Lo strano caso del testamento di papà

di Clairy93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le Coccinelle ***
Capitolo 2: *** Qualcosa di cui (s)parlare ***
Capitolo 3: *** Galeotto fu lo sciopero ***
Capitolo 4: *** I distributori di merendine non mentono mai ***
Capitolo 5: *** Brasiliani in boxer ***
Capitolo 6: *** Un pigiama party molto improvvisato ***
Capitolo 7: *** Una pasta alla carbonara molto sospetta ***
Capitolo 8: *** Cespugli di rose ***
Capitolo 9: *** Non tirare in ballo il polpettone ***
Capitolo 10: *** Manicomio 2.0 ***
Capitolo 11: *** Madri folli ai concorsi di bellezza ***
Capitolo 12: *** Quattro minuti e cinquantaquattro secondi ***
Capitolo 13: *** Scenate d’isteria tra patate arrosto e mele marcie ***
Capitolo 14: *** Pronta a giocare con il fuoco, deary? ***
Capitolo 15: *** I propizi consigli di Maestro Gufo ***
Capitolo 16: *** Fare sport fa bene (forse) ***
Capitolo 17: *** Contraddire la Carabiniera a proprio rischio e pericolo ***
Capitolo 18: *** Mai giudicare un padre dalla copertina ***



Capitolo 1
*** Le Coccinelle ***


   
 
Le Coccinelle


 
Come ogni mercoledì pomeriggio, le Coccinelle della terza classe elementare si dedicano alle due ore settimanali di disegno.
Chini sui tavoli, provvisti di matite e pennarelli colorati, i giovani alunni danno libero sfogo alla loro fervida creatività.  
Il tema di oggi è la famiglia.
Ed è abbastanza ironico, considerato che la mia situazione personale è giusto un tantino complicata.
Non ho mai avuto quella che si potrebbe definire una “normale” vita famigliare e non saprei se ciò ha rappresentato per me una mancanza o, piuttosto, un’opportunità.
Ciò di cui sono convinta è che se mai mi dessero un compito simile a quello che io oggi ho assegnato ai miei allievi, molto facilmente consegnerei il foglio in bianco...
“Coccinelle, il tempo è finito!” esclamo, battendo le mani “Giù i pennarelli e riponeteli negli astucci!”
Si eleva un leggero fruscio di carta, ravvivato dal brusio dei bambini che allungano lo sguardo sul disegno del vicino, curiosi di poter confrontarlo con il proprio.
“Chi ha voglia di venire alla cattedra per mostrare il proprio lavoro e raccontarlo ai compagni?”
La mia domanda scatena un’ondata di manine esitanti, in attesa di essere chiamate. Adoro riscontrare tale entusiasmo nei miei piccoli alunni, tuttavia è altrettanto difficile scegliere e non fare un torto agli altri.
Proprio mentre osservo i loro visini eccitati, mi accorgo che anche la timida Alice ha alzato la mano.
Alice è estremamente riservata e solitaria. E’ quel genere di bambina che durante la ricreazione, invece di giocare in cortile con qualche amichetto, si isola in un angolo a sfogliare un libro.
In parte penso dipenda dal fatto che è l’ultima arrivata delle Coccinelle. Si è trasferita da poco più di un mese e, per la sua giovanissima età, un cambiamento così brusco come l’abbandono della propria casa, dei conoscenti e della vecchia scuola deve esserle parso alquanto traumatico.
Ecco perché mi sorprende questa sua inaspettata partecipazione, per cui colgo subito l’occasione per chiamarla e offrirle la possibilità di esprimersi di fronte ai compagni.
La timida Alice, spronata da alcune delle ragazzine, mi raggiunge con il suo disegno stretto al petto, trascinando gli stivaletti sul pavimento.
“Posso vederlo?” le chiedo, tendendo piano la mano.
Lei annuisce flebilmente prima di porgermelo. Poi, inizia a stuzzicarsi il labbro inferiore, in attesa di un mio giudizio.
Resto senza parole di fronte all’innegabile talento della piccola.
Per un bambino di sette anni prospettiva e profondità sono accorgimenti ancora al di fuori della loro cognizione. Tuttavia, questo discorso non vale per Alice: ha realizzato una casetta in tre dimensioni e ricchissima di dettagli e colori. Inginocchiata su un bel prato verde, si trova una figura che di primo acchito si direbbe l’autoritratto della mia alunna, in compagnia di un cagnolino nero con un collare rosso. La mamma, una signora dalla lunga chioma bionda, si trova poco lontano e tiene per mano il marito, molto elegante nel suo completo grigio e provvisto di una ventiquattrore.
“Tesoro, ma è bellissimo!”
Le sposto una ciocca dagli occhi e, con gioia, scorgo un sorriso sereno spuntarle sulle labbra.
Nell’attimo in cui presento alla classe il disegno di Alice, un coro meravigliato si alza all’unisono, ammirato dal lavoro così dettagliato della loro giovane collega.
“Alice, per te cos’è la famiglia in una parola? le domando.
La piccola ci riflette su, mentre si attorciglia le dita per l’agitazione.
“Non sentirsi soli.” risponde in un appena udibile mormorio.
“Ma è più di una parola!” fa notare immancabilmente Giacomo, il saputello della classe.
“Non ha importanza. E’ molto bello quello che hai detto, Alice.” la rassicuro, ma intuisco che questa situazione sia per la dolce biondina fonte di grande ansia. Così la esorto a tornare al suo posto, rinnovandole i miei complimenti.
Alice schizza rapida al suo banco e mi rallegra intravedere, assieme al lieve rossore delle guance, il sottile curvarsi delle sue labbra in un sorriso soddisfatto.
“Maestra Nadia! Com’è la tua famiglia?” sento domandare dalle file retrostanti.
“La mia… famiglia?” ripeto, in imbarazzo “Beh, siamo un po’… strambi. Anzi, lo siamo eccome! Però non ho molte occasioni per vederli.”
“Non vivi con la mamma e il papà?” esclama una sconcertata Sofia, come fosse la cosa più naturale del mondo.
“No. Mia madre abita in campagna. Il mio papà, purtroppo, non c’è più.”
Le mie Coccinelle si abbandonano ad un gemito sconsolato.
“Maestra Nadia!”
Una folta chioma di ricci attira la mia attenzione.
“Dimmi, Carlotta.”
“I miei nonni mi hanno raccontato che quando una persona sale in cielo, non se ne va per sempre. Una parte rimane qui.”
E con il minuto indice, preme sul lato sinistro del suo petto.
“Anche mia nonna me l’ha detto!” aggiunge Mark, il bambino peruviano “Si trasformano in angeli. E, anche se non li vediamo, loro ci vengono a trovare. Così ti ricordano che sono sempre vicino a te.”
Essendo un argomento assai delicato e sul quale i miei studenti, da quanto mi è parso di capire, sono chiaramente più ferrati di me, ammetto di sentirmi sollevata non appena odo il gracchiante suono della campanella.
Incito i miei alunni a preparare con attenzione gli zaini e lasciare sulla cattedra, prima di uscire dalla classe, i loro disegni.
“Bambini non correte!” raccomando, percependo i loro allegri schiamazzi dal corridoio.
L’aula si svuota in un lampo; e anch’io allo stesso modo.
Sono questi i momenti in cui comprendo quanto quei ragazzini riempiano la mia esistenza.
Ogni giorno sembra una replica del precedente: le lezioni giungono al loro termine, gli studenti tornano a casa ed io rimango qui, in questa stanzetta deserta, da sola. E, nel frattempo, tutte le preoccupazioni che ero riuscita a tenere alla larga durante il corso della mattinata tornano a farmi visita.
Beh, sfogliare le creazioni dei miei alunni è un’ottima distrazione, non c’è che dire!
E’ semplicemente meraviglioso il modo in cui riproducono sulla carta il regno della loro immaginazione: omini stilizzati con immensi sorrisi e ciglia lunghissime, casette accoglienti dalle forme squadrate e colorati paesaggi su cui campeggia un immancabile sole gioioso.
Amo la magia con cui i bambini si emozionano per gli aspetti più comuni. Ma, ancor di più, amo l’incanto di potermi abbandonare, con un pizzico di nostalgia, alla loro preziosa inconsapevolezza.
Le Coccinelle addolciscono il mio animo, indurito dalla vita, dalle delusioni, dalle perdite…
Un vivace bussare impedisce ai miei pensieri di risucchiarmi nel loro vortice.
E’ Serena, l’insegnante di educazione fisica, nonché la mia migliore amica.
“Cosa fai qui tutta sola?”
Si appoggia allo stipite e, preso un elastico dalla sua enorme borsa, raccoglie i capelli in un alto chignonne dal quale sfila, come da sua abitudine, qualche ciocca in prossimità delle orecchie.
“Niente, stavo sistemando alcune cose per domani.” mento.
“Io sto per andare via. Ti do un passaggio.”
“Non ce n’è bisogno, grazie. Faccio volentieri due passi.”
Serena strabuzza gli occhi.
“Nadia, sveglia! Ma se sta diluviando!”
Mi volto e, solamente in quell’istante, mi accorgo del cielo plumbeo sopra le nostre teste e della pioggia che batte frenetica sui vetri.
“Strano, questa mattina c’era il sole…” mormoro, proprio quando una violenta raffica di vento fa traballare i serramenti.
“Dai, ti accompagno a casa! Se hai bisogno di qualche minuto, ti aspetto.”
“No, ho finito. Andiamo.”
Afferro il cappotto, ma non prima di aver riposto con cura i disegni nel mio cassetto, per custodirli come un tesoro prezioso.


“Si può sapere che ti prende?” mi chiede Serena, tutto d’un tratto.
Allo scattare dell’arancione accelera bruscamente, tanto da imboccare la curva con eccessiva velocità.
“A cosa ti riferisci?” chiedo, ritrovandomi schiacciata sulla portiera.
“Sei pensierosa. E’ vero che non sei mai di grandi parole ma, bella mia, da quando siamo entrate in macchina non hai spiccicato parola!”
Distolgo lo sguardo, colpevole.
“In classe abbiamo parlato della famiglia.” dico in un sussurro, seguendo le gocce di pioggia rincorrersi sul finestrino.
“Oh, ora è tutto chiaro! Il tuo tallone d’Achille, insomma.”
Aggrotto le sopracciglia.
“Cosa intendi dire?”
“Tu non racconti mai niente della tua famiglia.” osserva lei, schietta “Se non fosse stato per quei due giorni di assenza per il funerale di tuo padre, direi che sei un’orfana dalla nascita!”
Un brivido fastidioso mi attraversa la schiena ed istintivamente mi stringo nelle spalle.
“Lo sai, non amo parlare di me.”
Serena inchioda al semaforo e, grazie alla santa cintura, evito di ritrovarmi scaraventata oltre il parabrezza.
“Senti, io capisco che tu abbia una famiglia incasinata…”
“E’ un eufemismo.” la correggo.
“Va bene, molto incasinata!” rettifica, roteando gli occhi “Ma chi non ce l’ha? C’è qualcosa di cui non vuoi parlarmi: non so se è per riserbo o perché ti fa male ripensarci, però non puoi negarlo.”
Le faccio cenno di porre attenzione al traffico proprio quando veniamo ammonite, 
con una potente suonata di clacson, dall’autista dietro di noi.
Evito di riportare l’imprecazione poco carina della mia amica.
“Forse la morte di mio padre mi ha destabilizzato più di quanto mi aspettassi.” ammetto, infine, abbandonami allo schienale e contemplando distratta la frenetica oscillazione dei tergicristalli.
“Nadia, ma è normale! Dovresti parlarne! Se non ti va di condividere il tuo stato d’animo con me, prova almeno a cercare qualcuno nella tua stessa situazione.” dopo una breve pausa, Serena sobbalza entusiasta “Tua sorella, ad esempio!”
“Sorellastra.”
“E’ lo stesso! Dopotutto condividevate lo stesso padre.”
Arriccio il naso.
“Non la sento da anni. E dubito che abbia voglia di fare una chiacchierata con me…”
Serena sposta una mano dal volante per stringere la mia con affetto.
“Tesoro, tu mi conosci. Sono sempre stata onesta, a volte fin troppo! Ma sei la mia migliore amica e a te ci tengo. Devi trovare un modo per distrarti. Lo vedo che ci stai male…”
“Ora vorrei soltanto avvolgermi nel piumone e ingozzarmi di marshmallow!”
“Inzuppati nella cioccolata! Che buoni!”
Scoppiamo in una fragorosa risata.
Appena adocchio la mia casa, attraverso il finestrino appannato, tiro un sospiro di sollievo.
“Ne parleremo un’altra volta, Nadia.” intima Serena.
Tuttavia, fingo di non sentirla. Sono troppo presa dall’aprire l’ombrello, che quasi mi sfugge di mano per il vento forte, e contemporaneamente dal cercare di scavalcare la torbida pozzanghera sotto i miei piedi.
Attraversata di corsa la strada, acciuffo alla velocità della luce le lettere nella cassetta e mi fiondo nel mio piccolo appartamento.
Getto con noncuranza la borsa e il giubbotto fradicio sul tavolo, accendo l’abat-jour vicino alla vecchia televisione, per poi abbandonarmi, sfinita, sul divano.
Arraffo un marshmallow dalla ciotola alla mia destra e, addentandolo con voracità, do una rapida occhiata alla posta che ho ritirato.
Tra la bolletta del gas e le consuete pubblicità della pizzeria d’asporto all’angolo della strada, una busta attira la mia attenzione.
Il suo tenue color ocra fa risaltare l’elegante grafia con cui è stato scritto il mio nome e l’indirizzo.
Ma è quando leggo il mittente che il mio cuore smette di battere per un attimo.

Residenza Montalto della Leonessa
 
D’impulso spingo sul divano la busta.
Solo nel momento in cui mi rendo conto di quanto sia assurdo sperare che possa magicamente volatilizzarsi, la afferro con due dita, neanche fosse una bomba chimica, la strappo e, tremante, ne estraggo la lettera.
Su un foglio di carta finemente filigranato si staglia questo breve messaggio:

La famiglia è cordialmente invitata alla residenza
per la lettura delle ultime volontà testamentarie
dell’emerito Marchese Libero Montalto della Leonessa.

I miei alunni avevano ragione. In un modo o nell’alto, anche i morti tornano a farti visita.



Angolino dell'Autrice: Benvenuti (o ben ritrovati) miei croccanti spiedini di gamberi!
Inizio questa nuova avventura con un po' di timore ma anche con tanta voglia di mettermi alla prova. Il vostro sostegno è la forza che mi incita a proseguire e spero tanto di ricevere un vostro prezioso riscontro.
Ne approfitto per augurarvi un felice e pazzesco 2016, confidando sia per voi un anno di grandi opportunità ed entusiasmanti progetti.
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy.


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Capitolo 2
*** Qualcosa di cui (s)parlare ***



Qualcosa di cui (s)parlare  
 


Vi devo delle spiegazioni.
Innanzitutto lasciate che mi presenti.
Mi chiamo Nadia, mi sto (miseramente) avvicinando ai trent’anni, sono un’insegnante e appartengo alla casata dei Montalto della Leonessa.
Avete ragione, è probabile che questo nome non vi dica niente.
Eppure i Montalto della Leonessa sono stati, fino al secolo scorso, una delle più importanti dinastie nobiliari della Toscana.
Oggi è rimasta solo l’effimera memoria che il titolo suggerisce, qualche proprietà nella provincia e, come qualsiasi famiglia di questo calibro che si rispetti, avvincenti e misteriose leggende di illustri antenati ed inestimabili tesori sepolti chissà dove.
Questa potrebbe essere la causa per cui non ci avete mai sentito nominare. Tuttavia i Marchesi Montalto della Leonessa hanno governato incontrastati su una piccola ma florida regione, la Contea della Leonessa per l’appunto, per quelli che sono stati lunghi e fortunati decenni.
E vi assicuro che, se mai aveste l’opportunità di recarvi in questa zona, vi basterà domandare ad un qualsiasi locale per essere trattenuti infinite ore ad ascoltare le alte gesta degli amati sovrani. Per non parlare di come quasi ogni abitante potrà vantare la presenza, nel proprio albero genealogico, di un avo che sia stato al servizio della famiglia, in veste di soldato, inserviente o addirittura pretendente di una delle incantevoli (o almeno così si racconta) figlie del Marchese.
Non fatevi strane idee, è decisamente meno eccitante di quanto sembri.
Discendere da una casata nobiliare, seppur decaduta, comporta rispettare estenuanti cerimoniali, partecipare ai più noiosi eventi mondani e, soprattutto, fare i conti ogni, singolo giorno con certe problematiche che finiscono per consumarti.
Devo ammetterlo: io e mio fratello gemello Jacopo abbiamo trascorso un’infanzia serena ed agiata. Siamo sempre stati accontentati nelle nostre richieste, assecondati nei nostri capricci, abbiamo vissuto esperienze così avvincenti da suscitare la comprensibile invidia dei nostri coetanei. Abbiamo frequentato le scuole più esclusive, siamo stati istruiti dai professori più competenti. Insomma, non ci hanno mai fatto mancare nulla. Questo, però, implicava che i familiari riponessero fin troppe aspettative su di noi.
Ecco spiegato il motivo per cui, una volta raggiunti i miei sospirati diciotto anni, abbandonai quel mondo sfavillante per trasferirmi nell’anonimato della città. Un episodio che scatenò l’immane disappunto di mia madre e, principalmente, di nonna Lavinia, che lo considerò un affronto pari al più meschino tradimento.
Ma non mi sono mai pentita dalla mia scelta.
Nonostante la nostra residenza fosse animata, dalla mattina alla sera, da un frenetico via vai di uomini, donne e domestici, non avevo molti punti di riferimento.
Mia madre è sempre stata una donna debole, cagionevole e terribilmente lunatica. Non hai mai sviluppato quello che si definisce uno “spirito materno”. Inoltre, l’incessante presenza di mia nonna paterna non ha fatto altro che accrescere il suo complesso d’inferiorità e indurla, il più delle volte, a sprofondare in una depressione tale da dimenticare di avere ben due figli a cui badare.
Poi, c’era mio padre, l’illustre Marchese Libero Montalto della Leonessa. I ricordi più belli che possiedo della mia giovinezza sono in sua compagnia.
Lui, per me, era un eroe. Il mio eroe.
Ricordo così chiaramente i minuti trascorsi a contemplare la cura meticolosa con cui si aggiustava i baffi davanti allo specchio, i pomeriggi uggiosi durante i quali mi sdraiavo sulla sua pancia generosa e guardavamo per l’ennesima volta Mary Poppins alla televisione, oppure le gare a chi raccoglieva più sassi in riva al lago e quei suoi bizzarri stratagemmi per farmi vincere.
A volte mi stupisce quanto siano ancora vivide queste memorie. I colori, i suoni, i profumi: riesco ad avvertire tutto con estrema semplicità. Di tanto in tanto percepisco anche lei, quella terrificante ed opprimente sensazione che mi coglieva nei momenti in cui mio padre non era al mio fianco, un’eventualità che, con il passare degli anni, accadeva di frequente.
A causa del suo lavoro lo vedevo sempre più raramente. Papà era dirigente in un’impresa: ogni responsabilità gravava sulle sue spalle e doveva presiedere a continue riunioni.
E’ il mio lavoro, piccola. - diceva, facendomi accomodare sulle sue ginocchia - Se vuoi che papà ti compri quelle belle bambole che ti piacciono tanto, devo darmi da fare.
Non capiva. E, in fin dei conti, forse non voleva.
La sua azienda sarebbe comunque venuta prima di tutto, perfino della sua stessa famiglia.
Credo che la nostra bella dimora non fosse più casa per mio padre.
Se oggi ripenso alla mia infanzia, tra l’isteria di mia madre e l’indole al comando della nonna Lavinia, la quale era ormai in pianta stabile presso di noi, non mi meraviglia che mio padre comparisse solo la sera tardi, quando dalla finestra della mia cameretta distinguevo i fari della sua auto squarciare il buio e la sua sagoma in controluce rientrare quatta, quatta dall’ingresso secondario.
Non fu una sorpresa, perciò, quando scoprimmo che aveva un’altra donna.
Papà la presentò pubblicamente come sua amante e, da lì a poco, la loro unione fu sugellata dalla nascita di Micaela, la loro prima e, fortunatamente, anche unica figlia.
Quell’annuncio mi spezzò il cuore. Io, tuttavia, non dissi mai niente. Non mi arrabbiai né diedi di matto, non versai neppure una lacrima.
Mio padre restava il mio eroe. E gli eroi, in un modo o nell’altro, ritornano sempre.
Poi, però, si cresce. Cominci ad instaurare con la vita una relazione più aggressiva e sofferta ed è lì che comprendi quanto i tuoi sogni di bambina siano stati dolci e fragili illusioni. Allora ti rendi conto che il tuo eroe non avrebbe più fatto ritorno. Perché gli eroi, cara Nadia, non esistono.
All’allontanamento di mio padre non conseguì un miglioramento nei rapporti con il resto della famiglia, sulla quale non ho mai potuto veramente contare. Ci incontravamo spesso in occasione delle ampollose e indescrivibilmente imbarazzanti cene famigliari, ma i miei tre zii sono sempre stati anni luce lontani da me, ad eccezione forse della più giovane sorella di mio padre, zia Amelia.
Nemmeno mio fratello Jacopo fu per me di grande conforto. L’eccessivo controllo e il costante monito alla disciplina che i parenti non rinunciavano mai a rimproverargli, in quanto futuro erede dell’azienda di nostro padre, lo avevano indotto a maturare un animo ribelle fino all’inverosimile.
Era alquanto ovvio che, raggiunta la maggiore età, fuggissimo entrambi da quella casa.
Con Jacopo ci sentiamo ogni tanto. Sembra stare bene, da quanto ne so conduce la “bella vita”: locali alla moda, biondissime modelle, macchine costose.
Io, viceversa, ho puntato su un profilo più sobrio. Mi sono trasferita in città, ho svolto qualche lavoretto per pagarmi gli studi e l’affitto e sono diventata maestra.
Mi sono resa indipendente, con la speranza di non dover più avere niente a che fare con la mia famiglia.
Invece, due settimane fa, ho ricevuto una chiamata da Alfredo, il nostro anziano maggiordomo, nonché una delle persone più buone ed umili che io abbia mai conosciuto. E’ sempre stato molto premuroso nei miei confronti e, come mi ha riferito al telefono, ci teneva a darmi personalmente la notizia: papà era morto.

 

Angolino dell'Autrice: Ciao miei dolci cubetti di mela immersi nel cioccolato fuso!
Ho deciso di dividere in due parti questo capitolo, pensavo fosse un po' troppo lungo. Quindi, aspettatevi un aggiornamento anticipato!
Su questa storia di dubbi ne ho molti, ma il supporto che mi avete dimostrato già nel primo capitolo mi ha infuso un'energia incredibile e vi ringrazio di cuore. Spero di regalarvi cinque minuti di svago e vi auguro una serena settimana!
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy

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Capitolo 3
*** Galeotto fu lo sciopero ***


 
Galeotto fu lo sciopero



Il giorno seguente alla notizia dell’improvvisa scomparsa di mio padre, sono salita sul primo treno, provvista di un malinconico abito nero per la cerimonia e con l’irrevocabile intenzione di ripartire appena il funerale fosse finito.
E’ stata, tanto per rimanere nello stile sobrio dei Montalto della Leonessa, una solenne funzione in pompa magna; se non mi fossi presentata, nessuno avrebbe notato la mia assenza.
Le possenti mura della cattedrale hanno ospitato l’intera Contea di Montalto, mentre un coro di voci angeliche accompagnava l’addolorato saluto di chi ha voluto, per un’ultima volta, porgere omaggio all’amato Marchese Libero.
Mi definireste un’insensibile se dicessi che nonna Lavinia sembrava compiaciuta del richiamo che la morte del figlio aveva suscitato? Era così impegnata a ricevere condoglianze e pensieri di conforto da uomini altolocati e dalle loro mogli, adorne di copricapi appariscenti e di veli in pizzo per nascondere il viso, da non accorgersi del cadaverico pallore della mamma.
E’ peggiorata. La sua mente pareva spenta, lo sguardo perso in chissà quali deliranti castelli immaginari, era come se mia madre non riuscisse a rendersi conto di cosa stesse accadendo attorno a lei. Dovrebbero essere gli effetti delle dosi maggiori di medicinali prescritte dal suo psichiatra, o almeno queste sono state le parole di Alfredo, il nostro maggiordomo.
Insomma, a questo punto è comprensibile il motivo per cui io non faccia i salti di gioia all’eventualità di tornare a casa per la lettura del testamento di papà. Assistere ad una lotta spietata tra i parenti, in attesa di scoprire il fortunato vincitore che si accaparrerà il diritto di mettere le mani sull’eredità, non era esattamente tra i programmi per il mio fine settimana.
Ma, in fin dei conti, stiamo parlando di mio padre ed io sono la primogenita. Mancare ad un avvenimento tanto importante significherebbe attirare su di me l’ira funesta della famiglia Montalto e, lo ammetto, questa possibilità non mi fa stare tranquilla.
Afferro il cellulare dalla tasca dei jeans e cerco in rubrica il numero di telefono della signora Longari, la preside della scuola. Squilla a vuoto per quasi un minuto ma, nell’istante in cui sto per interrompere la chiamata, il mio timpano viene stordito da un assordante “Prooonto?!”.
“Preside! Sono Nadia Montalto. Mi spiace disturbarla…”
“Nadia! Ma si figuri, nessun disturbo! Sto giusto uscendo da una riunione condominiale a dir poco allucinante. Ma lei ha idea di quanto possano essere fastidiosi i propri vicini?”
Scoppio in una risata spaventosamente forzata.
“La chiamo per avvisarla che domani non riuscirò a venire a lezione.”
Alla signora Longari sfugge un’esclamazione dispiaciuta.
“Non si sente bene per caso?”
“No, no…” indugio “E’ solo un…imprevisto. Devo assentarmi per un paio di giorni. Domani mattina prenderò il primo treno disponibile ed entro il week-end dovrei essere di ritorno.”
“Ma, signorina Nadia, per domani è stato indetto uno sciopero dei treni! E’ davvero sicura di voler tentare la sorte?”
Accidenti, lo sciopero!
E adesso come faccio a raggiungere la Contea di Montalto se, l’unico mezzo di cui posso usufruire, ha deciso di abbandonarmi proprio nel momento del bisogno?
Le sperdute ed isolate colline della Contea non sono incluse nei tragitti degli autobus, e certo non posso permettermi di pagare un viaggio in taxi. Andare in auto sarebbe perfetto, se magari ne possedessi una…
A meno che
No.
No, no, no!
Micaela proprio no!
E’ fuori discussione che io chieda un favore alla mia sorellastra!
E’ da un’eternità che non la sento. D'accordo, ci siamo viste al funerale di papà, ma ci saremo scambiate sì e no una decina di parole!
Nonostante qualche gene in comune, siamo le due persone più diverse sulla faccia della terra. Inoltre, non abbiamo mai avuto tante occasioni per legare poiché nostro padre ha sempre tenuto separate le sue due vite sentimentali.
Per quanto pure l’idea di compiere il viaggio zaino in spalla appaia una soluzione più allettante, so che sarebbe sciocco non domandare a Micaela un passaggio, o quantomeno provarci.
E, date le circostanze, non è che io abbia molta altra scelta!
Dopotutto anche lei avrà ricevuto, come me, la lettera d’invito alla residenza dei Montalto e, se non si è trasferita di recente, il suo appartamento si trova a pochi chilometri da qui.
“Ma certo, lo sciopero! Grazie per avermelo ricordato, Preside.” proseguo, riaffiorando dal mio intricato viluppo di pensieri “Vedrò di organizzarmi in altro modo. Ci tenevo ad avvisarla per tempo, così da provvedere alla supplenza delle mie Coccinelle.”
“Non si preoccupi, Nadia. Ha fatto bene ad avvertirmi. E le auguro di risolvere presto il suo… imprevisto!”

Mi creda, me lo auguro anch’io.



