L. A. CONFIDENTIAL {Confidenzialmente Levi Ackerman}

di kamony
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** l’incantesimo del tè ***
Capitolo 2: *** buon compleanno levi ***
Capitolo 3: *** ragazzo di strada ***
Capitolo 4: *** la prima volta ***
Capitolo 5: *** il quinto elemento ***
Capitolo 6: *** scelte obbligate ***
Capitolo 7: *** l'unicorno ***
Capitolo 8: *** tutto ciò che resta... ***



Capitolo 1
*** l’incantesimo del tè ***


*Questa è una raccolta di oneshot dedicata a Levi e a tutto ciò che non sappiamo di lui ma che vorremmo tanto sapere. Voglio provare a scavare nella sua vita presente passata e futura per scoprire, attraverso i mei occhi e l’idea che mi sono fatta di lui, CHI è questo personaggio enigmatico, di cui sappiamo così poco, ma su cui si può immaginare davvero molto, dalle sue manie fobie, ai suoi sentimenti, alle sue esperienze in amore e amicizia. Saranno alternati momenti buffi e divertenti, a più malinconici e riflessivi, forse anche tristi, lascerò l’ispirazione libera, a briglia sciolta!
Un esperimento che spero sia stimolante per me da scrivere e piacevole per voi da leggere. Insomma spero di non annoiare ma di incuriosire almeno qualcuno di voi ^_^

Ci vediamo in fondo con le note eccetera.

Buona (spero) lettura!


L. A. Confidential

Confidenzialmente Levi Ackerman

l’incantesimo del tè



Anche quella giornata era giunta a termine.
Erano quasi tutti rientrati sani e salvi, le perdite erano state minime e questo era già un buon motivo per godersi un fine serata tranquillo.
Il cicaleggio incessante del refettorio si era spento da quasi un’ora. Aveva già controllato la stalla e ora poteva finalmente godersi un momento solo suo.
Tutti si chiedevano perché Levi amasse quella bevanda tanto da sorbirne diverse tazze durante il giorno, ma ovviamente nessuno glielo aveva mai chiesto, né tanto meno lui si era mai prodigato in spiegazioni confidenziali e ciarliere. Non era il tipo ma nonostante ciò, era ormai di dominio pubblico che Levi e il tè fossero un binomio imprescindibile.
Ne aveva di diversi tipi, che beveva a seconda dell’ora e dell’umore.
Ma c’era un momento della giornata in cui il tè, da abitudine diventava un vero e proprio rito
.

Il suo personale momento del tè.

Tutte le sere, una volta che aveva controllato il turno di guardia, dopo essersi assicurato che i cadetti fossero in camerata e tutto fosse tranquillo, Levi scendeva da solo nelle buie e silenziose cucine. Entrava con una certa indolenza, tipica del suo modo di fare calmo e freddo. Accendeva le lampade a olio e poi estraeva la chiave di tasca, per aprire lo stipetto a lui riservato nella credenza, quindi, dalla sua personale riserva, tirava fuori il contenitore di ceramica con le foglie di tè rosso, quello che beveva rigorosamente la sera, perché privo di caffeina e noto per le sue proprietà digestive e rilassanti. Se lo sorbiva dopo cena, per come rimedio contro l’insonnia e il nervosismo, era un ottimo distendente, oltre che essere anche un antiossidante naturale. Non che a lui interessasse niente di tutto ciò, semplicemente lo preferiva agli altri sia per il gusto particolare simile a quello delle mandorle, ma soprattutto perché non peggiorava i suoi cronici problemi di sonno.

Restava così immerso nel più totale silenzio, che era interrotto solo dai rumori che egli stesso faceva, procedendo alla preparazione del suo infuso preferito. Come ad esempio il cigolio dello sportello che apriva per tirare fuori la sua preziosa teiera in terracotta, di cui era gelosissimo. Era quasi un pezzo d’antiquariato e lui la riteneva perfetta, perché la sua porosità, faceva in modo che si arricchisse e s’impregnasse dei profumi delle infusioni precedenti, che venivano trasmessi al nuovo tè, esaltandone in maniera eccellente il gusto regalandogli un aroma, ogni volta sempre più intenso.
I suoi gesti erano rituali e ripetitivi. Metteva a bollire l’acqua in un pentolino e poi preparava la tazza e il colino, mettendoli ordinatamente sul tavolo ma solo dopo averlo pulito. Aspettava in piedi, vigile, che l’acqua bollisse, non pensava a niente, se non a fare ciò che doveva, in modo preciso e puntuale. Era l’attesa di potersi gustare quel piccolo piacere serale che lo rilassava. Quando poi l’acqua era pronta, procedeva all’infusione.

Sette minuti esatti.

Dopo di che finalmente si sedeva, accavallava le gambe e cominciava ad assaporare la bevanda ancora bollente, a piccoli sorsi.
Teneva la tazza al contrario, tappandone la superficie quasi totalmente, non per vezzo ed igiene ma anche per non fare uscire il vapore, mantenendo così ancora più intatto l’aroma. Quel modo di bere così particolare era ormai diventato un suo tratto distintivo.
Avvicinava la tazza alla bocca, poggiava le labbra sul bordo e lasciava che quel liquido caldo e gustoso gli invadesse il palato, gli scaldasse la gola. Quel sapore ormai così familiare in realtà gli riportava alla mente anche dolci ricordi e forse riusciva a scaldargli un po’ anche il cuore.

L’amore per quella bevanda gli era nato molti anni prima, quando era ancora un bambino. Era stata sua madre a iniziarlo al rito del tè. Tra i suoi clienti abituali c’era anche il padrone di un emporio. Si era invaghito di lei e così oltre a pagarla, la omaggiava di varie miscele di quell’infuso dalle origini esotiche, che lui amava molto, che però era abbastanza inusuale tra il popolo del ghetto e le prostitute, che certo non erano avvezze a certi lussi.
Così, grazie alla generosità di quell’uomo, quando Kuchel aveva finito il turno con i suoi clienti e si dedicava solo a suo figlio, la prima cosa che facevano insieme, era proprio bersi un bel tè caldo. Sanciva l’inizio del loro tempo insieme.
Sua madre, mentre lo preparava, per intrattenerlo gli raccontava delle storie, soprattutto su suo padre.
Gli diceva che era un uomo importante e coraggioso, che era impegnato fuori delle mura a fare un lavoro molto particolare, ma che si premurava sempre di mandare loro del tè, bevanda preziosa e signorile. Gli diceva che quello era il suo modo di fargli sapere quanto fossero importanti per lui, quanto egli tenesse loro e anche perché non si dimenticassero mai di lui.
Il piccolo Levi, prima di sbattere drammaticamente contro la dura realtà, aveva sempre creduto alle parole di sua madre.
Era così che in quel bordello squallido, Kuchel, ogni dì, gli garantiva un piccolo spicchio di normalità, con il rituale del tè cui seguiva l’ora delle lezioni di Madame Roxanne, la prostituta più vecchia, che gli aveva insegnato a leggere e scrivere.
Le cose poi erano cambiate in modo repentino e tragico. La sua vita si era trasformata in modo drastico e violento, ma il tè era rimasto una costante. Un filo sottile che lo legava indissolubilmente al ricordo di sua madre e a un periodo spensierato, in cui ancora bambino, era capace di avere delle ingenue illusioni.
Non aveva mai saputo, né scoperto, se l’uomo che forniva il tè a Kuchel fosse davvero suo padre, o se lei gli avesse raccontato semplicemente una favola per non farlo sentire abbandonato, o figlio di nessuno.
Fatto sta che a dispetto di ogni cosa, aveva mantenuto quell’abitudine, perché in realtà lo teneva in contatto con la parte migliore di sé. Quella che era stata sopraffatta dal corso degli eventi e da un destino piuttosto cinico e ingeneroso, che lui non voleva alimentare, ma che di fatto non poteva neppure soffocare. In Levi conviveva questo strano e incoerente dualismo, che nonostante tutto, aveva creato in lui uno strano equilibrio che gli permetteva di essere: efferato e compassionevole, cinico e comprensivo, assassino e salvatore, insofferente e paziente.
Indubbiamente era un uomo controverso dalle abitudini bizzarre e tutto ciò non faceva altro che alimentare il suo fascino e le leggende sul suo essere il soldato più forte dell’umanità.

Si gustò la bevanda fino all’ultimo sorso, respirando piano e inalando il fumo profumato del tè dalle narici.
Aveva rilassato la postura delle spalle, allungandosi sulla sedia per stare più comodo, scavallando le gambe e divaricandole appena, poggiando il gomito sinistro sul bordo dello schienale della sedia, coccolato da un soffice silenzio, immerso in una tregua temporanea.
Per lui era quello il momento più bello della giornata, in cui per qualche minuto si estraniava da tutto e da tutti e si concedeva una stilla di normale banalità. Una piccola e semplice routine quotidiana che lo aiutava a rallentare il ritmo di una vita fatta di follia e morte, in cui l’adrenalina lo teneva in ostaggio.
In quel momento prezioso e intimo si fermava tutto, non esistevano più neppure i giganti, c’erano solo lui e la sua preziosa tazza di tè.
Mentre si gustava senza fretta alcuna quel liquido caldo, ritrovava quasi il senso della vita, perché in quell’attimo fugace il tempo si congelava e tutto diventava armoniosamente statico, quasi come una proiezione onirica di quello che forse, avrebbe potuto essere un futuro di pace. Era il suo momento catartico di armonia interiore, in cui si concedeva il lusso di essere semplicemente Levi e si riconciliava anche con se stesso.
Finito di bere, l’incantesimo si spezzava, lui si alzava, lavava tazzina, la teiera e il colino, poi rientrava in camera, illudendosi che quella notte avrebbe dormito più sereno del solito.

In realtà in quel rituale c’era custodita la sua voglia di normalità perché in fondo la felicità si nasconde nelle cose più piccole, quelle a cui spesso non diamo importanza, come gustarsi in silenzio una tazza di tè.

Note: Il tè rosso non è propriamente un tè anche se c’è chi lo considera comunque tale. Le caratteristiche da me scritte sono reali.
Info reperite su:
www.greenme.it
www.teatime.it


L’angolo della scrivente
bene, eccomi qua, colta da ispirazione fulminante a provare a scrivere su questo personaggio che mi ha davvero rapita e portata non so neppure io dove… (forse più fuori di testa di come sono “normalmente” :P )
Fatto sta che mi piace molto l’idea di immaginarmi un Levi come Isayama non ci ha mai fatto vedere e temo, mai ci mostrerà!
Così questa è la mia versione dei fatti che spero incontri anche il vostro gradimento.
Ovviamente ciò che avete letto sul perché Levi beva tè, su suo padre, e l’accenno a come ha imparato a leggere e scrivere sono esclusivamente frutto della mia (malata) fantasia.
La raccolta spazia tra manga anime e OAV ma anche su periodi non trattati dall'autore come ad esempio l'infanzia di Levi, arricchita ovviamente da mie personali invenzioni sul tema. Non ha un fine prefissato né un aggiornamento scadenziato e andrà solo in base all’ispirazione ma sappiate ho già diverse idee in testa su come raccontarvi chi è e come si rapporta Levi alle “cose della vita”, come amore amicizia, onore, rabbia, morte, sesso, eccetera eccetera.
Grazie a chiunque leggerà questa mia nuova pippa mentale! Come sempre mi farebbe molto piacere sapere che pensate di ciò che leggerete, sono ben accette anche le critiche. Ovviamente se ne avrete voglia e tempo, quindi un ringraziamento particolarmente affettuoso va a chi di voi lo farà






Disclaimer

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Levi e tutti i personaggi di SNK (purtroppo) non mi appartengono, ma sono proprietà di Hajime Isayama.
Invece la trame di questa raccolta, così come i personaggi originali e qualsiasi altra cosa inventata sono proprietà dell'autrice cioè me :)


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Capitolo 2
*** buon compleanno levi ***




L. A. Confidential
Confidenzialmente Levi Ackerman

buon compleanno levi




ieri…

Levi era un ragazzino magro, introverso e anche un po’ spaurito. I lunghi capelli che, scomposti, gli ricadevano sul viso, lo facevano apparire ancora più piccolo ed indifeso.
La recente morte di sua madre lo aveva segnato per sempre. Era come se lo avessero amputato. Con il tempo si sarebbe abituato a quella mancanza, che comunque sarebbe rimasta tale: un vuoto.
Dentro di lui si agitava sinistra la paura dell’incertezza, il futuro al momento, gli appariva fosco e pieno d’interrogativi.
A seguito di quella tragica perdita era arrivato dal nulla, a salvarlo da morte certa, un uomo che gli aveva detto di chiamarsi Kenny e di essere un amico di sua madre. In cuor suo aveva segretamente sperato che quel tale dai modi spicci e bruschi, in realtà fosse suo padre.
Non era così.
Qualcosa però gli diceva che Kenny fosse legato a lui. Lo sentiva dentro di sé, anche non sapendosi spiegare bene come mai.
Gli sembrava così alto e così forte, un uomo risoluto, che non si perdeva dietro chiacchiere e sentimentalismi inutili, ma che sapeva il fatto suo. Tutti lo temevano e lo rispettavano.
Avrebbe capito in seguito il perché.
Kenny lo aveva preso con sé senza dargli poi tante spiegazioni e la prima cosa che aveva fatto, lo ricordava bene, era stato dargli da mangiare e farlo ripulire.
«Puzzi come una stalla moccioso» gli aveva detto arricciando il naso e sputando in terra. «Devi lavarti, sei un essere umano, non una latrina!».
Si era anche occupato di far seppellire sua madre e di questa cosa gliene sarebbe stato grato a vita, anche se aveva fatto le cose in modo sbrigativo, senza neppure un funerale degno di questo nome. Era un uomo freddo e distaccato, questo Levi lo aveva capito subito. Ricordava bene come se l’era trascinato dietro tirandolo per un braccio, obbligandolo a correre per tenere il suo passo. Da lui non avrebbe mai ricevuto coccole e affetto, questo gli fu palesemente chiaro.
Lo aveva portato casa sua e la prima cosa che gli aveva detto, era stata questa: «Non sono un benefattore, né tanto meno sono alla ricerca di un figlio adottivo da accudire, quindi vitto e alloggio te li devi guadagnare. Intesi?».
Gli sembrò giusto, in fondo chi era lui per Kenny, se non un perfetto estraneo? Sicuramente era un uomo buono e generoso, anche se sembrava nascondere questi sentimenti dietro una spessa patina di crudo cinismo, pensava fiducioso il ragazzino. Fu così che Levi, nel tempo, era diventato un perfetto ometto di casa, anche perché Kenny era inflessibile, se non puliva per bene era capace di farlo ricominciare da capo anche dieci volte di fila.
«Disciplina, ci vuole disciplina! Questo è un modo crudele, o diventerai forte, o ti schiacceranno come uno scarafaggio» gli diceva sempre, anche prima di ammollargli un ceffone, o un calcio, per rafforzare il concetto che avesse sbagliato a pulire, a parlare, o per altri motivi del momento.
Con il tempo, gli insegnò anche picchiare duro. Gli fece capire che per stendere qualcuno, non importava essere grandi e grossi, ma cattivi e determinati.
«Se parti per primo e attacchi per far male, se sai come e dove colpire, con l’aiuto dell’effetto sorpresa, puoi abbattere anche uno che è il doppio di te! Visto quanto sei mingherlino e basso, sarà di vitale importanza che tu lo impari al più presto. Siamo sicuri che non ti sia bloccata la crescita? Sei un vero nano figliolo!» gli ripeteva sovente. Questa cosa lo infastidiva un po’. Lo faceva soffrire, non è che gli piacesse essere schernito. Essere basso lo faceva sentire inferiore, inappropriato. Quando poi gli diceva queste cose e gli rimarcava il suo difetto fisico, Levi lo guardava con i suoi occhi grigio blu, appena sgranati, ancora illuminati dall’innocente stupore che è tipico dei ragazzini, anche se erano già velati da una grande malinconia, figlia di un’aspettativa che sarebbe stata inesorabilmente delusa.
«Che vuoi?» gli diceva allora Kenny e lui abbassava lo sguardo, fissandosi la punta delle scarpe e non parlava più.


