Bianco e Nero

di PrideWrath_Rose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Abbandono ***
Capitolo 2: *** Addio ***



Capitolo 1
*** Abbandono ***


[ Dobbiamo parlare. Vieni a casa mia. Sono sul retro.]  

Un SMS corto, logico e privo di qualsiasi futile dettaglio, come lui è solito inviare sempre a chiunque.  

E' passato un solo giorno dal termine della missione speciale compiuta a nome della sua Famiglia, una sola notte trascorsa praticamente insonne, gli occhi spalancati fissi sullo scuro soffitto a pensare, crearsi domande prive di risposta, ipotizzare eventi catastrofici che lo avrebbero colpito nel profondo, lì dove è presente il suo unico punto debole. Non ha mangiato, lo stomaco è ancora chiuso a causa del nauseante odore ferroso di sangue percepito la scorsa sera, talmente penetrante da essergli entrato fino al cervello, l'immagine delle carni tranciate e lacerate dalle enormi zanne dei cinque cani che in pochi secondi sono riusciti a strappare un intero braccio dell'inerme vittima  continua ad essere presente, un'immagine nitida e reale all'interno delle proprie palpebre, che ogni volta che si chiudono si tingono di nuovo di rosso, esattamente come hanno fatto le pareti di quella minuscola squallida cella ove fossero presenti, durante il macabro spettacolo.  

Si trova nel giardino sul retro della propria grossa abitazione, il cielo plumbeo ricopre qualsiasi spiraglio il sole cercasse disperatamente di donare, rendendo perciò l'ambiente cupo, tetro, esattamente come il suo umore ora.  Sa che l'altro non tarderà ad arrivare, per questo motivo lo attende, le mani fasciate da apposite garze mentre si allena, come fa ogni giorno, tirando scattanti ed energici pugni contro il proprio sacco da boxe, creando una serie perpetua di rumori pesanti che si espandono lungo il giardino, ed infrangono il silenzio che divampa tutt'intorno. Misto ad essi è percepibile solo il suo respiro corto, concentrato, ed il sottile scorrere dell'acqua della modesta piscina adiacente alla sua posizione, di un azzurro vivido, attualmente spoglia e priva di vita.  

< hey >

E' la voce altrui che spezza il ritmo,  causandogli di fermarsi immediatamente, non si è accorto del suo passo felpato, quel dannato felino ha il passo talmente leggero che sembra di camminare nell'aria. Si volta a guardarlo, il respiro ora è corto, un po' affannato, il suo sguardo è freddo, penetrante, apatico. Nessun accenno di sorriso, nessun calore da parte sua. Lo osserva in silenzio poggiando una mano sul sacco per evitare che continuasse ad ondeggiare, mentre con un lieve sospiro torna a stabilizzare il respiro. Si volta senza dire niente, compiendo qualche passo in direzione della balconata, per sciogliere la presa delle bende tra e nocche e nel frattempo pronunciare, la voce roca, il tono amaro e severo.  

voglio testare le tue capacità combattive >

La paura che in un futuro ipotetico potesse fare la stessa fine della vittima della sera precedente ormai è diventata una cieca convinzione. Se non ci avesse pensato il suo fottuto collega a infrapporsi fra di loro minacciando di rivelare al suo superiore informazioni compromettenti, sarebbe successo qualcos'altro prima o poi a conferire all'albino il titolo di "pericolo per la Famiglia", ne è sicuro, non ha dubbi al riguardo, per questo nella sua testa l'immagine che egli venga catturato e torturato continua a ripetersi ancora e ancora, causandogli tutto quel malessere interiore, la colpa è sua. Non avrebbe mai dovuto coinvolgerlo così tanto nella sua vita. 

Si pone ora di fronte a lui, a distanza di qualche passo, preparandosi per la "battaglia". Non dona nessun'altra spiegazione al suo riguardo, rimane muto ad fissarlo mentre attende che l'altro si prepari a dovere per simulare un combattimento, che nel frattempo si priva della benda che copre il suo occhio scarlatto e delle vesti di troppo che lo riparassero dal freddo. 

