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Non
capisco più niente. Chi sono io? Una bambola in mano a un burattinaio, forse?
Come tale, è vero, non riesco a ribellarmi dal mio destino. Sono confuso, la
mia vita l’avevo sempre vista come una strada diritta, ma
ora non capisco neanche dove vada.
Ho
un obbiettivo. Non mio, certo, imposto, certo, ma ne ho uno. Devo trovarla
oppure Noi ci estingueremo. Ma sarà davvero questo quel
che voglio? Non credo.
“Dio creò l’Uomo a sua immagine e
somiglianza. L’Uomo,
però, disubbidì alle regole che gli erano state imposte, ritrovandosi così
fuori dal Paradiso Terrestre. Fu allora che Noi nascemmo. Come
il serpente che prima o poi si morderà la coda, così Lui alla fine cercherà
Lei”. Quanto mi nauseano queste frasi, quelle che chi mi è intorno dice
sempre nei miei confronti.
Se
davvero esiste una Divinità che ci governa, spero che riesca ad aiutarmi. Non
mi importa se sarà Gesù, Budda, Allah o qualunque
altra, a me serve solo aiuto e chi meglio di loro me lo può dare?
Io
non ho avuto possibilità di scelta: sono dovuto diventare uno di Loro. Mi
chiedo se anche Lei si senta così o se abbia avuto una minima possibilità di
scelta. Se così fosse e io la trovassi, per una volta non starò a sentire ciò
che mi diranno, farò di testa mia, andrò contro tutti.
So che magari queste resteranno solo parole, ma non voglio che anche Lei entri
in questo mondo.
Il
mio mondo…
S.A.ntri in questo
mondo.
vassi, per una volta non starò a
sentire ciò che mi diranno, farò di testa mia, non voglio che anche Lei e
15 novembre. Il mio compleanno.
La morte di mia madre. È strano come le cose prima perfette vengano poi unite
in modo disastroso. Fino a due anni fa, oggi era la giornata più bella che
potessi mai chiedere. Oggi, invece, mi sembrava di vedere il mondo tramite un
vetro opaco, mi sembrava tutto grigio e distorto.
Ero sdraiata sul letto e guardavo
il soffitto della mia camera come se potessi scorgervi dentro chissà che cosa.
Girai la testa verso il comodino. La sveglia faceva brillare pallidi i numeri
dell’ora: 7:50. Perfetto, non mi andava di andare a scuola. Ritornai a guardare
il soffitto.
Passarono 5 minuti, credo, e
sentii l’auto di mio padre allontanarsi da casa. Beato lui che non si sentiva
un grosso peso sulla coscienza oggi. Lasciai correre altri minuti continuando a
fissare il soffitto, poi mi alzai. Andai alla finestra per vedere come stava il
mondo fuori. Pioveva insistentemente. Sbuffai, che bello oggi erano tutti
meravigliosamente malinconici! Decisi di andare in bagno a lavarmi e poi scesi
in cucina per fare colazione.
Mangiai senza gusto una tazza di
cereali, concentrandomi più che altro sul rumore della pioggia che cadeva
sull’asfalto e sul tetto. Finiti, misi la tazza nel lavandino della cucina e
risalii le scale. La pioggia continuava incessante, mi misi le cuffie dell’mp3
alle orecchie e mi sdraiai sul letto. Non avevo voglia di pensare.
14:30. Camminavo sotto la pioggia
accompagnata dalla musica dell’mp3. Tutto intorno mi sembrava stranamente
rallentato. Alla fine varcai quella soglia e mi ritrovai immersa nella calma
irreale delle tombe.
Non c’era da stupirsi se oggi
nessuno fosse venuto al cimitero, ma io mi ero promessa di andare a farle
visita. Il mio passo scricchiolante sulla ghiaia risuonava prepotente in quel
silenzio. Mi fermai davanti a una tomba grigia, comune, quasi anonima. Il nome
di mia madre, Deborah Evans, piangeva lacrime di
pioggia. Spensi l’mp3 e lo rimisi in tasca.
Rimasi lì a fissare la tomba in
silenzio sotto l’ombrello senza sapere come articolare in pensieri le mie
emozioni. Mi sentivo in colpa per quello che era successo. E intanto la pioggia
aveva cominciato a sgorgare anche dai miei occhi.
Dopo non so quanti minuti, sentì
il passo di un’altra persona avanzare per quella fila di tombe. Non so cosa mi
spinse, ma alzai gli occhi. Un ragazzo dalla pelle quasi dorata avanzava a
passo sicuro sotto la pioggia che lo inzuppava. Aveva dei capelli scuri, corti
e spettinati.
Mi sentii messa in soggezione
come se fossi al cospetto di un dio. Un dio sumero,
in questo caso. Non appena fui sicura che mi avesse sorpassata, mi allontanai a
testa bassa.
Ero di nuovo in camera mia, lo
sguardo perso ad osservare la pioggia cadere. Ogni tanto nei miei pensieri
ritornava l’immagine del ragazzo. Mi chiedevo se non si fosse trattato solo di
una visione.
