Ti cercherò

di Bali2607
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Questione di attimi ***
Capitolo 2: *** Ricominciare da zero ***



Capitolo 1
*** Questione di attimi ***


Prologo

La aveva sempre attratta l'idea di vivere a Boston.
In effetti, dopo diciassette lunghi anni trascorsi in uno sperduto paesino irlandese, non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Ma non era quello il modo in cui aveva più e più volte immaginato di andarsene.
Erano circa le sette di sera ed il sole cominciava lentamente a sprofondare dietro agli imponenti grattacieli che scintillavano maestosi ai suoi ultimi raggi.
Stranamente il cielo non sembrava così inquinato come dicono; di notte riuscivi persino a vedere qualche stella, se avevi fortuna.
Ma nulla a che vedere con l'Irlanda.
Là il cielo era così limpido e puro da sembrare incontaminato ed era un gioco da ragazzi distinguere le costellazioni.
Di solito i bambini, quando non riescono a dormire, contano le pecorelle per sprofondare nel sonno. 
Ma Aisling no, lei contava le stelle. 
La ragazza si riscosse dal momentaneo stato di torpore in cui era caduta e si alzò dalla panchina.
Tutt'intorno a lei si stendeva il verde. Un immenso prato punteggiato da querce e platani, qua e là disseminato da panchine.
Doveva ammetterlo, i giardini pubblici erano il posto ideale per rilassarsi, staccare momentaneamente la spina e, perché no, perdersi dietro al filo dei propri pensieri.
In quel momento prese a soffiare una leggera brezza, che le scompigliò i capelli castani.
Aisling guardò l'ora sul display del suo cellulare: 19.25.
Meglio tornare, si disse, meglio non far preoccupare gli zii fin da subito.
Nonostante non conoscesse da molto la città, si sentiva a suo agio a camminare per le strade affollate e i marciapiedi gremiti di passanti.
Le loro chiacchiere le trasmettevano vitalità, i loro passi affrettati che si tramutavano in corse affannate per non perdere la metro le facevano spuntare un sorriso, e così non si sentiva più tanto sola. Anche in mezzo a una mandria di sconosciuti.
Dieci minuti ed era arrivata.
Entrò nella piccola villetta di mattoni rossi che ancora non riusciva a chiamare "casa" e si lasciò sbattere la porta alle spalle.
"Asling, tesoro" esordì una voce femminile dal soggiorno "sei tu?"
"Sì zia Meg, vado un attimo in camera"
"Fra poco però scendi, è quasi pronta la cena"
Senza nemmeno curarsi di risponderle, Aisling salì le scale che portavano al piano di sopra ed entrò nella sua stanza.
Si buttò supina sul letto e rimase semplicemente lì, a pensare, come d'altronde faceva da una settimana a quella parte.
Aisling Walsh era nata in Irlanda, in un piccolo villaggio della contea di Galway.
Sulla sua vita, beh, non c'era granché da dire.
L'infanzia era stata felice e spensierata, come quella di tutti i bambini, d'altronde.
Nessuna paranoia inutile, nessun problema a cui non si potesse rimediare.
Se Aisling avesse potuto scegliere, sarebbe rimasta piccola per sempre.
Aveva sempre ammirato la purezza dei bambini, quella innocenza dipinta sui loro volti, ma soprattuto la naturalezza in ogni loro gesto. 
Quella loro grande capacità di essere appieno se stessi, senza vergogna.
Anche Aisling un tempo era stata così. Solare e sempre pronta a riservare un sorriso a chiunque le si presentasse davanti.
Ma poi qualcosa era cambiato.
L'infanzia aveva ceduto il passo all'adolescenza e tutte le sicurezze su cui si fondava la vita di Aisling, tutte le sue certezze ed i suoi ingenui castelli in aria erano crollati.
Si era allontanata dagli amici di un tempo, prediligendo la solitudine.
Il suo carattere solare si era fatto tenebroso e ogni sguardo scoccatole, ogni parola che le veniva rivolta, le pareva inquisitoria.
Il rapporto con i suoi genitori si era fatto difficile, al punto che potevano trascorrere giorni interi senza parlarsi l'uno con l'altro.
E poi quell'inaspettato viaggio di lavoro.
I suoi la avevano scaricata ai nonni materni come un pacco postale ed erano partiti, alla volta dell'Australia.
Non ricordava nemmeno di averli salutati.
