Genesis' Blood

di darkimera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0 ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***



Capitolo 1
*** 0 ***


Decimo mese

Decimo mese.

Non capisco più niente. Chi sono io? Una bambola in mano a un burattinaio, forse? Come tale, è vero, non riesco a ribellarmi dal mio destino. Sono confuso, la mia vita l’avevo sempre vista come una strada diritta, ma ora non capisco neanche dove vada.

Ho un obbiettivo. Non mio, certo, imposto, certo, ma ne ho uno. Devo trovarla oppure Noi ci estingueremo. Ma sarà davvero questo quel che voglio? Non credo.

“Dio creò l’Uomo a sua immagine e somiglianza. L’Uomo, però, disubbidì alle regole che gli erano state imposte, ritrovandosi così fuori dal Paradiso Terrestre. Fu allora che Noi nascemmo. Come il serpente che prima o poi si morderà la coda, così Lui alla fine cercherà Lei”. Quanto mi nauseano queste frasi, quelle che chi mi è intorno dice sempre nei miei confronti.

Se davvero esiste una Divinità che ci governa, spero che riesca ad aiutarmi. Non mi importa se sarà Gesù, Budda, Allah o qualunque altra, a me serve solo aiuto e chi meglio di loro me lo può dare?

Io non ho avuto possibilità di scelta: sono dovuto diventare uno di Loro. Mi chiedo se anche Lei si senta così o se abbia avuto una minima possibilità di scelta. Se così fosse e io la trovassi, per una volta non starò a sentire ciò che mi diranno, farò di testa mia, andrò contro tutti. So che magari queste resteranno solo parole, ma non voglio che anche Lei entri in questo mondo.

Il mio mondo…

S.A.ntri in questo mondo.

vassi, per una volta non starò a sentire ciò che mi diranno, farò di testa mia, non voglio che anche Lei e

 

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Capitolo 2
*** 1 ***


1

1

 

15 novembre. Il mio compleanno. La morte di mia madre. È strano come le cose prima perfette vengano poi unite in modo disastroso. Fino a due anni fa, oggi era la giornata più bella che potessi mai chiedere. Oggi, invece, mi sembrava di vedere il mondo tramite un vetro opaco, mi sembrava tutto grigio e distorto.

Ero sdraiata sul letto e guardavo il soffitto della mia camera come se potessi scorgervi dentro chissà che cosa. Girai la testa verso il comodino. La sveglia faceva brillare pallidi i numeri dell’ora: 7:50. Perfetto, non mi andava di andare a scuola. Ritornai a guardare il soffitto.

Passarono 5 minuti, credo, e sentii l’auto di mio padre allontanarsi da casa. Beato lui che non si sentiva un grosso peso sulla coscienza oggi. Lasciai correre altri minuti continuando a fissare il soffitto, poi mi alzai. Andai alla finestra per vedere come stava il mondo fuori. Pioveva insistentemente. Sbuffai, che bello oggi erano tutti meravigliosamente malinconici! Decisi di andare in bagno a lavarmi e poi scesi in cucina per fare colazione.

Mangiai senza gusto una tazza di cereali, concentrandomi più che altro sul rumore della pioggia che cadeva sull’asfalto e sul tetto. Finiti, misi la tazza nel lavandino della cucina e risalii le scale. La pioggia continuava incessante, mi misi le cuffie dell’mp3 alle orecchie e mi sdraiai sul letto. Non avevo voglia di pensare.

 

14:30. Camminavo sotto la pioggia accompagnata dalla musica dell’mp3. Tutto intorno mi sembrava stranamente rallentato. Alla fine varcai quella soglia e mi ritrovai immersa nella calma irreale delle tombe.

Non c’era da stupirsi se oggi nessuno fosse venuto al cimitero, ma io mi ero promessa di andare a farle visita. Il mio passo scricchiolante sulla ghiaia risuonava prepotente in quel silenzio. Mi fermai davanti a una tomba grigia, comune, quasi anonima. Il nome di mia madre, Deborah Evans, piangeva lacrime di pioggia. Spensi l’mp3 e lo rimisi in tasca.

Rimasi lì a fissare la tomba in silenzio sotto l’ombrello senza sapere come articolare in pensieri le mie emozioni. Mi sentivo in colpa per quello che era successo. E intanto la pioggia aveva cominciato a sgorgare anche dai miei occhi.

Dopo non so quanti minuti, sentì il passo di un’altra persona avanzare per quella fila di tombe. Non so cosa mi spinse, ma alzai gli occhi. Un ragazzo dalla pelle quasi dorata avanzava a passo sicuro sotto la pioggia che lo inzuppava. Aveva dei capelli scuri, corti e spettinati.

Mi sentii messa in soggezione come se fossi al cospetto di un dio. Un dio sumero, in questo caso. Non appena fui sicura che mi avesse sorpassata, mi allontanai a testa bassa.

 

Ero di nuovo in camera mia, lo sguardo perso ad osservare la pioggia cadere. Ogni tanto nei miei pensieri ritornava l’immagine del ragazzo. Mi chiedevo se non si fosse trattato solo di una visione.