< colpiscimi >

Il suo è un ordine, non una richiesta, glielo si legge negli occhi, si percepisce nella voce.  Il felino appare riluttante a quell'obbligo, ma il suo corpo agisce in fretta, scagliando un potente sinistro nella sua direzione. Aidan lo evita con facilità, piegandosi di lato percependo solo il fantasma del suo colpo, che smuove l'aria accanto alla sua gote, carezzandone semplicemente la pelle. Agisce in fretta poi, alza la mano in direzione del polso altrui ora vulnerabile, compie due veloci passi in avanti posizionandosi dietro la sua figura e tramite un semplice movimento degli arti riesce a chiudergli il braccio dietro la schiena, in una morsa stretta e dolorosa. E' il suo lavoro evitare colpi del genere, come lo è immobilizzare le persone in pratiche ma dolorosissime prese che impediscono ai propri aggressori di compiere un'altra azione. 

Da quella distanza riesce a percepire chiaramente l'odore albino ora. Socchiude gli occhi a quel sentore, la mano stretta verso il polso si ammorbidisce appena. Gli manca. Vorrebbe non esser costretto a fare tutto questo, vorrebbe semplicemente stringerlo a sé infilando le dita tra i suoi morbidi capelli candidi e godersi il calore che emana il suo corpo, venir sommerso da quella strana pace dei sensi che più volte lo ha colpito stando in sua presenza. Una tremenda sensazione mista tra sensi di colpa e terrore dilania ora nel suo stomaco, producendogli ulteriore ansia. Riaprendo gli occhi torna alla realtà dei fatti, ovvero che il russo non è stato in grado di colpirlo, ma anzi si è fatto afferrare con una sola mossa. Questo avrebbe significato game over in caso di reale aggressione. Tenta di spingerlo via rilasciando la presa sul suo polso, andando a ringhiare innervosito .

< troppo lento, di nuovo >

Il felino riprende velocemente l'equilibro facendo perno su un piede e tornare a voltarsi verso di lui, la destra che stringe appena il polso della mancina.  Si sente umiliato, e le parole dello yakuza non fanno altro che peggiorare la situazione.  Si rende presto conto di essere completamente fuori allenamento, eppure non proferisce parola quando dopo aver mollato la presa sul proprio polso lancia un ennesimo pugno nella sua direzione, stavolta il destro. 

Questo riesce ad arrivare a destinazione, non ha un impatto eccessivamente forte, ma il dolore lo percepisce, pungente che raggiunge tutta la parte della guancia sinistra, costringendolo a voltare il viso di lato, immobile ad assimilare per un breve attimo il colpo. Tra di loro il silenzio. L'unico rumore percepibile il vento che dimenava gli alberi impazziti, causando un perpetuo fruscio di foglie. Lo sguardo viene portato di nuovo sull'albino, ricarico d'odio, assetato di sangue ora. Forse stava cercando solamente di creare un motivo per arrivare a quel punto, in modo tale da far desiderare di sua spontanea volontà l'allontanamento altrui. Ma non ci riesce, quegli occhi bicromi lo osservano, anch'essi furiosi, feriti nell'orgoglio e nel profondo, fanno talmente male da farlo incazzare ancora di più. 

Scatta di nuovo, ringhiando furioso all'aria mentre lo afferra nuovamente per il polso, raggirando il suo corpo e stavolta, invece di rinchiuderlo semplicemente nella stessa presa di prima, lo costringe direttamente in terra, facendo passare il piede sulle sue caviglie e farlo cadere rovinosamente accompagnando il suo corpo fino ad incontrare il piastrellato del pavimento. Qui con la mano libera andrebbe a schiacciare il volto altrui contro quest'ultimo, in modo tale da immobilizzare anche il collo, i lunghi capelli bianchi che si spargono sul pavimento, mentre il moro stringe i denti strozzando la rabbia sempre più crescente dentro il petto.  

< lasciami >

Il felino lo minaccia. Digrigna i denti e agita leggermente le gambe in un blando tentativo di ribellione, ma con scarsi risultati. E' schiacciato contro il pavimento, il peso del corpo altrui sopra il suo costato gli impedisce di respirare propriamente, causandogli dei corti ansimi che sbuffa tra i denti stretti, mentre il volto rimane premuto contro il pavimento, incapace ormai di ribellarsi. 

