Il cappuccino del buongiorno al Bagno Girasole

di bloop
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Giorno primo ***
Capitolo 3: *** Giorno secondo ***
Capitolo 4: *** Giorno terzo ***
Capitolo 5: *** Giorno quarto ***
Capitolo 6: *** Giorno quarto (seconda parte) ***
Capitolo 7: *** Giorno quinto ***
Capitolo 8: *** Giorno sesto ***
Capitolo 9: *** Giorno settimo ***
Capitolo 10: *** Giorno ottavo ***
Capitolo 11: *** Giorno ottavo (seconda parte) ***
Capitolo 12: *** Giorno nono ***
Capitolo 13: *** Giorno decimo ***
Capitolo 14: *** Giorno undicesimo ***
Capitolo 15: *** Giorno dodicesimo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Come ti sconvolgo la vita in tre settimane -

 

Prologo

                                                                                   
Estate significa libertà, divertimento, notti in bianco, sbronze, avventure senza impegni, discoteche, mare, sole, niente pensieri e amici. Per Elia Bracaglia, Tommaso Villa, Elisabetta Villa, Leonardo Calicchia e Sebastiano Castelli l'estate significa Cesenatico, mare e calcio-tennis, ma  anche cambiamento, sconvolgimento, sentimenti e lacrime.
Quando Tommaso ha proposto di andare a passare l’estate sulla Riviera Romagnola, qualcuno ha espresso la propria perplessità: con Ostia a due passi da casa, perché salire fino all’Emilia Romagna, dove il mare non era nemmeno paragonabile all’acqua del Tevere? Qualcun altro ha proposto la movida di Ibiza oppure la Sardegna, ma per qualcuno alla fine non sarebbe stata la stessa cosa.
Lo stesso Tommaso non credeva che si sarebbe trovato a dover convincere Elia a non farsi fregare da Elisabetta, che improvvisamente sembrava così attratta da lui, ma che in fondo rimaneva sempre una Villa, una con il divertimento nel sangue, un fuoco con cui non giocare. Elia però pareva intenzionato a lasciarsi scottare e le cose erano destinate a cambiare.
Anche per Leonardo e Sebastiano durante quella vacanza è cambiato qualcosa e nessuno sa se per colpa del caldo, della lontananza da casa, della libertà oppure della gioventù, però si sono trovati entrambi ad abbracciare una ragazza sulla banchina della stazione e prometterle una telefonata al loro arrivo a Roma. Quello che Leonardo e Sebastiano non immaginavano, accettando la proposta di Tommaso, era che a Cesenatico avrebbero trovato qualcuno che li avrebbe fatti sentire soli e persi nella Capitale.
Il problema di Leonardo si chiama Agnese, studia Scienze della Comunicazione e si considera una ragazza senza caratteristiche particolari, ma a lui piace la sua serietà e il suo sarcasmo fine; ama la sua risata e il suo sorriso, che le fa arricciare il naso; starebbe ore e ore a farla arrossire con complimenti o baci sulle guance e rinuncerebbe a tutto pur di sentire la sua voce calma e il suo accento buffo e così diverso dal suo. Inizialmente non l’aveva notata, troppo impegnato a sorbirsi le paranoie di Sebastiano, poi si era preso il suo tempo e l’aveva guardata bene, proprio come sta facendo in questo momento alla stazione di Cesenatico, con il cuore pesante e le parole bloccate in gola. Vorrebbe dirle una marea di cose, ma l’unica cosa che riesce a fare è accarezzarle i capelli e tenerla stretta fra le sue braccia, mentre cerca qualcosa da dire, una frase, una promessa, un ringraziamento. Per la prima volta si sente combattuto fra la famiglia e i sentimenti, fra Roma e Agnese, e vorrebbe non dover scegliere, vorrebbe avere ancora tempo, vorrebbe tornare al primo giorno in cui hanno varcato la soglia del Bagno Girasole e, soprattutto, vorrebbe averla notata prima, quando Sebastiano ha trovato il suo guaio.
I  tormenti  di Leonardo sono iniziati per colpa di Sebastiano e del suo problema. Lei si chiama Anita, aspirante architetto, e ha servito loro caffè e birra al Bagno Girasole per tutta la durata dell’estate. Le cose che hanno in comune non sono poi così tante, ma Sebastiano è convinto di non aver mai avuto a che fare con una ragazza dolce e carina come lei, con cui non è mai stato necessario spendere troppe parole, perché riusciva sempre a capirlo, ad anticiparlo e a sorprenderlo. La tiene stretta a sé e non vuole lasciarla andare, ma sa che più lotta e più entrambi soffrono, così le lascia un bacio tra i capelli e la guarda in quegli occhi verdi che l’hanno fatto sospirare tante volte e che ha sognato quasi ogni notte. Vorrebbe dirle di non piangere, di non sentire la sua mancanza, di non pensare a lui, ma tiene tutto dentro e semplicemente si china a baciarla dolcemente, mentre le lacrime le solcano il viso. Le mormora qualcosa a fior di labbra, poi la bacia di nuovo e vorrebbe ignorare il fischio del treno che sta entrando in stazione, vorrebbe ignorare la fitta allo stomaco, vorrebbe scappare con lei da quel posto, vorrebbe non sentire il suo pianto trattenuto non poi così bene e vorrebbe non vedere lo sguardo che gli lancia Leonardo, ancora stretto ad Agnese.
“È solo l’inizio” sussurra per convincere più se stesso che non lei, poi raccoglie la valigia da terra e la guarda un’ultima volta: si è avvicinata anche Agnese, si tengono a braccetto ed insieme salutano con la mano, anche se gli occhi lucidi tradiscono la tristezza e le mute speranze che sia davvero solo l’inizio.
 

Bloop's corner

Buonasera a tutti! Qui è Mari che vi parla! Dunque, questo è il prologo della storia che io e Mich stiamo scrivendo a quattro mani! Speriamo che vi piaccia, è un esperimento e ci stiamo affezionando velocemente a questi personaggi!
I nostri ringraziamenti vanno alle prime fan sulla fiducia, Federica e Fabia, che ci hanno dato una possibilità ancora prima di scoprire che eravamo in due a scrivere! Quindi grazie infinte, ragazze! Speriamo di non avervi deluse con questo piccolo assaggio di quello che arriverà prossimamente! :D 
Personalmente, però, devo anche ringraziare Mich per la possibilità di scrivere insieme a lei di nuovo, dopo i tentativi archiviati :) grazie per avermi scelto come compagna di tastiera, spero di esserne all'altezza e di non rovinare il tuo lavoro già iniziato e progettato! <3

Al prossimo capitolo, allora! Fateci sapere cosa ne pensate, anche se è un prologo corto :)

Kisses
Aries

 

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Capitolo 2
*** Giorno primo ***



- Come ti sconvolgo la vita in tre settimane -


 

1. Giorno primo
 
Sebastiano, giunto in fondo alla passerella, affondò i piedi nella sabbia calda e guardò dritto davanti a sé; il mare si estendeva lungo tutto l'orizzonte, sfumando dal verde sporco all'indaco mano a mano che il suo sguardo proseguiva verso il largo. Una linea scura separava l'acqua dal cielo limpido, cosparso solo da poche nuvolette bianche. Sorrise vittorioso, la soddisfazione di chi era finalmente giunto alla meta dopo un lungo viaggio a gonfiargli il petto. «Finalmente» sussurrò, per poi scoppiare in una chiassosa risata esultate. «Finalmente!» ripeté a voce più alta.
«Già, finalmente, finalmente, come ti pare» sbottò in risposta una voce femminile. «Sto morendo di caldo, Castelli, vuoi darti una mossa? Gli ombrelloni sono F6 e G6, non è difficile arrivarci». Elisabetta Villa non era il tipo di persona che rispettava i momenti di riflessione altrui, non quando aveva fretta di fare qualcosa – né, a dirla tutta, in nessun'altra occasione. Quel giorno, per esempio, sentiva l'impellente bisogno ti tuffarsi in acqua e rilassarsi dopo ore di viaggio. Come fosse venuto in mente a quei cretini degli amici di suo fratello di farsi tutto il tragitto da Roma a Cesenatico in un treno pullulante gente sudata con i bagagli per tre settimane doveva ancora capirlo, ma di certo sapeva che gliel'avrebbe fatta pagare cara. Pronunciata la propria lamentela, dunque, passò avanti, senza curarsi di non spintonare il ragazzo biondo di lato e si avviò di gran carriera sulla sabbia, saltellando all'ombra di qualche ombrellone ogni volta che questa scottava troppo sotto i piedi.
Dal fondo della gruppo qualcuno sbuffò sonoramente. «Villa, t'offendi se molliamo qui tua sorella a fine vacanza? Non la sopporto già più» domandò in tono ironico ma pacato.
Tommaso alzò gli occhi al cielo e «Per me potete farne quello che volete» dichiarò divertito, per poi spingere a sua volta Sebastiano e passare oltre; «Basta che non mi coinvolgiate!».
L'ultimo ragazzo della compagnia ridacchiò. «Non preoccupatevi, la distraggo io!» si offrì, sfoderando un sorriso ornato di fossette.
Sebastiano si voltò di scatto all'indietro per fronteggiare i due amici. «Cazzo, Leo, allora siamo fottuti!» esclamò spalancando le braccia con aria disperata.
Sul viso di Leonardo spuntò un sorriso che andò allargandosi fino a sfociare in una vera e propria risata. «Ma vedi d'andartene!» replicò, dandogli a sua volta una spintarella prima di andarsene lui stesso, subito seguito da Elia, che, scrollando il capo con aria grave –ma senza riuscire a trattenere una risatina–, faceva oscillare i riccioli biondi. «Sei meglio tu, Castelli».
«Non che abbia tutti i torti, però, Bracaglia».
E fu così che Sebastiano rimase indietro, ridendo da solo sulla passerella, mentre osservava i suoi amici allontanarsi contro lo sfondo del mare. Sì, si disse, quella si preannunciava come una vacanza coi fiocchi.
 
 
La Riviera Romagnola è riconosciuta a livello europeo come una delle più frequentate e rinomate mete turistiche balneari. Chi ci abita si chiede sempre un po' il perché, visto che, tanto per dirne una, l'acqua varia in base alle zone dal verde marcio al marrone, con qualche vaga trasparenza di tanto in tanto. È comunque innegabile che l'opportunità di lavorare in un bagno al mare durante l'alta stagione in Riviera è un'occasione d'oro che nessuno dovrebbe sprecare.
Anita Paraboschi la pensava allo stesso modo; ecco perché quando i signori Turroni le avevano offerto il solito posto di barista al bagno Girasole, aveva accettato nonostante gli esami universitari ad attenderla il mese seguente. Dopo tutto un po' di contanti e l'occasione di passare i pomeriggi in spiaggia, seppur studiando, facevano sempre comodo.
«Ninì, ci dai le palline?»
Anita scollò gli occhi verdi dallo schermo del televisore che, in un angolo del bar, trasmetteva una partita e si voltò nella direzione di chi la chiamava. «Ehi» salutò, per prendere tempo e metabolizzare la richiesta appena fattale. «Palline? Ping pong, tennis o biliardino?» chiese, una mano già sporta indietro per aprire il cassetto in cui erano riposte tutte quelle cose.
«Ping po-»
«Biliardino!»
«Avevamo detto ping pong!»
«Ma il biliardino è libero!»
«Anche il tavolo!»
«Ma quello non è mai libero!»
Quando Anita sospirò, il ciuffo di lisci capelli biondi che le ricadeva sugli occhi svolazzò, scompigliandosi appena. Non che non fosse abituata ai battibecchi dei bambini che non sapevano decidere a cosa giocare, negli anni ci aveva fatto il callo, ma sembrava che proprio la cosa non riuscisse a non irritarla – ed era piuttosto evidente dalla sua espressione a dispetto del sorriso gentile che indossava. Per risolvere il problema alla svelta, pescò una pallina a caso dal cassetto e la porse alle due bambine lentigginose che quasi sparivano dall'altro lato del bancone. «Mi spiace, ho trovato solo questa. Quella del biliardino deve essere stata persa».
Non si lasciò commuovere dal tenero broncio messo su dalla mocciosa più piccola, si affrettò anzi a tornare al proprio lavoro, prima che un nuovo litigio tra sorelle iniziasse. L'ultima cosa di cui aveva bisogno erano i capricci di due bambine che ancora indossavano solo il pezzo sotto del costume. Certe volte, sì, il suo lavoro estivo la stressava parecchio – specie quando c'erano troppi gradi, un'umidità spaventosa, la sua squadra preferita stava perdendo e, nonostante fosse ormai mezzogiorno, della sua migliore amica non c'era traccia.
Da quando aveva cominciato a lavorare, di fatti, era routine che lei si presentasse sul posto alle undici, per tenerle compagnia e bere il cappuccino del buongiorno.
Proprio in quel momento, quella che sembrava solo un'altra ragazzina in maglietta e pantaloncini fece il suo ingresso al bar dall'entrata che dava sulla strada, un'espressione corrucciata che non lasciava a presagire nulla di buono. «Questa è l'ultima volta che ci casco!» sbuffò senza nemmeno salutare, arrampicandosi su uno degli sgabelli accanto al bancone.
«Oh, eccoti finalmente!» La salutò, allargando le braccia. «Dove ti eri cacciata?»
Agnese scrollò il capo con ostinazione e con tono lamentoso continuò per la propria strada: «Promettimi che la prossima volta mi impedirai di andarci».
E Anita la percepiva, la rabbia che tormentava la sua amica in quel momento, ma non sapeva a cosa fosse dovuta. A dire il vero se n'era fatta un'idea, a giudicare dal livello di delirio testimoniato dal suo comportamento, ma preferiva sperare di essersi sbagliata.
L'arrivo di un cliente, comunque, attirò la sua attenzione. «Aspetta un attimo» le disse, per poi rivolgersi al ragazzo dai cespugliosi capelli biondi appena arrivato. «Sì?»
«Ciao, bella!» esordì questo sfoderando un sorriso spontaneo che fece inevitabilmente arrossire Anita, che, insomma, era piuttosto sensibile alla bellezza maschile. Come tutte le ragazze dopo tutto, no?
«Ciao» ripeté lei, un po' in imbarazzo. «Posso fare qualcosa per te?»
Lui sghignazzò tra sé e le fece l'occhiolino. «Che ragazza disponibile!» commentò. «Io sono Elia!» si presentò, allungando una mano.
«Anita» rispose l'altra poco convinta, rivolgendo un'occhiata confusa all'amica, che, il volto tra le mani, se la rideva.
Un fischio proveniente da uno dei tavolini all'aperto attirò l'attenzione di Elia, che si voltò a controllare cosa stesse succedendo. «Ma che fai, ci provi?» gridò un altro ragazzo biondo, mentre altri tre scherzavano chiassosamente tra loro.
«Fammi indovinare» si affrettò a cambiare argomento Anita, sentendosi sempre più a disagio di fronte a quel tizio dalle braccia tatuate. «Siete di Roma?»
«Che è, si sente?»
Fu la risata di Agnese ad attirare l'attenzione questa volta. «Un pochino» rispose alla sua occhiata interrogativa, mostrandogli un minuscolo spazio tra pollice e indice vicini.
«Guarda che non è facendo sapere al mondo che sei poco dotato che ci pagherai il pranzo» si intromise, piccata, una voce femminile, mentre una ragazza dai cortissimi capelli neri faceva il suo ingresso nel bar. La stessa chiassosa risata di poco prima risuonò di nuovo e, dando una rapida occhiata, Anita intuì che uno dei ragazzi che stavano aspettando Elia al tavolo era in realtà una donna – la stessa che lo aveva appena affiancato, poggiando gli avambracci al bancone.
«Pranzo? Certo, ditemi pure» disse, ricordando tutto d'un tratto il proprio compito. Aveva sempre avuto la brutta abitudine di perdersi in chiacchiere con i clienti – specie quando capitava che fossero questi ultimi ad attaccar bottone. «Volete il menù dei panini? Abbiamo anch-» Quella tizia l'aveva davvero appena squadrata da capo a piedi?
«Il menù ci farebbe comodo, sì» la interruppe la mora, inchiodandola con il suo gelido sguardo di superiorità.
«Puoi darmi cinque birre medie alla spina intanto?»
Anita indugiò solo un attimo, turbata dall'atteggiamento aggressivo dell'altra, poi annuì con determinazione. Di certo non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da un paio di occhioni blu appena arrivati da Roma. «Subito!» esclamò. «Ve le porto al tavolo?» aggiunse, dando loro le spalle.
Proprio quando si aspettava arrivasse un'altra piccata risposta da parte di lei, la voce calda e divertita di Elia giunse alle sue orecchie. «No, grazie, le portiamo no- Ehi, Betta, dove stai andando?»
«A sedermi. E datti una mossa, Bracaglia, stiamo morendo di caldo là fuori».
«Rimani dentro, allora!»
Betta si fermò sulla soglia e si voltò a sorridergli dolcemente. «Con te? Manco morta» gli assicurò, per poi tornare fuori dagli altri.
Anita e Agnese si scambiarono un'occhiata sconcertata, mentre Elia scoppiava a ridere tranquillamente. «È pazza di me, non è vero?» domandò loro con un sorrisetto sbilenco e ironico, passandosi una mano tra i ricci indomabili.
Ebbero bisogno di un attimo per decidere se lui si aspettasse una risposta o meno, poi, in coro, diedero due opinioni opposte: «Sì», «No».
«Che cosa?!» Anita guardò sconvolta Agnese e lei rise.
Il volto di Elia si illuminò di un entusiasmo infantile che gli fece brillare gli occhi castani e intenerì le due ragazze. «Vero?» chiese conferma alla bruna, il tono di voce leggermente acuto per via dell'enfasi.
Agnese rise di nuovo, sotto lo sguardo scettico dell'amica. «Davvero!»
Elia rise ancora. «Tu sei?»
«Agnese».
«Agnese!» esclamò, puntandole un dito contro. «Mi stai simpatica» annunciò, per poi rivolgersi alla barista. «Betta è cotta a puntino, come fai a non notarlo?»
Anita inarcò le sopracciglia fini. «A me non pare proprio» ammise con franchezza. In tutta sincerità, l'unica cosa che aveva notato in quella “Betta” era l'impareggiabile arroganza. Poche volte in tutte le estati trascorse dietro quel bancone era stata tratta con tanta maleducazione. E, okay, non che non le fosse mai successo di essere squadrata da capo a piedi da qualche stronzetta con la puzza sotto il naso, ma di solito avevano la decenza di non farlo così apertamente mentre le stavano parlando.
«Be', questo non lo so» ritrattò Agnese a voce di nuovo bassa, riacquistando la timidezza di sempre, che, per qualche strano motivo, sembrava essere sparita per qualche istante. «Però sembra gelosa».
Elia ridacchiò, soddisfatto da quell'osservazione. «Lo penso anche io» squittì, in un modo che poco si addiceva ad un ragazzo grande e grosso come lui.
«Ecco qui» sussurrò concentrata Anita in quel momento, posando sulla superficie di finto marmo il vassoio circolare con su i bicchieri di birra. «Sicuro di riuscire a portarli tutti?»
Il ragazzo annuì, sorridendo smagliante. «Certo. Ho studiato Sala all'alberghiero» si pavoneggiò ostentatamente, per poi ridere di sé. «Ti paghiamo tutto dopo, se ti fidi».
«Ma sì, figurati».
«Be', a dopo ragazze!»
«Ciao».
«A dopo!»
Così il ragazzo se ne andò con il vassoio e al bancone del bar calò il silenzio per qualche istante, presto interrotto da due risatine.
«Carino» commentò Anita, sorridendo a labbra strette.
L'altra fece una smorfia. «Simpatico, piuttosto».
«Ma l'hai visto bene?»
«Io sì, tu? Ha gli occhi a palla».
«Mr Muscolo è qui a petto nudo e tu gli hai guardato gli occhi?!»
«Be', sì» rispose Agnese con un onesto sorrisetto da bambina.
Anita sospirò rumorosamente, rassegnata; avrebbe dovuto aspettarselo, non le dava retta quasi mai quando si trattava di ragazzi.
Oh, a proposito... «Allora, vuoi dirmi dove ti sei cacciata stamattina?» domandò, tornando così al discorso interrotto dall'apparizione di Elia.
Bastò quel passo indietro a far sprofondare la ragazza nella stessa rabbiosa tristezza di prima. «Promettimi che non mi permetterai di andarci la prossima volta. Davide ha detto che voleva parlare e...»
«Agnese!» sbottò Anita, palesemente incredula. Sì, okay, se lo aspettava, ma avrebbe preferito sbagliarsi. «Anche questa volta ti avevo proibito di vederlo!»
Davide era ormai una costante nella vita di Agnese da un paio d'anni. Erano stati insieme per un po', poi avevano sgridato e si erano lasciati, per tornare insieme, rompere di nuovo, riprovarci... Se avevano mai vissuto il loro rapporto in maniera serena, non era stato per più di due settimane.
A chiudere il circolo vizioso era stato proprio lui, mesi prima, sputandole in faccia, davanti a tutti i loro amici un «Se non vuoi darmela, allora tienitela. Tanto non la vuole nessun altro», dando così un ulteriore incentivo all'insicurezza cronica di lei. Da quel momento in poi, chissà come, si era fatto vedere in giro con un sacco di ragazze e Agnese aveva iniziato ad evitarlo come la peste, per quando fosse possibile, considerato che uscivano con la stessa compagnia. L'ombra della storia con Davide non si era mai allontanata davvero dalla vita di Agnese, lui era sempre lì, dietro l'angolo, pronto a farsi vedere e a ricordarle cosa avesse perso. («S'è accollato come una merda sotto una scarpa col carrarmato, eh?» avrebbe commentato qualcun altro con un marcato accento romano, in seguito. «O una gomma», ma Anita avrebbe preferito la prima definizione.)
«Cosa ti è venuto in mente?»
«Io... ha detto che aveva bisogno di parlarmi di qualcosa e io ci sono andata» spiegò in tono mesto Agnese, senza riuscire a guardarla. Sì, era stata un'idea decisamente stupida, ripensandoci a posteriori, ma sul momento aveva pensato fosse la cosa giusta.
«Ma lui no» indovinò Anita, l'espressione severa di chi tratteneva un "te l'avevo detto".
L'altra sospirò. «Ma lui no» confermò con aria triste. Lo aveva aspettato quasi due ore, prima di decidersi a lasciare il luogo d'incontro per raggiungere il bagno Girasole.
«Che grandissimo bastardo!»
«Che grandissima cretina...»
Anita le scompigliò i capelli con un sorriso tirato. «Un po' anche quello, sì» si sentì in dovere di precisare. Poi però si intenerì, quando la sua amica abbassò la testa per nascondere la tipica espressione di quando era arrabbiata con se stessa. «Dai, ti offro un cappuccino».


Bloop's corner (ovvero l'angolo della figura di merda? LOL)
Saaaalve! Questa volta, qui è Mich! 
Se avete letto le note di Aries alla fine del prologo, dove si dimostra la persona coccolosa che è, avrete intuito che questa storia non è nata proprio a quattro mani. Ma anche sì. Insomma, in questo mio angolo, oggi, ho pensato di raccontarvi un po' come è nata questa, ehm, bizzarra situazione.
Aries ed io, innanzitutto, ci conosciamo davvero. Abbiamo passato più o meno metà del liceo a scrivere storie a quattro mani, senza una trama precisa né nulla, andando avanti a volte per ispirazione e a volte per dispetto (tipo che qualcuno si ostinava a rovinare i baci e i momenti di tenerezza con battutace e interruzioni *coffcoff*), raccogliendo centinaia di fogli disordinati che è tutt'ora impossibile ricondurre ad un filo logico, non essendo numerati. Ma, ehi, spesso ci uscivano cose carine e, giuro, rileggendo non è facile distinguere chi ha scritto cosa - se non si nota la calligrafia *coff*.
Abbiamo sempre scritto, ma mai pubblicato. Non insieme, per lo meno. Poi sono arrivati questi personaggi. Sono nati attraverso alle nostre fantasticherie, li abbiamo creati insieme, poi mi è venuto l'egoistica voglia di scriverci su e ho iniziato ad imbastire questa storia. Scritte poche pagine, però, un po' per i sensi di colpa (perché, insomma, questi personaggi non erano solo miei, non potevo impossessarmene, anche se Aries non sembrava aver nulla in contrario) e un po' perché io e le storie romantiche ci ridiamo in faccia, quando ci troviamo le une di fronte all'altra, mi sono trovata in un vicolo cieco. 
Poi, insomma, era un po' di tempo che volevamo ricominciare a scrivere qualcosa a quattro mani per provare a sottoporla al giudizio del sommo pubblico di EFP, quindi è scattata la proposta ed ora eccoci qua.
Abbiamo steso una scaletta, ci siamo nuovamente impossessate dei nostri personaggi ed ora siamo qui, a farvi leggere il nostro lavoro, che speriamo davvero vi piaccia, visto che noi ci divertiamo parecchio a scriverla - o almeno io, magari a Meri fa schifo e non vede l'ora di fanculizzarmi (ciao, honey! :3).
E... niente. Le parti tenere sono sicuramente opera sua, vi avviso. Il conto dal dentista lo paga lei.
Se ci cercate, sul nostro profilo trovate i link ai nostri account singoli - qualcuno gira su efp da fin troppi anni, ops - e da lì potete trovare i nostri contatti everywhere on the net.
Detto questo, direi che abbiamo finito.
Oh, ah. Sono un po' fissata con i romani e il loro dialetto, ma in quanto romagnola non sono madrelingua. Quindi, insomma, se trovate qualche gaffe "dialettale", potete tranquillamente segnalarcela e noi proveremo a rimediare e a migliorare in futuro. Uh, nemmeno a dirlo, eventuali orrori in romano saranno colpa mia! ahaha Ho preso un po' di lezioni da ImPeach, ma la poverina non può perdere la vita a insegnarmi il romano. Anzi, grazie, Peach, se ci stai leggendo! :D 
Okay, ora smetto. Grazie a chiunque ci abbia dato fiducia, apprezziamo un sacco ogni singola visita e "mi piace", nonché inserimento nelle liste di efp. 
Un abbraccio!
Yvaine0

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Capitolo 3
*** Giorno secondo ***



Come ti sconvolgo la vita in tre settimane -

 

2. Giorno secondo 

Lungo Porto Canale di Cesenatico, c'era un pub irlandese che tutti conoscevano, ma quasi nessuno frequentava. Questo perché la clientela era per la maggior parte dirottata verso un moderno Irish Pub dal nome accattivante in Viale Carducci, quello che trasmetteva musica a tutto volume ad ogni ora ed era luogo di incontro di tutta la gente “in” in circolazione.
Il primo, cogestito da un uomo irlandese dal nome impronunciabile e da un romagnolo doc, era comunque sempre aperto, dalle cinque del pomeriggio in poi, in estate senza alcun giorno di chiusura; non c'era serata che non portasse un buon incasso, fortunatamente per la bislacca coppia di proprietari. Tra i clienti abituali spiccava un tavolo – sempre il solito – occupato da un gruppetto di ragazze.
Rossella, formosa ed esplosiva ragazza di origini pugliesi, stava chiassosamente raccontando ad Anita e Agnese di come quel giorno avesse attaccato bottone col ragazzo dell'ombrellone accanto, dopo che uno dei due mocciosi – li chiamava proprio così – a cui faceva da baby sitter gli avevano lanciato della sabbia sul volume che stava leggendo. «Era qualcosa tipo... Calvino, boh» bofonchiò, agitando lo stuzzicadenti con cui aveva arpionato una povera patatina.
Anita osservava il boccone pericolante che, ne era certa, da un momento all'altro sarebbe finito nel piatto di una delle altre due, nel migliore dei casi – al peggio non voleva nemmeno pensare.
Agnese invece sorrise e «Chissà se era una lettura di piacere o meno» si domandò, con sommo disappunto di Rossella, a cui invece non poteva importar di meno.
«Ma chi se ne frega! Spero di trovarlo anche domani, con o senza Calvino. Quasi mi pento di non essermi messa a dieta a gennaio – maledetti i propositi per il nuovo anno! Non li porto mai a termine».
«Be', non sei l'unica» borbottò l'altra in risposta. «Avevo promesso a tutti, me compresa, che avrei smesso di fare il gioco di Davide, e invece...»
Rossella dischiuse le labbra per la sorpresa. «E invece?!»
«E invece oggi mi ha dato appuntamento davanti alla sala giochi e io ci sono andata».
«Cosa voleva?»
Anita sbuffò, contrariata. Era davvero necessario parlarne? Era stata chiaramente una pessima idea presentarsi all'appuntamento, questo ormai era ovvio, ma ad Agnese non faceva bene pensare a Davide. Era già abbastanza insicura e paranoica senza che qualcuno si mettesse a giocare con i suoi sentimenti e cercare ripetutamente di metterla in ridicolo. Avevano smesso di frequentare il solito bar per non incontrarlo, così come di passare i pomeriggi alla solita spiaggia libera e di prendere l'autobus numero 94 per andare a Cesena il mercoledì o il sabato mattina; stavano evitando tutti i luoghi in cui era facile incontrarlo, per lo meno Agnese, ma questo sembrava non essere mai abbastanza, perché Davide era ovunque.
«Prenderla per il culo, probabilmente» rispose al posto dell'altra, brusca, guardando Rossella dritto negli occhi: sapeva che l'amica avrebbe compreso e condiviso la sua rabbia. «Quel coglione non si è presentato, lei l'ha aspettato lì per niente».
Rossella si morse il pronunciato labbro inferiore con aria sinceramente dispiaciuta. «Oddio, Agne...»
La diretta interessata, dal canto proprio, sprofondò un po' di più sulla sedia. Si vergognava di aver ceduto a quello stupido capriccio di Davide; lo conosceva benissimo, sapeva che si divertiva ad umiliarla – ancora si chiedeva come avesse fatto a stare assieme ad un ragazzo così arrogante e infantile. E ogni volta, in preda alla speranza di vederlo cambiato, si lasciava fregare. Questa volta sarebbe stata l'ultima, comunque, si promise.
«Ho visto tuo fratello mentre aspettavo, Ninì» annunciò dal nulla, per cambiare argomento.
La ragazza inarcò le sopracciglia. «Chicco?» Non che avesse altri fratelli maschi, ma era strano vederlo lontano dal letto prima delle due del pomeriggio in estate.
«Sì, credo aspettasse qualcuno...» Dal tono elusivo della sua amica, Anita intuì facilmente che le stava nascondendo qualcosa.
«Fumava» indovinò.
Agnese si morse l'interno della guancia, senza guardarla e senza confermare né smentire.
A quel punto Anita rise d'incredulità. «Fumava e ti ha fatto promettere che non me l'avresti detto! Di nuovo!»
«Ross, aiutami».
Ninì sbuffò. «Quel cretino. È incorreggibile». Poi, per sfogare l'ennesima ondata di rabbia, prese in mano l'hamburger ancora intatto e lo addentò con stizza, impegnandosi per non dar voce alla lunga serie di improperi riferiti al proprio fratello che le erano appena venuti in mente.
Rossella esplose in una squillante e allegra risata delle sue. Era sempre così solare e allegra che in sua compagnia era impossibile perdere il buon umore, il più delle volte. I suoi occhioni scuri brillavano mentre, sorridente, le indicava con la patatina infilzata che non aveva ancora messo in bocca: «Sapete che siete uno spasso, ragazze?»
E le altre due risero, non sapendo bene come reagire a quel complimento. Conoscevano Rossella da un paio d'anni. Lei frequentava da ripetente l'ultimo anno di Ragioneria all'indirizzo Turistico, d'estate lavorava come baby sitter per una famiglia di suoi vicini di casa; si erano conosciute l'estate precedente al bar del bagno Girasole, dove Anita le aveva servito tre gelati e Agnese aveva chiacchierato con la bimba più piccola per qualche minuto di questo o quel cartone. Da allora tra loro tre era nata della sintonia.
«Be', insomma, si fa quel che si può!» scherzò Anita, facendole l'occhiolino, mentre si puliva la bocca dal ketchup.
In quel momento la porta di ingresso del pub si aprì e un gruppo di persone fece il proprio ingresso portando con sé un allegro e caotico vociare di voci maschili. «Agnese!» gridò subito una voce, facendo trasalire e arrossire la ragazza in questione, che alzò lo sguardo con la forchetta stretta tra le labbra e gli occhi sgranati dalla sorpresa.
Chi avrebbe mai detto che il ragazzo romano con cui avevano parlato quella mattina al bagno Girasole l'avrebbe riconosciuta in giro per Cesenatico e avrebbe trascinato i propri amici al tavolo accanto al loro, per trascorrere la serata insieme?
 
«Quindi gli ho detto: “No, no, no: io mi chiamo Elia Bracaglia, canto con i Calzini Spaiati!”»
Sebastiano stava già ridendo chiassosamente, prima che Elisabetta assottigliasse lo sguardo di ghiaccio e, dopo aver preso un sorso di birra dal boccale, commentasse: «E non solo non la trova una cosa sciatta, ma addirittura se ne vanta».
A giudicare dal sospiro del ragazzo moro – Leonardo, aveva detto di chiamarsi? -, Agnese intuì che quella battuta doveva essere ricorrente. D'altra parte, lei stessa non avrebbe saputo resistere alla tentazione di ridere sulla scelta di nome della cover band di cui Elia andava parlando da ormai venti minuti. Fu solo quando realizzò quale fosse quel nome, che la ragazza capì il perché della strana sensazione, che la tormentava dalla mattina, di aver già visto quei tizi da qualche altra parte. Si voltò quindi a guardare Anita e «Calzini Spaiati» ripeté sottovoce, sottolineando quelle parole con una tale enfasi che, l'amica ne era certa, avrebbero dovuto dirle qualcosa. Eppure non era così.
«Già» confermò quindi, facendo pesare sulla “g” la propria incomprensione.
Caso volle che Elia intercettasse quel brevissimo scambio di battute e ne comprendesse il significato in un lampo di particolare acutezza: «Agnese ci conosce!» strillò, puntandole nuovamente il dito contro, cosa che le causò un palese imbarazzo – assieme, sì, a tutti gli sguardi della compagnia romana, che ora erano puntati su di lei.
Arrossì, quindi, prima di abbassare lo sguardo sul proprio piatto e rispondere: «Sì, credo. Avete un canale su youtube, no?»
«E uno stuolo di ragazze che ci inviano email a luci rosse!» gridò entusiasta Sebastiano, scoppiando poi in una nuova risata così chiassosa, che Leonardo seduto proprio al suo fianco, strizzò gli occhi per il fastidio.
«Sì, ma le legge tutte Betta, lei è la nostra segretaria» aggiunse Elia, dando man forte all'amico; cosa che spinse il biondo a ridere ancora più forte per poi accasciarsi sul tavolo con la testa tra le braccia nel utentativo di calmarsi quel tanto che sarebbe bastato a permettergli di respirare.
Leo prese un respiro profondo e una sorsata di birra per mantenere la calma. Era stanchissimo e il solito casino di Sebastiano al momento gli dava sui nervi quasi quanto le occhiate di superiorità con cui Elisabetta esaminava le tre ragazze con cui Elia sembrava aver deciso avrebbero trascorso la serata. Non che lei non guardasse sempre tutti dall'alto in basso, ma il fatto che fosse un'abitudine non impediva a Leonardo di trovarla fastidiosa.
Elisabetta era probabilmente la ragazza più altezzosa ed egocentrica che avesse mai incontrato nella sua vita; era l'esatto opposto di Leonardo: invadente, egoista, capricciosa, irresponsabile, viziata. Avevano talmente poche cose in comune – la compagnia di amici, l'affetto per Tommaso, l'orgoglio e l'ostinazione – che l'unico modo per andare d'accordo era evitare qualunque contatto non strettamente necessario.
Lei era abituata ad essere sempre al centro dell'attenzione, per un motivo o per l'altro, e quando non lo era faceva in modo di mettercisi, riuscendo anche a far sembrare il tutto naturale – il pianeta terra, era risaputo, girava attorno ad Elisabetta Villa. Lui, invece, rimaneva in disparte a meno che qualcuno non lo introducesse a forza nelle situazioni, si tuffava a capofitto solo quando vedeva la necessità di aiutare qualcuno – Leonardo ruotava come un satellite attorno alle persone che amava, pronto a captare e risolvere ogni loro difficoltà.
Quando era stanco come quella sera non c'era niente e nessuno che potesse strapparlo al proprio malumore, si chiudeva a riccio in se stesso e, no, davvero Seba, non gli importava sapere se Elisabetta leggesse davvero la loro posta elettronica – in ogni caso lui nemmeno compariva nei video, il più delle volte, dubitava arrivassero email per lui. Si limitava a sorseggiare la birra e ad osservare l'unto sulla carta gialla nel piatto che fino a poco prima conteneva il fritto misto con cui aveva cenato, annuendo senza davvero ascoltare ogni volta che Tommaso gli diceva qualcosa dandogli di gomito.
Ad attirare la sua attenzione fu, non saprebbe ben dire quanto tempo dopo il loro arrivo, il canto della ragazza riccia, che doveva chiamarsi Rossella. Dal nulla – o meglio, su insistente invito di Elia, ma questo Leonardo non lo sapeva – si era messa a cantare una strofa di una canzone di moda al momento, portando il silenzio al tavolo, per poi scoppiare in una risata e armoniosa risata una volta finito. Leonardo era rimasto a guardarla con attenzione, le labbra dischiuse dalla sorpresa, mentre tutti gli altri commentavano e ricominciavano a parlare con lei o tra loro.
Tommaso gli assestò una fragorosa pacca tra le scapole e «Rosse', hai fatto colpo sul nostro Leo!» esclamò, mentre lui scoppiava a ridere e alzava gli occhi al soffitto, senza però avere il cuore di smentire. Sì, davvero, la voce di Rossella l'aveva colpito, ma lei non era decisamente il suo tipo.
Lei non parve molto interessata al commento di Villa, comunque: di fatti scoppiò di nuovo a ridere e «Be', dovrà mettersi in fila, perché al momento ho puntato un intellettuale in spiaggia...» mise in chiaro.
E mentre anche Leonardo rideva, posò per caso lo sguardo su un'altra delle ragazze, quella bruna, che osservava l'amica con ammirazione, per poi lasciarlo scorrere via con naturalezza, un sorriso intenerito sulle labbra. Non aveva quasi mai visto una ragazza guardarne un'altra con sincera ammirazione, senza invidia, gelosia, rancore – Elisabetta di certo non rivolgeva a nessuno sguardi simili, ma anche le sue sorelle minori avevano smesso di osservare la gente in quel modo. L'esperienza gli aveva insegnato che le donne diventavano competitive e possessive prima ancora di essersi lasciate l'infanzia alle spalle.
«Chi vuole una birra? Offro io!» la proposta di Sebastiano era indice di entusiasmo. «Voi tre non azzardatevi a protestare: è il nostro primo giorno in Riviera e bisogna festeggiare!» premise, prima ancora che una sola delle tre romagnole potesse aprir bocca.
«In questo caso» prese parola la bionda; «ci tocca accettare».
Sebastiano gonfiò il petto in segno di trionfo e le fece l'occhiolino. «Questo è parlare, Ninì!» si complimentò, sfruttando il soprannome con cui aveva sentito chiamarla la sua amica, con l'intento di farla arrossire.
E in effetti Anita arrossì, ma non distolse lo sguardo, sorridendogli invece. «Bisogna dirlo a Dalbhach, allora» proclamò senza accennare a distogliere lo sguardo.
E «Chi?» domandò Elia confuso, mentre già Agnese si alzava in piedi: «Vado io. Quante ne chiedo?»
«Otto!» esclamò prontamente Sebastiano, calcolando in fretta il numero complessivo dei presenti.
«Sette» lo corresse Leonardo, rivolgendo comunque un sorriso di ringraziamento alla ragazza, la quale “Sei” concluse mentalmente, chiamandosi fuori dall'ordinazione. «D'accordo!»
«Aspetta, ti do una mano a portarle» le comunicò Tommaso, spingendo all'indietro la sedia. Il suo sguardo divertito intimidì Agnese, che tuttavia annuì e attese che la raggiungesse, prima di avviarsi al bancone. Ad accompagnarli, oltre al silenzio tra loro, fu la chiassosa protesta di Sebastiano: «Sei un guastafeste!» sbottò infatti, mettendo teatralmente il muso a Leonardo, il quale, dal canto proprio, non sembrò affatto colpito dalla scenata; «Ah-ha» borbottò in tono accondiscendente.
Così Agnese ordinò a Dalbhach, il coproprietario irlandese, sei birre alla spina («Sette», «No, sei: io non bevo», «Uh-uh, abbiamo una brava ragazza qui!», «Ehm. Suppongo di sì»), mentre Rossella si beava ridendo della discussione a senso unico tra Sebastiano e Leonardo e allo stesso tempo della disperata richiesta di attenzioni di Elia ad Elisabetta.
«Ti prego, me lo scolli?» domandò la ragazza ad Agnese, quando lei le consegnò la sua birra.
Quella rise e scrollò le spalle; «Solo se tu riesci a scollarmi il mio ex».
«Brutta gente, gli ex. Appiccicoso?»
«Più che altro stronzo e onnipresente».
«Tipo stalker?»
Fu Anita a dare una definizione più completa: «Tipo rosicone bastardo che non si rassegna al due di picche – nemmeno se l'ha dato lui».
«Ah» si intromise Sebastiano, senza preoccuparsi di risultare fuori luogo nell'inserirsi in una conversazione tra donne: «tipo una merda sotto una scarpa col carrarmato».
Agnese, presa alla sprovvista da quella frase, scoppiò a ridere di cuore, tanto che, se Tommaso non le avesse preso dalle mani l'ultima birra giusto in tempo, lei l'avrebbe di certo lasciata cadere sul pavimento. «Grazie» sussurrò in sua direzione, mentre Anita sorrideva soddisfatta e confermava la versione di Sebastiano.
L'argomento comunque sembrava aver catturato l'attenzione di Elisabetta, che si alzò dal proprio posto per andare a sedersi sulla sedia libera al tavolo delle ragazze, precisamente di fronte ad Agnese: «Raccontami un po' di questo povero sfigato» le domandò con fare cospiratorio. E lei, più per la sorpresa che per reale volontà di aprirsi con una sconosciuta, obbedì.
 
Un paio d'ore più tardi, Elisabetta conosceva tutti i dettagli della tormentata relazione tra Agnese e Davide, Elia aveva vomitato l'anima nel bagno del pub, mentre Sebastiano stava cantando a squarciagola l'inno della Roma, dopo aver vinto la sfida a chi reggeva di più contro l'amico che stava dando di stomaco. Così, quando Dalbhach comunicò loro che era giunto il momento di chiudere, Leonardo dovette trascinare un Elia in stato pietoso fuori dal gabinetto mentre Tommaso cercava di convincere il biondo che, no, il tavolo su cui si era appena seduto non avrebbe camminato per portarlo fino alle camere che avevano affittato per la vacanza.
«Tommi,» biascicò il ragazzo in un chiassoso tentativo di sussurrare. «secondo te la biondina vuole venirci, a casa con me?»
Quando il suddetto Tommi, trattenendo una risata, guardò in direzione di Anita, la vide arrossire e sgranare gli occhi, per poi nascondere una risata divertita e imbarazzata dietro le dita sottili. «No, Castelli, questa sera credo che dovrai accontentarti di Leo come infermiere, magari la prossima volta».
Anita non disse nulla, ma l'occhiata entusiasta che rivolse ad Agnese parlò per lei e, se anche l'amica non avesse notato prima il suo interesse per Sebastiano Castelli, a quel punto ne avrebbe avuto la certezza.



Bloop's corner
Buon pomeriggio a tutti, qui è Mari che vi parla! :D 
Eccoci a distanza di dieci giorni con il secondo capitolo! Speriamo che anche questo vi piaccia e ci piacerebbe sentire i vostri pareri :)
Parto innanzitutto ringraziando Yeli_ per la prima recensione che abbiamo ricevuto! Grazie mille davvero!!
Poi ringrazio a nome mio e di Mich chi ci ha inserito tra le storie seguite, quindi grazie KissMePanda, mamihlapinatapei e _VaNe_SsA_; grazie a chi ci ha messo tra le storie ricordate, ovvero mamihlapinatapei; e infine chi ci ha messo tra le storie preferite, cioè CrazyKid, walls, Yeli_ e _laura17_. Speriamo di trovarvi ancora lì e di vedere nuove compagne di viaggio a sostenerci :)
Qui abbiamo un avvicinamento tra le nostre romagnole e i ragazzi della Capitale, come andrà a finire? Avete già idee su un probabile proseguo della storia? Non esitate a dircelo! :D Il nostro Sebastiano ha espresso il suo interesse per Anita e Agnese ha subito drizzato le orecchie: c'è aria di guai! Rimarrà della stessa idea? Qualcuno la pensa come lei? 
Insomma, stiamo scrivendo talmente tanto che siamo già a più di 50 pagine ed è solo un terzo della scaletta che ci siamo fatte per non andare a caso! Quindi non mollateci e non perdetevi le avventure di questi ragazzi chiassosi e vacanzieri! :) 
Okay, siccome mi sento come una di quelle speaker delle televendite su TeleRomagna mi vado a nascondere e torno nel mio oblio di sessione estiva! Ci sentiamo al prossimo capitolo!
Stay tuned!

Un abbraccio!
Aries

 

 

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Capitolo 4
*** Giorno terzo ***



-Come ti sconvolgo la vita in tre settimane-



3. Giorno terzo

 
«Il mio mal di testa mi dice che ieri sera ho fatto qualche epica figura di merda». Erano le dieci e venti quando Sebastiano, i capelli biondi anche più disordinati che mai, entrò al bar del bagno Girasole. Nonostante le profonde occhiaie e l'aria di uno appena sveglio, Anita non riuscì a non trovarlo esageratamente figo. Magari per via di quelle mani, o di quelle braccia, o delle spalle, o... be', persino la schiena che aveva avuto modo di sbirciare la mattina precedente non era niente male.
La ragazza ridacchiò e scese con un saltello dal mobile su cui era seduta per avvicinarsi al cliente dall'altro lato del bancone.
«Hai solo cercato di convincere il tavolo a camminare fino alla tua stanza»; e volevi portarci anche me, aggiunse mentalmente, arrossendo al solo pensiero. Non riusciva a levarsi quella frase dalla testa, anche se sapeva che in tutta probabilità si trattava solo del delirio di un ubriaco; se l'era ripetuta un'infinità di volte con la voce profonda di Sebastiano e ogni singola volta aveva avvertito le farfalle nello stomaco.
«Pesante» commentò il ragazzo con fare divertito, mentre si sedeva su uno degli sgabelli, «Ma ho fatto di peggio» aggiunse, facendole l'occhiolino.
Anita socchiuse gli occhi con fare incuriosito. «Quanto peggio?»
Sebastiano scoppiò in una fragorosa e improvvisa risata, «Non vuoi saperlo davvero».
La ragazza voleva saperlo davvero, invece, ma decise di non insistere. Fece quindi una smorfia dispiaciuta, ma si riprese subito mostrandogli un sorriso smagliante, «Cosa posso fare per te?»
«Dipende, a cosa sei disposta?»
Solo quando le sopracciglia di Anita schizzarono verso l'alto e il suo viso assunse un'espressione sconcertata, Sebastiano si rese conto di aver leggermente superato il limite. Dunque scoppiò di nuovo a ridete, alzando le mani in segno di resa e «Suonava marpione?» domandò retoricamente.
Anita soffiò una risatina e alzò gli occhi al soffitto.
«Giusto un pochino» rispose, accennando poi con la testa al suo capo, «Allora, cosa ti porto?»
Il ragazzo indugiò qualche istante, pensieroso, mentre osservava le guance arrossate e gli occhi verdi della barista, poi si decise a darle una risposta, sperando di poter salvare quel minimo di dignità che forse – ma non ne era certo – aveva conservato.
«Mi fai un espresso? E prendo un bottiglia d'acqua, grazie».
Lei stava già battendo il prezzo, quando: «Piccola?» chiese.
«Grande».
«Prendila nel frigo laggiù, intanto faccio il caffè». E mentre Sebastiano si alzava con pigra lentezza, Anita gli voltò le spalle e si morse il labbro inferiore, intenerita: okay, aveva appena tentato un abbordaggio da bettola di quarta categoria, ma era così carino con il volto tutto arrossato dall'imbarazzo! E quella risata, poteva giurarlo, era tra i suoni più belli che avesse mai udito. Avrebbe dovuto dirlo ad Agnese, sicuramente avrebbe apprezzato – anche se in tutta probabilità mai quanto lei.
Mentre con movimenti meccanici preparava il caffè, gli occhi di Anita seguivano con apparente noncuranza i passi di Sebastiano che tornavano nella propria direzione. Sostenne lo sguardo azzurro e limpido del ragazzo, finché lui non si sedette e «Quant'è?» chiese, una mano già nella tasca alla ricerca del portafogli.
«I tuoi amici sono giù in spiaggia» gli comunicò la ragazza, posizionandogli davanti piattino, tazzina, cucchiaino e «Zucchero?».
«Sì» rispose lui prontamente. «Sono scesi tutti? Chi c'è?»
Anita non dovette pensarci su molto, aveva chiara in mente l'immagine del passaggio di Elisabetta con degli shorts talmente short che se anche non li avesse messi il risultato sarebbe stato lo stesso. Rispose alla domanda, quindi, e subito ne pose una nuova: «Non va d’accordo con nessuno o sembra a me?»
Sebastiano ridacchiò, mescolando col cucchiaino il caffè in cui aveva versato una bustina di zucchero, «Decisamente no, no. Si nota così tanto?»
Anita annuì e si chinò in avanti appoggiando gli avambracci sulla superficie del bancone, «Lei è...?»
«La gemella di Tommi» la precedette lui, un sorriso sornione stampato sulle labbra. Alzò la testa per guardarla negli occhi; «Da quando si è tagliata i capelli sono praticamente identici, ecco perché lui non si rade mai. Avete lo stesso taglio» osservò poi, perdendosi nell'osservare la ragazza che gli stava di fronte, ben più vicina di quanto si aspettasse, ma meno di quanto avrebbe voluto. Lei arrossì violentemente, accorgendosi di essersi avvicinata tanto, e si allontanò di un passo, mentre lo sguardo schizzava tutto intorno alla ricerca di qualcosa da fare per levarsi d'imbarazzo.
Sebastiano abbassò di nuovo il capo e sorrise sovrappensiero al caffè ancora nella tazzina.
 
Proprio davanti al bagno Girasole, ma in una strada traversa, via Pasubio, da ormai qualche anno era stato allestito un B&B. La titolare si chiamava Monica Mazza, vantava trentasette anni e un fisico da paura, oltre che un migliore amico gay e una casa di due piani in cui, per l'appunto, al secondo affittava camere. I prezzi erano economici, la casa era carina e a due passi dal mare, l'ingresso era separato da quello dei padroni di casa e, al momento di organizzare la vacanza, a Tommaso quella sistemazione era sembrata l'opzione migliore in assoluto. Aveva capito di aver preso la decisione giusta quando Elia aveva attaccato bottone con la padrona di casa ed Elisabetta aveva cominciato a lamentarsi di “'ste romagnole con le tette di fuori, come se ce le avessero solo loro”. («Be', in questa casa l'unica ad averle è Monica, no?» aveva commentato Sebastiano in risposta, ottenendo le risate di tutti e un'occhiata gelida dalla ragazza.)
«Ho voglia di scopare». Tommaso annusò la maglietta nera che aveva indossato il giorno precedente, cercando di decidere se potesse essere usata di nuovo o meno, e alla fine decise che, sì, si poteva fare.
Leonardo, ancora disteso a pancia in sotto sul letto, allontanò la faccia dal cuscino quel tanto che bastava a commentare un disinteressato «Sai che novità» e affondarcela nuovamente.
L'altro sbuffò e si osservò distrattamente allo specchio; la barba iniziava ad essere lunga e, sì, gli faceva caldo, ma l'idea di avere la stessa identica faccia di sua sorella non lo allettava per niente. Quando almeno lei aveva i capelli lunghi, i loro lineamenti delicati fin troppo simili non lo infastidivano. Dio solo sapeva come le era venuto in mente di farsi un taglio praticamente identico al suo. Si tastò il pomo d'Adamo, sovrappensiero, prima di ripetere: «Ho voglia di scopare, Leo».
A quel punto il suo amico rise e rotolò supino. «Spero che non sia una proposta indecente, Villa, perché tra me e te non può davvero funzionare».
Tommaso fece schioccare la lingua contro il palato con disappunto. «Non ti piaccio? Che ne dici di mia sorella?»
L'altro rise brevemente. «Dico che piuttosto sto senza», poi ci pensò su e aggiunse: «Per la cronaca, come fratello fai schifo». Era risaputo che Leonardo Calicchia fosse parecchio geloso delle sue sorelle minori e all'apparenza, oltre tutto, disprezzava tutti i fratelli non altrettanto protettivi.
Tommaso sbuffò e strinse le labbra in una smorfia di sufficienza che prendeva spesso forma anche sul viso della sua gemella. «Non fare lo stronzo, sai che non lo farei mai» bofonchiò contrariato. «Almeno per rispetto ad Elia».
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo d'intesa che, senza bisogno di dire nulla di più, diede il via ad una spontanea risata chiassosa. Per quanto tra Leonardo ed Elisabetta la sintonia fosse del tutto assente, tra lui e Tommaso c'era un'intesa che nessuno dei due riusciva ad ottenere con nessun altro. Ai tempi del liceo avevano fatto le peggiori litigate, qualche volta Villa era riuscito a far perdere le staffe Leonardo tanto da arrivare alle mani – piccola vittoria di cui ancora andava vantandosi alle occasionali rimpatriate con i compagni delle superiori. Poi però qualcosa tra di loro era cambiato in meglio e ora eccoli lì, a condividere una delle tre - perché Elisabetta aveva voluto la singola –stanze di un B&B di Cesenatico, scambiandosi confidenze e ridendo assieme senza un motivo vero e proprio.
Dopo tutto era palese che Elia avesse un debole per Elisabetta e lo era altrettanto che lei si divertisse a stuzzicarlo, ma non nutrisse alcun interesse nei suoi confronti. «Fa già abbastanza la troia per conto suo, figurati se la offro a qualche altro amico».
«Che uomo magnanimo».
«Vero? Me lo dicono sempre tutti. Comunque continuo ad aver voglia di...».
«Scopare?»
«E parecchia, anche». Tommaso si tirò indietro i capelli lasciando poi che ricadessero disordinatamente sulla fronte. «Dovrei tagliarli?»
«Fa' un po' come ti pare».
«Dovrei tagliarli. Quando torniamo a Roma, però. Ehi, non siamo venuti fino a qua per vedere il mare ed evitare che Castelli e Bracaglia vadano in coma etilico, no?»
Leonardo ridacchiò e rotolò di nuovo a pancia di sotto. Il resto della compagnia era in spiaggia e Tommaso già pronto, sapeva di doversi alzare e preparare al più presto, ma era deciso a rimanere a letto il più possibile – era pur sempre in vacanza, in fin dei conti. «Davvero?»
Il suo amico scrollò le spalle, per poi inginocchiarsi a cercare le infradito che aveva scalciato sotto il letto la sera prima. «Tu sì, ti abbiamo portato solo come baby sitter» disse con un tono così serio che, se solo Leonardo non l'avesse conosciuto, ci avrebbe creduto; «ma noialtri vogliamo goderci la Riviera Romagnola».
Sapeva già quale sarebbe stata la risposta, quando domandò: «E quindi?»
«Quindi stasera si scopa!»
Poi la porta della stanza si aprì e una ragazzina dai capelli lilla e il volto cosparso di lentiggini rimase a fissarli a bocca aperta.
 
Agnese sistemò il lenzuolo sul secondo letto nella stanza doppia e osservò il proprio lavoro con aria soddisfatta. Da quando sua zia le aveva proposto una discreta paghetta per rifare i letti dei clienti nel suo B&B aveva cominciato ad impegnarsi seriamente nelle faccende domestiche ed era diventata brava – almeno finché non le si chiedeva di mettersi ai fornelli. Aveva rifatto i letti senza toccare nessuno degli effetti personali dei clienti, sostituito il rotolo di carta igienica finito con uno nuovo, rimboccato il sapone nel dosatore sul mobile del bagno e... be', sperava solo che sua sorella avesse almeno finito di sistemare la camera singola, nel frattempo. A quel punto non rimaneva loro che rifare i letti e aggiustare eventuali disastri nell'altra doppia occupata e poi andarsene in spiaggia.
Uscì quindi nel corridoio, lo attraversò fino in fondo e parlò varcando la soglia: «Alice, a che punto s-... oh».
La scena che si trovò davanti era piuttosto... bizzarra. Un ragazzo moro se ne stava inginocchiato sul pavimento, un altro – in mutande – steso su un letto, mentre Alice, immobile e con il cilindro di cartone del rotolo di carta igienica finito in una mano, li guardava sconvolta. A completare tutto ora c'era lei al suo fianco e probabilmente aveva in volto la medesima espressione spaesata. Agnese fu comunque la prima a riscuotersi da quello stato di shock e, non senza arrossire nel rendersi conto che quello con solamente i boxer altri non era che Leonardo, si scusò e trascinò fuori sua sorella, chiudendosi la porta alle spalle.
Una volta ripresasi, Alice strinse le labbra e poi, con stizza, si rivolse alla sorella maggiore: «E quelli chi diavolo sono?» sussurrò.
Agnese si strinse nelle spalle e diede la prima risposta che le passò per la testa: «Tommaso e Leonardo, dei ragazzi di Roma», poi ci ripensò: «Ma che domanda è? Sono gli ospiti della zia!»
Alice alzò un sopracciglio con fare di superiorità. «Questo l'avevo capito, ma la zia ha detto che erano già usciti tutti». L'obiezione era lecita.
La maggiore ci pensò su qualche istante, poi annuì dando voce all'unica spiegazione che le fosse venuta in mente: «Credo che l'abbia fatto apposta».
Ebbene sì, tra le qualità di cui Monica Mazza amava far mostra c'erano anche le sue due nipoti di rispettivamente quindici e vent'anni, che non aveva esitato ad indirizzare alle camera dei prestanti turisti romani che ospitava nel proprio bed and breakfast. Da quando le ragazze si erano offerte per darle una mano con le pulizie, lei continuava a cercare di far conoscere loro i clienti più carini, indirizzandole nelle stanze nei momenti meno opportuni.
«Be', sai una cosa?» sbuffò a quel punto Alice, che al contrario di Agnese aveva ben poca pazienza. «Ci va lei a fare i letti. L'ultima cosa che voglio è passare per ladra o per la cameriera di qualcuno» annunciò stizzita.
La sorella abbassò lo sguardo e si morse l'interno della guancia; non sapeva se scoppiare a ridere, darle ragione o arrabbiarsi per quell'eccessiva permalosità. Alice era una persona estremamente orgogliosa, non era stato semplice convincerla che nel rifare i letti di qualcun altro non c'era nulla di male o umiliante. Evidentemente, però, l'idea non le era entrata bene in testa. «Non fare la melodrammatica» le redarguì. Se qualcuno doveva sentirsi in imbarazzo, quella era lei: era appena entrata senza bussare nella stanza dei ragazzi con cui aveva passato la sera precedente sorprendendone uno in mutande – il che, okay, non era molto differente dal vederlo in costume, ma non riusciva a non sentirsi al disagio ripensandoci. E sarebbe stato meglio non pensarci, in effetti.
Quando la porta si riaprì e Tommaso uscì in corridoio sfoderando un sorriso sornione, le due Marchegiani stavano ancora discutendo sulla necessità di vergognarsi dell'accaduto o meno; tacquero non appena si accorsero di avere compagnia, però.
«Ehilà, 'nvedi chi c'è qua!» le salutò il ragazzo. «Io sono Tommaso Villa» si presentò, porgendo una mano ad Alice, che lo guardò con disappunto e fece un passo indietro.
«Io ho quindici anni, pedofilo».
«Cice!» sbottò la sorella, per poi rivolgere uno sguardo di scuse all'altro. Tommaso tuttavia non sembrava essersi offeso; anzi, rise allegramente e incrociò le braccia, squadrando la ragazzina con fare colpito. «Wow, fata turchina, hai un bel caratterino» commentò.
«Già», Alice fece una smorfia contrariata e «Me ne vado a casa, Toby» annunciò.
Agnese respirò a fondo, lentamente, poi annuì. «Sì, qui finisco io. Ci vediamo a pranzo?»
«Fai come ti pare» rispose lei in tono noncurante; poi se ne andò, senza degnare Tommaso di un secondo sguardo e ignorando del tutto il suo cortese saluto.
Una volta la chioma lilla della ragazzina fu sparita fuori dall'uscita di servizio, niente impedì a Tommaso di ridere forte e commentare: «Un tipetto eccentrico, eh?»
Lei si passo un mano sul viso, combattendo con l'istinto di nascondersi dietro le mani per la vergogna. Aveva ormai superato il periodo di conflittualità con sua sorella minore, ma certe volte lei ancora la metteva a disagio con la propria “nuova” personalità da adolescente alternativa e ribelle. Potevano passare i capelli lilla e il vestiario vagamente goth anche in estate, ma dubitava che sarebbe mai riuscita ad abituarsi alla sua sfrontatezza. «Decisamente. Scusala, mia sorella è un po'... prevenuta».
Il ragazzo si strinse nelle spalle e sorrise comprensivo. «Ce l'hai presente la mia, di sorella? È un gatto attaccato a... be', hai capito.»
Agnese rise di cuore, pensando che in effetti non aveva tutti i torti, ma quasi si strozzò quando Tommaso, accennando alla porta ancora chiusa domandò, strizzandole l'occhio: «Piaciuta la visuale?» E non avrebbe saputo dire se si riferisse al proprio sedere in bella vista, mentre era piegato per guardare sotto al letto, o al suo amico in mutande, ma in ogni caso lei pensò bene di arrossire e nascondere il viso tra le mani per la vergogna.
Fortunatamente non ebbe bisogno di rispondere, perché a quel punto Leonardo uscì dalla stanza del tutto rivestito, con le converse ai piedi e le mani a sistemarsi i capelli bruni che proprio non ne volevano sapere di non ricadere sui suoi occhi. Indossava gli occhiali da vista, notò Agnese, e sembrava in imbarazzo quanto lei. «Ehm, ciao» salutò. «'nnamo?» aggiunse poi in fretta, rivolto all'amico.
Tommaso annuì. «Vieni anche tu in spiaggia?» domandò ad Agnese, la quale abbozzò un sorriso e confermò, specificando che prima però avrebbe dovuto finire di sistemare le camere, com'era suo compito fare.
«E che problema c'è? Ti diamo una mano!»
 
***
 
Giunta la sera, come ogni volta che ne aveva la possibilità, Anita scese in spiaggia. Quella mattina aveva lavorato, al pomeriggio studiato, poi indossato shorts e canotta e ora, la macchina fotografica al collo, aveva finalmente tempo per dedicarsi ad alcune delle cose che più amava.
Se qualcuno le avesse chiesto cosa la spaventasse di più al mondo, lei avrebbe dato una risposta a cui non era semplice credere, trattandosi proprio di lei: il mare. Le motivazioni per cui la gente tendeva a prendere questa ammissione poco sul serio erano diverse: Anita era nata e cresciuta a Cesenatico; aveva imparato prima a nuotare e solo poi a camminare; in spiaggia aveva passato tutte le sue giornate, i suoi momenti più felici e i più tristi. Aveva dato il suo primo bacio sul molo, una notte, a qualcuno con cui non parlava più da anni ormai. Ci aveva vissuto tutti i momenti migliori e peggiori della sua adolescenza. Ed era vero, Anita amava follemente il mare e tutto ciò che lo riguardava, ma allo stesso tempo era terrorizzata da quella massa d'acqua incontrollabile e minacciosa. La turbava. Non le piaceva sapere che se solo il mare si fosse arrabbiato un pochino, nulla tutte le sue forze non sarebbero valse a nulla. La faceva sentire piccola e insignificante, indifesa, specie quando scendeva l'oscurità e l'acqua se ne impossessava, assumendo sembianze ancora più sinistre.
Questo non le impediva però di rifugiarsi in spiaggia ogni sera, al tramonto, per godersi i giochi di luce, i riflessi, i colori, la temperatura più bassa e la maggiore tranquillità. Così Anita correva, con la macchina fotografica fedelmente legata al collo, pronta a catturare un'immagine particolarmente bella o significativa. Non si definiva una fotografa, faceva fotografie e basta, per passione, senza fini secondari o vane speranze. Scattava per sé, per ricordare, riflettere e cogliere, a modo suo, quell'attimo di cui tanto parlavano tutti – se davvero era così prezioso, era giusto conservarlo.
E nel frattempo correva, Anita. Per sfogo, soprattutto, perché niente l'aiutava a sfogare tutte le frustrazioni e rilassare i nervi tesi come la corsa. Concentrarsi sul percorso, sul paesaggio, sul proprio respiro e sul battito cardiaco le svuotava la mente, quand'era necessario. La stanchezza fisica faceva impallidire quella mentale e le permetteva di crollare in un sonno ristoratore non appena riusciva a stendersi nel proprio letto. E poi le piaceva, motivazione che da sola bastava a giustificare il fatto che lo facesse.
 
«Ricordami come mi hai convinto a venire con voi» stava ansimando Sebastiano contrariato, tra uno sbuffo e l'altro, affannato. Non che non fosse un tipo sportivo, capiamoci: lui amava lo sport. Amava guardarlo, soprattutto, e di tanto in tanto non sapeva proprio di dire di no a due tiri a calcio con Tommaso. Solo che Sebastiano era e sempre sarebbe stato pigro. Iperattivo ma pigro. Bisognava che fosse davvero davvero davvero motivato perché impiegasse le sue eccessive energie in qualcosa di produttivo. Di fatto in quel momento non lo era e non avrebbe saputo spiegare il perché si fosse lasciato convincere ad andare a correre da Elia e Leonardo.
«Perché siamo i tuoi migliori amici?» azzardò il primo, che nonostante il ritmo sostenuto della corsa non sembrava affatto affaticato.
Sebastiano parve pensarci su per un istante, ma non era certo che la lealtà fraterna che lo legava agli altri due fosse abbastanza per costringerlo ad una simile... «Tortura!».
Fu Leonardo a dare una risposta più plausibile, con una frase incisiva in perfetto stile Calicchia: «Villa Uno e Due stanno litigando».
E, sì, in tutta probabilità la verità era proprio quella. Quando tra i gemelli la tensione sfociava in vero e proprio scontro era inutile cercare di placare le acque, oltre che eccessivamente stressante assistere alla scena. Era stata la forza della disperazione a spingere Sebastiano a seguire i due amici nella loro corsa sulla spiaggia. Nonostante questo, però, lui continuava a pensare di star sprecando fiato. Era inutile correre lungo la riva senza una vera motivazione né uno scopo. A cosa serviva?
Così, mentre Elia elencava possibili lati positivi a profusione – l'aria fresca, il paesaggio, il tramonto, la tranquillità, la possibilità di rimorchiare, il silenzio... –, Leonardo ancora una volta mise fine al dibattito con lapidaria freddezza: «L'idea era quella di farti stare zitto, Seba».
L'interpellato scoppiò a ridere rumorosamente, con somma esasperazione dell'amico. Da quando Sebastiano aveva adocchiato la barista del bagno Girasole, in pratica non lo si sentiva parlare d'altro. E se lui fosse stato un tipo come Leonardo non ci sarebbe stato davvero nulla di male in questo, ma si dava il caso che Sebastiano Castelli fosse logorroico quando era su di giri – in maniera positiva o negativa: in entrambi i casi non faceva che straparlare.
Quando Elia aveva espresso il desiderio di scendere in spiaggia e correre, Leonardo aveva accettato al volo, sperando così che il fiato corto potesse chiudere il becco del loro amico, ma non era stato così. Certo, ansimava e respirava affannosamente, ma questo non gli impediva di sprecare ossigeno lamentandosi della «...faticaaaa».
Se solo non fosse stato terrorizzato dall'acqua lo avrebbe volentieri affogato. «Gesù, Castelli, stai zitto!» Il suo piccolo sfogo non ottenne altro risultato se non quello di far ridere fragorosamente il suddetto Castelli, questa volta adorabilmente appoggiato dal compare Bracaglia. Degli idioti. Era circondato da idioti.
Sebastiano non avrebbe proprio saputo spiegare perché Leonardo se la prendesse tanto – cos'era tutta questa voglia di silenzio? Erano in vacanza in Riviera, insomma! Avrebbero dovuto fare casino e divertirsi, altro che correre e cercare quiete. Certe cose proprio non riusciva a concepirle.
«Hey, Seba» lo richiamò d'improvviso Elia, con quel sorriso malandrino che altro non significa che non “ne ho in mente una delle mie”. «Hai visto là, la fotografa?»
E, no, lui non l'aveva vista, ma finse il contrario, mentre ancora la cercava con lo sguardo lungo la riva non poi così deserta.
«Facciamo i fotobomber
L'inconfondibile sbuffo di Leonardo fece da sottofondo alla crescita dell'entusiasmo di Sebastiano che «Cazzo sì!» esclamò, come se non avesse mai udito idea più geniale di quella.
«Sapevo di poter contare su di te».
«Coglioni».
«Sempre, Bracaglia, sempre. Ma dov'è la tipa?»
«Laggiù. Dai, corri, prima che si sposti».
«Sto già correndo!»
«Daje!»
E je dava, Sebastiano: je dava, ma non l'aveva vista davvero, questa fotografa. Dunque fu solo sulla fiducia che seguì Elia in una corsa accelerata – e fin troppo faticosa – che li portò a calpestare proprio l'onda che la ragazza stava cercando di immortalare nella luce particolare di quel momento.
«Ma vaffanculo!» la sentirono sbottare, mentre si affrettava ad asciugare la macchina fotografica dagli schizzi d'acqua. «Non so nemmeno io quante estati ho lavorato per... oh».
La lamentela si interruppe assieme alle risate sguaiate di Sebastiano ed Elia, quando i loro sguardi si incontrarono. Così, mentre Elia riconosceva Anita e si premurava di scusarsi un numero irragionevole di volte per il brutto scherzo, l'altro era arrossito e si era paralizzato sul posto, senza sapere come comportarsi.
Che grandissima figura di merda, era l'unica cosa che riusciva a pensare. E di fatto, quando lei lo guardò sorridendo timidamente, fu questo che Sebastiano disse, facendola ridere.
«Non importa» cercò di tranquillizzarlo, senza smettere di sorridere tra sé. «È solo qualche goccia, nulla di grave». In realtà, be', aveva perso qualche anno di vita nel momento in cui l'acqua salata era – seppur in minima parte – entrata in contatto con la sua Nikon (il cielo solo sapeva quanti mesi di lavoro era costato quell'affare), ma tutto d'un tratto la faccenda non le sembrava più così grave. Arrossendo un pochino, si ritrovò ad ammettere che la mortificazione di Sebastiano in quel momento era una delle cose più tenere che avesse mai visto – come avrebbe potuto non perdonarlo?
Seguirono troppi secondi di silenzio, durante i quali Anita e Sebastiano si guardarono sorridendo timidamente ed Elia trattenne le risate alla vista di quel quadretto da commedia romantica, salvo poi interrompere il momento con un «Vado a cercare Calicchia, non si sa mai che sia morto di paura in riva al mare solo soletto...».
 