A un certo punto il cellulare cominciò a squillare interrompendo il flusso dei miei pensieri. Lessi il nome sullo schermo: Cath, c’era da aspettarselo.

- Pronto? – feci.

- Ciao, Mel.  Va tutto bene? – la sua voce era preoccupata, come era prevedibile.

- Ciao. Sì, non ti preoccupare ho solo un po’ di mal di testa. – mentii, cercando di fargli capire che era per questo che non ero andata a scuola e non perché oggi era quel giorno.

- Mel, non scherzare. Come ti senti? – chiaramente non ci era cascata.

Sbuffai. – Sto bene, non ti preoccupare, sono forte io.

- Certo… certo… - fece accondiscende. – Sei sicura che tutto sia veramente a posto? – mi chiedevo se avesse un radar per rilevare i sentimenti altrui.

- Sì, Cath, tranquilla! – dissi più allegra.

- Ok, ti credo.

- Bhe, senti ci vediamo domani a scuola, va bene?

- Sì, ciao…

Stavo per riattaccare quando la sentì chiamarmi. – No, aspetta, Mel! Ancora una cosa!

- Dimmi.

- Non devi sentirti in colpa. – e con questo finì definitivamente la nostra conversazione.

Già, non sentirsi in colpa. Non credo che sarebbe stato tanto semplice farmi passare quel che provavo. Posai il cellulare sulla scrivania e poi ripresi a guardare fuori dalla finestra. Pioveva ancora.

 

 

Ciao a tutti!!! Grazie mille per aver letto il primo capitolo! Spero che la storia vi piaccia …

Variabile: innanzitutto ti ringrazio per la recensione. Sperando di non offenderti, volevo dirti che l’errore di ortografia che mi segnali non è tale. Ho controllato sul dizionario per essere sicura, ma guardando la parola “obiettivo” mi diceva che si poteva anche scrivere “obbiettivo”. Se non mi credi controlla pure. 

Comunque ti ringrazio per avermi detto di stare più attenta a queste cose perché a volte sono un po’ distratta (-_-;;;) e ti prego di segnalarmi quelli che farò, se avrai la cortesia di seguire la storia. Grazie.

Arwen Woodbane, Fantasy_Mary88 e wawa chan, grazie per averla messa tra le vostre preferite, spero di non deludervi.

Continuate a seguirmi e, per favore, recensite così almeno so se continuare a pubblicare la storia o meno.

Thank You!

darkimera shinigami

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** 2 ***


2

2

 

Era un settembre inoltrato stranamente caldo. Indossavo una maglietta viola semi scolorita e un paio di jeans. Cath è arrivata con una camicetta di cotone bianca e una gonna nera lunga fino ai piedi. Tra i capelli corvini corti si intravedevano i cerchi degli orecchini.

- Ciao, Mel! – mi ha salutato abbracciandomi, non appena mi raggiunse sulla scalinata di ingresso della scuola. Poi ha lanciato uno sguardo critico verso l’edificio. – Non hanno neanche ridipinto la facciata. Siamo alle solite.

- Già… - feci notando il fatto.

- Meel! Caath! – ci chiamò da lontano Marya agitando il braccio per attirare la nostra attenzione, mentre ci raggiungeva raggiante.

- Quanta allegria… e dire che è appena cominciata la scuola… - commentò Cath sottovoce ironica e io ridacchiai sotto i baffi.

- Ragazze! Ho una notizia magnifica! – ci disse Marya non appena ci raggiunse.

Gli occhi di Cath brillarono. – Spara!

- Mi sono messa con Chris! – le rispose mostrando un sorriso a trentadue denti.

- Davvero?! E quando è successo? – le domandai curiosa e con un espressione stupita sul volto.

Evidentemente erano le domande che più si aspettava. Cominciò a parlare raccontando quasi fin nei minimi particolari quello che era successo. Io la ascoltai per un po’, poi la mia attenzione venne catturata da qualcos’altro. O meglio da qualcun altro.

Un ragazzo assolutamente identico a quello che avevo incrociato al cimitero il giorno del mio compleanno stava salendo le scale in quel momento. Non so perché ma lo rimasi a fissare.

- Ma insomma mi stai ascoltando o no?? – sentii Marya domandarmi. Mi riscossi dalla visione.

- Ehm scusa, mi sono persa. Cosa stavi dicendo? – decisi che era impossibile che quel dio fosse venuto in questa scuola.

Marya, intanto, aveva già ripreso a parlare come se non l’avessi mai interrotta.

 

Quarta ora: matematica, una materia praticamente inutile, almeno per me. Ero arrivata in ritardo a lezione e quindi ero da sola di banco. Tutto per colpa di uno stupido armadietto che si era interstadito a non aprirsi. Se non fosse successo magari ora sarei stata seduta di fianco a Cath, che di sicuro sarebbe riuscita a spiegarmi qualcosa di più capibile di quello che stava blaterando la professoressa.

Jessie, la classica bionda oca della classe, tanto per darne una definizione, era seduta davanti a me e parlottava a bassa voce con il suo tono stridulo a Yennj, la seconda oca in ordine di classifica.