Sono i gemiti di dolore a frenare per un attimo la rabbia altrui, che ben presto si trasforma in rancore, senso di colpa, odio verso se stesso, per aver lasciato che il felino arrivasse fin dov'è arrivato ora insinuandosi nella sua vita, nel suo cuore. E' lui la causa di quell'esatta sofferenza da cui l'aveva avvertito di scappare, quando era ancora in tempo per farlo. La mano contro la nuca altrui va a premere più forte una volta inveito dai dolorosi pensieri creatigli nella mente, per far tornare in lui il senso di dovere che lo ha portato ad agire in questa maniera sin dall'inizio. Il viso si avvicina al volto altrui, per poter ringhiare poi di nuovo, la voce più bassa ora, per via della breve distanza tra i due. 

troppo lento >

I muscoli delle braccia sono completamente tesi per ferire l'unica persona che non avrebbe mai voluto veder soffrire, il respiro è trattenuto in modo tale che il suo odore non lo distraesse più 

ci ho messo un attimo a bloccarti, non ce la farai mai contro di loro >

Già, "loro". Non spiega ulteriormente, lasciando che le sue parole rimangano pragmatiche, ma dentro di lui sa che è esattamente questo il motivo per cui ha voluto testare le sua capacità di difendersi, in caso di un'eventuale aggressione nei suoi confronti, e se il felino fosse rimasto in quelle patetiche condizioni sarebbe stato un gioco da ragazzi prenderlo, rinchiuderlo in una cella e torturarlo fino alla morte. Non avrebbe più assistito ad uno spettacolo come quello della sera precedente, non se in mente avrebbe continuato ad avere la paura che possa succedere a qualcuno a lui caro, lui NON PUO' avere qualcuno di "caro". Dev'essere una spietata macchina da guerra, pronta ad obbedire a qualunque ordine, incapace di sentire dolore, privo di qualsiasi punto debole. 

La presa viene rilasciata, quando ormai stremato non riesce più a sottoporre l'albino a tale trattamento. Nel petto una morsa così potente da fargli sentir dolore persino lungo la gola. Si rialza in piedi, osservando per qualche secondo la figura atterrata del felino, occhi che per un attimo sembrano avere la parvenza di tornare in loro stessi, e mostrare della sofferenza, rancore, mentre in testa cresce sempre di più fino a diventare realtà, la convinzione che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe rivisto l'albino, senza poter neanche dirgli addio, senza poter sentire di nuovo il calore delle sue labbra, la morbidezza dei suoi capelli tra le dita, l'inebriante sapore della sua pelle così candida, così pura.  

< vattene >

Ordina, senza rabbia, solo un grosso miscuglio tra delusione ed amarezza, la voce è roca ora e greve. Compie qualche passo in direzione della grande vetrata che si affaccia alla cucina, la mano che si infila nella tasca destra per estrarne il pacchetto di sigarette, infilarsene una tra le labbra ed accendersela, per poi dire, il tono di nuovo amaro, secco, senza alcun sentimento.  

non venire più qui >

Compie un tiro con la sigaretta, osservando lo scuro riflesso della sua stessa figura contro il vetro lucido della finestra. Una sagoma nera come la pece, così come si sentiva dentro di lui, un involucro di catrame sporco ed inquinato che uccide tutto ciò che tocca, che sia sua intenzione farlo o no.  

se provi a cercarmi ti farò del male >

Parole che quasi gli si bloccano in gola. Dona un ultimo fugace sguardo verso la sua candida figura tramite il riflesso della vetrata, osservandolo per un attimo con occhi celati, ma ricolmi di nuovo di sofferenza e risentimento. Per poi, senza aggiungere nient'altro, e senza aspettare una risposta da parte sua, far scorrere l'anta della finestra ed entrare nella sua abitazione. Perdendosi nel buio della sua stessa casa, fino a quando anche la fiamma della sigaretta, ridotta ad un minuscolo pallino, non fosse più visibile.