*


«Oggi vedremo che hai imparato. Devi andare fuori e fare a pugni con qualcuno e devi stenderlo, sennò ti faccio dormire all’addiaccio» gli disse quella volta a sorpresa.
L’aveva poi portato nella peggio zona del ghetto dove bande di ragazzini violenti facevano il buono ed il cattivo tempo. Futuri delinquenti, che stavano studiando alla scuola della strada.
«Che devo fare?» chiese un po’ perplesso il piccolo Levi non capendo bene a che cosa andasse incontro.
Kenny si aggiustò il cappello in testa e ghignò soddisfatto «Niente, mezza sega, organizzo tutto io. Devi solo ricordati bene e mettere a frutto quello che ti ho insegnato».
Levi fiducioso annuì e lo guardò raggiungere i ragazzi. Lo vide parlottare fitto fitto con il più grande di loro, uno che avrà avuto sì e no diciotto, diciannove anni al massimo. Ad un certo punto Kenny aveva estratto un paio di banconote e gliele aveva mostrate, ma senza dargliele. Il ragazzo allora aveva afferrato per un braccio uno della sua gang, che pareva all’incirca l’età di Levi. Solo che era più robusto e più alto.
«Vieni qui, muoviti!» lo aveva chiamato Kenny e lui gli aveva dato retta, senza sapere che cosa sarebbe accaduto. Lo aveva spinto contro quel ragazzetto e quello, prima che potesse dire o fare qualcosa, lo aveva colpito con violenza al viso facendogli un male incredibile. Quel piccolo delinquente era molto più incattivito ed esperto di lui e alla fine lo aveva gonfiato di botte.
Kenny aveva lasciato che lo massacrasse, poi aveva incassato le scommesse. Il viso del piccolo Levi era tumefatto e pieno di sangue, ma dagli occhi gonfi e lividi aveva chiaramente visto quell’uomo senza cuore, riscuotere le scommesse da un capannello di gente, che si era formato, mentre lui le prendeva di santa ragione.
Aveva scommesso contro di lui e aveva vinto.
Questa cosa gli fece più male dei cazzotti e lo ferì a morte. Dentro di lui germogliò il seme della rabbia. Una rabbia sorda e silente, che si sarebbe nutrita, cresciuta e negli anni e trasformata in forza.
Qualcosa gli scattò dentro. Si era sentito tradito, anche se Kenny in seguito gli avrebbe fatto di peggio. Quando gli si era avvicinato per aiutarlo ad alzarsi, lui fieramente s’era scostato e s’era drizzato da solo, guardandolo in quel modo tagliente, che negli anni sarebbe diventato il suo tratto distintivo.
Kenny aveva riso compiaciuto e aveva detto «Il cucciolo ha appena imparato a mordere eh?».
Era bravo a farsi odiare, ma anche a farsi ben volere. Usava sapientemente bastone e carota e plasmava Levi a sua immagine e somiglianza: violento, freddo, cinico, efferato.
Del resto agli altri si può dare solo ciò che si è, e questo faceva Kenny con lui, lo stava semplicemente preparando alla vita che lo aspettava, di meglio non poteva e non voleva fare. Aveva le sue ragioni anche se potevano sembrare spietate, ma questo Levi lo avrebbe saputo solo molto anni dopo.
Quella fu la prima e ultima volta che le prese senza neanche reagire, s’impuntò e da allora non permise più a nessuno di mettergli le mani addosso, non per primo almeno.


*


Il venticinque di dicembre era il suo compleanno. Levi lo sapeva bene. Quando era ancora viva sua madre lei, e tutte le zie del bordello, facevano festa grande insieme. C’era sempre una bella torta e tanti regali per lui, che festeggiava sia il Natale¹, una festa antichissima, di un’altra religione, che però era rimasta in auge, nonostante il culto delle mura fosse predominante, sia la sua nascita, che Kuchel aveva voluto contro tutti e tutto. Quel primo anno senza di lei gli pareva tutto vuoto e triste.
Naturalmente Kenny non gli preparò nessuna festa, neppure gli fece gli auguri ma questo non lo sorprese, non sapeva quando fosse nato e lui non aveva voglia di dirglielo. Era però ugualmente triste.
«Che c’è ora?» gli aveva chiesto irritato l’uomo a fine giornata, notando il suo malumore. Aveva i suoi grattacapi e il moccioso incupito, non gli ci voleva proprio.
Levi fece spallucce cominciando a mangiare adirato la minestra.
«Andiamo mezza sega che hai?» lo aveva incalzato.
Allora il ragazzino aveva alzato la testa dal piatto.
«Niente… oggi era il mio compleanno» aveva spiegato prima di tornare a mangiare.
«Non lo sapevo. In realtà ho saputo che Kuchel avesse un figlio solo quando ti ho visto» gli aveva risposto distrattamente Kenny e poi s’era messo a mangiare anche lui.



oggi…

Chissà perché gli era tornato in mente proprio il suo primo compleanno passato con Kenny. Quel gran bastardo pensò, osservando svogliatamente il cielo dalla finestra della sua camera. Ricordava quei fatti come se fossero accaduti il giorno prima e invece erano passati quasi trent’anni.
Rammentò che il giorno dopo, a sorpresa, lo aveva portato dal barbiere. Lo aveva fatto rasare ai lati e sulla nuca, mentre il resto dei capelli era rimasto più lungo, così era nata la sua tipica pettinatura, che poi non aveva più cambiato.
Kenny gli diceva sempre che doveva distinguersi e avere un certo portamento, una certa presenza, gli aveva fatto capire che la personalità era più importante dell’altezza, anche se lo sfotteva e lo chiamava nano o mezza sega, lo faceva per fortificarlo. Ora lo capiva, anche se i sentimenti, che suo malgrado provava ancora per quell’uomo, erano tutt’alto che concilianti.
Ricordò come poi, sulla via del ritorno a casa gli comprò un bastoncino di zucchero. Rievocò nella memoria le immagini vivide di come si era sentito felice e in qualche modo considerato, un vero evento straordinario. Anelava così tanto l’apprezzamento e l’attenzione di Kenny all’epoca. Era il suo unico punto di riferimento, la sua unica certezza.
Una volta a casa gli aveva dato un fagottino legato con uno spago. Levi ricordava con limpida lucidità la sensazione di gioia mista ad un genuino stupore. Il cuore che batteva forte: Kenny aveva preso un regalo per lui!
Lo aveva scartato con impazienza mista ad una grande aspettativa e curiosità, quella tipica di un ragazzino che riceve un dono inaspettato.
Era un coltello a serramanico.
Quello fu l’inizio della fine della sua innocenza.
- Buon compleanno Levi - gli aveva detto accompagnando l’augurio con una risata fredda e uno scintillio perfido nello sguardo.
Il suo training da assassino era appena cominciato.
Quell’espressione non se l’era mai più dimenticata.
Fece una smorfia e decise di smettere di ricordare il passato. Si alzò dalla sedia per uscire dalla sua camera. Era rimasto al quartier generale del Corpo di Ricerca, anche se era Natale e quasi tutti erano in licenza dalle famiglie. Non era un nostalgico, né uno che indugiava nelle cose passate, ma aveva dei trascorsi e ogni tanto, anche suo malgrado, alla mente gli si affacciavano i ricordi. Meglio seppellirli. I sentimentalismi lo mettevano di pessimo umore.
Erano rimasti in pochi, ovvero tutti quelli che una famiglia non ce l’avevano più.
Levi non festeggiava più da anni il suo compleanno, né gli importava un fico secco di farlo. Soprattutto da quando era nell’esercito, dato che non aveva neanche il tempo materiale per questo genere di cose, che considerava decisamente superflue.
Istintivamente fece spallucce proprio come quel bambino che era stato, come per scrollarsi di dosso quei ricordi lontani.
Era ora di cena ma non aveva neppure fame. Sarebbe sceso per farsi un tè. Di sicuro Erwin ed Hanji erano già a tavola. Pensò che magari avessero già mangiato, così non avrebbe dovuto neppure condividere la loro compagnia, al momento non era molto in vena di socializzare. Erano giornate strane, un po’ alienanti. Servivano per stare con se stessi, per fare magari quello che non potevano mai fare, visto la vita estrema e pericolosa che conducevano.
Con indolenza e una buona dose di noia arrivò fino alla cambusa.
Aprì la porta.
Lo accolse un buio pesto.
Non fece in tempo a realizzare, che non si sa bene da dove, e come, uscirono tutti fuori facendo luce con le lanterne che avevano in mano.
«SORPRESAAAAA!» urlarono in coro facendogli, suo malgrado, sgranare gli occhi.
Avrebbe voluto dire qualcosa di sgradevole per seccare subito quell’entusiasmo e per non mostrare il suo genuino stupore, ma rimase muto.
C’erano proprio tutti, gliel’avevano proprio fatta sotto il naso.
Su una delle tavole faceva bella mostra di sé anche una torta.
- Ma che teste di cazzo! - pensò, in quel suo tipico modo scontroso ed irriverente, ma sotto sotto assolutamente affettuoso. Solo che proprio non gli veniva nulla da dire, anche perché i ragazzi, tutti insieme, gli avevano regalato una sella di cuoio bellissima, lasciandolo letteralmente di stucco.
Era a disagio e sorpreso, una sensazione contraddittoria, strana ma anche piacevole. Regalò loro uno sguardo indecifrabile, articolando un Grazie masticato tra i denti. I ragazzi capirono molto bene che era contento e ne furono felici. Gli erano tutti affezionati anche se a molti di loro incuteva soggezione. Levi non era uno che ti permetteva di avvicinarti a lui.
Erwin, che doveva essere stato insieme ad Hanji e Mike, uno dei capo banda della faccenda, gli regalò un libro. Mike una confezione di tè nero molto ricercata ed Hanji gli si presentò con una scopa di saggina tutta infiocchettata.
«Per l’igiene della tua camera, una scopa personale e personalizzata!» gli disse giuliva, mostrandogli che sul manico c’era intagliato il suo nome.
Aveva quasi sorriso. Quattr’occhi era proprio una scema!
All’improvviso, di botto, s’era rilassato. Si era seduto e si era messo a sorseggiare il suo tè, osservando i ragazzi che si spartivano la sua torta. Tra gridolini e risate passavano le fette ad Hanji che le faceva girare, assicurandosi che tutti ne avessero una. Mike prese la sua e ne annusò il profumo prima di mangiarla. Erwin accennò un sorriso e Levi pensò che quell’accozzaglia rumorosa di ragazzini, pronti a morire per la causa, insieme ai suoi fidi amici, compagni di tante battaglie, erano una cosa che assomigliava quasi ad una parvenza di famiglia.
Hanji gli si avvicinò distogliendolo dai suoi pensieri. Gli porse la sua fetta, sorridendogli, arricciando appena il naso e strizzando gli occhi. Lui prese il piatto e incredibilmente a sua volta accennò una parvenza di sorriso. Poi alzò lo sguardo e l’immagine che vide, come un colpo di spugna, cancellò ogni ricordo spiacevole che quel giorno aveva evocato.
«Buon Compleanno Levi!» si sentì dire in coro da tutti i presenti.
Quella fu la prima volta, da quando se n’era andata sua madre, che fu quasi lieto di festeggiare il suo compleanno.



Note: n.1 Il Natale è una mia licenza ovviamente, non credo proprio che esista nell’universo creato da Isayama, ma siccome mi piaceva l’idea ce l’ho infilato. Dopo tutto quel modo è un alternative universe ma pare pur sempre ambientato in un medio evo alternativo, di sapore piuttosto europeo, quindi tutto sommato così come l’ho presentato, secondo me, ci può anche stare.
PS. Mezza sega significa nano in senso dispregiativo, viene usato nel gergo toscano, ma credo sia di uso in tutta Italia, in caso ho specificato! :)


**Buon Compleanno anche da me heichou! Non esisti, sei un disegno, un’idea, una proiezione mentale, ma ci fai compagnia e ci fai sognare un po’. Come tutti i sogni, un giorno, svanirai inevitabilmente nel nulla, ma il tuo ricordo, ne sono certa, evocherà in me e in chi ti ha amato, sempre cose piacevoli!




L’angolo della scrivente…
BUON NATALE A TUTTI!!! ♥♥♥
E niente non potevo far passere il compleanno di Levi senza scrivere nulla, ma non volevo una cosa troppo “natalizia” o smielata, così è uscita fuori questa cosa qua. che spero vi sia piaciuta.
Ovviamente ciò che avete letto su il training di Levi da parte di Kenny e sul suo compleanno sono esclusivamente frutto della mia fervida fantasia. Comunque la “faccenda Kenny” non si limiterà a questa shot ;)
Grazie a chiunque leggerà e mi farebbe molto piacere sapere che ne pensate, quindi un ringraziamento particolare va a chi di voi lo farà.
Alla prossima Shot!



Disclaimer
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Levi e tutti i personaggi di SNK (purtroppo) non mi appartengono, ma sono proprietà di Hajime Isayama.
Invece la trame di questa raccolta, così come i personaggi originali e qualsiasi altra cosa inventata sono proprietà dell'autrice cioè me :)


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Capitolo 3
*** ragazzo di strada ***



L. A. Confidential
Confidenzialmente Levi Ackerman

ragazzo di strada


era cominciata così…

«Vorrei che seguisse mia figlia» gli aveva chiesto a sorpresa Rusty Walsh.
Levi aveva alzato la testa e lo aveva squadrato con una delle sue occhiate severe e annoiate.
«Prego?» aveva domandato molto infastidito.
«È la quarta volta in tre settimane che torna a casa senza scarpe, o senza giacchetto, o senza qualche altra cosa!» aveva spiegato l’uomo costernato «La mandiamo a lezione perché studi e si faccia una cultura, ma per farlo deve attraversare mezzo Ghetto, credo che sia oggetto di molestie da parte di qualche delinquente. Temo le facciano pagare dazio, o qualcosa del genere».
«Quindi?» aveva rimarcato Levi molto seccato.
«Lei gode di una certa fama in quell’ambiente» aveva cominciato a dire l’uomo molto in imbarazzo «È molto temuto e rispettato, quindi, appunto, ecco… mi chiedevo se per caso potesse proteggere la mia bambina. Ovviamente la pagherei. Faccia un prezzo, non bado a spese per la salvaguardia dell’incolumità mia figlia».
- Questi stronzi! Quando hanno da chiedermi qualcosa mi danno pure del lei, poi quando non hanno più bisogno, mi trattano come feccia! – aveva rimuginato tra sé veramente adirato il giovane.
«Non faccio servizio di guardia del corpo» aveva specificato secco. Pertanto stizzito aveva pagato il conto ed era uscito da quell’emporio, dov’era andato, come sempre, a fare la sua scorta di tè.

Alla fine però aveva ceduto e l’aveva seguita, un’entrata extra era un’opportunità troppo ghiotta per essere rifiutata.

Grania, detta Gran era la figlia di Rusty Walsh che insieme alla moglie, aveva in gestione uno spaccio nella zona del Ghetto vicino a una delle scalinate.
La bottega era una delle più fornite della zona, proprio perché situata vicino a uno sbocco verso la superficie, da dove, su richiesta, i Walsh potevano procacciarsi molto in fretta beni particolari e costosi, come per esempio il tè di diversi tipi e miscele, di cui Levi faceva già largo uso.
Preferiva comprarlo da loro piuttosto che incentivare il mercato nero, che affamava quella specie di fogna sotterranea, in cui vivere dignitosamente, per molti, era impossibile.
Il futuro capitano all’epoca aveva poco più di venti anni ed era già molto conosciuto. Viveva da solo in un piccolo appartamento e la sua fama, lo precedeva, rendendolo una compagnia da evitare, o un problema da risolvere, a seconda dei casi.
Quell’uomo lo tollerava perché non gli aveva mai creato fastidi. Era pulito, dignitoso e sebbene fosse di poche parole, pareva educato. Ordinava roba costosa e pagava in contati, alla consegna, senza fiatare e senza tirare sul prezzo. Sua moglie invece non lo vedeva così di buon occhio. Aveva sentito veramente delle brutte storie sul suo conto. Quel ragazzo, sempre curato e ordinato era troppo silenzioso e schivo. Le dava l’idea di un arrogantello che si sentiva superiore a tutti, nonostante fosse alto quanto un soldo di cacio. Si capiva lontano un miglio che la sua calma distaccata, tenesse a bada una natura violenta, di cui si mormorava molto nel Ghetto, in un passaparola ricco di particolari talvolta davvero raccapriccianti.
Non le piaceva averlo intorno, soprattutto quando si fermava a bere del caffè, o del tè, anche se era solo per testare nuove miscele, magari da acquistare in seguito.
Alla fine però aveva accettato che suo marito si esponesse con lui per tutelare la sicurezza della loro bambina.


