Non mi abbandonare.....

di Camille_Paul
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nuovo arrivato ***
Capitolo 2: *** Fraintendimenti ***
Capitolo 3: *** Alla finestra.... ***
Capitolo 4: *** Abbandono ***
Capitolo 5: *** Sopresa ***
Capitolo 6: *** Finalmente insieme ***
Capitolo 7: *** I love you ***



Capitolo 1
*** Nuovo arrivato ***


Mi chiamo Micol e, nonostante il mio nome, sono italiana pura. I miei genitori erano molto amanti dei nomi ebraici e allora perché no? Erano ancora giovani. Abitavo in un un grande condominio di un piccolo paese di periferia, dove tutti sapevano tutto. Avevo un'amica leale e simpatica di nome Kadmel, anche lei aveva genitori "fan" dei nomi ebraici. Un giorno, nel nostro piccolo paese di periferia, successe qualcosa. Una famiglia si trasferì davanti al mio palazzo. Kadmel non abitava nel mio condominio, ma bensì nel centro del paese, per così dire. La nuova famiglia era originaria dell' America, per quanto avevo capito, e avevano un figlio maschio. Dalla finestra della mia camera potevo scorgere la sua bene e allora corsi su a casa mia, veloce come il vento e andai alla mia finestra. Non volevo essere scoperta, così mi nascosi dietro alla mia tenda semi-nascosta ma, dalla quale, si vedeva tutto da dentro al fuori, ma niente dal fuori al dentro. Bene. Eccolo, lo vedevo. Meno male che la sua camera era davanti alla mia, avrei potuto spiarlo quando volevo. Il ragazzo stava appendendo su una parete il poster di qualcosa o di qualcuno...un giocatore di basket? Sì, gli americani D.O.C amavano solo tre cose: il baseball, il basket e le donne sexy. Me ne andai sul balcone, dove potevo scorgere la loro auto. Una Volvo. Non era tipicamente né italiana né americana, ma era la mia macchina preferita. Nel nostro super-condominio c'era anche un giardinetto privato, dove solo i residenti potevano entrarci. Scesi giù. C'erano i ragazzi che stavano giocando a basket e a calcio. Le femmine che avevano più o meno la mia età giocavano a passaggi di pallavolo. Salutai la mia amica Martina e, nonostante avessimo un anno di differenza e lei era più piccola di me, lei mi capiva sempre e ovviamente aveva sentito parlare del nuovo arrivato, ma sapeva quanto me. All' improvviso, un nuovo ragazzo fece la sua entrata, rubando l' attenzione di tutti. Quello che aveva appena lanciato la palla all' altro lo fece cascaer giù perchè se la prese in faccia, quelli che stavano giocando a basket rimasero a bocca aperta, e non fecero del male a nessuno, mentre quelle che giocavano a pallavolo si misero a sbavare e potevo ben capire il perché, eccome se lo capivo. Jeans a vita bassa, capelli scompigliati, occhi azzurri. I suoi capelli castani con riflessi più chiari, estremamente naturali. Si accorse che l' attenzione di tutti era rivolta verso di lui. -Ciao, mio nome essere David- disse e l' accento americano era molto forte. Si avvicinò a quelli che stavano giocando a basket. -Potere io?- chiese. Il ragazzo che aveva la palla in mano, Luca, gliela passò. Lui scartò con prontezza gli avversari e buttò la palla nel canestro. Uno a zero. I ragazzi lì tentavano di parlare americano, ma ne usciva solamente un mix di una lingua inventata, fatta da olandese, finto inglese e italiano. Certo, erano tutti stati rimandati in inglese, tranne io, anche se raggiungevo la sufficienza a fatica. Mi avvicinai. -Hello, my name is Micol. How old are you?- La prima cosa che ci avevano insegnato all' elementari. Facile. Gli altri rimasero sbigottiti, compreso lui. -I'm ten- Avevamo la stessa età, mitico! -Me too- risposi. Gli offrii la mano, che prese con dolcezza. -Are you italian?