Oltre il giardino di Happy_Pumpkin (/viewuser.php?uid=56910)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Siccità ***
Capitolo 2: *** Inondazione ***
Capitolo 3: *** Raccolto ***
Capitolo 1 *** Siccità ***
Titolo: Oltre il giardino
Autore:
Happy_Pumpkin
Rating:
Arancione
Genere:
Malinconico, introspettivo, sentimentale, accenni nonsense
Personaggi:
Sai, Sakura, Deidara, Tsunade
Trama: Un
pittore inesperto si trova improvvisamente a dover valicare il proprio
piccolo mondo, delimitato dalle mura di un giardino, e affrontare la
vita da lui solo immaginata nei libri. Incontrerà due
persone che, in modo diverso, gli cambieranno per sempre l'esistenza
fino ad accompagnarlo nella scoperta di ciò che vogliono
realmente significare le parole vita, morte, amore.
Note dell’autore:
Il titolo è tratto dall'omonimo film con protagonista Peter
Sellers – “Oltre il Giardino” appunto
– che mi ha ispirato la condizione di isolamento rispetto al
resto del mondo nella quale si trova Sai. Ma, eccetto questo
particolare, tutta la trama è mia completa invenzione e si
sviluppa secondo la scansione delle stagioni dell'Antico Egitto, le
quali si distinguevano in base alle piene del Nilo.
Il motivo di questa
scelta è dato dal fatto che secondo me la storia ha quasi un
andamento ciclico, forse per via di alcuni dialoghi leggermente
nonsense e certe scene quasi oniriche... la trama stessa a dire il vero
è molto nonsense.
L'ambientazione
è nella Parigi di metà Ottocento, periodo nel
quale sono molto in voga i café, visti come luoghi di
incontro e di cultura. Comparirà anche il caffé
che, secondo le mie varie ricerche, all'epoca era ancora visto come una
bevanda piuttosto d'alto rango ma – a differenza di quanto
accadeva nel Settecento – iniziava già ad essere
usata dalla media dei frequentatori di locali; per evitare qualsiasi
tipo d'anacronismo oltretutto mi sono rifatta anche ai numerosi quadri
ritraenti tazzine per assicurarmi di non descrivere qualcosa di
improbabile.
Le frasi in corsivo ad
ogni inizio capitolo sono state scritte unicamente da me e
rappresentano il fulcro della narrazione.
OLTRE IL GIARDINO
I
Siccità
Le sponde
secche
sono
in attesa di risorgere,
simili
all'assetato nel deserto.
Aspettano
l'acqua
affinché
le faccia vivere.
Il foglio aveva uno
strano colore tendente al giallo, quasi fosse stato usurato dal tempo;
Sai lo accarezzò con la punta del carboncino, truccandolo di
morbide linee nere che ondeggiarono placide su quella piccola pozza di
cellulosa.
Sospirò.
Il suono
fastidioso di una campanella lo stava distogliendo dal suo lavoro.
Allora, con calma, radunò le proprie cose disposte sulla
scrivania in legno e si alzò in piedi, dirigendosi verso la
camera da dove ultimamente il suo
mecenate lo chiamava, sperando di farsi udire al di là delle
coperte calde e della malattia che lo consumava lentamente.
Da diversi giorni però l'ammalato non parlava più: si
limitava infatti a dormire in una successione di respiri talmente
regolari da sembrare meccanici.
Sai si
diresse nel corridoio, i piedi scricchiolavano sotto le assi in legno
cerate e la luce filtrava a malapena dalle tendine scure; infine
entrò nella grande stanza da letto nella quale vide,
sdraiato e immobile, il suo anziano padrone. Quest'ultimo non aveva
più l'irritante respiro rumoroso e regolare tipico degli
ammalati, così come non sembrava doversi affannare ancora
per tirare dentro la successiva boccata d'aria.
Senza dire
una parola guardò la cameriera con al suo fianco il dottore
– le uniche due persone, eccetto lui, che da tempo vivevano
sotto quel tetto incrinato dal peso del tempo e dell'usura.
Senza
mostrarsi sconvolto il ragazzo chiese: “E' morto?”
La donna
– cicciottella, il volto reso quasi tumefatto dalle lacrime
– si portò una mano alla bocca e trattenne un
singhiozzo, parendo che la stessero per soffocare, ma non ebbe la forza
di parlare.
Il dottore
annuì con aria grave.
L'unica
risposta dell'artista fu un'alzata di spalle ed un sorriso:
“Immagino sia un sollievo.”
Non ci fu
replica. I due astanti si guardarono un attimo, sorpresi, ma fu strano
per loro, schiavi delle usanze, non trovare la forza di ribattere ad
un'evidente mancanza di tatto.
Forse
è meglio così.
Ancora tra
le lacrime la cameriera si avvicinò al giovane, appoggiando
le mani grassocce sulle spalle, e lo guardò dritto negli
occhi. Infine gli chiese, animata da una strana aspettativa:
“E
ora... cosa farai, Sai?”
Era il suo
nome; lo aveva deciso per lui il Vecchio, anche se il Vecchio era morto.
Si
limitò ad un sorriso di circostanza:
“Resterò qui, come ho sempre fatto.”
La sua vita
era quella casa, quella casa a sua volta era lui, una parte prolungata
della propria esistenza.
La donna
scosse la testa dispiaciuta: “Ma non puoi. Questa villa
verrà rivenduta e sicuramente abbattuta per far spazio ad
altri edifici: devi andartene e cercare il posto che fa per
te.”
Andarsene.
Se era l'obbligo a cui attenersi lo avrebbe rispettato, un'ultima volta.
Egli
rappresentava il frutto della compassione umana: probabilmente non
sarebbe esistito se anni fa, quando era solo un ragazzino di strada che
tracciava linee armoniose sul terreno battuto, il Vecchio non lo avesse
preso con sé, facendo evolvere quelle forme prive di tecnica.
Sarebbe
infatti rimasto una delle tante vite incompiute che, tempo addietro,
avevano popolato le sudice strade di Parigi.
Il suo
salvatore amava l'arte del dipingere: si circondava di quadri
appartenenti ad artisti così diversi da permettergli di
radunare sotto lo stesso tetto tante maniere per concepire la vita; in
ugual modo apprezzava la scultura e da un po' di tempo aveva scoperto
un certo Deidara, il quale creava con l'argilla bizzarre forme di
animali o presunti tali. Il Vecchio allora aveva iniziato a raccogliere
simili creature dell'immaginario, arricchendo gli scaffali ancora vuoti
per gioire, appena poteva, di vederli popolati di fantasia sotto i suoi
occhi esperti.
Devi essergli riconoscente.
Una delle prime cose che, messo piede in quella casa che profumava
d'antico, di legno e tappeti polverosi, gli erano state dette. Si
trattava infatti di un monito per quanto in futuro avrebbe fatto e,
forse, un non proprio simpatico modo di salutare un ragazzino senza
passato che poteva essere nuovamente sbattuto in strada.
Così,
senza dire altro, si avvicinò all'anziano dagli occhi chiusi
e gli portò una mano sulla fronte come aveva visto fare
altre volte:
“Addio,
Vecchio.”
Sotto gli
occhi sorpresi della donna e del dottore Sai uscì dalla
camera, che sapeva troppo di farmaci e spezie, per prendere le sue
poche cose, ammucchiando i disegni, le tavole e gli strumenti che il
suo padrone tempo addietro gli aveva comprato per premiarlo dei sui
progressi.
“Ora
sei un artista, Sai.”
Gli
risultava difficile capire tutto ciò che non concernesse le
poche cose in cui era bravo, ovvero dipingere. Negli anni si era
isolato in quella soffocante stanza nella soffitta, vivendo di
ciò che osservava dalla sua finestra incastrata nell'unica
parete verticale esistente; il piccolo miracolo architettonico che gli
permetteva di sentirsi meno estraneo al mondo, un mondo che non
conosceva e che mai aveva avuto desiderio di scoprire.
Si limitava
infatti ad apprendere grazie ai libri: leggeva di tutto –
dagli scrittori più famosi e apprezzati a quelli attivi da
pochi anni, come un certo Sasuke Uchiha per esempio.
Un sacco di
tela quindi era il suo bagaglio per iniziare a camminare fuori dalle
alte mura di Casa.
Presso il
portone d'entrata vide, ammucchiati in un angolo, i borsoni rigidi e
rettangolari della cameriera, una massa confusa e spaventata che andava
dal porta cappelli ad alcuni utensili di cucina.
Accennò
ad un sorriso: a quanto pareva tutti erano ansiosi da tempo di
andarsene, la morte doveva essere proprio terribile.
Inaspettatamente,
sotto gli occhi stupefatti della donna, Sai oltrepassò la
soglia della porta con in mano solo il suo sacco, per poi attraversare
il piccolo cortile e aprire il cancello che collegava una fila di alte
mura dai mattoni rossicci, in grado di abbracciare quel piccolo angolo
di mondo pacifico che era il giardino.
Appoggiò
la mano sulle inferriate di metallo e, con un cigolio particolarmente
musicale, lo aprì, ritrovandosi travolto dal caos delle
carrozze che graffiavano le strade acciottolate di Parigi.
La
cameriera lo osservò guardarsi attorno un attimo per poi,
senza voltarsi indietro, girare a sinistra e scomparire, quasi fosse
stato inghiottito da quelle murature che per anni lo avevano protetto.
“Ce
la farà?” si chiese mossa da angoscia.
Il dottore
si mise una mano sopra il panciotto bianco e rispose:
“Non
lo so. Ha già vent'anni eppure non ha mai visto il mondo
esterno. Sa solo disegnare e null'altro, quante possibilità
ci sono che sopravviva?”
“Praticamente
nessuna. Anche perché nessuno lo capirebbe.”
rispose alzando gli occhi al cielo sconfortata.
L'uomo, dai
disordinati capelli brizzolati, sospirò commentando:
“Eh
già... è un ragazzo strano – dopo un
attimo di silenzio tirò fuori un orologio da taschino
aggiungendo – Madame Seieur dovrebbe affrettarsi a prendere
le sue cose, chiameremo una carrozza che la porti in stazione. Deve far
presto o rischia di perdere il treno... mi occuperò io di
sbrigare le pratiche.”
“Già.
Ha ragione. La ringrazio Monsieur... la sua assistenza è
stata davvero provvidenziale per il povero....”
Tante
parole, gesti di commiato, di commiserazione, di condoglianze. La
realtà era che tutti e due non vedevano l'ora di andarsene e
tornare a vivere... curioso che avessero aspettato la morte di qualcuno
per farlo.