Angolino dell'Autrice: Ciao mie piccole fettine di ananas alla piastra con miele e cannella!
Come state? Pronti per una nuova settimana? 
La nostra protagonista ha preso una decisione importante, ma riuscirà a superare il timore di affrontare la sorellastra?
Spero di avervi accanto per scoprirlo insieme. Vi ringrazio tantissimo per essere sempre con me e offrirmi tanto affetto e sostegno. Siete semplicemente meravigliosi!
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy

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Capitolo 4
*** I distributori di merendine non mentono mai ***


 
I distributori di merendine non mentono mai
 
 


Piove.
Tanto per cambiare.
La notte, come una vicina fastidiosa che non vuole proprio andarsene, ancora tutto avvolge nel suo abbraccio soporifero, ma dovrà togliere presto il disturbo perché all’orizzonte si cominciano ad intravedere i timidi colori dell’alba.
E, per la cronaca, fa un freddo polare!
Insisto nello strofinare le gambe l’una con l’altra, in un’estenuante lotta contro le ondate di brividi che mi pervadono ad una frequenza ingiusta.
Inoltre, guardare le scomposte chiome degli alberi piegarsi pericolosamente al passare del vento, mi invoglia ad affondare il viso nel mio soffice scaldacollo.
Mi trovo alla stazione, in attesa dell’arrivo del mio pullman, in compagnia del mio fedele trolley verde pistacchio.
Alla fine mi sono decisa: andrò da mia sorella Micaela.
Sfilo dalla tasca del cappotto il biglietto e lo rigiro tra le mie dita arrossate.
Poi levo il capo, osservando oltre il vetro dell’ampia portafinestra.
Santo cielo, ma da quanto qualcuno non gli dà una pulita?!
Tralasciando le inquietanti macchie di sporco che, per quanto ne so, potrebbero anche trovarsi lì da prima della mia nascita, distinguo le imponenti sagome degli autobus parcheggiati. I loro fari squarciano l’oscurità, rivelando il profilo di un gruppo di autisti e di nuvole di fumo (non capisco se di sigaretta o di condensa per il freddo) uscire dalle loro labbra, per poi dissolversi nel buio.
Avverto un dito picchiettare sulla mia spalla e, improvvisamente, i miei occhi vengono folgorati da una visione celestiale: caffè.
Il suo aroma caldo ed avvolgente, lievemente amaro, s’insinua con inconfondibile dolcezza nelle mie narici, scuotendomi dal mio torpore.
“Scusa, ma c’era una coda!” racconta una stralunata Serena “Dovrebbero proibire agli stagisti di fare pratica quando si ha più necessità di ingerire caffeina, tipo alle 6 di mattina!”
Mentre con una mano mi porge la bevanda fumante, dall’altra lascia scivolare sul mio palmo l’euro che le avevo dato per pagare il caffè.
La fulmino.
“E dai Nadia, per un caffè!” esclama lei “Consideralo il mio regalo per il viaggio, no?”
Servirebbe discuterne?
No, ovviamente. Non quando si tratta di quella testa dura della mia migliore amica.
Alzo in aria il bicchiere fino a che non sfiora in un lieve sussulto il termos di Serena, colmo di uno dei suoi fantomatici centrifugati energetici di cui ignoro (fortunatamente) gli ingredienti.
Serena ci teneva ad essere presente al momento della mia partenza.
Non volevo che facesse questa levataccia, ma lei non ha sentito ragioni!
E alle 5 in punto era sotto casa mia.
Non appena le ho domandato, una volta salita nella sua macchina, se si fosse pentita, Serena mi ha risposto: - Vorrei ricordarti, mia cara Nadia, che io sono un’insegnante di educazione fisica. Per me è di routine alzarmi all’alba per andare a correre! -
Ecco, le sue occhiaie sembravano dire tutt’altro, ma ho preferito non farglielo notare. In fondo, le sono davvero grata per avermi accompagnata; e poi la sua vicinanza riduce le probabilità che io impazzisca prima del previsto.
Trangugio un abbondante sorso di caffè bollente. Mi brucia letteralmente la gola, ma va bene così. Mi sento talmente fiacca che ho bisogno di sensazioni forti.
…E’ normale che io abbia l’impressione di non trovarmi veramente qui?
E’ come se fossi sospesa in una sorta di limbo, mentre qualche dispettoso folletto si sta divertendo a tirare i fili al posto mio.
Io, da Micaela, non ci voglio andare. Ebbene, esiste un’anima buona che potrebbe spiegarmi come diavolo abbia fatto questa mattina, nonostante il buio, il freddo e la pioggia battente, ad uscire di casa, arrivare fino alla stazione ed acquistare il biglietto? E, soprattutto, perché invece di continuare a fissare questo maledetto vetro sudicio, non sono già scappata a gambe levate? 
“Sei silenziosa.” mormora Serena, destandomi da quell’accozzaglia di pensieri.
“Mh…Più preoccupata.”
Lei incrocia le braccia al petto, sbuffando con scarsa grazia femminile.
Cavolo! Sto iniziando a parlare come nonna Lavinia.
“Nadia! Non dirmi che ci stai ripensando!”
L’espressione raggelante di Serena mi persuade a riprendere ad osservare la pioggia che, nella sua irritante insistenza, agita le torbide pozzanghere sparse qua e là sull’asfalto.
“Tanto ormai non posso più tirarmi indietro…”
“Su con la vita!” Serena mi cinge le spalle con smodato affetto “Non stai andando ad un funerale!”
Aggrotto perplessa la fronte.
“Ok, forse non è la battuta giusta date le circostanze.” ammette lei, imitando qualche imbarazzato colpo di tosse “Ma hai capito cosa voglio dire! Partire è la scelta più saggia, fidati!”
“Non ne sono più così sicura...” mugugno, arricciando le labbra in una smorfia di disappunto.
“Hai paura di non tornare? Guarda che non possono farti loro prigioniera!”
Mi volto di scatto, indirizzandole un’occhiata piuttosto scettica.
“Io non ci metterei la mano sul fuoco.”
“Oh andiamo!” prorompe lei, spazientita dal mio pallido ottimismo “Non stai mica firmando la tua condanna a morte!”
Beh, in un certo senso è così, tuttavia è una riflessione che decido di tenere per me, giusto per non assillare ulteriormente la povera Serena.
“Hai ragione.” rispondo, celando la mia innocente bugia dietro un timido sorriso “E’ solo che ritornare a casa è… strano. Tutto qui.”
Anche lo sguardo della mia migliore amica si addolcisce.
“Ti spaventa cosa potresti trovare?”
“Sì, abbastanza... Ma sai di cosa ho davvero timore?” dichiaro all’improvviso, facendola trasalire “Dei ricordi. Sono riuscita a rinchiuderli in un angolo, però ho il terrore che possano tornare a darmi il tormento.”
“Lo capisco, Nadia. Ma quelle persone, per quanto pazze o fuori di testa, restano i tuoi parenti. Dopotutto non puoi pretendere di tenerli lontano o fingere che non esistano, sarebbe assurdo! La tua famiglia, che tu lo voglia o no, è parte di te, del tuo essere, della tua personalità. Ed è qualcosa che non puoi cambiare.”
Serena mi afferra per le spalle e mi esorta a voltarmi verso il distributore di merendine alla nostra destra.
“Sai cosa vedo?”
Scruto, proiettate sul vetro, le nostre figure leggermente deformate.
“Un invitante e alquanto pericolosa quantità di zuccheri?”
“No, scema!” Serena scoppia in una fragorosa risata, per poi incoraggiarmi a contemplare di nuovo il distributore “Sai cosa vedo io, invece? Vedo una donna bellissima, dalle adorabili lentiggini e dal cuore grande e sincero. Ma vedo anche una bambina che ha sofferto. E’ un po’ presuntuosa perché, pur di dimostrare di poter farcela da sola, è disposta a non chiedere aiuto a nessuno. E, magari, è giunta l’occasione in cui ignori il suo orgoglio e provi a darsi, e a dare alla sua famiglia, una seconda possibilità.”
“A saperlo che eri così brava risparmiavo sull’analista.”
Serena depone quella parvenza di serietà, che poco si adatta al suo spirito indomito, per abbandonarsi ad un sorrisetto compiaciuto molto più nel suo stile.
“Che posso dire, sono una fonte inesauribile di sorprese!”
“Lo so, per questo sei la mia migliore amica.”
Le do un buffetto sulla spalla e Serena, per tutta risposta, mi circonda in un inaspettato abbraccio. E’ il calore del suo gesto, congiunto alla sua sbalorditiva analisi psicologica, a consentirmi di esaminare la situazione sotto un’altra prospettiva.  
Non sono sola e, per quanto sia stato più facile convincermi del contrario, dubito di esserlo mai stata. Questo è un momento di lutto per me e per i Montalto della Leonessa, quindi antecedere il mio patetico amor proprio sarebbe egoista. Mio padre merita un ultimo saluto e, in fondo, credo che avrebbe voluto che la sua famiglia fosse riunita (e, possibilmente, unita) nel farlo.
“Forse posso mettere da parte il mio risentimento e tentare una tregua con i miei parenti, perlomeno temporanea.”
Alle mie parole, Serena scoglie l’abbraccio e mi guarda soddisfatta.
“Ottima decisione!”
“Però, promettimi una cosa!” mi affretto a proseguire, bloccandola per un polso “Se non dovessi tornare entro quarantotto ore, ti ordino di correre a salvarmi!”
Serena, nonostante sia incapace di dissimulare il suo divertimento di fronte alla mia ambigua richiesta, mostra la mano e la batte con vigore sul suo petto.
“Promesso!”
In quell’esatto istante Serena mi fa subito cenno di voltarmi e, all’arrivo del mio pullman nel parcheggio, apriamo il mio ombrello malandato per fiondarci come due matte sotto la pioggia torrenziale.
Raggiunto il mezzo, Serena scocca due sonori baci sulle mie guance.
“Vorrei venire con te, Nadia.”
“Lo vorrei tanto anch’io. Prenditi cura delle mie Coccinelle, d’accordo?”
“Lo farò.” assicura lei, cercando di sistemarsi alcune ciocche sfuggite dal suo consueto chignon.
Io, intanto, salgo i ripidi scalini del pullman, tenendo con una mano l’ombrello sferzato da questo vento infelice e con l’altra trascinando la mia valigia.
Non tutti insieme, mi raccomando!
“Nadia! Se la tua sorellastra avesse qualcosa da ridire, sfodera le mosse di karatè che ti ho insegn…”
Non ho il tempo di rispondere poiché l’autista ha già chiuso le porte per impedire che la pioggia entri nel veicolo. Riesco soltanto a scorgere Serena precipitarsi dentro la stazione, riparandosi la nuca con la borsa.
Mi volto e quasi mi prende un colpo quando m’imbatto nel viso accigliato del conducente ad un palmo dal mio.
L’uomo, tuttavia, non si scompone. Nella sua granitica impassibilità si limita a porgermi la mano ed io, prontamente, la stringo.
L’autista corruga le folte sopracciglia scure e mi scandaglia dall’alto in basso con imbarazzante lentezza, come se le palpebre gli pesassero.
“Il biglietto, signorina.”
“Oh! Sì, certo, il biglietto! M-mi scusi…”
Mi mordo l’interno della guancia: potevo anche capirlo che il conducente non volesse fare conoscenza con una passeggera…
Il signore afferra il mio biglietto e, lo giuro, se ha deciso di voler mandarmi fuori di testa ci sta riuscendo perfettamente! Ne esamina ogni millimetro, se lo gira tra le mani e, non contento, lo ricontrolla ancora con una perizia allucinante, neppure quel pezzo di carta fosse una banconota introvabile e lui un fanatico di monete antiche!
“Va bene.” è il verdetto dell’autista “Può accomodarsi.”
Abbozzo un sorriso, giusto per trattenere un sospiro infastidito al quale, comunque, mi abbandono non appena mi lascio alle spalle il volto così affabile di quell’uomo.
Il pullman è semideserto, perciò non ho difficoltà nel trovare un posto libero, non prima, però, di aver collocato il mio trolley verde pistacchio nel vano bagagli sopra la mia testa.
Un rintronante boato proveniente dalle oscure profondità dell’autobus annuncia l’inizio del mio intrepido viaggio.
Provo a concentrarmi sul paesaggio, ma non ha grande efficacia quando si fonde in un tutt’uno con il buio e la pioggia.
Decido, dunque, di chiudere gli occhi, nella speranza di recuperare qualche ora di sonno, ma il terreno scosceso non sembra lo stratagemma migliore per conciliare il riposo.
Ruoto il capo verso il finestrino, tediato da questo inarrestabile temporale. Vi distinguo il riflesso della mia massa rossa di capelli, arruffata ed intrisa di umidità. Tento di districare quel raccapricciante groviglio, ma bastano pochi secondi perché getti la spugna, posando nuovamente la testa sul sedile.
Avverto un insopportabile macigno sullo stomaco. Il solo pensiero di scoprire cosa troverò a destinazione mi fa raggelare il sangue.
Diamine, quanto vorrei scendere da questo pullman!
Serro di nuovo le palpebre e, nel disperato intento di resistere a quel vortice di negatività che so bene quanto vorrebbe risucchiarmi, confido nel rapido effetto della conta delle pecore che, si sa, resta sempre una garanzia.
Tuttavia, anche questo tentativo si risolve in un fallimento poiché c’è solamente un’immagine impressa nella mia mente: il viso furente di Micaela mentre mi sbatte la porta in faccia.
Ops! Forse ho dimenticato di dirvi che non ho avvisato la mia sorellastra del mio imminente arrivo…
Beh, sarà una sorpresa per entrambe, se bella o brutta lo saprò presto.



Angolino dell'Autrice: Ciao mie fettine di pane stracolme di Nutella!
La nostra protagonista, prendendo il coraggio a due mani, ha deciso di tornare nella Contea di Moltalto della Leonessa. Ma prima dovrà affrontare un ostacolo assai spaventoso: sua sorella Micaela!
Grazie per avermi mostrato già tanto affetto e fiducia, non sapete quanto sia importante ricevere il vostro riscontro. Per me scrivere è un piacere, ma soprattuto un'opportunità per conoscere delle persone splendide come voi.
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy

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Capitolo 5
*** Brasiliani in boxer ***


 
Brasiliani in boxer



Scesi i ripidi scalini del pullman (a proposito, chi cavolo li ha inventati così alti?!), salgo sul marciapiede e appoggio il mio trolley verde pistacchio.
Giro veloce lo sguardo nell’istante in cui il pullman, abbandonandosi ad un boato contrariato, affonda le ruote in un’ampia pozzanghera, per poi allontanarsi alla volta della sua successiva destinazione.
Il tragitto, tanto per cambiare, è durato più del previsto a causa del traffico dovuto alla pioggia, agli allagamenti nei sottopassi e, ciliegina sulla torta, ad una tempesta di vento che ha inevitabilmente costretto l’autista a fermarsi in un’aiuola di sosta.
Risultato dopo dieci ore di viaggio? Un terribile torcicollo e un fondoschiena dolorante che credo abbia assunto la forma del sedile.
Finalmente la tempesta si è placata, ma il cielo è tuttora coperto da nubi incombenti che non preannunciano nulla di buono.
Ormai si è fatto tardo pomeriggio. Nonostante la scarsa luce, distinguo chiaramente l’elegante profilo del palazzo in cui abita Micaela, seppur seminascosto da un’edera rigogliosa che avviluppa buona parte della facciata.   
Afferro il mio fidato trolley, oltrepasso il porticato e percorro un immacolato androne quando, alla mia destra, avvisto una porta munita di una targa dorata.

 
Portineria

La presenza di una veneziana abbassata m’induce, con profondo disappunto, a non vedere altra soluzione se non quella di bussare.
Vengo accolta da un anziano ometto, calvo e tracagnotto, il quale, trovandomi sulla soglia, leva seccato gli occhi al cielo.
“Non vogliamo pubblicità, grazie tante.”
“No aspetti!” grido, bloccando la porta con il palmo “Non devo consegnare niente! Sto cercando Micaela Montalto, so che vive qui.”
Il piccoletto si aggiusta gli occhiali sul naso, squadrandomi alquanto perplesso.
“E lei chi sarebbe?”
“Sono sua sorella.”
Lui strabuzza gli occhi, resi spaventosamente grandi dall’effetto delle lenti.
“Non sapevo la signorina Montalto avesse una sorella...” insinua il custode, accavallando le braccia sopra la sua pancia abbondante.
“Non siamo in ottimi rapporti.” mormoro, chinando il capo sulle punte sporche di fango dei miei stivali “Potrebbe indicarmi dove posso trovare il suo appartamento?”
L’ometto gonfia il petto, indispettito.
“Non sono autorizzato a riferire questo genere d’informazione!”
“Signore, la prego!” congiungo le mani, supplicandolo “Sono in piedi dalle quattro di questa mattina e ho trascorso dieci ore su uno scomodo e maleodorante pullman. Ho freddo, sono affamata e non ho intenzione di andarmene se non mi dirà quello che voglio sapere. Mi può aiutare oppure no?”
Il portinaio si guarda attorno, sfoderando una sfilza di smorfie che meriterebbero di venire incorniciate.
“Terzo piano. Prima porta a sinistra.”
Non ho nemmeno l'opportunità di ringraziarlo che l’ometto si è già barricato in portineria.
Non perdo altro tempo: in fondo al corridoio trovo ad attendermi un ascensore del dopoguerra, i cui cigolii mi suggeriscono, non appena raggiunto il terzo piano, di spalancare subito le imposte e fiondarmi fuori da quella cabina pericolante.
La fantomatica prima porta a sinistra è proprio di fronte a me.
Ecco, ho la gola secca e il cuore comincia a battere forte. Troppo forte! Ho quasi l’impressione che possa fracassare la mia povera gabbia toracica!
Non ricordavo di essere diventata così ansiosa… Ah, giusto! Dimenticavo che avere a che fare con la mia famiglia porterebbe all’esaurimento anche il più serafico dei monaci zen.
Riluttante, poso lo sguardo sul campanello.
Non fare la codarda Nadia e premi quel dannato pulsante!
Deglutisco e avvicino piano, piano il mio dito (neanche mi trovassi sopra una cassa di polvere da sparo con in mano una sigaretta accesa!) finché uno squillo squarcia la quiete del pianerottolo.
Nell’istante in cui avverto la serratura scattare, il mio stomaco si diletta in un triplo salto mortale e percepisco in bocca il saporaccio del tramezzino al tonno che ho mangiato per pranzo.
Quando sulla soglia, invece, si presenta un uomo alto, ben piazzato, dalla carnagione abbronzata e con addosso solo un paio di boxer che riprendono i colori della bandiera brasiliana, inizio a temere di star delirando.
“M-mi scusi, d-devo aver sbagliato…” balbetto io, consapevole di essere già entrata in modalità rosso peperone. E poi, diciamocelo, quei pettorali muscolosi e perfettamente scolpiti non mi stanno aiutando!
“Tomas! Chi è alla porta?”
Potrei riconoscere quella voce tra mille: squillante, vanesia ed assolutamente insopportabile!
Mia sorella Micaela compare alla porta lasciando svolazzare con nonchalance la sua vestaglia e rivelando, con il suo gesto teatrale, un elegante completo intimo di pizzo nero.
Tuttavia, non appena incrocia il mio sguardo, il suo sorriso sognante viene rimpiazzato da un’espressione che definirla da brividi non renderebbe l’idea.
“Nadia?! Cosa diavolo ci fai qui?”
“Sono venuta per il testamento di papà.”
Micaela mi fissa esterrefatta per qualche secondo, come dovesse metabolizzare l’assurdità della situazione. Il manto di smarrimento che vela i suoi occhi, però, sembra abbandonarla nel momento in cui si stringe stizzita nella sua leggera vestaglia.
“Tomas, vattene via.”
“Ma nena…”
“Ho detto di andartene!” sibila Micaela, scagliando un’occhiata di fuoco al belloccio, il quale, rientrato in casa, rispunta con un ammasso di abiti appallottolati tra le braccia.
Micaela spinge fuori il brasiliano che, non prima di inciampare sullo zerbino, le rivolge uno sguardo implorante.
Por favor lasciami vestire almeno!” esclama il malcapitato, con un marcato accento spagnolo.
Micaela lo ignora, afferrando invece me per un polso e scaraventandomi all’interno del suo appartamento.
Penso mi sarà impossibile scordare la faccia dello sventurato brasiliano in boxer mentre la sua nena gli sbatte molto gentilmente la porta in faccia.
“Perché lo hai trattato in quel modo?” le domando, rendendomi conto solo un attimo dopo che non otterrò una risposta.
Micaela, infatti, pare impegnata a scavare un solco sul pavimento dell’ingresso tanta è l’insistenza con cui cammina avanti e indietro. Sembra posseduta: continua a toccarsi i capelli e stringerli convulsamente tra le dita, il tutto accompagnato dai suoi borbottii incomprensibili.
Credo di averla fatta davvero infuriare…
Quasi mi abbia letto nel pensiero, la mia sorellastra si volta all’improvviso e, con un indice minaccioso, marcia spedita verso di me.
“Ma cosa diamine ti è venuto in mente?!”
La schivo prontamente e, grattandomi imbarazzata la nuca, fingo interesse per il mobilio.
“Wow! Ma che bella casa!” mi congratulo, levando il pollice in segno di approvazione “Hai davvero buon gusto!”
Ecco, in questo caso il detto “un sorriso aggiusta ogni cosa” non ci ha preso. Basta dare un’occhiata alle scintille che sprizzano dalle orbite di Micaela per capirlo.
“Tu sei tutta matta!” sbotta lei “Nessuno degli illustri maestri privati che i tuoi genitori pagavano profumatamente ha mai pensato di insegnarti le buone maniere? Di solito si avvisa prima di piombare in casa di qualcuno!”
Alzo le mani al cielo, colpevole.
“Ti chiedo scusa. Temevo che se lo avessi saputo mi avresti cacciata via.”
Mia sorella stavolta non obietta, anzi, annuisce con vigore.
“Oh, ci puoi giurare!”
“Però ancora non l’hai fatto.” azzardo io, in fin di voce.
“Già, devo essere impazzita!” afferma lei, ostentando un sorriso trasognato, per poi irrigidire la mascella e sferrarmi uno schiaffo sul braccio “Ma per chi mi hai presa, Nadia?! Pensi che ti avrei lasciata sullo zerbino?”
“Hai ragione, mi dispiace Micaela. Ma dovevo essere certa che tu mi ascoltassi.”
Lei vorrebbe controbattere ma la sua (comprensibile) frustrazione la costringe ad un misero grido soffocato.
Poi corre via ed io, pur mantenendo le dovute distanze (si sa mai che, girato l’angolo, Micaela provi ad attaccarmi con un coltello da cucina!), la inseguo. Attraversato un breve corridoio adornato da un set di quadri futuristi, sbuchiamo nell’ampio salotto: un locale moderno, dall’arredamento minimal e dai finestroni ingentiliti da vaporose tende di tulle color porpora.
Sulla destra si trova la zona cottura ed è proprio lì che si dirige la mia furiosa sorellastra. La osservo in silenzio mentre traffica nello sportello sopra il lavabo. Ne tira fuori una bottiglia, credo di whisky, agguanta un bicchiere e, con mano tremolante, ne versa una generosa dose che trangugia tutto d’un fiato.
Stremata, Micaela si aggrappa al bordo del piano di marmo e china il capo, lasciando che la fluente chioma bionda nasconda il suo sconforto.
“D’accordo.” asserisce lei, scostando le ciocche che le ricadono davanti agli occhi “Ti ascolto, sorella.”
“Hai ricevuto la notizia del testamento?”
“Sì, e non m’interessa.” ribatte, incrociando risoluta le braccia al petto.
“Dovrebbe, era nostro padre.”
“A mio avviso un padre inesistente.”
Al mio tentativo di replicare Micaela mi zittisce.
“Senti, non ce la faccio a parlare. E’ tutto così folle e ho la testa che scoppia!” mugugna, massaggiandosi le tempie “Ho bisogno di una doccia.”
D’un tratto mia sorella sfreccia verso il bagno, vestaglia fluttuante annessa.
“Ma… proprio adesso?” domando, smarrita.
“Sì, adesso!” m’incenerisce lei “Tu siediti, guarda la tv o, non lo so… fai un po’ come ti pare!”
E Micaela, sbattendo la porta, toglie il disturbo.
Io resto immobile, in una frigida espressione da pesce lesso, nel mezzo di quest’immenso e freddo salotto, e nella convinzione sempre più martellante che sarei ancora in tempo per svignarmela da questa casa, noleggiare una bici e raggiungere la Contea di Montalto su due ruote.
Già, probabilmente ci impiegherei tre giorni, ma sai dopo che polpacci di ferro? Potrei quasi fare invidia a Zia Amelia (dico quasi perché lei è una specie di mostro di bravura in tutti gli sport)! E poi perderei quei due chiletti di troppo che ho messo su durante le vacanze di Pasqua…
Alla fine, però, la mia scarsa indole sportiva e la speranza di avere ancora la possibilità di una conversazione civile con Micaela mi esortano a rimanere.
Dopotutto sono arrivata fin qui, gettare la spugna ora non sarebbe nello stile dei Montalto della Leonessa.



Angolino dell'Autrice: Ciao mie dolcissime cheesecake al cioccolato!
Ecco il tanto atteso incontro tra Nadia e sua sorella Micaela. Spero vi sia piaciuto e, soprattutto, vi abbia strappato un sorriso.
Grazie per continuare a seguirmi con tanto affetto! Siete la mia gioia!
E se vi va di scambiare quattro chiacchere, vi lascio il link alla mia paginetta Facebook --> https://www.facebook.com/Clairy93-EFP-400465460046874/?ref=aymt_homepage_panel
Buonissima serata!
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy

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Capitolo 6
*** Un pigiama party molto improvvisato ***