*

Le cose non sono sempre quello che sembrano. Questo Levi lo aveva imparato da tempo e questa volta era una di quelle in cui l’apparenza inganna. Così scoprì che la figlia di Walsh non era in pericolo, nessuno la vessava. Semplicemente mentiva al padre.
Gli era bastato seguirla una sola volta per capire il giochino a cui si stava prestando.
La sua empatia però l’aveva colpito. Era rimasto piacevolmente sorpreso dall’intraprendenza di quella che considerava una ragazzina, anche se aveva solo un paio d’anni meno di lui. Non gli capitava spesso di ammirare qualcuno, soprattutto una donna, anzi, sembrava quasi che il gentil sesso non gli interessasse. Era per via di quella freddezza glaciale che aveva il potere di mantenere tutti a distanza. I suoi modi bruschi e sarcastici non erano certo un bel biglietto da visita, tuttavia, nonostante la bassa statura e i lineamenti non propriamente angelici, possedeva un certo fascino e di conseguenza aveva un discreto successo. Soprattutto tra le donzelle più temerarie, che con i tipacci come lui ci andavano a nozze. Levi difficilmente si faceva coinvolgere, specialmente da quelle che avevano la sindrome della crocerossina, perché volevano quasi tutte salvarlo, ma lui non voleva affatto essere salvato. Aveva ben altro per la testa e perseguiva con tenacia uno scopo, perché aveva ben chiaro il suo obiettivo primario: mettere da parte più soldi possibili per poter un giorno comprarsi la cittadinanza nella capitale. Tutto il resto lo considerava tempo perso, o quasi.
Gran però lo aveva colpito fin dalle rare volte che l’aveva incrociata nell’emporio. Era una ragazza particolare, molto seria, ma non seriosa. I suoi occhi erano verdi con lievi screziature tendenti al giallo, i capelli di un colore simile al rame, una sorta di biondo rossastro e la sua pelle, diafana e bianchissima punteggiata da una miriade di efelidi, non lo avevano lasciato indifferente. Era una tipica bellezza irlandese, il cui sguardo ricordava le brughiere illuminate dal sole, dell’antica terra da cui discendeva il suo clan. Possedeva un’avvenenza atipica, non usuale. La cosa che l’aveva resa attraente ai suoi occhi era la sua inconsapevolezza, il suo essere completamente ignara del potere che avrebbe potuto esercitare sul sesso opposto, se solo avesse voluto.
Soprattutto dopo che l’aveva seguita, spesso, suo malgrado, gli era capitato di pensarla, forse anche un po’ troppo frequentemente, ma non ci aveva voluto dare peso.
Tutto questo però non gli aveva impedito di tenere fede al suo patto e di rivelare a suo padre la verità, per poi intascarsi i soldi pattuiti, una bella somma. Levi era un cinico e s’imponeva di esserlo. In fondo non aveva niente a che spartire con lei. Erano distanti anni luce. Gran apparteneva ad una categoria quasi privilegiata e poteva anche ambire ad un matrimonio con un mercante della capitale, con la prospettiva di una vita in superficie, da persona libera. Uno come lui non lo avrebbe mai preso in considerazione, neppure come amico. Era solo un teppista di strada, un poco di buono, che faceva di tutto, legale o illegale che fosse, per accaparrarsi soldi. Lui stesso si considerava un bastardo senza regole, quindi che mai gli poteva fregare di quella lì?
Si giustificava così tra sé e sé, dato che un certo cruccio per averla tradita, l’aveva sfiorato.
Stava pensando proprio a questo, mentre sorseggiava il suo tè seduto nel suo soggiorno, pulito e tirato a lucido come uno specchio, quando sentì bussare alla porta di casa.
Molto contrariato poggiò la tazza sul tavolo e si alzò. Si riavviò i capelli e andò ad aprire. Subito, un lampo di sorpresa attraversò quegli occhi irritati e glaciali.
Era Gran. Vestita come sempre con un abito semplice e sobrio che però non riusciva a mortificarla. Portava i capelli sciolti e aveva gli occhi vivi e penetranti che lo fissavano senza timore.
«Che vuoi?» gli chiese infastidito, non amava le sorprese.
«Ero venuta per dirtene quattro» cominciò a dichiarare un po’ affannata e visibilmente concitata. I suoi occhi brillavano e aveva le guance arrossate. Sembrava come se volesse dire un sacco di cose ma si stesse trattenendo.
Il giovane la squadrò serio, seccato, sembrava che aspettasse solo che se ne andasse.
Gran non poteva neanche immaginare che cosa si agitasse dentro di lui. Del resto Levi aveva già imparato molto bene a dissimulare qualsiasi tipo d’emozione.
In realtà era molto colpito dal suo coraggio. Ci voleva del fegato per presentarsi alla sua porta, da sola. Era un delinquente e sapeva che cosa si mormorava alle sue spalle. Invece lei era lì, davanti a lui, che sosteneva il suo sguardo e gli solleticava le narici con un vago profumo di cannella, come una delle qualità di tè pregiato che tanto gli piacevano. Ne rimase turbato. Fu come ipnotizzato quelle efelidi, che come un dispetto, macchiavano disordinatamente il bianco latteo della pelle del suo viso e delle braccia. Come una mosca imbrigliata in una ragnatela, rimase fatalmente attratto da quelle macchioline irregolari e face fatica a non allungare una mano per sfiorarle con la punta delle dita. Era stato investito da una sensazione prepotente e assolutamente nuova per lui, che era sempre così frenato e controllato, per questo la soffocò subito, inghiottendola. Decise quindi di rendendosi odioso, cosa che tra l’altro gli veniva piuttosto bene quando voleva.
«Se hai finito di infastidirmi, chiudo la porta. Non ho tempo da perdere con le cazzate» l’apostrofò con tono sprezzante e lo sguardo severo.
Gran non si smontò e accennò un sorriso leggermente divertito «Ne ho sentite di tutti i colori su di te» cominciò a dirgli spiazzandolo «Ero davvero molto arrabbiata per la tua spiata a mio padre, volevo fartela pagare» continuò, mentre lui sembrava sempre più adirato.
«Poi però Miss Elodie mi ha raccontato che cosa è accaduto e allora…».
«Non so neppure di cosa tu stia blaterando ragazzina» la interruppe subito lui.
«Sì che lo sai» gli replicò ferma, poi lo puntò dritto negli occhi «Sono rimasta davvero meravigliata dalla tua inversione di rotta» ammise seria. In effetti ora lo vedeva davvero con occhi diversi, anzi al momento vedeva anche quello che lui pensava di riuscire a nascondere così bene.
«Miss Elodie, che come sai aiuto come posso, mi ha detto che sei stato anche tu un ragazzo di strada… non lo sapevo, mi dispiace, io…».
«Mi stai rompendo il cazzo!» le ringhiò contro in malo modo troncando ogni possibilità di conversazione. Voleva spaventarla. Voleva disgustarla, voleva soprattutto che tacesse e che se ne andasse via subito. Il cuore gli batteva troppo forte e stava sudando, tutto ciò era inammissibile.
A volte la paura di ciò che non si conosce, di un qualcosa che punge l’anima, che potrebbe anche incrinare una corazza, acquista la furia di un uragano e spazza via tutto, anche il buon senso, oltre che l’educazione.
Gran non aggiunse altro. D’altra parte non ce n’era bisogno. Per nulla intimidita dalla sua reazione, agì d’impulso e colmò la distanza che li separava e, lasciandolo completamente di sasso, si allungò regalandogli un lieve bacio su una guancia, come un premio, un tributo di affettuosa e sincera gratitudine.
«Grazie a nome mio e di tutti quei ragazzini» aggiunse in un soffio, trafitta quegli occhi simili ad un cielo tempestoso che la fissavano intensamente, in un modo indecifrabile.
Levi stava per reagire e dirgliene quattro, con la precisa volontà di rovinare quel momento e ridurlo in mille pezzi, come se fosse stato un vetro da infrangere, ma lei alzò una mano e con quel gesto lo bloccò. «Sì, lo so non hai fatto niente… ho capito» cantilenò non aggiungendo altro, quindi girò le spalle e se ne andò. Anche lei era turbata e la fuga, in certi casi, è sempre un’ottima alleata.
Lui rimase lì, ritto sulla soglia a guardarla, un po’ inebetito e con la bocca asciutta. Avvertiva ancora la carezza lieve di quelle labbra sulla sua guancia, era come se lo avesse marchiato per sempre, mentre nello stomaco improvvisamente gli era nato come un formicaio che impazzito gli brulicava dentro. Che cosa diamine era quella sensazione così invadente e così fastidiosamente piacevole?
Non se lo volle chiedere, non lo voleva sapere. Chiuse la porta e tornò al suo tè. Era freddo oramai, ma non se ne accorse neppure.
Che gli prendeva? Si domandò irato.
Per quale stupida ragione aveva donato tutti i soldi che aveva incassato dal padre di Gran, a quella specie di casa famiglia, dove quella vecchia pazza raccoglieva quei ragazzini abbandonati?
Doveva essere ammattito. O peggio, si era rammollito, pensò picchiando un pugno sul tavolo.
Eppure sebbene mentisse a se stesso e cercasse di scacciare dalla mente il pensiero di lei, seppe con assoluta certezza, proprio bevendo l’ultimo sorso di tè freddo, che in realtà l’avrebbe rifatto un milione di volte ancora, solo per avere la sua approvazione e quelle labbra stampate sulla sua pelle.
E se mai avesse creduto al quel mito sciocco chiamato primo amore, Gran sarebbe stata, senza dubbio, la protagonista assoluta di quella favola.


L’angolo della scrivente…

Ma ben ritovati ♥♥♥

In questa oneshot il cui risultato non mi soddisfa al 100% ho voluto provare ad immaginare il primo amore di Levi, argomento su cui tornerò, ne senso che non finisce qui.
Comunque ci tenevo a dirvi che parlerò anche di momenti temporali diversi e ambientati non solo nel ghetto, ma anche nel Corpo di Ricerca.
Sono curiosa di sapere se vi è piaciuta Gran. Ho immaginato che Levi non potesse essere attratto da una qualsiasi, ma da una particolare e così è “nata” lei.
Bene fatemi sapere che ne pensate, ogni commento sarà bene accetto e grazie a chiunque sia passato di qua!


Disclaimer
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Levi e tutti i personaggi di SNK (purtroppo) non mi appartengono, ma sono proprietà di Hajime Isayama.
Invece la trame di questa raccolta, così come i personaggi originali e qualsiasi altra cosa inventata sono proprietà dell'autrice cioè me :)

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Capitolo 4
*** la prima volta ***


L. A. Confidential
Confidenzialmente Levi Ackerman

la prima volta




La sua prima volta...
Non ci pensava spesso, ma a volte certe immagini arrivavano improvvise, come quella notte, una delle più insonni del solito.
Giaceva disteso, a occhi chiusi, cercando almeno di riposare le stanche membra, ma la sua testa era come un nido di vespe che ronzava senza posa.
I ricordi cominciarono a riaffiorare, invadendo la sua mente…


***


All’epoca aveva quasi diciassette anni ed era già sveglio e molto abile. Sapeva menare le mani e difendersi parecchio bene, grazie anche all’uso del coltello. Erano bastati i suoi rinomati sfregi, o ricamini, com’erano stati ribattezzati in giro, a regalargli una certa fama. Sapeva anche come procacciarsi denaro in svariati modi. Tra le tante cose era un ottimo giocatore di poker, nonché un eccellente baro quando serviva. Inoltre, grazie alla sua corporatura bassa, segaligna e alla sua formidabile e scattante velocità, era molto ricercato come ladro. All’epoca Levi si sentiva molto sicuro di sé. Era sostenuto dall’arroganza della sua giovane età, ma anche dalla consapevolezza di avere certe doti, certe conoscenze e una certa classe, nonché una discreta educazione che gli permetteva di sentirsi un gradino sopra agli altri delinquentelli del Ghetto. Soprattutto era perfettamente autosufficiente, senza avere bisogno di doversi affiliare a nessuna banda, con cui collaborava a turno e a suo piacimento, senza avere mai legami. Questo lo rendeva forte, infatti era molto ricercato. Aveva già capito molto bene, che senza incutere rispetto e paura, in quel buco, le possibilità di sopravvivenza sarebbero state davvero poche. Per questo si era costruito a tavolino la nomea di brutale sociopatico. Non che fosse una mammola, ma in realtà era molto meno efferato di quello che gli faceva comodo far credere. Non amava la violenza fine a stessa, anche se al bisogno la usava senza farsi scrupoli, ma non era un sadico, era invece intelligente e intuitivo, sapeva bene che cosa bisognava fare per sopravvivere, e la sua fama era la sua polizza assicurativa. Pur essendo poco più che un ragazzino ormai ragionava e si comportava già come un adulto fatto e finito. La vita di strada l’aveva cresciuto in fretta.

*

«Ohi Levi che si dice?» lo apostrofò Kevin detto Kev, una specie di socio d’affari saltuario, un ragazzo un po’ più grande di lui con cui faceva alcuni lavoretti, ma che non considerava un amico, né uno di cui fidarsi. Levi, a dire il vero, non si fidava di nessuno. Si girò e lo guardò distrattamente, con aria interrogativa, ma senza parlare.
«Devo andare al bordello, mi accompagni?» gli chiese l’altro scrutandolo di sottecchi con aria vaga.
A Levi dava davvero molto fastidio sentire nominare quel posto, infatti, s’irrigidì come un ciocco di legno. Già da qualche anno aveva capito che cosa all’epoca facesse sua madre per vivere. Quando l’aveva realizzato, aveva provato istintivamente rabbia e vergogna, per lei e per il degrado che aveva dovuto subire, ma non aveva smesso, neanche per un secondo, di amarla, né di ricordarla come prima di scoprire che si prostituisse. Aveva solo maturato una collera profonda contro quei porci che la usavano come una cosa con cui sfogare i loro bassi istinti e con chi l’aveva obbligata a fare a quella vita infame. Non aveva mai avuto idea di quale fosse il reale motivo che aveva spinto sua madre a fare la vita in un bordello.
Alla domanda non rispose, rimase statico, come se non l’avesse sentita, ma si rabbuiò.
«Che c’è non ti piacciono le donne? No, perché ogni volta che con i ragazzi andiamo al bordello, tu fai sempre passo. Se hai altri gusti basta dirlo! Sono un uomo di mondo io» ridacchiò Kev.
Senza dargli il tempo di rendersi conto, Levi con una falcata ridusse la distanza fra di loro, quindi con violenza lo afferrò, lo strattonò, e poi lo alzò di peso tenendolo per il bavero.
«Tu, parli troppo!» gli disse gelido prima di mollarlo con uno spintone, facendolo ruzzolare malamente per terra. Era furibondo e il suo sguardo torvo lanciava strali minacciosi.
«Ehi! Non intendevo offenderti, né mettere in dubbio la tua virilità, era tanto per ridere, calmati!» si giustificò Kev spaventato.
«Senti non me frega un cazzo di quello che pensi. Io non sono uno che va a fornicare nei bordelli è chiaro?».
Kev si alzò in piedi e si spazzolò i pantaloni, poi si aggiustò il bavero. Sapeva che Levi era uno strano, per conto suo, sempre serio, asociale, distaccato, a volte sembrava di buon umore e si potevano fare anche delle battute con lui, altre volte era intrattabile, come adesso e sapeva che non era esattamente una cosa intelligente farlo arrabbiare.
«Tranquillizzati! Si tratta di lavoro, non di svago. Ci daranno un sacco di soldi, dobbiamo solo fare ciò che ci riesce meglio» aggiunse più serio. Non gli andava di inimicarselo, con lui faceva sempre ottimi affari, era stato sciocco a provocarlo, ma trovava davvero strano che un ragazzo come lui non avesse certi appetiti e disdegnasse a priori il bordello. Non era normale, quelli della sua età facevano carte false per andare a provare le gioie del sesso in quel posto.
«Cioè, che tipo di lavoro sarebbe?» gli chiese secco Levi ancora accigliato.
«Rubare» gli rispose «Non mi hanno specificato cosa, bisogna appunto andare a parlarne in loco» spiegò non senza una certa cautela vista la reazione di poco prima.