- mi chiese. Quella domanda l'avevo sentita tante volte, ma in un'altra lingua. -Yes, I am italian- Le nostre mani erano ancora legate insieme e le guardai. Lui fece lo stesso e fu il primo a staccarla. Guardai i jeans, e avevo il timore che cascassero giù, anche se quella paura l' avevo con chiunque che gli portasse. Le ragazze mi guardarono con invidia, compresa la mia migliore amica del condominio, e con un leggero sbavamento. I ragazzi erano affascinati o da me o dai suoi pantaloni, ma dopotutto li portavano anche loro così.Eravamo all' inizio dell'estate e i jeans erano quelli corti fino alle ginocchia, come i miei. Per il resto del pomeriggio lui giocò con i suoi nuovi amici del basket e io lo stavo a guardare, affascinata, seduta sulla panchina insieme a tutte le altre ragazze. Incominciarono a sudare e lui si sfilò la maglietta e noi rimanemmo sbigottite. Gli altri ragazzi lo imitarono. Così eravamo doppiamente sbigottite. La sera stava calando e noi avevamo tutti il permesso di stare fino alle nove, rispettando così anche il regolamento condominiale. Tornammo a casa insieme, io e Dave, perchè adesso si faceva chiamare così. Eravamo i più distanti rispetto al parco e così dovevamo fare molta strada. Lui non si era ancora messo la maglietta e ciò provocava ancora di più la mia eccittazione. Lo so che ero ancora piccola per queste cose, ma ero così, ero più matura rispetto agli altri. Per il resto del tragitto non volò una mosca e poco importava che eravamo di due lingue diverse, di due continenti diversi. Arrivammo al bivio che ci separava. Io sarei andata a destra, lui a sinistra. Mi sforzai di salutarlo. -Goodbye Dave-. Lui si girò di scatto, meravigliato. Non se lo aspettava, ma nello stesso istante lo voleva. -Goodbye Micol, goodnight- -Goodnight, Dave, goodnight- e prendemmo le nostre due strade. Arrivata a casa, cenai. Non avevo mai fame la sera, soprattutto di sera. Chiamai Kadmel, nonostante sapessi che erano le nove e mezza di sera, ma lei andava a dormire anche a mezzanotte. -Pronto?- rispose sua madre, -ciao, sono Micol, c'è Kadmel?- -ciao Micol, certo- e passò il telefono alla figlia. -Pronto?- -ciao Kadmel, sono Micol- -ciao Micky, che cosa volevi?- -lo sai che non mi piace quando mi chiami Micky! Pensa se io ti chiamassi Kad!- -a volte, Micky, sei veramente una pizza!-. Mi stavo innervosendo e lei sentì benissimo il mio ringhio di sottofondo. -Scusami Micol- e sottolineò bene il nome. Io iniziai. -Oggi è arrivato un nuovo ragazzo americano e si chiama David!.....- le raccontai per filo e per segno ciò che era successo con lui quel pomeriggio e la feci lunga, tanto che fui costretta a chiederle se si fosse addormentata ogni mezz'ora. Alla fine, dichiarai che avevo finito e che le sue pene erano terminate. -Bene, americano.....sexy....i miei preferiti. B'è, io penso che tu ti innamori troppo spesso! Insomma, da quando ti conosco, compreso asilo, hai sognato di sposarti con trentacinque ragazzi e hai già deciso i nomi dei vostri futuri figli! Insomma, mi sembra esagerato!- -non penso!- -dimmi una cosa, l' ultima perchè mia mamma sta sclerando, ma questo piccolo angelo americano dal petto d'oro ti piace veramente o è solo una cosa in stile "suona alla porta e scappa?"- -no, questo piccolo angelo americano mi piace davvero tanto tanto!- e ci mettemmo a ridere insieme. -'notte Kadmel- -'Notte Micky- e prima che potessi obbiettare o arrabbiarmi, lei aveva già riattacato. Il pigiama me lo ero già messo e mi concessi un' occhiata alla finestra, dietro alla tenda, per vedere nella camera di fronte. Le luci erano spente, segno che il mio piccolo angelo sognava già.... Bene, spero vi sia piaciuto almeno il primo capitolo! Ho già tutta la storia in testa e questa notte non riuscirò a dormire! Buona notte!