Un pigiama party molto improvvisato



E così rimane lo scorrere dell’acqua della doccia a tenermi compagnia, dato che Micaela non si è posta il problema ad abbandonarmi in quest’ampio ed arcano salotto.
La mia cara sorellastra, ormai giunta sull’orlo di una palese quanto imprevedibile crisi di nervi, si è letteralmente barricata in bagno. Forse, sotto un punto di vista un po’ alternativo, è stato meglio così: in questo modo ho evitato, almeno per ora, che Micaela scorgesse nella bottiglia di whisky un ottimo ripiego per scaricare la tensione, poiché mi sembra di aver intuito che abbia una leggera inclinazione ad alzare il gomito.
Lo ammetto: ero conscia che al mio arrivo non avrebbe certo stappato lo spumante come gesto di caloroso benvenuto. Dopotutto sono piombata in casa sua, senza preavviso, per di più interrompendo quello che doveva essere un momento di… intimità.
Però, accidenti, non immaginavo di mandarla del tutto fuori di testa! Altro che whisky, mia sorella avrebbe bisogno di una bella tazza di camomilla!
Per adesso sto pregando intensamente tutti i santi perché la doccia la renda più trattabile. Non posso pensare di aver compiuto un viaggio di dieci, interminabili ore per ottenere un nulla di fatto!
Nel frattempo decido di perlustrare il territorio nemico.
Non c’è che dire: quello di Micaela è un signor appartamento!
In questo spazioso locale, dove i toni del cremisi, del bianco e del nero dominano incontrastati, tutto è collocato secondo una precisa e minuziosa logica, nella quale ogni soprammobile pare concepito per essere coordinato con il resto. Niente appare fuori posto o lasciato al caso, quasi fosse una di quelle illustrazioni in cui ci s’imbatte sfogliando una rivista promozionale di salotti.
Non può certo mancare un televisore con schermo ultrapiatto e provvisto di un impianto sonoro che potrebbe fare invidia ad una sala cinematografica, come d’obbligo è anche il maestoso lampadario di cristallo, la cui incombente presenza sopra il mio capo mi esorta a spostarmi in zona più sicura.
Micaela ha installato addirittura un caminetto finto! Sapete, no? Quelli che proiettano l’immagine di un fuoco acceso, e magari ne simulano pure il crepitio!  
Un aspetto, tuttavia, che mi lascia perplessa è la totale assenza di fotografie. Né di quando era bambina né insieme a sua madre… Zero!
Personalmente lo trovo un po’ inquietante. Per quanto la casa si presenti impeccabile ed incredibilmente chic, io ho una sensazione di… freddo. Osservo l’appartamento e non avverto una personalità, non riesco a cogliere niente di Micaela.
Mi dirigo verso l’angolo cottura, anch’esso dotato, tanto per restare in tema, degli elettrodomestici più innovativi e costosi sul mercato, in primis un robot da cucina che dà l’impressione di non essere mai stato nemmeno azionato.
Ripongo nel lavabo il bicchiere che Micaela ha dimenticato sul bancone di marmo, soffermandomi un istante sul profilo rosato delle sue labbra stampato sul bordo.
Tuttavia, è l’imponente frigorifero a quattro porte lì accanto a solleticare la mia curiosità e invogliarmi a darci giusto una veloce sbirciatina. Ma me ne pento un secondo dopo, quando mi rendo conto di trovarmi di fronte al deserto dei Tartari: sono rimaste due bottiglie di birra (di cui una aperta), un tubo di ketchup, un tramezzino sbocconcellato ed incartato alla bell’e meglio con della pellicola e una lattuga sofferente.
Abbattuta e con lo stomaco vuoto, ritorno in salotto e affondo nell’elegante divano in pelle.
E, capperi, è dannatamente comodo!
Strano, è in quell’attimo che realizzo quanto questa giornata mi abbia stremata. E’ come se l’adrenalina stesse gradualmente defluendo e al suo posto rimanesse solamente un pesante senso di stanchezza. Vorrei tanto appoggiare la testa su questo soffice schienale, magari abbassare per un momentino le palpebre…
Ma la mia parentesi di quiete termina miseramente non appena percepisco la serratura scattare. Micaela esce dal bagno, avvolta da una nube di vapore e un asciugamano fasciato a turbante sul capo. La sua sensuale vestaglia ha ceduto il posto ad una mise più sobria: t-shirt slabbrata e di una taglia più grande e pantaloncini della tuta con il disegno di SpongeBob.
Con un balzo sgraziato, mia sorella si fionda sull’altro divano e incrocia le lunghe gambe.
“Posso chiederti chi era il ragazzo di poco fa?” le domando, mentre si friziona i capelli.
Micaela s’irrigidisce, contraendo la mascella.
“Un mio cliente.” afferma, con sufficienza, tradendo tuttavia una nota di imbarazzo nel ripensare al bel brasiliano in boxer sbattuto sul pianerottolo.
Io aggrotto la fronte.
“Vai a letto con i tuoi clienti?”
Micaela mi fulmina con i suoi occhi di ghiaccio, le labbra strette in una linea severa.
“Per tua informazione a volte è necessario fare sacrifici come questi. A differenza tua, mi sono sempre guadagnata da sola i miei risultati.”
Si sporge verso il tavolino di cristallo e, rovistando tra una pila disordinata di cartacce e vari dépliant, sfila un elegante foglio filigranato, tale e quale a quello che anch’io ho ricevuto dalla Residenza Montalto.
“Una lettera, robe da matti!” bofonchia Micaela, gettandomi indispettita l’invito alla partecipazione per la lettura del testamento “Ma dove siamo, nel Medioevo?!”
“E’ la tradizione.”
Alla mia laconica spiegazione, lei inarca esterrefatta un sopracciglio.
“Vuoi dirmi che perfino a te hanno mandato quello squallido pezzo di carta?”
“..Sì.”
La mia esitazione scatena in Micaela una risata amara, alla quale si abbandona con inaudita insolenza.
“Non ti hanno nemmeno telefonato?”
E’ ufficiale, il suo atteggiamento sta cominciando a darmi davvero sui nervi! E gli occhietti a palla di quell’inquietante spugna gialla stampata sui suoi pantaloncini mi mettono una certa soggezione…
“Non capisco dove tu voglia arrivare, Micaela.”
“Oh Nadia, vivi proprio sulle nuvole tu!” sbraita, ruotando gli occhi al cielo e sbattendo sconcertata i palmi sulle gambe “Eri la sua prima figlia! Pensavo che perlomeno ti avvisassero di persona! Ma evidentemente in quella famiglia sono tutti troppo presi dai loro stupidi cerimoniali …”
Malgrado m’imponga di allontanarle subito, le parole di Micaela imprimono una rapida quanto dolorosa bruciatura, un rumoroso senso d’inquietudine che non posso ignorare.
Io non ci avevo mai dato peso. Ora che ci penso, però, ho saputo della morte di papà tramite una telefonata del mio maggiordomo. A questo punto mi sorge un sospetto: se non fosse stato per Alfredo, qualcuno in quella casa avrebbe avuto comunque la decenza di avvisarmi? Mh…Inizio a nutrire qualche dubbio a tal proposito.
E veniamo all’amara ciliegina sulla torta, l’annuncio del testamento: tralasciamo mia madre che, a causa della sua salute, potrei anche giustificare, ma almeno nonna Lavinia avrebbe potuto darmi un colpo di telefono! Sai com’è, giusto per fare un salutino alla propria nipote e magari sapere se è ancora viva!
Invece, ogni volta ho ricevuto le notizie per vie traverse.
Alla faccia! E ci voleva quella sclerata di mia sorella a farmelo notare?
“Perché sei qui, Nadia?” domanda all’improvviso Micaela, accavallando le sue lunghe gambe.
“Te l’ho spiegato, volevo sapere se avevi ricevuto il telegramma.”
Lei scuote lentamente la testa.
“No. Voglio dire, perché sei venuta qui, in casa mia? Devi avere per forza un piano.”
“Un piano?” le faccio eco io, sfoggiando il mio sorriso più candido “Ma no, certo che no!”
Tuttavia, il ghigno compiaciuto che spunta sulle labbra piene di Micaela decreta il crollo della mia copertura.
“Sì, un piano.” ribadisce, decisa “La tua non è una visita di cortesia, mi pare ovvio. Quindi parla chiaro, sorella.”
Mi mordicchio il labbro, colpevole, mentre le palpebre della mia dolce sorellina si riducono con evidente soddisfazione a due fessure che mi fanno accapponare la pelle.
Le lancette dell’eccentrico orologio alle spalle di Micaela inghiottono, con il loro snervante ticchettio, la ormai breve distanza che mi separa dalla verità, alla quale, alla fin fine, sono costretta a cedere.
“D’accordo, le cose stanno in questo modo: sarei andata in stazione e avrei preso il primo treno disponibile per la Contea di Montalto, ma hanno indetto uno sciopero per l’intero fine settimana. Credimi, ho valutato ogni, singola opzione pur di evitare questa spiacevole situazione, ma se mi trovo qui è perché ho bisogno del tuo aiuto, Micaela. So che possiedi la macchina, non ci metteremo molto ad arrivare e divideremo la spesa della benzina…”
“Ferma, ferma, ferma!” mi zittisce Micaela, sfiorandosi le tempie con fare melodrammatico “Tu pensi davvero che io abbia intenzione di raggiungere quel posto dimenticato da Dio solo per scoprire chi si accaparrerà l’eredità che il Vecchio ha lasciato?”
Stringo le braccia al petto.
“Beh, lo avrei detto in una maniera più carina, ma sì.”
“Tu sei tutta matta!” prorompe lei, lasciandosi sfuggire una risata sferzante.
“Non la ritenevo un’idea così malvagia andare insieme alla lettura del testamento….”
La mia voce si spezza quando noto che la carnagione di Micaela sta cominciando ad assumere un’allarmante sfumatura tra il rosso-sto-per-incenerirti e il viola-stammi-alla-larga-perché-potrei-fare-una-strage.
“E’ proprio questo il tuo problema, Nadia! Tu pensavi fosse una splendida idea e hai deciso per entrambe, senza neppure consultarmi! Perché diavolo dovrei fare questa pazzia? Per di più in tua compagnia! Senza offesa, ma non siamo mai state quel genere di sorelle che si fanno le treccine ai capelli e intanto si raccontano le loro cotte per i ragazzi più grandi!”
“Perché era anche tuo padre, Micaela.” le faccio notare, scandendo ogni parola.
“Era solo un uomo insoddisfatto. Non gli erano bastate tutte le fortune che la sua bella vita gli aveva offerto, ha pensato bene di trovarsi una povera ingenua con cui divertirsi e, perché no, farci pure una figlia!”
Micaela si alza di scatto dal divano e, sbuffando, inizia a vagare freneticamente per la stanza.
“Sai che non è vero.” mormoro, posando lo sguardo sul parquet.
“Ma cosa vuoi saperne tu!” sbotta lei, chinandosi minacciosa su di me “Non hai idea di cosa mia madre ed io abbiamo passato a causa di quel Vecchio!”
Le sue parole risuonano con la stessa prepotenza di uno schiaffo.
Io, però, non demordo.
“Già, forse non lo so. Ma nemmeno tu hai idea di cosa ho passato io!” levo il capo e mi ergo, seppur nel mio modesto metro e sessantacinque, con il giusto vigore per affrontare le fiamme che zampillano dagli occhi di Micaela “Papà usciva di casa e faceva ritorno dopo settimane, mentre io lo aspettavo inutilmente alla finestra nella speranza di vederlo percorrere il nostro viale. Ma non mi era permesso esternare il mio dispiacere perché mi hanno sempre insegnato che piangere è da deboli, e farlo in pubblico è una vergogna. Dovevo sorridere, anche quando avrei voluto gridare e spaccare tutto dalla rabbia! Ed era fuori discussione frequentare le altre bambine: sarebbe stato “indecoroso”, o almeno così mi diceva nonna… Non è stato facile per nessuna delle due, te lo assicuro!”
La mia divampante determinazione sembra scalfire la corazza della mia presuntuosa sorellastra. Questo mi convince ad accantonare (per il momento) il consiglio della mia amica Serena di sfoderare le mie doti di karatè, tuttavia ne approfitto per rincarare la dose.
“Ma questo non ha più importanza adesso perché, che tu lo voglia o no, era nostro padre e questa sarà l’ultima occasione per dirgli addio. Lui avrebbe voluto che partecipassimo alla lettura del testamento, penso che tu possa rispettare il suo desiderio. Poi tutto finirà, e torneremo alla normalità.”
Micaela mi scruta stranita (e, grazie al cielo, senza ribattere) con i suoi grandi occhi di ghiaccio fino a che, esausta, sprofonda scompostamente sul divano di pelle.
“Ed io cosa ci guadagno?” mi chiede, squadrandomi da sotto le sue ciglia.
“La soddisfazione di aver compiuto una buona azione.” rispondo, esibendo un ampio sorriso.
Lei, però, appare alquanto perplessa. Poi abbandona la testa sullo schienale, intrecciando le dita tra i suoi capelli ancora umidi.
“Perché so già che se ti dico di sì me ne pentirò un istante dopo?”
“Perché è ciò che ho provato io quando sono salita su quel pullman per venire qui.” le rivelo, incrociando risoluta le braccia al petto “Ma eccomi, quindi facciamo questa cosa e basta. Forse insieme sarà meno…traumatico.”
Micaela solleva appena le sopracciglia e mi lancia un’occhiataccia eloquente.
“Su questo ho i miei seri dubbi, ma se posso conquistare qualche punto paradiso tanto vale esaudire le ultime volontà del Vecchio.”
Le mie labbra si distendono in una risata piuttosto impacciata.
“Grazie, Micaela.”
“Non ringraziarmi.” mi folgora subito lei “Non lo faccio per te. Lo faccio perché l’ho deciso da sola. E poi sono ancora infuriata con te.”
“Sì, Micaela, l’ho capito che sei arrabbiata. Ma dovremmo imparare a mettere da parte il nostro risentimento se vogliamo che questa cosa funzioni.” insisto io, stringendo le mani sui fianchi “Beh, abbiamo tutta la notte per pensarci su. Ho visto un hotel qui vicino, prenderò una camera. Ci vediamo domani mattina, e che non ti salti in mente di svignartela!”
In seguito al mio avvertimento, raggiungo il mio trolley verde pistacchio, dimenticato all’angolo della stanza, e mi dirigo verso l’uscita.
“Aspetta!”
Sbigottita, mi volto e scorgo Micaela, rigida come uno stoccafisso, mentre si stuzzica il labbro e si fa piccola, piccola nel mezzo del suo grande salotto.
“Puoi dormire qui, se ti va…”
“Cosa?!”
Sbuffa.
“Dai hai sentito benissimo! Non costringermi a ripetertelo. E’ già una tortura...”
“Allora ti ringrazio per l’ospitalità, lo apprezzo molto.”
“Sia chiaro, non faccio i salti di gioia all’idea di un pigiama party con te.” si affretta a precisare lei “Ma che razza di persona sarei se ti mandassi in un albergo?”
Io faccio spallucce.
“Tranquilla, tanto ho sempre odiato i pigiama party!”
Micaela rivolge esasperata lo sguardo al cielo, non cogliendo la vena ironica. Ormai dovrei aver afferrato che il sarcasmo non è annoverato nel vocabolario di mia sorella…
“Per sdebitarmi lasciami preparare almeno la cena. Mi sono permessa di guardare nel tuo frigorifero e, santo cielo, di cosa ti nutri? Non c’è nulla lì dentro!”
Micaela strabuzza gli occhi.
“Hai guardato nel mio frigorifero?!”
“Sì, diciamo che è una specie di mania…”
Solamente pronunciando queste parole mi rendo conto di quanto ciò suoni folle.
“Già, certo…” annuisce lei, osservandomi come fossi una squilibrata “Sai che ti dico? Non voglio saperne di più. L’importante è che tu non abbia intenzione di avvelenarmi.”


Angolino dell'Autrice: Ehilà miei soffici fagottini ripieni di confettura alle pere!
Come state? Ma avete visto che tempo assurdo in questi giorni?
Spero di riscaldare i vostri animi infreddoliti con un piacevole capitolo e mi auguro di strapparvi un sorriso.
Siete la mia gioia, la mia forza, il mio regalo più prezioso!
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy

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Capitolo 7
*** Una pasta alla carbonara molto sospetta ***




Una pasta alla carbonara molto sospetta
 
 

Com’è che si dice? Nessun letto sarà mai comodo come il proprio.
Ecco, non c’è niente di più vero!
Per carità, la camera degli ospiti che Micaela ha messo a disposizione è una reggia se confrontata con le mie basse (anzi, bassissime!) aspettative. Diciamo che ero già entrata nell’ottica di dover trascorrere la notte sullo zerbino di casa sua…
Eccetto le diverse file di cuscini sistemate vicino alla testata del letto (ho impiegato dieci minuti per levarli tutti!), la stanza è spaziosa ed accogliente, il letto è quanto di più soffice esista a questo mondo e, aspetto da non sottovalutare, ho persino il mio bagno privato!
Eppure è stata la nottata peggiore della mia vita.
Avete ragione, sono una piattola. Non faccio altro che lamentarmi!
Ma ho i miei buoni motivi.
Provate a mettervi nei miei panni: compaio senza alcun preavviso alla porta della mia sorellastra, una ragazza tanto schizzata quanto pericolosa, che avrò visto sì e no una decina di volte in tutta la mia vita e con la quale non sono mai stata pappa e ciccia. Non avreste anche voi il timore che Micaela possa sbucare da sotto il letto con un coltello in mano? Oppure la paura di svegliarsi e ritrovarsi imbavagliata, con mani e piedi legati e chiusa in una cassa sul fondo di un lago?
Beh, io sono terrorizzata!
Quelle maledette lenzuola insistevano ad attorcigliarsi al mio corpo come un’intricata ragnatela, soffocandomi nel loro groviglio. E quando finalmente riuscivo a liberarmene, erano i brividi di freddo a fare simpaticamente capolino.
Ogni volta che abbassavo le palpebre (o perlomeno ci provavo), il solo pensiero di cosa mi avrebbe atteso la mattina seguente mi costringeva a spalancare gli occhi e lasciare che la mia mente vagasse attraverso scenari apocalittici.
Alle prime luci dell’alba, quando la pioggia ha smesso di battere e le finestre di tremare per le raffiche di vento, mi sono appisolata. I pensieri e le mille paranoie alla fin fine hanno taciuto, ma a quel punto ci ha pensato la camionetta dell’immondizia a buttarmi giù dal letto.
Infilo la testa sotto il cuscino, premendolo sulle orecchie, per cercare di respingere quel micidiale frastuono, tuttavia la voce di Micaela nell’altra stanza mi desta del tutto.
Lancio via le coperte con un calcio e corro alla porta, aprendola con estrema prudenza. Poi, quatta quatta, percorro il corridoio in punta di piedi e, non appena scorgo Micaela al centro del salotto, mi appiattisco contro la parete.
Non avvertendo allarmanti urla isteriche, prendo coraggio e mi sporgo leggermente: Micaela si è accomodata sul divano e sta osservando lo schermo del suo portatile, appoggiato sul tavolino di cristallo.
“Te l’ho detto, mi assenterò dal lavoro per i prossimi giorni!”
Intravedo sul monitor la sagoma sgranata di un volto maschile che aggrotta al rallentatore le sopracciglia.
“Vorrei ricordarti che sono io il tuo capo.” dichiara l’uomo in videochiamata, inflessibile, nonostante un lieve sussulto della voce dovuto alle bizze della connessione “Decido io cosa tu debba o non debba fare.”
“Sei uno stronzo, Flavio!” impreca lei, sbattendo i piedi sul pavimento “Ti ho spiegato che si tratta di una questione urgente!”
“Non m’interessa, Micaela! Gli svizzeri atterreranno nel pomeriggio, perciò vedi di alzare il tuo bel culo ed essere puntuale all’incontro.”
La mia sorellastra si lascia sfuggire un piagnucolio sommesso.
“Diamine, Flavio! Ti sto implorando! Ho bisogno che tu mi conceda il permesso, solamente per un paio di giorni!”
“Mia cara, sono i clienti che richiedono la tua presenza. E, ovviamente, i tuoi… servizi.” ribatte l'uomo, scandendo con inquietante lentezza l’ultima parola.
“Offrirò il doppio al mio ritorno, promesso!”
“E a me? Non spetta nulla in cambio?” chiede il simpaticone, con un tono da maniaco pervertito che mi fa letteralmente accapponare la pelle.
Ciò che mi lascia basita non è tanto il putridume che, anche solo attraverso una schermata, riesco a percepire in quell’uomo sfacciato, ma il fatto che Micaela stia al suo penoso gioco.
Si china sulla webcam del computer e, con fare sensuale, percorre con la lingua il labbro superiore.
“Saprò come ripagarti…”
Micaela si slaccia la vestaglia, esibendo il seno impreziosito da un reggiseno di pizzo.
Io mi tappo la bocca con la mano, allibita, e mi fiondo in camera. Prima di richiudere la porta, sento Micaela sbattere con rabbia lo schermo del computer, per poi abbandonarsi ad un malinconico sospiro.


Dopo ben venticinque minuti di attesa, durante i quali il mio trolley verde pistacchio ed io ci siamo guardati assai sconsolati, Micaela si degna di uscire da quella maledetta stanza, trainando una valigia strapiena e un beauty grande quanto il mio trolley.
“Guarda che dobbiamo stare via solo qualche giorno.”
Alla mia lecita considerazione, Micaela mi raggela con i suoi penetranti occhi di ghiaccio.
“Invece di perdere tempo con questi giudizi superflui, potresti darmi una mano!”
Ruoto lo sguardo al cielo e le prendo il beauty.
Lei mi fulmina all’istante.
“Micaela! Non ti aspetterai che io porti quel baule!”
Lei incrocia le braccia al petto, scrutandomi torva.
“Vorrei ricordarti che io ti ho ospitata nel mio appartamento. Mi devi un favore.”
“Eh no, cara mia!” la interrompo io, sbandierando con orgoglio un indice ammonitore davanti al suo bel nasino “Non puoi ricattarmi, sei tu che mi hai invitata, ricordi? Io sarei potuta andare tranquillamente in albergo.”
“Va bene, va bene! Allora come la mettiamo con l’automobile? Non dimenticare che sono l’unica a poterti offrire un passaggio assicurato. Inoltre, in questo modo, mi stai costringendo a venire con te.”
Micaela scosta una ciocca bionda dal viso con un gesto plateale e inarca trionfante gli angoli della bocca in un sorrisetto malizioso.
Io, viceversa, sbuffo dal naso con la grazia di un toro infuriato.
“D’accordo.” cedo, afferrando l’enorme macigno di Micaela “Aprimi la porta almeno.”
Scese in portineria incappiamo nel paffuto portinaio della sera precedente, il quale, non appena scorge la bellissima signorina Montalto, caracolla goffamente verso di lei sfilandole dalle mani il beauty, neanche stesse trascinando un blocco di marmo di Carrara!
Se potesse, stenderebbe sul pavimento un meraviglioso tappeto rosso per farla passare. O chissà, magari s’improvviserebbe lui stesso uno zerbino! Il ruolo gli calzerebbe a pennello…
Intanto che l’ometto scorta la dolce donzella Micaela alla sua macchina, addirittura aprendole con atto galante la portiera, io m’ingegno per trasportare i bagagli e non ruzzolare giù dai gradini.
Inutile dire che al custode non passa nemmeno per l’anticamera del cervello di offrirmi un aiutino! Anzi, ho avuto l’impressione, nel momento in cui mi ha vista carica come un mulo da soma, che il fetente si sia messo pure a sghignazzare sotto quei brutti baffi ingialliti!
Uscita in strada non solo rischio di finire a gambe all’aria, a causa dell’asfalto bagnato per il temporale di questa notte, ma mi trovo di fronte ad una
visione a dir poco aberrante: mia sorella al comando di una decappottabile rosa bubble-gum.

Insomma, una scelta che non dà nell’occhio!

“Viaggiamo su quella?!”
Micaela (per restare in tema “W la Sobrietà”) s’infila un paio di grandi occhiali da sole tempestati di piccoli diamanti.
“Qual è il tuo problema, Nadia?!” mi aggredisce subito.
“Nessuno! Chiedevo solamente...”
“Dato che sono io che guido e pago la benzina, cerca di accontentarti. Ora datti una mossa e sali in macchina!”
“Perché devi essere sempre così scortese!” borbotto, mentre cerco di incastrare l’enorme valigia di Micaela nel bagagliaio “La mia era solo un’osservazione.”
“Te l’ho detto, non mi piacciono le tue osservazioni!” dice lei, arrogante, annodandosi un elegante foulard alla testa “E, sinceramente, non mi interessano! Devo ancora capire come hai fatto a convincermi a compiere questa pazzia…”
“Deve essere stata la mia carbonara di ieri sera!” rispondo allegra, accomodandomi finalmente sul sedile e richiudendo la portiera.
“Già…” mormora lei, indirizzandomi un’occhiata alquanto sospettosa “Cosa ci hai messo dentro?"
E mentre cerco di celare un sorriso furbetto, ci immettiamo nel traffico e diamo ufficialmente il via a questa folle avventura. Certo, magari non sotto il migliore degli auspici, ma è già un miracolo che siamo riuscite a partire!
Peccato che io stia iniziando ad avere qualche dubbio sulla possibilità di arrivare tutta intera a destinazione…
Le capacità di Micaela alla guida sono drammatiche! Se mai qualcuno le ha insegnato nozioni come rispetto dei limiti di velocità, mantenere la distanza di sicurezza e assidua attenzione sulla strada, lei deve averle prese e riposte nell’angolino più remoto e polveroso del suo cervello.
Inoltre, il fatto che guidi con quei tacchi vertiginosi ai piedi non m’infonde un senso di grande sicurezza!
“Possiamo chiudere la capotta?” le domando, ormai prossima all’assideramento “I capelli continuano ad andarmi in bocca!”
Micaela mi scimmiotta.
“Nadia, sei una vera lagna! E comunque no, non la chiudo la capotta! Santo cielo, come farò a sopportarti per tutto il viaggio?!”
All’improvviso sento la sciarpa scivolarmi rapidamente dal collo, ma l’acciuffo appena in tempo perché il vento non se la porti via.
“Mi stavo giusto chiedendo la stessa cosa…”
“Che hai detto?!” grida lei.
“Niente! Fai attenzione alla strada, per piacere!”
Nel frattempo ci lasciamo alle spalle la città (che a questo punto, senza quel pericolo pubblico di mia sorella, sarà un posto certamente più sicuro); davanti a noi si prospetta un’autostrada sconfinata, ma il non scorgerne la fine, né un indizio di quello che vi troverò, un po’ mi spaventa.
Confesso che la guida spericolata di Micaela, se in un primo momento ha obbligato il mio povero stomaco ad implorare pietà, non è poi così male: sono talmente concentrata ad agguantare il volante per evitare di schiantarci sul guard rail o sullo sfortunato autista che ci transita accanto, che riesco a sfuggire per pochi istanti dalla mia cappa di angoscia.
Giunta ad un certo punto, dolorante per la tensione a mille e intirizzita dal vento, mi trovo costretta a pregare Micaela di fermarsi per una breve pausa. Mia sorella, con evidente disappunto, gira di scatto il volante per imboccare la corsia di uscita, tagliando però la strada agli automobilisti alle nostre spalle che, comprensibilmente, ci ammoniscono con una potente strimpellata di clacson.
Non appena Micaela parcheggia, mi catapulto fuori da quella macchina di tortura.
“Vuoi qualcosa?” le domando, indicandole il piccolo supermarket.
La mia sorellastra non si degna nemmeno di rispondermi; afferra la sua sbrilluccicosa pochette, ne estrae uno specchietto e un rossetto e, con estrema precisione, si aggiusta il trucco.

Va bene...

Non mi faccio troppi problemi e corro svelta verso il negozio, godendomi cinque minuti di tregua da quell’auto infernale e, soprattutto, da quella squilibrata della sua autista.
Me la prendo comoda, lo ammetto: giro tra i vari corridoi, intanto sgranchisco le gambe ancora indolenzite, osservo le confezioni esposte sugli scaffali mentre l’odore del caffè s’infiltra dolcemente nelle mie narici e stimola in me un languorino. Decido, tuttavia, di concedermi solamente un pacchetto dei miei immancabili marshmallow.
Ritorno, con un certo dispiacere, alla cabriolet rosa dove Micaela è passata a sistemarsi il foulard.
“Ne vuoi uno?” le chiedo, porgendole la confezione.
Lei arriccia il naso.
“Come diavolo fai a mangiare quella roba?!”
“Sono buoni!” esclamo, addentando con gusto uno dei miei soffici dolcetti.
Micaela si abbandona ad una smorfia schifata.
“Sì, se vuoi avere dei canotti al posto dei fianchi!”
“Ho bisogno di dolcezza, Micaela.” ribatto, risoluta “La tua acidità mi sta portando all’esaurimento.”
E così, in compagnia dei miei golosi marshmallow, ci rimettiamo in viaggio.
Nel frattempo i minacciosi banchi di nuvole vengono spazzati via per lasciare il posto ad un'inaspettata ma splendida giornata di sole, di quelle che quasi fatichi a ricordarne una altrettanto bella, come avessi trascorso gli ultimi mesi della tua vita in uno scantinato buio ed umido.
L’ampia e trafficata autostrada appare un ricordo lontano quando iniziamo a perderci tra le piccole stradine scoscese della campagna. Queste s’insinuano morbide nel bel mezzo del paesaggio, colorato da meravigliose distese di girasoli e interrotto qua e là da colline ricoperte da coltivazioni di vite.
E’ in quel frangente che mi rendo conto di quanto siamo vicine alla meta.
Un prepotente senso di agitazione comincia a martellare nel mio petto, tanto da meditare seriamente di agguantare il volante e fare inversione.
Finché, in lontananza, la vedo.
Eccola lì, casa mia.
Dopo aver percorso un sentiero costeggiato da una possente schiera di cipressi, attraversiamo una volta intrecciata da tralci di vite, i quali si divertono a creare con il sole dei suggestivi giochi di luce.
Sbuchiamo in un vasto cortile, delimitato da rigogliosi cespugli di rose e abbellito da una fontana di marmo bianco che si erge imponente al suo centro.
Di fronte a noi, in tutta la sua magnificenza, svetta l’elegante residenza dei Marchesi Montalto della Leonessa.
Micaela inchioda all’improvviso sulla ghiaia, provocando un fastidioso stridio.
“Tu vivevi qui?!” domanda, sbalordita.
Io annuisco, quasi con timore.
“Cazzo!”
“Micaela!” la rimprovero “Il linguaggio!”
Lei, per tutta risposta, m’ignora, troppo impegnata ad ammirare la pittoresca facciata della casa.
“Hai vissuto in un castello!” s’incaponisce “Te ne rendi conto, Nadia?”
“Credo che nostro padre non abbia mai fatto mancare niente né a te né a tua madre.”
“No, questo no. Ma non credevo che il Vecchio vivesse in una reggia!”
Corrugo la fronte.
“Perché ti ostini a chiamarlo Vecchio? Era tuo padre!”
Micaela, tanto per cambiare, mi zittisce con un irritante gesto della mano.
Poi, dal portone d’ingresso, vedo affacciarsi il volto raggiante di Alfredo, il mio maggiordomo, che con passo un po’ affaticato si dirige verso di noi. Mi scaravento fuori dall’automobile e corro da lui. Alfredo mi offre la mano guantata, come da cerimoniale, ma me ne infischio e mi getto tra le sue braccia.
“Sono così contenta di vederti, Alfredo!”
Per un momento ho l’impressione di essere tornata quella bambina dalla scompigliata chioma rossa che aveva tanto bisogno di un amico sincero con cui sfogarsi.  All’epoca sapevo, con assoluta certezza, di poterlo trovare in Alfredo. E anche adesso, riconoscendo l’inconfondibile fragranza di muschio del suo dopobarba e il tocco così dolce e delicato delle sue dita, non posso che essere della stessa opinione.
“Anche io sono contento che Lei sia qui, signorina Nadia.” mormora lui, la voce roca spezzata dall’emozione “Davvero molto, molto contento.”
Alfredo si divincola dalla mia stretta vigorosa e prova a mascherare l'imbarazzo esibendo un ampio sorriso che accentua le rughe agli angoli del suo sguardo.
Appena avverto il fragore dei tacchi di Micaela sulla ghiaia, Alfredo raddrizza subito la schiena e porge i suoi saluti alla nuova arrivata, reclinando il capo di lato in segno di ossequio. Ma la mia sorellastra ignora la premura del mio maggiordomo, in quanto getta ai suoi piedi il beauty e, impassibile, si indirizza verso casa.
Alfredo ed io ci scambiamo un’occhiata, rapida ma più che eloquente.
Non riuscendo a convincerlo a lasciarmi scaricare le valigie, insisto perché sia io a portare il macigno di Micaela, fingendo sia il mio bagaglio.
Intanto che salgo i gradini d’ingresso, con il carico di Micaela appresso, ascolto mia sorella lanciarsi in un’altra delle sue “raffinate” esclamazioni.
“Micaela!” la riprendo, esasperata “Ti ho chiesto per favore di moderare il tuo vocabolario!”
La raggiungo e, con mia sorpresa, la trovo nel bel mezzo di una contemplazione mistica: osserva strabiliata le due trionfali scalinate centrali, che conducono alla parete sui cui è appeso un solenne ritratto del primo Marchese Montalto della Leonessa, le cascate di fiori che adornano i corrimani in ferro battuto, il lampadario tempestato da una cascata di gocce di cristallo e i pregiati tappeti persiani sui quali poggia incredula i suoi décolté.

Bentornata a casa, Nadia.



