How a beautiful myth it was

di Aliwonderland94
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Lista capitoli:
Capitolo 2: *** I used to rule the world ***
Capitolo 3: *** Be my mirror, my sword and shield ***



Capitolo 2
*** I used to rule the world ***


1- I used to rule the world

Tuoni violenti squarciavano la calda notte di Babilonia, gettando una luce irreale sul palazzo immerso nel buio. Le fiaccole appese alle pareti tremavano sotto il soffio del vento disegnando ombre lugubri sulle colonne marmoree. Efestione, il comandante degli eteri,camminava in silenzio accompagnato solo dall’eco dei suoi passi. Quella notte la tensione era palpabile; generali e strateghi erano stati convocati in segreto da Alessandro in persona. Dopo il ritorno dalla campagna d’Egitto, l’imperatore aveva trascorso giorni e notti chiuso nelle sue stanze, mangiando poco, dormendo meno e consultando mappe provenienti dai quattro angoli del regno. Nemmeno ad Efestione era stato concesso di vederlo , e il ragazzo non poteva fare a meno di pensare a quanto gli mancasse il suono della voce profonda del suo re. Per quanto si sforzasse non riusciva nemmeno a ricordare l'ultima volta che aveva accarezzato quei riccioli biondi, o l'ultimo sguardo che quegli occhi bicolore gli avevano rivolto. Efestione giunse alla pesante porta di legno massiccio dove due guardie dall'elmo di bronzo si fecero da parte per lasciarlo passare. Il condottiero avanzò lentamente lungo la Sala del Consiglio percorrendo con lo sguardo i volti dei presenti. Filota figlio di Parmenione gli rivolse un cenno di saluto mentre Efestione prendeva posto alla destra del trono vuoto riservato all'imperatore. Persino da quella posizione il soldato riusciva a percepire la diffidenza degli altri capi dell'esercito. Dopo la vittoria a Isso, il potere macedone sembrava essere inarrestabile e la Persia era ormai in ginocchio davanti alla gloria delle Alessandrie. Quell’improvvisa  convocazione però, poteva significare solo che l’imperatore aveva un piano, un piano che avrebbe cambiato ancora una volta le sorti dell'intero regno. Le guardie all'ingresso si spostarono ai due lati del pesante portone di legno, annunciando l'ingresso dell'imperatore. Il cuore di Efestione si fermò; nonostante lo conoscesse da quando erano solo bambini, ogni volta che vedeva Alessandro era come la prima. Il mantello scarlatto e la tunica bianca mettevano in risalto la pelle abbronzata e le spalle larghe del suo re. Mentre avanzava lento verso il suo posto, Efestione non gli staccò gli occhi di dosso nemmeno per un istante. Chiunque vedendolo avrebbe potuto scambiarlo per Apollo in persona. I delicati riccioli dorati, il naso dritto e gli occhi luminosi sembravano appartenere al sole stesso. Alessandro prese posto a capotavola, abbracciando con lo sguardo l'intera sala del consiglio. Un funzionario lo seguiva reggendo una mappa arrotolata sotto il braccio. Ad un cenno del regnante la distese sul tavolo, ricoprendone  gran parte della superficie. Sulla pergamena figuravano i domini di Alessandro: dal Mediterraneo, all' Egitto fino al Golfo persico ; linee sottili e fitti appunti segnavano i luoghi delle battaglie, gli accampamenti e i porti che avevano aiutato Alessandro nella conquista del suo impero.
"Gaugamela" disse il sovrano indicando con l'indice sinistro un punto al confine dell'antica Mesopotamia. "Sarà lì che affronteremo Dario" aggiunse in risposta agli sguardi interrogativi dei suoi soldati.
"Sire, gli emissari di Dario hanno già proposto un accordo pacifico" replicò il guerriero seduto dall'altro lato della tavolata.
"Ne sono consapevole Parmenione" disse Alessandro senza tradire alcuna emozione.
" Ma vostra altezza, l'ultima battaglia ha ridotto il numero dei nostri soldati all’osso. Non reggerebbero un altro scontro"
“ Senza contare che l’Asia minore è ormai in nostro potere” esclamò Aristone.
"Ll'Asia Minore non è che un granello di sabbia, un minuscolo tassello nel mosaico dell' impero macedone" replicò freddamente Alessandro.
"  È uno scandalo !" esclamò Filota battendo il pugno sul tavolo. Il suono echeggiò nell’ampia sala, rimbalzando fra gli archi e le colonne di marmo. Tutti i generali si voltarono verso di lui.
" Gli uomini che abbiamo perso in battaglia, l'oro, i prigionieri, non significano niente per voi? Non siamo altro che formiche da sacrificare per un lembo di terra in più. E per cosa? Per aggiungere un altro segno su quella maledetta pergamena. Abbiamo già conquistato i tre quarti del mondo conosciuto, abbiamo sudditi,  biblioteche, scribi che documenteranno le vostre imprese per i vostri figli, i figli dei vostri figli e tutte le generazioni che verranno. Cosa volete ancora?". Negli occhi neri dell’uomo  bruciavano le fiamme dell'Ade.
"L' Asia" rispose Alessandro muovendo appena le labbra. Si alzò indugiando per un momento sul Consiglio.
 "Ciò che per voi è solo un lembo di terra rappresenterà un faro di speranza nell'oscurità in cui la Persia sta vivendo i suoi ultimi giorni. Cos'è ogni battaglia se non solo una delle dodici fatiche che hanno portato la gloria di Eracle nel firmamento?!". L'intera tavolata era avvolta dal silenzio più totale.
" Mandatemi a chiamare quando avrete deciso di guardare oltre il fumo della codardia che offusca i vostri giudizi". Alessandro si alzò e rapido come era arrivato uscì dalla sala illuminata dalle fiaccole ardenti, lasciando sbattere il portone dietro di lui. 