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Capitolo 2
*** Fraintendimenti ***


Scesi giù in cortile e me lo trovai di fronte. Stava giocando a fare i canestri insieme ad un amico di Luca, Mattia. Quest'ultimo fu il primo a vedermi e mi salutò. -Ciao- -ciao- risposi io. David si girò e mi sorrise. Sorrisi anch'io. -Ciao- ripeté, con uno strano accento. Americano. Risi. -Ciao Dave- dissi. Mi avvicinai, gli presi la palla dalle mani e feci canestro. -Canestro?- disse lui, e contemporaneamente chiese anche se la parola da lui pronunciata corrispondesse all' italiano e al momento. -Canestro- ripeté Mattia e rispose anche alla domanda sottintesa. Arrivò Martina. -Ciao Martina- salutammo noi, -ciao Dave!- salutò lei. Ahh! Con i ragazzi non ci sapeva proprio fare, era troppo giovane, me ne rendevo conto. -Marty, ti potrei parlare un secondino? Piccolo piccolo?-. Lei annuì. -Marty, questo non è il modo più adatto per dimostrare il tuo amore per lui!- -sei solo gelosa!- -di che?- -non lo so- disse e scoppiammo a ridere. -Non voglio che un ragazzino ci divida, ok? Per me è più importante l' amicizia!- questo perchè il mio secondo nome era diplomazia, ovvio. Dave aveva smesso di giocare e mi guardava stranamente. Lui non aveva capito, vero? Lui non capiva bene l' italiano, bene? Sbatté la palla a terra e se ne andò, ferito. Balbettai qualcosa, ma neanche io riuscii a capire che cosa. Lo rincorsi. -Dave!- esclamai. Lui si fermò di colpo, ma non si girò. -Dave, mi dispiace, non sapevo che tu avresti capito la mia lingua!-. Non si girò. Andai davanti a lui. -Dave, sorry- dissi, con il fiatone e lui se ne accorse. -Really?- -yes- risposi e continuammo a camminare, senza dire una parola. Compiemmo tutto il giro del condominio in silenzio e questo silenzio era imbarazzante, forse anche troppo. Se eravamo amici avremmo parlato, almeno avremmo cercato. Ma se eravamo qualcosa in più di semplici amici....Non volevo neanche pensarci! Avevo soltanto dieci anni, dieci miseri anni e anche lui. Non era possibile avere una relazione. Magari era in silenzio perché aveva paura di dire cavolate cercando di parlare nella mia lingua, ma conoscendolo non si sarebbe fermato. Strano, lo conoscevo soltanto da due giorni e già avevo una cotta per lui. Lui non ne aveva una per me, era assurdo! Avere una cotta per Micol, detta Micky! Compiemmo il giro del condominio per una seconda volta, una terza volta, una quarta volta....finché l' ora di pranzo arrivò e il regolamento condominiale ci disse di andare a casa. Lui indossava, come sempre, i jeans a vita molto bassa e vedere ciò che c'era sotto non mi sarebbe dispiaciuto per niente, ma così è la vita! Arrivammo al maledetto bivio che ci separava. Io a destra, lui a sinistra. Ci guardammo. -Bon apetit!- esclamai io, in francese, perchè in inglese non sapevo come si dicesse. Si mise a ridere. -Buon Appetito, Micol!- disse lui e mi sorprese ancora di più. Sorrisi e lui sorrise a me. Ci incamminammo lungo la strada e arrivammo a casa. -hai fame?- mi chiese mamma, mentre entravo in cucina. -Molta- risposi. Papà era andato al lavoro, mentre mamma era in ferie. -Ti ho preparato la pasta al pesto!- esclamò lei, come se si aspettasse un'emozione da me a sentire le parole "pasta al pesto". Sorrisi, fingendo entusiasmo. Ma si poteva essere davvero entusiasmati sentendo queste parole. I bambini poveri dell' africa sì, evidentemente. La mamma mi impose di fare i compiti ed ero molto distratta, così tanto che non mi accorsi neanche che la mamma era entrata in camera. -Tesoro, chi è questo tipo?- chiese e mi indicò le parole "il mio piccolo angelo americano". Mi guardò con sospetto. -Americano....- e prima che le potesse venire in mente qualsiasi cosa, ebbi il piano A. -Dobbiamo scrivere una storia, per compito, così questo è il mio titolo. Che te ne pare?-. L'occhiata sospettosa continuò, ma poi si addolcì di colpo. -E' bellissimo, tesoro, continua così!- e se ne andò. Con lo sbianchetto cancellai quelle parole senza senso per chiunque, tranne che per me. Alle quattro, finalmente, potei finalmente andare giù dal mio piccolo angelo americano dal petto d'oro e fui grata a Kadmel di avermi suggerito un soprannome così dolce e adeguato.