Angolino dell'Autrice: Ciao mie zeppole strabordanti di crema!
Come avete trascorso il week-end? Vi siete riposati?
Spero tanto che il mio capitolo vi abbia infuso lo spirito giusto per iniziare una nuova settimana.
Vediamola così: non potrà essere peggio dello sventurato viaggio compiuto da Nadia!
Grazie per la vostra costante presenza e l'affetto meraviglioso che mi dimostrate. Non avete idea della forza che mi date!
Ringrazio anche chi mi sostiene attraverso la mia pagina Facebook di cui
, se volete passare, vi lascio in link --> https://www.facebook.com/Clairy93-EFP-400465460046874/?ref=aymt_homepage_panel
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy.

 

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Capitolo 8
*** Cespugli di rose ***


 
Cespugli di rose

 
 

“Pensi di restare lì imbambolata per molto, Micaela?”
Il mio tono indispettito riesce a distoglierla da quello stato di estasi mistica che il ritrovarsi nello sfarzoso atrio di casa mia ha originato in lei.
Si gira rapida verso di me, sfilandosi i grandi occhiali da diva hollywoodiana.
“Non capisco. Hai vissuto nel lusso più sfrenato, eppure guardati: sembra che tu non sappia nemmeno cosa sia il buon gusto!” mi provoca Micaela, lasciando trapelare una nota di voluta cattiveria.
“Come al solito la tua sensibilità mi commuove…”
Con un paio di falcate mi allontano da mia sorella, fonte di perfidia gratuita.
“Dai, Nadia! Guarda che scherzavo!”
Micaela mi corre dietro, accompagnata dall'incalzante ticchettio dei suoi decolté.
“Ascolta, Micaela!” mi volto di scatto, rischiando, con una certa soddisfazione, di farla inciampare “Ti ringrazio per il passaggio in auto e sì, ti devo un favore. Ma mi dà fastidio questa tua strafottenza!”
Imbroncia le labbra rosso fuoco, sbattendo le ciglia fintamente dispiaciuta.
“Come sei permalosa, sorellina!”
“Lo vedi?!” sbotto io “E’ questo tuo modo di fare che mi dà sui nervi!”
“Ah! Io ti do sui nervi?! Ieri sera non solo ho dovuto imprestarti il mio dentifricio, ma hai pure lasciato aperto il tubetto!”
“Non ho lasciato aperto il dentifricio!”
“Oh sì, invece!” persevera lei “E lo hai spremuto dal centro quando tutti sanno che bisogna partire dal fondo!”
Le mie braccia cadono pesanti sui fianchi.
“Dobbiamo avere questa conversazione proprio adesso?!”

“Nadia? Sei tu, cara?”

Riconosco subito la voce.
E’ quella di mamma.
Deve averci sentito discutere dalla stanza adiacente.
“Sì, mamma! Sono io.”
Ed è così che faccio il mio goffo e assai imbarazzato ingresso nel salotto, nel quale scorgo mia madre assettata sul nostro divano damascato. Non appena mi vede entrare, drizza le sue esili spalle.
“Tesoro! Sei venuta!”
Mamma cerca di sollevarsi reggendosi al bracciolo, soccorsa all’istante da mia nonna Lavinia, seduta accanto a lei.
“Fa’ attenzione, Virginia! Se ti alzi troppo in fretta ti girerà la testa!”
Io accorro svelta da mia madre, pregandola di riaccomodarsi per evitare che si affatichi inutilmente.
La abbraccio con estrema delicatezza; è così gracile che sembra potersi spezzare tra le mie braccia da un momento all’altro.
“La mia bambina! Che gioia vederti, mia dolce Nadia! Il buon Gesù ha ascoltato le mie preghiere.”
Mamma mi prende il volto tra le sue mani affusolate e sfiora la mia fronte con le labbra.
Compio un inaudito sforzo per sorriderle, poiché un senso di profonda malinconia mi coglie nel notare le occhiaie scure sotto il suo sguardo languido e le ciocche grigie che sfuggono dispettose dal suo disordinato chignon.
“Hai le mani fredde, mamma.” sussurro, racchiudendo le sue piccole mani tra le mie.
“E’ l’emozione, tesoro.” mi rincuora lei, la bocca tremante per la commozione “Volevo vedere il tuo bel visino. E guarda quante belle lentiggini che hai!”
Mi accarezza le guance con il pollice, ma all’improvviso il suo sorriso viene soffocato ad un’espressione di puro terrore.
“Applichi le creme che ti ha prescritto il dottore, non è vero? La tua pelle è molto sensibile, Nadia. Devi proteggerla ed evitare l’esposizione al sole! I raggi ultravioletti poi sono dannosissimi!”
“Virginia, tua figlia abita in città, non nel Qatar! A quale esposizione pensi possa essere sottoposta?” s’intromette nonna Lavinia, troncando il flusso di ansia di mia madre “Non merito anch’io un saluto da mia nipote?”
Nonna spalanca le braccia, facendo tintinnare i grossi bracciali dorati ai suoi polsi. Mi rintano nel suo abbraccio, che sa di lacca e naftalina, anche se il tutto si riduce ad una stretta veloce e spaventosamente formale.
“E’ andato bene il viaggio, Nadia?” mi domanda lei, scuotendo la chioma rossa cotonata e lasciando intravedere due opali ai lobi delle orecchie.
“Sì, è andato bene. Ho notato che nel cortile avete piantato le rose.”
“Oh sì, le gardenie sono state distrutte da quella terribile grandinata di qualche settimana fa.” mi spiega nonna, avvolgendosi nel suo elegante scialle con un gesto plateale (dovete sapere che nonna Lavinia vanta una carriera attoriale degna di nota, ma avrò altre occasioni per parlarne…).
“Potevamo salvarle…” borbotta mia madre, sconsolata.
“Hai sentito cosa ti ha detto il giardiniere, Virginia.” la rimprovera mia nonna “Il danno era irreparabile.”
Mamma si stringe nelle spalle, fissando un punto ignoto davanti a sé.
Lui non avrebbe voluto così…”
Nonna ed io ci scambiamo un’occhiata intensa. Entrambe ricordiamo bene che mio padre, come regalo di nozze, fece piantare degli splendidi e profumati cespugli di gardenie bianche, il fiore preferito di mia madre.
“Allora, tu come stai mamma?” le chiedo, cercando di distrarla “Cosa hai fatto oggi?”
Appoggio il palmo sul suo ginocchio e lei carezza il dorso della mia mano con le sue dita scheletriche.
“Abbiamo fatto una bella passeggiata questa mattina. Non è così, Virginia?” interviene nonna Lavinia, senza neanche dare l’opportunità a mamma di rispondermi.
Lei, infatti, si limita ad annuire debolmente.
Le sfioro la guancia e lei fa lo stesso, ma osservandomi pensierosa.
“Le usi le creme per le lentiggini che ti ha indicato il dottore, tesoro?”
Mi sento crollare dentro, come se un macigno fosse piombato nel mio stomaco demolendo ogni cosa lungo la sua devastante caduta, ma m’impongo di continuare a mostrarmi serena.
“Sì, mamma. Non preoccuparti.” la rassicuro, tuttavia lei pare essersi già smarrita nel viluppo dei suoi pensieri.
Cerco lo sguardo di nonna, forse nell’ingenua speranza di trovare un pizzico di conforto in un suo sorriso, ma sembra più impegnata a sistemare i vistosi anelli sulle sue dita raggrinzite.
Improvvisamente avvisto una figura schizzare verso Micaela, la quale ancora indugia sulla soglia del salotto: si tratta di Delia, la madre della mia sorellastra.
Per un attimo mi stupisce vederla lì. Non deve aver avuto proprio niente da fare se ha preferito trascorrere il fine settimana in nostra compagnia…
Dopotutto anche Delia è parte della famiglia, o meglio, vi si è immischiata l’infausto giorno in cui ha iniziato una relazione con mio padre, e mi piace pensare che sia qui non solamente per scoprire se dalla lettura del testamento risulterà erede di qualche bene...
Delia sgambetta verso la figlia per poi stringerla con eccessivo slancio, stampandole una serie di baci dai quali Micaela tenta di sottrarsi.
Ho avuto modo di incontrare Delia poche volte (come ho già accennato, papà ha sempre tenuto separate le sue due vite sentimentali), eppure mi ha sempre dato l’impressione di una donna oppressa da una battaglia da combattere: quella contro la sua età. La sua blusa trasparente e un tantino troppo attillata e il paio di jeans che scendono strettissimi fino alle caviglie avvalorano il suo assurdo tentativo di contrastare gli anni che passano.
“Smettila, mamma!” bofonchia Micaela, seccata “Mi stai strozzando!”.
“Non ci vediamo mai, pulcino!” ribatte Delia, aggiustandosi una ciocca bionda dietro l’orecchio “Una mamma non può esternare la sua felicità nel rivedere la propria figlia?”
Delia attira elettrizzata Micaela a sé, la quale si ritrova stritolata nel petto prosperoso della madre.
Sullo sfondo di questa scena melensa, fanno la loro comparsa mia zia Ortensia e zio Edoardo, rispettivamente la sorella maggiore e il fratello minore di mio padre, i quali scoccano un’occhiata nauseata a quello sdolcinato quadretto.
Zia Ortensia, accanita fumatrice e con un sempre più evidente problema di sovrappeso, bisbiglia qualcosa all’orecchio del fratello che, indirizzando uno sguardo sprezzante a Delia e a Micaela, ridacchia sotti i baffi.
Io accenno un timido saluto.
La mia opulenta zia s’illumina come un’insegna al neon e trotterella goffa verso di me.
“Nadia! Vieni qui e dai un bel bacione alla zia!”
Senza nemmeno riuscire a rendermene conto, mi ritrovo spiaccicata in quell’ammasso asfissiante di grasso, seguito dall’immancabile serie di vigorosi pizzicotti che zia riserva alle mie povere guance.
“Come sei asciutta, tesoro bello!” dice lei, imbronciata, facendo di conseguenza risaltare il suo inquietante triplo mento “Mangi abbastanza? Mi sa che la città ti sta facendo male!”
“Quantomeno lei è riuscita a sfuggire da questo posto...”
Interviene zio Edoardo, porgendomi la mano che stringo con una lieve esitazione.
“Bentornata, Nadia. Sai, non credevamo ti saresti presentata…”
Aggrotto la fronte.
Vorrei domandargli a cosa si riferisce, ma zia Ortensia non me lo permette, riprendendo con forza la parola.
“Ma avete visto come si è vestita quella?!” mormora, accennando con il capo alla madre di Micaela “Si è scordata cosa voglia dire avere un po’ di dignità!”
“Perché, lo ha mai saputo?” aggiunge zio Edoardo, con una pungente nota di presunzione, per poi nascondere le mani nelle tasche del suo completo griffato.
Zia Ortensia sghignazza tra sé come una iena, inoltre il ghigno compiaciuto che affiora sulle labbra di nonna Lavinia mi appare altrettanto vile.
“Salve gente!”
A fare il suo brioso ingresso è mia zia Amelia, la sorella minore di mio padre, che si catapulta nel salotto con la sua travolgente energia.
Zia Amy è una forza della natura, io la definisco “lo sport fatto a persona”: pratica con successo qualsiasi disciplina, ha vinto un numero incalcolabile di medaglie e riconoscimenti ed è spesso in viaggio per partecipare a campionati in tutto il mondo.
“La mia bellissima nipote!” esclama lei, agitando euforica le braccia “Che bello vederti!”
“Anch’io sono contenta di vederti, zia Amy!”
E, finalmente, questa volta non devo mentire.  
Sono davvero legata a zia Amelia. E’ tanto affettuosa, la considero una donna forte, alla mano e per questo meno vincolata ai cerimoniali di famiglia. E’ sincera e, soprattutto, è rimasta se stessa sebbene l’etichetta prescriva a tutti noi di dover interpretare un ruolo. E’ stata la sua determinazione e la sua voglia di intraprendere nuove sfide che mi ha persuasa a lasciare questa casa per trasferirmi in città.
“Dov’è quel disgraziato di tuo fratello?” mi domanda zia Amy, cingendomi allegra le spalle “E’ già arrivato?”
“Jacopo ci raggiungerà questa sera.” come da copione, è nonna Lavinia a offrire le dovute delucidazioni.
Tuttavia distinguo una nube di contrarietà nella sua espressione.
“C’è qualcosa che non va, nonna?”
“Tuo fratello si comporta sempre come vuole, Nadia.” afferma zia Ortensia “E questo fa infuriare la tua cara nonnina che, come sai, non te la manda certo a dire. Non è vero, mamma?”
“Jacopo è un viziato.” s’intromette zio Edoardo, acido “Non è mai stata impartita una vera disciplina a quel ragazzo. E guarda il risultato…”
Ancora una volta mi lascio sfuggire la possibilità di replicare perché lo zio abbandona la stanza in un paio di ampie falcate.
Zia Ortensia, invece, adocchia sul tavolo posto di fronte alla finestra una ciotola di cioccolatini sui quali si avventa con bramosia.
“Nonna, come mai hai deciso di mandare un telegramma per avvisarmi della lettura del testamento?” le chiedo “Avresti potuto telefonarmi.”
“E che differenza avrebbe fatto, cara?”
“Beh, ne avrebbe fatta! Stiamo parlando di tuo figlio. E di mio padre.”
Nonna Lavinia mi scandaglia con un’occhiata penetrante.
“Vuoi la verità, Nadia? Qualcuno non voleva nemmeno che ti presentassi...”
“E perché?”
Nonna trattiene a stento una risata.
“Oh tesoro, la città ti ha proprio rimbambita! Ma non è ovvio? Meno persone ci saranno, più chi sarà presente avrà l’occasione di accaparrarsi l’eredità.”
“E inviandomi una lettera speravi di toccare meno la mia sensibilità?” prorompo io “O che magari venisse persa nel tragitto? Ma che razza di ragionamento è questo?!”
“Non parlarmi così, signorina!” mi minaccia nonna “Se non fosse stato per me, tu e tua sorella non sareste qui oggi! Io ho insistito che vi fosse recapitato il telegramma. Quindi chiudi la bocca e porta un po’ di rispetto.”
“La brama di denaro ti fa dire delle cose davvero brutte, nonna.”
“Tu vivi ancora nel tuo mondo, cara Nadia.” dice, accarezzandomi la guancia senza alcuna dolcezza “Ma capirai presto.”
Nonna Lavinia si china su mia mamma, assopita sul divano, e la aiuta a mettersi in piedi.
“Dove la porti?” domando allarmata.
“Tua madre deve riposare prima di cena.”
Mi avvicino.
“Potremmo fare una passeggiata, invece! E’ una bellissima giornata e…”
“Ti ho detto che tua madre deve riposare, Nadia! Non insistere.”
Di fronte ai suoi occhi di puro veleno mi ritraggo, mortificata.
Nonna, però, mi esorta a riavvicinarmi ed io, colma di grandi speranze, ubbidisco.
“Un’altra cosa, tesoro. Raccomanda alla tua sorellastra e a quella svampita di sua madre di mantenere un profilo appropriato, per piacere.” poi aggiunge, sottovoce “Le tinte che adoperano devono avergli ossigenato il cervello…”
E così, mentre seguo con lo sguardo mamma che, seppur sorretta da nonna Lavinia, si allontana malferma, mi rendo conto di essere inciampata come un’idiota nell’illusione che mia nonna volesse davvero chiedermi scusa.
Avverto una lancinante ondata di rabbia e umiliazione scombussolare il mio petto, tuttavia un potente colpo di tosse alle mie spalle mi costringe a ricacciare indietro le lacrime.
Ma è solo Micaela.
“Sei ancora convinta che venire qui sia stata una buona idea?”
Incredibile, non ho nemmeno uno straccio di stimolo per rispondere a tono.
“E, comunque, puoi riferire alla tua adorabile nonnina che io sono bionda naturale!”



Angolino dell'Autrice: Ciao mie simpatiche gelatine di frutta!
Mi auguro abbiate trascorso una serena Pasqua e vi siate strafogati di cioccolata!
Dopo un periodo di vacanza è sempre difficile riprendere il ritmo, perciò spero di addolcire il vostro inizio settimana con il mio nuovo capitolo.
Fatemi sapere quali sono le vostre prime impressioni sulla famiglia Montalto e i vostri giudizi sui personaggi.
Mi trovate anche su Facebook, vi lascio il link della mia pagina se volete venire a trovarmi --> https://www.facebook.com/Clairy93-EFP-400465460046874/?ref=aymt_homepage_panel
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy

 

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Capitolo 9
*** Non tirare in ballo il polpettone ***


 
Non tirare in ballo il polpettone
 

“Signori, scusate il disturbo.” Alfredo compare sulla soglia della sala da pranzo, annunciandosi con voce stentorea “E’ appena arrivato il signorino Jacopo.”
Alla notizia del maggiordomo un’orda di sedie striscia rumorosamente sul parquet e ci scaraventiamo come una mandria inferocita all’ingresso.
Celando il viso dietro la mia folta chioma rossa, mi abbandono ad un sospiro sollevato.
Vi spiego subito il motivo: la cena era finalmente giunta alla sua conclusione, tra le altre cose una cena che sarebbe da condannare come illegale per la sua durata esorbitante, durante la quale ogni singolo secondo è stato scandito da quel dannato orologio a pendolo appeso alla parete.
Ma non divaghiamo.
Ebbene, quando il nostro abbondante pasto è terminato (per una cena composta da un flusso interminabile di antipasti, un timballo di maccheroni al forno, un polpettone accompagnato da patate arrosto e pasticcio di verdure e, come gran finale, una bavarese al cioccolato, che ha messo il mio stomaco definitivamente k.o., l’aggettivo “abbondante” risulta quasi ironico…), si è venuta a creare quella situazione per cui sarebbe stato splendido potersi alzare da tavola e, con nonchalance, allentare la cerniera dei pantaloni che all’improvviso si erano fatti stretti.
Tuttavia l’etichetta impone di dedicare il dopocena ad una sana e stimolante conversazione e, con mio grande sgomento, è stata nonna Lavinia a prendere la palla al balzo chiedendomi, diretta quanto un Panzer all’attacco, se io avessi un compagno o stessi frequentando un uomo. Alle mie risposte negative vedevo crescere nei suoi occhi la più debilitante disapprovazione, quasi proporzionale al rossore che tingeva le mie gote. Immaginate quando le ho rivelato che, almeno per ora, mi sarei concentrata sul lavoro: se avesse avuto la vista laser (e non è da escludere che ce l’abbia) mi avrebbe disintegrata!
Insomma, Alfredo ha interrotto la chiacchierata al momento propizio.

Ma torniamo a noi.

Accalcati come i peggio voyeur davanti alla portafinestra, con i nostri polpastrelli ben impressi sul vetro, scorgiamo nella fioca luce del tramonto l’elegante profilo di una Ferrari parcheggiata nel cortile.
Dallo sgargiante veicolo rosso fuoco spunta mio fratello Jacopo, il quale sistema la camicia bianca, leggermente sbottonata, dentro i suoi jeans a vita bassa.
Jacopo corre al lato del passeggero e, spalancando con gesto galante la portiera, svela il suo misterioso compagno di viaggio: la comparsa di una stangona biondo platino, compressa in una minigonna di pelle rossa e un corpetto aderente, provoca un boato di sconcerto generale tra i miei parenti.
“E quella chi sarebbe?!” squittisce zia Ortensia, la cui generosa circonferenza ostruisce la mia visuale.
Intravedo la bionda ondeggiare sensuale verso l’ingresso, esibendo fiera una vertiginosa scollatura, mentre mio fratello la raggiunge per poi cingerle il fianco.
“Wow! Il tuo fratellino ci dà dentro!”
Le osservazioni di Micaela appaiono ogni volta alle mie orecchie come lo stridere delle unghie su una lavagna: fastidiose ed estremamente irritanti.
Nel frattempo Alfredo si occupa di accogliere Jacopo scortandolo nel salotto in compagnia della sua inattesa amichetta, alla quale mio fratello sussurra qualcosa che suscita in lei un’improvvisa risata da oca giuliva.
“Buonasera, adorata famiglia!”
Anche se nutro i miei dubbi sull’effettiva sincerità di quell’appassionato riferimento all’ “adorata famiglia”, Jacopo saluta tutti i presenti, me compresa, con un bacio veloce sulla guancia o una stretta di mano.
Poi si gira verso la sua bella stangona, esortandola ad avvicinarsi.
“Lei è Vanessa.”
“Sono la fidanzata di Jacopo!” precisa lei, svelando una delle voci più sgradevoli che io abbia mai udito “Che bella casa, signora!”
Vanessa si rivolge a mia madre che le concede giusto una rapida scorsa, in quanto troppo presa dal contemplare estasiata il suo amato figliolo.
“Fammi un favore, bambolina.” mormora Jacopo, con fare ammiccante “Mi sono scordato di chiudere la Ferrari. Potresti andare tu?”
“Ma certo, cucciolotto!”
Le passa le chiavi e si stampano un bacio sulle labbra, con annessa palpatina di lui al fondoschiena di lei.
Mentre Vanessa si allontana sculettando, quasi fosse consapevole di aver calamitato i nostri sguardi su di sé, mi accorgo che mio fratello fissa la ragazza con un risolino ebete ed io, esasperata, gli assesto una gomitata.
“Dunque, chiariamo subito le cose.” dice, massaggiandosi il braccio e lanciandomi una frecciata omicida “Vanessa è la mia fidanzata, siete in grado di comportarvi in modo decente ed evitare di farmi fare figuracce?”
“E chi ti ha detto che la tua fidanzata fosse invitata?” domanda subito nonna Lavinia, con la sua consueta freddezza.
“Lei si chiama Vanessa, nonna.” puntualizza lui “E ci teneva a conoscervi. Perciò potresti fare un piccolo sforzo per essere meno insopportabile?”
Nonna affila lo sguardo.
“Stai attento, giovanotto!”
“Tua nonna ha ragione.” s’intromette zio Edoardo “Avresti potuto almeno avvisare.”
Jacopo ostenta un sorriso sghembo.
“Sarebbe cambiato qualcosa, zio?”
“E dove avresti conosciuto questa Vanessa?” chiede nonna, pronta a tornare all’attacco.
Lui fa spallucce.
“A te che importa?”
“Se permetti ho il diritto di sapere. Fino a prova contraria hai introdotto un’estranea sotto il mio tetto.”
“Ci siamo incontrati ad una festa.”
“Che tipo di festa?”
Jacopo sbuffa.
“Ma che razza di domanda è?!”
“Rispondi, Jacopo.” insiste nonna, irremovibile.
“Era…un evento di beneficenza...”
“Stai mentendo.” lo accusa lei.
Mio fratello lascia cadere sdegnato le braccia lungo i fianchi.
“La tua fiducia mi commuove, nonna!”
“E la tua faccia tosta è riprovevole!”
“Dai mamma, smettila di fargli il terzo grado!” zia Amelia smorza la tensione, stringendo affettuosamente Jacopo per le spalle “E’ bello rivederti, nipote! Sei diventato un gran… com’è che dite voi giovani? Gnocco?”
Entrambi scoppiano in una risata. Direi che mio fratello dovrebbe essere grato a zia Amy per il suo salvataggio in extremis!
“Hai mangiato, Jacopo?” interviene mia mamma. Ho l’impressione che non abbia colto nemmeno una parola della conversazione, smarrita come al solito in chissà quali castelli mentali.
“Sì, mamma. Sono a posto.”  
Lei curva le pallide labbra in una smorfia sconsolata.
“Ma ho fatto preparare il polpettone, tesoro!”
“Ti ho detto che sono a posto, mamma!”
Lei gli accarezza una guancia.
“Ma tu adori il polpettone!”
“Non più!” tuona lui, scansandosi “E smettila di soffocarmi!”
“Non parlarle così!” lo rimprovero io “Non capisci che è solamente felice di vederti? Non vieni mai a trovarla!”
Jacopo incrocia le braccia al petto, indirizzandomi un’occhiata sferzante.
“Ah, perché tu sei sempre molto presente! Vero, sorellina?”
“Dateci un taglio voi due!” ci riprende la nonna “Entrambi avete lasciato molto a desiderare come figli. Sfruttate quest’opportunità per rimediare alle vostre mancanze invece di punzecchiarvi come degli adolescenti capricciosi!”
Nonna Lavinia ha questo maledetto potere di farmi sentire ogni volta la persona più cattiva dell’universo. E la cosa peggiore è che ha ragione…
Intanto Alfredo, furtivo e silenzioso come uno spiritello, appare alle nostre spalle.
“Signori, se volete accomodarvi in biblioteca è tutto pronto per la lettura del testamento dell’onorevole Marchese Montalto da parte del notaio.”
Alla notizia percepisco una folata di agitazione intirizzire i presenti.
Mentre ci avviamo verso la biblioteca, celando più o meno con successo la nostra impazienza, la biondissima Vanessa rientra in salotto e scuote (oltre ai suoi fianchi sinuosi) le chiavi della Ferrari dinanzi agli occhi di mio fratello.
Jacopo prova ad afferrarle ma la sua dispettosa fidanzata si allontana, facendo roteare il mazzo sul suo indice. Lo sguardo provocante di lei sembra scatenare in mio fratello un’ondata ormonale: lui, con tutta la sua prestanza maschile, la tira con forza a sé e si scambiano effusioni appassionate.
Quando avverto in gola il nauseante saporaccio della bavarese al cioccolato che ho mangiato a cena, mi giro dall’altra parte e raggiungo gli altri.
Al mio fianco, come ormai da copione, sbuca Micaela.
Con la coda dell’occhio la vedo mentre sbircia Jacopo e Vanessa, i quali sghignazzano amabilmente dietro di noi.
“Tipetto simpatico questo Jacopo. Ma siete gemelli?”
“Sì.”
Micaela inarca un sopracciglio, perplessa.
“Strano, non vi assomigliate per niente.”
“Già…” farfuglio, chinando il capo a terra.
“Perché prima ha sbottato con tua madre? Non lo vede che è fuori di testa?”
La fulmino all’istante.
“Non parlare così di mia madre!”
“E dai, Nadia! E’ la verità!”
“C’è modo e modo di dire le cose, Micaela. E poi da quando ti interessa cosa dice o fa Jacopo?”
La mia sorellastra infila le mani nelle tasche del suo maglione peloso.
“Sono solo curiosa. I pettegolezzi sono ciò che mi permetteranno di sopravvivere in questi giorni.”
S’insinua un greve silenzio che, con mia grande sorpresa, sono proprio io a spezzare.
“Ha reagito così per il polpettone.”
“Il polpettone?” ripete lei, confusa “Piuttosto irascibile il tuo fratellino…”
“Ogni domenica, quando eravamo piccoli, Jacopo aveva l’abitudine di trascorrere la mattinata con nostro padre. Si sedevano in giardino e passavano ore a costruire i modellini delle barche. Poi andavano al laghetto e provavano a farle funzionare. Per pranzo, mamma ordinava alla cucina di preparare il piatto preferito di Jacopo, il polpettone di carne.”

Entrando nella biblioteca mi sento invasa da una spiacevole sensazione.
Che strano, penso. Eppure ho sempre trovato così affascinante la biblioteca! Quante le volte in cui, in piena notte, mi rintanavo qui; e regolarmente vi trovavo mio padre, seduto sulla poltrona a fiori vicino alla grande finestra (“Vengo qui per cercare di prendere sonno, ma ogni volta dimentico quanto sia eccitante leggere nella speranza di non venire scoperti!” mi diceva sempre). Allora sceglievo un libro dallo scaffale e mi accoccolavo tra le sue braccia finché, esausta, non mi addormentavo.  
Ora, invece, quegli imponenti scaffali mi scrutano dall’alto della loro conoscenza, quasi volessero accusarmi di non essere più venuta a rispolverare qualche vecchio tomo, come ero solita fare.
Guardate chi si è degnato di farci visita… - li sento bisbigliare – Non si è fatta vedere per anni… E quando ha deciso di tornare a casa? In occasione dell’infausta fine che è toccata al nostro premuroso proprietario. Lui sì che ci voleva bene!
Alfredo ha predisposto un paio di file di sedie di fronte alla scrivania di legno su cui campeggia il notaio, il quale si precipita a stringere la mano ad ognuno di noi.
Il palmo del signor Stefano De Luca, questo il suo nome, è sudaticcio. I suoi pochi capelli non sono in un miglior stato e, con gesto nervoso, continua a sollevare gli occhiali che tendono a scivolargli sulla punta del naso.
Impacciato, se ne torna a spalle curve alla sua postazione, iniziando a rovistare tra le carte sparse sulla scrivania.
Nel frattempo ci accomodiamo ai nostri posti: da un lato troviamo zia Ortensia, sul cui peso la sedia traballa pericolosamente, che pare alquanto presa da una fitta conversazione con Jacopo e Vanessa, la quale si struscia su mio fratello con la grazia di una gatta in calore. Dietro di loro, in disparte, c’è zio Edoardo che con un’espressione di agghiacciante serietà fissa a braccia conserte il notaio De Luca, quasi si preparasse a incenerirlo...
Sull’altro lato, invece, ci siamo io, Micaela e, vicino a lei, sua madre Delia che insiste a tartassare la figlia con commenti velenosi sui presenti.
Davanti a noi si siedono un’impassibile nonna Lavinia e mia mamma, la cui esile schiena già sussulta al ritmo dei suoi singhiozzi silenziosi. All’appello manca solo zia Amy che, dopo pochi secondi, si catapulta accanto a me tentando di camuffare un certo affanno.
“Tutto bene, zia?” le chiedo.
“Benissimo, tesoro!” bisbiglia lei, scuotendo con eccessiva foga i suoi corti capelli corvini e attenta a non incrociare il mio sguardo “Sono dovuta correre al bagno. Mi scappava così tanto che avevo paura di scoppiare!”
“Signori, b-buonasera!” comincia il notaio De Luca, tamponandosi la fronte imperlata di sudore con un candido fazzoletto “Sono sinceramente dispiaciuto di aver interrotto la vostra serata rievocando la scomparsa del nostro amato Marchese Montalto. Tuttavia fu lo stesso Marchese a rivolgermi l’esplicita richiesta di divulgare le sue volontà non appena l’intera famiglia si fosse riunita.”
Non riscontrando particolari reazioni, il signor De Luca apre una busta finemente sigillata e, dopo una veloce grattatina di capo e un colpo di tosse per schiarirsi la voce, inizia la lettura del testamento di papà.
 
