel reato diventava ancora più vile e difficilmente accettabile ma, in ogni caso, alla fine a prevalere dovevano essere la legge e la giustizia.
E lei aveva dedicato la sua vita alla legge e alla giustizia. E il caso di cui si stava occupando in quel momento non faceva alcuna differenza, non importava chi vi fosse coinvolto.
In realtà non era ancora un vero e proprio caso, ma un’indagine preliminare basata su alcune segnalazioni arrivate al suo ufficio. La prima telefonata anonima era arrivata subito dopo le feste di Natale, il detective che aveva risposto aveva trascritto tutto come sempre ma l’aveva bollata subito come un cumulo di balle, il tentativo di ritorsione di qualche sbandato nei confronti del poliziotto che lo aveva arrestato. Ma poi le segnalazioni erano continuate, al ritmo quasi di una al giorno, ed erano sempre ben dettagliate, con date, cifre, luoghi, perciò era diventato impossibile non aprire un fascicolo di indagine. L’aveva fatto lei stessa, informando la sua squadra che se ne sarebbe occupata in prima persona e i suoi uomini avevano capito.  Non si trattava di mancanza di fiducia in loro, il problema era che trattare quel caso avrebbe potuto rovinare la carriera e la reputazione di chi lo conduceva, specialmente se si fosse rivelato un bluff, e lei non era tipo da mettere a rischio gli altri se poteva evitarlo. Certo, avrebbe avuto bisogno del loro aiuto, ma tutte le responsabilità sarebbero state sue. E poi c’era un’altra questione da considerare, una possibile fuga di notizie e quindi un conseguente inquinamento delle prove prima che potesse verificarle. Meno persone erano coinvolte, più facile sarebbe stato per lei gestire il tutto.
Il Capo Pope, con cui aveva avuto un incontro giusto quella mattina, era dello stesso parere. Non c’era da meravigliarsi che Pope volesse il massimo riserbo e la verifica di ogni più piccolo dettaglio prima di rivolgere un’accusa formale a un alto ufficiale in grado del suo Dipartimento. Quando si raggiungeva una posizione come quella di Will Pope, si smetteva di essere poliziotti e ci si trasformava in politicanti ed equilibristi, sempre in cerca del modo migliore per rendere tutti contenti e non irritare nessuno, si trattasse del sindaco, dei giornalisti o degli uomini al suo comando. “Sono certo, Capitano, che lei agirà nell’interesse del Dipartimento e che sarà discreta come sempre”, le aveva detto con un sorriso ma con tono di comando.
Un muscolo era guizzato sulla guancia del Capo e una buona dose di preoccupazione era apparsa nei suoi occhi quando gli aveva risposto senza esitare che se l’interesse del Dipartimento era eliminare gli elementi di disturbo al suo interno, senza subire pressioni o fare favoritismi, allora sì, avrebbe agito come sempre.
 
Sharon si sistemò meglio sulla sedia. A ripensarci adesso, a otto anni di distanza, la paura che aveva scorto sul viso di Pope alla sua risposta, la faceva sorridere. Già a quel tempo circolavano voci di una sua possibile candidatura a capo della polizia e molto dipendeva dalla sua capacità di gestire situazioni come quella. Accusare Martin Lloyd, Comandante della sezione antidroga, di corruzione, appropriazione indebita del denaro sequestrato nelle retate e addirittura di spaccio di droga in accordo con i cartelli messicani, aveva provocato un terremoto catastrofico. Fino a quel momento Lloyd era un’istituzione all’interno della polizia di LA, addirittura un eroe per la comunità grazie al suo costante impegno per liberare le strade della città da droghe e spacciatori. Grazie al lui e ai suoi uomini la città era diventata più sicura e ben presto anche la stampa aveva iniziato a occuparsi delle gesta del Comandante Lloyd esaltandone il grande coraggio, le capacità investigative e i risultati ottenuti. Risultati che gli erano valsi anche diversi riconoscimenti ufficiali consegnatigli dal Sindaco e da Pope stesso.
Essere troppo morbidi avrebbe scatenato le proteste di quella parte di giornalisti e cittadini che vedevano nel LAPD un mondo a parte e nei poliziotti degli arroganti prepotenti che volevano far rispettare le regole agli altri, ma non esitavano a trarre vantaggio dalla loro posizione a scapito della giustizia e della sicurezza della città.
Essere troppo duri avrebbe risvegliato chi invece proteggeva a spada tratta i poliziotti, ritenendoli sottostimati e sottopagati per il servizio che fornivano alla città a rischio della propria vita, e avrebbe creato enormi tensioni all’interno dello stesso Dipartimento. Cosa quest’ultima che, in effetti, era successa, come ricordato da Andy quella mattina, poiché quello che aveva scoperto procedendo con le indagini non le aveva certo permesso di essere gentile.
 