Dopo due giorni era stata informata che il loro aereo, causa alcuni guasti tecnici verificatisi dopo lo schianto di un fulmine, era precipitato nell'oceano.
Dei passeggeri a bordo non c'era stato alcun sopravvissuto.
La sua prima reazione era stata chiudersi ancora di più nel mutismo, la barriera che usava per proteggersi dagli altri, la sua unica difesa.
Ma piano piano la barriera aveva ceduto il posto alle lacrime.
Lacrime amare e silenziose, piante nel cuore della notte per non farsi sentire.
Poi si era dovuta decidere la sua nuova sistemazione: i nonni erano troppo vecchi per occuparsi di lei e la loro casa troppo piccola.
Era stato allora che era arrivata quella famosa telefonata dalla "zia d'America": zia Megan era la sorella di sua madre, che, venuta a sapere della disgrazia, si era offerta di ospitare la nipote nella propria abitazione, a Boston.
Era stato come se il destino le avesse concesso  una seconda occasione.
Quasi come se quel barlume di speranza che le era rimasto dentro, nascosto nei meandri più oscuri e profondi della sua anima, avesse ricominciato a brillare, e non si limitasse più solo a emettere una flebile luce.
Era la sua chance di ricominciare una nuova vita, di lasciarsi tutto alle spalle, e non se la sarebbe fatta scappare.


Capitolo I

Mancavano ormai pochissimi giorni all'inizio della scuola e zia Meg aveva più volte insistito per portarla a fare shopping.
"Il tuo armadio è praticamente vuoto, come farai ad affrontare un intero anno scolastico senza una quantità adeguata di vestiti?" le aveva ripetuto ormai fino allo sfinimento.
Aisling infine aveva ceduto e quel sabato mattina piovigginoso era montata, seppur controvoglia, sul sedile posteriore del Suv grigio della zia.
Erano dirette al maggior centro commerciale della città, il Green Pale.
Aisling non aveva mai amato i luoghi troppo affollati, ma ultimamente aveva un disperato bisogno di stare in mezzo alla gente. 
Si fosse trattato anche solamente di una massa di piccoli boy-scout , perlomeno questo le avrebbe evitato di rimuginare troppo su se stessa.
Quando transitarono per il centro della città non riuscì a non trattennere il fiato.
Era ormai passato un mese dal suo arrivo a Boston ma non aveva ancora fatto l'abitudine ai grattacieli e a tutti quegli edifici che si stagliavano alti verso il cielo, quasi fossero giganti superbi che tentavano di sfiorare con mano le nuvole.
In Irlanda l'edificio più elevato del suo paesino era forse il campanile della chiesa.
Stava sempre fissando fuori dal finestrino quando la voce di sua zia la raggiunse: "Ti sei fatta grandeAisling, ormai sei una donna. Se ripenso a quando eri ancora un pulcino e venivo a trovarti in Irlanda per le vacanze di Natale, quanto sei cambiata da allora... Ma sei sempre stata così carina"
A quelle ultime parole Aisling trattenne una risata soffocata.
Non si era mai considerata bella, semmai, una ragazza nella media, anche piuttosto anonima.
Non particolarmente alta, aveva un bel fisico grazie ai tanti anni di allenamento per la pallavolo; i suoi capelli erano color castano chiaro, gli occhi, anch'essi castani, che talvolta si riempivano di leggere striature verdi.
Non badava più di tanto a valorizzarsi e non si curava nemmeno nel vestire.
Amava le felpe larghe e informi più di ogni altra cosa, i jeans strappati e le scarpe sdrucite, tanto che certe volte le rovinava apposta per farsele piacere.
Sapeva che sarebbe bastato poco per farsi notare dai ragazzi, un filo di trucco, piastrarsi i capelli e indossare qualche vestitino carino, ma lei si piaceva così com'era e sapeva di non essere brutta.
Non le importava cosa pensassero gli altri e non le era mai importato, almeno fino ad allora.
Zia Meg prese una deviazione e si girò verso di lei: "Cara, devo fermarmi un attimo in banca a prelevare, mi aspetti in macchina o vieni con me?" "Penso che prenderò una boccata d'aria" 
Megan parcheggiò di fronte all'ingresso della banca e Aisling si sedette su una panchina nelle vicinanze, da cui riusciva a tenere d'occhio l'auto.
-Sarebbe stato più appropriato dire: una boccata di smog- pensò tristemente dopo il terzo colpo di tosse consecutivo.
