Oltre il giardino

di Happy_Pumpkin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Siccità ***
Capitolo 2: *** Inondazione ***
Capitolo 3: *** Raccolto ***



Capitolo 1
*** Siccità ***



Titolo:
Oltre il giardino

Autore: Happy_Pumpkin
Rating: Arancione
Genere: Malinconico, introspettivo, sentimentale, accenni nonsense
Personaggi: Sai, Sakura, Deidara, Tsunade
Trama: Un pittore inesperto si trova improvvisamente a dover valicare il proprio piccolo mondo, delimitato dalle mura di un giardino, e affrontare la vita da lui solo immaginata nei libri. Incontrerà due persone che, in modo diverso, gli cambieranno per sempre l'esistenza fino ad accompagnarlo nella scoperta di ciò che vogliono realmente significare le parole vita, morte, amore.
Note dell’autore: Il titolo è tratto dall'omonimo film con protagonista Peter Sellers – “Oltre il Giardino” appunto – che mi ha ispirato la condizione di isolamento rispetto al resto del mondo nella quale si trova Sai. Ma, eccetto questo particolare, tutta la trama è mia completa invenzione e si sviluppa secondo la scansione delle stagioni dell'Antico Egitto, le quali si distinguevano in base alle piene del Nilo.
Il motivo di questa scelta è dato dal fatto che secondo me la storia ha quasi un andamento ciclico, forse per via di alcuni dialoghi leggermente nonsense e certe scene quasi oniriche... la trama stessa a dire il vero è molto nonsense.
L'ambientazione è nella Parigi di metà Ottocento, periodo nel quale sono molto in voga i café, visti come luoghi di incontro e di cultura. Comparirà anche il caffé che, secondo le mie varie ricerche, all'epoca era ancora visto come una bevanda piuttosto d'alto rango ma – a differenza di quanto accadeva nel Settecento – iniziava già ad essere usata dalla media dei frequentatori di locali; per evitare qualsiasi tipo d'anacronismo oltretutto mi sono rifatta anche ai numerosi quadri ritraenti tazzine per assicurarmi di non descrivere qualcosa di improbabile.
Le frasi in corsivo ad ogni inizio capitolo sono state scritte unicamente da me e rappresentano il fulcro della narrazione.







OLTRE IL GIARDINO




I
Siccità

Le sponde secche
sono in attesa di risorgere,
simili all'assetato nel deserto.
Aspettano l'acqua
affinché le faccia vivere.




Il foglio aveva uno strano colore tendente al giallo, quasi fosse stato usurato dal tempo; Sai lo accarezzò con la punta del carboncino, truccandolo di morbide linee nere che ondeggiarono placide su quella piccola pozza di cellulosa.
Sospirò.
Il suono fastidioso di una campanella lo stava distogliendo dal suo lavoro. Allora, con calma, radunò le proprie cose disposte sulla scrivania in legno e si alzò in piedi, dirigendosi verso la camera da dove ultimamente il suo mecenate lo chiamava, sperando di farsi udire al di là delle coperte calde e della malattia che lo consumava lentamente.
Da diversi giorni però l'ammalato non parlava più: si limitava infatti a dormire in una successione di respiri talmente regolari da sembrare meccanici.

Sai si diresse nel corridoio, i piedi scricchiolavano sotto le assi in legno cerate e la luce filtrava a malapena dalle tendine scure; infine entrò nella grande stanza da letto nella quale vide, sdraiato e immobile, il suo anziano padrone. Quest'ultimo non aveva più l'irritante respiro rumoroso e regolare tipico degli ammalati, così come non sembrava doversi affannare ancora per tirare dentro la successiva boccata d'aria.
Senza dire una parola guardò la cameriera con al suo fianco il dottore – le uniche due persone, eccetto lui, che da tempo vivevano sotto quel tetto incrinato dal peso del tempo e dell'usura.
Senza mostrarsi sconvolto il ragazzo chiese: “E' morto?”

La donna – cicciottella, il volto reso quasi tumefatto dalle lacrime – si portò una mano alla bocca e trattenne un singhiozzo, parendo che la stessero per soffocare, ma non ebbe la forza di parlare.
Il dottore annuì con aria grave.
L'unica risposta dell'artista fu un'alzata di spalle ed un sorriso: “Immagino sia un sollievo.”
Non ci fu replica. I due astanti si guardarono un attimo, sorpresi, ma fu strano per loro, schiavi delle usanze, non trovare la forza di ribattere ad un'evidente mancanza di tatto.

Forse è meglio così.

Ancora tra le lacrime la cameriera si avvicinò al giovane, appoggiando le mani grassocce sulle spalle, e lo guardò dritto negli occhi. Infine gli chiese, animata da una strana aspettativa:
“E ora... cosa farai, Sai?”
Era il suo nome; lo aveva deciso per lui il Vecchio, anche se il Vecchio era morto.
Si limitò ad un sorriso di circostanza: “Resterò qui, come ho sempre fatto.”
La sua vita era quella casa, quella casa a sua volta era lui, una parte prolungata della propria esistenza.
La donna scosse la testa dispiaciuta: “Ma non puoi. Questa villa verrà rivenduta e sicuramente abbattuta per far spazio ad altri edifici: devi andartene e cercare il posto che fa per te.”

Andarsene. Se era l'obbligo a cui attenersi lo avrebbe rispettato, un'ultima volta.
Egli rappresentava il frutto della compassione umana: probabilmente non sarebbe esistito se anni fa, quando era solo un ragazzino di strada che tracciava linee armoniose sul terreno battuto, il Vecchio non lo avesse preso con sé, facendo evolvere quelle forme prive di tecnica.
Sarebbe infatti rimasto una delle tante vite incompiute che, tempo addietro, avevano popolato le sudice strade di Parigi.

Il suo salvatore amava l'arte del dipingere: si circondava di quadri appartenenti ad artisti così diversi da permettergli di radunare sotto lo stesso tetto tante maniere per concepire la vita; in ugual modo apprezzava la scultura e da un po' di tempo aveva scoperto un certo Deidara, il quale creava con l'argilla bizzarre forme di animali o presunti tali. Il Vecchio allora aveva iniziato a raccogliere simili creature dell'immaginario, arricchendo gli scaffali ancora vuoti per gioire, appena poteva, di vederli popolati di fantasia sotto i suoi occhi esperti.

Devi essergli riconoscente. Una delle prime cose che, messo piede in quella casa che profumava d'antico, di legno e tappeti polverosi, gli erano state dette. Si trattava infatti di un monito per quanto in futuro avrebbe fatto e, forse, un non proprio simpatico modo di salutare un ragazzino senza passato che poteva essere nuovamente sbattuto in strada.
Così, senza dire altro, si avvicinò all'anziano dagli occhi chiusi e gli portò una mano sulla fronte come aveva visto fare altre volte:
“Addio, Vecchio.”

Sotto gli occhi sorpresi della donna e del dottore Sai uscì dalla camera, che sapeva troppo di farmaci e spezie, per prendere le sue poche cose, ammucchiando i disegni, le tavole e gli strumenti che il suo padrone tempo addietro gli aveva comprato per premiarlo dei sui progressi.

“Ora sei un artista, Sai.”

Gli risultava difficile capire tutto ciò che non concernesse le poche cose in cui era bravo, ovvero dipingere. Negli anni si era isolato in quella soffocante stanza nella soffitta, vivendo di ciò che osservava dalla sua finestra incastrata nell'unica parete verticale esistente; il piccolo miracolo architettonico che gli permetteva di sentirsi meno estraneo al mondo, un mondo che non conosceva e che mai aveva avuto desiderio di scoprire.
Si limitava infatti ad apprendere grazie ai libri: leggeva di tutto – dagli scrittori più famosi e apprezzati a quelli attivi da pochi anni, come un certo Sasuke Uchiha per esempio.

Un sacco di tela quindi era il suo bagaglio per iniziare a camminare fuori dalle alte mura di Casa.
Presso il portone d'entrata vide, ammucchiati in un angolo, i borsoni rigidi e rettangolari della cameriera, una massa confusa e spaventata che andava dal porta cappelli ad alcuni utensili di cucina.
Accennò ad un sorriso: a quanto pareva tutti erano ansiosi da tempo di andarsene, la morte doveva essere proprio terribile.

Inaspettatamente, sotto gli occhi stupefatti della donna, Sai oltrepassò la soglia della porta con in mano solo il suo sacco, per poi attraversare il piccolo cortile e aprire il cancello che collegava una fila di alte mura dai mattoni rossicci, in grado di abbracciare quel piccolo angolo di mondo pacifico che era il giardino.
Appoggiò la mano sulle inferriate di metallo e, con un cigolio particolarmente musicale, lo aprì, ritrovandosi travolto dal caos delle carrozze che graffiavano le strade acciottolate di Parigi.

La cameriera lo osservò guardarsi attorno un attimo per poi, senza voltarsi indietro, girare a sinistra e scomparire, quasi fosse stato inghiottito da quelle murature che per anni lo avevano protetto.
“Ce la farà?” si chiese mossa da angoscia.
Il dottore si mise una mano sopra il panciotto bianco e rispose:
“Non lo so. Ha già vent'anni eppure non ha mai visto il mondo esterno. Sa solo disegnare e null'altro, quante possibilità ci sono che sopravviva?”
“Praticamente nessuna. Anche perché nessuno lo capirebbe.” rispose alzando gli occhi al cielo sconfortata.
L'uomo, dai disordinati capelli brizzolati, sospirò commentando:
“Eh già... è un ragazzo strano – dopo un attimo di silenzio tirò fuori un orologio da taschino aggiungendo – Madame Seieur dovrebbe affrettarsi a prendere le sue cose, chiameremo una carrozza che la porti in stazione. Deve far presto o rischia di perdere il treno... mi occuperò io di sbrigare le pratiche.”
“Già. Ha ragione. La ringrazio Monsieur... la sua assistenza è stata davvero provvidenziale per il povero....”

Tante parole, gesti di commiato, di commiserazione, di condoglianze. La realtà era che tutti e due non vedevano l'ora di andarsene e tornare a vivere... curioso che avessero aspettato la morte di qualcuno per farlo.

