Festa d'inverno

di Ellery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01/12 - Il maglione ***
Capitolo 2: *** 02/12 - Pupazzetti di neve ***
Capitolo 3: *** 03/12 - Lo slittino ***
Capitolo 4: *** 04/12 - Sciogliersi ***
Capitolo 5: *** 05/12 - Gioco ***
Capitolo 6: *** 06/12 - Vischio ***
Capitolo 7: *** 07/12 - Puntale ***
Capitolo 8: *** 08/12 - Vischio, secondo atto ***
Capitolo 9: *** 09/12 - Ninnananna ***
Capitolo 10: *** 10/12 - Influenza ***
Capitolo 11: *** 11/12 - Biscotti rubati ***
Capitolo 12: *** 12/12 - Giornata storta ***
Capitolo 13: *** 13/12 - Casa ***
Capitolo 14: *** 14/12 - Davanti al caminetto ***
Capitolo 15: *** 15/12 - Promessa ***



Capitolo 1
*** 01/12 - Il maglione ***




01/12 – Maglione
 

Levi scosse la scatola di alluminio, ascoltando il desolante tintinnio. Era consapevole di non avere molti risparmi da parte. La paga da capitano della Legione Esplorativa non era un granché e negli ultimi mesi aveva esagerato un po’ con l’acquisto di the. Inoltre, una quota era stata investita nei fondi per le future spedizioni: i finanziatori scarseggiavano, ne era consapevole. Aveva accompagnato più volte Erwin a quegli assurdi ricevimenti nella speranza che qualche giovane ed ambizioso aristocratico elargisse sovvenzioni in favore del Corpo di Ricerca, ma… in realtà, i nobili rampolli preferivano spendere soldi per corteggiare graziose dame che, tuttavia, mantenevano gli occhi puntati più sul comandante Smith che sui loro pretendenti. Odiava quelle stupide sere di gala: i partecipanti lo fissavano di continuo, quasi fosse una curiosa bestia ammaestrata. Non era un po’ basso, per essere il “Soldato più forte”? Forse anche un po’ giovane: aveva già raggiunto la maggiore età? I genitori erano contenti della scelta del figlio di servire nella Legione?

Scosse il capo, cercando di allontanare quei fastidiosi pensieri. Alla Festa d’Inverno mancavano soltanto ventiquattro giorni e lui non aveva preparato nemmeno un regalo. Era usanza che ci si scambiasse doni, durante il pranzo, per testimoniare l’affetto alle persone più care. L’anno scorso, aveva cucinato dei biscotti per tutti, racchiudendoli in graziosi sacchettini di raso rosso. Quest’anno, tuttavia, era a corto di idee: pensava di comprare ad Hanji un set di provette nuove; ai ragazzi della sua squadra? Magari delle tortine alle nocciole. Ne avrebbe preparate un paio per ciascuno e, senza dubbio, avrebbe fatto lo stesso per Nanaba. Mike… beh, lui non meritava né dolci, né regali! Quanto a Erwin…

Sospirò, armeggiando con il coperchio di latta dell’improvvisato salvadanaio. Scorse nella scatola soltanto una manciata di monete.

«Non bastano per molto» sussurrò, mentre un deciso bussare distoglieva la sua attenzione.

«Levi! Sono io» la voce squillante del caposquadra Zoe si fece sentire.

«Entra pure»

«Non scendi a pranzo?» la donna fece capolino oltre l’uscio, con un sorriso scintillante che, tuttavia, si spense poco dopo «Che c’è? Qualcosa non va?»

«No... tutto bene»

«Sembri giù. Più giù del solito, intendo»

«Stavo pensando al regalo per Erwin, ma… credo di non disporre d’abbastanza fondi» piegò le labbra in una smorfia amara.

«Anche io sono in alto mare con i regali, ma contavo di fare un giro al mercato, domani. Vuoi accompagnarmi? Magari compriamo qualcosa»

Come idea non era affatto malvagia. Mimò un cenno d’assenso; forse, tra le bancarelle avrebbe trovato qualcosa di economico e grazioso. Magari una sciarpa o un paio di guanti nuovi. Oppure qualche set da the, che… No! Basta the. Si sarebbe impegnato ed avrebbe trovato un regalo adatto ad Erwin!
 

***
 

Il mercato del quartiere si sviluppava lungo una corta via, con le bancarelle a ridosso dei muri delle case. Nonostante fossero soltanto le nove di mattina, la strada era già gremita di persone: per lo più, si trattava di anziani mattinieri, sgattaiolati fuori dal letto in cerca di offerte e prodotti di buona qualità; semplici casalinghe o bottegai intenti ad accaparrarsi le migliori materie prime. Un profumo dolciastro correva tra gli ambulanti, intenti a rosolare caldarroste e frittelle coperte di miele.

Levi si strinse nel mantello verde, allacciandolo attorno al collo. Nonostante il sole fosse alto, un vento freddo spazzava il centro del distretto, trasportando il sentore di una prossima nevicata.

«Tu per chi stai cercando?» domandò, spezzando uno dei rari momenti di silenzio di Hanji.

«Moblit. Volevo prendergli qualcosa di carino, ma non so decidermi. Ho pensato a uno di quei cosi che si mettono sulle orecchie»

«Ne sarà felice. Quello lo vorrei anche io, quando sono in tua compagnia» sbuffò piano, con una lieve punta di ironia che la donna non parve cogliere «Beh, possiamo guardare lì» indicò un banchetto ben assortito «Sembra venda indumenti di lana»

Piegarono a sinistra, accostandosi alla bancarella; una signora corpulenta li accolse, spalancando le braccia avvolte da uno spesso scialle:
«Benvenuti! Posso esservi d’aiuto?»

«No, volevamo solo curios…» le sue parole furono coperte dalla voce squillante del caposquadra Zoe.

«Sì, naturalmente! Stiamo cercando dei regali per la Festa d’Inverno.»

«Oh, fantastico. Per i vostri figli?» chiocciò la venditrice.

Levi sgranò gli occhi, montando una smorfia esterrefatta:
«Che? Non siamo mica sposati!» soffiò, con una nota nervosa «E non la sposerei nemmeno se fosse l’ultima donna delle mura!»

«Perché no? Mi sembra una ragazza carina e simpatica» la venditrice non voleva proprio saperne di farsi gli affari propri, evidentemente.

«Chiacchiera troppo ed è disordinata» tagliò corto, scivolando di lato per poter osservare la merce.

Vi era di tutto: dai paraorecchie colorati – Hanji ne stava giusto esaminando un paio azzurri con dei fiocchi di neve ricamati – alle morbide sciarpe ed ai guanti caldi. Vi era anche una pila di maglioni colorati, che subito attirò la sua attenzione. Il prezzo, scribacchiato su un cartoncino, era onesto e, soprattutto, alla sua portata. Allungò le dita, sfiorando la superficie del primo pullover: la lana era soffice e piacevole. Alcuni fili si intrecciavano nell’aria del mattino, come il manto di un gatto gonfio. Un acceso porpora tingeva le maniche, sfumando in una tonalità leggermente più chiara lungo il petto e la schiena. Sul davanti, le fibre si annodavano a creare il disegno di un pupazzo di neve, dove l’arancione della carota spiccava sul fondo bianco.

«Ti piace?» la voce della commessa lo costrinse a mimare un cenno d’assenso.
Sì, gli andava a genio. Era un regalo semplice, ma simpatico e, soprattutto, che ad Erwin sarebbe piaciuto. Il comandante era esattamente il tipo da assurdi maglioni invernali: più erano strani, con figure e ghirigori, più gli piacevano. Naturalmente, erano in pochi ad aver visto Erwin in abiti civili; e ancora meno coloro che lo avevano scorto indossare stramberie simili. Lui era tra i fortunati: riusciva quasi ad immaginarlo nel grande e silenzioso studio, acciambellato vicino al camino con indosso quel maglione ed un corposo libro tra le mani. Era una immagine strana, troppo pacifica per appartenere al reattivo comandante della Legione Esplorativa; eppure, sotto la facciata marmorea si nascondeva un animo molto più semplice, ancora capace di apprezzare quei piccoli gesti; una parte che, probabilmente, non era mai cresciuta: era rimasta infantile e frivola, come quella di un bambino strappato troppo rapidamente all’infanzia.

Le labbra sottili si incresparono in un accenno di sorriso, troppo debole e delicato per poter essere raccolto:
«Me lo puoi incartare?»
 

 

Angolino: buonsalve! Mi sono imbattuta in una challenge molto carina, nel gruppo "Il giardino di efp": ogni giorno verranno pubblicati dei prompt, come un calendario dell'avvento *_* ho deciso di tentare, giusto perché mi mancava qualcosa da scrivere sul Natale XD
Mi sforzerò di non cadere nell'AU che tanto amo, a questo giro: mi piacerebbe che la raccolta fosse tutta improntata nel mondo di snk, se possibile. E, già che ci sono, ne approfitto per muovere un po' la mia OTP XD ogni volta che mi metto a scrivere eruri, sfocio sempre in qualcosa d'altro (anche quando parto con le migliori intenzioni, non riesco quasi mai ad arrivare al nocciolo della questione, uff...). Lo so che scrivo praticamente sempre e solo di loro, ma... mi piacciono e mi divertono ^^ sono un caso disperato, temo.
Il prompt di oggi, come avrete intuito, era "maglione". Spero di riuscire a fare tutti i prompt, se non con le one-shot, almeno con drabble e flash-fic. Mi piacerebbe davvero riuscire a sviluppare una ff ogni giorno, seguendo il calendario, anche se temo che finirò comunque in ritardo ç_ç
Va beh, tentar non nuoce.
Vi ringrazio per aver letto sin qui e, al solito, se avete consigli e pareri mandatemeli pure *_*
Un grazie, inoltre, alle ideatrici della challenge: è una idea bellissima e spero che in molti parteciperanno.
Un abbraccio

E'ry

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Capitolo 2
*** 02/12 - Pupazzetti di neve ***




02/12 – Pupazzetti di neve


Levi scivolò oltre la soglia della caserma, avvolgendo una pesante sciarpa attorno al collo e calandosi un berretto in testa. Il sole non si era fatto vedere per tutto il giorno, lasciando spazio alle nubi che, sin dal mattino, avevano lasciato cadere abbondanti fiocchi gelati. Il cortile era interamente ricoperto da un manto di soffice neve, in cui gli stivali affondavano sino a metà del polpaccio.

Avanzò cautamente, ben attento a non rompere il silenzio calato sul distretto: ogni rumore giungeva come ovattato, mentre una surreale calma si era impossessata del quartier generale del Corpo di Ricerca. Lungo il muro di cinta, alcune vedette camminavano su e giù per scaldarsi, mentre accanto al cancello due sentinelle pestavano i piedi per scacciare il gelo.

Sollevò lo sguardo al cielo ormai nero da cui, tuttavia, scendeva ancora del nevischio, che andava depositandosi sui tetti, sui rami degli alberi vicini, sui cadetti ancora intenti a spalare i vialetti.

Mosse un paio di passi, fermandosi quasi subito: un’ombra stava accovacciata nel centro del piazzale. La osservò qualche attimo: delle ciocche ramate sporgevano dal cappuccio verde bottiglia, mentre le spalle erano coperte per metà da un foulard di lana pesante. Gli occhi ambrati erano fissi su un cumulo di neve, che le mani – coperte da anonimi guanti neri – stavano modellando.

«Petra» sussurrò, avvicinandosi alla giovane «Che stai facendo?»

Spiò attentamente le palline adagiate tra la neve, una sopra all’altra e disposte su tre file ordinate. Ventuno piccoli omini di neve, alti una trentina di centimetri, impettiti davanti a tre altre figure: la più grande era posizionata al centro ed aveva un curioso assortimento di paglia sul capo; gli steli gialli erano stati intrecciati ed adagiati a mimare dei capelli, mentre una coppia di sassolini dipinti d’azzurro spiccava sull’improvvisato volto. A sinistra, l’immagine di una donna con un paio di vistosi occhiali, ricavati con dello spago. L’acconciatura disordinata era riprodotta con il medesimo materiale. Poco oltre, un terzo pupazzetto, più basso dei precedenti: i fili tinti di nero scendevano lungo i lati del viso, dove un’espressione imbronciata era stata disegnata con dei sottili ramoscelli. I tre protagonisti erano avvolti in improvvisate cappe, ottenute da larghe foglie cadute al suolo.

Anche gli altri omini di neve avevano delle sembianze familiari: una donna dai corti capelli chiari giaceva al fianco di un giovane alto, con lo spago color nocciola ed un prominente naso ricavato da un quarto di patata. Più in là, Petra si era ritratta con delle bucce di carota in testa, accompagnata da altri tre compagni impettiti. Il più vicino ritraeva un ragazzo con una cravattina di pergamena.
Nella fila successiva, altri visi conosciuti.

Non riuscì a reprimere un mezzo sorriso:
«Sono io?» domandò, indicando il pupazzo accanto a quello del comandante. Mosse il dito a sinistra «Questo è Erwin e questa è Hanji»

«Esatto» sentì la cadetta ridacchiare «Poi ci sono io, con Auruo, Erd e Gunther. Mike sta vicino a Nanaba e… questi sono tutti gli altri: Janet con il suo gatto, Ludwig intento a tenere Lizzy per mano. Paul e John stanno chiacchierando e Thomas sogna fette di torta»

«Carini.» sussurrò, accovacciandosi a propria volta. Prese della neve tra le mani, ignorando l’umidità colare tra le fibre di lana «Posso aiutarti?»

«Certo! Mi mancano ancora un po’ di persone…»

«Il cuoco?»

«Quello manca! Sugerirei di farlo con due palline, corpulento. Possiamo usare una foglia come grembiule»

Era strano l’entusiasmo che Petra riusciva a mettere in quei semplici gesti: era una idea sciocca, estremamente semplice, eppure persino impastare sferette di neve poteva risultare divertente. Ogni pallina prendeva forma lentamente, mentre le dita levigavano i bordi ed il freddo univa i dettagli.

Squadrò sottecchi il volto della giovane: in fondo alle iridi ambrate si potevano ancora scorgere i retaggi di una adolescenza appena terminata. Quegli occhi avevano già conosciuto la paura e il dolore, eppure non si erano spenti: al contrario, mantenevano inalterata la loro vitalità e spensieratezza. Era delicato, quel regalo che stavano costruendo: un piccolo schieramento di omini più simile ad una famiglia, che ad un vero e proprio esercito.