Io sottoscritto Marchese Libero Montalto della Leonessa, nato a Contea di Montalto della Leonessa il 14 aprile 1949, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali con il presente testamento dispongo quanto segue.
Designo unico erede dei miei beni, usufruttuario della Residenza e nuovo dirigente nella gestione dell’azienda mia figlia Nadia Montalto della Leonessa.
Inoltre,
nomino come sua stretta collaboratrice e consigliera la mia seconda figlia Micaela Montalto della Leonessa.



Angolino dell'Autrice: Ciao miei golosi milkshake alla fragola!
Spero abbiate trascorso un sereno week-end e abbiate ricaricato le batterie per una nuova settimana.
Come sempre mi infondete un'energia pazzesca e non posso che ringraziarvi per l'affetto con cui mi state seguendo in questa avventura.
Siete semplicemente splendidi!
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy


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Capitolo 10
*** Manicomio 2.0 ***


Manicomio 2.0
 


“Tutto qui?!” grida zio Edoardo, gli occhi infiammati da una rabbia tanto divampante da poter disintegrare chiunque abbia la cattiva idea di porsi nel suo raggio visivo “Non viene riportato nient’altro nel testamento?!”
Il religioso silenzio calato nell’esatto istante in cui è cominciata la lettura del testamento di mio padre sembra ormai un ricordo lontano.
Al suo posto, infatti, subentra un brusio confuso: la comprensibile e alquanto preoccupante conseguenza delle incisive parole pronunciate dal notaio De Luca.
 
Designo unico erede dei miei beni mia figlia Nadia Montalto della Leonessa… e sua stretta collaboratrice e consigliera la mia seconda figlia Micaela Montalto della Leonessa.

Un frastornato signor De Luca si gira e rigira tra le mani il testamento, forse nell’ingenua speranza di scovare qualche microscopica postilla che possa salvarlo dalla furia di zio Edoardo?
“Questo è q-quanto, signori.” ci assicura lui, scuotendo timoroso il capo.
“Non può essere!” inveisce mio zio “Dove è scritto cosa spetta a noi?!”
“I-io n-non so proprio cosa rispondere…”
“Lei ci sta prendendo in giro, vero?! Forse non ha compreso che nessuno qui ha voglia di scherzare!”
“Edoardo!” lo riprende subito zia Amelia.
E’ nonna Lavinia a prendere la parola: le è sufficiente alzarsi in piedi e lanciare qualche occhiata torva per far tacere quel trambusto.
“Quello che mio figlio Edoardo vuole dire, signor De Luca, e ne condivido le perplessità, è che nel testamento non viene nemmeno nominata la presenza di un’eredità o di un conto bancario. Come può spiegare una situazione del genere?”
“Signora, sono davvero mortificato.” biascica il notaio “Ma posso garantirvi che quelle che ho tra le mani sono le autentiche disposizioni del Marchese. Non so su quali basi possiate attestare l’esistenza di un’eredità, ma il Marchese non ne ha mai fatto parola durante la stesura dell’atto.”
“Ma ci ha presi per deficienti?!” zio Edoardo non demorde e insiste nella sua agguerrita offensiva contro il malcapitato notaio De Luca “Secondo lei siamo così sprovveduti da pensare che Libero non avesse una fortuna da qualche parte? Ha mentito, mi pare ovvio!”
“Non è colpa del notaio, Edoardo.” sibila zia Amy “Smettila di comportarti da isterico!”
“Sì, però Edoardo ha ragione!” interviene zia Ortensia, petulante come suo solito “Chi ci crede che nostro fratello non possedesse un bel gruzzoletto!”
“Quel bastardo l’ha tenuto ben nascosto, ve lo dico io!” riprende zio Edoardo “Pur di non condividere con i propri fratelli ha finto che non vi fosse alcuna eredità!”
Zia Ortensia annuisce con vigore e il suo collo, già corto, finisce per venire inghiottito dal suo imponente doppio mento.
“Dio, Edo!” zia Amy scatta in piedi, scagliandosi contro zio Edoardo “Libero era nostro fratello! Mostra un minimo di decenza!”
Si alza anche lui e con un tale impeto da rovesciare la sedia sul pavimento.
“Non fare l’innocente, Amelia!” impreca, sovrastandola dall’alto dei suoi due metri e puntandole un indice minaccioso “Serve anche a te quel denaro!”
I due si scrutano in cagnesco, i loro volti così vicini da potersi quasi sfiorare.
“E lei, De Luca!” zio Edoardo si volta e, con un gesto teatrale del braccio, indirizza al notaio uno sguardo assassino “Veda di tirare fuori il vero testamento e comunicarci al più presto dove quel buffone del Marchese ha nascosto l’eredità!”
Il tono scontroso dello zio e la tensione che impregna ogni angolo della biblioteca causano in mia madre una prevedibile crisi nervosa di pianto. Non mi azzardo neanche ad avvicinarmi poiché nonna Lavinia, con una rapidità impressionante, si fionda su mamma come una chioccia apprensiva.
“I soldi verranno fuori.” dichiara nonna, calma, lambendo la schiena della sconsolata nuora “Cerchiamo di preservare una parvenza di contegno ed evitiamo queste pantomime vergognose. Mi sono spiegata, Edoardo?”
“Tu questa la definisci una pantomima, mamma?!” ribatte mio zio “Ti rendi conto che il tuo primogenito ha posto le nostre sorti nelle mani di due incapaci?”
Tralasciando il tenero aggettivo affibbiatomi da zio Edoardo, mi sento uno schifo.

Bello scherzo, papà! Davvero!

Ciò che più mi terrorizza è essere stata nominata a capo dell’azienda di famiglia.
Ma cosa diavolo gli è saltato in mente?! Il giorno in cui ha redatto il testamento si sentiva particolarmente burlone?
Io non so nemmeno in cosa consistesse il suo lavoro, è sempre stato vago al riguardo...  Sì, sapevo che dirigeva una collana di libri economici, ma non ho la minima idea di come funzioni la produzione né tantomeno il modo in cui si amministra un’impresa.
E vogliamo parlare della casa? Mi ha nominata usufruttuaria!

Ma seriamente?!

Io che da ragazza sono arrivata addirittura a detestare queste pareti, adesso mi ritrovo ad esserne la proprietaria!
Piuttosto ironico, no?
Quindi mi chiedo: per quale oscuro motivo mio padre non l’ha lasciata a qualche altro membro della famiglia? Guardali, al momento sarebbero capaci persino di sterminare un allevamento di panda pur di leggere il proprio nome sul testamento!
Allora perché a me? Perché io?!
Per vendetta? Forse voleva accollarmi tutte quelle responsabilità che lui ha dovuto sostenere da solo per anni? O più semplicemente offrire un pretesto alla famiglia per scagliare tutto il loro odio contro di me?
Beh, con quest’ultima ci è riuscito alla grande…
“Niente è ancora dato per certo, Edoardo.” ribadisce nonna Lavinia.
“Ma vorrei ben vedere!” prorompe un’esterrefatta zia Ortensia “Che poi, se ci penso, Libero si è comportato proprio da gran fetente! Non solo avrebbe dovuto spartire con i suoi fratelli, ma avrebbe potuto almeno lasciare la casa a sua moglie!”
Delia, la madre di Micaela, si lancia in un’esclamazione soddisfatta.
“Oh, finalmente qualcuno che dice una cosa sensata!”
“Non mi stavo riferendo a te, biondona!” obietta zia Ortensia, posando le mani sui suoi generosi fianchi “Non so nemmeno cosa tu ci faccia qui! Se Libero non ha indicato come eredi i suoi fratelli, certo non avrebbe incluso te!”
Delia sfodera un ghigno velenoso.
“Libero non voleva darvi neanche un centesimo! Lui non vi sopportava! Te compresa, cicciona! Io gli sono stata vicino negli ultimi giorni e ha promesso che mi avrebbe lasciato parte dell’eredità.”
“Te lo avrà detto per farti chiudere quella boccaccia!” controbatte subito mia zia, suscitando l’inopportuna ilarità di Vanessa, la biondissima fidanzata di mio fratello.
“Smettetela voi due, siete vergognose!” le rimprovera zia Amy, rivolgendo ad entrambe un’occhiataccia.
“Ma tu da che parte stai, Amelia?!” reagisce zia Ortensia, stizzita “Dovresti essere indignata quanto noi! Hai afferrato che nostro fratello ci ha bellamente ignorato?”
Amelia ruota gli occhi al cielo, sbuffando.
“Sei infantile…”
Tuttavia, zia Ortensia la ignora.
“E poi dai, siamo sinceri: la nostra piccola Nadia a conduzione dell’azienda di famiglia?” trattiene una risata “Oh cielo, sembra una barzelletta!”
“Sarebbe un incubo!” torna alla ribalta zio Edoardo “Cosa vuoi che ne sappia una maestra delle elementari su come si gestisce un’impresa?!”

Io sono ancora qui, vorrei dirgli.

“Dovrei esserci io a capo dell’azienda!” sostiene Jacopo, infastidito (e con tanti cari saluti alla solidarietà fraterna!) “Sono il figlio maschio, mi spetta di diritto!”
“Certo, se il nostro obiettivo fosse quello di trascinare l’impresa al fallimento nel giro di quarantott'ore!” dice Edoardo, con la sua consueta dose di veleno “Tra i due mali quasi preferisco la maestra...”
Il mio sguardo si posa in un primo momento su Jacopo, i cui occhi verdi sprizzano fuoco e fiamme, per poi incrociare quello di mio zio che mi scandaglia con una tale intensità da provare l’irrefrenabile istinto di nascondermi sotto terra.
Chino il capo e, con grande sorpresa, mi accorgo che Micaela è scomparsa.
Mentre tutti riprendono ad accanirsi contro il povero notaio De Luca, io mi dileguo silenziosa.
Non appena mi lascio alle spalle la biblioteca mi abbandono ad un lungo e sconsolato sospiro.
Attraversando con passo pesante il salotto, intravedo una sagoma familiare fuori dall’ampia porta finestra.
E’ Micaela.
Faccio scorrere la vetrata e mi avvicino.
Si porta alle labbra una sigaretta e ne trae una boccata piena, socchiudendo per un istante le palpebre.
“Non pensavo fumassi.” ammetto, stringendomi nel mio cardigan per ripararmi dalla frizzante aria serale.
Lei emette una densa nuvola di fumo.
“Solo quando sono molto nervosa, che più o meno equivale al 90% della mia giornata. Quindi sì, diciamo che fumo.”
Micaela persiste nel fissare un punto davanti a sé, forse nella speranza che, continuando ad ignorarmi, io possa volatilizzarmi.
“Perché sei andata via?”
“Non è ovvio? E’ un manicomio lì dentro!”
Accenno una timida risata.
“Si sistemerà tutto, vedrai.”
“Quanto sei ingenua, Nadia!” sibila, guardandomi di traverso “Questo è solo l’inizio di una catastrofica rovina. E ti dirò di più, vedo già la fine: io e te massacrate dalla follia della nostra stessa famiglia!”
Sbuffo.
“Come sei tragica, Micaela!”
“Io sarei tragica?! Ti rendi conto in che razza di situazione ci ha messo il Vecchio? Lui ha segnato la nostra condanna, Nadia! Noi non abbiamo la minima idea di come si manda avanti un’azienda e tutti lì dentro se ne sono accorti. Se già non vedevano l’ora di farci fuori, ora sono pure facilitati…”
“Deve esserci una spiegazione...”
“Smettila di voler sempre giustificarlo!” mi attacca lei “Il nostro paparino era fuori di testa! E magari era pure sommerso dai debiti, così ha avuto la fantastica idea di trascinarci giù insieme a lui!”
“Senti, Micaela: so bene che è un grande casino, cosa credi?” ribatto io “Ne so quanto te su come si gestisce un’impresa, ma insieme troveremo un modo!”
“Oh no! Non c’è nessun noi, nessun insieme! Se vuoi assumerti la responsabilità di questa cosa lo farai da sola, sorella! Io mi taglio fuori!”
“Non puoi farlo!”
Micaela inarca il sopracciglio.
“E perché no?”
“Perché da sola non ce la posso fare…”
Pronunciare queste parole mi richiede uno sforzo mentale notevole (nonché un paio di rospi da ingoiare in silenzio), ma perlomeno distinguo in Micaela un lieve cedimento.
“Nadia, non so cosa dirti…” la mia sorellastra si stringe nelle spalle, quasi volesse trovare un riparo da questo rocambolesco susseguirsi di eventi “Sono venuta qui solo per farti un favore, ma non ho intenzione di venire coinvolta in questa questione. E’ quando si tirano in ballo i soldi che la propria famiglia tira fuori il peggio di sé...”
“Sono solo sconvolti. Lo siamo tutti.”
Micaela scuote il capo e getta a terra il mozzicone di sigaretta, calpestandolo con il tacco dello stivale.
“Ti sbagli, Nadia. Hai sentito prima come ci hanno definite? Due incapaci. Nessuno qui è sconvolto, anzi! Ognuno si trova in questa casa per un motivo ben preciso: mettere le mani sull’eredità. E sai noi due come appariamo agli occhi dei nostri familiari? Le guastafeste che hanno sottratto loro l’opportunità di intascare il denaro. A questo punto faranno di tutto per farci fuori e, sinceramente, non voglio rischiare di rimetterci la pelle…”
“Forse stai un tantino esagerando.” azzardo, tentando di smorzare la cappa di negatività attorno a Micaela “Credo che la cosa migliore sia dormirci su e discuterne domani con più calma.”
“Ma sì, facciamoci una bella tisana in compagnia e fingiamo che andrà tutto bene!”
Il suo sarcastico suggerimento, annesso alla melodrammatica movenza delle sue braccia, mi strappano un sorriso.
“Un po’ di ottimismo non ti farebbe male, sai?”
“Scusa se al momento non sono sicura nemmeno di passare incolume questa notte! Beh, una cosa è certa: niente rivela il marcio delle persone meglio dei soldi. E credimi, la nostra adorabile famiglia ucciderebbe pur di ottenere quelli del Vecchio.”



Angolino dell'Autrice: Ciao mie tortine di yogurt e frutti di bosco!
Come state?
Qui fa freddissssimo! Ci vorrebbe proprio una bella cioccolata calda...
Intanto spero di strapparvi un sorriso con il mio nuovo capitolo. Fatemi sapere cosa ne pensate!
E grazie dal profondo del mio cuoricino per essermi sempre accanto!
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy

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Capitolo 11
*** Madri folli ai concorsi di bellezza ***





 
 
Madri folli ai concorsi di bellezza



Micaela ed io veniamo gentilmente scortate da Alfredo fino alla nostra stanza.
Il mio maggiordomo sfila dal taschino un enorme e tintinnante mazzo di chiavi dal quale agguanta con sicurezza quella adatta per aprire la porta e, augurandoci una buona notte, si dilegua lungo il corridoio.
Mia sorella, senza troppi convenevoli, si catapulta all’interno.
Io, invece, indugio sulla soglia.

E’ la mia cameretta.

E’ esattamente come la ricordavo...
Ad eccezione dell’ordine maniacale che regna nella stanza, quasi fosse appena passata la più ligia delle imprese di pulizia!
Potrei giurare di non averla mai vista così immacolata.
Le tende rosa pastello sono stirate alla perfezione così da incorniciare con eleganza l’ampia finestra. Il divanetto lì accanto, dove spesso trascorrevo i miei pomeriggi a scarabocchiare sul mio diario segreto, non è più ricolmo di fogli stropicciati e pennarelli colorati (che il più delle volte scordavo di richiudere con il tappo, lasciando così certe macchie sui cuscini che facevano drizzare i capelli a mia mamma) ma è lindo e ordinato.
Con inspiegabile disagio, mi decido a compiere qualche passo avanti verso il mio grande letto a baldacchino. Scosto timorosa i sontuosi tendaggi in tulle e, tra i cuscini schierati lungo la testata, vedo spuntare i miei amati pupazzi!
Ci sono tutti! La Signora Giraffa, Mirko il Coniglio, Carlotta la Chioccia e…
No!  Non ci credo!
“Maestro Gufo!” strillo, euforica, tanto che per lo spavento Micaela sobbalza.
Prendo il mio peluche tra le mani e avverto un piacevole calore diffondersi nel petto. Adoravo Maestro Gufo, mi stringevo sempre a lui quando ero giù di morale. E come dimenticare le litigate con Jacopo! Mio fratello architettava i peggio stratagemmi per portarmelo via!
Micaela si getta con la grazia di un lottatore di sumo sul letto, sparpagliando qua e là i cuscini e i pupazzi riposti così ordinatamente.
“Materasso ad acqua? Figo!”
Mentre la mia sorellastra tasta la superficie con estrema curiosità, mi abbandono ad un sospiro, rassegnata.
“Ho capito che mi toccherà dormire sul divano…”
“Mi pare ovvio!”
Dovrei avere un dizionario da qualche parte… Peccato che sia troppo stanca per mettermi a cercarlo, altrimenti avrei letto volentieri a Micaela il significato della parola “gratitudine”: potrebbe essere illuminante…
Mi accomodo sul divano. Accanto si trova un mobile vittoriano sul quale è appoggiato un vassoio d’argento che contiene alcune eleganti boccette di profumo.
Apro il primo cassetto e quasi faccio fatica tanta è la mole di fogli al suo interno.
Santo cielo, sono i miei disegni!
Mi ricordano tanto quelli delle mie Coccinelle: una sfilza di ritratti della mia famiglia, figurine stilizzate e dai grandi e raggianti sorrisi. Tralasciando l’inquietante ripetitività dei miei soggetti, questi schizzi racchiudono tutte le speranze di una bambina che, con il suo tratto deciso, credeva che bastasse fissare un momento sulla carta perché durasse per sempre.

Oh che bimba ingenua! Tu, piccola ed innocente autrice che, con una calligrafia un po’ incerta, ti firmi “Nadia”.

“Cosa stai guardando?” mi chiede Micaela.
“I miei disegni. Non pensavo che mamma li avessi conservati…”
“Assurdo! Il tuo guardaroba è da paura!” esclama invece lei, trafitta da una folgorazione divina “Certo che se avessi avuto una camera come questa non sarei più uscita!”
Mi ha ignorato, come al solito. Ma non ci do troppo peso.
Decido di scoprire il contenuto di un altro cassetto ed è pieno zeppo di giocattoli e strani gingilli.
Mi tornano alle mente le storie bizzarre che m’inventavo e le emozionanti cacce al tesoro che mio padre amava organizzare.
Micaela si fionda sul divano, facendomi sussultare.
“Papà giocava anche con te alla caccia al tesoro?” le domando.
“Ti prego, non me ne parlare!” Micaela posa una mano sulla fronte, quasi il solo ricordare le costasse uno sforzo “Era un vero supplizio! Credo che restasse sveglio la notte per scervellarsi sui percorsi da propinarmi! Si divertiva come un bambino!”
“E se ci avesse voluto tutti qui con l’idea di organizzare una sorta di caccia al tesoro per trovare l’eredità?”
“Che cosa sciocca!” sentenzia lei, acida.
“No, non è vero! Forse era un modo per sentirlo vicino.”
“Oh, che pensiero tenero!” risponde, con una nota di spiccata ironia “Peccato che il Vecchio non avesse previsto che il suo giochetto si sarebbe trasformato in una carneficina!”
Micaela mi sfila i disegni di mano e comincia a sfogliarli a velocità supersonica finché uno (stranamente) attira la sua attenzione.
Raffigura un grande casermone costellato da una miriade di piccole finestre e, al di sopra dell’ampio portone d’ingresso, campeggia un’insegna che riporta una serie disordinata ed incomprensibile di segni.

E’ l’azienda di papà.

“Ma di cosa si occupava il Vecchio?”
“Di preciso non lo so...” mormoro, chinando lo sguardo.
Micaela strabuzza gli occhi.
“Ci ha nominato eredi di un’attività di cui non sappiamo niente? Wow! Siamo sicure che la sua intenzione non fosse quella di farla fallire?”
“Magari papà voleva che sapessimo di cosa si occupava. Forse prima eravamo troppo piccole per capirlo. E forse questa è l’occasione per farlo!”
“Forse, forse, forse!” Micaela scatta in piedi, infastidita, e gironzola irrequieta per la stanza. Poi si avvicina alla finestra e, spostando le tende, osserva il panorama con aria sconsolata.
“E poi non capisco…” prosegue lei “Con tutte le stanze che ci sono in questa dannata reggia noi due dovevamo proprio stare nella stessa camera?”
“Non è una passeggiata riscaldare l’intera casa, Micaela.” le spiego “Inoltre l’impianto è vecchio, i costi sarebbero esorbitanti! Alfredo ha riscaldato il minimo indispensabile.”
Mia sorella riprende a passeggiare per la stanza.
“Che palle! Dovrò sopportarti anche di notte.”
Sfila un libro da uno scaffale e lo sfoglia distrattamente per poi riporlo in malo modo sulla mensola.
“Non fai altro che lamentarti!” mi alzo e mi affretto a sistemare il volume al suo posto “Sei sempre libera di raggiungere tua madre, sarà contenta di godere della tua compagnia!”
Micaela si rigira tra le mani Mirko il Coniglio. Poi mi sbircia da sotto il suo ciuffo biondo, sfoderando un sorrisetto sghembo.
“Mi sa che resterò qui e farò la brava!”
Scaraventa in aria il mio coniglietto di peluche ma io, con i miei riflessi pronti, mi lancio in un eroico salvataggio.
“Allora puoi iniziare piantandola di mettere tutto in disordine!”
Micaela affila lo sguardo, sagace.
“Non pensavo ti interessassero tutte queste cianfrusaglie.”
Chino il capo, incrociando gli occhietti neri e vivaci di Mirko il Coniglio.
“No, infatti…”
“Ma in fondo, in fondo ti ricordano la tua infanzia. Lo capisco, probabilmente mi sentirei come te.”
“Davvero?” esclamo, speranzosa.
Lei fa spallucce.
“Dopotutto sei cresciuta qui. Mi sembra normale che tu sia legata a questo posto.”
“Già, ma a volte preferisco fingere che non sia così. E’ più facile concentrarsi sui ricordi tristi, quelli belli invece mi mandano in confusione…”
Micaela aggrotta le sopracciglia nel tentativo di nascondere il sorriso che affiora comunque sulle sue labbra.
“Sei strana, sorella! ”
Abbozzo una timida risata.
“E la tua infanzia com’è stata?”
“Quella di una bambina con un padre che vedeva poco e una madre fin troppo presente.” Micaela si siede sul letto, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e le mani strette a pugno sotto il mento “Non mi hanno mai fatto mancare nulla. Solo che certe volte avrei preferito
più giornate con i miei genitori e meno concorsi di bellezza.”
“Ne hai vinti molti?”
Lei arriccia le labbra.
“Qualcuno. Era mia mamma che mi tormentava perché vi partecipassi. L’assillava il pensiero di trasformarmi in ciò che lei non era potuta diventare: una splendida reginetta di bellezza! Un vero strazio…” borbotta, sbuffando “Le nostre conversazioni si basavano sugli stratagemmi per avere i capelli perfetti, mantenere a tutti i costi un certo peso e trucchetti pochi carini per perdere qualche chilo…”
La guardo allibita.
“Papà era d’accordo?”
“Non ne sapeva niente. E io non gli ho mai raccontato cosa mia madre mi costringesse a fare.” Micaela si stende sul materasso, incrociando le braccia dietro la nuca “In fondo mi piaceva quando lo intravedevo tra il pubblico e distinguevo il suo sorriso mentre sfilavo sul palco. Mi abbassavo ad esibirmi in quegli orrendi stacchetti solo perché sapevo di avere i suoi occhi su di me…”
Rimango a fissarla incredula nel silenzio, uno di quei silenzi che ti stritolano le viscere, di quelli pesanti come macigni di parole non dette.  
Mia sorella si mette seduta e incrocia le lunghe gambe.
“Poi un giorno sono inciampata nell’orlo del mio abito e mi sono slogata una caviglia. Credo che da quel momento mia madre abbia cominciato ad odiarmi. E tra una sclerata e l’altra, sono venute a galla tutte le cose poco simpatiche che mi aveva costretto a fare. E così ho smesso definitivamente di partecipare ai concorsi. E papà non lo vedevo più tanto spesso...”
“Mi dispiace, Micaela.”
Lei si stringe nelle spalle, innalzando la sua consueta maschera d’indifferenza.
“Almeno mia madre non avrebbe potuto più impormi cosa fare. Certo, fino a che sono rimasta a casa mi sono sorbita ogni giorno le sue paturnie, ma di sicuro non mi sarei più piegata alle follie che le passavano per la testa.”
“Avrei voluto essere una sorella più presente…”
Micaela mi folgora con due occhi che paiono spire di ghiaccio.
“Fammi il favore, risparmiati queste smancerie!” Micaela rovista nella sua sbrilluccicosa pochette e ne estrae un paio di cuffiette aggrovigliate “Non ti ho raccontato questo episodio per avere la tua compassione, ma per farti capire che non sei l’unica ad avere una gran confusione in testa! E per questo dobbiamo ringraziare il nostro paparino che ha pensato bene di scombussolare le nostre infanzie!”
“Ma io dico sul serio!” insisto “Avremo potuto sostenerci, come due sorelle…”
“Smettila, Nadia!” sbotta lei, spiccia “Non dobbiamo per forza comportarci come due amorevoli sorelline. Ci siamo ignorate per tutti questi anni, possiamo continuare a farlo.”
Srotolate le cuffie, le attacca al suo smartphone e le infila nelle orecchie.
“Possiamo anche cambiare le cose, Micaela...”
Ma dal modo in cui oscilla la testa al ritmo della musica, mi rendo conto che non riceverò mai risposta.


 
Angolino dell'Autrice: Ciao miei golosi bacetti di dama!
Vi chiedo sinceramente perdono per il ritardo e mi scuso in anticipo per le possibili difficoltà che avrò nel pubblicare durante le prossime settimane. Sono entrata nel pieno di una lunga e delirante sessione d'esami e credo sia giusto dare un po' più di precedenza allo studio.
Sappiate che vi porto sempre nel mio cuoricino e rappresentate per me un'immensa fonte di energia che mi sta aiutando a non mollare.
A tutti coloro che stanno studiando, preparandosi per la maturità o affrontando lunghe giornate al lavoro, non demordete e siate tosti!
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy 

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Capitolo 12
*** Quattro minuti e cinquantaquattro secondi ***



Quattro minuti e cinquantaquattro secondi


 
Che notte, ragazzi! Che notte!
Nel momento in cui la timida luce dell’alba s’irradia attraverso le ante delle finestre, inizio a pentirmi di non aver quasi chiuso occhio: le palpebre paiono due pesanti saracinesche e sento il collo così intorpidito da non riuscire a trattenere una serie di espressioni sofferte.
Poi, però, rievoco le ore trascorse con gli occhi sbarrati (e il polpettone di carne rimasto sullo stomaco) e in fondo sono sollevata che questo incubo di nottata sia finito.
Mi è sembrato di intuire che nemmeno Micaela abbia dormito molto. Continuava a rigirarsi tra le coperte e, quando ero lì lì per prendere sonno, lei emetteva qualche gemito sconsolato che mandava miseramente a monte i miei piani.
Ora (beata lei!) russa che è una meraviglia.
Stendo il braccio e, tastando nel buio il piano del mobile accanto al divano, afferro il cellulare. La forte luce dello schermo mi trafigge con prepotenza ed è solo quando mi abituo al bagliore che adocchio un messaggio arrivato la sera prima.
E’ di Serena.

Terra chiama Nadia! Ripeto, terra chiama Nadia!
Sei ancora viva o devo pensare che la tua famiglia ti abbia già fatto loro prigioniera?
La tua migliore amica aspetta tue notizie.
Buona notte.
S.