Mentre se ne stava lì seduta a rimpiangere il chiaro e incontaminato cielo irlandese, vide un'automobile scura parcheggiare davanti al Suv di zia Meg.
I finestrini erano oscurati e il guidatore non si era ancora deciso a spegnere il motore nonostante fosse fermo. 
Ebbe l'impulso di alzarsi e andare a dirgliene quattro, magari fargli un discorsetto sulla situazione in cui si era ridotto e sui rischi che correva il pianeta a causa dei cinici come lui, perciò si alzò con determinazione e si avviò a grandi passi verso il veicolo.
Stava per iniziare a bussare con insistenza sul finestrino quando udì il suono frastornante di una sirena: un allarme. Si girò d'istinto verso la banca e ne vide uscire due figure vestite completamente di nero con indosso un passamontagna. 
Erano evidentemente uomini: il primo correva veloce e portava in una mano una valigetta scura sigillata, nell'altra una pistola. Si muoveva con fare organizzato, come se conoscesse già a memoria le mosse successive ed era lampante che quella non fosse la sua prima rapina. Il secondo non era altrettanto veloce, probabilmente perché rallentato dal grosso zaino nero che portava sulle spalle, ma era senza dubbio più agile e giovane del primo. Doveva essere un ragazzo non molto più grande di lei.
Vederli correre nella sua direzione era quasi come assistere alle riprese di un film, con la differenza che ora non se ne stava comodamente seduta sul divano con un pacchetto di pop corn tra le mani.
Una voce nella testa, che probabilmente apparteneva alla sua coscienza, le urlava di correre via il più velocemente possibile, di spostarsi dal marciapiede, perlomeno di allontanarsi dalla macchina, ma era tutto inutile. 
Era paralizzata.
Successe tutto in pochi istanti che le parvero ore.
Il primo uomo si faceva sempre più vicino e Aisling non riusciva ancora a spostarsi.
Bruscamente, le diede uno spintone per scansarla, la superò con indifferenza e montò sul sedile anteriore dell'auto.
Aisling cadde all'indietro e battè la testa sul duro vialetto di cemento. 
Fu un urto tremendo. Si costrinse a tenere gli occhi chiusi, come se la cosa avrebbe contribuito a scacciare il dolore, ma pochi secondi dopo l'impatto sentì due braccia calde stringerla per i fianchi e risollevarla con delicatezza, facendola sedere.
Mentre riapriva le palpebre, dapprima vide dinanzi a sè solo una massa grigia e informe, ma pian piano riuscì a distinguerne i contorni e quando divenne più nitida capì.
Era il ragazzo della rapina, era stato lui ad averla soccorsa.
Non riusciva ad osservarne il volto a causa del passamontagna ma poteva vedere i suoi occhi che sbucavano dalle fessure.
Erano verdi e chini su di lei, preoccupati, come alla ricerca di qualche ferita.
Non ci avrebbe scommesso, ma sembrava quasi che avesse paura che si fosse fatta male.
Le stava ancora tenendo le mani sulle spalle, con il respiro era affannato e il petto che si muoveva in su e in giù senza sosta.
In quel momento Aisling intravide uno squarcio di pelle nuda tra la maglietta nera attillata e il passamontagna. Lì portava un tatuaggio, un piccolo scorpione nero a malapena distinguibile, che sarebbe facilmente potuto passare inosservato se non ad un'accurata indagine.
Aprì la bocca come per ringraziarlo, ma, proprio nel momento in cui aveva raccolto il coraggio per parlare, una voce rude e tagliente interruppe il suo "grazie" sussurrato.
"Muoviti cazzo, muoviti idiota!" Era il primo uomo, il tizio che l'aveva spinta poco prima. Al solo sentire la sua voce Aisling ebbe un moto d'ira e le venne voglia di schiaffeggiarlo. 
Il ragazzo dagli occhi verdi ebbe un sussulto e fu come se fosse catapultato di nuovo nella realtà.
Distolse immediatamente lo sguardo da lei e si rialzò di scatto, mollando la presa delicata sul corpo di Aisling.
Senza nemmeno girarsi a guardarla un'ultima volta, si mise a correre a perdifiasto verso la macchina e vi salì. 
Ancora prima che potesse chiudere la portiera, l'uomo che stava al volante, ancora con il motore acceso, diede gas e il veicolo partì sgommando a tutta velocità.
Quello che accadde a seguire fu un enorme caos.