A un certo punto il cellulare
cominciò a squillare interrompendo il flusso dei miei pensieri. Lessi il nome
sullo schermo: Cath, c’era da aspettarselo.
- Pronto? – feci.
- Ciao, Mel.Va tutto bene? – la sua voce era preoccupata,
come era prevedibile.
- Ciao. Sì, non ti preoccupare ho
solo un po’ di mal di testa. – mentii, cercando di fargli capire che era per
questo che non ero andata a scuola e non perché oggi era quel giorno.
- Mel,
non scherzare. Come ti senti? – chiaramente non ci era cascata.
Sbuffai. – Sto bene, non ti
preoccupare, sono forte io.
- Certo… certo… - fece
accondiscende. – Sei sicura che tutto sia veramente a posto? – mi chiedevo se
avesse un radar per rilevare i sentimenti altrui.
- Sì, Cath,
tranquilla! – dissi più allegra.
- Ok,
ti credo.
- Bhe,
senti ci vediamo domani a scuola, va bene?
- Sì, ciao…
Stavo per riattaccare quando la
sentì chiamarmi. – No, aspetta, Mel! Ancora una cosa!
- Dimmi.
- Non devi sentirti in colpa. – e
con questo finì definitivamente la nostra conversazione.
Già, non sentirsi in colpa. Non
credo che sarebbe stato tanto semplice farmi passare quel che provavo. Posai il
cellulare sulla scrivania e poi ripresi a guardare fuori dalla finestra.
Pioveva ancora.
Ciao
a tutti!!! Grazie mille per aver letto il primo capitolo! Spero che la storia
vi piaccia …
Variabile: innanzitutto ti ringrazio per la recensione.
Sperando di non offenderti, volevo dirti che l’errore di ortografia che mi
segnali non è tale. Ho controllato sul dizionario per essere sicura, ma
guardando la parola “obiettivo” mi diceva che si poteva anche scrivere
“obbiettivo”. Se non mi credi controlla pure.
Comunque
ti ringrazio per avermi detto di stare più attenta a queste cose perché a volte
sono un po’ distratta (-_-;;;) e ti prego di segnalarmi quelli che farò, se
avrai la cortesia di seguire la storia. Grazie.
ArwenWoodbane, Fantasy_Mary88 ewawachan, grazie per
averla messa tra le vostre preferite, spero di non deludervi.
Continuate
a seguirmi e, per favore, recensite così almeno so se continuare a pubblicare
la storia o meno.
Era un settembre inoltrato
stranamente caldo. Indossavo una maglietta viola semi scolorita e un paio di
jeans. Cath è arrivata con una camicetta di cotone bianca e una gonna nera
lunga fino ai piedi. Tra i capelli corvini corti si intravedevano i cerchi
degli orecchini.
- Ciao, Mel! – mi ha salutato
abbracciandomi, non appena mi raggiunse sulla scalinata di ingresso della
scuola. Poi ha lanciato uno sguardo critico verso l’edificio. – Non hanno
neanche ridipinto la facciata. Siamo alle solite.
- Già… - feci notando il fatto.
- Meel! Caath! – ci chiamò da
lontano Marya agitando il braccio per attirare la nostra attenzione, mentre ci
raggiungeva raggiante.
- Quanta allegria… e dire che è
appena cominciata la scuola… - commentò Cath sottovoce ironica e io ridacchiai
sotto i baffi.
- Ragazze! Ho una notizia
magnifica! – ci disse Marya non appena ci raggiunse.
Gli occhi di Cath brillarono. –
Spara!
- Mi sono messa con Chris! – le
rispose mostrando un sorriso a trentadue denti.
- Davvero?! E quando è successo?
– le domandai curiosa e con un espressione stupita sul volto.
Evidentemente erano le domande
che più si aspettava. Cominciò a parlare raccontando quasi fin nei minimi
particolari quello che era successo. Io la ascoltai per un po’, poi la mia
attenzione venne catturata da qualcos’altro. O meglio da qualcun altro.
Un ragazzo assolutamente identico
a quello che avevo incrociato al cimitero il giorno del mio compleanno stava
salendo le scale in quel momento. Non so perché ma lo rimasi a fissare.
- Ma insomma mi stai ascoltando o
no?? – sentii Marya domandarmi. Mi riscossi dalla visione.
- Ehm scusa, mi sono persa. Cosa
stavi dicendo? – decisi che era impossibile che quel dio fosse venuto in questa
scuola.
Marya, intanto, aveva già ripreso
a parlare come se non l’avessi mai interrotta.
Quarta ora: matematica, una
materia praticamente inutile, almeno per me. Ero arrivata in ritardo a lezione
e quindi ero da sola di banco. Tutto per colpa di uno stupido armadietto che si
era interstadito a non aprirsi. Se non fosse successo magari ora sarei stata
seduta di fianco a Cath, che di sicuro sarebbe riuscita a spiegarmi qualcosa di
più capibile di quello che stava blaterando la professoressa.
Jessie, la classica bionda oca
della classe, tanto per darne una definizione, era seduta davanti a me e
parlottava a bassa voce con il suo tono stridulo a Yennj, la seconda oca in
ordine di classifica.