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Capitolo 3
*** Alla finestra.... ***


Restai una buona mezz'ora a pensare a cosa stesse sognando. Forse a me o forse ai suoi amici, o forse a niente. Quando mi accorsi che erano già le due di notte, mi infilai nelle lenzuola e cercai di addormentarmi, ma il tentativo sembrava invano. L' immagine di lui che giocava a basket mi ronzava nella mente e impediva ai miei occhi di chiudersi. All' improvviso, un bagliore leggero, proveniente dalla casa di fronte mi fece sussultare e mi alzai. Stavolta non mi nascosi dietro alle tende, ma davanti ad esse e lo vidi. Mi stava guardando con uno sguardo dolce e se avessi potuto baciarlo, lo avrei fatto, così glielo mandai baciando prima la mia mano e poi soffiando. Abbassò lo sguardo e capii che era imbarazzato. Da una finestra chiusa non si poteva fare molto e non potevo neanche aprirla, perchè avrei svegliato i miei genitori, così la tenni chiusa, nella speranza che qualche tocco fatato venisse in mio soccorso e ciò non avvenne. Ci sedemmo nello stesso istante e ci guardammo negli occhi. Non riuscivo a sbatterli, nonostante fosse istintivo farlo. Riuscii chiaramente a vedere che aldilà dei suoi bei occhioni azzurri c'era una parte rossa, segno che neanche lui era in grado di farlo. All' improvviso, i suoi occhi cedettero di colpo e cadde su un fianco e si addormentò, e ciò l' intuii perchè non si rialzò più. Rimasi a guardare la finestra vuota per pochi minuti, finché anche i miei occhi cedettero e caddi su un fianco anch'io. Mi sentii trascinare e capii che finalmente i sogni mi stavano avvolgendo. Vidi i suoi bei occhi azzurri mischiarsi con i miei verdi e fuori venne una tonalità al di fuori di quella che doveva venire fuori. Poi vidi il suo sorriso, tipico americano e desiderai non svegliarmi mai da quel sogno, ma la mamma era sempre la mamma e mi svegliò proprio sul più bello: il nostro bacio. Erano già le nove del mattino quando mi svegliai e mandai a quel paese mia madre. Non so perché, ma sembra che tutte le madri del mondo abbiano un potere speciale o una sensazione che le dice di svegliarci quando siamo sul più bello di un sogno, tipo il primo bacio o un ottimo voto a scuola. Si scusano dicendo cose tipo: -queste cose devono rimanere nei sogni e basta! Almeno prenderai un bel voto anche nella realtà!- e ovviamente quando si tratta di baci fra adolescenti non hanno nulla da dire e di solito lasciano parlare il padre. Mi vestii in bagno, perchè non volevo far vedere a quello che mi stava di fronte le mie parti "d'oro". Mi misi i miei pantaloni da ginnastica neri con sopra una maglietta bianca, molto aderente. Papà e mamma avevano già iniziato la colazione. -Era ora, dormigliona che non sei altro!- mi disse papà, scherzando. Cambiai discorso. -Avete sentito che è arrivata una famiglia americana?- chiesi e mi guardarono come se avessi chiesto quando morì Napoleone. -Sì, sì, i suoi genitori sono molto simpatici, nulla da dire! Hanno un figlio...come si chiama?- chiese la mamma a papà, -ehm....- papà fece finta di concentrarsi, perchè non gliene importava molto. -David- risposi io. Mi guardarono ancora, in stile "morte di Napoleone". -Lo avete conosciuto?- chiese papà e la sua occhiata era da rimprovero. Non solo, papà, non solo, pensai e meno male che non lo dissi. -Sì, è venuto a fare due tiri a canestro ieri, è bravo....- e bello. Papà si illuminò. -Vedi, Katia, questo è un bravo ragazzo! Campione di basket!- io avevo detto che era bravo solo per non vantarmi troppo, ma papà capii lo stesso. Mamma fece una smorfia. -Gli americani sono tutti uguali! Basket, baseball e donne!-. La mia idea sugli americani non l'avevo presa da lei, ma allora...Finì il mio té e decisi di scendere, tanto per incontrare il mio bellissimo angelo americano...