 
Aprile 2008
Insieme alla sua squadra del FID stava rientrando da una scena del crimine, una sparatoria che aveva coinvolto tre agenti, per fortuna senza conseguenze gravi per nessuno e che si sarebbe risolta velocemente, quando, nella hall del Police Administration Building, la sua attenzione fu attirata da un gruppo di poliziotti, alcuni in borghese, altri in divisa, che la fissavano con espressione torva. Era abituata a certi sguardi, quando lei entrava in azione, un poliziotto stava per finire nei guai, e tutti gli altri tendevano a essere solidali con il collega coinvolto. E quella volta non faceva eccezione. Non le ci volle molto, infatti, a riconoscere in quel gruppo detective e agenti dell’antidroga, tutti agli ordini del comandante Lloyd. Come aveva temuto, non appena aveva iniziato a verificare le informazioni delle segnalazioni anonime, controllando i verbali e le prove archiviate e avvicinando alcuni informatori di sua fiducia, le voci avevano iniziato inevitabilmente a circolare, ed erano ben presto arrivate alle orecchie dei diretti interessati. Gli uomini di Lloyd stavano facendo quadrato intorno a lui e avevano individuato in lei il nemico.
Ormai si era abituata, aveva dovuto abituarsi. Gli sguardi, le ironie, le offese…si era costruita una corazza con cui farsi scivolare tutto addosso. Lei, a cui erano stati affibbiati i soprannomi peggiori e più svariati, fingeva di non sentire quando venivano pronunciati alle sue spalle e andava avanti per la sua strada.  Perciò entrò nell’ascensore senza dare troppa importanza a quegli uomini.
Le porte stavano per richiudersi, quando uno dei poliziotti in borghese le bloccò con entrambe le mani. “Capitano Raydor, lei e la sua squadra siete stati sul campo? Per fortuna siete tornati tutti interi e senza neanche una macchiolina di fango sui vostri bei vestiti.” Il tono era chiaramente derisorio e con una sfumatura di rabbia appena contenuta. “Il vostro lavoro vi espone a grandi rischi, lo capisco, è pericoloso raccogliere bossoli, trascrivere testimonianze e ordinare a tutti di stare indietro.”
La squadrò dalla testa ai piedi con un sorriso malizioso. “Sa, mi piacciono le donne che danno ordini, possono essere molto eccitanti.”
Il detective Marlowe, il suo più fidato collaboratore, si mosse in avanti minaccioso, ma lei lo bloccò poggiandogli una mano sul braccio.
 “Tranquillo Marlowe,” aveva ripreso l’altro, “non voglio invadere il tuo territorio e poi, per quanto possa essere eccitante, non sopporto chi getta fango addosso ai polizotti standosene comodamente seduto sulla sua poltrona. Capitano, lei dovrebbe fare il nostro lavoro anche solo per un paio di giorni e scommetto che le passerebbe la voglia di fare accuse assurde.”
Lei non aveva risposto subito, invece aveva guardato oltre le spalle del Detective, verso il gruppo dei suoi colleghi. Alcuni la guardavano irritati, altri ridacchiavano divertiti, uno solo, un ragazzo giovane e biondo, sembrava a disagio e teneva gli occhi bassi. Per un lungo attimo si era concentrata su di lui, pensierosa, poi aveva rivolto la sua attenzione nuovamente al suo interlocutore. Aveva incrociato le braccia sul petto e ricambiato lo sguardo di sfida: conosceva quel tipo, il Detective Sandoval, aveva un fascicolo su di lui con diversi reclami e provvedimenti disciplinari, e non sarebbero state certo le parole di un tipo del genere a preoccuparla. “Se ha finito Detective Sandoval, la mia comoda poltrona mi aspetta e non voglio certo far tardi per colpa sua.”
Sandoval tolse una mano dalla porta e iniziò a voltarsi. Poi, improvvisamente tornò a guardarla. “A pensarci bene, anche quando si raccolgono bossoli e deposizioni qualche volta si possono verificare degli incidenti. Mi raccomando, stia attenta Capitano.”
“Mi sta minacciando?”
“Io? Ma cosa dice, è solo un consiglio, non vorrei mai sentire che le è successo qualcosa di male.” Tolse finalmente le mani, si allontanò camminando all’indietro e la salutò accennando un saluto militare portandosi la mano destra alla tempia.
A quel punto era stata lei a bloccare le porte. Le labbra distese in un sorriso che però non arrivava agli occhi, nei quali anzi c’era uno sguardo glaciale. “Si diverta finché può detective, perché penso che ci rivedremo presto e la prossima volta non sarà lei a sorridere.”
Si era goduta il momento, con il sorriso che velocemente svaniva dalle labbra del Detective, poi si era tirata indietro e finalmente l’ascensore aveva iniziato la sua salita.
 