Vista da lontano la scena era ancora più tragicomica che da vicino, secondo Leonardo. Ci mancava solo incontrare la biondina del bar. Non che non gli stesse simpatica, precisiamolo: al contrario, sembrava un ragazza a posto, anche piuttosto carina, ma che Sebastiano si prendesse una sbandata per una ragazza che dopo tre settimane non avrebbe probabilmente mai più rivisto era davvero l'ultima cosa di cui avevano bisogno. Un po' perché, con gli ormoni a mille, Castelli avrebbe monopolizzato la vacanza in funzione del suo flirt, rincitrullendoli di chiacchiere su quanto quell'Anita fosse fantastica, e poi, oltre tutto, una volta tornati a Roma non avrebbe fatto altro che lamentarsi della sua mancanza. Per di più non sarebbe stata tutta scena: ci avrebbe sofferto davvero, perché Sebastiano era proprio quel tipo di ragazzo.
«Tu lo sapevi che era lei?» gli domandò un ridacchiante Elia, raggiungendolo. Leo pensò per un attimo di chiedergli per quale stupidissimo motivo avesse deciso di lasciarli soli, nonostante le sue rinomatissime abilità da terzo incomodo più fastidioso che infastidito; ma non lo fece. Ormai il danno era fatto, no?
«Certo che no»; in quel caso avrebbe cambiato strada, anche se sarebbe servito a poco.
 
«Scendi spesso in spiaggia a fare jogging?» chiese Sebastiano; stavano correndo di nuovo, questa volta l'uno accanto all'altra.
Anita procedeva con passo un po' più lento dei ragazzi, fortunatamente, ma se anche così non fosse stato, tutto d'un tratto Seba si sentiva molto più motivato “a sprecare fiato con quella tortura”. Una tortura non più così spiacevole.
Anita sorrise, sforzandosi di guardare avanti a sé; lo sguardo azzurro del ragazzo continuava a cercare il suo ed era solo per imbarazzo che cercava di fuggirlo. Imbarazzo, ma anche orgoglio: non poteva essere così sciocca da prendersi una sbandata per un cliente che sarebbe tornato a casa nel giro di poche settimane. Si sarebbe fatta del male da sola.
Anche se... avrebbe mentito dicendo che il palese interesse di Sebastiano nei suoi confronti non la lusingasse nemmeno un pochino. La lusingava parecchio, specie vista la reciprocità del sentimento. «Sì, ogni sera. Mi rilassa, è un buon modo per staccare la spina a fine giornata. Tu?»
«Hai ragione. Anche... anche io adoro correre. Io e i ragazzi lo facciamo continuamente. È forse l'unica cosa al mondo di cui non potrei mai--» si interruppe, trovandosi a corto d'aria. Siccome il karma non si dimentica mai dei bravi ragazzi in cerca di attenzioni, fu costretto a fermarsi e a piegarsi su se stesso, in preda ad un attacco di tosse.
Se in un primo momento Anita si preoccupò di quel piccolo scompenso, quando Sebastiano si raddrizzò e la guardò con aria dispiaciuta e vergognosa, non poté che scoppiare a ridere di cuore.
«Non è vero, sono un cazzone» ammise, il respiro ancora accelerato. «Non lo faccio mai. Ma per te inizierei» ammise in tono scherzoso, ma non senza farle l'occhiolino.
A quelle parole lei non fece che ridere più forte, fu incapace però di non arrossire. Era una situazione davvero fuori dal comune, almeno per una come lei. Probabilmente non le era mai successo che un ragazzo le facesse così palesemente il filo e non sapeva con esattezza come avrebbe dovuto comportarsi. Continuava a ridere, guardandolo, mentre lui ridacchiava a ricambiava con lo sguardo acceso di soddisfazione: sembrava che non desiderasse altro che farla divertire.
Quasi automaticamente, mentre ascoltava il proprio cuore battere forte e le farfalle – maledette – agitarsi nel suo stomaco, Anita compì un'azione che normalmente riservava alle persone che più amava: alzò la macchina fotografica e gli scattò una foto a tradimento, prima che lui potesse rendersene conto.
«Hey!» protestò lui, coprendosi con le mani gli occhi feriti dal flash; «vuoi accecarmi?» la accusò, ridacchiando.
In tutta risposta lei ne scattò un'altra e poi un'altra ancora; forse era sciocco da parte sua, ma non aveva intenzione di dimenticarsi di lui tanto presto. Sì, era uno sconosciuto e, sì, era probabile che nel giro di un mese lui non avrebbe più nemmeno ricordato il nome di Anita, ma era sicura che in lui ci fosse qualcosa di speciale, che valeva la pena di essere conservato nella memoria. Magari lei non era altrettanto speciale, ma al momento non le importava: Sebastiano era uno di quegli attimi che andavano colti.
 
«È carinissimo, Agne.»
«Non così tanto. Ha quella forte sporgente che... nah
«Non è vero!»
«E poi è biondo».
«E allora? Anche io sono bionda».
«Ha gli occhi azzurri».
«L'hai osservato bene, eh?»
«Per forza, Ninì, mi hai mostrato le foto così tante volte a cena che...»
Anita ridacchiò, rotolando a pancia in giù sul letto.
«È carino» ripeté con un tono sognante che ad Agnese piacque poco. Aveva sempre nutrito un certo spirito di protezione nei confronti della migliore amica, il che comprendeva anche una puntuale diffidenza (mista a gelosia, forse) nei confronti delle sue nuove fiamme. Sebastiano Castelli non sarebbe stato esente da quel trattamento.
«Ninì...»
«Sì?»
«Vacci piano».
«Non vado proprio da nessuna parte, sto solo dicendo che è carino. Non ho intenzione di farci cose né di innamorarmi o di sposarlo o...»
Magari lei, ma lui? Non si conoscevano nemmeno, Agnese proprio non riusciva a fidarsi di uno sconosciuto, per quanto sembrasse simpatico. Si morse la lingua per non essere troppo pessimista. Anita meritava un ragazzo a posto, uno che le volesse bene davvero e non che si prendesse gioco di lei. Forse si lasciava troppo condizionare dalle proprie esperienze, ma Agnese non voleva che anche la sua amica avesse un Davide – uno solo era abbastanza per tutta Cesenatico e dintorni. «Lo so, lo so. Dico solo che non mi convince» cercò così di ammortizzare il proprio brutto presentimento.
«Ti piacerebbe, se solo cercassi di conoscerlo. È simpatico e non fa che imitare i suoi amici».
«Uh, un imitatore». Anita aveva toccato il tasto giusto: Agnese provava una naturale simpatia verso chiunque potesse capire la sua ossessione per gli accenti e i dialetti – e chi avrebbe potuto meglio di un imitatore? Ma no, no, si disse; doveva mantenere la propria posizione. «Lo terrò d'occhio».
«Che paranoica che sei».
«Ma sta' zitta».
Anita rise di cuore, amava passare il tempo così, a chiacchierare con Agnese e raccontarsi tutto quello che passava per la testa. Purtroppo per Agnese, però, l'unica cosa che passava per la testa di Anita era Sebastiano Castelli e lei non riusciva a non pensare a cosa sarebbe successo una volta che lui fosse ripartito. Sospirò e semplicemente sorrise, perché non riusciva a non trovarla carina in quelle condizioni, mentre straparlava sdraiata sul letto e continuava a raccontarle la stessa cosa; ormai sapeva a memoria le battute che Sebastiano le aveva rivolto in spiaggia ed era inutile implorarla di smettere, perché lei si sarebbe imbronciata, sarebbe rimasta in silenzio qualche minuto e poi avrebbe ripreso a macchinetta.
Agnese non riusciva ad impedirsi di pensare alle mille eventualità che avrebbero potuto verificarsi - se la faccenda si fosse complicata? E se Anita di fosse lasciata coinvolgere troppo? E se il giorno dopo Sebastiano non le avesse nemmeno rivolto un'occhiata? E se, ancora, invece avessero iniziato a piacersi davvero? Come sarebbe andata a finire? Più si diceva di non essere pessimista e meno riusciva a farlo. Sembrava che le cose proprio non potessero andare bene, per quanto si impegnasse a vedere la faccenda da angolazioni diverse. La parte più frustrante era non sapere come si sarebbe evoluto il tutto.
Sospirò mentre la sua amica ancora ridacchiava e raccontava. Avrebbe voluto essere capace di prenderla così serenamente anche lei.
«Agne, ma mi stai ascoltando?» chiese Anita, mettendosi a sedere a gambe incrociate sul materasso, l'espressione corrucciata dipinta in viso e gli occhi curiosi che scrutavano l'amica. Agnese era così, quando partiva a pensare si chiudeva in una bolla e non c'era più per nessuno. Schioccò le dita davanti agli occhi della giovane e ridacchiò quando quella la guardò spaesata.
«Cosa? Che?» domandò, per poi intuire da sola cosa stesse succedendo: «Sì, certo. Sebastiano è carinissimo – Tirò ad indovinare. – Anche se ha quella fronte...»
Anita si imbronciò e promise di chiudere il becco.
«E Leonardo?»
«Quello che non parla?» La ragazza sbatté le palpebre qualche volta, per prendere tempo. Non che non fosse chiara l'insinuazione della sua amica, stava solo cercando di eluderla. «È sicuramente più bello di Sebastiano.» Nemmeno poco.
E fu a quel punto che Anita esplose in una risata gioiosa, sincera, alla quale subito si unì Agnese.
«A me piace, fronte sporgente o no! È carino».
Agnese la guardò scettica e fece schioccare la lingua contro il palato, trattenendosi dal ribadire quanto fosse buffo quel ragazzo, tanto Anita non l'avrebbe minimamente ascoltata. «Domani non lavori, Ninì?» cambiò argomento.
«Inizio più tardi e faccio la serata, abbiamo dei clienti che ci hanno chiesto di organizzare una cena...» sbuffò, come a dimostrare che avrebbe preferito iniziare la mattina e finire nel pomeriggio, per poi uscire con Agnese.
L'altra si imbronciò. «Quindi niente cappuccino del buongiorno?» E niente studio in spiaggia, indovinò. «Questo non ti basterà a liberarti di me, lo sai, sì?»
 


Bloop's corner:
Buonasera! Qui è Mich, che si è appena svegliata (in pratica, in teoria è in piedi dalle dieci, ma il cervello si è svegliato solo ora). Se qualcuno ci stava aspettando, chiedo scusa per il ritardo in cui aggiorniamo: il tempo scorre più svelto del previsto e non ci eravamo accorte che ne fosse passato così tanto. Senza contare che finalmente eravamo un po' in vacanza, quindi... va bbbbene.
Chi aveva predetto che i ragazzi e le ragazze si sarebbero incontrate più spesso aveva, ovviamente, ragione: rieccoli qua. Si stanno incontrando più o meno ovunque. xD
Honestly, non ho molto da dire. Ringrazio di cuore chi ha dato e darà fiducia alla nostra storia, che speriamo di aggiornare un po' più di frequente, visto che la stesura sta procedendo bene. I prossimi capitoli, vi avviso, saranno più lunghi - almeno secondo i miei calcoli. Grazie, dicevo, a tutti quelli che ci hanno dato e ci daranno fiducia, sperando che qualcuno ce ne dia. Grazie in particolare a Yeli_, per le sue recensioni. <3
Be', vi auguro una buona serata e un buon proseguimento di vacanza! 

Mich

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Capitolo 5
*** Giorno quarto ***



-Come ti sconvolgo la vita in tre settimane-



4. Giorno quarto
 

 

Leonardo sbuffò, rientrando nella camera che divideva con Tommaso. Fuggire in spiaggia per evitare di assistere al litigio tra i gemelli Villa non era stato sufficiente a fuggirne anche le conseguenze. Le discussioni sembravano essere senza fine. Non importava che avessero smesso di gridare, perché, una più vendicativa e orgogliosa dell'altro, le frecciatine avrebbero continuato a fare da accompagnamento alla loro esistenza finché uno dei due non avesse deciso di metterci una pietra sopra. E con qualcuno si intendeva Tommaso.
«Avrei dovuto lasciarla a casa» commentò il ragazzo in quel momento, il viso affondato nel cuscino del suo letto. Era mattina, ma sentiva ancora il nervosismo della sera prima pulsargli nelle tempie.
«Che è successo questa volta?» domandò l'altro, nonostante non volesse davvero saperlo.
«Le ho solo chiesto di non troieggiare troppo con Elia».
Leonardo alzò gli occhi al cielo e ridacchiò. «Le chiedi troppo».
«Ehi!» protestò l'altro, offeso. Si parlava pur sempre di sua sorella.
«Avanti Tommi, conosci sia lei che lui e sai benissimo che non sono capaci di non essere... eccentrici» spiegò Leonardo, entrando nel bagno della camera per darsi una rinfrescata.
«È mio dovere proteggere mia sorella!» continuò il primo, sollevando di scatto la testa e fissando la porta ormai chiusa.
«Fossi in te mi preoccuperei per lui!» replicò l'altro, a voce abbastanza alta da essere udito. Che Elia Bracaglia fosse un ragazzo d'oro, nessuno l'aveva mai messo dubbio, e che fosse perdutamente innamorato di Elisabetta era altrettanto palese. Tra i due era lei la più pericolosa: era solita rifiutare tutte le sue attenzioni con superiorità e freddezza, salvo poi lasciarsi andare di tanto in tanto, magari con l'aiuto di un bicchiere di troppo. Il problema poi era il ritorno alla realtà, soprattutto per Elia.
La risata sprezzante di Tommaso avrebbe fatto rabbrividire chiunque, ma Leonardo semplicemente ridacchiò a propria volta e si infilò sotto la doccia. Chiuse gli occhi e lasciò che la sua mente lo portasse dove voleva; passava tre quarti della giornata a sentire Sebastiano straparlare di Anita, di quanto fosse carina, simpatica, di quante passioni avesse scoperto avere in comune con lei e bla bla bla. Il restante tempo lo trascorreva a dormire e pensare. Pensava sempre troppo, Leonardo, e non agiva mai, per questo Tommaso ed Elia avevano più esperienza con le donne, mentre lui ancora cercava quella ragazza che gli facesse perdere le parole e i pensieri.
Aveva anche trovato qualcuna che avrebbe potuto giungere a questo traguardo: Agnese. Per lei la vita sembrava essere fatta per divertirsi, ma con giudizio; per quel che aveva notato era intelligente e seguiva Anita come un cagnolino, non tanto perché quello era il suo ruolo nella coppia di amici, ma per evitare che la sua amica combinasse guai. Sembrava una tipa a posto, quella Agnese e chissà, magari avrebbero avuto tempo per conoscersi meglio in quelle tre settimane di vacanza a Cesenatico. In ogni caso non poteva parlarne con Tommaso o l'avrebbe sfottuto fino al loro ritorno a Roma, Elia aveva già le sue pene d'amore da sopportare e Sebastiano era partito per la tangente e non sarebbe stato facile recuperarlo; dunque teneva il tutto per sé.
 
Nella stanza doppia dall'altro lato del corridoio, nel frattempo, Elia stava ridendo con le lacrime agli occhi dello sconvolgimento di Sebastiano. Nonostante non fossero nemmeno le dieci, era già uscito e rientrato, portando con sé un'imitazione perfetta di quel Michele, che aveva trovato dietro al bancone del bagno Girasole al posto di Anita.
«Non possho dirtelo, quando ha il turno, shtalker» ripeté per la quinta volta, con in volto una smorfia contrariata, esagerando il marcato accento romagnolo del barista. «Manco je avessi chiesto 'na ciocca de capelli e l'indirizzo de casa».
«Non prendertela, Castelli», rise ancora, «Puoi aspettarla sul marciapiede, così quando arriva ti trova con un'insolazione e disidratato e non può non prestarti soccorso!»
Sebastiano rise forte, stendendosi a pancia in su tra le lenzuola. Si era svegliato presto nella speranza di aspettare il resto della compagnia al bar con Anita, ma il suo piano era saltato. Avrebbe dovuto chiederle i suoi orari. Oppure direttamente di uscire insieme. Anche se forse in quel caso lei lo avrebbe preso davvero per uno "shtalker". Ridacchiò di nuovo. In ogni caso, l'idea del suo amico non sembrava così male, insolazione a parte: «La aspetto al bar!»
Elia interruppe la risata che aveva accompagnato la sua folle proposta e lo fissò con gli occhi sbarrati.
«Io non parlavo sul serio! Non vorrai renderti ridicolo così?!»
Non poteva averlo preso sul serio, dai! Era impensabile che fosse già così ossessionato da quella ragazza. Non era nemmeno questa gran bellezza – Elisabetta era molto più bella, ovviamente.
Sebastiano aggrottò le sopracciglia e si tirò su, puntellandosi sui gomiti, per vedere meglio l'amico. «Ridicolo?» Cosa c'era di ridicolo nell'aspettare una ragazza al bar?
Elia roteò gli occhi e sbuffò. «La conosci da quanto... due giorni? Ti prenderà per un morto di...per un patetico ragazzo in astinenza!»
Da quando si preoccupava di quello che potevano pensare le ragazze mentre ricevevano un flirt? Non gliene era mai importato un fico secco, lui ci provava e basta, chi se ne importava dei loro pensieri? Per di più la figuraccia l’avrebbe fatta Sebastiano, non lui, quindi la cosa sarebbe dovuta importargli ancora di meno.
L'altro si grattò la testa, confuso. Non era un morto di figa. Forse in astinenza da un po', ma questo non c'entrava.
«Quindi... non la aspetto al bar?» chiese conferma, ancora un po' perplesso. Non capiva cosa ci fosse di sbagliato: voleva vederla. Non aveva il suo numero né altro modo per contattarla. Conosceva solo il suo nome e il luogo di lavoro.
Oh! «Bracaglia, dammi il telefono!» sbottò all'improvviso, mentre un sorriso entusiasta gli si allargava sul viso.
«Cosa vorresti fare?» farfugliò quello, passandogli tuttavia il suo smartphone. Che intenzioni aveva quel folle ossessionato dalla ragazza del bar?
«Daje!» protestò lui; a cosa doveva quest'improvvisa mancanza di fiducia? Dopo aver sbuffato sonoramente, si alzò dal letto per recuperare il proprio cellulare dal comò e tornò a sedersi, digitando freneticamente. Aprì l'applicazione di Facebook e fece un primo tentativo di ricerca: "Anita Cesenatico", ma nessuno sembrava la ragazza giusta. Poi toccò ad "Anita Bagno Girasole", che si tramutò in un secondo buco nell'acqua.
«Cercala con il filtro dell'università. Quanta gente vuoi che si chiami Anita?» suggerì Elia, andando a sedersi vicino a Sebastiano e osservando i vari risultati che comparivano sullo schermo. «Comunque tu stai male, Castelli».
Sebastiano rise compiaciuto: era sicuro che la curiosità del suo amico alla fine avrebbe avuto la meglio sulla falsa diffidenza.
«Sì, ma quale università?" domandò. Poi cambiò idea e tentò un diverso approccio: "Bagno Girasole Cesenatico". Ed eccola, la facciata familiare del loro bagno, con i proprietari in posa all'entrata davanti alla parete verniciata di giallo canarino. Con un po' di fortuna tra le foto avrebbe trovato anche Anita.
Elia dovette ammettere che quella di Sebastiano era stata una bella idea, anche se ancora non sapeva dove andasse a finire. «Una volta che l'hai trovata cosa fai? L'aggiungi, le chiedi il numero e la inviti ad uscire?»
Il ragazzo rise. «Perché no?» Continuava a scorrere le foto, alla ricerca del viso di Anita o del suo nome – doveva avere facebook, tutti avevano un profilo facebook!
Elia storse il naso e posò una mano sulla spalla del suo amico. «Seriamente, Castelli. È quasi meglio se l'aspetti al bar e le chiedi il numero, piuttosto che chiederglielo in chat», sospirò e si alzò dal letto con l'intenzione di indossare il costume e scendere in spiaggia.
«Trovata! » L'esclamazione entusiasta di Sebastiano attirò l'attenzione dell'altro, che non riuscì a non ridere della sua espressione entusiasta. «L'hanno taggata in una foto!»
Tutto d'un tratto però non era più così convinto di volerla aggiungere agli amici; Elia gli aveva messo la pulce nell'orecchio. Non voleva passare per marpione e tanto meno per stalker, ma voleva anche vederla di nuovo. Alzò lo sguardo sull'amico, spaesato: "Che faccio?"
Elia non sapeva se avrebbe retto ad un altro di quei frenetici cambi di idea e non sapeva se urlare, ridere, menarlo o portare pazienza. Stava per dirgli di fare come credeva, poi gli venne un'idea.
«Io ho voglia di andare a nuotare, vieni con me?»
Se Castelli avesse accettato, probabilmente avrebbe avuto l'occasione di incontrare Anita senza per forza aspettarla sul luogo di lavoro e così le avrebbe potuto chiedere il numero o più semplicemente le avrebbe potuto proporre di aggiungersi su Facebook. Era un'idea di cui andava particolarmente fiero, ma non era sicuro che anche Sebastiano la capisse.
Come da copione, l'altro non colse la sua intenzione; anzi, lo guardò male e sbuffò. «Ma che ci parlo a fare con te?» domandò retorico, per poi alzarsi in piedi e ciondolare fino alla porta. «Leeeeeoooo!» gridò cantilenante, avviandosi verso la camera del migliore amico: lui di sicuro avrebbe saputo come comportarsi. Di certo non si aspettava di essere accolto da un «Vaffanculo, pure tu» di Tommaso, una volta entrato nell'altra doppia; scoppiò a ridere.
Elia non voleva crederci, non poteva non aver capito il suo ragionamento – non faceva una piega! Sbuffò e lo seguì nella stanza di fronte, entrando proclamò a gran voce: «Andiamo in spiaggia! Seba è in ansia perché stamattina non ha visto la sua Giulietta», rise forte, guadagnandosi un pugno sul petto da parte di Sebastiano e un'occhiata torva di Tommaso.
Quest'ultimo ci pensò su solo un istante, poi si alzò in piedi con un sospiro. «Ci sto. Convincete voi Narciso ad uscire dal bagno?» rispose, piegandosi per cercare il costume tra i vestiti ammassati sulla valigia.
«Leo, esci di lì, ho bisogno di un consiglio!» si lagnò Sebastiano, cominciando a battere la mano aperta sul legno della porta, continuando anche quando la porta venne sostituita dal petto di Leonardo.
«Che cazzo fai?» protestò questo a quel punto, balzando indietro per evitare i colpi.
«Finalmente!» dissero in coro Tommaso e Sebastiano, ognuno di loro per un motivo diverso.
Il primo, senza farsi problemi, non lasciò all'altro il tempo di parlare: «Vestiti, andiamo in spiaggia» proclamò e, quando Elia accennò ad andare a chiamare sua sorella, glielo vietò categoricamente.
Sebastiano ignorò del tutto lo scambio di battute fra i suoi amici e si concentrò sul proprio problema: «Ho trovato Anita su Facebook. Che faccio, l'aggiungo?»
Leonardo ci mise qualche secondo a capire di cosa stesse parlando il suo amico, poi quando collegò tutte le informazioni lo guardò con espressione paterna.
«Seba, tanto stiamo scendendo in spiaggia! Aggiungila stasera, dopo esserti guardato tutte le sue foto», ridacchiò e superò il ragazzo, che l'aveva fissato per tutta la durata della sua risposta.
A Sebastiano bastò un attimo perché un sorriso compiaciuto si allargasse sul suo volto. «Questa sì che è un'idea! Prendi appunti, Bracaglia» esclamò, rivolto al compagno di stanza. Questi si limitò a lanciare un'occhiata incredula al migliore amico, che dal canto proprio non si era nemmeno degnato di prestare attenzione alla conversazione.
«Quindi si va!» decretò, anzi.
 
Il sole picchiava già duro, ma nonostante il caldo la spiaggia era piena zeppa di turisti e vacanzieri. Sebastiano non si premurò nemmeno di sembrare discreto, ma si affacciò direttamente nel bar del Bagno Girasole, sperando con tutto se stesso di vedere Anita. Elia passò alle sue spalle e gli diede un coppetto, prima di percorrere la passerella fino al loro ombrellone.
Purtroppo al posto della biondina trovò di nuovo Michele e decise che non fosse il caso di chiedergli di nuovo dei turni di Anita. Sbuffò, quindi, e seguì gli altri verso la riva, convinto di occupare il tempo in attesa di vederla: magari sarebbe arrivata più tardi.
Un pizzico di delusione gli premeva sullo stomaco, mentre si trascinava fino all'ombrellone; si sentì uno sciocco, ma aveva davvero sperato di trovarla quella volta. Non gli rimaneva che aspettare, magari approfittando dell'ombra fornita dal parasole del lettino per sbirciare le foto di quella che ora sapeva chiamarsi "Anita Paraboschi". Era dunque tutto impegnato nell'osservazione delle foto, quando qualcosa lo colpì rumorosamente - e dolorosamente - sulla schiena, facendo imprecare Elia per lo spavento.
«Facciamo due tiri?»
Di altri non si trattava che di Tommaso, col suo fidato pallone di cuoio.
«Ahia» fu la scocciata risposta di Sebastiano.
 
Quando i turisti, le zanzare e il caldo infestavano Cesenatico, non esisteva posto migliore del terrazzino sul tetto del bagno Girasole per studiare: lì non mancavano mai ombra e vento fresco, anche se non molti dei clienti sembravano essersene accorti.
Quando Anita era troppo impegnata e lei troppo ansiosa per stare in compagnia, Agnese si rifugiava sempre lassù per leggere o studiare. Il cappuccino del buongiorno le era stato servito da Michele quella mattina e ora la tazza giaceva mezza vuota sul tavolo ingombro di penne, libri e fogli scarabocchiati.
Era tutto così tranquillo, che l'imminente arrivo di una distrazione era quasi scontato.
Elia chiamò Tommaso perché gli passasse la palla, mentre sia Leonardo che Sebastiano partecipavano al gioco passivamente, aspettando che la palla gli finisse sui piedi per decidersi a colpirla debolmente e restituirla al mittente.
«Che spezzoni che siete» protestò Elia, accasciandosi all'ombra per ristorarsi qualche minuto. Avevano fregato il campo da beach volley a quei fanatici romagnoli che sembravano frequentare il bagno solo per vivere dentro quel recinto di rete e non avevano alcuna intenzione di lasciarglielo prima dell'ora di pranzo. Sebastiano lanciò l'ennesima occhiata al bancone del bar, dove quel Michele preparava un cocktail per un cliente e si trovò a pensare che se l'avesse fatto Anita, probabilmente sarebbe stato ancora più buono di quello del barista che non gli aveva fornito informazioni sulla collega.
 
Sconveniente. Che quei ragazzi romani avessero deciso di occupare proprio il campo da beach volley era estremamente sconveniente. Almeno per lei. Un po' perché da lassù continuava a sentirli parlare – e tutti sapevano quanto le piacesse l'accento romano–, un po' perché proprio non riusciva a non incantarsi a guardarli, non vista. Avrebbe voluto poter dire che stava tenendo d'occhio quel Sebastiano per capire se fosse il caso di fidarsi di lui, ma la verità era che il suo sguardo raramente cadeva sulla sua figura. Non poteva dire lo stesso per gli altri, in particolare di quel Leonardo.
«Ammiri il panorama?»
Arrossì come una bambina beccata con le mani nella marmellata, quando qualcuno si sedette accanto a lei, senza preoccuparsi di chiedere il permesso: Elisabetta.
Agnese distolse immediatamente lo sguardo dal campo e prima lo posò sui suoi libri, poi lo spostò sulla ragazza. «In realtà stavo facendo dei riti voodoo; stanno parlando a voce troppo alta e non riesco a concentrarmi» si giustificò con un filo di voce, ordinando al suo organismo di ritirare subito quello stupido rossore dalle guance.
«Quindi vorresti dirmi che non stavi fissando la schiena di Leo o le spalle larghe di Elia o il sedere di mio fratello o le braccia di Castelli...» insinuò l'altra, squadrandola dalla testa ai piedi. C'era qualcosa in quella Agnese che le ispirava fiducia, ma non era mai stata brava nei rapporti d'amicizia con le ragazze; era sempre stata una componente del gruppo di Tommaso, circondata da ragazzi che le facevano o meno il filo.
Agnese sospirò; ormai l'aveva beccata in pieno, che senso aveva nascondersi dietro delle bugie?
«Niente spalle o fondoschiena» ammise; «Voglio capire che tipo è quel Sebastiano. Non voglio che faccia soffrire Ninì».
Elisabetta rise sguaiatamente e Agnese alzò gli occhi al cielo, salvo poi controllare che nessuno si fosse accorto di lei e della sua posizione strategica.
«Sebastiano non sa fare del male ad una mosca. Ma se lo vedo versare anche solo una lacrima per la tua amica, sappi che le farò rimpiangere di essere nata».
Agnese sgranò gli occhi e deglutì lentamente: quella ragazza la spaventava un pochino, ad essere sinceri.
«Lo stesso vale per Anita» trovò comunque il coraggio di ribattere.
«Castelli è un ragazzo a posto, forse eccessivamente insicuro e con una risata che si sente ad un chilometro di distanza, ma è un tipo okay» spiegò Elisabetta, tornando a guardare il campo da beach volley, dove ora Elia stava facendo lo scemo per attirare l'attenzione di una ragazza che camminava lungo la passerella. Non sapeva se ridere per il fatto che lei non lo guardasse nemmeno oppure essere scocciata dal suo enorme ego e voglia di...
«Dev'essere arrivata la tua amica» mormorò, distogliendo lo sguardo dai ragazzi e tornando a guardare Agnese.
«Come fai a dirlo?» chiese stupita.
Elisabetta roteò gli occhi e schioccò la lingua, indicando con un cenno del capo i ragazzi. «Castelli è sparito da almeno dieci minuti».
Agnese scattò in piedi. «Allora vado a salutarla prima che lui le mandi in pappa il cervello» annunciò con eccessiva irruenza, facendo ridere forte l'altra ragazza.
Corse al bancone e si appoggiò al ripiano molleggiando sulle caviglie, mentre teneva d'occhio il ragazzo biondo dallo specchio dietro la macchinetta del caffè.
«Agne!» la salutò Anita, mentre prendeva posto e cominciava a pulire il piano di lavoro; «Michele ti ha portato il cappuccino del buongiorno? Vuoi qualcosa di fresco per la merenda?» le domandò con tono rilassato. Le piaceva lavorare, stare a contatto con la gente ed inventarsi nuovi drink per occupare i tempi morti.
L'altra annuì con vigore e lei sorrise raggiante. «Ottimo, posso farti sentire l'ultimo aperitivo che ho inventato».
Agnese non andava pazza per l'alcol, nemmeno lo reggeva, ma non sapeva dire di no a Ninì e alla sua voglia di coinvolgerla in tutto quello che faceva.
«Okay, d'accordo...» le concesse con poca convinzione, occupando poi uno sgabello; appoggiò il mento sulle braccia e si fermò a guardare la biondina armeggiare con bicchieri e bottiglie.
«Sono già qui i ragazzi di Roma?» domandò Anita a bassa voce, tagliando una fettina di fragola.
«Sì, Michele ha detto che il tuo principe è venuto a cercarti anche stamattina alle nove. Sono arrivati tutti insieme verso le undici ed è ormai mezz’ora che fanno casino nel campo da beach e disturbano il mio studio» disse con finta stizza.
Anita rise forte e versò un liquido dal colore rosso acceso, per poi appoggiare un sottobicchiere sul bancone e posizionarci sopra il calice.
«Stai studiando sul terrazzino?» domandò la barista, senza riuscire ad evitare di lanciare uno sguardo verso il campo. Con grande delusione vide solo due dei quattro ragazzi, che per giunta stavano tornando verso l'ombrellone. Tornò a dedicarsi al suo lavoro e guardò con aspettativa Agnese, che invece fissava con diffidenza il liquido nel bicchiere.
«Che problema c'è? Hai visto mentre lo preparavo e sai cosa c'è dentro, Agne» la spronò, appoggiando entrambe le mani sul bordo del lavello.
«È che ha un colore così strano, sembra finto» confessò, prendendo con diffidenza il bicchiere e portandoselo alle labbra.
«Fidati, è buono» incalzò Anita, aprendo di più gli occhi e seguendo ogni più piccolo movimento dell'amica. Possibile che ci mettesse così tanto a bere quella cavolo di bibita?
Mentre Agnese si convinceva a bagnarsi le labbra col liquido, un cliente attirò l'attenzione di Anita, che subito scattò e preparò il caffè da lui ordinato.
Quando tornò a guardarla, Agnese era rossa in volto e tossicchiava con gli occhi lucidi. «Buono» decretò rapidamente, allontanando poi alla svelta il bicchiere.
Anita sbuffò e fu sul punto di rovesciare tutto nel lavandino, poi però qualcuno fece il suo ingresso al bar.
Sebastiano teneva la testa bassa e camminava verso il bancone senza nemmeno guardare dove andava, prese posto su uno sgabello e solo a quel punto alzò gli occhi, aspettandosi di vedere quel Michele. Nemmeno a dirlo fu una sorpresa quando, invece, si trovò davanti proprio la ragazza.
«Ehi, buongiorno!» salutò con rinnovato entusiasmo, poggiando gli avambracci sulla superficie del bancone; «Cos'hai per me oggi, biondina?» aggiunse, strizzandole l'occhio.
Elia si esibì in una plateale smorfia disgustata che, rispecchiando alla perfezione il pensiero di Agnese, la fece ridere, con sua somma soddisfazione.
Anita arrossì e guardò l'amica ridere, poi spostò lo sguardo sul bicchiere ancora pieno.
«Un drink alla fragola che Agne non ha apprezzato oppure una birra ghiacciata» rispose, tornando a concentrarsi sugli occhi chiari che la osservavano.
Sebastiano di morse il labbro con fare pensoso. L'idea di un drink alla fragola non lo entusiasmava per niente, senza contare che al richiamo di una birra ghiacciata non era mai stato in grado di resistere, ma qualcosa gli diceva che la scelta giusta sarebbe stata la prima. A malincuore fece per rispondere, dunque, ma Elia fu più veloce: «Fragola? Posso averlo io, quello?» domandò, mettendo in mostra le fossette; poi rivolse uno sguardo scandalizzato ad Agnese: «Come si fa a dire di no ad un drink alla fragola?»
Mentre quella, ridendo, si stringeva nelle spalle, Sebastiano tirò un sospiro di sollievo: «Vada per una bionda», poi arrossì e sgranò gli occhi, accorgendosi dell'involontario gioco di parole.
La biondina boccheggiò e arrossì ancora di più, mentre la risata di Agnese si faceva così forte da non permetterle di sentire altro suono.
«Arrivano subito» riuscì a farfugliare, voltando le spalle ai clienti per preparare le ordinazioni. «La vuoi nel bicchiere o in bottiglia?» domandò, guardando Sebastiano attraverso lo specchio.
«Bottiglia» rispose Elia per lui, prima che potesse dire alcunché. «Romeo ha fatto abbastanza figuracce per oggi, lo porto via».
Il diretto interessato fece una smorfia e borbottò un contrariato: «Ma 'nvedi questo...».
«Vi porto tutto al tavolo».
Una volta che i due ragazzi furono fuori, Anita represse un gridolino eccitato e guardò Agnese con occhi sgranati.
«Hai sentito?» pigolò esaltata e la sua amica roteò gli occhi.
«Ho sentito che è un marpione» ribatté quella, afferrando la cannuccia e bevendo un sorso di quella che si era dimenticata essere la nuova invenzione alcolica di Anita. Fece una smorfia schifata quando l'alcol le pizzicò la gola e la bionda le puntò un dito contro.
«HAH! Ti sta bene!» esclamò risoluta, cominciando poi a preparare le ordinazioni dei suoi clienti preferiti.
Agnese le fece una linguaccia, poi controllò l'ora sull'orologio da parete e sbuffò.
«Dovrei andare da mia zia a fare le camer-... oh! Indovina chi sta al b&b?»
«Chi?» chiese l'altra, senza davvero prestare attenzione, ancora impegnata a ripercorrere mentalmente la conversazione appena avvenuta.
«Il tuo amichetto e compagnia. Ieri Cice ha spalancato la porta e ne ha sorpreso uno in mutande. Piuttosto imbarazzante», ridacchiò.
Anita smise di miscelare il cocktail e fissò Agnese. «Scherzi?» Quante possibilità c'erano che alloggiassero proprio dove lavorava Agnese? La Riviera pullulava di alberghi, c'era l'imbarazzo della scelta, ma loro erano finiti proprio in quello.
«Ti pare che io stia scherzando?» rispose l'altra piccata, incrociando le braccia al petto dopo aver allontanato il bicchiere.
«Mi prepari un caffè?» chiese con tono lamentoso, mentre sorrideva sovrappensiero dell'espressione concentrata di Anita.
«Dopo, ora porto queste cose ai ragazzi».
Detto questo fece il giro del bancone, l'occhiolino ad Agnese e afferrò con sicurezza il vassoio, uscendo poi dal bar.
 
«Non ho fatto nessuna figura di merda!» stava protestando Sebastiano; e avrebbe volentieri continuato, ma l'arrivo della ragazza lo portò a dimenticare le lamentele. «Ehilà!» salutò allegramente, sorridendole.
Anita arrossì e posò il vassoio sul tavolo, per poi porgere ad uno il drink alla fragola e all'altro la sua "bionda".
«Ecco qua, se avete bisogno sapete dove trovarmi», sorrise cordiale e strinse il piatto di latta al petto. Non sapeva cosa fare o cosa aspettarsi: voleva girare i tacchi e rintanarsi lontano, ma allo stesso tempo voleva sentire almeno un'altra battuta di Sebastiano.
«Grazie» ringraziò Elia sorridente, più o meno nello stesso momento in cui l'altro sputava fuori un «Quando smonti?», per poi arrossire, chiedendosi se non stesse correndo troppo.
Quello davvero Anita non se lo aspettava, ma non poteva dire di non averci segretamente sperato con tutta se stessa. Arrossì e abbassò lo sguardo. «Stasera faccio serata, ci hanno prenotato il bagno per una cena» mormorò imbarazzata.
«Quando?»
Elia, mentre il biondo insisteva senza smettere di guardare Anita, da bravo psicopatico, sospirò silenziosamente e improvvisò una via di fuga: «Stavamo pensando di fare tardi stanotte – insomma, siamo in vacanza! Volete unirvi a noi?»
La ragazza non riusciva a mantenere la lucidità e aveva anche pensato di dare forfait al lavoro e fare serata con i nuovi vacanzieri. «A mezzanotte, forse più tardi, dovrei aver finito» mormorò, aspettando con trepidazione la proposta di Sebastiano.
Lui di fatto annuì e le sorrise. «Sarò qui».
«Saremo qui» lo corresse l'altro, forzando un sorriso naturale. Da quando toccava a lui evitare che Sebastiano passasse per maniaco? Quello era compito di Leo; lui era solo quello che faceva il coglione per attirare l'attenzione.
Lo stupore di Anita raggiunse quasi i livelli del suo rossore, ma riuscì comunque a trovare la forza per annuire. «Vado a dirlo ad Agnese» mormorò, per poi dileguarsi.
 
«No» fu la sua risposta appena un paio di minuti dopo, pronunciata ad occhi leggermente sgranati. Non sarebbe uscita di casa da sola a mezzanotte per raggiungere il bar e uscire con degli sconosciuti imbarazzanti.
«Dai Agne, non puoi lasciarmi sola proprio stasera!» la implorò.
L'altra sospirò e chiuse gli occhi. «Non li conosciamo nemmeno!» protestò ancora, in tono lamentoso.
«Bene, vorrà dire che ci andrò da sola» concluse la bionda risoluta, sistemando le tazzine pulite al loro posto.
«Cosa?» A questa folle eventualità Agnese non aveva minimamente pensato. «Non dire sciocchezze, non puoi uscire da sola di notte con un gruppo di estranei!»
«Allora ti passiamo a prendere a casa». Quella era un'idea geniale alla quale Agnese non avrebbe potuto dire di no.
Lei aprì bocca per ribattere, poi capì di non avere scampo: Anita sarebbe uscita con quei tizi con o senza di lei. Sbuffò sonoramente e sfoggiò la peggiore delle sue occhiatacce. «Ti odio».
«Questo è un sì!» pigolò Anita, saltellando sul posto e battendo le mani. Sapeva che sarebbe riuscita a convincerla e così aveva appena guadagnato un'uscita con Sebastiano. E i suoi amici, ma quelli erano dettagli.
«Puoi fermarti a dormire da me, dopo! I miei sono in montagna».
«Solo se ci sarò solo io» replicò in tono acido, per poi ripensarci e rettificare: «be', anche tuo fratello può rimanere in casa, se vuoi».
Anita la guardò confusa, poi fece finta di niente e cambiò discorso, cosa che fece davvero piacere ad Agnese.
«Cosa stai studiando?»
 
«Bel colpo!» si complimentò Tommaso, per poi fingere di nuovo di lanciargli il pallone addosso.
Sebastiano di riflesso alzò le mani per proteggersi dal colpo, ma inutilmente, provocando le eccessive risate di Elia, nonché le proprie. Era felice di essere riuscito a strapparle un appuntamento. Okay, non era una vera e proprio un'uscita di coppia, ma era pur sempre un inizio, senza contare che avrebbe potuto passare altro tempo con lei, senza che dovesse lavorare. Spostò lo sguardo verso il migliore amico, sperando in un'approvazione anche da parte di Leonardo, che arrivò sottoforma di sorrisetto stiracchiato – non era un tipo di molte parole, al contrario suo.
«Ora che si fa?» domandò, una volta soddisfatto anche questo bisogno.
«Potreste, per esempio, andarvene tutti a fanculo» propose con estrema naturalezza Elisabetta, arrivata da chissà dove proprio in quel momento, i grandi occhiali da sole a coprirne il cipiglio contrariato. «È davvero piacevole sentirsi ben voluta, siete dolcissimi» aggiunse, mentre si sistemava sull'unica sdraio all'ombra e poggiava le gambe al sostegno dell'ombrellone, proprio sotto il naso di Elia, che, seduto sulla sabbia lì accanto, arrossì.
«È un piacere» rispose spassionatamente Leonardo, rivolgendole a malapena un'occhiata.
Mentre Sebastiano ridacchiava dell'espressione smarrita di Elia, Tommaso incrociò le braccia e sbuffò per lo stesso motivo. Non sopportava certi comportamenti di sua sorella e, anche se sapeva che lo stava facendo solo per ripicca, non riusciva a non innervosirsi. Elia era sincero; era il suo migliore amico e non poteva permettere che fosse proprio sua sorella a prendersi gioco di lui.
Era da un paio d'anni che il rapporto tra i gemelli era cambiato. Erano sempre stati protettivi l'uno verso l'altra; erano cresciuti trascorrendo tutto il loro tempo insieme, litigando come tutti i fratelli, ma lasciandosi le motivazioni alle spalle non appena trovavano qualche altro buon motivo per far comunella. Le cose forse erano precipitate quando, dopo essersi preparati assieme ai test per entrare a Medicina, solo una dei due ce l'aveva fatta; mentre Betta raccoglieva complimenti per l'ammissione, Tommaso si era dovuto accontentare della sua terza scelta, nonché l'unica ad averlo accettato: Farmacia.
Poi erano venute a galla la cotta di Elia e la stronzaggine di Elisabetta, che andarono a sommarsi con la nuova predilizione di loro padre per la sua unica figlia femmina, che, come non mancava mai di ricordare con orgoglio ogni volta che telefonava a casa, aveva deciso di seguire le sue orme.
Tommaso non metteva piede a Milano, dove abitava il padre, dal giorno del test di ingresso, al contrario di sua sorella, tutto d'un tratto estremamente unita a quell'uomo, come se non fosse stato lui a chiedere il divorzio, costringendo mamma a riportarli con sé a Roma. Era successo così tanti anni prima che loro a malapena ricordavano quel periodo della loro vita, ma da ormai un paio d'anni Tommaso aveva imparato a portare rancore.
Aveva accumulato così tante ferite nel tempo che non riusciva più a ingoiare tutto in fretta dopo una discussione con Elisabetta; ogni scusa diventava buona per rispondere al fuoco col fuoco, infischiandosene delle conseguenze. Ma questo non lo avrebbe mai ammesso nemmeno a se stesso.
«Sai che è una buona idea?» commentò, tirando una sberla sulla nuca di Elia per riscuoterlo dalla trance contemplativa in cui era caduto. «Andiamo, ragazzi».
«Dove?» protestò il riccio, massaggiandosi la parte lesa.
«A fanculo» replicò acido; «muoviti» disse di nuovo al migliore amico, che svelto obbedì.
Sebastiano, impaziente come al solito di fare qualcosa –qualunque cosa-, balzò in piedi e seguì di corsa gli altri, mentre si allontanavano verso riva.
L'ultimo ad alzarsi, fedele alla propria pigrizia, fu Leonardo. Osservò la ragazza di sottecchi per qualche istante, per poi stiracchiare un sorriso rassegnato e andarsene, dopo aver soffiato un «Te la sei cercata».
Ed Elisabetta rimase da sola di nuovo.
 
Agnese era tornata a studiare, mentre il bar cominciava ad affollarsi dei bagnanti che si preparavano al pranzo e Anita correva a destra e sinistra per apparecchiare i tavoli e servire al bar. In quei momenti odiava l'estate e il suo lavoro, specie se Michele si distraeva nel cercare di conquistare il numero di telefono di una delle tante tedesche che affollavano la Riviera.
Non aveva tempo nemmeno per bere un bicchiere di acqua e in quel momento si sarebbe scolata un'intera autobotte. Era dannatamente caldo e stava correndo decisamente troppo per i suoi gusti.
«Michele, puoi andare tu ai tavoli occupati?» chiese, quasi rivolta al vento, mentre riempiva bicchieri, preparava aperitivi, farciva tramezzini e sistemava tutto sui vassoi.
«Non vedi che sono impegnato?» sibilò lui, guardando Anita e accennando alla ragazza con cui stava parlando, alta almeno un metro e ottanta, bionda e con il fisico da modella.
Anita sbuffò e girò intorno al bancone, per poi afferrare il primo dei sei vassoi pronti ed uscire sul piazzale.
Sebastiano la guardava da lontano, cercando di far filtrare lo sguardo tra le file degli ombrelloni. Elia sogghignò e gli rovesciò sulla schiena una bottiglietta di acqua ghiacciata, facendolo sobbalzare ed imprecare.
«Ma che, se' scemo?» ululò, voltandosi verso l'amico, che ora rideva insieme agli altri ragazzi.
«Mi sembrava che ti stessi surriscaldando un pochino, Castelli. Smettila di guardarla o l'avrai consumata prima di stasera!»
Elisabetta e Leonardo ridacchiarono dell'espressione stralunata di Sebastiano, mentre Tommaso ed Elia si avviavano verso il bar.
«Io ho sete e comincio ad aver fame, voi non venite?» urlò Tommaso, già a cinque ombrelloni di distanza. Sebastiano si scompigliò i capelli e arrossì vistosamente, mentre Leo ed Elisabetta si incamminavano sulle orme dei loro amici.
 
Agnese appoggiò la fronte sul libro che aveva davanti e represse un urlo, poi guardò il cellulare e decretò che era giunta l'ora di scendere per un paninino veloce, magari uno di quelli con burro d'arachidi e marmellata che le preparava Anita.
Quando mise piede nel bar, però, si accorse che il tempismo non era dei migliori: i tavoli cominciavano a riempirsi e la sua amica girava come una trottola portando vassoi stracolmi di bicchieri, prendendo ordinazioni, ripulendo tavolini e salutando i clienti più cortesi.
«Ehi, ti siedi con noi?» Il sorriso di Elia entrò nel suo campo visivo ed istintivamente arretrò di un passo, aggrottando le sopracciglia.
«Scusa?» borbottò, fissando le fossette ai lati del sorriso del ragazzo.
«Ti siedi con noi oppure aspetti qualcuno?» ripeté lui, scandendo le parole una ad una come se parlasse con una straniera.
Lei ridacchiò e annuì lentamente, per poi seguirlo fino al tavolo dove si erano accomodati gli altri. Miracolosamente la sedia vicina ad Elisabetta era libera, così la occupò lei, con sommo sollievo di Tommaso, che vide l'espressione di Elia cambiare ed incupirsi leggermente. Teneva quasi di più a lui che non a sua sorella e non poteva permettere che lei lo illudesse e lo ferisse.
Il sospiro di Sebastiano fece alzare gli sguardi dall'elenco delle piadine e cinque paia di occhi seguirono il ragazzo accasciarsi sulla sedia, con la testa fra le braccia e i capelli arruffati.
«Se non ti conoscessi penserei che sei appena tornato da una sveltina, amico» lo prese in giro Tommaso, facendo ridacchiare anche Agnese.
«Ma vedi d'annattene» bofonchiò il ragazzo, alzando poi lo sguardo e trovando Agnese ad osservarlo.
«Ciao» lo salutò lei e lui non seppe se sprofondare ancora di più il viso tra le braccia oppure alzarsi e andarsene direttamente.
«Non me fate fa' figuracce!» sussurrò con urgenza. Era palese che quella ragazzina fosse molto amica di Anita e temeva che fare una brutta impressione su una significasse perdere la fiducia dell'altra – sempre che l'avesse mai conquistata.
La presenza dei propri amici lo preoccupava. Non tanto quella di Leonardo o Elia, ma il fatto che anche i gemelli fossero a conoscenza della sua cotta lo turbava: quei due non perdevano occasione di metterlo in imbarazzo e raramente Elia non si lasciava trascinare nella mischia. Incrociò le dita sotto il tavolo e prese a battere nervosamente il piede sul pavimento, guardandosi attorno.
«Piantala» gli suggerì spassionatamente Elisabetta, dopo averlo fulminato con lo sguardo per via di quel fastidioso movimento.
Lui in tutta risposta alzò il dito medio e tornò alla sua occupazione. Chissà quando avrebbe impiegato Anita a prendere le loro ordinazioni. Sperava solo che non arrivasse, al posto suo, Mr. Shtalker. Di certo non avrebbe avuto tempo per fermarsi a parlare, purtroppo. Sbuffò.
«Mi è rimasta una perplessità» stava comunicando in quel momento Tommaso, con tanta solennità da attirare l'attenzione di tutti – be', a parte Castelli.
«Cosa?» lo incoraggiò Elia, curioso come sempre.
Lo sguardo azzurro e offuscato del ragazzo si posò sulla nuova commensale, mentre con un sorrisetto la incoraggiava a non spaventarsi, «Quanti anni hai?»
Al che Agnese sospirò affranta.
«Diciassette» indovinò Elia, voltandosi di colpo verso di lei in attesa di una conferma, «Giusto?»
Elisabetta fece schioccare la lingua.
 
«Non ti azzardare ad andare a quel tavolo, Mick!» quasi gridò Anita, non appena vide il collega prendere carta e penna e avviarsi al tavolo dove sedevano i ragazzi della Capitale.
«Prima mi ringhi addosso di aiutarti e poi non lasci nemmeno che io lo faccia?» protestò lui, guardandola fintamente sorpreso. Anita sorrise apertamente e gli mise in mano un vassoio con sette boccali di birra.
«Tavolo otto. Non avvicinarti al dieci» lo minacciò, per poi uscire dal bar e camminare svelta verso il tavolo.
Quando vide Agnese tra di loro le scappò un sorriso soddisfatto, poi arrossì vistosamente notando Sebastiano cercarla con lo sguardo. Fece quegli ultimi passi verso di loro e si piazzò proprio dietro di lui.
«Cosa vi porto?»
«Qualche anno in più» gemette Agnese sconfortata e del tutto inascoltata.
Tutti notarono il sorriso di Castelli espandersi fino a diventare spaventosamente largo e luminoso.
«Gli si aprirà la faccia, se continua così» commentò addirittura Tommaso, con aria teatralmente preoccupata.
«Ciao» sussurrò Sebastiano, ignorando quella battuta. Anita era estremamente carina, con i capelli corti e quegli occhioni verdi che proprio non volevano soffermarsi su di lui più del necessario, ricadendoci però più spesso che sugli altri.
Lei sentiva il rossore attenuarsi leggermente, mentre si spostava in modo da poter vedere tutti i commensali in faccia. Riservò un sorriso speciale a Sebastiano, poi prese fuori il blocchetto e la penna e tossicchiò. «Cosa ordinate?» ripeté. Non voleva essere scortese, ma c'era parecchio da fare e non poteva permettersi di perdere troppo tempo a quel tavolo, anche se avrebbe addirittura voluto sedersi con loro.
«Cosa ci suggerisci?» domandò Sebastiano con un sorriso smagliante, facendo roteare gli occhi a metà tavolata.
«Io prendo il solito» borbottò Agnese, mentre gli altri ancora sceglievano le proprie ordinazioni. Non osava immaginare che cosa stesse frullando per la testa della sua amica in quel momento. Anche se forse, a giudicare dalle guance rosse, non si stava preoccupando troppo della sua presenza al tavolo dei romani.
«La piadina!» gridò Elia con enfasi, costringendo Anita a riprendersi dalla sua trance e guardarlo.
«Farcita con...»
Era mai possibile che persino Elia si impegnasse a rovinargli la festa? Certo, in ogni caso non avrebbe potuto sperare di avere privacy in quel momento, ma sarebbe stato carino che almeno l'avesse lasciata parlare.
Dopo l'ordinazione del primo anche tutti gli altri si decisero, tranne Sebastiano, che si tenne per ultimo e la guardò. «Fai tu per me», le regalò un sorriso a trentadue denti ed un occhiolino ben assestato, facendola arrossire ancora di più.
Agnese ridacchiò dell'espressione impacciata dell'amica e distolse lo sguardo da quei due. Se non fosse stata preoccupata per come quella storia sarebbe andata a finire, li avrebbe definiti carini.
Sebastiano seguí con lo sguardo l'allontanarsi di Anita, senza davvero pensare a nulla: semplicemente la guardava, perché gli piaceva farlo.
A riportarlo alla realtà fu una leggera spallata di Leonardo, che gli strizzò l'occhio e rise.
Agnese li osservava a turno, incuriosita; sarebbe stato assurdo mentire a se stessa dicendo che non le stavano simpatici e non le sarebbe piaciuto conoscerli meglio; tuttavia non si sentiva a proprio agio da sola tra un gruppo già formato di ragazzi. Quando aveva accettato l'invito di Elia, sperava non fossero proprio tutti presenti. Elisabetta, per esempio, la metteva un po' a disagio, col suo fare altezzoso. E anche Leonardo, sebbene a malapena parlasse.
«Sul serio, quanti anni hai?» Elia, accortosi del suo momentaneo isolamento, riprese il discorso precedente, sporgendosi sul tavolo verso di lei.
Agnese sospirò; aveva sperato di poter lasciar cadere quell'argomento che tanto la infastidiva. «Venti».
La risata incredula di Sebastiano la indusse ad un altro sospiro: era proprio il genere di reazione che si aspettava. Era dura essere una ventenne e sembrare poco più che una bambina.
«Ma che, davvero?»
Lei annuì, serrando le labbra in un sorrisetto storto.
«Ci prendi in giro, dai» continuò Elia, guardandola intensamente e cercando anche un solo particolare che provasse la sua età. Per non sembrare troppo indiscreto evitò di osservare il seno, anche se l'aveva già notato dal primo giorno e, sì, quello poteva essere un segno dei suoi venti anni.
Leonardo rimase piacevolmente sorpreso di quella rivelazione, ma anche parecchio infastidito dalla radiografia che il suo amico stava facendo alla ragazza, come se la volesse mangiare. Sbuffò, attirando l'attenzione di Tommaso, che lo guardò con le sopracciglia aggrottate.
«Fa troppo caldo qui» si giustificò con un filo di voce.
«La stai mettendo in imbarazzo»; i gemelli rimproverano Elia contemporaneamente, salvo poi scambiarsi un'occhiata infastidita.
Agnese, giusto per sfuggire gli sguardi, afferrò il portafogli e prese a frugarci dentro senza in realtà cercare nulla. Solo quando incappò nella patente, decise di mettere fine a quella conversazione esageratamente imbarazzante mostrandola ad Elia.
«Millenovecentonovantatrè» lesse allora lui, con gli occhi sgranati per la sorpresa, «Non l'avrei mai detto».
La ragazza sospirò e rispose: «Lo so. Evviva», poi ridacchiò del proprio misero destino: «Sono nata e cresciuta qui, ma al cinema ancora mi chiedono il documento» spiegò, sfonzandosi di far finta che la cosa non le dispiacesse.
«Sembri davvero più piccola» insistette; Sebastiano ridacchiava, d'accordo con l'amico.
Elisabetta sbuffò sonoramente e li fulminò con lo sguardo. «Tu sembri un ritardato mentale, Bracaglia, ma non è che te lo ricordiamo continuamente».
Sebastiano rise più forte: «Invece sì!» la contraddisse.
«Be', – iniziò lei, infastidita dalla correzione: – tu non potresti permetterlo».
Il ragazzo stava per ribattere, quando Michele portò al loro tavolo un vassoio pieno di bicchieri.
Agnese spiò la reazione di Sebastiano, che strinse le labbra e non ringraziò nemmeno il cameriere, voltandosi invece a controllare dove si fosse cacciata Anita. La vide dietro al bancone, intenta a preparare qualche drink, con quell'espressione concentrata che lo inteneriva tremendamente e lo faceva sorridere come un ebete.
«Datti una regolata, Castelli» lo apostrofò Elisabetta, acida. Agnese sobbalzò e aggrottò le sopracciglia.
«Solo perché non trombi da un po' non vuol dire che hai il diritto di fracassare i coglioni, Betta» sputò Sebastiano, altrettanto acidamente, fulminandola con lo sguardo. Elia trattenne una risata, mentre Tommaso non si preoccupò minimamente di non farsi sentire dalla sorella: «Oh, ma chi non tromba da un po'?» domandò retorico.
«Tu» rispose semplicemente Elisabetta, dopo averlo fulminato con lo sguardo. Non che la sua vita sessuale fosse affare di suo fratello.
Sebastiano ridacchiò, e ricacciò indietro il suo commento irriverente – «C'è davvero qualcuno che riesce ad avvicinarti?» – per tornare a cercare Anita con lo sguardo. Non vedeva l'ora che arrivasse la sera per passare un po' di tempo con lei, magari da solo.
«Sto correndo troppo?» chiese a Leonardo, in preda ad un breve momento di preoccupazione. Era iperattivo anche emotivamente.
«Seba, vi siete a malapena parlati» osservò l'altro con una scrollata di spalle.
«Non voglio spaventarla!» insistette lui in tono lamentoso. Un attimo dopo il suo sguardo ricadde su Agnese, che arrossì per la sorpresa: «La sto spaventando?»
Oh, andiamo. Le stava davvero chiedendo di fare la spia? Non sarebbe stato... carino. O magari sì? Sospirò e «No, affatto» rispose; le venne voglia di sorridere quando un sorriso smagliante si allargò sul volto del ragazzo biondo.
«Quindi ho delle speranze?» continuò, deciso ad approfittare del suo nuovo oracolo.
A quel punto però la ragazza inarcò le sopracciglia: a questa domanda non voleva proprio rispondere. Dire di sì avrebbe fatto passare la sua amica per una facile? Dire di no le avrebbe stracciato ogni speranza?
Elia alzò gli occhi al cielo, si passò le mani tra i ricci fermati da una fascetta bianca e poi rifilò una sberla all'amico. «Smettila».
«Voglio solo sapere come muovermi» borbottò il biondo, massaggiandosi la parte lesa, poi si scompigliò i capelli e tirò fuori il cellulare dalla tasca dei bermuda. Erano le dodici e trentasette e di lì a dodici ore, più o meno, sarebbe uscito con Anita. Sorrise di nuovo e notò che negli ultimi giorni sorrideva tanto e sempre per colpa di quella ragazza che conosceva da poco ma che sentiva di essere una bella conquista.
«Smettila di pensare, ti riesce male» sussurrò Leo, ammiccando poi ad Anita, che si stava avvicinando al loro tavolo. Sebastiano seguì il suo sguardo e si trovò la ragazza a meno di un passo, arrossì e tornò a guardare davanti a sé. Anche lei diventò un po' più rossa, mentre serviva le ordinazioni al tavolo. Lui, in ogni caso, non resistette più di qualche secondo nel suo imbarazzo, poi tornò a guardarla: «Cosa mi hai portato?» chiese allegramente.
«Una doccia fredda?» suggerì qualcuno, ma lui non ci fece caso.
«Strozzapreti panna e speck», gli sorrise e gli passò il piatto, cercando qualche indizio nella sua espressione.
«Vanno bene?» domandò con apprensione e quando il sorriso di Sebastiano si allargò, lei tirò un sospiro di sollievo e si portò una mano al petto.
«Tanto Castelli mangerebbe di tutto» scherzò Elia, innescando così anche Tommaso.
«Specie se sei tu a portarglielo».
«Possiamo pure dire che mangerebbe anche te».
«Che sfacciato, Bracaglia!»
«Hey! Hai iniziato tu!»
«Ma tu esageri!».
Elisabetta roteò gli occhi e rivolse un sorriso di scuse alla ragazza. «Perdonali, sono due bambini».
Poi, quando Sebastiano si tuffò su Elia per metterlo a tacere, dopo chissà quale impertinente borbottio, e Leonardo si alzò per cercare di dividerli, tra le risate di tutti, si corresse: «Facciamo pure quattro».
Anita rise forte, seguita da Agnese.
«Anita! Hai intenzione di venire a darmi una mano?» la richiamò Michele dal bar. La ragazza sbarrò gli occhi e boccheggiò un «ci vediamo dopo» prima di camminare svelta verso un altro tavolo.



Bloop's corner
Ciao a tutti, qui è Mari che vi parla! Eccoci qua con un nuovo capitolo, sperando che vi piaccia :)
Ringraziamo le ragazze che hanno recensito e ci scusiamo per non aver ancora risposto! Quindi grazie Yeli_ e Alwaysonmymind per i complimenti e per le considerazioni. Provvederemo al più presto a rispondere alle vostre recensioni, Mich è una pigrona e non conette mai il cervello ;) Ed è buffo perché io la sto insultando dolcemente e lei è qui seduta vicino a me e ride. RIDE. Potete capire che enorme disagio è avere a che fare con questa adorabile personcina che ti guarda e sorride sorniona! :3 (TI VOGLIO BENE, POOP!)
Personalmente anche a me piacciono taaaaaaanto Sebastiano e Anita e speravo proprio che anche a voi piacessero! Cosa ne dite degli altri personaggi? So che è ancora presto per dare giudizi, ma sarebbe interessante sapere cosa ne pensate anche di Agnese, Leonardo, Tommaso, Elia ed Elisabetta :)
Vi lascio con l'augurio di un sereno finale di estate, so che per molti di voi sarà ora di tornare sui banchi fra qualche settimana e non vi invidio affatto, io torno "sui banchi" a metà novembre! *snob mode on*
A presto, crazy guys! :D

Buona vita,
Mari

 

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Capitolo 6
*** Giorno quarto (seconda parte) ***



-Come ti sconvolgo la vita in tre settimane-
 

5. Giorno quarto (seconda parte)
 
 
Era arrivato il fatidico momento di uscire per tornare al Bagno Girasole, dove Anita stava ancora lavorando e dove avrebbero trovato anche Agnese. Sebastiano non si dava pace e continuava a sistemarsi i capelli e a chiedere se non avesse dovuto mettersi qualcosa di più elegante.
«No» rispose seccamente Tommaso, mentre Leonardo sbuffava e indossava gli occhiali da vista. Odiava quegli affari, ma dopo un'intera giornata di mare con le lenti a contatto non ne poteva più e aveva bisogno di riposare gli occhi.
«Più che altro, che fine ha fatto Elisabetta?» domandò Elia, sbirciando nel corridoio.
«Per me può anche non venire» borbottò Tommaso, infilando il portafogli nella tasca posteriore dei jeans e spalancando la porta.
Elia sbuffò per il comportamento infantile del suo migliore amico, mentre lo seguiva lungo il corridoio, senza curarsi di controllare se Sebastiano avesse deciso cosa indossare.
«Sei contento?» gli domandò Leonardo con un filo di voce.
L'interpellato annuì con vigore, poi sprofondò le mani nelle tasche. «Me la sto facendo sotto» ammise, grattandosi poi la nuca imbarazzato. Leonardo gli circondò le spalle con un braccio e lo strattonò leggermente. «Sii te stesso e vedrai che andrà tutto bene» lo incoraggiò, davvero convinto di quello che diceva. Anita era evidentemente interessata a lui e le possibilità che la serata andasse male erano pressoché minime.
 
«Agnese è già arrivata, magari la tua Giulietta sta finendo di lavorare» osservò Elia, salutando con la mano la ragazza appoggiata al muretto dall'altra parte della strada.
Sebastiano arrossì vistosamente e senza rendersene conto cercò Anita con lo sguardo, ma non la trovò.
«Oppure mi rifila un due di picche» sussurrò, sperando di non essere sentito.
«Non penso sia possibile» disse Tommaso, ridendo sonoramente e facendo indispettire Elisabetta, che era stata costretta ad uscire con loro, quando si era già programmata la serata di perfetto relax in solitudine.
«Ciao Agne!» il solito esuberante Elia salutò la ragazza e la strinse in un abbraccio discreto e delicato. Leonardo storse la bocca, sorpreso dal comportamento dell'amico.
Agnese arrossì e ricambiò con una leggera pacca sulla schiena.
«Anita sta finendo di portare il caffè al tavolo, poi è libera» mormorò, una volta che il riccio la liberò.
Sebastiano annuì e lasciò vagare lo sguardo verso il bar, dove vide la tavolata di persone.
«Puoi andare da lei, secondo me le farebbe piacere» continuò Agnese, indicando il bar con un cenno del capo.
«Dici?» chiese lui, improvvisamente insicuro e timido.
Lei semplicemente annuì e gli sorrise, mentre lui si avviava lentamente lungo il sentiero selciato. Si affacciò nel piccolo bar e trovò Anita voltata di spalle, intenta a caricare la macchina del caffè.
«Ehi» disse semplicemente. Una tazzina sfuggì dalle mani della ragazza, finendo sul pavimento; si voltò di scatto, paonazza e sorpresa.
«Ciao» esclamò, per poi piegarsi a raccogliere la tazza e appoggiarla nel lavandino. «Fra dieci minuti sono tutta tua» continuò, per poi arrossire ancora di più.
Sebastiano ridacchiò, mentre cominciava a sentire un po' troppo caldo. Guardò Anita boccheggiare e tornare a preparare il caffè e sorrise ancora di più al pensiero di averla fatta arrossire. Gli piaceva imbarazzarla: la trovava ancora più carina e dolce. Scrollò il capo e si scompigliò i capelli.
«Allora ti aspetto fuori insieme agli altri».
Anita appoggiò altre due tazze sul vassoio e gli sorrise, «Aspettami qui, arrivo subito».
Lui non se lo fece ripetere due volte; affondò le mani nelle tasche e prese a dondolare sui talloni, alternando occhiate tra i propri piedi e Anita, che, dopo l'ultima ispezione delle scarpe da ginnastica, trovò proprio di fronte a sé, le guance rosse, gli occhi grandi, intenta a mordicchiare il labbro inferiore nel sorriso. Qualcosa si agitò piacevolmente nel suo stomaco; borbottò un saluto e si umettò le labbra, senza sapere bene come comportarsi.
«Andiamo?» mormorò, per poi scompigliarsi i capelli e guardarla attentamente.
Anita annuì e sorrise ancora di più, sistemandosi la borsa sulla spalla.
Così si incamminarono, raggiungendo fuori il resto della compagnia. Ad occhio e croce, solo a giudicare dalle espressioni dei ragazzi, Elisabetta stava beatamente raccontando aneddoti imbarazzanti sul conto degli amici, mentre Agnese se la rideva.
Quando furono abbastanza vicini da cogliere uno stralcio del discorso, Sebastiano capì di averci visto giusto e si lasciò prendere dalla preoccupazione: si voltò verso Anita e «Qualunque cosa lei dica, non crederci» si raccomandò, accompagnando quelle parole con una smorfia imbarazzata.
«D'accordo» rispose lei, con un sorriso appena accennato. Elisabetta era sicuramente sempre stata parte della loro cricca di amici, quindi era più che normale che sapesse molte cose sui ragazzi, ma Anita non riusciva comunque a non essere infastidita dall'esagitazione con cui quella ragazza aveva accolto Sebastiano, per poi rivolgere a lei un sorriso denso di sottintesi. Uno dei quali non tardò ad uscire dalle labbra sottili della ragazza: «Lo hai già rassicurato sulla sua eleganza? No perché ci ha messo più o meno tre ore a scegliere che maglietta mettere».
Anita ridacchiò giusto per non offenderla, ma quando sentì lo sbuffo del biondo al suo fianco si spostò leggermente e lasciò che i loro gomiti si sfiorassero.
Il fastidio del ragazzo svanì all'istante. Era strano come lei sembrasse aver compreso al volo il suo disagio –o si trattava di una semplice coincidenza? Le sorrise per l'ennesima volta per poi rivolgersi con rinnovato entusiasmo al trascinatore del gruppo: «Allora, dove si va, Tommi?»
Il Tommi in questione quasi lo fulminò con lo sguardo, impegnato com'era a guardare in cagnesco la propria sfacciata sorella. Quella sera metteva in mostra le gambe lasciate scoperte dal prendisole a fiori, con sommo compiacimento di Elia –quell'illuso.
Si riscosse dai propri pensieri per rispondere alla domanda: «Be', mi hanno suggerito questa sorta di pub...»
 