Mentre le rispondo mi accorgo di osservare lo schermo con un ampio sorriso, grata per averla al mio fianco anche in questa situazione.
Ma non appena richiudo il cellulare, questo piacevole senso di calma viene inghiottito da un vortice impetuoso fatto di ansia e brutti pensieri.
Mi rintano sotto la coperta tirandola fin sul naso, nell’ingenua illusione di poter teletrasportarmi in qualsiasi posto che non sia questo.
Tuttavia, quando riaffioro dal mio involucro di sconforto, mi trovo ancora nella mia cameretta.
Accidenti!
Una nuova giornata sta per cominciare.
E ho una paura folle di alzarmi da questo divano.
La cosa peggiore?
Non ho la minima idea di ciò che potrebbe accadermi.


Raggiungo con passo pesante la sala da pranzo, le braccia che penzolano lungo i fianchi con la grazia di uno scimpanzé. Ma mi rianimo nell’istante in cui trovo ad attendermi una tavolata stracolma di cibo: vassoi con torte e crostate alla frutta, croissant e biscotti appena sfornati, ciotole di cremoso yogurt e fiocchi d’avena, barattoli di marmellata accanto ad un piatto di fette di pane tostato, contenitori fumanti nei quali intravedo uova strapazzate, salsicce e… quella è pancetta?
Ma la notizia migliore sapete qual è? Nessuno è ancora sceso per la colazione!
Così mi abbandono ad un bel sospiro di sollievo.
Incrocio solo di sfuggita zia Amy, appena tornata dalla sua corsa di allenamento mattutino. Mi scocca un bacio sulla guancia, afferra una mela e, mentre l’addenta con un morso, sale in camera sua per fare una doccia.
Alfredo compare silenzioso sull’uscio, aggiustandosi le maniche della divisa. Quando incontra il mio sguardo reclina il capo, curioso nel trovarmi già in piedi.
“Problemi a dormire?”
Annuisco, accennando un sorriso.
“Ci vuole un po’ per riabituarsi.” mi rincuora lui, con la sua consueta ed infinita bontà “Cosa le porto, signorina Nadia?”
“Una tazza di caffè andrà benissimo, grazie Alfredo.”
Nell’attesa decido di annegare la mia frustrazione nel luculliano buffet: mi spazzolo una fetta di torta alle mele, una coppetta di yogurt con pezzi di frutta fresca e, come gran finale, mi concedo una fetta di pane croccante che spalmo con un lieve strato di burro e una generosa dose di confettura alle fragole.

Ho bisogno di dolcezza, va bene?!

Per mandare giù tutto questo ben di Dio mi rendo conto che il caffè macchiato non può adempiere da solo a tale compito, così lo accompagno ad un bel bicchiere di spremuta di pompelmo.
Finito di raccogliere con il dito le ultime briciole (e quello che rimane della mia dignità), mi dirigo verso l’uscita della sala da pranzo proprio nell’attimo in cui zio Edoardo fa capolino sulla soglia.
Ci scambiamo una rapida occhiata di sottecchi e ammetto che il solo scorgere la sua espressione tenebrosa mi fa accapponare la pelle!
Ad infondermi un piacevole calore, per fortuna, è la splendida giornata primaverile di oggi, così faccio scorrere la porta finestra ed esco sulla veranda.
Un venticello frizzante e un poco dispettoso mi solletica il viso, portando con sé il profumo di un inverno che ancora non se la sente di togliere il disturbo e dell’estate che invece attende impaziente di sopraggiungere.
Appollaiato sulla poltrona di vimini e con le ginocchia al petto, trovo mio fratello Jacopo intento a smanettare sul suo cellulare con una certa foga.
“Cosa fai?” gli chiedo.
“Sto cercando di superare un livello.” mi liquida lui, lo sguardo incollato al piccolo schermo.
“Potresti passare un po’ più di tempo con la famiglia…”
“E stare chiuso in casa con quegli squilibrati? No, grazie!”
“Perché devi sempre comportarti da insensibile?”
Al mio rimprovero, Jacopo esplode in un’esclamazione poco carina e che eviterò di riportare. 
“Ecco, ho perso!” grida, sbattendo i palmi sui braccioli “Mi hai distratto! Contenta?!”
Chino le palpebre e ricerco nei remoti meandri del mio animo quel minimo di autocontrollo che mi permetta di esibire un sorriso serafico ed ignorare quell'incalzante tentazione di assestargli un pugno sul naso.
“Dov’è Vanessa?” domando.
Jacopo fa spallucce.
“Credo sia nella piscina al coperto.”
“Perché hai voluto portare qui la tua ragazza?”
“Non metterci anche tu, Nadia!” m’incenerisce lui.
“E’ una semplice curiosità! Sono felice che tu abbia trovato una fidanzata, vorrei solo avere l’opportunità di conoscerla meglio.”
Jacopo scoppia in una risata sprezzante.
“Ma che pensiero dolce, sorella! Peccato che non creda ad una tua sola parola. In fondo non sei poi tanto diversa dalla famiglia: sempre pronta a giudicare gli altri...”
“Questo lo dici tu!” ribatto “Ci tengo a te, Jacopo. Sei mio fratello.”
“Grazie per avermelo ricordato, Capitan Ovvio.” borbotta lui, rivolgendo altrove lo sguardo “Non vedo l’ora di andarmene… Questa sera sarei dovuto essere a Milano per il party esclusivo di uno stilista, invece sarò bloccato qui…”
“Sei sempre libero di andartene.” gli faccio notare.
Jacopo, per tutta risposta, ostenta un ghigno sferzante.
“Ti piacerebbe, eh?”
“Cosa intendi dire?”
“Avresti un rivale in meno e una possibilità in più di mettere le mani sull’eredità.”
Aggrotto la fronte.
“Forse ti è sfuggito un dettaglio, Jacopo: pare che non esista un’eredità.”
“E tu ci credi?” mio fratello reclina la testa sullo schienale, con un’espressione a metà tra il divertito e il sadico “Sei proprio tonta!”
“Ehi!” esclamo, incrociando offesa le braccia al petto.
“Io voglio quei soldi, Nadia. Ti è chiaro?” Jacopo scatta in piedi, puntando un dito minaccioso contro di me “Mi spettano di diritto! E anche se non sopporto essere bloccato in questa casa, non me ne andrò finché non avrò ottenuto la mia parte!”
Lo guardo torva.
“Sentiamo, cosa ti servirebbero questi soldi? Per comprarti una nuova automobile da sfoggiare alle tue feste da sballo?”
Alla mia provocazione lui stranamente non reagisce.
“Non sono affari tuoi.” si limita a rispondere, dandomi le spalle nel tentativo di nascondere il velo di preoccupazione che è calato sul suo viso.
“C’è qualcosa che non vuoi dirmi, Jacopo. Hai qualche problema?”
Lui sbuffa e passa nervoso le dita tra i capelli, spettinandoli.
“Non fare la sorella apprensiva adesso!”
“Ma lo sono!” obietto, compiendo con prudenza un passo verso di lui “Cosa sta succedendo?”
“Ma niente, niente!” farfuglia lui, impacciato “Devo dei soldi a dei tizi...”
Sbatto le palpebre più volte, sconcertata.
“Cosa?! Stai scherzando?”
Jacopo ruota gli occhi al cielo.
“Ecco, non dovevo dirtelo!”
“Sei in debito di quanto?”
“Un po’…” risponde lui, elusivo.
“Un po’ quanto?”
La mia insistenza, tuttavia, lo innervosisce, tanto da sferrare un calcio al secchio degli attrezzi che si frappone nella sua camminata irrequieta.
“Nadia, dacci un taglio! Quando avrò i soldi sanerò il debito!”
“Sei un immaturo, Jacopo! Hai problemi finanziari e sperperi i tuoi risparmi in lussi inutili!”
“Ma chi sei tu per giudicarmi?! Vorrei ricordarti che io sono nato prima!”
“Di quattro minuti e cinquantaquattro secondi!” rettifico io “Ed è infantile che ancora ti aggrappi a questa giustificazione!”
“E allora per quale dannato motivo papà ha scelto te come erede?!”
“Forse immaginava l’uso improprio che avresti fatto del denaro…”
Jacopo contrae la mascella.
“Ma cosa ne sapeva lui? Non è mai stato presente nelle nostre vite!”
“Questo non è vero!” dichiaro, risoluta, anche se mi trovo subito costretta a soggiungere “Non del tutto almeno…”
Scoraggiata e stanca di discutere, abbasso lo sguardo sui tenui fasci di luce proiettati sul pavimento in cotto; di sottecchi scorgo Jacopo scrocchiare nervosamente le dita mentre tra di noi piomba un silenzio desolante, spezzato dal boato di un trattore, disperso chissà dove tra le sconfinate e verdeggianti colline della Contea di Montalto.
“Voglio quei soldi, Nadia.” riprende mio fratello, con una tale freddezza nella voce da farmi rabbrividire “Se hai uno straccio di solidarietà fraterna, cerca di scoprire dove nostro padre li ha nascosti.”
“Io ci tengo a te, e molto! Per questo non ti consegnerò quei soldi, non per l’uso che ne vuoi fare. Trovati un lavoro onesto e smettila di comportarti come un ragazzino. Hai trent’anni, Jacopo. Sii maturo per una volta.”
“E finire come te, sola e patetica?”
Scuoto il capo, spaesata.
“Perché dice questo?”
“Guardati, sorella! Ancora speri di riuscire a far ragionare la famiglia e vivere tutti felici e contenti?” mi scimmiotta lui “Sei così ingenua che non ti rendi conto che lì dentro si stanno scannando ed è solo per colpa tua!”
“Non ho deciso io di essere l’erede!”
“Ecco, appunto! Datti una mossa e fai qualcosa per risolvere questa situazione!”
Jacopo si china su di me, aggiustando una ciocca di capelli dietro il mio orecchio con un gesto privo di alcun affetto.
“E se non mi farai avere la mia parte, sappi che me la prenderò da solo.”
Mi scosto bruscamente, allontanandolo con uno spintone.
“A volte mi vergogno di essere tua sorella!”
Jacopo barcolla fino alla balconata che delimita la veranda, appoggiandosi con la schiena ad una colonna.
“Ormai dovresti averlo capito, Nadia: siamo gemelli, ma non potremmo essere più diversi.”
“Almeno su una cosa siamo d’accordo.” dico, prima di rientrare in casa, mentre il cuore mi si accartoccia nel rendermi conto del marcio che ormai ha avvelenato l’animo di mio fratello.
 
 
Angolino dell'Autrice: Ciao mie crostatine all'albicocca!

Oh mamma, che disastro! Avete ragione, sono scomparsa! La sessione estiva mi ha letteralmente risucchiata, ma sono a più di metà del percorso e sto cercando di tenere duro. Questa sera mi sono detta: "Oggi non scappi, devi aggiornare ad ogni costo!".
Altrimenti ci faccio davvero una figura caprina con voi, miei dolcissimi ed affettuosissimi lettori, che mi continuate a seguire nonostante tutto.
Spero il capitolo sia stato di vostro gradimento e, se vi va, lasciatemi le vostre opinioni. Sarò felicissima di leggerle e scambiare quattro chiacchere.
Auguro a tutti coloro che domani iniziano la maturità un mega in bocca al lupo! Massima concentrazione e vedrete che andrà alla grande!
Inoltre, ringrazio chi continua a leggere la storia e infondermi tanta forza e positività.
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy

 

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Capitolo 13
*** Scenate d’isteria tra patate arrosto e mele marcie ***



Scenate d’isteria tra patate arrosto e mele marcie

 
 
Sorseggio un goccio d’acqua.
Ripongo il bicchiere sul tavolo facendolo tintinnare a contatto con il piatto, nel quale indugia un pezzo di arrosto accerchiato da una moltitudine di verdurine colorate.
Siamo a cena, alias “tregua temporanea da una giornata delirante in famiglia”.
Anzi, forse sarebbe meglio parlare di una tregua “apparente”: continuiamo a scambiarci certe occhiatacce che non mi stupirebbe se da un momento all’altro scoppiasse l’ennesima discussione.
Zio Edoardo ha voluto richiamare il notaio De Luca, pretendendo che lo aiutasse a scovare il vero testamento di papà.
Vi lascio immaginare l’espressione supplichevole di quel poveretto non appena ha messo in piede in casa…
Dopo di che, non contento, mio zio ha schiavizzato tutti noi perché collaborassimo nella ricerca.
Io sono stata adibita a controllare la biblioteca insieme a zia Amy. In realtà Micaela sarebbe dovuta essere il terzo membro del gruppo, tuttavia si è defilata ben presto.
Vabbè, perlomeno ci ha provato; Jacopo e la sua biondissima fidanzata Vanessa, invece, si sono volatilizzati nell’istante stesso in cui zio Edoardo ha iniziato a dividere il lavoro.

Che casualità, no?

Infilzo una patata abbrustolita e la porto svogliatamente alla bocca. Mastico piano, controvoglia, come se tutto quello che metto in bocca assumesse all’improvviso una consistenza collosa.
Deve essere per tutta la tensione accumulata, mi fa persino passare l’appetito!
E’ piuttosto evidente che zia Ortensia non soffra del mio stesso problema: addenta con voracità un bel cosciotto di carne, accompagnandolo con un abbondante pezzo di pane e una generosa sorsata di vino rosso.
Delia, la madre di Micaela (a proposito, dov'è finita mia sorella?), sfoggia una smorfia schifata.
“Ortensia, sei imbarazzante.” le fa notare zio Edoardo, il capo chino mentre si picchietta gli angoli della bocca con il tovagliolo.
Zia si gira verso di lui con le guance così piene da assomigliare ad un ghiotto scoiattolo.
“E’ per questo dannato testamento…” bofonchia lei “Mangio quando sono nervosa!”
“Ma che novità!” esclama zio Edoardo, sprezzante come suo solito.
Jacopo, intanto, sghignazza sotto i baffi, seguito a ruota da Vanessa.
“Che ti ridi, ragazzo?” lo rimprovera zia Ortensia.
Mio fratello, colto in flagrante, dissimula un sorrisetto indisponente.
“Jacopo, che modi sono?” s’intromette nonna Lavinia “A volte ho l’impressione che tutte le lezioni di buone maniere per cui abbiamo speso siano stati inutili.”
Lui sbuffa, abbandonandosi allo schienale della sedia con fare infantile.
“Nonna! Dacci un taglio!”
Non lo avesse mai detto: le pupille di nonna scompaiono dietro una coltre di rughe minacciose, tuttavia non abbastanza spessa da nascondere le fiamme che zampillano dai suoi occhi.
“Porta un po’ di rispetto, nipote!”
“Mamma, dai!” interviene zia Amy, difendendo Jacopo “E’ solo un ragazzo, lascialo in pace!”
Nonna ruota con una lentezza da brividi il capo verso sua figlia minore.
“Mi auguro tu possa diventare presto madre, Amelia. Solo in questo modo capirai quanto sia doveroso imporre una rigida disciplina ai propri figli e non lasciare loro troppo spazio.”
“Allora puoi stare tranquilla, mamma: non voglio e non avrò bambini.”
“Questa tua puerile risposta dimostra quanto ristrette siano le tue vedute, tesoro.” dichiara la nonna, piacevole come un cubetto di ghiaccio nei pantaloni.
Zia Amelia non risponde. Distoglie lo sguardo e si passa una mano tra i suoi disordinati capelli corvini, per poi rivolgere la sua attenzione su Vanessa.
“Di cosa ti occupi, Vanessa? Che lavoro fai?”
La ragazza di mio fratello pare molto sorpresa di essere stata interpellata. Si guarda un po’ attorno (alla ricerca di che cosa lo sa solo lei), rivolge una rapida scorsa a Jacopo (più impegnato a smanettare con il cellulare sotto al tavolo che a correre in aiuto della sua donzella) e infine arriccia le labbra in una serie di espressioni tanto presuntuose quanto ridicole.
“Sono una modella. Poso per servizi fotografici, pubblicità di lingerie, nudi artistici…”
Nonna Lavinia trattiene una risata sarcastica.
“Cara, questo non si può certo chiamare lavoro.”
“Nudi artistici?!” interviene una sconcertata zia Ortensia, finendo di razziare il cestino del pane “Saranno tutti dei maniaci squilibrati quelli per cui posi!”
“No!” grida Vanessa, sferrando un tale acuto da ferire i miei poveri timpani “Io collaboro solo con fotografi professionisti.”
“Forse sono professionisti nel farti credere di esserlo.”
Il velenoso commento di zio Edoardo suscita un generale consenso tra i presenti, ma non quello della diretta interessata che pare non aver afferrato il gioco di parole (a quanto pare fin troppo sottile per la sua testolina biondo platino) di mio zio.
“Intende dire che ti pagano solo perché tu esibisca la mercanzia!” chiarisce zia Ortensia, compiendo un gesto eloquente per indicare il seno prosperoso di Vanessa.
La ragazza incrocia le braccia al petto e, indignata, curva le labbra in un broncio.
“Non dargli retta!” Delia s’inserisce nella conversazione “E’ giusto che ti diverta. Goditela finché sei giovane!”
“Mi sembra che nessuno qui abbia chiesto il tuo parere.” obietta zia Ortensia, incrociando le dita grassocce sotto il suo mento pronunciato.
“Non m’interessa, cicciona! Ho tutto il diritto di esporlo.”
“Non se questo implica rovinare la reputazione di mio nipote. E smettila di chiamarmi in quel modo! Tu e quei canotti che hai al posto delle labbra siete ridicoli! Praticamente ti sei rifatta da capo a piedi, già che c’eri non potevi chiedere di farti impiantare un po’ di materia grigia?”
“Smettetela, tutte e due!” tuona mia nonna, fulminando le due litiganti con un’occhiata penetrante.
Nella sala da pranzo torna a regnare la quiete, ma la tregua è solo momentanea.
Ed è Delia a spezzarla.
“Non mi stupisco del perché tutti scappino a gambe levate da questa casa…”
“Questo cosa vorrebbe dire?” domanda nonna, pronta a sguainare le peggio armi per fronteggiare il nemico.
Tuttavia lo scontro viene sventato (almeno per ora) dall’irrompere di Micaela che entra spedita nella stanza.
“Dove ti sei cacciata?!” la riprende la madre, stizzita.
“Scusa, ho avuto da fare…”
Micaela si catapulta nel posto accanto al mio, fiondandosi sulla caraffa di vino e riempiendo il calice fino all’orlo.
“Che non capiti mai più, ci siamo intese? Guarda te che razza di figure mi fai fare…”
La mia sorellastra emette un sospiro sommesso prima di trangugiare in un sorso il contenuto del bicchiere.
“Dove eri finita?” le chiedo, sottovoce.
“Ero al telefono con il mio capo.”
“Altri brasiliani da accontentare?”
Mi folgora.
“E’ ironia questa? Perché non sei simpatica, sorella.”
“E tu non sei brava a mentire, sorella.”
Alle nostre spalle compare Alfredo che, con gesto elegante, posa davanti a Micaela un piatto coperto da una cloche.
“Le ho tenuto in caldo la sua cena, signorina Micaela.” spiega il mio maggiordomo, svelando una porzione di arrosto ancora fumante.
Mia sorella stende il candido tovagliolo sulle sue gambe, poi afferra forchetta e coltello e si avventa sul suo pezzo di carne.
“Potevi almeno ringraziarlo.” le faccio notare io.
“E’ il maggiordomo. Questo è il suo lavoro.”
E’ inutile: ragionare con Micaela è come sbattere contro un muro di gomma.
Inoltre, constatare con quanta violenza trafigge quelle povere zucchine mi fa quasi stringere il cuore.
La mia attenzione è catturata da nonna Lavinia: nella sua statuaria rigidità sussurra qualcosa a mia madre che, per tutta risposta, scuote debolmente il capo. 
“Virginia, ma non hai quasi toccato cibo.”
Mamma lascia cadere la forchetta sul piatto.
“Non ho fame.”
“Fa’ uno sforzo almeno.” la esorta nonna.
“Che scena pietosa…” asserisce Delia, insolente.
“Ehi!” la ammonisco io, sconcertata dai suoi modi così rudi.
“Ma guardala! Sembra che tua madre abbia bisogno di essere imboccata! Facevi così anche con Libero, Virginia?” la beffeggia Delia “Sarà per questo che è scappato da te?”
“Cosa hai detto?!” tuona mia mamma con un impeto inaspettato, mettendosi in piedi e scagliando uno sguardo di puro odio verso la sua rivale.
“Virginia, rimettiti subito seduta!” ordina nonna Lavinia.
“Da brava, Virginia! Fa’ come dice la vecchia!” la schernisce Delia.
“Chissà Libero cosa ci ha trovato in te.” sibila mia madre “Sei una svergognata, ignorante e maleducata!”
Delia sbatte una mano sul tavolo.
“E tu sei una depressa! Se non fosse stato per me, Libero sarebbe finito all’altro mondo molto prima! Con me ha vissuto veramente e si è goduto i suoi ultimi anni.”
“Io gli sono sempre stata fedele! Chissà quante volte lo hai tradito! Ammettilo che ti interessavano solo i soldi di mio marito!”
“E anche se fosse?!” sbotta Delia “Libero mi aveva scelta, mi amava perché con me si sentiva vivo! Tu, invece, cosa gli hai offerto? Sei squallida, consumata, probabilmente guardandoti provava ribrezzo!”
Mamma è paonazza e le sue labbra tremano in modo convulso: pare che debba svenire da un momento all’altro.
Nonna Lavinia si alza e cerca di far riaccomodare la mamma sulla sedia.
“Guardati, sei patetica!” persevera Delia “Sottostai alla tirannia di tua suocera e continui ad imbottirti di medicinali che ti stanno spappolando il cervello!”
“Ora basta, signora Delia!” proferisce la nonna, inutilmente.
“Oh Virginia! Se invece di piangerti addosso avessi lottato per tenerti il tuo uomo, forse Libero non ti avrebbe mai lasciata.”
“Chiudi il becco, stronza!” urla mia madre, per poi afflosciarsi sulla sedia priva di forze.
Prima che io possa accorrere in suo aiuto, una legione di camerieri è già schierata attorno a lei.
“Portatela subito in camera sua e fatela stendere sul letto!” ordina nonna Lavinia.
Scosta una ciocca rossa dal viso svelando un guizzo di stanchezza che, tuttavia, sostituisce all’istante con uno sguardo severo rivolto a Delia.
“Lei è una vera vergogna, signora Delia. Sono disgustata dal solo pensiero che mio figlio abbia trascorso i suoi ultimi giorni con una donna tanto infima e marcia.”
Delia sfoggia un sorrisetto sprezzante.
“Qui dentro siamo tutti marci, signora Lavinia.”


Angolino dell'Autrice: Ciao mie succose fragoline inzuppate nel cioccolato!
Il caldo è arrivato e la voglia di andare al mare è sempre di più. Spero che il capitolo vi abbia tenuto compagnia e sarei entusiasta di conoscere i vostri pareri.
Vi auguro buone vacanze e, per chi come me deve ancora faticare, tenete duro e non mollate!
Grazie per il vostro affetto e la vicinanza costante.
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy

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Capitolo 14
*** Pronta a giocare con il fuoco, deary? ***


Pronta a giocare con il fuoco, deary?



E così, mentre osservo la servitù portar via la mamma come un sacco di patate, mi abbandono sulla sedia e, con un certo sconforto, alzo il capo verso il soffitto affrescato.
Riconosco il ticchettio irritato dei passi di nonna Lavinia. Di sottecchi la vedo chiudere il corteo mentre scuote la chioma rossa e cotonata al ritmo della sua camminata indispettita.
Sono tuttora piuttosto incredula se ripenso alla scena a cui ho appena assistito: mia madre, la persona più inoffensiva e accondiscendente che io conosca, ha sfoderato una tenacia di cui ignoravo l’esistenza ma, in ogni caso, non sufficiente per competere con la lingua affilata della sua rivale, Delia.
Parole di fuoco hanno sfrecciato per la stanza e ancora ne posso udire gli echi nelle orecchie.
“Cosa fai ancora qui?” bisbiglia una stizzita Micaela “Corri da tua madre!”
Mi stringo nelle spalle.
“Dovrei?”
La mia sorellastra strabuzza gli occhi.
“Stai scherzando?! Alza quel culo e va' da lei! Tua mamma ha bisogno di te, Nadia. Non vorrai lasciarla di nuovo tra le grinfie di tua nonna, vero?”
A testa china e con la grazia di una giraffa sui pattini, mi fiondo verso l’uscita della sala da pranzo.
Certo che, capperi, ci potevo arrivare che la mia priorità sarebbe dovuta essere quella di correre subito da mia mamma invece che rimanere lì imbambolata!
E poi non ha del paradossale che proprio Micaela mi abbia esortata a prendere in mano la situazione?
Dopotutto lei si fa sempre gli affari suoi… Che l’infausta discussione tra le nostre madri abbia scosso persino il suo impassibile temperamento?
Percorro il corridoio con ampie falcate e salgo a due a due i gradini del grande scalone centrale.
A metà ho già il fiato corto.
Non fraintendetemi: ammetto di non essere quella che si definisce una prestante sportiva, ma non sono nemmeno messa così male da non riuscire a salire una rampa di scala!
E’ tutta colpa di quest’ansia, mi toglie il respiro e rende il mio petto incredibilmente pesante.

Che poi, ansia per cosa?

Per dovermi confrontare con la nonna? O per il timore di trovare mamma ridotta ad uno straccio?
Forse entrambe le cose…
A dire il vero non ho il tempo né per rifletterci su né per stabilire un piano d’azione efficace: la camera da letto di mia madre dista pochi metri da me.
Alfredo è lì fuori, le mani bitorzolute intrecciate dietro la schiena in una postura rigida e composta che (non so se sia un bene o un male) non lascia trapelare alcun indizio su cosa stia accadendo dentro quella stanza.
Il mio maggiordomo si volta non appena si accorge della mia presenza.
“Come sta la mamma?” domando, accelerando il passo e sfuggendo dagli sguardi severi dei ritratti dei nostri illustri antenati appesi alla parete del corridoio.
“Sua madre si è ridestata, signorina Nadia. E’ molto debole, ma si riprenderà presto. Vi annuncio?”
Annuisco prontamente.
“Sì, per favore.”
Alfredo bussa piano alla porta, gira il pomello d’ottone e, con una lieve esitazione, infila il capo all’interno.
Sento un borbottio. Non appena affino il mio udito per captare qualche sprazzo della conversazione, il mio maggiordomo risbuca nel momento esatto in cui sento nonna Lavinia pronunciare un lievemente seccato “Lasciala entrare.”
Alfredo incurva le labbra sottili in un sorriso appena accennato, spalancando la porta ed invitandomi a entrare.
La mamma giace supina sul letto: la sua carnagione è pallida quanto le federe dei suoi cuscini e il vivido rosso cardinale del copriletto non fa che rimarcare il suo colorito cadaverico.
La stanza è immersa da una luce fioca e malinconica, resa ancora più tetra dai pesanti tendaggi di un (improponibile) color viola melanzana e dai mobili ormai démodé.  
C’è un odore di…chiuso!
Da quanto non verranno aperte le finestre? Santo cielo, sembra una camera mortuaria!
“Nadia…” gorgoglia mamma.
Mi catapulto da lei e prendo la sua mano tra le mie.
E’ fredda. Tanto fredda.
“Vi lascio sole.” dichiara nonna e, lo ammetto, gliene sono grata.
Mi stavo già facendo prendere da un attacco di tachicardia all’idea del suo sguardo serpentino fisso su di me.
Seguo nonna Lavinia con la coda dell’occhio la quale, senza ulteriori indugi, richiude la porta alle sue spalle.
“Piccola Nadia…”
Il debole mormorio di mia madre richiama all’istante la mia attenzione.
“Sono qui, mamma. Non sforzarti.”
“Tu devi mandarle via...”
Aggrotto la fronte.
“Cosa?”
“Delia e sua figlia.” sibila lei “Non le voglio in casa mia. Tuo padre si arrabbierà… Vedrai, Libero si arrabbierà…”
Mamma sta delirando e, mentre le stringo più forte la mano, avverto il mio stomaco accartocciarsi come una lattina vuota sotto la ruota di un’automobile in corsa.
“Non pensarci, mamma. Devi riposare adesso.”
All’improvviso spalanca gli occhi, gonfi e striati da venature rosse.
“Non andartene, Nadia!”
“Mamma, sono qui! Vedi? Sono qui con te.”
“Torna a vivere qui.” prosegue, dimenandosi “Torna dalla tua mamma! Mi manchi tanto, piccola mia! Non andartene!”
“Non vado da nessuna parte, mamma.” ripeto, cercando (inutilmente) di calmarla.
“E stai lontano da Micaela! Lei è perfida, come quella poco di buono di sua madre!”
Le sfioro i capelli.
“Stai tranquilla, ci penso io. Andrà tutto bene, mamma. Te lo prometto.”
Inaspettatamente torna a farmi visita un lontano ricordo: ci sono io, uno scricciolo dagli
arruffati capelli rossi che si rintana tremante sotto le coperte. Come sono spaventata! Avrò fatto un incubo? Forse ho solo paura che un gremlins (sì, quegli orribili esserini mi mettevano i brividi!) possa sbucare da sotto il mio letto. Poi vedo mia mamma. Lei è lì con me, mi accarezza le guance con le sue mani morbide. Profumano di vaniglia. Mamma mi rassicura, mi propone i metodi più buffi e stravaganti per riprendere sonno per poi promettermi che, finché non mi riaddormenterò, lei veglierà su di me.
E adesso, a distanza di qualche anno, ci siamo invertite i ruoli.
Con mio stupore vedo mia madre sorridere: che anche lei sia stata catapultata nel mio stesso ricordo?
A dire il vero non lo so, però mi piace pensarlo.
Finalmente mamma si è quietata e, mentre le palpebre iniziano a farsi pesanti, posa la testa sul cuscino e si addormenta.
Le rimbocco il plaid posto ai piedi del letto e spengo l’abat-jour sul comodino.
Esco quatta, quatta, richiudo la porta accompagnandola silenziosamente e… porca puzzola! Quasi mi viene un colpo nel trovarmi davanti nonna Lavinia!