 
Sharon scosse la testa. In quel momento aveva sorriso e aveva ceduto alla tentazione di rispondere alla minaccia con un’altra minaccia, cosa che di solito non faceva mai, preferendo le azioni alle parole inutili. Con il senno di poi, e sapendo tutto quello che sarebbe successo in seguito, probabilmente si sarebbe comportata diversamente.
Si spostò in avanti per accendere il computer. Nonostante tutto il tempo passato, aveva ancora sul pc una cartella con tutta la documentazione del caso Lloyd. Per quanto avesse voluto dimenticare dopo che il processo si era concluso, non era mai riuscita a cancellarla, il suo subconscio l’aveva costretta a tenerla lì, nascosta ma comunque presente, a ricordarle cosa aveva ottenuto ma anche cosa aveva sbagliato e perso. Forse più che il suo subconscio, a impedirle di eliminare quei documenti erano stati i sensi di colpa.

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


- La storia è ambientata tra le stagioni 4 e 5.
N.d.A.: Le parti in corsivo sono ambientate nel passato
 
 
Luglio 2008
L’indagine era finalmente conclusa. Positivamente. Le prove ottenute dalla sua squadra erano state sufficienti per arrestare Lloyd e alcuni suoi uomini con accuse concrete e pesanti.
Bisognava essere soddisfatti, bisognava esultare perché ancora una volta le mele marce erano state eliminate dal dipartimento e i cittadini di LA potevano sentirsi protetti come meritavano.
Ma lei non poteva essere soddisfatta.
Erano stati mesi difficili, tesi e pericolosi anche. Per la prima volta da quando svolgeva quel lavoro, c’erano stati momenti in ci si era sentita completamente sola e aveva avuto la tentazione di mollare tutto. Ma i suoi principi, i valori in cui credeva e la necessità di fare giustizia, alla fine avevano prevalso. Per ricordare a se stesa il perché lo faceva e con chi aveva a che fare, aveva deciso di essere presente a tutte le udienze del processo che iniziava quel giorno, anche se per testimoniare avrebbe dovuto aspettare almeno una settimana, così le aveva detto Frank.
 
Frank Allen… era stata una fortuna che fosse lui il DDA incaricato del processo, si conoscevano da tempo e si rispettavano, collaborare era stato facile. In realtà alcuni mesi prima che l’indagine iniziasse, lui l’aveva invitata a cena, lasciandole intendere di essere interessato a lei. Frank era un brav’uomo, intelligente e affascinante, ma lei non era pronta per una nuova relazione pur essendo già separata da anni. A quel tempo voleva concentrarsi solo sulla sua carriera e sui figli che stavano per abbandonare il nido e intraprendere la loro strada lontani da lei, così  aveva rifiutato con la frase che usava abitualmente: “sono una donna sposata”. Fortunatamente Frank aveva capito ed era rimasto suo amico. Se non fosse tragicamente morto due anni prima quando la sua macchina era finita giù da una scarpata, sarebbe stata la prima persona cui adesso avrebbe telefonato, certa che l’avrebbe aiutata a capire cosa stava succedendo. Lui era l’unico che, avendo condiviso con lei quel periodo, avrebbe potuto confortarla, come già aveva fatto allora.
 