*°*°*°*
Sai
camminò a passo spedito per le strade, ignorando i pedoni
che volteggiavano caotici attorno a lui e il borbottare dei cavalli o
il loro armonico trottare sulle pietre: non sapeva minimamente dove
dirigersi eppure non provava paura, né ansia, né
felicità.
Tutto gli
si rovesciava addosso come acqua, senza che però nemmeno
riuscisse ad esserne bagnato; lui infatti era impassibile, l'elemento
immobile attorno a cui il mondo ruotava cercando un'incrinatura che
potesse trascinarlo a girare con sé.
Ad un certo
punto avvertì un fastidio alla gola e le labbra iniziarono
ad essere secche.
“Ho
sete.” concluse.
Il Vecchio
glielo aveva detto: a volte capitava che si sentisse il bisogno di bere.
Privo di
indecisione entrò in un grande locale dalle vetrine inondate
di luce dove la gente sostava, usciva, si riversava all'interno con
l'aria felice. In quel momento egli era come sperduto, ondeggiante in
un mare di mondana allegria e circondato dallo sferzante scintillare
dei lampadari di cristallo, del freddo bancone in marmo e degli
ornamenti pretenziosi appigliati ai bustini di pizzo delle signore.
Si
avvicinò al bancone senza notare il fervente movimento
attorno a lui, accompagnato dal tintinnare del pianoforte e dal
chiacchiericcio allegro, condito con un retrogusto di deliziosa
introspezione borghese, della sala affollata.
Schivando
la gamba tozza di un uomo a fatica seduto presso uno dei numerosi
tavolini giunse di fronte ad una ragazza che era rimasta un istante
incantata, lo sguardo perso altrove come se tutto il mondo attorno a
lei non esistesse e fosse nient'altro che una semplice carta da parati
da poter cambiare quando si volesse. Rimase ad osservarla, silenzioso,
a pochi centimetri di distanza dal bancone che rappresentava il loro
insignificante ma invalicabile ostacolo.
Sai
notò che i capelli di uno strano color rosa erano raccolti,
eppure una ciocca si era seriamente impegnata per scappare da una compostezza evidentemente ritenuta quantomai inadeguata, almeno a giudicare dalla sua fuga. Gli occhi, di un verde brillante, non erano
rivolti verso un punto preciso, sembravano infatti intenzionati a
prendersi una pausa dal loro esimio lavoro.
Quella
ragazza aveva l'aria triste e stanca, nonostante il portamento fiero e
le braccia rigidamente appoggiate al marmo striato colmo di bicchieri,
bottiglie e fruttiere dall'aria colorata.
Alla fine
il giovane si limitò a chiedere, muovendo un passo e
sorridendo: “Vorrei dell'acqua.”
La giovane
si riscosse un istante per poi domandare: “Come
scusi?”
“Liscia.”
rispose, ricordandosi delle lezioni sugli alcolici impartite dal suo
mecenate.
“Credo
di non capirla.” fu la laconica e perplessa conclusione.
“Nemmeno
io. Non mi sono mai soffermato a parlarci assieme a dire il vero ma
vorrei provarla lo stesso.” ribadì Sai non
smettendo di sorridere.
“Di
cosa sta parlando?”
“Non
ne ho la più pallida idea... non credevo che l'acqua sapesse
parlare. Lei è strana, forse addirittura
visionaria.” replicò con diretta
onestà, appoggiando il mento sulla mano mentre teneva il
gomito puntellato sul bancone.
La
cameriera fece una leggera smorfia per poi tendersi avanti col busto e
fissare lo sconosciuto, indagando con voce decisa:
“Scusi,
lei chi è per permettersi simili affermazioni?”
“Sai.
Pittore.” rispose ostentando un'indifferente
tranquillità.
“Molto
bene monsieur Sai Pittore – lo riprese ironica –
credo che qualcuno debba insegnarle un minimo di cortesia e di
tatto.”
Sai la
fissò un istante per poi limitarsi a concordare con il volto
apparentemente gentile:
“Molto
bene. Ora mi darebbe dell'acqua?”
La rosa
incrociò le braccia, sbuffò incredula ma
finalmente prese un calice di cristallo da una lunga serie di
altrettanti calici ordinatamente disposti; dopo averlo riempito lo
porse sotto un centrino a Sai.
Lo
osservò prendere il contenitore, infine improvvisamente gli
chiese:
“Non
vuole sapere il mio nome?”
Sai smise
di bere; appoggiò delicatamente il fragile bicchiere e con
una cortesia quasi leziosa rispose:
“No,
a dire il vero. Lei però sembra tanto ansiosa di
presentarsi, dunque credo sia appropriato starla a sentire.”
ancora quel sorriso che sapeva di falso, proprio come tutti quegli
artificiosi ornamenti che rendevano il locale una massa confusa di
volti e luci.
La ragazza
aprì leggermente la bocca e rispose seccata, più
per una questione di principio che perché ci tenesse
veramente: “Sakura Haruno. Non si preoccupi, faccio
volentieri a meno di lei.”
“Oh,
anch'io. Ma è normale, no?”
Inaspettatamente
la ragazza, nonostante si sentisse irritata da quel tizio spuntato dal
nulla che parlava commentando a sproposito, scoppiò a
ridere; una risata cristallina con un'ombra di isteria.
Sai non
capì una delle tante reazioni umane impossibili da prevedere.
Reclinando
il capo domandò pacato:
“La
fa ridere questo?”
Sakura
appoggiò i gomiti sul bancone, tenendo le braccia
incrociate, infine rispose dopo aver lanciato un'occhiata pensosa al
soffitto decorato dai lampadari:
“A
dire il vero sì. E' raro che la gente parli così
direttamente e in modo tanto spontaneo... anche se ammetto che per
certi versi è davvero irritante.”
“Lei
ama contraddirsi?” si informò il ragazzo.
La rosa non
rispose subito: gli lanciò un'occhiata poco amichevole ma
infine si limitò a sospirare, seppur non rinunciando ad una
smorfia di disappunto; per interminabili secondi i due astanti si
fissarono, attorniati dalle musiche del locale e dei vetri scintillanti.
Finché
Sakura non chiese sforzando di mostrarsi allegra:
“Tornerà
ancora, monsieur Sai?”
Strano,
aveva quasi l'impressione che quella creatura particolare, dal sorriso
leggero come vapore, si sarebbe potuta eclissare da un momento
all'altro in un mondo lontano dal suo.
“Credo
di sì. Voi continuerete ad esserci?” aggiunse
riferendosi alla ragazza.
“Certo
– rispose Sakura con un sorriso luminoso – siamo in
piedi da diversi anni ormai.”
Le
Café Imaginaire era il locale che l'aveva accolta e le
permetteva di continuare a restare lontana dalla sua casa natale; a
dire il vero forse aveva accolto un po' tutti nel corso degli anni,
come una madre amorevole che dava affetto anche a figli non suoi.
“Ora
ogni cosa è più chiara: la doppia
personalità può rappresentare una questione
mentale grave... il Vecchio me ne aveva parlato. Mi dispiace per le sue
condizioni... - rifletté un attimo e chiese senza
espressività – ho detto bene?”
Sakura non
parlò. Non sapeva cosa dire, si ritrovò spiazzata
da quei commenti fatti in una sfera logica dalla quale si sentiva
completamente tagliata fuori.
Quel
ragazzo, probabilmente suo coetaneo, sembrava essere capitato non solo
in quel locale – forse addirittura nella società
– per caso, come se tutto ciò che implicasse
l'essere umano fosse stato ignorato da tanto tempo, troppo
affinché potesse essere ricordato.
La giovane
però scoprì, guardando quegli occhi scuri privi
di emozioni, che in fondo non le importava granché: Sai era
uno spazio bianco interessante presentatosi nella sua vita costellata
di rimpianti accompagnati da traguardi, un libro ancora caldo di stampa
e dall'odore di inchiostro che sembrava avere in lei la prima lettrice.
Così
sorrise e allungò una mano, prendendo tra le due dita una
guancia pallida del ragazzo per stringere in una morsa implacabile quel
morbido lembo di pelle:
“Non
parli ancora così di me. Prima lezione: alle donne piace
esser trattate bene e con rispetto.”
Sai rimase
immobile, si lasciò torturare limitandosi a commentare:
“Questo
fa male. Deduco che alle donne piaccia fare del male.”
Sakura
lasciò la presa, rispondendo con un sorrisetto:
“Solo quando serve.”
Involontariamente
il pittore si portò una mano al punto preso d'attacco,
decorato da una splendida chiazza rossa, e restò silenzioso
a pensare.
Solo
quando serve.
Anche la
sua presenza era così? Un sintomo di violenza, un eccesso
d'ira, oppure uno strano scherzo del destino.
Non c'era
più il suo Vecchio a parlargli, a modo suo, del mondo.
Ma quella
strana ragazza dalla doppia personalità, che discorreva con
l'acqua e amava far male agli altri all'occorrenza, sembrava poter
essere quel mondo che dalla sua finestra in soffitta aveva dipinto.
Infine,
dopo qualche istante, insieme ad altri clienti entrò nel
salone un ragazzo dai lunghi capelli biondi che camminò con
passo deciso verso il bancone, senza preoccuparsi di aver lasciato sul
vetro dell'ampia porta d'ingresso impronte e residui d'argilla; lui,
pensava sprezzante, poteva permetterselo.
Sai non
degnò di un'occhiata il nuovo arrivato intento a sedersi
vicino a lui, su uno dei tanti innovativi sgabelli in legno simili a
trampoli, appoggiando i gomiti sul bancone e scrutando con fare
professionale la fila di bottiglie contenenti liquori ordinatamente
disposti alle spalle di Sakura.
Quest'ultima
guardò con un certo interesse le mani affusolate del
ragazzo, i frammenti d'argilla che proprio non volevano saperne di
togliersi dalle unghie tagliate corte, e infine dette un'occhiata a
Sai, il quale sorseggiava beato l'ultimo goccio d'acqua.
“Un
caffè.” chiese infine il tizio biondo, lasciando
che il labbro si curvasse appena così da accennare ad una
smorfia imbronciata.
Sakura
annuì per poi chiedere: “Non gradisce
sedersi?”
Di solito i
clienti che facevano quel tipo d'ordinazione amavano stare presso gli
eleganti tavolini a degustare il prezioso liquido nero, vanto di una
borghesia attaccata ai piccoli privilegi quotidiani. L'artista, o
comunque presunto tale, scosse la testa e rispose brevemente:
“Si
siede ai tavoli chi ha tempo da perdere.”