*°*°*°*

Sai camminò a passo spedito per le strade, ignorando i pedoni che volteggiavano caotici attorno a lui e il borbottare dei cavalli o il loro armonico trottare sulle pietre: non sapeva minimamente dove dirigersi eppure non provava paura, né ansia, né felicità.
Tutto gli si rovesciava addosso come acqua, senza che però nemmeno riuscisse ad esserne bagnato; lui infatti era impassibile, l'elemento immobile attorno a cui il mondo ruotava cercando un'incrinatura che potesse trascinarlo a girare con sé.

Ad un certo punto avvertì un fastidio alla gola e le labbra iniziarono ad essere secche.
“Ho sete.” concluse.
Il Vecchio glielo aveva detto: a volte capitava che si sentisse il bisogno di bere.
Privo di indecisione entrò in un grande locale dalle vetrine inondate di luce dove la gente sostava, usciva, si riversava all'interno con l'aria felice. In quel momento egli era come sperduto, ondeggiante in un mare di mondana allegria e circondato dallo sferzante scintillare dei lampadari di cristallo, del freddo bancone in marmo e degli ornamenti pretenziosi appigliati ai bustini di pizzo delle signore.

Si avvicinò al bancone senza notare il fervente movimento attorno a lui, accompagnato dal tintinnare del pianoforte e dal chiacchiericcio allegro, condito con un retrogusto di deliziosa introspezione borghese, della sala affollata.
Schivando la gamba tozza di un uomo a fatica seduto presso uno dei numerosi tavolini giunse di fronte ad una ragazza che era rimasta un istante incantata, lo sguardo perso altrove come se tutto il mondo attorno a lei non esistesse e fosse nient'altro che una semplice carta da parati da poter cambiare quando si volesse. Rimase ad osservarla, silenzioso, a pochi centimetri di distanza dal bancone che rappresentava il loro insignificante ma invalicabile ostacolo.

Sai notò che i capelli di uno strano color rosa erano raccolti, eppure una ciocca si era seriamente impegnata per scappare da una compostezza evidentemente ritenuta quantomai inadeguata, almeno a giudicare dalla sua fuga. Gli occhi, di un verde brillante, non erano rivolti verso un punto preciso, sembravano infatti intenzionati a prendersi una pausa dal loro esimio lavoro.
Quella ragazza aveva l'aria triste e stanca, nonostante il portamento fiero e le braccia rigidamente appoggiate al marmo striato colmo di bicchieri, bottiglie e fruttiere dall'aria colorata.

Alla fine il giovane si limitò a chiedere, muovendo un passo e sorridendo: “Vorrei dell'acqua.”
La giovane si riscosse un istante per poi domandare: “Come scusi?”
“Liscia.” rispose, ricordandosi delle lezioni sugli alcolici impartite dal suo mecenate.
“Credo di non capirla.” fu la laconica e perplessa conclusione.
“Nemmeno io. Non mi sono mai soffermato a parlarci assieme a dire il vero ma vorrei provarla lo stesso.” ribadì Sai non smettendo di sorridere.
“Di cosa sta parlando?”
“Non ne ho la più pallida idea... non credevo che l'acqua sapesse parlare. Lei è strana, forse addirittura visionaria.” replicò con diretta onestà, appoggiando il mento sulla mano mentre teneva il gomito puntellato sul bancone.
La cameriera fece una leggera smorfia per poi tendersi avanti col busto e fissare lo sconosciuto, indagando con voce decisa:
“Scusi, lei chi è per permettersi simili affermazioni?”
“Sai. Pittore.” rispose ostentando un'indifferente tranquillità.
“Molto bene monsieur Sai Pittore – lo riprese ironica – credo che qualcuno debba insegnarle un minimo di cortesia e di tatto.”

Sai la fissò un istante per poi limitarsi a concordare con il volto apparentemente gentile:
“Molto bene. Ora mi darebbe dell'acqua?”
La rosa incrociò le braccia, sbuffò incredula ma finalmente prese un calice di cristallo da una lunga serie di altrettanti calici ordinatamente disposti; dopo averlo riempito lo porse sotto un centrino a Sai.
Lo osservò prendere il contenitore, infine improvvisamente gli chiese:
“Non vuole sapere il mio nome?”
Sai smise di bere; appoggiò delicatamente il fragile bicchiere e con una cortesia quasi leziosa rispose:
“No, a dire il vero. Lei però sembra tanto ansiosa di presentarsi, dunque credo sia appropriato starla a sentire.” ancora quel sorriso che sapeva di falso, proprio come tutti quegli artificiosi ornamenti che rendevano il locale una massa confusa di volti e luci.
La ragazza aprì leggermente la bocca e rispose seccata, più per una questione di principio che perché ci tenesse veramente: “Sakura Haruno. Non si preoccupi, faccio volentieri a meno di lei.”
“Oh, anch'io. Ma è normale, no?”

Inaspettatamente la ragazza, nonostante si sentisse irritata da quel tizio spuntato dal nulla che parlava commentando a sproposito, scoppiò a ridere; una risata cristallina con un'ombra di isteria.
Sai non capì una delle tante reazioni umane impossibili da prevedere.

Reclinando il capo domandò pacato:
“La fa ridere questo?”
Sakura appoggiò i gomiti sul bancone, tenendo le braccia incrociate, infine rispose dopo aver lanciato un'occhiata pensosa al soffitto decorato dai lampadari:
“A dire il vero sì. E' raro che la gente parli così direttamente e in modo tanto spontaneo... anche se ammetto che per certi versi è davvero irritante.”
“Lei ama contraddirsi?” si informò il ragazzo.
La rosa non rispose subito: gli lanciò un'occhiata poco amichevole ma infine si limitò a sospirare, seppur non rinunciando ad una smorfia di disappunto; per interminabili secondi i due astanti si fissarono, attorniati dalle musiche del locale e dei vetri scintillanti.
Finché Sakura non chiese sforzando di mostrarsi allegra:
“Tornerà ancora, monsieur Sai?”

Strano, aveva quasi l'impressione che quella creatura particolare, dal sorriso leggero come vapore, si sarebbe potuta eclissare da un momento all'altro in un mondo lontano dal suo.
“Credo di sì. Voi continuerete ad esserci?” aggiunse riferendosi alla ragazza.
“Certo – rispose Sakura con un sorriso luminoso – siamo in piedi da diversi anni ormai.”
Le Café Imaginaire era il locale che l'aveva accolta e le permetteva di continuare a restare lontana dalla sua casa natale; a dire il vero forse aveva accolto un po' tutti nel corso degli anni, come una madre amorevole che dava affetto anche a figli non suoi.
“Ora ogni cosa è più chiara: la doppia personalità può rappresentare una questione mentale grave... il Vecchio me ne aveva parlato. Mi dispiace per le sue condizioni... - rifletté un attimo e chiese senza espressività – ho detto bene?”

Sakura non parlò. Non sapeva cosa dire, si ritrovò spiazzata da quei commenti fatti in una sfera logica dalla quale si sentiva completamente tagliata fuori.
Quel ragazzo, probabilmente suo coetaneo, sembrava essere capitato non solo in quel locale – forse addirittura nella società – per caso, come se tutto ciò che implicasse l'essere umano fosse stato ignorato da tanto tempo, troppo affinché potesse essere ricordato.
La giovane però scoprì, guardando quegli occhi scuri privi di emozioni, che in fondo non le importava granché: Sai era uno spazio bianco interessante presentatosi nella sua vita costellata di rimpianti accompagnati da traguardi, un libro ancora caldo di stampa e dall'odore di inchiostro che sembrava avere in lei la prima lettrice.
Così sorrise e allungò una mano, prendendo tra le due dita una guancia pallida del ragazzo per stringere in una morsa implacabile quel morbido lembo di pelle:
“Non parli ancora così di me. Prima lezione: alle donne piace esser trattate bene e con rispetto.”
Sai rimase immobile, si lasciò torturare limitandosi a commentare:
“Questo fa male. Deduco che alle donne piaccia fare del male.”
Sakura lasciò la presa, rispondendo con un sorrisetto: “Solo quando serve.”
Involontariamente il pittore si portò una mano al punto preso d'attacco, decorato da una splendida chiazza rossa, e restò silenzioso a pensare.

Solo quando serve.

Anche la sua presenza era così? Un sintomo di violenza, un eccesso d'ira, oppure uno strano scherzo del destino.
Non c'era più il suo Vecchio a parlargli, a modo suo, del mondo.
Ma quella strana ragazza dalla doppia personalità, che discorreva con l'acqua e amava far male agli altri all'occorrenza, sembrava poter essere quel mondo che dalla sua finestra in soffitta aveva dipinto.

Infine, dopo qualche istante, insieme ad altri clienti entrò nel salone un ragazzo dai lunghi capelli biondi che camminò con passo deciso verso il bancone, senza preoccuparsi di aver lasciato sul vetro dell'ampia porta d'ingresso impronte e residui d'argilla; lui, pensava sprezzante, poteva permetterselo.
Sai non degnò di un'occhiata il nuovo arrivato intento a sedersi vicino a lui, su uno dei tanti innovativi sgabelli in legno simili a trampoli, appoggiando i gomiti sul bancone e scrutando con fare professionale la fila di bottiglie contenenti liquori ordinatamente disposti alle spalle di Sakura.
Quest'ultima guardò con un certo interesse le mani affusolate del ragazzo, i frammenti d'argilla che proprio non volevano saperne di togliersi dalle unghie tagliate corte, e infine dette un'occhiata a Sai, il quale sorseggiava beato l'ultimo goccio d'acqua.