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Capitolo 2
*** Addio ***


La pioggia ha completamente invaso la zona, abbattendosi con lieve fragore in tutta la città. Le temperature sono calate, ma perlomeno il vento non sembra essere troppo aggressivo quel pomeriggio. Ha staccato da poco dal lavoro, un massacrante turno serale iniziato alle 2 di notte, e terminato verso le 13 e mezza. Si è fermato per mangiare un boccone al bar, qualcosa che gli fermasse lo stomaco e gli permettesse ovviamente di riattaccarsi alla bottiglia, il quale lo stava aspettando a casa. Si è già dato una man forte nel locale bevendo due o tre (forse quattro?) drink, ignorando gli sguardi degli altri clienti nell'osservare un uomo di tutto rispetto affondare negli alcolici ancor prima dell'orario acconsentito per bere. Poco gli importa. La sensazione di stordimento che portano gli alcolici sono uno dei pochissimi sollievi che riesce a mandarlo avanti. Quello e il sesso con sconosciuti.

Cammina lungo la strada di ritorno verso casa, non ha usato la moto quel giorno, non la usa da una settimana, troppo stordito per mettersi a guidare e lui non vuole correre il rischio. Si protegge il corpo con un grosso ombrello nero che sosta sopra la sua testa. I capelli neri scompigliati incorniciano quel volto pallido, su cui ora sotto gli occhi si sono formate due grosse macchie scure. Sulla mascella c'è ancora qualche lieve traccia del livido causato dal pugno dell'albino, ma il dolore quasi non lo sente più, così come i grossi tagli presenti lungo la superficie del collo, che andavano via via guarendo.

Il suo passo è pesante, la mano libera presente in tasca. Tra le labbra fumante vi è l'ennesima sigaretta mentre gli occhi di un giallo acceso sono semichiusi, rivolti verso il marciapiede di fronte a sé. Si trova ora in una zona limitrofa a casa sua, una strada ove vi fossero un paio di villette a schiera, quindi poco affollate di persone, anzi praticamente deserta. Occasionalmente passa qualche macchina lungo l'asfalto, mentre alcune sono direttamente parcheggiate accanto il marciapiede.

Durante il suo percorso qualcosa sembra impedirgli il regolare corso, una forma candida presente sul marciapiede di fronte a sé, distante ancora qualche metro, ma nel notarlo andrebbe a rallentare. Lo sguardo stanco e leggermente sfocato si sofferma su quello che ben presto riconosce come un comune gatto, uno bello grosso, niente di rilevante per lui. Quel manto candido però gli fa storcere il naso, sta iniziando a detestare questo colore con tutto sé stesso, troppo paragonabile alle numerose apparizioni presenti nella sua testa, indelebili come un tatuaggio segnato sulla pelle. Schiocca la lingua al palato come per richiamarne l'attenzione e scacciarlo via dalla sua strada, invece quest'ultimo sembra totalmente ignorare la sua presenza, rispondendo poco dopo solamente ruotando le orecchie candide nella sua direzione, spostando poi anche il viso, mostrando i suoi occhi bicromi. Uno azzurro come il ghiaccio e l'altro rosso come il fuoco. Si ferma. Improvvisamente, come se letteralmente si bloccasse a quella visione. E' vittima di un evidente sussulto interiore, che lo porta a sgranare immediatamente gli occhi nella sua direzione, e far battere il cuore talmente potente da sentirsi persino da sopra il costato meccanico. Il respiro viene trattenuto per qualche secondo, il diaframma sull'addome infatti non si muove. Le mascelle si serrano strette tra le fauci mentre l'unico rumore percepibile intorno a loro ora è quello dello scrosciare della pioggia tutt'intorno l'umano ed il felino. Questo si stiracchia indisturbato, mentre lui si domanda se mai fosse possibile che si trattasse solamente di un fottuto scherzo del destino voluto da qualche forza maggiore da sopra i cieli il quale si divertisse a tormentarlo, o se davvero si trattasse del fantasma che aleggia nei suoi pensieri e nella sua abitazione tramite i ricordi, sotto forma di animale.