Da tutt’altra parte rispetto a me c’era Cath seduta di fianco a Robert. Chiaro: le oche stanno con le oche, i geni con i geni.

Tutto a un tratto la porta si spalancò ed entrò il tipo che avevo visto la mattina. Chissà perché quelle davanti a me ammutolirono di colpo.

- Lei è il nuovo alunno, vero? – gli chiese la signora Spotting con la sua solita voce monotona e nasale.

- Sì, sono Seth Adams. – le rispose educato.

- Signor Adams da noi si è soliti arrivare in orario alle lezioni, alunni nuovi inclusi.

- Mi scusi, mi sono perso e… - provò a scusarsi, di sicuro la prof non lo stava più ascoltando.

- Si vada a sedere, Adams. – lo invitò.

Per qualche imprecisato motivo, dopo questo invito, sentii gli sguardi invidiose delle mie compagne di classe puntati tutti su di me. Che volevano?

Poi all’improvviso mi resi conto che l’unico posto libero dell’intera classe era di fianco a me.

Ottimo, Mel, ecco come farsele tutte grandi amiche! Pensai ironica. Immaginavo la strage di cuori che aveva già fatto.

Non appena si fu seduto, abbassai lo sguardo sul quaderno e mi coprii il volto con i capelli. Mi faceva sentire a disagio la sua presenza.

- Ciao. Tu sei? – mi chiese. Aveva una voce bassa e piacevole.

Mi girai. Notai che aveva gli occhi grigio verdi, magnetici. – Sono Melanie, chiamami Mel. – risposi veloce.

Ritornai a fissare il quaderno, mentre scarabocchiavo distrattamente sulla pagina. Lo vidi tirare fuori un quaderno dalla borsa e seguire la lezione. Fine dei nostri contatti.

 

Nono mese.

Come mi è stato ordinato, oggi ci siamo incontrati per la prima volta. Tutto era già stato pianificato.

Per una volta, però, non sono affatto dispiaciuto di averla vista. Non immaginavo che fosse una ragazza così bella. Si sono tessute così tante storie sul fatto che Lei fosse diversa da Lui, ma io non immaginavo che lo fosse così tanto.

Pelle chiara, capelli ramati e occhi castani, il ritratto di una dea greca. E profumava di umana. Ha avuto scelta! Lei ha avuto scelta!

Però il suo modo di comportarsi mi è sembrato strano. Sembrava quasi a disagio in mia presenza. Strano, con le ragazze della mia Famiglia sono sempre stato in grado di intrecciare buoni rapporti. Chissà, forse con l’altra Famiglia non è così. Non importa, riuscirò a farmi apprezzare da Lei, costi quel che costi.

Il problema è che non ne conosco le conseguenze se lo farò.

S.A.

 

 

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Capitolo 4
*** 3 ***


3

3

Erano passate due settimane da quando era arrivato quel ragazzo. Due settimane durante le quali Seth aveva cercato di avvicinarsi a me.

Probabilmente questo era un segno che la fine del mondo era prossima, nessun ragazzo si era mai comportato così con me. Nessuno, fino ad ora, mi aveva mai rivolto particolari attenzioni.

Avevamo poche lezioni insieme durante le quali cercavo sempre di sedermi il più lontana possibile da lui, inutilmente. Era una comportamento infantile, lo sapevo, ma non riuscivo a sopportare di restargli vicino. Mi sentivo una nullità e in totale soggezione.

Forse questo era dovuto anche al fatto che non riuscivo a relazionarmi bene con i ragazzi.

Stavo ancora litigando con l’armadietto, quel giorno. Forse aveva davvero qualcosa che non andava o io ero tutto a un tratto incapace di aprirlo. Mentre armeggiavo con la serratura, sentii che qualcuno si appoggiava a quello di fianco.

- Ciao, Melanie. – mi salutò.

Solo la voce mi provocò imbarazzo. Ero davvero messa male.

- Seth. – lo guardai, sembrava divertito. – Che hai da ridere? – gli chiesi nervosa, mentre continuavo ad armeggiare con il lucchetto.

- Hai problemi con l’armadietto? – stava trattenendo una risata.

Mollai la presa sul lucchetto che sbatté sordo sull’armadietto. – No. Non ho problemi con l’armadietto, cosa te lo fa pensare? – gli domandai acida, tirandomi dietro un orecchio una ciocca di capelli.

Rise.

- Hai qualcos’altro da dirmi? Sai, sarei occupata… - indicai l’armadietto alle mie spalle. Strano, stavamo parlando con molta normalità.

Non rispose e prese il mio posto per aprire la serratura. Si aprì. – Et voilà – esclamò compiaciuto.

- Sì, sì, bravo, bravo… - bofonchiai. Posai i libri che non mi servivano e presi gli altri che infilai nella borsa. Poi richiusi l’armadietto facendo sbattere l’anta.

Mi diressi quasi di corsa verso l’aula di storia. Ero terribilmente in ritardo. Seth mi seguiva.

- Beh? Perché mi segui?

- Abbiamo lezione insieme, ricordi?