“Un caffè.” chiese infine il tizio biondo, lasciando che il labbro si curvasse appena così da accennare ad una smorfia imbronciata.
Sakura annuì per poi chiedere: “Non gradisce sedersi?”
Di solito i clienti che facevano quel tipo d'ordinazione amavano stare presso gli eleganti tavolini a degustare il prezioso liquido nero, vanto di una borghesia attaccata ai piccoli privilegi quotidiani. L'artista, o comunque presunto tale, scosse la testa e rispose brevemente:
“Si siede ai tavoli chi ha tempo da perdere.”
La cameriera accennò ad un sorriso: quel giorno aveva rimediato due strani incontri – cosa che forse non le sarebbe più capitata per un bel po' di tempo – doveva quindi approfittarne per trovare un po' di sano svago; motivo per il quale già lanciava di tanto in tanto qualche occhiata curiosa ai due, sperando che uno di essi parlasse ancora.

Improvvisamente però il nuovo cliente prese un fazzoletto da una delle maniche strette che gli arrivavano ai polsi e con meticolosità se lo passò sulle mani, in modo da cercare di pulirle per quanto umanamente possibile. Sai, incuriosito, voltò la testa fissandolo senza farsi troppi problemi e, con altrettanta noncuranza, pochi istanti dopo osservò:
“Non ti piace, eppure stai comunque perdendo tempo.”
L'altro si bloccò, voltandosi con lentezza lanciò un'occhiata irritata al ragazzo per poi ribattere:
“Davvero? Perché allora non cominci a darmi il buon esempio facendoti gli affari tuoi?”
Sakura si sigillò le labbra per non scoppiare a ridere. In ogni caso, fingendosi seria, continuava molto professionalmente il suo lavoro.
Sai invece reclinò perplesso la testa, poi aggiunse: “Mi chiamo Sai.”

Il vicino di posto non sapeva se prendere il tutto sul ridere o se ringhiare qualche parola di cortese invito a tacere rivolta a quel tipo dal pallore cadaverico e i capelli scuri stranamente piatti; incrociando le dita invece replicò con la sua solita pungente ironia:
“Questo non vuol dire esattamente farsi gli affari propri.”
“Oh sì invece, il mio nome è qualcosa che mi riguarda strettamente – sorrise facendoglielo notare – e tu per educazione dovresti dirmi il tuo... si usa così, non è vero?”
Fingendo di prendere una brocca inesistente Sakura si abbassò giusto per non mostrare al pubblico di star ridendo senza riuscire a smettere, le altre attendenti – che non avevano seguito il discorso dal principio – la guardarono preoccupate per la sua sanità mentale ma si limitarono pazienti ad ignorarla.

Il ragazzo dai capelli lunghi si massaggiò gli occhi con pollice e indice, corrugando la bocca in una smorfia perché si trovava nell'irritante incertezza tra esplodere in un accesso di collera oppure alzare le spalle e ignorare quel ragazzo insistente oltre che fastidioso.
Eppure, con sua stessa sorpresa, si ritrovò a rispondere incurvato appena nelle spalle:
“Deidara.”
Sai rimase per qualche istante silenzioso a guardarlo, infine disse tranquillo:
“Crei animali d'argilla, il mio Vecchio ne aveva diversi esemplari in casa. Curioso, conoscevo le tue opere prima di conoscere te.”
Entrambi, silenziosi, si fissarono negli occhi. Il resto attorno a loro si era fatto inspiegabilmente muto, forse addirittura ogni cosa aveva cessato di muoversi per dare il tempo a quelle due persone – così complementari nelle loro stranezze – di poter entrare in sintonia.
“Sì – annuì l'artista – la mia arte è più famosa di me, anche se questo non vuol dire necessariamente che sia capita. Anzi, spesso sono circondato da una massa di ignoranti adulatori: per quanto mi piaccia essere apprezzato trovo tutto ciò incredibilmente insopportabile.”

Sakura sospirò e versò al proprio cliente il caffè in una tazzina di ceramica bianca, ancora incredula che quella strana persona non volesse sorseggiare una simile bevanda in un modo più consono; a ben guardarlo però, viste le considerazioni non proprio amichevoli che faceva degli altri, effettivamente non sembrava il tipo.
Sai chiese con apparente fare premuroso, quando invece era palesemente disinteressato:
“Ti piace mostrarti arrogante?”
“Io a differenza di molti me lo posso permettere – si concesse un accenno di sorriso provocatorio, infine notò la cartellina con gli abbozzi appartenenti all'interlocutore – e tu cosa fai nella vita?”
Sorseggiò il caffè fissando Sai. Quest'ultimo rispose guardandolo a sua volta:
“Dipingo. Potrei dipingere anche te, se solo volessi.”
Deidara lo scrutò infine chiese, ignorando il ciuffo di capelli che gli copriva un occhio:
“Perché dovresti volerlo?”
“Perché sei molto più interessante di questa massa di corpi noiosi che popola il café, tutto qui.”
Sorrise. Nel café da lui citato comunque calò il silenzio e tutti, dall'uomo malamente seduto in rigido doppiopetto alla signora composta vicino alla vetrata, smisero di chiacchierare così da fissare stupiti Sai; persino il pianista cessò di muovere le dita sui tasti bianco perlati, concedendo alla sala intera la possibilità di esprimere al meglio il suo musicale muto silenzio.

Deidara nemmeno si voltò a contemplare lo spettacolo di quei volti irritati ma al tempo stesso stupefatti, volti di gente che stentava a credere di essere realmente l'oggetto di quell'accusa fatta a voce troppo alta; con un sorriso però il maestro dell'argilla si accorse di riuscire a intravedere comunque un piacevole stupore generale attraverso il riflesso dello specchio collocato davanti a lui.
Sakura invece sospirò, stringendo i pugni, infine appoggiò le mani sulle teste di entrambi i ragazzi che fece avvicinare, in modo da tendersi in avanti col busto sussurrando:
“Vorreste cortesemente mettere a tacere quelle lingue lunghe?”

Sai si fece perplesso quando notò il sorriso della ragazza che stonava con la palese minaccia insita nelle parole, così commentò:
“Prima rideva, anche adesso lo sta facendo. È davvero falso il suo sorriso?”

Come il mio.

 La cameriera rimase un istante interdetta siccome non sapeva sinceramente in che maniera rispondere, persino le bugie sembravano superflue. Non era conoscenza del fatto che Sai sorridesse semplicemente perché non capiva cosa comportasse farlo, pensava infatti che muovendo le labbra e mostrando i denti ogni cosa risultasse più facile da digerire, anche quando era così amara da far vomitare; lei invece sorrideva solo in quanto amava mostrarsi disponibile, sebbene le fosse facile perdere il controllo appena qualcosa non le andava a genio.

Fece per aprire bocca e formulare qualche parola razionale ma prima che potesse farlo Tsunade, la direttrice del locale, sovrastò i due clienti infilando quasi la testa tra i due così da sibilare velenosa:
“Non voglio guai nel mio café e tantomeno gente che i guai li crea.”
Entrambi i ragazzi presi in causa si voltarono verso di lei ma prontamente alzarono gli occhi al soffitto, facendo finta di nulla. Nel frattempo poco a poco le chiacchiere ripresero normalmente, simili ad un treno a vapore che impiegava parecchio prima di prendere velocità e decidersi a proseguire per la sua strada; il salone tornò quindi ad essere quel delizioso ambiente ricco di interessanti argomentazioni culturali e frivolezze mondane.
“Che donna noiosa e poco artistica...” sbuffò Deidara.
Tsunade assottigliò gli occhi, corrucciando le labbra di un seducente rosso carminio, infine si eresse in tutto il suo seno reso ancora più prorompente dal bustino soffocante e commentò:
“Vediamo se saranno così poco artistici anche i pugni che posso rifilarti.”

La combattiva donna non aveva mai avuto grande fortuna con i soldi a dire il vero, la gestione del locale forse era stato l'unico folgorante successo della sua carriera imprenditoriale; con Deidara infatti aveva un contenzioso che a nessuno dei due sarebbe riuscito di sanare: lei tempo fa era stata folgorata dalla malaugurata idea di finanziare un'esposizione delle opere appartenenti all'artista, pagandogli almeno metà dei costi, peccato però che il suddetto artista – in un momento di follia non previsto – avesse distrutto la maggior parte delle creazioni, mandando in fumo ogni speranza di vedere un minimo di ricavo dalla loro vendita.
Tsunade aveva perso talmente tanti contanti in quella faccenda da aver seriamente pensato di strozzare Deidara con le sue mani, soprattutto perché l'egocentrico ragazzo prendeva ogni cosa troppo alla leggera, quasi come se lui potesse realmente permettersi di fare ciò che volesse.

Deidara ostentò uno sguardo indifferente e gesticolò con una mano, invitando ironicamente la donna a parlare ancora... tanto, per quello che gli interessava, sarebbe stato solo fiato sprecato. Infine si voltò verso di lei e annunciò, grattandosi distrattamente il collo così da alzare con un certo fare importante il mento:
“Ho dato alla tua attendente la somma che ti dovevo. Ora sei soddisfatta?”
Volontariamente la domanda risultò neanche troppo velatamente condita di un tono provocante e sfumature sensuali.
Tsunade sgranò gli occhi, aprendo di qualche millimetro la bocca come per cercare di catturare le parole, infine chiese un po' sospettosa: “Stai dicendo sul serio? Guarda che non sono così babbiona da credere che tu...”
Si arrestò, decisa a fronteggiare con ostinato orgoglio lo sguardo di Deidara. Sakura da dietro il bancone, intenta a continuare ad asciugare più e più volte lo stesso bicchiere, assisteva alla scena molto presa mentre Sai fissava inespressivo la fruttiera poco distante da sé.

“Chiedilo a Shizune, sempre che ti fidi di lei.”
“Ho più fiducia in lei che in me stessa.” rispose la proprietaria, memore dei saggi consigli dell'assistente che – purtroppo – non aveva mai ascoltato, ostinandosi quindi a sbagliare ancora... almeno fino a che non si fosse ridotta completamente sul lastrico.
A quel punto sospirò e appoggiò un gomito sul bancone, chiedendo con fare spossato:
“Sakura dammi qualcosa di forte, credo di averne proprio bisogno.”
Socchiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie, mentre la ragazza dai capelli rosa annuì sorridente:
“Faccio in un attimo.”