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Capitolo 4
*** Abbandono ***


Il giorno dopo, scesi giù in cortile e Dave non c'era. Mattia, Luca e Matteo mi guardavano delusi. -Micol, ti dovremo dire una cosa...- iniziò Mattia, ma non seppe continuare. -Dave se ne andato via stanotte- la fece finita Matteo. Sprofondai a terra dal dolore. Le ginocchia non mi reggevano più e io caddi a terra. I love you.... Erano passati cinque anni e non era ancora tornato. Avevo quindici anni e in questi anni passati senza di lui, non mi ero innamorata di nessun'altro ragazzo, soltanto di lui, il mio lui. Se ero interessata ad un ragazzo e questo sorrideva, nel suo sorriso vedevo il mio David. Non lo avevo detto a nessuno che mi ero innamorata di lui, soltanto a chi mi conosceva molto ma molto bene, tipo Kadmel, la mia amica del cuore. I miei genitori neanche a parlarne, guarda. Mia mamma capì qualcosa e un giorno bussò alla mia porta, entrò e mi vide nella mia depressione cronica da post-ginocchia che non reggono e fece la comprensiva. -Che cosa è successo, amore?-. Ehm...Bella, sono passati cinque anni suonati! -niente, davvero! Ho avuto una piccola discussione in classe con Kadmel, ma niente di serio, tranquilla- -uhm...va bene, fra poco è pronta la cena- mi disse e non mise più piede in camera mia per un bel po' di tempo, solo per spazzare e lavare i pavimenti, cosa che potevo fare benissimo anche da sola. Qualche giorno più tardi, qualcuno si trasferì nella casa di Dave e sarebbe rimasta per sempre sua. Feci un dolce e andai a bussare nella casa di fronte. Mi rispose una donna con suo marito. -Salve, abito qui di fronte, mi chiamo Micol. Benvenuti nel nostro quartiere!- dissi e l'entusiasmo era soltanto finto. Mi fecero entrare e chiesi il permesso di entrare nella stanza in cui Dave mi osservava di solito. Le federe c'erano ancora e anche il vecchio poster di....Shaquille O'Neal. -Non sono nostri, li abbiamo trovati qui- mi disse la signora e mi spaventai. -Scusa- -ehm, posso prenderli? So a chi appartengono e glieli posso restituire: sono di un mio vecchio amico- -certo, certo, prenditi anche tutto il letto se vuoi!- mi rispose la donna e capì ciò che io non volevo dire. Saggia donna. Li avrei conservati fino al giorno in cui ci saremo rivisti, ma sapevo che non sarebbe mai successo e così sprofondai nella mia depressione più totale. Il mio amore era lontano ormai, nascosto in una cosa chiamata America.