Posò una pallina a terra, immediatamente modellandone un'altra, mentre un solo quesito gli frullava per la testa:
«Perché?» chiese, all'improvviso.

«Perché cosa, capitano?» la voce di Petra conteneva una sfumatura perplessa, come se non concepisse quel semplice dubbio.

«Perché ti sei messa a costruire una Legione di pupazzi di neve?»

«Oh, beh... stavo smontando dal turno di guardia e mi sono fermata ad osservare il paesaggio. È strano vedere la caserma così imbiancata. Ho pensato che sarebbe stato carino abbellirla con dei pupazzi di neve» una scrollata di spalle, come se non fosse importante. Il tono si abbassò poco dopo, diventando sottile come se recasse un segreto: «Oggi, mentre uscivo dal refettorio, ho incrociato il comandante. Mi è parso stranamente giù di morale. Era... triste, immagino. Non ho osato chiedere per cosa, ma la sua voce sembrava malinconica e distaccata. Mi ha salutato con la solita cortesia, naturalmente, ma si vedeva che qualcosa non era andato per il verso giusto»

Levi annuì, sbuffando nell'aria il fiato caldo:
«I fondi per le ricerche di Hanji sono stati annullati e credo non ve ne saranno fino a primavera. Ultimamente, non riceviamo molte sovvenzioni ed Erwin teme che possano votare per lo scioglimento del Corpo di Ricerca. Non ha ancora dato ad Hanji la brutta notizia, ma credo stia temporeggiando per vedere se riesce a trovare dei nuovi finanziatori» snocciolò, tornando a squadrare la minuta formazione «Lo hai fatto per lui?»

Un assenso:
«Sì. Le finestre del suo ufficio puntano proprio in questa direzione.»

«Pensi che lo vedrà domani, quando le aprirà?»

«Lo spero.»

«Credi che sarà d'umore migliore?»

«Non lo so» gli indicò nuovamente i pupazzetti gelati «Ma spero lo aiutino a ritrovare un briciolo di serenità. È un regalo sciocco, lo so… ma spero si accorga che siamo tutti qui con lui» una mano spaziò sugli omini «E che crediamo in quello che fa»

Levi si alzò, battendo le mani per allontanare le tracce di neve. Lanciò un solo cenno di saluto, tornando sui propri passi, in direzione dell'ingresso principale. Non fece che pochi metri, tuttavia: le sue gambe si arrestarono quasi involontariamente, mentre lo sguardo tornava a scivolare sulla figura ancora accucciata. Le labbra si mossero istintivamente:

«Petra...» chiamò piano, prima che un lieve sorriso si formasse agli angoli della bocca «Grazie»
 

 

Angolino: 'sera! Prosegue il calendario dell'avvento sul gruppo "Il giardino di EFP" e, di conseguenza, lascio la seconda ff. Tra i prompt di oggi c'era una fotografia carinissima, con dei pupazzetti di neve in cerchio e... niente, mi piaceva troppo.
Al solito, vi ringrazio se avete letto fin qui e spero che la storia vi sia piaciuta.
Un mega grazie a Shige per tutto <3
A presto

E'ry

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Capitolo 3
*** 03/12 - Lo slittino ***



03/12 - Lo slittino


Hanji appoggiò il martello, soddisfatta:
«Al mio tre lo giriamo» disse, infilando le mani sotto ai pattini di legno e spiando Nanaba, che le regalò un cenno d'assenso «Uno, due... tre!»

Ruotarono insieme lo slittino, appoggiandolo sul suolo ruvido dell'officina.

Si erano imbattute in quell'oggetto quasi per caso: Levi si era lamentato del disordine dell'intera caserma ed aveva assegnato turni di pulizie un po' a tutti. Non aveva risparmiato neppure il comandante – cacciato a pulire il proprio ufficio – mentre a loro due era toccata la rimessa. Frugando tra le vecchie cose, avevano incontrato uno slittino: appariva malmesso, con la vernice scrostata ed alcune schegge di legno che sbucavano dalle doghe del sedile. Il primo pensiero era stato di catalogarlo come spazzatura o ridurlo in pezzi per avere nuova legna da ardere, ma poi l'idea di una rapida ristrutturazione aveva preso il sopravvento. Forse si poteva ancora utilizzare: lo avevano trascinato nella vicina officina, scomodando il fabbro e relegandolo in un cantuccio; in fondo, per affilare le lame delle spade non occorreva una stanza intera. Viceversa, a loro servivano chiodi, martelli e qualche raspa per poter limare i pattini.

Avevano lavorato incessantemente tutto il giorno, fermandosi solo per pranzare e cenare. Finalmente, dopo tante ore, lo slittino era pronto! Lo avevano rimesso a nuovo: la vernice porpora donava un tocco di vitalità, mentre i pattini erano stati levigati; avevano inchiodato le assi del seggiolino, limando le schegge per evitare d'essere punte.

«Non vedo l'ora di provarlo!» Nanaba gettò una occhiata fuori dalla finestra: aveva appena smesso di nevicare e le nubi stavano lasciando posto al cielo stellato, sospinte da un vento gelido «Pensi che domani ci sarà bel tempo?»

«Lo spero! Stavo pensando che potremmo recarci oltre il distretto, nei territori interni del Wall Rose. Dopo il villaggio di Calais, il terreno si solleva in delle basse collinette. Potremmo sfruttarle per testare lo slittino. In alternativa, potremmo usufruire delle scale del primo piano»
«Mh, non credo che Erwin apprezzerebbe l'idea. Immagino che all'esterno sia meglio»

«D’accordo. Domani andremo a Calais! Pronte dopo colazione?»

Nanaba mosse la destra, in un rapido cenno di saluto:
«Perfetto! Non mancherò!»
 

***
 

Avevano raggiunto Calais in tarda mattinata, superandola senza difficoltà. I sentieri principali erano stati spalati e ripuliti, così da agevolare la circolazione. Una volta sorpassato il paese, però, la neve era tornata prepotentemente ad invadere le strade. I cavalli avevano iniziato ad arrancare, spostando a fatica gli zoccoli. Avevano, quindi, risolto lasciando i destrieri in custodia ad una locanda e proseguendo a piedi: le colline si stagliavano vicine, a meno di mezzo miglio. Erano piuttosto basse, con pendii dolci che si alternavano a discese più ripide. Il manto candido copriva interamente la zona, soffice e scintillante alla luce di un pallido sole invernale. La temperatura, seppure meno rigida del giorno precedente, sfiorava senza dubbio lo zero.

«Ci siamo!» Hanji squittì, inerpicandosi sull’ultimo tratto di una collinetta, raggiungendo in poco la vetta. Batté le mani coperte da spessi guanti colorati; le righe rosa stonavano con quelle bianche e blu della spessa sciarpa. Non aveva rinunciato alla divisa, naturalmente, ma un doppio paio di calzettoni le avvolgeva i piedi, ben nascosti dagli alti stivali. Si sistemò gli occhiali protettivi sul volto, accantonando quelli da vista.

Nanaba la raggiunse poco dopo, studiando il percorso: se fossero scese da quel versante, avrebbero dovuto deviare bruscamente a destra, per non rischiare di finire in un fitto boschetto. Da lì, una doppia curva, una serie di cunette e poi nuovamente una discesa, al cui termine si intravedeva un laghetto ghiacciato.

«Di quaì?» chiese la compagna, indicandole il tracciato. Anche lei aveva optato per qualcosa di caldo, oltre al mantello: la sciarpa, i guanti e il berretto, però, erano tutti di un acceso color carota «Ehi, Moblit! Sicuro di farcela?»

Il giovane si limitò ad annuire, arrancando sul pendio innevato. A tratti, uno sbuffo si condesava nell’aria, segno inequivocabile di fatica. Si era caricato lo slittino sulle spalle e, quasi fosse una vecchia tartaruga, lo stava trascinando verso la sommità.

«Avanti, avanti!» Hanji recuperò immediatamente lo slittino dalle mani del suo aiutante, poggiandolo a terra. Lo accostò al crinale della collina, chinandosi per calcolare la giusta traiettoria di discesa «Se partiamo da qui, avremo maggiori possibilità di deviare in curva. Dobbiamo solo essere coordinate e piegarci contemporaneamente. Il resto dovrebbe essere semplice» si mise a cavalcioni della slitta, puntando gli stivali a terra.

«Bene… e per il laghetto gelato?»

«Lo salteremo! Se prendiamo abbastanza velocità prima della seconda cunetta, dovremmo farcela»

Colse Nanaba sedersi alle sue spalle ed accerchiarle i fianchi.

«Caposquadra…»

Non riuscì a celare uno sbuffo: ecco, il grillo parlante! La prudenza formato persona; la coscienza pronta a farla desistere da qualunque intento suicida.

«Che c’è?» volse lo sguardo verso Moblit che, al solito, montava un’espressione preoccupata.

«Non credo sia una buona idea…»

«Niente di quello che faccio ti sembra “una buona idea”! Vogliamo solo divertirci un po’»

«Potrebbe essere pericoloso»

«Non dire scemenze, cosa vuoi che ci succeda? C’è neve ovunque, nessun titano all’orizzonte ed il percorso è una semplicissima discesa con qualche ostacolino da poco conto. Non ci accadrà niente»

«Potreste schiantarvi contro un albero…»

«Assurdo!»

«O cadere nel laghetto»

«Che fesserie!»

«Dovreste fare attenzione a…»

«Oh, piantala di fare il mollusco!» strinse saldamente la corda legata alla punta dello slittino, come fossero redini improvvisate.

«Un mollusco? Cosa sarebbe?»

«Che ne so! L’ho letto in uno dei libri di Erwin. Credo sia…» mimò con le mani una forma allungata, facendo combaciare la punta delle dita «Un pesce molliccio coi tentacolini. In ogni caso, non deve essere una cosa molto graziosa da vedere; e niente di troppo coraggioso. Ora spostati! Aria!»

«Grazie, Caposquadra. Siete sempre illuminante»

«Prego, non c’è di che» si allacciò meglio la sciarpa attorno al collo, prima di darsi una decisa spinta con i piedi.

Lo slittino si inclinò in avanti, piegandosi sul bordo del crinale; un leggero dondolio, poco prima che la discesa lo rapisse. Hanji colse l’aria farsi più fredda e rapida, mentre la brezza le sfiorava viso ed i capelli. Sentì le mani di Nanaba serrarsi maggiormente sui propri fianchi, ma non ci fece caso. Le labbra si piegarono in un sorriso divertito, mentre ogni preoccupazione veniva lasciata alle spalle. Si consegnò in un istante alla spensieratezza di quei momenti, alla volontà di non pensare, di dimenticare i problemi: i giganti, la guerra, la mancanza di fondi… tutto si annullava davanti alla semplicità di quei momenti. Era così sottile, il confine della felicità: poteva essere raggiunto in un attimo, semplicemente scivolando lungo un pedio innevato con una amica, le cui risate le martellavano nelle orecchie. Persino l’espressione imbronciata di Moblit scomparve in un attimo e le sue urla si confusero in un’eco lontana.

Serrò le mani sulla corda, piegandosi immediatamente a destra. Tirò con forza, sino al protestare dei muscoli, mentre Nanaba seguiva il suo stesso esempio. Si inclinarono contemporaneamente e lo slittino sterzò bruscamente, sollevando uno spruzzo candido. Superarono il bosco di conifere, più simile ad una indistinta macchia bruna, mentre la corsa proseguiva. Il profumo dell’avventura si mescolò a quello del gelo, arrivando a pungerle la punta del naso ogni volta che la sciarpa le scivolava dal volto.

Era come un canto lontano quello del vento che le accompagnava, mescolato al sole che riluceva alto, ormai, su tutto il cammino. Un’altra curva e una ancora, mentre lo scivolare dei pattini sollevava spruzzi di neve che, inevitabilmente, ricadevano sul cuoio scuro degli stivali, arrivando a bagnare la stoffa dei pantaloni.

Rise, incapace di trattenersi oltre: forse non servivano delle ali, per sentirsi liberi; forse, bastava soltanto uno slittino.

«Curva!» la voce di Nanaba la riscosse appena in tempo. Piegò nuovamente a dritta e la slitta seguì quel brusco movimento.

«Cunette in arrivo!» rispose, curvando la schiena e serrando le dita sulle doghe, cercando maggiore stabilità.

Investirono il primo dosso a tutta velocità. Colse i pattini staccarsi dal suolo, in un balzo; lo slittino attutì il colpo: atterrò deciso sulla pista, seguitando nella sua sfrenata corsa. Un altro dosso e poi una lunga discesa.

Hanji si voltò verso l’amica:
«Piegati! Prendiamo velocità e cerchiamo di superare il laghetto»

«Sicura? Non so se ce la faremo…»

«Già, ma è questo il bello!» replicò, chinandosi in avanti il più possibile. Percepì la slitta fremere sotto le sue dita, tremare davanti alla velocità in aumento: avrebbe retto l’atterraggio? Non lo sapeva, ma doveva comunque tentare. Rischiare fino alla fine, spiccare quell’ultimo salto e superare l’acquitrino, dimostrare a quel brontolone di Moblit che aveva torto! Che la sua non era l’ennesima mossa azzardata, ma un percorso ben ponderato e perfettamente sicuro. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla capitolare davanti ad uno stupido stagno.

«Arriv…» le sue parole furono interrotte dalla discesa, che investì quell’avvertimento nello sfrecciare rapido dell’aria. La slitta scivolò lesta, impossibile da frenare, mentre i pattini vibravano con maggiore intensità. Ancora qualche metro e poi…

Hanji si sentì sbalzare in avanti, quando i pattini colpirono un dosso ben nascosto. Maledizione! Aveva fatto male i suoi calcoli: non si era accorta di quella stupida sporgenza a metà percorso. Colse la fune sfuggirle dalle mani, mentre la slitta si ribaltava proprio in prossimità della sponda. Ruzzolò per qualche metro nella neve, prima di finire sul ghiaccio, che si spaccò immediatamente, incapace di reggere il suo peso. Il laghetto era gelido, ma fortunatamente basso. Toccava con le punte degli stivali. Si rimise immediatamente in piedi, cercando di uscire velocemente dall’acqua. Nanaba era stata più furba: nella caduta, si era puntellata con i gomiti ed i talloni, riuscendo a frenare prima di finire nello stagno.