Deidara si alzò in piedi e lasciò sul bancone una delle sue opere d'argilla, talmente piccola da essere stata comodamente in una delle tasche dell'ampio giaccone dotato di alto bavero. Si trattava di uno strano animale, forse un insetto, dalle molteplici zampe ritorte e gli occhi spalancati come se fosse perennemente alla ricerca di qualcosa difficile da intravedere.
Tsunade capì al volo che l'eccentrico artista aveva intenzione di pagare il costoso caffè con una delle proprie creazioni; non fece obiezioni più per una semplice questione di rispetto nei suoi confronti – sì, ne aveva ancora conservato parecchio – che perché le convenisse realmente.
Chissà, forse Shizune avrebbe scosso il capo rassegnata, ma per una volta sentiva di aver fatto la cosa giusta a lasciare andare il suo debitore come se nulla fosse; oltretutto Deidara aveva appena garantito di averle ripagato la somma che le doveva, unico caso in cui non fosse lei a dover restituire qualcosa agli altri, quindi poteva anche lasciare correre.

Prima di andarsene l'artista improvvisamente chiese, rivolgendosi a Sai:
“Hai una casa nella quale stare? Sinceramente sembri uno piombato nel mondo per puro caso.”
Sai scosse la testa: “Fino a questa mattina ne avevo una, ora però verrà demolita.”
“Allora vieni da me. C'è spazio e magari potrai tornarmi utile.” rispose il biondo preparandosi già ad uscire, come se la questione fosse risolta.
Sai si alzò, affiancandoglisi, e osservò:
“Quindi non lo fai per altruismo ma perché ti conviene, giusto?”
Deidara lo osservò un istante, divertito da quell'indisponente senso di osservazione, e alzando le spalle confermò: “Sì, diciamo che è così. Dunque non farti strane idee su amorevole generosità e storie simili, d'accordo? Ah – aggiunse altezzoso – io ho i miei spazi e le mie esigenze, dovrai abituartici. Se non ti sta bene puoi anche...”
“Mi sta bene.” lo anticipò Sai, uscendo in strada dopo aver rivolto un cenno di saluto a Sakura.
“Perfetto – commentò soddisfatto Deidara – allora preparati a lavorare per dividere a metà con me l'affitto; eccetto questo sei libero di fare quello che vuoi.”
“Perfetto.” ripeté.

Deidara non disse nulla, né tantomeno rivelò a quel ragazzo sconosciuto di aver avuto uno strano presentimento in quei giorni: sentiva che la sua esistenza era destinata ad essere più breve di quanto avrebbe voluto, lo percepiva a pelle. Eppure gli andava bene così: marcire nella vecchiaia non era la morte che si adattava a lui e i suoi ideali .
Chiudere i conti in sospeso, secondo l'indole puntigliosa e allo stesso tempo sbrigativa che possedeva, rappresentava il suo personale pretesto per non dover gravare su nessuno fino alla fine. Incontrare quello strano personaggio in un café però era stato un richiamo inaspettato, al quale capiva di dover rispondere.
Sì, se ne sentiva attratto: non a causa del carattere, forse nemmeno dipendeva dall'aspetto fisico, bensì perché era fastidiosamente simile a lui, sia in quell'inevitabile bisogno di far notare le cose, sia nell'abilità di limare i discorsi con le proprie parole di cartavetro.

Sai invece vedeva in Deidara una luce, un qualcosa di vicino a quel fato tante volte citato nei libri letti. Era stato talmente semplice, talmente immediato trovare la Casa dopo averla persa da sembrargli di non essere mai andato via veramente dal proprio giardino, il piccolo mondo protetto grazie a mura invalicabili.
Deidara era Arte: le sue stesse mani erano fatte d'arte, i capelli sapevano di creazione così come gli occhi brillanti, simili al velo lucente che si stendeva sulle pitture ad olio. Per questo non aveva potuto fare a meno di dirigersi verso di lui, sentendosi il cardine di una porta in grado di ruotare su se stesso solo per dare la possibilità a quell'artista trionfante di entrare.



Sproloqui di una zucca

Lo so, lo so. Il primo capitolo è un papiro chilometrico che farà sanguinare i vostri occhi alla stregua di Itachi quando usa lo sharingan, senza nemmeno esserne dotati *O*
Ok, la pianto con le stupidate e vi ringrazio per essere arrivati a leggere fino a qui!
Adesso esulto per il risultato ottenuto, mi ricompongo e, sì, ringrazio il magnifico film "Oltre il Giardino" perché è splendido, un vero capolavoro che consiglio a tutti di vedere.
Ammetto infine che era la prima volta che mi dilettavo nel trattare Sai come personaggio principale e non sempre è stato facile seguire la linea caratteriale ^^
Concludo i consigli per gli acquisti invitando tutti coloro che si avventurano a leggere questa fiction a seguire anche le altre storie partecipanti *____*
Al prossimo capitolo, il penultimo.

Grazie speciale a Princess21ssj, giudice e Gran Sacerdotessa: il tuo giudizio mi ha lasciato così *O* Non so come altro descrivere la cosa ^^

Vi lascio con il bando del concorso su EFP qui
Qui c'è il collegamento con il bando inserito sul Forum Il Tempio di Sai.
 

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Capitolo 2
*** Inondazione ***




II

Inondazione




L'acqua giunge improvvisa

ricoprendo ogni cosa;
a volte benevola come una madre,
altre distruttiva quanto un amante tradito,
simile nella potenza sconvolgente
 ad una rivelazione improvvisa.



Sakura aveva lo sguardo ancora appannato dalle lacrime. Quelle maledette lacrime che non volevano saperne di decidersi a scendere per scoprire le proprie carte davanti a tutti; restavano lì, appese alle sue ciglia, come sperando di poter tornare indietro prima che venissero malamente cacciate.
Pigramente si portò un dito agli occhi, raccogliendo quell'accumulo di sale e acqua. No, non era pianto; aveva pianto solo dopo essersene andata di casa, la triste fattoria nel cuore della campagna a chilometri dalla belle vie de Paris.
Si era ritrovata sola a dover affittare un piccolo appartamento in grado di farla sopravvivere con i soldi che – un giorno – avrebbe trovato grazie ad un lavoro che al momento non possedeva. Ma nonostante tutto era stata fermamente intenzionata a non tornare sui suoi passi né tantomeno presentarsi alla famiglia che si era lasciata alle spalle con la coda tra le gambe.
Infatti, attraverso la semplice determinazione aveva ignorato le ferite laceranti dell'angoscia per quella che era la sua vita e, rimboccandosi le maniche, si era messa d'impegno riuscendo nei suoi intenti.

Quel giorno la sua era una lacrima di sonno, impigliatasi quasi per caso al risveglio difficile dell'alba.
Sakura continuò a camminare per le vie di Parigi, i cocchi scivolavano sulla strada dissestata e la gente passeggiava noncurante. Amava quella città perché le aveva permesso di tirar fuori tutto il suo spirito combattivo per scoprirsi migliore di quanto non credesse.
Oltretutto da circa un mese Sai era ormai un cliente abituale del café: compariva di quando in quando e aveva scoperto un'inaspettata predilezione per il thé che pagava puntualmente con dei soldi.

Sakura non aveva ancora capito quale attività svolgesse con esattezza; probabilmente rivendeva i suoi quadri, in quanto – su questo non c'era alcun dubbio – dipingeva e le sue mani chiazzate di colori svariati ne erano la prova tangibile. Cosa di preciso continuava a non saperlo e quando glielo aveva chiesto come al solito la risposta era stata enigmatica:
“Quello che mi piace. E' così che funziona.”
“Tutto e niente insomma.” fu la sua osservazione istintiva.
Sai sorrise, mostrando però un certo dubbio: “Tu riusciresti a dipingere il tutto e il niente?”
Da quel giorno Sakura aveva rinunciato, con uno sbuffo, a investigare oltre su ciò che concernesse la professione di quel pittore dai sorrisi cortesi quanto falsi.

Eppure la giovane Haruno – nonostante l'arrivo di Sai avesse portato una ventata di novità che le permetteva di respirare, pur avendo creduto di non esserne più in grado – dietro al bancone continuava ad osservare Lui: lo aveva notato da anni e ancora bramava la sua vicinanza tra una gentilezza e l'altra verso i clienti.
Un ragazzo seduto presso un tavolino isolato con le spalle ricurve su un taccuino, i capelli neri che gli coprivano in parte il volto e ondeggiavano ad ogni movimento della mano diafana.
Scriveva.
A volte metodico, a volte preso da un fremito impaziente, come se avesse una baionetta puntata contro e fosse una necessità impellente quella di riversare fiumi di inchiostro su quei poveri fogli vittime dell'ispirazione folgorante.

Col tempo aveva appreso il suo nome: Sasuke.
Guardava quegli occhi scuri perdersi nella lettura fitta della bella calligrafia, osservava la schiena simile ad un insetto ferito ripiegarsi sugli scritti e sentiva le parole diventare quasi legate da una strana sostanza magica quando rispondeva alla sua ordinazione.
Assenzio.
Glielo versava in un elegante bicchiere dal piede orlato d'argento, il suo bicchiere, che lei prendeva e ripuliva personalmente. Annusava il fondo del liquido verde per poi ascoltare il rimbombo delle parole sussurrate da quello scrittore cupo eppure avvolto da un fascino indefinibile.

Con passo tranquillo entrò Sai, si sedette su una delle alte sedie in legno coi cuscini di velluto e infine commentò:
“Oggi ti trovo radiosa, Sakura.”
La cameriera distolse lo sguardo dallo scrittore per poi volgerlo verso il nuovo arrivato, fece una smorfia perplessa quando notò il proprio riflesso sugli specchi: non si era raccolta i capelli e il sonno sembrava volerle tendere un agguato da un momento all'altro per farla finalmente dormire.
No, non era decisamente radiosa. Sapeva di poter essere molto più bella.
“Mi piacerebbe, se solo fosse vero.” rispose pungente.