Feci ruotare gli occhi. Che bello…

Aprì la porta dell’aula. Il prof Foster ci guardò quasi sorpreso da sopra gli occhiali. – Adams, Rogers, che piacere vedervi alla mia lezione.

- Rogers aveva dei problemi con l’armadietto, io l’ho aiutata. – disse pronto Seth.

Già, ma nessuno ti ha chiesto di farlo! Pensai come risposta.

Il prof annuì anche se non particolarmente convinto e ci invitò a sederci. Prendemmo posto nell’ultimo banco.

Mentre stavo prendendo il quaderno dalla borsa mi tagliai. – Oh, al diavolo! – sibilai. Ero nervosa.

- Che succede? – mi chiese in un sussurro Seth.

- Niente. – posai il quaderno sul banco. Lui mi fissava quasi ipnotizzato. Gli sventolai una mano davanti. – Ehi Seth, che hai?

- Ti sei tagliata. – aveva un tono strano. Innocente, quasi.

Mi guardai il dito. – Ah, sì, ma non è niente.

- Esce sangue. – osservò.

- Sì, ma non è …

Non feci in tempo a finire la frase che lo ritrovai a succhiarmi il sangue dal taglio. – Seth…?

Alzò gli occhi. Ora erano grigio verdi con un tono rossastro intorno alla pupilla. Aveva un strana espressione, un misto di rabbia e dispiacere. E dolore, tanto dolore. – Mi dispiace… io… io… - mormorò, ma non riuscì a trovare altre parole.

Si alzò e corse fuori dall’aula. Inutile i tentativi del prof di richiamarlo.

Ma cosa era successo? Perché quell’espressione? Perché… ? Dovevo seguirlo. Dovevo sapere cosa gli era successo. Era colpa mia?

Mi alzai anch’io. – Prof, devo andare al bagno. – accampai come scusa.

- Ma… Rogers! – tentò di ribattere, ma ormai ero fuori dall’aula anch’io.

Mi misi a cercarlo. Dove poteva essere andato? Sembrava star male, quindi…

Provai in bagno. Non c’era nessuno.

Provai in infermeria. C’era solo la vecchia signora Wedding che stava medicando una ragazza. Di lui neanche l’ombra.

Alla fine lo trovai sotto il portico che faceva da riparo alle biciclette.

Mi avvicinai piano, per paura di disturbarlo.

- … Seth… - lo chiamai quasi in un sussurro. Non mi avrebbe sentito, lo sapevo.

Alzò di scatto la testa. – Non avvicinarti! – ringhiò. Mi immobilizzai dov’ero, sia per il suo strano tono di voce, sia per la sua faccia, una maschera di dolore e rabbia cieca.

- Và via, và via, và via… - lo sentivo ripetere con una voce alterata a metà fra quella umana e quella animale, a un volume appena udibile per me.

- Seth, che hai? – urlai. Mi stavo davvero preoccupando. Mi avvicinai di corsa ignorando quello che mi intimava continuamente.

- Ferma! – ringhiò ancora. Lo ignorai.

Ormai ero quasi vicina a lui.

- MALEDIZIONE! – imprecò con un ringhio più alto. Lo vidi tirare un pugno sulla colonna di mattoni di fianco a lui. Rimase il segno del colpo.

Poi per la prima volta mi rivolse lo sguardo. Uno sguardo che chiedeva comprensione, che chiedeva pietà.

- Dimentica ogni cosa. – mi sussurrò.

Un attimo dopo non lo vidi più. Era sparito.

Rimasi imbambolata sul posto a fissare il punto dove era stato fino a poco prima, incapace di capire cosa pensare. Era successo davvero. Non me l’ero sognata, vero?

Decimo mese.

Sono uno stupido, un perfetto idiota.

L’avrò sicuramente spaventata per come mi sono comportato. Sono ancora troppo giovane per riuscire a dominare la Sete. Non sono ancora così esperto. E Lei, anzi il suo sangue, emanava un odore troppo dolce, troppo appetibile per poter resistere.

Intanto, però, ho scoperto che il nostro sangue non è compatibile l’uno con l’altro. I Figli di Adamo non possono bere il Sangue di Eva. Probabilmente funziona anche al contrario. Certo che Dio ha fatto proprio di tutto pur di non lasciare che le due Famiglie potessero avvicinarsi troppo…

Qui in Famiglia non ne ho ancora parlato, probabilmente lo farò quando mi sentirò meglio e cioè quando il veleno non sarà più in circolo nel mio corpo. Probabilmente, però, lo sanno già.

Ci sono troppe cose che mi sono tenute nascoste.

È già qualcosa che riesca a scrivere. Penso che la febbre continuerà a salire, per un po’ non potrò vederLa.

In ogni caso, credo che questa sia anche la soluzione migliore. Meglio non vederLa, meglio lasciarLa pensare, meglio lasciare che Lei cerchi di dimenticare.

S.A.

A tutti quelli che hanno messo questa storia tra le loro preferite:

grazie! Mi fate capire che a qualcuno piace, ne sono contenta!