Da tutt’altra parte rispetto a me
c’era Cath seduta di fianco a Robert. Chiaro: le oche stanno con le oche, i
geni con i geni.
Tutto a un tratto la porta si
spalancò ed entrò il tipo che avevo visto la mattina. Chissà perché quelle
davanti a me ammutolirono di colpo.
- Lei è il nuovo alunno, vero? –
gli chiese la signora Spotting con la sua solita voce monotona e nasale.
- Sì, sono Seth Adams. – le
rispose educato.
- Signor Adams da noi si è soliti
arrivare in orario alle lezioni, alunni nuovi inclusi.
- Mi scusi, mi sono perso e… -
provò a scusarsi, di sicuro la prof non lo stava più ascoltando.
- Si vada a sedere, Adams. – lo
invitò.
Per qualche imprecisato motivo,
dopo questo invito, sentii gli sguardi invidiose delle mie compagne di classe
puntati tutti su di me. Che volevano?
Poi all’improvviso mi resi conto
che l’unico posto libero dell’intera classe era di fianco a me.
Ottimo, Mel, ecco come farsele tutte grandi amiche! Pensai ironica.
Immaginavo la strage di cuori che aveva già fatto.
Non appena si fu seduto, abbassai
lo sguardo sul quaderno e mi coprii il volto con i capelli. Mi faceva sentire a
disagio la sua presenza.
- Ciao. Tu sei? – mi chiese.
Aveva una voce bassa e piacevole.
Mi girai. Notai che aveva gli
occhi grigio verdi, magnetici. – Sono Melanie, chiamami Mel. – risposi veloce.
Ritornai a fissare il quaderno,
mentre scarabocchiavo distrattamente sulla pagina. Lo vidi tirare fuori un
quaderno dalla borsa e seguire la lezione. Fine dei nostri contatti.
Nono mese.
Come mi è stato ordinato, oggi ci siamo
incontrati per la prima volta. Tutto era già stato pianificato.
Per una volta, però, non sono affatto dispiaciuto
di averla vista. Non immaginavo che fosse una ragazza così bella. Si sono
tessute così tante storie sul fatto che Lei fosse diversa da Lui, ma io non
immaginavo che lo fosse così tanto.
Pelle chiara, capelli ramati e occhi castani, il
ritratto di una dea greca. E profumava di umana. Ha avuto scelta! Lei ha avuto
scelta!
Però il suo modo di comportarsi mi è sembrato
strano. Sembrava quasi a disagio in mia presenza. Strano, con le ragazze della
mia Famiglia sono sempre stato in grado di intrecciare buoni rapporti. Chissà,
forse con l’altra Famiglia non è così. Non importa, riuscirò a farmi apprezzare
da Lei, costi quel che costi.
Il problema è che non ne conosco le conseguenze
se lo farò.
Erano passate due settimane da
quando era arrivato quel ragazzo. Due settimane durante le quali Sethaveva cercato di avvicinarsi
a me.
Probabilmente questo era un segno che la fine del mondo era prossima, nessun ragazzo si
era mai comportato così con me. Nessuno, fino ad ora, mi aveva mai rivolto
particolari attenzioni.
Avevamo poche lezioni insieme
durante le quali cercavo sempre di sedermi il più
lontana possibile da lui, inutilmente. Era una comportamento infantile, lo
sapevo, ma non riuscivo a sopportare di restargli vicino. Mi sentivo una
nullità e in totale soggezione.
Forse questo era dovuto anche al
fatto che non riuscivo a relazionarmi bene con i
ragazzi.
Stavo ancora litigando con
l’armadietto, quel giorno. Forse aveva davvero qualcosa che non andava o io ero
tutto a un tratto incapace di aprirlo. Mentre
armeggiavo con la serratura, sentii che qualcuno si appoggiava a quello di
fianco.
- Ciao, Melanie.
– mi salutò.
Solo la voce mi provocò
imbarazzo. Ero davvero messa male.
- Seth.
– lo guardai, sembrava divertito. – Che
hai da ridere? – gli chiesi nervosa, mentre continuavo ad armeggiare con il
lucchetto.
- Hai problemi con l’armadietto?
– stava trattenendo una risata.
Mollai la presa sul lucchetto che
sbatté sordo sull’armadietto. – No. Non ho problemi con
l’armadietto, cosa te lo fa pensare? – gli domandai acida, tirandomi
dietro un orecchio una ciocca di capelli.
Rise.
- Hai qualcos’altro da dirmi?
Sai, sarei occupata… - indicai l’armadietto alle mie spalle. Strano, stavamo
parlando con molta normalità.
Non rispose e prese il mio posto
per aprire la serratura. Si aprì. – Et voilà –
esclamò compiaciuto.
- Sì, sì, bravo, bravo… -
bofonchiai. Posai i libri che non mi servivano e presi gli altri che infilai nella borsa. Poi richiusi l’armadietto facendo
sbattere l’anta.
Mi diressi quasi di corsa verso
l’aula di storia. Ero terribilmente in ritardo. Seth
mi seguiva.