Agnese impallidì al solo vedere da fuori il luogo in questione. Si trattava, come probabilmente avrebbe dovuto prevedere, di uno di quei locali all'ultima moda, con la musica troppo alta, i prezzi troppo elevati, la gente troppo ubriaca e l'aria troppo calda per essere anche solo respirata. Automaticamente cercò con lo sguardo l'incoraggiamento della migliore amica; una piccola e sciocca parte di lei sperava che l'altra proponesse di cambiare i progetti per la serata in qualcosa di più tranquillo, ma ovviamente non accadde.
Fu invece Leonardo a notare il disagio di Agnese, perfettamente in sintonia con lei.
«Non mi sembra l'ideale per fare la conoscenza delle nostre invitate» disse a voce abbastanza alta nella speranza di sovrastare la musica.
«Magari no, ma tu potresti trovarti qualcuna con cui passare la serata, Leo! Da quanti mesi non tocchi una ragazza?» lo punzecchiò Tommaso.
Avrebbe voluto rispondere "troppi", ma si limitò ad arricciare il naso e «Questo non è certo il tipo di posto dove cerco una ragazza» bofonchiò. L'occhiata assieme scettica e allusiva che Elisabetta gli rivolse parlò per lei: per forza non trovava nessuna, se cercava nei luoghi sbagliati.
«Calicchia, sciogliti» lo incoraggiò invece, avviandosi poi verso il bancone del bar per dare inizio alla serata.
Se Agnese si era sentita leggermente sollevata alla protesta di Leonardo, la sua speranza crollò definitivamente quando Elia partì all'inseguimento della ragazza e Tommaso diede una pacca sulla spalla all'amico.
«Questa volta devo darle ragione» gridò abbozzando un sorriso incoraggiante, «Andiamo a prendere un tavolo» aggiunse poi.
A quel punto Leonardo guardò Sebastiano, che non sembrava ancora aver notato la tipologia di locale, troppo impegnato a chiacchierare con Anita.
«Seba, anche tu dici che dovrei sciogliermi?» domandò, più per attirare la sua attenzione che per ricevere una risposta. Il ragazzo lo guardò con le sopracciglia aggrottate, poi spostò gli occhi sull'edificio alle spalle dell'amico.
«Che merda di posto è?!» protestò.
«Il posto giusto per rimorchiare» citò Leonardo.
L'amico storse la bocca, «Io non sono qui per rimorchiare».
Un nuovo moto di speranza illuminò lo sguardo di Agnese. C'era una minima possibilità di evitare quel locale? Credeva che quei ragazzi non vedessero l'ora di tuffarsi nella mischia e sfondare il fegato a colpi di superalcolici, ma forse si sbagliava. Interrogò Ninì con lo sguardo, trovandola a guardarsi intorno mentre valutava le varie possibilità. No, nemmeno lei si aspettava di essere portata in luogo del genere, ma la prospettiva di trascorrere la serata lì non sembrava poi così terribile.
Prima che qualcuno potesse decidere di piantare in asso il resto della compagnia, Elia tornò tra loro: «Che fate ancora qui?», ridacchiò, scompigliandosi i riccioli biondi, «Andiamo!», afferrò la mano di Agnese; «Vieni, dai, i minorenni entrano solo se accompagnati» gridò con fare scherzoso, mentre lei non sapeva bene quale dei tanti motivi scegliere per desiderare di essere inghiottita dal pavimento.
Quella ragazza era la sua unica speranza per potersene andare da quel posto, ma quell'idiota di Elia l'aveva appena trascinata dentro; Leonardo gemette e a malincuore varcò la soglia, senza appurarsi minimamente di essere seguito da Sebastiano e Anita.
«Potremmo scappare» mormorò il biondo, passando un braccio intorno alla vita della ragazza, che arrossì e ridacchiò.
«Non posso lasciare Agnese da sola», scrollò le spalle e lasciò un piccolo bacio sulla guancia di Sebastiano, «Magari fra un po' ce ne andiamo».
Così, mentre anche lei spariva all'interno del locale, il ragazzo si sfiorò la guancia, fissando il vuoto con un sorriso ebete ad allargarsi sul viso. Fu il «vieni?» di Anita a riscuoterlo dal torpore e a spingerlo a correrle dietro.
Trovarono Agnese seduta al tavolo con un bicchiere dal dubbio contenuto davanti a sé e Leonardo accanto a lei, praticamente stravaccato sul divanetto. Elia era a due passi da loro e si dimenava in pista, mentre Tommaso raggiungeva il tavolo con altri bicchieri in mano.
«Siete arrivati finalmente!» li accolse con un sorriso malizioso, «Cosa prendete?»
Sebastiano guardò prima Anita, che invece era concentrata a controllare Agnese, «Due Long Island» gridò, per poi appoggiare una mano sul fianco della biondina e spingerla dolcemente verso il divanetto su cui era seduta la sua amica. Le due ragazze si sorrisero appena, poi una sbuffò sonoramente e allontanò il bicchiere da sé, mentre l'altra si avvicinò leggermente a Sebastiano, sperando che lui non se ne accorgesse.
Agnese non si sentiva a suo agio. Talmente tante cose differivano dal suo concetto di normalità – nonché di bella serata – che non avrebbe saputo nemmeno da dove iniziare a lamentarsi, se solo avesse avuto qualcuno con cui parlare. Tanto per cominciare il fatto che Leonardo, mollemente seduto più o meno accanto a lei, non le avesse nemmeno rivolto la parola la irritava. Trovava già complicato avere a che fare con dei perfetti estranei, se poi quelli non le andavano minimamente incontro nel tentativo di inserirsi, era inevitabile che non ci riuscisse. Forse avrebbe dovuto provare a parlargli lei per prima; lo guardò di sottecchi, ma, notando la smorfia infastidita con cui si guardava attorno, desistette. In compenso, quando tornò a far vagare lo sguardo sulla folla danzante alla ricerca dei cespugliosi capelli biondi di Elia, incontrò qualcuno fin troppo familiare, che aggiunse all'istante alla lista dei motivi per cui avrebbe voluto essere altrove.
Il soggetto in questione sgranò leggermente gli occhi nel riconoscerla, poi distorse le labbra in un sorrisetto sfrontato e si avvicinò al tavolo.
«Guarda chi c'è qua!» salutò Davide con falso entusiasmo, «Appuntamento a quattro? Vedo che vi state divertendo».
Anita raddrizzò la schiena e guardò Agnese, che teneva lo sguardo fisso davanti a sé. Con tutti quelli che potevano incontrare, proprio lui.
Leonardo, notando un principio di caos, si sedette composto e aggrottò le sopracciglia, «Che problema hai?» chiese al nuovo arrivato e inconsciamente allungò un braccio dietro la schiena di Agnese, che sembrava turbata e tremava leggermente.
«Nessun problema, amico, rilassati», alzò le mani come a dimostrare la propria innocenza, «Salutavo delle vecchie amiche», si scompigliò i capelli castani un po' troppo lunghi sulla fronte e accennò al drink di Agnese: «Lo bevi quello, Toby?» domandò ironico.
Lei, del tutto annebbiata dal panico, annuì; non era pronta a trovarselo davanti e tanto meno a parlarci, l'ultima umiliazione ancora bruciava sulla sua pelle. Quell'uscita stava andando anche peggio di quanto si aspettasse – e non lo credeva umanamente possibile.
Davide la sfidava con lo sguardo, ben sapendo che avrebbe colto il suo sarcasmo ma non avrebbe avuto il fegato di rispondergli per le rime; l'aveva in pugno e tutto ciò che voleva era dimostrarglielo: da quella rottura era stato lui ad uscire vittorioso.
« Ma davvero? Lo bevi?», sghignazzò.
Fu Anita a prendere il bicchiere e a porgerglielo: «Tieni, affogati».
Davide la guardò sprezzante, «Non parlavo con te, biondina», la squadrò dalla testa ai piedi.
Leonardo si alzò e si piazzò tra Agnese e il ragazzo, «Sei pregato di andartene» gli disse con finta cortesia.
«E tu chi sei per dirmi cosa fare?»
«Nessuno» disse, secco, «Ma ti conviene andartene».
Anche Sebastiano si alzò, dopo aver rivolto un'occhiata confusa al migliore amico, pronto a intervenire in caso di necessità.
«È tutto a posto, Leo, siediti. Se ne sta andando».
Davide prese il bicchiere e lo alzò in cenno di saluto, «Certo, mi stanno aspettando. Buona serata. Ciao, Toby» aggiunse poi, strizzando l'occhio in direzione di Agnese, che abbassò il capo e sbuffò.
Quando Davide fu abbastanza lontano, sospirò pesantemente e, «Mi dispiace», si scusò; «è stata una scena patetica».
«Andiamocene di qui» disse invece Leonardo, cercando l'appoggio di Sebastiano, che annuì.
«Vieni, Agnese» continuò, guardando la ragazza dietro di lui e aspettando che si alzasse, «Non ho intenzione di rimanere qui un minuto di più».
Lei obbedì, visibilmente sollevata nell'udire quelle parole.
«Hey!», Elia qualche metro più in là si sbracciava nel tentativo di attirare l'attenzione, «Dove andate? Hey!», ma nessuno gli rispose.
Sebastiano si girò verso Anita e le sorrise divertito, scrollando le spalle.
«Andiamo anche noi?»
Lei annuì con vigore, per poi seguire il ragazzo fuori dal locale.
«Facciamo una passeggiata al faro?» propose Leonardo, attirando l'attenzione di Agnese.
Lei lo guardò sorpresa, ma annuì senza nemmeno rifletterci. Tutto ciò a cui riusciva a pensare era quanto fosse stato umiliante ciò che era appena successo: sostanzialmente nulla, ma lei era andata nel pallone solo vedendo Davide avvicinarsi e aveva lasciato che un perfetto estraneo si preoccupasse per lei e la difendesse, quando, a conti fatti, il suo ex non aveva fatto in tempo a dire nulla di offensivo. Perché era così sciocca? Lo conosceva come le sue tasche, conosceva i suoi punti deboli, ma continuava a lasciarsi prendere in giro.
Leonardo, dal canto proprio, non sapeva nemmeno perché l'avesse fatto, ma quando l'aveva vista lì, indifesa e in difficoltà, non aveva capito più niente e si era sentito in dovere di difenderla. Anche se da cosa, esattamente, non lo sapeva. Era fatto così: tranquillo e riflessivo, ma di fronte alle ingiustizie scattava prima ancora di rendersene conto.
«Tutto bene?» le domandò in un mormorio, per non infrangere il silenzio che si era creato.
«Oh», Agnese si riscosse dai propri pensieri e accennò un sorriso in direzione del ragazzo. «Sì, insomma... non è successo nulla. Scusa» disse, poi ci ripensò: «Cioè, grazie» si corresse, arrossendo per l'imbarazzo.
Leonardo rise piano e affondò le mani nelle tasche, guardando davanti a sé.
«Non ho fatto niente» disse; «Chi era quello stronzo?»
Al sussulto di Agnese si rese conto di aver forse varcato la soglia della discrezione, così si affrettò ad aggiungere un «Non importa» borbottato.
«Il mio ex» rispose dopo qualche lungo istante di silenzio, accompagnando quelle parole con un sospiro. «Gli piace prendermi in giro». Aveva passato anni a giocare con i suoi sentimenti e anche dopo averla piantata non aveva smesso. «Sono più sciocca di quel che sembro» concluse ridacchiando.
«Sono certo che lui non si sia comportato nel migliore dei modi» farfugliò. Si stava mettendo in gioco più del suo solito, discutendo un argomento spinoso che metteva a disagio entrambi.
Lei rise forte, una nota di amarezza nella voce, «No, decisamente. È uno stronzo» confermò, fissando l'asfalto.
 
«Quindi», Sebastiano si schiarí la voce, mentre lui ed Anita camminavano a qualche metro di distanza dagli altri due; «cos'è appena successo, di preciso?» domandò, incuriosito, riferendosi all'interferenza di quel tizio nella loro poco entusiasmante permanenza al locale.
Anita fece schioccare la lingua contro il palato e si sistemò la borsa sulla spalla.
«Quello era Davide, l'ex di Agnese» spiegò brevemente; «Un autentico stronzo» concluse con rabbia, fissando i suoi piedi con insistenza.
Sebastiano scoppiò a ridere forte, gettando la testa all'indietro. «Leo ha un sesto senso per gli stronzi». commentò, come se questo spiegasse tutto.
Anita non sapeva perché Sebastiano avesse tirato in ballo il suo amico, in fondo non aveva nessun legame con Agnese o con Davide, si era semplicemente schierato in difesa di una ragazza nel pallone. Non rimase troppo tempo a pensare al siparietto che era andato in scena poco prima, perché Sebastiano rise forte, facendola arrossire senza un apparente motivo e lei si aggrappò al suo braccio come se fosse la cosa più naturale al mondo. Lui a quel contatto si ritrovò a sorridere, sentendosi immediatamente più leggero. Cosa diavolo gli stava succedendo? Si stava prendendo una cotta paurosa per una perfetta estranea.
L'entusiasmo, come gli capitava fin troppo spesso, lo spinse a straparlare: «Non è un tipo violento, se ne frega abbastanza di tutti, ma ha un fiuto eccezionale per le merde, lo mandano in bestia», ridacchiò; «Probabilmente non avrebbe spiccicato una parola per tutta la serata se non fosse stato per quel tizio». Poi, senza alcun apparente collegamento logico né la più piccola pausa o variazione di tono domandò: «Posso aggiungerti su facebook? Stavo sfogliando per caso le foto del bagno e...» arrossì, rendendosi poi conto di star esagerando un pochino. Dunque rise e si scompigliò i capelli con la mano libera, sperando che Anita non lo prendesse per un maniaco.
Lei, dal canto proprio, impiegò qualche istante per metabolizzare la richiesta, impegnata com'era ad ascoltare la sua voce profonda scandire parole a raffica nel marcato accento romano. Si prese qualche istante di tempo con una risata, poi scrollò le spalle e «perché no» rispose con un sorriso allegro.
Se inizialmente avrebbe voluto buttarsi nel canale a fare un bagno per farsi passare la vampata, dopo il sì di Anita avrebbe voluto nuotare fino alla Croazia urlando e ridendo. Era felice, soddisfatto e curioso di vedere dove lo avrebbe portato la sua impulsività.
«Grande!» esclamò, per poi voltarsi a controllare Leonardo e Agnese, giusto per capire se fossero ancora dietro di loro.
Constatata la loro presenza e che, addirittura, una conversazione era in atto, trovò opportuno scoppiare nell'ennesima allegra risata chiassosa: «Aho,, sta a parla'! Calicchia parla!»
Alla risata allegra del ragazzo si aggiunse quella più discreta di Anita, che sbadigliò e appoggiò la tempia sulla spalla di Sebastiano.
«È un tipo riservato?»
Lui rimase in silenzio qualche istante, mentre uno strano sfarfallio gli attraversava lo stomaco e una nuova dolce vampata di calore lo investiva.
«Avoja» rispose, in tono più basso e controllato. Non si poteva dire lo stesso della sua logorrea nervosa: «Non è che non abbia nulla da dire, ha sempre un sacco da dire su tutto, ma parla poco. Ecco perché va così d'accordo con Tommaso: lui non sta zitto un attimo. ...Okay, vale lo stesso per me» ridacchiò, iniziando poi a raccontare, seguendo un filo logico tutto suo, di quella volta in cui erano si erano ubriacati tutti durante una sessione di registrazione e nel rivedere il video il giorno seguente avevano visto Elia ridere fino alle lacrime, accasciarsi sul pavimento e addormentarsi sul posto, non prima di aver chiacchierato un po' col gatto.
Sentir parlare Sebastiano la rilassava, aveva una voce così profonda e un accento così particolare che avrebbe potuto riconoscerlo tra tutta la popolazione maschile di Cesenatico.
«Anche Agne è molto diffidente. Specie dopo quello che è successo con Davide, fa fatica a fidarsi a primo impatto» mormorò lentamente. Stavano passeggiando lentamente verso il faro, Anita non aveva detto di aver paura del mare di notte, per questo si strinse ancora un po' di più al ragazzo.
«Che è successo con Davide?» domandò lui meccanicamente, mentre si beava del loro contatto fisico. Non c'era niente di malizioso, solo un'inaspettata confidenza. Più tardi, preso dalla paranoia e assecondato dall'insonnia, si sarebbe chiesto se quello non fosse il comportamento che la ragazza riservava a tutti i suoi amici e avrebbe sospirato pesantemente. In quel momento però la preoccupazione non lo sfiorava minimamente.
«È finita male. Lui non ha mai smesso di prenderla per il culo», sospirò e si fermò a qualche metro dal faro, il cuore che le martellava nel petto sia per la paura, sia per il fatto che Sebastiano non sembrava dispiaciuto della sua iniziativa.
Lui avanzò ancora di un passo, prima di voltarsi a guardarla interrogativo.
«Tutto bene?» chiese, un sorriso appena abbozzato in volto.
«Sì, ma...», rabbrividì e si appoggiò al muretto, «Non avvicinarti troppo al faro» farfugliò, mentre già sentiva la mancanza del corpo del ragazzo vicino al suo e si diede della stupida per quella paura che le paralizzava le gambe.
Sebastiano si grattò la testa, voltandosi a controllare cosa quel faro avesse di sbagliato. Quando riportò lo sguardo su di lei, non si era dato nessuna risposta. «È infestato dai fantasmi?» domandò divertito.
Lei scrollò forte la testa e stiracchiò un sorriso.
«No, è troppo vicino a...all'acqua», sospirò e si passò una mano tra i capelli.
All'acqua? Il ragazzo era sul punto di chiedere spiegazioni, quando il cellulare iniziò a suonare, sostituendo alle sue parole quelle dell'inno della Roma. Arrossì leggermente, imbarazzato dalla propria suoneria, e maledicendo chiunque lo stesse cercando, pescò il telefono dalla tasca.
«Dove cazzo siete?» lo salutò la poco amichevole voce di Tommaso dall'altro capo.
Sebastiano si scompigliò i capelli guardandosi attorno.
«Sul molo» rispose poco convinto e troppo divertito dal disappunto dell'altro.
«Che cazzo ci fai sul molo?»
Ridacchiò e strizzò l'occhio ad Anita, che arrossì e distolse lo sguardo, sorridendo.
«Ti sento rilassato, Tommi. Sei felice?»
«Castelli, vedi di– »
«Ti passo Leo, ti va? Ciao Tomma'!» Senza aspettare una risposta, allungò la mano nella direzione del suo amico, che si stava avvicinando con la fronte corrucciata.
«Problema risolto» comunicò ad Anita, senza smettere di ridacchiare. Be', forse.
«Dovete tornare indietro? Possiamo avviarci e tornare al locale! Oppure non so, al vostro alloggio?» parlò veloce Anita, gesticolando animatamente.
Sebastiano socchiuse la labbra per la sorpresa davanti a tanta apprensione e non riuscì a non ridere.
«Forse. Vediamo se Leo riesce a lavorarsi i ragazzi» prese tempo, poi distolse lo sguardo. La trovava incredibilmente carina. Dondolò sul posto e prese un respiro profondo, assaporando l'umida aria salmastra, in attesa che il suo amico terminasse la chiamata.
Il verdetto non tardò ad arrivare, accompagnato da uno sbuffo: «Ci raggiungono qui appena Tommaso recupera sua sorella».
Questo significava che la loro serata in tranquillità finiva lì e Sebastiano non sapeva se esserne amareggiato oppure pensare positivo.
«Quindi non ci sono i fantasmi nel faro?» Si avvicinò ad Anita, che sobbalzò.
«No, certo che no», ridacchiò, «È solo troppo vicino all'acqua» ripeté.
«Che ha di male l'acqua?» chiese ancora. Ripose il telefono nella tasca dei pantaloncini e li tirò su, con un gesto poco fine che fece ridacchiare piano Agnese. Sebastiano le sorrise senza pensarci, poi tornò ad osservare Anita, che si torturava le mani. Cercava di non guardare il ragazzo davanti a lei, ma l'alternativa era il mare, così decise di chiudere gli occhi.
«Mi fa paura» sospirò infine.
«Magari torniamo indietro, no?» suggerì Agnese, non senza timore di intromettersi nella loro conversazione.
Sebastiano annuì lentamente, senza smettere di guardare Anita. Si sentiva fortunato ad aver appena scoperto una cosa così intima; le rivolse uno guardo incoraggiante e accennò a tornare sui propri passi. «Andiamo?»
L'aveva seguito fin lì nonostante il mare la spaventasse; anche se lui non sapeva spiegarsi il motivo di tale timore – insomma, era acqua e pure calma! – percepì un certo senso di orgoglio gonfiargli il petto.
Anita si staccò dal muretto e camminò incerta per qualche metro, poi si fermò e guardò Sebastiano, sorridendo lievemente.
«Sono stata bene stasera».
Un'espressione di puro smarrimento attraversò il volto del ragazzo subito dopo un primo sorriso; «Te ne vai?» Così presto? Non avrebbe saputo dire quanto tempo avessero trascorso insieme, sicuramente non più di un'ora. Era sciocco sperare in un po' di più? Si sarebbero visti il giorno dopo, probabilmente, ma...
Anita arrossì vistosamente e aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse e ridacchiò. «No, a meno che tu non voglia cacciarmi».
«Cosa?» Sebastiano sobbalzò e scosse in fretta il capo, spaventato all'idea che lei potesse aver frainteso la sua domanda.
«No, certo che no! Credevo che tu... ma forse io... insomma, sarai stanca, però...»
Accortosi di non aver concluso una sola frase, si scompigliò i capelli e scoppiò in una risata imbarazzata. «No. No, a me fa piacere se resti» concluse.
Lei arrossì e si mordicchiò il labbro, poi lo prese di nuovo a braccetto e «Allora resto» mormorò, sorridendo così tanto che sentiva le labbra formicolare.
«Ottima scelta!» replicò lui allegramente. «Bene, che si fa?» domandò a voce un po' più alta, per attirare l'attenzione di tutti – Agnese se ne stava seduta sul muretto a guardarsi le scarpe, mentre Leonardo, in piedi, fissava in silenzio il cielo sereno.
«Cosa?» chiese lei, alzando lo sguardo.
«Non so te, ma io ho voglia gelato!» esclamò Sebastiano, facendo voltare di scatto Leonardo.
«Gli altri saranno qui a minuti».
«Appunto», prese la mano di Anita e si mise a correre verso il lungomare.
Agnese li guardò allontanarsi ad occhi sgranati, smarrita. «E questo cosa significa?» chiese.
Leonardo sospirò, «Che Seba ha voglia di fare incazzare Tommaso». E che io non dormirò per questo, aggiunse mentalmente.
Ora le opzioni erano due: aspettare che arrivasse il resto della compagnia oppure seguire Sebastiano e Anita in quell'assurda fuga. «Andiamo?» le chiese quindi, sapendo che in ogni caso avrebbe dovuto sorbirsi le lamentele stizzite di Tommaso per tutta la notte. «O preferisci aspettare?» aggiunse, vedendola indugiare.
Agnese ci pensò su solo un istante, ma di motivi per rimanere lì e ascoltare una discussione tra ragazzi che a malapena conosceva proprio non ce n'erano. Anzi, per il bene di entrambe aveva tutta l'intenzione di non perdere di vista Anita.
«Andiamo» rispose, alzandosi lentamente in piedi. Che serata strana.
 
«Ma come, sei già stanco?» chiese Anita in tono ironico, camminando all'indietro per tenere d'occhio Sebastiano, che appoggiò le mani sui fianchi e boccheggiò. Non era abituato a correre, era riuscito a resistere quel tanto che bastava per portarla via dal molo, poi i suoi polmoni avevano cominciato a bruciare e allora si era fermato. Era certo di aver fatto una figura patetica, ma quando Anita si avvicinò a lui e gli sistemò i capelli sulla fronte smise di pensarci e si dovette trattenere dal darsi un pizzicotto. Ridacchiò appena, studiando da vicino tutti i dettagli del suo viso, con il respiro affannato e il cuore che scoppiava nel petto - per un motivo o l'altro. «Non sono un grande atleta» ansimò infine, scegliendo tra tutte le cose che pensava l'unica che non sentiva pulsare con insistenza nelle tempie. Avrebbe potuto dirle che il colore dei suoi occhi gli piaceva da morire, che avrebbe passato la vita a guardarle le gambe, che aveva voglia di accarezzarle i capelli e baciarle le labbra; così come avrebbe voluto chiederle il numero di telefono e di uscire con lui di nuovo – loro due da soli, questa volta. Invece si era lamentato della propria scarsa preparazione fisica. Geniale, davvero geniale.
Quando scorse Agnese e Leonardo avvicinarsi a loro, Anita ritrasse la mano e arrossì violentemente.
«Dove prendiamo il gelato?» mormorò, mentre la voce della sua amica li raggiungeva.
«Certo che non siete andati poi così lontani» li prese in giro la ragazza, ridacchiando. Anche Leonardo sorrideva e a vederlo così, pensò Anita, era davvero un bel ragazzo.
«Non era necessario arrivare troppo in là, è la mossa che conta» ribatté Sebastiano, che finalmente aveva ripreso una frequenza respiratoria consona ad un essere umano.
«Vorrà dire che offrirete il gelato» continuò Agnese, assumendo un'espressione vittoriosa, che si trasformò in imbarazzata all' «Affare fatto» di Leonardo.
Anita ridacchiò, guardando attentamente quella strana accoppiata che li seguiva in ogni follia. Agnese si meritava un ragazzo serio, che la prendesse per quello che era, senza la pretesa di mutarla in qualcosa di diverso. Quando la sua amica si era messa con Davide lei ne era stata lievemente invidiosa ed era entrata in uno dei suoi periodi di follia, aveva cambiato taglio di capelli e sperava anche di cambiare modo di approcciarsi ai ragazzi, ma ne era rimasta delusa, come poi anche Agnese.
Non sapeva se fosse più irritante la delusione dell'amica o la propria incapacità di trovarsi un ragazzo. Sospirò silenziosamente e si sistemò il ciuffo biondo di lato, poi guardò la sua amica che la fissava come in attesa di una risposta.
«Cosa?» domandò, arrossendo leggermente. Non si era accorta di essersi isolata nei suoi pensieri ed essersi persa tutta la conversazione.
«Li portiamo a mangiare il gelato in quel locale nuovo?» ripeté Agnese, ridacchiando sotto i baffi. Anita si era incantata di nuovo pensando a chissà cosa e l'avrebbe presa in giro per tutto il giorno seguente.
La biondina annuì e si incamminò, dimenticandosi per un attimo di non essere da sola, quindi si arrestò sul posto e si voltò di scatto e «Vieni?» chiese a Sebastiano.
Lui annuì con forza e la raggiunse, passandole un braccio intorno alle spalle e avvicinandola a sé. Forse era stato un gesto troppo impulsivo, ma Anita aveva reagito nel migliore dei modi da lui sperati: appoggiò la tempia alla sua spalla e si lasciò condurre lungo il marciapiede.
«Domani lavori?» le chiese, con il cuore che ormai viaggiava su un binario riservato all'alta velocità. Lei annuì e sbadigliò piano. Forse avrebbe dovuto accompagnarla a casa, doveva essere stanca dopo una giornata di lavoro come la sua. I sensi di colpa cominciarono ad assillargli la mente e se ne andarono solo quando lei fece intrecciare le loro dita sulla sua spalla.
Arrossì di botto e serrò di più l'intreccio delle loro dita, combattendo contro l'istinto di baciarle i capelli.
 
Agnese vide la scena da lontano e a primo impatto le venne da dire qualcosa ad Anita, poi notò lo sguardo sognante ed intenerito di Sebastiano e lasciò che la sua amica facesse quello che sentiva.
«Lui è ossessionato da lei» mormorò Leonardo al suo fianco. La ragazza drizzò la schiena, colta in fallo dal migliore amico del ragazzo che teneva sotto osservazione. Scrollò le spalle come a fingere indifferenza e il ragazzo ridacchiò.
«Sei preoccupata per lei e non ti fidi di Seba» osservò lui semplicemente; «Nemmeno io mi fiderei, ma Castelli è davvero un tipo a posto. È talmente sognatore che ha avuto pochissime relazioni; rimane sempre deluso dalla superficialità delle ragazze che incontra» continuò. Non capiva perché stesse dicendo quelle cose ad una perfetta sconosciuta, ma era infastidito dallo sguardo indagatore di Agnese.
«Non è che non mi fidi. Ninì sa badare a se stessa, ma tende a non cogliere tutti i segnali della realtà e ad illudersi facilmente. Non voglio che ne esca ferita» spiegò a voce bassa. Leonardo sorrise dolcemente, osservando la fronte corrucciata e lo sguardo basso di Agnese.
«Sarò sincero, non so se riusciremo ad evitare che quei due si affezionino, ma so con certezza che per entrambi il nostro ritorno a Roma sarà un duro colpo». Guardò oltre la coppia davanti a loro e per un istante perse la cognizione dello spazio, avvicinandosi così ad Agnese e facendo sfiorare le loro mani. Entrambi arrossirono leggermente e lui si schiarì la gola.
«Almeno ho la certezza che non combinerà casini e non si sbronzerà ogni notte», ridacchiò lui; «Si ostina a dire che regge l'alcol alla perfezione, ma al secondo drink è già brillo»
Anche Agnese rise piano, tornando a guardare i due a qualche metro di distanza da loro. In fondo erano davvero carini insieme e con un sussurro diede voce ai suoi pensieri: «Era da tanto che non la vedevo così felice e tranquilla».
 
«Come fai a mangiare crema e cioccolato? Non ti smaga?» domandò Leonardo, porgendo il cono gelato ad Agnese, che ridacchiò e scrollò le spalle.
«Agne è rimasta piccola dentro» la prese in giro Anita, in fila dietro di loro in gelateria.
Quella le fece una linguaccia; «A quanto dicono anche fuori» borbottò a mezza voce, «Grazie» aggiunse poi rivolta al ragazzo, che sorrise.
Sebastiano uscì per ultimo dalla gelateria, leccando il suo cono gelato con aria compiaciuta e «Ce voleva» commentò, affiancando subito Anita. Nonostante l'ora, il clima era tutto fuorché fresco e l'umidità impregnava l'aria rendendola pesante. Si trattava di una di quelle notti afose durante le quali dormire sembrava impossibile, a meno che non fosse il ventilatore a conciliare il sonno.
«In effetti stasera è abbastanza caldo» confermò Anita, per poi mettere in bocca un cucchiaino di gelato al pistacchio. Sebastiano e Leonardo avevano insistito per offrirlo e alla fine erano stati più veloci a depositare i soldi sul piattino della cassa con grande disappunto di Agnese, che stava per rifiutare, ma aveva dovuto accettare per via della calura.
Evidentemente era molta la gente che la pensava come loro e le sedie libere in tutta la proprietà della gelateria si potevano tranquillamente contare sulle dita di una mano. Agnese non si preoccupò di occuparne una, così come Leonardo, lasciando Anita e Sebastiano a litigarsi l'unica rimasta.
Il ragazzo aveva galantemente concesso a lei l'onore di sedersi, ma Anita aveva scrollato il capo e a Sebastiano era venuta un'idea.
«Mi siedo io e tu vieni sulle mie gambe» disse, cercando di trattenere il più possibile il rossore, ma non poté non sorridere quando vide Anita aprire la bocca per dire qualcosa e poi richiuderla.
«Non mordo e tengo le mani a posto» assicurò il ragazzo, facendo ridere sonoramente Agnese.
La bionda sospirò e lentamente si mosse, prendendo posto sulle cosce di Sebastiano, che le circondò la vita con un braccio. Era un sogno per lui averla lì, così incredibilmente vicina, anche se aveva tutti i muscoli in tensione e cercava di non lasciarsi andare. Chissà se aveva paura di pesare troppo, pensò leccando avidamente il suo cono gelato.
Erano nel bel mezzo di una conversazione che verteva sul tema musicale, quando il telefono di Sebastiano cominciò a vibrare sul tavolino e tutti si zittirono. Sul display lampeggiava il nome di "Tommà" e Anita passò l'apparecchio al legittimo proprietario, che rispose con qualche tentennamento.
«Villa, dimme».
«Villa un cazzo» sbottò Elisabetta a voce talmente alta che anche gli altri riuscirono a sentirla; Leonardo mormorò un «Ahia, Villa sbagliato» che fece ridacchiare Agnese.
«Dove siete finiti te e quell'altro coglione di Calicchia?» continuò la ragazza in tono tagliente.
«In gelateria» fu la cauta e vaga risposta di Sebastiano, che non accennò minimamente a far spostare Anita per potersi alzare.
«Non ho la sfera di cristallo, Castelli. Dove siete?» strillò quasi e il ragazzo fu costretto ad allontanare il cellulare dall'orecchio borbottando un "ma li mortacci tua" che scatenò le risa di Agnese, da sempre amante del dialetto di Roma.
La minaccia che Elisabetta gli gridò bastò a fargli morire in gola qualsiasi altra protesta, così le svelò il nome della gelateria e riattaccò.
«La prossima chiamata è la tua, Leo» brontolò, accasciandosi sul braccio di Anita, che gli scompigliò i capelli ridacchiando.
 
Li avrebbero sentiti arrivare a distanza di chilometri, ma il battibecco fra i due fratelli Villa giunse alle loro orecchie quando erano già a cinquanta metri da loro.
«Lasciatemi di nuovo da solo con questa pazza e giuro sul mio pallone da calcio che io vi faccio signorine» sibilò Tommaso, lasciandosi andare sul gradino di accesso alla veranda della gelateria. Elisabetta sbuffò rumorosamente e incrociò le braccia al petto, pronta a ribattere, ma la sua attenzione fu catturata da qualcosa di più interessante di suo fratello. «Ma che, ce stai a prova', Castelli?» ghignò, squadrando la ragazza seduta sulle sue ginocchia e scoppiando a ridere con ben poca grazia.
Anita arrossì e fece per alzarsi, ma Sebastiano le cinse la vita con entrambe le braccia e la tenne ancorata a sé.
«Ma vedi di annartene a fanculo, frigida» ringhiò. Leonardo, Tommaso ed Elia sbarrarono gli occhi, mentre Elisabetta strinse le mani a pugno e fissò Sebastiano con una rabbia tale che Anita rabbrividì.
«Sei un uomo morto» lo minacciò.
«Meglio morto che stronzo».
Quello non era il solito Sebastiano, pensò Leonardo, alternando lo sguardo fra il suo amico e la sorella di Tommaso. Era certo che sarebbe scoppiato il putiferio se Elia non si fosse messo in mezzo con il suo solito sorriso smagliante.
«Chi vuole un gelato? Betta, ti offro una coppa al Baileys!» esclamò, prendendo la ragazza per i fianchi e spingendola dentro il locale, senza però riuscire ad evitare che lei lanciasse un'ultimo sguardo di fuoco a chi aveva avuto il coraggio di risponderle a tono.
«Giochi col fuoco Castelli» ridacchiò Tommaso con palese soddisfazione; «Ti perdono la fuga»
Sebastiano strinse leggermente la presa attorno alla vita di Anita con fare protettivo, senza nemmeno accorgersene. «Ops» fu la sua risposta, accompagnata da un sorrisetto impertinente.
Agnese non riusciva a togliere gli occhi dalle braccia di Sebastiano che incatenavano la sua amica. Sfrontato, lo aveva definito proprio così quando lui le aveva proposto di sedersi sulle sue gambe e poi si era corretta definendo Anita un'ingenua. Si stava lasciando prendere in giro e lei si sarebbe dovuta sorbire mesi di sospiri, lamentele e pianti quando lui avrebbe lasciato Anita per tornarsene a Roma. Se da un lato la rimproverava, dall'altro avrebbe voluto dirne quattro ad Elisabetta per la freddezza e l'aria di superiorità con cui guardava la sua migliore amica. Fu la prima parte di lei ad avere la meglio, impadronendosi della bocca: «Ninì, domani lavori? Forse sarebbe ora di tornare a casa» disse, guadagnandosi un'occhiata incuriosita da parte dell'amica, che aggrottò le sopracciglia e sporse leggermente il labbro inferiore.
«Ancora cinque minuti, Toby» la implorò.
Agnese sospirò e prese a torturarsi le mani, mentre Anita si girava verso Sebastiano, che la guardava dal basso. Non riusciva a sentire cosa si stessero dicendo, ma doveva ammettere che erano davvero teneri insieme. Si voltò verso Leonardo e «Sono carini» bisbigliò.
Lui abbozzò un sorriso. «Te l'ho detto» commentò divertito a voce bassa.
Leonardo non era meno preoccupato di Agnese – o forse sì, era possibile esserlo di più? – ma conoscendo Sebastiano da ormai diversi anni aveva imparato che cercare di impedirgli di fare sciocchezze era impossibile: ce l'aveva scritto nel DNA. Forse Anita sarebbe stata la sua prossima grande sciocchezza, o forse no, ma una cosa era certa: nessuno poteva evitare che succedesse. Si sarebbe affezionato, avrebbe sofferto al momento del ritorno a casa e allora avrebbe capito di aver azzardato troppo; dirglielo in anticipo si sarebbe dimostrato inutile, lui nemmeno avrebbe ascoltato. Sebastiano era fatto così: quando si metteva in testa qualcosa ci si buttava a capofitto, con spontanea precipitosità, andando fino in fondo e sbattendoci il cranio. Forse aveva preso così tante botte in testa che ormai ci aveva fatto il callo. Era un tipo impulsivo, il che lo portava a scottarsi fin troppo spesso; ormai nessuno se ne meravigliava più, forse nemmeno lui.
Periodicamente si presentava dagli amici col muso lungo e l'aria sinceramente affranta per coronare il fallimento della piccola impresa in cui si era cimentato – e poteva trattarsi di una ragazza come di un nuovo pezzo da scrivere o un'iniziativa da mettere in piedi. Allora qualcuno di loro gli offriva la prima birra, qualcuno più tardi la seconda e poi doveva essere Leonardo a rimettere insieme i brandelli della decisione presa per capire cosa fosse andato storto. Leonardo e nessun altro, perché non c'era nessuno al mondo di cui Sebastiano si fidasse di più. A detta sua, Leo era il buon senso che lui era troppo pigro per utilizzare.
Sospirò e distolse lo sguardo dalla coppia seduta davanti a lui. Era stanco di vedere gli altri in dolce compagnia, mentre lui si limitava a sporadici flirt intimiditi, che finivano sempre nel giro di qualche ora. La sua ultima ragazza l'aveva piantato per mettersi con un ragazzo tutto muscoli e niente cervello. Non che continuasse a pensarci, ma da quella volta aveva smesso di provare seriamente ad avere una relazione. Non era capace di fare come Sebastiano: vivere alla giornata, prendere le occasioni al volo e divertirsi.
«Leo, secondo te stasera riesco a rimorchiare?» Il solito Tommaso si inserì nel flusso dei suoi pensieri incasinati.
Lo guardò e scrollò le spalle. «Lo chiedi a me?»
«A chi lo devo chiedere, scusa? A Castelli?»
Agnese ridacchiò, attirando l'attenzione su di sé.
«Agnese! Secondo te Villa rimorchia stanotte?» le domandò Leonardo, sfoggiando un sorriso ironico. La ragazza si strozzò con la propria saliva e cominciò a tossire convulsamente.
«Lo prendo per un no» borbottò Tommaso, passandosi una mano sul viso. «Che ore sono?» Senza nemmeno aspettare la risposta tirò fuori il cellulare dalla tasca ed illuminò lo schermo: «Dite che le quattro e quaranta è un orario da sveltina? Perché ho adocchiato una bella morettina e non vorrei farmela scappare...» Si alzò e si sistemò la maglietta, avviandosi verso un tavolino a cui erano sedute tre ragazze.
«Le cinque meno venti?» mormorò Agnese, passandosi una mano tra i capelli. «Ninì, è proprio ora di andare» disse con voce più alta e ferma.
L'amica drizzò la schiena e abbassò lo sguardo, annuendo lentamente; avrebbe voluto passare ancora tempo con Sebastiano: si sentiva così bene con lui!
«Ci vediamo domani, allora» mormorò, tornando a guardare il ragazzo, che le sorrise incoraggiante e le sistemò i capelli sulla tempia.
«A domani e sogni d'oro». Sciolse la stretta sui suoi fianchi e accolse con una smorfia amareggiata l'aria calda che comunque pungeva la sua pelle come il freddo di dicembre. Le prese un polso e la fece chinare, per poi lasciarle un piccolo bacio sul naso e sorriderle più ampiamente. Gli piaceva troppo farla arrossire, era così bella e spontanea che gli faceva venire una voglia matta di prenderle il viso tra le mani e baciarla.
«A domani» balbettò Anita, sistemandosi la borsa sulla spalla e affiancandosi ad Agnese, già sul marciapiede. Salutarono velocemente tutti e si incamminarono in silenzio verso casa.


Bloop's corner
È incredibile. Quando studio devo spartirmi il PC con i libri, quando non studio con mio fratello - oppure direttamente con il tecnico dell'assistenza. Lamentele a parte (e chi ha la sfortuna di avermi tra gli amici di facebook lo conosce già tutte XD), eccoci qui di nuovo! Oh, sono Mich, già, non l'ho detto. Vi scrivo di fretta un attimo prima di cedere il portatile a mio fratello. 
Ringrazio di cuore la cara Yeli_, che ha recensito anche lo scorso capitolo: sei dolcissima, grazie!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, noi stiamo facendo del nostro meglio. Siamo ancora all'inizio, ma le cose iniziano già a muoversi un pochino - almeno su uno dei due lati della medaglia. 
Cercheremo di velocizzare un po' le cose, d'ora in poi. Con la stesura siamo avanti di cinque capitoli (*coffcoff*) rispetto alla pubblicazione, cosa che anche in caso di intoppi dovrebbe lasciarci un po' di vantaggio. Insomma, non vi do date prestabilite, ma credo proprio di poter dire che d'ora in avanti aggiorneremo più spesso.
Abbiamo notato che i preferiti/seguiti/ricordati aumentano e noi ci ringraziamo tantissimo per la fiducia che ci date!
Non per essere petulante, ma *coffcoff* qualche parere un po' più diretto ci incentiverebbe a scrivere - e, chissà, magari potrebbe anche leggermente deviare la linea della trama verso i vostri suggerimenti. Forse.
Okay, la smetto di tentare di trasmettere messaggi subliminali. Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Cercheremo di tornare presto con il prossimo!
(Eeee sono curiosa: che ne pensate del nuovo arrivato, Davide? E di Leo che prende le parte di Agnese? *^* E di Sebastiano che fa il marpione e allunga le mani? *3* Okay, basta, Mich. Lunga vita ad Elia, l'uomo della mia vita. Okay, ora smetto.)
Buon proseguimento di serata, buon inizio scuola/lezioni per chi inizia, buona fortuna per gli esami di settembre e soprattutto felici ultimi giorni di vacanze!!

Mich

 

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Capitolo 7
*** Giorno quinto ***


-Come ti sconvolgo la vita in tre settimane-
 

6. Giorno quinto


 
 

Studiare sembrava impossibile; tra il caldo, la stanchezza e i bambini che gridavano, Agnese non sapeva più da che parte sbattere la testa. Anita non era ancora arrivata al lavoro, quindi per lei non era ancora iniziata la giornata, visto che Michele non le avrebbe di certo offerto il cappuccino come la sua amica faceva tutte le sante mattine. Sbuffò e si accasciò sul quaderno, trattenendo un gemito di frustrazione.
«Stanca?» domandò qualcuno alle sue spalle e lei si mise a sedere composta, come un soldatino sull'attenti. Si voltò lentamente ed incontrò il sorriso a labbra strette di Leonardo, che poi alzò una mano in segno di saluto.
«Parecchio» sospirò Agnese, rilassando le spalle.
«Prendi qualcosa?» continuò lui, accennando al bar.
In un primo momento fu quasi tentata di ordinare il suo cappuccino del buongiorno, ma poi si rese conto che Leonardo si sarebbe sentito in dovere di pagare per lei e non le piaceva fare la figura della scroccona.
«Aspetto che Ninì venga a lavorare e mi faccia il mio tradizionale cappuccino del buongiorno. E se quella megera non si sbriga giuro che quando la vedo le faccio mangiare i miei appunti».
La risata forte di Leonardo la fece arrossire lievemente, era la prima volta che lo sentiva così tranquillo e a proprio agio.
«Te lo offro io» disse solo.
«Oh no! Non è necessario, aspetto Anita» si affrettò a rispondere, appoggiando la mano sul braccio del ragazzo, che sussultò.
«Anita è già al bar, veramente» confessò.
Agnese sgranò gli occhi e balzò in piedi, correndo poi verso l'interno del locale, dove effettivamente trovò la sua amica intenta a preparare il caffè.
«Di solito si saluta» la apostrofò. La biondina si voltò di scatto e lasciò cadere un bicchiere a terra.
«Volevo farti una sorpresa» si giustificò, poi notò il ragazzo alle spalle dell'amica e sorrise dolcemente. «Buongiorno» lo salutò gentilmente, anche se dentro moriva dalla voglia di chiedergli di Sebastiano.
«Lascia perdere lui e prenditi cura di me» si lagnò Agnese, sventolandole una mano davanti alla faccia: «Urge il mio cappuccino». Anita ridacchiò e anche Leonardo soffiò un sorriso.
«Già che ci sei, potresti prepararne altri cinque?» chiese, avvicinandosi al bancone e prendendo posto sullo sgabello vicino ad Agnese.
«Sei cappuccini?» Anita domandò conferma, guardandosi attorno alla ricerca di chissà cosa, per poi finalmente trovare la macchina del caffè, sempre al solito posto; nonostante ci avesse lasciato scorrere su lo sguardo diverse volte, non l'aveva minimamente vista. Sbuffò piano, dandosi dell'idiota per quel comportamento: aveva dormito poco più di un'ora quella notte e nonostante avesse tentato di nascondere le occhiaie violacee con il trucco, gli effetti destabilizzanti del sonno non erano camuffabili. Si muoveva in maniera insolitamente impacciata, continuava ad incantarsi e a perdere di vista ciò che aveva sotto il naso. Per non parlare delle cose che dimenticava – la sua capacità di concentrazione in quelle situazioni scendeva sotto lo zero. Sarebbe stata una lunga giornata ed era già chiaro. Sognava già il riposino pomeridiano, sempre che servisse a recuperare lucidità – e che riuscisse a farlo.
Si mise dunque al lavoro, cercando di prestare il più possibile attenzione a ciò che faceva. Solo quando pestò i cocci di vetro, si ricordò del piccolo danno appena fatto e si chinò per ripulire, inveendo sotto voce.
«Abbiamo le batterie scariche?» chiese il ragazzo in un sussurro divertito e comprensivo: non aveva idea di come lo avessero convinto i suoi amici a non rifugiarsi in camera dopo aver fatto il dritto.
«Eh, un po'» ammise Anita in un sospiro.
«La prossima volta ci penserai due volte prima di trascinarti in giro fino a quell'ora» borbottò Agnese, legandosi i capelli in una coda spettinata. Leonardo osservò i suoi movimenti frettolosi e impacciati, per poi tornare a vigilare le azioni di Anita.
«Sì, mamma» rispose quella stancamente, forse un po' risentita. Apprezzava la preoccupazione della migliore amica, ma certe volte quel comportamento la contrariava: sapeva badare a se stessa anche da sola. Tanto più che non sembrava proprio non si stesse divertendo la sera precedente.
Qualunque altro commento però fu interrotto dal nevrotico intervento di Michele, che proprio non sopportava quando le cose non filavano rapide e semplici – almeno per colpa di Anita. Cominciò ad agitarsi attorno a lei, sottraendole gli oggetti dalle mani e borbottando furiosamente a proposito dell'irresponsabilità della ragazza, con gran disappunto di Agnese.
Si zittì solo quando Elisabetta fece il proprio ingresso al bar con lo stesso corto prendisole della sera precedente, le gambe all'aria e i capelli deliziosamente spettinati. «Buongiorno!» esclamò, stranamente di buon umore, attirando l'attenzione di metà della popolazione maschile del bar. L'occhiata scettica che le rivolse Leonardo non servì a cacciare la sensazione di Agnese che ci fosse qualcosa di strano: era evidente che lui condividesse il pensiero. La ragazza comunque si avvicinò con un sorriso smagliante al bancone, posizionandosi accanto a Leonardo.
«Mi fai un cappuccino, grazie?» miagolò in direzione del barista, per poi mettere su un'espressione sorpresa alla vista di Anita: «Oh, tesoro – osservò con ostentata gentilezza: – hai dormito poco? Sei uno straccio!»

Leonardo sospirò per l'esasperazione: non si smentiva mai, nemmeno quando sembrava di buon umore. «Carina, Betta, davvero».
«Non volevo offendere nessuno» precisò lei allora, piccata. Lui alzò gli occhi al soffitto e, sapendo che discutere sarebbe stato inutile, cambiò argomento, «L'ho già ordinato io». 
Elisabetta gli sorrise raggiante e gli stampò un bacio sulla guancia, proprio mentre anche il resto della compagnia faceva il suo ingresso.
«Sei un tesoro!»
E, strano ma vero, a rabbuiarsi per quel gesto furono ben due persone.
Il momentaneo disappunto di Anita, motivato dal commento di Elisabetta, fu in fretta scacciato dal sorriso timido indotto dall'occhiolino di Sebastiano. « 'Giorno» mormorò nella sua direzione, dopo essersi scompigliato i capelli, con una voce ruvida e lo sguardo acquoso di uno appena sveglio.
«Ciao» gli rispose, mordendosi il labbro inferiore. C'era qualcosa di tremendamente sexy nella sua aria assonnata e nella sua voce roca.
«Avevamo deciso di fare il dritto, ma qualcuno – Tommaso lanciò un'occhiata truce al biondino; – ha ben pensato di addormentarsi» spiegò piccato. «Per cui offrirà la colazione a tutti» concluse allegramente.
Michele abbozzò un sorriso di cortesia e, ignorando il tentativo di Anita di prendere in mano la situazione, tagliò corto: «Vi porto tutto al tavolo. Volete altro oltre i cappuccini?» ed era palese che non volesse gente tra i piedi: Ninì era già abbastanza stordita.
Così i ragazzi si allontanarono con Elisabetta e gli sguardi delle altre due a seguirli. Ci si poteva affezionare a qualcuno in così poco tempo?
Ormai sulla porta del bar, Sebastiano si bloccò all'improvviso, finendo per essere urtato da Tommaso; ignorò del tutto il suo stizzito «Che cazzo fai?» e si trascinò a passo svelto fino al bancone, lo sguardo inchiodato a quello di Anita. «Quando stacchi?»
Solo Agnese notò l'esasperazione di Michele a quella domanda e alzò gli occhi al cielo, altrettanto infastidita dal comportamento petulante del barista: come se lui non passasse tutti i suoi turni a flirtare con le clienti! 
Anita arrossì leggermente e «Intorno alle tre» rispose, lasciando cadere i cocci che ancora teneva in mano nel sacco della spazzatura.
«Raggiungimi all'ombrellone» la invitò, salvo poi correggersi quando lo sguardo emozionato di Anita corse verso la sua amica: «cioè, raggiungeteci. Entrambe, non... Puoi venire anche tu, ovviamente. Tutte e due»; arrossì a sua volta, imbarazzato ma sorridente.

Anita era fisicamente pronta a raggiungere i ragazzi al loro ombrellone, ma non era psicologicamente preparata a vedere Sebastiano, passare altro tempo con lui, chiacchierare tranquillamente come avevano fatto la notte precedente. Raggiunse Agnese al tavolino dove stava studiando e bussò sul legno del ripiano, facendola sussultare leggermente.
«È ora di andare dal tuo principe azzurro, vero?» domandò retorica, incontrando lo sguardo lucido e allegro della sua amica, che annuì velocemente.
Le faceva tenerezza il modo in cui si emozionava prima di vedere Sebastiano, ma allo stesso tempo la preoccupava: si stava innamorando.
Raccattò i suoi libri e li infilò nella borsa, per poi sospirare e alzarsi. «Andiamo» borbottò, lanciando uno sguardo veloce al collega di Anita, che le guardava truce da dietro il bancone.
«Michi è più acido del solito oggi» commentò non appena ebbero varcato la soglia del bar uscendo sotto il sole cocente del primo pomeriggio. «Almeno quanto mia sorella e... be', conosci Cice» ridacchiò, cercando di cacciare la preoccupazione.
«Cosa?» Anita si era distratta pensando al modo in cui Sebastiano le aveva sorriso quella mattina.
Agnese sbuffò pesantemente e «Lascia stare» tagliò corto. Stava succedendo davvero quello che avrebbe voluto evitare con tutta se stessa.


Era ormai primo pomeriggio e Sebastiano continuava a guardarsi attorno senza sosta, incurante delle continue prese in giro da parte di Tommaso che così facendo scatenava. Era elettrizzato. Aveva l'impressione che le cose stessero andando bene, che stesse facendo una buona impressione e una volta tanto non ne sarebbe uscito con un «sei come un fratello per me» a spezzargli il cuore.
Sì, se ve lo state chiedendo, se ne rendeva conto: stava correndo all'impazzata. Ma aveva una buona sensazione questa volta, si sentiva motivato ed emozionato.
A detta di Leonardo, avrebbe fatto meglio a frenare un pochino: «Non è che tu debba smettere di vederla, ma... Roma è lontana» gli aveva detto quella mattina, quando lo aveva beccato a fantasticare. Tommaso smise di palleggiare sul posto quando Sebastiano chiese per l'ennesima volta l'orario e gli lanciò il pallone da calcio, che lui scansò per un pelo – finì però addosso ad Elia, che protestò a gran voce.
«Castelli, piantala!» abbaiò, infastidito dalla sua irrequietezza.
«Ma che ho fatto?» chiese lui in tono lamentoso e un po' troppo alto, tanto che un paio di anziani signori si voltarono a guardarlo male.
Elisabetta alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo e accavallò le gambe, mentre spostava gli occhiali da sole sulla testa. «Sei un tantino... un rompipalle» osservò con scarso interesse; lasciò scorrere lo sguardo su di lui e poi verso la passerella. «E la tua bella è a ore undici, bionda come sempre e accompagnata dal cagnolino!»
A quelle parole, Sebastiano balzò in piedi e un sorriso smagliante si allargò sul suo viso. «Ehi!» gridò in segno di saluto, agitando un braccio per farsi notare.
Leonardo, invece, si trovò ad arrossire quando la coppia di anziani all'ombrellone accanto cominciò a borbottare furiosamente qualcosa che suonava come «questi giovani screanzati».
«Casinista» berciò Elisabetta, tornando a dedicarsi alla sua lettura, non prima di aver squadrato dalla testa ai piedi le due ragazze che si erano appena riparate all'ombra del loro ombrellone.
«Finalmente siete arrivate, Castelli non la smetteva più di parlare» disse Elia, per poi togliersi la fascia per capelli, agitare la chioma e sorridere apertamente; «Chi viene a nuotare con me?» Guardò prima Tommaso e Leonardo, poi Elisabetta e infine Agnese, che fu l'unica a rispondere al suo sorriso e alzare una mano.
«Ti seguo» disse con voce abbastanza ferma, tanto che Anita si stupì del fatto che fosse riuscita a mettere da parte l'imbarazzo.
«Grande! A dopo, ciurma» esclamò Elia, avviandosi già verso la passerella.
Agnese appoggiò la borsa ai piedi dell'ombrellone e si tolse i pantaloncini e la maglietta, appendendoli agli appositi sostegni insieme ai vestiti dei ragazzi.
Leonardo sgranò gli occhi e arrossì vistosamente, mentre la osservava allontanarsi insieme al suo sorridente migliore amico. Che gli desse fastidio la socievolezza di Elia era ormai noto, ma che rimanesse amareggiato dal fatto che una perfetta sconosciuta andasse a nuotare con lui, be', questa era una novità. Elia riusciva sempre ad attaccare bottone, sorrideva e tutte gli cadevano ai piedi; era capace di instaurare un rapporto immediato con qualunque elemento del gentil sesso, eccetto forse Elisabetta. A lei moriva dietro, e si vedeva, ma la ragazza non si lasciava scalfire dalle sue continue avances; così cercava di farla ingelosire abbordando le turiste in giro per Roma, ex compagne di classe del liceo e, evidentemente, anche Agnese. Non riusciva a non innervosirsi quando lo vedeva sfoderare quelle stupide fossette per far arrossire una ragazza, per poi riuscire già a conquistare la sua fiducia al punto da andare a nuotare insieme.
«Siediti pure» disse Sebastiano, indicando ad Anita la sdraio libera. La ragazza annuì e prese posto accanto a lui, rigida e con la schiena dritta. Agnese l'aveva lasciata sola ed Elisabetta continuava a lanciarle occhiate di fuoco, mettendola terribilmente in soggezione al punto che non si era nemmeno resa conto di essere ancora vestita.
«Nascondi qualcosa sotto quei pantaloncini da bambina?» la punzecchiò immediatamente l'altra ragazza. Sebastiano aggrottò le sopracciglia e sporse il labbro inferiore, assumendo un'aria corrucciata che intenerì Anita.
«Non tutte vanno in giro nude» la riprese Tommaso, alludendo al bikini semitrasparente e decisamente microscopico della sorella, che lo guardò gelida e strinse le labbra.
«Siamo qui per divertirci» ribatté piccata, per poi alzarsi e togliersi gli occhiali da sole; «Io li raggiungo in acqua, almeno Agnese sembra una con cui poter instaurare una conversazione seria». E detto questo si incamminò ancheggiando lungo la passerella.
Sebastiano era fuori di sé, ma l'allontanamento di Elisabetta lo tranquillizzò un pochino, almeno quanto la smorfia imbarazzata di Anita, mentre si sfilava la maglietta del bagno e i pantaloncini fucsia della tuta. Seguì con lo sguardo tutti i movimenti della biondina, per poi arrossire visibilmente quando lei rivelò di indossare un bikini bianco con una succinta mutandina brasiliana.
Leonardo ridacchiò dell'espressione scioccata dell'amico, mentre Tommaso fischiò per dimostrare la sua approvazione.
«Biondina, così ce lo ammazzi il nostro Castelli»; rise forte, scatendando altri borbottii da parte dei vicini di ombrellone e facendo sgranare gli occhi sia a Sebastiano, colto in fallo, sia ad Anita, rossa di vergogna.


«Eccola, eccola!»
L'acqua ancora non arrivava alla vita di Elia, che già lui si era voltato indietro per cercare con lo sguardo quella che definiva la sua anima gemella. «Hai visto?» chiese conferma, sfoggiando un sorrisone tutto fossette. Agnese ridacchiò e annuì; non avrebbe saputo spiegare il motivo della sua confidenza nei confronti di quel ragazzo, ma qualcosa nel suo sguardo e nei suoi modi amichevoli le infondevano fiducia. Di solito diffidava delle persone così forzatamente socievoli, ma guardando negli occhi Elia Bracaglia era impossibile trovare alcun tipo di negatività. Era un tipo spontaneo e ottimista, qualcuno così speciale da far sentire speciale chiunque fosse accanto a lui.
«È gelosa marcia, te lo dico io!» continuava a borbottare, entusiasta.
Quello che Agnese non capiva era come mai Elisabetta non fosse minimamente interessata a lui, nonostante tutti i suoi tentativi di farsi piacere. Quando si rese conto che la ragazza li stava davvero raggiungendo, rabbrividì: «Secondo te cercherà di affogarmi?»
Elia rise e le strizzò l'occhio: il suo buon umore sembrava inattaccabile. «Sai nuotare, no?»
«Sì, ma questo non mi consola» ammise sfoggiando un sorrisetto tirato. Prese un respiro profondo e si preparò: nel migliore dei casi avrebbe retto il moccolo.
«Vuoi aspettarla?»
«Stai scherzando?» Il ragazzo ridacchiò. «Assolutamente no: deve soffrire un po'». Detto questo, alzò le braccia e contemporaneamente si tuffò in avanti, riemergendone subito dopo con una matassa biondiccia di capelli a coprirgli la faccia, mentre sputacchiava acqua tutt'intorno. Agnese rise, mentre lui imprecava e cercava di liberarsi da quell'impiccio. Lei camminò ancora un po', poi si immerse con un tuffo, riemergendo qualche metro più lontano. Non c'era niente che la rilassasse quanto nuotare e sentire l'acqua scorrere sul proprio corpo. Non riusciva mai a trovare il tempo per farsi una nuotata, anche perché Anita non l'accompagnava mai, ma l'aspettava a riva.
«Dev'essere strano per voi avere il mare sempre a portata di mano e dover lavorare tutta l'estate» mormorò il ragazzo, schizzandole un po' di acqua salata.
Lei gli fece una linguaccia e si riparò immergendosi nuovamente. Una, due, tre bracciate a rana e poi riemerse sputacchiando acqua a sua volta, con grande divertimento dell'altro, che si stava avvicinando velocemente. «Sei brava!» commentò con un pizzico di sorpresa: era sempre così impacciata che sembrava impossibile potesse rivelarsi a suo agio in alcun luogo.
Agnese ridacchiò, agitando le gambe per rimanere a galla: al contrario del ragazzo non toccava già più il fondo. «Ci siamo cresciute, in acqua, anche se Ninì non si allontana mai troppo dalla riva».
«E tu sì, cuore impavido?» la canzonò il ragazzo, che ottenne un imbarazzato «Non da sola» come risposta.
Elia sorrise, rendendosi conto dell'implicita dichiarazione di fiducia celata in quelle parole; poi controllò la distanza che li separava da Elisabetta, che stava inumidendosi il corpo con le mani, l'acqua ancora al polpaccio. Sogghignò, dunque e: «Resisti fino alla piattaforma?» domandò, per poi partire senza aspettare risposta.


La risata di Anita era quasi più contagiosa di quella di Sebastiano, per questo Leonardo e Tommaso non riuscivano a togliersi il sorriso dalla faccia. Sebastiano stava raccontando alla ragazza, sdraiata accanto a lui sul lettino, della loro avventurosa vacanza a Londra, quando Elia si era perso da Harrods ed Elisabetta lo aveva fatto chiamare dalle cassiere. Anita si tappava la bocca con una mano per evitare di ridere troppo forte, ma la cosa le riusciva abbastanza difficile perché Sebastiano si stava impegnando per farla ridere con parole in dialetto che lei nemmeno capiva. Stava bene, si sentiva leggera e spensierata e il fatto che lui le tenesse un braccio intorno alle spalle non la infastidiva né la imbarazzava minimamente.
Dal canto proprio Sebastiano non stava più nella pelle per la gioia. Rideva, parlava forte per via dell'enfasi, imitava i suoi amici e si beava della risata di Anita. Non si curava del sole che gli scottava la pelle e irritava gli occhi chiari anche attraverso gli occhiali, né degli sguardi di intesa che si scambiavano i suoi amici, i quali non sembravano intenzionati a togliere il disturbo e lasciarli finalmente soli. Voleva tenerla tutta per sé, Sebastiano, condividere con lei se stesso, farsi conoscere. Ci si stava tuffando a capofitto, in quella nuova... cosa? Cotta? Fiamma? Con tutto questo pensare al calore iniziava a sentirsi soffocare. Si sporse verso il sostegno dell'ombrellone e afferrò una bottiglia d'acqua. Lo sguardo di Tommaso si illuminò non appena gli si presentò quell'occasione di prendersi gioco di Sebastiano Castelli: nemmeno a dirlo, infatti, nel momento stesso in cui lui portò le labbra alla bottiglia, l'altro spinse il fondo verso l'alto, rovesciandogli addosso parte del contenuto. Sebastiano saltò in piedi ad occhi e braccia spalancati; accolse quello scherzo con un chiassoso «ma li mortacci!» e concluse agitando il contenitore aperto in direzione di Tommaso, sparandogli contro un fiotto d'acqua frizzante. Inutile dire che quest'ultimo non risparmiò gli improperi di protesta.
Anita stava per cadere dal lettino dal troppo ridere e solo quando notò lo sguardo truce di Tommaso cercò di limitarsi mordendosi il labbro. Il modo in cui la guardava Sebastiano, invece, le fece andare in fiamme i polmoni; lo vide scattare verso di lei e afferrarle le mani, per poi tirarsela contro il petto.
«Sei tutto bagnato!» gridò tra le risate, dimenandosi senza troppa convinzione; sentiva gli addominali andarle in fiamme, mentre l'acqua ghiacciata che bagnava il costume di Sebastiano le inumidiva la pelle. Nonostante tutto non si sarebbe mai voluta sottrarre a quella dolce tortura: ignorava lo sguardo sorpreso degli amici del ragazzo e quelli severi dei vicini di ombrellone.
«Intraprendente!» commentò sotto voce Tommaso, ammiccando a Leonardo.
Quello rise e scrollò le spalle. Se Castelli avesse stretto a sé Anita con malizia, a quel punto sarebbe stato paonazzo in volto – e non per via del sole – e probabilmente, vista la sua fortuna, avrebbe avuto una cinquina stampata in faccia. No, Castelli era spontaneo e ingenuo: ecco come conquistava la simpatia di tutti. Lasciò distrattamente scorrere via lo sguardo, dirigendolo verso l'acqua. Di Elisabetta a riva non c'era più traccia da un po' e di Elia e Agnese non si riconoscevano più le sagome in lontananza. Rabbrividì, pensando che avrebbero potuto essere ovunque. Non gli piaceva il mare, riteneva incosciente da parte di chiunque allontanarsi tanto senza alcun sostegno – un canotto, un moscone, un cane, qualunque cosa. Sospirò piano e tornò a concentrarsi sul bisticcio in atto tra i suoi amici.
«Sei un coglione!»
«Hai iniziato tu!»
«Mi hai lavato!»
«Be', ogni tanto bisogna farlo».
«Ma li mortacci tua...»
«E de tu' nonno!»
Non c'era niente che avrebbe potuto rovinare la giornata di Sebastiano, tranne Michele. Anita lo vide avvicinarsi svelto all'ombrellone e chiuse gli occhi per un istante, poi quando li riaprì lo trovò a pochi passi da lei.
«Ho bisogno di una mano al bar, c'è un casino di gente e Francesca ancora non si è fatta vedere» le disse gesticolando in fretta.
«Oh ma andiamo, Mick», sbuffò pesantemente, «Ho appena smontato!», lo guardò implorante, ma lui allargò le braccia e sospirò. «Arrivo» esalò lei, passandosi una mano tra i capelli e voltandosi a recuperare i vestiti. Si girò verso Sebastiano e lo guardò dispiaciuta, lui ricambiò con un sorriso a labbra strette e non le tolse gli occhi di dosso finché non dovette salutarla. Alzò una mano e si guardò i piedi affondati nella sabbia.
«Più tardi passo a prendere una birra, magari» mormorò.
Anita annuì e sbuffò. «Ti aspetto». Seguì Michele lungo la passerella e andò a prendere posto dietro il bancone.
«Non ti facevo una così ingenua» le disse il ragazzo, passandole un vassoio di tazze sporche. Anita non rispose, gli occhi bassi e le labbra serrate. Si stava comportando da ingenua? Forse. Eppure non poteva farne a meno: erano anni che non si sentiva con qualcuno come con Sebastiano, o forse non era mai successo. Con lui era tutto semplice e spontaneo, non sembrava esserci bisogno di pesare le parole o i gesti. Avrebbe forse dovuto rinunciare a quell'opportunità?