Cominciarono ad arrivare autovetture della polizia, alcune delle quali si lanciarono all'inseguimento mentre altre si fermarono davanti alla banca ed entrarono per supervisionare la situazione. Il marciapiede si era gremito di una folla di passanti e curiosi e Aisling fece non poca fatica a distinguere una voce tra tutte le altre. Poi vide zia Meg che si faceva largo tra la folla, per raggiungerle, e si rese conto di essere ancora seduta per terra, come imbambolata.
"Aisling, oddio bambina mia! Stai bene? Ho avuto tanta paura, temevo potesse esserti successo qualcosa, ma perché non ti alzi? Forza, andiamocene di qua, forza Aisling"
La ragazza si alzò lentamente e si guardò intorno confusa. Poi prese la mano che le tendeva la zia, pensando che la cosa potesse rassicurarla, e insieme si avviarono a grandi passi verso l'automobile.
Non fecero in tempo ad allontanarsi più di qualche metro che due poliziotti le fermarono gentilmente ma con fermezza, chiedendo a Aisling se potesse rispondere ad alcune domande, in quanto testimone diretta della rapina.
Lei accettò senza problemi e quando le fu chiesto di ricostruire la vicenda con più dettagli possibili non tralasciò alcun particolare.
Soltanto, non rivelò a nessuno dell'aiuto che le aveva dato quel ragazzo con gli occhi verdi, a nessuno rivelò come un perfetto sconosciuto, come quel giovane ladro la avesse fatta sentire. 
Faceva fatica ad ammetterlo anche a se stessa, ma non aveva mai provato prima d'ora quella strana sensazione di calore alla bocca dello stomaco. 
Strana ma al tempo stesso così piacevole.

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Capitolo 2
*** Ricominciare da zero ***


 
Alle 7.00 di mattina del fatidico 16 settembre la sveglia iniziò a emettere quel suo trillo così odiato dalla maggior parte degli studenti.
Aisling si allungò sul materasso per spegnerla e poi rimase sdraiata pancia all'aria a fissare il soffitto, cercando di prepararsi psicologicamente per il primo giorno nella nuova scuola.
Si alzò controvoglia e si diresse in bagno, ma arrivata sulla soglia, chiusa, sentì un allegro fischiettio provenire dall'altra parte.
Zio Richard stava canticchiando a bassa voce "Jesus of Suburbia" e lei si chiese come qualcuno potesse essere così di buonumore a quell'ora del mattino.
Decise di rimandare al doccia a più tardi e scese in cucina per la colazione: almeno mettere qualcosa sotto i denti la avrebbe aiutata a stemperare la tensione.
Zia Meg la accolse con un caloroso sorriso di incoraggiamento e le mise davanti un bel piatto di pancakes, bacon e uova fritte. Quel profumino era irresistibile e Aisling divorò tutto alla velocità della luce.
"Cara, rilassati e mangia con calma, non vorrai fare indigestione proprio oggi" sussurró dolcemente zia Meg, con un velo di preoccupazione negli occhi.
Dopo l'episodio che le aveva viste coinvolte nella rapina era diventata, se possibile, ancora più ansiosa del solito.
"Mmmh mmh, tranquilla" mugugnò Aisling tra un boccone e l'altro.
"A proposito, pensavo di farti una sorpresa ma ormai mi sembra giusto dirtelo: abbiamo chiesto al figlio degli Spencer di accompagnarti fino a scuola, così, ecco, non sarai sola" disse esitante.
La ragazza alzò gli occhi sulla zia e mandò giù a forza il boccone di pane tostato: "Ma se la scuola è appena a due isolati da qui! Zia, davvero ti fidi così poco di me?!"
"Pensavo fosse un'opportunità per iniziare a conoscere qualcuno della zona, per "socializzare", diciamo"
Se c'era una cosa che a Aisling non andava giù era quel modo di fare della zia, quella sua voglia di intromettersi sempre in tutto e cambiare la cose a suo favore, anche se, in quel caso, un favore lo stava facendo a lei.
Si alzò da tavola e senza dire una parola volò al piano di sopra, fece una doccia rilassante e, una volta in camera, indossò le prime cose trovate nell'armadio: un paio di jeans strappati sulle ginocchia e una camicia a quadri rossa e nera, di quelle comode e larghe che le piacevano tanto. 
Calzò ai piedi le sue all star preferite e, zaino in spalla, ridiscese di sotto.