- Beh? Perché mi segui?
- Abbiamo lezione insieme,
ricordi?
Feci ruotare gli occhi. Che bello…
Aprì la porta dell’aula. Il prof Foster ci guardò quasi sorpreso da sopra gli occhiali. – Adams, Rogers, che piacere
vedervi alla mia lezione.
- Rogersaveva dei problemi con l’armadietto, io l’ho aiutata.
– disse pronto Seth.
Già, ma nessuno ti ha chiesto di farlo! Pensai come risposta.
Il prof annuì anche se non particolarmente convinto e ci invitò a sederci.
Prendemmo posto nell’ultimo banco.
Mentre stavo prendendo il
quaderno dalla borsa mi tagliai. – Oh, al diavolo! –
sibilai. Ero nervosa.
- Che
succede? – mi chiese in un sussurro Seth.
- Niente. – posai il quaderno sul
banco. Lui mi fissava quasi ipnotizzato. Gli sventolai una mano davanti. – Ehi Seth, che hai?
- Ti sei tagliata. – aveva un
tono strano. Innocente, quasi.
Mi guardai il dito. – Ah, sì, ma
non è niente.
- Esce sangue. – osservò.
- Sì, ma non è …
Non feci in
tempo a finire la frase che lo ritrovai a succhiarmi il sangue dal taglio.
– Seth…?
Alzò gli occhi. Ora erano grigio verdi con un tono rossastro intorno alla pupilla.
Aveva un strana espressione, un misto di rabbia e
dispiacere. E dolore, tanto dolore. – Mi dispiace… io… io… - mormorò, ma non
riuscì a trovare altre parole.
Si alzò e corse fuori dall’aula. Inutile i tentativi del
prof di richiamarlo.
Ma cosa era
successo? Perché quell’espressione? Perché… ?
Dovevo seguirlo. Dovevo sapere cosa gli era successo. Era colpa mia?
Mi alzai anch’io. – Prof, devo
andare al bagno. – accampai come scusa.
- Ma… Rogers!
– tentò di ribattere, ma ormai ero fuori dall’aula
anch’io.
Mi misi a cercarlo. Dove poteva essere andato? Sembrava star male, quindi…
Provai in bagno.
Non c’era nessuno.
Provai in infermeria. C’era solo la vecchia signora Wedding che
stava medicando una ragazza. Di lui neanche l’ombra.
Alla fine lo trovai sotto il
portico che faceva da riparo alle biciclette.
Mi avvicinai piano, per paura di
disturbarlo.
- … Seth…
- lo chiamai quasi in un sussurro. Non mi avrebbe sentito, lo
sapevo.
Alzò di scatto la testa. – Non
avvicinarti! – ringhiò. Mi immobilizzai dov’ero, sia
per il suo strano tono di voce, sia per la sua faccia, una maschera di dolore e
rabbia cieca.
- Và via, và via, và via… - lo
sentivo ripetere con una voce alterata a metà fra quella umana
e quella animale, a un volume appena udibile per me.
- Seth,
che hai? – urlai. Mi stavo davvero preoccupando. Mi avvicinai di corsa
ignorando quello che mi intimava continuamente.
- Ferma! – ringhiò ancora. Lo
ignorai.
Ormai ero quasi vicina a lui.
- MALEDIZIONE! – imprecò con un
ringhio più alto. Lo vidi tirare un pugno sulla
colonna di mattoni di fianco a lui. Rimase il segno
del colpo.
Poi per la prima volta mi rivolse
lo sguardo. Uno sguardo che chiedeva comprensione, che
chiedeva pietà.
- Dimentica ogni cosa. – mi
sussurrò.
Un attimo dopo non lo vidi più.
Era sparito.
Rimasi imbambolata sul posto a
fissare il punto dove era stato fino a poco prima,
incapace di capire cosa pensare. Era successo davvero. Non me
l’ero sognata, vero?
Decimo
mese.
Sono uno
stupido, un perfetto idiota.
L’avrò
sicuramente spaventata per come mi sono comportato.
Sono ancora troppo giovane per riuscire a dominare la
Sete. Non sono ancora così esperto. E Lei, anzi il suo sangue, emanava un odore
troppo dolce, troppo appetibile per poter resistere.
Intanto,
però, ho scoperto che il nostro sangue non è compatibile
l’uno con l’altro. I Figli di Adamo non possono
bere il Sangue di Eva.Probabilmente
funziona anche al contrario. Certo che Dio ha fatto proprio di tutto pur di non
lasciare che le due Famiglie potessero avvicinarsi troppo…
Qui in
Famiglia non ne ho ancora parlato, probabilmente lo
farò quando mi sentirò meglio e cioè quando il veleno non sarà più in circolo
nel mio corpo. Probabilmente, però, lo sanno già.
Ci sono
troppe cose che mi sono tenute nascoste.
È già
qualcosa che riesca a scrivere. Penso che la febbre continuerà a salire, per un
po’ non potrò vederLa.
In ogni caso, credo che questa sia anche la soluzione
migliore. Meglio non vederLa, meglio lasciarLa pensare, meglio lasciare che Lei
cerchi di dimenticare.