Sebastiano si lasciò cadere di mala grazia sul lettino lasciato vuoto da Anita, sospirando pesantemente. «Che stronzo» commentò, e Tommaso si chiese se si riferisse al barista o a se stesso.
«Non è andata lontano» osservò tiepidamente, mentre già il suo sguardo saettava tutto attorno alla ricerca di una nuova distrazione – un po' per sé e un po' per lui. L'unica risposta che ottenne fu uno sbuffo contrariato. Tommaso roteò gli occhi e fece per dire qualcosa, ma le inconfondibili imprecazioni di Elisabetta attirarono la sua attenzione; si voltò di scatto e la trovò a borbottare stizzosamente tra le braccia di Elia, che la sorreggeva portandola verso l'ombrellone, mentre Agnese li seguiva mormorando frasi sconnesse, lo sguardo basso e disorientato.
«Che succede?» domandò alzandosi in piedi, suo malgrado, per l'apprensione. Se si faceva portare in braccio come minimo sua sorella doveva essersi distorta qualcosa.
La risposta che giunse fu invece piuttosto inaspettata: «Quella troia mi ha morso!» 
E a Tommaso venne automatico guardare Agnese ad occhi sgranati, ma il chiarimento giunse molto più sensato: «Ad agosto è pieno di meduse» spiegò infatti la ragazza, sistemandosi i capelli bagnati, un attimo prima di fiondarsi verso la propria borsa alla ricerca di un asciugamano. Si guardò un po' intorno; c'era qualcosa di strano ma non riusciva a capire cosa, poi alla fine guardò Sebastiano.
«Anita dov'è?» domandò, ma lo sbuffo pesante del ragazzo le fece capire che non fosse la domanda –o la persona – più adatta per ricevere una risposta.
Così, mentre Elia raccontava come, nemmeno a metà strada per la piattaforma, erano dovuti tornare indietro a soccorrere Betta, lei spostò lo sguardo su Leonardo, che già la stava guardando. Si coprì meglio col telo, quindi, prima di ripetere un imbarazzato: «Ninì?»
Con una sola frase lui le tolse ogni dubbio, lasciandola a brancolare nel panico: e ora cosa avrebbe dovuto fare? Andarsene? Era combattuta e non aveva davvero la più pallida idea di cosa fare, continuava a guardarsi intorno e dondolare sul posto.
«Puoi rimanere anche se la tua amica non c'è» le disse Leonardo, facendola voltare di scatto. Le sorrise lievemente e le fece spazio sul suo telo, invitandola a sedersi con un cenno del capo. Agnese annuì e andò a prendere posto accanto a lui, così da lasciare il lettino libero per Elia ed Elisabetta.
«Cosa ci va messo su una puntura di medusa?» le domandò Tommaso, evidentemente preoccupato per la sorella.
«Sono certa che Ninì lo sappia meglio di me» rispose, guardando poi Sebastiano, che a sentire nominare la ragazza si era risvegliato dalla catalessi in cui era sprofondato.
«Vado io!» esclamò velocemente, come se temesse che qualcuno potesse rubargli quel compito.
Agnese ridacchiò, mentre Leonardo soffiava un sorriso e si posizionava meglio sul telo, stendendo un braccio dietro la schiena della ragazza.
Sebastiano corse fino al bar e Anita lo fissò stralunata quando se lo trovò davanti, trafelato e di fretta.
«Elisabetta ha morso una medusa!» le disse concitato; «Volevo dire: una medusa ha punto Elisabetta», rise forte e si grattò la nuca, mentre Anita sorrideva e si mordeva il labbro inferiore per non ridergli in faccia, «Vado a prendere le cose per medicarla, arrivo all'ombrellone».
Con grande disappunto di Michele, Anita prese il kit del pronto soccorso da sotto il bancone ed uscì dal locale.
«Stai sprecando un po' troppo tempo con quei casinisti del sud» la riprese, ma lei si slacciò il grembiule e lo appoggiò su uno sgabello.
«E tu stai sprecando troppo tempo a rompere le scatole» rispose gelida, continuando per la propria strada.

«È arrivata la crocerossina!» borbottò Elisabetta poco dopo, vedendola avvicinarsi a loro insieme a Sebastiano.
«Piantala di lamentarti, viene ad aiutare te» la zittì Leonardo, conquistando la muta approvazione di Agnese.
«Ci vuole l'ammoniaca» si presentò Anita, appoggiando la scatola sul lettino e aprendola, «Sei allergica?». Guardò Elisabetta in attesa di risposta, ma quella si limitò a storcere il naso.
«L'ammoniaca puzza» sputò con acidità, facendo sussultare la biondina.
«Purtroppo è l'unica cosa che davvero serve sulle punture di medusa» mormorò a occhi bassi.
La ragazza continuò a borbottare sottovoce, mentre Anita le bagnava la bruciatura con gesti rapidi ed esperti, sotto il suo sguardo glaciale.
Alla risatina spensierata di Sebastiano, Elisabetta rizzò le spalle, mettendosi sull'attenti: se lo sentiva, la stronzata del secolo sarebbe arrivata da un momento all'altro. Castelli era così... prevedibile.
«C'è sempre chi sta peggio» commentò lui infatti, scrollando le spalle con aria tranquilla e un sorrisetto vittorioso probabilmente dovuto al riavere la sua biondina tra loro.
Betta sapeva che dandogli corda non avrebbe fatto altro che correre incontro alla battutaccia, ma lo fece comunque - ufficialmente per dargli una piccola soddisfazione, in realtà perché la sua curiosità era inarginabile. «Tipo?»
Lui non rispose subito, ma si limitò a ridacchiare e guardare Leonardo, il quale capì al volo: «Pensa a quella povera medusa».
«Chissà quanto je brucia» concluse Sebastiano, per poi scoppiare in una delle sue solite risate chiassose.
Elisabetta si alzò in piedi per rincorrerlo, ma così facendo fece sbilanciare Anita, che cadde a sedere sulla sabbia e si rovesciò addosso l'ammoniaca. Agnese trattenne il fiato per qualche istante, poi vide la sua amica scattare e spogliarsi dei vestiti impregnati; ricordò solo in quel momento di come la pelle della bionda reagisse al contatto con quel liquido, così le si avvicinò e le avvolse l'asciugamano intorno al corpo.
«Grazie» mormorò, asciugandosi accuratamente, gli occhi bassi e le guance rosse.
Sebastiano era rimasto immobile a guardarla, prendendosi lo scappellotto di Elisabetta senza nemmeno protestare. Cosa era successo di preciso?
«Tutto okay?» Fece un passo verso Anita e cercò il suo sguardo.
Lei annuì e sorrise debolmente. «Sono allergica all'ammoniaca» disse con una stretta di spalle. Impiegò qualche istante Sebastiano a metabolizzare la risposta; a quel punto lanciò un'occhiataccia all'amica e «Bella mossa» commentò con una smorfia contrariata.
«Ehi, mica l'ho fatto apposta!» protestò lei, incrociando le braccia, offesa.
«Non è successo niente, dai» farfugliò Anita e appoggiò una mano sul braccio di Sebastiano, sorridendogli dolcemente.
Lui le sorrise; «Devi lavarti?»


«Non l'ho fatto apposta» stava ripetendo per l'ennesima volta Elisabetta, seduta a gambe e braccia incrociate sull'unico lettino libero. Agnese aveva il dubbio che si sentisse in colpa, ma probabilmente non l'avrebbe mai ammesso.
Leonardo sospirò. «Betta, è okay» disse in tono implorante, sottolineando l'ultima parola con una smorfia esasperata.
«Ma non l'ho fatto apposta» continuò lei, immergendosi poi in un lunghissimo elenco di motivazioni stizzite sul perché la colpa non fosse esattamente sua. Leonardo sbuffò, Tommaso sbuffò, Agnese ed Elia ridacchiarono.
Sebastiano ed Anita si erano allontanati perché lui era «sicurosicurosicuro» che fosse necessario che lei si lavasse e mangiasse un gelato - offerto da lui, ovviamente.
Agnese era rimasta lì, contro ogni aspettativa, persino sua. Avrebbe volentieri seguito la sua migliore amica, ma aveva avuto l'impressione che volesse trascorrere un po' di tempo con la sua nuova fiamma. E tutto sommato, doveva ammetterlo, la compagnia di quei ragazzi non le dispiaceva affatto.
«Secondo te la smetterà mai di ripeterlo?» domandò Leonardo avvicinandosi all'orecchio di Agnese, che saltò sul posto per la sorpresa, facendolo ridacchiare.
«Secondo me smette appena torna Ninì» bisbigliò lei in risposta, controllando con la coda dell'occhio Elisabetta.
Leonardo si grattò la guancia coperta da un sottile velo di barba e fece schioccare la lingua sul palato. Agnese si trovò ad arrossire: non si era resa conto di essere così vicina a lui e così dannatamente attratta. Si prese qualche istante per osservare il viso di Leonardo, il naso appuntito, le labbra leggermente carnose, le ciglia lunghe e gli occhi seri. Aveva tutte le caratteristiche che lei cercava in un ragazzo, compresa la barba.
Quello studio dettagliato non passò inosservato a Tommaso, che però fu abbastanza discreto da limitarsi a distogliere lo sguardo con un sogghigno divertito.
«Betta, basta» la zittì poi, carico di una nuova energia; «un medico non può essere così rompipalle».


Sebastiano continuava a guardarsi intorno reggendo il telo di Anita, che si stava sciacquando sotto il getto della doccia dietro al bar; lui cercava in tutti i modi di non guardarla, anche se avrebbe volentieri mandato a quel paese la discrezione e l'avrebbe studiata in ogni dettaglio. Era bella e gli faceva sempre uno strano effetto anche quando indossava la maglietta informe con il logo del bagno e il grembiule, figurarsi averla lì, con quel costumino bianco. Sospirò pesantemente e si accorse che lei lo stava guardando, così si voltò e le sorrise, avvolgendole il telo intorno alle spalle.
«Va meglio ora?» le domandò a voce bassa, allontanandosi di un passo e piegando la testa di lato. Anita arrossì e annuì velocemente, frizionandosi i capelli con un angolo dell'asciugamano.
«Sbaglio o volevi offrirmi un gelato?»
E Sebastiano non era un tipo che si rimangiava la parola, ecco perché un paio di minuti dopo erano al bar del bagno accanto, dove Michele non avrebbe potuto scovarli, leccando rispettivamente due ghiaccioli, perché lui non aveva trovato che due euro nella tasca del costume.
«È imbarazzante. Mi spiace, pensavo di avere il portafogli e invece...» ridacchiò, scompigliandosi i capelli, «Mai una giusta, Seba» borbottò tra sé e sé.
Anita ridacchiò, «Davvero, va benissimo così, grazie» gli assicurò, per poi aggiungere in tono ironico: «avevo proprio voglia di ghiaccio colorato e zuccherato»; detto ciò gli strizzò l'occhio con fare complice e il ragazzo rise, ancora un po' a disagio.
«È sempre così cagacazzo quel tizio?» domandò dopo qualche istante, appoggiandosi ad uno dei tavolini liberi del bar.
Lei inarcò le sopracciglia e «Chi?» domandò sinceramente confusa.
Sebastiano accennò con la testa al Bagno Girasole e «Il tizio» rispose soltanto, come se non ne conoscesse fin troppo bene il nome.
Fu il turno della ragazza di scrollare le spalle. «Agosto è un periodaccio per tutti» cercò di giustificarlo, ma dovette convenire che «Però lo è», e ridacchiò assieme a lui.
«Per me non è un brutto periodo» si sentì però in dovere di specificare Sebastiano, regalandole un sorriso luminoso dei suoi.
Anita arrossì, pensando che quell'agosto in particolare non se la stava passando male nemmeno lei, grazie a lui. Si sentiva rinvigorita e piena di speranze, nonostante la notte insonne e la mattinata di lavoro che le pesavano sulle palpebre. Era stato Sebastiano a sottrarla ad ulteriore stress, forse con un pizzico d'aiuto da parte della medusa – be', di entrambe le meduse.
«Torniamo dagli altri?» propose Anita contro voglia. Sebastiano annuì lentamente e le circondò le spalle con un braccio, conducendola lungo la passerella per tornare all'ombrellone dalla riva, senza passare quindi dal bar.


«Guarda che mi sa che non hai capito lo scopo del gioco: devi fregare!» stava dicendo Elisabetta ad Agnese in tono tutt'altro che paziente.
Tutta la compagnia era seduta in cerchio sulla sabbia, con più carte nel mucchio al centro che non in mano.
«Ma lasciala fare!» replicò Tommaso divertito: non capitava spesso che qualcuno battesse sua sorella ad un qualunque gioco, ma quando succedeva lui si divertiva come non mai.
Era stata Elisabetta a proporre di giocare a "Dubito", essendo particolarmente abile nel leggere le mosse degli altri e conoscendo fin troppo bene le tecniche e le espressioni di bluff. Certo, non si aspettava di venire schiacciata dall'eccessiva onestà di Agnese: aveva incassato il carico ben tre volte, nel tentativo di coglierla in fallo.
«Sì, ma... non so mentire» mormorò quella a mo' di giustificazione, mentre già il suo sguardo correva verso le figure bionde in arrivo, in cerca di aiuto.
Betta scoppiò a ridere; «Ma sentitela, la santarellina!» commentò con una punta di sarcasmo nella voce. «Avanti, gioca, tocca a te».
Agnese annuì e ci pensò un po' su, per poi piazzare un mazzetto di carte in cima alle altre. «Cinque assi» balbettò con poca convinzione.
L'altra sogghignò: «Dubito» affermò con sicurezza, per poi imprecare nello scoprire che aveva di nuovo detto la verità.
«Ti esecro» sputò, raccogliendo tutto il mucchio di carte scartate, tra le risate generali.
«Parla come mangi, Betta» la prese in giro Elia, sventolandosi con il ventaglio di carte che teneva in mano.
«Sto a schiuma’ de caldo» si lamentò Tommaso. «E guardate chi sta tornando», ammiccò a Sebastiano e Anita, che si sedettero sul lettino alle spalle di Elia e Agnese, le braccia a sfiorarsi e il sorriso sulle labbra.
«Bentornati, fuggitivi» li salutò Agnese ridacchiando e facendo sorridere anche Leonardo, che non riusciva a non trovare divertente l'espressione ebete di Castelli.
Sebastiano accennò un saluto col capo all'amico e posò gli avambracci alle ginocchia, sporgendosi in avanti.
«Chi vince?» domandò, facendo saettare lo sguardo tra una mano di carte e l'altra.
«Non Betta» commentò Leonardo divertito e velatamente compiaciuto. La ragazza in questione lo fulminò con lo sguardo: «La santarellina non sa giocare a Dubito e ha una fortuna sfacciata» disse con altezzosità, mentre sistemava tutte le carte ottenute nella mano. Agnese arrossì e si morse il labbro inferiore per non ridere, un po' intimorita da lei, nonostante il divertimento.
«Ognuno ha la sua tecnica» la difese Elia strizzandole l'occhio, per poi intimare a Elisabetta la mossa successiva. Leonardo roteò gli occhi a quell'ennesima presa di posizione in favore della nuova amica, non meno infastidito di Betta.
«Possiamo giocare?» domandò timidamente Anita; proposta che la signorina Villa accettò di buon grado con un «Sì, dai, vediamo a che punto si spingerà la fortuna del principiante», scacciando in fretta l'irritazione per lasciare spazio alla competitività. Sebastiano si grattò la nuca, sorpreso che Anita volesse giocare a carte, però non si fece pregare e prese posto vicino a lei nel cerchio di amici, così da averla almeno accanto. Le sorrise a labbra strette e guardò Elisabetta, che ri-distribuiva le carte con una smorfia arrogante stampata in viso.
Quando fu il turno di Anita, Elisabetta era già pronta a dubitare della mossa e a costringere la biondina a prendersi tutte le carte in tavola. Aveva spostato il suo bersaglio da una ragazza all'altra, solo perché ancora non aveva capito come funzionasse Agnese che alternava timidezza alla ridarella e seguiva la sua amichetta barista ovunque andasse.
«Dubito!» gridò senza aspettare neanche un secondo dalla dichiarazione di Anita, che scrollò le spalle e sporse il labbro inferiore. Elisabetta stava già esultando dentro e fuori, ma poi Leonardo girò le carte buttate dalla ragazza e la castana si lasciò andare ad una sfilza di insulti e commenti sulla "fortuna del dilettante"; Anita aveva provato a dirle che aveva passato estati su estati a giocare a carte con i suoi amici e che quindi non era esattamente una dilettante, ma non era stata ascoltata. Per quanto riguardava Agnese, beh, lei era difficile da battere perché era impensabile che dicesse sempre la verità e riusciva sempre a fregare chi si accaniva su di lei.
Fu solo dopo tre sconfitte più o meno schiaccianti – di cui una sola inflitta da Agnese – che Elisabetta gettò tutte le carte sulla sabbia e si alzò in piedi sbuffando.
«Vado a farmi un bagno» proclamò, stiracchiandosi con aria annoiata. «Nemmeno i vecchi giocano a carte così tanto». Tra le risate di tutti i presenti Leonardo trovò il coraggio di fare una proposta.
«Che ne dite se una di queste sere ci troviamo in spiaggia a suonare?»
Lo sguardo sorpreso di Sebastiano non bastò a farlo desistere.
«Agnese è una fan dei Calzini Spaiati, no?», le sorrise nella speranza che lei accogliesse il suo appello.
«Per me sarebbe un onore assistere ad una vostra performance dal vivo» rispose, ridacchiando e guardando di sottecchi Leonardo. Aveva avuto un'idea carina e doveva ammettere che l'idea di passare un'altra serata con loro non le dispiaceva.
Ci fu qualche momento di attesa durante il quale Elisabetta fece una smorfia, poi diede il suo consenso. A nome di tutti, ovviamente: «Ma sì, movimentiamo un po' questo mortorio» proclamò, già in piedi sulla passerella, in attesa che qualcuno –per la precisione Elia – la seguisse a riva. Ma nessuno si alzò.
«Sì, facciamolo!» esclamò invece il riccio con entusiasmo, battendo le mani, «Eh, Tommi, che dici?»
Tommaso ci pensò su solo un istante, poi scrollò le spalle.
«Magari è la volta buona che rimorchio!»
«Ed è un sì! Ora mettete fuori tutti i numeri di telefono: giunti al concerto privato siamo ufficialmente amici!»

 
Bloop's corner
Buon pomeriggio a tutti! Qui è Mari che vi parla :)
Com'è andata la ripresa della scuola/università? Avete ripreso il ritmo oppure vorreste essere ancora in vacanza? Io ancora non ho iniziato le lezioni, ma sono in sessione d'esame, invece Mich ha cominciato! :D 
I nostri protagonisti invece sono ancora sotto l'ombrellone a godersi il mare di agosto e le nuove conoscenze! Beati loro, eh? Che ne pensate di questo nuovo capitolo? Leonardo comincia a guardarsi intorno e Agnese ad uscire dal suo guscio, mentre le due compagnie passano sempre più tempo insieme...cosa succederà nei prossimi capitoli? Siete curiosi di saperlo? C'è qualcosa che vorreste succedesse? Siamo curiose di sapere le vostre impressioni, le vostre idee, i vostri consigli, in modo da aiutarci a migliorare o a correggere il tiro! :)
Intanto ringrazio tutti voi che siete arrivati fino a qui :)

A presto
Mari


 

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Capitolo 8
*** Giorno sesto ***



- Come ti sconvolgo la vita in tre settimane -
 
7. Giorno sesto

 

Quando la mattina seguente Anita vide passare Sebastiano dal bar con la custodia della chitarra in spalla, per poco non lasciò cadere l'ennesimo bicchiere in pochi giorni. Era mai possibile che proprio lui tra tutti suonasse lo strumento che la mandava in brodo di giuggiole? Ovviamente sì.
Aveva trascorso tutta la sera precedente a guardare le migliori cover dei Calzini Spaiati, suggeritele da Agnese tramite la chat di facebook, in preparazione del piccolo concerto privato a cui avrebbero assistito quella sera stessa.
In un primo momento, la sua amica era sembrata decisamente la più entusiasta delle due all'idea di sentirli suonare, ma fin da quando aveva visto il primo video, anche Anita si era fatta un'idea di ciò che la aspettava. Solo che alla chitarra non aveva proprio pensato.
«Perché non me l'hai detto?» sussurrò ad Agnese quando si presentò per il solito cappuccino del buongiorno, prima ancora di salutare.
«Che cosa?»
«Che Sebastiano suona...»
«La chitarra? Sorpresa!»
La ragazza ridacchiò: aveva accuratamente scelto solo i video registrati in studio per evitare che la sua amica si incantasse a guardare il biondino anziché ascoltare le canzoni, le confessò con un sorrisetto divertito.
«Sei una stronzetta» decretò l'altra, facendola ridere.
«Guarda il lato positivo, Ninì: questa sera lo vedi all'opera dal vivo e in anteprima!»
E, sì, okay, questo era vero, ma Anita avrebbe preferito potersi preparare psicologicamente in anticipo. Il fatto era che aveva sempre avuto un debole per i chitarristi, poteva addirittura essere paragonato al debole che aveva per Sebastiano. La combo che si sarebbe trovata davanti quella sera, ne era certa, avrebbe mandato in fumo qualsiasi suo tentativo di mantenere il controllo della situazione. Sospirò pesantemente e tornò a svolgere il proprio lavoro, nella vana speranza di non pensare, ma con la consapevolezza che non avrebbe fatto altro che immaginarsi quello che sarebbe successo di lì a qualche ora.
 
*
 
Sebastiano era incontenibile. Continuava a spostare la custodia con la chitarra da un posto all'altro, sfogliava il quaderno con i testi e gli spartiti delle canzoni, suggeriva scalette e chiedeva consigli.
Leonardo pazientemente rispondeva alle sue richieste, mentre Tommaso distribuiva battutine sarcastiche ed Elisabetta metteva in mostra la nuova abbronzatura rigirandosi sul lettino. Elia, come suo solito, partecipava un po' a tutte le operazioni e stringeva amicizia con gli anziani e irritabili vicini di ombrellone – questo perché a prescindere da sesso, età ed etnia, Elia Bracaglia avrebbe conquistato sempre il cuore di chiunque. Be', eccetto quello di Elisabetta Villa.
Contemporaneamente, a pochi metri dal bagno Girasole, Agnese rassettava le camere del bed and breakfast cercando di convincere sua sorella della totale dignità del loro lavoretto estivo; per poi tornare sul terrazzetto del bar a studiare gli appunti di sociologia.
Più la sera si avvicinava, però, più le menti di almeno quattro di loro si offuscavano per l'agitazione. E nonostante le pagine lette e rilette troppe volte, le sberle sulla nuca e i frontini, nonostante i gavettoni e i bicchieri rovesciati, il momento dell'incontro giunse in fretta.
Sebbene Agnese avesse tentato di placare l'euforia di Anita, la biondina continuava a parlare a macchinetta, mentre scendevano lungo la passerella con i cabaret di piadina farcita. Avevano allestito tutto a riva, con i teli sulla sabbia disposti in modo da riuscire a vedersi e assistere al meglio al piccolo concerto che si sarebbe svolto.
A meno di dieci metri dai ragazzi Anita smise all'istante di parlare, tornando a lasciarsi mangiare dai dubbi sul vestito che aveva scelto di indossare. Forse era esagerato per quell'occasione, ma proprio non aveva resistito alla tentazione di mettersi quel mini abito di pizzo bianco a fascia che le lasciava una porzione di schiena nuda e metteva in risalto la sua abbronzatura leggera. Agnese aveva speso almeno tutto il tempo che avevano passato al chiosco della piadina a rassicurare l'amica, ma evidentemente non era stato sufficiente.
Ci fu un breve momento di panico, durante il quale Agnese rallentò per cedere il passo all'altra, perché camminasse davanti a lei, mentre Anita aveva avuto la stessa idea. Si fermarono entrambe, quindi, sulla passerella, per poi guardarsi confuse e ripartire insieme qualche istante dopo. Fu quel breve impiccio che rincuorò Leonardo, che assieme agli altri le guardava avvicinarsi: il nervosismo sembrava essere condiviso.
Quindi, «Ehi!» salutò subito Elia, quando ancora le ragazze non erano poi così vicine.
Anita salutò con una mano, reggendo il vassoio con l'altra, e Agnese abbozzò un sorriso timido in risposta, concentrata nel tentativo di non inciampare e far cadere nulla.
Li raggiunsero che Sebastiano già abbracciava la chitarra accuratamente accordata, mentre Elisabetta lanciava occhiate interessate da sopra gli occhiali da sole ad un paio di ragazzi che facevano jogging a riva.
«Ci uniamo a loro, Seba?» domandò Elia in tono divertito, facendo ridere Leonardo ed Anita, mentre il diretto interessato borbottava scuse impacciate. E fu questo a rompere il ghiaccio; un attimo dopo Agnese era seduta accanto a Tommaso, ed Anita, al suo fianco, proprio di fronte al biondino, apriva gli involucri offrendo piadina a tutti i presenti.
Il sole si apprestava a calare dietro la sagoma del bagno Girasole, ma la luce ancora non accennava ad oscurarsi, proiettando invece magici colori sulla superficie dell'acqua e sul cielo sovrastante.
Elisabetta guardava con sospetto quelle due ragazze venute dal mare a fregarle la compagnia di Elia e degli altri componenti del suo gruppo. Sbuffò e afferrò con stizza uno spicchio di piadina con il prosciutto, attirando l'attenzione di Tommaso, che la guardò male.
«Non cominciare a lamentarti, Betta» la riprese con un ghigno.
«Tranquillo, non ti ruberò la scena» replicò lei con falso disinteresse. Le sarebbe piaciuto che suo fratello ogni tanto si schierasse dalla sua parte, ma nell'ultimo periodo sembrava impossibile anche solo convivere pacificamente. Non c'era niente che andasse nel verso giusto. Sospirò piano, quindi, allungando le gambe in avanti, proprio sotto il naso di Elia, che le rivolse appena un'occhiata, per poi parlare alle nuove venute, con un pizzico di disappunto di Sebastiano e Leonardo: «Allora, siete pronte per sentire i Calzini Spaiati all'opera? Questa sera non abbiamo i calzini, ma Tommi ha comprato un sacco di birra!»
«C'è anche qualche bibita analcolica per le brave ragazze» si premurò di specificare l'interpellato, dispensando sorrisi amichevoli. Sembrava di buon umore.
Agnese ridacchiò, sapendo di essere stata tirata in causa, e ringraziò a mezza voce.
«Stasera è d'obbligo divertirsi!» gridò poi il ricciolino, lasciandosi così coinvolgere in un battibecco sulle buone maniere dai fratelli Villa.
L'unico a non aver ancora aperto bocca era proprio Sebastiano; aveva lo stomaco chiuso e le dita che pizzicavano dalla voglia di sfiorare le corde della chitarra per rilassarsi, finalmente, facendo ciò che gli riusciva meglio. Ma allo stesso tempo non sembrava essere in grado di togliere gli occhi di dosso ad Anita, quella sera davvero bellissima nel vestito bianco. Cosa avrebbe pensato di lui? Le sarebbe piaciuto lo spettacolo? E lui avrebbe sbagliato gli accordi, stonato, dimenticato le parole delle canzoni?
Anita cercava di non guardare nella direzione di Sebastiano, sentiva il suo sguardo addosso, ma non voleva arrossire più di quanto non avesse già fatto.
Elia batté le mani facendo sobbalzare tutti, poi ridacchiò.
«Cominciamo?» disse allegro e Castelli annuì, iniziando subito a pizzicare le corde, senza proferire verbo.
E così, senza che Anita avesse nemmeno il tempo di metabolizzare la decisione, il mondo era sparito e tutta la sua attenzione concentrata su Sebastiano, le sue braccia ben in mostra, le dita che accarezzavano lo strumento, lo sguardo azzurro in un primo momento concentrato e perso nel vuoto e poco a poco sempre più sicuro, che viaggiava da un amico all'altro, per poi finalmente posarsi su di lei e incatenarsi al suo, senza districarsene più. Non c'erano più le risatine di Agnese, gli sguardi d'intesa tra Leonardo e Tommaso, la voce di Elia, quella di Elisabetta – c'era solo Sebastiano per Anita.
Agnese, invece, ignorava le farfalle nello stomaco cercando di concentrarsi su tutti i presenti. Il sorrisetto autoironico di Tommaso ad ogni stonatura si sposava perfettamente con la sua personalità e con la voce vellutata ma leggermente acuta; il cipiglio fiero e concentrato rifletteva a pieno il virtuosismo tecnico e il tono melodico di sua sorella, che a malapena degnava di uno sguardo qualcuno, fissando il nulla di fronte a sé come a sfidare un pubblico invisibile.
Poi c'era Elia, che palesemente amava mettersi in mostra, cantando ogni testo come gli veniva, senza preoccuparsi di dimenticare o modificare parole, saltellando tra gli amici e facendo loro dispetti con il solo intento di spezzare la tensione e far ridere tutti i presenti.
La voce leggermente roca di Sebastiano, invece, si sentiva a malapena, concentrato com'era su Anita e sul suo strumento; il sorriso sognante era quello che gli aveva visto stampato in faccia più o meno sempre da quando l'aveva incontrato la prima volta.
Poi, be', per quanto Agnese cercasse di non concentrarsi su di lui, c'era Leonardo; cantava ad occhi chiusi, l'espressione concentrata e l'aria intangibile di chi era del tutto assorto nella musica. Forse la colpa era proprio sua, se sentiva lo stomaco attorcigliarsi ad ogni nota più bassa delle altre, nonostante lei cercasse di incolpare la fame. Aveva sempre avuto un debole per le voci profonde e, a conti fatti, sembrava proprio che Leonardo incarnasse tutte le sue preferenze. Se solo avesse avuto anche un paio di occhioni verdi, non avrebbe avuto scampo. Perché ancora, mentre lo guardava di sottecchi e lo ascoltava, con la testa fin troppo leggera e il battito accelerato, si ostinava a credere che lui non le piacesse; un po' per orgoglio e un po' per paura – sarebbe stato già abbastanza complicato impedire ad Anita di farsi male, non avrebbe dovuto farsi coinvolgere a sua volta. Da uno così, poi! Un ragazzo praticamente perfetto, inarrivabile.
Tommaso lasciava vagare lo sguardo divertito su tutti gli spettatori di quel piccolo concerto: su Elisabetta che sembrava cantare tanto per fare, ma si vedeva che si stava divertendo; su Elia, che più che altro rideva come un cretino; su Leonardo, impenetrabile; su Sebastiano, concentrato come Mozart al pianoforte e infine su Anita, incantata, e Agnese, che fissava imbambolata il suo amico più silenzioso.
Al termine di ogni canzone le due spettatrici si lasciavano andare ad un applauso spontaneo e a sorrisi sinceri. Anita riservava le sue attenzioni solo a Castelli, mentre Agnese si riprendeva dalla sua catalessi, arrossiva e li guardava tutti, per non incontrare gli occhi di Leonardo, fissi su di lei per cercare di coglierne le emozioni.
Qualcuno dei passanti si fermava ad ascoltare quei ragazzi raccolti in cerchio a suonare e cantare; battevano le mani, ridevano, li osservavano e li indicavano agli altri passanti. Durò poco, nemmeno un'ora, poi anche la minuscola folla di spettatori applaudì e si dileguò, lasciando che tutti tornassero alle proprie occupazioni. E così anche loro, che aprirono le birre e fecero il bis con la piadina.
«Allora» iniziò Elia, masticando; «qual è il giudizio del pubblico?» e il suo sguardo cercò subito quello di Agnese, che inevitabilmente arrossì, sentendosi al centro dell'attenzione.
«Positivo» rispose alzando i pollici, con così poca convinzione che sembrò stesse ponendo una domanda.
Elisabetta infatti sbuffò e «Guarda che l'abbiamo fatto per voi» le ricordò, come a richiedere un po' più di partecipazione.
«Anche per il tuo ego» commentò Tommaso in tono divertito, prendendo le sue difese – ovviamente: tutti a favore del cagnolino!
L'altra arrossì di più, non sapendo cosa dire.
«Siete bravi, parecchio» cercò di rimediare, spostando in fretta lo sguardo sulle proprie gambe incrociate.
«E tu, Ninì, che dici?» continuò Elia, mettendo in mostra le fossette; gesto che fece rizzare la schiena a Sebastiano: come mai tanta confidenza?
«Concordo, siete bravissimi» disse, arrossendo e sorridendo dolcemente.
Sebastiano la guardò allegro e andò a sedersi vicino a lei sul telo, stendendo un braccio dietro la sua schiena per esserle ancora più attaccato ed essere pronto a difenderla dalle avance del suo amico.
«Ti è piaciuto davvero?» le chiese con trepidazione e lei fece una cosa che nessuno dei presenti si aspettava: si sporse verso di lui e gli lasciò un bacio sulla guancia.
Il colore delle gote del ragazzo si poteva paragonare a quello di un pomodoro maturo, incentivato anche dalle risatine di Tommaso ed Elia, che si davano di gomito e li indicavano.
«Quindi ora che si fa?» chiese Agnese, per distogliere l'attenzione dai due, sebbene non lo meritassero, dato il tempismo di quelle effusioni.
Elisabetta fece schioccare la lingua contro il palato e questo fece voltare di scatto Leonardo: quel suo modo di preannunciare qualcosa era pericoloso.
«Io propongo Obbligo o Verità».
Appunto.
«Gagliardo!» commentò Elia con entusiasmo, come pregustando le situazioni imbarazzanti che sarebbero venute a crearsi. Batté le mani; «Ce state?» domandò.
In tutta risposta Tommaso si scolò la prima bottiglia di birra della serata e la piazzò al centro del cerchio: «Fatevi sotto!»
Agnese deglutì sonoramente e cercò lo sguardo della migliore amica in cerca di sostegno, ma non si tirò indietro.
«Ma qualcosa di più divertente no?» si lamentò Sebastiano, mentre Leonardo esibiva una leggera smorfia infastidita; che il gioco non gli piacesse era palese.
«Fidati, Castelli: ti diverti» lo incoraggiò Tommaso, «Inizio io!» proclamò subito dopo, senza nemmeno dare ulteriore spazio alle proteste. Così fece girare la bottiglia, scoppiando poi in una risata non appena quella puntò Leonardo. «Bella, Leo» lo salutò, facendo scrocchiare le nocche con fare teatrale. «Partiamo leggeri. Obbligo o verità?»
Leonardo sospirò e per un attimo credette che scegliere obbligo fosse la cosa giusta, poi vide il sorrisetto strafottente di Tommaso e «Verità» lo sfidò. Sebastiano prese a giocare con la sabbia, le orecchie tese a captare che genere di domande saltavano fuori.
«Il posto più strano in cui hai scopato».
Leonardo sospirò, quella era una storia trita e ritrita, si imbarazzava a doverla dire di fronte a due sconosciute.
«In biblioteca, nella sezione dei fumetti» farfugliò, senza degnare nessuno di uno sguardo.
Agnese arrossì per lui, senza poter evitare di pensare a come poteva essersi svolta la scena.
Tommaso ridacchiò compiaciuto e gli passò la bottiglia.
«A te l'onore» disse e tutti trattennero il respiro.
Seguirono attimi di smarrimento, mentre il ragazzo si mordeva il labbro inferiore pensando alla domanda da porre, poi la bottiglia decretò che la prossima vittima sarebbe stata niente meno che «Elia!», come esplicitò Tommaso.
Il diretto interessato alzò i pugni al cielo, vittorioso; «Daje, Leo! Sono tuo! Verità!»
Lui rise e inclinò la testa da un lato, pensieroso.
«Se...» Prese tempo sorseggiando la sua birra, lo sguardo perso nel vuoto. «Oggi fosse il tuo ultimo giorno di vita, cosa faresti?»
Elisabetta fece schioccare la lingua contro il palato; «Che - noia» scandì a mezza voce.
«Ci proverei con la nostra Villa» rispose il ragazzo sicuro.
Leonardo lo guardò scettico. «Non vale, quello lo fai tutti i giorni» lo prese in giro, facendo così ridere tutti, compreso lo stesso Elia, che si grattò la nuca imbarazzato.
«Allora comprerei un aereo e farei il giro del mondo!» esclamò a gran voce.
«Che bambino piccolo» bofonchiò Elisabetta, infastidita dal fatto che lo avessero costretto a cambiare la sua risposta. Che male c'era se si divertivano un po'?
Tommaso consegnò con solennità la bottiglia al migliore amico, che la posizionò sulla sabbia e la fece ruotare velocemente.
«Anita!» decretò Tommaso.
«Finalmente ci divertiamo», Elisabetta si mise seduta composta e guardò Elia con complicità.
Anita deglutì e cercò lo sguardo di Agnese, che le sorrise per rassicurarla.
«Verità» mormorò, passandosi una mano tra i capelli.
Il sorriso di Elia si allargò ancora di più, mostrando le fossette.
«Posizione preferita a letto».
Le guance della ragazza presero fuoco, mentre Agnese deglutiva ed Elisabetta scoppiava a ridere.
Annaspò in cerca d'aria per riprendersi dallo shock, poi prese a mordersi un labbro, mentre la testa lavorava freneticamente alla ricerca di una via di fuga.
Sebastiano, dal canto proprio, alzò lo sguardo alle stelle, muovendo nervosamente un piede; quell'argomento lo turbava più di quanto avrebbe dovuto: voleva e non voleva conoscere la risposta, era curioso ma allo stesso tempo temeva quell'argomento. Rivolse una rapida occhiata a Leonardo, che non pareva altrettanto coinvolto, per ovvi motivi. Sbuffò per scaricare la tensione dell'attesa, impaziente.
Poi successe qualcosa che non capì bene: Agnese tossicchiò, Anita la guardò e la prima si strinse nelle spalle. L'attimo dopo la biondina aveva una risposta: «Di solito dormo a pancia sotto. O su un fianco» mormorò con semplicità.
Sebastiano scoppiò a ridere sonoramente, intimamente soddisfatto della sagace interpretazione.
«Vaffanculo, non vale!» protestò Elia, che però non riusciva a non ridacchiare preso da un misto di sorpresa, divertimento e frustrazione.
Anita gli strizzò l'occhio: «Sì che vale, non hai specificato».
Tommaso ridacchiò a sua volta per poi tirare una sberla sulla nuca del migliore amico. «Bracaglia, sei un pivello! Ti devo insegnare tutto io?!»
«Ehi!» protestò lui, massaggiandosi la parte lesa con il sorriso sulle labbra. «Avanti, Ninì» cambiò poi in fretta discorso, consapevole del proprio fallo.
Anita non si fece pregare e, anzi, ansiosa di lasciarsi alle spalle la domanda postale, girò la bottiglia, che dopo appena un giro indicò Tommaso.
Il ragazzo rizzò le spalle e sorrise affabile; «Verità» decretò, assottigliando lo sguardo.
Lei strinse nuovamente il labbro inferiore tra i denti, mentre si guardava attorno alla ricerca di ispirazione. Per qualcuno come Tommaso serviva una domanda irriverente e che lo pungesse sul vivo, che palesemente era l'orgoglio. E cosa è più doloroso per l'orgoglio di un uomo che un rifiuto da parte di una donna? «Quando è stata l'ultima volta che una ragazza ti ha lasciato a bocca asciutta e come è andata?»
La risata che si levò dalle parti di Elisabetta Villa era la più sonora e provocatoria che Anita avesse mai sentito.
«È stato prima di partire per venire a Cesenatico. Ero troppo sbronzo e a lei non andava bene» tagliò corto, evidentemente seccato da quella domanda, ma non abbastanza da impedirgli di sorridere affabile a colei che gliel'aveva posta, che annuì soddisfatta e gli passò la bottiglia.
Altro giro, altri respiri trattenuti, altri sorrisetti.
Sebastiano.
«Ora mi diverto, Castelli» proclamò Tommaso, prima di portarsi una mano al mento e grattarlo lentamente, come nel migliore ritratto di un filosofo o intellettuale.
«Cosa ti fa eccitare in una ragazza?»
Il biondino lo fissò stralunato, mentre le sue orecchie prendevano un colore simile al porpora.
Eccola, la classica domanda bastarda in perfetto stile Villa. Gli rivolse un'occhiata truce, sistemandosi a sedere con le gambe piegate e gli avambracci sulle ginocchia.
«Sei una merda» mormorò a mo' di premessa, ma non abbastanza piano da non essere udito da tutti. Poi optò per il classico "via il dente, via il dolore". «Mi piacciono quelle con le gambe lunghe e quei sederi che...», fece una smorfia imbarazzata, interrompendo i propri commenti inopportuni; si sentiva avvampare, lo sguardo di Anita gli bruciava sulla pelle. «Mi piace quando si mordono le labbra e... e quando mi toccano i capelli».
Tommaso soffiò una risatina scettica: «Ti viene duro quando ti toccano i capelli? Tu stai fuori».
In effetti non sembrava una reazione molto normale; non accadeva sempre, né tanto meno con chiunque: gli era successo solo una volta e di recente. Molto di recente.
Sospirò profondamente e prese la bottiglia che gli stavano porgendo.
Anita teneva lo sguardo fisso sulla sabbia e si chiedeva se anche lei avesse quelle caratteristiche o se lui pensasse a lei in quei termini. Inevitabilmente arrossì e spostò la sua attenzione sulla bottiglia che frullava e si fermava impietosamente con il collo rivolto verso Leonardo, che sbuffo un «aridaje» che fece ridacchiare Agnese.
Sebastiano sorrise leggermente e fissò il suo amico, che si grattò una guancia con fare disinteressato e mormorò un «Verità» appena udibile.
Agnese era curiosa, quel gioco la stava aiutando a conoscere meglio quei ragazzi ed era anche sorpresa dal fatto che ancora nessuno avesse scelto un obbligo; cosa sarebbe mai potuto venire fuori? Poi però si ricordò il grado di perversione di certe domande e rabbrividì, temendo quasi il suo turno.
«Quando eri un bambino cosa sognavi di diventare da grande?» balbettò Sebastiano, consapevole dell'inutilità di quella domanda.
«Ma fai davvero?» lo schernì Elisabetta, ridendo sguaiatamente. Il biondino scrollò le spalle e si posizionò un po' più arretrato sul telo, leggermente spostato verso Anita, in modo tale da poter appoggiare il mento sulla sua spalla. La ragazza rimase sorpresa da quel piccolo gesto e mormorò un «Ehi» a bassa voce, prima di lasciargli un soffice bacio sulla tempia. Visti da fuori potevano sembrare due fidanzati; Agnese sospirò e si lasciò prendere dallo sconforto: era una battaglia persa ormai.
Leonardo attirò l'attenzione su di sé con un breve colpo di tosse.
«L'insegnante di storia dell'arte» disse, scrollando le spalle e prendendo la bottiglia dal cerchio.
Agnese trattenne il respiro e seguì il giro di quell'affare maledetto, che stava rallentando, per poi fermarsi davanti a lei. Gemette silenziosamente e guardò Leonardo, che la fissava con uno sguardo che sembrava volesse scavarle l'anima.
«Verità» proclamò suo malgrado e il ragazzo sorrise dolcemente.
«Se potessi scegliere un attore famoso con cui andare a letto, chi sarebbe?»
Domanda innocua, tutto sommato, e questo la fece sospirare di sollievo.
«Benedict Cumberbatch, quello di Sherlock» rispose senza pensarci troppo. Si sporse verso la bottiglia di birra vuota e la fece girare davanti a sé. Sperava proprio che si fermasse su... Elia. In realtà sperava di poter interrogare l'altra ragazza del gruppo, ma anche lui andava bene.
«Movimentiamo la serata: obbligo!» gridò il ragazzo alzando le braccia al cielo.
Agnese rise: Elia sapeva che da lei non avrebbe ricevuto obblighi tanto strani. Le venne un'idea.
«Devi portare Elisabetta in braccio fino al bagno accanto, girare su te stesso quattro volte e tornare indietro» spiegò con un sorrisetto sulle labbra.
Elia si alzò e si scrollò la sabbia di dosso, poi si voltò verso Elisabetta e le porse una mano.
«Principessa, sono venuto per portarla nella nostra nuova dimora», rise forte e anche gli altri non reagirono diversamente di fronte all'espressione schifata della ragazza, che nonostante questo si alzò e lasciò che Elia la prendesse su, poi gli passò un braccio intorno al collo per assicurarsi meglio.
Elia partì alla volta del bagno accanto, guardando dove andava e beandosi di averla lì, contro il suo petto e tra le sue braccia. Sorrise sovrappensiero e si guadagnò uno schiaffo in pieno petto.
«Non fantasticare e guarda dove vai, pezzo di imbecille» berciò lei, architettando già una possibile vendetta su quell'inutile ragazzina-cagnolino.
Arrivato al primo ombrellone del bagno vicino al loro, Elia fece quattro giri veloci su se stesso, poi con passo incerto provò a tornare indietro, tra le risate di chi li aspettava e gli insulti di Elisabetta.
Quando tornarono a sedersi la ragazza fulminò Agnese, che non si lasciò scalfire da quell'arrogante gesto di superiorità.
Il giro successivo segnò un altro turno di Anita, che arrossì e trattenne il fiato.
«Verità» disse piano, sapendo che si sarebbe dovuta aspettare di tutto.
«Scoperesti con Castelli?» le chiese Elia, facendo ridere Elisabetta in primis, ma anche Tommaso. Sebastiano sussultò e guardò male il suo amico; Leonardo spalancò la bocca e si vergognò per la ragazza; Agnese era totalmente basita, quella domanda non aveva scappatoie, non poteva evitarla.
Anita boccheggiò e prese a fissarsi le mani, mentre sul viso di Elia si dipingeva un sorriso strafottente.
«Penso che questo sia un sì. A chi tocca ora?» provò Leonardo, ma Tommaso alzò una mano e «Deve dirlo lei» decretò. Anita sospirò e annuì, accompagnando quel gesto ad un flebile «Sì».
Sebastiano trattenne il respiro e si alzò dalla spalla della ragazza, che interpretò il suo gesto come un rifiuto. Stava per farsi prendere dal panico, ma lui le cinse la vita con un braccio e la strinse a sé con fare rassicurante.
«Molto bene, è il tuo turno signorina».
Anita fece girare la bottiglia con mano tremante e questa andò a fermarsi su Elisabetta. Non aveva le forze di impegnarsi a fare domande strane, ma per lei avrebbe fatto un'eccezione.
«Verità, tanto se sei te a fare la domanda vado sul sicuro».
«Hai scopato con Elia?» le domandò a bruciapelo e l'altra sobbalzò.
Guardò Bracaglia, che teneva lo sguardo fisso sulla sabbia, poi suo fratello, che la fissava inespressivo.
«Può darsi».
«Non è una risposta».
«Vaffanculo è una risposta?».
Anita trattenne il fiato e Leonardo intervenne.
«Datti una calmata, Betta. Tanto lo sappiamo tutti che avete scopato»
Elisabetta si trovò con le spalle al muro e sbuffò un «Sì» acido e secco.
Elia controllò subito la reazione di Tommaso, che fece una smorfia, poi scoppiò a ridere.
«Che coraggio!»
Dopo un altro paio di rivelazioni imbarazzanti tornò ad essere il turno di Anita, che scelse obbligo, solo per evitare di trovarsi di nuovo in situazioni spiacevoli.
«Vai a nuotare con Castelli» la sfidò Elisabetta, con un sorriso sadico ad incurvarle le labbra. Anita sbiancò e guardò il mare buio, calmo ed enorme e deglutì sonoramente.
«Non ho il costume» balbettò, sperando che questo bastasse a far cambiare idea alla sua aguzzina, che però si strinse nelle spalle.
«Non ci scandalizziamo davanti ad un reggiseno e un paio di mutandine» disse con finta innocenza.
Agnese era indignata e continuava a fissare Elisabetta in cagnesco, nella muta speranza che Anita riuscisse a svicolare da quell'obbligo stupido; con la coda dell'occhio la vide alzarsi e respirare a pieni polmoni.
«È una cosa stupida, cambia obbligo, Betta!» protestò Sebastiano, ma l'altra accavallò le gambe e scrollò la testa, continuando a sorridere senza pietà. Allora anche Sebastiano si alzò e si sfilò la maglietta, mentre tra i ragazzi era mai evidente la poca voglia di continuare quel gioco.
«Betta, dai, non ha senso» provò anche Elia, ma niente riusciva a farle cambiare idea.
«Bisogna concludere al meglio questo gioco mediocre» spiegò, squadrando Anita ancora vestita.
«Con una crisi di panico, bella idea» borbottò Agnese con gli occhi bassi e i muscoli che tremavano per la rabbia.
Sebastiano si avvicinò ad Anita e le sfiorò una spalla con la punta delle dita, attirando lo sguardo su di sé; le sorrise incoraggiante e lei avvampò.
«Ci sono anche io, puoi stare tranquilla» le disse piano, massaggiandole lentamente le spalle e facendole rilassare i muscoli del collo e della schiena. Quando la sentì più calma si allontanò di un passo da lei e la guardò sfilarsi il vestitino, trattenne il fiato e spostò lo sguardo verso l'orizzonte nero. Se non entrava in acqua subito rischiava di farsi prendere in giro a vita per gli ormoni da tredicenne. Sussultò al timido tocco di Anita che cercava la sua mano; fece intrecciare le loro dita e insieme si avvicinarono piano all'acqua.
Quando un'onda le bagnò i piedi, Anita fece un passo indietro, il respiro accelerato e il cuore che sembrava voler uscire dal petto, ma Sebastiano strinse la sua mano e cercò i suoi occhi. E fu così, fissandolo, che si lasciò trascinare in mare. Senza nemmeno accorgersene arrivarono dove il livello saliva fino alle costole. Si stava bene, l'acqua era alla giusta temperatura e i ragazzi abbastanza lontani da non poterli sentire.
«Come stai?» le chiese, lottando contro la tentazione di sfiorarle la guancia.
«Come una persona che ha paura del mare e ci si ritrova immersa di notte per uno stupido gioco». Rabbrividì ed istintivamente si avvicinò a lui, che le cinse i fianchi con le braccia. In quel momento Anita si ricordò della seconda domanda a cui aveva dovuto rispondere ed arrossì, poi però un calore strano sciolse il groviglio che sentiva nello stomaco e prese ad accarezzare lentamente le braccia di Sebastiano sotto il pelo dell'acqua.
«Tu come stai?» domandò in un sussurro.
«Molto bene»
Strinse la presa su di lei e se l'avvicinò di un altro passo.
«Dici che da qui ci vedono?»
Anita lo guardò senza capire, poi si voltò verso la riva e provò a mettersi nei loro panni.
«Non direi, no», tornò a guardare il ragazzo, che ora sembrava più vicino.
Sebastiano stava pensando che avrebbe tanto voluto baciarla, quindi le accarezzò dolcemente una spalla, bagnandole la pelle, e le sorrise.
Lei ricambiò e si avvicinò ancora un pochino, fino a sentire il suo fiato sul viso. Era così dannatamente vicino e così incredibilmente bello.
Stava per baciarla, era partito con quell'intento ed era determinato a portarlo a termine, la teneva per i fianchi e con i pollici le accarezzava la pelle fredda. Posò le labbra sulla sua spalla appuntita e abbronzata e la osservò dal basso: guardava da un'altra parte e il buio non riusciva a nascondere il rossore che le colorava le guance. Fece scorrere le labbra sulla clavicola e poi sul collo, la sentì rabbrividire e sospirare, così le lasciò un piccolo bacio sul mento e la guardò negli occhi, talmente vicino che i loro nasi si sfioravano.
«Castelli, n'do cazzo stai?» sentì chiamare e rumore di acqua spostata. Sbuffò pesantemente e si voltò di scatto verso Elia, che si avvicinava a loro insieme ad Elisabetta.
«Ma li mortacci tua, ma vattene a mori' ammazzato» ringhiò piano, facendo ridere Anita.
«Ma che, stavate pomiciando?» chiese il biondo appena arrivato.
Sebastiano lo guardò con espressione eloquente e il suo amico scoppiò a ridere fragorosamente.
«Allora aveva ragione Leo e facevamo meglio a rimanere a riva» disse a voce così alta che ad Anita sembrò dovesse farsi sentire a riva.
«Ma perché dare retta a Leo, in fondo?» domandò Sebastiano retoricamente.
«Perché lui non sa niente di donne! Non pensavo avesse ragione».
Anita ridacchiò e accarezzò il braccio del ragazzo che ancora la teneva stretta a sé e appoggiò la testa alla sua spalla.
«Vi va di fare una nuotata?» continuò un euforico Elia.
«Ma vedi di andartene!»
 
Un sospiro, uno sbuffo, occhi alzati al cielo.
Erano rimasti solo in tre sulla spiaggia e nessuno sembrava particolarmente a proprio agio.
Agnese, seduta su un telo con le braccia a raccogliere le gambe al petto, era così preoccupata che non sapeva a cosa pensare per primo. Anita era in acqua, di notte, con uno sconosciuto che palesemente non vedeva l'ora di allungare le mani - e, sì, dai, "le ragazze che si mordono le labbra e ti toccano i capelli" era stata una risposta più che eloquente, per non parlare dell'aperto consenso della sua amica giunto poco dopo.
Era un po' preoccupata anche per la presenza di Elia ed Elisabetta: temeva gli scherzi della ragazza e i tiri mancini con cui avrebbe facilmente circuito anche Bracaglia. Ripensandoci, probabilmente quella situazione era più pericolosa proprio per il cuore pulsante di Elia che non per Ninì, al cui fianco comunque c'era Sebastiano. Era pure costretta a fidarsi di lui, ora!
Un crampo all'altezza della cintura le ricordò il motivo per cui avrebbe dovuto portare con sé qualche antidolorifico: mestruazioni in arrivo. Sospirò di nuovo, preparandosi ad una lunga nottata o ad una fuga disperata, a seconda dei casi.
Leonardo, mentre passava il pacchetto di sigarette al suo amico, le rivolse un'occhiata attenta: perché tutti quei sospiri? «Puoi andare a controllarla, se vuoi» suggerì in tono pacato, un attimo prima di accendere.
Tommaso sbuffò e accolse di buon grado l'offerta dell'altro, scroccando poi anche l'accendino. «Tanto non interrompi niente, ci pensa quella stronza di mia sorella» aggiunse.
Agnese abbozzò un sorrisetto e scosse il capo; «No, non importa». O meglio: importava, ma non poteva fisicamente raggiungerli, un po' perché l'idea di farsi vedere in intimo da qualcuno non la entusiasmava e un po' perché con il ciclo imminente e i crampi alle ovaie non sembrava una grande idea avventurarsi da sola in mare alla ricerca di sagome che già non riusciva più a distinguere nel buio.
Tommaso espirò pesantemente, sputando il fumo verso il cielo, poi rimase così, con la testa alta e gli occhi a scrutare le stelle. «Ci vorrebbe un bel falò».
Più o meno in contemporanea ottenne due risposte: un timido «Non si può» e un ironico «Che è, hai freddo?»
Rise piano il ragazzo, abbassando poi lo sguardo sull'amico, un sopracciglio inarcato: perché, hai i calori? significava quell'occhiata. Quello che disse invece fu: «Per dare atmosfera, sfigato».
Leonardo ridacchiò e scosse il capo, mentre l'altro si rivolgeva ad Agnese: «Sei troppo santarellina. Ma una cazzata in vita tua l'hai mai fatta?»
Lei arrossì, imbarazzata. Era consapevole di essere una persona poco divertente, ma questo non bastava a non rimanerci male quando qualcuno glielo faceva notare. Si strinse nelle spalle, mordendosi distrattamente l'interno della guancia.
L'unica vera cazzata che avesse mai fatto rispondeva al nome di Davide, o almeno l'unica che le venisse in mente – e detestava anche solo pensare a lui. «Non molte» rispose a bassa voce. «Ma se avessi una madre come la mia, pure tu saresti una "brava ragazza"» aggiunse sforzandosi di sorridere, mentre dentro di sé sprofondava in uno dei suoi continui momenti di paranoia premestruali.
Aveva fatto la figura della bacchettona noiosa davanti a Leonardo; non che credesse di avere speranze, non che volesse davvero averne, ma ora era certa che lui la vedesse per ciò che era: una sfigata con la faccia da bambina.
Tommaso non fece molto caso al suo sguardo perso nel vuoto, desideroso piuttosto di fare conversazione e movimentare la serata: «Per esempio?»
Agnese sbuffò silenzosamente e «Davide» rispose.
Leonardo finse di non essere troppo interessato a quella storia, ma in realtà gli premeva sapere che cosa quello stronzo avesse fatto ad Agnese.
«Il coglione dell'altra sera?» chiese, giusto per dimostrarsi partecipe.
Lei annuì lentamente; dopo avergli rivolto una rapida occhiata, tornò a fissare la stoffa scura del telo su cui sedeva. «Proprio lui», ridacchiò nervosamente; «ci ho perso dietro quasi tutta la quarta e la quinta liceo e ancora mi chiedo come siamo finiti insieme».
«Me lo chiedo anche io» borbottò Leonardo, aspirando una boccata di fumo e guardando dalla parte opposta rispetto ad Agnese.
Seguirono pochi attimi durante i quali Tommaso sghignazzò in silenzio, perso nei propri pensieri e Agnese fu certa di aver capito male – era possibile che gli interessasse davvero conoscere quella storia? Lei stessa aveva le idee un po' confuse riguardo a come fossero andate le cose: all'inizio Davide sembrava una persona e poi si era rivelato tutt'altro. «Be', giravamo con lo stesso gruppo di amici, che poi s'è sciolto. Non lo so, era dolce e mi sono lasciata fregare. Poi è stato sempre meno gentile e abbiamo finito per litigare continuamente. Alla fine stavo con lui solo per "dargli un'altra possibilità" – mimò le virgolette con le dita di una mano; – quando me la chiedeva.»
«Cosa ti chiedeva esattamente?» domandò Tommaso con un sorrisino malizioso, guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Leonardo.
La ragazza arrossì e strabuzzò gli occhi. «U-una seconda possibilità» borbottò.
«E cosa mi dici dell'altra cosa? Eravate arrivati a quel punto?» continuò il più grande, aspirando l'ultima boccata di fumo prima di spegnere la sigaretta sulla sabbia.
Agnese gonfiò le guance arrossate e nascose il viso tra le braccia. In effetti quello era l'argomento più frequente durante le loro discussioni.
«No» ammise in un sussurro, arrossendo sempre più, «E, no, non eravamo d'accordo sull'argomento» si sentì in dovere di specificare, immaginando che quella sarebbe stata la domanda successiva. Era una delle poche decisioni prese in quegli anni che non rimpiangeva: Davide non era mai riuscito a metterla abbastanza a suo agio, non era mai riuscito a conquistare del tutto la sua fiducia e di conseguenza lei non si era lasciata portare a letto. Probabilmente, a pensarci, l'unico "no" che gli aveva detto era anche l'unico che lui non le avrebbe mai perdonato.
Sospirò piano, letteralmente raccolta in se stessa, pensando che ora potevano aggiungere un altro aggettivo alla sua definizione: piccola, sfigata, timida, fifona e, ovviamente, vergine.
Leonardo si sentì sollevato dopo aver udito quella rivelazione e nemmeno capiva perché: conosceva quella ragazza da meno di tre giorni, ma l'idea di lei insieme a quel tipo lo faceva rabbrividire e inorridire.
Agnese vide la smorfia schifata sulla faccia di Leonardo e si sentì offesa, quindi rizzò la schiena con stizza. «Fai quella faccia perché ti fa schifo avere a che fare con una vergine?» lo riprese con tono piccato ed eccessivamente tagliente.
Leonardo aspirò l'ultima boccata della sigaretta e sorrise soffiando via il fumo. «No, faccio questa faccia perché mi fa schifo l'idea di te insieme a quel tipo» rispose.
La sua sincerità e spigliatezza erano qualcosa di inusuale, per questo Tommaso lo guardò sospettoso. Forse era la birra, oppure l'atmosfera, oppure in quella vacanza stava succedendo qualcosa di mai visto.
Agnese arrossì ancora di più, imbarazzata da quella risposta e, anche di più, dal proprio brusco scatto. Mormorò le proprie scuse e poi si volse a guardare il mare, mordendosi l'interno della guancia, con la testa che lavorava freneticamente. Che scema. Perché aveva scattato in quel modo? Se anche avesse avuto ragione, non avrebbe dovuto importarle. E poi... come avrebbe dovuto interpretare quella risposta? Cosa significava?
Con l'arrivo di Elia ed Elisabetta la conversazione cadde lì, nessuno dei tre aveva intenzione di proseguire e in un certo senso Agnese ne fu sollevata. Cercò con lo sguardo Anita, ma poté solo sentirla uscire lentamente dall'acqua con Sebastiano, che le stava sicuramente raccontando qualcosa di divertente a giudicare dalle loro risate.
La bionda si allacciò le braccia intorno al corpo, tremando leggermente. Sebastiano istintivamente l'abbracciò e le baciò i capelli bagnati, massaggiandole la schiena e ridacchiando per qualcosa che aveva detto in precedenza.
In quel momento non ci stava pensando, ma la ragazza che teneva contro il suo petto indossava solo la biancheria intima ed era per di più fradicia. «Dovresti coprirti o prenderai freddo» le disse con tono dolce e apprensivo.
Anita annuì e si chinò a raccogliere il telo, ci si avvolse, iniziando poi a strofinarsi il corpo.
«Sarà anche ora di tornare a casa, ormai» li interruppe Agnese, mentalmente e fisicamente stanca di essere in giro dalla mattina. Non poteva vederla con chiarezza, ma era certa che la sua amica le stesse rivolgendo l'espressione da cane bastonato che faceva ogni volta che voleva impietosirla e strapparle il permesso di fare una follia.
«So che mi stai facendo gli occhioni dolci, Ninì, ma non attacca. È tardi e domani devi lavorare».
Detestava fare la parte della mamma rompiscatole, ma aveva davvero intenzione di tornarsene a casa e non ci pensava minimamente a lasciare Anita lì da sola.
«Aho, ma che rompi palle!» esclamò Tommaso, ridacchiando poi per smorzare la tensione.
Agnese sobbalzò, sorpresa dell'intromissione, e poi arrossì: in effetti non aveva tutti i torti, ma doveva ancora recuperare le ore di sonno perse due sere prima e nella sua situazione psicofisica non era in grado di tollerare altra stanchezza. Si alzò, quindi, mordendosi l'interno della guancia, ormai martoriata, e raccolse la borsa. «Buonanotte» mormorò, venendo catturata un attimo dopo dall'abbraccio umido di Elia, che poi scrollò la testa schizzando tutti i presenti con l'acqua scolata dai capelli fradici. «Buonanotte, zucchero!»
«Te ne vai?» squittì Anita, allontanandosi bruscamente da Sebastiano. Se Agnese andava via allora anche lei avrebbe dovuto, ma non aveva voglia di terminare già la serata.
«La rompi palle toglie il disturbo» rispose acidamente, per poi accendere lo schermo del telefono per illuminarsi la strada.
Tommaso ridacchiò ed emise un fischio sommesso e «Ecco Mr. Hide!» esclamò. Allora anche quella ragazzina aveva un carattere sotto tutte quelle risatine. «Ma che, s'è offesa?» considerò poi, non senza il solito sorrisetto irriverente stampato in faccia.
«Tu che dici?» borbottò Leonardo, seguendola con lo sguardo, mentre si allontanava da sola lungo la spiaggia. Da una parte avrebbe voluto alzarsi e parlarle, chiederle scusa a nome del suo amico, ma dall'altra sapeva che non sarebbe stato opportuno: era un estraneo. Tornò a guardare gli altri - Elisabetta che riempiva Elia di piccoli dispetti, segno che probabilmente Castelli avrebbe dormito da solo quella notte; Sebastiano non toglieva gli occhi di dosso ad Anita, per quanto fosse possibile, che si rivestiva; Villa gli fregava un'altra sigaretta.
Sospirò e «Gran bella serata» mormorò, spostando la sabbia con un piede.
«Raggiungo Agnese prima che arrivi a casa» farfugliò Anita, appoggiando una mano sul braccio di Sebastiano. «Ci vediamo domani» salutò, per poi incamminarsi senza nemmeno dare il tempo al ragazzo di ribattere.
Il gemito frustrato che uscì dalle labbra del biondo irritò Tommaso, che già si sentiva in colpa per il modo in cui Agnese aveva reagito alle sue parole.
«Grazie tante per aver rovinato la serata» lo riprese Castelli, sedendosi sul suo telo e appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
 
Anita raggiunse di corsa Agnese, continuando a chiamarla e a ricevere degli scocciati «Sono qui» di tanto in tanto. Quando la vide nel buio la prese per un polso e la costrinse a fermarsi.
«Lasciami» protestò poco convinta e Anita l'accontentò, sapendo che non avrebbe mosso un altro passo.
«Agne, cosa succede?» le domandò con un filo di voce, cercando di nascondere la delusione per quell'improvvisa interruzione della serata.
«Mi sono resa ridicola abbastanza per oggi» rispose l'altra, per poi sospirare afflitta e lasciarsi abbracciare dall'amica.
Mentre erano strette in silenzio l'una tra le braccia dell'altra, sentirono un rumore provenire alle loro spalle, come se qualcuno fosse inciampato in un lettino. Agnese cominciò a tremare e a darsi della stupida per aver scelto di camminare a riva e Anita trattenne il fiato.
«Non le troveremo mai se continui a sbattere ovunque, Castelli!» berciò Leonardo, sbuffando e lanciando in acqua il mozzicone dell'ennesima sigaretta della serata.
«Se non fosse stato per quel coglione di Tommaso a quest'ora io sarei ancora con Ninì» lo rimbeccò l'altro.
Anita arrossì e non riuscì a trattenere la risata, mentre Agnese si lasciava sfuggire un «Chi si rivede» che mise a tacere i due ragazzi a pochi metri da loro.
Rimasero in silenzio qualche istante, valutando cosa le ragazze potessero avere sentito, poi Sebastiano si abbandonò ad un soffocato «Che figura di merda», che le fece ridacchiare entrambe.
«Era duro il lettino?» lo prese in giro sottovoce Agnese. Erano pochi i malumori che un abbraccio della sua migliore non potessero curare.
Sebastiano, non visto, arrossì e si scompigliò i capelli bagnati, nell'inutile tentativo di dar loro una forma. «Eh, 'n pochetto» ammise.
«Cosa ci fate qui?» chiese Anita, nascondendo il sorriso.
«Non possiamo lasciarvi andare a casa da sole a quest'ora» rispose semplicemente Sebastiano, grattandosi la nuca.
Così Agnese sospirò e «E va bene, prenditela!» trillò, per poi spingere l'amica verso i ragazzi, nonostante non riuscisse a vederli. «Però poi la rivoglio!»
Anita arrossì, Sebastiano ridacchiò, Leonardo sorrise: non doveva essersela presa poi tanto.
Si incamminarono alla cieca attraverso la spiaggia, questa volta diretto verso i bagni e la strada, guidati dalle luci dei lampioni e accompagnati dal rumore del mare. Non parlavano, camminavano e basta, ogni tanto qualcuno imprecava piano - per lo più in romanesco-, dopo aver urtato qualcosa o essere inciampato; un po' per l'imbarazzo, un po' per godersi la quiete della spiaggia notturna, nessuno osava aprir bocca. Persino i respiri erano a malapena udibili, come se potessero disturbare quella tranquilla armonia. C'erano due mani, però, strette tra loro, ben intenzionate a non separarsi tanto presto, per trasmettersi sicurezza a vicenda.
Solo quando furono coi piedi sull'asfalto, sotto la luce artificiale che illuminava la città, tutti ripresero a respirare e riscoprirono il dono della parola. Agnese notò subito quelle dita intrecciate, ma si sforzò di non lasciarci indugiare su lo sguardo nonostante la voglia di parlare all'amica di ciò che palesemente stava succedendo: si stava facendo coinvolgere. Nessuno si aspettava che non succedesse, forse, ma lei ci aveva sperato, per il bene di tutti.
Ninì non "si stava affezionando", se la conosceva - e la conosceva, per l'amor del cielo! - era già partita per la tangente, aveva ingranato la quinta e raggiungerla per convincerla a tornare indietro era ormai impossibile.
Si morse per l'ennesima volta l'interno della guancia, ormai martoriato, e prese a camminare automaticamente verso casa propria, seguita dagli altri. Procedeva accanto a Leonardo, che teneva le mani nelle tasche e la testa alta, mentre si guardava attorno distrattamente, senza nemmeno prestare attenzione a dove stesse andando.
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma non sapeva cosa. Forse era il caso di scusarsi da parte di Tommaso, o magari no, perché in fondo non aveva detto nulla di offensivo - conoscendolo, anche Agnese avrebbe convenuto che l'unica vera preoccupazione sarebbe stata l'eccessiva affabilità da parte di un Villa. D'altra parte era così corrucciata che non sembrava voler avere contatti umani di alcun tipo. Si grattò svogliatamente una guancia e prese un silenzioso respiro profondo. Magari avrebbe dovuto smettere di psicanalizzare la gente e iniziare a buttarsi di più.
Sebastiano ed Anita, invece, sembravano pieni di cose da dirsi. Lui, come suo solito, parlava, parlava, parlava e lei non era da meno: rideva, rispondeva, raccontava. Quei due, probabilmente, chiacchieravano abbastanza per tutto il gruppo.
Ed era strano, pensò Agnese, anche solo definirsi "gruppo": loro erano una compagnia di amici, lei ed Anita solo due comparse, destinate ad essere dimenticate in fretta. Non la sua amica, forse, ma lei di sicuro.
Leonardo camminava al suo fianco mantenendo il silenzio, ma questo stava cominciando ad opprimerlo.
«Così, te ne vai a casa e mi lasci solo a reggere il moccolo, eh?» scherzò e nascose il sorriso voltandosi verso la strada.
Agnese ridacchiò piano e gli rifilò una leggera gomitata. «Te lo meriti» ribatté, mordendosi il labbro inferiore. Era sollevata dal fatto che fosse stato lui a cominciare la conversazione.
«Davvero? E sentiamo, cosa avrei fatto per meritarlo?», la guardò sorridente e attese la sua risposta, che giunse subito dopo una scrollata di spalle.
«Non lo so, non sapevo cosa dire».
A quel punto Leonardo rise forte e Agnese si voltò ad osservarlo, ridendo a sua volta. Per quanto fosse riuscita a capire poco di lui, una cosa l'aveva intuita: Leonardo era praticamente uguale a lei.
«Scusa» mormorò poi; «per il moccolo e per la scenata di prima, non so cosa mi sia preso. Cioè, lo so, ma...» arrossì; non era il caso di raccontare ad uno sconosciuto gli effetti della sua sindrome premestruale, no?
Sorprendentemente non ce ne fu bisogno: «Tranquilla: ho quattro sorelle, so come funzionano certe cose» la rassicurò, facendola arrossire di più.
«Quattro sorelle?» borbottò quindi, per deviare il discorso; «Wow! Io a malapena ne sopporto una».
Leonardo rise e si strinse nelle spalle. «Non è sempre facile, no. Quasi mai» ammise in tono divertito. E al di là di ogni aspettativa le parlò, negli otto minuti a passo lento che li separavano da casa Marchegiani, delle sue sorelle: Lucrezia, Luana, Laura e la piccola Linda, per cui sembrava avere una predilezione.
Quando poi giunsero sotto casa sua, Agnese mormorò i suoi saluti e fuggì via in fretta, abbandonando Anita al suo Sebastiano e Leonardo con un mezzo sorriso sulle labbra e l'ultima frase lasciata a metà.
A quel punto fu il turno della biondina a mostrare la strada. Si incamminò lentamente, come se volesse ritardare il più possibile il momento dei saluti, mentre raccontava piano a Sebastiano le sue impressioni la prima volta che era stata allo stadio di Cesena a vedere una partita. Lui, d'altro canto, replicava con dettagliati racconti delle dispute calcistiche con Elia, unico laziale della compagnia. «Be', se non si conta Leo, ma Leo almeno è abbastanza onesto da ammettere di non capirci niente, di calcio».
«Ah, grazie» bofonchiò l'altro in risposta, per poi sprofondare di nuovo nel proprio isolato silenzio.
Il top dell'imbarazzo giunse quando finalmente furono sotto casa Paraboschi e Anita, ridendo dell'ultima battuta di Sebastiano («No, va be', non è che Elia non ce capisce, ma è stato più facile spiegarlo a Betta, cos'è un fuorigioco»), prese a giocherellare con le chiavi. Leonardo magari non era un esperto di calcio o di donne, ma sapeva quando farsi da parte. Quindi, ostentando una naturalezza che non gli apparteneva, si finse interessato agli orari dell'autobus della vicina fermata, lasciando loro il tempo per salutarsi.
Sebastiano, sentendo su di sé il peso della responsabilità di quel momento, dondolava sui talloni alternando occhiate tra la ragazza e il portone di ingresso del palazzo - Anita, portone, Anita, portone, Anita pericolosamente vicina, port-... inchiodò lo sguardo su di lei, che si era avvicinata di qualche passo e deglutì a fatica, la bocca del tutto asciutta.
Abbozzò un sorriso e «Be', insomma, buonanotte» bofonchiò.
Una parte di lui non vedeva l'ora di concludere ciò aveva iniziato poco prima in acqua, ma la presenza, seppur discreta, del suo migliore amico lo frenava. Voleva davvero darle il loro primo bacio di nascosto, mentre lui cercava di non guardare? Forse sì, avrebbe fatto bene a cogliere l'attimo; chissà quando gli si sarebbe ripresentata l'occasione! Anche se... non era un po' squallido forzare le cose per paura di non avere più tempo?
Si arrovellava sulla questione, guardandola negli occhi; si stava prendendo così tanto tempo che alla fine fu lei a prendere l'iniziativa: «Buona notte» sussurrò in risposta, posandogli un morbido bacio sulla guancia, ma così vicino alle labbra che Sebastiano di illuse di aver sentito il sapore delle sue.
E in un attimo anche lei sparì dentro casa, lasciandosi dietro il sorriso imbambolato di Sebastiano Castelli e l'eco dei passi che salivano le scale di corsa.
«Hah!» esclamò il ragazzo ad alta voce, per poi scoppiare in una risata entusiasta, senza preoccuparsi di non farsi sentire. Leonardo, qualche metro più in là, soffiò una risatina divertita: non era andata poi così male la serata.
«Andiamo, Romeo?»
«Annamo, annamo! - rispose lui. - Da che parte si va per il B&B?»
«E che ne so».
«Daje, non scherza'!»
«Eh, stessi scherzando...»
«Daje, t'ho detto!»
«Ma daje de che, l'idea di accompagnarle è stata tua, io che ne so!»
«Va bene, va bene, mo calmati. Andiamo di qua».
«Siamo arrivati dalla parte opposta».
«Certo, lo sapevo. Sta' tranquillo, devi solo fidarti di me!»
«Andiamo bene...»