*

Si rese subito conto che quel posto non era molto cambiato da come vagamente lo ricordava. Era sempre permeato da odori forti: tabacco, incensi, profumi dolciastri, essenze legnose, tutto mischiato a quello acre della muffa e alla puzza tipica del Ghetto. Un olezzo strano che feriva le narici e intossicava la gola, facendo venire voglia di tossire.
Levi si chiese perché si fosse fatto coinvolgere. Non gli piaceva essere lì. Uno strano malessere lo investì e gli venne la nausea.
Giovani ragazze discinte si aggiravano come anime in pena di un purgatorio infinito, con sorrisi posticci e lo sguardo spento, tipico di chi vive fuori da se stesso, quasi in trance. Si ricordò di quello di sua madre: dolcissimo, ma velato da un’ombra, rivelatrice di una morte interiore, che la consumava ogni giorno un po’ di più. Ora capiva che era come se ogni cliente che profanava il suo corpo, le portasse via un alito di vita. Alla fine si era ammalata ed era morta, forse inconsciamente si era uccisa, forse la sua anima non aveva retto a quella vita degradante. Lui, alla fine, non le era bastato come ragione di vita, la ripugnanza aveva prevalso su tutto e aveva ceduto le armi, spegnendosi come una candela consunta.
Non aveva mai riflettuto così a fondo sulla faccenda, ma ora pareva che tutti questi pensieri lo avessero aggredito in massa, come spettri, che privi di pace, gli volteggiavano intorno ululando, riesumando ricordi e sensazioni che aveva chiuso, a doppia mandata, in qualche cassetto recondito della sua memoria.
La nausea aumentò e la rabbia cominciò a bruciargli dentro. Voleva andarsene ma per qualche inspiegabile motivo rimase. Era come se fosse cascato in una palude limacciosa che lo stava lentamente inghiottendo, come se non riuscisse a muoversi. A volte la mente gioca proprio dei brutti scherzi.
Nel frattempo uno degli scagnozzi del padrone di quel posto, li fece accomodare in una specie di ufficio. Una stanza pulita, ordinata, piccola e molto spartana, con una scrivania e due sedie.
Li raggiunse quasi subito un uomo grasso, dai capelli radi ed untuosi, le unghie sporche, gli occhi piccoli e umidi, di un celeste spento, come due pozze d’acqua stagna.
Levi lo osservò con malcelato disgusto mentre si aggiustava i pantaloni, la pancia molle e pelosa gli faceva capolino da una camicia troppo stretta e troppo corta.
L’individuo, che si chiamava Basileus, squadrò Levi e poi fece una smorfia «E questo qui sarebbe il grand’uomo di cui tanto mi parlavi? Un tappo dalla faccia arrabbiata e gli occhi da triglia lessa?» chiese sarcastico a Kev, poi affilò lo sguardo, come per metterlo meglio a fuoco e aggiunse, non senza una nota di sorpresa «Hum… sai che mi sembra di conoscerti tappo? Mi ricordi qualcuno… ma non mi sovviene chi…» disse stentando, come se facesse fatica a ricordare.
Levi lo guardò come se fosse una blatta da schiacciare, in quel momento anche lui realizzò di ricordarlo, ma non emise un solo fiato. Le tempie cominciarono a pulsargli e la nausea aumentò ancora, tanto che dovette reprimere un conato di vomito.
Nel frattempo Kev sorrise imbarazzato. «Ha davanti il famigerato Levi, il più abile ladro del Ghetto. Non c’è nessuno più bravo di lui, per rubare qualsiasi cosa è un asso».
Levi stava per congedarsi e scappare letteralmente da lì, quando Basileus a sentire quel nome, cambiò subito registro e tono di voce: «Ho un lavoro per voi, vi offro venti pezzi d’oro per recuperarmi della merce» disse asciutto schioccando la lingua e grattandosi le parti intime con fare sguaiato.
Kev sgranò gli occhi mentre Levi rimase imperturbabile, accigliato, continuò a squadrarlo con malcelato disappunto. Quell’uomo lo disgustava profondamente. Venti pezzi d’oro però erano un ottimo motivo per stare almeno a sentire che volesse. Era una vera cifra da capogiro, una somma che non poteva permettersi di ignorare a priori, specialmente dato che in oro non pagava mai nessuno.
«Che cosa dobbiamo rubare per questa somma?» gli chiese Levi rompendo il suo ostinato silenzio.
Basileus ghignò appena «Ho vinto una cosa giocando d’azzardo, ma il mio debitore non vuole consegnarmela, quindi vorrei che andaste a casa sua e la prelevaste per portarmela, perché mi appartiene di diritto».
«Deve essere una cosa di enorme valore se è disposto a pagarla venti pezzi d’oro» commentò ancora Levi. Istintivamente c’era qualcosa che non gli piaceva.
«È una questione di principio, la roba mia è mia. Punto!» gli rispose serio l’uomo con un lampo sinistro che regalò un breve attimo di vita a quelle pupille spente e acquose.
«Accettiamo!» si affrettò a dire subito Kev.
Levi incenerì il compare con un’occhiataccia e si maledisse mentalmente per aver acconsentito ad andare in quel lurido posto «Io me ne chiamo fuori» disse semplicemente.
«Ma sei matto? Sono venti pezzi d’oro!» gli disse Kev incredulo.
«Decido io cosa voglio, o non voglio fare. Non sono in vendita, neanche per venti pezzi d’oro» sibilò con quella sua calma da schizoide lucido che faceva gelare il sangue nelle vene. Quindi, senza aggiungere altro, girò i tacchi e ne andò.

***


Una settimana dopo era di nuovo in quel posto nauseabondo. Questa volta c’era andato in veste di cliente.
«Voglio la vergine. Quella di cui si parla per tutto il Ghetto» aveva detto senza mezzi termini, poggiando sul bancone una cifra veramente esagerata, sbaragliando in un sol colpo la concorrenza e facendo strabuzzare gli occhi alla tenutaria, colei che mandava avanti la baracca per conto di Basielus.
La donna acconsentì e prese i soldi, così, avendo vinto il suo premio, Levi fu accompagnato in una stanza dalle pareti ammuffite. Una volta che la porta si chiuse osservò il grande letto a baldacchino che troneggiava nel mezzo della camera. Notò le lenzuola bianche e immacolate con la coperta del solito candido colore, abbellita da boccioli di fiori di carta colorati. Seduta sul letto, con un abito anch’esso bianco e una coroncina intrecciata in testa, quasi come se fosse una sposina novella, sedeva una ragazzina, che avrà avuto sì e no dodici anni. Era parte di una sceneggiata disgustosa che voleva esaltare la sua verginità, esattamente come se fosse stata la sua prima notte di nozze. Gli salì il disgusto direttamente dalla bile, mentre la vide che tremava come un animale preso alla tagliola. Stringeva i lembi della coperta e stava ferma, intirizzita, completamente terrorizzata, fissava ostinatamente il pavimento come se non volesse neanche sapere chi avesse davanti.
«Ascoltami bene» gli disse avvicinandosi con cautela «Non voglio fare niente con te. Sono qui per liberarti. Ma devi fare come ti dico io, va bene?».
La ragazzina si girò di scatto e ancora con gli occhi sbarrati dalla paura annuì, era convinta di passare da un aguzzino ad un altro. Di certo non credeva che Levi fosse lì per salvarla davvero.
«Ti riporto a casa. Non aver paura» si sentì di tranquillizzarla, dato che poteva intuire i suoi pensieri.
Proprio in quel momento però si spalancò la porta e apparve Basileus.
«Ragazzo, dimmi, credi che sia un idiota completo?» gli ringhiò contro. «Nessuno paga così tanto per una puttana, neppure se è una vergine come questa qui!» gli disse gettandogli contro i suoi soldi, che planarono leggeri prima di adagiarsi al suolo.
Levi lo fissò senza muovere un solo muscolo, nel frattempo fece scivolare il coltello dalla manica, dove lo teneva nascosto, sulla mano.
«Mi sono ricordato di te. Sei il figlio di quella sgualdrina di Kuchel. Che sia dannata! Non mi ha mai ripagato il suo debito, quella bagascia inutile è morta prima di…»
La frase gli morì in gola.
Levi si era mosso in modo velocissimo, impugnando il coltello al contrario aveva caricato il braccio di tutta la forza che aveva in corpo, e con un colpo secco e deciso gli aveva reciso di netto la giugulare, cogliendolo assolutamente di sorpresa, senza lasciargli neppure il tempo di alzare un dito. Il sangue zampillò copioso schizzandolo addosso e in viso.
Non mosse un solo muscolo del volto, sembrava un maschera priva di qualsiasi emozione. Poi, con freddezza glaciale, estrasse la lama dalle carni di Basileus e prese a ripulirla meticolosamente con un fazzoletto che teneva dalla tasca dei pantaloni. Nel frattempo l’uomo, gemendo e gorgogliando, cadde a terra con un tonfo sordo che fece tremare l’impiantito.
La ragazzina, terrorizzata aveva osservato la scena ma non aveva gridato, era paralizzata dall’orrore.
Levi dopo aver ripulito la lama, con una calma alienante, si pulì anche il viso, mentre Basileus moriva rantolando e scalciando a terra. Lo guardò finché non smise di respirare e rimase immobile. Non provò niente. Né piacere, né rimorso. Fu una sensazione strana, lo avrebbe scoperto dopo che era colpa dell’adrenalina che gli circolava in corpo impazzita e che lo aveva come anestetizzato a livello emozionale. Pensò solo che quel bastardo di Kenny, gli aveva insegnato bene la teoria, e che lui era stato bravo con la pratica. Infatti lo aveva ucciso in modo rapido e letale, sarebbe stato fiero di lui, ne era certo.
Si mosse piano e prese la ragazza in braccio. Inizialmente ebbe un moto di repulsione nei suoi confronti, la stava salvando ma era un assassino, le aveva fatto comunque paura. Levi la rassicurò e poi tenendola tra le braccia, scavalcò il cadavere di Basileus e oltrepassò la soglia. Aveva la camicia bianca schizzata di sangue, era molto chiaro che cosa avesse fatto, ma nessuno, tra quelli che lo videro uscire da quella stanza, disse una sola parola, lo lasciarono passare muti, intimoriti dalla sua efferata freddezza e da quello sguardo spento, ma feroce, che illuminava quelle pupille grigio ghiaccio, simili a due rasoi affilati.
Levi si fermò davanti alla tenutaria e la puntò dritta negli occhi «Questo letamaio ora è tuo. Ci sono tre regole che dovrai rispettare. Nessuna donna deve prostituirsi se non per propria scelta. Nessuna minorenne può prostituirsi. Ogni donna ha diritto a una paga, all’assistenza medica, e deve essere protetta dai clienti violenti. Non voglio ritornare mai più qui dentro, quindi vedi di filare dritto, o l’unico motivo per cui mi vedrai, sarà perché verrò ad ucciderti, proprio come ho appena fatto con quel maiale. Intesi?».
La donna annuì spaventata «Suppongo che adesso sia tu il nuovo padrone, la tua parte devo tenertela in custodia io?» domandò titubante.
Levi la trafisse con un’occhiata minacciosa «Non voglio avere niente a che fare con questo tipo di mercato, donna! Il bordello adesso è tuo, usa la mia parte per te stessa e segui le regole che ti ho appena dato, ti terrò d’occhio e se sgarrerai, come promesso, torno e ti ammazzo! La ragazza è riscattata, i soldi sono in camera, per terra» e così dicendo portando via la ragazzina, uscì per sempre da quel luogo infausto.

Quella era stata la sua prima volta.

La sua coscienza, nei giorni avvenire, fu acquietata dal fatto che aveva vendicato sua madre e liberato una sventurata, che altro non era che la famosa merce vinta, che Kev aveva dovuto recuperare per conto di Basileus. L’aveva scoperto perché quel cretino si era pure vantato di quell’ignominia e non aveva potuto fare a meno di intervenire. Era un delinquente ma aveva un suo codice d’onore, che non avrebbe mai trasgredito, anzi con il tempo sarebbe diventato sempre più rigido.
Purtroppo uccidere lo aveva portato a oltrepassare un confine dal quale non sarebbe mai più potuto tornare indietro. Nel tempo avrebbe sempre cercato di non ammazzare nessuno, a meno che non fosse stato assolutamente necessario. Nonostante gli riuscisse fin troppo bene, avesse come una specie di dono, non gli piaceva togliere vite. Dare la morte non era mai appagante, né umanamente naturale e questo Levi lo aveva imparato fin da quella prima volta. Infatti il prezzo da pagare era stato altissimo, e nel tempo gli era costato rate infinite di tranquillità, sonno e pace. Ogni morte che aveva procurato si era portata via anche un po’ della sua di vita, non quella carnale, ma quella interiore, chiudendolo in una gabbia che lo estraniava sempre più dai suoi simili, ma soprattutto che lo allontanava dalla parte migliore di se stesso.



L’angolo della scrivente…

Buonsalve gente! Passate bene le feste? Spero di sì!