Sai si fece perplesso: “Ah. Credevo che le bugie carine piacessero alle donne.”
Sakura sorrise beffarda: “Beh, ti preferisco sincero. Almeno capisco in parte quello che pensi.”
Poi, involontariamente, i suoi occhi corsero nuovamente verso Sasuke, intento a sfogliare delle pagine mentre beveva l'ultimo goccio d'assenzio.
“Chi stai guardando?” chiese il pittore con tranquilla noncuranza.
Sakura colta in flagrante si affrettò a ribattere, riordinando nel frattempo alcune tazzine di porcellana:
“Non vedo in che maniera la cosa possa interessarti.”
“Non mi interessa infatti.” rispose prontamente Sai, sorridendo in modo fastidioso.
La ragazza non disse nulla di concreto, limitandosi a borbottare con aria apparentemente scocciata. Ma qualche istante dopo il giovane, notando che lo sguardo di lei continuava sfuggente a dardeggiare oltre le sue spalle, si girò senza però riuscire a vedere niente di particolare.
C'era solo un tavolino vuoto con sopra un bicchiere ancora pieno d'assenzio, come se aspettasse –  simile ad una signora ingioiellata per farsi bella nell'attesa di un marito che non sarebbe mai tornato – che qualcuno volesse berlo.

Tornò a voltarsi verso Sakura ma lei si affrettò a dire come se nulla fosse:
“Penso sia un bravo scrittore, tutto qui.”
“L'hai mai conosciuto?” chiese Sai, il quale dentro di sé avvertiva un turbamento strano, un senso di soffocamento che non gli piacque per niente.
La giovane cameriera si umettò le labbra e rispose, fingendosi indifferente:
“No, certo che no. Insomma, è da anni che frequenta il locale ma non ha voluto saperne di aprirsi un po' di più con me: so solo il suo nome e che scrive, nient'altro.”
“Parla di cose tristi.” osservò Sai, mentre tutti e due contemplavano il vapore del thé danzare in fronte a loro. Sakura abbassò gli occhi, quasi volesse contare le tazzine disposte davanti a sé.

“Anche tu hai letto i suoi libri allora. Forse scrive di argomenti tristi perché qualcosa lo tormenta.”
“Forse. – alzò le spalle aggiungendo – Una volta ho letto di un comico che piangeva: non sempre quello che facciamo ci rispecchia; tu, Sakura, prepari il thé eppure questo non ti rende thé.”
Lei sorrise e confessò, fissando un punto imprecisato della sala:
“Vorrei tanto esserlo: fluire in una tazza e infilarmi ovunque per poi evaporare, goccia dopo goccia, senza sapere dove andare. Mi basterebbe anche solo gettarmi in uno specchio d'acqua un giorno e sentire la gonna inzupparsi dopo essersi gonfiata, al punto da sembrare in procinto di esplodere.”
“Fallo.” disse Sai. Sorrise, come se fosse lui a poterglielo concedere.
Sakura scosse la testa ridacchiando, nonostante un senso di amarezza le rendesse difficile mostrare la felicità che avrebbe dovuto accompagnare la risata. Perché sapeva che Sasuke sarebbe rimasto solo a prendere quel bicchiere, come in tutti quegli anni; lei non poteva cambiare le cose, allo stesso modo non poteva essere una nuvola di vapore per disperdersi, senza che qualcuno riuscisse ad afferrarla tra le mani.

Stai bene, Sai?” chiese all'improvviso, scrutando il ragazzo con il desiderio di potergli leggere nella mente.
Lui era radicalmente diverso dal giorno in cui lo aveva conosciuto: sembrava che da quando era uscito dal locale qualcosa lo avesse cambiato, per quanto egli continuasse ad avere quell'aria inespressiva. Sakura, alla luce delle proprie constatazioni, ancora non capiva per quale motivo riuscisse a sentirlo così vicino a sé.
“Sto bene.” assicurò lui con un sorriso.
Una risposta uguale a tante che non valeva nulla, parallelamente non valeva niente nemmeno l'espressione cordiale preconfezionata. La Haruno notò casualmente, soffocando un'inaspettata gelosia che avrebbe voluto allontanare o addirittura dimenticare:
“Quindi tu e Deidara siete riusciti ad equilibrarvi.”
“Deidara è presente, nonostante tutto.” rispose il ragazzo, incurante di aver detto una frase apparentemente priva senso; per lui infatti il senso c'era eccome, solo che nessuno vi avrebbe scorto ciò che egli vedeva a sua volta.
Sakura si fece perplessa ma rimase muta, non commentò nemmeno l'espressione malinconica del pittore – segno che, nonostante questi sembrasse non conoscere i sentimenti, doveva star provando qualcosa. Forse era un qualcosa di talmente forte e incomprensibile da farlo stare piacevolmente male.

°*°*°*°

“Sai mi ascolti?”
La sua voce suonava irritata. Sai con un sospiro volse lo sguardo verso di lui per poi sorridere replicando:
“Scusa, Deidara.”

Una creatura strana, a dire il vero, quel ragazzo dai lunghi capelli biondi; aveva le mani perennemente sporche d'argilla e il suo atelier era pieno di forme strane che ben pochi avevano avuto il privilegio di capire.
Pazzo, visionario, amante delle sue opere; ed irascibile, terribilmente irascibile: così se lo era immaginato Sai sin da quando i due si erano incontrati.

“Tieni il tuo sorrisetto di circostanza per gli stupidi che ci cascano.” aveva ribattuto con una smorfia, per poi scostare un ciuffo che gli ricadeva davanti agli occhi con uno sbuffo.
“Pensavo ad altro.” ammise il compagno facendo la punta al carboncino grazie ad una lametta.
“Me n'ero accorto.” osservò ironico.
“Ti capita mai?” chiese continuando nel suo lavoro.
Deidara si incurvò nelle spalle, alzando gli occhi spazientito, per poi rispondere seccamente:
“Di perdermi in sciocchezze inutili? Direi di no, altrimenti a quest'ora mi ritroverei assieme a te a vagare nel nulla e nessuno potrebbe amare le mie opere, un vero peccato.”
Commentò dando qualche ritocco ad una massa di argilla dalle forme astruse.
Sai osservò con tono neutrale:
Vorresti vagare nel nulla insieme a me?
Il maestro dell'argilla alzò gli occhi, lo guardò di traverso per poi storcere la bocca e commentare ironico:
“Sì, certo.”
“Questo si chiama amore, Deidara, me lo ha detto il Vecchio. Non credo però di essere all'altezza dei sentimenti che provi per me.”
Rispose assumendo un'aria solenne nel ricalcare incurante strascichi di libri farciti di zuccherose storie romantiche lette anni fa, scrutando tra le tante pile di volumi che riempivano la casa del suo mentore. Anche se, alla fine, quei sentimenti che provava a differenza delle opere scritte erano veri, intensi e vibranti nella loro incomprensione.

Sai sospirando abbandonò le proprie attività di manutenzione e si sdraiò sonnacchioso su un triclinio, incrociando le braccia davanti al ventre nudo macchiato di vernice, mentre il caldo del solaio rendeva l'ambiente più soffocante. Deidara lo osservò, interrompendo il suo accurato lavoro di controllo delle creazioni appena asciugate al sole della terrazza –  operazione indispensabile per correggere alcune imperfezioni prima di mettere il tutto nel forno a legna situato presso il cortile.

Guardò prima con ammirazione artistica poi con amore le curve armoniose di quella pancia scoperta, i muscoli che guizzavano sotto la pelle candida, le mani affusolate che con pudore inesistente davano ombra all'ombelico reso teso dalla posizione. Non lo avrebbe mai ammesso davanti al suo coinquilino ma fin dal primo momento in cui aveva visto Sai aveva riconosciuto la perfezione di quel corpo slanciato; una perfezione che gli era stato difficile da accettare vista la  costante inclinazione a considerarsi migliore degli altri.
A sua volta Sai – con sorprendente intuito e lucidità – sapeva di essere contemplato da Deidara.
Amava immaginare le dita di lui sfiorargli la pelle, percorrere con l'esperienza dello scultore le  linee del corpo per sentirsi dire di possedere una bellezza unica; aveva elaborato talmente tante volte quel gesto nella mente dal non sorprendersi quando Deidara, come quel giorno, gli si avvicinava e lo solleticava con i lunghi capelli biondi.

“Mi disturbi.” diceva sempre l'artista in un soffio.
Ma alla fine gli si sedeva accanto, appoggiando mollemente il mento sulla mano, e faceva scorrere l'altra sul ventre, schivando le chiazze della pittura per indugiare sull'ombelico. A quel punto si chinava e lo baciava, tastando con le labbra la sua pelle bianca come se sperasse di gustare uno dei frutti più buoni del mondo.
Ed effettivamente era così: affondava appena nella carne avvertendo i muscoli sotto di essa, così da inspirare il suo odore mischiato a quello della vernice e dell'argilla. Sai sapeva d'arte: per questo Deidara socchiudeva gli occhi, per questo i suoi baci delicati risalivano con trasporto dolce sul petto che respirava lento, mentre le mani accarezzavano le braccia lasciate sui fianchi, e finalmente giungeva sino al volto dopo che le labbra avevano assaggiato il collo scarno.

Era un percorso facile, privo di ostacoli, e quando entrava in contatto con quella bocca più piena della propria Deidara sentiva di aver raggiunto il suo scopo perché Sai – privo della solita meccanicità dei gesti – gli passava una mano tra i capelli, lasciando che le ciocche bionde sfuggissero lentamente tra le dita per cascare fino a non circondarlo.
Potevano fare l'amore in quell'atelier, circondati da ciò che più amavano, plasmando reciprocamente le pelli e vorticando in un orgasmo cercato da entrambi. Sai pazientava soffermandosi sulla sensualità dei gesti e delle forme, consapevole che poteva esserci il bello inopinabile e in Deidara lo aveva trovato, o almeno aveva pensato fosse così sin dal primo sguardo che gli avesse mai rivolto.

Il giovane pittore immaginava, lavorava per associazioni di idee conosciute solo attraverso i libri, e la soluzione più logica a cui era arrivato – quando percorreva la strada accanto all'artista appena conosciuto – era che avrebbe potuto soltanto amarlo. Senza implicazioni di sorta, non le conosceva. Semplicemente perché Deidara era quell'ispirazione sempre cercata e quella carezza mai avuta, in grado di fargli provare tanti sentimenti che non credeva di poter contenere nel suo corpo mortale.
Sai amava concentrarsi sulle mani del compagno mentre erano intente a sfiorargli il ventre, amava vedere i suoi occhi sfrontati mentre lo osservava e, sì, amava anche quei capelli opposti a suoi.