Erano ormai le 7.45 e stava per mettere il piede fuori dalla soglia quando zia Meg la raggiunse: "Ma non puoi andartene, ho detto a Lucas che lo avresti aspettato qui. Dovrebbe arrivare tra pochi minuti"
"Allora lo troverò fuori immagino. Fidati, andrà tutto bene zia" disse scoccandole un sonoro bacio sulla fronte, e approfittando del momento di stupore della zia sgattaiolò fuori di casa.
"Aspetta Lucas, vai a scuola con Lucas, segui Lucas... Che poi chi sarà mai questo Lucas perché io debba stargli appiccicata..."
Aisling blaterò tra sè e sè ancora per qualche secondo, si sistemò le stringhe e alzò lo sguardo. Fu allora che vide un ragazzo che se ne stava appollaiato sul muretto di cinta della casa e la fissava con una evidente curiosità.
"E tu chi diavolo sei?" 
"Tenendo conto che hai appena pronunciato il mio nome per ben tre volte penso che tu abbia qualche idea" 
"Ah, sei tu Lucas?" 
"Perspicace vedo" le sorrise "Comunque piacere di conoscerti... Aisling, giusto?" 
"Già, scusa la reazione, è che non mi aspettavo di trovarti qui fuori"
"Non scusarti, è colpa mia se mi sono appostato nel tuo giardino come un killer pronto a saltar fuori dalle ortensie per attaccarti" 
Aisling non riuscì a trattenere una risata, le stava già simpatico quel ragazzo.
E per giunta sembrava proprio un tipo riservato e che non si impicciava degli affari degli altri, non il classico vicino di casa nerd e curioso che aveva tanto temuto di trovarsi davanti.
Si fermò ad osservarlo meglio e constatò che non era per niente un brutto ragazzo: alto e abbastanza muscoloso, aveva dei folti e luminosi capelli castani e quell'adorabile sorriso misterioso sul volto. 
Lui sembrava leggermente compiaciuto di sentire i suoi occhi che lo squadravano e la fece fare.
Quando Aisling si riscosse si accorse che si era avvicinato, tanto che riusciva a distinguere il colore dei suoi occhi. Per un folle momento si era ritrovata a sperare che fossero verdi, verdi come quelli del ragazzo dello scorpione, ma dopo averli visti di un banale marrone aveva abbassato lo sguardo, sconfitta.
"Ehi, tutto bene?" fece Lucas con una nota di preoccupazione nella voce.
"Oh sì, tutto alla grande, ma penso sia meglio avviarci a scuola ora, no?"
"Quanta fretta di andare incontro alla morte" scherzò Lucas mentre si incamminavano per il viale 
"In realtà sono abbastanza curiosa di entrare a contatto con l'ambiente, le persone... Non ho mai frequentato una scuola americana, quindi mi stavo chiedendo se qui fosse tanto diverso dall'Irlanda"
"Ah, piccola dolce Aisling, l'America è tutt'altra cosa. Ti posso assicurare che qui ci sappiamo divertire molto di più e che ti troverai a tuo agio alla Joseph"
"È quel 'piccola dolce Aisling' da dove ti è uscito?" rispose lei scoppiando a ridere 
"Non lo so, mi è venuto spontaneo, non ti sta bene?" 
"Piccola te lo concedo, data la mia imbarazzante statura. Soltanto, non mi considero per niente dolce."
"Questo lascialo decidere a me" le strizzò l'occhio Lucas.
Parlando del più e del meno giunsero al cancello della scuola.
La Joseph si presentava come un enorme istituto dall'orripilante color giallo canarino, circondato da un campo da football piuttosto ben tenuto e una pista da corsa che lo affiancava.
Bene, pensò Aisling, aveva sempre amato correre e già questo era un buon inizio.
"Lo so, il colore non è dei migliori, ma dentro è meglio, hai la mia parola. E fortunatamente non è nemmeno richiesta una divisa, il che è già una gran cosa, non trovi?"
Aisling annuì distrattamente e si preparò a compiere il primo grande passo la avrebbe introdotta nella sua nuova vita. 
Una sensazione simile a questa la aveva provata solo al momento di scendere dall'aereo e poggiare per la prima volta i piedi sul suolo americano. 
Le era sembrato tutto così strano e diverso da quello che aveva immaginato da bambina per il suo futuro, ma al tempo stesso così giusto, come se fosse esattamente ciò che il destino le aveva riservato.