La
cameriera accennò ad un sorriso: quel giorno aveva rimediato
due strani incontri – cosa che forse non le sarebbe
più capitata per un bel po' di tempo – doveva
quindi approfittarne per trovare un po' di sano svago; motivo per il
quale già lanciava di tanto in tanto qualche occhiata
curiosa ai due, sperando che uno di essi parlasse ancora.
Improvvisamente
però il nuovo cliente prese un fazzoletto da una delle
maniche strette che gli arrivavano ai polsi e con
meticolosità se lo passò sulle mani, in modo da
cercare di pulirle per quanto umanamente possibile. Sai, incuriosito,
voltò la testa fissandolo senza farsi troppi problemi e, con
altrettanta noncuranza, pochi istanti dopo osservò:
“Non
ti piace, eppure stai comunque perdendo tempo.”
L'altro si
bloccò, voltandosi con lentezza lanciò
un'occhiata irritata al ragazzo per poi ribattere:
“Davvero?
Perché allora non cominci a darmi il buon esempio facendoti
gli affari tuoi?”
Sakura si
sigillò le labbra per non scoppiare a ridere. In ogni caso,
fingendosi seria, continuava molto professionalmente il suo lavoro.
Sai invece
reclinò perplesso la testa, poi aggiunse: “Mi
chiamo Sai.”
Il vicino
di posto non sapeva se prendere il tutto sul ridere o se ringhiare
qualche parola di cortese invito a tacere rivolta a quel tipo dal
pallore cadaverico e i capelli scuri stranamente piatti; incrociando le
dita invece replicò con la sua solita pungente ironia:
“Questo
non vuol dire esattamente farsi gli affari propri.”
“Oh
sì invece, il mio nome è qualcosa che mi riguarda
strettamente – sorrise facendoglielo notare – e tu
per educazione dovresti dirmi il tuo... si usa così, non
è vero?”
Fingendo di
prendere una brocca inesistente Sakura si abbassò giusto per
non mostrare al pubblico di star ridendo senza riuscire a smettere, le
altre attendenti – che non avevano seguito il discorso dal
principio – la guardarono preoccupate per la sua
sanità mentale ma si limitarono pazienti ad ignorarla.
Il ragazzo dai capelli lunghi si massaggiò gli occhi con pollice e indice, corrugando la
bocca in una smorfia perché si trovava nell'irritante
incertezza tra esplodere in un accesso di collera oppure alzare le
spalle e ignorare quel ragazzo insistente oltre che fastidioso.
Eppure, con
sua stessa sorpresa, si ritrovò a rispondere incurvato
appena nelle spalle:
“Deidara.”
Sai rimase
per qualche istante silenzioso a guardarlo, infine disse tranquillo:
“Crei
animali d'argilla, il mio Vecchio ne aveva diversi esemplari in casa.
Curioso, conoscevo le tue opere prima di conoscere te.”
Entrambi,
silenziosi, si fissarono negli occhi. Il resto attorno a loro si era
fatto inspiegabilmente muto, forse addirittura ogni cosa aveva cessato
di muoversi per dare il tempo a quelle due persone –
così complementari nelle loro stranezze – di poter
entrare in sintonia.
“Sì
– annuì l'artista – la mia arte
è più famosa di me, anche se questo non vuol dire
necessariamente che sia capita. Anzi, spesso sono circondato da una
massa di ignoranti adulatori: per quanto mi piaccia essere apprezzato
trovo tutto ciò incredibilmente insopportabile.”
Sakura
sospirò e versò al proprio cliente il
caffè in una tazzina di ceramica bianca, ancora incredula
che quella strana persona non volesse sorseggiare una simile bevanda in
un modo più consono; a ben guardarlo però, viste
le considerazioni non proprio amichevoli che faceva degli altri,
effettivamente non sembrava il tipo.
Sai chiese
con apparente fare premuroso, quando invece era palesemente
disinteressato:
“Ti
piace mostrarti arrogante?”
“Io
a differenza di molti me lo posso permettere – si concesse un
accenno di sorriso provocatorio, infine notò la cartellina
con gli abbozzi appartenenti all'interlocutore – e tu cosa
fai nella vita?”
Sorseggiò
il caffè fissando Sai. Quest'ultimo rispose guardandolo a
sua volta:
“Dipingo.
Potrei dipingere anche te, se solo volessi.”
Deidara lo
scrutò infine chiese, ignorando il ciuffo di capelli che gli
copriva un occhio:
“Perché
dovresti volerlo?”
“Perché
sei molto più interessante di questa massa di corpi noiosi
che popola il café, tutto qui.”
Sorrise.
Nel café da lui citato comunque calò il silenzio
e tutti, dall'uomo malamente seduto in rigido doppiopetto alla signora
composta vicino alla vetrata, smisero di chiacchierare così
da fissare stupiti Sai; persino il pianista cessò di muovere
le dita sui tasti bianco perlati, concedendo alla sala intera la
possibilità di esprimere al meglio il suo musicale muto
silenzio.
Deidara
nemmeno si voltò a contemplare lo spettacolo di quei volti
irritati ma al tempo stesso stupefatti, volti di gente che stentava a
credere di essere realmente l'oggetto di quell'accusa fatta a voce
troppo alta; con un sorriso però il maestro dell'argilla si
accorse di riuscire a intravedere comunque un piacevole stupore
generale attraverso il riflesso dello specchio collocato davanti a lui.
Sakura
invece sospirò, stringendo i pugni, infine
appoggiò le mani sulle teste di entrambi i ragazzi che fece
avvicinare, in modo da tendersi in avanti col busto sussurrando:
“Vorreste
cortesemente
mettere a tacere quelle lingue lunghe?”
Sai si fece
perplesso quando notò il sorriso della ragazza che stonava
con la palese minaccia insita nelle parole, così
commentò:
“Prima
rideva, anche adesso lo sta facendo. È davvero falso il suo
sorriso?”
Come
il mio.
La
cameriera rimase un istante interdetta siccome non sapeva
sinceramente in che maniera rispondere, persino le bugie sembravano superflue.
Non era conoscenza del fatto che Sai sorridesse semplicemente
perché non capiva cosa comportasse farlo, pensava infatti
che muovendo le labbra e mostrando i denti ogni cosa risultasse
più facile da digerire, anche quando era così
amara da far vomitare; lei invece sorrideva solo in quanto
amava mostrarsi disponibile, sebbene le fosse facile perdere il
controllo appena qualcosa non le andava a genio.
Fece per
aprire bocca e formulare qualche parola razionale ma prima che potesse
farlo Tsunade, la direttrice del locale, sovrastò i due
clienti infilando quasi la testa tra i due così da sibilare
velenosa:
“Non
voglio guai nel mio café e tantomeno gente che i guai li
crea.”
Entrambi i
ragazzi presi in causa si voltarono verso di lei ma prontamente
alzarono gli occhi al soffitto, facendo finta di nulla. Nel frattempo
poco a poco le chiacchiere ripresero normalmente, simili ad un treno a
vapore che impiegava parecchio prima di prendere velocità e
decidersi a proseguire per la sua strada; il salone tornò
quindi ad essere quel delizioso ambiente ricco di interessanti
argomentazioni culturali e frivolezze mondane.
“Che
donna noiosa e poco artistica...” sbuffò Deidara.
Tsunade
assottigliò gli occhi, corrucciando le labbra di un
seducente rosso carminio, infine si eresse in tutto il suo seno reso
ancora più prorompente dal bustino soffocante e
commentò:
“Vediamo
se saranno così poco artistici anche i pugni che posso
rifilarti.”
La
combattiva donna non aveva mai avuto grande fortuna con i soldi a dire
il vero, la gestione del locale forse era stato l'unico folgorante
successo della sua carriera imprenditoriale; con Deidara infatti aveva
un contenzioso che a nessuno dei due sarebbe riuscito di sanare: lei
tempo fa era stata folgorata dalla malaugurata idea di finanziare
un'esposizione delle opere appartenenti all'artista, pagandogli almeno
metà dei costi, peccato però che il suddetto
artista – in un momento di follia non previsto –
avesse distrutto la maggior parte delle creazioni, mandando in fumo
ogni speranza di vedere un minimo di ricavo dalla loro vendita.
Tsunade
aveva perso talmente tanti contanti in quella faccenda da aver
seriamente pensato di strozzare Deidara con le sue mani, soprattutto
perché l'egocentrico ragazzo prendeva ogni cosa troppo alla
leggera, quasi come se lui potesse realmente permettersi di fare
ciò che volesse.
Deidara
ostentò uno sguardo indifferente e gesticolò con
una mano, invitando ironicamente la donna a parlare ancora... tanto,
per quello che gli interessava, sarebbe stato solo fiato sprecato.
Infine si voltò verso di lei e annunciò,
grattandosi distrattamente il collo così da alzare con un
certo fare importante il mento:
“Ho
dato alla tua attendente la somma che ti dovevo. Ora sei
soddisfatta?”
Volontariamente
la domanda risultò neanche troppo velatamente condita di un
tono provocante e sfumature sensuali.
Tsunade
sgranò gli occhi, aprendo di qualche millimetro la bocca
come per cercare di catturare le parole, infine chiese un po'
sospettosa: “Stai dicendo sul serio? Guarda che non sono
così babbiona da credere che tu...”
Si
arrestò, decisa a fronteggiare con ostinato orgoglio lo
sguardo di Deidara. Sakura da dietro il bancone, intenta a continuare
ad asciugare più e più volte lo stesso bicchiere,
assisteva alla scena molto presa mentre Sai fissava inespressivo la
fruttiera poco distante da sé.
“Chiedilo
a Shizune, sempre che ti fidi di lei.”
“Ho
più fiducia in lei che in me stessa.” rispose la
proprietaria, memore dei saggi consigli dell'assistente che –
purtroppo – non aveva mai ascoltato, ostinandosi quindi a
sbagliare ancora... almeno fino a che non si fosse ridotta
completamente sul lastrico.
A quel
punto sospirò e appoggiò un gomito sul bancone,
chiedendo con fare spossato:
“Sakura
dammi qualcosa di forte, credo di averne proprio bisogno.”
Socchiuse
gli occhi, massaggiandosi le tempie, mentre la ragazza dai capelli rosa
annuì sorridente:
“Faccio
in un attimo.”