«Caposquadra! Cosa state facendo?!» ah, eccolo. Avrebbe dovuto aspettarselo: il suo fidato assistente le aveva inseguite a piedi, prevedendo una simile catastrofe «Vi sembra il caso?» Nanaba si era rimessa a ridere «Uscite subito, vi ammalerete! Io l’avevo detto che era una pessima idea. Non mi ascoltate mai… e questo è il risultato! Vi prenderete un raffreddore, forse un’influenza. Magari vi verrà anche la dissen…»

«Stai zitto, Moblit» sbuffò, infine «Senza offesa, ma porti rogna» allungò una mano, aggrappandosi alla gamba del suo assistente. Diede uno strappo, non abbastanza forte da fargli male, ma sufficiente appena perché l’altro perdesse l’equilibrio. Lo osservò soddisfatta agitare le braccia nel nulla e, poco dopo, colse il rassicurante tonfo di un Moblit appena caduto nello stagno. Sfoggiò un ghigno sarcastico:
«Ora saremo in due ad avere la dissenteria»
 

 


Angolino: ‘sera. Terzo giorno del calendario dell’avvento. Adoro moltissimo questa idea e, anche se non so per quanto riuscirò a tenere il ritmo, mi sto divertendo a sviluppare queste storielle versione natalizia. Mi sono resa conto che, nonostante l’idea base fosse scrivere una raccolta di mini-eruri natalizie… al momento non ne ho prodotta nemmeno mezza XD Evviva me <.< Va beh, si vede che era destino.
Il prompt di oggi era “slittino”. Mi ha ispirato da subito e, di conseguenza, mi sono lanciata su questa One-shot. Un solo appunto: la scelta dei personaggi non è casuale. Moblit è intuibile che sia sempre accanto ad Hanji (specie quando si lancia in idee assurde), ma Nanaba è voluta. In realtà, è un tentativo di fare un piccolo regalo (in anticipo) a due persone che mi sono care: Shige e Auriga. Shige è stata ufficialmente consacrata “mia-Moblit” a Lucca, quindi me la tengo stretta.  Auriga, beh… si è fissata con Nanaba e, sinceramente, sono contenta di questa sua scelta: è un personaggio che si vede troppo poco e troppo spesso non viene giustamente considerato, ma… Nanaba è tutto, fuorché una donzella-in-difficoltà ed è un personaggio splendido (mica pizza e fichi!); e sono sicurissima che Auriga saprà renderle giustizia.
Questa one-shot è per voi, ragazze… anche perché nessuno meglio di voi può capirla.
Un abbraccio,
 
E’ry

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Capitolo 4
*** 04/12 - Sciogliersi ***




04/12 - Sciogliersi


Levi scese in cortile, affondando gli stivali nella neve troppo morbida: le nuvole coprivano ancora il cielo, ma una fitta pioggerellina stava cadendo sul distretto. Le macchie d’acqua tingevano il manto candido, mentre la temperatura – meno rigida dei giorni precedenti – ne favoriva il disfacimento.
Era un peccato che gli omini di neve si stessero sciogliendo: le piccole sculture di Petra, create soltanto qualche sera prima, si stavano lentamente squagliando sotto le gocce affilate.

Tirò il cappuccio sul capo, avvicinandosi al complesso di figure che, stoicamente, subivano gli effetti dell’acqua: alcuni sorrisi erano già svaniti dai volti tondeggianti, mentre le foglie secche giacevano nuovamente a terra, come mantelli abbandonati da frettolosi viaggiatori.
Si chinò ad osservarli: il naso di Mike si era staccato e la patata era crollata al suolo, completamente inzuppata. I capelli di Nanaba si erano incollati l’uno con l’altro, mentre i bottoni dell’improvvisata giubba erano ormai caduti. Di Janet non rimaneva che il sorriso ricavato con dei sassolini e Thomas era poco più che un cumulo di neve bagnata.

La composizione era mutata troppo velocemente, quasi fosse una curiosa metafora: sino a due giorni prima, i pupazzetti ridacchiavano felici e spensierati, vicini e compatti come un’unica famiglia. Quarantotto ore, però, erano bastate per distruggere ogni cosa: i visi si erano cancellati, i corpi disgregati. I pochi ancora in piedi cercavano di reggere i compagni moribondi, in attesa che l’acqua sciogliesse anche le loro membra. Era il pallido specchio di una realtà infame: le gocce distruggevano, esattamente come i titani. Imbattersi nella pioggia era un po’ come uscire dalle mura: ti ritrovavi a combattere contro l’inevitabile, nella speranza di riuscire a spuntarla. Lentamente, però, venivi consumato ed abbattuto: gli amici cadevano e tu rimanevi solo a duellare per un sogno utopistico, qualcosa di così irraggiungibile da poter essere a stento concepito. Gradualmente, ti ritrovavi disperso nel nulla, senza che il tuo sguardo potesse incrociare volti conosciuti; senza che vi fossero mani capaci di stringere le tue. Una sensazione di vuoto incolmabile, accompagnato da quella silenziosa dissoluzione: i titani spezzavano vite, così come l’acqua scioglieva la neve.

Che cosa potevano fare, loro? In fondo, erano soltanto dei pupazzetti, troppo deboli per cambiare il destino. Provare a resistere era onorevole, ma sciocco: non avrebbero mai vinto, non contro un nemico simile. I giganti potevano essere distrutti? Forse, ma a quale prezzo? Quanti pupazzetti si sarebbero sciolti e quanti sarebbero sopravvissuti sino alla fine? Non avrebbe saputo rispondere.
Era uno dei tanti: un semplice soldato, che sosteneva ideali superiori alla propria vita. Combatteva quando gli veniva ordinato. Non faceva altro, se non cercare disperatamente di difendere gli altri pupazzetti, di salvarli dall’acqua, di permettere loro una speranza oltre l’inverno. Eppure, prima o poi, l’inverno giungeva per tutti: quante strade si erano già spezzate? E quante non avrebbero visto la primavera? Presto o tardi, il freddo sarebbe sceso a reclamare anche la sua esistenza e quella delle poche persone che gli rimanevano.

Fissò un istante la prima linea: Petra si era accasciata vicino ad Auruo, i cui occhi cercavano quelli della compagna. Erd non se la passava meglio e di Gunther non c’era più traccia. Poco oltre, Hanji aveva perso completamente gli occhiali; i propri fili neri, infine, erano talmente umidi da premere eccessivamente sulla sfera sottostante. Persino la figura del comandante sembrava sul punto di cedere: il fieno biondo era scivolato di lato, mentre lo sguardo azzurro appariva ormai puntato al suolo. Forse, neppure Erwin credeva più nella salvezza: i suoi compagni si stavano lentamente sciogliendo e non poteva fare nulla per salvarli; solo chinare il capo ed adeguarsi al destino.

Allungò una mano, cercando di risistemare gli steli della paglia, ma un rumore lo bloccò. Nascose frettolosamente il braccio sotto al mantello, quasi vergognandosi per quel gesto infantile a cui si era quasi lasciato andare. Gettò una occhiata alle proprie spalle, riconoscendo immediatamente l’alta ed imponente figura. Perse un solo istante ad osservare i capelli dorati inumiditi dalla pioggia e lo sguardo chiaro inevitabilmente posato sulla composizione di pupazzi.

Rimase accovacciato, per nulla sorpreso nel vedere il comandante piegarsi sulle ginocchia e sistemarsi accanto a lui. Osservò una robusta mano scivolare da sotto l’orlo della cappa verde e poggiare una manciata di foglie al suolo. Le riconobbe: appartenevano ai gerani che Erwin si ostinava a tenere nell’ufficio; non era stagione di fiori, naturalmente: nessuna pianta aveva dei boccioli, ma gli steli frondosi avevano resistito all’arrivo dell’inverno.

Il comandante prese a disporle con cura, adagiando i gambi sulla neve morbida dei pupazzetti. Coprì le teste dell’intera formazione con quegli improvvisati ombrelli. Non erano molto, ma almeno erano un riparo.

«Ne manca uno» Levi indicò l’omino biondo, che ancora si erigeva davanti al suo esercito.

«Non ho più foglie. Le ho usate tutte»

«Così ti scioglierai»

Erwin piegò le labbra in un leggero sorriso, senza staccare lo sguardo dai pupazzetti:
«Vale la pena sciogliersi per qualcuno»


 

Angolino: 'sera! Giorno quattro di challenge, che mi sta prendendo moltissimo. Ogni giorno escono dei prompt fantastici!
Il prompt di oggi è tratto dal film Frozen:

-Olaf, ti stai sciogliendo!
- Vale la pena sciogliersi per qualcuno.

E... niente, spero che vi sia piaciuta ^^ Al solito, un mega-grazie per essere arrivati a leggere fin qui.
Un abbraccio!

E'ry

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Capitolo 5
*** 05/12 - Gioco ***


 
05/12 – Gioco
 

Hanji soffiò sulla scatola piena di polvere, cavandola dalla mensola dove era rimasta dimenticata per anni. Si sforzò di leggere il nome inciso sul legno, nonostante fosse quasi del tutto scomparso:
«Tombola?» snocciolò, senza riuscire a trattenere un sorriso. Erano anni che non giocava a tombola e, in realtà, non credeva neppure che la Legione Esplorativa ne possedesse una.

La infilò sotto il braccio, soddisfatta. Avrebbe proposto una partita dopo cena.

Si avvolse nel mantello, infilandosi i guanti e la sciarpa: la temperatura si era nuovamente abbassata e, nonostante non avesse ripreso a nevicare, un vento freddo aveva ripreso a sibilare tra le stradicciole del distretto.
Scivolò oltre la soglia, richiudendola alle proprie spalle, prima di sgattaiolare in direzione delle scuderie: avrebbe strigliato il suo cavallo, cambiato la biada e poi sarebbe corsa a reclutare potenziali giocatori. Sapeva già a quali porte bussare.
 

***


Levi storse il naso quando vide il tabellone apparecchiato sul lungo tavolo, nell’ufficio del comandante. Hanji era già posizionata a capotavola, mentre alcune cartelle erano state distribuite ai giocatori presenti.

«Mancavi solo tu!» chiocciò la donna, al vederlo arrivare. Gli indicò l’ultimo posto libero, tra Erwin e Mike. Nanaba sedeva dirimpetto, accanto a Moblit «Pronti per cominciare? Allora, le regole sono semplici: estrarrò dei numeri e…»

«Sappiamo come si gioca!» incrociò le braccia al petto, insoddisfatto. Da quando si organizzavano giochi da tavolo a tradimento? Aveva preventivato di ripulire l’intera scrivania di Erwin, quella sera, e invece… si ritrovava costretto ad una partita di tombola.

«Bene! Allora, ho disposto dei premi: per l’ambo ci sono due biscotti, gentilmente offerti dalla mensa. Per la terna, una fetta di torta. La quaterna non l’ho trovata, quindi la saltiamo, mentre per la cinquina ci sono ben tre bustine di the!»

«Dove lo hai preso?» riconosceva la carta azzurrina in cui erano avvolte le preziose foglioline secche. Poteva quasi scorgere i petali disidratati utilizzati per arricchire il sapore dell’infuso. Quei pacchettini erano familiari.

«Dalla tua riserva personale. Erwin mi ha detto che potevo prenderlo»

Un’occhiataccia volò immediatamente al comandante che, per tutta risposta, si limitò a scuotere le spalle:
«Se ti ostini a comprare il the con i fondi della Legione…»

«Bah» Levi scrollò le spalle, spostando lo sguardo sulla tombola, mentre Hanji riprendeva:
«Come premio finale abbiamo tre giorni di permesso!» la vide infilare la mano in un sacchetto di tela «Se non avete domande, cominciamo!» un rumore di piccole sfere e poi il primo numero «Quindici!»

«AMBO!» il grido di Mike spaccò immediatamente l’atmosfera, seguito dai risolini di Nanaba e Moblit.

«Come cazzo fai ad avere un ambo?! È il primo numero estratto…» scoccò una occhiata alla cartella dove, in effetti, capeggiava una sola X tracciata con la matita.

«Io posso.»

«E il premio se lo aggiudica Mike!» Hanji stava già spostando i biscotti verso il fortunato caposquadra.

«Ma sei scema?! È uscito solo il quindici!»

«Non ti metterai a polemizzare per due biscotti, vero?» Mike stava sogghignando apertamente.

«Non è per i biscotti! È una questione di principio!»

«Oh, per te è sempre una questione di principio…»

«Cerchi rogne, per caso?»

Mike si alzò, costringendolo a sollevare il capo: effettivamente, era parecchio alto, ma questo non lo avrebbe frenato. Lo avrebbe obbligato a restituire il premio, sempre che vi fossero ancora biscotti da restituire: a ben vedere, il caposquadra li aveva già divorati entrambi.
«Testa di rapa» sbuffò, infine, tornando a squadrare la propria cartella, dove il quindici risultava assente.

«Ventidue! Dodici» Hanji aveva iniziato a snocciolare i numeri ad una velocità sorprendente, quasi avesse fretta di finire la partita. Il ventidue lo aveva, mentre il dodici no «Sessanta, trentacinque, ottantadue. Terno!»

«Terno?» Levi gettò la matita sul foglio, tornando a sbuffare «Stai imbrogliando! Non è possibile che ti sia uscito il terno!»

«Perché no?»

«Insomma, tu estrai i numeri! È evidente che stai barando!»

«Oh, finiscila. Vedi complotti ovunque, ultimamente…»

«Ah, ora è colpa mia?» indicò alla propria sinistra «Ha fatto ambo con un numero!»

Hanji decise di ignorare le sue lamentele, tornando ad estrarre le sferette come se nulla fosse:
«Cinquantaquattro»

«Quaterna!» una voce, a destra. Erwin stava sorridendo serafico, già pronto ad allungare le dita sulle bustine.

«Molto bene… il the!» e quella stupida quattrocchi gliele stava passando!

Assurdo! Quello era il suo the, rapito senza consenso dalla scorta personale. Avrebbe dovuto chiudere a chiave quella stupida scatolina, sigillarla con dei chiodi o, semplicemente, nasconderla meglio. Picchiò un pugno sul tavolo:
«Avevate detto che la quaterna non c’era!»

«Non vorrai rifiutare il premio al tuo comandante, vero?» Erwin aveva imbastito quella classica espressione di chi sa d’avere la vittoria in pugno. Il sogghigno delicato sulle labbra, gli occhi intenti a scrutare avidamente le bustine, le mani già chiuse su queste ultime e la chiara espressione di un vincitore troppo abile per essere battuto.

«Erano per la cinquina» trovò solo il coraggio di borbottare, ma le sue parole si persero nel nulla.

«Ne lascio una per la cinquina, va bene?» Erwin riappoggiò la bustina ed Hanji estrasse subito il numero successivo:

«Sessantacinque»

«Cinquina!»