Si avviarono per il cortile antistante la scuola, già gremito di studenti che attendevano l'inizio delle lezioni.
Aisling aveva immaginato di ritrovarsi gli occhi di tutti puntati addosso al suo ingresso nella nuova scuola, ma a quanto pare nessuno sembrava aver fatto caso a lei.
Ciascuno era impegnato nelle proprie quotidiane occupazioni: alla base della scalinata non era difficile riconoscere il classico gruppetto di nerd che discutevano dei risultati dei compiti delle vacanze, gli unici ad essersi probabilmente preoccupati di svolgerli; poco distante un circolo di ragazze carine e dall'aria disinvolta si sbizzarriva nell'esecuzione di ruote e verticali agitando pompom, fermandosi di tanto in tanto per scambiarsi chiacchiere sull'estate appena trascorsa: le famose cheerleader americane che Aisling aveva tanto sentito nominare; e laggiù, in fondo al campo, ecco avanzare le robuste sagome illuminate dal sole nascente dei giocatori di football. 
Il resto degli studenti della Joseph era costituito da ragazzi che all'apparenza parevano non distinguersi gli uni dagli altri, banchi di pesci in un mare di sguardi, colori, odori e pensieri che si mescolavano tra di loro, intrecci di aspettative e speranze per il nuovo anno misti a sospiri di delusione per le vacanze ormai giunte a termine.
In mezzo a tutti quei pesci, Lucas si diresse sicuro verso tre figure sedute su una panchina, ai lati del cortile. "Ehi ragazzi, tutto bene?" E dopo la domanda di circostanza per spezzare il ghiaccio, aveva aggiunto, schiarendosi la gola: "Vi presento Aisling, sarà in classe con noi quest'anno. Si è appena trasferita dall'Irlanda, vicino a Galway, giusto?" la aveva rivolto un'occhiata dubbiosa.
Aisling lo aveva guardato confusa, certa di non avergli mai raccontato del suo paese di provenienza, ma Lucas si limitò a dire con fare sicuro: "Tua zia ha un'adorabile parlantina"
Aisling allora aveva annuito con decisione ricambiando lo sguardo con un timido sorriso.
Stranamente questa volta non era rimasta infastidita dal comportamento di zia Megan; non riusciva ancora a capire chiaramente il perché, ma in un qualche modo le faceva piacere che Lucas sapesse già qualcosa su di lei, sulla sua vita. 
Era quasi come se si conoscessero da tempo invece che da quella mattina.
"Beh, loro sono Nate, Roger e Emily, i miei amici di più vecchia data, si può dire" aveva aggiunto Lucas, già più a suo agio dopo la presentazione.
"Piacere di consocerti Aisling! Sono Nate...  lui è Roger" esclamò indicando l'altro ragazzo seduto i fianco a lui, che aveva dipinta in volto un'espressione vacua e alquanto assente, ma che comunque le rivolse un sorriso cordiale e accennò un saluto.
"Non preoccuparti, non è sempre così, oggi è un po' depresso perché ha litigato con Carrie, la sua ragazza. Ma tralasciamo i drammi amorosi di Roger e parliamo di cose serie, voi due com'è che vi conoscete?"  disse ammiccando a lei e Lucas con sorrisetti. 
Aisling e Lucas erano rimasti per un attimo spiazzati, ma ancora prima che avessero tempo per rispondere era intervenuta la ragazza mora, fino a momento rimasta in silenzio: "Non fare caso a lui, è decisamente troppo estroverso" aveva sospirato fulminando Nate con lo sguardo, che per tutta risposta le rivolse un sorriso ammiccante.  "A proposito, io sono Emily, e ci conviene sbrigarci: abbiamo lezione di storia alla prima ora e il professor Kendall non ammette ritardi" disse poggiandole un braccio sulle spalle, quasi fossero amiche di vecchia data "Per nessun motivo, nemmeno se una povera ragazza non ha fatto in tempo a finire di mettersi lo smalto" aggiunse tristemente, mostrando ad Aisling la mano destra per metà pitturata di un viola acceso e per metà no.
Soffocando una risata, la giovane si avviò verso l'ingresso dell'istituto, contenta di avere al suo fianco non uno, ma ben quattro nuovi amici che la avrebbero accompagnata in quella "avventura" che l'attendeva oltre il varco, spiegandole, almeno sperava, come orientarsi attraverso i tortuosi corridoi di quell'irritante color gallo canarino della Joseph.

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