Di sicuro qualcuno di voi, leggendo il titolo, avrà creduto che la “prima volta” fosse tutt’altro! Ma io mi diverto a mescolare le carte in tavola! xD
Così ho voluto descrivere quella che è la prima volta in cui Levi diventa un assassino.
Spero vi sia piaciuto questo punto di vista che mostra anche di un Levi giovanissimo, ma già formato nel carattere, che lo abbiate trovato interessante e pertinente.
Vi prometto che ci saranno anche shot molto più leggere e anche divertenti, già probabilmente dalla prossima, e chissà… (niente spoiler) forse, prima o poi, parlerò anche di quell’altra prima volta! Quella meno (o no?) drammatica e più (almeno si spera) piacevole! xD
Bene, bando alle ciancie, credo sia tutto, almeno per ora, quindi passo e chiudo! Ringrazio chiunque abbia letto fin qui! :)

Disclaimer
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Levi e tutti i personaggi di SNK (purtroppo) non mi appartengono, ma sono proprietà di Hajime Isayama.
Invece le varie trame di questa raccolta, così come i personaggi originali e qualsiasi altra cosa inventata dalla sottoscritta, sono proprietà dell'autrice cioè me :)

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Capitolo 5
*** il quinto elemento ***


L. A. Confidential
Confidenzialmente Levi Ackerman
il quinto elemento



«Così hai cambiato idea?» gli chiese pacatamente Erwin, continuando a tracciare i suoi schemi sulla cartina che occupava quasi tutta la scrivania del suo ufficio.
Levi appoggiato di schiena alla porta, con le braccia conserte, lo osservava in silenzio con malcelato fastidio.
A quella vista le labbra di Erwin accennarono un impercettibile sorriso divertito e poi continuò: «Non ho mai considerato Hanji una pazza. Ho sempre pensato che il suo entusiasmo a volte fosse eccessivo e che le sue ricerche in certi casi fossero un po’ troppo ardite, ma è molto perspicace e anche molto intelligente. È stata lei, insieme a Mike, che ha caldamente sostenuto la tua promozione, sappilo!» gli confidò infine.
«Francamente non me potrebbe importare di meno» bofonchiò il neo capitano Levi. Quella donna logorroica gli faceva venire l’orticaria, anche se sotto, sotto, la stimava molto.
«Io invece ne sono molto contento. Abbiamo fatto un bel passo avanti. Insomma volevi farmi la pelle e oggi diventi uno dei miei più fidati ufficiali, se non fossimo in guerra ci sarebbe di che festeggiare».
Levi divenne ancora più insofferente. Era in difficoltà. Tutte quelle manfrine gli davano sui nervi, inoltre non si sentiva ancora completamente a suo agio con la sua nuova vita. Era appena stato promosso capitano, ne prendeva atto, avrebbe fatto ciò che gli veniva chiesto, il resto lo riteneva solo ciance inutili.
«Questo implica che devi subito formare una squadra di pochi elementi, massimo cinque. Sarete impiegati per operazioni ad alto rischio fuori delle mura. Una sorta d’élite molto speciale, di cui mi servirò spesso, ma in modo capillare e differente dal resto della truppa. Era da tempo che sognavo di poterne costituire una così» continuò Erwin.
«Tch!» fu il commento infastidito di Levi.
«Qualcosa non va?» chiese il comandante alzando la testa e girandosi verso di lui.
«Potevi dirlo subito, senza fare tanti discorsi!» fu l’acre risposta dell’altro.
«Bene, allora concludo. Voglio i nomi dei componenti da te scelti entro la fine della settimana» tagliò corto il comandante. Conosceva Levi e sapeva che diventava particolarmente indisponente quando era a disagio. Quella promozione l’aveva colto di sorpresa per quello stava reagendo così.
«Allora dovrò darmi da fare, in questo gregge di caproni mi sarà impossibile trovare elementi veramente validi da poter coordinare in una squadra degna di questo nome» abbaiò il piccolo ufficiale aggrottando ancora di più le sopracciglia.
«Sei il solito disfattista, abbiamo soldati più che validi, grandi guerrieri, inoltre tu hai un intuito formidabile, mi fido ciecamente del tuo giudizio, sono certo che ti ci vorrà poco per costituirla».
«Se lo dici tu…» commentò Levi sbuffando prima di congedarsi e uscire dall’ufficio del comandante Smith.

*


In effetti Erwin non aveva avuto torto. Gli erano serviti solo un paio di giorni per ingaggiare la quasi totalità della sua squadra.
La prima scelta era ricaduta su Gunther Schultz, un soldato che si era spesso distinto per la sua efficacia nelle azioni di gruppo. Un ragazzo serio, posato, molto equilibrato. Era certo che lo avrebbe assecondato e che avrebbe eseguito i suoi ordini senza fiatare. Gunther era stato subito molto contento di essere stato scelto, sebbene lo avesse dimostrato in modo molto contenuto, ed era proprio questo che apprezzava Levi, il fatto che sapesse controllarsi.
Dopo di lui aveva chiesto di fare parte del suo team a Erd Yin, un altro valido elemento. Freddo e spesso letale, anche lui era un tipo schivo e posato, che non creava problemi, gli era piaciuto da subito, soprattutto perché parlava poco e mai a sproposito. Era anche molto affidabile e ciò gli face presupporre, che sarebbe potuto diventare un ottimo candidato a diventare il suo secondo. Anche lui accettò di buon grado di essere stato scelto e giurò subito fedeltà al suo capitano.
Auruo Bossard, invece, era stata la sua terza scelta. Nonostante fosse un ragazzo immaturo che si metteva in mostra in modo piuttosto goffo, facendo lo sbruffone, lo aveva voluto perché era il soldato che al momento deteneva il record di maggior uccisioni di giganti in solitaria. A dispetto del suo carattere egocentrico, era davvero un valido guerriero. Auruo lo venerava al punto di volerlo imitare anche nei modi di fare e questa sua devozione, era per Levi una garanzia per tenerlo a bada e poter far conto sula sua grande abilità. Quando fu scelto Auruo, dalla gioia, dette letteralmente in escandescenze, azzardandosi addirittura ad abbracciare il capitano, che durante quell’assalto, rimase ligneo e piantato a terra come un paletto, senza muovere un solo muscolo del corpo, come se si fosse paralizzato. Colto di sorpresa, prima Levi sgranò gli occhi sbigottito, e poi gli disse sibilando come una scudisciata: «Levami le mani di dosso imbecille! Se lo fai un’altra volta ti amputo le braccia!».
Auruo lo lasciò andare immediatamente e si scusò impacciato piagnucolando. Per quella volta Levi decise che poteva condonargliela, ma gli intimò severo di non azzardarsi a farlo mai più.
Così, contando Auruo, erano in tutto quattro, avendo preventivato che dovessero essere in cinque, gli mancava da scegliere solo l’ultimo membro.

I giorni però passavano e non sapeva proprio come venirne a capo. Era indeciso tra tre soldati, ma c’era sempre qualcosa che gli impediva di scegliere. Levi era pignolo tanto da rasentare il patologico e voleva costituire una squadra equilibrata, che potesse diventare omogenea e compatta, come se fosse stata un corpo, di cui lui era la testa e gli altri componenti le membra. Avrebbero avuto l’uno la responsabilità della vita dell’altro e nonostante Erwin gli facesse pressione, non avrebbe mai fatto una scelta affrettata solo per mettere a tacere il suo comandante.

Quel pomeriggio, stava passeggiando, con fare pensoso, nel cortile del quartier generale del Corpo di Ricerca, quando si ritrovò sul retro dello stesso. Era così intento a rimuginare che si era spostato senza far caso a dove andasse. Fu allora che scorse Petra Ral.
Stava stendendo al sole della biancheria che aveva appena lavato. La cosa lo colpì molto perché era evidente che la ragazza non avesse deterso solo la sua, ma quella di tutta la camerata. Inclinò il capo di lato e assottigliò lo sguardo per osservarla meglio. Petra era proprio uno scricciolo. Era addirittura più bassa di lui e già questo la diceva lunga sul suo essere minuta. I capelli castano ramati e gli occhi grandi, ambrati, molto espressivi, la rendevano a prima vista, simile ad una fanciulla indifesa. Era arrivata da poco. Sembrava gentile, ma anche timida, sempre sorridente e operosa, sempre obbediente e in prima fila agli allenamenti.
Aveva sentito alcuni veterani scommettere quanto avrebbe resistito una cosina così fragile. Alle esercitazioni però si era dimostrata molto abile ed efficace. Mentre faceva queste considerazioni, qualcuno lo richiamò interrompendo il flusso dei suoi pensieri e così se andò di lì per sentire che cosa volesse chi lo cercava.

*

Con il passare dei giorni le cose non migliorarono affatto. I tre soldati che sapevano di essere in lizza per entrare a far parte di questa squadra speciale di Levi, avevano cominciato a farsi una spietata concorrenza, anche usando colpi bassi l’uno contro l’atro. Erano disposti a tutto pur di riuscire ad accaparrarsi un posto in quella élite che era molto ambita. La colpa era stata di Auruo che si era così tanto pavoneggiato, da ingolosire un po’ tutti e ormai non si parlava altro che della squadra di Levi e dell’unico posto libero rimasto, aumentando la competizione tra i tre in gara.
Inutile dire che il capitano, era molto infastidito e che questo comprometteva ancora di più il suo giudizio, rendendolo più che mai titubante.

*

«Allora? Non hai ancora deciso?» gli chiese Erwin fissandolo serio.
«Se devo dirla come la penso sarei per mandarli a ‘fanculo tutti quanti» rispose Levi molto contrariato. «Razza di ragazzini idioti! Non posso permettermi di scegliere gente senza testa sulle spalle».
«Devi darti una mossa, presto la squadra dovrà essere operativa. Lasciati guidare dall’istinto e fai la tua scelta».
«Il mio istinto mi dice che mi hai rotto le palle Erwin!».
«Levi ti prego di moderare il linguaggio sei un capitano ora, non puoi lasciarti sempre andare al turpiloquio» lo rimproverò il comandante.
«Ma era proprio necessaria?» chiese l’ufficiale lanciando un’occhiata torva al suo comandante.
«Ma cosa?» gli chiese Smith senza capire.
«Questa promozione del cazzo!» abbaiò Levi stizzito.
Erwin rimase serio, Levi si doveva dare una regolata e doveva imparare a contenersi. «Andiamo smettila, sii serio! Piuttosto, domani Hanji vuole fare una ricognizione per vedere se a sud ovest ci sono tracce di giganti. Faremo una perlustrazione, è una buona occasione per testare la tua squadra, prenditi gli elementi che stai valutando, così potrai vedere come interagiscono con i membri effettivi e forse finalmente ti deciderai».
Capiva che Levi non volesse commettere errori che potessero costare delle vite, com’era capitato per Farlan e Isabel, ma doveva scuotersi e darsi una svegliata, non potevano perdere altro tempo prezioso nell’attesa che si decidesse.

Quando si seppe che durante quella ricognizione si sarebbe deciso chi sarebbe stato il quinto membro della squadra speciale, i tre in lizza cominciarono ad agitarsi e a sgomitare. Ci fu un bel parapiglia, che fu prontamente sedato da Levi stesso, con un paio delle sue occhiatacce. La cosa però lo innervosì molto e mentre andava alle stalle a prendere il suo cavallo, per partire per la perlustrazione, rimuginava su fatto che se era onesto con se stesso, nessuno di quei tre andava bene. Stava appunto pensando tra sé e sé, quando entrando vide il soldato Petra Ral che stava rastrellando il fieno.
«Che stai facendo?» la redarguì severamente.
La ragazza colta di sorpresa sussultò e giratasi di scatto diventò rossa come un pomodoro maturo.
«Niente, mi dò fare, non mi piace stare con le mani in mano» rispose agitata.
«Ti sei arruolata per fare la stalliera, o per combattere?» le chiese arcigno, guardandola di traverso.
Petra si rimase male, ma cercò ovviamente di contenersi, dopo tutto Levi era un suo superiore e non poteva permettersi di rispondergli a tono, ma volle comunque dire la sua.
«Per combattere ovviamente, ma purtroppo vengo tenuta sempre come ultima scelta, e benché i miei risultati negli allenamenti siano ottimi, spesso non sono ritenuta abile e mi lasciano qui, o mi relegano nelle retrovie».
«Perché?» chiese il capitano senza scomporsi. In effetti era vero che la ragazza era una tra le più brave in allenamento, forse il caposquadra a cui era stata affidata era distratto?
«Vengo ritenuta troppo bassa e gracilina e quindi svantaggiata in eventuali abbattimenti, non idonea alla prima linea» spigò a denti stretti. Questa cosa la urtava molto.
Levi la squadrò da capo a piedi, in effetti quella ragazza assomigliava ad un cucciolo di cerbiatto e sembrava davvero fragile, come uno stelo di cristallo.
«Probabilmente hanno ragione» sentenziò apprestandosi a salire sul suo cavallo, gli stava a cuore che i ragazzi che si arruolavano non morissero subito, appena entrati nel corpo, magari quello era un modo per preservarli.
Questa volta però Petra non ce la fece proprio a tenere la lingua a freno.
«Con tutto il dovuto rispetto signore» cominciò a dire con tono pacato e molto rispettoso «Non è che lei sia propriamente una pertica, eppure questo non le impedisce di essere uno dei soldati più forti della legione» concluse fissandosi la punta delle scarpe aspettandosi una bella lavata di testa.
Levi si girò e la fulminò con un’occhiataccia delle sue. Petra non poteva saperlo ma quello era il suo modo di non far percepire le sue vere emozioni. Era quasi divertito e anche sorpreso dall’intraprendenza della giovane soldatessa. Gli balenò in testa un’idea folle e siccome Levi era uno che sapeva ascoltare il suo istinto, agì d’impulso.
«Bene soldato Ral visto che sei così tanto confidente in te stessa: sella il cavallo, verrai a fare la prova per entrare nella mia squadra insieme a quegli altri tre imbecilli, così non andrai più in giro a frignare che non ti vengono date occasioni» sentenziò prima di tirare le redini al suo cavallo e uscire dalla stalla lasciando la ragazza letteralmente a bocca aperta.
Quando l’avevano vista unirsi a loro, erano rimasti tutti sorpresi dalla decisione di Levi di accorpare anche la giovane soldatessa, ma nessuno aveva detto una sola parola in merito. Gli ordini, era risaputo, non si discutevano. Mai.

La spedizione era partita e tutti stavano galoppando in direzione sud ovest come richiesto da Hanji.
Procedevano divisi in gruppi e sparando razzi verdi alla ricerca di tracce. Solo quello interessava loro, non c’era altro intento che capire se da quella parte poteva arrivare un pericolo.
Intanto la squadra di Levi con i contendenti e gli effettivi, cavalcava a ritmo serrato.
Petra era di lato al capitano e dietro Auruo, che non si zittiva un momento, cercando di fare il saputello. Gli altri tre contendenti intanto, sgomitavano per mettersi in mostra agli occhi di Levi facendo solo confusione.
La ragazza invece taceva e guardava il capitano in testa alla squadra, taciturno, quasi estraniato, che procedeva quasi come se loro non ci fossero. Era davvero un tipo enigmatico e molto criptico, ma lei non si dava pena per questo, lo seguiva cercando di isolarsi dal parlottio incessante di Auruo e dalle frecciatine degli altri tre. Per fortuna almeno Gunther ed Erd le erano sembrati decisamente più seri e più concentrati sul da farsi, inoltre, almeno loro, la trattavano da pari.
Tutto precipitò all’improvviso, quando, dal nulla sbucò un classe tre metri decisamente anomalo, seminando il panico
Levi non fece in tempo ad aprire bocca, che i tre ragazzi in lizza, che litigavano sempre, si lanciarono all’attacco in contemporanea, ma invece di aiutarsi si stavano ostacolando l’uno con l’altro.
«Stupidi idioti!» gli ringhiò contro Levi. «FERMI!» comandò poi, e due di loro gli ubbidirono subito, stoppandosi, mentre gli altri, tra cui Petra, erano in attesa di ordini.
Il terzo invece, non ubbidì e in solitaria arpionò l’anomalo, ma qualcosa andò storto e il mostro lo afferrò con una mano e senza che nessuno, Levi compreso, potesse fare niente, gli staccò di netto la testa ingoiandola. Fu solo a quel punto che Levi riuscì a tranciargli il braccio, ma era troppo tardi, l’arto finì a terra con stretto il mano, il corpo decapitato del ragazzo. Intanto Auruo, Gunther, Erd e Petra si erano intesi con una serie di occhiate ed erano giunti a supporto di Levi, ma senza azzardarsi a fare niente. Aspettavano il suo comando, che arrivò imperioso: «Abbattetelo!».
Accadde tutto in velocità. In perfetta sincronia, i quattro lo arpionarono e il solito Auruo gli recise di netto la carne sulla nuca, facendolo cadere a terra esamine e fumante.
Fu solo allora che Petra vide Levi che stava letteralmente prendendo a calci gli atri due superstiti, in preda una rabbia fredda che faceva spavento.
«Capitano missione compiuta!» strillò d’impeto fiero Auruo distraendolo e facendolo smettere. In realtà quello di Levi era più uno sfogo che un vero pestaggio. I due erano sconvolti e lui era furioso, Petra capì al volo il motivo della sua rabbia. In quel momento capì che quell’uomo basso, dai lineamenti particolari e lo sguardo insofferente, aveva molto a cuore la sopravvivenza dei suoi soldati. Non si perdeva in chiacchiere, né in moine, ma metteva la vita umana al primo posto. Non era solo un misantropo sboccato, molto violento, come si diceva in giro, piuttosto era una persona chiusa e probabilmente non molto incline alla socievolezza, ma con una sua particolare sensibilità interiore, che svelava un animo nobile accuratamente tenuto celato.
Furono raggiunti dal resto del gruppo, con una Hanji molto su di giri perché le sue congetture si erano rivelate fondate.
«Dobbiamo catturarne uno!» disse molto eccitata al comandante Erwin, che osservava severo il corpo senza testa del ragazzo, che era rimasto riverso sull’erba, poco lontano dalla carcassa semi decomposta del gigante.
«Non posso mettere a repentaglio delle vite per una cosa del genere. Il gioco non vale la candela» le rispose tirando le redini «Accontentati di averci fatto scoprire questa utilissima informazione».
«Ma comandante…» provò a protestare la giovane scienziata, Erwin però fu irremovibile e aggiunse «Prepareremo una vera e propria ricognizione in questa zona, che a quanto pare è un’ulteriore croce via di giganti. Non ci faremo trovare impreparati e per quel giorno spero che questa squadra sia completa» disse serio rivolto a Levi, che neppure alzò neppure la testa per guardarlo, e molto contrariato, andò a recuperare il suo cavallo, quindi tutti insieme fecero ritorno al quartier generale.
Per tutto tempo del viaggio di ritorno regnò il silenzio, intrerroto solo dallo scalpiccìo degli zoccoli dei cavalli sul terreno. Perfino Auruo non aprì mai bocca.