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Capitolo 3
*** Be my mirror, my sword and shield ***


2- Be my mirror, my sword and shield

 
Efestione uscì nell'aria frizzante di quella notte senza luna. La ghiaia scricchiolava sotto i suoi calzari e le cicale cantavano malinconiche lo scoppiare dell'estate. Dopo aver lasciato la Sala del Consiglio, Alessandro era come scomparso. Nessun soldato, nessun funzionario sembrava avere idea di dove si fosse nascosto. Efestione però, non aveva esitato nemmeno per un istante. Come quando erano bambini e litigavano per un cavallo o una gara di nuoto, Alessandro non voleva che nessuno lo vedesse triste o adirato. Lui preferiva rifugiarsi in un luogo sicuro, rivivere tutto nel silenzio della sua mente, piangere e poi tornare sui suoi passi e porgere la mano in segno di pace. Da quando lo conosceva c'era solo un luogo che Alessandro aveva designato suo rifugio privato. Un luogo nascosto in bella vista, dove due ragazzini potevano crescere lontani dalle pressioni della vita alla corte macedone. Davanti ad Efestione si aprì il viale alberato, dove fiori esotici e frutti succosi profumavano l'aria con le loro fragranze. Arrivato al settimo cespuglio di ibisco, Efestione si fermò e gettò una rapida occhiata intorno, stringendo gli occhi azzurri come un felino che scruta nella tenebra. Poi, assicuratosi di essere solo, entrò nella fronda di foglie rigogliose. Davanti a lui ora, zampillava allegramente una fontana di pietra ; al centro delle acque si ergeva maestosa la figura di Atlante, intento a reggere il peso della volta celeste. Aldilà della vasca, seduto sull'erba scura con una mano immersa nell'acqua, sedeva il grande Alessandro. Efestione sorrise dolcemente alla vista del suo più vecchio amico.
“Sapevo che ti avrei trovato qui” sussurrò il ragazzo prendendo posto accanto ad Alessandro, mentre lo sguardo arrossato dell'imperatore incontrava il suo.
“ Che ti succede?” chiese Efestione circondando col braccio le spalle dell'amico.
“ Ho rovinato tutto” disse Alessandro seppellendo il viso nel suo abbraccio.
“Credevo di aver pensato a tutto. Conoscevo le formazioni,  i luoghi, i tempi, ogni cosa. Credevo che i generali avrebbero approvato, credevo che avrebbero capito. Invece mi hanno dipinto come un tiranno, un despota pronto a gettare il suo popolo nel Tartaro per un pugno di gloria. Tu mi conosci Efestione, non sono così, sai che non lo sono”.
“ Alessandro” disse Efestione “ io ti conosco meglio di chiunque altro”. Alessandro abbozzò un sorriso, e per un momento la notte sembrò meno buia. Rimasero per qualche secondo in silenzio, persi l'uno negli occhi dell'altro.
“ Ricordi quando eri appena salito al trono ?” disse Efestione rompendo l’incanto. “Rimanevi alzato tutta la notte circondato da libri e mappe per spiegarmi fino a dove avresti desiderato spingerti. Io ti chiedevo cosa avresti fatto una volta raggiunta la fine del mondo. Ricordi cosa mi rispondevi?” chiese il ragazzo con lo sguardo fisso sulle labbra del re. Gli occhi di Alessandro ebbero un sussulto.
” Mi volterò e ne conquisterò l'altra estremità ”rispose. Efestione annuì, poi indicò la statua di Atlante al centro della fontana.
“Sai perché i piani di degli dei sono sconosciuti ai mortali? Perchè essi non sarebbero in grado di comprenderne la grandezza ”
” Io non sono un dio, Efestione” disse il re scuotendo la testa.
“ Ma al pari di un dio, Alessandro, il tuo mito sarà scritto nelle stelle”
“Il nostro mito” ribattè il re.  Efestione lo guardò confuso.
“Io non sono niente senza di te” disse Alessandro con la voce incrinata. Poi prese il viso di Efestione fra le mani, e appoggiò le labbra tremanti sulle sue. Dapprima il bacio fu timido, incerto, una danza di sensazioni e tocchi leggeri. Mano a mano che si abbandonavano l’uno all’altro, le carezze diventavano graffi di passione sulla pelle, le loro labbra si cercavano, si mordevano, si bramavano, come una terra desolata brama di essere bagnata dalla pioggia. Lentamente Efestione spinse Alessandro sulla terra umida, senza smettere di passare le dita fra quei riccioli delicati. Adesso le loro mani si incontravano voracemente; ogni stretta lasciava una scia di fuoco sulla pelle dell’altro, ogni bacio bruciava col calore di mille soli. Efestione stringeva il suo re, il suo migliore amico, quasi disperatamente premendo il proprio corpo contro il suo e seguendo il ritmo ipnotico che le labbra carnose di Alessandro creavano. Rimasero così per ore, assaporando la beatitudine di quel calore tanto inaspettato quanto desiderato. Mentre l’alba sorgeva sui loro volti addormentati Efestione aprì gli occhi, incredulo nel vedere il re abbandonato contro il suo petto. Prima di riaddormentarsi pensò a quello che Alessandro aveva detto la notte precedente. Il loro destino era legato come quello di Patroclo e Achille ; un mito di morte e amore, un mito in cui solo i giovani potevano credere.
 

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