 A volte però, quando sedeva solo in quel solaio reso soffocante dalla primavera inoltrata, gli capitava di cercare nuovamente con lo sguardo una finestra che si affacciasse sul mondo – proprio come quella della sua vecchia casa – ma non la trovava; allo stesso modo, guardandosi attorno, c'erano momenti nei quali non riusciva a vedere lo scultore. Se ne stupiva ancora.
Allora, concentrandosi, si sforzava di ricordare il primo giorno in cui lo aveva incontrato: serrava le palpebre per poi riaprirle subito dopo e capire che in realtà Deidara era sempre stato davanti a lui. A quel punto lo guardava, recependo la superiorità trionfante dei suoi occhi velati da una follia sensuale, e sospirava immaginandoselo intento a venire verso di sé per raggiungerlo.

*°*°*°*

Sakura quasi in punta di piedi si diresse presso il tavolo dove amava stare Sasuke e raccolse il bicchiere colmo d'assenzio; prese il gambo argentato tra le dita poi annusò il liquido verde contenuto tra le pareti di cristallo, facendolo ondeggiare appena, infine con un sospiro gettò la bevanda in strada come faceva sempre da qualche mese a quella parte.
Quando rientrò appoggiò il Suo bicchiere sul bancone per contemplarlo ancora prima di lavarlo con cura e riporlo in uno scaffale riparato.

Si portò una mano al petto e ripensò a Sai, alle sue parole, chiedendosi se lui in realtà sapesse o, come lei, riuscisse a vedere i ricordi. Forse amava cullarsi nelle proprie illusioni, nei rimpianti, sperando così un giorno di riuscire a trasformarli in qualcosa di concreto fino a che non fossero divenuti delle soddisfazioni.
Guardò una delle mensole in vetro e notò che in quel punto, nel mezzo tra una bottiglia e un'altra, ci sarebbe stato spazio sufficiente per ospitare l'insolita creazione di Deidara.
Si chiese come stessero quei ragazzi strani, anche se nel farsi quella domanda provò una certa gelosia: era giunta infatti alla conclusione che i ragazzi in questione dovevano essersi trovati, in una maniera talmente semplice da far risultare banali le attenzioni che la Haruno provava per Sai, persino la sua ansia quasi materna nel sapere se il pittore – lontano dal bancone con gli specchi – stesse davvero bene.
I due artisti quel giorno avevano parlato nella maniera diretta e spontanea che la giovane con Sasuke, nemmeno dopo anni, avrebbe mai avuto.
Sakura annusando l'assenzio sperava di annusare lui e parlargli per sensazioni, pur sapendo di essere arrivata troppo tardi. Allora, nel silenzio della sua piccola stanza, al ritorno dal lavoro leggeva uno dei pochi libri che possedeva – regalatole da Tsunade dopo i primi mesi lavorativi –  tuffandosi tra le righe nella speranza quindi di tuffarsi in Sasuke.

Un giorno si sarebbe ridotta a fare lo stesso con Sai: avrebbe comprato uno dei suoi quadri per vivere i paesaggi ritratti nel tentativo di vivere anche lui, simile ad una radice che prosciugava ingorda l'acqua dal terreno.
Sakura sapeva che la sicurezza mostrata in realtà era in buona parte semplice apparenza; nelle sue maniere determinate e cortesi vi era solo un falso senso di superiorità, perché viveva incerta su quanto effettivamente valesse la pena compromettere quel poco che aveva raggiunto.
Certo, a modo suo era una ragazza forte, temprata dalle esperienze della vita che l'avevano fatta maturare più in fretta di quanto non avesse voluto: così si era creata una corazza che aveva lo scopo di mantenerla salda di fronte alle avversità, impedendole di piegarsi. Ma all'interno di quel guscio era una noce tenera che, se schiacciata senza accortezza, si sarebbe sbriciolata in mille pezzi.

Improvvisamente però Tsunade entrò nel locale, accompagnata dal ticchettare degli stivaletti indossati, mentre in mano aveva un borsone di stoffa e l'aria distrutta di chi non vedesse l'ora di coricarsi. Sakura si girò stupita perché l'ultima volta che aveva visto la sua direttrice era stato quasi un mese fa, il giorno in cui Deidara era uscito dal locale assieme a Sai.
La stessa Shizune, pur essendo la sua fida assistente, non sapeva il motivo di quella partenza affrettata e nemmeno il suo superiore le aveva dato il tempo per chiedere qualche spiegazione: Tsunade – insofferente alla chiusura dei posti sempre uguali – da un giorno all'altro se ne era andata e, in modo altrettanto inaspettato, aveva fatto ritorno.

“Bentornata! Le preparo qualcosa?” chiese Sakura aiutandola con le valigie.
Ma Tsunade scosse la testa, commentando con il rimprovero dolce di una madre:
“Lavori ancora? A quest'ora dovresti essere già a casa – fece un sorriso poi aggiunse, avvicinandosi al bancone – però già che sei qui se ti va potremmo bere qualcosa insieme. Il viaggio mi ha davvero stancato.”
La ragazza accettò volentieri, così le due donne chiacchierarono del più e del meno, apparentemente con fare spensierato quando invece entrambe aspettavano qualcosa; cosa esattamente, nessuna delle due era ancora riuscita a capirlo.

Dopo qualche istante Tsunade ammise, visibilmente provata:
“Sistemare le ultime cose che Deidara aveva lasciato in sospeso dietro sua esplicita richiesta mi ha davvero svuotata. Ammetto però che non me lo aspettavo.”
Sakura osservò allegra: “Quel tipo è strano però sembra che si trovi proprio bene con Sai. Già, Sai... – rifletté pensosa – è diverso da quando abita assieme a lui.”
Tsunade sgranò gli occhi, stringendo il bicchiere che aveva davanti a sé con più forza. Deglutì un istante, infine chiese faticando a trovare la voce:
“Come hai detto scusa?”
Sakura rimase piuttosto perplessa per quel volto incredulo, eppure non le sembrava di aver detto niente di così particolare considerando i soggetti di cui si stava parlando.
“Che sono... - si interruppe, scrutando gli occhi tristi della donna, infine domandò a sua volta – che cosa c'è?”

Tsunade mormorò: “Allora nessuno di voi sapeva ancora niente...”
“Niente di cosa?” insistette la ragazza un po' irritata, appoggiando quasi con forza le mani sul bancone in marmo.
La padrona del locale fissò Sakura, la quale dovette cercare di fronteggiare quello sguardo pieno di dolore e stanchezza. Infine la donna dai lunghi capelli biondi disse semplicemente:
“Deidara è morto un mese fa, pochi giorni dopo essere uscito da qui.”




Sproloqui di una zucca


Chiedo venia per l'aggiornamento stupidamente tardo ma il mio piccì mi ha abbandonato: è stata staccata la corrente e lui, poveretto, ha smesso di accendersi. Stasera, dopo averlo riportato a casa, l'ho subito schiavizzato come se nulla fosse successo per poter postare il secondo capitolo ^^

Steste: Grazie mille per tutto quello che dici, carissima *___* Sono davvero orgogliosa che il mio modo di narrare possa averti catturato così tanto, fino a farti immergere nelle atmosfere ottocentesche di Parigi. In effetti mantenere IC i personaggi in una Au non è mai facile e ogni volta mi rodo il fegato per mantenerli tali il più possibile, anche se io molte volte vorrei farli girare a modo mio - sì, mi tocca frustacchiarli per non far loro prendere direzioni troppo diverse dai loro caratteri e mantenerli in riga, che mostro disumano sono XD Scusa per il ritardo nel postare - galeotta fu la corrente u_u' - ma spero di farmi perdonare ^^

Dragon gio: Grazissime - che terminone - per il commento. Mi piacciono molto le ambientazioni storiche, quindi sapere che abbia affascinato mi rende davvero contenta ^^ Sono contenta anche che il rapporto tra Deidara e Sai ti sia piaciuto, abbia dato un senso di armonia, perché nonostante i loro caratteri era proprio quanto volevo riuscire a far cogliere di loro due. Grazie anche per i complimenti, sapere che una mia storia possa aver fatto emozionare è per me fonte di grande soddisfazione *____* Alla prossima!^^

Princess21ssj: Grazie di tutto, ma questo già lo sai ^^ Che bello, anche tu hai visto il film *____* L'ho trovato splendido, mi è rimasto davvero impresso, soprattutto il finale... credo che sia da una parte inaspettato ma dall'altra perfettamente in linea con il carattere del protagonista *O*

Grazie anche al magico trio di lettori - preferiti - seguiti *____*


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Capitolo 3
*** Raccolto ***


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III

Raccolto


Sii in festa, popolo devoto!
Oggi il raccolto è proficuo
perché benedetto.
Conserva ogni spiga d'esperienza
e cuocine pane;
condividilo con chi, come te,
ha maturato il frutto acerbo del dolore.



Sai, mentre era intento a dipingere uno degli animali fantastici che tanto amava, sentì bussare con forza alla porta, come se l'autore di quella composizione musicale di poco gusto fosse intenzionato a sfondare la barriera di legno che gli impediva di entrare.
Così l'artista si alzò e andò ad aprire per poi guardare Sakura che, con il fiatone e le gote colorate di rosso per la corsa, lo fissava aspettando qualcosa.
Un qualcosa che però non arrivò, infatti Sai si limitò ad un tranquillo:
“Buongiorno.”