Un miagolio esce dal felino di fronte a sé, non riesce a rivedere niente del russo che conosce fin troppo bene in quella figura animale, se non fosse per i suoi peculiari colori, che lo contraddistinguono da un comune gatto qualsiasi. Socchiude per un attimo gli occhi, lasciando che il rumore della pioggia invada il proprio udito, cercando di rilassarsi appena. Ha ripreso a dormire da pochi giorni, o perlomeno in modo abbastanza decente. Esclusa quella notte di lavoro è riuscito quindi a combattere quel blocco fisico che gli impedisse di dormire e mangiare in modo assolutamente sbagliato, risultando solo all'apparenza comunque leggermente più in forma rispetto i giorni precedenti in cui invece sembrava un vero e proprio zombie. Le notti però sono ancora piene di incubi, incubi che non ha mai avuto il problema di avere, nonostante il suo passato burrascoso. Si sveglia nel cuore della notte ansimante e sgranando gli occhi, i tormenti causati dai sensi di colpa e dai sentimenti negativi non lo lasciavano libero neanche nei sogni. Eppure cerca di convincersi, di illudersi che quella di fronte a sé sia solo una coincidenza. Un fottuto scherzo del destino che ha voluto farlo incontrare con un gatto bicromatico a caso. Prende un grosso sospiro, cercando di rilassare gli addominali contratti, rimuovendo la mano dalla tasca dei pantaloni per afferrare tra le dita le sigarette, e soffiare in avanti uno sbuffo di nicotina prima di riporla tra le labbra. Tenta di fare qualche altro passo in avanti, accorciando le distanze, mentre continua ad osservare il peculiare felino bianco. L'ombrello ora copre anche la sua figura, impedendogli di bagnare ulteriormente il suo folto pelo morbido. Piega le ginocchia in avanti per potersi abbassare fino a toccare il posteriore coi talloni, poggiando il polso della mano libera sulla coscia, osservando in silenzio il gatto. Un'espressione indecifrabile al volto. Non è arrabbiato, non è sereno, non dimostra dolore. Risulterebbe quasi apatico, una maschera inespressiva dietro il quale risulta esserci il vuoto. Allunga la mancina verso di lui, per farsi annusare le dita.

«sei fradicio»

La voce bassa, forse pronunciata con un accenno di calore tipico con cui parlava all'albino, prima di quella maledetta sera che ha portato a separarli. Oltre al familiare calore però si potrebbe percepire anche un accenno di amarezza nel suo tono, quasi non riuscisse a non trasmettere la malinconia che si porta addosso, più impetuosa ora a causa della sua presenza. Continua a volersi illudere, ma dentro di se sa benissimo che si tratta del russo, le coincidenze non esistono. Si domanda quindi se in quella forma il ragazzo riuscisse a comprendere le sue parole, se in generale i kemo tendono ad avere una mente propria quando sono nella loro forma originale. Non avendo mai avuto a che fare con un episodio del genere le sue rimarranno comunque solo delle lacune, e le parole emesse saranno solo i rantoli di un uomo stanco e decisamente impazzito, che ora si è addirittura messo a parlare coi gatti per strada. Uno scenario piuttosto patetico, per questo è grato che non ci sia nessuno lì intorno.

Le orecchie dell'animale scattano al suono della sua voce, la testa che rialza lo sguardo ed il muso che lascia sfuggire un nuovo miagolio, più basso, mentre inclina leggermente il capo verso destra come se non stesse capendo le sue parole, che invece capisce più che bene. Con il musetto andrebbe a dare un colpetto alla sua mano, per poi tentare di portarla sul proprio capo e farsi accarezzare.

Non comprende i gesti del gatto, o perlomeno li recepisce come movimenti totalmente istintivi, mossi dalla mente animale di quello che ai suoi occhi è solo un semplice animale, non più l'albino che ha stretto a sé ormai numerosissime volte, l'unica persona ad aver varcato soglie all'interno della sua personalità che non aveva neanche idea che potessero esistere. L'unico a renderlo un patetico smidollato così vulnerabile al suo tocco e alla sua figura, a tal punto da aver ceduto ora ed essersi avvicinato a quella sua peculiare forma.