Bloop's corner:
Dopo anni luce, qui è Mich che vi parla. Tra un impegno e l'altro, la scrittura e l'aggiornamento sono passati un po' in secondo piano per entrambe, ma speriamo che ci sia ancora qualcuno qui interessato ai nostri ragazzi. Per coerenza vi prometto che non assicurerò più che aggiorneremo presto ahahah. Giurin giurello, pinkie promise. 
Che dire? Siamo appena ("appena" = venerdì pomeriggio) tornate da Milano, dove abbiamo visto il concerto di Ed Sheeran e, be', non avete idea di quanto si difficile convincere la mia collega a parlare d'altro (*coff*). Quindi, be', se qualcuno di voi ha la possibilità di andare a vederlo a Roma o Milano a gennaio, noi lo consigliamo caldissimamente; siamo rimaste molto colpite da quel ragazzo. :3 È un Artista con la A maiuscola.
Off topic a parte, volevo lasciarvi il link del nostro gruppo facebook:
Bloop. Siete tutti liberi di iscrivervi, noi vi accetteremo. Saremmo felicissime di conoscervi, farci conoscere e parlare della nostra storia come di molto altro. Insomma, vorremmo riuscire a comunicare con voi più facilmente e questo è il modo migliore a cui siamo riuscite a pensare. Spero che a qualcuno di voi faccia piacere unirsi a noi. :) Il gruppo è chiuso, quindi nessuno dei vostri amici di facebook, a meno che siano anch'essi iscritti al gruppo, sapranno nulla di ciò che succede lì dentro: privacy assoluta anche per chi non avesse un profilo fake di facebook. 
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, personalmente è uno di quelli che ci ha divertito di più scrivere. :3
Un abbraccio forte a tutti voi e grazie a chi ci segue! 

 

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Capitolo 9
*** Giorno settimo ***


- Come ti sconvolgo la vita in tre settimane -
 
8. Giorno settimo
 


Il sole era già alto in cielo, Cesenatico aveva già preso vita da un po’ ed Elia aveva aperto gli occhi da un’oretta, ma non aveva trovato il coraggio di svegliare Elisabetta, per potersi illudere che tutto quello che stava vivendo fosse reale. così quando la ragazza aprì gli occhi lo trovò ad osservarla con lo sguardo innamorato, mentre la sua mano le accarezzava lentamente la schiena nuda.
«Buongiorno» la salutò, posandole un tenero bacio sulla tempia.
«Ciao» bofonchiò lei, nascondendo il viso nel cuscino e sgusciando furtivamente più vicino a lui, che le abbracciò la vita e la strinse a sé. La sua pelle profumava ed era morbida e calda. Le accarezzò le spalle e sorrise apertamente, felice di essere lì con lei. Non riusciva a smettere di guardarla; si sentiva fortunato ad averla al proprio fianco anche solo per qualche ora. Si beava del suo profumo, della sua vicinanza, dei ricordi di quella notte trascorsa insieme, a fare l'amore, a coccolarsi, a vivere un sogno che sarebbe scoppiato da un momento all'altro come una bolla di sapone. Ma a questo non voleva pensare Elia, troppo preso dai propri sentimenti; ascoltava il suo respiro regolare come fosse musica, le lasciava leggeri baci sulle braccia, sulle spalle, risaliva piano lungo il collo, diretto alle labbra, dove però non sarebbe mai giunto.
«Scollati, Bracaglia: si schiuma» sbuffò Elisabetta per poi voltarsi bruscamente dall'altro lato in un chiaro invito a togliersi di mezzo. «Vai a farti una doccia fredda».
Elia trattenne il fiato un istante, colpito da quelle parole come da uno schiaffo: «Nemmeno scopare ti aiuta ad essere meno gelida, eh?» borbottò lui, togliendosi di dosso il lenzuolo per poi alzarsi dal letto. Recuperò i boxer dal pavimento, li indossò con stizza, poi infilò anche i jeans e guardò un'ultima volta Elisabetta, che gli voltava le spalle.
«Ci vediamo a colazione» bofonchiò, afferrando la maglietta ed uscendo in silenzio dalla stanza.
Chi gliel'aveva fatto fare, mettersi in quella situazione? Si era innamorato della sorella del suo migliore amico, per cui non era niente più di uno scopamico. Anzi, pensandoci meglio, era persino qualcosa di meno: Elisabetta non lo considerava nemmeno un amico. Era il compare stupido di Tommaso, quello troppo buono, quello che si prestava così bene alle prese in giro che sembrava un peccato non approfittarne. Erano mesi che quella routine si ripeteva, di tanto in tanto, ma ancora, ogni singola volta, Elia si illudeva che fosse diverso; continuava a sperare di riuscire a conquistarla, di scoprire i suoi sentimenti finalmente ricambiati. In cambio della sua stupida ostinazione otteneva qualche frase lapidaria e un invito ad andarsene in fretta.
Sospirò amaramente, uscendo dal bed and breakfast senza avvisare nessuno; si vergognava troppo anche solo per guardare in faccia i suoi amici. Sarebbe andato a correre, nella speranza di essere folgorato all'improvviso – uno qualunque dei significati di "colpo di fulmine" gli andava benissimo, tanto gli effetti erano gli stessi.

Nell'altra stanza Sebastiano si svegliò di soprassalto, sentendo una porta sbattere. Si stropicciò gli occhi e grugnì un «Elia?» che non ottenne risposta. Si mise a sedere e vide il letto dell'amico intonso, quindi indovinò che si fosse fermato da Elisabetta. Sbuffò e si alzò, dirigendosi in bagno per farsi una doccia rinfrescante. Aveva sognato di nuovo Anita nel suo letto, completamente nuda e abbandonata al piacere e questo lo faceva risvegliare sempre accaldato ed inevitabilmente eccitato.

Contemporaneamente, nell'ultima stanza occupata del b&b, Leonardo sbuffava e cercava di schermarsi gli occhi dalla luce del sole. Tommaso, in piedi accanto alla finestra, sogghignava; aveva appena alzato la tapparella con tutto l'intento di svegliare il suo amico. «Allora, com'è andata?» chiese.
Un gemito di frustrazione, un «Cosa» grugnito che nemmeno sembrava una domanda.
Se Tommaso Villa la mattina si svegliava con la mente pronta e l'iperattività già alle stelle, a Leonardo Calicchia servivano ore prima di riacquistare le consone capacità mentali.
«C'è stata?»
Uno sbuffo. Di cosa diavolo stava parlando? Leonardo lo guardò dal basso e lo vide ridacchiare.
«Agnese. C'è stata?» ribadì Tommaso, scandendo bene le parole.
«Dove?»
«Dio Santo, Calicchia, ma dove vivi?!»
Sbuffò di nuovo e si tirò il cuscino sulla testa, sperando che ciò bastasse a far stare zitto il suo amico. Speranza vana, ovviamente.
«Quella non ti toglie gli occhi di dosso».
D'istinto gli avrebbe risposto che nemmeno lui riusciva a toglierle gli occhi di dosso, ma Leonardo era famoso per il suo essere riflessivo e silenzioso, per cui si limitò a sorridere, celato dalla massa del cuscino.
«Seriamente, amico. Tu hai un problema» continuò Tommaso, spostandosi dalla finestra e cominciando a razzare nella valigia. «Sei impotente per caso? Guarda che con me puoi parlarne».
Leonardo strabuzzò gli occhi, poi allontanò il cuscino dalla faccia e li serrò in un'espressione di pura esasperazione: «Che cosa?» 
Tommaso si esibì in una risata fragorosa, che fece arricciare il naso all'appena sveglio Leonardo. «Non dirmi che non hai nemmeno voglia di fartela!»
«Sai, Villa, non tutti vivono per infilare l'uccello in un buco» disse con tono seccato, per poi alzarsi e camminare a passo incerto verso il bagno.
«Ancora ti rode che quella stronza di Samanta ti abbia mollato, eh?» domandò l'altro retoricamente. Leonardo si bloccò sul posto e sospirò.
«Non voglio parlarne» borbottò, entrando in bagno e sbattendosi la porta alle spalle. La verità era che sì, un po' ancora gli rodeva che Samanta lo avesse lasciato, più che altro perché non capiva dove avesse sbagliato. Erano passati sei mesi e lui aveva capito di non essere mai stato veramente innamorato; non gli mancava Samanta in sé, gli mancava una spiegazione logica a quello che era successo.
Mentre si lavava la faccia sentì Tommaso parlare con Sebastiano, che come suo solito era arrivato ad elencare i motivi per cui quella mattina volesse andare in spiaggia, sperando di raccogliere il consenso degli amici. Magari anche quel giorno avrebbe visto Agnese e avrebbe chiacchierato con lei. Oppure avrebbe potuto portarsi dietro un libro e semplicemente farle compagnia mentre studiava. Lanciò un'occhiata fuori dalla finestra e vide il cielo nuvoloso e le chiome agitate dal vento. Sospirò, uscì dal bagno e subito venne investito dalla parlantina di Sebastiano, che riferiva loro della mancanza di Elia in camera da letto quella mattina.
Tommaso sbuffò e si passò una mano tra i capelli.
«È di nuovo andato a letto con mia sorella. Mi chiedo con che coraggio continui a farsi prendere per il culo da lei».
«È più forte di lui» buttò lì Leonardo con scarso interesse, mentre cercava nella borsa dei panni puliti. Non che non gli importasse delle faccende di cuore di Elia, ma ormai tutti, lui compreso, sapevano come andavano le cose con Elisabetta; se ancora si lasciava prendere in giro era solo perché i suoi sentimenti gli impedivano di rinunciare a lei. Ed era sciocco da parte sua, probabilmente, ma Leonardo sotto un certo punto di vista lo invidiava: doveva essere davvero innamorato per continuare a correre contro quel muro senza curarsi del dolore provocato dallo scontro. Lui non aveva mai provato nulla di così forte per nessuno. In ogni caso, scandalizzarsi non serviva più a nulla da un bel pezzo.
«Che si fa, andiamo?» cambiò dunque argomento, accennando alla porta d'uscita.
Tommaso roteò gli occhi: cos'era tutta questa fretta? Poi sogghignò, esprimendo ad alta voce la risposta che si era dato: «Tutti a fare gli occhi dolci alle ragazze! Alla fine, qui, l'unico che non tromba sono io», finse uno sbuffo infastidito, per poi ridere dell'espressione insofferente di Leonardo e di quella imbarazzata di Sebastiano. Senza pensarci un istante di più, anche Villa si cambiò e ripose cellulare e portafogli nella tasca posteriore dei pantaloncini. Dopodiché guidò gli altri fuori dalla camera.
«Ma secondo te, Castelli, Calicchia è impotente?»
«Ma che stai a di'?» rispose l'altro, controvoglia. Si era svegliato male quella mattina e proprio non aveva voglia di stare a sentire le cavolate di Tommaso, voleva solo vedere Anita.
«Ma è brutto tempo, cosa andiamo a fare in spiaggia?» chiese Elisabetta, che stava uscendo in quel momento dalla sua stanza.
«Oh, chi si vede. Dormito bene?» la salutò il fratello con scarso entusiasmo, rivolgendole un'occhiata densa di sottintesi. Lei strinse le labbra in segno di disappunto, per poi spostare lo sguardo su Leonardo.
«Non lo so» bofonchiò quello: «qualcosa. Non è che ci sia molto di meglio da fare qua in giro». La ragazza sbuffò e annuì, seguendoli nella sala da pranzo per fare colazione.
«Elia?» chiese Sebastiano, guardandosi intorno, «Non era con te?»
Lei si raggelò sul posto, poi levò le sopracciglia con ostentata sorpresa. «Perché avrebbe dovuto essere con me?»
Leonardo alzò gli occhi al soffitto. «È uscito da solo» intuì.
«L'hai fatto incazzare» tirò allora le somme Tommaso, fulminando la sorella con lo sguardo. «Si può sapere che cazzo hai in testa? Ti sembra il tuo giocattolino?»
«Vogliamo solo divertirci. Entrambi. Smettila di preoccuparti per lui, non sono una troia e siamo sempre in due quando facciamo le nostre cose» lo rimbeccò, incrociando le braccia al petto.
«Lui è innamorato di te» rispose soltanto Tommaso in tono grave, per poi voltarle le spalle ed uscire dall'appartamento senza aspettare una risposta.
Leonardo e Sebastiano si scambiarono un'occhiata imbarazzata – non era mai piacevole sorbirsi certe discussioni tra fratelli – e lo seguirono in silenzio. Oltrepassando la soglia furono colpiti dall'aria umida dell'esterno come da uno schiaffo, tanto che il biondino sgranò gli occhi e annaspò: «Cazzo, non si respira!»
«Ma siamo proprio sicuri di voler andare giù in spiaggia?» chiese Tommaso, infilando le mani nelle tasche dei bermuda e scrutando il cielo con cipiglio pensieroso.
«Dove altro potremmo andare?» Sebastiano sbuffò. Niente spiaggia significava niente Anita e lui aveva tutta l'intenzione di vederla.
Il primo ragazzo roteò gli occhi con aria insofferente. «Ci sarà pur qualcosa da fare in questa città!»
Leonardo intuì che di quel passo non avrebbero mai preso una decisione; quindi sospirò e intervenne: «Innanzitutto dovremmo trovare Elia» ricordò loro, dando mostra del proprio senso pratico. «Poi decideremo come passare la giornata».
Nessuno trovò alcunché da obiettare, anzi, Sebastiano fu il primo ad estrarre il cellulare dalla tasca per chiamarlo: prima lo avrebbero trovato e prima sarebbe potuto fuggire al bar del Bagno Girasole a cercare Anita.

Ninì stava pigramente sistemando il ripiano degli alcolici dietro al bancone, mentre la spiaggia continuava ad essere deserta e il cielo a coprirsi. Storse il naso e spolverò una bottiglia di whisky, chiedendosi il motivo di tutte quelle marche diverse di ammazza-caffè: la metà erano ancora chiuse con il sigillo della fabbrica e stavano lì per lo più a prendere della polvere. Sbuffò, togliendo dalla mensola un'altra bottiglia e spolverandola accuratamente, stando poi attenta ad appoggiarla in maniera stabile sul piano da lavoro alle proprie spalle.
Michele era sceso a riva a controllare la situazione delle onde; il mare era mosso da quella mattina e gli ombrelloni erano ancora chiusi, nella speranza che il temporale in arrivo non facesse danni.
Guardò l'orologio che segnava impietosamente le 9.27 e tornò a dedicarsi al proprio lavoretto, ormai rassegnata dal fatto che Agnese non si sarebbe presentata per il cappuccino. Il suo cellulare, appoggiato sulla macchina del caffè, l'avvisò dell'arrivo di un nuovo messaggio di Whatsapp. Ripose la bottiglia e si pulì le mani nel grembiule, per poi aprire il messaggio e leggere la conferma delle sue deduzioni: Agnese aveva optato per rimanere a casa a studiare, tanto si stava avvicinando un temporale e sarebbe stato inutile ed imprudente raggiungerla al bar. Rispose senza troppo entusiasmo e abbandonò il telefono sul bancone, poi si avvicinò allo stereo e alzò il volume della musica, cominciando a canticchiare a bassa voce.

A qualche traversa di distanza, nella sua camera da letto, Agnese sbuffava guardando in tralice i nuvoloni neri che stavano imbottendo il cielo su Cesenatico. Più le nubi si addensavano, più il clima si faceva umido, più lei si faceva prendere dal malumore. Detestava quel tempo grigio. Era estate e, anche dovendo studiare, sentiva il bisogno di vedere il sole splendere nel cielo e infonderle l'energia necessaria a vivere. Sbuffò per l'ennesima volta e scrisse un nuovo SMS sintetizzante la sua situazione a Ninì: "Funziono ad energia solare. Sono scarica", con una faccina triste a rafforzare il concetto. Messaggi del genere significavano solo una cosa: non ho voglia di studiare, tienimi compagnia. D'altra parte sapeva benissimo che Anita stava lavorando, per cui si rassegnò all'idea di doversi trovare un'altra occupazione. Gli appunti di sociologia non erano mai stati meno invitanti.
Fortunatamente per lei, qualcun altro si stava annoiando in quell'esatto momento: di fatti il cellulare suonò l'arrivo di una nuova nota vocale su WhatsApp, che Agnese pregustava prima ancora di averla ascoltata. Premette play, dunque.
"Qualcuno sa spiegarmi perché ho accettato questo lavoro? Li odio. Odio questi bambini come non ho mai odiato ness- cosa fai? Scendi di lì! Ma porc-" La voce di Rossella si interruppe e Agnese rise forte. Ross era un tipetto piuttosto teatrale, amava fare ridere gli altri e anche nei momenti di maggiore serietà metteva così tanta enfasi in ciò che diceva da sembrare grottesca. E lei rideva, ovviamente.
Fu questione di pochi attimi perché una seconda nota vocale giungesse: "Okay, è vivo. Purtroppo. Li sto portando in sala giochi per evitare che vengano fulminati in spiaggia. Anche se l'idea non mi dispiacerebbe. Penso che li ucciderò entro fine giornata, sempre che non si uccidano da soli. Ah, il ragazzo che legge Calvino è sparito e io lo odio per questo. I romani ci sono ancora, invece?"
Se erano ancora in giro? Oh, certo che c'erano. E, dannazione, solo a pensarci Agnese sentiva le farfalle allo stomaco. Arrossì, si diede della stupida e cercò di svuotare la mente, mentre registrava a propria volta un messaggio: "Sì, sono al Girasole e dormono al b&b di mia zia. Ninì è già cotta a puntino di Sebastiano, ma lui sembra messo anche peggio. Dobbiamo vederci in questi giorni, abbiamo un po' di cose da raccont- cioè, le ha Ninì."
Dopo aver inviato si riascoltò e sospirò scontenta. La sua voce suonava sempre così infantile o era colpa dell'imbarazzo del registrarsi?
Attendendo una risposta di una delle sue amiche, tentò di ricominciare a studiare, ma ben presto si sorprese a pensare a Leonardo. No, no e ancora no! Non avrebbe affatto dovuto pensare a lui. Non poteva lasciarsi coinvolgere: era puro masochismo! Stupida, stupida Agnese.

Erano ancora alla ricerca di Elia, ma l'acquazzone che li sorprese costrinse i ragazzi ad infilarsi nel primo negozio che videro. Si trattava di una piccola libreria che vendeva per lo più volumi sconosciuti e usati, gli scaffali erano stracolmi e c'erano pile di tomi ovunque.
Leonardo si guardò in giro meravigliato, mentre Tommaso vagava fra le torri di libri lanciando occhiate in cagnesco a sua sorella, ferma poco oltre la soglia. Sebastiano invece stava sulla porta, la spalla appoggiata allo stipite e le mani sprofondate nelle tasche; guardava sconsolato l'acqua che scendeva copiosamente dal cielo in gocce che sembravano palle di cannone. Sospirò sconsolato e tirò fuori il cellulare. A quell'ora Ninì era già al lavoro e magari lo stava aspettando. Oppure no, visto il tempaccio. Aprì la casella dei messaggi e digitò velocemente: "Siamo chiusi in una libreria che puzza di carta ammuffita. Stiamo cercando Elia, l'hai visto passare di lì?"
Rilesse il messaggio e lo cancellò con stizza, poi sbuffò e riprovò: "Ehi! Sei al lavoro anche con questo tempo? Noi stiamo cercando Elia, ma in questo momento siamo chiusi in una libreria che puzza di muffa. Preferirei essere lì con te".
Soddisfatto di quella stesura inviò e rimise il telefono nella tasca dei bermuda, poi si voltò verso i suoi amici e li guardò: Tommaso stava svogliatamente sfogliando un libro con la copertina di pelle rossa, aveva lo sguardo annoiato e preoccupato al tempo stesso; Elisabetta sbuffava e si torturava le unghie e, Sebastiano poteva scommetterci le palle, stava sicuramente pensando ad Elia; Leonardo sembrava l'unico felice di essere capitato in quel negozio: passava da uno scaffale all'altro, sfogliava libri, leggeva titoli, sorrideva, per qualche strana ragione. La verità era che Leonardo in quell'ultimo periodo sorrideva molto, si divertiva, parlava di sé e faceva domande. Con Agnese.
Sebastiano arricciò le labbra e decise che avrebbe dovuto chiedergli di più, se anche lui sentiva le mani pizzicare quando aveva Agnese vicino, se anche lui avvertiva anche solo vagamente quello che lui provava in presenza di Anita. Sorrise tra sé e tirò fuori il cellulare, scoprendo così che gli era arrivato un sms. Lo aprì con foga e sorrise apertamente leggendo "Ninì" nella casella del mittente.
"Ciao turista! Non parlare male di quella libreria, è storica! Beh, io sto facendo dei lavoretti pressoché inutili qui al bar, tipo pulire le palline da ping-pong. Salvami".
A quel punto le sue guance presero fuoco e la sua pancia brontolò, ma non per la fame. Rilesse almeno sette volte quel "Salvami" che poteva essere stato messo lì tanto per fare, ma che a lui sembrava un appiglio per uscire dal tedio di quella giornata.
«Aho, me sa che io vado al Girasole» disse a voce alta, attirando su di sé tre paia di occhi sorpresi.
«Che ce vai a fa'?» domandò Tommaso, ma la risata di Leonardo era già una risposta in sé.
«Va dalla sua Anita, no?»
Sebastiano arrossì e annuì, ma, nel momento stesso in cui stava per mettere piede fuori, l'intensità della pioggia raggiunse quella di una cascata e un tuono spezzò il silenzio della strada deserta. Rilassò le spalle e sbuffò.
«Mi sa che non vai da nessuna parte, Romeo» lo prese in giro Elisabetta, salvo poi abbassare gli occhi a terra e sospirare afflitta: chissà dove si era cacciato Elia.

Mentre i suoi amici aspettavano di poter uscire per andare a cercarlo, Elia Bracaglia aveva trovato riparo in un bar sulla strada per il b&b e aveva ordinato un cappuccino e una brioche, aveva preso posto ad un tavolino e fissava l'acqua dalla vetrina, pensando.
Chissà che cosa provava Elisabetta quando andavano a letto insieme: era del tutto indifferente oppure faceva finta che per lei fosse solo sesso? Non capiva che lui ci metteva tutto se stesso, che prima di baciarla la guardava in tutta la sua bellezza, che per lui non era sesso ma amore? Non lo capiva perché era testarda, perché non le interessava o perché era spaventata dal fatto che provava le stesse cose?
Bevve un sorso di cappuccino e fece una smorfia schifata, per poi ricordarsi di non averlo zuccherato e ridendo tra sé. Prese due bustine di zucchero e le aprì, versandone il contenuto nella tazza. Guardò i granelli bianchi affondare lentamente nella schiuma densa, poi, una volta spariti tutti, mescolò e bevve di nuovo.
Elisabetta era la ragazza più bella che avesse mai conosciuto, ma aveva il carattere peggiore del mondo e a volte era davvero insopportabile. Nel suo cuore e nel suo cervello, però, Betta era perfetta e avrebbe lottato e versato ogni goccia del suo sangue pur di averla. Entro la fine di questa vacanza sarà mia sul serio, pensò con determinazione, addentando con violenza il bombolone alla crema, che inevitabilmente si aprì, sbrodolandogli addosso il ripieno. L'anziana signora dietro al bancone scoppiò a ridere e lui con lei, dopo un primo momento di smarrimento.

Anita era in fibrillazione. Non riusciva ancora a credere che Sebastiano le avesse appena scritto un SMS – così dolce, poi! Da quel momento, ogni volta che lo schermo del cellulare si illuminava, il suo cuore accelerava il battito per l'aspettativa, salvo poi rallentare con una certa delusione nel leggere il nome di Agnese o Rossella, che stavano organizzando una seduta "pizza e film" per quella sera stessa. Leggeva i messaggi distrattamente, intervenendo solo quando la conversazione implicava necessariamente una sua risposta.
"Chi ha casa libera? Che pizza prendiamo? Qualcuno ha un film da consigliare?" Agnese.
"Chi porta qualche bel ragazzo? ;)" Ross.
Ninì rise. "Se mi fate portare Seba..." digitò, salvo poi precisare in fretta: "SCHERZO!", sapendo che quella sua risposta non sarebbe piaciuta molto ad Agnese. Infatti il suo "Ah ah ah. No." non tardò ad arrivare. La ragazza sospirò e appoggiò nuovamente il telefono sul bancone. Stava morendo di noia. Com'era ovvio che fosse, non si era presentata anima viva quel giorno, con quell'acquazzone in atto. Se almeno avesse avuto qualcuno di più simpatico di Michele a farle compagnia, avrebbe potuto ingannare il tempo con più facilità.
Sbuffò ancora, accogliendo con un sorriso forzato Michele, che tornava di corsa dalla spiaggia.
«Bisogna ritirare tutti gli ombrelloni e i lettini, Carlo mi ha detto che la protezione civile sta allertando tutti i bagno per le trombe d’aria». Anita lo guardò senza capire bene cosa dovesse fare, ma le delucidazioni del ragazzo non tardarono ad arrivare con un seccato «Devi darmi una mano».
Così corsero entrambi lungo la passerella, sfilando gli ombrelloni e ritirando i lettini nello sgabuzzino. Proprio mentre una folata di vento stava facendo perdere l'equilibrio ad Anita, Elia l'afferrò per un braccio e le evitò la caduta. La ragazza lo guardò confusa e lui le regalò un sorriso ampio e amichevole, ma i suoi occhi erano tristi e l'espressione non sembrava spontanea.
«Vi do una mano» gridò e Michele accolse di buon grado quella proposta, borbottando contro la sbadataggine della sua collega.
Quando finalmente furono di nuovo al riparo, Elia non la smetteva più di ridere; sembrava entusiasta della piccola avventura appena vissuta, cosa che lasciava Michele piuttosto perplesso. «Woah!» esclamò a conclusione dell'ultimo attacco di ridarella, legandosi i lunghi capelli fradici in una crocchia scomposta, «È stato divertente!»
Anita ridacchiò, per lo più sorpresa da quella reazione. No, lei non l'avrebbe definita divertente – fastidiosa, bagnata e faticosa, piuttosto–, ma non obiettò. Automaticamente, invece, non appena si fu resa conto di chi fosse quell'Elia Bracaglia che le aveva appena dato una mano, le venne in mente Sebastiano.
Elia dovette leggerglielo in faccia, perché, strizzando la maglietta per farla gocciolare sul pavimento del bar, disse: «Non so dove sia», in risposta ad una domanda che non era stata posta.
«Chi?» chiese lei ingenuamente, per poi arrossire quando lui le rivolse un'occhiata eloquente. «Uhm, erano in libreria. Ti stavano cercando» lo informò.
«Cercavano me?» Il ragazzo ridacchiò. «Ero solo sceso a correre».
E ad Anita venne naturale fare una smorfia: «Con questo tempo?»
In effetti, convenne lui, la domanda era lecita.
«Diciamo che non ci ho riflettuto molto prima di partire. Ora che si fa?»
Michele fece schioccare la lingua e passò dietro alla ragazza, appoggiando le mani sui suoi fianchi per farla spostare di un passo.
«Io mi faccio una birra» borbottò, mentre Anita arrossiva e si spostava di scatto, come se temesse che Elia potesse riferire di quel gesto a Sebastiano.

«Oh, posso averne una anche io?» chiese Elia allegramente, sedendosi al bancone e appoggiando le braccia sul piano.
Michele nemmeno rispose, ma poco dopo gli piazzò di fronte la bottiglia. «Offre la casa, per l'aiuto», abbozzò un sorriso, «Tu ne vuoi, Ninì?»
La ragazza scosse il capo in silenzio, ancora un po' a disagio, poi andò a sedersi ad uno sgabello di distanza dal loro ospite.
«Allora, sentiamo: cosa si fa da queste parti per divertirsi, quando piove?» domandò lui.
Anita scrollò le spalle e prese a torturarsi le mani; era inutile negare che avrebbe preferito la compagnia di Sebastiano a quella di Elia e Michele messi insieme. Sospirò silenziosamente e si sistemò i capelli bagnati e scompigliati, salvo poi ricordarsi della canottiera bianca e il reggiseno blu che indossava. Arrossì vistosamente e si lanciò ad afferrare la felpa, per poi infilarsela e cercare di coprire la pelle bagnata e cosparsa di brividi.
Michele soffiò una risatina amara. «Non lo so... niente?»
Elia sgranò gli occhi. «Niente?» ripeté, turbato da quella rivelazione. Era nato a cresciuto nella capitale, non era minimamente preparato a fare i conti con una piccola città come quella. «Come sarebbe “niente”?»
«Ci si annoia, aspettando che spiova» aggiunse l'altro scrollando le spalle, del tutto inconsapevole dello sconvolgimento dell'altro, «O vai in sala giochi, ma sarà pieno di ragazzini e turisti».
Elia sbuffò, rassegnato, per poi esibirsi in un nuovo raggiante sorriso.
«Be', vorrà dire che giocheremo a carte! Ci state?» propose. E loro ci stettero.


Nel momento stesso in cui Elia mise piede al bed and breakfast, fu accolto da un sospiro di sollievo. «Eccolo, il deficiente è tornato» lo salutò Elisabetta con aria stanca, per poi alzarsi dalla panca nel corridoio e sparire dietro la porta della propria stanza.
Il ragazzo la seguì con lo sguardo, senza dire una parola, ferito da tutta la diffidenza che ancora otteneva da lei. Cosa avrebbe dovuto fare per farsi voler bene? Prima che potesse perdersi ulteriormente nei propri pensieri, però, Tommaso spuntò dalla soglia della sua doppia, scrutandolo attentamente.
«Sei tutto intero?»

Elia passò una mano tra i riccioli di nuovo asciutti ed eccessivamente voluminosi e annuì, regalando un sorriso smagliante al suo amico. «Sì!» Era proprio curioso di sapere cosa avessero fatto tutta la mattina – avevano dormito, erano usciti?
«Bene, perché ora ti prendo a calci in culo».
Elia sgranò gli occhi per la sorpresa, leggermente turbato dalla serietà con cui era appena stato minacciato; scoppiò a ridere nervosamente.
«Cosa?» Stava scherzando. Doveva.

«Ti abbiamo cercato dappertutto, testa di cazzo! Potevi almeno richiamare!»
«Richiamare? – Aggrottò la fronte, le sopracciglia ora ravvicinate in segno di preoccupazione. – Non avevo nemmeno il telefono, è in camera».
Tommaso sputò una risatina. Tipico di Bracaglia, fare sciocchezze e poi pretendere che tutti fingessero che nulla fosse successo.
«Abbi almeno la decenza di scusarti».

«Scusarmi per cosa?» chiese il ricciolino. Aveva la netta sensazione di essersi perso qualcosa. Era solo uscito a correre ed era stato sorpreso da un acquazzone. Non ottenne risposta dal migliore amico, che, senza una parola di più, lo superò ed uscì sulle scale che portavano fuori dal b&b.
Elia rimase fermo sul posto qualche istante, senza capire, poi si affacciò alla porta aperta della camera di Leonardo, dove trovò anche Sebastiano steso su un letto con la sua classica espressione da uomo al patibolo, sintomo di nient'altro che noia.
«Che cosa prende a tutti quanti?»
Leonardo, seduto malamente sul pavimento, scrollò le spalle e tolse un auricolare dalle orecchie. «Erano preoccupati per te» disse solo.
Sebastiano, che con quella faccia da funerale continuava a lanciare in aria un pacchetto di fazzoletti per poi riacciuffarlo al volo, sbuffò.
«Spero che almeno tu ti sia divertito» brontolò; «Noi ti odiamo tutti. Io soprattutto». Era solo colpa sua, se non era riuscito a vedere Anita quella mattina.

Leonardo alzò gli occhi al soffitto e soffiò un risolino. «No, io no».
E a Elia non restò altro da fare che scompigliarsi i capelli e prendere un respiro profondo: entrambi i Villa e persino Castelli erano arrabbiati con lui. Se l'ultimo non era un vero problema – perché, insomma, Seba non era davvero capace di tenere il muso a qualcuno tanto a lungo--, gli altri due erano presagio di una lunghissima e faticosissima giornata.
«Quindi dove sei stato di bello?» lo interrogò Leonardo, guardandolo dal basso con un mezzo sorriso.
«Sono andato in spiaggia a correre e poi ho aiutato Ninì e Michele a sistemare gli ombrelloni. Siamo rimasti chiusi dentro al bar a giocare a carte finché non ha smesso di piovere», ridacchiò e si scompigliò di nuovo i capelli, mentre Sebastiano scattava a sedere e lo guardava con la bocca spalancata.
«Sei stato con lei tutta la mattina?» gli chiese con voce grossa, per poi alzarsi e piazzarsi davanti a lui.
Elia scrollò le spalle ed annuì.
«Ma che razza di stronzo!» ringhiò Castelli, uscendo dalla stanza rifilandogli una poderosa spallata che lo fece ondeggiare e sbattere contro lo stipite.
Il ragazzo rivolse un'occhiata scandalizzata a Leonardo, trattenendo il respiro per qualche istante.
«Ma perché ce l'hanno tutti con me oggi?» domandò in tono un po' acuto.

Leonardo sospirò e scrollò le spalle. Non era decisamente la giornata fortunata di Elia quella.
«Vieni qua, dai» lo invitò, porgendogli un auricolare. «È meglio se per un po' te ne stai qui tranquillo senza parlare».


Bloop's corner:
Ciao a tutti! Qui è Mari che vi scrive! 
Che vergogna aver tardato così tanto! Scusate davvero, non sappiamo nemmeno come sia potuto succedere. Purtroppo siamo un po' ferme con la scrittura, ma confindo in una rinascita della passione che ci spingeva a non smettere un secondo di inventare e narrare le avventure dei nostri protagonisti.
Questo capitolo non è molto d'azione, ma più che altro è una breccia nella storia travagliata fra Elia ed Elisabetta. Chissà che questa vacanza a Cesenatico non cambi qualcosa anche tra questi due! Staremo a vedere!
Scusate ancora il ritardo, mi auguro con tutto il cuore che non accada più niente di simile.
Ringraziamo infinitamente Yeli_ e romy2007 per le recensioni al capitolo precedente, scusate se non abbiamo risposto, non è stato molto carino da parte nostra.
Grazie anche a tutti quelli che sono arrivati a leggere le note, grazie anche a quelli che non sono arrivati fino a questo punto ma hanno provato a darci fiducia.

A presto, spero
Un abbraccio,
Mari


 

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Capitolo 10
*** Giorno ottavo ***



- Come ti sconvolgo la vita in tre settimane -


9. Giorno ottavo

 

Dopo il temporale del giorno precedente su Cesenatico era tornato il bel tempo e i turisti si precipitarono in spiaggia già dal primo mattino, per recuperare il sole perso a causa del mal tempo.
Anita era già carica di lavoro: faceva caffè e li portava ai tavoli, farciva tramezzini, caricava la lavastoviglie e scriveva il menù per il pranzo sulla lavagnetta da esporre fuori dal bar; Michele intanto finiva di sistemare i lettini e gli ombrelloni sulla spiaggia, accompagnando i bagnanti che erano già arrivati. Agnese non si era ancora fatta viva, ma Anita era certa che non avrebbe tardato tanto, d'altronde la sua amica non ingranava la marcia senza il suo cappuccino del buongiorno con una spolverata di cacao. Sospirò, già stanca e provata dal caldo umido che entrava dalle porte a vetri spalancate; alzava lo sguardo ogni volta che vedeva passare qualcuno, sperando che Sebastiano non tardasse troppo a palesarsi. Il giorno prima non aveva più ricevuto suoi messaggi e aveva passato tutto il pomeriggio a chiedersi se avesse detto qualcosa di sbagliato o se fosse successo qualcosa a lui o a qualcuno dei suoi amici. Forse aveva esagerato ed era stata troppo precipitosa, oppure si era arrabbiato perché lei aveva passato del tempo con Elia, oppure si era già stancato di lei. Fece una smorfia sofferente e appoggiò l'ennesima tazzina sul vassoio, rischiando di rovesciarne il contenuto quando vide una chioma bionda affacciarsi al bar. Il suo cuore prese a battere più velocemente, salvo poi rallentare di botto quando lei mise a fuoco la faccia di Elia.
«Ciao» lo salutò; la sua voce era lievemente sporcata da una vena di delusione.
«È venuto fuori un gran bel sole», il ragazzo si avvicinò al bancone e appoggiò gli avambracci al piano, guardandola fissa negli occhi.
Anita arrossì un poco e annuì febbrilmente, per poi voltarsi di schiena e riprendere il suo lavoro con gesti automatici.
«Sta arrivando» mormorò Elia, con un sorriso sulle labbra, che si ampliò quando capì di aver fatto centro, «Ieri si è arrabbiato con me perché non è riuscito a vederti» continuò.
Anita boccheggiò e arrossì ancora di più, «Davvero?» balbettò, posizionando quattro tazzine sotto il getto di caffè.
«Sicuro! Senti, prepareresti un caffè anche a me?»
La ragazza annuì e si mordicchiò il labbro inferiore. Voleva vederla e si era arrabbiato perché non era riuscito a passare del tempo con lei e il suo amico invece sì. Questo significava che non si era arrabbiato né stufato e stava arrivando al bagno e da quel momento il sorriso non abbandonò mai le sue labbra.

Sebastiano camminava velocemente inveendo contro Elia, che ancora una volta era sceso in spiaggia per conto suo e ci poteva scommettere le palle che stava chiacchierando amabilmente con la sua Anita. Leonardo ridacchiava e seguiva l'amico con il sorriso sulle labbra, il cuore leggero e un libro nello zaino; aveva già deciso che quella mattina avrebbe fatto compagnia ad Agnese sul terrazzo del Girasole, perché davvero ne aveva voglia e aveva pensato a lei tutto il giorno precedente, mentre fingeva di ascoltare le lamentele di Sebastiano, gli improperi di Tommaso e le cattiverie di Elisabetta.
Quando arrivarono al bagno, Anita stava portando un vassoio ad un tavolino, così Sebastiano approfittò di quel momento di distrazione per sgusciare nel bar e sedersi ad uno sgabello. Se c'era una cosa che aveva imparato di Anita era che non si accorgeva mai di chi aspettava al bancone finché non ci si trovava davanti a chiedere che cosa potesse servigli. Quella, però, doveva essere davvero una giornata speciale, perché dopo appena un minuto che era seduto sentì qualcuno abbracciargli le spalle da dietro.
Sorrise apertamente e si alzò, voltandosi e avvolgendole la vita con un braccio.
«Ciao» la salutò, lasciandole poi un leggero bacio sullo zigomo, «Ieri credevo di impazzire» confessò, inclinando la testa di lato e regalandole un sorriso a trentadue denti, «Come stai?»
Le accarezzò una guancia e la vide arrossire intensamente. Era così bella da togliergli il fiato e non sapeva proprio che cosa lo trattenesse dal baciare quelle labbra sottili e rosa, che sembravano dolci e morbide.
«Sto bene, ho appena finito di preparare settanta caffè e diciotto cappuccini», ridacchiò e lo fissò negli occhi, mordendosi l'interno della guancia.
«Cazzo se hai da fare oggi! Troverai un minuto per me, signorina?» le chiese speranzoso e sorrise apertamente quando lei annuì e gli accarezzò la guancia.
«Ovviamente» confermò, per poi baciargli dolcemente la guancia e allontanarsi dall'abbraccio per tornare al suo lavoro. Non appena fu lontana dal corpo di Sebastiano, però, sentì l'impulso di tornare fra le sue braccia, già ne sentiva la mancanza.

Quando Agnese arrivò, aveva un muso talmente lungo che ad Anita venne spontaneo incolpare Davide.
Si arrampicò come sempre su uno sgabello libero al bancone, poi prese a dondolare i piedi proprio come una bambina. Era il genere di comportamento che era solita evitare, per non sembrare ancora più piccola di quanto già sembrasse, e il fatto che non se ne stesse preoccupando significava solo una cosa: umore ai minimi storici.
Salutò l’amica con un sospiro e uno sbadiglio, a cui quella rispose posizionandole di fronte il solito cappuccino del buongiorno - nella speranza che lo diventasse, un buon giorno.
«Che succede?» le chiese dunque, con una punta di preoccupazione.
Agnese sbuffò e scosse leggermente il capo. «Mia madre. Mia sorella. Io.»
"Il ciclo" tradusse mentalmente Anita, trattenendosi dall'alzare gli occhi al cielo. Non c'era modo di raddrizzare una giornata iniziata storta, se Agnese era in quel periodo del mese. Niente e nessuno.
«Oh» disse solo, infatti. Quasi temeva di pronunciare qualunque altra parola, conoscendo la sua instabilità emotiva. «Be', vuoi dell'altro zucchero?»
Un altro sospiro affranto. «No, sono a posto così».
Per un attimo sembrò che avesse finito, ma quello successivo Agnese riprese a parlare in tono sommesso e lamentoso: «Tanto tra poco me ne andrò di sopra a morire di caldo e cercare di studiare per un esame che non passerò mai. Non so nemmeno perché mi sia iscritta all'università, farò la cameriera a vita...»
A quel punto Anita proprio non riuscì a non roteare gli occhi. «Se studi, passi gli esami. Se non studi, non li passi. No, non farai la cameriera a vita. Con tutto quest'ottimismo mi farai scappare i clienti!»
Agnese stiracchiò un piccolo sorriso, scese dallo sgabello e afferrò la tazza, per poi uscire lentamente dal bar.
«Più tardi ti porto la merenda!» le gridò dietro Anita, che in risposta ottenne solo l'ennesimo sospiro.

Quando mise piede sul terrazzino per poco non le cadde tutto di mano: al suo tavolino - l'unico - c'era Leonardo, seduto su una delle due sedie. Era assorto nella lettura di un libro enorme, che incuriosì Agnese e la fece avvicinare.
«Cosa leggi?»
Leonardo sobbalzò e per poco non cadde dalla sedia, poi si ricompose e si schiarì la voce, chiudendo il volume e mostrandole la copertina.
«Il Signore degli Anelli» disse, per poi alzarsi e aiutarla con la borsa e il cappuccino.
Lei lo ringraziò con un sorriso imbarazzato e un paio di guance rosse che la facevano sembrare una ragazzina delle medie di fronte alla sua prima cotta.
«Immagino tu debba studiare. Ti do fastidio se resto qui a leggere?» La parlantina di Leonardo era rara almeno come la neve ad agosto, ma quando arrivava il suo turno era una gioia per chi lo ascoltava.
«È incredibile questo posto! C'è ombra, tira un po' di vento e non ci sono amici o persone moleste»
Agnese ridacchiò, completamente d'accordo sull'elenco dei pregi del suo nascondiglio non più tanto segreto. Se Anita fosse lì le direbbe di farsi avanti, perché in fondo non aveva niente da perdere; ma Agnese non era Anita e quando si trattava di ragazzi la loro tattica era ben diversa: Agnese aspettava in difesa, sempre pronta a scappare o a svicolare; Anita si lasciava travolgere e non aveva paura di rimanere ferita.
Sorridendo lievemente si sedette sulla sedia accanto alla sua, lo sguardo basso e un'imprecazione bloccata da un morso alla lingua quando inevitabilmente picchiò il piede contro una gamba del tavolo. Estrasse libro e quaderno, una matita e si sistemò nella maniera più ordinata che poté, a dispetto della solita esplosione di disordine che caratterizzava il suo tavolino. Gli bastò aprire il libro di sociologia per rendersi conto che con Leonardo seduto accanto non sarebbe riuscita a studiare una sola riga; era troppo attenta a cogliere ogni suo movimento, ascoltare il suo respiro, pronta a inorridire in caso di sbuffi o sospiri.
Non smetteva di darsi della stupida: perché non poteva concentrarsi sul libro e basta? Da un lato le sarebbe piaciuto avere uno straccio di motivo per essere così agitata, anche il più piccolo segno di interesse da parte sua sarebbe stato ben accetto, dall'altro era spaventata dalle sue stesse reazioni. Lui le piaceva e negarlo era ormai inutile; nasconderlo presto sarebbe diventato impossibile, specie ora che lo ammetteva a se stessa: avrebbe cominciato ad arrossire anche solo al sentirlo nominare, a sentirsi autorizzata a pensare a lui. Sbagliato, sbagliato, sbagliato! Si stava solo facendo del male. Sospirò silenziosamente e, conscia del fatto che non sarebbe mai riuscita a studiare, si limitò a fissare la pagina, aspettando che succedesse qualcosa.
Quel qualcosa non tardò ad arrivare: Leonardo sbuffò e si sventolò il segnalibro davanti alla faccia. «Ma che caldo fa?» ansimò, voltandosi a guardare Agnese, che scrollò le spalle.
«Non è nemmeno così caldo rispetto al solito» rispose con voce incerta.
Lui lasciò cadere la testa all'indietro e gemette piano, facendo sì che la ragazza arrossisse ancora di più e i suoi pensieri prendessero direzioni non esattamente indicate a quella situazione.
«Seba sta andando all'attacco» continuò lui, tornando a guardare la passerella sotto di loro, lungo cui stava camminando il suo amico, direttosi al bar subito dopo aver appoggiato lo zaino e la maglietta all'ombrellone.
«Non fa altro che parlare di lei, sai? A volte è insopportabile, però devo ammettere che non l'ho mai visto così preso da qualcuna».
Agnese sgranò gli occhi e lo guardò sorpresa, mentre lasciava perdere definitivamente gli appunti.
«Ninì ha avuto altre storie serie?»
Fu a quel punto che Agnese si insospettì del motivo per cui lui si trovava lì: era forse in cerca di informazioni?
«Niente di serio» mormorò con distacco, salvo poi commettere l'errore di guardarlo e sorprenderlo a fissarla con sguardo indecifrabile.
Sgranò leggermente gli occhi per la sorpresa e tornò alla contemplazione del proprio libro, con le guance un po' più rosse di prima. «E t- lui?»
Ennesima figuraccia, complimenti Agnese!, si rimproverò, mordendosi l'interno della guancia come suo solito. Ecco un altro sintomo della sua presa di coscienza: l'imbarazzo l'avrebbe spinta a dire e fare un sacco di cose stupide.
Leonardo, dal canto proprio, aveva notato l' "e tu?" che Agnese aveva cercato di ingoiare. Gli tornò in mente Samanta solo per un istante, poi cacciò il pensiero dando un'occhiata al mare mosso. Quella era stata una storia seria, forse, ma una pessima relazione, fondata sull'abitudine e il bisogno invece che sul sentimento. Tanto che ad un certo punto la sua ex aveva semplicemente deciso di aver più bisogno di quell'altro che non di lui.
Si morse il labbro inferiore. «Seba si prende una sbandata e viene regolarmente friendzonato, non ha mai avuto vere storie».
Agnese parve sollevata da quella rivelazione, ma anche turbata. «E questa volta fa sul serio?» gli chiese in un sussurro, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.
Leonardo non lo sapeva. Sebastiano era il suo migliore amico, una delle persone migliori che avesse mai incontrato in vita sua; era impaziente in ogni senso possibile e diventava una palla al piede quando si annoiava - lo conosceva come le proprie tasche ormai. Si fidava delle sue intenzioni, ma non avrebbe saputo dire se avesse senso definire "seria" una storia destinata a finire nel giro di tre settimane. «So che non approfitterà di lei e non la sta prendendo in giro».
L'espressione di Agnese, quando lo guardò, lasciava trapelare tutti i suoi dubbi nei confronti del principio di relazione tra i loro migliori amici, ma lei non fece altre domande; annuì e distolse lo sguardo.
«Oddio» mormorò poi, incredula, gli occhi puntati su una figura che parcheggiava la bici all’ingresso del bagno.

-

Era arrivato di gran carriera, la testa piena di parole che non riusciva a ordinare in frasi. Tommaso l'aveva detto per scherzo, ma Sebastiano aveva deciso di farlo davvero; in fondo cosa aveva da perdere?
Sarebbe stato meglio mostrarle quanto gli importava della risposta oppure fingere che la questione non lo toccasse minimamente? Probabilmente l'opzione migliore sarebbe stata buttare la proposta nel bel mezzo della conversazione, con naturalezza e un sorriso incoraggiante, proprio come avrebbe fatto Elia al suo posto. Sì, il modo migliore per chiederle di uscire con lui era decisamente quello. L'avrebbe fatto.
Con queste idee in mente, quindi, Sebastiano Castelli entrò nel bar, accolto da un'occhiata in tralice di Michele e da un sorriso allegro di Anita, che, come al solito, rischiò di rovesciare un bicchiere. Avanzò a passi lunghi e ciondolanti verso il bancone, con la mente così vuota che quasi poteva sentire l'eco della propria indecisione.
«Aehm, Nìni» borbottò con un sorriso stiracchiato, talmente nervoso da sbagliare persino la pronuncia nel soprannome.
La ragazza ridacchiò e servì un caffè ad un anziano cliente abituale. «Ecco a lei. Ehi, turista! Nini?» domandò, divertita dal nuovo nomignolo.
Sebastiano si diede del cretino sottovoce e si scompigliò i capelli. «Scusa, è che...» fece una smorfia; «è il caldo, non ci sto a capi’ più niente» cercò di giustificarsi. Non aveva iniziato nel migliore dei modi la sua impresa, no.
«No, va bene,» si affrettò a tranquillizzarlo lei: «mi piace. Nini» ripeté, sorridendo tra sé.
Almeno un lato positivo c'era, osservò lui, dondolando sui talloni. Gli sarebbe tanto piaciuto dire qualcosa, instaurare una conversazione come faceva sempre, stordendo tutti con la propria logorrea, ma questa volta aveva la lingua impastata e le parole incastrate in fondo alla gola. Provò a sbloccarle con un colpo di tosse, ma fu inutile. Tanto valeva andare dritto al punto. «Senti, mi chiedevo...»
«Ninì, tavolo due». Michele mise un vassoio in mano ad Anita, che si strinse nelle spalle stiracchiando un sorriso di scuse. «Certo. Torno subito» mormorò, per poi partire alla volta del tavolo indicato.
Sebastiano sospirò, strofinandosi nervosamente le mani l'una nell'altra; senza nemmeno sapere perché la seguì, la schiena ritta e i muscoli tesi. Non si sarebbe arreso così facilmente; riprovò: «Volevo chiederti se...»
«Oh mio Dio, non ci credo!» gridò Anita prima di appoggiare il vassoio su un tavolo libero e affrettare il passo, per poi saltare letteralmente in braccio ad un ragazzo che Sebastiano non aveva mai visto. Ovviamente lui si zittì e rimase a guardare la scenetta da lontano, le parole troncate a metà. Chi era quel tipo che stava stritolando Anita, sollevandola da terra e facendole fare una giravolta? Distolse lo sguardo con finta indifferenza, salvo poi tornare a fissare la ragazza, che ora accarezzava le braccia muscolose e abbronzate di quel suo amico comparso dal nulla a rovinare i suoi piani.
«Ma quando sei tornato? Potevi scrivermi, sarei venuta in stazione!» disse la biondina, ancora su di giri.
Giovanni era un amico di infanzia di Anita, aveva un paio di anni in più di lei e potevano definirsi migliori amici, anche se entrambi si consideravano come fratello e sorella; era volato in Australia un anno prima per frequentare l'università di economia di Melbourne e non aveva avvisato nessuno del suo ritorno.
«Volevo farti una sorpresa, tutto qui», scrollò le spalle e si grattò la nuca, facendole poi l'occhiolino.
«E ci sei riuscito alla grande! E poi dove hai messo i capelli!?» continuò lei, alzandosi in punta di piedi e accarezzandogli la testa rasata.
«Faceva troppo caldo là! » rispose semplicemente.
Sebastiano sbuffò piano, voltandosi ed incamminandosi sconsolato sulla strada per tornare all'ombrellone. Magari era solo un amico e più tardi avrebbe avuto l'occasione giusta per chiederle finalmente di uscire.
Contemporaneamente, Anita stava apostrofando il suo amico: «Sei tutto matto!»
Giovanni scrollò le spalle larghe e spalancò le braccia. «Per così poco? Non hai idea di quante cose abbia da raccontarti!» le assicurò, seguendola fino al bancone, dietro il quale lei si mise subito al lavoro.
«Sono tutt'orecchi! Le tue avventure si possono raccontare in pubblico?»
Giovanni si sedette su uno sgabello e incrociò le braccia al petto. «Non tutte» premise, «ma prima raccontami come vanno le cose qua! A malapena mi ricordo l'italiano, ho bisogno di ascoltare un po' dei tuoi bla bla bla!»
Anita rise; era felice di poter finalmente riavere il suo migliore amico a portata di abbraccio - e di scappellotto. Dio solo sapeva quanto le fosse mancato durante quei dodici mesi trascorsi ai vertici opposti del pianeta. Cosa avrebbe potuto raccontargli? «A Cesenatico non succede mai niente, ad eccezione di qualche temporale e fin troppi turist- », a proposito, dov'era finito Sebastiano? Si alzò in punta di piedi, mentre il suo sguardo scandagliava tutto il bar alla ricerca della testa bionda e dei bermuda rossi del ragazzo, ma non ne trovò traccia: Sebastiano sembrava essere sparito nel nulla. Strinse le labbra in una smorfia delusa, mentre tornava coi piedi per terra, chiedendosi se non si fosse offeso per la sua distrazione.
Giovanni si accorse al volo del suo cambiamento di espressione e si guardò attorno a sua volta, senza saper bene cosa cercare. «Cosa succede?»
«Oh, niente». Anita, colta in fallo, abbassò lo sguardo su una tazzina di caffè vuota e si morse il labbro inferiore nel tentativo di non sembrare troppo delusa. «C'era un... un mio amico e ora se n'è andato».
Giovanni scoppiò in una risata incredula. «Quel muso lungo per un amico? Come no!» la sfidò, inarcando le sopracciglia. «Dai, racconta, Ninì».


«Andiamo, Seba, stai scialla!» consigliò Tommaso, lanciando in aria il pallone per poi riprenderlo prima che gli cadesse sul petto.
«Magari è il suo fidanzato!» sibilò Sebastiano, che passeggiava avanti e indietro nel piccolo spazio fra gli ombrelloni.
«Come no» borbottò Elisabetta, sfogliando una rivista di moda comodamente sdraiata sul lettino al sole.
Il ragazzo sospirò per l'ennesima volta da quando era tornato all'ombrellone. Si sedette sulla sdraio, poi si rialzò subito per riprendere la marcia, non sopportando l'inattività. Non riusciva a smettere di pensare al modo in cui quel tizio l'aveva oscurato con una semplice apparizione; era comparso e, puff, Sebastiano era sparito. Era stato eclissato. Il dubbio su chi fosse quel ragazzo, oltre tutto, lo stava logorando. Una cotta, una vecchia fiamma, un ex; l'attuale ragazzo con cui era in pausa di riflessione? Chi diavolo era?
Stava impazzendo. Afferrò una bottiglietta d'acqua e ne prese un sorso con tanta impetuosità che finì per strozzarsi, sputandone una sorsata addosso a Elisabetta.
«Castelli, ma vaffanculo!» lo ringraziò quella.
Tommaso ridacchiò, senza smettere di giocare col suo pallone nemmeno un attimo. «Sta' tranquillo».
«'Na parola» bofonchiò Sebastiano, rosso in volto sia per la frustrazione che per il mancato soffocamento. Non sapeva cosa fare, a chi chiedere. Dov'era Leonardo quando serviva? Ed Elia? Dov'erano i suoi amici quando aveva bisogno di aiuto?
Sbuffò e si lasciò cadere a sedere sulla sabbia, per poi alzarsi di nuovo.
«Cristo, mi stai esasperando!» sbottò a quel punto Betta. «Stai fermo!»
«La fai facile, te! Sei fatta di ghiaccio! Io ho appena visto la ragazza che mi piace con un altro!» gemette il biondo, passandosi una mano tra i capelli, «Ora torno da lei» aggiunse con sicurezza; voltò le spalle ai suoi amici e si incamminò con determinazione, salvo poi bloccarsi con il piede ancora in aria.
«Magari più tardi» borbottò, tornando all'ombra.
Elisabetta sbuffò sonoramente e chiuse la rivista, per poi lanciargliela contro. «Taci!» ringhiò.
E Sebastiano incassò il colpo con remissività, senza però riuscire a calmarsi. Più pensava a quel ragazzo e più la sua figura, vista solo di sfuggita, si faceva alta, muscolosa e desiderabile; tutti i difetti che vedeva in se stesso si capovolgevano diventando per opposizione i migliori pregi di quel tizio. Il suo breve sogno si stava già infrangendo? Sospirò, guadagnandosi una pallonata sulla coscia da parte di Tommaso.
«Ahia» protestò imbronciandosi, mentre l'altro rideva.


Leonardo sorrise, mentre chiudeva il grosso libro con un dito tra le pagine a tenere il segno. «Davvero, non so come facciate. Se dovessi studiare ora impazzirei».
Agnese ridacchiò; anche lei avrebbe molto volentieri mollato gli studi, ma dopo il liceo scientifico non le rimanevano molte opportunità, se non quella di continuare gli studi. «L'università non è così male» mormorò, per poi correggersi: «Almeno a volte. Sono ancora stravolta dalla sessione estiva, ma devo ancora dare un esame, quindi non posso prendermi pause». Purtroppo.
Si erano ritrovati a parlare di università e progetti futuri, quando lei aveva spiegato il motivo della sua sorpresa di poco prima, avendo notato un ragazzo che le sembrava di conoscere; aveva raccontato con un pizzico di amarezza di quel vecchio amico di Anita che era finito a studiare in Australia.
Leonardo aveva sorriso e sviato il discorso che sembrava metterla di cattivo umore, nonostante fosse curioso di saperne il motivo. Le aveva raccontato del lavoro come aiutante di un fruttivendolo al mercato e delle serate trascorse a consegnare pizze sul suo vecchio scarabeo scassato, tenuto insieme da grossi strati di scotch.
Lei aveva pronunciato a mezza voce il suo sogno nel cassetto di diventare giornalista, pregandolo di non ridere. E lui non aveva riso («Ti ricordo che il mio era insegnare»). Leonardo, al momento, non aveva più grossi progetti. Viveva giorno per giorno, metteva da parte un po' di denaro per le vacanze con gli amici, a cui non avrebbe mai rinunciato, e metteva tutto il resto nelle mani dei genitori.
Agnese invece sognava di viaggiare il mondo in mongolfiera, in caso la carriera da giornalista fosse fallita prima di iniziare, e, sì, a quella rivelazione risero entrambi.
«In mongolfiera?» ripeté lui incredulo.
Lei si strinse nelle spalle e sorrise. Di fantasie ne aveva fin troppe, così tante che ormai non si curava nemmeno più di chiuderle nel cassetto: lasciava che volassero via com'erano arrivate, senza legarle ad alcuna aspettativa.
Questo Leonardo lo capiva fin troppo bene. Aveva iniziato a lavorare per autofinanziarsi gli studi universitari, ma aveva presto gettato la spugna, rassegnandosi ad una vita più semplice del previsto per permettere ad altri di inseguire i propri sogni.
«Altri?» Non riuscì ad impedirsi di chiedere oltre Agnese, nonostante temesse di risultare invadente.
«Sì, le mie sorelle».
E il discorso virò di nuovo, essendosi avvicinato troppo ad argomenti spinosi.
Tra chiacchiere, confessioni, battute e risate arrivò l'ora di pranzo e Leonardo vide i suoi amici risalire la passerella per raggiungere il bar.
«Forse è ora che scenda dagli altri» borbottò, sinceramente dispiaciuto che quel momento con Agnese fosse già finito.
«Be', anche io devo pranzare, quindi...»
Non si stava auto-invitando, eppure il sorriso del ragazzo le fece intuire che lui avesse capito qualcosa che lei nel suo inconscio sperava.
«Siediti con noi!» esclamò infatti e lei non poté fare altro che sorridergli e annuire lentamente.
«Non era per costringerti a chiedermelo, però grazie» mormorò, raccogliendo le sue cose in una pila quasi ordinata, per poi alzarsi e raccattare la borsa dallo schienale.
Appena Sebastiano prese posto al tavolo, fece schizzare lo sguardo verso l'interno del bar nella speranza di trovare Anita da sola. Lei era là, dietro il bancone, che lavorava con sguardo basso e attento - riempiva bicchieri, consegnava lattine, preparava caffè e lui sarebbe rimasto a guardarla per sempre, se non fosse stato per... «Leo, che cazzo, levati!»
«Sono felice anche io di vederti, Castelli».
«Ci degni della tua compagnia, Calicchia?» Tommaso si intromise; con una spinta liberò dai piedi della sorella la sedia accanto alla propria per lasciare posto all'amico. Si sorprese quando, seguendo il suo sguardo, trovò Agnese qualche passo più indietro, il solito timido sorriso sulle labbra.
«Ehi, ciao anche a te!» la salutò allora Villa; «Ti unisci a noi per pranzo?»
La ragazza si strinse nelle spalle, dispensando sorrisi educati agli altri. «Se posso» mormorò.
«Avoja! Siediti qua!» la accolse Elia, guadagnandosi un'occhiataccia di Elisabetta.
Lo sguardo di Leonardo invece non era per niente simile a quello della ragazza; il suo era deluso, amareggiato, dispiaciuto. Sperava di aver conquistato la fiducia di Agnese e di essere riuscito a farsi conoscere un po' meglio, nella speranza che lei capisse che non esisteva solo Elia, anzi.
Sbuffò piano e si sedette vicino a Sebastiano, che ebbe così la vista libera per guardare Anita.
«Se ti becca a fissarla ti prende per un maniaco, Seba» borbottò, tirandogli una leggera gomitata, alla quale il biondo rispose con un «Ma statte zitto» che somigliava più ad un ringhio.
«Che se magna?» bofonchiò Elisabetta leggendo distrattamente il menù. «Se vedo un'altra piadina vomito».
Agnese ridacchiò imbarazzata; se dopo i primi minuti era stato semplice passare del tempo in compagnia di Leonardo, la presenza della ragazza le incuteva timore, anche per via della sua costante acidità.
«Magari... vado a chiedere cosa c'è di diverso» comunicò, alzandosi subito in piedi per fuggire lontano dai suoi sguardi assassini.
«Ti accompagno!» si offrì subito Elia.
Sebastiano lo guardò male e si alzò per primo, senza dargli il tempo di muoversi. «Nun t'azzarda'» lo freddò. «Devo... ci penso io. 'Nnamo, Agne'».
Lei si strinse nelle spalle e annuì. «Certo».