Appena rientrati Levi stava legando il suo cavallo nella stalla, quando un fruscio lo distrasse.
«Mi scusi capitano» si sentì dire da Petra e s’irrigidì. Trovò estremamente fuori luogo che lo importunasse per sapere il risultato del suo test, ma si sbagliava.
«So che è molto turbato dalla morte di quel ragazzo. Lo siamo tutti» cominciò a dire la ragazza «Però vorrei che non se ne facesse una colpa».
Levi si girò di scatto e lei notò che il suo sguardo severo, aveva un’impercettibile ombra di dolore che lo offuscava «È stata una morte inutile e io ne sono responsabile» tagliò corto infastidito.
«Non la penso così» rispose ferma la giovane soldatessa sorprendendolo non poco «Tutti noi che ci arruoliamo sappiamo che molto probabilmente non torneremo a casa vivi. È una cosa che mettiamo in conto, noi ma anche le nostre famiglie. Credo che nessuna delle nostre morti sia stata, è, e mai sarà inutile. Ogni soldato che sacrifica la sua vita contribuisce a rendere questo esercito più forte e a renderlo capace, un giorno, di sconfiggere tutti i giganti».
L’ardore di Petra era quasi commovente ma Levi era un cinico, si girò di nuovo e la guardò sprezzante «Il coglione è morto per mettersi in mostra ai miei occhi, non trovo niente di utile e di grandioso in tutto questo» le ribatté amaro.
La ragazza sospirò e si tormentò appena le mani «Il fatto è che quei tre ragazzi, anche se in modo goffo ed irresponsabile, volevano solo fare del loro meglio. Si sono comunque lanciati all’attacco per abbattere un gigante, cosa che avrebbero fatto comunque, perché erano a loro modo ardimentosi. Tutti la ammirano e tutti vorrebbero essere come lei. Non per mera vanità, ma perché forse, se fossero tutti forti come lei, la lotta con quei mostri sarebbe meno impari. Lei non se ne rende conto ma è una grande fonte d’ispirazione e tanti ragazzi si arruolano per emularla».
«Hai finito con questa sviolinata? Non ho tempo da perdere!» la redarguì. Un po’ le sue parole gli davano fastidio perché non amava l’adulazione e un po’ sospettava che lei parlasse così per indurlo a sceglierla, ma si sbagliava di nuovo.
Petra gli si avvicinò e gli porse lo stemma che aveva staccato dalla giacca di Jonas, il ragazzo che era morto in quella breve ricognizione. «Lei è molto meglio di quello che vuole dare ad intendere» disse seria «Lo conservi, si ricordi di lui, l’aiuterà ad andare avanti a dare uno scopo a morti future e a darle la forza di combattere quei mostri con sempre più forza e determinazione» gli disse iniziandolo così ad un rituale, che nel futuro avrebbe fatto parte della sua vita di soldato.
«La ringrazio dell’opportunità che mi ha dato. Gli sarò sempre grata per avermi trattata da pari agli altri e se posso permettermi di avere l’ardire di darle un consiglio, io tra i due rimasti, sceglierei Hans. È il più forte e il più veloce e dopo questa brutta avventura, sono certa che non respirerà neppure, senza che lei prima glielo abbia concesso».
E così dicendo, quasi in punta di piedi, com’era arrivata, uscì dalla stalla, lasciandolo da solo, con quello stemma in mano, molto perplesso.

*

Levi bussò alla porta, Erwin lo invitò ad entrare e lo fece accomodare. Si guardarono un attimo, quindi il comandante intuendo la natura di quella visita gli fece cenno di parlare.
«Ho scelto» disse Levi.
Il comandante sospirò soddisfatto «Dunque chi è il quinto elemento della squadra?» gli chiese.
«Petra Ral» rispose secco il capitano, senza girarci intorno.
Ci furono lunghi attimi di silenzio, poi Erwin scrutandolo gli chiese «Perché proprio lei?».
Perché sembra fragile, ma non lo è, la sua forza risiede nella sua ferma e garbata caparbietà, che mi ha stupito e quasi nessuno riesce a stupirmi. Perché è intelligente, umile e ha il dono di empatizzare. Perché è profonda e sono certo che saprà essere il vero collante della squadra.
«Perché è in gamba, sa combattere è decisa e perché credo nelle pari opportunità» disse a voce alta, omettendo gli altri motivi della sua scelta, che rimasero inespressi.
Aveva seguito il suo istinto e non se ne sarebbe mai pentito, anche se lo avrebbe scoperto in modo tangibile solo in seguito, con il tempo.
Petra gli piaceva davvero, ma non per ragioni sentimentali, più che altro, anche questo lo avrebbe comunque scoperto in seguito, perché era empatica e sapeva capirlo e anche calmarlo. Era l’unica al momento che ci riusciva, l’unica capace di comprendere senza bisogno che lui parlasse.
Petra così apparentemente fragile, grazie alla sua dolcezza e alla sua devozione, sarebbe presto diventata la sua piccola pietra angolare, su cui a volte si sarebbe concesso di appoggiarsi, di tanto in tanto, almeno un pochino, per sopportare meglio il peso delle sue decisioni e della sua responsabilità.
«Bene allora è fatta. Finalmente abbiamo la nostra squadra speciale!» disse soddisfatto Erwin, che forse aveva capito le altre ragioni di Levi, dato che ci vedeva molto lungo, ma anche questa volta, come sempre, fece finta di nulla.
Quando si rischia la vita ogni giorno certi equilibri sono importanti ed Erwin da buon comandante qual era, in questo eccelleva senza ombra di dubbio.
L’annuncio delle formazione definitiva della squadra fu dato il giorno seguente. Petra rimase allibita. Mai e poi mai avrebbe solo sognato di farne parte, aveva preso la sua candidatura come una provocazione di Levi per scuotere gli altri tre, e la sua conferma l’aveva colta totalmente di sorpresa.
Una volta rotte le righe la ragazza si affannò a raggiungere Levi all’interno che, camminando lungo il corridoio, stava per entrare nel suo alloggio.
«Capitano!» lo chiamò cercando di attirare la sua attenzione ma lui non si voltò e continuò a camminare. Petra allora si fermò e aggiunse «Grazie! Non la deluderò mai» gli urlò quasi, sebbene avesse il fiato corto per via della corsa.
Non ne ho alcun dubbio soldato Ral è proprio per questo che ti ho scelta!
Pensò Levi senza fermarsi, né girarsi, prima di sparire alla sua vista dietro la porta della propria camera, come se neppure l’avesse udita.


L’angolo della scrivente…

Buona sera a tutti voi lettori

Dunque questa è la mia versione dei fatti su come si sia formata la prima squadra di Levi. Mi è piaciuto incentrare l’argomento su Petra perché era l’unica donna di quella squara e perché innegabilmente dall’anime si capisce che tra lei e Levi c’è un’intesa empatica. Sicuramente lei prova qualche sentimento per il capitano, mentre credo che Levi le volesse bene ma non da innamorato, però questa è come l'ho interpretato io.
Mi sono ispirata a due scene dell’anime per costruire questa one shot e dare le motivazioni di Levi per questa scelta. La prima è quando appare per la prima volta Levi e lei alla fine lo rassicura mentre quel ragazzo muore stringendogli la mano. E poi ho voluto immaginare che l’abitudine di staccare gli stemmi dalle giacche gliela avesse data lei perché era una sorta di continuum e mi piaceva molto.
Spero che questa mia versione dei fatti sia stata di vostro gradimento, in qualunque caso se mi manifesterete le vostre impressioni mi farà piacere.
Un grande grazie a chi continua mettere tra le seguite, ricordate e preferite questa raccolta

Disclaimer
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Levi e tutti i personaggi di SNK (purtroppo) non mi appartengono, ma sono proprietà di Hajime Isayama.
Invece le varie trame di questa raccolta, così come i personaggi originali e qualsiasi altra cosa inventata dalla sottoscritta, sono proprietà dell'autrice cioè me :)


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Capitolo 6
*** scelte obbligate ***


L. A. Confidential
Confidenzialmente Levi Ackerman
scelte obbligate



Hanji si sedette accanto a Levi sospirò e si guardò le mani. Erano ancora sporche di sangue. Non era sangue fumante di gigante, ma sangue umano rappreso. Un brivido gelido le corse lungo la schiena facendola tremare.
Continuò ad osservarsi le dita, stentando a credere che fossero le sue e che avessero fatto qualcosa di così terribile e di così lontano dalla sua natura.
Levi si girò, la fissò con un’espressione indecifrabile, poi fece una cosa che non faceva mai. Si frugò in tasca estrasse un fazzoletto e glielo porse.
«Pulisciti quelle mani» le ordinò severo.
Hanji gli restituì un’occhiata inquieta «Temo che ci vorrà ben più di un fazzoletto» commentò con un filo di voce, sopraffatta dall’angoscia.
Levi che indossava ancora il grembiule e i guanti, che lo facevano assomigliare più a un macellaio, che a un capitano dell’esercito, si accigliò e rivolse lo sguardo all’infinito aranciato che si parava maestoso davanti a lui. Il sole stava tramontando, lo spettacolo chi si offriva ai loro occhi era bellissimo, ma i due non sembravano neppure accorgersene.
«Potresti lavarti con la lisciva, ma quel sangue non andrà più via dalle tue mani» le disse infine, con un tono distaccato e greve.
«Non è questo che mi turba» gli rispose la donna con amarezza.
Lui si girò e la osservò con aria di rimprovero, come suo solito. Aveva già i suoi di demoni da tenere a bada, non aveva voglia essere coinvolto dalle paturnie altrui.
Levi sembrava sempre propenso a chiudersi in se stesso e a non lasciarsi mai coinvolgere. In realtà sapeva essere empatico, solo che preferiva mettere sempre una certa distanza tra sé e gli altri, almeno quando era possibile. Interagire gli costava fatica, perché la sfera emozionale era un vero campo minato per lui.
«Lo so che non mi vuoi sentire» cominciò a dire Hanji illuminata dal suo silenzio «ma questa cosa l’abbiamo fatta insieme e credo che solo tu possa capirmi».
Levi sbuffò infastidito «A volte mi sembri uno di quei mocciosi!» le rispose adirato, trattenendo a stento un moto di stizza.
«Perché siamo arrivati a tanto Levi?» gli chiese diretta.
Arreso si sfilò i guanti intrisi di sangue e li gettò a terra, poi si passò nervosamente una mano tra i capelli «Perché loro sono arrivati a tanto» parafrasò, tagliando corto.
«Non è una giustificazione» commentò Hanji guardandosi nuovamente le mani con orrore. Poi alzò lo sguardo e Levi vi ci lesse un profondo rammarico misto a vergogna.
«Oggi ho torturato un uomo e mi sono quasi compiaciuta con me stessa per lo zelo feroce con cui sono riuscita a farlo».
«Finiscila! Il punto è che sei fatta così. Ti piace essere accurata e precisa nelle cose che fai» le disse il capitano che già si sentiva a disagio, ma lo pensava davvero, non era stata efferatezza la sua, ma scientifica diligenza, per quanto assurdo potesse sembrare, era una caratteristica peculiare di Hanji che era emersa anche in quella particolare occasione.
«Levi ho strappato una a una le unghie ad un uomo, senza battere ciglio».
«Non è vero eri sconvolta» la corresse.
«Ma non mi sono fermata, gli cavato anche in denti!».
«Neppure io l’ho fatto. L’ho colpito fino quando il suo viso non è diventato una massa informe. L’ho picchiato senza provare niente, sperando che finisse tutto presto perché la cosa, a dire il vero, mi irritava parecchio» replicò gelido.
Hanji lo guardò con autentico dolore, che traspariva nitido dalle sue iridi nocciola.
«Io non sono così» affermò con la voce che le tremò appena.
Levi stava per replicare ma lei lo precedette «Neppure tu sei così, anche se ti impegni a fondo per farlo credere in primis a te stesso».
Lui la guardò con fastidio e noia, regalandole un’occhiata tagliente, restando muto.
Che ne sapeva Hanji di chi era lui? Cosa era diventato? Da molto tempo non se lo chiedeva più neppure egli stesso. Era sceso talmente a tanti compromessi con la sua coscienza, che ormai aveva perso il conto delle cose condannabili che aveva fatto.
«Invece siamo anche così» aggiunse serio, corrucciato, con una vena di rassegnazione nella voce «Che cosa credi che siano i giganti?».
Hanji lo guardò perplessa «Non abbiamo ancora informazioni sufficienti per…».
Lui la interruppe «Sono la parte mostruosa dell’umanità che ha preso vita propria. Quella parte sorda, muta e cieca che distrugge per prevaricare, semplicemente perché è più forte e può schiacciare i più deboli. È insito nella mostra natura. Siamo tutti mostri, chi più, chi meno» chiosò amaro.
La donna lo guardò sconcertata, per quanto volesse controbattere, quel discorso, purtroppo, aveva un fondo di sconcertante verità.
«Quindi siamo senza speranza. Meritiamo di essere sopraffatti ed estinti?».
«No» le rispose subito, secco e deciso.
«Non ti seguo» gli disse sinceramente perplessa.
«I giganti sono senza coscienza, probabilmente sono un’opera dell’uomo stesso, un’estensione di umana natura, ma a parte quelli anomali, con ospite, non sono dotati d’intelletto. Sono l’incarnazione della stupidità del male, mentre noi, come uomini, abbiamo la facoltà di scegliere. Noi sappiamo cosa è il bene e cosa è il male e scegliamo consapevolmente tra i due, sapendo esattamente cosa facciamo e perché lo facciamo».
«Questo non mi consola. Anche perché oggi ho scelto consapevolmente di torturare un uomo e l’ho fatto nonostante mi facesse raccapriccio. Alla fine sono riuscita a brutalizzare un essere umano e non credevo, neppure nei miei incubi peggiori, di essere capace di una simile barbarie!».
«A volte ci sono delle scelte che sono obbligate. Come dice sempre Erwin se vogliamo vincerli non dobbiamo aver paura di diventare proprio come loro. Solo così potremmo sconfiggerli».
Hanji si alzò «Non sono d’accordo Levi. Non siamo dei titan shifter, questo discorso per noi non vale. Non siamo obbligati a diventare dei mostri e non ci serve diventarlo per sconfiggere i giganti!». Poi lo guardò con sincera gratitudine. Sapeva quanto fosse chiuso, lunatico e introverso, ma nonostante ciò era rimasto a sedere accanto a lei, sudicio, incrostato di sangue, con gli abiti imbrattati e puzzolenti di sudore. Una vera violenza per uno come lui. Ma non si era alzato. Alla sua maniera aveva cercato di capirla, addirittura di consolarla, sicuramente anche lui sentiva su di sé tutto il peso di quella giornata di orrori che avevano dovuto condividere.
Provò un moto d’affetto sincero. Levi, nonostante i suoi modi scortesi e a volte irritanti, le era molto caro. Tra loro c’era un rapporto molto particolare. Lui la trattava spesso male, ma Hanji sapeva che in realtà le era affezionato. Era come quei cani all’apparenza rabbiosi che abbaiano e ringhiano sempre, ma che alla fine non mordono mai nessuno e con una carezza, spesso si acquietano.
«Hai ragione» gli disse attirando la sua attenzione e facendogli alzare la testa verso di lei.
«A volte ci sono delle scelte che sono obbligate».
Levi annuì in silenzio e si alzò. Senza aggiungere altro si sfilò il grembiule. Le sembrò snervato, notò che aveva le nocche delle mani sbucciate. Aveva picchiato duramente quell’uomo ostinato che non voleva cedere, fino a farsi lui stesso del male.
«Se vuoi dopo che ci siamo lavati passo a portarti un unguento per quelle nocche».
Lui scosse la testa.
«No, va bene così» disse fiacco e lo vide allontanarsi un po’ incurvato, stanco, con un’andatura meno fiera del suo solito.
Hanji capì perfettamente perché non avesse voluto alleviarsi quel dolore, né curarsi quelle ferite.
Erano una sorta di strano promemoria. Forse un modo per restare in contatto con la sua parte più umana e nonostante tutto sensibile. Un modo per dare un senso a quell’atto così mostruoso che avevano portato a termine insieme. Perché la guerra, era anche e soprattutto, una lunga e interminabile serie di scelte obbligate, forse a volte anche davvero sbagliate, ma necessarie. Utili per poter trovare una strada per sopravvivere, per salvare più vite umane possibili e per porre fine a quello scempio, fatto di morte, sangue, violenza e raccapriccio, che stava mangiando tutti loro, esattamente come facevano i giganti.