Il felino ora si strofina con il muso lungo il proprio indice, richiedendo di venir carezzato, ovviamente non si sorprende di quel gesto, conosce la vanitosa e viziata caratterizzazione di quel tipo di animali, per questo non si fa problemi a ricambiare, rivoltando la mano per poter passare con il palmo lungo il collo fino a metà schiena, percependo quel manto così soffice anche se bagnaticcio che per poco non gli scioglie dentro il petto quel suo ormai raggrinzito cuore minuscolo. Compie un'altra carezza ora, per poi dirigersi con l'indice prima verso sotto il mento altrui, grattandone leggermente la superficie, per poi rialzarsi verso il capo e soffermarsi alle orecchie, sfregare indice e pollice contro la punta morbida sentendo quello che già ben conosce e ha avuto piacere di toccare in passato, finendo col grattargli anche dietro l'orecchio sinistro, i suoi movimenti sono un po' rudi, ma il tocco che gli riserva è delicato, cauto. Quell'ultimo contatto con l'orecchio è esattamente tutto ciò che di negativo potesse mai ricevere in un momento come questo. L'espressione muta in una leggera smorfia di dolore, mentre allontana inavvertitamente la mano dal suo muso, lasciandola a mezz'aria, pronunciando con voce spezzata, colma di risentimento.

«non posso...»

Traducendogli ora verbalmente quello che non è stato in grado di dire quella sera, in modo caldo, visibilmente sofferente, tutto il contrario invece della dura e pungente voce con cui gli ha imposto di andar via, dopo averlo atterrato con una semplice mossa di combattimento. Gli occhi vengono richiusi di nuovo, a trattenere quello che sembrava un impetuoso spasmo di agonia più forte dei precedenti, che attacca in un attimo la bocca dello stomaco ed il cuore. Si rialza in piedi, sforzando i muscoli delle cosce facendo leva su di essi per potersi raddrizzare in piedi.

«vattene»

Minaccia, tradito dal suo stesso tono, per niente aggressivo. Gli manca. Non avrà mai il coraggio di dirlo ad anima viva, non avrà mai la forza necessaria per poter abbandonare completamente il ricordo di lui, continuerà a vivere così, tormentato e devastato, ricercando sollievo in vizi che l'avrebbero portato al collasso.

Il felino si alza in piedi, si strofina tra le sue gambe e lui non sa che questo è il suo modo di salutarlo, pensa stia solo facendo cose da gatto, che quel suo minuscolo cervellino animale gli spinge istintivamente a fare. Fa male, molto, la (sbagliata) consapevolezza di star parlando con un semplice animale, che non capisce nulla di quello che gli si viene detto. Lo sguardo si abbassa per un attimo, socchiudendo di nuovo gli occhi e restando in silenzio. Una mano viene portata poi sulle labbra per tirare un respiro di nicotina e soffiarlo allontanando quest'ultima dalle labbra. Nel frattempo il felino si è posto dietro di sé, non si volta a guardarlo, quegli occhi così terribilmente sbagliati ad essere di colore completamente opposto lo avrebbero penetrato a fondo, risalendo da sotto la sua pelle fino ad insinuarsi nei capillari e vene, trasformando il suo stesso sangue che scorre in un ammontare di liquido nero come la pece, marcio e senza vita.

Questo è il suo personale addio, quello che non gli ha potuto dare quella sera, osservando quel volto e quei lunghi capelli scagliati in terra contro il pavimento. E' sempre stato un tipo forte, spesso e volentieri gli piace vantarsi di quanto "niente e nulla avrebbe potuto mai ucciderlo", invece ora non si è mai sentito più debole di così. La mano riporta la sigaretta quasi consumata tra le labbra mentre si avvicina poi ai suoi occhi, per sfregarne le palpebre chiuse sotto i polpastrelli dell'indice ed il pollice, massaggiandosi gli occhi stanchi e sofferenti, ricoperti ora di uno strato sottile più liquido del solito, che si infiltra tra le invenature della pelle presente sulle dita, causandone un leggero inumidimento. Il passo riprende il suo corso, le gambe, come il resto del corpo, totalmente riluttanti a muoversi, preferendo invece agire nella parte opposta. Cammina, passi pesanti che riecheggiano sul cemento tra lo scrosciare della pioggia, lasciandosi alle spalle non solo il felino, ma ogni sua qualsiasi forza di poter andare avanti e sopravvivere dopo quest'incontro.

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