Luglio 2008
Era il terzo giorno del processo e lei si trovava fuori dall’aula in attesa dell’inizio dell’udienza, ma quel giorno era nervosa, ansiosa. Frank, seduto accanto a lei, se ne era accorto subito e, poggiandole una mano sul braccio, le aveva sorriso. “Sharon, devi essere tranquilla, abbiamo delle prove solide, l’avvocato di Lloyd non potrà fare nulla. Quel verme e tutti i suoi compari finiranno dietro le sbarre per molti anni e tu non dovrai più preoccupartene. Te lo prometto.”
Lei aveva cercato di sorridere a sua volta, ma il suo sguardo era stato attirato da qualcuno dietro le spalle di Frank. Lloyd si stava avvicinando, accompagnato dal suo avvocato, dalla moglie e dal figlio, un bimbo di una decina d’anni. Quando si era trovato di fianco a loro, li aveva guardati prima sprezzante e poi malizioso vedendo la mano di Frank ancora sul braccio di lei. Ma quello che l’aveva stupita di più era stato lo sguardo sbalordito del bambino fisso su di lei. Non capiva come una madre potesse portare un bambino così piccolo ad assistere a un processo come quello, con tutta la curiosità morbosa che girava intorno a suo marito in quel momento. Lei avrebbe fatto di tutto per tenere Ricky ed Emily lontani da una situazione del genere!
Il bambino intanto aveva tirato la mano del padre per attirarne l’attenzione. “Papà, è lei la strega?” aveva domandato al genitore con voce esitante.
Il Comandante aveva annuito e si era accovacciato vicino a lui. “Si Nick, è lei la strega cattiva che vuole mandare papà in galera.”
Allora lo sguardo del bambino si era incupito, le iridi scure erano diventate dure come quelle del padre. Aveva lasciato la mano dell’uomo e si era avvicinato a lei. “Il mio papà non ha fatto niente, lui è un super poliziotto e tu sei cattiva, una strega cattiva!”
Non c’era stata più nessuna esitazione nella sua voce, anzi aveva urlato a squarciagola facendo voltare tutti i presenti verso di loro, molti dei quali stavano ridendo apertamente. Immediatamente Frank aveva fatto un cenno alla guardia di scorta alla famiglia Lloyd perché li facesse allontanare.
“Quel povero bambino”, Frank aveva scosso la testa sconsolato. “Un padre del genere può rovinarti la vita per sempre, sarà sicuramente un adolescente difficile.”
Lei aveva guardato con occhi tristi la porta oltre la quale Nick Lloyd era scomparso, poi aveva sospirato. “Un’altra vittima innocente della mia indagine.”
“Sharon, non addossarti colpe che non hai. Hai fatto il tuo dovere e niente di quello che è successo è a causa tua! È Lloyd il colpevole e ne pagherà le conseguenze.”
 
Non era la prima volta e non sarebbe stata l’ultima in cui affrontavano quell’argomento, e per quanto Frank s’impegnasse e per quanto lei, in fondo, sapesse che aveva ragione, non riusciva a convincersene. Ma, soprattutto non riusciva a perdonare se stessa.
Aprì un file e lo sguardo le andò subito alla foto presente nella parte alta del documento. Si mise una mano sulle labbra per cercare di calmarne il tremore ma non poté evitare che gli occhi le diventassero umidi. Era il ritratto di un giovane felice e sorridente, con tutta la vita davanti, pieno di sogni e di speranze. Ma la cui sfortuna era stata incontrare lei.
 