S.A.
A tutti quelli che hanno messo questa storia
tra le loro preferite:
grazie! Mi fate capire che a qualcuno piace, ne
sono contenta!
Ora avrei solo un piccola richiesta:
recensite,
vi supplico!
Vorrei sapere cosa ne pensate, almeno so
se
continuare o no la storia, se a qualcuno,
oltre
alle persone che l’hanno inserita nelle preferite,
Ero certa che quel giorno di
scuola non fosse mai esistito, che mi sarei svegliata prima o
poi e mi sarei accorta che quella non era la realtà.
Ma il giorno successivo e tutti
quelli seguenti, su quella colonna ogni mio tentativo
di auto convincimento andava in frantumi.
Quella era
la realtà. Punto. Dovevo accettarla e basta. Dovevo accettare che lui era cosa?
Un mostro? Ma soprattutto dovevo convincermi che lui era l’eroe o l’antieroe di una storia? Non lo sapevo. Dovevo chiedere spiegazioni.
Ma lui non c’era. Perché non
c’era?
Dov’era Seth
ora che per la prima volta avevo bisogno di parlare
con lui?
Passarono
settimane, poi un mese, ma lui non ritornava a scuola. E io continuavo a
tormentarmi. Chi sei Seth? Dimmi chi sei.
A mente fredda cercavo di analizzare
i fatti. Aveva una forza, forse anche una velocità, fuori dal
comune. E poi aveva reagito stranamente alla vista del sangue. Tre indizi fanno
una prova, ma non poteva essere veramente una di quelle creature. Loro non
esistono nella realtà, non è vero? Erano solo leggende, vero?
Riuscì addirittura a popolare i
miei sogni. Lo vedevo alternarsi nei panni del buono e
poi del cattivo. Lo vedevo vittima, ma anche carnefice. E a volte vedevo me uguale a lui. E questo era ciò
che più mi preoccupava.
*
Undicesimo
mese.
Sono
guarito. Ma comunque non me la sento di affrontare la
scuola. O meglio ho paura di affrontarLa.
Comportamento infantile, non c’è che dire.
Ho
paura di affrontare le troppe domande che di sicuro mi farà.
E io non so come risponderLe. Come posso farlo senza rivelarLe che è una Figlia di Eva? Come posso affermare
delle cose sulla Nostra natura senza riuscire a nasconderLe
che è una di Noi?
Prima o poi dovrò ritornare. Prima
o poi l’affronterò.
Ma
se continuano a farmi pressione non so quando davvero
me la sentirò.
Posso solo dire loro di aspettare,
qualcosa succederà.
S.A.
*
Primi giorni di novembre. Mi
recai in segreteria per consegnare un modulo che ci avevano consegnato.
La segreteria era un ufficio
abbastanza piccolo. Una piccola area che faceva da sala
d’attesa con sedie pieghevoli, muri tappezzati da avvisi e un grosso orologio a
muro. La stanza era divisa in due da un lungo bancone su cui erano stati messi molti cestini metallici pieni di moduli.
Dietro c’erano due scrivanie in cui una era seduta una donna magrissima con gli
occhiali che stava leggendo una qualche circolare o avviso.
Misi il mio foglio dentro un
cestino metallico e me ne andai. In quel momento la
porta si aprì. Entrò un ragazzo.
Pelle semi dorata, capelli
spettinati e neri. Seth.
Mi passò accanto ignorandomi
completamente. Già forse aveva ragione, meglio far finta che non fosse successo
nulla. Meglio far fintadi non
conoscerci. Meglio comportarsi da perfetti estranei.
Abbassai lo sguardo come quel
giorno al cimitero e mi allontanai a testa bassa verso
la mensa.
*
Ciao!
Perdonate il lungo periodo d’attesa…
Ci sono stati vari motivi per cui non ho
potuto
pubblicare prima…
Grazie per aver letto il capitolo!
Grazie per aver messo la storia tra le vostre preferite!
Grazie per le recensioni!
*WawaChan: Grazie! Mi
fa piacere che lo scorso capitolo
ti sia
piaciuto. Il Grande Kira giudica l’operato
dei
vampiri ottimo… Cercherò di non demoralizzarmi
sebbene
in questo momento sia mezza depressa…
*ArwenWoodbane: scusa,
non posso fare a meno di non farmi
i fatti
miei… a te piacciono “Il signore degli anelli”
e le
streghe, vero? Scusa, pura curiosità… Già siamo
proprio
entrati nel vivo della fic, come si evolverà
la
relazione tra Seth e Mel?
Sì. Quello che lui scrive è un diario, ho
dovuto
inserirlo
per forza perché mi serviva
che anche
Seth esprimesse i suoi sentimenti e quello
cheMelanie non sa ancora…
Pezzo pezzo il puzzle si completerà,
pezzopezzo la verità verrà a galla…
E’ più o meno questa l’orbita di tutto…
Grazie mille, Arwen! Per la recensione
e per
aver messo la storia tra le tue preferite!
*
Continuate a seguirmi, se ne avrete voglia!