Il comandante si riappropriò del premio, regalando al suo vicino di posto un sorriso scaltro.
 

***
 

Dieci minuti dopo, Nanaba gridò il fatidico:  “Tombola” e la partita terminò bruscamente. I tre giorni di permesso le vennero prontamente accordati. Hanji sparecchiò il cartellone, mentre Moblit si ritirava, esausto e sconfitto.

Levi si accasciò sul divanetto, godendo appena del tepore del camino ancora acceso. Non riusciva a togliersi di testa l’umiliazione subita: non solo non aveva vinto nulla, ma non era riuscito a recuperare neppure il proprio the.

«Comunque non è giusto…» borbottò a denti stretti, quando sentì la figura di Erwin scivolare accanto alla propria «Avete imbrogl…» non terminò la frase.

Il comandante gli stava tendendo una tazza di the caldo, appena tolto dal bollitore:
«Il tuo the»

«Veramente… ora è il tuo the»

«Consideralo un premio di consolazione»
 

Angolino: 'sera! Spero d'essere puntuale nel postare la ff di oggi. C'erano molti prompt carini, ma ammetto d'aver scelto quello più facile: gioco.
Grazie per aver letto fin qui, davvero *_*
Spero, al solito, che la ff vi sia piaciuta e se avete pareri e consigli, scrivetemi pure!
Un abbraccio

E'ry

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Capitolo 6
*** 06/12 - Vischio ***




06/12 - Vischio
 

Petra si fermò di scatto al vedere il rametto che qualcuno aveva appeso sul soffitto. Lo aveva riconosciuto immediatamente: vischio, senza dubbio. Il fusto legnoso era incastrato nel gancio metallico di una lanterna a muro, la cui luce gettava pallide ombre lungo il corridoio principale dell’ala ovest. Le foglie allungate, accompagnate da lucide bacche bianche, erano agghindate con dei nastri rossi e verdi.

In fondo, era una delle tante tradizioni legate alla Festa d’Inverno. Si raccontava che fosse sinonimo di buon auspicio per una coppia: baciarsi sotto il vischio portava gioie e felicità, serenità e scacciava i problemi.
Chiunque fosse la destinataria di quel regalo, doveva essere una ragazza fortunata: era un gesto semplice, appendere il vischio in corridoio, ma Petra lo trovava decisamente romantico. In fondo, il suo animo sognatore era incline a perdersi in speranze e leggerezze: da qualche parte, nella caserma, un giovane innamorato stava per esporsi, confidando ad una amica il suo amore; forse temendo d’essere respinto, ma deciso comunque a provare. Oppure, il soldato era troppo timido per esporsi: magari aveva appeso il vischio sperando che la ragazza dei suoi sogni capisse da sola. O sperando di incrociarla per caso proprio sotto il ramoscello, confidando nel destino e nella fortuna.

In questo caso, lei era un’ospite indesiderata nel bel mezzo di una scena romantica, di quelle che si trovano soltanto nei libri. Non era splendido? Avrebbe presto visto comparire un giovane cadetto, lo avrebbe visto inginocchiarsi davanti alla sua amata e chiederle la mano…
No, forse stava correndo troppo. Magari, quel vischio non aveva nessun significato ed era stato appeso solo come decorazione. Si strinse nelle spalle, abbandonando in un attimo ogni fantasia: leggeva troppi romanzi, probabilmente, e la sua visione della realtà era un po’ distorta. Non sarebbe comparso nessun grazioso innamorato e nemmeno una ragazza pronta a sposarlo.

A meno che…
Quell’ipotesi la fece sussultare: e se fosse stata lei, la ragazza in questione? Qualcuno poteva aver appeso quel vischio nella speranza di vederla passare? Forse, un misterioso amante la stava aspettando oltre il corridoio. Le sarebbe bastato proseguire, superare la svolta e…
Un rumore di passi la strappò all’immaginazione: qualcuno stava arrivando. Sentiva le suole picchiettare con insistenza lungo il pavimento di legno e il leggero borbottare di una voce familiare. Si voltò appena in tempo per scorgere la bassa figura superare l’angolo.

«Capitano!» scattò sull’attenti, nel riconoscere il superiore.

Levi teneva gli occhi incollati su alcuni fogli, bofonchiando imprecazioni a denti stretti.

Lo vide avvicinarsi con la solita aria indolente dipinta sul volto affilato. Lo sguardo grigio si era sollevato per posarsi su di lei, mentre le braccia avevano frettolosamente nascosto le pergamene sotto il mantello.

«Buon pomeriggio»

Le stava regalando un saluto cordiale, forse più caldo del solito. Era una sua impressione? La mancanza di lucidità le stava giocando brutti scherzi, spronata dal cuore che le martellava incessantemente nel petto. Trattenne il respiro, temendo che quel rumore potesse rimbombare per tutto il corridoio.

Che assurdità stava pensando? Non era possibile che proprio Levi avesse appeso quel vischio; non per lei, almeno! Sicuramente, stava aspettando una donna più graziosa, più agile e intelligente. Magari una delle nuove cadette, di quelle che chiocciavano come gallinelle ad ogni passaggio del capitano.

Eppure, come in uno dei suoi romanzi preferiti, Levi era apparso al momento giusto, comparendo quasi dal nulla e marciando per raggiungerla: i modi sicuri, il saluto gentile e quegli occhi cinerei che ancora non si staccavano dal suo volto.

La testa le suggeriva di calmarsi, di riflettere sulla situazione e non illudersi: era troppo giovane per poter interessare al capitano. Le gambe le intimavano di voltarsi e fuggire: scappare da quella situazione, prima che diventasse irreparabile. Cosa avrebbero detto gli altri se fosse rimasta lì, come una sciocca principessa incapace di salvarsi? Tuttavia, il cuore la obbligava a restare in quel corridoio, davanti all’uomo che ammirava e, nel segreto della propria anima, forse amava.

Levi si bloccò davanti a lei, a meno di un passo di distanza. Era così vicino che poteva percepire il profumo fresco della divisa appena lavata, il tepore della sua pelle ed i movimenti delle iridi che, silenziosamente, si erano alzate al soffitto. Seguì quello sguardo, tornando ad incrociare il rametto.

Il vischio li stava osservando dall’alto, come un padre premuroso pronto a benedire i suoi figli; le foglie si protendevano nel nulla, simili a dita che accarezzavano per l’ultima volta i lineamenti di una donna consapevole ed innamorata.

«Petra…»

Riabbassò immediatamente lo sguardo, allacciandolo a quello del superiore. Per una manciata di secondi, Levi non le parve “soldato più forte”, né il capitano pronto a guidarli in battaglia, a sacrificarli per la libertà e per la speranza di un futuro diverso. Per un attimo, fu soltanto un uomo: privo di corazze, completamente spoglio della sua solita arroganza; bisognoso d’affetto, alla ricerca di braccia morbide dove trovare conforto. Soltanto un uomo che, nel silenzio di quel corridoio, le chiedeva d’essere amato.

Quell’attimo era perfetto, sospeso nel tempo e illuminato dalla luce del sole, che si fondeva a quella delle lanterne attraverso i vetri opachi. Un istante delicato, tanto fragile da dover essere protetto; leggero e friabile come il capitano che ancora le stava innanzi: così vicino da poter essere sfiorato con un flebile respiro; così falso da essere smascherato con un semplice bacio, sotto al ramo di un vischio troppo curioso.

«Sì?» la voce la tradì, incrinata dall’emozione, supportata dal battito incessante e frenetico del cuore. Le gote si erano tinte di un rosso acceso, incapaci di nascondere oltre i reali sentimenti. Osservò avidamente le labbra di Levi, così vicine e dolcemente disegnate, muoversi un’ultima volta:

«Vai a prendermi una scaletta. Devo togliere quella merda prima che coli resina dappertutto»


 

Angolino: 'sera! Torno con il prompt di oggi:
"Sotto il vischio, il tempo parve fermarsi. Il tempo era perfetto per una perfetta giornata di Natale.
"Per un bacio perfetto", pensò.
Finché lui non fece un passo indietro."

Questa challenge mi sta piacendo sempre di più XD Ho provato a scrivere la mia prima Rivetra, ma... no XD Non riesco a vederli oltre questi strambi siparietti che costruisco per loro. E pensare che Petra iniziava a starmi simpatica.
Non ho altro da aggiungere, se non ringraziarvi per aver letto fin qui!
Un mega grazie a Shige e Auriga che, come sempre, dimostrano tanta pazienza nel sopportarmi <3
Un abbraccio

E'ry

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Capitolo 7
*** 07/12 - Puntale ***




07/12 – Puntale
 

Erwin allacciò le mani dietro alla schiena, fermandosi davanti alla larga finestra del proprio ufficio. Attraverso i vetri puliti riusciva a scorgere il trambusto che impazzava nel cortile posteriore della caserma.

Da tradizione, Hanji gli aveva chiesto il permesso di ricoprire un albero di addobbi, per celebrare l’arrivo della Festa d’Inverno. Naturalmente, aveva acconsentito, concedendole di recuperare le decorazioni dalla soffitta dove giacevano da quasi un anno.  Le palline di pasta di pane erano ancora in ottimo stato, ben dipinte con ghirigori colorati. I festoni di carta si erano un po’ inumiditi, ma potevano reggere ancora. Le statuine di legno, appese a dei fili di lana, sembravano perfettamente conservate, mentre i bigliettini con i buoni propositi e le promesse erano tutti da riscrivere.

Scrutò attentamente le figure che si avvicendavano attorno all’alto abete che avevano scelto. Mike e Nanaba avevano indossato il movimento tridimensionale per agghindare anche i rami più alti, mentre Hanji pescava le decorazioni a caso. Moblit annodava nastri rossi e verdi sulle ghirlande di foglie secche; la squadra di Levi, infine, sistemava dei pacchetti vivaci ai piedi dell’albero.

Da una manciata di minuti, però, si erano tutti raggruppati attorno allo scatolone degli addobbi, frugando a turno al suo interno. Mike scuoteva la testa incredulo, mentre Nanaba continuava ad indicare la cima dell’abete, ancora completamente spoglia. Petra camminava con lo sguardo incollato al suolo, come se cercasse qualcosa di smarrito, accanto ad Auruo che aveva assunto l’aria di un investigatore privato.

Distolse lo sguardo soltanto al sentire un rumore di passi oltre le proprie spalle. Si voltò, osservando il capitano oltrepassare la scrivania e fermarsi al suo fianco.

«Non vai ad aiutarli?» domandò, accennando all’altro il gruppetto che, nel cortile, sembrava assorto nella frenetica ricerca di un pezzo mancante.

«Non mi hanno voluto»

«Perché no?»

«Hanno detto che sono troppo pignolo e rompiscatole. Un guastafeste, insomma»

«Capisco.» tornò a squadrare il cortile «Stanno cercando qualcosa»

«Oh, davvero?»

«Immagino che tu non ne sappia nulla, vero?»

Colse Levi scuotere frettolosamente il capo e, al contempo, cavare un oggetto appuntito da sotto il mantello: la vernice bianca, accompagnata da rifiniture dorate, risplendette alla luce dei candelabri. Una stella in argento risplendeva al centro del puntale, accerchiata da un lucido nastro rosso.

Il capitano montò un leggero sogghigno:
«Ops…» sussurrò, piegando la voce in una dolce vendetta «Deve essermi rimasto appiccicato alle dita»


 

Angolino: sono in ritardo di un giorno, ma... ieri ero troppo presa dal capitolo della long, per concentrarmi anche sull'avvento. Speri di riuscire a recuperare oggi, naturalmente ^^ Il prompt utilizzato è:
"
Puntale"
Grazie, come sempre, per aver letto fin qui ^^
Un abbraccio,

E'ry

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Capitolo 8
*** 08/12 - Vischio, secondo atto ***




08/12 – Vischio, secondo atto
 

Levi attraversò il corridoio dell’ala ovest, lo sguardo fisso su alcune carte.
Le aveva recuperate malvolentieri dall’ufficio di Erwin, ma erano una sua responsabilità: alcuni rapporti degli ultimi allenamenti, da ricopiare ed archiviare.

Superò una svolta, osservando il passaggio deserto. Le luci delle torce erano appena sufficienti per rischiarare quella zona ed il sole del pomeriggio filtrava tenue dai vetri opachi: avrebbe potuto sfruttarlo per cercare di leggere le note di fondo pagina. Perché Erwin si ostinava a scrivere tanto in piccolo?

Sbuffò, marciando a passo spedito verso la finestra – la stessa dove qualche giorno prima aveva sorpreso Petra a gironzolare senza meta. Scosse il capo al ricordo: una manica di sfaticati, ecco cos’erano! Con tutto quello che c’era da pulire e sistemare, perdevano tempo a caracollare nei corridoi.

Si fermò accanto al davanzale, esponendo i fogli ai raggi del sole. Le iridi scorsero velocemente la lista di nomi e…

PLOP

Una sostanza appiccicosa colò sull’elenco, mescolandosi all’inchiostro ed arrivando a bagnargli la punta delle dita.

Levi sollevò lo sguardo, portandolo gradualmente al soffitto.

Poco dopo, un sibilo seccato risuonò nel corridoio dell’ala ovest:
«Basta con sto cazzo di vischio!»



 

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Capitolo 9
*** 09/12 - Ninnananna ***




09/12 – Ninnananna
 

Levi inghiottì l'ultimo sorso, poggiando in calice sul tavolo dei rinfreschi. Odiava quel posto, odiava quelle situazioni.

I signori Foster avevano indetto una cena di gala in occasione della Festa d'Inverno. Erano stati invitati i principali esponenti dell'aristocrazia, oltre alle cariche maggiori dell'ordine pubblico e delle compagnie militari. Il comandante Smith, naturalmente, aveva ricevuto la partecipazione nelle settimane precedenti, con la preghiera di confermare la sua presenza. Erwin non aveva tardato ad accettare: quegli eventi non piacevano nemmeno a lui, ma erano ottime occasioni per trovare nuovi finanziatori, soprattutto ora che i fondi del Corpo di Ricerca si stavano rapidamente esaurendo.

Erano costretti a fare buon viso, anche davanti ai quei nobilotti interessati più a trangugiare manicaretto che ad ascoltare i loro discorsi. Viceversa, le giovani cortigiane si fingevano stranamente attente ogni volta che Erwin apriva bocca: che fosse per raccontare un aneddoto o anche solo per sbadigliare, quel corteo di gallinelle gli girava perennemente attorno.