Deidara si
alzò in piedi e lasciò sul bancone una delle sue
opere d'argilla, talmente piccola da essere stata comodamente in una
delle tasche dell'ampio giaccone dotato di alto bavero. Si trattava di
uno strano animale, forse un insetto, dalle molteplici zampe ritorte e
gli occhi spalancati come se fosse perennemente alla ricerca di
qualcosa difficile da intravedere.
Tsunade
capì al volo che l'eccentrico artista aveva intenzione di
pagare il costoso caffè con una delle proprie creazioni; non
fece obiezioni più per una semplice questione di rispetto
nei suoi confronti – sì, ne aveva ancora
conservato parecchio – che perché le convenisse
realmente.
Chissà,
forse Shizune avrebbe scosso il capo rassegnata, ma per una volta
sentiva di aver fatto la cosa giusta a lasciare andare il suo debitore
come se nulla fosse; oltretutto Deidara aveva appena garantito di
averle ripagato la somma che le doveva, unico caso in cui non fosse lei
a dover restituire qualcosa agli altri, quindi poteva anche lasciare
correre.
Prima di
andarsene l'artista improvvisamente chiese, rivolgendosi a Sai:
“Hai
una casa nella quale stare? Sinceramente sembri uno piombato nel mondo
per puro caso.”
Sai scosse
la testa: “Fino a questa mattina ne avevo una, ora
però verrà demolita.”
“Allora
vieni da me. C'è spazio e magari potrai tornarmi
utile.” rispose il biondo preparandosi già ad
uscire, come se la questione fosse risolta.
Sai si
alzò, affiancandoglisi, e osservò:
“Quindi
non lo fai per altruismo ma perché ti conviene,
giusto?”
Deidara lo
osservò un istante, divertito da quell'indisponente senso di
osservazione, e alzando le spalle confermò:
“Sì, diciamo che è così.
Dunque non farti strane idee su amorevole generosità e
storie simili, d'accordo? Ah – aggiunse altezzoso –
io ho i miei spazi e le mie esigenze, dovrai abituartici. Se non ti sta
bene puoi anche...”
“Mi
sta bene.” lo anticipò Sai, uscendo in strada dopo
aver rivolto un cenno di saluto a Sakura.
“Perfetto
– commentò soddisfatto Deidara – allora
preparati a lavorare per dividere a metà con me l'affitto;
eccetto questo sei libero di fare quello che vuoi.”
“Perfetto.”
ripeté.
Deidara non
disse nulla, né tantomeno rivelò a quel ragazzo
sconosciuto di aver avuto uno strano presentimento in quei giorni:
sentiva che la sua esistenza era destinata ad essere più
breve di quanto avrebbe voluto, lo percepiva a pelle. Eppure gli andava
bene così: marcire nella vecchiaia non era la morte che si
adattava a lui e i suoi ideali .
Chiudere i
conti in sospeso, secondo l'indole puntigliosa e allo stesso tempo
sbrigativa che possedeva, rappresentava il suo personale pretesto per
non dover gravare su nessuno fino alla fine. Incontrare quello strano
personaggio in un café però era stato un richiamo
inaspettato, al quale capiva di dover rispondere.
Sì,
se ne sentiva attratto: non a causa del carattere, forse nemmeno
dipendeva dall'aspetto fisico, bensì perché era
fastidiosamente simile a lui, sia in quell'inevitabile bisogno di far
notare le cose, sia nell'abilità di limare i discorsi con le
proprie parole di cartavetro.
Sai invece
vedeva in Deidara una luce, un qualcosa di vicino a quel fato tante
volte citato nei libri letti. Era stato talmente semplice, talmente
immediato trovare la Casa dopo averla persa da sembrargli di non essere
mai andato via veramente dal proprio
giardino, il piccolo mondo protetto grazie a mura
invalicabili.
Deidara era
Arte: le sue stesse mani erano fatte d'arte, i capelli sapevano di
creazione così come gli occhi brillanti, simili al velo
lucente che si stendeva sulle pitture ad olio. Per questo non aveva
potuto fare a meno di dirigersi verso di lui, sentendosi il cardine di
una porta in grado di ruotare su se stesso solo per dare la
possibilità a quell'artista trionfante di entrare.
Sproloqui
di una zucca
Lo so, lo so. Il primo capitolo è un papiro
chilometrico che farà sanguinare i vostri occhi alla stregua
di Itachi quando usa lo sharingan, senza nemmeno esserne dotati *O*
Ok, la pianto con le stupidate e vi ringrazio per essere arrivati a
leggere fino a qui!
Adesso esulto per il risultato ottenuto, mi ricompongo e,
sì, ringrazio il magnifico film "Oltre il Giardino"
perché è splendido, un vero capolavoro che
consiglio a tutti di vedere.
Ammetto infine che era la prima volta che mi dilettavo nel trattare Sai
come personaggio principale e non sempre è stato facile
seguire la linea caratteriale ^^
Concludo i consigli per gli acquisti invitando tutti coloro che si
avventurano a leggere questa fiction a seguire anche le altre storie
partecipanti *____*
Al prossimo capitolo, il penultimo.
Grazie speciale a Princess21ssj,
giudice e Gran Sacerdotessa: il tuo giudizio mi ha lasciato
così *O* Non so come altro descrivere la cosa ^^
Vi lascio con il bando del concorso su EFP qui
Qui
c'è il collegamento con il bando inserito sul Forum Il
Tempio di Sai.
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Capitolo 2 *** Inondazione ***
II
Inondazione
L'acqua giunge improvvisa
ricoprendo
ogni cosa;
a
volte benevola come una madre,
altre
distruttiva quanto un amante tradito,
simile
nella potenza sconvolgente
ad
una rivelazione improvvisa.
Sakura aveva lo
sguardo ancora appannato dalle lacrime. Quelle maledette lacrime che
non volevano saperne di decidersi a scendere per scoprire le proprie
carte davanti a tutti; restavano lì, appese alle sue ciglia,
come sperando di poter tornare indietro prima che venissero malamente
cacciate.
Pigramente
si portò un dito agli occhi, raccogliendo quell'accumulo di
sale e acqua. No, non era pianto; aveva pianto solo dopo essersene
andata di casa, la triste fattoria nel cuore della campagna a
chilometri dalla belle vie de Paris.
Si era
ritrovata sola a dover affittare un piccolo appartamento in grado di
farla sopravvivere con i soldi che – un giorno –
avrebbe trovato grazie ad un lavoro che al momento non possedeva. Ma
nonostante tutto era stata fermamente intenzionata a non tornare sui
suoi passi né tantomeno presentarsi alla famiglia che si era
lasciata alle spalle con la coda tra le gambe.
Infatti,
attraverso la semplice determinazione aveva ignorato le ferite
laceranti dell'angoscia per quella che era la sua vita e, rimboccandosi
le maniche, si era messa d'impegno riuscendo nei suoi intenti.
Quel giorno
la sua era una lacrima di sonno, impigliatasi quasi per caso al
risveglio difficile dell'alba.
Sakura
continuò a camminare per le vie di Parigi, i cocchi
scivolavano sulla strada dissestata e la gente passeggiava noncurante.
Amava quella città perché le aveva permesso di
tirar fuori tutto il suo spirito combattivo per scoprirsi migliore di
quanto non credesse.
Oltretutto
da circa un mese Sai era ormai un cliente abituale del café:
compariva di quando in quando e aveva scoperto un'inaspettata
predilezione per il thé che pagava puntualmente con dei
soldi.
Sakura non
aveva ancora capito quale attività svolgesse con esattezza;
probabilmente rivendeva i suoi quadri, in quanto – su questo
non c'era alcun dubbio – dipingeva e le sue mani chiazzate di
colori svariati ne erano la prova tangibile. Cosa di preciso continuava
a non saperlo e quando glielo aveva chiesto come al solito la risposta
era stata enigmatica:
“Quello
che mi piace. E' così che funziona.”
“Tutto
e niente insomma.” fu la sua osservazione istintiva.
Sai
sorrise, mostrando però un certo dubbio: “Tu
riusciresti a dipingere il tutto e il niente?”
Da quel
giorno Sakura aveva rinunciato, con uno sbuffo, a investigare oltre su
ciò che concernesse la professione di quel pittore dai
sorrisi cortesi quanto falsi.
Eppure la
giovane Haruno – nonostante l'arrivo di Sai avesse portato
una ventata di novità che le permetteva di respirare, pur
avendo creduto di non esserne più in grado –
dietro al bancone continuava ad osservare Lui: lo aveva
notato da anni e ancora bramava la sua vicinanza tra una gentilezza e
l'altra verso i clienti.
Un ragazzo
seduto presso un tavolino isolato con le spalle ricurve su un taccuino,
i capelli neri che gli coprivano in parte il volto e ondeggiavano ad
ogni movimento della mano diafana.
Scriveva.
A volte
metodico, a volte preso da un fremito impaziente, come se avesse una
baionetta puntata contro e fosse una necessità impellente
quella di riversare fiumi di inchiostro su quei poveri fogli vittime
dell'ispirazione folgorante.
Col tempo
aveva appreso il suo nome: Sasuke.
Guardava
quegli occhi scuri perdersi nella lettura fitta della bella
calligrafia, osservava la schiena simile ad un insetto ferito
ripiegarsi sugli scritti e sentiva le parole diventare quasi legate da
una strana sostanza magica quando rispondeva alla sua ordinazione.
Assenzio.
Glielo
versava in un elegante bicchiere dal piede orlato d'argento, il suo bicchiere, che
lei prendeva e ripuliva personalmente. Annusava il fondo del liquido
verde per poi ascoltare il rimbombo delle parole sussurrate da quello
scrittore cupo eppure avvolto da un fascino indefinibile.
Con passo
tranquillo entrò Sai, si sedette su una delle alte sedie in
legno coi cuscini di velluto e infine commentò:
“Oggi
ti trovo radiosa, Sakura.”
La
cameriera distolse lo sguardo dallo scrittore per poi volgerlo verso il
nuovo arrivato, fece una smorfia perplessa quando notò il
proprio riflesso sugli specchi: non si era raccolta i capelli e il
sonno sembrava volerle tendere un agguato da un momento all'altro per
farla finalmente dormire.
No, non era
decisamente radiosa. Sapeva di poter essere molto
più bella.
“Mi
piacerebbe, se solo fosse vero.” rispose pungente.
Sai si fece
perplesso: “Ah. Credevo che le bugie carine piacessero alle
donne.”
Sakura
sorrise beffarda: “Beh, ti preferisco sincero. Almeno capisco
in parte quello che pensi.”