Spero di poter pubblicare il prossimo chap il
più presto possibile!
Letteratura. Ottima materia
soprattutto per quelli che soffrono di insonnia. Accompagnati dalla voce
cantilenante del prof, che mi sembrava spiegasse Shakespeare, molti si erano
appisolati sui banchi mentre i minuti della settima ora passavano lentamente
come un liquido denso dentro una clessidra.
La mia mente faceva fatica a
restare attaccata alla realtà. Seth era rientrato, ma ormai sembrava non
interessarsi più a me. Ero infatti seduta insieme a Ruvy nell’ultimo banco
vicino alla finestra. Lui era invece nel primo banco vicino alla porta accanto
a Ruphert, in pratica da tutt’altra parte rispetto a me.
Sbuffai annoiata. Quando diamine
suonava quella stramaledetta campanella?
E intanto il prof parlava,
parlava, parlava, parlava… mi persi definitivamente, aspettando solo quel suono
miracoloso.
*
La mensa era come al solito super
affollata. Era incredibile vedere tutti in un solo luogo gli studenti della
nostra scuola.
Cath, Marya e io ci eravamo
sedute in un tavolo un po’ isolato. Sì, insomma, isolato in quel caos era un
parolone. Di solito con noi c’era anche Chris, ma oggi non era venuto a scuola.
- Secondo te, come mai Adams non è venuto a scuola per tutto questo
tempo? – chiese Cath addentando una mela.
Feci spallucce e la guardai
interrogativa. Le rispose Marya.
- Gira voce che abbia avuto
problemi familiari o di salute, non ho capito bene…
Cath e io ci limitammo ad
annuire. Problemi di salute, certo. Assolutamente normale, umano. Cosa ero
andata a pensare?
- Secondo voi a Seth chi piace? –
buttò lì, innocente, Marya.
- Si diceva che andasse dietro a
Rebecca, perché?
- Così…
Cath assunse un’espressione
sbigottita. – Non mi dirai che vuoi lasciare Chris perché ti piace lui? Oddio, proprio oggi che non c’è!
Marya, mi stupisco di te!
Lei rise. – Ma che vai a pensare?
Te l’ho chiesto perché secondo me a lui piace la nostra cara Melanie.
- Tu dici? – chiesi incredula.
Sorrise compiaciuta. Scommettevo
che era da tempo che ne voleva parlare. - Era da un po’ che ci pensavo a dir la
verità. Non so se avete fatto caso che prima che se ne andasse cercava sempre
Mel, secondo me non è un caso.
Inforchettai un maccherone.– Sì sì certo. Perché non metti da parte le
tue intuizioni, cara Sherlock Holmes? Si dà il caso che in questi giorni fa
finta che io non esista.
- Senti un po’ tu, con Chris?
Qualche nuovo cambiamento? – le chiese Cath.
- Nah, niente di nuovo… - vidi
che le cominciavano a diventare rosse le guance. Altro che tutto regolare.
- Non ti credo! – esclamò Cath.
Sapevo che il battibecco per
farle dire la verità sarebbe stato lungo e feci vagare un po’ lo sguardo per la
mensa.
A un certo punto incontrai lui.
Era seduto nel tavolo dell’angolo più remoto. Era solo e non capivo perché. D’altronde
avrebbe potuto avere tutta la compagnia che voleva, era stato così fino a prima
che non venisse più a scuola. Non lo vedevo bene, certo, ma sembrava che fosse
assorto in chissà quali pensieri, guardava fisso davanti a sé.
Dovevo parlargli, chiedere scusa
se proprio era necessario, anche se non capivo per cosa poi dovevo essere
perdonata. Per qualche motivo non volevo che Seth mi ignorasse come stava
facendo.
Lo vidi alzarsi. Mi alzai
anch’io. Cath e Marya si zittirono e mi guardarono interrogative.
- Scusate, ma devo fare una cosa…
ci vediamo dopo in classe, okay?
Tenendolo d’occhio, andai a
posare il mio vassoio sull’apposito carrello di metallo e poi uscii dalla
mensa. L’avrei aspettato lì fuori per potergli parlare.
Ma neanche a farlo apposta ci
scontrammo mentre uscivamo. Mi fermai a guardarlo, ero certa di aver attirato
la sua attenzione.
Lui procedette invece spedito per
il corridoio come se anziché me avesse urtato un muro.
*
Undicesimo
mese
Non
ce la faccio più.
È
Lei a rendere così incasinata la situazione. Lei e la sua natura umana, così
fragile, così profumata, così … breve.
Ma
forse è solo colpa mia. È stato per colpa mia se Lei mi ha scoperto, colpa mia
se con il mio comportamento non faccio altro che avvicinarLa a me, invece di respingerLa
come vorrei.
È
tutto inutile provare a ignorarla. Nelle lezioni che abbiamo insieme sento
sempre i suoi occhi scuri puntati su di me, se non voglio incontrarLa, Lei è
sempre sulla mia strada.
E
anche quando non è dove sono io, nell’aria riesco a sentire il suo odore, la
sua scia.