L’angolo della scrivente…

Ciao a tutti e buon WE!

Questa volta ho voluto esplorare la dark side di Levi, che insieme ad Hanji nel capitolo 55 (se non ricordo male il numero, sennò correggetemi!) danno vita ad una delle pagine più fosche del manga.
La one shot è volutamente incisiva e corta perché per me non è stato facile esplorare questo aspetto di Levi, ma anche di Hanji, che mi ha sempre causato un certo disagio da quando l’ho letto, per questo ho voluto cimentarmi, per mettermi alla prova su un terreno più scivoloso del solito. Spero di aver prodotto qualcosa di decente e leggibile :D

Ci tengo a scusarmi con tutti i miei lettori/recensori per il ritardo con cui ultimamente rispondo alle loro recensioni, facendolo anche a rate. Non è per pigrizia o maleducazione, sappiate che apprezzo TANTISSIMO i vostri commenti, solo che il mio tempo libero ultimamente è risicatissimo, quindi non me ne vogliate se sono parecchio lenta. Una cosa però ve la garantisco: vi risponderò SEMPRE, perché lo ritengo un atto dovuto, oltre che un piacere mio personale, che mi permette di avere un contatto tangibile con voi!
Intendo scusarmi anche per i miei antipaticissimi errori di battitura, che ultimamente, sembrano essere più frequenti del mio solito (sarà la fretta?). Sappiate che me ne dolgo io per prima, e anche se non sembra rileggo il capitolo almeno 4 volte, ma a quanto pare non basta… quindi ringrazio tantissimo chi ogni volta me li segnala! Devo ancora correggere quelli degli ultimi due capitoli, sempre per i motivi di cui sopra :P Ma prima o poi ce la farò, lo so!!! xD ( e questa volta speriamo di averne fatti di meno =.=””)
Vi chiedo quindi clemenza e pazienza!

Ancora un grade grazie a chi continua mettere tra le seguite, ricordate e preferite questa raccolta

Disclaimer
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Levi e tutti i personaggi di SNK (purtroppo) non mi appartengono, ma sono proprietà di Hajime Isayama.
Invece le varie trame di questa raccolta, così come i personaggi originali e qualsiasi altra cosa inventata dalla sottoscritta, sono proprietà dell'autrice cioè me :)


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Capitolo 7
*** l'unicorno ***


L. A. Confidential
Confidenzialmente Levi Ackerman
l’unicorno






Il colpo era andato a buon fine e il bottino si era rivelato davvero cospicuo, così dopo esserselo spartito, Miguel, il loro contatto, li aveva invitati a festeggiare con una bevuta e Farlan era rimasto piuttosto sorpreso nel vedere Levi accettare. Non si univa mai a loro in certi frangenti ma pensò che probabilmente, questa volta costituiva quella che viene denominata come la famosa eccezione che conferma la regola. Così si diressero tutti allo spaccio, uno dei pochi posti del Ghetto dove servivano alcolici e ordinarono tutti un boccale di birra, tranne Levi che ordinò un tè nero, senza zucchero e senza l’aggiunta di limone, o latte.
Poco prima che finissero di bere venne proposto di andare al vicino bordello a finire di festeggiare in pompa magna, ovvero, con una bella scopata, di quelle come si deve. Del resto di soldi ne avevano presi molti per quel lavoretto e potevano anche concedersi questo lusso.
Farlan declinò subito l’invito. Frequentava da tempo la figlia del mugnaio e disse che avrebbe approfittato per vederla.
Levi non disse niente, ma piuttosto scuro in volto, si alzò e fece per andarsene, quando Miguel esordi ridacchiando: «Certo che sei strano forte piccoletto. Non bevi alcolici e preferisci il tè, si parla di figa e scappi… non è che sotto sotto sei più femmina che maschio? ».
Lo stava stuzzicando e Farlan gli fece subito cenno di finirla, ma quello era allegro e forse un po’ troppo su di giri. Aveva voglia di dar fastidio, così non tenne affatto conto dell’avvertimento appena ricevuto, anzi incautamente decise di rincarare la dose continuando a parlare a sproposito in modo volgare e beffardo.


Molto più tardi, a notte inoltrata, Levi, seduto nel piccolo salottino della loro abitazione, era intento a lucidare con manicale precisione il suo coltello. Compiva assorto un movimento secco, deciso che scivolava dal manico alla punta. L’arma appariva lustra tanto da brillare, mentre lui era come perso in una sorta di catarsi.
Quel rito ossessivo di lucidare la lama era un gesto che Farlan risultava assai familiare, infatti gli era ormai noto che quando faceva così, significava che stava rimuginando su qualcosa.
Conosceva ormai da tempo Levi e le sue stranezze, sapeva che alternava momenti di silenzio glaciale, a momenti in cui era capace di sfoderare un'ironia sarcastica che tagliava e feriva più del suo stesso coltello. Quando però doveva organizzare un piano la favella gli si scioglieva, anche se spesso non aggiungeva mai una parola in più che non fosse necessaria allo scopo. Per certi versi era un vero enigma, soprattutto per via delle numerose contraddizioni che convivevano in lui.
Sboccato e volutamente volgare, a volte in modo davvero fastidioso, si vestiva in maniera impeccabile, con la camicia che sembrava sempre uscita linda e fresca dal negozio, che era solito portare vezzosamente con il colletto rialzato.
Ossessionato dallo sporco, dedicava in maniera metodica una parte della giornata alla pulizia della casa, e lo faceva sempre alla stessa ora, puntuale. Una volta al mese invece procedeva con la sanificazione delle muffe e disinfestazione topi. Poteva cascare il mondo, ma non si esimeva mai dal compiere queste due particolari incombenze e in effetti, la loro abitazione era una delle meglio tenute e più pulite di tutto il Ghetto.
Sembrava un tipo distaccato, algido, e per certi versi lo era davvero, ma talvolta bastava poco per fargli salire il sangue alla testa e reagire anche molto male, in modo sconsideratamente violento.
Non sopportava il contatto fisico, non ammetteva la strafottenza e non tollerava la gente curiosa. Per questo motivo alcune ore prima aveva fatto un macello.

«Potevi anche evitare di pestarlo a sangue!» si risentì Farlan rompendo un silenzio greve che era calato tra loro.
Levi rimase impassibile, salvo corrucciare appena lo sguardo come se fosse infastidito.
«Dobbiamo fare altri affari con lui, ora potrebbe anche ripensarci, o peggio giocarci qualche tiro mancino, dovresti imparare a trattenerti».
«Farlan mi sei sempre piaciuto perché parli poco e ti fai i cazzi tuoi, oggi però stai sfatando questo mito» sentenziò secco continuando a lustrare quella lama ormai luccicante.
«Non capisco perché prendersela tanto» commentò l'altro, che era diventato, da tempo, il compagno inseparabile di uno dei più temuti delinquenti del luogo. Uno la cui fama raccontava che non ci impiegasse niente fracassarti la mascella, o a piantarti una lama in corpo se gliele facevi girare. Solo che lui sapeva bene che la sua reputazione risultava molto peggiore di come fosse poi nella realtà. Levi era sì un violento con problemi comportamentali e relazionali, ma per pestarti a morte, o accoltellarti, dovevi averla fatta davvero grossa, altrimenti da apatico misantropo qual era, tendeva a non considerare neppure chi avesse davanti, limitandosi semplicemente ad ignoralo.
«Non c'è niente da capire, sai quanto non mi piacciano i ficcanaso, né chi mi mette le mani addosso» rispose secco.
«Ma ti ha solo dato una pacca sulla spalla per rafforzare un concetto idiota, una cosa innocua».
Levi con gli occhi ridotti a due fessure, smise di colpo di lustrare il suo coltello. Un gesto che tradiva apertamente un forte fastidio ma Farlan non aveva mai paura di lui. Era uno dei pochi che si poteva permettere di trattarlo da pari a pari. Si rispettavano a vicenda e non se le mandavano mai a dire dietro, per questo non indugiò, né tacque.
«Per me sei esagerato e non dovresti prendertela quando ti sfottono su quell'argomento. Dovresti fare il superiore e fregartene».
Fu a quel punto che Levi, con espressione furiosa, ma con voce gelidamente calma gli disse: «Ci sono cose su cui non transigo, lo sai molto bene, quindi ti prego, torna ad essere quello che si fa i cazzi suoi e smettila con queste prediche». Poi aggiunse: «E per tua norma e regola non me frega niente di fare il superiore».
«Non mi vorrai far credere che davvero ti da fastidio che facciano allusioni, o illazioni sulla tua sessualità? Perché la cosa mi lascia alquanto perplesso e mi dipinge un quadro che non ritrae il Levi che conosco. Ti ritenevo immune a queste sciocchezze».
Farlan non poteva saperlo ma quello che aveva mandato fuori di testa Levi, al punto di fargli pestare a sangue Miguel, era stato quando aveva fatto una battuta pesantemente volgare sulle prostitute del bordello del Ghetto e sulle loro abilità amatorie, consigliandolo Levi di provare la merce per darsi, una volta per tutte, una svegliata, assentandogli infine una sonora pacca d’incoraggiamento sulla schiena. A quel punto Levi aveva visto rosso come un toro e lo aveva preso a pugni e calci lasciandolo a terra più morto che vivo.
Quel tapino scellerato era come se avesse infamato sua madre, che era stata costretta a fare quella vita indegna e lui questo, non poteva tollerarlo.
Provava profondo disprezzo per ogni uomo che andasse a prostitute, ma di quell'argomento non ne aveva mai parlato neppure con Farlan. Sua madre, la sua vita, il suo passato e sopratutto le sue ferite, erano terreno inviolabile e un argomento troppo intimo per condividerlo anche con il suo amico più caro. Quindi che pensasse pure che si fosse incazzato perché quell'idiota aveva messo in dubbio la sua virilità, a lui non interessava, né lo toccava minimamente, l’importante era aver dato una lezione a quel maiale dalla bocca troppo larga.
Purtroppo dentro di lui c’era un baratro nero da cui, come mostri, emergevano all’improvviso brutti ricordi. Erano cose che da bambino, sebbene gli creassero un forte disagio, non poteva comprendere, ma l’età della ragione gli aveva svelato una realtà squallida, amara, orrida e sudicia, che gli aveva procurato un vero e proprio trauma e lo aveva ferito ed inasprito fino farlo chiudere totalmente in se stesso, rendendolo un asociale misantropo.
Alla fine Farlan sembrò arrendersi. Levi era molto schivo, parlava pochissimo di sé e mai di argomenti così intimi e personali. Non lo aveva mai visto insieme ad una donna, né lo aveva sentito mai fare apprezzamenti, o commenti su qualcuna e la cosa, a dire il vero, non lo aveva mai impensierito più di tanto, anche perché non intaccava di una virgola i loro rapporti e i loro affari. Quella sera però dopo l’accaduto, una certa curiosità, alimentata forse dalla reazione spropositata di Levi, gli si era affacciata alla mente, tanto da fargli porre interiormente delle domande su quell’aspetto dell’amico che cominciava in qualche modo a destare delle perplessità anche in lui. Il suo sguardo, durante la loro breve conversazione, era stato leggermente indagatore e questo particolare non era sfuggito a Levi, che era sì burbero, chiuso ed introverso, ma non sciocco. Così lo fissò per qualche secondo, sempre più in grugnito. Era certo che Farlan non gli avrebbe mai rotto le scatole in proposito, ma preferì prevenire per darci un taglio una volta per tutte e quindi parlò: «Credi anche tu anche che sia ancora vergine?» gli chiese senza girarci tanto attorno e prima che potesse aprire bocca aggiunse in modo smaccatamente sarcastico «Rasserenati, non è così».
Farlan fece per parlare ma Levi con un’occhiataccia lo fulminò. «Ora taci e fammi parlare» gli intimò, quindi riprese a raccontare.
«Tempo fa ho voluto provare questo sesso tanto decantato da tutti e sai che cosa ho scoperto?».
«No, non posso saperlo e comunque Levi non è necessario…».
«Sì che lo è, così la finirete di rompermi il cazzo!».
«Io non ti ho mai detto niente in proposito».
«Tu no, ma i tuoi occhi parlano per te Farlan».
Il ragazzo allora sospirò e tornò a tacere, forse l’amico, in un momento più unico che raro aveva solo voglia di sfogarsi, o di parlare. Era un evento straordinario per uno come Levi, dopo tutto era umano anche lui.
«Avanti, allora dimmi che cosa hai scoperto» lo esortò.
«Non è altro che una pulsione che domina l'uomo rendendolo molto stupido. L’amplesso in realtà è solo uno scambio di fluidi corporei che mescola muchi in modo poco igienico, che regala sì qualche attimo di piacere, ma che ti ottenebra la mente, togliendoti il dominio di te stesso. Il nostro orgasmo che è funzionale alla riproduzione è solo una mera serie di contrazioni che ti scuotono lombi e viscere, per finire tutto in una rapida eiaculazione e sudore!» concluse quasi con disgusto e lo sguardo molto severo.
Farlan era piuttosto basito di fronte a quella spiegazione così desolatamente tecnica che Levi aveva appena fatto.
«Non è proprio così amico…» provò a dire.
«Oh si che lo è! Siete voi che come animali in calore non sapete tenere a bada i vostri istinti e praticate sesso con chiunque pur di provare piacere e svuotarvi le gonadi!».
Le sue parole erano dure come sassate e il suo guardo sembrava lanciare dardi infuocati.
«Stai esagerando» provò ad articolare, ma l’atro ormai era partito per la tangente.
«Credi? Piuttosto dimmi allora che cosa sarebbe questa gran cosa di cui tutti parlate e per cui tutti sbavate? Un piacere che andate sovente comprando, usando corpi di donne sconosciute, in cui vi infilate senza ritegno e di cui abusate solo perché pagate. Non so se mi fa più schifo l'idea dei fluidi che si mischiano, o di voi, che per un paio di scosse di godimento acquistate carne umana per soddisfare un vostro bisogno fisiologico, un istinto che vi toglie il pudore e la ragione».
Farlan rimase molto turbato, non avrebbe mai pensato di sentirlo parlare così, ma Levi non aveva ancora finito.
«Quello che mi rende realmente diverso da voi, e che vi fa paura, è che io ho il perfetto dominio su me stesso, sui miei appetiti e sulle mie pulsioni. Esercitare questo tipo di controllo mi rende forte, anzi invincibile, perché riesco a fare a meno di qualcosa a cui voi non sapete resistere. E questo vi rende vulnerabili e deboli» disse poco prima di alzarsi.
Poggiò con cura il coltello sul tavolo, si infilò il fazzoletto con cui lo stava lucidando in tasca, poi si girò e mentre stava per andarsene aggiunse: «La verità è che c’è una netta differenza tra me e voi, perché siete solo degli stalloni schiavi del vostro testosterone, mentre io sono un fottuto unicorno».
Farlan, in preda alla più totale confusione, lo guardò mentre lasciava la stanza. Non poteva capire e non poteva sapere, né a che cosa si riferisse, né perché avesse scelto quella assurda e bizzarra metafora per delineare la differenza tra lui e gli altri. Purtroppo non avrebbe mai fatto in tempo a saperlo.
Levi aveva ragioni profonde, legate ad una desolazione che suo malgrado aveva assorbito e che lo aveva reso in qualche modo diverso, ma non nel senso che credeva la gente.
Non era un caso che avesse scelto l’unicorno come termine di paragone con se stesso, ma solo una profonda conoscenza dell’antica mitologia avrebbe potuto svelare che cosa intendesse, cosa che a Farlan mancava, essendo uno dei tanti ragazzi cresciuti per strada nel Ghetto, che pur essendosi elevato, non aveva però mai studiato mitologia.
Levi del resto era fatto così: criptico e sfuggente, tagliente e volutamente sgradevole, ma era anche profondo e sensibile, sebbene avrebbe preferito farsi tagliare una mano, piuttosto che farlo capire agli altri, compreso il suo migliore amico.