Ora avrei solo un piccola richiesta:

recensite, vi supplico!

Vorrei sapere cosa ne pensate, almeno so

se continuare o no la storia, se a qualcuno,

oltre alle persone che l’hanno inserita nelle preferite,

piace o se è una vera e propria schifezza…

O se volete dirmi cosa non va in questa storia,

se avete qualche suggerimento…

grazie per tutto, anche solo di leggerla.

Grazie.

darkimera

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Capitolo 5
*** 4 ***


4

4

Ero certa che quel giorno di scuola non fosse mai esistito, che mi sarei svegliata prima o poi e mi sarei accorta che quella non era la realtà.

Ma il giorno successivo e tutti quelli seguenti, su quella colonna ogni mio tentativo di auto convincimento andava in frantumi.

Quella era la realtà. Punto. Dovevo accettarla e basta. Dovevo accettare che lui era cosa? Un mostro? Ma soprattutto dovevo convincermi che lui era l’eroe o l’antieroe di una storia? Non lo sapevo. Dovevo chiedere spiegazioni.

Ma lui non c’era. Perché non c’era?

Dov’era Seth ora che per la prima volta avevo bisogno di parlare con lui?

Passarono settimane, poi un mese, ma lui non ritornava a scuola. E io continuavo a tormentarmi. Chi sei Seth? Dimmi chi sei.

A mente fredda cercavo di analizzare i fatti. Aveva una forza, forse anche una velocità, fuori dal comune. E poi aveva reagito stranamente alla vista del sangue. Tre indizi fanno una prova, ma non poteva essere veramente una di quelle creature. Loro non esistono nella realtà, non è vero? Erano solo leggende, vero?

Riuscì addirittura a popolare i miei sogni. Lo vedevo alternarsi nei panni del buono e poi del cattivo. Lo vedevo vittima, ma anche carnefice. E a volte vedevo me uguale a lui. E questo era ciò che più mi preoccupava.

*

Undicesimo mese.

Sono guarito. Ma comunque non me la sento di affrontare la scuola. O meglio ho paura di affrontarLa. Comportamento infantile, non c’è che dire.

Ho paura di affrontare le troppe domande che di sicuro mi farà. E io non so come risponderLe. Come posso farlo senza rivelarLe che è una Figlia di Eva? Come posso affermare delle cose sulla Nostra natura senza riuscire a nasconderLe che è una di Noi?

Prima o poi dovrò ritornare. Prima o poi l’affronterò.

Ma se continuano a farmi pressione non so quando davvero me la sentirò.

Posso solo dire loro di aspettare, qualcosa succederà.

S.A.

*

Primi giorni di novembre. Mi recai in segreteria per consegnare un modulo che ci avevano consegnato.

La segreteria era un ufficio abbastanza piccolo. Una piccola area che faceva da sala d’attesa con sedie pieghevoli, muri tappezzati da avvisi e un grosso orologio a muro. La stanza era divisa in due da un lungo bancone su cui erano stati messi molti cestini metallici pieni di moduli. Dietro c’erano due scrivanie in cui una era seduta una donna magrissima con gli occhiali che stava leggendo una qualche circolare o avviso.

Misi il mio foglio dentro un cestino metallico e me ne andai. In quel momento la porta si aprì. Entrò un ragazzo.

Pelle semi dorata, capelli spettinati e neri. Seth.

Mi passò accanto ignorandomi completamente. Già forse aveva ragione, meglio far finta che non fosse successo nulla. Meglio far finta di non conoscerci. Meglio comportarsi da perfetti estranei.

Abbassai lo sguardo come quel giorno al cimitero e mi allontanai a testa bassa verso la mensa.

*

Ciao!

Perdonate il lungo periodo d’attesa…

Ci sono stati vari motivi per cui non ho potuto

pubblicare prima

Grazie per aver letto il capitolo!

Grazie per aver messo la storia tra le vostre preferite!

Grazie per le recensioni!

*Wawa Chan: Grazie! Mi fa piacere che lo scorso capitolo

ti sia piaciuto. Il Grande Kira giudica l’operato

dei vampiri ottimo… Cercherò di non demoralizzarmi

sebbene in questo momento sia mezza depressa…

*Arwen Woodbane: scusa, non posso fare a meno di non farmi

i fatti miei… a te piacciono “Il signore degli anelli”

e le streghe, vero? Scusa, pura curiosità… Già siamo

proprio entrati nel vivo della fic, come si evolverà

la relazione tra Seth e Mel?

Sì. Quello che lui scrive è un diario, ho dovuto

inserirlo per forza perché mi serviva

che anche Seth esprimesse i suoi sentimenti e quello

che Melanie non sa ancora…

Pezzo pezzo il puzzle si completerà,

pezzo pezzo la verità verrà a galla…

E’ più o meno questa l’orbita di tutto…

Grazie mille, Arwen! Per la recensione

e per aver messo la storia tra le tue preferite!

*

Continuate a seguirmi, se ne avrete voglia!

Spero di poter pubblicare il prossimo chap il più presto possibile!

Grazie mille di tutto!