Questo era, in effetti, il principale motivo del perché odiasse tanto quelle feste: per i suoi gusti, c'erano sin troppe dame interessate al comandante, mentre scarseggiavano i potenziali finanziatori. Più di una volta, Erwin lo aveva invitato a rimanere in caserma: non era obbligato ad accompagnarlo e sapeva cavarsela da solo: come no! Tenere a bada giganti era un conto, ma gli starnazzanti stuoli di ammiratrici erano ben altro paio di maniche! Senza la sua supervisione, Erwin si sarebbe ritrovato sposato in meno di dodici ore.

«Chiedo scusa» qualcuno gli batté su una spalla. Si voltò di scatto, incontrando il volto paffuto di un ragazzotto «Voi siete il capitano Levi?»

«Sì» annuì, controvoglia.

«Il soldato più forte dell'umanità?»

«Così dicono»

«Non siete un po' basso?»

Sospirò, sforzandosi di mantenere la calma. Avrebbe volentieri ricacciato quell'impertinenza nella gola di quello scemo a suon di pugni, se avesse potuto. Perdere il controllo, tuttavia, significava mandare a monte l'intera reputazione della Legione Esplorativa.

«Sono...» attaccò, ma una seconda voce lo interruppe.

«Ehi! Quello non è il capitano Levi?» scorse una seconda figura agitare un braccio, come a richiamare altre persone. In un attimo, si ritrovò circondato da giovani rampolli. Chi lo indicava, chi sussurrava e ridacchiava, chi gli sfiorava le mostrine dell'alta uniforme. Un chiacchiericcio ininterrotto gli feriva le orecchie, accompagnato da sogghigni distratti e poco educati.

Ecco, quello era un altro ottimo motivo per detestare i ricevimenti: finiva sempre per essere additato come una bestia strana, come se non possedesse un cervello né una propria volontà. Come se non fosse una persona, ma solo uno dei tanti fenomeni da ammirare e, al tempo stesso, canzonare amaramente.
 

***
 

Riuscì a liberarsi di quegli inopportuni ammiratori soltanto mezz'ora più tardi. Si guardò rapidamente attorno, rifiutando l'ennesimo giro di drink. Dove era finito Erwin? Era completamente sparito. Aveva abbandonato la sala? Forse si era appartato con una di quelle damine irriverenti.
Quel pensiero lo fece ribollire. L'aveva trascinato a quella stupida festa per poi mollarlo alla prima occasione?

Scivolò via dalla sala, imboccando uno dei corridoi di servizio. Senza dubbio, il signor Smith non avrebbe mai scelto una stanza troppo in vista o locata in qualche passaggio affollato. Avrebbe preferito una zona meno frequentata, magari dove solo la servitù aveva accesso.

Chiuse la porta alle proprie spalle, estraniandosi dal baccano della festa, dall'orchestra che intonava brani solenni e dal profumo dei tramezzini caldi appena serviti. Si inoltrò nel corridoio, ancora inseguito dall'odore dolciastro dei fiori che addobbavano il ricevimento.
Si ritrovò avvolto in una rassicurante penombra: dei candelabri a muro rischiaravano il passaggio, accompagnati dai raggi della luna che filtravano attraverso i vetri immacolati.
Contò i propri passi, sforzandosi di non pensare: dove si era cacciato? Le porte delle camere erano tutte chiuse e del comandante non vi era traccia. Non poteva essere uscito: la neve aveva ripreso a cadere e la temperatura, senza dubbio, era scesa sotto lo zero.
Saggiò alcune maniglie, trovandole sistematicamente bloccate.

«Brutto stronzo» sibilò a denti stretti.

Mosse ancora un paio di passi, prima che una musica gentile lo raggiungesse. C'era qualcosa di familiare nel modo in cui le note viaggiavano nell'aria, avvolgendolo con una precisione quasi studiata.
Avanzò spedito, contando le camere alla propria sinistra. Una, due...

Si affacciò all'uscio della terza, riconoscendo immediatamente Erwin, chino su un pianoforte a coda; l'alta uniforme, di un blu intenso, si intonava ai toni cupi della sala, dove soltanto alcuni quadri sembravano in ascolto. I raggi lunari riflettevano sulle mostrine che adornavano le spalle larghe, risalendo poi a giocare con le ciocche dorate e lo sguardo chiaro, troppo intento a seguire il muoversi delle mani per potersi distrarre. Le dita robuste scorrevano velocemente i tasti, come attratte da vecchie amanti: li toccava con dolcezza, sfiorandoli solo in punta, con una leggerezza appena sufficiente da lasciar scaturire una melodia calda e delicata.

Era un suono dolce, ammaliante e caldo: accoglieva l'ascoltatore come un abbraccio materno, in un cullare che gli era del tutto estraneo.
Levi si sentì di troppo: era come se non fosse fermo sulla soglia di una semplice stanza, ma affacciato sulla vita del comandante. Non aveva il diritto di curiosare nel suo passato, né di godere di una sinfonia che non gli apparteneva. Eppure, non riusciva a scollarsi dall'uscio: non poteva voltare le spalle e fingere di non aver sentito, né allontanare lo sguardo ormai legato al silenzio di quella scena.

Le note sfumarono in una chiusura sottile, risuonando un'ultima volta nella stanza, prima di consegnarsi al silenzio. Levi fece per sgattaiolare via, ma una voce lo inchiodò immediatamente:
«Da quanto sei lì?» Erwin non si era neppure voltato.

«Mi hai sentito arrivare?»

«No, ma sapevo che saresti venuto»

«Mi aspettavi?»

«Più o meno. Pensi di restare sulla porta tutto il tempo?»

Attraversò la sala, quasi con riluttanza. Si sentiva stranamente colpevole: come una spia indesiderata che ficca il naso dove non dovrebbe; come un ladro che sfrutta il buio per trafugare i sogni più belli. Erwin, tuttavia, non sembrava scocciato; solo perplesso, come se non capisse i suoi tentennamenti.
«Mi dispiace aver ascoltato» sussurrò, appoggiandosi al bordo del pianoforte «Non volevo darti fastidio o interromperti»

«Non hai fatto nessuna delle due cose» il tono del comandante era stranamente spensierato, come se le note fossero bastate a rilassarlo e ad allontanare ogni problema. In quel momento, appariva come un semplice uomo troppo intento a comporre un motivetto per preoccuparsi di altro «Mi fa piacere avere del pubblico, ogni tanto»

«Ci sono solo io, in realtà»

«Lo so. Non avrei potuto scegliere spettatore migliore» un sorriso accompagnò quelle parole, troppo ingenuo per poter appartenere al comandante della Legione Esplorativa «Ti è piaciuta?»

«Sì. Sei molto bravo.»

«Bugiardo. So di essere un musicista piuttosto mediocre. Non mi esercitavo da parecchio»

«L'hai improvvisata?» lasciò correre le iridi sullo strumento, non trovando alcun libretto «Non vedo nessuno spartito»

«In realtà, la conosco a memoria. È una ninnananna. Me l'ha insegnata mio padre. Erano anni che non la suonavo; non ero neppure sicuro di ricordarmi tutte le note» lo sentì concedersi un lungo sospiro, concedendosi una pausa per rasserenare i pensieri ed impedire alla voce di spezzarsi «Mia madre la compose per me, poco prima che nascessi. Non ho mai avuto la fortuna di sentirla da lei, ma... suonare queste note è un po' come far rivivere un ricordo che non possiedo e che forse immagino soltanto»

«Non credo di poter comprendere, mi dispiace» Levi sbuffò, affinando un sorriso amaro sulle labbra sottili «Nessuno ha mai scritto nulla per me»

Erwin scivolò di lato sullo sgabello rettangolare, indicandogli un angolo dove accomodarsi:
«Siediti, allora» la sua voce era rimasta immutata, calda e leggera al tempo stesso «Sarò il primo a farlo»
 

 


Angolino: sono riuscita ad aggiornare anche l'avvento *_* Il prompt di oggi, che mi ha ispirato la ff, era l'immagine di un pianoforte. Non potendo inserirlo nella caserma della Legione Esplorativa, ho fatto ricorso al piccolo espediente della festa in casa dei Foster. Avevo bisogno di scrivere un pochino di loro (finalmente la mia otp) e... niente, è una ff che Auriga aspettava da tanto e sono felicissima che le sia piaciuta.
Un abbraccio e un grazie enorme a tutti

E'ry



 

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Capitolo 10
*** 10/12 - Influenza ***



10/12 – Influenza
 

Hanji starnutì violentemente. Finire in un lago gelato con lo slittino non era stata una grande idea e neppure addobbare l’albero al freddo, con già qualche sintomo di influenza.

«Si è accesa una stella nel cielo sereno
c’è un albero pieno di mille regali
in ogni regalo c’è scritto un augurio
ti porti un giorno di felicità.»

Infilò la testa sotto al guanciale, stringendolo tra le mani e premendolo sulle orecchie. Non era possibile che stesse succedendo proprio a lei.

«Auguri auguri auguri auguri auguri
auguri tanti tanti a tutti quanti
auguri a quelli che ti son vicino,
auguri a quelli che non sono qui.»

«Moblit, ti prego…»

«Non vi piace, caposquadra?»

 «Apprezzo lo sforzo, ma…» Hanji si rifiutò di uscire da sotto il cuscino «Ho sentito titani più intonati di te.»


 

Angolino: 'giorno! Ieri purtroppo non sono riuscita ad aggiornare l'avvento, quindi... cerco di mettermi in pari con qualche piccolo siparietto tra Moblit ed Hanji. Mi spiace solo non aver potuto dedicare di più, per ora, a loro due.
Il prompt era:
"Citazione: A canta una canzone di Natale per B, che non può muoversi dal letto/poltrona."

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Capitolo 11
*** 11/12 - Biscotti rubati ***



11/12 – Biscotti rubati
 

Levi stese l’impasto con un mattarello, stando ben attento a stirare la pasta frolla correttamente. Aveva approfittato di un pomeriggio libero per occupare la cucina e produrre biscotti ricoperti di zucchero a velo.

Aveva già sfornato la seconda teglia, ma inspiegabilmente i biscotti gli sembravano sempre pochi: studiò la scodella con i dolcetti ancora caldi, appoggiata vicino ad una finestra socchiusa per permettere un più rapido raffreddamento.

Qualcosa, comunque, non quadrava: una teglia conteneva, all’incirca, ventiquattro biscotti. In teoria, dovevano essercene almeno una quarantina, ma… in realtà, sembravano molti meno. Possibile avesse sbagliato a contare?

Si strinse nelle spalle, tornando al lavoro. Rimboccò le maniche della camicia sin sui gomiti, fermando nuovamente il fazzoletto bianco sul capo, per impedire ai capelli di cascare continuamente davanti agli occhi.

Rovesciò un bicchiere vuoto, premendolo a fondo sulla pastafrolla, incidendo gradualmente dei cerchi in sequenza. Uno, due… Ogni fila ospitava circa sei biscotti, per un massimo di ventiquattro. Non aveva sbagliato, allora…

Si avvicinò al forno, controllando la legna che ancora ardeva sul fondo. Quei ciocchi sarebbero stati sufficienti per un’altra tornata di dolcetti? Lo sperava! Aveva ancora un po’ di impasto da finire.
Adagiò la teglia accanto al fuoco, richiudendo lo sportello in metallo e voltandosi appena in tempo per notare un braccio intrufolarsi dalla finestra aperta. Scorse le dita indugiare sul davanzale e poi muoversi a tentoni verso la ciotola dei biscotti.

«Bastardo…» sibilò a denti stretti, agguantando un mestolo. Attese che la mano arrivasse a prendere un biscotto, prendendo la mira: ritrasse il gomito, muovendosi silenziosamente sino alla finestra, prima di vibrare un fendente secco e deciso.

«Beccato!» esclamò, al sentire un ululato oltre i vetri. Maledetto ladro! La prossima volta ci avrebbe pensato due volte prima di rubare i suoi biscotti. Si sporse rapidamente oltre il davanzale, frugando il cortile con lo sguardo: il colpevole non poteva essere andato troppo lontano.

Passò in rassegna tutta l’area, controllando attentamente accanto alle casse ancora da scaricare, vicino alla rimessa e lungo il passaggio che portava alle scuderie. Sembrava tutto in ordine. A parte qualche cadetto intento nella ronda pomeridiana, nessuno di sospetto era nei paraggi.
Richiuse la finestra, bloccando immediatamente il battente. Non avrebbe permesso a nessun altro di depredare i suoi biscotti.
 

***
 

Auruo tese il regalo verso Petra. L’aveva aspettata fuori dal refettorio soltanto per darle quel cestino, foderato di brillante stoffa rossa; all’interno spiccavano una dozzina di biscotti rotondeggianti.

«Sono per me?»

La domanda era scontata, ma lui si limitò ad annuire, aggiungendo una leggera sbruffonata:
«Ma certo! Li ho cucinati apposta per la mia bella mogliettina»

«Smettila di chiamarmi così!­»

«Scus…» per poco non si morse la lingua. Mimò un leggero sorriso, senza distogliere l’attenzione dalla compagna «Spero ti piacciano. Non ho avuto il tempo di spolverarli di zucchero, ma…»

«Saranno ottimi, ne sono sicura» Petra si avvicinò di un paio di passi, sollevandosi sulle punte per schioccargli un rapido bacio sulla guancia «è davvero un pensiero gentile da parte tua, ma....» una smorfia perplessa e le dita che indicavano la sua destra, coperta da uno spesso bendaggio «Cosa hai fatto alla mano?»

«Eh? Amh… niente!»


 

Angolino: scusate, oggi lascio un'altra mini-ff. Purtroppo, ho troppa gente che gironzola per casa e non riesco a scrivere niente di più.
Il prompt di oggi era "Biscotti di Natale" (anche se nella mia ff, non esistendo il Natale in senso stretto, ho preferito adattarlo ad un più generico "biscotti")
Un abbraccio

E'ry

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Capitolo 12
*** 12/12 - Giornata storta ***



12/12 - Giornata storta


Mike avvolse il naso nella sciarpa, sperando che quello bastasse ad evitargli un peggioramento del raffreddore. Intasato come era, non riusciva a sentire niente. Per fortuna, nel distretto non c’erano Titani da fiutare. Controllò oltre la guardiola: il cortile era immerso in una calma surreale. La neve aveva ricominciato a cadere, anche se in tenui e sottili fiocchi.