Poi,
involontariamente, i suoi occhi corsero nuovamente verso Sasuke,
intento a sfogliare delle pagine mentre beveva l'ultimo goccio
d'assenzio.
“Chi
stai guardando?” chiese il pittore con tranquilla noncuranza.
Sakura
colta in flagrante si affrettò a ribattere, riordinando nel
frattempo alcune tazzine di porcellana:
“Non
vedo in che maniera la cosa possa interessarti.”
“Non
mi interessa infatti.” rispose prontamente Sai, sorridendo in
modo fastidioso.
La ragazza
non disse nulla di concreto, limitandosi a borbottare con aria
apparentemente scocciata. Ma qualche istante dopo il giovane, notando
che lo sguardo di lei continuava sfuggente a dardeggiare oltre le sue
spalle, si girò senza però riuscire a vedere
niente di particolare.
C'era solo
un tavolino vuoto con sopra un bicchiere ancora pieno d'assenzio, come
se aspettasse – simile ad una signora ingioiellata
per farsi bella nell'attesa di un marito che non sarebbe mai tornato
– che qualcuno volesse berlo.
Tornò
a voltarsi verso Sakura ma lei si affrettò a dire come se
nulla fosse:
“Penso
sia un bravo scrittore, tutto qui.”
“L'hai
mai conosciuto?” chiese Sai, il quale dentro di sé
avvertiva un turbamento strano, un senso di soffocamento che non gli
piacque per niente.
La giovane
cameriera si umettò le labbra e rispose, fingendosi
indifferente:
“No,
certo che no. Insomma, è da anni che frequenta il locale ma
non ha voluto saperne di aprirsi un po' di più con me: so
solo il suo nome e che scrive, nient'altro.”
“Parla
di cose tristi.” osservò Sai, mentre tutti e due
contemplavano il vapore del thé danzare in fronte a loro.
Sakura abbassò gli occhi, quasi volesse contare le tazzine
disposte davanti a sé.
“Anche
tu hai letto i suoi libri allora. Forse scrive di argomenti tristi
perché qualcosa lo tormenta.”
“Forse.
– alzò le spalle aggiungendo – Una volta
ho letto di un comico che piangeva: non sempre quello che facciamo ci
rispecchia; tu, Sakura, prepari il thé eppure questo non ti
rende thé.”
Lei sorrise
e confessò, fissando un punto imprecisato della sala:
“Vorrei
tanto esserlo: fluire in una tazza e infilarmi ovunque per poi
evaporare, goccia dopo goccia, senza sapere dove andare. Mi basterebbe
anche solo gettarmi in uno specchio d'acqua un giorno e sentire la
gonna inzupparsi dopo essersi gonfiata, al punto da sembrare in
procinto di esplodere.”
“Fallo.”
disse Sai. Sorrise, come se fosse lui a poterglielo concedere.
Sakura
scosse la testa ridacchiando, nonostante un senso di amarezza le
rendesse difficile mostrare la felicità che avrebbe dovuto
accompagnare la risata. Perché sapeva che Sasuke sarebbe
rimasto solo
a prendere quel bicchiere, come in tutti quegli anni; lei non poteva
cambiare le cose, allo stesso modo non poteva essere una nuvola di
vapore per disperdersi, senza che qualcuno riuscisse ad afferrarla tra le
mani.
“Stai bene, Sai?”
chiese all'improvviso, scrutando il ragazzo con il desiderio di
potergli leggere nella mente.
Lui era
radicalmente diverso dal giorno in cui lo aveva conosciuto: sembrava
che da quando era uscito dal locale qualcosa lo avesse cambiato, per
quanto egli continuasse ad avere quell'aria inespressiva. Sakura, alla
luce delle proprie constatazioni, ancora non capiva per quale motivo
riuscisse a sentirlo così vicino a sé.
“Sto
bene.” assicurò lui con un sorriso.
Una
risposta uguale a tante che non valeva nulla, parallelamente non
valeva niente nemmeno l'espressione cordiale preconfezionata. La Haruno
notò casualmente, soffocando un'inaspettata gelosia che
avrebbe voluto allontanare o addirittura dimenticare:
“Quindi
tu e Deidara siete riusciti ad equilibrarvi.”
“Deidara
è presente, nonostante tutto.” rispose il ragazzo,
incurante di aver detto una frase apparentemente priva senso; per lui
infatti il senso c'era eccome, solo che nessuno vi avrebbe scorto
ciò che egli vedeva a sua volta.
Sakura si
fece perplessa ma rimase muta, non commentò nemmeno
l'espressione malinconica del pittore – segno che, nonostante
questi sembrasse non conoscere i sentimenti, doveva star provando
qualcosa. Forse era un qualcosa di talmente forte e incomprensibile da
farlo stare piacevolmente male.
°*°*°*°
“Sai
mi ascolti?”
La sua voce
suonava irritata. Sai con un sospiro volse lo sguardo verso di lui per
poi sorridere replicando:
“Scusa,
Deidara.”
Una
creatura strana, a dire il vero, quel ragazzo dai lunghi capelli
biondi; aveva le mani perennemente sporche d'argilla e il suo atelier
era pieno di forme strane che ben pochi avevano avuto il privilegio di
capire.
Pazzo,
visionario, amante delle sue opere; ed irascibile, terribilmente
irascibile: così se lo era immaginato Sai sin da quando i
due si erano incontrati.
“Tieni
il tuo sorrisetto di circostanza per gli stupidi che ci
cascano.” aveva ribattuto con una smorfia, per poi scostare
un ciuffo che gli ricadeva davanti agli occhi con uno sbuffo.
“Pensavo
ad altro.” ammise il compagno facendo la punta al carboncino
grazie ad una lametta.
“Me
n'ero accorto.” osservò ironico.
“Ti
capita mai?” chiese continuando nel suo lavoro.
Deidara si
incurvò nelle spalle, alzando gli occhi spazientito, per poi
rispondere seccamente:
“Di
perdermi in sciocchezze inutili? Direi di no, altrimenti a quest'ora mi
ritroverei assieme a te a vagare nel nulla e nessuno potrebbe amare le
mie opere, un vero peccato.”
Commentò
dando qualche ritocco ad una massa di argilla dalle forme astruse.
Sai
osservò con tono neutrale:
“Vorresti vagare nel nulla
insieme a me?”
Il maestro
dell'argilla alzò gli occhi, lo guardò di
traverso per poi storcere la bocca e commentare ironico:
“Sì,
certo.”
“Questo
si chiama amore, Deidara, me lo ha detto il Vecchio. Non credo
però di essere all'altezza dei sentimenti che provi per
me.”
Rispose
assumendo un'aria solenne nel ricalcare incurante strascichi di libri
farciti di zuccherose storie romantiche lette anni fa, scrutando tra le
tante pile di volumi che riempivano la casa del suo mentore. Anche se,
alla fine, quei sentimenti che provava a differenza delle opere scritte
erano veri, intensi e vibranti nella loro incomprensione.
Sai
sospirando abbandonò le proprie attività di
manutenzione e si sdraiò sonnacchioso su un triclinio,
incrociando le braccia davanti al ventre nudo macchiato di vernice,
mentre il caldo del solaio rendeva l'ambiente più
soffocante. Deidara lo osservò, interrompendo il suo
accurato lavoro di controllo delle creazioni appena asciugate al sole
della terrazza – operazione indispensabile per
correggere alcune imperfezioni prima di mettere il tutto nel forno a
legna situato presso il cortile.
Guardò
prima con ammirazione artistica poi con amore le curve armoniose di
quella pancia scoperta, i muscoli che guizzavano sotto la pelle
candida, le mani affusolate che con pudore inesistente davano ombra
all'ombelico reso teso dalla posizione. Non lo avrebbe mai ammesso
davanti al suo coinquilino ma fin dal primo momento in cui aveva visto
Sai aveva riconosciuto la perfezione di quel corpo slanciato; una
perfezione che gli era stato difficile da accettare vista la
costante inclinazione a considerarsi migliore degli altri.
A sua volta
Sai – con sorprendente intuito e lucidità
– sapeva di essere contemplato da Deidara.
Amava
immaginare le dita di lui sfiorargli la pelle, percorrere con
l'esperienza dello scultore le linee del corpo per sentirsi
dire di possedere una bellezza unica; aveva elaborato talmente tante
volte quel gesto nella mente dal non sorprendersi quando Deidara, come
quel giorno, gli si avvicinava e lo solleticava con i lunghi capelli
biondi.
“Mi
disturbi.” diceva sempre l'artista in un soffio.
Ma alla
fine gli si sedeva accanto, appoggiando mollemente il mento sulla mano,
e faceva scorrere l'altra sul ventre, schivando le chiazze della
pittura per indugiare sull'ombelico. A quel punto si chinava e lo
baciava, tastando con le labbra la sua pelle bianca come se sperasse di
gustare uno dei frutti più buoni del mondo.
Ed
effettivamente era così: affondava appena nella carne
avvertendo i muscoli sotto di essa, così da inspirare il suo
odore mischiato a quello della vernice e dell'argilla. Sai sapeva
d'arte: per questo Deidara socchiudeva gli occhi, per questo i suoi
baci delicati risalivano con trasporto dolce sul petto che respirava
lento, mentre le mani accarezzavano le braccia lasciate sui fianchi, e
finalmente giungeva sino al volto dopo che le labbra avevano assaggiato
il collo scarno.
Era un
percorso facile, privo di ostacoli, e quando entrava in contatto con
quella bocca più piena della propria Deidara sentiva di aver
raggiunto il suo scopo perché Sai – privo della
solita meccanicità dei gesti – gli passava una
mano tra i capelli, lasciando che le ciocche bionde sfuggissero
lentamente tra le dita per cascare fino a non circondarlo.
Potevano
fare l'amore in quell'atelier, circondati da ciò che
più amavano, plasmando reciprocamente le pelli e vorticando
in un orgasmo cercato da entrambi. Sai pazientava soffermandosi sulla
sensualità dei gesti e delle forme, consapevole che poteva
esserci il bello inopinabile e in Deidara lo aveva trovato, o almeno
aveva pensato fosse così sin dal primo sguardo che gli
avesse mai rivolto.
Il giovane
pittore immaginava, lavorava per associazioni di idee conosciute solo
attraverso i libri, e la soluzione più logica a cui era
arrivato – quando percorreva la strada accanto all'artista
appena conosciuto – era che avrebbe potuto soltanto amarlo.