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Capitolo 5
*** Sopresa ***


Anno dopo anno, molti ragazzi mi venivano dietro, ma io non li degnavo di uno sguardo, neanche di striscio. Erano passati esattamente dieci anni dall'ultima volta che l'avevo visto, stesso mese, stesso giorno. e non sapevo come ero riuscita a sopravvivere. La vecchia famiglia che abitava lì nel suo palazzo si trasferì dopo due anni. Avevo vent'anni e avevo il desiderio di iniziare una nuova vita, ma senza dimenticarmelo. Ogni volta che guardavo la sua finestra consumata, i suoi occhi mi guardavano ansiosi, ma una sola goccia poteva rovinare tutto. Lui guardava il cielo, guardava me e poi spariva, senza lasciare traccia. La mamma, come tutte penso, cercava sempre di entrare nel mondo dei giovani e diceva cose imbarazzanti tipo:- Ti stimo, sorella!- o -Come butta?-. Anche le vostre fanno così, vero? Io cercavo di spiegarle che non ero più la persona da: "Come butta?", ma era come parlare ad un asino con i paraorecchi! Ormai andavo all' università e tutti i miei vecchi amici si erano già sposati, come Mattia e Luca, purtroppo, invece Matteo era fidanzato. Kadmel aveva sposato un giocatore di basket nazionale, non proprio famoso come Tim Duncan, ma quasi. Ero felice per lei. Un giorno, andai a vedere come mio solito la sua finestra e le luci erano accese, anche se erano le nove e mezzo. Mi misi dei pantaloni da ginnastica neri per uscire, visto che ero rimasta a casa, e una maglietta bianca. Indossai le mie vecchie scarpe da ginnastica e preparai un dolce per i nuovi arrivati. Un dolce al cacao e alla panna. Un' ora dopo, con tutti i miei disastri, la torta venne, fortunatamente, e fui pronta per andare. Controllai che non avessi farina in testa o in faccia. Bussai tre volte e aspettai che qualcuno mi venisse ad aprire. Quando la porta fu aperta, guardai il mio dolce. -Salve, mi chiamo Micol e benvenuto....- -Micol....- disse una voce. Ah, Giulia! Vedi che cosa ti ho preparato! Baci

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Capitolo 6
*** Finalmente insieme ***


-Micol...- sentii dire da quello che mi stava davanti. Alzai gli occhi. Oh Mio Dio. Dave. Stava in una maglietta bianca e in un paio di jeans blu. -David- -Micol- e mi fece entrare. Chiuse la porta dietro di me, prese il piatto e lo buttò sul tavolo. Meno male che non era in ceramica. Lo guardai storto. Lui mi mise una mano fra i capelli e si avvicinò. La mia mano io la misi sul suo fianco destro. Non volendo aspettare, lo baciai. Ci buttammo sul divano dietro di noi. Probabilmente aveva già perso la verginità a diciasette anni e la sua fidanzata era nascosta in camera e questo era solo un saluto per i dieci anni felici che aveva trascorso senza di me, tipico....La fidanzata era nascosta sotto il letto, come sempre, come si vede nei film americani. Anni felici o no, comunque il mio nome se lo ricordava e non lo avevo scritto neanche sulla maglietta, strano, strano....Un momento! Se gli americani hanno una memoria probabilmente anche un cervello, yuppi! Che bello! Mi sbottonò la camicietta, ma non me la tolse e intanto mi accarezzava la pancia e il collo. Le mie mani le tenevo dietro al suo collo, in attesa che mi desse i ringraziamenti e che mi mandasse via. T-I-P-I-C-O-! Smise di baciarmi, come avevo previsto. I suoi occhi azzurri, quelli di sempre, non avevano smesso di fissare i miei verdi e dentro di essi, vedevo la sincerità e la felicità. -Non sai quanto mi sei mancata, Micol, non ne hai idea...- mi disse e mi baciò la fronte. Aveva imparato l' italiano, meno male. -Vedo che hai imparato l' italiano- e scoppiai a ridere. Lui mi guardò male. -Dopo dieci anni che non ci vediamo, e dico dieci anni, l' unica cosa che mi dici è questa?-. Smisi di sorridere. -Io, David.....non so come ho fatto a sopravvivere senza di te...- e smise di guardarmi male e mi guardò con uno sguardo dolce. -Neanche io- mi disse e restammo a guardarci negli occhi per qualche istante, che potevano anche essere ore o soltanto minuti. -Allora, dì un po', con quanti ragazzi sei stata?- disse e cercò di fare il contento. -Nessuno, ogni ragazzo....- e continuammo insieme,- mi ricordava te- dissi e fui sopresa. Niente ragazze? La verginità era ancora lì al suo posto? -Io ti devo delle scuse, Dave, pensavo che la verginità fosse soltanto un lontano ricordo per te- e non mi guardò male come mi aspettavo. -Va bene che sono bello, ma non c'è bisogno di pensare certe cose...- mi disse. -Perché ve ne siete andati?- -mio padre venne ritrasferito in america e per lui l'amore fra ragazzi di dieci anni non significa nulla- -lo hai detto a tuo padre?- ed ero sbalordita. -Tu no? La cosa non mi sorprende: voi donne siete più riservate rispetto agli uomini- mi rispose. -che cosa studi?- mi chiese, -Legge e tu?- -Anch'io- mi rispose e passammo il resto della nostra vita in quell'appartamento, finché morte non ci separi.