…Ha aspettato che uscissi, la manigolda!
 
Dovevo immaginarmelo…
Il “lasciar correre” proprio non rientra nel vocabolario di mia nonna.
Abbozzo un sorriso che deve essere l’effigie dell’imbarazzo.
“Mamma si è addormentata.”
I suoi occhi mi scrutano silenziosi ma letali… Diamine! Non riesco a sostenere il gelo che emanano e sono costretta a distogliere lo sguardo.
“Ti rendi conto che tua madre è ridotta in quello stato per colpa tua, Nadia?”
“Colpa mia? E’ stata Delia a cominciare!”
“Non fare la bambina!” mi rimprovera subito “Sai benissimo che quello di questa sera è stato solo un episodio. Spiacevole, su questo non c’è dubbio, ma isolato. Tua madre non sta bene e questa situazione sta andando avanti da tempo.”
Scuoto il capo, confusa.
“Non capisco perché stai puntando il dito contro di me...”
“Te ne sei andata, Nadia! Mai una visita, solo telefonate sporadiche e della durata di qualche minuto. Questo ha condotto tua madre all’isteria. Tu l’hai condotta all’isteria!”
“Nonna, perché dici questo? Cosa avrei dovuto fare, rimanere qui per tutta la mia vita? Avevo bisogno di trovare la mia strada. Non puoi condannarmi per questo!”
Lei compie un passo minaccioso verso di me ed io di riflesso (e per paura) ne compio uno indietro.
“Sei partita e hai dimenticato le tue origini, chi sei realmente. Certo che ti condanno! Una figlia con un minimo di buon senso non lo avrebbe fatto.”
“Questo non è vero, nonna!” ribatto, facendo uno sforzo non indifferente perché la mia voce tremante non mi tradisca “Ho seguito la mia passione, volevo insegnare e voi non me lo avreste mai permesso.”
“Il tuo posto è qui, Nadia.” dichiara nonna, impassibile.
“No, non è così. Io ho seguito i miei sogni. Come hai fatto tu, quando eri giovane. Ricordi?”
Scorgo in mia nonna un lieve tentennamento che, tuttavia, si affretta a nascondere sotta la sua ruvida scorza.
“Era diverso, Nadia. Erano tempi difficili, con la guerra e tutto il resto. Bisognava ingegnarsi per sopravvivere.”
“Ma questo non ti ha impedito di realizzare i tuoi progetti!” persevero io “Sei diventata una grandissima attrice, nonna! Tutti ti amavano!”
“E’ stato molto, molto tempo fa.” taglia corto lei “E, come ben sai, ho rinunciato a tutto per tuo nonno. Sono divenuta una moglie responsabile e degna di stare al fianco di un Marchese. Come vedi, ho posto prima di tutto la famiglia piuttosto che la carriera o i miei interessi personali.”
“Ma nessuno ti chiese di farlo! Ricordo i racconti del nonno, lui adorava vederti in scena! Tu hai deciso di abbandonare. Non fraintendermi, nonna: ti ammiro per aver dato priorità alla famiglia, ma non puoi rimproverami perché sto cercando di costruire il mio futuro!”
“Non è la strada giusta per te, Nadia.”
“Perché non cerchi di capirmi?” sbotto, esasperata e quasi sull’orlo delle lacrime “Per tutta la mia vita ho dovuto seguire regole e cerimoniali. Però l’ho fatto perché sapevo quanto tu ci tenessi. Ma io non sarò mai come te, nonna. Mi dispiace se ti ho delusa, ma vorrei che tu non me lo rinfacciassi e facessi uno sforzo nell’accettarmi per quello che sono.”
Nonna Lavinia mi osserva con sufficienza, come se le mie parole le fossero scivolate addosso.
“Ciò che siamo spesso non è appropriato al ruolo che ci è richiesto di interpretare, perciò bisogna adeguarsi. Siamo una famiglia con una lunga e gloriosa tradizione alle spalle, siamo nobili e come tali siamo obbligati ad assumere una certa condotta. Né tu né tua madre siete mai riuscite a comportarvi nel modo appropriato...”
“Non tirare in mezzo mamma!” la fermo, fulminandola con quel pizzico di coraggio che mi è rimasto “Lei ha fatto tanti sacrifici, ha sofferto più di tutti!”
“Non lo metto in dubbio, ma tua madre non possiede la tempra né la forza per portare avanti la gestione di questa casa, per continuare a conferire lustro al nome dei Montalto della Leonessa.” nonna s’interrompe, indicando con lo sguardo gli austeri ritratti appesi lungo il corridoio “Lei è troppo debole, non reagisce e non è in grado di tenere separate la veste che la società le impone e la sua vita privata. E, siccome non posso contare su di te, l’unica che può adempiere a tale compito sono io.”
Un’illuminazione, infelice quanto improvvisa, mi attraversa con l’impetuosità di un uragano.
“Non ti interessa veramente di mia madre. La stai solo usando per combattere la tua battaglia.”
“Oh, nipote cara!” nonna mi sfiora la guancia con un gesto privo di affetto “Quante cose non sai! E sei così ingenua che non riusciresti nemmeno a capirle! E da questo punto di vista assomigli molto a tua mamma.”
“A che gioco stai giocando?” domando, scostandomi dal suo tocco gelido “Approfitterai di mamma finché non riuscirai a mettere le mani sull’eredità?”
Lei serra la mascella, affilando lo sguardo.
“Sì, se sarà necessario.”
“Nonna!” esclamo, allibita “Ma perchè?!”
“Solo io sono in grado di amministrare al meglio l’azienda di Libero. Inoltre, voglio farla pagare a quell’approfittatrice della sua amante e di sua figlia: mi accerterò io stessa che ci restituiscano fino all’ultimo centesimo che hanno sottratto a tuo padre.”
“Potrai anche avercela a morte con Delia e Micaela, ma la vendetta non è la soluzione giusta. Mi dispiace, ma ti impedirò di andare oltre con questa storia.”
Nonna Lavinia esibisce un ghigno compiaciuto.
“E come pensi di fare, cara? Lo hai detto tu stessa: questo non è il tuo posto, tornerai presto alla tua vita di sempre e ti disinteresserai a ciò che accadrà qui, come hai sempre fatto d’altronde. Non atteggiarti a eroina solo perché tuo padre ti ha nominata suo erede, il testamento è solo un pezzo di carta.”
“Così vorresti ignorare le volontà di papà?”
“Dimmelo tu, Nadia.” risponde, pacata, incrociando le braccia al petto “Potremmo collaborare, invece. Insieme riporteremo la casata alla sua antica gloria, rivoluzioneremo al meglio l’attività che Libero ha lasciato e renderemo Montalto una grande e potente contea, come in passato.”
Indietreggio, come se allontanandomi tutto questo potesse apparire meno folle. Sono spaventata e delusa dalla persona che ho davanti, una donna che, per quanto rigida e in certe situazioni un tantino fuori dalle righe, ritenevo integra e dai solidi principi.
“No, nonna. Non farò parte dei tuoi progetti.”
Lei fa spallucce ed ostenta un sorriso che oscilla tra il serafico e la perfidia pura.
“Allora agirò di conseguenza. Sei sempre in tempo a cambiare idea, nipote. Ma sappi che prima comprenderai quanto sia saggio sancire le alleanze giuste e meglio sarà. Non giocare con il fuoco, mia cara. Non vorrei tu finissi per bruciarti.”
 


Angolino dell'Autrice: Ciao miei dolcissimi frozen yogurt ricoperti di cioccolato!
Ebbene sì, sono tornata!
Le mie vacanze sono terminate (e, contro ogni aspettativa, mi sono pure abbronzata!) e ho ricominciato a mettermi sotto con lo studio, ma d'ora in avanti dovrei essere più presente e mi auguro di poter aggiornare con maggiore frequenza.
E voi come state? Le vostre vacanze? Questa estate vi sta riservando belle sorprese? Dove siete stati di bello?
Raccontatemi dei vostri progetti, di cosa avete combinato in questi mesi e se avete visto qualche bel posto.
Io intanto vi ringrazio per aver letto il capitolo
e per essermi sempre vicini.
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy

Come sempre, vi lascio il link alla mia pagina Facebook --> https://www.facebook.com/Clairy93-EFP-400465460046874/?ref=aymt_homepage_panel

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Capitolo 15
*** I propizi consigli di Maestro Gufo ***





I propizi consigli di Maestro Gufo
 


Avete presente quell’amaro in bocca che vi resta in seguito ad un’accesa discussione?
E la sensazione di voler urlare a squarcia gola tutta quella serie di grandiose risposte d’effetto che iniziano a formarsi a ruota libera nella vostra mente, ma rendersi miseramente conto che avete sprecato l’occasione per farlo?
Ecco, mi sento così in questo momento.
Dopo la piacevolissima chiacchierata con nonna Lavinia mi sono sentita come quando scopri di aver vinto alla lotteria e poi telefonano per dirti “ci dispiace, ma abbiamo letto male i numeri!”: insomma, uno schifo!
Quanto darei per fuggire via, lontano da questa maledetta casa dove tutto rasenta il ridicolo, dove ogni dannata cosa gira per il verso opposto, dove non solo tutto è rimasto come me lo aspettavo ma è anche peggio di come lo ricordassi!
Voglio lasciarmi alle spalle l’ipocrisia, l’egoismo e l’infinita cattiveria di coloro che non sono più sicura di poter chiamare famiglia.

Famiglia, tsé!

La famiglia, quella vera, non ti pugnala alle spalle, non trama nell’ombra contro di te e, soprattutto, non sfrutta gli altri per il proprio tornaconto personale!
Malgrado la mia accesa filippica, mi ritrovo a indirizzarmi verso la mia stanza, io e il macigno che ormai da qualche giorno si è abbarbicato sul mio povero stomaco.
Intanto, i ritratti degli illustri antenati Montalto appesi alla parete del corridoio insistono nello scrutarmi con i loro piccoli ed inquietanti occhietti.

E voi che avete da guardare?!

E che cavoli però! Perché ho l’impressione che qui siano tutti pronti a giudicarmi ma nessuno sia capace di farsi un bell’esame di coscienza?
Capite in che razza di situazione mi sono andata ad infilare?
Qualunque scelta prenderò, in un modo o nell’altro, mi si rivolterà contro: se scappassi darei a nonna Lavinia la soddisfazione di averci azzeccato; se, invece, decidessi di restare, ma senza accettare l’eredità, rischierei che finisca nelle mani sbagliate e, aspetto da non sottovalutare, ignorerei le volontà di papà…
Ma se accettassi, vincolerei il mio futuro a questo posto, zio Edoardo non smetterebbe di rinfacciarmi quanto io sia inesperta e probabilmente finirei per mandare tutto allo scatafascio!
I ritratti di quei vecchi bacucchi non vogliono proprio darmi tregua, quasi volessero ammonirmi che, qualsiasi sarà la mia decisione, sarò comunque destinata a fallire.
Accelero il passo.

Che poi, per andare dove?

Sono in una prigione di pazzi assetati di soldi e, come mi ha fatto intendere nonna Lavinia senza troppi giri di parole, finirò per bruciarmi…
Ancora una volta non sono stata capace di tenerle testa.
Mi sono lasciata trattare come una ragazzina stupida, immatura ed ingenua.
Micaela ha proprio ragione: io vivo nel mio mondo, fatto di unicorni e panna montata, e non mi sono resa conto che persino mia nonna sta tramando contro di me.
E, nonostante ciò, continuo ad aver paura di lei.
 In fondo non è cambiato niente.
Fin da piccola nonna Lavinia m’intimoriva. E’ stata sicuramente più presente di quanto non lo siano stati mamma o papà, però non era quella che si può definire una “spassosa compagnia”.
E’ sempre stata una donna molto intransigente e per nulla affettuosa: mai una carezza o il bacio della buona notte.
Un abbraccio in pubblico? Assolutamente fuori discussione!
Con nonna non esistevano vie di mezzo né compromessi, era sempre tutto o bianco o nero. Le regole andavano rispettate, senza concessioni di alcun tipo.
E guai a contraddirla!
Una bacchettata sul dorso delle mani e via a letto senza cena!
Non si discuteva con nonna Lavinia, punto.
Non che non si comportasse allo stesso modo con mio fratello Jacopo, ma io ero la figlia femmina ed era palese che riponesse maggiori speranze in me.
Nonna voleva a tutti i costi che io diventassi come lei: una donna perfetta e ligia al dovere. Tuttavia sono sempre stata ben al di sotto delle sue aspettative. Per lei non ero degna di portare il nome dei Montalto e, come avrete notato, non ha mai perso un’occasione per rinfacciarmelo.
Nadia, non fare quello! Nadia, non fare quest’altro! Nadia, ma ti sembra una condotta appropriata per una bambina del tuo lignaggio?!
Mi sono sempre sentita sotto esame e mai all’altezza.
Poi mi chiedono perché ho l’autostima sotto le scarpe!
Vorrei ben vedere con un’infanzia di questo genere!
Voglio bene a nonna Lavinia, davvero.
E’ stata rigida e spesso insensibile, ma credo fosse il suo modo (piuttosto alternativo) per essere presente.
E non intendo solo per conferirmi una buona istruzione e bacchettarmi a dovere quando sgarravo, perché dopotutto anche lei vedeva benissimo che papà era sempre via e mamma… beh, in alcuni momenti era come se non ci fosse.
Jacopo ed io siamo cresciuti con nonna Lavinia, per questo mi dispiace che si sia lasciata coinvolgere in questa folle corsa per mettere le mani sul patrimonio di mio padre.
Ma dopo quelle orribili considerazioni che ha rivolto a mia mamma… No, non credo riuscirò a perdonarla.
Nonna mi ha bellamente sbandierato in faccia che si sta approfittando della debolezza di mia madre per divenire la padrona della residenza Montalto!
E per quanto io sia furiosa con lei, devo ammettere che ho scorto nelle sue parole un leggero fondo di verità: forse, se non me ne fossi andata, mia madre non sarebbe caduta in depressione.
E’ vero, è sempre stata di salute cagionevole e si abbatteva per un nonnulla, però se fossi stata presente nonna non le avrebbe inflitto il colpo di grazia.
Non lo so, per ora ci sono solamente tanti se e questa dannatissima eredità ancora non è saltata fuori. Mamma peggiora, nonna mi ha ufficialmente dichiarato guerra e… ah già! Tutti mi odiano.

Ottimo, una situazione grandiosa!

Raggiunta la mia camera noto con un certo sollievo che Micaela non è qui.
Non ci penso due volte: mi sfilo questi tacchi diabolici concedendo un po’ di pietà ai miei piedi doloranti e sciolgo lo chignon scompigliando i capelli con le dita.
Poi mi catapulto sul letto, nascondendo il viso tra le mani.
Sul ripiano accanto a me scorgo Maestro Gufo.
Lo afferro. Ci guardiamo negli occhi, intensamente.
Quanto vorrei sentire una voce amica…

Maestro Gufo, sei un genio!

Mi rimetto subito a sedere, agguanto il mio cellulare e faccio scorrere i contatti della rubrica finché non compare il numero di Serena.
Dopo un paio di squilli, riconosco la sua voce squillante dall’altra parte.
Ma allora sei viva!”
“Per il momento.” farfuglio, abbandonandomi ad un malinconico sospiro “Come stai?”
Io benone! Tu, piuttosto, come te la passi? Devo disporre la missione di soccorso, cara?
“Vorrei tanto risponderti di sì, ma rischieresti di farti del male. Qui è un campo di guerra.”
Addirittura?” esclama Serena “La faccenda è davvero così drastica?
“Diciamo che sono saltati fuori degli…imprevisti. Sarò costretta a restare qui ancora qualche giorno.”
Un breve silenzio s’insinua tra noi.
Ehi, ti va di raccontarmi cosa sta succedendo?
Mi mordo il labbro.
“Quando tornerò. Non è il caso per telefono.”
Oh, Nadia! Guarda che la sento la tua voce, cosa credi? Sembri distrutta!
“Ma no, no! Sono solo…un po’ stanca. Qui le giornate non finiscono mai.”
Altra pausa di silenzio, questa volta più lunga e sofferta.
Lo sai che puoi essere totalmente sincera con me, vero?”
“Certo che lo so, Serena!” rispondo, ricacciando quel nodo che all’improvviso avverto in gola “Quando tornerò ti racconterò tutto, promesso.”
Come vuoi, sappi che io ci sono. Per qualunque cosa.
“Grazie, Serena… Ah, giusto! Appena riesco chiamerò la preside per scusarmi e aggiornarla, nel frattempo puoi avvisarla tu?”
Come no! Le dirò che sei stata trattenuta per impegni familiari, d’accordo?
“Dille anche che sono mortificata...”
Ma figurati!” m’interrompe lei “Non avrà da ridire, tranquilla! Non ti sei mai concessa nemmeno un giorno di vacanza!
Mi avvicino alla finestra e scosto le tende, lasciando che il mio sguardo si perda nell’oscurità della notte.
“Beh, questa sembra tutto fuorché una vacanza…”
Nadia, cosa ti ho sempre ripetuto?!” mi rimprovera Serena.
Mi sfugge un sorriso.
“…Di tirare fuori gli attributi?”
Esatto! Ogni famiglia ha le sue stranezze, amica mia. Vedrai che la tempesta si quieterà. E poi te l’ho detto: se qualcuno t’infastidisce, sfoggia le tue doti di karate, sorella!
Scoppio in una sana e piacevole risata, di quelle capaci di risollevarti dopo una pessima giornata, ed è in questi momenti che ringrazio immensamente di avere al mio fianco una persona così positiva ed energica come Serena.
“Lo farò. E’ solo che non so se questa volta basterà il karate. Qui siamo ben oltre le stranezze… E’ un vero e proprio massacro!”
Non sarà mai niente che non si possa risolvere. Dai, Nadia! E’ la tua famiglia, troverai il modo di prenderli per il verso giusto e risolvere i vostri problemi.

E’ questo il punto: più resto qui e più mi accorgo di non conoscere affatto la mia famiglia...



Angolino dell'Autrice:
Ciao miei golosi crème caramel!
Mi scuso per il ritardo ma, so che mi capite, lo studio risucchia tempo ed energie. Per quanto io ami studiare e imparare nuove cose, rimane il fatto che richiede fatica, impegno e taaanta pazienza. E, purtroppo, ci sono casi in cui mi sento di dover mettere al primo posto lo studio.
Questo non vuol dire che non pensi a voi, miei dolcissimi cuoricini di cioccolata!
Senza di voi non avrei lo stimolo a pubblicare e il vostro riscontro (e, soprattutto, il vostro immenso affetto) è quanto di più prezioso io possa desiderare.
Vi auguro una buona settimana!
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy

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Capitolo 16
*** Fare sport fa bene (forse) ***




Fare sport fa bene (forse)
 


Odo in lontananza il gorgheggio sguaiato di un galletto piuttosto arzillo.
Dischiudo gli occhi ancora impastati di sonno, serrandoli non appena i primi bagliori dell’alba, seppur timidamente, li colpiscono.
Sblocco il cellulare e do una scorsa allo schermo.
Sono le 7:27.

Santi numi, ma è prestissimo!
 
…A dire il vero non è che la cosa mi sorprenda più di tanto.
Da quando sono tornata a casa le mie nottate sono state un vero delirio: sono un angosciante alternarsi tra ore a fissare il soffitto e sogni folli e tormentati, di quelli che ti fanno svegliare di soprassalto in un bagno di sudore e che, non si sa per quale arcano mistero, riescono a riportare a galla ricordi che credevi rimossi.
Mi metto a sedere e premo le dita dei piedi sul pavimento.
Sono scossa da un brivido.
Nella penombra scorgo le coperte di Micaela alzarsi e abbassarsi al ritmo del suo placido respiro.
Quatta, quatta mi dirigo alla finestra: scosto leggermente la tenda e intravedo nel cortile zia Amy mentre si diletta in un impegnativo riscaldamento prima della sua consueta corsa mattutina.
All’improvviso mi sale una voglia inaspettata di unirmi a lei. Non che io sia una grande sportiva, questo ormai lo sapete, ma è giusto per prendere una boccata d’aria. E poi la sola idea di ritornare in quel maledetto letto mi fa star male!
Brancolando nel buio (e pregando di non prendere in pieno qualche malefico spigolo), striscio a tentoni verso il mio trolley: acciuffo una felpa, l’unico paio di leggings che mi sono portata (e che, se non ricordo male, dovrebbero essere quelli con le fragole e gli ananas sorridenti stampati sopra, della serie w la sobrietà) e infilo le mie scarpe da ginnastica.
Poi raggiungo l’uscita, richiudo silenziosamente la porta alle mie spalle e, non prima di essermi allacciata le stringhe, scendo di sotto assaporando la quiete che ancora tutto avvolge nel suo manto. Persino i lunghi e tetri corridoi, rischiarati dalla fioca luce dell’alba proveniente dalle vetrate del piano inferiore, appaiono meno sinistri.
Non appena esco in cortile mi rendo conto di quanto l’aria sia inaspettatamente frizzantina: si insinua dispettosa tra i miei vestiti ma non mi infastidisce, forse perché porta con sé la rosea prospettiva di una piacevole giornata primaverile.
Zia Amelia si accorge della mia presenza.
“Nadia!”
Muovo la mano in cenno di saluto.
“E tu che ci fai qui?” mi chiede, assai stupita, per poi sbarrare i suoi occhi scuri alla vista dei miei sgargianti leggings “Carini i tuoi pantaloni!”
E’ davvero così folle vedermi in tenuta sportiva alle 7:30 della mattina?

…Beh, ora che ci penso un tantino folle lo è.

“Pensavo di farti compagnia. Se non ti scoccia…”
“Ma scherzi? Finalmente potrò dire di aver fatto una corsetta con la mia nipote preferita!”
Mia zia non tergiversa ulteriormente: si volta e inizia a camminare a velocità sostenuta, invitandomi a starle dietro.

Dai, in fondo non è poi tanto malaccio!

“Non ti facevo così mattiniera!”
“A dire il vero nemmeno io.” ammetto “Ma avevo bisogno di schiarirmi le idee…”
Aggrotta lievemente la fronte.
“Nottataccia?”
Annuisco, accennando un sorriso.
Zia Amy mi sfiora con tenerezza la spalla.
Dopo di che decide di aumentare le velocità.

Ecco, mi rimangio quello che ho detto prima…
 
Credo non si necessario soffermarmi sugli imbarazzanti tentativi che sto escogitando per evitare che zia non si accorga del mio arrancare, perciò andiamo oltre…
“Se ti può consolare anch’io dormo poco. La gara per cui mi sto allenando mi mette parecchia agitazione.”
“Dove vai questa volta?” le domando, mentre ci inoltriamo tra i sentieri del rigoglioso giardino della residenza.
“Cuba, baby!”
“Ma dai, è fantastico! Spero di vederti in televisione. Farò il tifo per te, ma qualcosa mi dice che vincerai anche questa volta! Sei fenomenale!”
“Che tenera sei! Mi piacerebbe averti lì con me…” s’interrompe, per poi esplodere l’attimo dopo in un gridolino concitato “Ma scusa, perché non mi accompagni?!”
“Accompagnarti fino a Cuba? Io…ecco, n-non saprei…” farfuglio, presa in contropiede dalla spiazzante proposta di zia Amelia.
“Forza, Nadia! Dov’è il tuo entusiasmo? Sarebbe una figata!”  
Chino il capo, posando lo sguardo sui cumuli di polvere che si sollevano al mio passaggio.
“Sì, certo… E’ solo che… non credo di essere capace di prendere e partire così, da un giorno all’altro.”
“Perché no? Sarebbe un’avventura!”
“Non sono uno spirito libero come te, zia.”
Lei mi stringe una spalla, rivolgendomi un sorriso affettuoso.
“Non preoccuparti, non voglio costringerti. Comunque se cambi idea fammelo sapere. Sai, a volte c’è bisogno di fare qualche pazzia, per sentirsi vivi!”
Sorrido mestamente.

Già, come se non lo sapessi...

Zia Amy ha ragione, ovvio. E’ solo che io non sono quel tipo di persona, quella che si getta nella mischia e fa baldoria fregandosene delle conseguenze. Prima di prendere qualsiasi decisione che preveda anche il minimo stravolgimento della mia routine, state pur certi che sarei in grado di rimuginarci sopra per giorni interi; e ad accompagnarmi ci sarebbe lei, quell’adorabile vocina dentro di me che, con il suo impareggiabile tatto, non farebbe altro che rammentarmi tutte le cose orribili, disastrose e catastrofiche che potrebbero accadermi.
“Cosa ti tiene qui?” chiede mia zia.
“…Tutto ciò da cui vorrei scappare. La mamma, la nonna, tutta questa faccenda dell’eredità...”
“Nadia, ma non puoi caricarti tutte le responsabilità sulle tue spalle!”
“Però è quello che devo fare! O meglio, quello che ha deciso papà, data la sua brillante trovata di nominarmi l’unica erede...”
“Guarda che se tuo padre ha deciso così, vuol dire che credeva veramente tu fossi adatta.” ribatte lei, con voce ferma ma dalla quale trapela una nota di dolcezza “E’ vero, nell’ultimo periodo non sono stata molto presente per mio fratello. Ma lo conoscevo bene e di una cosa sono certa: non era uno sprovveduto. Libero non si è mai lasciato condizionare, valutava ogni situazione con oggettività e buon senso, ponendo sempre, sempre al primo posto la famiglia. Se la sua scelta è ricaduta su di te, significa che le tue mani sono quelle giuste in cui riporre l‘eredità.”
“E questo mi lusinga, davvero!” mi affretto a rispondere “Ma la nonna…”
“Oh! Lascia perdere nonna Lavinia! Lo sai com’è fatta, è una carabiniera e vorrebbe gestire la baracca a modo suo. Per quanto cerchi di negarlo, la sua indole da primadonna non l’ha mai abbandonata.”  
Esalo un sospiro malinconico ma che, a causa del fiatone, risulta più che altro il rantolo agonizzante di un moribondo.
“A volte ho l’impressione che voglia cacciarmi a pedate…”
“Non dirlo nemmeno per scherzo!” mi sgrida zia Amy “Mia madre è rigida e vergognosamente antiquata, te lo concedo. Ma ti vuole un bene immenso! Fa solo un po’ di fatica a dimostrarlo.”
“Il punto è che non è solo nonna Lavinia. Tutti qui stanno tramando alle mie spalle: stanno solo aspettando che io tolga il disturbo. E, anche se io decidessi di accettare l’eredità, e con questo non sto dicendo che lo farò, avranno già progettato un piano per farmi fuori. Io davvero non capisco perché sono tutti così fissati con questi soldi…”
Zia Amelia scuote la testa e trattiene una risata.
“Nessuno sta architettando un complotto contro di te, Nadia!” mi rassicura, per poi aggiungere con un’espressione che si è fatta all’improvviso seria “Siamo solo un po’ nervosi: la vita è dura e chiaramente ognuno di noi ha i suoi motivi per volere una parte dell’eredità...”
“Questo non lo metto in dubbio, ma fare terrorismo psicologico mi sembra un tantino eccessivo!”
Devo fermarmi.
Sono stremata, ho dolori ovunque e credo che se mi azzardassi a compiere anche solo un altro passo mi ritroverei con la faccia a terra.
“Ti ho sfinita?” mi chiede zia Amy, divertita, continuando a correre sul posto.
E’ incredibile la capacità di resistenza di mia zia: mentre io sono piegata letteralmente in due dalla stanchezza, lei è ancora fresca come una rosa!
“No, no! Sono un concentrato di energia!” mento “E’ solo che…queste scarpe, non sono proprio adatte per correre. Mi sa che tornerò indietro, tu vai pure avanti senza di me.”
“Sicura, Nadia? Guarda che ti aspetto…”
“No, no, no! Non vorrei rallentarti, zia. Vai tranquilla!”
Che strano, è già la terza volta che la vedo strofinarsi il naso con la manica della felpa…
“Sei raffreddata?” le domando “Dovrei avere un fazzoletto da qualche parte…”
Inizio a ravanare nelle tasche ed è in quel momento, mentre zia mi esorta a non preoccuparmi, che noto una chiazza bianca sulla sua felpa.
“Zia Amy, mi sa che ti sei sporcata…”
Lei segue con lo sguardo il mio indice, fino al suo gomito.
“Oh cazz… Ops! Scusami. Sarà… ehm sì, sarà solo un po’ di polvere...” risponde, rimuovendo con una foga quasi eccessiva la macchia bianca “Avrò sfregato su qualche mobile impolverato...”
“Beh, se diciamo una cosa del genere a nonna Lavinia è la volta che ci rimaniamo secche! Alfredo mi ha rivelato che nonna ordina alle domestiche di spolverare tutti i mobili ogni singolo giorno!”
Ero sicura che il mio racconto avrebbe fatto ridere la zia, invece la trovo più agitata e quasi irrigidita.
“Ma sì, non è nulla. E’ solo polvere…” ribadisce, ancora, questa volta eludendo il mio sguardo. Inoltre, forse senza nemmeno rendersene conto, tira di nuovo su con il naso.
“Io continuo la mia corsa. Devo darmi da fare se voglio vincere anche questa volta e rendere orgogliosa mia nipote!”
Mi dà un buffetto affettuoso sotto il mento e si rimette in moto.
Vorrei tanto correrle dietro e fermarla.
Vorrei spiegarle che non è così importante vincere a tutti i costi, che per me lei resta, e resterà, sempre la numero uno.
E, soprattutto, vorrei raccomandarle di non giocarsi la salute a causa del suo animo così competitivo e scatenato.
Ma zia Amy è già sparita dietro gli alberi.
 