Senza implicazioni di sorta, non le conosceva. Semplicemente
perché Deidara era quell'ispirazione sempre cercata e quella
carezza mai avuta, in grado di fargli provare tanti sentimenti che non
credeva di poter contenere nel suo corpo mortale.
Sai amava
concentrarsi sulle mani del compagno mentre erano intente a sfiorargli
il ventre, amava vedere i suoi occhi sfrontati mentre lo osservava e,
sì, amava anche quei capelli opposti a suoi.
A
volte però, quando sedeva solo in quel solaio reso
soffocante dalla primavera inoltrata, gli capitava di cercare
nuovamente con lo sguardo una finestra che si affacciasse sul mondo
– proprio come quella della sua vecchia casa – ma
non la trovava; allo stesso modo, guardandosi attorno, c'erano momenti
nei quali non riusciva a vedere lo scultore. Se ne stupiva ancora.
Allora,
concentrandosi, si sforzava di ricordare il primo giorno in cui lo
aveva incontrato: serrava le palpebre per poi riaprirle subito dopo e
capire che in realtà Deidara era sempre stato davanti a lui.
A quel punto lo guardava, recependo la superiorità
trionfante dei suoi occhi velati da una follia sensuale, e sospirava
immaginandoselo intento a venire verso di sé per
raggiungerlo.
*°*°*°*
Sakura
quasi in punta di piedi si diresse presso il tavolo dove amava stare
Sasuke e raccolse il bicchiere colmo d'assenzio; prese il gambo
argentato tra le dita poi annusò il liquido verde contenuto
tra le pareti di cristallo, facendolo ondeggiare appena, infine con un
sospiro gettò la bevanda in strada come faceva sempre da
qualche mese a quella parte.
Quando
rientrò appoggiò il Suo bicchiere sul
bancone per contemplarlo ancora prima di lavarlo con cura e riporlo in
uno scaffale riparato.
Si
portò una mano al petto e ripensò a Sai, alle sue
parole, chiedendosi se lui in realtà sapesse o, come lei,
riuscisse a vedere i ricordi. Forse amava cullarsi nelle proprie
illusioni, nei rimpianti, sperando così un giorno di
riuscire a trasformarli in qualcosa di concreto fino a che non fossero
divenuti delle soddisfazioni.
Guardò
una delle mensole in vetro e notò che in quel punto, nel
mezzo tra una bottiglia e un'altra, ci sarebbe stato spazio sufficiente
per ospitare l'insolita creazione di Deidara.
Si chiese
come stessero quei ragazzi strani, anche se nel farsi quella domanda
provò una certa gelosia: era giunta infatti alla conclusione
che i ragazzi in questione dovevano essersi trovati, in una maniera
talmente semplice da far risultare banali le attenzioni che la Haruno
provava per Sai, persino la sua ansia quasi materna nel sapere se il
pittore – lontano dal bancone con gli specchi –
stesse davvero bene.
I due
artisti quel giorno avevano parlato nella maniera diretta e spontanea
che la giovane con Sasuke, nemmeno dopo anni, avrebbe mai avuto.
Sakura
annusando l'assenzio sperava di annusare lui e parlargli per
sensazioni, pur sapendo di essere arrivata troppo tardi. Allora, nel
silenzio della sua piccola stanza, al ritorno dal lavoro leggeva uno
dei pochi libri che possedeva – regalatole da Tsunade dopo i
primi mesi lavorativi – tuffandosi tra le righe
nella speranza quindi di tuffarsi in Sasuke.
Un giorno
si sarebbe ridotta a fare lo stesso con Sai: avrebbe comprato uno dei
suoi quadri per vivere i paesaggi ritratti nel tentativo di vivere
anche lui, simile ad una radice che prosciugava ingorda l'acqua dal
terreno.
Sakura
sapeva che la sicurezza mostrata in realtà era in buona
parte semplice apparenza; nelle sue maniere determinate e cortesi vi
era solo un falso senso di superiorità, perché
viveva incerta su quanto effettivamente valesse la pena compromettere
quel poco che aveva raggiunto.
Certo, a
modo suo era una ragazza forte, temprata dalle esperienze della vita
che l'avevano fatta maturare più in fretta di quanto non
avesse voluto: così si era creata una corazza che aveva lo
scopo di mantenerla salda di fronte alle avversità,
impedendole di piegarsi. Ma all'interno di quel guscio era una noce
tenera che, se schiacciata senza accortezza, si sarebbe sbriciolata in
mille pezzi.
Improvvisamente
però Tsunade entrò nel locale, accompagnata dal
ticchettare degli stivaletti indossati, mentre in mano aveva un borsone
di stoffa e l'aria distrutta di chi non vedesse l'ora di coricarsi.
Sakura si girò stupita perché l'ultima volta che
aveva visto la sua direttrice era stato quasi un mese fa, il giorno in
cui Deidara era uscito dal locale assieme a Sai.
La stessa
Shizune, pur essendo la sua fida assistente, non sapeva il motivo di
quella partenza affrettata e nemmeno il suo superiore le aveva dato il
tempo per chiedere qualche spiegazione: Tsunade –
insofferente alla chiusura dei posti sempre uguali – da un
giorno all'altro se ne era andata e, in modo altrettanto inaspettato,
aveva fatto ritorno.
“Bentornata!
Le preparo qualcosa?” chiese Sakura aiutandola con le valigie.
Ma Tsunade
scosse la testa, commentando con il rimprovero dolce di una madre:
“Lavori
ancora? A quest'ora dovresti essere già a casa –
fece un sorriso poi aggiunse, avvicinandosi al bancone –
però già che sei qui se ti va potremmo bere
qualcosa insieme. Il viaggio mi ha davvero stancato.”
La ragazza
accettò volentieri, così le due donne
chiacchierarono del più e del meno, apparentemente con fare
spensierato quando invece entrambe aspettavano qualcosa; cosa
esattamente, nessuna delle due era ancora riuscita a capirlo.
Dopo
qualche istante Tsunade ammise, visibilmente provata:
“Sistemare
le ultime cose che Deidara aveva lasciato in sospeso dietro sua
esplicita richiesta mi ha davvero svuotata. Ammetto però che
non me lo aspettavo.”
Sakura
osservò allegra: “Quel tipo è strano
però sembra che si trovi proprio bene con Sai.
Già, Sai... – rifletté pensosa
– è diverso da quando abita assieme a
lui.”
Tsunade
sgranò gli occhi, stringendo il bicchiere che aveva davanti
a sé con più forza. Deglutì un
istante, infine chiese faticando a trovare la voce:
“Come
hai detto scusa?”
Sakura
rimase piuttosto perplessa per quel volto incredulo, eppure non le
sembrava di aver detto niente di così particolare
considerando i soggetti di cui si stava parlando.
“Che
sono... - si interruppe, scrutando gli occhi tristi della donna, infine
domandò a sua volta – che cosa
c'è?”
Tsunade
mormorò: “Allora nessuno di voi sapeva ancora
niente...”
“Niente
di cosa?” insistette la ragazza un po' irritata, appoggiando
quasi con forza le mani sul bancone in marmo.
La padrona
del locale fissò Sakura, la quale dovette cercare di
fronteggiare quello sguardo pieno di dolore e stanchezza. Infine la
donna dai lunghi capelli biondi disse semplicemente:
“Deidara
è morto un mese fa, pochi giorni dopo essere uscito da
qui.”
Sproloqui
di una zucca
Chiedo venia per l'aggiornamento stupidamente tardo ma il mio
piccì mi ha abbandonato: è stata staccata la
corrente e lui, poveretto, ha smesso di accendersi. Stasera, dopo
averlo riportato a casa, l'ho subito schiavizzato come se nulla fosse
successo per poter postare il secondo capitolo ^^
Steste:
Grazie mille per tutto quello che dici, carissima *___* Sono davvero
orgogliosa che il mio modo di narrare possa averti catturato
così tanto, fino a farti immergere nelle atmosfere
ottocentesche di Parigi. In effetti mantenere IC i personaggi in una Au
non è mai facile e ogni volta mi rodo il fegato per
mantenerli tali il più possibile, anche se io molte volte
vorrei farli girare a modo mio - sì, mi tocca frustacchiarli
per non far loro prendere direzioni troppo diverse dai loro caratteri e
mantenerli in riga, che mostro disumano sono XD Scusa per il ritardo
nel postare - galeotta fu la corrente u_u' - ma spero di farmi
perdonare ^^
Dragon gio:
Grazissime - che terminone - per il commento. Mi piacciono molto le
ambientazioni storiche, quindi sapere che abbia affascinato mi rende
davvero contenta ^^ Sono contenta anche che il rapporto tra Deidara e
Sai ti sia piaciuto, abbia dato un senso di armonia, perché
nonostante i loro caratteri era proprio quanto volevo riuscire a far
cogliere di loro due. Grazie anche per i complimenti, sapere che una
mia storia possa aver fatto emozionare è per me fonte di
grande soddisfazione *____* Alla prossima!^^
Princess21ssj:
Grazie di tutto, ma questo già lo sai ^^ Che bello, anche tu
hai visto il film *____* L'ho trovato splendido, mi è
rimasto davvero impresso, soprattutto il finale... credo che sia da una
parte inaspettato ma dall'altra perfettamente in linea con il carattere
del protagonista *O*
Grazie anche al magico trio di lettori - preferiti - seguiti *____*
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Capitolo 3 *** Raccolto ***
bar3
III
Raccolto
Sii in festa, popolo
devoto!
Oggi
il raccolto è proficuo
perché
benedetto.
Conserva
ogni spiga d'esperienza
e
cuocine pane;
condividilo
con chi, come te,
ha
maturato il frutto acerbo del dolore.
Sai,
mentre era intento a dipingere uno degli animali fantastici che tanto
amava, sentì bussare con forza alla porta, come se l'autore
di quella composizione musicale di poco gusto fosse intenzionato a
sfondare la barriera di legno che gli impediva di entrare.
Così
l'artista si alzò e andò ad aprire per poi
guardare Sakura che, con il fiatone e le gote colorate di rosso per la
corsa, lo fissava aspettando qualcosa.
Un qualcosa
che però non arrivò, infatti Sai si
limitò ad un tranquillo:
“Buongiorno.”
La Haruno
lo osservò ancora, infine si decise ad oltrepassare la
soglia e farsi strada in quell'ampio solaio caldo illuminato da una
luce soffusa. Carica di determinazione si guardò attorno
anche se solo il suo respiro affannato disturbava la quiete di quella
stanza, nella quale la ragazza notò un divanetto collocato
sotto una finestra – magicamente avvolto dai raggi
solari – e davanti ad esso un cavalletto con appoggiata una
tela bianca. Sul lato sinistro vi era una lunga serie di mobiletti
sufficientemente bassi da potersi incastrare perfettamente nel tetto a
spiovente, alcune opere – che rispecchiavano in pieno lo
stile di Deidara – erano disposte sopra di essi per dare
prova di uno sorprendente sfoggio di capacità personali.