Maggio 2008
Il coffe shop che aveva scelto per il loro primo incontro si trovava a molti isolati dal Police Administration Building, una zona della città in cui sperava sarebbero stati al sicuro da occhi indiscreti.
Accarezzò il libro di Dickens poggiato sul tavolo, il suo segno di riconoscimento. Non era fiera dello stratagemma usato per attirare lì il ragazzo, ma non poteva rischiare di essere vista a parlare con lui.  E lui era l’ultima speranza che le restava.
Dopo i primi mesi in cui aveva trovato riscontro alle segnalazioni ricevute e in cui gli informatori erano stati disponibili a raccogliere informazioni per lei, la situazione era radicalmente cambiata, tutte le bocche sembravano cucite e anche le chiamate anonime erano cessate. La sua indagine era in una fase di stallo ormai e, ne era convinta, questo cambiamento era riconducibile al suo scontro con il detective Sandoval il mese precedente. Il suo sospetto era che il Detective avesse riferito le sue parole a Lloyd e il Comandante avesse deciso di passare alle maniere forti per far tacere le voci su di lui. Non a caso recentemente c’erano state alcune morti e scomparse sospette di spacciatori locali, ma alla fine erano state tutte archiviate come regolamenti di conti tra bande rivali. Lei era convinta che gli uomini scomparsi fossero gli autori delle chiamate anonime agli Affari Interni.
Per giorni si era interrogata su come poter sbloccare la situazione e la risposta era stata sempre e solo una: aveva bisogno di qualcuno dall’interno.
Alla mente le era tornato subito il giovane poliziotto biondo imbarazzato dal comportamento di Sandoval nella hall del PAB. Aveva preso informazioni su di lui, con immensa cautela, aveva voluto sapere tutto della sua vita lavorativa e privata. Decidere se coinvolgerlo meritava una profonda riflessione. I rischi erano enormi, per lei e anche per lui.
Come aveva immaginato si trattava di una recluta agli ordini di Lloyd solo dall’inizio di quell’anno. Ventidue anni, diplomato all’accademia con il massimo dei voti, Jonas Brown, questo il suo nome, aveva fatto personalmente richiesta di essere assegnato all’Antidroga. In giro si diceva che lo avesse fatto perché, sconvolto dalla morte di un caro amico per overdose, voleva evitare ad altri ragazzi la stessa sorte ripulendo le strade della città. Un giovane idealista e sensibile, che credeva nel suo lavoro, era legatissimo alla famiglia e agli amici e amava la vita in ogni suo aspetto.
Difficile che Lloyd rischiasse di coinvolgere un ragazzo così nei suoi traffici, il Comandante poteva essere definito in mille modi ma certamente non era uno stupido. In ogni caso lei non doveva abbassare la guardia, la sua ipotesi poteva essere sbagliata oppure, come molti in città, Brown poteva vedere nel Comandante un eroe e rifiutarsi di crederle facendo saltare il suo piano.  C’era anche da considerare che quando i poliziotti dell’Antidroga parlavano di lei, certo non era per farle i complimenti, e il ragazzo poteva essere stato influenzato da quello sentiva raccontare dai colleghi più anziani.
La porta del locale si aprì facendo tintinnare la campanella posta in cima e lei si raddrizzò sulla sedia. Qualunque fosse la verità l’avrebbe scoperta presto, Jonas Brown era arrivato.
Vestito sportivo ma di tutto punto, la sua copia del libro di Dickens stretta nervosamente tra le mani, il giovane si era guardato intorno cercando chi lo avesse invitato lì. Aveva sorriso e il suo volto si era rilassato quando, finalmente, aveva scorto l’altro libro sul tavolo. Ma l’espressione era nuovamente cambiata quando aveva alzato gli occhi su di lei. Di certo sapeva chi lei fosse ma era confuso, incerto, la fronte aggrottata dal dubbio e dalla sorpresa. Non era quello che si aspettava. Lei non era chi si aspettava.
Prendendo informazioni su di lui, aveva scoperto qualcosa di molto personale: desideroso di trovare l’anima gemella ma timido e anche un po’ imbranato con le donne, si era iscritto ad un sito web per single, ma non uno dei tanti dove più che l’amore si cercava sesso, era un sito serio e gestito onestamente. Così, fingendosi una giovane donna che condivideva i suoi interessi, gli aveva inviato un messaggio tramite il sito per dargli appuntamento in quel locale.
Molte delle informazioni su Jonas le aveva avute proprio dal profilo del ragazzo. Compreso l’amore per Dickens. Ecco perché la scelta di portare un libro del suo autore preferito come segno di riconoscimento.
Intanto il giovane si era avvicinato al tavolo. “E’ lei Sharon?” chiese esitante.
“Si Jonas, sono io. Siediti per favore, abbiamo molto di cui parlare.”
 
 

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