Anita aprì una bottiglietta d'acqua e in fretta ne bevve il contenuto, mentre con l'altra mano riempiva un bicchiere di una bibita gassata alla spina. Alzò lo sguardo solo un istante da ciò che stava facendo, giusto in tempo per accorgersi di Agnese che si stava arrampicando su uno sgabello al bancone e Sebastiano subito accanto.
«Ehi» la salutò lui, un sorriso incerto in volto. Non riusciva a scollarle gli occhi di dosso, ma nemmeno a dimenticare il modo in cui quel tizio l'avesse oscurato quella mattina.
Il ragazzo si guardò attorno; dello sconosciuto non sembrava esserci traccia al momento, avrebbe dovuto approfittarne per chiedere finalmente ad Anita di uscire.
«Ehi» rispose lei, arrossendo appena sulle guance. «Dov'eri sparito?» non riuscì ad impedirsi di chiedere.
Sebastiano si grattò la testa e distolse lo sguardo; non poteva di certo ammettere di essere scappato per paura di non reggere il confronto con quel tipo. «Avevi compagnia...» mormorò a mo' di scusa. Da quando uno come lui, impulsivo fino all'estremo, si faceva bloccare dalla paura, lasciandosi sfuggire occasioni d'oro? Non era un comportamento da Sebastiano. Ecco, perché, mentre le ragazze parlavano tra loro, decise che si sarebbe giocato il tutto per tutto e, nonostante il pubblico, le avrebbe chiesto chiaro e tondo di uscire con lui. Lo avrebbe sputato con decisione, o magari no; non voleva pianificare nulla, avrebbe sfruttato il suo essere "cazzone e sfacciato" - come diceva sempre Betta - per sorprenderla. In positivo, possibilmente.
Nel frattempo Agnese, avendo visto lo sguardo smarrito di Anita a quell'ammissione di Sebastiano, si era sentita autorizzata ad intervenire per distrarla dai propri pensieri, riferendole ciò che aveva visto questa mattina: un ragazzo proprio identico a Giovanni, a parte per i capelli che...
«I capelli che...?»
Una voce profonda e familiare fece sobbalzare Agnese, che si voltò di scatto trovandosi faccia a faccia con Giovanni.
«Oddio, dove hai messo i capelli?» fu la prima frase che le uscì dalla bocca una volta che l'ebbe riconosciuto. Era rasato! Niente più capelli castani "troppo lunghi", niente di niente.
Giovanni rise e si accarezzò distrattamente la testa. «Non hai idea di quante volte me lo sono sentito dire. Ciao anche a te».
«Ninì, poi potresti venire al tavolo? Non so quanto possa sopportare Elisabetta» borbottò Agnese, stiracchiando un sorriso e scendendo dallo sgabello, subito imitata da Sebastiano. Anita li seguì con lo sguardo e li vide tornare al tavolo; il ragazzo prese posto e cominciò a giocare con il porta-tovagliolini, gli occhi bassi e la bocca distorta in una smorfia contrariata. Che ce l'avesse con lei per averlo interrotto quella mattina? Se n'era andato perché era rimasto offeso dal suo saluto a Giovanni? Non lo vedeva da un anno, era normale che lo abbracciasse e gli dedicasse un po' del suo tempo.
Leonardo aggrottò le sopracciglia, vedendoli tornare al tavolo con la stessa espressione pensierosa; su una cosa non c'era alcun dubbio: l'incontro con Anita non era andato nel migliore dei modi. Si sedettero ai propri posti e Leonardo, che aveva approfittato del loro allontanamento per posizionarsi accanto a lei, fece saltare lo sguardo dall'uno all'altro prima di chiedere a mezza voce cosa stesse succedendo.
«È tornato Gio» rispose solo Agnese, stringendosi nelle spalle come a sminuire la faccenda. Avrebbe dovuto smettere di pensare troppo e farsi paranoie.
«Giovanni?» domandò Elia senza capire, mentre legava i riccioli ancora gocciolanti in una crocchia scomposta; la sua lunga nuotata in solitaria l'aveva mantenuto all'oscuro di tutte le novità.
«Giovanni» ripeté Sebastiano saltando sul posto. La bolla di depressione che l'aveva avvolto scoppiò nel momento stesso in cui si rese conto che Agnese lo conosceva: lei avrebbe potuto dargli tutte le informazioni che gli servivano!
«Agne', amica mia», sfoggiò un sorriso smagliante, di quelli che usava per farsi perdonare una battutaccia dagli amici, e si sporse sul tavolo verso di lei. «Dimme 'na cosa...»
Tommaso capì al volo le intenzioni di Sebastiano e scoppiò a ridere. «E bravo Castelli, iniziamo a ragionare!»
«Mica tanto» lo contraddisse subito Elisabetta, alzando gli occhiali da sole sopra la testa; Sebastiano non diede retta a nessuno, troppo concentrato su Agnese e sulle domande da porgli. «Ma 'sto Giovanni chi è?»
La ragazza deglutì lentamente e si passò una mano tra i capelli. Temeva sarebbe potuta succedere una cosa simile, che Sebastiano le avrebbe fatto il terzo grado su Giovanni.
«È il migliore amico di Ninì» disse a bassa voce, controllando subito che né la sua amica né il nuovo arrivato fossero nei paraggi. Sospirò a fondo e attese la prossima domanda, perché era certa che ce ne sarebbe stata una seconda e una terza e forse una quarta.
«Amico? Solo un amico? Ma... amico tipo...» Arrossì: non era sicuro di saper concludere quella frase senza dire sconcerie.
«Tipo friend with benefits?» accorse in suo aiuto Elisabetta, solo per poi potergli ridere in faccia; si stava comportando come un ragazzino alle prime armi.
Tommaso sogghignò. «Già, sono amici come Elia e mia sorella o amici e basta?» aggiunse, ignorando poi il gemito rabbioso della sorella.
Sebastiano arrossì di più. «Eh» mormorò a mo' di conferma, guardando la sua unica speranza dritto negli occhi.
La prima reazione di Agnese fu un rossore diffuso su tutta la faccia, poi bevve un sorso di acqua e ricambiò lo sguardo di Sebastiano.
«Semplici amici» confermò con sicurezza. Non aveva mai dubitato del rapporto genuino e innocente di Anita e Giovanni e non avrebbe certo cominciato quell'estate, anche se con il suo ritorno non era più certa di come sarebbe potuta andare avanti quell’avventura: Anita avrebbe smesso di frequentare Sebastiano? E lei sarebbe stata costretta ad allontanarsi inevitabilmente da Leonardo? Ed Elia. Leonardo ed Elia. Non c'era nessuna differenza tra... bah! E a chi voleva darla a bere?
Sebastiano rise. «Perché? È frocio?»
La risata della ragazza accompagnò quell'ipotesi insensata e infondata. Scrollò la testa e si legò i capelli in una crocchia disordinata, per poi tornare a guardare il biondo.
«Si conoscono da sempre e sono come fratelli. Niente doppi fini né giochi strani» rispose, appoggiando le braccia incrociate sul tavolino di legno.
Quest'assicurazione non bastò a tranquillizzare Sebastiano, nonostante i suoi dubbi fossero diminuiti. Perlomeno ora sapeva che tra Anita e quel tizio non c'era mai stato niente ―per il momento―, ma ancora si sentiva minacciato dal suo ritorno.
Prese a tamburellare le dita sulla superficie del tavolo, mentre già elaborava la mossa successiva. Era sempre determinato a chiederle di uscire, il problema era la modalità, anche visto il nuovo bodyguard a tempo pieno che quel giorno sovrintendeva qualunque suo tentativo di avvicinarsi ad Anita. In tutta probabilità quel Giovanni non si era nemmeno accorto dei suoi tentativi di avvicinarsi a lei, cosa che, in parte, lo infastidiva: stava guadagnando la sua fiducia, stavano per iniziare a frequentarsi (forse) e quel ragazzo nemmeno si accorgeva di lui. Che per Anita Sebastiano non fosse poi così importante? Sembrava plausibile, ma non per questo meno offensivo. Lui stava dando il meglio di sé per conquistarla, non voleva essere "poco importante". Avrebbe dovuto fare qualcosa.
«Terra chiama Castelli!»
Tommaso, allungato sul tavolo, agitava una mano più o meno davanti al suo viso nel tentativo di strapparlo ai suoi pensieri.
«Che c'è?»
«Tu cosa prendi?» A rispondere fu l'inconfondibile tono infastidito Michele, in piedi proprio accanto ad Agnese.
Oh, pensò solo, senza ancora riflettere sulla risposta da dare. Si era aspettato di vedere arrivare Anita, ma era così perso nei propri pensieri che probabilmente non si sarebbe accorto nemmeno del suo arrivo.
«Seba?» ripeté Leonardo pazientemente, dopo qualche lungo istante in cui tutti lo fissavano e lui si ostinava a non rispondere.
La reazione di Sebastiano non fu quella attesa; senza una parola si alzò e si avviò a grandi falcate verso il bar, una nuova convinzione ad animarlo. Appigliandosi al detto "Se la montagna non viene a Maometto, Maometto va alla montagna", qualche istante dopo si piazzò di fronte al bancone e fissò Anita negli occhi con tanta intensità da lasciarla perplessa.
«Esci con me» disse con un'eccessiva determinazione; tanta che poi arrossì, pensando di essere stato troppo brusco, e si corresse: «Ti va di uscire con me?»
Ad ogni parola che pronunciava, però, incalzato dalla leggera risata che proveniva dalla sua sinistra, dove sedeva Giovanni, il suo imbarazzo cresceva. Ecco perché, ormai paonazzo, ritrattò del tutto: «Per favore. Sai... Leo è...» Leo era... cosa? Oh, trovato! «Vuole uscire con Agnese, ma non si azzarda a chiederglielo, quindi...»
Anita distolse lo sguardo dalle guance rosse di Sebastiano e si morse forte il labbro inferiore nel vano tentativo di nascondere la delusione. Sperava che le chiedesse di uscire loro due da soli, invece anche per quella volta sarebbe stata un'uscita di gruppo.
«Dovresti rispondere, Ninì, non vedi che lo stai facendo penare?» la incoraggiò Giovanni, che se la rideva sotto i baffi. Ninì lo fulminò con un'occhiataccia, che poi divenne più dolce quando incontrò lo sguardo turbato di Sebastiano. Se inizialmente aveva titubato e aveva quasi risposto che aveva organizzato una serata con Giovanni per farsi raccontare tutto dell'Australia, dopo l'uscita infelice del suddetto ragazzo Anita non aveva più alcun dubbio.
«Se Leonardo vuole uscire con Agne...» mormorò, avvampando.
«E tu ci vuoi uscire con me?» incalzò Sebastiano, sporgendosi leggermente sul bancone.
Ninì arrossì violentemente e annuì, salvo poi confermare con un flebile e timido «Sì» che fece sorridere Sebastiano e sbuffare Giovanni.
Il cuore del ragazzo fece una capriola e il suo sorriso di allargò a dismisura; preso dall'entusiasmo, avrebbe volentieri esultato, ma si contenne per evitare cadute di stile davanti a quel vecchio amico di Anita con cui si sentiva in competizione. "Due a uno per te, amico, ma sto recuperando" pensò, per poi porgergli la mano. «Piacere, Sebastiano».
Giovanni gonfiò il petto e si mise dritto sullo sgabello, per poi stringere con forza la mano del ragazzo. «Giovanni» disse con tono autoritario.
«Smettila di fare il coglione, Gio» lo apostrofò Anita, lanciandogli una spugna umida.
«Non ho fatto niente, piccola» si difese, alzando le mani e mettendo su un ghigno tra il divertito e il provocatorio.
A Sebastiano non piacque affatto il nomignolo che il ragazzo aveva usato rivolgendosi ad Anita e un sospiro infastidito uscì dalle sue labbra, attirando così l'attenzione della bionda, che lo guardò e appoggiò una mano sul suo avambraccio appoggiato al bancone.
«Tutto okay?» gli chiese con premura, sorridendogli dolcemente.
«Certo, torno al tavolo. Ci vediamo dopo?» domandò, anche se non era sicuro di voler sentire la risposta, certo che sarebbe stata negativa.
«Sicuro» esclamò invece Anita, interrompendo il contatto fra la loro pelle e sorridendogli apertamente.
Sebastiano annuì e ricambiò il sorriso, per poi voltarsi ed incamminarsi verso l'uscita, senza salutare Giovanni e senza aggiungere altro. Era troppo felice, Anita aveva accettato di uscire con lui e...e avrebbe dovuto dirlo a Leo e Agnese. Se quei due si fossero rifiutati sarebbe andato tutto a quel paese e addio appuntamento con la sua biondina.
Si lasciò andare a sedere sulla sedia e si passò una mano tra i capelli, per poi avvicinarsi a Leo.
«Ha detto che ci esce, con me» gli confessò, cercando di trattenere l'euforia.
Leonardo lo guardò divertito e soddisfatto. «Grande!»
«Però le ho detto che ci sarai anche tu perché vuoi uscire con Agnese» bisbigliò, controllando con la coda dell'occhio che la ragazza in questione non sentisse; fortunatamente Elia la stava rincitrullendo di chiacchiere e barzellette scadenti.
«Tu cosa?!» sibilò Leo, fissando l'amico con indignazione.
«Oh avanti, è vero!» si difese Sebastiano.
«No che non è vero» rimbeccò l'altro, punto sul vivo.
«Sì invece! Fallo per me, Leo» lo implorò.
Leonardo sospirò pesantemente e distolse lo sguardo, lasciando che venisse calamitato dal viso di Agnese. Rideva, sinceramente divertita, ed era davvero carina.
«Okay, okay» accettò infine.
Più ci pensava, però, e meno capiva le sue stesse emozioni: era felice, soddisfatto, incuriosito, nervoso, lusingato... Come si sentiva? Non riusciva a trovare una soluzione a quel groviglio che si trovava all'altezza dello stomaco, tanto che quando Michele gli portò il suo cheeseburger fu costretto a cederlo ad un affamato Elia, giustificando l'inappetenza con un leggero bruciore di stomaco e scatenando così la risatina di Sebastiano e una sfilza di battutine di Tommaso.
Per tutta la durata del pranzo, fu mentalmente assente. Continuava a pensare e a cercare di spiegarsi le sue stesse sensazioni ―magari si era beccato qualche virus. Quando i ragazzi si alzarono dal tavolo per "stracciare Bracaglia a biliardino" e Leonardo si trovò da solo al tavolo con Agnese, spostò lo sguardo su di lei e la vide mordicchiarsi l'interno della guancia come sempre, mentre fissava il vuoto immersa nei propri pensieri.
Il ragazzo abbozzò un sorriso divertito e spinse indietro la sedia: «Andiamo anche noi? Sarà uno spettacolo divertente: i Villa sono fin troppo competitivi».
Agnese sobbalzò appena, poi subito annuì, imbarazzata dall'essere stata sorpresa a fissare il nulla con aria ebete; si alzò in fretta e aspettò che Leonardo facesse lo stesso.
«Credo che presto ci toccherà di nuovo reggere il moccolo».
Lei lo guardò interrogativa, sgranando gli occhi scuri: “In che senso?” diceva il suo sguardo.
Così Leonardo di sentì in dovere di spiegare: «Seba ha chiesto alla tua amica di uscire, ― fece una smorfia; ― e siccome si vergognava, ci ha tirati in mezzo» concluse con naturalezza, ma incapace di non sbirciare la reazione di Agnese: una volta metabolizzato il concetto, lei sgranò gli occhi e arrossì, boccheggiando in silenzio le mille proteste che non aveva il coraggio di pronunciare; poi sospirò e abbassò lo sguardo. È proprio necessario?, avrebbe voluto chiedere, ma non lo fece ― un po' perché le sembrava maleducato e un po' perché, molto in fondo, l'idea di passare altro tempo con lui le piaceva. «Be', ci tocca» concluse quindi, sforzandosi di sorridere.


Giovanni non riusciva a smettere di ridere della figura che quel Sebastiano aveva fatto.
«Dai seriamente esci con quello? Ma è pure di Roma!», guardò Anita con sguardo divertito, mentre si appoggiava mollemente al bancone. «Non offenderti, Nina, ma speravo di passare la serata con te e raccontarti di Christie» mormorò, accarezzando il braccio di Anita, che gli sorrise leggermente.
«Sono tutta orecchi, puoi raccontarmelo ora, ma stasera esco con Seba e non si discute», lei ripose il cestello pieno di stoviglie nella lavapiatti e gli fece una linguaccia.
«Ti piace davvero, eh?»
Anita si guardò i piedi, mentre le sue guance si tingevano di un rosso intenso e le sue mani cominciavano a tremare. «Si vede così tanto?» farfugliò e sentì uno strano sfarfallio nello stomaco al solo pensare a Sebastiano.
Giovanni sorrise intenerito, perché per quanto quella storia non lo convincesse, non poteva negare che la sua amica sembrasse davvero presa.
«Dovresti vederti adesso», ridacchiò. «Se ti fa del male però lo strangolo» concluse serio, incrociando le braccia al petto e sforzandosi di rimanere serio. Anche Anita notò che Giovanni stava per scoppiare a ridere, così gli lanciò uno strofinaccio e si lasciò andare ad una risata cristallina e sincera.
«Sei un coglione» lo apostrofò scrollando la testa e guadagnandosi un sorriso ampio da parte del ragazzo.



Bloop's corner:
Buonasera a tutti! So che è da infami pubblicare a quest'ora di domenica sera e per di più oltre quattro mesi dopo il capitolo precedente. Non abbiamo scuse, siamo state impegnate con gli esami e non abbiamo avuto più il tempo per scrivere. Ma ora eccoci qua con un nuovo capitolo! Questa volta Sebastiano ce la fa a tirare fuori le palle e a chiedere ad Anita di uscire, anche se non saranno soli perché il lupo perde il pelo ma non il vizio. 
Colgo l'occasione per ringraziare le quattro lettrici che hanno lasciato una recensione, siete state davvero carine e dolci a dirci la vostra! Abbiamo apprezzato molto :)
Inoltre vorrei anche ringraziare la mia socia, perché martedì ha un esame e sta shitting bricks, ma non perde comunque l'occasione di farmi sorridere. In bocca al lupo, Mich!
Vi salutiamo e vi ringraziamo di essere arrivate fino a qui e vi aspettiamo al prossimo capitolo, dove finalmente Sebastiano e Anita escono insieme! E anche Leo e Agnese, non dimenticatelo!!
Alla prossima,
Un abbraccio
Mari 



 

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Capitolo 11
*** Giorno ottavo (seconda parte) ***



- Come ti sconvolgo la vita in tre settimane -
 

10. Giorno ottavo (seconda parte)

 
La parlantina di Anita quella sera era incontenibile, ad infierire c'erano da un lato il ritorno di Giovanni, dall'altro l'appuntamento con Sebastiano – inutile dire che non aveva creduto nemmeno per un istante che lui l'avesse invitata solo per permettere a Leonardo di vedere Agnese. Era così felice, insomma, che mentre sedeva davanti allo specchio per passare il mascara sulle ciglia chiare non faceva che parlare e parlare e parlare.
Intanto la sua amica sedeva sul letto che un tempo apparteneva a Federica Paraboschi e aspettava lei che finisse di prepararsi, le gambe che si accavallavano, poi stendevano, si incrociavano di nuovo per poi cambiare posizioni ogni pochi secondi. Entrambe erano agitate a causa dell'appuntamento che avrebbe avuto luogo di lì a poco, ma ognuna lo dimostrava in maniera diversa: Anita con un'allegra logorrea e continui ripensamenti su ciò che aveva intenzione di fare, mettere, dire e via discorrendo; Agnese con lunghi silenzi carichi d'ansia e un perenne movimento volto a nascondere il tremore delle gambe.
«Sei sicura che il solito pub sia un bel posto in cui mangiare?» chiese Anita, osservando criticamente il trucco allo specchio – no, ancora non era equilibrato: tornò al lavoro.
Agnese rimase in silenzio qualche lungo istante, e solo quando la sua amica fece per ripetere la domanda si decise a rispondere: «Sì, credo».
«Ma non è...», sospirò, « insomma, è sempre il solito pub. Potremmo...»
Agnese prese un respiro profondo e strinse le mani l'una nell'altra. «Ninì...» la richiamò a mezza voce. Era già tutto deciso, perché cambiare i programmi qualche minuto prima di uscire?
«Dico solo che non è il locale ideale per un primo appuntamento».
A quelle parole la morsa allo stomaco di Agnese si strinse. Per lei non era affatto un appuntamento: avrebbe dovuto accompagnarla solo per facciata, per dare l'impressione che Sebastiano non stesse correndo troppo.
Anita strabuzzò gli occhi notando l'espressione afflitta della sua amica attraverso lo specchio. Socchiuse gli occhi, respirò a fondo e si voltò, intenzionata ad infonderle il coraggio necessario per affrontare la serata.
«E dai, Agne» la chiamò in tono più pacato; «Non fare quella faccia. Non sarà diverso dalle altre sere, andrà tutto bene».
Agnese prese a mordicchiarsi la guancia come al solito, guadagnandosi così un'occhiata di rimprovero da parte dell'altra.
«Scusa» farfugliò dunque, intuendo l'invito a smettere di torturarsi da sola. «Sono solo un po' nervosa» ammise, e se non elencò tutti i possibili risvolti negativi che aveva previsto fu solo per non smorzare l'entusiasmo dell'altra. Avrebbe dovuto pensare positivo, si disse, magari anche rendersi utile. Prese un respiro profondo e «Potremmo andare alla piadineria vicino al bagno Marconi, se preferisci» propose, sforzandosi di sorridere.
 
Alle otto e sette minuti, Sebastiano Castelli e Leonardo Calicchia giunsero di fronte alla piadineria vicino al bagno Marconi; avevano entrambi lo sguardo smarrito di chi non sa di essere al posto giusto e si guarda attorno alla ricerca di un punto di riferimento. I loro, però, sembravano non essere ancora arrivati.
«Se mi hai fatto perdere...» bofonchiò Sebastiano contrariato, affondando le mani nelle tasche dei pantaloncini. Era fermamente convinto che avrebbero dovuto svoltare alla traversa precedente, ma Leonardo aveva insistito e ora eccoli lì, tra tappeti elastici e un trenino che correva su una rotaia dal percorso circolare.
«La piadineria è quella» lo smentì Leonardo, accennando al piccolo locale dalla parte opposta delle giostre.
Sebastiano non si dava per vinto: «E come lo sai?»
L'altro alzò gli occhi al cielo, prima di svelargli il suo segreto: «Google Maps».
Difatti non furono costretti ad aspettare molto, perché dopo appena sette minuti Anita e Agnese sbucarono dall'altra parte della strada. Sebastiano trattenne il fiato per qualche istante sia a causa dell'imbarazzo, sia perché se la stava facendo sotto, ma soprattutto perché Anita aveva indossato un altro vestito che le lasciava scoperta gran parte delle gambe e la faceva apparire ancora più abbronzata e bella.
Leonardo invece prese ad osservare Agnese nei minimi dettagli, cercando anche il più piccolo particolare che gli facesse capire che non voleva essere lì, ma non lo trovò. Era carina e imbarazzata e teneva la testa bassa, ma lui non riusciva a non sorridere come un ebete, perché in fondo la capiva: erano stati messi in mezzo a quell’appuntamento senza che nessuno avesse chiesto il loro parere, ma non riuscivano ad essere scontenti di quell’invito.
Sebastiano si portò una mano tra i capelli, indeciso se aggiustare il ciuffo verso l'altro o scompigliare tutto come al suo solito; l'entusiasmo iniziava a farsi strada tra le sue viscere, donandogli una scarica di adrenalina che non sapeva bene come sfogare. Ridacchiò tra sé e prese a muovere qualche discreto passo avanti e indietro, senza davvero allontanarsi dal posto. «Buonasera!» esclamò a gran voce quando finalmente le ragazze furono a pochi passi da loro, l'una impacciata e l'altra semplicemente radiosa.
Anita era bellissima e imbarazzatissima, ma lui comunque non riusciva a staccarle gli occhi di dosso: ancora non riusciva a credere che lei fosse uscita insieme a lui quella sera.
«Buonasera» mormorò lei, arrossendo e sistemando il vestito che indossava nel tentativo di spianare una piega inesistente.
Un silenzio denso e pesante calò su di loro per qualche istante, finché Leonardo non si schiarì la voce e Sebastiano si decise a prendere l'iniziativa: si voltò verso la piadineria e annunciò di avere fame; l'istante dopo tutti si incamminarono, dividendosi senza nemmeno accorgersi a coppie.
Il loro tavolo era minuscolo e starci seduti intorno senza far scontrare continuamente le gambe non fu semplice. In un primo momento fu un continuo scusarsi e arrossire, ma poi semplicemente smisero di farci caso. Anita e Sebastiano, seduti vicini, non facevano che guardarsi e sorridere, mentre nessuno dei due accennava a voler smettere di straparlare. Nel loro silenzio ogni tanto Agnese e Leonardo ridevano, scambiandosi occhiate d'intesa come a dire che, già, quei due formavano davvero una bella coppia (di chiacchieroni).
Gli argomenti che venivano affrontati erano vari e non sempre collegati tra di loro, ma nessuno sembrava farci caso, ipnotizzato dal fiume di parole che riempiva il silenzio.
«Andiamo in spiaggia?» propose Anita, seguendo chissà quale filo logico. Agnese la guardò sorridendo: le faceva tenerezza, raramente l'aveva vista così e per una volta smise di pensare a come sarebbe andata a finire quella storia. Inutile dire che la proposta di Anita venne accolta di buon grado da tutti, chi perché non vedeva l'ora di potersi rilassare e smettere di scusarsi per i continui scontri fra ginocchia e chi perché non aspettava altro che allontanarsi e provare a fare una cosa che sperava gli riuscisse.
 
Così si trovarono ai limiti della spiaggia, le scarpe in mano e lo sguardo attento ad individuare eventuali ostacoli. Sebastiano circondò i fianchi di Anita con un braccio e la scortò cautamente alle altalene. Il cuore della ragazza batteva come quello di un topolino spaventato ed era certa che anche lui se ne fosse accorto, anche se non sapeva esattamente come. Ognuno di loro occupò un sedile e prese a dondolarsi lentamente, in religioso silenzio, mentre Leonardo seguiva attentamente Agnese fino al trenino di legno poco lontano.
«C'è un sacco di gente in giro» buttò lì Sebastiano, interrompendo quell'unico momento di silenzio che si era creato. Anita dapprima annuì, poi ridacchiò quando si ricordò del buio che li circondava e mormorò un flebile «Sì». Cos'era tutto quell'imbarazzo? Aveva forse finito le parole durante la cena? Il buio la metteva a disagio, non riusciva a vedere Sebastiano in faccia e non poteva immaginare i suoi pensieri e questo la destabilizzava. Poi lui cominciò a spingersi sempre più forte sull'altalena e allora anche lei lo imitò, senza però riuscire a raggiungerlo.
«Non vale, tu hai iniziato prima!» protestò, ridendo poi forte. Sebastiano si unì alla risata e prese a dondolare ancora più veloce, scatenando altre proteste e prese in giro.
«Ora si uccide» preannunciò Leonardo a voce bassa, per non farsi sentire da altri che Agnese, accovacciata accanto a lui sul trenino di legno.
Lei lo guardò interrogativa, mentre Sebastiano si spingeva sempre più forte, sfidando a gran voce Anita a raggiungere l'altezza –quasi pericolosa, avrebbe detto Agnese– a cui arrivava il suo seggiolino durante la salita.
«Preparati» aggiunse Leonardo dopo un istante; parlava a voce bassa –bassa in tutti i sensi, per la gioia della sua interlocutrice– come se gli schiamazzi di Sebastiano fossero abbastanza per tutti.
Se lo avessi chiesto ad Agnese, avrebbe risposto che loro due quella sera erano due fantasmi: due spettatori silenziosi, addetti a controllare che le cose non precipitassero.
Ma andava bene così, ci si trovavano bene nei panni degli osservatori di poche parole; una volta tanto quel ruolo non li faceva sentire soli, erano l'uno compagnia dell'altra. Quella sera, poi, l'atmosfera era diversa dal solito: pervasa da un senso di attesa ed aspettativa, era inevitabile che sarebbe successo qualcosa da un momento all'altro e nessuno dei due sapeva quale coppia ne sarebbe stata la protagonista.
Agnese sorrise nel buio, lasciando definitivamente perdere per quella sera il pessimismo che bussava alle porte della sua mente. Continuò invece a guardare l'allegra coppietta che dondolava nella penombra, appena illuminata dai lampioni della strada vicina.
Il moto di Sebastiano stava poco a poco rallentando, mentre lui rideva troppo per potersi spingere forte come poco prima. Rideva, rideva, e Anita con lui. «Mo' salto!» annunciò lui all'improvviso.
«Non farti male!» lo ammonì Anita, pur senza smettere di sghignazzare, contagiata dall'incontenibile allegria dell'altro.
E fu così, sotto lo sguardo attento di Leonardo e quello divertito di Anita, che Sebastiano saltò via dall'altalena, piombando sulla sabbia un paio di metri più avanti.
Agnese non riuscì a trattenersi e ridacchiò, trascinando anche Leonardo nell'ilarità; Anita invece si precipitò al fianco del biondo e si inginocchiò vicino a lui.
«Ti sei fatto male?» chiese concitata, ma appena scorse nel buio il sorriso ampio di Sebastiano tirò un sospiro di sollievo e gli schiaffeggiò leggermente la spalla. «Mi hai fatto prendere un colpo, scemo» lo riprese, senza però riuscire a trattenere un piccolo sorriso.
Il ragazzo le fece una linguaccia e, senza pensarci due volte, la prese per la vita e la trascinò con sé sulla sabbia. A quel punto la risata della bionda fu talmente forte che avrebbe potuto farli scoprire dal bagnino.
«Sei un marpione» lo apostrofò sorridendo, si alzò da terra e si scrollò la sabbia di dosso, lanciandola volutamente addosso a Sebastiano.
Lui scoppiò a ridere a sua volta, mentre le mani volavano a proteggere gli occhi chiari da quell'attentato. «Ehi, così m'offendi!» protestò in tono divertito, per poi alzarsi goffamente in piedi di scatto, con tanto impeto da rischiare di sbilanciarsi in avanti.
Fu più o meno a quel punto che, «Te l'avevo detto», si sentì parlare Leonardo nel –relativo– silenzio; allora Sebastiano, ricordandosi della sua presenza, corse verso il trenino e gli si sedette in braccio. «Vi divertite, piccioncini?» lo prese in giro sfoderando un sorriso sornione.
Agnese arrossì di colpo, si morse l'interno della guancia per non tossire e spostò la sua attenzione su Anita che si stava avvicinando a loro tre.
«Molto, voi?» rispose Leonardo, poi diede uno scappellotto a Sebastiano.
Dopo aver mugulato per il dolore, quello gli abbracciò il collo e mise il broncio. «Nini pensa che io sia un marpione» confessò, sussurrando in quel modo volutamente rumoroso, per essere certo che tutti i presenti lo udissero.
Leonardo alzò gli occhi al cielo e soffiò un sorriso. «Chissà come mai!»
A quel punto Sebastiano si sentì autorizzato ad alzarsi e ad atteggiarsi a drama queen offesa: «Ma come! Ce l'avete tutti con me! Povero Castelli!» gridò in maniera teatrale. Dopodiché, soddisfatto di averli fatti ridere tutti, si arrampicò sullo scivolo per concludere in bellezza la sua sceneggiata; non giunse nemmeno a metà della scaletta, però, ‘ché picchiò violentemente la testa contro l'arco in legno che ne delimitava l'entrata. E a questo punto, davvero, era improbabile che una sola persona in tutta la spiaggia non lo avesse sentito inveire in romanesco stretto contro non si sapeva bene cosa.
Tra gli improperi di Sebastiano solo Leonardo si accorse della luce che si accese allo stabilimento, così prese la mano di Agnese e corse verso lo scivolo.
«Dobbiamo andare via di qui, stanno arrivando a controllare» disse solo, trascinando via un'inerme e muta Agnese, rimasta paralizzata dal gesto del ragazzo.
«Seba! Daje!» lo richiamò ancora, per poi incamminarsi tra le file di ombrelloni, senza mai smettere di lanciare occhiate indietro per controllare che gli altri li stessero seguendo.
Sebastiano non si era fatto pregare: massaggiandosi la testa dolorante con una mano, come se la pressione potesse attutire il dolore acuto, aveva porto la mano ad Anita e poi aveva seguito gli altri due.
Mentre camminavano verso il bagnasciuga, intrecciò le sue dita con quelle della ragazza. «Giuro, non sono coatto come sembra» si sentì in dovere di mormorare, come scusa per la magra figura appena fatta. Prima di uscire dal b&b, Elisabetta si era raccomandata con un sorrisetto derisorio: «E ti prego, Castelli, tieni a freno lo zoticone che c'è in te».
Anita si girò a guardarlo, il cuore che accelerava i battiti per via della stretta delicata della sua mano calda sulla propria; rimase in silenzio qualche istante per poi rendersi conto che la paura di Sebastiano era sincera. Le venne da ridere: non aveva nemmeno pensato di considerarlo grezzo, non avrebbe saputo cosa dire per smentire quel timore. Come unico incoraggiamento, quindi, si avvicinò per lasciargli un morbido bacio sulla guancia. «Tranquillo» mormorò sorridente.
Se Sebastiano avesse potuto scegliere un modo per morire, quello sarebbe stato di certo il migliore di tutti. Aveva il cuore a mille e la testa piena di pensieri, progetti, domande, dubbi; voleva baciarla ma voleva essere sicuro che lei non lo avrebbe respinto e voleva dirle una miriade di cose, ma riuscì solo a sorridere da ebete e accelerare il passo verso la riva.
«Secondo te ci dicono qualcosa se ci sediamo qui?» chiese, fermandosi di fronte ad un lettino dell'ultima fila di ombrelloni. Anita si voltò verso l'entroterra e scrollò le spalle, sedendosi sulla plastica fredda e umida, subito imitata da Sebastiano. Rimasero in silenzio per qualche secondo, giusto il tempo perché Leonardo e Agnese si allontanassero, poi la biondina si voltò con tutto il corpo verso di lui e incrociò le gambe.
«Ti sta piacendo la serata?» gli chiese, accarezzandogli un braccio con la punta delle dita.
Quel contatto mandò Sebastiano in brodo di giuggiole e lo fece sorridere come uno scemo, mentre annuiva con vigore.
«Moltissimo» confermò, poi la guardò con la testa leggermente inclinata a destra e prese la sua mano, «A te?» le chiese a voce bassa, quasi come se le stesse chiedendo di rispondere di sì, che anche lei era stata bene e si stava divertendo.
«Ora che siamo da soli mi piace anche di più» confessò lei, spostando lo sguardo sulle loro dita intrecciate e sorridendo appena.
Quanto avrebbe voluto vederla! Avrebbe davvero voluto che il buio non celasse il volto di Anita, che gli fosse possibile vederla arrossire, sorridere, parlare. Invece il buio gli lasciava quel piccolo margine di dubbio che lo divorava dentro, non gli permetteva capire fino in fondo quello che stava pensando la ragazza.
«Secondo te ad Agnese è piaciuta la serata?» domandò, anche se le avrebbe tanto voluto chiedere se aveva capito che la sua era stata solo una scusa, che non era vero che Leonardo voleva uscire con Agnese e lo aveva coinvolto.
Anita guardò nella direzione in cui si era diretta l'altra coppia e soffiò un sorriso intenerito.
«Secondo me mi odierà per almeno tre settimane», ridacchiò; sentì un tocco leggero sul braccio e impiegò una manciata di secondi per capire che Sebastiano le stava accarezzando la pelle con una dolcezza e una lentezza che la mandavano fuori di testa.
«Non le interessa Leo?»
La voce di Sebastiano le giunse dannatamente più vicina di prima e questo voleva dire che si era avvicinato a lei. Forse troppo per i suoi ormoni impazziti.
Boccheggiò un istante, poi rise nervosamente e scrollò le spalle. «Forse le interessa, ma è tremendamente timida» mormorò imbarazzata.
Sebastiano non riuscì a trattenersi e le baciò leggermente una spalla, per poi strofinarci lentamente la punta del naso, inspirando silenziosamente il suo profumo delicato e fruttato.
«Ma se provassi a baciarti, ti scanseresti?» chiese a bassa voce, cercando di guardarla nonostante l'oscurità. La sentì trattenere il fiato e tremare appena, così le lasciò un altro bacio sulla pelle e attese in silenzio.
«Potresti provare» sussurrò lei, per poi avvampare esageratamente e avvertire una forte stretta allo stomaco.Sebastiano sorrise apertamente e si mise dritto, avvicinandosi ad Anita e accarezzandole una guancia.
«Spero tu non mi abbia illuso» scherzò e senza aspettare la risposta della ragazza appoggiò leggermente le labbra sulle sue, trattenendo l'emozione e le grida di gioia che rischiavano di fargli esplodere il petto.
Anita si sentì arrossire a livelli disumani e abbracciò il collo del ragazzo, come a confermargli che no, non si sarebbe assolutamente scansata.
La felicità di Sebastiano poteva essere quasi paragonata a quella degli Americani dopo lo sbarco sulla Luna; circondò i fianchi della biondina e se la trascinò sulle gambe, per poi interrompere il bacio per sorridere. «Posso riprovare?» chiese ironico e quando sentì la risata divertita ma non canzonatoria di Anita gonfiò il petto e strinse la presa sulla sua vita, per poi baciarla di nuovo, questa volta con più coraggio, a labbra leggermente schiuse. Lei chiuse gli occhi e si lasciò andare, perché il calore che si diffuse nel suo corpo la travolse e la spinse a rispondere lentamente al bacio, provando emozioni che nemmeno lei pensava esistessero. Era tutto quello che aveva sperato, si stava avverando ogni suo desiderio con quel ragazzo arrivato per caso a sconvolgerle la vita.

 
A qualche metro di distanza Leonardo interruppe il flusso di parole e si sporse verso il posto in cui ricordava essersi fermato Sebastiano.
«C'è troppo silenzio» mormorò, trovando alquanto insolito il fatto che lui, Leonardo Calicchia parlasse di più di Sebastiano Castelli, logorroico di natura e al primo vero appuntamento con la sua cotta.
Agnese tese l'orecchio e constatò che, sì, effettivamente i loro amici avevano smesso di parlare e non sembravano nemmeno essere ancora in spiaggia. «Dici che...» azzardò, ma non proseguì per colpa dell'imbarazzo. Anita era grande e poteva fare quello che voleva, non sarebbe di certo stata lei a dirle di non baciare quel ragazzo.
«Allora ce l'ha fatta!» esultò il ragazzo, guadagnandosi un'occhiata scettica da parte dell'altra.
«A fare che cosa?» chiese scioccamente, con una vena di preoccupazione nella voce.
«A baciarla, mia cara Ese», sorrise apertamente, felice che il suo amico fosse riuscito a concludere qualcosa con la sua biondina.
«Perché ne sei così felice?» continuò Agnese, cercando di ignorare lo strano turbinio che le si era agitato nella pancia al sentire quel nuovo soprannome datole da Leonardo.
«Per due motivi» cominciò lui: «Uno: Seba non ha mai avuto grande successo con le ragazze, ma si merita qualcuno che gli voglia bene», sorrise con tenerezza, che presto si trasformò in divertimento; «Due: almeno la smetterà di lagnarsi e chiedere a noi se Anita è interessata o no».
A quella rivelazione le risate diventarono due, spontanee e divertite, che andarono a fare da colonna sonora a Sebastiano e Anita, sdraiati sul lettino a scambiarsi timide ed impacciate effusioni di due ragazzi alle prime armi, con ancora quella curiosa titubanza che influenzava le mani di lui sul corpo di lei e le reazioni di lei a quelle nuove attenzioni.
Non fu necessario proporre di allontanarsi per lasciare ai piccioncini un po' di privacy: l'eco della risata non si era ancora estinto, ché Leonardo ed Agnese si incamminarono di nuovo, diretti nemmeno loro sapevano bene dove.
La spiaggia era immersa nell'oscurità, affetta da una fastidiosa umidità che incollava la sabbia ai piedi e impregnava i vestiti; ma mai, mai, Agnese l'aveva vista più bella. La luna si rifletteva in una lunga scia di luce bianca sull'acqua, il cielo era pieno di stelle. L'aveva vista all'alba, al tramonto e in tutte le sue fasi intermedie, ma di notte acquistava una magia che nessun altro momento del giorno le conferiva.
«Hai mai fatto il bagno di mezzanotte?» domandò sottovoce, quasi timorosa di rompere l'atmosfera incantata in cui erano immersi.
Quella domanda colse impreparato Leonardo, che fece una smorfia e ridacchiò con auto-ironia: «No, non so nuotare».
La ragazza sgranò gli occhi. «Oh» commentò solamente, incredula. Era così legata a quell'ambiente che a volte dimenticava che non tutti erano cresciuti sguazzando in mare. L'idea, oltre tutto, la lasciava interdetta: «Non hai mai nuotato» realizzò, in tono leggermente più acuto di prima.
Quello stupore causò un nuovo spontaneo moto ilare in Leonardo. «No, mai» le diede conferma. «Di solito non entro nemmeno in acqua, non mi piace».
Non gli piaceva! Agnese sgranò gli occhi e gli rivolse un'occhiata scandalizzata. «Come fa a non piacerti?!»
A quella specie di accusa Leonardo rispose scrollando le spalle e ridacchiando nervosamente.
«C'è sempre una prima volta» mormorò più a se stesso che ad Agnese, che nonostante fosse stato solo un sussurro colse alla perfezione quello che aveva detto il ragazzo.
«Ti fidi di me?» gli chiese a bruciapelo.
Seguirono attimi di indecisione, nervosismo e timore da un lato; di dubbio, incertezza e pentimento dall'altra –o forse da entrambe. Leonardo era una persona razionale, era sempre stato in grado di arginare le proprie paure utilizzando la ragione, analizzando le situazioni per renderle il più possibile semplici e chiare. In quel momento, però, non sarebbe stato nemmeno capace di spiegarsi perché avesse pronunciato quelle parole: era ovvio che Agnese avrebbe avanzato quella implicita proposta, gliel'aveva servita su un piatto d'argento. La verità era che, sì, si fidava di lei; era disposto a mettersi in gioco, voleva raggiungere la sua lunghezza d'onda e vedere il mondo dal suo punto di vista. Voleva capirla.
La guardò in silenzio, poi spostò lo sguardo sulla massa d'acqua, così scura ed immensa, e rabbrividì. Si diede del cretino –non poteva che essere cretino, se si era messo da solo in quella situazione. D'altra parte, però, era troppo orgoglioso per ammettere di avere paura, non accettava nemmeno l'idea di dover rinunciare a qualcosa per timore.
Quella lunga pausa spinse ad Agnese ad una precisazione: «Non ho il costume», frase che però suonava decisamente sbagliata, in quelle circostanze. Arrossì e boccheggiò, turbata dalla dubbia interpretazione che quella scelta di parole suggeriva, per poi chiarire subito dopo, accompagnata dalla risata trattenuta di Leonardo: «No, cioè– Non voglio spingermi tanto in là. Insomma, non dobbiamo allontarci dalla riva, ci bagnamo i piedi» borbottò nel più totale imbarazzo.
Quella spiegazione, assieme al palese disagio di Agnese e al divertimento che non riuscì a contenere che qualche secondo di più, lo tranquillizzò. Non era necessario inoltrarsi nell'uscurità, sarebbero rimasti a riva, magari ne sarebbero usciti in fretta. Prese un lungo e silenzioso respiro, poi annuì: «D'accordo».
Un sorriso di gioia e sorpresa sorse spontaneo sul viso di Agnese, che aveva rinunciato in partenza a quell'eventualità. «Sicuro?» domandò, sentendosi un po' in colpa per aver insistito; non era un comportamento da lei insistere per piegare gli altri alla propria volontà. D'altra parte, poche cose al mondo erano magiche come la spiaggia di notte e non poteva proprio credere che qualcuno non ne cogliesse appieno l'incanto.
Leonardo cercò di farsi coraggio, esplorando già mentalmente i passi che sarebbe andato a percorrere di lì a poco. Avrebbe potuto rispondere di no, ma non lo fece. «Abbastanza», anche se non del tutto. «Fammi strada».
Così Agnese sistemò la borsa in spalla, strinse la presa delle dita sulla fascetta posteriore dei sandali e si incamminò. In un primo momento la sensazione della sabbia bagnata che si attaccava ai piedi la infastidì, ma la voglia di immergerli ebbe la meglio su ogni altra sensazione; sopportò con un piccolo sobbalzo le conchiglie pungenti sotto le piante, trotterellò un po' più in fretta ancora più avanti, dove finalmente poté camminare sulla sabbia liscia, l'acqua tiepida e scura, ma trasparente, a massaggiarle le caviglie.
Leonardo sussultò al contratto con l'acqua –per lui sempre troppo fredda;  imprecò sottovoce, quando le conchiglie gli graffiarono i piedi; gli venne la pelle d'oca nel vederli sparire sotto la superficie scura.
Agnese non si fermò: camminò ancora, fino a bagnare i polpacci e poi le ginocchia, per poi decidere che forse bastava così, se non voleva inzupparsi i pantaloni. Lui la seguì con diligenza, un po' a disagio, inquietato dall'impossibilità di vedere il fondale e dagli strani guizzi argentati che di tanto in tanto increspavano la superficie di cerchi concentrici.
«Sono i pesci» osservò Agnese dal nulla, rivolta un po' a se stessa e un po' a lui.
Leonardo affondò una mano nella tasca dei pantaloni, mentre con l'altra reggeva le scarpe da ginnastica. "E ora?" avrebbe voluto chiedere, nella speranza di un ritorno immediato alla terraferma; invece disse: «È più calda del previsto», muovendosi piano sul posto, come a testare la solidità del terreno, ancora poco fiducioso.
Agnese sorrise; era sinceramente soddisfatta di quella piccola vittoria: si era fidato di lei. «Non sono mai riuscita a convincere Ninì ad entrare» gli raccontò, immersa nei propri pensieri; l'atmosfera era irrealmente intima e il buio ammortizzava la timidezza. «Ma l'acqua di notte è meravigliosa. C'è qualcosa di speciale». Rise: forse Leonardo l'avrebbe presa per pazza, sentendola parlare come una bambina, intrigata da qualcosa di tanto semplice e naturale come la notte. «È una delle poche cose per cui sono grata a Davide: se non mi avesse costretta non avrei mai messo piede in acqua nemmeno io, dopo il tramonto». Poi si voltò ad indicargli la luna: «Guarda com'è bella!»
Leonardo la affiancò e sorrise, beandosi di quello spettacolo: aveva visto scene del genere tante volte nei film e forse anche dal vivo, ma, doveva ammetterlo, starci dentro con tutte le scarpe –letteralmente– era un’altra storia. La consapevolezza che fosse stato quel Davide a rendere possibile quel momento di fiducia e condivisione però lo infastidì. «Ti ha costretta?»
Agnese si strinse nelle spalle: tutto d'un tratto gli sembrava così piccola!
«Non gli piace sentirsi dire di no e io non sono brava a farmi valere».
Il groppo che Leonardo dovette mandare giù fu quasi doloroso, ma alla fine riuscì a trovare un nome a quello che provava, anche se non voleva ammetterlo a se stesso: era gelosia.  «Ti ha costretta a fare altre cose?» indagò, sperando di non sembrare troppo indiscreto.
Il silenzio che li avvolse era quasi irreale, assordante ed inquietante, ma poi Agnese sospirò e si voltò verso Leonardo, fronteggiandolo nel buio. «Non quello che pensi» lo freddò, avviandosi poi verso la riva. Lui rimase un attimo muto, poi la chiamò e la seguì velocemente.
«Aspetta» la implorò, fermandola per un polso e raggiungendola alle sue spalle, talmente vicino da poter sentire il suo respiro tremante e delicato, «Non ti stavo chiedendo se ti ha costretta ad andare a letto con lui» precisò. «Hai detto che quello è stato uno dei motivi per cui vi siete lasciati. Mi chiedevo se avesse forzato la mano su qualcosa oltre alla paura del bagno di notte».
Agnese sospirò e trattenne un sorriso: l'interesse di Leonardo la lusingava, non era abituata ad essere al centro dell’attenzione di un ragazzo. Tra Davide e Leo, poi, non c'erano paragoni; se solo avesse conosciuto prima il ragazzo della Capitale, probabilmente non ci sarebbe nemmeno stato un Davide di cui parlare o di cui ingoiare le gesta goliardiche e prepotenti.
«Ha sempre cercato di darmi tempo e spazio» mormorò, per poi aggiungere un maliconico «Più o meno».
Non sapeva perché si sentisse così felice di avere Leonardo lì, dietro di lei, così dannatamente vicino. E non sapeva nemmeno perché avesse un'irrefrenabile voglia di abbracciarlo, ma decise di non ascoltare le varie domande e insinuazioni della sua testa e fece un minimo passo indietro, appoggiando la schiena al petto del ragazzo. In un primo momento lo sentì irrigidirsi, poi però i suoi muscoli si rilassarono e le circondò il corpo con le braccia, in una stretta che sembrava più una coperta calda in una notte di inverno che non un gesto affettuoso nel mezzo della bassa marea estiva.
Rimasero in silenzio; nessuno dei due voleva parlare per paura di dover dare una qualche spiegazione, razionale o meno. Agnese mandò al diavolo la logica e la sua indole timida e riservata e sorrise apertamente, perché la verità era che stava aspettando un momento così da fin troppo tempo e aveva sperato invano che Davide fosse capace di una cosa anche solo lontanamente simile. Le braccia di Leonardo le fasciavano il busto e la tenevano stretta al suo petto, mentre lui aveva appoggiato la tempia alla testa di lei ed entrambi erano in contemplazione della Luna, la loro unica spettatrice.
Quell'apparentemente infinito momento di pace venne interrotto dal guizzo di un pesce argentato, più grande di quelli che avevano già visto, che saltò fuori dall'acqua e ricadde proprio accanto a loro. Agnese sapeva bene che cosa fosse e che non c'era nessun pericolo, ma ciò non le impedì di prendere per mano Leonardo e trascinarlo fuori dal mare urlando a squarciagola nel buio, sinceramente divertita, mentre lui la seguiva ridendo a crepapelle perché nemmeno si era accorto del motivo per cui la ragazza fosse scappata così.

 
Sebastiano sorrise sulle labbra di Anita, quando un grido non troppo distante giunse alle sue orecchie; non riuscì ad impedirsi di ridacchiare: «Ragazzini!» commentò divertito.
Anita stiracchiò un sorriso emozionato e impacciato al tempo stesso, senza davvero interessarsi al rumore che aveva a malapena udito. Il cuore martellava con entusiastica urgenza nel suo petto, mentre le farfalle mettevano sottosopra lo stomaco; era tormentata da così tante diverse sensazioni da non riuscire a distinguerle tra il groviglio che le ottundeva la mente. Avrebbe voluto rispondere qualcosa, ma si limitò a mordersi il labbro inferiore, concentrnadosi sulle mani che ancora indugiavano sulle sue gambe. Così sorrise di più, gioiosa, senza sapere che Sebastiano stava osservando –e vedendo, nonostante l'oscurità– le linee lattee con con cui i raggi lunari definivano i suoi lineamenti.
Le accarezzò con delicatezza una guancia, percorrendo uno di quelle pennellate di luce. Se avesse avuto la chitarra, le avrebbe volentieri suonato una canzone: era consapevole della propria totale incapacità nel dire la cosa giusta; solo cantando, pensava, sarebbe stato capace di emozionarla come lo era lui. Ma con o senza il suo strumento, perché non provarci? «Sto per fare una cosa sciocca» preannunciò sottovoce, prima di stendersi sul fianco accanto a lei.
Anita inarcò leggermente le sopracciglia, senza saper bene cosa aspettarsi, poi lo imitò e appoggiò la testa al braccio piegato pronta a cogliere qualsiasi iniziativa con l'aspettativa che pulsava nelle tempie. Il suo cuore perse un battito, poi, quando Sebastiano prese a cantare sottovoce, mormorando con la quella voce profonda e ormai familiare le parole di una canzone che a quanto pareva piaceva ad entrambi.
E non so perché quello che ti voglio dire poi lo scrivo dentro una canzone; non so neanche se ti rivedrò o se resterà soltanto un'altra fragile illusione. Se le parole fossero una musica potrei suonarle ore, ore e ancora ore e dirti tutto di me. Ma quando poi ti vedo e c'è qualcosa che mi blocca e non riesco a dire neanche come stai; come stai bene con quei pantaloni neri, come stai bene oggi, come vorrei non cadere in quei discorsi già sentiti mille volte e rovinare tutto. Come vorrei parlare senza preoccuparmi, senza quella sensazione che non mi fa dire che mi piaci per davvero anche se non te l’ho detto, perché è squallido provarci solo per portarti a letto […]”.
Fin dalle prime battute Anita aveva smesso di pensare a qualsiasi cosa che non fosse Sebastiano –la sua voce, le sue labbra e i suoi occhi– e presto si sorprese ad essersi distratta anche dalle parole della canzone che lui le stava dedicando. Per cercare di non darlo a vedere lo fissò nel buio e fece scontare i loro nasi in una tenera richiesta di attenzione.
Sebastiano accolse quel gesto con un ampio sorriso, mentre le parole gli morivano sulle labbra, sempre più vicine a quelle di Anita. Ancora non poteva crederci che lei fosse lì su quel lettino, le loro gambe ancora aggrovigliate e la voglia di baciarsi come se non ci fosse un domani.
Le accarezzò la mandibola con la punta delle dita e la baciò morbidamente, come se avesse paura di farla scappare. Aveva ormai la certezza che non se ne sarebbe andata tanto facilmente, ma non si era mai fidato troppo del suo istinto e aveva imparato dalla vita ad aspettare il momento giusto.
Il problema era che con Anita non gli sembrava mai il momento giusto ma sperava sempre che lo fosse. Viveva in un limbo, tra la voglia di agire e la paura di essere respinto. Quando però lei fece perno sul gomito e si sdraiò su di lui, in quel momento esatto Sebastiano capì che per loro non ci sarebbe mai stata una fine, che avevano cominciato una cosa destinata a durare nel tempo. L'afferrò per i fianchi e la baciò con più foga e passione, come se stesse per esplodere il mondo sotto di loro. Non gliene importava più di niente, perché lui aveva lei e si sentiva così felice che aveva voglia di ridere, cantare, correre, saltare e fare l'amore con lei.
Quell'ultimo pensiero gli fece partire una scarica di adrenalina e il cuore prese a battere ancora più veloce, a tal punto che temette che lei potesse sentirlo. Sorrise sulle sue labbra e le accarezzò furtivamente una natica, sperando di non guadagnarsi uno schiaffo.
Invece di dargli una sberla Ninì nascose il viso nel collo del ragazzo e ridacchiò, rossa come un peperone ma dannatamente felice.
«Sei curioso, eh?» lo prese in giro, baciandogli la pelle in una carezza a fior di labbra. Sebastiano, animato da quella reazione tutt'altro che avversa, si fece coraggio e strinse leggermente la presa sul sedere della biondina e sorrise quando la sentì rabbrividire e rannicchiarsi ancora di più sul suo petto.
Si poteva essere più felici di così? Anita era certa che non fosse umanamente possibile, no.
Ci si poteva sentire più completi di così? Sebastiano arrivò alla conclusione che no, era inimmaginabile essere più completi di così.
Erano accoccolati l'una sull'altro in perfetto silenzio ormai da un po', tanto che lui si era convinto Ninì si fosse addormentata. Osservava la luna e le stelle, ascoltando il respiro leggero e regolare di lei, la mente che correva senza essere diretta da nessuna parte, tornando sempre indietro all'attimo che stava vivendo. «Sei mai stata a Roma?» le chiese sottovoce nella speranza di non svegliarla, in caso si fosse appisolata.
Anita però non stava affatto dormendo: prestava attenzione ad ogni suo più piccolo movimento sorridendo tra sé, la testa appoggiata al suo petto che si alzava e abbassava ritmicamente, accompagnata dal battito emozionato del suo cuore.
«Una volta, in gita scolastica» rispose.
Sebastiano sorrise appena, perché si aspettava quella risposta ed era perfetta per quello che stava pensando di dirle.
«Dovrai tornarci» mormorò, accarezzandole lentamente le spalle lasciate scoperte dal vestito che portava quella sera.
«Mi farai da guida turistica?» gli domandò lei, strofinando il naso sulla mandibola del biondo, che sorrise ancora più apertamente e prese a giocare con i suoi capelli lisci.
«Ovviamente!» confermò, premendo le labbra sulla fronte di Anita.
«Ti porterò a vedere la via dei Fori Imperiali e Villa Borghese. E il Pincio... Piazza Navona! E il Gianicolo». Sebastiano ridacchiò, pregustando la meta successiva: «Qui ce l'avete il Magnum Store? Perché se non ce l'avete ti ci devo portare. Oh, e poi c'è Pompi, che è tipo il paradiso del tiramisù!»
Anita gli depositò un leggero bacio sulla mandibola. «Pompi, il paradiso del...tiramisù?», si morse l'interno della guancia per non ridere di quell'ambiguo accostamento di nome e prodotto. Quando anche Sebastiano capì il motivo di quell'osservazione scoppiò in una fragorosa risata alla quale si unì anche la voce di Anita, salvo poi trasformarsi in una raffica di baci sulla pelle liscia del collo del ragazzo sdraiato sotto di lei.
Sebastiano percepiva tante leggere scariche elettriche attraversargli il corpo ad ogni contatto tra le labbra della ragazza e la propria pelle, amplificate, se possibile, da quel malizioso doppio senso a cui si stava sforzando di non pensare. In preda ad un nuovo moto di energia, alimentata da un misto di imbarazzo ed eccitazione, ricominciò a parlare: «Ti porterò alla villa, poi. I ragazzi ed io ci passiamo ogni weekend libero; ogni tanto c'è mia nonna, ma non dà fastidio. Ci abbiamo fatto le migliori feste laggiù, quella casa ha visto di tutto e di più». La villa in questione, come si premurò di specificare subito dopo, altro non era che una vecchia abitazione di campagna appartenente alla famiglia Castelli, ma disabitata ormai da anni, visto che tutti i parenti si erano ormai trasferiti in città. Sebastiano ci faceva le feste di compleanno da piccolo, perché sua madre mal sopportava il disordine in casa, e da quando aveva preso la patente –per primo tra i suoi amici, ci tenne a sottolineare– appena poteva si rifugiava laggiù, luogo che aveva eletto a suo rifugio personale.
Non passava il suo tempo lì spesso come avrebbe voluto, essendo la villa piuttosto fuori mano, ma una cosa era certa: quando qualcosa nella sua vita andava storto e non riuscivi a trovarlo, Sebastiano era di certo nascosto laggiù, intento a svuotare scatoloni di cianfrusaglie in garage, a suonare la chitarra o a passeggiare per i campi –magari assieme alla nonna.
Anita sorrideva tra sé, mentre lo ascoltava. Le piaceva pensare che lui si fidasse di lei a tal punto da raccontargli del luogo in cui scappava dal mondo e in cui portava solo gli amici più stretti. Che avesse detto che avrebbe mostrato quella casa anche a lei la faceva sentire importante. Quando Sebastiano tacque, poi, non esitò a condividere con lui qualcosa di sé.
Si schiarì la voce e si preparò ad affrontare un discorso serio e possibilmente di senso compiuto. «Quando voglio evadere dal mondo scendo in spiaggia a correre. Niente foto, niente compagnia. Solo io e i miei pensieri da cancellare. Correre mi aiuta a scaricare i nervi, sai? Non sento niente se non il mio cuore che batte e il mare accanto a me», sospirò, «Però da un paio di anni ho cambiato questa abitudine e invece di scendere a fare jogging mi nascondo alla Piazza delle Conserve: ci sono delle enormi cisterne scavate, sono abbastanza profonde però ci si può calare dentro senza troppa difficoltà. Ho scoperto quel posto quando i miei mi hanno detto che si sarebbero separati», deglutì lentamente e ricacciò giù le lacrime che le scaldavano gli occhi. «Sono rimasta lì fino all'alba e quando sono tornata a casa Agnese mi ha insultata in tutti i modi», ridacchiò e si asciugò una guancia. Sebastiano l'ascoltava in silenzio e le accarezzava lentamente un braccio, rapito da quelle parole e da quel pianto silenzioso e nascosto.«Non ho mai detto a nessuno dove mi ero andata a cacciare, è sempre stato il mio segreto e ogni tanto torno là, quando litigo con mia mamma o quando il suo compagno passa la notte da noi» continuò a voce talmente bassa che ad una manciata di centimetri più in là Sebastiano era certo che non l'avrebbe sentita. «Ultimamente capita spesso, perché stanno facendo le prove per vivere insieme, tutti sotto lo stesso tetto. Per questo non vedo l'ora di tornare a Bologna». La voce le si incrinò sull'ultima parola e il ragazzo la strinse forte in vita, per farle capire che lui era lì e che con lui poteva sfogarsi. La luce della Luna le faceva brillare le lacrime che scendevano lentamente lungo le guance di Anita e Sebastiano ne catturò una con il pollice.
«Grazie per avermi svelato il tuo posto segreto» bisbigliò, per poi accogliere la testa della ragazza nell'incavo del suo collo. Si chiese come mai quell'incastro fosse così naturale e perfetto, anche se con lei tutto era perfetto. era come se nella sua vita ci fosse sempre stato un posto per lei, come se le sue braccia fossero state studiate per abbracciarla, come se la sua bocca fosse stata fatta per combaciare perfettamente con quella di Anita.
Non passarono molti istanti prima che le loro labbra ricominciassero a cercarsi, come a suggellare quello scambio di fiducia appena avvenuto. E c'era tenerezza in quell'incontro, c'erano affetto, speranza, emozione e tanta, tantissima attrazione. Era come se non potessero smettere di sfiorarsi, di accarezzarsi e baciarsi. Niente malizia, niente aspettativa, niente paura. C'era solo spontaneità in loro, pochi pensieri e tanti nuovi sentimenti.
Continuarono a scambiarsi dolci effusioni a lungo, senza mai calcare troppo la mano, senza mai allontanarsi più di qualche centimetro. Poi, non avrebbero saputo dire quando né chi per primo, si addormentarono, sotto il cielo stellato, con le onde del mare a mormorare loro la buonanotte, un vento leggero a spingerli sempre più stretti l'una nelle braccia dell'altro.

 
Lungo la riva intanto Agnese e Leonardo passeggiavano fianco a fianco in direzione della luna, chiacchierando di letteratura e storia dell'arte, di musica, di sorelle minori, di liceo, di stabilimenti balneari e di gusti di gelato o di pizza; le loro mani continuavano a sfiorarsi di tanto in tanto e quando succedeva il cuore dei due accelerava e le loro guance si tingevano di un rosso celato dal buio, ma svelato dal silenzio imbarazzato che scendeva su di loro.
Non si erano più preoccupati di Anita e Sebastiano, che sicuramente stavano pomiciando da qualche parte e nessuno dei due aveva interesse nell’interromperli. Quindi proseguivano senza sosta guidati dallo sciabordio delle onde che si infrangevano sugli scogli poco lontani.
Quella sera anche tra loro era successo qualcosa. Il ghiaccio si era sciolto, le difese erano state abbassate e Leonardo e Agnese si erano concessi l'un l'altro la possibilità di conoscersi. Avevano condiviso poco, forse, per gli standard della maggior parte della gente, ma tantissimo per i loro. Certo, nessuno si illudeva di poter dire di conoscere l'altro, ma si accontentavano per il momento dello sforzo. Si accontentarono di argomenti neutri, che in realtà parlavano molto di loro, di sorrisi scambiati nel buio, di sfioramenti accidentali, di risate divertite o imbarazzate e di conversazioni portate avanti a voce bassa e controllata.
Leonardo si offrì di accompagnare Agnese a casa, in fondo se avevano fatto così tardi era stata anche colpa del suo mogliore amico, e lei non aveva potuto rifiutare l’idea di passare quegli ultimi minuti con lui alla luce dei lampioni della strada. voleva vederlo, voleva ricordarsi quel sorriso ampio e bianco, quegli occhi penetranti e voleva collegare un volto a quella voce che le aveva fatto vibrare l’anima per tutta la sera. sotto casa, poi, lui si chinò su di lei e le lasciò un leggero, quasi impercettibile, bacio sulla tempia e la guardò rientrare in casa svelta e attenta a non fare rumore, perché l’ultima cosa che entrambi avrebbero voluto era finire quella inaspettatamente bella serata con una secchiata di acqua ghiacciata come solo suo padre sapeva regalare.



Bloop's corner:
Buona sera, lettrici! O dovrei dire lettori e lettrici? Mah...BUONA SERA! Prima di tutto grazie dell'immensa pazienza e grazie di essere arrivate fino alle note in fondo alla pagina, sempre che qualcuno le legga. Mi rendo perfettamente conto che tre mesi di attesa siano tanti, ma meglio tardi che mai! E soprattutto abbiamo dei validi motivi per cui siamo sparite. Il primo dei quali si chiama università, ma non parliamone stasera perché se no mi tornano i sensi di colpa per non aver combinato niente oggi. Uh, ma che scema! Qui è Mari che vi parla, spero vi ricordiate ancora che siamo in due (Mich e Mari, Yvaine0 e Aries Pevensie)! Okay, dove questa piccola entrata in scena davvero imbarazzante vorrei parlarvi un secondo di questa storia. Nel senso che rileggendo i capitoli precedenti (e sì, l'ho fatto oggi invece di studiare), mi sono resa conto che non si riesce a capire nemmeno dove scrive una e dove scrive l'altra. Questo non è per vantarci, ma per svelarvi che stiamo scrivendo questa storia su Whatsapp e che scriviamo al massimo 1000 parole a testa prima di lasciare continuare l'altra, ma alla fine viene fuori una cosa talmente omogenea che stupisce anche me. Abbiamo fatto un grande lavoro su noi stesse per scrivere questa storia, ci siamo dovute mettere l'una nei panni dell'altra e nei personaggi da noi inventati, inserirci nei dialoghi cominciati e continuare dei pensieri che chissà dove dovevano portare nella testa di chi li ha instradati. E' un'avventura bellissima e consiglio di provare a chiunque abbia un'amica con la stessa passione per la scrittura. 
Con questo torniamo a questo capitolo lungo ben 11 pagine di word. E' cascata la pera di Sebastiano e Anita, finalmente si sono dati una mossa e hanno concluso qualcosa, ma attenzione! Attenzione perché anche Leonardo e Agnese stanno superando tutti da destra e fanno grandi passi avanti! 
Bene, fateci sapere il vostro giudizio, cercheremo di rispondere alle vostre recensioni in tempi ragionevoli!
Grazie davvero di cuore per tutto quello che fate per noi, lo apprezziamo davvero!
A presto
AP

 
 

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Capitolo 12
*** Giorno nono ***



- Come ti sconvolgo la vita in tre settimane -

 

11. Giorno nono

 

Elia si stropicciò gli occhi e sbadigliò, osservando il fascio di luce che filtrava dalla serranda e in cui fluttuavano infinitesimali granelli di polvere; si voltò lentamente verso il letto di Sebastiano e si sorprese di trovarlo vuoto e intatto. Si tirò su a sedere, controllò l'orario sul cellulare e quando vide che erano solo le sei e tre minuti si stupì e pensò che non era possibile che Castelli si fosse già svegliato. Si grattò la nuca e si guardò intorno spaesato ed indeciso sul da farsi: non poteva certo andare a chiamare Leo e Tommaso, l'avrebbero cacciato in malo modo e sarebbe stato del tutto inutile. L'unica cosa che poteva fare era infilare i pantaloncini del Real Madrid, le scarpe da tennis, una maglietta e scendere in spiaggia a fare jogging con l'inseparabile ipod a dettargli il ritmo delle falcate.
Da quando avevano messo piede a Cesenatico, non l'aveva mai vista così tranquilla. Niente automobilisti furibondi alla disperata ricerca di un parcheggio gratuito, niente ciclisti che percorrevano strade e marciapiedi come se ne fossero i padroni, niente pedoni lenti tra cui zigzagare. C'era una luce particolare ad illuminare la città e la spiaggia, un'atmosfera che stimolava Elia a riflettere e pensare troppo, mentre correva lungo il bagnasciuga. Si chiedeva dove fosse finito Sebastiano, rideva perché sembravano alternarsi nei risvegli preoccupati dall'assenza dell'altro. Ridacchiava da solo, canticchiando sottovoce qualche canzone, che inevitabilmente lo faceva pensare ad Elisabetta. A volte credeva fosse davvero assurdo che tra tutte le ragazze del mondo lui si fosse innamorato di lei, l'unica che non aveva la minima intenzione di condividere con lui albe e tramonti, che non voleva saperne delle sue attenzioni, delle sue confessioni sincere, delle sue chiacchiere.
Sospirò tra sé e cercò di distrarsi: forse guardarsi attorno e cercare qualcun altro era la cosa giusta da fare. Quindi attuò il suo piano alla lettera: lasciò vagare lo sguardo tutt'attorno e non poté fare a meno di sbuffare quando notò una coppia correre nella sua stessa direzione tenendosi la mano. Senza nemmeno pensarci deviò verso i lettini, sperando di potersi togliere quell'immagine della mente, ma ciò che trovò fu un'altra coppietta avvinghiata su un lettino. Era mai possibile? Cercava di smettere di pensare ad Elisabetta e incappava solo in coppie apparentemente felici! Il colmo, era davvero il colmo. Lanciò loro un'ultima occhiata prima di accelerare il passo per andarsene il più in fretta possibile.
Fece solo pochi passi prima che un'illuminazione lo cogliesse, allora si girò e «Porca vacca, Castelli!» sbottò divertito, levandosi gli auricolari dalle orecchie. «Pensavo fossi morto!»
Sebastiano sussultò e sbadigliò, aprendo lentamente gli occhi e focalizzando il sorriso sornione di Elia, in piedi in fondo al lettino su cui stava dormendo con Anita. Come un lampo si ricordò dell'appuntamento e delle loro labbra gonfie per i troppi baci, abbassò lo sguardo e la trovò lì, la guancia sul suo petto e il viso così vicino al suo che aveva un'irrefrenabile voglia di baciarla per svegliarla dolcemente.
«Terra chiama Seba» lo riprese Elia, ridendo forte e facendo sì che anche la biondina saltasse sul posto e aprisse gli occhi.
«Buongiorno!» esclamò raggiante e decisamente divertito, attirando due sguardi straniti su di sé.

Anita era confusa e cercava di ricordare cosa fosse successo e perché avesse dormito su un lettino in spiaggia, ma ancora di più cercava di capire perché fosse stato Elia a darle il buongiorno e non Sebastiano. Si voltò leggermente e lo trovò lì, ad un palmo da lei, con un piccolo e timido sorriso sulle labbra sottili e di cui ormai sapeva il sapore, ma che non avrebbe mai smesso di voler baciare.
«Ciao» la salutò in un sussurro e lei arrossì lievemente, ancora scossa e confusa, nascose il viso nell'incavo del collo del biondo e chiuse gli occhi, lasciando che lui le circondasse la vita con entrambe le braccia e se la spostasse sul corpo.
«Messaggio ricevuto, vi lascio soli. Quando torno indietro spero ve ne siate già andati, fra poco aprono gli ombrelloni» disse Elia, per poi partire di corsa senza aspettare una risposta dal suo amico.
Sebastiano accarezzò la schiena di Anita, lentamente e con delicatezza, poi cominciò a depositare piccoli baci sulla sua spalla e sui suoi capelli. Ninì uscì dal suo guscio con ancora gli occhi chiusi e strofinò il naso sulla mandibola di lui, che sorrise e si voltò verso di lei, fece combaciare le loro labbra e la strinse ancora di più a sé. Non voleva lasciarla andare, non poteva pensare che sarebbe dovuto succedere comunque e voleva solo godersi quegli attimi di pace e gioia che viveva con lei. Lo stava facendo innamorare profondamente ed irrimediabilmente e lui non avrebbe opposto resistenza a quel calore che gli scioglieva il cuore e lo faceva stare bene. Lei lo faceva stare bene e avrebbe lottato fino allo stremo delle sue speranze affinché lei avesse continuato ad essere il suo faro nella notte.
Anita sarebbe volentieri rimasta lì abbracciata a Sebastiano anche tutto il giorno, ma una lieve sensazione di agitazione le punzecchiava lo stomaco, come se ci fosse qualcosa che avrebbe fatto bene a ricordare, ma non sapeva cosa. E poi che all'improvviso sgranò gli occhi e «Ma che ore sono?» domandò, poi si spostò, sedendosi accanto a lui per cercare il cellulare nella borsa che avevano usato come cuscino fino a quel momento. Il lavoro. Era ora di andare al lavoro e non avrebbe fatto tempo nemmeno a tornare a casa per cambiarsi o lavarsi. Si morse il labbro inferiore, combattuta tra l'idea di mollare tutto, a costo di sorbirsi una strigliata coi fiocchi, e quella di comportarsi da persona responsabile.
«Ti accompagno al bar» disse Sebastiano, sedendosi accanto a lei, che osservava muta la sabbia sotto i suoi piedi.
«Facciamo il bagno?» chiese lei, lasciando confuso il ragazzo, che inclinò la testa di lato e la guardò incuriosito.
«Mando un messaggio a Michele e gli dico che non vado a lavorare, poi facciamo il bagno» continuò imperterrita, ormai convinta della sua scelta folle e irresponsabile. E così fecero. Anita inviò in fretta quell'SMS al collega, poi nascosero borsa e vestiti sotto le schienale ripiegato del lettino. 
Sebastiano, in preda ad uno strano imbarazzo, si fissava i piedi senza il coraggio di alzare lo sguardo. Il fatto era che, nonostante fosse un tipo piuttosto spontaneo, trovarsi lì davanti a lei in boxer lo imbarazzava un pochino. Quindi non aveva il coraggio di far nulla, a parte spostare la sabbia con fare assorto. Forse non c'era molta differenza tra stare in costume o in mutande, ma...
Solo quando Anita lo incoraggiò a muoversi, sorridendo divertita, lui annuendo si rese conto di una cosa: forse non era l'unico ad essere rimasto in intimo. Sgranò gli occhi e arrossì violentemente, facendosi travolgere da un rumorosa risata isterica, un attimo prima di prenderle la mano e correre verso la riva.