Perché aveva accettato il cambio turno? Non spettava a lui montare di guardia, anche se Thomas aveva tanto insistito: non è che poteva concedergli mezza serata libera per corteggiare Annabeth? Prima che il malefico capitano passasse a distruggere tutto il vischio che aveva sistematicamente appeso...
Alla fine, dopo una blanda opposizione, Mike aveva ceduto: lo avrebbe sostituito.

Dopo quindici minuti, tuttavia, si era già pentito di quella scelta: la notte si stava rivelando più fredda del previsto e lui non si era coperto abbastanza. Per di più, l’unico piccione intento a vagabondare aveva ben pensato di scaricare liquami sul suo mantello; aveva dovuto disfarsene per la puzza e cercare di rimpiazzarlo con una cerata trovata nella torretta di guardia. Poco dopo, le cinghie si erano impigliate in un gancio sporgente: nel tentativo di liberarle, si era procurato un livido sulla coscia e uno strappo sui pantaloni.
A completare questa serie di sfortunati eventi, si era persino spenta la candela nella lanterna: era rimasto al buio, senza poterla rimpiazzare.

«Non me ne va dritta una» sbuffò, scorgendo una figura minuta attraversare in fretta il cortile. Rimase a studiarla qualche istante, prima di sbottare «Ehi! Il coprifuoco è scattato da un pezzo. Che ci fai in giro?»

«Fatti i cazzi tuoi!» l’aspra voce di Levi gli rispose immediatamente.

«Aspetti la tua amante?»

«Non ho nessuna amante!»

«Ah, già… Dimenticavo che sei uno sfigato»

«Parla quello che sta in guardiola al freddo»

«A proposito, potresti andare a prendermi una candela? Questa si è spenta»

«Muovi il culo e prenditela da solo»

«Non sei molto gentile…»

Ottenne solo un gestaccio in risposta. Mike tornò a fissare il vuoto, sforzandosi di contare i fiocchi che ancora cadevano dal cielo. Chissà, forse così avrebbe ingannato il tempo.

 
***


Perché non si era portato qualcosa da leggere?! Montare di guardia era terribilmente noioso, specie al buio ed al gelo. Nemmeno un’anima attraversava le vie circostanti. Il distretto era ormai addormentato: i tetti imbiancati non ospitavano neppure i gatti e le luci delle case circostanti erano tutte spente. Persino le imposte dell’osteria “Il Brillo Parlante” erano chiuse, segno che anche gli avventori più resistenti avevano infine ceduto al sonno.

Quante ore mancavano alla fine del turno? Non avrebbe saputo dirlo con certezza, ma sicuramente troppe per le sue aspettative.
Chinò il capo, sforzandosi di resistere al sonno, nonostante il continuo abbassarsi delle palpebre. Dimenticarsi il libro era stato un errore imperdonabile.
Sussultò al cogliere un rumore di passi affondare nella neve. Si voltò di scatto, scorgendo una figura imbacuccata avanzare sino alla guardiola.

«Ehi! C’è il coprifuoco. Vattene e a letto ed evita di complicarmi ulteriormente la vita»

Il soldato, tuttavia, non gli diede retta: lo vide proseguire ed arrampicarsi sulle scale della torretta, con un cestino appeso al gomito, appena visibile da sotto il mantello verde.

«Ti ho detto di…»

«…sparire, lo so» Nanaba si sfilò il cappuccio, raggiungendolo e mimando un piccolo sorriso «Me ne andrò presto, se preferisci. Va tutto bene?»

«No. Rimani, anzi… un po’ di compagnia non mi farà certo male» Mike sbuffò, tornando ad osservare il nulla «Tutto bene? Direi di no! Oggi mi sta andando tutto storto: ho rovesciato il latte a colazione e non ce n’era altro. Paul mi ha tirato involontariamente la cacca del suo cavallo, mentre ripuliva le scuderie. Ho scoperto che il mio equipaggiamento ha due viti allentate: ho cercato di sistemarle, ma ne ho spaccata una terza, senza volerlo. A pranzo, ho versato troppo sale nella zuppa ed è diventata immangiabile; ovviamente, non ho potuto cambiarla.» si massaggiò la fronte, sforzandosi di elencare tutto quanto «Moblit ha tentato di costringermi a scegliere un regalo per Hanji, ma… dopo essermi liberato di lui, sono incappato in Erd e Gunther che ne volevano uno per Levi. Figurati se mi metto a far regali a quell’idiota… Erwin ha provato a rifilarmi dei rapporti da sistemare. Auruo ha fatto cadere alcune decorazioni dall’albero e per poco non mi finivano in testa. Sono scivolato sul ghiaccio e, alla fine, Thomas mi ha incastrato per questo stupido turno di guardia» spaziò con la mano verso il paesaggio circostante «Ha ripreso a nevicare e si congela. Un piccione ha avuto la splendida idea di cagarmi sul mantello. Ho bucato la divisa, ho finito le candele e quello stronzetto di Levi non è nemmeno andato a prendermene una di ricambio…» scosse il capo «Odio la Festa d’Inverno»

«Perché?»

«La gente diventa pazza! Tutti a cercare questi stupidi regali, le decorazioni, a fare dolci e… questa mania che dovremmo essere più buoni e pazienti.» si strinse nelle spalle, arricciando la punta del naso «In tutto ciò, ho persino il raffreddore!»

«A me non dispiace, come periodo…» la ragazza gli tese il cestino «Ti ho portato qualcosa, però. Per risollevarti il morale»

Mike abbassò il capo, osservando all’interno della cesta: c’era un mantello pulito e ben ripiegato, un paio di guanti e persino una sciarpa. Una coppia di candele giaceva in un angolo, in bella vista, mentre sul fondo giaceva un piattino con alcuni biscotti.

«Dove hai preso tutta questa roba?»

«Un po’ qui e un po’ là­.»

«Grazie…»

«Sai, credo che dovresti dare una seconda possibilità alla Festa d’Inverno.» Nanaba tornò a fissare il nulla, poggiando i gomiti alla ringhiera e accogliendo il viso nel palmo delle mani «In fondo, è un’occasione per passare del tempo con gli amici, per scambiarsi dei regali e per non pensare ai titani, almeno per un giorno. Io la trovo piacevole, come atmosfera: è rilassata e quasi felice. È come se la gente si dimenticasse di ogni problema e si concentrasse solo sull’avvento della festa. Mi piacciono i colori delle strade, gli alberi adornati e la neve che cade copiosa; adoro il profumo dei biscotti e quello del ricco pranzo del venticinque. La ricerca dei regali ed i sorrisi delle persone quando li scartano. Tutto questo ha qualcosa di magico. È un po’ come tornare bambini, dopo tutto… quando i tuoi genitori ti facevano trovare una miriade di pacchetti davanti al camino. Quando i fratelli ti rompevano i giocattoli nuovi e le zie ti ricoprivano con orribili maglioni di lana infeltrita.» una pausa, mentre lo sguardo non si distoglieva dal paesaggio «è tutto questo, per me. È un ricordo di ciò che ero e di ciò che vorrei sempre essere.»

«Forse hai ragione» Mike si chinò accanto a lei «Non l’avevo mai vista in quest’ottica»

«Dovresti prenderla con più filosofia»

«Grazie» tornò a guardare il cestino «Dove hai preso quei biscotti?»

«In cucina!» Nanaba agguantò un dolcetto «Erano abbandonati sul davanzale»
 

***
 

Levi scese le scale, alla ricerca di un bicchiere d’acqua.

Non riusciva a prendere sonno. Qualcosa, nella sua mente, risuonava come un pericoloso campanello d’allarme. Aveva cercato di dormire, rigirandosi inutilmente nel letto per diverse ore, ma quella sensazione non lo aveva mai abbandonato.

Infine, si era risolto a scivolare fuori dalla propria stanza e sgranchirsi le gambe. Il camminare senza meta lo condusse sino alla cucina.
Si fermò sulla soglia, osservando attentamente il locale: pareva tutto in ordine, ma la sua testa continuava a metterlo sul chi va là. Qualcosa non quadrava.

Superò la soglia, squadrando attentamente i mobili: le stoviglie erano in ordine, così come le pentole, mentre il fuoco del forno era stato correttamente spento. Lentamente, le sue iridi scivolarono sul davanzale, da cui traspariva il chiarore notturno: la fioca luce illuminò la scodella completamente vuota.

«Cazzo…» sibilò, senza nascondere l’incredulità. Il ladro aveva colpito ancora.


 

Angolino: 'sera ^^
aggiungo il prompt di oggi:
Per X non è un bel Natale... gli sta andando tutto storto. Ma poi arriva Y a fargli cambiare idea.
Ancora mille grazie per aver letto ^^
un abbraccio

E'ry

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Capitolo 13
*** 13/12 - Casa ***



13/12 - Casa


Erwin rialzò il capo, osservando le case circostanti. Come era finito in quel quartiere?
Era uscito per comprare alcuni regali, ma nel gironzolare si era perso nei propri pensieri. Senza badare alle viuzze, aveva camminato per tutto il pomeriggio, realizzando troppo tardi d'essere finito fuori strada.

La neve aveva ricominciato a scendere, mentre il chiarore della sera iniziava a mescolarsi al buio.
Si strinse nel mantello, sforzandosi di non badare al calare precipitoso della temperatura. La divisa non offriva molto riparo dal freddo, nemmeno se completata dalla cappa imbottita e da una sobria sciarpa nera.

Accelerò il passo, tornando a controllare le vie. Conosceva quel posto e sapeva, naturalmente, come tornare alla caserma, ma le sue gambe non desideravano riportarlo indietro. Da un lato, la testa continuava a suggerirgli di rientrare, prima che calasse definitivamente la notte. Dall'altro, un ricordo lontano lo spingeva a proseguire, obbligandolo a camminare lungo il fondo lastricato di ghiaccio e pietre chiare.
Ben presto, le abitazioni si fecero più basse e compatte: costruzioni di un solo piano, arroccate l'una accanto all'altra, senza neppure un fazzoletto di giardino. Via via che ci si avvicinava al muro, gli edifici si stringevano l'uno all'altro ed anche i cortili di terra battuta diventavano una rarità.

Quella zona non era cambiata per niente. Profumava ancora di noci tostate, ma gli ambulanti che le vendevano si erano sicuramente ridotti. Si fermò ad un banchetto, ordinandone un sacchettino: lo avrebbe portato a Levi; senza dubbio, avrebbe apprezzato.
Le case erano dipinte con colori pastello: il giallo prevaleva, ma qui e là spuntavano alcune tonalità di rosa e verde pallido; i tetti possedevano vecchie tegole, ora coperte da un sottile strato di neve fresca. Quasi tutte le imposte erano chiuse, ma da alcune trapelava la pallida luce dei candelabri a muro e dei camini accesi.

Proseguì oltre un crocevia, contando silenziosamente i passi. A destra, la strada scendeva con delicatezza sino ad una piccola villa: le finestre di casa Dok erano aperte, segno che i proprietari non erano si erano ancora rifugiati nelle stanze da letto. Sarebbe passato più tardi a porgere i propri saluti.

Continuò a camminare, senza smettere di guardarsi attorno: quasi tutti i negozi erano ormai chiusi; riconobbe la drogheria della signora Peacock, la sartoria ed il fabbro. Il panettiere era stato sostituito con una falegnameria ancora aperta.
Poco oltre, la strada si apriva in una minuta piazza e poi si rituffava negli stretti vicoli. Imboccò quello a sinistra, osservando i numeri civici.

Scivolò silenziosamente sino al tredici, perdendo qualche attimo ad osservare la facciata della casa. I mattoni erano rimasti in bella vista, mentre l'unico balconcino, un tempo malmesso, era stato ristrutturato. Alcune ghirlande di lauro scendevano lungo le grondaie, accompagnate da nastri rossi e da palline di legno decorato. Sull'uscio era appesa una corona di agrifoglio, intrecciata a fili dorati.
Erwin si accostò alla finestra illuminata, ponendo le mani a coppa per poter spiare oltre il riflesso del vetro; la stanza era esattamente come la ricordava: un camino di pietra scura faceva da sfondo ad una sala dai toni sobri. Una lunga credenza giaceva a ridosso della parete di destra, di fronte ad un tavolo accompagnato da sei seggiole. Accanto all'ingresso, una libreria ricolma di soprammobili e libri per bambini. La tavola era apparecchiata con quattro posti e una zuppiera fumante stanziava al centro, su un centrino ricamato.
Notò una figura entrare nel soggiorno, seguita da una coppia di marmocchi urlanti. La bambina non poteva avere più di dieci anni; stringeva a sé una bambola dalle ciocche dorate, riparandola dalle mani del fratellino troppo chiassoso. La donna stava, invece, servendo la cena: disponeva con attenzione la minestra nelle scodelle, ben attenta a non rovesciarle. Accanto a ciascun piatto, lasciava un tozzo di pane ed un bicchiere d'acqua fresca. Possedeva un volto gradevole e morbido, accompagnato da capelli scuri quanto il sobrio abito che indossava. Gli occhi chiari erano solcati da una lieve ragnatela di rughe, evidente ogni volta che le labbra si piegavano.
Assomigliava a sua madre, in qualche modo: non possedeva ricordi che non fossero vecchi ritratti. Non l'aveva mai conosciuta, ma rammentava il modo aggraziato con cui sorrideva nei disegni; le acconciature eleganti e quell'aria aristocratica che non l'aveva mai abbandonata, neppure quando aveva scelto di sposare un semplice insegnante.
Un uomo si aggiunse alla scena, oltrepassando in fretta l'uscio per raggiungere la moglie. La strinse in un caldo abbraccio, baciandola lentamente e poi donando una carezza ai figli. Era strano vedere tutte quelle persone nella propria casa, almeno dal suo punto di vista: non aveva mai avuto fratelli, né sorelle. Era sempre vissuto con suo padre, in quelle stanze troppo grandi per due sole persone; era come se, finalmente, anche l'abitazione avesse trovato una vera famiglia da ospitare: con una donna capace di occuparsi di lei, con lo sgambettare di bambini allegri lungo i pavimenti di legno lucido, con un marito affettuoso pronto a rincasare ogni sera per godersi il suo tepore. Non vi erano più i libri ad ingombrare ogni tavolo, ma solo dei sobri centrini e vasi di fiori. Dei quadri adornavano le pareti, un tempo spoglie, mentre il fuoco nel camino sembrava addirittura più pimpante. Era piacevole vederla così, immersa in una atmosfera che lui non avrebbe mai saputo regalarle.