La Haruno lo osservò ancora, infine si decise ad oltrepassare la soglia e farsi strada in quell'ampio solaio caldo illuminato da una luce soffusa. Carica di determinazione si guardò attorno anche se solo il suo respiro affannato disturbava la quiete di quella stanza, nella quale la ragazza notò un divanetto collocato sotto una finestra –  magicamente avvolto dai raggi solari – e davanti ad esso un cavalletto con appoggiata una tela bianca. Sul lato sinistro vi era una lunga serie di mobiletti sufficientemente bassi da potersi incastrare perfettamente nel tetto a spiovente, alcune opere – che rispecchiavano in pieno lo stile di Deidara – erano disposte sopra di essi per dare prova di uno sorprendente sfoggio di capacità personali.
Sakura corrugò la fronte perché sentiva quella grande soffitta così vissuta, così piena di entrambi i ragazzi, da indurla a pensare di essersi inevitabilmente sbagliata.

L'artista non poteva essere morto; le pareti erano sature non solo di lui ma anche di amore, un amore che entrambi dovevano avere provato.
Ma poi si ricordò, con una fitta di dolore al petto, quanto in realtà quel sentimento potesse essere subdolo e spesso talmente immaginario da poter dare più felicità di ciò che era reale. Si avvicinò a Sai che immobile la stava a guardare, indecifrabile come al solito.

“Dov'è Deidara?” chiese sofferente.
“Tornerà. E' uscito poco fa.” rispose l'altro con estrema tranquillità.
“Non è vero, Sai, Tsunade mi ha raccontato dell'incidente avvenuto poco giorni dopo che siete usciti.”
Calò il silenzio. In lontananza, una nidiata di passeri litigava nascosta tra le tegole in cotto per il cibo procurato dalla madre operosa.
Sai disse, dando uno sguardo fuori dalla finestra che però – ahimè – era troppo alta per permettergli di scorgere qualcosa della città:
“Il suo corpo è morto sotto i miei occhi, forse alla gente piace pensare che sia così. Ma questa camera è ancora viva e io lo sento: lo immagino sedersi nell'angolo, lo immagino plasmare l'argilla per poi asciugarla al sole ed infornarla investito da una vampa di calore del fuoco. Cos'altro siamo noi se non i ricordi degli altri e gli oggetti che abbiamo vissuto?”

Sakura abbassò lo sguardo, infine scosse la testa:
“Non puoi far finta di niente e nemmeno continuare ad immaginartelo... finirai per impazzire dal dolore e soffocare nel rimpianto.”
“Ironico che sia proprio tu a dovermelo dire.” rispose Sai; non con presunzione o irritazione, bensì con una nota di dolcezza – forse persino amore premuroso – che fece quasi star male la ragazza al punto da confondere quelle che un tempo credeva certezze assolute.
“E' diverso, io...” si interruppe.
Improvvisamente Sai le sfiorò con un dito le ciglia e replicò serio:
“Anche tu come me hai gli occhi ma vedi semplicemente cose diverse dalle mie, cose che a loro volta gli altri non potranno mai percepire.”

Sakura sentì le lacrime minacciare di scenderle: questa volta non era sonno, ma puro e semplice pianto. Perché quel ragazzo così immediato nei pensieri e nei modi di fare le stava sbattendo in faccia una realtà che lei aveva cercato di ignorare, buttandola coraggiosamente via assieme all'assenzio che giorno dopo giorno rovesciava nella strada affollata di pedoni e carrozze.
Smise di respirare quando Sai le disse:
“Anche Sasuke è morto. Da più di un anno ormai.”

Lei continuava ostinata a volerlo vedere sostare presso quel tavolo, come era solito fare prima che la tisi glielo portasse via per sempre. La morte sapeva essere ogni volta squisitamente in anticipo; non aveva dato né a lei né a Sai l'occasione di provare la vita con la persona che amavano, così li lasciava entrambi, viventi, nell'amarezza del rimpianto per tutte le occasioni perdute e la certezza di aver sbagliato a calcolare i tempi.
Si cullavano nella fantasia di come l'esistenza sarebbe potuta continuare, l'uno sognando il futuro, l'altra ripercorrendo il passato. Annegavano nella trasparenza dei loro fantasmi il dolore di un amore non consumato, l'erotismo dei gesti proibiti, la sensualità degli sguardi scambiati prima che tutto finisse evaporando come il thé che danzava davanti a loro.

“Fa male. Tanto.” ammise lei tenendo la testa orgogliosamente alzata.
Sai si portò una mano all'altezza del cuore commentando: “Allora è questo il dolore. Senti qualcosa che si spezza e giorno dopo giorno si frantuma togliendoti il respiro.”
“Già ma non puoi farci davvero nulla.”
Si guardarono, respirando sorprendentemente in sincronia, infine Sakura mosse un passo verso di lui come se non avesse altra traiettoria da poter seguire.
Egli si limitò a dire inespressivo: “Forse non sempre funziona così. Forse possiamo realizzare un desiderio.”

*°*°*°*

Sai guardò la casa che aveva abbandonato e non si stupì nel vederla ancora in piedi, seppure molto più invecchiata rispetto a quando era stata lasciata: l'edera aveva coperto parte della parete frontale, l'erba alta cresceva inondando il vialetto ormai indistinguibile dal resto del giardino e il cancello in ferro battuto, che un tempo lo aveva separato dal resto del mondo, era ora piegato in un angolo innaturale. Cigolò quando Sai lo aprì per far entrare lui e Sakura la quale, mano a mano che avanzava, sentiva il respiro farsi più difficile, come se avesse atteso tutta la vita di giungere sino a lì.

La giovane si affiancò determinata a Sai quando questi percorse un ampio porticato avvolto dalla stessa edera che infestava le murature: in quel tratto la luce del giorno veniva filtrata dalle foglie, avvolgendo il vialetto in un'ombra piacevole.
Sakura improvvisamente prese il pittore per mano con decisione, quella decisione che non era stata sufficiente per Sasuke. Il ragazzo spalancò gli occhi ma non si voltò verso di lei, cercando di contenere la propria sorpresa con abilità, anche se finì per stringere a sua volta quelle dita più piccole delle sue, non credendo potessero essere tanto diverse rispetto quelle che aveva immaginato appartenere a Deidara mentre lo sfiorava.

Così insieme, legati da un dolore comune, camminarono fino a non oltrepassare una tenda di vegetazione che aveva coperto il passaggio. La attraversarono senza smettere di tenersi stretti e giunsero di fronte ad un piccolo stagno, circondato da tantissimi fiori dai colori diversi: calle, rose, narcisi, bocche di leone... un insieme insolito ed impossibile di specie che conviveva in quella stagione, come se il clima o il tempo fosse del tutto ininfluente.
Sakura non seppe cosa dire, il battito del cuore sembrava volerle impedire di parlare, e quando si avvicinò notò che l'acqua dello stagno era insolitamente limpida, al punto da riuscire a vedere il fondo argilloso mentre un riverbero di luce nuotava sulla superficie piatta.

Capì perché Sai l'aveva portata lì, capì anche che lui non era una persona con cui c'era bisogno di tante parole: osservava silenzioso gli altri e ricordava ogni loro gesto, ogni loro parola, nello sforzo di intuire a sua volta cosa dovesse fare di sé stesso.
Sakura si portò una mano davanti alla bocca, infine il compagno di escursioni spiegò:
“Sapevo che sarebbe rimasto così. Ci sono cose che non muoiono né cambiano, altrimenti come faremmo ad andare avanti se non possiamo voltarci indietro?”
La giovane lo guardò con intensità, infine annuì sorridendo. Dopo un istante chiese, più come se fosse un ordine che una semplice domanda:
“Vieni con me?”
“Su diversi libri ho letto che spesso essere accompagnati serve ad affrontare le proprie paure, quindi se vuoi posso entrare con te.” concluse con logica intuizione.
“Non ho paura.” ribatté lei, alzando le spalle orgogliosa. Era vero.

Allora tolsero le scarpe quasi in contemporanea e, a passi misurati, si immersero lentamente nell'acqua, così che i loro vestiti vennero inzuppati centimetro dopo centimetro. La gonna ampia di Sakura si gonfiò, galleggiando per qualche istante sulla superficie, infine accompagnata da bolle affondò poco a poco simile alla barca di un pescatore nella tempesta, mentre lei avanzava sino a che anche metà del bustino non venne completamente immersa.
Rideva girando a fatica su sé stessa per via del peso mentre Sai la guardava senza esprimere opinioni o commenti, finché la cameriera non gli afferrò nuovamente una mano dicendogli suo malgrado:
“Sono una stupida che è tornata bambina. Mi giudicherai pazza.”
“Non ti reputo tale; forse non lo faccio semplicemente perché siamo pazzi entrambi.”

Immaginare l'amore era follia?
“Tutto sommato abbiamo sognato di amare.” confessò Sakura mostrando un volto determinato. Guardò la propria gonna, guardò l'acqua rilucente e si sentì bene.
Improvvisamente Sai inclinò la testa, chiedendo con incredibile naturalezza:
“E se invece noi due ci amassimo?”
Sarebbero stati entrambi reali e, per una volta, vicini. Sakura sgranò gli occhi, stupendosi di aver formulato a sua volta quei pensieri senza però avere la spontaneità di renderli concreti, come invece era stato in grado di fare Sai.

“Mi sembra assurdo – replicò tagliente – poi tu con quei tuoi discorsi fuori da ogni logica, tu che...” cessò di parlare, non riuscendo a risultare forte e razionale come avrebbe voluto essere.
Sai osservò: “Già, dimenticavo che a volte sei vittima delle tue indecisioni: vorresti apparire perfetta agli occhi degli altri, allora eviti di camminare per non cadere. Ma non potrai rimanere immobile tutta la vita.”
Sakura lo guardò, esterrefatta da quelle parole: ascoltarle era come essere stata denudata; se però Sai l'avesse spogliata sul serio, notò, la gonna sarebbe affondata e invece lei avrebbe continuato a galleggiare nel suo mare personale, come una deliziosa ninfa baciata dagli dei. Sorrise, sentendo che questa volta qualcuno la spingeva e la sfiorava, spolverandole in una passata le proprie incertezze: forse quel qualcuno era proprio lei stessa che, come sempre, era costretta a farsi forza da sola.