«Fantastico, ogni giorno ne manca uno in più» sbuffò Elisabetta, sedendosi ai piedi del letto di Leonardo. «Vi sembra una cosa normale?» domandò retorica.
Si era svegliata presto quella mattina ed era uscita dalla camera con l'intento di usare il bagno, trovando la camera di Sebastiano ed Elia aperta e vuota. Era dunque entrata - senza nemmeno bussare - nella stanza di suo fratello e ne aveva svegliato gli ospiti per comunicare loro la notizia.
Tommaso sbuffò, riemergendo dalle profondità del cuscino con cui aveva cercato di soffocarsi una volta accortosi dell'orario immondo a cui era stato svegliato.
«Non lo so, ma non vedo l'ora che tocchi a te».

Dal letto occupato da Leonardo giunse un muggito di assenso, che lasciò a bocca aperta Elisabetta. 
«Siete proprio dei caproni» borbottò, lanciando una ciabatta a suo fratello e una al suo amico, «Sebastiano è rimasto fuori tutta la notte ed Elia è scappato!» continuò.
Tommaso si mise a sedere e la fissò con astio. «Vai a cercare il tuo innamorato e smetti di rompere i coglioni» berciò, sdraiandosi di nuovo e nascondendo la faccia sotto il cuscino. Elisabetta sbuffò e si alzò suo malgrado, uscendo dalla camera e dirigendosi a passo spedito verso la propria.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma le cose non stavano esattamente andando secondo i suoi piani. Non le piaceva mostrar loro quanto apprezzasse stare in loro compagnia, ma almeno a se stessa doveva riconoscere che le continue sparizioni della metà dei ragazzi la facevano sentire sola. Tommaso non era mai stato così rancoroso nei suoi confronti, Elia continuava a sparire e ora ci si metteva pure Sebastiano con la sua biondina e gli appuntamenti a quattro, portandogli via anche l'ultima speranza di trascorrere una vacanza assieme a quelli che considerava amici suoi. Non era lì solo per "rompere i coglioni", per dirla nei termini di suo fratello: Elisabetta era a modo suo molto legata a tutti e quattro quelli che chiamava imbecilli, nessuno escluso, anche se a ognuno in maniera diversa. Sbuffò sonoramente, delusa dagli ultimi risvolti, poi prese una decisione: non sarebbe rimasta lì a piangersi addosso, se i ragazzi volevano incontrare nuove persone, lei avrebbe fatto lo stesso. Quindi si spogliò, indossò il costume e un prendisole, poi recuperò borsa e infradito e uscì, i grandi occhiali da sole a schermarle lo sguardo corrucciato.

Solo quando i brontolii dei loro stomaci erano diventati più forti di qualunque altro richiamo, i ragazzi si erano ritrovati seduti tutti allo stesso tavolo al bar del Bagno Girasole per il pranzo; Sebastiano sorrideva come un ebete, Elia non la smetteva di ridere e raccontare chissà cosa a Tommaso, Leonardo si guardava attorno alla ricerca di Dio solo sapeva cosa ed Elisabetta aveva una lunga argomentazione pronta per essere spiattellata a quei fedifraghi dei suoi amici. Ecco che dunque, dopo che Michele - più nervoso che mai - ebbe preso le ordinazioni, lei attirò l'attenzione attaccando con un'infinita e petulante serie di rimproveri che spossò i ragazzi più dell'intero viaggio Roma-Cesenatico. Una lunga ramanzina che, però, ebbe buon esito: quella sera infatti uscirono tutti insieme, solo loro cinque e nessun altro. Nemmeno a dirlo, cadde il diluvio universale, e prima dell'una Sebastiano era così ubriaco che Leonardo colse l'occasione al volo per defilarsi, con la scusa di riaccompagnarlo al b&b.
Far camminare dritto un Sebastiano decisamente sbronzo non era un'impresa facile, soprattutto se il ragazzo gridava ai quattro venti quanto fosse felice di aver baciato Anita Paraboschi senza curarsi della possibilità che qualcuno la conoscesse. Leonardo camminava con le mani in tasca e stava pronto a scattare nel caso il suo amico si lanciasse in folli corse verso i passanti.
Proprio mentre stava per placcare il biondo, riconobbe la figura minuta della ragazza verso cui stava correndo a perdifiato. Sorrise spontaneamente, mentre accelerava per evitare che Agnese si spaventasse; stava camminando a testa bassa, lo sguardo fisso sulla strada per evitare di entrare nelle pozzanghere.
«Agnese!» la salutò Sebastiano a voce talmente alta che tutti si voltarono a vedere chi fosse quel casinista che si metteva ad urlare in mezzo alla strada. La ragazza sussultò e alzò il viso verso chi l'aveva chiamata, gli occhi spalancati e la bocca semi-aperta.
«Ciao» rispose lei, travolta dall'esuberanza del biondo e dal silenzioso avvicinamento di Leonardo, che la guardava sorridente.
«Fate una passeggiata?» chiese, rivolta all'ultimo arrivato, conscia del fatto che parlare con Sebastiano non fosse poi così produttivo. Leonardo rise piano, scrollò la testa e affiancò l'amico facendo schioccare la lingua sul palato.
«Accompagno il timido ubriaco in albergo» rispose, controllando che Sebastiano non stesse facendo qualche danno, guidato dai fumi dell'alcol. Anche Agnese spostò lo sguardo sul biondo e rise quando lo trovò a fissare il cielo con la bocca spalancata; «Vi accompagno» mormorò, senza nemmeno rendersi conto del sorriso e del rossore che decoravano il suo viso. Leonardo sentì un tuffo al cuore, ma non si azzardò a cercare di convincerla che non fosse necessario: aveva la possibilità di passare del tempo con lei, più o meno da soli, e non se la sarebbe fatto scappare. Fu così che Agnese invertì la rotta e si incamminò spalla a spalla con Leonardo; dopo un paio di passi il ragazzo si bloccò e tornò indietro, per prendere Sebastiano per un gomito e trascinarlo letteralmente verso casa.
Lungo il tragitto verso il b&b Sebastiano aveva cominciato a raccontare della prima partita della Roma a cui era andato e Agnese si era finta interessata, ma Leonardo aveva notato che si era avvicinata di un passo a lui, come se avesse paura del suo amico.
Quando giunsero davanti alla camera, il biondo tirò fuori le chiavi e si lanciò contro la porta chiusa, scatenando le risate di Leo e Agnese, che lo osservavano a qualche passo di distanza.
«Penso che chiamerò Ninì» biascicò, scompigliandosi i capelli già disordinati.
«Non fare stronzate, okay? Io accompagno Agne a casa e torno qui» rispose Leonardo con tono pacato e serio. Ogni volta che Sebastiano si riduceva in quello stato toccava a lui recuperarlo e fare in modo che non combinasse guai, ma quella sera non aveva proprio voglia di rimanere a fare il baby-sitter. Non se l'alternativa sembrava essere quella di passare del tempo con Agnese.
Il ragazzo annuì e si lasciò cadere mollemente sul letto, tirando fuori il cellulare e osservando lo schermo con le sopracciglia aggrottate e il labbro inferiore sporto all'infuori. Agnese sorrise intenerita, nonostante non avesse mai amato l'alcol e le persone ubriache; le venne in mente della sera in cui Anita aveva esagerato con la vodka e lei era stata tentata di lasciarla lì, tanto c'era Giovanni con lei, poi invece si era convinta a portarla a casa sua perché Anita si era rifiutata di farsi vedere così da sua madre. Fu una delle serate peggiori che passò in compagnia della sua amica e da quel momento rifiutò ogni invito ad andare a ballare con lei e Giovanni.
«Andiamo?» domandò Leonardo con voce dolce e un sorriso appena accennato sulle labbra; lei annuì, ancora immersa nei suoi pensieri per realizzare quello che stava succedendo.
«Pensi che chiamerà davvero Anita?» chiese con un filo di voce, mentre tornavano in strada e aspettavano che si creasse un varco nel fiume di gente che camminava nel senso opposto a quello in cui dovevano andare loro. Leonardo infilò le mani nelle tasche dei jeans e fece schioccare la lingua contro il palato, soppesando le cose da dire: certo che l'avrebbe chiamata, ma Agnese era davvero sicura di volerlo sapere?
«È ubriaco e ha parlato di lei tutta la sera. La chiamerà e parlerà con lei di lei», ridacchiò immaginandosi la miriade di figuracce che il suo amico avrebbe fatto quella notte. Anche Agnese trovò la situazione comica e cambiò discorso, guidata dal buon umore e dalla tranquillità che si impadroniva di lei quando c'era Leo nelle vicinanze.
«Ti va un gelato?» propose, indicando il locale illuminato e pullulante di turisti e non, ragazze seminude e uomini con più profumo di una commessa del centro commerciale. Nonostante la fila che usciva dalle porte di vetro e il brusio che si levava dai tavoli, Leonardo non seppe dire di no e le circondò le spalle con un braccio, per non perderla nella calca e nel flusso di passanti che non sembravano intenzionati a lasciarli passare. Agnese arrossì talmente tanto che sperò di non essere vista e lo seguì dall'altro lato del marciapiede, piacevolmente sorpresa e scossa da quell'iniziativa inaspettata ma decisamente gradita. Sorrise apertamente e si voltò verso di lui, osservandone il profilo, il naso dritto e leggermente appuntito, gli zigomi alti, le labbra carnose, le ciglia lunghe e la barba della lunghezza che piaceva a lei. Distolse lo sguardo per non rischiare di essere beccata e si schiarì la voce, per poi sussurrare un timido «Grazie» appena udibile perfino da lei stessa.

Così ripresero a camminare con due coni da tre gusti e il cuore un po' più pieno di spensieratezza e gioia, perché stavano bene l’uno con l’altra e non desideravano altro che passare un'altra ora insieme.
«Ti piace viaggiare?» chiese Agnese, leccando il gelato al cioccolato che cercava di scivolare lungo il cono. Leonardo scrollò le spalle e sorrise malinconico alla strada davanti a sé. 
«Non ho mai viaggiato tanto in realtà. Con i ragazzi non mi sono mai allontanato troppo da Roma e non ho soldi per andare via da solo. Quello che guadagno con i miei due lavori lo do ai miei per pagare l'università e le attività extra delle mie sorelle» spiegò. Agnese lo guardò senza preoccuparsi di sembrare sfacciata e, quando lui si voltò per capire il perché del suo silenzio, lei gli sorrise apertamente. 
«Sei davvero un ragazzo d'oro» mormorò, per poi arrossire vistosamente e tornare a dedicarsi al proprio gelato.
Stavano per avvicinarsi alla zona più frequentata del lungomare di Cesenatico e lì la folla si intensificava, così Leonardo prese la mano di Agnese per avere la certezza di non perderla. Lei - per l'ennesima volta - arrossì; aveva sempre pensato che in due mani strette si celasse un patto di intimità e fiducia, soprattutto la seconda. A quel punto non era difficile immaginare che Leonardo si fidasse di lei, non dopo tutte le confessioni e le parole che erano corse tra loro, ma lei? Lui era un tipo silenzioso e riservato - non ci voleva un genio per capirlo -, ma si era lasciato andare. Si era fidato. E Agnese si fidava? Era molto tempo che non regalava a nessuna nuova conoscenza che qualche sorriso e alcune timide parole. Con Leonardo però era diverso: la sua presenza le trasmetteva sicurezza; se doveva fidarsi di qualcuno, quello sarebbe stato lui. Quindi quella mano la strinse e si lasciò guidare tra la folla, pur con le ginocchia tremanti e un formicolio invadente all'interno dello stomaco.

Era stesa sul letto Anita e guardava con insistenza il soffitto. Di stanchezza non c'era traccia nei suoi occhi verdi nonostante l'ora e la serata intensa. Agnese se n'era andata da ormai un'ora, anche se del suo rassicurante messaggio di buonanotte in cui le comunicava di essere rientrata sana e salva ancora non c'era traccia. Quindi lo aspettava in silenzio, ripensando a ciò che era successo quel giorno. A partire dalla lunga e irritante discussione con Michele, per finire con l'infinita conversazione di quella sera con l'amica. Agnese aveva ascoltato in silenzio i suoi racconti su Sebastiano, poi aveva indugiato un po', indecisa su cosa rispondere, e infine aveva optato per la verità; le aveva risparmiato tutte le ipotesi catastrofiche su cui di certo aveva riflettuto, ma le aveva ripetuto per l'ennesima volta di andarci piano, di non perdere la testa, di non fare sciocchezze e tenere i piedi per terra.
Peccato che Anita la testa l'avesse già persa. La sentiva come un palloncino leggerissimo e fluttuava trascinandola tra le nuvole: com'era possibile opporre resistenza? Come resistere a quegli occhioni azzurri, ai capelli biondi costantemente spettinati dalle mani grandi, quelle labbra sottili, la voce profonda, quella risata…?
Una delle sue canzoni preferite prese a suonare all'improvviso, nella notte, dal comodino. Prima ancora di affrettarsi a rispondere per evitare di svegliare qualcuno - tipo suo fratello, perché della madre e del compagno poco le importava - una parte di lei sperò di sentir parlare proprio quel qualcuno da cui Agnese cercava di metterla in guardia. Poi, mentre cercava di afferrare il telefono nel buio, per un attimo si preoccupò che a chiamarla fosse proprio lei, magari in difficoltà.
«Pronto?» chiese sottovoce, senza preoccuparsi di nascondere l'apprensione.
E invece...
«Ciao sono ioooo, amooore miooo». L'altro qualcuno a cui aveva pensato, ma sulla cui chiamata non aveva sperato davvero, stava cantando a voce sommessa e strascicata, alternando parole a risatine incontrollate. Ciononostante non poté impedirsi di sentire le farfalle nello stomaco e arrossire a quell'appellativo.
«Ciao» balbettò dunque con un filo di voce; poi balzò in piedi, prese una felpa con mani tremanti e corse sul balcone, dove sperava di poter parlare in pace senza svegliare suo fratello.
«Pensavo a teee, quanto mi manchi tuu... serenata rap, serenata metropoplitana... no. Meproto...metoprolitana! Metrotolipana...» L'inconfondibile e chiassosa risata di Sebastiano esplose nella cornetta del telefono così forte che Anita dovette scostare l'apparecchio dall'orecchio, pur sorridendo intenerita. 
«Serenata metropolitana» suggerì, i denti stretti sul labbro inferiore come per impedirle di sorridere più di così.
Un gemito di pura frustrazione le fece aggrottare le sopracciglia; «Serenata mal riuscita» la corresse Sebastiano in tono lamentoso.
Anita ridacchiò; riusciva ad immaginarlo perfettamente: disteso supino sul letto con le mani dietro la testa e il telefono in vivavoce appoggiato sul petto, la labbra incurvate in un broncio da bambino.
«Puoi sempre rimediare» lo incoraggiò.
Era come se l'avesse vista arrivare, la risata che le giunse all'orecchio. Non era stato difficile consolarlo, in fondo. 
«Ciao» la saluto con voce impastata, poi, calcando la "c".
«Hai bevuto?» Il dubbio, capirete, era lecito.
Una risatina. «Nnnno».
«No?»
Un'altra risata. «Forse».
«Forse?» chiese conferma Anita in tono divertito. Di solito decisamente non le piacevano certe improvvisate da ubriachi, ma la telefonata di Sebastiano sembrava un'eccezione alla regola. Sebastiano sembrava l'eccezione a tutte le sue regole.
L'unica risposta che ottenne per un po' fu una lunga, lunghissima risata, che ad un certo punto contagiò anche lei, per poi affievolirsi piano piano fino a spegnersi in qualche lungo istante di silenzio e respiri affannati. 
«Ti ho baciato» mormorò poi Sebastiano; nella sua voce bassa risuonavano così tanta sorpresa e soddisfazione, quasi lo avesse realizzato solo in quel momento, che Anita non poté che arrossire violentemente, mentre un brivido di felicità ed eccitazione le attraversava il corpo.
«Sì, un sacco di volte» confermò in un sussurro.
«E ti è piaciuto?»
Anita sentì una dolce stretta allo stomaco, poi il cuore prese a battere talmente veloce che riusciva a sentirlo chiaramente. Sorrise ripensando alla sera precedente, alle labbra di Sebastiano che cercavano le sue, a tutte quelle volte che le aveva trovate e sembravano non volerle lasciare andare.
«Moltissimo» sussurrò, imbarazzata ma dannatamente felice.
Il ragazzo rispose con l'ennesima risata da ubriaco felice, in bilico tra la realtà e il mondo offuscato dall'alcol. 
«Quindi potrei riprovarci!» esclamò, non a chiedere conferma ma a preannunciare quello che sarebbe potuto succedere nei giorni a venire.
«A te è piaciuto?» mormorò Anita a bruciapelo, intenerita dalla sua stessa reazione da ragazzina innamorata. 
«E lo chiedi?»
L'ennesimo moto di ilarità colpì entrambi, l'imbarazzo sembrava non essere più di casa; c'erano solo loro due, le parole farfugliate, quelle gridate, quelle trattenute e quelle biascicate. Solo loro due e nessun altro.
Un’intensa nostalgia si impossessò del cuore di Anita, che cominciò a chiedersi se quella sarebbe diventata la loro quotidianità: sentirsi al telefono, ridere insieme, ammutolire, arrossire per frasi buttate lì senza riflettere. A distanza.
«A cosa pensi?», la voce arrochita di Sebastiano la strappò a quel tunnel di malinconia che la stava inghiottendo.
«Vorrei essere lì con te» confessò sincera, per poi cominciare a torturarsi il labbro inferiore con gli incisivi. Il silenzio del ragazzo la mise in allarme: forse aveva esagerato, non avrebbe dovuto dire una cosa così diretta e schietta. Sospirò piano e guardò la strada sotto di lei, ormai deserta.
«Non sai cosa darei per venirti a prendere e portarti qui» ribatté lui, cogliendola di sorpresa. Rimase a bocca aperta Anita, incredula e stupita. Se solo avesse potuto sgattaiolare fuori sarebbe già scappata per raggiungerlo, infilarsi sotto le coperte con lui e lasciarsi cullare dal calore e dalle mani di Sebastiano che le accarezzavano la pelle proprio come su quel lettino giù in spiaggia.
«Vuoi andare a dormire?» chiese Sebastiano, la voce sempre meno sporcata dall'alcol e il tono dolce di chi si è reso conto di aver telefonato nel pieno della notte.
«No, riesco a stare sveglia ancora un po'» rispose Anita, sistemando il cappuccio della felpa in modo da proteggere il collo dalla leggera brezza fresca.
Rimasero in silenzio per un po’, poi il ragazzo sbuffò e si lamentò a mezza voce sforzandosi di esprimere tutta la disperazione del caso. Quando la ragazza, leggermente preoccupata, gli chiese cosa stesse succedendo, udì un lungo e sconfortato sospiro. «Leo m'ha chiuso dentro». Seguì una breve pausa, poi Sebastiano si convinse a confessare quale fosse il vero problema, mettendo in mostra la sua solita innata raffinatezza: «e io devo pisciare».
La risata cristallina di Anita lo fece sorridere apertamente e gli riportò alla mente il viso della ragazza, gli occhi verdi e vivaci, i fini capelli biondi sempre spettinati, quelle labbra morbide e sottili che avrebbe voluto accarezzare con le sue.
«Ho voglia di baciarti, Ninì» piagnucolò, accasciandosi sul pavimento ai piedi del letto e scompigliandosi il ciuffo malmesso.
Anita ammutolì all'istante e si mordicchiò il labbro inferiore, vincendo contro la tentazione di uscire di casa e correre da lui.
«Anche io» mormorò, preda dell'imbarazzo ma tanto, tanto felice.
Stava correndo troppo, ne era consapevole, ma ormai non poteva più fermarsi. Al solo pensiero del ragazzo seguiva una serie di sospiri, sorrisi, sguardi sognanti e ricordi che le azzeravano definitivamente la concentrazione e la trascinavano per divagazioni e sogni da ragazzina innamorata.  

Passeggiare per le strade affollate non era mai piaciuto ad Agnese, ma doveva ammettere che con Leonardo accanto aveva tutto un alto sapore. Usciti dalla gelateria l'aveva presa per mano e si era incamminato nella direzione che lei gli aveva indicato e si erano immersi nel brusio della gente, in silenzio, con il cuore che non sembrava voler rallentare e il rossore non accennava a diminuire.
Per la testa di Agnese iniziavano a viaggiare certi pensieri che, se solo quella sera non fosse stata influenzata da tutto quel parlare entsiasta di baci, emozioni e rischi, avrebbe normalmente chiuso a chiave in qualche angolo remoto della sua mente. Eppure ora non riusciva a frenarli, non riusciva a smettere di pensare che, forse, il fatto di essere lì con Leonardo e che lui non la lasciasse fisicamente nemmeno per un attimo magari volesse dire qualcosa. Ad un certo punto, addiritura, si ritrovò a sperare che lui la baciasse, perché le sarebbe davvero piaciuto, salvo poi arrossire e cacciare quel pensiero così sciocco.
Non sarebbe successo, ora né mai, e Agnese non avrebbe decisamente dovuto fantasticarci su. Almeno lei doveva rimanere coi piedi per terra, senza farsi coinvolgere troppo profondamente, da nessuno. Prevedeva che gestire la relazione a distanza tra Anita e Sebastiano sarebbe già stato abbastanza complicato per tutti, senza che persino lei si prendesse una cotta per un ragazzo così... così. Non c'era dubbio che lui le piacesse, ma da qui a prendersi una sbandata correva un po' di strada, no? Non voleva coprire quella distanza, per quanto una parte di lei - minuscola e dotata di decisamente poca autorità - non volesse che correre a scoprire cosa l'aspettava alla meta: e se lui avesse ricambiato?
Sarebbe stato un bel problema. E paradossalmente sembrava non esserci definizione migliore per la situazione di entrambe le cesenaticensi: un bel problema.
Agnese sospirò in silenzio e si azzardò a lanciargli un'occhiata, sorprendendolo poi a guardarla, con suo sommo stupore e imbarazzo. Entrambi sussultarono e arrossirono.
Leonardo le sorrise prima di distogliere lo sguardo e tornare a fissare la strada che stavano percorrendo.
Quando Agnese sentì lo stomaco riempirsi di farfalle, pensò che avrebbe dovuto procurarsi un buon insetticida. Poi sorrise, cercando di convincersi che l'unica causa fosse la sua stessa battuta.
«Quindi quei due si sono baciati» buttò lì Leonardo, una volta deciso di interrompere il silenzio. Non che la tranquillità lo infastidisse, ma era sinceramente curioso di sapere che cosa passasse per la testa di Agnese.
La ragazza arrossì, turbata da quell'argomento dopo i pensieri appena fatti, e annuì. «Non ho sentito parlare d'altro tutta la sera» commentò in tono divertito. «Ormai li abbiamo persi».
Il ragazzo soffiò una risatina, poi scrollò leggermente le spalle. «È un male?»
Agnese tacque qualche istante, poi sospirò. «Non lo so. Immagino di no» gli concesse, «ma sarà sicuramente... complicato, quando ripartirete».
E come avrebbe consolato Ninì se tutto ciò a cui riusciva a pensare fosse stata l'assenza di Leonardo? E di Elia e Tommaso. Nessuna distinzione. Nessun- ah, e chi voleva prendere in giro? Le sarebbe mancato anche Elia, certo, ma con Leonardo c'era qualcosa di diverso e negarlo sarebbe stato sciocco. Eppure si ostinava a farlo. Sciocca, sciocca Agnese!
«Manca ancora più di una settimana» mormorò lui in risposta, mentre svoltavano in una strada più piccola e tranquilla. Oltrepassarono un gruppo di ragazzi chiassosi e molesti, che agitando bottiglie mezze vuote gridavano frasi senza senso; Agnese affrettò il passo e Leonardo le lasciò la mano per circondarle le spalle con un braccio, con fare protettivo.
Agnese arrossì di più, mentre il suo battito accelerava sia per via di quel gesto che del conto alla rovescia che era partito nella sua mente: più di una settimana significava comunque solo pochi giorni. Si incupì.
«Ma conosco abbastanza bene Castelli da sapere che non si lascerà sfuggire Ninì. Dubito che non sentirete più parlare di noi», il ragazzo sorrise.
Oh, incoraggiante, pensò Agnese. «Una relazione a distanza è comunque una relazione a distanza» replicò, abbassando lo sguardo. «Non esattamente ciò che si dice semplice».
«Se ne vale la pena può funzionare».
«Potrebbe».
Leonardo sospirò, chiedendosi se lei fosse sempre così ottimista, ma continuò senza commentare: «Castelli ha già perso la testa da un po'. Per lui ne vale la pena di sicuro».
«Be', anche lei, ma... praticamente non si conoscono. Come può valerne la pena? Come fanno ad esserne sicuri?»
Calò il silenzio e piano piano rallentarono il passo fino a fermarsi ai piedi di un palazzo dall'aspetto familiare per entrambi. Leonardo lasciò scivolare il braccio via dalle sua spalle, arretrando poi di qualche passo, mentre Agnese rabbridiva a causa di una sensazione di freddo che aveva poco a che vedere con la temperatura. «Sono... sono arrivata» mormorò poi, a testa e occhi bassi, nonostante entrambi lo sapessero già.
Il ragazzo annuì e abbozzò un sorriso, poi la guardò. «Non sempre hai una certezza, spesso devi solo rischiare e buttarti, sperando che vada bene» rispose, con un tono serio che le mise i brividi.
Agnese annuì e mosse lentamente un altro passo indietro, senza avere il coraggio di alzare lo sguardo. Sentiva una nuova tensione tra loro e non riusciva a non chiedersi di cosa - di chi - avessero appena discusso. Anche se forse era una domanda molto sciocca - di chi altri avrebbero dovuto parlare, se non dell'allegra coppietta?
«Be', grazie della compagnia. Sono stata bene». Teneva già le chiavi di casa tra le mani, quella giusta era già pronta per aprire il portone.
Leonardo soffiò un sorriso, disperdendo così la tensione di poco prima. «Sì, anche io» disse solo, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni corti.
Se ne stava lì, immobile e un po' ingobbito; sembrava in attesa di qualcosa e non appena Agnese formulò questo pensiero girò la chiave nella toppa e si aprì una via di fuga. «Be', buonanotte» farfugliò, per poi sparire all'interno prima che lui potesse rispondere.
Agnese lo sentì mormorare il suo saluto mentre ancora il rimbombo della chiusura del portone riecheggiava nel corridoio vuoto.
Si sentì subito in colpa, oltre che molto stupida. Cosa le era preso? Perché gli aveva chiuso la porta in faccia? Dopo che le aveva tenuto compagnia e offerto il gelato, nonché confessato un sacco di cose personali? Dopo quello che le aveva appena detto, poi, aveva avuto una reazione davvero sciocca.
A volte bisognava buttarsi e basta, aveva detto.
Prese un respiro profondo e prima di potersi rendere conto di aver preso una decisione, spalancò di nuovo il portone, incrociando così lo sguardo sorpreso di Leonardo.
Guardò altrove, mentre copriva la distanza che li separava - l'asfalto era particolarmente interessante quella notte. «Scusami, io...» Si decise ad alzare lo sguardo solo quando a separarli fu niente più un passo - un passo di Leonardo, ma due di quelli di Agnese.
Rimasero immobili ad osservarsi qualche istante, l'uno confuso e l'altra terrorizzata - perché più di così, per quanto ci provasse, non riusciva proprio a rischiare. Poi Leonardo capì e sorrise, andandole incontro. Si avvicinò lentamente e, presa la sua mano nella propria, si chinò su di lei.
Mai nella sua vita Agnese si era sentita così felice, elettrizzata e frastornata per un bacio su una guancia.
«Buonanotte».
E sotto lo sguardo attento di Leonardo sgattaiolò di nuovo dentro il portone del palazzo, libera di poter sorridere apertamente senza essere notata.


Bloop's corner:
Ciao lettrici e lettori! Sono sempre Mari! Scusatemi per l'immenso ed imperdonabile ritardo con cui aggiorno! Non ho mai tempo e purtroppo nemmeno Mich...
Però eccoci con un nuovo capitolo pieno di feelings e dolcezza! Cosa ne pensate? State bevendo una tazza di té caldo mentre leggete delle fughe amorose di Sebastiano e Anita?
Fateci sapere cosa ne pensate, mi raccomando!
Spero di riuscire ad aggiornare prima, nel caso vi ringrazio per la pazienza! 
A presto
AP


 

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Capitolo 13
*** Giorno decimo ***


- Come ti sconvolgo la vita in tre settimane -

 

12. Giorno decimo

 
 

Anita stava sistemando i tavoli sotto il pergolato, puliva e riordinava le sedie e i posacenere, dopo il passaggio dei bagnanti che prima di scendere all'ombrellone si erano fermati per la colazione. Il sole scaldava già l'aria, sebbene fossero solo le dieci, il cielo privo di nuvole sottolineava il colore acceso dei muri del Bagno Girasole.
Accostò l'ultima sedia al tavolo e sospirò, scrutando l'orizzonte che si intravedeva tra le file di lettini. Quanto le sarebbe piaciuto inforcare le cuffiette e scendere giù a riva per farsi una corsa, magari in compagnia di Sebastiano. Irrimediabilmente arrossì e rientrò al bar, per caricare la lavapiatti e preparare i panini per l'ora di pranzo.
«Buongiorno, biondina!»
Una voce che Anita proprio non si aspettava di sentire la strappò alle proprie occupazioni; alzato lo sguardo scorse l'inconfondibile faccia da schiaffi di Davide, mentre si appollaiava su uno degli sgabelli per poi portarsi il ciuffo castano all'indietro. «Come va la vita?»
Anita deglutì silenziosamente, soppesando le parole per evitare di mandarlo al diavolo o di uscire dal bar senza dire niente.
«Davide» mormorò con un misto di diffidenza, severità e acidità. Tornò ad asciugare le tazze e a riporle ordinatamente sul ripiano. Lui rise sommessamente, divertito dalla diffidenza che immancabilmente otteneva da Anita da quando non stava più con Agnese.
«Mi fai un caffè shakerato?» domandò con un sorriso d'ostentata gentilezza.
La ragazza annuì e gli voltò le spalle per caricare la macchinetta e preparare l'ordinazione. Era tentata di chiedergli apertamente cosa volesse da lei, ma si trattenne e non disse niente, a costo di sembrare maleducata.
La risposta, comunque non tardò ad arrivare. «Chi è il nuovo amichetto di Toby? Li ho visti molto... affiatati ieri sera» buttò lì, quasi per caso, mentre giocherellava con il portatovaglioli, facendolo saltare da una mano all'altra. Lei si voltò lentamente, tenendo lo shaker con entrambe le mani, e lo guardò con la testa leggermente inclinata da una parte.
«Ieri sera Agne era da me, non so niente» mormorò, intimamente convinta che la sua amica le dovesse dei racconti dettagliati di quello che era successo lungo il breve tragitto tra le loro case.
Davide rise sguaiatamente e batté la mano sul bancone. «Qualcuno ti tiene un segreto!» la prese in giro, con il suo solito sorriso strafottente stampato in faccia; fu in quel momento che Anita effettivamente si ricordò che Davide significava solo una cosa: guai in vista. Non rispose la ragazza, decisa a non dargli altro materiale su cui ricamare i suoi stupidi giochetti. Magari con le parole poteva anche incantare Agnese - una volta, almeno: sperava che la sua influenza fosse ormai svanita -, ma di certo con lei non attaccava. 
A Davide non piaceva essere ignorato, motivo per cui non tardò ad aggiungere: «E lei c'è oggi?»
«No» replicò d'istinto, senza nemmeno doverci pensare. Potendo tenerle lontano quell'idiota, si sarebbe impegnata per riuscirci. «Magari è con lui adesso» infierì un istante dopo, accompagnando quelle parole con uno sguardo di sfida. Lo sapeva, in fondo, che l'idea di Agnese con un altro ragazzo lo faceva impazzire; non tanto perché gli importasse di lei, ma perché non riusciva ad accettare che qualcuno potesse ottenere ciò che a lui era stato negato. Non era niente più di un ragazzino viziato e prepotente Davide.
Ci fu un momento durante il quale i due non fecero che fissarsi con ostilità, finché poi Davide non le rise in faccia per poi allontanarsi verso le scale che portavano sul tetto, senza consumare o pagare la sua ordinazione né prestare attenzione alle sue parole. E Anita lo avrebbe volentieri seguito, per tenere sotto controllo la situazione, se solo quell'insolito momento di quiete non fosse appena sparito, lasciando il posto ad un gruppo di nuovi clienti e alla solita nevrosi di Michele.
In un primo momento sperò che Agnese fosse in compagnia di Leonardo, poi però ci pensò su e convenne che non fosse davvero il caso di affrontare Davide con l'altro ragazzo presente, perché non si sarebbe sentita a suo agio. Sospirò e rovesciò il caffè nel lavandino, poi sfoderò un sorriso convincente ma decisamente finto e accolse la clientela.
Michele le si affiancò e si mise a covino per rifornire il cassetto dei succhi di frutta, ma poi guardò Anita dal basso e aspettò che lei si accorgesse di lui. Non appena ebbe la sua attenzione assunse un'espressione dura in viso.
«Almeno per oggi risparmiami i casini, per favore» la rimproverò.
Lei si sforzò di non alzare gli occhi al cielo a quella richiesta e per non rispondere con scortesia rimase in silenzio. Fosse stato per lei avrebbe evitato un sacco di problemi, purtroppo erano quelli a seguirla come la sua ombra. Si chiese come stesse andando sul terrazzino, ma non riuscì a darsi alcuna risposta, ché dovette affrettarsi a tornare al lavoro.

Agnese era seduta al solito tavolino, gli appunti sparsi davanti a lei e la mente altrove. Pensava alla sera precedente, alla mano calda di Leonardo, alla sua risata serena, al sorriso dolce ed irresistibile; pensava al suo cuore che martellava al solo pensiero dell'innocuo bacio che lui le aveva dato sulla guancia prima di darle la buonanotte. Si mordicchiò il labbro inferiore e non sentì i passi alle sue spalle, fino a quando quel rumore non si trasformò in una voce.
«Pensi a lui, Toby?» 
Agnese sussultò e lasciò cadere la matita, voltandosi a guardare chi le avesse rivolto quella domanda, sebbene avrebbe riconosciuto quella voce anche tra la folla ad un concerto heavy metal. Il suo cervello aveva reagito come un contatore che scatta al sovraccarico di energia: si era spento, aveva cancellato ogni singolo pensiero che la faceva arrossire. Ora c'era solo confusione, rabbia, stizza.
«Cosa vuoi?» sibilò, lottando contro l'impulso di alzarsi e fronteggiarlo, più che altro perché era consapevole che avrebbe fatto la figura della stupida. 
«Chi era il tipo con cui eri?» domandò lui, avvicinandosi per prendere posto sulla sedia che il giorno prima aveva occupato Leonardo. Le sistemò i capelli dietro l'orecchio e le accarezzò la guancia con l'indice, per poi arrivare alle labbra.
«Mi sono sempre piaciuti i tuoi baci» la schernì. «Peccato tu non abbia mai voluto fare un passo oltre» continuò, fingendosi dispiaciuto e tirando leggermente in fuori il labbro inferiore, come un bambino a cui negano una caramella.
Agnese trattenne il fiato e si allontanò di scatto da lui, come scottata da una fiamma sottile e appena percettibile. «Tornatene da dove sei venuto» riuscì a dire in un sibilo incerto, tremolante. 
«Prima devi rispondere alle mie domande». 
Era anche per questo che Anita non era mai andata d'accordo con lui: era arrogante, pieno di sé e trattava Agnese come se fosse la sua schiava.
«Chi è il tuo nuovo amico?» chiese di nuovo, prendendo il mento della ragazza e costringendola a guardarlo.
«Non è affare tuo».
Davide rise sguaiatamente e avvicinò il viso a quello della ragazza, che arrossì e si lasciò incantare dagli occhi del ragazzo. Era sempre andata così con lui: gli bastava davvero poco per farla cadere ai suoi piedi.
«State insieme?» la interrogò di nuovo, incalzante e schietto.
Avrebbe voluto rispondere di sì, Agnese, ma non trovò il coraggio e scrollò impercettibilmente il capo, per quanto le fosse concesso dalla mano di lui che ancora le teneva il mento.
Il ghigno di Davide si fece sempre più vicino, fino al punto che il suo respiro si infrangeva sulla pelle leggermente abbronzata della ragazza.
«Sono l'unico che abbia mai avuto il coraggio di baciarti, eh?» la prese in giro, per poi premere con forza le sue labbra su quelle di lei. Agnese si aspettava qualsiasi cosa da Davide, ma non che la baciasse. Non così, non dopo così tanto tempo e soprattutto non dopo che le aveva espressamente detto che non gli importava più niente di lei e della sua… purezza. Strinse le mani a pugno così tanto forte che le unghie incidevano i palmi, fino a lasciare dei segni rossi e scavati, poi finalmente trovò la forza di spingerlo via e approfittò del momento di confusione per alzarsi e correre al bar, dove sapeva che avrebbe trovato Anita a proteggerla.
Un insieme di emozioni negative batteva sordo nel suo petto, mentre camminava spedita. C'era rabbia nei confronti di Davide a pulsarle nelle tempie, poi disgusto per quel gesto affettuoso a cui aveva perso il diritto tanto tempo prima, l'umiliazione subita si insinuava fredda fin dentro le sue ossa. E c'era un'acuta fitta di frustrazione a stringerle lo stomaco con la consapevolezza di non essere in grado di fronteggiarlo, di cavarsela da sola, finendo sempre per correre a nascondersi dietro a qualcun altro. Ciò, comunque, non le impedì di raggiungere il bar e arrampicarsi su uno sgabello tra i clienti che si ammassavano davanti al bancone. Ad Anita bastò intercettare il suo sguardo per leggere il tormento da cui era afflitta e non ebbe bisogno di domandarsi di chi fosse la colpa.
Michele la precedette, fiondandosi verso di lei prima che Anita potesse farlo. «Buongiorno, Agne. Cosa ti porto?» Non che non avesse notato che qualcosa non andava, ma in quel momento non poteva permettere che il suo unico aiuto si allontanasse dal bar. 
«Un bicchiere di candeggina» mormorò lei, facendolo ridere.
«Il solito cappuccino in arrivo! Ninì, pensaci tu» le accordò, salvo poi ammonirla a non muoversi di lì con uno sguardo severo.
La ragazza ricambiò l'occhiataccia, per poi addolcirsi per affrontare Agnese.
«Vado su a picchiarlo?» domandò, facendo l'occhiolino alla sua amica, che stiracchiò un sorriso e scrollò il capo.
«So io cosa ti serve!» esclamò allora, mettendosi già ad armeggiare con bicchieri e bottiglie.
«Non sarà un altro dei tuoi drink, vero? Senza offesa, ma non sono proprio in vena di mandare giù uno di quei miscugli infernali» sbuffò, per poi nascondere il viso tra le braccia incrociate sul balcone. Anita mandò giù la piccola delusione e sospirò silenziosamente.
«Capito...solito cappuccio?» provò ancora, ottenendo solo un muggito non ben identificato come risposta.
«Te lo preparo» mormorò, rimproverandosi di non aver impedito a Davide di salire sul terrazzo. Mentre era voltata verso la macchinetta del caffè entrarono al bar Leonardo e Sebastiano, seguiti da un'Elisabetta alquanto annoiata.
«Buongiorno» salutò Leonardo, avvicinandosi al bancone e osservando Agnese, ancora con il viso nascosto.
Anita sistemò una tazza sotto al bocchettone del caffè e si voltò a preparare il piattino su cui appoggiarla.
«Buongiorno» mormorò distrattamente. «Cosa vi preparo?» continuò, apatica.
Sebastiano rabbrividì e affiancò Leonardo, che nel frattempo si era accovacciato vicino ad Agnese, in modo da sbirciare sotto le braccia.
«Ninì, tutto bene?» chiese il biondo, piegando la testa di lato ed osservandola con intensità. Lei annuì e si sforzò di sorridere. Si sentiva inutile, perché non era stata capace di impedire a Davide di importunare la sia amica e, cosa ancora più grave, non sapeva come risollevarle il morale.
Sebastiano, nonostante forse non si potesse definire la persona più sveglia del mondo, capì al volo che qualcosa non andava. Ma cosa? Sperava di non essere lui la causa del malumore di Anita. A dirla tutta si era aspettato di vederla accoglierlo col sorriso sulle labbra quella mattina.
«Quando... stacchi?» domandò, nella speranza di poterne parlare con lei il prima possibile. Era sempre stato il tipo di ragazzo che andava in panico per un nonnulla e il pensare troppo senza avere risposte era proprio ciò che lo spingeva verso quella direzione. Deglutì rumorosamente, in attesa di una risposta.
Anita guardò Michele nella speranza che questo le desse il permesso di prendersi una breve pausa dal lavoro. Il ragazzo sbuffò, ma non seppe dire di no di fronte all'evidenza che qualcosa quella mattina aveva turbato la serenità del Girasole.
«Ti concedo dieci minuti» bofonchiò, agitando la mano come a cacciarla via dal locale. Anita lo ringraziò e si slacciò il grembiule, abbandonandolo sotto il bancone, dal quale uscì alla svelta.
Sebastiano l'accolse con un sorriso tirato e un leggero tremolio alle mani. «Ciao» la salutò in un sussurro e la seguì fuori dal bar fino ad un tavolino nell'angolo del portico. 
«Stamattina è passato Davide ed è andato a parlare con l'Agne e quello è il risultato», indicò con la testa il bar, sospirando. Il ragazzo non riuscì a non trattenere un sorriso, ripensando alla sua preoccupazione di aver fatto qualcosa di sbagliato. Lanciò un'occhiata nella direzione a cui aveva accennato Anita e ridacchiò, vedendo Agnese e Leonardo ridere tra loro. «Be', non mi sembra andata tanto male» osservò, allungando una mano a sfiorare la sua. 
La ragazza arrossì e gli sorrise timidamente, per poi mordersi il labbro inferiore. «Non so esattamente cosa sia successo» mormorò, «Ma sicuramente nulla di buono». 
Lui intrecciò le loro dita, deciso a risollevarle il morale. «E mo ce pensa Leo a lei» la rassicurò. «Lui è il migliore in queste cose».
Anita accennò una risatina e si decise finalmente a guardarlo negli occhi; nel momento stesso in cui lo fece si sentì subito meglio, rincuorata da quell'azzurro limpido e sereno. Tutto d'un tratto non si sentiva più così in colpa per l'accaduto e l'unica a cosa a cui riusciva a pensare divennero le labbra di Sebastiano, che aveva imparato a conoscere bene un paio di notti prima. E in quel momento, per sfuggire alla realtà e rituffarsi in quella piacevole sensazione, avrebbe volentieri annullato le distanze tra loro; fu la consapevolezza delle persone attorno a frenarla, oltre che un briciolo di insicurezza. Si limitò a sorridere, quindi, e a stringere la mano nella sua, sperando che fosse lui a fare la prima mossa.
Sebastiano, dal canto proprio, si era letteralmente incantato a guardarla, studiando ogni dettaglio del suo viso, ogni linea e ogni piccola particolarità. Si riscosse solo quando lei inclinò la testa da un lato e allora scoppiarono a ridere insieme, ogni paura svanita di nuovo nel nulla.

«Insomma... tutto a posto?» 
Agnese annuì lentamente, ancora rossa in viso per l'imbarazzo di essere stata sorpresa in quelle condizioni da Leonardo. Le era bastato aprire gli occhi e vederlo accovacciato sul pavimento a guardarla dal basso per vincere lo sconforto e ridere piano per la sorpresa. Ora che si era un po' ripresa, col cappuccino davanti e quel ragazzo seduto accanto, non si sentiva più così piccola e smarrita. Era sempre offesa e arrabbiata con Davide per aver osato tanto e aver giocato con lei ancora una volta, ma non più succube dell'umiliazione. 
«E...» azzardò Leonardo, mescolando lo zucchero all'interno della tazzina del suo caffè; «Posso sapere cos'è successo?»
C'era un che di timido in quella richiesta; quel "posso" non era pura retorica, era una sincera richiesta di permesso, sembrava le stesse chiedendo l'autorizzazione a recuperare la confidenza della sera precedente. Niente che Agnese fosse in grado di negargli. 
Lei annuì di nuovo debolmente e poi farfugliò la sua risposta. «Davide ci ha visti ieri sera e... deve essersi fatto un'idea sbagliata. Mi... mi ha baciata» sussurrò, sentendo la vergogna per l'accaduto premerle di nuovo addosso.
Leonardo sussultò vistosamente e strinse forte il manico della tazzina. «Con che diritto l'ha fatto?» disse con voce bassa e vibrante per la rabbia trattenuta.
Agnese si voltò verso di lui, colpita da quella reazione strana e inaspettata, senza pensarci gli appoggiò una mano sul braccio e cercò gli occhi del ragazzo, che fissava la macchinetta del caffè di fronte a lui. «Non ha significato niente» si sentì in dovere di di confermare, ma Leonardo scrollò la testa e soffiò un sorriso amaro.
«Non è per questo, immagino che per te non abbia significato niente. Non ha nessun diritto di immischiarsi e rovinare tutto», la guardò dritto negli occhi e lei vacillò. In un attimo tutto sparì e lei dimenticò quello che era successo, compreso il bacio di Davide. Lì, seduto al bancone, c'era solo Leonardo e sentiva un'irrefrenabile voglia di abbracciarlo. Senza pensarci troppo e lasciando da parte la timidezza balzò giù dallo sgabello e lo abbracciò delicatamente, senza essere troppo invadente e mantenendo una certa distanza, annullata poi da Leonardo, che le fasciò la vita e la strinse forte a sé. 
Era del tutto naturale e meraviglioso, ma anche tremendamente incongruente ed improvvisato. Nessuno dei due sapeva come sarebbe continuata quella vicenda né a cosa quell'abbraccio avrebbe portato, ma entrambi sapevano che tra quelle braccia sentivano il cuore accelerare e la testa leggera.

Presto Anita rientrò nel locale ed Agnese si allontanò velocemente da Leonardo, entrambi rossi in volto.
«Ti sei ripresa?» chiese la biondina, allacciandosi il grembiulino nero in vita. La sua amica annuì e si affrettò a sorseggiare il suo cappuccino ormai freddo, sotto lo sguardo ammiccante di Anita.
Sebastiano si fermò sulla porta e fischiò, attirando l'attenzione di tutti i presenti. «Annamo?» disse in direzione di Leonardo, accennando alla spiaggia con la testa. Lui impiegò qualche istante prima di decidersi e allontanarsi. «Ci vediamo più tardi?» chiese, muovendo qualche passo incerto. 
Agnese arrossì ancora e annuì senza il coraggio di guardarlo dritto negli occhi, mentre glielo assicurava. Se pensava alla cotta che si stava prendendo per lui, le veniva voglia di prendersi a schiaffi. Sapeva benissimo che non era il caso di farsi coinvolgere, ma Leonardo sembrava così gentile e interessato a ciò che lei aveva dire come Davide non era mai stato; continuava a dimostrarsi pronto a proteggerla, schierandosi in sua difesa o consigliandole come comportarsi.
Lo guardò allontanarsi finché lui non fu troppo lontano e lei non si rese conto che se si fosse voltato la faccenda sarebbe risultata imbarazzante e difficile da spiegare. A quel punto non le rimaneva che affrontare lo sguardo consapevole di Anita e raccontarle tutto ciò che voleva sapere, completamente libera dall'influsso negativo di Davide.

Anita e Agnese erano sedute sul muretto che recintava una delle aiuole del Bagno Girasole e stavano finendo le loro granite ingannando con le chiacchiere la tensione che annodava lo stomaco di entrambe. Uno chiassoso vociare attirò l'attenzione di Agnese, più suscettibile del solito, che appoggiò il bicchiere sul muretto e si sistemò la coda ormai sfatta, sotto lo sguardo attento e divertito di Anita. La complicità tra di loro era aumentata nel momento in cui Leonardo era salito sul palcoscenico e si era preso un posto nella schiera dei protagonisti. 
«Ciao ragazze» salutò un allegro Elia, che si piazzò davanti a loro con un sorriso a trentadue denti. Agnese lottò con tutta se stessa per non guardare subito in direzione di Leo, così si concentrò sulla criniera ribelle del ragazzo che aveva davanti. Si vedevano le ore passate al sole, la salsedine e la sabbia che caratterizzavano le giornate d'agosto per i turisti. Lei proprio non capiva cosa ci provassero di tanto magico nel ruzzolarsi in un campo da tennis con un sole che avrebbe potuto uccidere anche le lucertole.
Anita salutò in fretta il ragazzo e si avvicinò a Sebastiano, che le fasciò i fianchi con un braccio e le sorrise apertamente.
«Ciao» mormorò. La ragazza arrossì leggermente e lo salutò con piccolo bacio sulla guancia. 
«Almeno evitate di fare i piccioncini davanti a tutti» sbottò Elisabetta, superando il gruppo di amici e avviandosi verso la strada, sotto lo sguardo truce di Agnese, che forse -e solo lontanamente forse- stava cominciando a farsi prendere dal romanticismo della situazione e non pensava più che Anita fosse una stupida. In fondo la capiva, era tutto così nuovo e apparentemente perfetto, se non si teneva conto del fatto che in una manciata di giorni Cesenatico avrebbe perso due turisti che le due amiche non avrebbero dimenticato facilmente.
Tommaso sbuffò un sorriso e accennò alla sorella, «Betta non risparmia frecciatine a nessuno», ridacchiò e diede una pacca sulla spalla ad Elia, trascinandolo lontano dalle due coppie. Leonardo gli aveva parlato di come si era sentito con Agnese, la sera prima e la mattina stessa, ed era convinto che prima o poi la pera sarebbe cascata anche tra di loro, per questo aveva in programma di favorire i suoi due amici.
Sebastiano approfittò della privacy per tentare di conquistare la compagnia di Anita; «Hai da fare stasera?» le sussurrò all'orecchio, facendo poi l'occhiolino a Leonardo, quando lo sorprese a guardarlo con un sorriso sornione.
La ragazza arrossì e si mordicchiò il labbro inferiore.
«No, sono libera» mormorò «Perché?»
Era quella la risposta in cui lui sperava. «Ti va di uscire?» propose, sorridendole raggiante, a pochi centimetri dal suo viso, mentre combatteva con la voglia di baciarla davanti a tutti. Il sorriso di Anita si allargò a tal punto che le labbra erano ridotte a due sottili ombre rosa.
«Certo» accettò, lasciandogli un piccolo bacio all'angolo della bocca.
Fu il turno di Sebastiano per arrossire, poi scoppiò in una gioiosa risata e le stampò un bacio a fior di labbra. «Daje!» esclamò, un attimo prima di prenderle la mano e voltarsi verso il migliore amico. «Ci si vede, Leo!»
Anita fece appena in tempo ad accennare un saluto in direzione di Agnese prima di essere trascinata via da Sebastiano.
Leonardo rise e agitò una mano a mo' di saluto, scrollando il capo con fare divertito. Non si aspettava niente di meno da quella testa calda di Castelli; la pazienza non era ma stata il suo forte, dopo tutto. Rivolse un'occhiata ad Agnese, che divenne ancora più rossa di quanto non fosse diventata vedendo i due piccioncini scambiarsi effusioni.
«Ehm, ciao» mormorò lei, sentendosi improvvisamente smarrita: la sua migliore amica l'aveva appena piantata sul posto con un bicchiere di granita all'arancia mezza vuota e un ragazzo che... be', le piaceva. Avrebbe dovuto odiarla o adorarla?
«Ti va di prenderci qualcosa da bere?» propose Leonardo, un po' per rompere il ghiaccio, un po' per non sentirsi da meno, ma soprattutto per trascorrere con lei un altro po' di tempo. Cominciava ad affezionarsi a lei e non riusciva a smettere di pensare ai momenti di compagnia che si erano presentati in quella bizzarra vacanza.
Agnese rimase in silenzio, cercando un buon motivo per rifiutare quell'offerta, ma prima che il suo cervello riuscisse a trovarle una, la sua bocca aveva già parlato: «Sì, perché no». Si sarebbe congratulata con se stessa per la bella mossa da ragazza sicura di sé (evento più unico che raro), se solo la sua voce non fosse suonata così flebile. Abbozzò un sorriso imbarazzato, prima di alzarsi e incamminarsi con lui, dimenticando il bicchiere sul muretto.
Leo si sentiva felice, spensierato e a proprio agio con Agnese, riusciva a parlarci bene e ad essere sicuro di sé quel tanto che bastava perché lei si fidasse. La seguì fino ad uno stabilimento poco lontano dal Bagno Girasole e presero posto sul grande terrazzo lussuoso. Era un bagno completamente diverso dall'altro, era tutto più ricercato e avevano tutti l'aria di essere gente con i soldi. Lui non riuscì a non sentirsi un po' a disagio, ma gli bastò guardare verso l'orizzonte e vedere il panorama per mettersi il cuore in pace.
«Io e Anita veniamo spesso qui a prendere una Coca con ghiaccio e limone e chiacchierare» spiegò Agnese con un filo di voce, come se stesse entrando in punta di piedi nei pensieri del ragazzo.
Leonardo spostò l'attenzione su di lei e la vide leggermente rossa sulle guance e questo lo fece sorridere più di quanto già non stesse facendo. Agnese si stava aprendo con lui ed era evidente che cominciasse a fidarsi. Sperava che non fosse altrettanto chiaro il fatto che a lui piacesse tanto e sempre di più, soprattutto perché sapeva di non essere un campione nelle relazioni con il gentil sesso e non mancavano le occasioni che glielo ricordassero. Tommaso lo sfotteva ogni due per tre e lui non faceva che sentirsi uno schifo, nascondendolo dietro ad un finto sorriso divertito. 
«È davvero un bel posto» disse. Stava per aggiungere altro, ma la cameriera si avvicinò al loro tavolo e porse loro due menù, riservando particolare attenzione a Leonardo, che non ci fece caso e cominciò a consultare la lista degli aperitivi offerti dal locale.
«Tu cosa prendi?», guardò Agnese, che aveva un cipiglio strano, mentre fissava la tavoletta di legno su cui era fissato il foglio del menù. 
«Agne?» cercò di attirare la sua attenzione, appoggiò una mano sul suo braccio e piegò la testa di lato. Agnese sobbalzò e lo guardò interrogativa.
«Come?» farfugliò, rendendosi conto di essersi distratta e persa nei propri pensieri. Come un avvoltoio -fin troppo bello e spigliato, secondo Agnese- la cameriera tornò al loro tavolino e sorrise a Leonardo, che si era voltato appena a guardarla. 
«Cosa vi porto?» domandò cortesemente, senza togliere gli occhi di dosso al ragazzo. 
«Due Cola con ghiaccio e limone».
Agnese alzò lo sguardo dal menù e arrossì leggermente.
Leonardo stiracchiò un sorriso, sperando che lei non prendesse la sua iniziativa come sfacciataggine, specie perché forse poteva averla offesa il fatto che lui avesse in un certo senso rubato il posto di Anita. La cameriera si allontanò ancheggiando sensualmente, attirando l'attenzione di un altro paio di clienti, ma non di quello che voleva lei.
«Quindi, ehm, cosa avete organizzato per domani?»
L'indomani in questione altro non era che, finalmente, Ferragosto. Era pieno di gente il spiaggia che da giorni non discuteva altro che il da farsi in quella data, l'eccitazione dei turisti in Riviera era quasi palpabile e così quella dei gestori di locali, i quali non potevano non sperare in un bel buon guadagno dai festeggiamenti. 
Leonardo ci pensò su solo un istante, prima di stringersi nelle spalle. «Anguria e barbeque? Qualcuno vorrà andare in discoteca domani sera, sicuramente». Forse loro cinque erano gli unici a non aver davvero pianificato qualcosa. «E gavettoni, ovvio» aggiunse poi con un sorrisetto divertito. 
Agnese sghignazzò, scuotendo il capo. «Ah, grazie al cielo quest'anno mi salvo!» commentò; «Mamma vuole a tutti i costi andare dai nonni nelle Marche, partiamo domani mattina presto» aggiunse, non senza un pizzico di rammarico. Le sarebbe piaciuto passare quella festa, una volta tanto, con i suoi amici, ma a sua madre era impossibile dire di no e dunque...
Leonardo storse le labbra in quello che doveva essere un sorriso, ma che uscì come una smorfia dispiaciuta e quasi infastidita. 
«Peccato, ti saresti potuta unire a noi» confessò piano, prendendo a guardare l'orizzonte. Agnese si mordicchiò leggermente il labbro inferiore, cercando un modo per cambiare discorso senza sembrare menefreghista. L'occasione gliela offrì lo stesso Leonardo, che fece schioccare la lingua sul palato.
«Pensi che Anita sia libera domani?»
Purtroppo la risposta non sarebbe stata molto più confortante. «Di solito lavora» disse infatti; era sempre stata una magra consolazione in quelle occasioni quella di sapere che la sua amica era altrettando occupata durante i suoi viaggi verso Pesaro.
«Sebastiano andrà in paranoia», si afflosciò sul tavolo e guardò la ragazza dal basso, «Tutto il giorno?»
«Gli altri anni sì, hanno molto da fare a Ferragosto» disse automaticamente, senza che davvero le importasse dei capricci della nuova fiamma di Anita; era troppo impegnata in quel momento a osservare - cercando di non farlo, perché, accidenti, si stava comportando da stalker - i lineamenti del ragazzo da quella nuova prospettiva: alla luce del tramonto e in quella posizione i suoi occhi, in particolare, sembravano ancora più grandi e profondi e assumevano nuove sfumature dai toni caldi che, se solo non si fosse sentita così in imbarazzo, avrebbe volentieri continuato a studiare. Invece distolse lo sguardo e, senza un motivo apparente, si ritrovò a sorridere timidamente.

Contemporaneamente,da qualche parte nel centro di Cesenatico, Sebastiano aveva trascinato Anita su una panchina e l'aveva baciata a lungo, prima con impazienza e poi dolcezza.
«A cosa pensi?» le stava chiedendo ora, accarezzandole i capelli corti sulla nuca, lo sguardo che le perlustrava il viso, affamato di dettagli.
Lei si strinse nelle spalle e sorrise timidamente, sentendosi osservata dai due occhi che avrebbe fissato per ore. 
«È la prima volta da quando lavoro al Girasole che vorrei avere il ferragosto libero» confessò, guardandolo timidamente. Non le era mai importato granché avere quel giorno libero, erano ormai sette anni che la sua famiglia non faceva più il tradizionale picnic e si sentiva molto più serena a servire le tavolate di persone che si riunivano per passare insieme quella giornata speciale.
Tuttavia quell'anno avrebbe volentieri messo da parte il lavoro e sarebbe scappata in spiaggia con Sebastiano, a fare la vita che per anni aveva visto fare agli altri. Sospirò silenziosamente e appoggiò la tempia alla spalla del ragazzo, che le depositò un paio di delicati baci tra i capelli.
Profumavano di frutta fresca, i fini e chiari capelli di Anita, e a Sebastiano piaceva molto quell'aroma così estivo e penetrante. Era come se riuscisse a sognarlo la notte, se lo sentiva addosso, ma invece di infastidirlo lo faceva sorridere da solo.
E non aveva più parole, ma solo una gran voglia di baciare le labbra morbide della sua ragazza. Poteva definirla così? Lei era pronta ad impegnarsi in una relazione oppure preferiva aspettare? E se questo appellativo l'avrebbe fatta scappare?
«Ora cosa siamo?» chiese allora, rompendo il silenzio, «Voglio dire, stiamo insieme?»
Anita fu presa alla sprovvista da quella domanda; un sorriso le increspò le labbra, mentre balbettava ad occhi sgranati nel tentativo di una risposta di cui non era sicura. Non perché non si sentisse al settimo cielo al solo pensiero, ma poiché, nonostante il cuore le battesse all'impazzata nella cassa toracica in quel momento, non era del tutto certa di come la pensasse il ragazzo. Che forse avrebbe potuto essere il suo. «Tu che dici?»
Anche Sebastiano ebbe un sussulto, poi però sorrise apertamente e ride forte. Cavolo se voleva che Anita fosse la sua ragazza, non aspettava altro!
«Mi piacerebbe che tu fossi la mia ragazza» confessò e le sue guance si tinsero di un rosso vivo che gli dava le sembianze di un maratoneta a fine corsa.
Allora Anita sorrise dolcemente e lo guardò arrossendo teneramente, poi si voltò verso di lui con tutto il corpo e gli accarezzò un braccio abbronzato. Aveva la testa piena di pensieri e le farfalle nello stomaco come ogni volta che si trovava in compagnia di Sebastiano. Si schiarì la gola e si mordicchiò il labbro inferiore, poi annuì.
«Piacerebbe anche a me» sussurrò. 
Il cuore di Sebastiano fece una capriola e non riuscì a resistere, ma baciò Anita con passione, attirandola a sé per i fianchi. La fece sedere sulle sue gambe e continuò a baciarla tenendola dietro la nuca.
Lei si sentiva andare a fuoco, ma la sensazione non le dispiaceva affatto; gli circondò il collo con le braccia e ricambiò con enfasi quel bacio con cui stavano festeggiando l'inizio ufficiale della loro relazione. Dovevano ancora conoscersi a fondo, scoprire gli spigoli taglienti l'una dell'altro, ma al momento non importava. Non importava essere condannati ad avere una storia a distanza, non importavano gli esami alle porte e la sofferenza che legarsi così presto con una persona vicina solo per poco tempo avrebbe comportato. Non esisteva niente al di fuori di loro due in quel momento; niente e nessuno.

Il sole era ormai calato e come se si fossero letti nel pensiero Leonardo e Agnese lasciarono lo stabilimento e si incamminarono per le strade della città, ormai affollata di turisti che uscivano per godersi una cena di pesce lungo il canale. 
«Tornerete a Cesenatico?» domandò Agnese, arrossendo leggermente dopo essersi accorta del tono implorante che le era uscito. Leonardo rise piano e timidamente le circondò le spalle con un braccio. 
«Penso proprio di sì, ma non prima di avervi fatto vedere Roma!» rispose, controllando di sottecchi la reazione della ragazza.
Lei abbozzò un sorriso, incerta sulla giusta reazione da avere. L'idea di vedere la capitale la entusiasmava, ma sapeva benissimo che ciò che la rendeva più felice era la possibilità di rivedere Leonardo. E Sebastiano, per Anita, ovviamente. Il solo pensiero della loro - sua - imminente partenza la metteva di malumore, ma decise che non era il momento di farsi prendere da sconforto o paranoie. Era stato proprio Leonardo a suggerirle di buttarsi dopo tutto, no? 
«Non ci sono mai stata, che io ricordi» rispose quindi; «mi piacerebbe visitarla. È bella come dicono?»
«Molto di più!» si sentì sicuro di rispondere. Roma aveva una marea di motivi per cui essere amata, ma altrettanti per farsi odiare. D'estate era invivibile, fra il caldo, i turisti e le manifestazioni sportive che paralizzavano il traffico e monopolizzavano l'attenzione di tutti gli abitanti. No, d'estate era decisamente meglio Cesenatico. 
«Potreste venirci questo inverno! Roma è sottovalutata nel periodo natalizio»
Agnese sorrise della sua sicurezza e scosse leggermente il capo. «Magari!» esclamò con cortesia, anche se già l'incombenza di esami e lezioni smontava qualunque speranza a riguardo. «Sarebbe bello» aggiunse, poi si affrettò a cambiare discorso: «Cosa pensi stiano facendo Ninì e Sebastiano?»
A quel punto Leonardo rise forte, facendo voltare un gruppo di ragazzine che camminavano davanti a loro.
«Non farmelo dire!» riuscì a rispondere, prendendo una profonda boccata d'aria per placare un nuovo moto ilare.
Lei arrossì violentemente e senza nemmeno pensarci domandò: «Perché?», una nota allarmata nella voce. Ninì non poteva essere tanto sciocca da star facendo zozzerie con un ragazzo conosciuto da così poco tempo, no? Vero? Non voleva nemmeno pensarci.
«Quei due si piacciono davvero» disse semplicemente lui, scrollando le spalle e sorridendo intenerito, «Seba è fatto così»
Quella risposta non placò nemmeno un po' le ansie della nostra Agnese, che proprio mentre era sul punto di chiedere ulteriori spiegazioni, fu interrotta dalla suoneria del suo cellulare. Lo ripescò in fretta dalla borsa, sentendosi in imbarazzo anche solo nel lasciare che Leonardo ascoltasse la canzone di Olly Murs che aveva impostato come tono per le chiamate, e rispose al volo. «Pront-... mamma. Sono per stra-...» Si accigliò, mentre la madre dall'altra parte della cornetta protestava a gran voce per quel ritardo ingiustificato.
«Sì, scusa. Sto arrivando. - Alzò gli occhi al cielo. - Arrivo!»
«Ti ho messa nei guai?» domandò a bassa voce Leo, non appena Agnese ebbe riattaccato. Sperava di non averle causato troppi problemi con sua madre invitandola a bere qualcosa insieme. Il fatto era che non aveva saputo proprio resistere alla voglia di passare altro tempo con lei e aveva provato a buttarsi.
«Oh», la ragazza sghignazzò nervosamente e scosse il capo. «No, figurati» si sentì in dovere di rassicurarlo;  «è tutto fumo e niente arrosto, mia mamma punta tutto sui sensi di colpa, quindi nessun guaio» spiegò, interrompendo la marcia. «Ma forse è meglio che vada». Se sua madre le aveva telefonato per rimproverarla, molto probabilmente la colpa era da imputare a sua sorella Alice: doveva averla innervosita con una bravata delle sue e la donna, come ogni volta, ne approfittava per richiamare tutti all'ordine con eccessive apprensione e severità.
«Ti accompagno!» si precipitò a ribattere, per poi arrossire impietosamente, «Se ti va, certo» farfugliò poi, nel più completo imbarazzo.
"No" disse la ragione di Agnese; "no, sarebbe imbarazzante se la mamma ti vedesse con lui." E anche se i vicini ti l'avessero vista con lui: erano sempre pronti a sparlare di tutti, lei non era di certo un'eccezione a quella regola. E se sua madre avesse fatto domande? Certo, la verità era molto semplice - erano solo amici, dopo tutto -, ma Agnese non voleva parlare di lui con nessuno. Non che ci fosse molto da raccontare comunque. 
«Sì» rispose invece, senza saperselo spiegare - e non volle farlo, non volle ragionarci su, per una volta. «Mi farebbe piacere, grazie», sorrise timidamente con lo sguardo fisso ai propri piedi.
Il ragazzo sorrise apertamente e la prese per mano, «Fammi strada».
Si piegò sulle ginocchia e cercò di catturare quello sguardo fuggitivo e quando i loro occhi si incontrarono il suo cuore accelerò leggermente e le sue guance si tinsero di rosso. Dio, che effetti gli faceva quella ragazza! Gli spappolava completamente il cervello e lo faceva sembrare ancora di più un rimbambito.
Lui non poteva saperlo, ma Agnese in quel momento stava pensando esattamente la stessa cosa di sé stessa, mentre una strana elettricità le attraversava tutto il corpo diffondendo un calore che con l'insopportabile umidità della riviera aveva poco a che fare; proveniva dal contatto della loro pelle e disinnescava qualunque procedimento razionale nel suo cervello. E Agnese si sentiva estremamente sciocca per questo.
Nonostante ciò, non sciolse quell'unione, ma sorrise con più sicurezza e, «Di qua», gli indicò il percorso che avevano già seguito un'altra sera.



Bloop's corner:
Buona sera lettrici e lettori, sono Mari! Come sta andando questo freddo gennaio? Il vostro 2016 è iniziato bene oppure speravate in qualcosa di meglio? 
Non mi dilungo troppo perché non so nemmeno se qualcuno ci arriverà alle note a fondo pagina! Comunque, godetevi questi piccioncini!
A presto
AP

 

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Capitolo 14
*** Giorno undicesimo ***


- Come ti sconvolgo la vita in tre settimane -

 

13. Giorno undicesimo







Quel 15 di agosto una leggera coltre di nuvole offuscava il cielo su Cesenatico, ma Anita non si lasciò illudere ed indossò un paio di shorts di jeans e una canottiera bianca, si guardò allo specchio e sospirò. Erano solo le sette e trenta della mattina, aveva dormito poco per chiacchierare con Agnese e raccontarsi per filo e per segno quello che era successo la sera precedente ad entrambe, ma il lavoro la chiamava e lei non si lasciò spaventare da un paio di nuvole fuggiasche. Uscì dalla sua stanza e si avvicinò alla porta socchiusa di quella della madre per avvisarla che usciva, così bussò leggermente e non ricevendo risposta l'aprì. Sua madre dormiva beatamente con la guancia appoggiata al petto nudo del suo compagno, entrambi ignari del fatto che la figlia maggiore fosse lì, ai piedi del letto, a guardarli oltraggiata. L'unica cosa che avrebbe potuto rovinare ancora di più quella giornata era proprio l'aver visto quei due sotto lo stesso lenzuolo, evidentemente nudi. Piegò le labbra in una smorfia al sapore di delusione e lasciò quella casa che cominciava a sentire stretta, con l'aria viziata e quell'uomo che passava sempre più tempo lì. Si sistemò la borsa in spalla e si incamminò a testa bassa lungo il marciapiede diretta al Bagno Girasole, dove avrebbe passato la giornata in compagnia degli ordini e delle battutine di Michele, che certo non gliene avrebbe risparmiata una.
Prima di entrare in servizio prese il cellulare dalla borsa e digitò velocemente sul touchpad "Passi a fare un saluto oggi?" e lo spedì a Sebastiano, trattenendo un sorriso. Non sapeva nemmeno lei come si sarebbe dovuta comportare dopo quello che si erano detti meno di dodici ore prima, ma sapeva solo che aveva una voglia incredibile di stare con lui e aveva una proposta da fargli.
«Sbrigati, Anita!» la riprese Michele, uscendo dal bar reggendo una pila di tovaglie di stoffa che usavano solo in quella occasione. La ragazza sospirò e si infilò dietro al bancone, nascose la borsa in un armadietto e raggiunse il collega per sistemare i tavoli per la colazione.
«Stamattina sembri più fatta del solito, che ti è successo?» le chiese con un tono misto fra il divertito e il premuroso. Lei raddrizzò le spalle e lo guardò accigliata, mentre cercava di decifrare quella domanda.
«Niente che ti riguardi, sto bene» rispose solo, tornando ad apparecchiare.