Non
posso, non riesco, a continuare a ignorarla. Ho in un certo senso bisogno
di Lei. E Lei immagino abbia bisogno di me. O perlomeno delle mie spiegazioni.
Sonocombattuto. Ho paura di rivolgerLe la parola
per il timore di ridestare in Lei il ricordo di quel giorno, ma vorrei starLe
accanto.
Questa
situazione non sarebbe mai venuta a galla se la Madre non avesse elaborato uno
dei suoi stupidi e folli piani. Ma…oramai sono in ballo e devo ballare.
Comincio
a provare dei sentimenti verso di Lei. Non fittizi, ma reali. Non degli altri,
ma miei.
Ho
deciso. Proverò a parlarle.
S.A.
*
Mi scuso per il ritardo nell’aggiornare.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto il capitolo scorso.
A tutti quelli che hanno letto questo capitolo:
se la storia fa schifo ditemelo subito così evito di scrivere nuovi
capitoli.
Sapevo bene che ogni anno non
potevo abbattermi in quella maniera, che dovevo superare prima
o poi tutti i sensi di colpa che stupidamente mi angosciavano. Tutto
quello che era successo tre anni fa era stato solo un banalissimo incidente, mi
continuavo a ripetere, ma una parte della mia coscienza mi diceva che in fin
dei conti era solo colpa mia. Se solo…
I miei pensieri vennero
interrotti dal suono della sveglia. Svogliatamente la spensi
e mi alzai.
Dopo essermi preparata scesi in
cucina. Mio padre era già seduto e guardava mezzo assonnato la sua tazza di
caffè. Al solito non si mosse quando arrivai né tanto meno accennò
a un saluto.
In silenzio preparai
la mia colazione, una tazza di latte con dei cereali, e la mangiai piano.
Guardai mio padre. Mi ero sbagliata, non era mezzo
addormentato, sembrava piuttosto intento a riflettere su qualcosa di
molto importante.
Finita la colazione sciacquai la
tazza e mi avviai verso la porta.
- Melanie…
- mi richiamò indietro con voce seria che mi ricordava quella di quando mi
aveva informato della morte della mamma.
Mi girai aspettandomi il peggio.
I suoi occhi sembravano non volersi concentrare su di me, come se stesse
cercando le giuste parole da dirmi.
Alla fine
scosse la testa e accennò un sorriso. – No, niente… solo, stai attenta, mi raccomando.
- Ah… ok…
- balbettai piano uscendo definitivamente.
Al momento non ci feci caso, ma
poi mi resi conto che c’era qualcosa che non andava.
Mio padre se
aveva usato quel tono di voce era stato sicuramente perché doveva dirmi
qualcosa di importante che mi riguardava. Poi, però, non ne aveva
avuto il coraggio e mi aveva semplicemente detto di stare attenta.
Scossi la testa. Non poteva
essere così. Mi stavo solo facendo inutili problemi mentali.
Tuttavia, quel giorno, il
pensiero che mio padre mi nascondesse qualcosa non mi
abbandonò molto facilmente.
*
18 dicembre, lunedì.
Quel giorno avevo solo una lezione insieme a Seth,
durante la quale mi ero promessa che gli avrei parlato con la speranza che
tutta questa storia, il fatto cioè che lui mi ignorava, finisse al più presto.
Entrando nell’aula, però, ogni
mia speranza si infranse.
Non c’era. Di solito, quando io
entravo, lui era già lì, ma oggi no.Oggino.
Sospirai delusa prendendo posto
nell’ultimo banco.
La lezione cominciò e per qualche
strano motivo cominciai a fissare la porta. Chissà
forse speravo in un miracolo… Che scema, una perfetta idiota di
un’adolescente ecco cos’ero.
Ma la porta si aprì
ed entrò un ragazzo. Sentii il cuore rimbalzare con un tonfo nel petto e
accelerare i battiti quando prese posto di fianco a me.
Okay, primo obiettivo raggiunto.
Secondo obbiettivo, parargli, ne sarei stata capace?
Prima che avessi
modo di aprir bocca, lui mi anticipò.
- Ciao. – la
voce era normale, non una traccia del tono con cui l’avevo sentito parlare
l’ultima volta.
Mi stava
fissando con i suoi occhi penetranti, mi sentivo a disagio.
- Cos’è hai
deciso di rivolgermi la parola? – ribattei sulla difensiva.
- Ti dispiace?
Quella domanda mi spiazzò. –
Perché dovrebbe dispiacermi?
Silenzio. Perfetto, ottimo.
Secondo obbiettivo raggiunto al 50%. Bel lavoro, Melanie.
Lui sembrava seguire la lezione,
lo imitai cercando di non farmi coinvolgere troppo dagli strani pensieri che
cominciavano a vorticarmi in testa.
Avanti, Seth, parla! Lo incitavo
mentalmente, troppo codarda a fare io la prima mossa.
Ma intanto l’ora correva via veloce e il suono della
campanella si faceva più vicino.
- Senti, se proprio vuoi sentirtelo dire, mi dispiace, ok?
– sbottai alla fine.