Sakura
corrugò la fronte perché sentiva quella grande
soffitta così vissuta, così piena di entrambi i
ragazzi, da indurla a pensare di essersi inevitabilmente sbagliata.
L'artista
non poteva essere morto; le pareti erano sature non solo di lui ma
anche di amore, un amore che entrambi dovevano avere provato.
Ma poi si
ricordò, con una fitta di dolore al petto, quanto in
realtà quel sentimento potesse essere subdolo e spesso
talmente immaginario da poter dare più felicità
di ciò che era reale. Si avvicinò a Sai che
immobile la stava a guardare, indecifrabile come al solito.
“Dov'è
Deidara?” chiese sofferente.
“Tornerà.
E' uscito poco fa.” rispose l'altro con estrema
tranquillità.
“Non
è vero, Sai, Tsunade mi ha raccontato dell'incidente
avvenuto poco giorni dopo che siete usciti.”
Calò
il silenzio. In lontananza, una nidiata di passeri litigava nascosta
tra le tegole in cotto per il cibo procurato dalla madre operosa.
Sai disse,
dando uno sguardo fuori dalla finestra che però –
ahimè – era troppo alta per permettergli di
scorgere qualcosa della città:
“Il
suo corpo è morto sotto i miei occhi, forse alla gente piace
pensare che sia così. Ma questa camera è ancora
viva e io lo sento: lo immagino sedersi nell'angolo, lo immagino
plasmare l'argilla per poi asciugarla al sole ed infornarla investito
da una vampa di calore del fuoco. Cos'altro siamo noi se non i ricordi
degli altri e gli oggetti che abbiamo vissuto?”
Sakura
abbassò lo sguardo, infine scosse la testa:
“Non
puoi far finta di niente e nemmeno continuare ad immaginartelo...
finirai per impazzire dal dolore e soffocare nel rimpianto.”
“Ironico
che sia proprio tu a dovermelo dire.” rispose Sai; non con
presunzione o irritazione, bensì con una nota di dolcezza
– forse persino amore premuroso – che fece quasi
star male la ragazza al punto da confondere quelle che un tempo credeva
certezze assolute.
“E'
diverso, io...” si interruppe.
Improvvisamente
Sai le sfiorò con un dito le ciglia e replicò
serio:
“Anche
tu come me hai gli occhi ma vedi semplicemente cose diverse dalle mie,
cose che a loro volta gli altri non potranno mai percepire.”
Sakura
sentì le lacrime minacciare di scenderle: questa volta non
era sonno, ma puro e semplice pianto. Perché quel ragazzo
così immediato nei pensieri e nei modi di fare le stava
sbattendo in faccia una realtà che lei aveva cercato di
ignorare, buttandola coraggiosamente via assieme all'assenzio che
giorno dopo giorno rovesciava nella strada affollata di pedoni e
carrozze.
Smise di
respirare quando Sai le disse:
“Anche
Sasuke è morto.
Da più di un anno ormai.”
Lei
continuava ostinata a volerlo vedere sostare presso quel tavolo, come
era solito fare prima che la tisi glielo portasse via per sempre. La
morte sapeva essere ogni volta squisitamente in anticipo; non aveva
dato né a lei né a Sai l'occasione di provare la
vita con la persona che amavano, così li lasciava entrambi,
viventi, nell'amarezza del rimpianto per tutte le occasioni perdute e
la certezza di aver sbagliato a calcolare i tempi.
Si
cullavano nella fantasia di come l'esistenza sarebbe potuta continuare,
l'uno sognando il futuro, l'altra ripercorrendo il passato. Annegavano
nella trasparenza dei loro fantasmi il dolore di un amore non
consumato, l'erotismo dei gesti proibiti, la sensualità
degli sguardi scambiati prima che tutto finisse evaporando come il
thé che danzava davanti a loro.
“Fa
male. Tanto.” ammise lei tenendo la testa orgogliosamente
alzata.
Sai si
portò una mano all'altezza del cuore commentando:
“Allora è questo il dolore. Senti qualcosa che si
spezza e giorno dopo giorno si frantuma togliendoti il
respiro.”
“Già
ma non puoi farci davvero nulla.”
Si
guardarono, respirando sorprendentemente in sincronia, infine Sakura
mosse un passo verso di lui come se non avesse altra traiettoria da
poter seguire.
Egli si
limitò a dire inespressivo: “Forse non sempre
funziona così. Forse possiamo realizzare un
desiderio.”
*°*°*°*
Sai
guardò la casa che aveva abbandonato e non si
stupì nel vederla ancora in piedi, seppure molto
più invecchiata rispetto a quando era stata lasciata:
l'edera aveva coperto parte della parete frontale, l'erba alta cresceva
inondando il vialetto ormai indistinguibile dal resto del giardino e il
cancello in ferro battuto, che un tempo lo aveva separato dal resto del
mondo, era ora piegato in un angolo innaturale. Cigolò
quando Sai lo aprì per far entrare lui e Sakura la quale,
mano a mano che avanzava, sentiva il respiro farsi più
difficile, come se avesse atteso tutta la vita di giungere sino a
lì.
La giovane
si affiancò determinata a Sai quando questi percorse un
ampio porticato avvolto dalla stessa edera che infestava le murature:
in quel tratto la luce del giorno veniva filtrata dalle foglie,
avvolgendo il vialetto in un'ombra piacevole.
Sakura
improvvisamente prese il pittore per mano con decisione, quella
decisione che non era stata sufficiente per Sasuke. Il ragazzo
spalancò gli occhi ma non si voltò verso di lei,
cercando di contenere la propria sorpresa con abilità, anche
se finì per stringere a sua volta quelle dita più
piccole delle sue, non credendo potessero essere tanto diverse rispetto
quelle che aveva immaginato appartenere a Deidara mentre lo sfiorava.
Così
insieme, legati da un dolore comune, camminarono fino a non
oltrepassare una tenda di vegetazione che aveva coperto il passaggio.
La attraversarono senza smettere di tenersi stretti e giunsero di
fronte ad un piccolo stagno, circondato da tantissimi fiori dai colori
diversi: calle, rose, narcisi, bocche di leone... un insieme insolito
ed impossibile di specie che conviveva in quella stagione, come se il
clima o il tempo fosse del tutto ininfluente.
Sakura non
seppe cosa dire, il battito del cuore sembrava volerle impedire di
parlare, e quando si avvicinò notò che l'acqua
dello stagno era insolitamente limpida, al punto da riuscire a vedere
il fondo argilloso mentre un riverbero di luce nuotava sulla superficie
piatta.
Capì
perché Sai l'aveva portata lì, capì
anche che lui non era una persona con cui c'era bisogno di tante
parole: osservava silenzioso gli altri e ricordava ogni loro gesto,
ogni loro parola, nello sforzo di intuire a sua volta cosa dovesse fare
di sé stesso.
Sakura si
portò una mano davanti alla bocca, infine il compagno di
escursioni spiegò:
“Sapevo
che sarebbe rimasto così. Ci sono cose che non muoiono
né cambiano, altrimenti come faremmo ad andare avanti se non
possiamo voltarci indietro?”
La giovane
lo guardò con intensità, infine annuì
sorridendo. Dopo un istante chiese, più come se fosse un
ordine che una semplice domanda:
“Vieni
con me?”
“Su
diversi libri ho letto che spesso essere accompagnati serve ad
affrontare le proprie paure, quindi se vuoi posso entrare con
te.” concluse con logica intuizione.
“Non
ho paura.” ribatté lei, alzando le spalle
orgogliosa. Era vero.
Allora
tolsero le scarpe quasi in contemporanea e, a passi misurati, si
immersero lentamente nell'acqua, così che i loro vestiti
vennero inzuppati centimetro dopo centimetro. La gonna ampia di Sakura
si gonfiò, galleggiando per qualche istante sulla
superficie, infine accompagnata da bolle affondò poco a poco
simile alla barca di un pescatore nella tempesta, mentre lei avanzava
sino a che anche metà del bustino non venne completamente
immersa.
Rideva
girando a fatica su sé stessa per via del peso mentre Sai la
guardava senza esprimere opinioni o commenti, finché la
cameriera non gli afferrò nuovamente una mano dicendogli suo
malgrado:
“Sono
una stupida che è tornata bambina. Mi giudicherai
pazza.”
“Non
ti reputo tale; forse non lo faccio semplicemente perché
siamo pazzi entrambi.”
Immaginare
l'amore era follia?
“Tutto
sommato abbiamo sognato di amare.” confessò Sakura
mostrando un volto determinato. Guardò la propria gonna,
guardò l'acqua rilucente e si sentì bene.
Improvvisamente
Sai inclinò la testa, chiedendo con incredibile naturalezza:
“E
se invece noi due ci amassimo?”
Sarebbero
stati entrambi reali e, per una volta, vicini. Sakura sgranò
gli occhi, stupendosi di aver formulato a sua volta quei pensieri senza
però avere la spontaneità di renderli concreti,
come invece era stato in grado di fare Sai.
“Mi
sembra assurdo – replicò tagliente – poi
tu con quei tuoi discorsi fuori da ogni logica, tu che...”
cessò di parlare, non riuscendo a risultare forte e
razionale come avrebbe voluto essere.
Sai
osservò: “Già, dimenticavo che a volte
sei vittima delle tue indecisioni: vorresti apparire perfetta agli
occhi degli altri, allora eviti di camminare per non cadere. Ma non
potrai rimanere immobile tutta la vita.”
Sakura lo
guardò, esterrefatta da quelle parole: ascoltarle era come
essere stata denudata; se però Sai l'avesse spogliata sul
serio, notò, la gonna sarebbe affondata e invece lei avrebbe
continuato a galleggiare nel suo mare personale, come una deliziosa
ninfa baciata dagli dei. Sorrise, sentendo che questa volta qualcuno la
spingeva e la sfiorava, spolverandole in una passata le proprie
incertezze: forse quel qualcuno era proprio lei stessa che, come
sempre, era costretta a farsi forza da sola.