Per Elia Bracaglia Ferragosto significava una sola cosa: «Gavettoni!»
E fu proprio questo ciò che gridò entrando con Sebastiano nella stanza del bed and breakfast condivisa da Tommaso e Leonardo; non fece in tempo ad alzare le bottiglietta  per sferrare il primo attacco della giornata, che fu investito da una pioggia d'acqua gassata direttamente sui riccioli biondi.
«Eccoti accontentato» rispose Leonardo con un sorriso sornione, ancora in mutande. Dalla sua postazione sul letto era riuscito a godersi senza perdersi nulla il momento in cui Elia aveva aperto la porta e Tommaso, in piedi su una sedia proprio accanto ad essa, gli aveva fatto una doccia di Ferrarelle. Ovvero il momento in cui la lotta sarebbe cominciata: a quell'azione seguirono alcuni brevissimi istanti di quiete e sconcerto, mentre Elia tratteneva il fiato, poi il finimondo: al di là del buon senso e del regolamento dell'alloggio - che, insomma, non diceva nulla a proposito delle battaglie a colpi di gavettone, ma era sottinteso che non fossero ben accette nelle camere - diverse bottiglie vennero svuotate; Elia colpiva Tommaso, che, per par condicio, anziché limitarsi a vessare il migliore amico coinvolse nella lotta anche Leonardo, il quale di certo non si tirò indietro. Gridarono, risero, si gettarono addosso tutte le loro munizioni, per poi accasciarsi ognuno sul proprio posto a riprendere fiato. Fu più o meno in quel momento che Elia si accorse di qualcosa di strano; «Fermi tutti! Non è giusto!» gridò, lo sguardo che saettava verso la porta.
La risata di Tommaso si spense lentamente sulle sue labbra, poi imitò il gesto dell'altro ragazzo e comprese al volo la sua lamentela: Sebastiano se ne stava in piedi sulla soglia, appoggiato allo stipite della porta, con il telefono in mano e un sorrisetto ebete in viso, interamente asciutto. E Tommaso avrebbe anche potuto accettarlo se solo lui fosse stato intento a riprendere la scena per poi umiliare pubblicamente Elia pubblicando su YouTube il video che immortalava la sua misera sconfitta, ma non era quello il caso: Sebastiano stava infatti leggendo un sms.
«Che razza di merda!» protestò a sua volta, battendo un pugno sulla propria coscia. «Castelli, che cazzo fai?» Non poteva preferire davvero una ragazza - perché era certo si trattasse di lei -all'umiliazione di Elia!
Fu solo in quel momento che il biondino si rese conto di quello che si era perso, troppo impegnato a gongolare per quel messaggio di Anita; soprattutto, però, quello che fu chiaro al ragazzo era quello che i suoi amici avrebbero fatto a lui, che non aveva partecipato alla lotta.
«Che vuoi fa', Villa?» balbettò, già pronto a scappare.
A quel punto nel piccolo bed and breakfast si verificò qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto immaginare: Villa scattò in piedi e raggiunse l'amico a grandi passi, gli prese il telefonino dalle mani e se ne tornò a sedere sul suo letto; Sebastiano rimase a bocca aperta a fissare Tommaso che spegneva il cellulare.
«Che cazzo fai?» chiese con tono alterato «Non ho risposto ad Anita, che cazzo fai!» ringhiò, ma l'altro non si lasciò impressionare e scrollò le spalle.
«Oggi non si parla di ragazze, intesi?» e guardò prima Sebastiano, poi Elia ed infine Leonardo, che zitto zitto stava analizzando la situazione e valutando un modo per aiutare Castelli.
«Ma li mortacci tua, Villa! Fammi rispondere alla mia ragazza» si lagnò Sebastiano, lasciandosi cadere sul letto di Leo e guardando l'altro amico con occhi da cane bastonato.
«Come scusa?», Tommaso lo fissò allibito. Cosa aveva appena detto? Come aveva definito Anita?
«Ma li mort-»
«Quello l'ho capito, pezzo di idiota! Come l'hai chiamata?»
A quel punto Sebastiano prima sbiancò, poi divenne rosso come un pomodoro maturo e boccheggiò, l'elettroencefalogramma completamente piatto e il cuore a mille.
«La mia ragazza» confessò, abbassando la testa e aspettandosi prese in giro, risate e battute. Invece ci fu un attimo di silenzio, poi Tommaso si alzò, si avvicinò al letto, gli restituì il cellulare e si accasciò al suo fianco.
«Sono l'unico sfigato qui dentro!»
Tutti risero e nell’aria tornò a respirarsi la serenità e la spensieratezza di chi si gode la vita per quella che è, senza malumori e senza pretese.
Leonardo si alzò dal letto e allungò le braccia verso l’alto per stirare la schiena, poi raccolse una maglietta dal pavimento e la gettò sulla valigia.
«Che famo? La spiaggia ci aspetta!» esclamò guardando i suoi amici. Durante quella vacanza chiunque aveva notato il cambiamento di Leo, non era più così silenzioso, faceva battute, prendeva l’iniziativa e leggeva solo in compagnia di Agnese. Forse era proprio lei ad aver cambiato il ragazzo e Tommaso ne era sicuro al cento per cento. Si chiedeva se quel nuovo Leo sarebbe sparito alla stessa velocità con cui era arrivato, al loro rientro a Roma, così non si fece pregare un secondo e scattò in piedi.
«Il bagno è mio!» gridò, per poi pescare un paio di bermuda da spiaggia dalla sua valigia ed uscì in corridoio, sperando che Betta non si fosse già chiusa dentro.
Tra risate e schiamazzi arrivarono al Girasole non più tardi di un’ora dopo e Sebastiano di precipitò al bar, sperando di riuscire a rubare qualche istante alla sua barista preferita, mentre il resto della comitiva si dirigeva automaticamente all’ombrellone, organizzando già il da farsi per combattere il caldo di quel sereno Ferragosto.
Quando Anita tornò dietro il bancone reggeva un vassoio talmente pieno di tazze e piattini che non si accorse del ragazzo seduto sullo sgabello ad osservarla.
«Ti disturbo?» le chiese all’improvviso, facendola così sobbalzare e arrossire.
«Ciao!» lo salutò, appoggiando il vassoio e cominciando a mettere le tazzine nel cestello della lavapiatti, «Cosa posso darti per colazione?»
Sebastiano finse di pensarci su, poi sorrise apertamente e «Un bacio» rispose solo.
Anita si morse il labbro inferiore, intenerita dall’irriverenza e dalla sfacciataggine di quel ragazzo. Il suo ragazzo. Per questo non poteva certo negargli quel suo piccolo desiderio, quindi uscì da dietro il bancone e lentamente si avvicinò a lui, che le porse una mano sorridendo. Cercando di non farsi prendere dal panico Anita l’afferrò e fece gli ultimi passi che li separavano, poi rimase a fissarsi la punta delle sue Superga azzurre, rossa come pomodoro e con il cuore a mille.
Sebastiano a quel punto si alzò e le accarezzò dolcemente una guancia, le sollevò il viso e fece incontrare le loro labbra in un tenero bacio privo di secondi fini.
Fu più o meno nel momento in cui le mani del ragazzo decisero che, sì, era consentito loro di intrufolarsi almeno un pochino sotto la maglietta leggera di lei, che un colpo di tosse li ridestò. Anita si separò all’istante, arrossendo e già pronta a riprendere il lavoro in risposta all’ammonimento di Michele. Si sorprese dunque quando il suo sguardo incontrò l’espressione provocatoria di Elisabetta, in piedi ad un paio di passi da loro.
«Tre cappuccini e una centrifuga rossa, grazie» disse, per poi girare sui tacchi -be’, sulle infradito- e dirigersi ancheggiando al tavolino che il resto della compagnia aveva occupato. Mentre Anita arrossiva per l’imbarazzo, sentì qualche strano pensiero pungerle un angolo della mente: non che le interessasse, ma quella ragazza sembrava davvero avercela con lei. Gli sguardi gelidi e gli atteggiamenti che variavano dal vagamente passivo aggressivo all’apertamente ostile ne erano un chiaro segnale. Si chiese il perché, ma si rispose che non le importava di piacere ad Elisabetta.
«La solita stronza» commentò Sebastiano, contrariato, «E’ la principessina più viziata del cosmo»
Anita accennò un sorriso, suo malgrado colpita da quella nuova provocazione. Possibile che nessuno approvasse la loro relazione?
«Di certo rientra tra le prime dieci» rispose, accennando poi una risatina, «Ma in questo caso devo assecondarla» spiegò, indicando Michele ed i clienti con un cenno del capo; «Devo proprio...»
Sebastiano si morse il labbro inferiore distrattamente ed annuì. Aveva notato il leggero cambiamento nell’atteggiamento di Anita e questo non poteva che essere causato dall’antipatica interruzione da parte dell’altra ragazza. Aveva voglia di fare un sacco di cose, chiederle spiegazioni, dirle di non preoccuparsi, riempirla di baci per distrarla e farle ritrovare il sorriso, ma si limitò ad annuire e premere le labbra sulle sue per un solo istante.
«Sarò qui in giro tutto il giorno» le disse con un sorriso.
Oh anche io, pensò lei con amarezza, a lavorare.
«Stasera c’è il karaoke» rispose in tono mesto, ciò significava che… «Non me ne andrò prima di mezzanotte»
Quell’informazione parve animare la speranza di Sebastiano, «Ma è fantastico!»
Anita si accigliò, confusa da quella reazione, poi rise.
«Mica tanto. Sarò distrutta a fine giornata»
«Oh no, non quello!», il ragazzo arrossì di fronte al fraintendimento, «Ora so cosa faremo stasera!»
 
«Col cazzo»
«Eddai, Villa!»
«Castelli, non passerò il Ferragosto a fare la serenata alla tua amichetta. Stasera usciamo, stasera io trombo»
Sebastiano roteò gli occhi a quella risposta, mentre Elisabetta si premurava di commentare: «Sarebbe anche ora, ne hai veramente bisogno»
Tommaso le rivolse un’occhiataccia, poi optò per astenersi da un’ulteriore replica.
«Però non posso dargli torto» aggiunse lei, voltandosi verso il biondo, «Sai che palle il karaoke con i turisti? Capisco che gli ormoni ti abbiano dato alla testa, ma devi toglierti questo chiodo fisso. tra una settimana ce ne andremo da qui e tu cosa farai con la tua...ragazza?»
Sebastiano si corrucciò. Non è che la consapevolezza di dover ripartire non l’avesse mai sfiorato, ma non voleva passare il tempo a pensarci rovinandosi quello che aveva a disposizione da passare con Ninì. Avrebbero trovato una soluzione, non era così complicato tenersi in contatto nell’era della tecnologia.
«Perché devi essere sempre così stronza?»
«Sì, infatti» intervenne Tommaso «Chiamalo scemo: noi uomini abbiamo dei bisogni, almeno lui li soddisfa. Questo qui, il nuovo frate domenicano San Leonardo da Ostia, ha praticamente preso i voti, quell’altro è diventato un maniaco della forma fisica e io non...»
«Non trovi nessuno con cui trombare, abbiamo capito» sbuffò Betta, «Ti sei mai chiesto se forse il problema non sia tu? Chi vuoi che ci stia con un morto di fame come te?»
lui stirò un sorrisetto insolente.
«Tu, se non fossi mia sorella»
Elisabetta lo fissò impassibile per qualche istante, tramando nella testa chissà quale perfida risposta, ma alla fine si congedò con un sonoro vaffanculo mentre si alzava per andarsene.
Leonardo colse al volo l’occasione per sgusciare via ed intrufolarsi nel bar senza che Sebastiano lo notasse. Aveva bisogno di chiedere ad Anita una cosa importante, non voleva doverlo fare davanti a terzi.
Quando entrò si appurò che non ci fosse Michele nei paraggi e si avvicinò al bancone con le mani sprofondate nelle tasche dei suoi bermuda.
«Ciao» disse, cercando di sovrastare il rumore del frullatore con cui Anita stava lavorando. La ragazza lo guardò incuriosita, poi sorrise gentilmente.
«Ciao! Dimmi tutto»
Leonardo la guardò negli occhi, poi arrossì leggermente sperando di non essere notato e prese a fissarsi la punta dei piedi.
«Mi chiedevo...Agnese a che ora torna?» farfugliò, avvertendo subito uno strano sfarfallio alla bocca dello stomaco. Anita sorrise intenerita e spense il frullatore, versandone il contenuto in un bicchiere.
«Di solito rimangono fuori fino a sera, ma quest’anno non lo so. Se vuoi ti do il suo numero, così lo chiedi direttamente a lei»
Il ragazzo sobbalzò appena, poi si grattò la nuca guardandosi in giro. Era il caso di accettare l’offerta? Agnese come avrebbe reagito? L’avrebbe preso per uno stalker? Non voleva spaventarla, voleva vederla. Come un flash gli vennero in mente le parole di Betta: fra una settimana ce ne andiamo. Non poteva lasciarsi scappare questa occasione, così annuì e si sforzò di cacciare via l’imbarazzo.
«Se non è un problema. Voglio dire, non vorrei che mi prendesse per un maniaco o per un pazzo o un pervertito, ecco», cominciò a gesticolare facendo ridere la sua interlocutrice, che senza aggiungere altro prese un tovagliolino e la penna, poi scrisse velocemente il numero e glielo porse sorridendo con complicità.
«Non puoi fare altro che migliorarle la giornata, fidati» gli confessò.
Leonardo annuì e guardò quel pezzetto di carta: gli sembrava incredibile pensare che fosse stato così semplice.
«Be’, allora grazie! Ci vediamo più tardi» si congedò in fretta da Anita ed uscì dal bar con il cuore che batteva all’impazzata e i muscoli tesi.
Quando tornò dagli altri, tutti lo stavano fissando con fare inquisitorio.
«Dove sei stato?» chiese subito Tommaso, ansioso di sapere se davvero lui era l’unico a non essersi trovato una vittima durante la vacanza. Leonardo si sedette sul lettino vicino a Sebastiano e afferrò lo zaino, per poi aprire la tasca più piccola e tirarne fuori il cellulare.
«Ho recuperato il numero di Agnese» confessò dopo un paio di interminabili secondi di silenzio. Elia, Tommaso e Sebastiano risero, poi l’ultimo si mise a sedere e gli diede una leggera spallata.
«La prossima volta impari a non comprarti uno smartphone» lo prese in giro Tommaso, accennando al vecchio Nokia 3230 che l’altro teneva in mano.
«O a non chiedere agli amici» aggiunse Elia «Noi abbiamo il numero delle ragazze»
Leonardo fece spallucce e digitò il numero sul suo vecchio telefono dell’anteguerra.
«Se avessi comprato lo smartphone non sarei venuto in vacanza. Il telefono serve per telefonare e mandare messaggi e questo lo fa perfettamente come i vostri» spiegò.
Leonardo era sempre stato così: non amava spendere, perché sapeva quanta fatica e quanto lavoro ci volessero per guadagnarli; preferiva non far mancare niente alle sue sorelle e accontentarsi di poco.
Sebastiano sorrise e gli diede una pacca sulla spalla. Lo capiva, sapeva perfettamente cosa provasse in quel momento, la voglia che aveva di vederla, il bisogno di sentire la sua voce, la sua risata, di parlare con lei o rimanere in silenzio a guardare le stelle. Erano entrambi sulla stessa barca che nel giro di sette giorni sarebbe salpata dal porto di Cesenatico per far ritorno nella Capitale.
Così, mentre uno si allontana a testa bassa con la scusa di una passeggiata, l'altro cercò di distrarre il resto della compagnia proponendo una nuotata: «Così nessuno deve restare a far compagnia a Leo, una volta tanto».
 
Nel frattempo, settanta chilometri più a sud, poco distante dal confine tra Emilia-Romagna e Marche,in un borgo di trecentotredici abitanti effettivi, più quattro ospiti nei giorni di festa comandata, Agnese sedeva sul prato nel minuscolo giardino di casa dei nonni materni. Di fronte a lei, suo cugino Mario, undici anni entro un paio di mesi, cercava di indovinare quale carta lei avesse pescato dal mazzo con scarsissimi risultati.
«No? Uffa. Allora... sei di picche!»
«Nemmeno. Prova ancora, su» lo incoraggiò lei, lasciando vagare lo sguardo lungo le pareti di mattoni della casa e poi, ancora più su, nel cielo terso.
Frontino era il comune più piccolo della provincia di Pesaro Urbino, un borgo che si sviluppava praticamente in linea retta entro le mura di cinta tra le colline del Montefeltro. Vi abitavano qualcosa come duecento vecchietti, settanta adulti e quaranta tra bambini e adolescenti. Le era sempre piaciuto molto quel luogo, al contrario di sua sorella Alice che, ogni anno, prendeva le visite ai nonni come la più terribile punizione mai impostale. Quella mattina, però, nel partire era stata presa da una strana malinconia che aveva cercato di ignorare fino a quel momento, ma che ora, con l'aggiunta della noia, era diventata davvero insopportabile.
«Senti, Mario» sbottò d'un tratto Alice, mentre stesa sull'erba sollevava gli occhiali da sole sulla testa; «perché non torni da zio Luca a farti spiegare il trucco? Perché, palesemente, non funziona così».
Quelle parole parvero ferire il ragazzino nell'orgoglio, perché si alzò a testa bassa dal prato e si allontanò trascinando i piedi. «Finalmente!» esultò Alice sotto voce, salvo poi voltarsi a controllare la reazione di sua sorella, aspettandosi qualche rimprovero contrariato che non arrivò. Agnese continuava a guardarsi attorno con aria svagata, del tutto assente.
Alice sogghignò di soddisfazione per quella piccola fortuna - l'ultima cosa di cui aveva voglia erano i rimbrottii di quella lagna - e tornò ad abbassarsi gli occhiali sul viso, rotolando a pancia in giù.
«Hey, Bella Addormentata, ti sta suonando il telefono».
Agnese fu costretta a riscuotersi e raccolse il cellulare dalla coperta su cui era seduta, ma quando vide un numero sconosciuto comparire sullo schermo fu quasi tentata di non rispondere. Nonostante il suo primo pensiero, si alzò e si allontanò di qualche passo dalla sorella, non tanto per non disturbarla, ma perché sapeva che Alice aveva le orecchie che captavano qualsiasi segnale e la bocca decisamente larga. Si appoggiò al muretto che circondava il piccolo pozzo circolare e rispose con un filo di voce, titubante.
«Pronto?»
Dall'altro capo del telefono ci fu un colpo di tosse, poi una risatina nervosa.
«Hey, sono Leo. Agne?»
La ragazza avvertì un senso di calore salire dal petto fino alla fronte e per un attimo ringraziò di essersi allontanata da Alice. Solo dopo qualche secondo di silenzio si ricordò della persona che gli stava parlando.
«Ciao!» lo salutò con tono decisamente squillante, non potendo fare a meno di sorridere, «Come stai?», si mordicchiò il labbro inferiore sorridendo spensierata, mentre si preparava mentalmente a sentire la voce calda di Leonardo.
Ci fu un altro colpo di tosse, poi finalmente il ragazzo mise insieme una frase di senso compiuto e rispose «Sto bene! Ti...ti pensavo» confessò imbarazzato ma sincero.
Agnese non riuscì a trattenere il sorriso, che le allargò le labbra fino a fargliele quasi sparire. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Aveva un fiume di cose da dirgli, ma era il caso? E se lui si fosse spaventato? Dopo qualche istante di silenzio decise che ormai il danno era fatto e che tanto valeva buttarsi, così raccolse tutto il suo coraggio e sussurrò un «Anche io» che suonava più come una rivelazione a se stessa che non a lui.
Nel momento stesso in cui riattaccò, Leonardo sentì una sensazione mista fra la nostalgia di lei e la felicità. Sospirò spensierato e raggiunse i suoi amici, che nel frattempo avevano preso un tavolo per il pranzo. Il bagno era affollatissimo e ancora prima di sedersi notò lo sconforto di Sebastiano, che faceva vagare lo sguardo sulla gente, poi verso il bar, poi di nuovo tutto intorno; era sconsolato e agitato al tempo stesso, voleva passare del tempo con Anita, scambiare due parole con lei, magari -anzi, sicuramente- baciarla per ore. Si armò di pazienza e comprensione e prese posto accanto all'amico, appoggiandogli la mano sulla spalla. Gli altri parlavano tra di loro, progettavano la serata, facevano previsioni del tempo totalmente a caso, ma Sebastiano e Leonardo rimanevano in silenzio, persi nei propri sentimenti negativi o positivi che fossero. Il sorriso del biondo si allargava ogni volta che scorgeva Anita tra i clienti, poi spariva alla stessa velocità quando lei tornava spedita dentro il locale.
«Non ha nemmeno un attimo per fare due chiacchiere?» chiese Leonardo in tono mesto, con rispetto e riservatezza. L'amico scrollò il capo e prese a fissarsi le mani incrociate sul tavolo.
«Non lo so, non ho nemmeno provato»
«Allora dovresti, Castelli. Magari non ora, ma dopo il pranzo» lo incoraggiò, prendendo poi a scrutare il menù di festa offerto dal Bagno Girasole.
E così verso le quattro del pomeriggio Sebastiano risalì dalla riva e raggiunse il bar, dove trovo Anita in compagnia di Giovanni. Ridevano spensierati e questo lo fece innervosire, perché lui aveva resistito e si era costretto a non disturbarla per tutto il pomeriggio e invece a quanto pareva non l'avrebbe interrotta. Prese un bel respiro profondo ed entrò nel bar, sperando di attirare l'attenzione della ragazza ma senza sembrare invadente.
«Seba, ciao!» lo accolse lei, andandogli incontro. Solo quando si trovò ad un passo da lui arrossì vistosamente e si sistemò i capelli dietro l'orecchio, guardandosi i piedi. Aveva agito d'istinto, ma dall'espressione di Sebastiano pensò che forse avrebbe dovuto aspettare che lui la salutasse e non il contrario.
«Ciao» la salutò, colmando la distanza che c'era tra di loro e posando una mano sul fianco della ragazza. Lanciò una breve occhiata a Giovanni, che rimaneva seduto al bancone e li osservava come se nulla fosse, poi le accarezzò dolcemente una guancia ed aspettò che lei lo guardasse. Quando lei finalmente alzò lo sguardo trovò il sorriso allegro del ragazzo e non riuscì a trattenersi dal ricambiare.
«Com'è andata la giornata?» le chiese, concentrandosi per non spostare la sua attenzione sulle labbra della ragazza, colorate di rosso per l'occasione. Dio, quanto avrebbe voluto baciarla!
«Non ne posso più», ridacchiò, «Troppa, troppa gente» continuò, poi appoggiò una mano sull'avambraccio del ragazzo e accarezzò la sua pelle con il pollice.
«Sei impegnata anche adesso?», la guardò intensamente, sperando in una risposta negativa.
«Appena rientra Michele dalla pausa è il mio turno. Ho un'oretta libera» disse, sorridendo poi apertamente nel vedere Sebastiano drizzare le spalle.
«Dici che posso rubarti?», la fece avvicinare di un altro passo e fece sfiorare le punte dei loro nasi. Anita arrossì vistosamente e annuì, poi circondò il collo del ragazzo con le braccia. Era una situazione surreale, sentiva di essere osservata ma comunque non riusciva a focalizzarsi su qualcosa che non fosse Sebastiano.
Il ragazzo, animato dalla stessa sensazione, non riuscì a trattenersi e la baciò teneramente, aspettando che lei ricambiasse. Il bacio che ricevette in risposta fu uno dei più dolci e belli della sua vita e questo gli fece completamente dimenticare di Giovanni, afferrò Anita per entrambi i fianchi e se la tirò contro, sorridendo sulle sue labbra.
«Andateci piano voi due» disse Michele, entrando nel bar. La ragazza balzò indietro e si sistemò i capelli, poi guardò il collega e annuì leggermente.
«Hai finito la pausa? Vado io allora», si tolse il grembiule e andò a riporlo dietro al bancone, poi raggiunse di nuovo Sebastiano e sorrise dolcemente.
«Annamo!», la prese per mano e la trascinò letteralmente fuori, poi lungo la passerella fino alla riva. Solo una volta raggiunto il bagno-asciuga rallentò il passo e abbracciò i fianchi della ragazza, facendola avvicinare; camminarono fino alla fila di scogli, poi Anita si liberò dalla stretta di Sebastiano e lo prese per mano, arrampicandosi con cautela sulle prime rocce lisce.
Sebastiano la seguiva stando attento a dove metteva i piedi lei e imitandola in ogni movimento, cercando di non lasciarsi confondere dalle gambe scoperte che era costretto a guardare per non infilarsi in un buco. La ragazza prese posto sull’ultimo scoglio e lo guardò dal basso, finché anche lui non prese posto accanto a lei, con un braccio dietro la sua schiena e il mento sulla sua spalla. Sarebbe rimasto così per ore, ma sapeva che non ne avevano a disposizione, quindi strofinò leggermente la punta del naso sulla guancia di Anita, che arrossì e si voltò verso di lui. Il ragazzo gioì interiormente per aver raggiunto il suo obiettivo e la baciò con dolcezza, aspettando con il cuore a mille che lei rispondesse al bacio. Appoggiò una mano sul ginocchio della ragazza e accarezzò la sua pelle con il pollice, sentendola rabbrividire al tocco.
«Stasera ti va di vederci?» sussurrò, sfiorando ancora le labbra di Sebastiano con le sue.
«Ti passo a prendere a mezzanotte?», le lasciò un bacio appena accennato sul labbro inferiore. Anita annuì e posò la sua bocca su quella del ragazzo, ripristinando quel contatto che le faceva venire le farfalle allo stomaco.
 
Quella sera la combriccola aveva in programma di uscire, dopo aver cenato nel ristorante suggerito da Anita, e spostarsi al molo, dove si trovava una delle discoteche più frequentate della città. Tommaso non stava più nella pelle, sperava di trovarsi una ragazza e sfogare le sue voglie represse, mentre Sebastiano e Leonardo non erano dello stesso umore: Sebastiano era contrariato dal fatto che così avrebbe perso del tempo che doveva trascorrere con Anita; Leonardo, invece, non aveva una gran voglia di uscire, ma sarebbe più volentieri rimasto in camera a parlare al telefono con Agnese, da poco tornata dalla gita fuoriporta. Tuttavia nessuno dei due oppose resistenza quando raggiunsero l’affollato ingresso della discoteca, pagarono il biglietto e si addentrarono nella ressa, facendosi largo fra i ballerini improvvisati e quelli che erano già ubriachi a mezzanotte meno venti. Elia si avvicinò al bancone ed ordinò da bere per tutti, porgendo i drink ai loro amici a mano a mano che il barman li preparava; poi circondò con un braccio i fianchi di Elisabetta e la trascinò verso la pista da ballo, ridendo sguaiatamente dell’espressione contrariata della ragazza. Non aveva dato il minimo segnale di sdegno nei confronti delle attenzioni del biondo, motivo per cui lui non si lasciò nemmeno sfiorare dal pensiero che a lei non andasse di ballare.
Tommaso si lanciò in pista poco lontano da Elia ed Elisabetta -per non perderli di vista, aveva detto-, mentre Leonardo e Sebastiano cominciarono a vagare in cerca di un posto dove sedersi, che trovarono all’esterno del locale, in un giardinetto arredato con eleganti poltrone in vimini bianche e nere.
«Ricordami perché siamo qui» gridò Sebastiano, cercando di sovrastare la musica decisamente troppo alta.
Leonardo sbuffò un sorriso ironico, «Perché siamo due buoni amici», sorseggiò il suo drink e storse il naso, «C’è del succo d’ananas, qui dentro»
Sebastiano rise forte e gli passò il suo bicchiere, «Questo dovrebbe piacerti»
Due ore e venti minuti più tardi, Sebastiano prese il cellulare e cercò il numero di Anita, «Fanculo, io vado da lei», guardò Leonardo, che fissava le stelle -sempre se riusciva a vederle- e tamburellava il ritmo della canzone sulle ginocchia.
«Pensi che Agnese stia dormendo? Ho voglia di vederla» biascicò, mezzo addormentato. Sebastiano sorrise apertamente, si alzò e diede una pacca sulla spalla dell’amico.
«Annamo!»
Rientrando nel locale trovarono Tommaso avvinghiato ad una ragazza che gli stava facendo un succhiotto sul collo; Leonardo si avvicinò a lui e gli disse qualcosa all’orecchio, poi aspettò un suo cenno e si incamminò verso l’uscita, seguito a ruota da Sebastiano.
Quando furono abbastanza lontani dalla confusione, entrambi presero i cellulari e si spostarono l’uno dall’altro per avere chissà quale privacy.
Anita rispose subito con voce squillante, «Seba! Dove sei finito?»
Il ragazzo sgranò gli occhi e si scompigliò il ciuffo: si era completamente dimenticato che le aveva detto che sarebbe andato a prenderla.
«Io...Tommaso ci ha trascinati in discoteca, ma io e Leo siamo usciti. Sei libera? Posso vederti?», incrociò le dita e si morse il labbro inferiore, aspettando che la ragazza rispondesse.
«Non lo so, è tardissimo e domani devo lavorare» mormorò lei.
Il ragazzo sospirò e si insultò mentalmente per aver sprecato un’occasione d’oro come quella che aveva avuto. Ormai i giorni che avevano a disposizione si potevano contare sulle dita di una mano e lui era stato così imbecille da perderne uno.
«Sono un coglione, mi dispiace» disse, fermandosi a guardare le barche d’epoca ormeggiate nel canale.
Anita ridacchiò, poi sospirò, «Ti ricordi come arrivare a casa mia?» sussurrò, per poi mordersi il labbro inferiore.
«Sì, ovvio! Cioè, non proprio. Rimani al telefono, così mi guidi», cominciò a camminare più svelto, passò accanto a Leonardo e gli fece un cenno con la mano, poi tornò a descrivere alla ragazza tutto quello che vedeva.
Leonardo passeggiava lungo il canale, ormai solo, mentre aspettava che Agnese lo raggiungesse. Era stata categorica: l’avrebbe raggiunto in dieci minuti. Ne erano già passati venticinque e lui stava già pensando di tornare all’albergo e mettersi a dormire, ma poi…
«Leo!», la sentì chiamare, allora si voltò di scatto e la vide correre verso di lui. Sorrise apertamente e fece qualche passo verso di lei, finché non furono vicini.
«Ciao» la salutò «Scusami, è davvero tardi, ma avevo voglia di vederti» ammise, grattandosi la nuca in imbarazzo. Aveva agito d’istinto, come molte volte non aveva fatto e poi se ne era pentito, ma questa volta non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di essere felice, di dare tutto se stesso ad una persona che sapeva non l’avrebbe gettato via come un voglio di carta scarabocchiato.
Agnese arrossì e si mordicchiò il labbro inferiore, poi guardò la punta delle sue scarpe e mormorò «Anche io avevo voglia di vederti» confessò e in quel momento realizzò che era vero, aveva passato la giornata a pensare a lui, specialmente dopo la sua telefonata.
Leonardo allora sorrise e le circondò le spalle con un braccio, «Com’è andata la gita di famiglia?» le chiese, incamminandosi lungo il canale. Ora che era lì con lei si sentiva rilassato, non avvertiva più il senso di inadeguatezza che aveva provato poco prima in discoteca. Sapeva di essere al posto giusto e con la persona giusta.
Agnese dal canto suo non riusciva a credere di essere davvero sgattaiolata fuori di casa, come un ladro, correndo poi a perdifiato fino al centro della città, come se sua madre -o peggio ancora sua sorella- l’avessero potuta seguire.
«E’ andata bene! Però faceva troppo caldo e io dovevo anche studiare, quindi diciamo che in realtà è stato uno strazio», sbuffò per spostare una ciocca di capelli dagli occhi e si voltò a guardare Leonardo. Era più alto di lei di almeno una testa, guardava dritto davanti a sé e sorrideva; non riusciva a non trovarlo attraente, il naso a punta, le ciglia lunghe che facevano risaltare ancora di più gli occhi scuri e quel sorriso mozzafiato che la faceva arrossire sempre. Quando lui la sorprese a fissarlo, lei neanche se ne accorse e continuò a studiare i dettagli del suo viso, la barba folta ma non troppo lunga, gli zigomi pronunciati, le labbra apparentemente perfette e vicine... Fu più o meno a quel punto che Agnese si risvegliò e si accorse che si erano fermati davanti all’ingresso del municipio ed erano pericolosamente vicini. Arrossì, ma non riuscì a trattenere un piccolo sorriso malandrino, che fece sorridere anche Leonardo.
«Scusami» mormorò, più imbarazzata che mai per essere stata beccata, ma incredibilmente a suo agio lì con lui. Non si era mai sentita così, nemmeno con Davide. Anzi, probabilmente Davide l’avrebbe già schernita, invece Leonardo no, non aveva ancora detto niente, ma si era semplicemente limitato a sorridere e accarezzarle la guancia in un tocco leggero, studiato, quasi timoroso. Agnese avvampò e sentì il labbro inferiore tremare leggermente, poi in un batter d’occhio il labbro smise di tremare, bloccato dal delicato bacio di Leonardo. Ci furono attimi di sospensione, nessuno dei due accennava a fare niente, ma ben presto lui le circondò la vita con entrambe le braccia e la fece avvicinare di un passo, sempre mantenendo il contatto fra le loro labbra. Agnese era impietrita, come una scultura di ghiaccio, ma tutt’altro che fredda: sentiva un enorme calore salire dallo stomaco fino ai polmoni, dove sembrava bruciare, poi su fino alle orecchie e agli occhi, che chiuse lentamente. Allacciò le braccia al collo del ragazzo e si alzò leggermente in punta di piedi, per poi accennare ad un piccolo bacio. Leonardo aveva il cuore che gli stava esplodendo nel petto, martellava frenetico come un pazzo. La voleva, desiderava quel bacio da primo giorno in cui l’aveva vista sorridere e finalmente ce l’aveva lì. Non c’era più la paura della lontananza, non c’era più la consapevolezza che non si sarebbero visti per molto tempo, se non addirittura per sempre. C’era lei, i suoi fianchi stretti tenuti fermi dalle sue mani grandi, le sue braccia esili intorno al suo collo e quelle labbra così dolci e morbide che non avrebbe mai dimenticato. La baciò con trasporto, come due innamorati costretti a stare lontani per molto tempo e che finalmente si ritrovano, lì, sul marciapiede, come due vecchi amici che si fermano a chiacchierare.
Rimasero lì finché il sole non fece capolino sulla linea del mare, colorando il cielo e il mare di mille sfumature di rosa e arancione; a quel punto Leonardo prese Agnese per mano e si incamminò verso casa di lei, così che i suoi genitori non si accorgessero che la figlia maggiore non era in casa. Fecero la strada in silenzio, ma non c’era imbarazzo tra di loro: si erano già detti tutto con quei baci lenti e dolci e le loro labbra rosse e gonfie parlavano da sé.
Arrivarono davanti al portone della palazzina in cui viveva la ragazza ed entrambi sapevano che si sarebbero visti nel giro di qualche ora giù in spiaggia, ma questo non impedì loro di scambiarsi un ultimo bacio; così Agnese posò una mano sulla guancia di Leo e fece scontrare i loro nasi, poi attese che lui la baciasse. Quando si separarono si guardarono negli occhi e sorrisero apertamente entrambi.
«A fra poco, allora» disse lui, la voce arrochita dalle ore passate in silenzio. Lei si mordicchiò il labbro inferiore -gesto che attirò subito l’attenzione del ragazzo- e annuì, poi sgattaiolò in casa come qualche sera prima, quando erano stati dannatamente vicini, ma erano stati frenati dalla paura di soffrire.
Leo la guardò sgusciare via dalle sue mani e non riuscì a trattenere un sorriso, velato dalla triste consapevolezza che Agnese sarebbe sempre stata così: gli sarebbe scivolata via come sabbia fra le dita e mancava davvero poco al momento in cui si sarebbero dovuti salutare.
 
«Credo di essere arrivato, sì. Mi vedi?», Sebastiano rivolse lo sguardo alla finestra illuminata al terzo piano, sorrise apertamente quando vide Anita affacciarsi e correre via, poi la serratura del cancello scattò e subito dopo anche quella del portone. Rimase qualche secondo a guardarsi intorno, poi prese un bel respiro profondo ed entrò nel palazzo. Non sapeva cosa aspettarsi da quell’incontro, cosa avrebbero fatto, cosa si sarebbero detti; sapeva solo che stava per rivedere Anita e che lei era la sua ragazza. Un brivido di eccitazione gli fece accelerare il passo e salì due scalini alla volta, fino ad arrivare al pianerottolo su cui lo stava aspettando lei. Si guardarono qualche istante in silenzio, poi lei si mosse sul posto e lui sorrise, si avvicinò a lei e le lasciò un piccolo bacio a fior di labbra.
«Sono decisamente arrivato» mormorò, ridacchiando poi dell’eco che si era creata nella tromba delle scale. Anita arrossì ed annuì, poi lo prese per mano e lentamente lo condusse in casa. Si guardò intorno cercando di capire che cosa avrebbero potuto fare, cosa dirgli; era la prima volta che portava un ragazzo a casa e anche se non c’era nessuno della sua famiglia si sentiva a disagio, una padrona di casa inadeguata.
«Vuoi bere qualcosa? Dovrei avere della birra e qualche liquore...», si avvicinò a grandi passi al frigorifero e lo spalancò, «Se no ho del tè freddo, acqua frizzante, succo di frutta...», si rivolse al ragazzo e lo trovò a guardarsi intorno, studiando il piccolo appartamento con un sorriso appena accennato sulle labbra; allora prese una bottiglia di birra, l’aprì e si avvicinò a Sebastiano, porgendogli la bibita.
Lui la guardò e sorrise apertamente, prese la birra e ne bevve un sorso, «Hai una casa molto bella! E piena di libri» constatò, continuando a guardarsi intorno.
Anita annuì e si sistemò i capelli da una parte, «Sì, ci piace leggere. Vieni, mettiamoci sul divano», si incamminò verso l’ampio salotto e spostò gli enormi cuscini che sua madre adorava per fare spazio, poi prese posto e aspettò che lui facesse la stessa cosa. Rannicchiò le gambe e appoggiò la testa allo schienale del divano, prendendosi qualche istante per osservare il profilo del ragazzo: le piaceva tutto di lui, il naso dritto, la fronte spigolosa, gli occhi chiari e le labbra sottili. Distrattamente gli sfiorò l’avambraccio con la punta delle dita e lui si voltò dalla sua parte, le sorrise e le accarezzò una guancia, poi si chinò su di lei e la baciò dolcemente. Anita avvampò e rispose al bacio con timidezza, quasi avesse paura di sembrargli troppo presa, troppo coinvolta. Quando lui interruppe il bacio, lei si sentì spaesata, come riportata ad una realtà che non le piaceva. Senza Sebastiano non le sarebbe piaciuta più nemmeno quella casa, quel divano comodo che aveva scelto con papà, prima che lui se ne andasse di casa.
«Vuoi guardare un film?» sussurrò, annebbiata dall’ansia dei ricordi e delle emozioni che le stavano facendo battere il cuore troppo velocemente. Lui scrollò il capo e la prese per mano, poi bevve un altro sorso di birra e si mise a studiare l’intreccio delle loro dita, il colore della pelle di Anita era simile a quello del caramello, un’abbronzatura leggera, appena accennata, che si sposava perfettamente con il suo, leggermente più scuro e marcato. Sorrise sovrappensiero, soppesando le parole da dire: sarebbe voluto essere sincero con lei, aprire il suo cuore e dirle tutto quello che gli passava per la testa e per il cuore, ma l’avrebbe ferita, le avrebbe fatto sentire ancora di più la lontananza. Quando alzò lo sguardo ed incontrò quello di lei, però, non riuscì a trattenersi, non fu più capace di mantenere il controllo di sé e della situazione.
«Io...» cominciò, guardandola negli occhi, poi si bloccò, guardò la bottiglia che teneva in mano e si scolò il contenuto tutto d’un fiato, sotto lo sguardo corrucciato della ragazza, che aspettava la fine della frase.
«Io ti amo, Anita» farfugliò, cercando di non sembrarle confuso o poco convinto, «Ho pensato a questo tutto il giorno. Vado fuori di testa quando ti vedo parlare con il tuo amico pompato, quel tizio che attira sempre la tua attenzione...voglio stare con te, non voglio dimenticarti quando tornerò a Roma e non voglio che tu ti dimentichi di me. Sto correndo un rischio enorme, potrei sembrare una macchina spinta a tutta velocità in una corsa scellerata verso un muro. Ma volevo che tu lo sapessi e non potevo aspettare a dirtelo, perché più si avvicina la partenza, più aumenta la certezza che entrambi soffriremo. Dovevo dirtelo subito, scusami», cercò di resistere alla tentazione di guardarla, non voleva sapere la sua risposta in un modo che non fosse tramite la sua voce. Voleva sentire la risposta e non vederla.
Anita rimase a bocca aperta, mentre fissava Sebastiano senza davvero vederlo. Non sentiva più niente, non c’era nessun rumore, nessun odore, solo il tocco delle loro mani ancora strette e l’immagine sfuocata del profilo teso del ragazzo. Non sapeva cosa fare, cosa dire, come fargli sapere che anche lei provava le stesse cose. Stavano correndo, lo sapeva, ma quel ragazzo era la cosa migliore che le fosse mai capitata negli ultimi anni e non poteva lasciare che il tempo e la paura glielo portassero via. Scattò in piedi e gli prese la bottiglia dalle mani, l’appoggiò sul tavolo da pranzo e lo fece alzare, poi lo guidò fino alla sua camera da letto, come un automa. Non sapeva cosa stava facendo né se avrebbe dovuto rispondere qualcosa, ma decise di seguire l’istinto e si voltò verso Sebastiano, che la guardava con sguardo confuso e l’espressione tesa di chi si sta pentendo di aver fatto o detto qualcosa.
«Non...» cominciò, poi lasciò la mano del ragazzo e prese a torturarsi il bordo dei pantaloncini, «E’ la prima volta che mi trovo in questa situazione» mormorò, arrossendo, «Nessuno mi ha mai detto che mi ama», lo guardò e stiracchiò un sorriso, «Non so assolutamente cosa fare, Seba» confessò «Vorrei poterti dire che ti amo anche io, ma ho paura»
Sebastiano abbassò il viso e si morse il labbro. Sentiva il bisogno di parlare con qualcuno, chiamare Leo e sfogarsi, perché era stato un coglione e aveva rovinato tutto per colpa della foga, si era fatto trasportare troppo e forse Anita non era la ragazza che avrebbe colto al volo questa occasione, forse non era folle come lui. Stava per girare i tacchi e allontanarsi da quel posto e da lei, ma poi due mani gli presero il volto e due labbra impegnarono le sue. Ci mise qualche istante a capire, poi afferrò i fianchi della ragazza e la baciò con trasporto per trasmetterle tutta la sua sofferenza.
Anita interruppe il bacio e lo abbracciò forte, poi sussurrò «Sono sfacciata se ti chiedo di passare la notte con me?»
Il ragazzo rise forte e scrollò il capo, poi le accarezzò una guancia e la guardò dritto negli occhi, «Devi fidarti di me, Ninì, perché non sono mai stato così sincero in tutta la mia vita».
Il sorriso di lei gli scaldò il cuore e lo fece arrossire come un adolescente, poi lei si allontanò e si avvicinò al letto e solo in quel momento lui si prese il lusso di guardarla: indossava dei pantaloncini così corti che avrebbero fatto girare la testa a chiunque, figuriamoci a lui, e una canottiera leggera che le lasciava una sottile fascia di pelle nuda. Tutto di lei gli piaceva e provocava una scarica di brividi che gli percorrevano la spina dorsale. Aspettò che lei si sdraiasse, poi la raggiunse, si tolse le scarpe e prese posto accanto a lei, voltato dalla sua parte. Il leggero rossore che le colorava le guance era il chiaro segno che i timori di Sebastiano erano stati del tutto infondati, che non sarebbe stato necessario allontanarsi da lei. Le accarezzò la guancia con studiata delicatezza, sfiorò le sue labbra con il pollice e la baciò con dolcezza, finché lei non ricambiò. A quel punto i sensi del ragazzo si annebbiarono, si fece perno sul braccio e si sporse su di lei, intensificando lo scambio di effusioni; la desiderava con tutto se stesso e il cuore gli martellava nel petto e gli rimbombava nelle orecchie, le accarezzò lentamente una gamba e la sentì rabbrividire. Si guardarono un istante, poi lei gli sollevò la maglietta e si perse a fissare il petto di lui che si espandeva velocemente al ritmo del suo respiro affannato. Le era già capitato di trovarsi in momenti intimi con un ragazzo, eppure con lui tutto sembrava nuovo, una scoperta dell’altro e di se stessa. Gli accarezzò il torace fino all’ombelico, ascoltando il sospiro di Sebastiano e il mugolio che uscì dalle sue labbra quando le sue dita esili raggiunsero la cintura dei suoi jeans. La guardò mentre gli slacciava i pantaloni, poi si lasciò prendere dall’eccitazione e l’aiutò ad abbassarli, li lasciò cadere fuori dal letto e si avventò su di lei, baciandole il collo e toccando la pelle liscia del suo ventre. Il desiderio era tanto ed era percepibile, impregnava l’aria e li faceva sospirare, mentre si studiavano e si preparavano a quello che sarebbe avvenuto di lì a poco. Quando la sua mano raggiunse il seno, Anita sobbalzò e arrossì di colpo, nascondendo il viso tra le mani.
«Che cosa c’è?» le chiese a bassa voce, sfiorandole la clavicola con la punta del naso, ma senza allontanare la mano dalla meta che aveva raggiunto. Anita scrollò il capo, prese un respiro profondo e tornò a guardarlo.
«Mi vergogno del mio seno» mormorò in imbarazzo. Sebastiano la guardò e sorrise, poi si mise in ginocchio e le sfilò la canottiera mantenendo il contatto dei loro occhi.
«Sei la ragazza più bella che io abbia mai visto, Ninì» le disse, abbassandosi di nuovo su di lei; le scoccò un bacio sulle labbra, poi scese lungo il collo e raggiunse il seno, lasciò un piccolo succhiotto e si concentrò su quel punto, marchiandolo e baciandolo. I gemiti di Anita si unirono al suo affanno, ad ogni tocco corrispondeva un suo brivido e questo lo portò ad un livello di eccitazione che mai aveva raggiunto in vita sua; le sfilò i pantaloncini e li lanciò via, poi le baciò la pelle fino all’ombelico e la guardò contorcersi sotto di lui. Non ci vedeva più dal desiderio, si sentiva come un toro davanti ad una bandiera rossa e lei sembrava volere la stessa cosa, mentre sospirava il suo nome. Ci volle poco perché si trovassero entrambi nudi, le loro pelli che si sfioravano, i brividi che si sincronizzavano tra di loro, i respiri affannati che si confondevano. Avevano bisogno l’una dell’altro e quella notte non si risparmiarono, fecero l’amore a lungo, donandosi vicendevolmente tutto l’affetto che provavano, poi si addormentarono l’una tra le braccia dell’altro, con il sorriso sul volto, le gambe intrecciate, i cuori che battevano insieme e due ti amo sussurrati a fior di labbra.
 


Bloop's corner:
Buon pomeriggio a chiunque sia arrivato alle note, sono Aries Pevensie :) scusate l'assenteismo, ma tra il tirocinio e gli ultimi esami non siamo mai riuscite a trovare un secondo di pace, né per scrivere né per postare, purtroppo. Ma per fortuna stamattina ho dato l'ultimo esame di questa forsennata università e quindi avrò tempo di scrivere e riprendere un po' le avventure di queste coppiette felici. Qui in Romagna fa un freddo cane, quindi niente mare per il momento! Sebastiano avrebbe certamente trovato qualcosa da fare per ingannare il tempo ;) 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Finalmente questi ragazzi si sono dati una mossa!
Buona serata, amiche :)
M

 

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Capitolo 15
*** Giorno dodicesimo ***


- Come ti sconvolgo la vita in tre settimane -

 

14. Giorno dodicesimo

 

Quando la sveglia di Anita cominciò a suonare erano da poco passate le sei; uno spiraglio di luce filtrava dalle tende leggermente scostate e si andava a proiettare sul viso della ragazza, illuminandole le labbra. Sebastiano la guardava -dal momento stesso in cui lei era crollata- e sorrideva tra sé, giocando con i suoi capelli lisci e profumati. Di lì a poco lei si sarebbe svegliata e l’avrebbe trovato a fissarla e questo lo fece sentire un idiota, così decise di passare all’attacco e provare a svegliarla. Ciò accadde più o meno al terzo segno rosso che Sebastiano aveva lasciato sul ventre della ragazza.
«Buongiorno» mormorò lei, accarezzandogli la nuca.
«Buongiorno, principessa» rispose lui, sorridendo apertamente; si spostò più in su e le baciò le labbra senza timore. Non c’era imbarazzo tra di loro, ma solo una naturalezza pura e semplice, che li spingeva a baciarsi e sfiorarsi la pelle. Anita appoggiò una mano sulla spalla del ragazzo e scese fino al polso, senza mai interrompere il bacio che si faceva sempre più intenso e profondo, mentre lui le sfilava lentamente le mutandine e la avvicinava a sé.
«Devi per forza lavorare?» domandò, stringendola a sé dopo aver fatto l’amore. Anita rise e nascose il viso nell’incavo del suo collo, dove lasciò un piccolo succhiotto.
«Sì, ma stasera io e Agne pensavamo di uscire. Volete venire anche tu e Leonardo?»
Sebastiano annuì, poi la fece sdraiare e si sporse su di lei, una mano sul ventre piatto e l’altra a giocare con i suoi capelli.
«Sei bellissima, Ninì» sussurrò, per poi sfiorare le sue labbra con un bacio, «Rimarrei a guardarti per ore, poi farei l’amore con te e ti guarderei di nuovo»
Anita avvampò ma non distolse mai lo sguardo da quello del ragazzo, ipnotizzata da quell’azzurro intenso e limpido e incantata dalle sue parole lusinghiere. Non sapeva se e come rispondere, non si era mai trovata a doverci pensare: le sue avventure precedenti erano sempre finite con una fuga nel mezzo della notte o, peggio ancora, avevano avuto luogo in spiaggia o a casa di amici durante una festa. Quella era la prima volta che sapeva di aver fatto l’amore con un ragazzo che la desiderava dal profondo del cuore.

L’assenza di Sebastiano era passata inosservata fino al momento in cui era entrato in camera e si era letteralmente lanciato sul letto su cui stava dormendo Elia, che scattò e lo spinse via.
«Che cazzo fai, Castelli!» sbiascicò evidentemente assonnato, spingendolo via, «Sei stato fuori tutta la notte! Allora sei andato in buca!»
Sebastiano arrossì e si grattò la nuca, sorridendo colpevolmente.
«È chiaro che sei andato in buca, hai un espressione da ebete che parla da sé! Non vedo l’ora di assistere alla reazione degli altri! Daje Castelli!», gli diede una pacca sulla spalla e gli lanciò il cuscino sulla faccia, «Fatti una doccia, fra poco si va in spiaggia»
Con un gemito si sdraiò sul pavimento a braccia larghe, «Sono troppo stanco per alzarmi»
Elia lo guardò con un’espressione mista fra il perplesso e il sorpreso, «Addirittura?», rise e si alzò stiracchiandosi ed incamminandosi verso la sua valigia, «Daje, Leo e Villa ci aspettano fra mezz’ora in corridoio», afferrò il costume e un asciugamano, poi uscì dalla porta lasciando Sebastiano ancora a terra.
Fissava il soffitto e sorrideva, mentre ripensava a quello che era successo con Anita, al bacio che si erano scambiati prima di salutarsi e al fatto che di lì a poco si sarebbero rivisti. Lei sarebbe stata in imbarazzo? Si sarebbe allontanata da lui oppure al contrario, non sarebbe più riuscita a fare a meno di lui? Sorrise amaramente e contò sulle dita i giorni che mancavano alla sua partenza per Roma: dieci giorni e tutto sarebbe finito. Una fitta di ansia gli prese lo stomaco e si tirò a sedere, scompigliandosi i capelli e sbuffando pesantemente, poi si alzò in piedi e si tolse la maglietta avvicinandosi alla sua valigia incasinata.
Quando tutta la compagnia si trovò nel corridoio, nessuno si risparmiò di fare battute e domande a Sebastiano, che non riusciva a togliersi il sorriso ebete dal viso e il rossore non sembrava voler lasciare le sue guance. Sembrava a strano a tutti che proprio lui si fosse fatto la ragazza durante quella vacanza e in così breve tempo. A Roma non aveva mai combinato niente di buono e le sue storie erano sempre naufragate alla stessa velocità con cui quella con Anita era decollata. Che fosse la volta buona nessuno poteva dirlo, però, perché Seba non si era mai trovato a dover vivere una storia a distanza, poi ci sarebbero stati i ritmi della vita normale, il lavoro, l’università e la famiglia a riempire ogni spazio della giornata. Leonardo studiava il comportamento del suo amico e cercava di cogliere ogni emozione che distorceva il suo viso.
«Ieri sera ho baciato Angese» gli disse, mentre camminavano lungo il marciapiede verso la spiaggia. Non sapeva se era il momento giusto per dirgli una cosa così delicata, ma non riusciva a resistere alla tentazione e aveva assolutamente bisogno di parlarne con qualcuno che non fosse Tommaso, che era certo l’avrebbe preso in giro fino allo sfinimento.
«Davvero? E me lo dici così, canaglia?!», gli sferrò un pugno sul braccio e lo guardò ad occhi spalancati, «Sei un infame! Hai lasciato che gli altri mi sfottessero per essere andato a letto con Anita e tu hai baciato Agnese! Sei uno stronzo, amico di gomma»
«Non esagerare, Castelli», rise, «Io l’ho baciata, tu ci hai scopato!», lo guardò con un ghigno soddisfatto.
Sebastiano arrossì vistosamente, «Abbiamo fatto l’amore, non era solo una scopata» ammise, ficcando le mani nelle tasche dei bermuda da spiaggia, «E’ stupido, vero? Magari per lei non era amore, per lei era solo una scopata. E se non volesse più vedermi?», si voltò verso il suo amico che lo guardava sconvolto.
«Ma che sei scemo? Non farte prende dal panico adesso, daje», gli diede una pacca sulla spalla facendolo barcollare, «Stravede per te, come fai a pensare che volesse solo scopare? E’ Ninì, non Villa», ridacchiò e si fermò sul posto, vedendo Agnese che legava la bicicletta alla rastrelliera di fronte al Bagno Girasole. Sebastiano lo guardò e gli circondò il collo con un braccio, scompigliandogli i capelli e trascinandolo verso la ragazza.
«Buongiorno, Giulietta, Romeo stamattina si è svegliato con la lingua annodata!», rise forte e liberò Leonardo dalla presa esattamente davanti alla ragazza, che alzò lo sguardo e sorrise apertamente.
«Ciao Seba!», si tirò su e prese la borsa dal cestino della bici, poi guardò Leonardo e sorrise timidamente.
«Vado a salutare Ninì, ci vediamo dopo» si congedò Sebastiano, lasciando gli altri due da soli. Il ragazzo fece un passo avanti, poi si rese conto che la bicicletta si frapponeva a loro, così ridacchiò e ci girò intorno, fronteggiando finalmente Agnese, che lo guardò dal basso.
«Dormito bene?» le chiese con il sorriso sulle labbra, spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. La trovava adorabilmente dolce, con gli occhi lucidi dalla stanchezza e le guance velate di rosso. Amava farla arrossire, perché di solito succedeva a lui di essere in imbarazzo, ma con lei no, con lei si sentiva sicuro di sé e dei suoi sentimenti.
«Poco, ma decisamente bene» rispose lei, ridacchiando e mordendosi il labbro inferiore. Stava aspettando il momento in cui lui l’avrebbe baciata e lo stava aspettando dal momento stesso in cui quella notte si era chiusa il portone alle spalle, ma il fatto che il quel momento si trattenesse le faceva sentire le farfalle nello stomaco. Sbuffò un sorriso e si alzò sulle punte dei piedi, facendo scontrare i loro nasi. A quel punto lui le fasciò i fianchi con entrambe le braccia e la baciò dolcemente, provando di nuovo tutte quelle emozioni che aveva sentito la sera precedente. Gioia, passione, calore, paura, sorpresa. Quando si separarono non c‘era imbarazzo ma solo naturalezza tra di loro, come se fossero sempre stati insieme; così Leo prese la borsa di Agnese e se la mise in spalla, poi afferrò la sua mano e si incamminarono verso lo stabilimento.
«Vuoi fermarti a prendere il cappuccino?» le chiese, lasciandole poi un bacio sulla guancia. Sapeva che avrebbe risposto di sì, anche perché immaginava che le due amiche avrebbero avuto molte cose da raccontarsi.
Agnese annuì e gli diede un bacio sulla guancia, poi ridacchiò e corse verso il bar.
«Ti aspetto all’ombrellone!» riuscì a dirle in tempo prima che lei sparisse all’interno del locale. Scrollò la testa sorridendo e si incamminò lungo la passerella.
Quando Agnese entrò nel bar incontrò subito lo sguardo e il sorriso raggiante della sua amica.
«Devo raccontarti un sacco di cose!» disse con slancio, appollaiandosi sul solito sgabello.
«Anche io!» rispose Anita, mordendosi poi il labbro inferiore e arrossendo, «Cappuccino?»
«Sì, grazie. Comincio io! Mi ha baciata! Ieri sera mi ha chiamata e ci siamo visti giù al canale, poi abbiamo passeggiato avanti e indietro…e non so come, ma ci siamo baciati ed è stato tutto perfetto» cominciò, accompagnando le parole a frenetici gesti delle mani. Anita sorrideva come mai prima, vedendo la sua amica in quello stato si esaltazione che la rendeva dannatamente logorroica, mentre le raccontava per filo e per segno animata probabilmente dalle stesse emozioni che provava lei quando pensava a Sebastiano.
«Ho fatto l’amore con Sebastiano» disse a bruciapelo, senza nemmeno pensare alle parole da usare, magari per essere meno diretta e sfacciata. Agnese si zittì e la guardò con la bocca spalancata e la frase troncata a metà.
«Come scusa?»
Anita avvampò e boccheggiò, poi si schiarì la voce e abbassò lo sguardo sul cappuccino che stava preparando, «Io e Seba abbiamo fatto l’amore stanotte. Più volte. E anche stamattina» le raccontò.
«Non voglio sapere quante volte l’avete fatto!» squittì Agnese, nascondendo il viso tra le mani, «Sei sicura che sia la cosa giusta? Non è troppo presto?»
Anita sbuffò seccata e appoggiò la tazza sul piattino di fronte all’amica, «Se anche fosse stato troppo presto, ormai è andata così. Vorrei che ogni tanto tu fossi felice per me, perché mi sono finalmente fidata di un ragazzo che mi ama», si mise a sistemare le tazzine sulla mensola, mordendosi il labbro inferiore per non piangere. La verità era che detestava discutere con Agnese ed era tremendamente felice per quello che era successo tra lei e Leonardo, specie perché la sua amica non sembrava essersi mai ripresa dalla fine della storia con Davide; ma allo stesso tempo aveva bisogno del sostegno della sua amica, perché aveva paura di quello che sarebbe successo da quel giorno e soprattutto di come sarebbero andate le cose dopo la partenza di Sebastiano. Il silenzio che si era creato tra di loro la stava logorando, ma non aveva il coraggio di voltarsi e affrontare Agnese.
Dal canto suo, Agnese era dispiaciuta di aver offeso la sua migliore amica, ma non sapeva come fare a rimediare, né tanto meno cosa dire. Fortunatamente non ce ne fu bisogno, perché proprio in quel momento entrarono nel bar Michele e Giovanni, che chiacchieravano a voce alta e ridevano come vecchi amici.
«Ciao Ninì» la salutò Giovanni, appoggiandosi al bancone, «Mi fai un caffè?»
Agnese finì di bere il suo cappuccino e si allontanò in silenzio, incamminandosi a testa bassa lungo la passerella per raggiungere Leonardo all’ombrellone. Anita la seguì con lo sguardo, mentre la tazzina che stava appoggiando sul piattino le scivolò di mano e il caffè si rovesciò direttamente sui pantaloni di Giovanni, che balzò in piedi.
«Scusami!», Anita si portò una mano alla bocca, poi afferrò uno strofinaccio e corse dall’altra parte del bancone e non esitò ad asciugare la macchia fatta sui panni del suo amico.
«Ninì, non importa, davvero» disse lui, allontanandosi e ridendo, «Sei sempre la solita distratta. Cosa succede?», la guardò fisso negli occhi talmente intensamente che lei fu costretta ad abbassare lo sguardo.
«Ho fatto l’amore con Sebastiano ed è stata la cosa più bella che mi sia capitata da quando Lorenzo mi-» si interruppe e guardò in alto, ricacciando indietro le lacrime, poi prese un respiro profondo, «E’ stato meraviglioso, ma Agnese mi ha chiesto se non fosse troppo presto e io non so più se sia stata una scelta saggia oppure no»
Michele guardava la sua collega con uno sguardo misto fra lo scocciato e l’intenerito, ma l’ingresso di un cliente attirò la sua attenzione e diede ad Anita il permesso di allontanarsi per riprendersi e tornare al lavoro serena e tranquilla. Anita annuì e si spostò sul balcone del bagno, seguita da Giovanni, che non era ancora riuscito a proferire parola. Presero posto sul dondolo ancora in silenzio, poi il ragazzo tirò fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette e ne offrì una alla sua amica, che la prese lentamente ed aspettò che lui l’accendesse. Dopo qualche tiro in perfetto silenzio, lei riprese a parlare scrutando l’orizzonte terso.
«Io sono davvero felice quando sono con lui» mormorò. Giovanni soffiò un sorriso e scrollò la cenere dalla sua sigaretta.
«Non pensare che non si veda. Anche Agnese lo sa, ma ha paura che tu soffra di nuovo»
«Sebastiano non mi farà soffrire» disse sicura e subito cercò con lo sguardo l’ombrellone che avevano noleggiato i romani. Vide la chioma riccia di Elia allontanarsi lungo la passerella seguito da Elisabetta, Tommaso e Agnese, ma non c’era traccia visibile di Sebastiano né di Leonardo. Sospirò e diede un altro tiro di sigaretta, poi abbassò lo sguardo sui suoi piedi, traballando nervosamente una gamba.
«Ninì» sussurrò Giovanni, appoggiando una mano sul ginocchio in movimento della sua amica, «Rilassati» continuò con voce calma; l’ultima cosa che voleva era che la sua migliore amica avesse una crisi di panico sul tetto del bar dove lavorava.
«Cosa faccio se mi lascia prima di tornare a Roma?»
Ci furono istanti di silenzio, durante i quali gli occhi di Anita, puntati ora sull’orizzonte, si erano riempiti di lacrime, mentre le labbra di Giovanni si erano serrate in un’espressione tesa e contrariata. Dov’era finita tutta la sicurezza di poco prima? Che ne era di quella Ninì piena di gioia e di determinazione? Le ombre del passato stavano riaffiorando e gli artigli della sofferenza che aveva patito erano tornati a graffiarle il cuore e l’anima.
«Ninì, guardami» disse con voce ferma, prendendo il viso dell’amica tra le mani e costringendola a voltarsi verso di lui, «Guardami» ripeté, cercando di calamitare lo sguardo della ragazza.
Anita si mordeva il labbro inferiore con forza e cercava in ogni modo di non guardare Giovanni. Sarebbe crollata, lo sapeva. Non era così forte da resistere a quello sconvolgimento emotivo, non sarebbe stata in grado di controllare le lacrime e non c’era cosa che Anita Paraboschi odiasse più di piangere davanti a qualcuno. Odiava piangere anche davanti allo specchio, figuriamoci farlo con Giovanni lì, a fissarla con quegli occhi magnetici e l’espressione preoccupata.
«Vieni qui» mormorò lui, stringendola forte in un abbraccio e lasciando che lei si riparasse contro il suo petto, mentre i singhiozzi cominciavano a scrollare il suo corpo. Con lo sguardo cercò Agnese fra la gente che occupava il bagnoasciuga, ma ovviamente non riuscì a trovare la sua figura esile. Sospirò e strinse ancora di più Anita a sé. Voleva proteggerla, avrebbe voluto evitarle qualsiasi tipo di delusione e sofferenza, ma sapeva che non sarebbe stato possibile.

A qualche metro di distanza Sebastiano e Leonardo erano sdraiati su due lettini e sorridevano spensierati, ognuno immerso nelle proprie congetture.
«Sarà difficile tornare a Roma» disse Leonardo, rompendo così il silenzio sereno che c’era tra di loro. Sebastiano sospirò e si voltò a guardare l’amico.
«Non farmici pensare, Leo», sbuffò e si mise a sedere, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e prendendosi la testa fra le mani, «Sarà una tortura»
Proprio in quel momento Agnese tornò all’ombrellone e si avvolse nel suo telo, andandosi poi a sedere vicino a Leonardo, che le rivolse un sorriso dolce di bentornato.
«Ciao» disse lei, lasciandogli un piccolo bacio sulla guancia e accoccolandosi contro il suo petto, facendosi così abbracciare da lui, «Vi ho interrotti?» chiese, guardando Sebastiano con il viso ancora nascosto fra le mani.
«No, tranquilla, stavamo solo chiacchierando», le baciò la testa, «Com’è l’acqua?»
«Fantastica! È pulita e della temperatura giusta»
Sebastiano si alzò di scatto e sbuffò, poi cominciò a guardarsi intorno senza però cercare davvero qualcosa. Leonardo lo guardava con la fronte aggrottata, mentre Agnese provava a seguire lo sguardo del ragazzo. Si sentiva turbato, come se stesse succedendo qualcosa a lui o a qualcuno di vicino a lui, come se avvertisse un senso di pericolo nell’aria. Senza proferire parola imboccò la passerella e si diresse a lunghi passi verso il bar, dove sperava di trovare Anita e poter così appurarsi del fatto che lei stesse bene. Quando però giunse sulla soglia del locale, vide solo Michele dietro al bancone e nessuna traccia della sua ragazza, così si voltò a perlustrare lo spazio esterno, ma nemmeno lì c’era. Sospirò pesantemente e mentre stava per tornare sui suoi passi, Anita comparve dalle scale che portavano al tetto in compagnia di Giovanni. Sentì l’impulso di chiederle spiegazioni, ma gli bastò incrociare il suo sguardo per capire che qualcosa non andava e che non aveva a che vedere con Giovanni. La raggiunse lentamente e aspettò che il ragazzo gli passasse accanto, seguendolo con lo sguardo finché non entrò nel bar. Le dita esili di Anita cercarono e trovarono le sue e lui spostò la sua attenzione su di lei, quindi ricambiò la stretta di mano e le rivolse un sorriso che sperava fosse il più naturale possibile, anche se dentro di lui lo stomaco si stava chiudendo.
«Mi chiedevo come stessi» mormorò, avvicinandosi di un passo alla ragazza, ancora immobile sull’ultimo gradino della scala.
«Sto bene, sono solo…confusa» ammise, abbassando gli occhi.
«Ha qualcosa a che vedere con quello che è successo ieri sera?», aveva paura di sentire la sua risposta, aveva paura che lei si fosse pentita di aver fatto l’amore.
«Sì, ma non nella maniera che credi. Fare l’amore con te è stata la scelta migliore che io abbia mai preso da qualche anno a questa parte, ma non so se…non so se questo basterà a non far finire tutto», prese un respiro profondo e guardò Sebastiano dritto negli occhi, «Io voglio stare con te, voglio essere la tua ragazza anche quando sarai a Roma. Non posso pensare di essere stata un amore estivo»
«Tu non sei un amore estivo, Ninì», la afferrò per i fianchi e la fece avvicinare, poi appoggiò la fronte a quella della ragazza, «Non sei solo un amore estivo» sussurrò, per poi baciarla teneramente. Anita sorrise sulle sue labbra e gli circondò il collo con entrambe le braccia, rispondendo al bacio con trasporto.
Mancavano nove giorni alla fine di quella vacanza, ma a Sebastiano poco importava perché Ninì lo stava baciando come qualche ora prima a letto e questo gli rendeva impossibile pensare a qualsiasi cosa che non fossero quelle labbra morbide e quelle mani fra i capelli. 


Bloop's corner
Mi rendo conto che sia passata un'era geologica dall'ultimo aggiornamento e vi chiedo umilmente perdono. E' stato un anno molto intenso (mercoledì scorso mi sono laureata, yay!) e non ho avuto modo di mettermi avanti con i capitoli, quindi quello che vedete è l'ultimo capitolo che ho scritto e l'ho appena finito! Spero che ci sia ancora qualcuno che ha voglia di leggerla e soprattutto spero che non vi siate dimenticati di questa storia. Spero di riuscire a scrivere e pubblicare il prossimo capitolo a breve e ripagarvi così dell'infinita pazienza nei miei confronti. 
Alla prossima, allora!
M

 

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