Ciao ciao, alla prossima

darkimera

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Capitolo 6
*** 5 ***


5

5

Letteratura. Ottima materia soprattutto per quelli che soffrono di insonnia. Accompagnati dalla voce cantilenante del prof, che mi sembrava spiegasse Shakespeare, molti si erano appisolati sui banchi mentre i minuti della settima ora passavano lentamente come un liquido denso dentro una clessidra.

La mia mente faceva fatica a restare attaccata alla realtà. Seth era rientrato, ma ormai sembrava non interessarsi più a me. Ero infatti seduta insieme a Ruvy nell’ultimo banco vicino alla finestra. Lui era invece nel primo banco vicino alla porta accanto a Ruphert, in pratica da tutt’altra parte rispetto a me.

Sbuffai annoiata. Quando diamine suonava quella stramaledetta campanella?

E intanto il prof parlava, parlava, parlava, parlava… mi persi definitivamente, aspettando solo quel suono miracoloso.

*

La mensa era come al solito super affollata. Era incredibile vedere tutti in un solo luogo gli studenti della nostra scuola.

Cath, Marya e io ci eravamo sedute in un tavolo un po’ isolato. Sì, insomma, isolato in quel caos era un parolone. Di solito con noi c’era anche Chris, ma oggi non era venuto a scuola.

- Secondo te, come mai Adams non è venuto a scuola per tutto questo tempo? – chiese Cath addentando una mela.

Feci spallucce e la guardai interrogativa. Le rispose Marya.

- Gira voce che abbia avuto problemi familiari o di salute, non ho capito bene…

Cath e io ci limitammo ad annuire. Problemi di salute, certo. Assolutamente normale, umano. Cosa ero andata a pensare?

- Secondo voi a Seth chi piace? – buttò lì, innocente, Marya.

- Si diceva che andasse dietro a Rebecca, perché?

- Così…

Cath assunse un’espressione sbigottita. – Non mi dirai che vuoi lasciare Chris perché ti piace lui? Oddio, proprio oggi che non c’è! Marya, mi stupisco di te!

Lei rise. – Ma che vai a pensare? Te l’ho chiesto perché secondo me a lui piace la nostra cara Melanie.

- Tu dici? – chiesi incredula.

Sorrise compiaciuta. Scommettevo che era da tempo che ne voleva parlare. - Era da un po’ che ci pensavo a dir la verità. Non so se avete fatto caso che prima che se ne andasse cercava sempre Mel, secondo me non è un caso.

Inforchettai un maccherone. – Sì sì certo. Perché non metti da parte le tue intuizioni, cara Sherlock Holmes? Si dà il caso che in questi giorni fa finta che io non esista.

- Vero. - replicò concessiva. – Mi chiedo perché, poi… - borbottò poi.

- Senti un po’ tu, con Chris? Qualche nuovo cambiamento? – le chiese Cath.

- Nah, niente di nuovo… - vidi che le cominciavano a diventare rosse le guance. Altro che tutto regolare.

- Non ti credo! – esclamò Cath.

Sapevo che il battibecco per farle dire la verità sarebbe stato lungo e feci vagare un po’ lo sguardo per la mensa.

A un certo punto incontrai lui. Era seduto nel tavolo dell’angolo più remoto. Era solo e non capivo perché. D’altronde avrebbe potuto avere tutta la compagnia che voleva, era stato così fino a prima che non venisse più a scuola. Non lo vedevo bene, certo, ma sembrava che fosse assorto in chissà quali pensieri, guardava fisso davanti a sé.

Dovevo parlargli, chiedere scusa se proprio era necessario, anche se non capivo per cosa poi dovevo essere perdonata. Per qualche motivo non volevo che Seth mi ignorasse come stava facendo.

Lo vidi alzarsi. Mi alzai anch’io. Cath e Marya si zittirono e mi guardarono interrogative.

- Scusate, ma devo fare una cosa… ci vediamo dopo in classe, okay?

Tenendolo d’occhio, andai a posare il mio vassoio sull’apposito carrello di metallo e poi uscii dalla mensa. L’avrei aspettato lì fuori per potergli parlare.

Ma neanche a farlo apposta ci scontrammo mentre uscivamo. Mi fermai a guardarlo, ero certa di aver attirato la sua attenzione.

Lui procedette invece spedito per il corridoio come se anziché me avesse urtato un muro.

*

Undicesimo mese

Non ce la faccio più.

È Lei a rendere così incasinata la situazione. Lei e la sua natura umana, così fragile, così profumata, così … breve.

Ma forse è solo colpa mia. È stato per colpa mia se Lei mi ha scoperto, colpa mia se con il mio comportamento non faccio altro che avvicinarLa a me, invece di respingerLa come vorrei.

È tutto inutile provare a ignorarla. Nelle lezioni che abbiamo insieme sento sempre i suoi occhi scuri puntati su di me, se non voglio incontrarLa, Lei è sempre sulla mia strada.

E anche quando non è dove sono io, nell’aria riesco a sentire il suo odore, la sua scia.