Lui si girò
verso di me, curioso. – Perché dovresti chiedermi scusa?
Già perché dovevo chiedergli scusa? - Non lo so.
Sorrise divertito. – Più che
altro dovrei essere io a farlo, no? Ti ho spaventata…
La campanella suonò. Il prof ci
dettò gli ultimi compiti e la classe cominciò a
sciamare fuori dall’aula. Ci alzammo anche io e Seth,
ma non uscimmo.
Bene, questo voleva dire che
entrambi eravamo intenzionati a parlarci.
Il prof non badò
minimamente a noi e uscì per andare in mensa.
Eravamo da soli. Seth andò a chiudere la porta dell’aula per evitare che
qualcuno ci sentisse. Mi appoggia alla cattedra e lui si
pose davanti a me. Aspettavo che cominciasse.
E magari lui aspettava che fossi
io a farlo. Perché le relazioni umane sono così complicate?
Lo guardai. Era immerso nei suoi
pensieri, probabilmente non sapeva da dove cominciare. Cercava di non
incrociare il mio sguardo.
Beh, almeno non dovevo essere io
a cominciare il discorso.
Alla fine mi guardò fisso negli
occhi e parlò convoce bassa e quasi
severa. – Cosa hai visto esattamente quel giorno?
Ecco, perché doveva partire da
lì? Perché proprio da quel giorno che avevo cercato di cancellare catalogandolo
come assurdo? La porta dietro cui l’avevo rinchiuso a
forza si spalancò con impeto.
– Hai dato un pugno a una colonna, dove fra l’altro è rimasto il segno, e poi
sei sparito a una velocità impressionante. Immagino che mi debba dimenticare
tutto, è così?
- No, non devi. Non devi farlo
mai.
Il suo tono autoritario mi stupii, ma non fu solo quello. Forse avevo sentito male. – Cosa?
Sospirò e con tono paziente disse
di nuovo: - Non devi dimenticare quello che hai visto.
- Perché? – non capivo, avevo il
cervello che andava a rilento.
Abbassò gli occhi. Era una cosa
che non doveva dirmi. Ne avrei fatto a meno, per il
momento.
- Ma prima… prima di quello che
mi hai detto… cosa hai visto? – sembrava non trovasse le parole, che avesse timore a farmi quella domanda.
Gli ingranaggi del mio cervello
cominciarono a rielaborare pensieri formulati molto tempo addietro. Tutte quelle domande così mirate volevano solo significare che
voleva rivelarmi la sua natura. Cosa che ero
probabilmente arrivata anch’io a scoprire.
Inspirai profondamente prima di
parlare. – Mi hai succhiato via del sangue.
Il silenzio più totale scese fra noi. I minuti scivolavano lenti fra di noi.
Era una situazione insopportabile.
Emisi una debole risata. –
Avanti, Seth! Non vorrai dirmi che tu sei… - non
riuscì a finire la frase tanto mi sembrava irreale la
cosa.
Lui riprese controllo della
realtà e mormorò lapidario. – Sì.
Lo fissai
sbigottita, lui ricambiava con uno sguardo impassibile.
Aspettavo la paura. Perché se
fosse stato davvero un… oddio quanto era assurda la cosa, un… vampiro… avrei
dovuto avere paura, no? Ma allora perché diamine sentivo dentro di me qualcuno,
una piccola parte del mio essere, che gioiva come se
avesse trovato una persona cara. Come se mi dicesse che in fin dei conti io e
lui eravamo uguali?
Ancora una volta
tra noi ci fu il silenzio.
Scossi la testa più volte.
Impossibile. Questa parola mi rimbalzava in testa come una palla di gomma.
Va bene,
l’avevo pensato anch’io, ma ora detto da lui… beh, era tutto un altro
paio di maniche.
- E’ strano che tu non sia
scappata via urlando… - commentò.
Scossi la testa
cacciando via altri pensieri. – Avrei dovuto farlo?
Fece spallucce. – Mi avresti dato una soddisfazione in più. Ma davvero non hai paura?
- Non lo so… non so cosa sto
provando in questo momento, ma sono sicura che non c’è la paura. Non so è come se sentissi che io e te siamo uguali…
Si rabbuiò come se avessi detto qualcosa in più del dovuto, come se avessi
scoperto un segreto che doveva rimanere tale.
- Andiamo a mangiare. – decretò
uscendo dall’aula.
Il discorso
vampiri era finito. Lo seguii senza fiatare.
*
Salve a tutti! Siamo giunti al sesto capitolo, da non crederci…
Sono commossa. Questa storia è la preferita di ben 8 persone!!!
E una l’ha pure messa tra le storie seguite!!!
Grazie a:
ArwenWoodbane
egypta
Fantasy_Mary88
kachan
Miki89
SaphiraLearqueen (che l’ha anche messa tra le seguite)
Valespx78
wawachan
Spero di tutto cuore di non deludervi con la storia
perché
anche per me che sono l’autrice è un po’ confusa…
Mi hanno detto che somiglia un po’ troppo a Twilight
quindi
vedrò di impegnarmi a renderla un po’ più originale!