Angolino dell'Autrice: Miei dolci e soffici tortini di cioccolato e lamponi,
come state? Siete pronti per il lunedì?
Mi auguro di avervi strappato un sorriso con questo capitolo e spero che la nuova settimana vi riservi tante belle sorprese.
Grazie per seguirmi con tanto affetto e attenzione, siete la mia gioia e il mio regalo più prezioso.
Come sempre vi lascio il link alla mia pagina facebook se vi va di fare quattro chiacchiere --> https://www.facebook.com/Clairy93-EFP-400465460046874/?ref=aymt_homepage_panel
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy
 

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Capitolo 17
*** Contraddire la Carabiniera a proprio rischio e pericolo ***



 
Contraddire la Carabiniera a proprio rischio e pericolo



Dopo una lunga, lunghissima e rigenerante doccia bollente per riprendermi dall’estenuante corsa in compagnia di zia Amy (promemoria di Nadia per il futuro: la corsa non fa decisamente per te), scendo al piano di sotto per la colazione.
Il profumino di pane tostato che s’insinua nelle mie narici genera uno sconsolato brontolio nel mio stomaco.

Che c’è? E’ risaputo che fare attività fisica stimoli l’appetito!

Affamatissima, faccio capolino nella sala da pranzo ma, non appena distinguo la rossa chioma di nonna Lavinia, il cuore mi sale in gola.
Compio un passo indietro ma il mio piano di fuga fallisce miseramente…
“Ciao Nadia!” mi saluta zia Ortensia, la bocca piena di plum-cake ai mirtilli.
Non mi resta che entrare nella stanza.
Inutile dirvi che il mio ingresso viene calorosamente accolto da mia nonna che, manco avesse la vista a raggi x, mi scandaglia da capo a piedi con i suoi occhi di ghiaccio.
Distolgo subito lo sguardo anche se, mentre mi accomodo al mio posto, continuo a percepire i suoi occhi fissi su di me, come registrassero ogni mia mossa.
Dopo la nostra discussione dell’altra sera non so proprio come comportarmi con lei.
Nonna mi ha praticamente sbattuto in faccia quello che è il suo diabolico progetto: approfittarsi di mia mamma per porre le mani sull’eredità di papà e, nel caso io volessi in qualche modo oppormi, investirmi con la forza di un caterpillar.
Alfredo mi riempie la tazza di caffè, lasciandomi lì vicino il bricco del latte caldo.
Nemmeno l’inconfondibile e pungente aroma della mia bevanda riesce a sciogliere la tensione che avverto sulle spalle.
“Questa mattina giungeranno alcuni giornalisti della redazione del quotidiano locale.”
Per un attimo non mi rendo conto che nonna Lavinia stia parlando con me. E’ zia Ortensia che, con una potente gomitata che quasi mi fa rovesciare il caffè, attira la mia attenzione.
“Ah…”  
“Vogliono proporci un’intervista.” spiega nonna “Poiché tua madre non riuscirà a partecipare, saremo noi due a presenziare.”
“…Va bene, ci sarò.” farfuglio, dubbiosa e già nel panico.

Ora, fermiamoci un secondo: ma con tutte le persone che vagano per questa maledetta casa, nonna Lavinia doveva scegliere proprio me?
L’intervista sarà una strategia per farmela pagare? O magari per mettermi per l’ennesima volta in ridicolo?
“Vestiti in modo adeguato, per piacere.”
Lancio una rapida scorsa al mio abbigliamento. Non mi sembra di essere messa così male: una camicetta a righe bianche e azzurre, un paio di jeans e le mie Converse che, questo glielo concedo, in effetti hanno visto tempi migliori.
Incrocio lo sguardo di zia Ortensia in cerca di supporto, tuttavia la sua espressione esitante non mi è di grande aiuto: non capisco se è dello stesso parere della nonna o è un modo gentile per farmi capire che, in ogni caso, è meglio non contraddire la Carabiniera.
Insomma, non insisto ulteriormente. Mi limito ad affondare il viso nella mia tazza fumante scottandomi la punta della lingua ma, a dirla tutta, non ci faccio neanche troppa attenzione.
“C-come sta la mamma?” chiedo in un flebile ed imbarazzatissimo sussurro, tanto da temere che nonna non mi abbia neanche sentito.
“Meglio.” risponde lei, invece.

Non c’è che dire, una risposta lapidaria!

Mi mordicchio il labbro inferiore, tesa.
Inoltre, avere di fianco zia Ortensia che sgranocchia imperterrita frollini al burro non è che sia d’aiuto…
“Allora più tardi andrò a trovarla.” dico.
“Nadia, non mi pare il caso di disturbare tua madre. Virginia deve riposare e recuperare le forze.”
Il gelo che trapela dagli occhi di nonna mi frastorna come lo stridio delle unghie su una lavagna.
Chino il capo all’istante. Solo dopo mi rendo conto di quanto sia ridicolo comportarmi come una ragazzina impaurita.
Il trambusto di una sedia trascinata sul pavimento spezza il silenzio: nonna si picchietta gli angoli della bocca con il tovagliolo e, senza dire una parola, lascia la stanza.
E’ solo in quel momento che mi sembra di ricordare come si fa a respirare.
“Ma cosa hai combinato, Nadia? Tua nonna sembra davvero furiosa…” dichiara zia Ortensia, indirizzandosi al ricco buffet per un secondo giro.

Non è che sembra, lo è.


Mentre mi dirigo nella mia camera per cambiare quello che nonna Lavinia ha bocciato come “abbigliamento non adeguato”, avverto movimenti sospetti dietro di me.
Il corridoio, tuttavia, è deserto.

E se qualcuno volesse colpirmi alle spalle?!

Sono sola e,
dato che sono tutti scesi per la colazione, non sono nemmeno sicura che qualcuno sentirebbe le mie urla .
Dopotutto cosa ci vuole a farmi fuori e togliere così di mezzo l’unico, fastidioso impiccio all’eredità Montalto?
 
Non essere stupida, Nadia!

Ok, non sbarellare. Concentrati sulle parole di zia Amy: nessuno sta architettando un complotto contro di te! Sei solo paranoica, tutto qui.
Ma è quando distinguo chiaramente dei passi avvicinarsi che il mio cuore inizia a martellare all’impazzata.
Piego un poco le ginocchia e predispongo la posizione di karate che la mia amica Serena mi ha insegnato.
Se vogliono farmi secca, almeno proverò a difendermi.
Mi volto di scatto, pronta a sferrare il mio miglior gancio destro, ma non appena riconosco la figura misteriosa mi sfugge un grido e compio un immenso sforzo per indirizzare il mio pugno altrove.
“Alfredo! Dio, non farlo mai più! Mi hai terrorizzata!”
“Sono mortificato, signorina Nadia. Mi sono preso un bello spavento pure io...” ammette il maggiordomo, ancora scosso da quel cazzotto che, se io non avessi virato, lo avrebbe centrato in pieno “E' per caso impaurita da qualcosa?”
“Ma no, cosa vai a pensare!” mento “E’ solo che non sono più abituata ad attraversare questi corridoi… sono davvero inquietanti! Avevi bisogno di qualcosa, Alfredo?”
“So che ha l’intervista a cui pensare adesso e non l’avrei disturbata se non fosse stato urgente. Ho appena ricevuto conferma: domani mattina è attesa all’azienda di suo padre.”
Spalanco gli occhi.
“Cosa?! Io?! E chi mi attende?”
“Il Signor Viscardi, il collaboratore di lunga data di suo padre.”
Infilo le mani nei capelli, tirandoli forte.
“Qualcosa non va, signorina Nadia?”

Tutto non va, mannaggia!

Già me lo vedo questo Viscardi: un altro vecchio bacucco che, dopo aver manifestato tutta la sua disapprovazione nei miei confronti, finirà con un (per nulla scontato): una donna non sarà mai adatta a gestire l’azienda!
Che, per carità, avrebbe pure ragione dato che ancora non ho capito di cosa si occupasse mio padre…
Però non sono psicologicamente preparata per sostenere un’altra mandria di lupi inferociti, pronti a scannarmi e farmi sentire inadeguata.
“Alfredo, mi sta salendo un po’ di agitazione...”
“Non deve preoccuparsi, signorina. Il signor Viscardi è una persona a modo, glielo assicuro. Farete un giro dell’azienda e lui sarà a sua completa disposizione per qualsiasi chiarimento.” un sorriso tenero illumina il suo viso, poi soggiunge “E’ il momento che inizi ad avvicinarsi al mondo di suo padre, Nadia.”
“…E se non volessi?”
Alfredo inarca un sopracciglio.
“Non vuole o non si sente pronta?”
Esito.
“Forse più la seconda...”
“E’ normale
non sentirsi all’altezza in una situazione del genere, ma non si convinca sia davvero così. La paura è causata dal fatto che sta affrontando tutto questo da sola. Ma lei è più forte di quanto immagina, signorina.”
Sollevo lo sguardo, rivolgendogli un sorriso complice.
“Me lo ripetevi sempre da piccola.”
“Ero sincero. E più che mai lo sono ora. Nadia, lei ha tutte le potenzialità. Deve solo crederci un po’ di più. Ho grande fiducia in lei.”
Stringo le sue mani bitorzolute tra le mie.
“Sei l’unico, sai?”
“No, anche suo padre credeva in lei.”
Faccio spallucce, sconsolata.
“Mi sembra sempre di essere sull’orlo di un dirupo e di stare per perdere l’equilibrio. Solo che non c’è nessuno ad afferrarmi…”
Alfredo mi sfiora la guancia con il pollice.
“Io sono qui, signorina. E, finché il Padre eterno me lo concederà, mi assicurerò che non le accada niente di brutto. E’ una promessa.”


Angolino dell’Autrice: Ciao miei piccoli brownies alla nutella!
Eccoci qui, seppur con un po’ di ritardo sulla tabella di marcia, con un nuovo capitolozzo! Il padre di Nadia è ancora avvolto da un alone di mistero ma ci stiamo avvicinando a quelle che potrebbero essere scoperte interessanti.
Intanto vi ringrazio per essere sempre al mio fianco, il vostro sostegno è il regalo più prezioso.
Ve amo ‘na cifra!
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Capitolo 18
*** Mai giudicare un padre dalla copertina ***


Mai giudicare un padre dalla copertina



Terminata l’intervista per il quotidiano locale, mi dirigo con sollievo, seppur risucchiata delle mie energie, nella mia stanza.
Qui ci trovo Micaela.
Abbandonata sul letto e con gli auricolari nelle orecchie, muove le dita in maniera frenetica sullo schermo del cellulare.
“Micaela?”
Nessuna risposta.
Ci riprovo.
“Micaela!”
Con un balzo le sono accanto e le strappo via le cuffiette.
La mia sorellastra compie un salto per lo spavento e i suoi occhi, dapprima strabuzzanti, si riducono in due sottilissime fessure pronte ad incenerirmi.
“Ma sei scema?!”
Incrocio le braccia al petto, infastidita.
“Ti ho chiamata per ben due volte e non mi hai risposto!”
“Forse perché non volevo sentirti!”
Micaela affonda la testa nel cuscino e s’infila nuovamente le cuffie nelle orecchie.
Tuttavia non demordo e gliele ritolgo.
“Ma sei proprio una stron…”
“Senti!” la interrompo senza troppi convenevoli “Devo dirti una cosa importante.”
“Se vuoi raccontarmi dell’intervista non mi interessa. Ho già visto abbastanza dal modo in cui ti ha trattato tuo zio…”

In effetti Micaela non ha tutti i torti.
Non è stata nonna Lavinia, come invece sospettavo, a remarmi contro.
Anzi, dalle sue espressioni contrariate mi è sembrato di capire che neanche lei avesse una gran voglia di sottoporsi a questa intervista. Credo non sopportasse l’insistenza del giornalista, un ometto assai ambiguo che forse contava di scoprire qualche dettaglio piccante nella smania di vedersi servito su un piatto d’argento un bel titolo da prima pagina.
E’ stato piuttosto zio Edoardo, la cui presenza deve aver colto di sorpresa persino nonna Lavinia, che si è intromesso e ha puntato i riflettori su di sé, sottolineando le sue mirabili doti gestionali e soffermandosi, più di una volta, sulla mia inadeguatezza tanto come erede quanto come nuova responsabile dell'impresa Montalto.

“No, non è questo di cui devo parlarti. Domani mattina il signor Viscardi, il collega di nostro padre, mi aspetta all’azienda. Ti va di accompagnarmi?”
Micaela prorompe in una risata beffarda.
“Non ci penso nemmeno!”
“Dai, Micaela!” mi siedo sul letto, supplicandola “Sei stata nominata anche tu nel testamento. Non puoi ignorare le volontà di papà!”
“Te l’ho già detto un milione di volte: io con mio padre non voglio avere nulla a che fare!”
“Ma non sei curiosa di sapere perché abbia scelto proprio noi due come sue eredi?”
Il mio tentativo di convincerla viene frenato dall’occhiataccia che Micaela m'indirizza.
“No.”
“Non vuoi capire in cosa consistesse il suo lavoro, perché non fosse quasi mai a casa?”
“No. Ora mi lasci in pace?”
Micaela sta per infilarsi gli auricolari alle orecchie ma io la blocco per i polsi.
“Almeno promettimi che ci penserai su.”
Mia sorella alza gli occhi al cielo, seccata, per poi scansarsi dalla mia presa.
“Allora me lo prometti?” insisto io.
Ma Micaela non mi risponde e alza al massimo il volume della sua musica.


Come volevasi dimostrare, Micaela non è venuta.
Perciò eccomi qui, fuori da questo imponente cancello in ferro battuto che, una volta aperto, mi condurrà verso la verità.
Oltrepassarlo significherà stravolgere la mia vita, tuttavia sarà l’occasione di cui ho bisogno per fare luce su alcuni tasselli del mio passato e per dare un’identità più nitida a mio padre.
Avvicino la mia mano tremolante al citofono, esercitando con l’indice una leggera pressione sul bottone.
Mi stringo nelle spalle, intirizzita dal venticello pungente di questa mattina e dalle ondate di ansia che mi assalgono a intervalli sempre più vicini uno all’altro.
Avverto un gracchiare indistinto provenire dall’altoparlante e, all’improvviso, uno stridente scampanellio sblocca la serratura del cancello.
Devo impiegare una forza non indifferente per aprire e richiudere l’inferriata, tra l’altro producendo un cigolio davvero assordante.

Mettere un pochetto d’olio, che dite?

Con gambe vacillanti che a stento sembrano reggere il mio peso, percorro il vialetto costeggiato da un prato rigoglioso e verdeggiante.
Giunta davanti all'entrata, la grande porta a vetri scorre in automatico e mi conduce nel luminoso ingresso, un ambiente dallo stile minimal e molto sofisticato.
Non si vede anima viva.
Va bene che non mi aspettavo chissà quali calorosi striscioni di benvenuto, ma così mi pare proprio da maleducati…
Il dettaglio che trovo insolito in uno spazio tanto sobrio e raffinato e che, per tale motivo, attira la mia attenzione sono alcune fotografie in bianco e nero appese alla parete: ritraggono tutte mio padre.
La maggior parte lo immortalano insieme a quelli che, suppongo, siano i suoi dipendenti. Ma non solo: ci sono anche donne, anziani, addirittura bambini. L’aspetto singolare che riscontro in ogni scatto è la presenza nelle mani dei soggetti fotografati di…libri. Volumi di ogni tipo, forma e dimensione di cui però non riesco a leggere i titoli.
Scorrendo con lo sguardo le foto arrivo ad una scritta incisa su una preziosa targa dorata, ma non faccio in tempo a leggerla poiché una voce alle mie spalle mi fa sobbalzare.
“Signorina Montalto, mi perdoni se l’ho fatta attendere!”
Mi giro e rimango un attimo spiazzata dall’impeccabile eleganza e dall’affascinante aspetto del giovane uomo che mi trovo di fronte.
Mi domando come ci sia finito un così bel ragazzo a fare il segretario in un’azienda: questo avrebbe assicurata la carriera da modello, altroché!
“E’ un piacere conoscerla.” il baldo segretario mi offre la mano “Io sono Alessio Viscardi.”

No, devo aver capito male.

“V-Viscardi?”
“In persona! Suppongo che il suo maggiordomo le abbia riferito della nostra telefonata di ieri.”
“Sì, infatti… Ma io credevo che lei fosse più…”
L’uomo reclina il capo, perplesso e allo stesso tempo incuriosito dalla mia evidente esitazione.
“…Più vecchio.”
Lui scoppia in una limpida risata.
“Oh, ora ho capito! C’è stato un malinteso: vede, io sono il figlio. Ruggero Viscardi è mio padre.”

Mi state dicendo che non dovrò rapportarmi con un vecchio bacchettone sentenzioso ma finalmente con un mio coetaneo e, particolare da non sottovalutare, pure di bell’aspetto?

“Mio padre è andato in pensione un anno fa ed io gli succedo nell’attività. Mi spiace se l’ho delusa, ma questo passa il convento.”
Alessio Viscardi m’indirizza una timida occhiata, accennando un sorrisetto adorabile.
“No, ma ci mancherebbe! Anzi, mi spiace se le sono sembrata una pazza ma in questo periodo sono circondata da persone… un po’ avanti con l’età ed è liberatorio parlare con qualcuno che non confonda un mp3 per una macchina del demonio.”
“Mi creda, la capisco molto bene. I membri più anziani del nostro consiglio amministrativo sono menti eccellenti, ma non le dico quante volte hanno rischiato di mandarmi fuori di testa!” ridiamo entrambi, poi lui prosegue “E poi per me è un vero onore conoscerla. Lei è la figlia di un uomo davvero geniale, a dir poco rivoluzionario!”
Il giovane Viscardi coglie subito il velo di titubanza sul mio viso.
“…Lei non sa di cosa si occupasse suo padre, mi sbaglio?”
“No, non si sbaglia. Lui non mi parlava quasi mai del suo lavoro.”
“Allora bisogna rimediare.” con gesto galante, Alessio mi esorta a precederlo.
Ed è così che l’amico Viscardi mi guida verso il cuore pulsante dell’azienda, scortandomi in questo labirinto di lunghi e silenziosi corridoi senza, però, proferire parola.
Questo suo atteggiamento enigmatico mi mette ancora più agitazione, perciò mi rivolgo al mio accompagnatore:
“Signor Viscardi?”
“La prego, solo Alessio.”
“Ehm… d’accordo. Può dirmi, Alessio, dove stiamo andando di preciso?”
“La porto nel posto in cui l’ingegno e l’impareggiabile estro di suo padre hanno espresso la loro massima potenzialità.”

Alla faccia! Questo tipo aveva davvero una profonda stima verso mio papà!
Sembra che ne sappia molto più lui di me…


Giungiamo davanti ad un’anonima porta in legno massiccio che Alessio apre con una certa eccitazione, spalancando le imposte e incitandomi ad ammirare la colossale e ricchissima biblioteca che percorre le quattro pareti della stanza.
“Questo era l’ufficio di suo padre, signorina Nadia.”
Non so bene cosa dire. O fare.
Mi fa strano pensare mio padre nella veste di serio lavoratore ma, allo stesso tempo, credo che non potrei immaginarlo in un ambiente diverso da questo.
Riesco a vederlo seduto su quella poltrona di velluto rosso, dietro la sua scrivania pulita ed ordinata in maniera quasi maniacale, chino a scrivere o a sfogliare alcuni di questi volumi.
“Venga, le faccio vedere una cosa.”
Alessio mi fa cenno di seguirlo proprio verso la scrivania.
Sulla destra scorgo due eleganti cornici e, non appena mi avvicino, devo mordermi il labbro per trattenere un'inaspettata ondata di lacrime.
In una fotografia ci sono io da piccola, la chioma rossa e (come di consueto) spettinata, in braccio a mio padre; le punte dei nostri nasi si sfiorano.
Nell’immagine accanto vedo un’altra bambina sulle ginocchia di mio papà: porta delle adorabili treccine bionde e mi osserva con due meravigliosi occhioni blu. E’ Micaela.
“Abbiamo lasciato tutto com’era.” mi assicura il bel Viscardi.
Afferro la cornice e accarezzo con il pollice il profilo di mio padre, forse nella speranza di sentirlo un po’ più vicino.
“Il signor Montalto vi adorava.” continua lui, con tono affettuoso “Tutto ciò per cui ha lavorato lo ha fatto per voi, per garantire un futuro più solido alle sue figlie e alla sua famiglia.”
Senza rendermene conto, una piccola lacrima sorvola la mia guancia per poi approdare sul vetro della fotografia.
Davanti ai miei occhi spunta un fazzoletto di stoffa.
“Lo tenga.” si affretta ad aggiungere Alessio, rivolgendomi un sorriso incantevole, di quelli che ti fanno scogliere come una noce di burro sul pane caldo.
Tento di dissimulare il mio rossore con scarsa maestria e mi limito, a causa del mio imbarazzo, a proferire solo un biascicato “grazie”.
“E sua sorella?” mi domanda Viscardi “Micaela, giusto? Non è potuta venire oggi?”
Scuoto la testa.
“No, Micaela non è interessata...”
“Mi dispiace.”
“Già, anche a me…”
Dopo un breve momento di silenzio che mi consente di riprendere un minimo di autocontrollo, mi volto con fermezza verso Alessio.
“Senta, io vorrei… anzi, devo saperne di più: di cosa si occupava mio padre?”
L’uomo mi fa gesto di attendere: raggiunge la libreria, ne sfila un volume e torna da me.
“Durante la seconda guerra mondiale, la Contea di Montalto era una zona davvero povera e disagiata. Si viveva di stenti, la gente moriva letteralmente di fame. La contea, inoltre, non era ancora ben collegata alle grandi vie di comunicazione, i rifornimenti tardavano ad arrivare, sempre se arrivavano, e i sanguinosi scontri tra italiani e tedeschi durante la Resistenza non facevano altro che accrescere la paura, le difficoltà e il numero di vittime. Fu così che il signor Montalto ebbe un’idea…”
Alessio si avvicina e apre il libro.
“…Per dare un aiuto concreto alla popolazione di Montalto, il Marchese escogitò dei piccoli volumi nei quali nascondeva, tra due facciate lievemente incollate tra loro, delle banconote.”
Afferra una pagina tra pollice e indice, la sfrega delicatamente finché non si separa in due fogli e nel mezzo riconosco una banconota da 10.000 lire con l’effige di Alessandro Volta impressa sulla superficie.
“Se si fosse scoperto lo stratagemma, suo padre sarebbe stato ucciso. Il rischio in cui incorse fu immenso, ma ciò non lo dissuase dalla possibilità di soccorrere economicamente i suoi compaesani.” Alessio ripone il libricino nello scaffale per prenderne subito un altro “Quando la guerra finì, il signor Montalto cominciò a realizzare libretti in edizioni semplici e a poco prezzo, pensati soprattutto per il popolo illetterato. Tutti avrebbero finalmente avuto l’opportunità di imparare a leggere e scrivere, riducendo così la grave piaga dell’analfabetismo.”
Alessio Viscardi mi porge il piccolo volume.
I nostri sguardi s’incrociano, forse ad una distanza troppo ravvicinata.

Wow, non avevo notato quanto fossero belle quelle pagliuzze dorate nei suoi occhi…

Chiniamo all’unisono il capo, impacciati.
“Insomma, l’attività del Marchese decollò.” prosegue Alessio, schiarendosi la voce con qualche imbarazzato colpetto di tosse “Anni dopo aprì quest’azienda, dando impiego a decine e decine di persone e offrendo un alloggio ai più poveri e alle loro famiglie. Libero Montalto è stato l’artefice della rinascita della Contea di Montalto della Leonessa.”
Alessio mi passa un vecchio articolo di giornale: in prima pagina, datata 11 ottobre 1958, spicca una fotografia in bianco e nero che ritrae proprio mio padre all’entrata dell’azienda, attorniato da una schiera di dipendenti dagli ampi sorrisi.
“Ecco perché non era mai a casa...” mormoro io, assorta “Papà ha messo tutto se stesso in questo lavoro e ha salvato la vita di centinaia di persone.”
“Sa cosa ripeteva mio padre quando tornava a casa la sera?” mi dice Alessio “Il Marchese era l’uomo più devoto alla famiglia che avesse mai conosciuto. Il suo lavoro era fondamentale, ma tutto ciò che aveva costruito fu solamente per il benessere dei suoi cari. La forza che ogni giorno ispirava il signor Montalto, signorina Nadia, era sapere che quest’attività un giorno sarebbe passata a sua figlia. E, come suo padre, anche lei avrebbe compreso che tutto questo era molto più di un semplice mestiere. Aiutare il bisognoso, collaborare, porre l’altro prima di se stessi… Sono valori rari, ma suo padre è riuscito a racchiuderli nel suo lavoro e sono sicuro che abbia visto in lei la persona più adatta per portare avanti il suo volere.”
Le parole di Viscardi appaiono alle mie orecchie come una raffica di colpi dritti nel petto che mi scaraventano in uno stato di fulminea agitazione.
“Io non sono sicura di essere pronta per questo incarico, Alessio.” ammetto, in preda al più totale e debilitante sconforto “Mio padre era molto più che un filantropo, era amico della gente: le persone, in questa fotografia, sorridono perché gli sono grate, perché riponevano fiducia in lui. Mio papà era un eroe, io invece sono solo una qualunque che si è trovata qui per caso. Con che coraggio potrei accettare questo impegno se è evidente che lo conoscevo a malapena?!”
Alessio appoggia una mano sulla mia spalla.
“Non deve decidere adesso, Nadia. Ha accumulato davvero tante informazioni oggi, si prenda il suo tempo per metabolizzarle. Diciamoci la verità: siamo ancora giovani, ma in fondo neanche più così tanto. Ci troviamo in quella terra di mezzo in cui è giunto il momento di assumerci delle responsabilità, ma farlo ci spaventa a morte perché significa
a tutti gli effetti diventare adulti. Sarò felice di riaverla qui se vorrà ulteriori informazioni. Inoltre, non deve affrontare tutto questo da sola: farò di tutto per essere un fedele assistente.
Passo con fatica una mano tra i capelli aggrovigliati.

Che gran confusione ho in testa!

Mi manca il fiato e cerco di ignorare le macchie colorate che cominciano ad annebbiare la mia vista.
“E’ meglio che io vada...”
“Nadia, è sicura di stare bene?” mi chiede Alessio, apprensivo “Mi sembra un po’ pallida. Posso offrirle un caffè o una tazza di tè?”
“Oh no! Va tutto bene… Sono solo un po’ stanca…”
“Lasci almeno che le chiami un taxi.” insiste lui.
“No, no! Sto benone…”
Le ultime parole famose: compio giusto un passo e le ginocchia decidono di abbandonarmi.
Se non fosse per la presa vigorosa e solerte di Alessio, sarei già finita con il fondoschiena sul parquet.

Mmh, sarà forse la conseguenza di non aver mangiato nulla a colazione?

Ma come avrei potuto?! Per colpa dell’ansia questa mattina avevo lo stomaco che definirlo chiuso è un eufemismo!
“Venga, si accomodi qui.”
Il giovane Viscardi mi fa sedere sulla poltrona.
“Ha proprio un buon profumo.” penso tra me e me, mentre mi allontana delicatamente dal suo petto.
“Davvero non posso offrirle qualcosa, Nadia? Ho un’ottima camomilla. Salvo che non voglia qualcosa di un po’ più… forte. In quel caso non potrei farle compagnia, non è molto professionale bere sul luogo di lavoro.”
La voce pacata e rassicurante di Alessio ha il potere di ridarmi un poco di lucidità.
Tuttavia sento il respiro ancora affaticato e le gambe tremanti.
“Beh, magari una tazza di camomilla la prendo volentieri.”


Angolino dell'Autrice: Ciao biscottini alla cannella!
Mannaggia a me, è da troppo tempo che non aggiorno!
La mia vita ha preso una piega inaspettata in questo ultimo mese e sto cercando di rientrare nei ritmi.
Io vi ringrazio immensamente perché, nonostante i miei ritardi e la mia sbadataggine, ci siete sempre per infondermi tanto affetto e supporto.
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy

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