Nota: Non è affatto un caso che io abbia paragonato Levi ad unicorno. Un animale mitologico, maestoso, simbolo di purezza nella sua accezione più alta, che quindi ha un significato ben preciso, che di certo non è quello diffuso ultimamente, che è totalmente stravolgente da ciò che esso rappresenta veramente.


L’angolo della scrivente…

MIIIIIIIIIIIII NON CI SI CREDE!!!!!

Ebbene sì sono di nuovo tra voi!
Prima di ogni altra cosa vorrei ringraziare tanto da chi preoccupato mi ha chiesto che fine avessi fatto, beh, non sono sparita, solo che la mia vita ha avuto uno grande stravolgimento che non mi permette più di poter dedicare molto tempo a cose piacevoli, ma totalmente futili come EFP, insomma il tempo per il cazzeggio è davvero quasi sparito del tutto, perché attualmente conduco una vita densa e molto intensa.
Senza raccontarvi i fatti miei, che sono tali e tali restano, voglio però dire che è uno stravolgimento super positivo e che quindi sono solo cose belle. Almeno per ora ^_^
Non ho nessuna intenzione di lasciare EFP, né tanto meno la scrittura, ma avrò tempi decisamente mooooooooolto più lunghi sia nella pubblicazione (come avete già potuto constatare) che soprattutto nella lettura. Vi dico questo per onestà intellettuale e mi rivolgo soprattutto alle mie amiche e colleghe scrittrici: vi leggerò, ma davvero non so dirvi quando, abbiate fede che se non prima, magari poi arriverò da tutte, ma se ritenete che sono troppo lenta e non vorrete leggermi più fate voi, per me va bene tutto ;)
Ma ora bando alle ciancie e veniamo a noi.
In questa OS ho voluto trattare un argomento che per Levi sembra essere un tabù, ovvero il sesso. Nonostante in questo fandom, me compresa, spesso lo si faccia passare per un grande amatore (o peggio per un tromba tutto e tutti) io mi sono voluta rifare a mio modo all’opera originale, sfruttando anche qualche larvata indicazione che il sensei Isayama ci ha dato su di lui, avendo sussurrato in modo criptico e sibillino che Levi non ha mai avuto rapporti non specificando se di rapporti di coppia o di rapporti sessuali si trattasse. Così mi sono immaginata questo scenario dando la mia versione dei fatti e andando totalmente controcorrente. Spero che la gradiate e mi farebbe piacere sapere che ne pensate, se avrete voglia e tempo di farlo.
Bene ho blaterato fin troppo quindi mi congedo.

Alla prossima!

Ancora una volta voglio ringraziare chi continua mettere tra le seguite, ricordate e preferite questa raccolta, ma anche tutte le mie altre fic presenti in questo fandom

Disclaimer
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Levi e tutti i personaggi di SNK (purtroppo) non mi appartengono, ma sono proprietà di Hajime Isayama.
Invece le varie trame di questa raccolta, così come i personaggi originali e qualsiasi altra cosa inventata dalla sottoscritta, sono proprietà dell'autrice cioè me :)


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Capitolo 8
*** tutto ciò che resta... ***


L. A. Confidential
Confidenzialmente Levi Ackerman
tutto ciò che resta...



Attenzione!!! Questa one shot contiene uno SPOILER ENORME per chi non legge le scan del manga!
Lettore avvisato lettore salvato!


Era tutto finito eppure Levi non riusciva a goderne né tanto meno ad essere felice.
Ma lo era mai stato in vita sua?
Quel giorno non riusciva a ricordarselo.
La felicità era un sentimento che preferiva ignorare. Era troppo effimero e poi, dopo, faceva troppo male.
In quel preciso momento si sentiva più vuoto che leggero.
Ora che cosa ne sarebbe stato di lui?
Ma gli interessava veramente il suo futuro?
Seduto osservava l’orizzonte e non riusciva a capire che cosa gli si agitasse dentro.
Poco lontano da lì, tutti stavano facendo festa mentre lui aveva cercato come sempre la solitudine, nell’abbraccio discreto della natura.
Questa volta ancora più di sempre si sentiva fuori posto, distante, disturbato dalla gente e dal suo chiasso inopportuno, volgare e fastidiosamente felice.
Lui non aveva proprio niente da celebrare.
In quel momento di gloria, così epico e così importante per l’umanità, malgrado fosse ancora arrabbiato con lui, non poté fare a meno di pensare ad Erwin. Il suo grande sogno si era appena avverato, ma lui non c’era e non avrebbe potuto gioirne, né ora, né mai.
Dopo una vita votata alla causa e dopo aver rinunciato perfino all’amore, lasciando l’unica donna che avesse mai amato, ad un altro, non aveva neppure avuto la consolazione di esultare della vittoria finale del genere umano.
Che il mondo fosse ingiusto e la vita facesse schifo lo aveva sempre saputo, sperimentandolo in prima persona sulla sua stessa pelle, ma ora più di sempre era amareggiato, furioso e sdegnato.
Sembrava tutto inutile, tutto senza senso.
Ad Erwin, il suo Comandante e unico vero amico era rimasto fedele fino alla fine. Aveva fatto ciò che gli aveva chiesto, anche se andava contro ogni fibra del suo essere e sebbene non lo capisse neppure adesso, gli aveva ubbidito come sempre. Nessuno avrebbe mai potuto sapere che avesse realmente significato per lui e quello che gli era costato accettare quella scelta.
Solo ora si ritrovava a fare i conti con una mancanza che era ancora troppo viva e dolorosa. Una mancanza che toglieva il senso e la gioia alla vittoria, una mancanza che non sarebbe mai più stata colmata da niente.
Che cosa lo legasse ad Erwin era un segreto che custodiva gelosamente e non avrebbe mai condiviso con nessuno. Era una cosa troppo importante per darla in pasto agli altri, a chi non avrebbe mai potuto comprendere la sua totale devozione.
Nel corso degli anni, da quando il Comandante lo aveva scelto, attirandolo nel Corpo di Ricerca con un fine stratagemma, a dispetto dei dubbi di molti, Levi era diventato un grande soldato. Lo aveva sgrezzato fino ad elevarlo al ruolo di ufficiale prima e di suo braccio destro dopo. Nel corso degli anni in tanti avevano fatto speculazioni sul loro rapporto, alcune delle quali veramente orribili.
C’era chi li disprezzava e li considerava due pazzi visionari, due esaltati che si erano trovati e dati man forte. Due sadici a cui non importava niente di nessuno, che senza neppure battere ciglio, per una loro insana mania di grandezza, mandavano al macello legioni di adolescenti, in nome di un ideale utopico che secondo molti, celava solo la loro sfrenata ambizione.
C’era chi addirittura s’era spinto oltre ogni logica e pudore ed era arrivato ad insinuare che fossero amanti. Una cosa così lontana da loro che, quando l’avevano scoperta, non era neppure riuscita ad indignarli. Levi, quando aveva sentito quella assurdità aveva semplicemente sputato in terra, Erwin invece aveva abbozzato l’ombra di un sorriso divertito.
«Che cazzo ci sarà mai da ridere…» aveva sentenziato nel suo stile aulico il capitano.
«Devo spiegartelo?».
Levi lo aveva guardato di traverso e tutto era finito lì. Non avevano tempo per quelle sciocchezze, dalle loro decisioni dipendeva la vita di un sacco di gente, oltre che il futuro dell’umanità.
«Che pensino un po’ quello che vogliono, si fottano pure, a dirti il vero non me ne importa un cazzo!» e l’argomento era morto lì, con l’ultimo sproloquio stizzito del solito Levi.
Chissà perché ci ripensava proprio adesso, forse perché nessuno poteva capire che cosa avesse rappresentato quell’uomo per lui.
Si sarebbe dato fuoco se solo glielo avesse chiesto. Erwin era l’unica persona, da quando era nato, oltre sua madre, che lo aveva rispettato come essere umano. Lo aveva trattato da suo pari, fin da subito, nonostante fosse un graduato e lui un delinquente che viveva nel Ghetto, in mezzo all’immondizia. Gli aveva teso la mano, lo aveva guardato dritto negli occhi e senza fargli sconti gli aveva regalato una possibilità di scelta.
Un lusso che in tutta la sua vita, fino a quel giorno, non aveva mai avuto.
Quelli come lui avevano il destino già scritto fin da quando venivano al mondo, invece Erwin aveva rimescolato le carte in tavola. Era stato onesto e non aveva cercato di comprarlo con le lusinghe, né l’aveva ricattato moralmente. Lo aveva invece subito inquadrato e aveva visto l’uomo che si celava dietro il cinismo e la violenza, figlia del degrado e della voglia di svincolarsi da quella fogna, oltre che frutto della sopravvivenza. Lo aveva semplicemente messo davanti al suo reale valore, gli aveva detto che per la sua causa aveva bisogno di gente come lui, offrendogli una possibilità di riscatto, un modo pulito e nobile per usare il suo talento efferato. Gli aveva offerto la dignità.
Senza ombra di dubbio era stato il suo salvatore, colui che lo aveva elevato dal fango del Ghetto e gli aveva permesso di essere un soldato, un uomo d’onore e degno di rispetto.
Era più di un fratello per lui, era la sua famiglia, il suo punto di riferimento, la sua guida e il suo mentore, era tutto ciò che gli restava di un’esistenza nata ai margini, fatta di violenze, inganni e sopraffazione. Erwin e l’esercito erano la sua vita, il suo scopo. Ma ora il suo amico era morto e lui, dopo l’ultima battaglia, aveva espletato il suo compito di capitano.
Quel giorno di festa tutto il suo mondo era finito.
Il suo sguardo pareva vuoto, assente, invece Levi stava solo osservando il mare davanti a sé. Una distesa d’acqua di cui non si vedeva la fine. Guardava la risacca che placida, sembrava sfiorare timidamente la sabbia lambendogli appena la punta degli stivali, ritirandosi subito, come fosse una carezza furtiva.
L’aria gli solleticava appena le narici, un odore salato ma gradevole.
Lì c’era silenzio, interrotto solo dal frusciare discreto delle onde.
Davanti a quel bacino immenso in cui si specchiava il sole, si sentiva impotente, inutile, così come si era sentito dopo la morte di Erwin, solo che allora non c’era stato neanche il tempo di poter soffrire.
La guerra è così, si mangia anche il dolore, te lo strappa via dal cuore prima che tu possa crogiolartici dentro. Non c’era stato neppure il modo di seppellirlo, così non ci sarebbe mai stata una tomba su cui andare a sanguinare un po’.
Aveva fatto la fine di tanti dei suoi ragazzi. Morto sul campo e lì abbandonato, come uno straccio vecchio, o un’arma rotta.
Erwin forse era già morto da tempo, da quando aveva perso il braccio. Da lì tutto era cambiato e sceso in una china senza fine, che si era conclusa con il suo sacrificio.
Guardando il mare Levi si sentì infinitamente solo.
Gli mancava il suo punto fermo, colui che l’aveva accettato per ciò che era e aveva visto ciò che avrebbe potuto essere. Anche se gli faceva male come una ferita ricoperta di sale, sapeva in cuor suo, che l’unico modo per onorare la memoria di Erwin era andare avanti, ed essere l’uomo che lui l’aveva aiutato a diventare.
Ancora una volta Levi si ritrovò a dar retta al suo Comandante e ad aggrapparsi alla mano che gli aveva teso il suo unico vero amico, una scelta che non aveva mai rimpianto e che neppure adesso, nonostante tutto, avrebbe rinnegato, perché quella scelta era tutto ciò gli restava del suo più grande e prezioso amico.


L’angolo della scrivente…

Buonsalve gente!

Dunque questa OS, che tratta il tema dell’amicizia era in programma come uno dei punti cardinale della raccolta. Ovviamente quando la raccolta è nata mai e poi mai avrei immaginato che il manga andasse in questa (disgraziata) direzione, quindi diciamo che è stata una scelta obbligata dagli eventi, anche se sempre Erwin sarebbe stato il protagonista di questa riflessione sulla loro amicizia perché il legame amicale tra Levi ed Erwin è un punto molto importante di tutta la storia che volevo affrontare.
Non so dirvi che cosa provo al momento, perché la dipartita del comandante Smith è una cosa che mi ha fatto disamorare di SNK.
Inutile stare qui a menarla a tutti voi, ma per la sottoscritta è stato un colpo troppo basso che non riesco ancora a digerire.
Specifico che sono completamente fuori dalle dinamiche Eruri, Ereri e dallo yaoi, che è una cosa che nel mio mondo non esiste neppure, nel senso che mi interessa meno di zero, ma amavo Erwin e la sua grande amicizia con Levi, senza dubbio era una delle cose più belle tra due dei miei personaggi preferiti.
Non so se ho reso giustizia ad Erwin, non era neppure quello il mio reale intento, ma volevo dire come vedo io il rapporto che lega in modo profondo Levi a lui.
Credo molto nell’amicizia e ho cercato di riportare questo valore tra le mie parole, dicendo in realtà molto poco, ma non mi andava di fare niente né di troppo tragico, né di troppo approfondito.
La scena in cui si colloca questa storia è ambientata al famoso mare che tutti vogliono vedere (tranne Levi credo, per questo ce l’ho piazzato), in una ipotetica fine della storia (a modo mio) in cui i giganti sono sconfitti e Levi è sopravvissuto insieme a chi, decidetelo voi, in questa storia mi interessava solo di Levi ed Erwin non come coppia (ovviamente) ma come amici VERI e mi interessava l’introspezione di Levi e dei suoi sentimenti verso il Comandante. Spero abbiate apprezzato, ma accetto anche critiche senza problemi.
Bene credo sia tutto, almeno per ora, quindi vi saluto e ringrazio chiunque abbia letto fin qui! Così come ringrazio chi segue legge e recensisce e chi ha messo la storia tra le seguite, ricordate e preferite :)
Siamo quasi alla fine della raccolta, un bacio a tutti e alla prossima volta!

PS Note tecniche. Non ho tempo per rileggere sennò finirei per postare ogni 6 mesi, spero non ci siano troppi errori, in caso chiedo anticipatamente scusa a tutti i lettori!

Disclaimer
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Levi ed Erwin (purtroppo) non mi appartengono, ma sono proprietà di Hajime Isayama.
Invece le varie trame di questa raccolta, così come i personaggi originali e qualsiasi altra cosa inventata dalla sottoscritta, sono proprietà dell'autrice cioè me :)

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