Non posso, non riesco, a continuare a ignorarla. Ho in un certo senso bisogno di Lei. E Lei immagino abbia bisogno di me. O perlomeno delle mie spiegazioni.

Sono combattuto. Ho paura di rivolgerLe la parola per il timore di ridestare in Lei il ricordo di quel giorno, ma vorrei starLe accanto.

Questa situazione non sarebbe mai venuta a galla se la Madre non avesse elaborato uno dei suoi stupidi e folli piani. Ma…oramai sono in ballo e devo ballare.

Comincio a provare dei sentimenti verso di Lei. Non fittizi, ma reali. Non degli altri, ma miei.

Ho deciso. Proverò a parlarle.

S.A.

*

Mi scuso per il ritardo nell’aggiornare.

Ringrazio tutti coloro che hanno letto il capitolo scorso.

A tutti quelli che hanno letto questo capitolo:

se la storia fa schifo ditemelo subito così evito di scrivere nuovi capitoli.

Grazie.

darkimera

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Capitolo 7
*** 6 ***


6

6

 

15 novembre. E siamo ancora a questa data.

Sapevo bene che ogni anno non potevo abbattermi in quella maniera, che dovevo superare prima o poi tutti i sensi di colpa che stupidamente mi angosciavano. Tutto quello che era successo tre anni fa era stato solo un banalissimo incidente, mi continuavo a ripetere, ma una parte della mia coscienza mi diceva che in fin dei conti era solo colpa mia. Se solo…

I miei pensieri vennero interrotti dal suono della sveglia. Svogliatamente la spensi e mi alzai.

Dopo essermi preparata scesi in cucina. Mio padre era già seduto e guardava mezzo assonnato la sua tazza di caffè. Al solito non si mosse quando arrivai né tanto meno accennò a un saluto.

In silenzio preparai la mia colazione, una tazza di latte con dei cereali, e la mangiai piano. Guardai mio padre. Mi ero sbagliata, non era mezzo addormentato, sembrava piuttosto intento a riflettere su qualcosa di molto importante.

Finita la colazione sciacquai la tazza e mi avviai verso la porta.

- Melanie… - mi richiamò indietro con voce seria che mi ricordava quella di quando mi aveva informato della morte della mamma.

Mi girai aspettandomi il peggio. I suoi occhi sembravano non volersi concentrare su di me, come se stesse cercando le giuste parole da dirmi.

Alla fine scosse la testa e accennò un sorriso. – No, niente… solo, stai attenta, mi raccomando.

- Ah… ok… - balbettai piano uscendo definitivamente.

Al momento non ci feci caso, ma poi mi resi conto che c’era qualcosa che non andava.

Mio padre se aveva usato quel tono di voce era stato sicuramente perché doveva dirmi qualcosa di importante che mi riguardava. Poi, però, non ne aveva avuto il coraggio e mi aveva semplicemente detto di stare attenta.

Scossi la testa. Non poteva essere così. Mi stavo solo facendo inutili problemi mentali.

Tuttavia, quel giorno, il pensiero che mio padre mi nascondesse qualcosa non mi abbandonò molto facilmente.

 

*

 

18 dicembre, lunedì.

Quel giorno avevo solo una lezione insieme a Seth, durante la quale mi ero promessa che gli avrei parlato con la speranza che tutta questa storia, il fatto cioè che lui mi ignorava, finisse al più presto.

Entrando nell’aula, però, ogni mia speranza si infranse.

Non c’era. Di solito, quando io entravo, lui era già lì, ma oggi no. Oggi no.

Sospirai delusa prendendo posto nell’ultimo banco.

La lezione cominciò e per qualche strano motivo cominciai a fissare la porta. Chissà forse speravo in un miracolo… Che scema, una perfetta idiota di un’adolescente ecco cos’ero.

Ma la porta si aprì ed entrò un ragazzo. Sentii il cuore rimbalzare con un tonfo nel petto e accelerare i battiti quando prese posto di fianco a me.

Okay, primo obiettivo raggiunto. Secondo obbiettivo, parargli, ne sarei stata capace?

Prima che avessi modo di aprir bocca, lui mi anticipò.

- Ciao. – la voce era normale, non una traccia del tono con cui l’avevo sentito parlare l’ultima volta.

Mi stava fissando con i suoi occhi penetranti, mi sentivo a disagio.

- Cos’è hai deciso di rivolgermi la parola? – ribattei sulla difensiva.

- Ti dispiace?

Quella domanda mi spiazzò. – Perché dovrebbe dispiacermi?

Silenzio. Perfetto, ottimo. Secondo obbiettivo raggiunto al 50%. Bel lavoro, Melanie.

Lui sembrava seguire la lezione, lo imitai cercando di non farmi coinvolgere troppo dagli strani pensieri che cominciavano a vorticarmi in testa.

Avanti, Seth, parla! Lo incitavo mentalmente, troppo codarda a fare io la prima mossa. Ma intanto l’ora correva via veloce e il suono della campanella si faceva più vicino.

- Senti, se proprio vuoi sentirtelo dire, mi dispiace, ok? – sbottai alla fine.

Lui si girò verso di me, curioso. – Perché dovresti chiedermi scusa?