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Capitolo 7
*** I love you ***


Quando scesi giù, la situazione era la stessa di quella mattina. Lui che giocava a basket. Quando si accorse di me, le sue guancie si erano leggermente arrossate, ma non capii il perché. Cominciarono ad arrivare anche gli altri ragazzi. Chiesero la nostra attenzione e noi obbedimmo. Luca era il portavoce. -Benissimo, anche quest'anno abbiamo deciso di fare una gita al mare!- gli esulti dei ragazzi erano molto rumorosi. Tutti guardarono Dave. -Dave, tu sei dei nostri?- chiese Luca, per una volta dolce e rispettoso. Dave guardò me. -Ci vengo anch'io- e sinceramente non capii se aveva capito o no. Dave mostrò un sorriso smagliante a tutti ed annuì. Le ragazze erano eccittate e lo ero anch'io. Ai ragazzi faceva piacere, perchè avevano un compagno di giochi nuovo. Dovete sapere, che Luca, Mattia e Matteo non sono molto più grandi di noi. Luca ne ha undici, ma gli altri due dieci, come noi. Il giorno dopo, i genitori di Dave, Rachel e Matt, si erano messi d'accordo con i miei, ma i miei genitori non volevano che salissi sulla loro Volvo, così fui costretta ad accontentarmi dell' insulsa Opel che avevamo. Per raggiungere il mare ce ne voleva di tempo, ma alla fine arrivammo e io e Dave potemmo divertirci insieme. L' acqua era molto piacevole, ma prima dovevano spalmarci sopra quelle insulse creme solari numero 50. I ragazzi entrarono in acqua, insieme alle ragazze, mentre io e Dave restavamo sul bagnasciuga. Io avevo il costume da bagno intero, ma sopra portavo una maglietta bianca. Non mi piaceva farmi vedere in costume. Lui, invece, aveva quel costume da bagno a mo' di pantaloncini fino al ginocchio blu con i fiori e più o meno ce lo avevano tutti i ragazzi. Passeggiavamo sulla spiaggia, senza allontanarci troppo dai nostri genitori. Ad un certo punto, mi fermò. Si chinò e con un dito scrisse qualcosa nella sabbia. "I love you". Ti amo. Volevo scrivere Me too, ma stava arrivando mia madre, così fotografai quella scritta bellissima e la cancellai. -Ciao Dave. Micol, mi serve la macchina fotografica- mi disse e gliela passai. -Grazie- disse. E se avesse visto la foto? No, non l'avrebbe mai vista! O anche se sarebbe successo, avrebbe creduto che era uno dei miei lavoretti artistici, visto che amavo la spiaggia appunto per questo. Rimasti soli, Dave mi sorrise imbarazzato e io ricambiai, con lo stesso stato d'animo. Io glielo avevo già dimostrato. Ci sedemmo e segretamente ci tenevamo la mano. Fui io a prendere la sua, per essere certa che capisse che lo amavo e al nostro secondo contatto, ci fu una scossa. Tipico negli amori, no?Restammo zitti, finché il sole lasciò il posto alla luna e noi ce ne andammo a casa. Mentre ero in macchina, pensai che eravamo rimasti mano nella mano tutto il pomeriggio, come due statuine. Mi addormentai addirittura prima di arrivare a casa. Sognai solamente una cosa: I love you scritto sulla sabbia.

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