Si
avvicinò quindi al ragazzo dai capelli scuri e lo
sfiorò con le labbra. Sai la guardò, rimanendo
rigidamente immobile mentre tentava di capire perché il suo
cuore avesse iniziato a battere così veloce,
perché l'aria non gli entrava nei polmoni con la stessa
tranquillità di prima, come potesse anche solo sentire il
sudore pur essendo nell'acqua.
Ma quando
Sakura lo baciò all'improvviso non avvertì nulla.
Le gambe non erano più piantate sul fondale dello stagno, il
freddo nemmeno esisteva: Lui
era in un mondo senza gravità con Lei a scortarlo,
le sue labbra a condividere la stessa aria e i capelli, come quelli di
Deidara, gli sfioravano la pelle.
“Fermati.”
disse improvvisamente lui guardandola. Questa volta l'espressione non
era impassibile o falsamente sorridente, bensì spaventata e
confusa.
Sakura,
notandolo, si morse un'unghia e aggrottò la fronte:
“Io...”
fece per dire, cercando di giustificarsi pur pretendendo di avere
comunque ragione.
“Sento
le farfalle nello stomaco. Anzi, a dire il vero è l'unica
cosa che sento ma non riesco a controllarla, non capisco cosa debba
fare...” la interruppe improvvisamente Sai, artigliando una
mano sui vestiti all'altezza del torace.
La Haruno
accennò ad un sorriso e chiese quasi con la
professionalità di un medico:
“Ti
fa male tutto questo?”
Il suo
paziente ci pensò un istante, infine rispose fissandola
intensamente:
“No.”
Si
stupì della sua stessa risposta e del fatto di non averci
realmente pensato: aveva semplicemente abbandonato la
razionalità alla quale faceva da sempre appoggio e il
risultato era stato di capire un mondo che non aveva mai avuto
occasione di conoscere.
La ragazza
annuì e sussurrò:
“Forse
perché sei innamorato.”
“Amo
anche Deidara.” rifletté.
Sakura
scosse la testa:
“Tu
ami l'immagine che ti eri creato di Deidara, il pensiero di come ti
toccasse, le parole che avrebbe potuto rivolgerti: lo ami
perché hai confezionato
la relazione con lui, elaborata a misura della tua fantasia.
Una
fantasia effimera perché anche tu, come me, ogni mattina ti
svegli e stai male non trovando l'oggetto dei tuoi pensieri nel letto
accanto a te. Manca il calore nel suo respiro e nei suoi gesti, quando
te ne accorgi soffri e... ti rendi conto di non poter fare nulla per
riportarlo indietro.”
Sai rimase
in silenzio perché Sakura, con la sua gonna zuppa e i
capelli umidi, aveva parlato anche per lui e svelato il dolore che i
due celavano dietro la maschera, indossata ad arte da entrambi:
esternamente forti e determinati, oppure insensibili; internamente
così fragili da frantumarsi lentamente, simili a specchi
colpiti da pugni dati troppo forte.
“Ora
continuerai a baciarmi?” chiese infine, stringendo con
più forza la mano della ragazza.
Sakura
commentò: “Beh, se non ti spaventa troppo potrei
anche pensarci.”
Alzò
gli occhi al cielo, facendo finta di nulla.
Sai dopo un
istante di silenzio rispose candidamente:
“Mi
piace. Anche tu, se solo non fossi conciata così male,
potresti piacermi.”
“Potresti?”
sibilò la giovane, pur soffocando una risata.
“Ho
sbagliato a dire qualcosa?” chiese Sai guardandosi un
istante, come se fosse stato un oggetto montato male.
Lei
sbuffò appena, scosse la testa e replicò
avvicinandogli una mano alla guancia pallida:
“Non
importa... questa volta avremo tempo: ce lo meritiamo
entrambi.”
Così
si baciarono immersi fino alla vita nell'acqua di uno stagno limpido,
volteggiando coi vestiti inzuppati tra quei fiori colorati; tutti e due
avevano conosciuto quello che speravano essere un amore, dal quale
però erano stati separati prima che potessero farlo
diventare reale.
Ora si
trovavano a possedere davvero qualcun altro da amare, da toccare per
essere toccati a propria volta; impacciati nella loro inesperienza e
inesperti nel sentire qualcosa che non fosse solo un'immagine
evanescente che fluttuava nell'aria.
Chissà...
forse Deidara e Sasuke in lontananza li guardavano, persi a loro volta
nelle rispettive attività; il primo plasmando figure
irreali, il secondo scrivendo frenetico mentre sorseggiava assenzio.
Magari
entrambi, un istante prima di morire, avevano immaginato la vita con
quelle persone appena conosciute senza però avere
l'occasione di assaporarla, come se fosse stata la più
ambita delle ambrosie crudelmente divorata da dei ingordi.
*°*°*°*
Tsunade, in
piedi presso il bancone del café, guardava soddisfatta la
nuova assunta che le preparava un alcolico con cui poter sfogare i
rancori dovuti alle ultime perdite finanziarie nelle scommesse ippiche;
tanto per cambiare la fortuna non girava mai dalla sua parte.
“Tenten,
quando hai finito dai una ripulita agli scaffali, fai attenzione
però: il vetro è fragile e costoso in questi
tempi.”
La ragazza
annuì poi, perplessa, chiese:
“Signora,
devo togliere anche questi oggetti?”
Tsunade
spostò lo sguardo. Sorrise vedendo la statuetta d'argilla
appartenente a Deidara e, di fianco, un bicchiere in cristallo che
ancora sapeva d'assenzio; dietro di essi troneggiava un piccolo quadro
che ritraeva uno stagno circondato da fiori: non ci nuotava nessuno
eppure l'acqua era increspata, come se dei fantasmi danzassero
leggiadri plasmati dall'aria.
“Non
serve.”
“Ma
la polvere...” accennò un po' incerta.
La
proprietaria sorrise mesta, fece ondeggiare il liquido nel calice e
infine rispose:
“Fa
lo stesso, lascia che si coprano. D'altronde il tempo passa per tutti,
anche per questi soprammobili immutabili.”
Tenten
senza aggiungere altro annuì mentre Tsunade pensava. Pensava
a come sarebbe stato il locale se ci fosse stata ancora Sakura,
spigliata e sorridente, a servirle da bere e chiacchierare di quegli
argomenti frivoli tanto cari alle donne.
Invece
aveva avuto la fortuna o forse, chissà, sfortuna di
incontrare qualcuno consumato dallo stesso dolore provato da lei;
peccato che nessuno dei due fosse abbastanza pronto od esperto per
poterlo fronteggiare, così insieme si erano trovati e
insieme se ne erano andati.
Sai e
Sakura erano stati rinvenuti, dopo ore dalla scomparsa, morti annegati
in un laghetto sudicio di una casa diroccata, attorniato da fiori
secchi ed erbacce che nascondevano appena la pozza coperta da una
patina verdastra.
Ogni volta
che guardava quel quadro Tsunade invece pensava che sarebbe stato bello
se i due al posto di lasciarsi morire avessero avuto l'occasione di
rialzarsi e, anziché affondare, potersi amare... magari
baciandosi circondati da bellissimi fiori, immersi in un lago
dall'acqua lucente nascosto tra le mura di un giardino magico.
I
suoi meravigliosi fantasmi danzanti.
Sproloqui
di una zucca
Finalmente ho pubblicato *O*
Sono reduce da due ore di studio quindi pietà e compassione
se quanto scriverò non sarà propriamente furbo ed
espressione di massima intelligenza - non capiterà mai, ma
lo studio di certo non contribuisce a migliorare le cose, anzi.
Ho amato questa storia: ci ho lavorato sopra per diverso tempo, prima
ancora che ci fosse il concorso anche se molte cose sono state
modificate rispetto ai miei intenti inziali. Infatti avevo pensato ad
una vera e propria long fiction con protagoniste le relazioni tra
Deidara e Sai, oltre che tra Sasuke e Sakura, più altri
personaggi; l'ambientazione era nell'epoca contemporanea ma aver visto
il quadro "Il bar delle Folies Bergére" mi ha totalmente
rapito e quindi ho cambiato allegramente luoghi e tutto il resto,
adattando infine ogni cosa al concorso indetto da Princess.
Cosa dire, spero che questo racconto un po' atipico sia piaciuto, anche
se dal finale triste - che ci volete fare, io amo i finali un po'
malinconici. Sarebbe anche un grande onore se continuaste a seguirmi in
altre mie storie ^^
Dragon gio:
Già, la frase finale in effetti è tragica. Povero
Deidara, avrei tanto voluto farlo apparire molto di più non
solo perché è un personaggio che adoro ma anche
perché ricco di spunti *O* Hai perfettamente ragione, mia
cara: la scena di Deidara che bacia il ventre di Sai è sensuale,
sono contenta che tu la ritenga tale, non solo per motivi di logica
soddisfazione ma anche perché effettivamente il pancino di
Sai è sublime, anch'io lo sbaciucchierei allegramente
=ç=
Ti ringrazio davvero di cuore per tutto quello che dici e pensi di
questa storia, mi emoziona davvero oltre che incentivarmi in
futuro a fare ancora meglio. Quindi grazie, i tuoi commenti sono sempre
splendidi^//^
Steste:
Ritardo? Ma non devi assolutamente preoccuparti: come dico sempre - sta
cosa fa molto proverbi della nonna XD - la fanfiction non ha una data
di scadenza. Quando e se avrai voglia di commentare lei sarà
sempre lì e io ben felice di leggere^^
Stampare una fiction secondo me è il modo migliore di
leggerla: permette di cogliere dei particolari che normalmente
sfuggono, io personalmente noto anche meglio gli errori e le stupidate
che scrivo. Peccato che da un po' abbia perso l'abitudine, dunque le
stupidate rimangono lo stesso XD
Sono felice che le descrizioni risultino così dettagliate ed
incisive, mi piace parlare dell'ambientazione che ruota attorno alla
storia, interagendo con i protagonisti. Quanto alla frase finale,
sì, hai pienamente ragione: voleva dare proprio un effetto
sorpresa, meno male che è riuscito *O*
Sasuke me lo sono immaginato istintivamente intento a bere assenzio e
scrivere: se un tipo come lui fosse vissuto in quell'epoca - almeno
secondo la mia "ponderatissima" opinione - non avrebbe potuto fare
altro se non il poeta o scrittore maledetto.
Quindi concludo ringraziandoti tantissimo per quanto hai detto nelle
recensioni e per aver seguito questa fiction, mi hai reso proprio
felice *_____*
Grazie a coloro che hanno inserito la fiction tra i preferiti e i
seguiti o anche ai lettori^^
Alla prossima! *O*
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