Abbozzò un sorriso, in cui vi erano una punta di invidia e di sollievo: ammirava quella famiglia, così diversa dalla sua, così… completa! Non mancava nulla a quelle persone: avevano un tetto sopra la testa, delle camere accoglienti, il sostegno l’una dell’altra e persino un grosso gatto nero appollaiato su una poltrona. Cosa altro potevano desiderare?
Fece per scostarsi dalla finestra, abbassando il capo e riprendendo a camminare. Non fece, tuttavia, che un paio di passi.

«Signore!» una voce profonda lo costrinse a voltarsi: sulla soglia era apparso l’uomo. Non era molto alto e un’aureola di capelli brizzolati circondava le tempie, perdendosi nella fronte spaziosa. Possedeva un paio di folti baffi che gli conferivano un’aria austera, smascherata però dalle labbra curvate all’insù e dall’espressione gioviale. Indossava una semplice camicia, un po’ stretta sull’addome pingue, e un paio di semplici pantaloni.

«Sì?»

«Avete bisogno d’aiuto? Vi abbiamo scorto dalla finestra e…»

«Non volevo disturbare, mi dispiace. Stavo solo…» osservando? No, suvvia. Sarebbe apparso come un impiccione o, peggio, un ladro intento a svolgere un incauto sopralluogo. Scosse il capo, limitandosi ad aggiungere «Era casa mia, un tempo. Passavo di qui e mi sono fermato a guardarla. È rimasta come la ricordavo»

«Vivevate qui?»

Mimò un cenno d’assenso:
«Con mio padre. Era un professore» lasciò nuovamente vagare lo sguardo sulle decorazioni «Sono contento che l’abbiate voi: ne avete avuto molta cura. Non l’ho mai vista tanto splendente, ordinata ed apprezzata. Siete la famiglia che aspettava da tempo, senza dubbio.»
«Mia moglie ci tiene molto. La pulisce e la rassetta tutti i giorni, o quasi»

«Andrebbe d’accordo con chi-so-io, allora…»

«Volete entrare? Abbiamo ancora della zuppa»

«Non so se…»

«Insisto! Venite. Una scodella di minestra non si rifiuta a nessuno!»
 

***


Erwin si accomodò, appoggiando il mantello verde sulla spalliera della seggiola.

«Grazie» mormorò, quando la padrona di casa gli servì la zuppa, accompagnandola con una generosa manciata di crostini secchi.
Immerse il cucchiaio nella vellutata, assaporando con soddisfazione il gusto avvolgente delle verdure fresche.

«Vi piace?»

«Molto, signora. Siete un’ottima cuoca»

La donna gli regalò un sorriso e scivolò nuovamente a sedere accanto ai figli, ancora intenti a consumare la cena.

«Come vi chiamate?» il marito riprese a parlare, accendendo una lunga pipa in legno bianco «Appartenete alla Legione Esplorativa? Lo stemma sul vostro mantello…»

«Sì» mimò un cenno affermativo «Mi chiamo Erwin»

«Io sono Martin e questa è mia moglie Lizzy.»

«Anche io voglio entrare nella Legione, quando sarò grande!» il bambino si era avvicinato al suo mantello, accarezzando le ali bianche e blu con le mani sottili «Voglio combattere i giganti.»

«Ne abbiamo già discusso, Nick.» la madre lo prese in braccio, regalando un bacio veloce tra le ciocche castane «Finché giocate agli esploratori va bene, purché rimanga un gioco. Da grande, rileverai la bottega di tuo padre»

«Non voglio fare il vasaio, mamma. Voglio diventare un soldato, come questo signore»

«La vita del soldato è molto dura. Non possono avere giocattoli e nemmeno vivere in casa con i loro genitori»

«Ma io vi verrò sempre a trovare»

«Non si può. Chiedi al signor Erwin, se non mi credi»

Si sentì preso alla sprovvista: comprendeva benissimo i sentimenti della donna. Quale madre, in fondo, consegnerebbe spontaneamente il proprio figlio alla morte? Nessuna. Perché, allora, affidare le vite di quei ragazzi ad uno sconosciuto, che certamente li avrebbe condotti solo alla rovina ed alla distruzione? Non aveva senso. Avrebbe dovuto scoraggiare il bambino? Nick sembrava temerario e desideroso di conoscere la verità, almeno quanto lo era lui alla sua età. Crescendo, sarebbe diventato un ottimo soldato, di larghe vedute e sani principi. Sarebbe stato un peccato perderlo per l’egoismo sciocco di una madre.
Si vergognò subito di quel pensiero: come poteva sopportare una cosa del genere? Chi era per dare dell’egoista ad una mamma preoccupata per la vita del figlio? Lui stesso nascondeva sogni ben più egocentrici ed ambiziosi, dietro la pallida scusa della lotta per la libertà. La bramosia di conoscere, di verificare le teorie di suo padre – elaborate proprio tra quelle mura – non era forse peggiore? Come poteva essere tanto leggero nel giudicare gli altri, quando i propri ideali non erano certo migliori?

«Tua madre ha ragione» disse infine, abbozzando un leggero sorriso «La nostra vita è difficile e piena di pericoli. È più sicuro rimanere dentro alle mura» sussurrò, ignorando quel disappunto aspro che gli rimbalzava nella mente: più sicuro dentro le mura? Che assurdità! Era meglio vivere da prigionieri, piuttosto che rischiare ed assaporare, anche per un solo giorno, la libertà del mondo esterno? No, affatto! Anche se la libertà aveva un alto prezzo: il vento che ti sferza il viso non può essere un regalo. Viene barattato con la paura d’essere divorati; con la disperazione nel vedere i propri compagni calpestati; con il pianto delle notti insonni e le infinite lettere che, ogni volta, si ritrovava a dover scrivere. Erano sempre di più i fantasmi che costellavano i suoi incubi: giorno dopo giorno, le grida dei caduti risuonavano continuamente nel sonno agitato, obbligandolo a bruschi risvegli ed a ore di attesa. Non avrebbe augurato quella vita a nessuno, men che meno ad un bambino che continuava a fissarlo con la speranza dipinta negli occhi.

«Hai sentito?» la voce della madre conteneva una sfumatura sollevata, come se avesse gradito quell’intervento in proprio favore «È troppo pericoloso per un bambino»

«Ma… crescerò! Diventerò grande»

La donna ignorò il figlio per qualche attimo, tornando all’ospite:
«Ho sentito dire che la Legione Esplorativa sia il corpo peggiore. È vero?»

«In che senso?» Erwin aggrottò la fronte, senza comprendere: a cosa si riferiva la signora? Forse, la prospettiva d’essere smembrati dai titani non era delle più rosee, ma perché usare un aggettivo tanto dispregiativo?

«Pare che sia piena di pazzi. Non fraintendetemi, non che voi lo siate, ma… Helga, la mia vicina, mi ha riferito che sono tutti dei fanatici, lì dentro. Tutti con questa mania di andare a distruggere i giganti, come se fossero loro il male peggiore. In fondo, credo che i veri problemi da affrontare siano qui, all’interno delle mura: la criminalità, la povertà, la carenza di generi alimentari. Non pensate che dovrebbero investire maggiormente sullo sviluppo di ciò che già possediamo, invece che cercare risorse nel mondo esterno?»

«Beh, la carestia si è aggravata dopo la caduta del Wall Maria. Credo non vi sia nulla di male nel cercare di riconquistarlo; di riprenderci ciò che è nostro»

«Avete ragione, ma sono sicura che se spendessimo meno denaro per finanziare le spedizioni, avremmo maggiori possibilità di far crescere l’economia e il commercio.»

«Forse avete ragione, ma… davvero desiderate rimanere chiusi tra queste mura per sempre?»

«Fino ad ora, ce la siamo cavata. Potremo farlo anche in futuro»

«Non sono così ottimista» scosse il capo, tornando ad assaggiare la zuppa che, nel frattempo, si era quasi raffreddata.

«Spero di non avervi offeso con questi discorsi, signor Erwin»

«Niente affatto. Al contrario, sono un interessante punto di vista» mentì, sfoggiando un sorriso rassicurante. Non era interessante, anzi… era solo avvilente e demoralizzante: dopo tutto, aveva sprecato le vite dei propri uomini e compagni non soltanto per il proprio egoismo, ma anche per appagare la stupidità degli abitanti dei distretti. Finse di concentrarsi sulla minestra, ma colse la donna attaccare nuovamente:

«Pare che il loro comandante sia uno squilibrato»

Rialzò immediatamente il capo a quelle parole, senza nascondere un’espressione sbigottita:
«Perché?» si sforzò di mantenere un tono neutro, quasi disinteressato.

«Dicono che sia spietato, senza un briciolo di umanità»

«Lo conoscete di persona?»

«No» la risposta negativa non lo sorprese, ovviamente «Ma un uomo che manda a morire i propri soldati senza un briciolo di rimorso, non può essere altro»

«Come fate a sapere che non ha rimpianti?»

«Se li avesse, non proseguirebbe le esplorazioni con tanto accanimento»

«Magari è una brava persona» fu un blando tentativo di salvarsi.

La donna stava scuotendo nuovamente il capo, come se non fosse affatto convinta:
«Non lo conoscete, signor Erwin? Eppure servite nella Legione»

«Di vista. Non ci ho mai parlato direttamente» mentì con disinvoltura, alzando brevemente le spalle «Sono soltanto un semplice soldato e mi limito ad obbedire»

Aveva sbagliato a tornare in quella casa: il desiderio di rivederla si era trasformato troppo presto in un assurdo incubo, dove il disprezzo si confondeva alle premure degli abitanti. Si era illuso di ritrovarla accogliente, pronta ad abbracciarlo come un figlio smarrito per troppo tempo; invece, persino le pareti in pietra sembravano deriderlo e disdegnarlo. Doveva andarsene e tornare immediatamente in caserma: al suo posto, tra i suoi soldati; tra quei visi che ancora gli sorridevano e quelle mani che, posate sul cuore, giuravano fedeltà alla libertà. Lì, forse, sarebbe stato a casa.

Fece per alzarsi, ma le dita minute del bambino si chiusero sul suo polso:
«Io voglio combattere con voi» si sentì ripetere.

«Non ti preoccupare: quando sarai grande, non esisteranno più i giganti. Li sconfiggeremo prima ed abbatteremo le mura. Potrai vedere il mondo esterno ogni volta che lo vorrai» allungò una mano, arruffando i capelli del bambino e strappandogli una leggera risata «Se desidererai diventare comunque un soldato, potrai arruolarti nella Polizia Militare. È un corpo molto prestigioso ed ha il grande onore di difendere il re»

«Francis dice che non posso entrare nella Polizia. Dice che siamo troppo poveri per potercelo permettere»

«Francis?»

«Il mio migliore amico»

«Beh, si sbaglia! Non è una questione di soldi, quanto più di bravura: solo i più meritevoli possono entrare nella Gendarmeria. Il comandante della Polizia abitava in fondo a questa via, lo sapevi?»

Lo vide scuotere il capo e sorridere nuovamente, come se quella confessione avesse risvegliato un moto d’orgoglio improvviso e la speranza di potersi riscattare da un futuro già deciso.

«Posso provarla?» si sentì tirare una manica della giacchetta.

Annuì, sfilandosela prontamente:
«Ti andrà grande»

La casacca era decisamente enorme per il corpo esile del bambino. Le maniche scendevano sin quasi alle ginocchia, mentre il bavero ricadeva inerte sul petto magro.

«È morbida» fu l’unico commento che ricevette.

«Puoi tenerla, se ti piace. Ne prenderò un’altra»

«Desiderate assaggiare il dolce, signor Erwin? È pane con nocciole ed uvette» la padrona di casa si intromise nuovamente e, senza attendere risposta, gliene servì un paio di fette.

«Potete togliermi una curiosità?» domandò, infine, sbocconcellando la pagnotta «Voi mi ritenete un poco di buono, quindi?»

«Assolutamente no. Si vede che siete una persona con la testa sulle spalle. Non condivido l’idea di arruolarsi in un corpo tanto pericoloso, tutto qui.»

Un bussare sordo interruppe la conversazione. L’uomo si alzò, andando a schiudere l’uscio; poco dopo, rientrò nella stanza, accompagnato da una figura bassa e perennemente imbronciata, che Erwin non tardò a riconoscere:
«Levi?»

«È tutto pomeriggio che ti cerchiamo, lo sai?»

«Perché?»

Il capitano mimò un’espressione incredula:
«Hai detto che uscivi un’oretta e sei sparito nel nulla! Ti abbiamo cercato per tutto il distretto. Mike mi ha suggerito di guardare qui e aveva ragione.» indicò una finestra «Ti ho scorto dai vetri. Noi in giro disperati a cercarti e tu fermo qui a mangiare dolcetti» allungò una mano, servendosi da solo di una fetta di pane e noci «Mh, buono. Comunque…» riprese, dopo aver sgranocchiato qualche boccone «Ci siamo preoccupati»

«Sono grande, Levi. So badare a me stesso»

«No, non è vero!»

«Quale ridicola idea ti è venuta, questa volta?»

Erwin lo scorse aggrottare la fronte e tornare a biascicare:
«Pensavo ti avessero sequestrato»

«Che idiozia. Solo a te poteva venire in mente una cosa del genere» ridacchiò, passandogli un’altra fetta di dolce.

Lo vide masticare e rimuginare qualche attimo, prima di tornare all’attacco:
«A te sembra normale che il comandante della Legione sparisca per ore senza lasciar detto dove si trovi?»

«Comandate?» la voce della donna tornò a pigolare, meno spavalda e sicura «Siete il comandante?»

«Certo che lo è! Chi diamine pensavate fosse?» Levi ed il suo solito tono indisponente. Poco dopo, un indice a picchiettare insistentemente sulla sua spalla «E tu? Perché non glielo hai riferito?»

Sollevò le spalle:
«Non lo ritenevo importante»

«Che? Sei scemo?»

«Non credo che a queste persone interessasse, Levi. Mi avrebbero comunque offerto una scodella di zuppa e del pane alle noci» sorrise, piegando leggermente il capo in direzione della padrona di casa «So a cosa state pensando, signora. Non sono indisposto con voi. A volte, la verità fa un po’ male, ma… passerà, ne sono sicuro»

Lizzy si profuse in un piccolo inchino:
«Sono costernata e non so dirvi quanto mi dispiaccia. Avrei dovuto stare zitta e non permettermi di…»

«…di esprimere un vostro parere? Al contrario, sono lieto lo abbiate fatto»

«Non vi siete offesa, Eccellenza

«No, ma potrei farlo se continuerete ad usare epiteti simili. Francamente, non li sopporto» terminò, tendendo la mano verso la donna «Piuttosto, lasciate che vi ringrazi per la cena.»