Già perché dovevo chiedergli scusa?  - Non lo so.

Sorrise divertito. – Più che altro dovrei essere io a farlo, no? Ti ho spaventata…

La campanella suonò. Il prof ci dettò gli ultimi compiti e la classe cominciò a sciamare fuori dall’aula. Ci alzammo anche io e Seth, ma non uscimmo.

Bene, questo voleva dire che entrambi eravamo intenzionati a parlarci.

Il prof non badò minimamente a noi e uscì per andare in mensa.

Eravamo da soli. Seth andò a chiudere la porta dell’aula per evitare che qualcuno ci sentisse. Mi appoggia alla cattedra e lui si pose davanti a me. Aspettavo che cominciasse.

E magari lui aspettava che fossi io a farlo. Perché le relazioni umane sono così complicate?

Lo guardai. Era immerso nei suoi pensieri, probabilmente non sapeva da dove cominciare. Cercava di non incrociare il mio sguardo.

Beh, almeno non dovevo essere io a cominciare il discorso.

Alla fine mi guardò fisso negli occhi e parlò con  voce bassa e quasi severa. – Cosa hai visto esattamente quel giorno?

Ecco, perché doveva partire da lì? Perché proprio da quel giorno che avevo cercato di cancellare catalogandolo come assurdo? La porta dietro cui l’avevo rinchiuso a forza si spalancò con impeto.

– Hai dato un pugno a una colonna, dove fra l’altro è rimasto il segno, e poi sei sparito a una velocità impressionante. Immagino che mi debba dimenticare tutto, è così?

- No, non devi. Non devi farlo mai.

Il suo tono autoritario mi stupii, ma non fu solo quello. Forse avevo sentito male. – Cosa?

Sospirò e con tono paziente disse di nuovo: - Non devi dimenticare quello che hai visto.

- Perché? – non capivo, avevo il cervello che andava a rilento.

Abbassò gli occhi. Era una cosa che non doveva dirmi. Ne avrei fatto a meno, per il momento.

- Ma prima… prima di quello che mi hai detto… cosa hai visto? – sembrava non trovasse le parole, che avesse timore a farmi quella domanda.

Gli ingranaggi del mio cervello cominciarono a rielaborare pensieri formulati molto tempo addietro. Tutte quelle domande così mirate volevano solo significare che voleva rivelarmi la sua natura. Cosa che ero probabilmente arrivata anch’io a scoprire.

Inspirai profondamente prima di parlare. – Mi hai succhiato via del sangue.

Il silenzio più totale scese fra noi. I minuti scivolavano lenti fra di noi. Era una situazione insopportabile.

Emisi una debole risata. – Avanti, Seth! Non vorrai dirmi che tu sei… - non riuscì a finire la frase tanto mi sembrava irreale la cosa.

Lui riprese controllo della realtà e mormorò lapidario. – Sì.

Lo fissai sbigottita, lui ricambiava con uno sguardo impassibile.

Aspettavo la paura. Perché se fosse stato davvero un… oddio quanto era assurda la cosa, un… vampiro… avrei dovuto avere paura, no? Ma allora perché diamine sentivo dentro di me qualcuno, una piccola parte del mio essere, che gioiva come se avesse trovato una persona cara. Come se mi dicesse che in fin dei conti io e lui eravamo uguali?

Ancora una volta tra noi ci fu il silenzio. 

Scossi la testa più volte. Impossibile. Questa parola mi rimbalzava in testa come una palla di gomma.

Va bene, l’avevo pensato anch’io, ma ora detto da lui… beh, era tutto un altro paio di maniche.

- E’ strano che tu non sia scappata via urlando… - commentò.

Scossi la testa cacciando via altri pensieri. – Avrei dovuto farlo?

Fece spallucce. – Mi avresti dato una soddisfazione in più. Ma davvero non hai paura?

- Non lo so… non so cosa sto provando in questo momento, ma sono sicura che non c’è la paura. Non so è come se sentissi che io e te siamo uguali…

Si rabbuiò come se avessi detto qualcosa in più del dovuto, come se avessi scoperto un segreto che doveva rimanere tale.

- Andiamo a mangiare. – decretò uscendo dall’aula.

Il discorso vampiri era finito. Lo seguii senza fiatare.

 

*

 

Salve a tutti! Siamo giunti al sesto capitolo, da non crederci…

Sono commossa. Questa storia è la preferita di ben 8 persone!!!

E una l’ha pure messa tra le storie seguite!!!

Grazie a:

Arwen Woodbane

egypta

Fantasy_Mary88

ka chan

Miki89

SaphiraLearqueen (che l’ha anche messa tra le seguite)

Valespx78

wawa chan

Spero di tutto cuore di non deludervi con la storia

perché anche per me che sono l’autrice è un po’ confusa…

Mi hanno detto che somiglia un po’ troppo a Twilight

quindi vedrò di impegnarmi a renderla un po’ più originale!

Grazie e continuate a seguirmi, per favore!

Ho bisogno di voi!

To the next chaptre

Bye bye

darkimera

Provehito in altum

 

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