Si avvicinò quindi al ragazzo dai capelli scuri e lo sfiorò con le labbra. Sai la guardò, rimanendo rigidamente immobile mentre tentava di capire perché il suo cuore avesse iniziato a battere così veloce, perché l'aria non gli entrava nei polmoni con la stessa tranquillità di prima, come potesse anche solo sentire il sudore pur essendo nell'acqua.
Ma quando Sakura lo baciò all'improvviso non avvertì nulla. Le gambe non erano più piantate sul fondale dello stagno, il freddo nemmeno esisteva: Lui era in un mondo senza gravità con Lei a scortarlo, le sue labbra a condividere la stessa aria e i capelli, come quelli di Deidara, gli sfioravano la pelle.

“Fermati.” disse improvvisamente lui guardandola. Questa volta l'espressione non era impassibile o falsamente sorridente, bensì spaventata e confusa.
Sakura, notandolo, si morse un'unghia e aggrottò la fronte:
“Io...” fece per dire, cercando di giustificarsi pur pretendendo di avere comunque ragione.
“Sento le farfalle nello stomaco. Anzi, a dire il vero è l'unica cosa che sento ma non riesco a controllarla, non capisco cosa debba fare...” la interruppe improvvisamente Sai, artigliando una mano sui vestiti all'altezza del torace.
La Haruno accennò ad un sorriso e chiese quasi con la professionalità di un medico:
“Ti fa male tutto questo?”
Il suo paziente ci pensò un istante, infine rispose fissandola intensamente:
“No.”

Si stupì della sua stessa risposta e del fatto di non averci realmente pensato: aveva semplicemente abbandonato la razionalità alla quale faceva da sempre appoggio e il risultato era stato di capire un mondo che non aveva mai avuto occasione di conoscere.
La ragazza annuì e sussurrò:
“Forse perché sei innamorato.”
“Amo anche Deidara.” rifletté.
Sakura scosse la testa:
“Tu ami l'immagine che ti eri creato di Deidara, il pensiero di come ti toccasse, le parole che avrebbe potuto rivolgerti: lo ami perché hai confezionato la relazione con lui, elaborata a misura della tua fantasia.
Una fantasia effimera perché anche tu, come me, ogni mattina ti svegli e stai male non trovando l'oggetto dei tuoi pensieri nel letto accanto a te. Manca il calore nel suo respiro e nei suoi gesti, quando te ne accorgi soffri e... ti rendi conto di non poter fare nulla per riportarlo indietro.”
Sai rimase in silenzio perché Sakura, con la sua gonna zuppa e i capelli umidi, aveva parlato anche per lui e svelato il dolore che i due celavano dietro la maschera, indossata ad arte da entrambi: esternamente forti e determinati, oppure insensibili; internamente così fragili da frantumarsi lentamente, simili a specchi colpiti da pugni dati troppo forte.
“Ora continuerai a baciarmi?” chiese infine, stringendo con più forza la mano della ragazza.
Sakura commentò: “Beh, se non ti spaventa troppo potrei anche pensarci.”
Alzò gli occhi al cielo, facendo finta di nulla.
Sai dopo un istante di silenzio rispose candidamente:
“Mi piace. Anche tu, se solo non fossi conciata così male, potresti piacermi.”
Potresti?” sibilò la giovane, pur soffocando una risata.
“Ho sbagliato a dire qualcosa?” chiese Sai guardandosi un istante, come se fosse stato un oggetto montato male.
Lei sbuffò appena, scosse la testa e replicò avvicinandogli una mano alla guancia pallida:
“Non importa... questa volta avremo tempo: ce lo meritiamo entrambi.”

Così si baciarono immersi fino alla vita nell'acqua di uno stagno limpido, volteggiando coi vestiti inzuppati tra quei fiori colorati; tutti e due avevano conosciuto quello che speravano essere un amore, dal quale però erano stati separati prima che potessero farlo diventare reale.
Ora si trovavano a possedere davvero qualcun altro da amare, da toccare per essere toccati a propria volta; impacciati nella loro inesperienza e inesperti nel sentire qualcosa che non fosse solo un'immagine evanescente che fluttuava nell'aria.
Chissà... forse Deidara e Sasuke in lontananza li guardavano, persi a loro volta nelle rispettive attività; il primo plasmando figure irreali, il secondo scrivendo frenetico mentre sorseggiava assenzio.
Magari entrambi, un istante prima di morire, avevano immaginato la vita con quelle persone appena conosciute senza però avere l'occasione di assaporarla, come se fosse stata la più ambita delle ambrosie crudelmente divorata da dei ingordi.

*°*°*°*

Tsunade, in piedi presso il bancone del café, guardava soddisfatta la nuova assunta che le preparava un alcolico con cui poter sfogare i rancori dovuti alle ultime perdite finanziarie nelle scommesse ippiche; tanto per cambiare la fortuna non girava mai dalla sua parte.
“Tenten, quando hai finito dai una ripulita agli scaffali, fai attenzione però: il vetro è fragile e costoso in questi tempi.”
La ragazza annuì poi, perplessa, chiese:
“Signora, devo togliere anche questi oggetti?”

Tsunade spostò lo sguardo. Sorrise vedendo la statuetta d'argilla appartenente a Deidara e, di fianco, un bicchiere in cristallo che ancora sapeva d'assenzio; dietro di essi troneggiava un piccolo quadro che ritraeva uno stagno circondato da fiori: non ci nuotava nessuno eppure l'acqua era increspata, come se dei fantasmi danzassero leggiadri plasmati dall'aria.
“Non serve.”
“Ma la polvere...” accennò un po' incerta.
La proprietaria sorrise mesta, fece ondeggiare il liquido nel calice e infine rispose:
“Fa lo stesso, lascia che si coprano. D'altronde il tempo passa per tutti, anche per questi soprammobili immutabili.”

Tenten senza aggiungere altro annuì mentre Tsunade pensava. Pensava a come sarebbe stato il locale se ci fosse stata ancora Sakura, spigliata e sorridente, a servirle da bere e chiacchierare di quegli argomenti frivoli tanto cari alle donne.
Invece aveva avuto la fortuna o forse, chissà, sfortuna di incontrare qualcuno consumato dallo stesso dolore provato da lei; peccato che nessuno dei due fosse abbastanza pronto od esperto per poterlo fronteggiare, così insieme si erano trovati e insieme se ne erano andati.

Sai e Sakura erano stati rinvenuti, dopo ore dalla scomparsa, morti annegati in un laghetto sudicio di una casa diroccata, attorniato da fiori secchi ed erbacce che nascondevano appena la pozza coperta da una patina verdastra.
Ogni volta che guardava quel quadro Tsunade invece pensava che sarebbe stato bello se i due al posto di lasciarsi morire avessero avuto l'occasione di rialzarsi e, anziché affondare, potersi amare... magari baciandosi circondati da bellissimi fiori, immersi in un lago dall'acqua lucente nascosto tra le mura di un giardino magico.

I suoi meravigliosi fantasmi danzanti.



Sproloqui di una zucca


Finalmente ho pubblicato *O*
Sono reduce da due ore di studio quindi pietà e compassione se quanto scriverò non sarà propriamente furbo ed espressione di massima intelligenza - non capiterà mai, ma lo studio di certo non contribuisce a migliorare le cose, anzi.
Ho amato questa storia: ci ho lavorato sopra per diverso tempo, prima ancora che ci fosse il concorso anche se molte cose sono state modificate rispetto ai miei intenti inziali. Infatti avevo pensato ad una vera e propria long fiction con protagoniste le relazioni tra Deidara e Sai, oltre che tra Sasuke e Sakura, più altri personaggi; l'ambientazione era nell'epoca contemporanea ma aver visto il quadro "Il bar delle Folies Bergére" mi ha totalmente rapito e quindi ho cambiato allegramente luoghi e tutto il resto, adattando infine ogni cosa al concorso indetto da Princess.
Cosa dire, spero che questo racconto un po' atipico sia piaciuto, anche se dal finale triste - che ci volete fare, io amo i finali un po' malinconici. Sarebbe anche un grande onore se continuaste a seguirmi in altre mie storie ^^

Dragon gio: Già, la frase finale in effetti è tragica. Povero Deidara, avrei tanto voluto farlo apparire molto di più non solo perché è un personaggio che adoro ma anche perché ricco di spunti *O* Hai perfettamente ragione, mia cara: la scena di Deidara che bacia il ventre di Sai è sensuale, sono contenta che tu la ritenga tale, non solo per motivi di logica soddisfazione ma anche perché effettivamente il pancino di Sai è sublime, anch'io lo sbaciucchierei allegramente =ç=
Ti ringrazio davvero di cuore per tutto quello che dici e pensi di questa storia,  mi emoziona davvero oltre che incentivarmi in futuro a fare ancora meglio. Quindi grazie, i tuoi commenti sono sempre splendidi^//^

Steste: Ritardo? Ma non devi assolutamente preoccuparti: come dico sempre - sta cosa fa molto proverbi della nonna XD - la fanfiction non ha una data di scadenza. Quando e se avrai voglia di commentare lei sarà sempre lì e io ben felice di leggere^^
Stampare una fiction secondo me è il modo migliore di leggerla: permette di cogliere dei particolari che normalmente sfuggono, io personalmente noto anche meglio gli errori e le stupidate che scrivo. Peccato che da un po' abbia perso l'abitudine, dunque le stupidate rimangono lo stesso XD
Sono felice che le descrizioni risultino così dettagliate ed incisive, mi piace parlare dell'ambientazione che ruota attorno alla storia, interagendo con i protagonisti. Quanto alla frase finale, sì, hai pienamente ragione: voleva dare proprio un effetto sorpresa, meno male che è riuscito *O*
Sasuke me lo sono immaginato istintivamente intento a bere assenzio e scrivere: se un tipo come lui fosse vissuto in quell'epoca - almeno secondo la mia "ponderatissima" opinione - non avrebbe potuto fare altro se non il poeta o scrittore maledetto.
Quindi concludo ringraziandoti tantissimo per quanto hai detto nelle recensioni e per aver seguito questa fiction, mi hai reso proprio felice *_____*

Grazie a coloro che hanno inserito la fiction tra i preferiti e i seguiti o anche ai lettori^^
Alla prossima! *O*

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