La signora, tuttavia, stava armeggiando con un tovagliolo. Poco dopo, gli cacciò tra le dita un piccolo fagotto:
«Prendete! È pane alle noci. Visto che vi è piaciuto, ho pensato di… beh, lasciarvene un po’.»

Accettò quel regalo, mimando un cenno del capo:
«Molto gentile.» strinse la mano che la donna gli stava tendendo, salutando poi il marito ed i due bambini «Credo lo mangeremo sulla via del ritorno»

«O domani per colazione…» Levi era già piantato sull’uscio socchiuso.

Erwin si affrettò a seguirlo, spiando le strade ormai imbiancate di neve. Le luci circostanti si erano già spente. Rimanevano quelle delle lanterne lungo le vie, mentre dagli edifici vicini non si udiva alcun rumore. Tutto era immerso in una quiete profonda, quasi solenne.
Gettò un’ultima occhiata alla casa: le altre stanze erano ancora immerse nel buio, ma riconobbe la cucina alla propria destra e le scale che conducevano al piano superiore. Le rimirò con affetto, immaginando per un attimo di percorrerle, di salire nello stretto corridoio e di ritornare sulla soglia della sua vecchia stanza – probabilmente appartenente a uno dei due bambini. Chissà se era stata tinta di rosa per incontrare i gusti della ragazzina, magari colmata con bambole di pezza e coperte ricamate. Oppure, era rimasta inalterata, ma le mensole ospitavano ora dei modellini in legno e non  più i suoi vecchi libri.

«Andiamo?» Tornò ad abbassare lo sguardo sul viso conosciuto. Levi lo stava fissando con una punta di incertezza: «O vuoi fermarti ancora?»

Scosse il capo, fermandosi un istante sulla soglia dell’abitazione. Concesse un ultimo saluto, agitando la mancina, alla famiglia nuovamente raccolta attorno al tavolo.
Poi, scivolò cautamente oltre la porta:

«No. Torniamo a casa»


 


Angolino: sono in ritardissimo nel postare (questo era il prompt di ieri, sob). Spero di riuscire a recuperare al più presto ^^
Il prompt era:
A Natale tutte le strade conducono a casa (Marjorie Holmes)
Vi ringrazio, come sempre, per aver letto fin qui *_*
Un abbraccio

E'ry

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Capitolo 14
*** 14/12 - Davanti al caminetto ***



14/12 – Davanti al caminetto
 

Levi si accomodò sul divanetto, studiando la figura accanto a sé. Erwin era rimasto stranamente silenzioso per tutto il tragitto, con il capo chino e la mente persa in chissà quali oscuri pensieri.

Dopo circa mezz’ora di cammino a passo svelto, erano arrivati alla caserma. Le sentinelle avevano immediatamente schiuso il cancello ed il portone, permettendo ai superiori di raggiungere i corridoi interni, dove un tepore aleggiava ancora lungo i muri di pietra.

Non si erano fermati neppure in refettorio: Erwin aveva preferito salire immediatamente nel suo ufficio e lui lo aveva seguito. Aveva messo ad asciugare i mantelli e gli stivali inumiditi dalla neve, prima di tornare alle sue faccende: tenere in ordine quel posto era un’impresa, senza dubbio. La scrivania era ancora ingombra di carte ammucchiate alla rinfusa, tra i calamai semi vuoti e le penne dalle punte seccate. Due lunghe librerie correvano lungo le pareti principali, strabordanti di libri sistemati secondo autore, genere e dimensione. A destra, oltre un tappeto elaborato, un camino acceso scoppiettava allegramente, indorando la stanza con i riflessi del fuoco.

Erwin si era seduto proprio davanti a quest’ultimo, sul sofà di stoffa rossa. Aveva preso un volume e lo aveva aperto sulle ginocchia: teneva gli occhi incollati alle pagine, che mai voltava. Era come se stesse fingendo di leggere, probabilmente per evitare qualunque domanda.

Se pensava di cavarsela così, comunque, si sbagliava. Non gliel’avrebbe fatta passare liscia: dopo aver speso tutto il pomeriggio a cercarlo, meritava almeno delle risposte. Cosa era successo in quella casa? Perché la donna si era profusa in tante scuse e perché il comandante si era chiuso tanto in sé stesso? Aveva persino rifiutato i suoi blandi tentativi di conversazione.

Si accucciò sui cuscini morbidi, incrociando le gambe:
«Sei troppo silenzioso» attaccò, studiando l’altro con attenzione; non lo vide neppure rialzare lo sguardo «Cosa c’è che non va?»

«Niente»

«Non è vero» quell’ostinazione cominciava ad infastidirlo «Perché non ne vuoi parlare?»

«Diresti che sono fesserie» lo vide chiudere il libro e sbuffare, come se stesse lentamente cedendo «Tu pensi che io sia uno squilibrato?»

«Tanto normale non sei, in effetti…»

«Grazie. Il tuo sarcasmo era proprio ciò di cui avevo bisogno»

La copertina rigida tornò ad aprirsi, ma lui fu più svelto; allungò un braccio, premendo le dita su quelle dell’altro, bloccando quel movimento:

«No! Adesso mi dici cos’hai! Perché questa domanda?»

«La signora di prima, quella che ci ha dato il pane con le noci… beh, è certa che siamo una manica di pazzi. Non crede assolutamente nella Legione, né nei nostri ideali. A dirla tutta, ci considera uno spreco di tempo» un ciondolare del capo, come se la verità fosse troppo scomoda ed indigesta «E pensa che io sia un poco di buono. Una persona crudele e senza rimorsi»

«Quando te lo ha detto?»

«Poco prima che arrivassi tu»

«Pensi di ascoltarla? Ha detto solo un mucchio di stupidate.»

«Non è vero e lo sai benissimo anche tu. Quanti la pensano così? Troppi! Come possiamo combattere i giganti, se nessuno crede in quello che facciamo? A dirla tutta, inizio a non crederci più nemmeno io.» lo sentì rabbuiarsi nuovamente «Le persone non vedono in noi una speranza, ma solo dei parassiti che sperperano denaro e vite. Se il Corpo di Ricerca smettesse di esistere, non importerebbe a nessuno. Anzi, probabilmente sarebbero tutti più contenti e sollevati: i nobili non si troverebbero costretti a elargire finanziamenti per fingere di voler sostenere una buona causa; il popolo non si sentirebbe derubato e le madri non dovrebbero più piangere i figli dispersi chissà dove.»

«E condannare l’umanità ad una eterna prigionia?» Levi allungò le mani verso il fuoco. Iniziava a fare decisamente freddo in quella stanza. La temperatura esterna era calata ancora e qualche spiffero iniziava a sibilare da sotto i bordi delle finestre chiuse.

«È quello che desiderano. Chi sono io per obbligarli a vivere fuori dalle mura? Alla maggior parte della gente non interessa affatto quello che facciamo. Per loro, siamo soltanto uno spreco. Che senso ha proseguire?»

«Non posso credere che tu stia dando retta a discorsi tanto sciocchi. Hai parlato con una massaia che aveva voglia di chiacchierare a vuoto, anziché dire cose sensate. Non dovresti darle troppo peso»

«Perché no? Dopo tutto, rispecchia perfettamente quei cittadini che ci detestano. Li senti anche tu, no?, quando rientriamo dalle spedizioni. Non importa quanto guadagniamo ogni volta o quanto la formazione a lunga distanza abbia ridotto le perdite: ci vedono come degli idioti che rischiano inutilmente la vita e che campano sulle loro spalle; se anche morissimo tutti, non ci piangerebbero. Al contrario, sarebbero sollevati, convinti che l’alta tassazione serva a finanziare le nostre scampagnate.»

«Ma non è così…»

«Noi lo sappiamo, ma loro no! Ha senso continuare una lotta in cui nessuno crede più?»

Si strinse nelle spalle, senza trovare una reale risposta. Comprendeva i sentimenti del comandante, ma non riusciva a condividerli: combattere per un’umanità che non desiderava essere salvata era frustrante. Che altro potevano fare, allora? Arrendersi non era certo una soluzione:
«Sbagli» sussurrò, infine «Qualcuno ci crede ancora. Io, Hanji, Mike, Nanaba, la mia squadra, i tuoi soldati. Noi ci crediamo. Conta così poco la nostra opinione?» lo vide abbozzare un leggero sorriso «Non siamo i soli a voler scappare da questa gabbia, anche se spesso non abbiamo il coraggio di ammetterlo; di alzarci in piedi, portare il pugno al cuore ed essere disposti a immolarci per un disegno più grande ed ambizioso. Tutti desiderano un mondo libero, ma pochi sono disposti a rischiare per ottenerlo. Tutti sognano di poter, un giorno, varcare le mura senza il terrore d’essere divorati o di veder morire i figli, gli amici, i vecchi compagni, ma nessuno vuole ad ammettere che, per ottenerlo, è necessario sacrificarsi»

«E se vi ingannassi? Se non esistesse alcuna volontà di salvare l’umanità? Se vi fossero solo le ambizioni personali di un folle che desidera scoprire la verità?»

«Farebbe differenza? La verità non la troveremo certo rimanendo chiusi dentro a queste mura. Non c’è niente qui, se non il ripetersi monotono dei giorni. Che cosa faresti, se non fossi il comandante della Legione? Te ne staresti chiuso in casa ad ammirare quei quattro mattoni che ci circondano? Non credo proprio! Ti conosco e quella vita ti starebbe troppo stretta. Scoveresti comunque un modo per uscire, per inseguire la verità che si nasconde all’esterno.»

«Se non fosse quello che aspettiamo da tempo? Ci hai pensato? Se oltre le mura non ci fosse nulla per cui valga la pena combattere… avrei solo sprecato vite inutilmente.»

«Non puoi saperlo a priori; puoi solo scegliere se andare avanti oppure gettare la spugna e rinnegare ciò che hai fatto fino ad ora. Sappi, però, che in quest’ultimo caso non avrai il mio appoggio, né il mio perdono.» Levi si alzò, scivolando verso una cesta lasciata in un angolo. Recuperò una larga coperta di lana, tornando poi sui propri passi «Vuoi davvero abbandonare tutto, Erwin?»

Lo vide scuotere lentamente il capo:
«No, ma…»

«È sufficiente!» lo interruppe, sollevando frettolosamente la mancina. Non gli avrebbe permesso di rimangiarsi ancora le parole. «Non intendo sentire altri inutili vaneggiamenti. Non per questa sera, almeno…»

Scivolò accanto al comandante, appoggiando la testa alle gambe robuste. Stese la schiena sui cuscini, flettendo le ginocchia ed avvolgendosi nella trapunta. Fissò sottecchi il viso dell’altro, studiando silenziosamente la mandibola robusta e quel lieve accenno di barba che tingeva le guance. Sollevò l’indice, percorrendo il profilo dell’osso sino al mento, aggiungendovi soltanto un:
«Devi raderti»

«Non vuoi proprio darmi tregua?»

«Non oggi» sibilò, fissando qualche attimo gli occhi azzurri abbassati al suo volto «Il tuo caminetto non scalda abbastanza, lo sai? Secondo me, dovresti farlo pulire» aggiunse, sforzandosi di cambiare nuovamente discorso.
Allungò la mancina, recuperando a tentoni il libro di poco prima:
«Leggeresti qualcosa?»

«Non credo ti potrebbe piacere»

«Non mi importa. Voglio solo sentirti leggere.»


 

Sono in ritardo, ma sto recuperando (pian pianino): questo è il prompt di ieri. Ho scelto una immagine con un caminetto acceso e... niente, li ho immaginati così. è un tentativo di proseguire, almeno in parte, la ff precedente ^^
E... finalmente sono riuscita a scrivere una micropunta di eruri (per la gioia di Auriga *_*)
Grazie infinite e alla prossima,

E'ry

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Capitolo 15
*** 15/12 - Promessa ***



15/12 - Promessa
 

Il giovane si districò dalle calde coperte, scivolando nuovamente nella stanza. Il gelo si era impadronito del davanzale, con una sottile patina bianca che si diramava in parte sui vetri dell'unica finestra. Mosse qualche passo sul pavimento di legno ruvido, in punta di piedi.

Recuperò la camicia ed i pantaloni, iniziando ad infilarli con cura. Le cinghie erano ancora sparse al suolo dalla sera prima, poco lontane dalla giacchetta e dal mantello, frettolosamente gettati via. Le Ali della Libertà facevano capolino tra le pieghe morbide della stoffa verde, fissandolo con un cipiglio quasi severo, come a rimproverargli quella notte passata tra le braccia di una donna, invece che nei dormitori della caserma.


«Vai di già?» si voltò al cogliere la voce femminile.

La ragazza dai capelli ramati lo stava fissando, la malinconia dipinta su quelle labbra che, fino a poche ore prima, aveva baciato con foga. Teneva il lenzuolo sul petto ancora spoglio, in un gesto inutilmente pudico.


«Sì. Devo rientrare» sussurrò, senza staccare lo sguardo dalla pelle candida solcata da una spruzzata di lentiggini.

«Avevi detto che saresti rimasto» poche parole impregnate di speranza e malinconia.

Scosse il capo, abbassando lo sguardo ai bottoni della camicia.


«Lo so. Ora vado, ma tornerò presto»

«E sarà per sempre?»

«Non posso giurartelo. Potrei morire domani o tra cento anni. La mia vita non mi appartiene»

«Allora ritorna soltanto per la Festa d'Inverno.»

Si avvicinò alla ragazza, abbassandosi per regalarle un ultimo bacio tra i disordinati riccioli rossi:

«» sussurrò, lasciando scivolare la mano in una dolce carezza «Questo penso di poterlo promettere»

 

Angolino: 'sera! Sono in ritardo di un giorno, ma spero di poter recuperare nel weekend.
Oggi, un po' per problemi di tempo, ho preferito dedicarmi ad una ff cortissima e senza alcuno dei protagonisti conosciuti: non so chi siano questi due giovani, sinceramente. Sono due... original (?) che ho voluto inserire, come fossero un piccolo spaccato di "vita normale": un soldato che, dopo una notte appassionata, saluta l'amata che gli chiede di tornare. Tutto qui, niente di troppo complicato o di riconducibile ai personaggi usati fino ad ora ^^
Al solito, un grazie enorme per aver letto. Il prompt era:

"Non posso giurarti che sarà per sempre"
"Allora promettimi di restare almeno per questo Natale"


E'ry

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